SALVATORE MORELLI... IL DEPUTATO CHE LOTTO' PER L'EMANCIPAZIONE FEMMINILE - IL PANNELLA DELL' 800 - SCHEGGIO' UN TETTO DI CRISTALLO - MORI' IN MISERIA


Dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, 17 marzo 1861, il deputato della sinistra Salvatore Morelli si fece promotore di proposte di legge per l’emancipazione e l’istruzione femminile, per le revisione dei codici, per la concessione dei diritti civili e politici, per l’introduzione del divorzio.


Salvatore Morelli, figlio di Aurora Brandi e di Casimiro Morelli, nacque a Carovigno ( in prov. di Brindisi) l’1 maggio 1824. Svolse gli studi classici con l’aiuto di don Felice Sacchi, arciprete di Carovigno e dei canonici Del Buono e De Castro nel Seminario di Brindisi

Carovigno- Le Gole

Carovigno – Castello Dentice di Frasso – (di origini Normanne)




Il Castello di Carovigno nell' 800



Nel 1840 si trasferì a Napoli per studiare giurisprudenza e prepararsi agli esami di giornalista.


Napoli - L'Università

Nella città partenopea entrò in contatto con uomini di cultura. Frequentò il “salotto” culturale di Giuseppe De Cesare, un luogo d’incontro e di dibattito tra politici, avvocati e professori e quello letterario di Giuseppina Guacci Nobili che era animato da donne attive nell’arte e nella letteratura.


La poetessa Maria Giuseppina Gaucci Nobile
(Napoli, 20 giugno 1807 –Napoli, 25 novembre 1848)

Fu affascinato dalle idee del Mazzini e s’iscrisse alla “Giovane Italia”.


Nel 1845, mentre si trovava a Napoli, il Morelli chiese a Ferdinando II di Borbone una sovvenzione per scrivere un libro sulla storia della città di Brindisi. 



Quando tornò in Puglia, nel 1846 a Lecce, si adoperò nel diffondere le idee di rinnovamento portate aventi dal Mazzini.  Nel 1848 entrò a fare parte della Guardia Nazionale di Carovigno, suo paese natale, che fu ben presto disciolta. Nello stesso anno Ferdinando II di Borbone ritirò infatti la Costituzione e sciolse la Guardia Nazionale.
In Puglia, come in altre regioni, ci furono delle sommosse. Il Morelli che aveva creduto nel Re, gli aveva dedicato il libro sulla storia della città di Brindisi, si sentì tradito e bruciò nella piazza del suo paese un ritratto di Ferdinando II. Accompagnò il gesto di protesta con un forte discorso di condanna.
Lo storico Giuseppe Gabrieli riportò una piccola variante sull’atto di protesta del Moreli: “la notte del 19 maggio 1848, mentre nel posto della Guardia Nazionale di Carovigno, certi militi, tra cui il Morelli, attendevano a vuotare alcune bottiglie di vino, (secondo la testimonianza del questore), a compimenti di una cena già consumata, passò il corriere della posta ed annunziò i luttuosi fatti del 15 di quel mese avvenuti a Napoli. Quei bravi militi “caldi meno di amor patrio che di vino, a quell’annunzio, giurarono di vendicare i fratelli uccisi, impiccarono in effigie Ferdinando II, ossia al piuolo di una scala sospesero mediante una corda il busto in gesso di quel Re”. 
Fu arrestato e processato dalla Corte Criminale di Lecce per aver tenuto discorsi lesivi “contro la Sagra Persona del Re”. La sentenza  del novembre 1848 fu dura… la Corte Criminale doveva dare un primo esempio di reazione..otto anni di prigione che poi diventarono dieci. Fu condotto nelle carceri di San Francesco a Lecce.


La Chiesa di Santa Maria degli Angeli con l’attiguo convento dei Minimi
Di San Francesco di Paola che fu destinato a carcere borbonico 
 (oggi sede del Comando Provinciale della Guardia di Finanza)



Successivamente fu trasferito nel carcere  dell’Isola di Santo Stefano (arcipelago Pontino al largo del Golfo di Gaeta- dista dalla costa circa 28 – 45 km) dove entrò in contatto con altri patrioti detenuti tra cui Silvio Spaventa e Luigi Settembrini.






L’idea di utilizzare l’isola di Santo Stefano come luogo di prigionia risale proprio al periodo borbonico. Come si nota dalla fotografia il complesso carcerario ha una particolare architettura a “ferro di cavallo” per diversi motivi:
-          Psicologiche: i reclusi avevano la vista solo verso l’interno dell’edificio e la forma rotondeggiante dava a loro l’idea di un arroccamento completo; (https://www.amoventotene.it/cosa-fare/il-carcere-borbonico/#description);
-          Pratiche; bastavano pochi sorveglianti per controllare la struttura. Stavano al centro del cortile da cui avevano una visione completa di tutte le celle.

Sul portone d’ingresso del carcere c’è una lapide che ricorda la detenzione di Sandro Pertini, l’amato Presidente della Repubblica, dal 1978 al 1985, per quel suo modo semplice di stare vicino e con la gente. Subito dopo l’ingresso s’incontra un blocco di costruzioni che erano adibite a servizi come magazzini, laboratori per i detenuti che erano desiderosi d’intraprendere o svolgere qualche attività, cucine e corpo di guardia.
 Entrando nel “cuore” del carcere si ha un impressione forte. La struttura dalla forma circolare è molto imponente e al centro è posto un padiglione dove il cappellano celebrava messa e dove si svolgevano le punizioni corporali che i detenuti subivano.
In origine, come riportano varie fonti., le celle erano 99 (33 per ogni piano) e misuravano (4,50 x 4,20) metri. Successivamente il carcere cominciò ad accogliere un numero sempre crescenti di detenuti tra cui anche alcuni politici tra cui  Raffaele Settembrini  e il figlio Luigi,  Silvio Spaventa. (Raffaele Settembrini fu detenuto nel carcere di Santo Stefano nel 1799 e vi rimase per 14 mesi).
Luigi Settembrini (scrittore e patriota, fu anche senatore nell’XI Legislatura) lasciò ai posteri una descrizione dei luoghi molto accurata: “ogni cella ha lo spazio di circa 16 palmi quadrati e vi stanno nove, dieci uomini e più in ciascuna. Sono scure e affumicate e di aspetto miserrimo e rozzo”.


Interno di una cella

Le celle erano affumicate perché i detenuti avevano la possibilità di cucinarsi nelle celle. Sulle tristi condizioni di vita nel carcere c’è un dato che risale alla metà dell’Ottocento dove “ in nove anni morirono a Santo Stefano 1.250 detenuti di cui solo 200 di morte naturale”.

(Per la cronaca storica, c’è da dire che nel 1892, 31 anni dopo l’Unità d’Italia. Nel carcere di Santo Stefano le celle, già piccole e anguste, vennero divise a metà. Ogni cella doveva “ospitare” un detenuto. Furono anche costruite delle mura che dividevano il cortile in spicchi o settori, per evitare il contatto tra detenuti politici e comuni. Nello stesso periodo fu anche aggiunto alla struttura un anello esterno di altre 75 celle. La capienza del carcere fu stabilita in 300 detenuti rispetto agli 800 – 900 detenuti del periodo borbonico.
Il carcere fu teatro di atrocità spietate. Qui fu imprigionato l’anarchico Gaetano Bresci che il 29 luglio 1900 uccise a Monza Re Umberto I. Fu catturato, imprigionato nel carcere di Santo Stefano e impiccato, un anno dopo, dai secondini  nella sua cella. Durante il Fascimo ospitò tanti oppositore del regime, tra cui Pertini, Scoccimarro e Pugliese che fece la stessa fine dell’anarchico Bresci. La vita nel carcere continuò anche dopo la Seconda Guerra Mondiale quanto fu adibito ad ergastolo. Spesso chi riusciva ad ottenere la grazia, e quindi la fine della pena, si trasferiva nella vicina isola di Ventotene dove svolgevano l’attività o il mestiere che avevano imparato in carcere).
Nell’Iola di Santo Stefano  47 sepolture sono senza nome….
Salvatore non è un custode ma l’anima dell’isola..come dice Valentina Perniciario .. è lui che guida i visitatori o curiosi aprendo e chiudendo i vari cancelli.
Ci sono 47 tombe e grazie al lavoro di Salvatore quelle croci di legno sono ancora lì anche se avvolte dalle erbacce. Un isola selvaggia eppure uomini in catene l’hanno vissuta pure nella loro disperazione.. un isola di dolore..

Il Cimitero di Santo Stefano - Foto di Mattia Pellegrini

(Foto di Valentina Perniciaro)

Valentina Perniciario riesce nel suo articolo a far rivivere i momenti di vita di quei carcerati o ergastolani: Quel cimitero racchiude in se una solitudine mai sentita prima d’ora.

Quei corpi di cui la storia ha deciso di non aver memoria di un nome (c’è anche Gaetano Bresci tra quei corpi) hanno vissuto il proprio funerale molte volte prima che il loro corpo vi fosse seppellito, da altre mani prigioniere.

Detenuti che tagliano la legna, detenuti che chiodo su chiodo costruiscono una bara.

Detenuti che preparano quel corpo da chiudere nel legno, che dalla terra libera arriva con un piccolo battello.

Detenuti, uomini prigionieri, che accompagnano sotto quel sole e su quella terra nera il proprio compagno sulla collina, dove il grande mare avvolge tutto”.
Continua con grande animo..” Ci sono alcune immagini di quei funerale, che Salvatore custodisce amorevolmente in un album ingiallito… nel guardarle, nel vederli tutti vestiti uguali che si inginocchiano per salutare un altro vestito come loro, che s’è liberato prima di quella condanna terrena che aveva velleità di eternità, ho pensato che quegli uomini hanno vissuto chissà quante volte il loro funerale. A loro bastava guardarsi intorno, bastava tenere gli occhi ben aperti per assistere al proprio funerale, per veder costruire una bara uguale identica a quella che poi sarà costruita per loro stessi: chissà che aria c’era in quel blu che lì tutto circonda, nel momento in cui la terra cadeva sul legno, col canto dei tanti gabbiani e i colori incredibilmente vivi che sparano tutt’intorno”.


Luigi Settembrini vi passò circa 10 anni della propria vita e ci ha lasciato degli scritti di grande importanza storica sul Carcere di Santo Stefano che sono riportati nella nota n. 1.



Il Morelli nel 1851 fu accusato di cospirazione e quindi trasferito nella fortezza di Ischia. Una fortezza che era considerata  di massima sicurezza e destinata anch’essa ad “accogliere” i detenuti politici del regno borbonico.





Nella fortezza di Ischia subì una falsa fucilazione, venne barbaramente torturato e i suoi libri bruciati.
Il Morelli restò sempre fedele ai suoi ideali. Infatti dopo aver trascorso diciotto mesi nel carcere di Ischia fu trasferito nell’Isola di Ventotene. Il motivo di questo trasferimento ? Si rifiutò di accettare il perdono e anche una discreta somma di denaro in cambio dell’abiura, cioè del rinnegamento delle sue idee liberali, democratiche.


L’isola era stata ripopolata da Ferdinando IV di Borbone con coloni provenienti dalla Campania e principalmente da Torre del Greco e Ischia (Il Carcere di Santo Stefano è a circa 2 km a est).
Un’ isola tristemente famosa nel periodo fascista perché vi furono confinati personaggi della cultura e della politica che non erano graditi al regime.




Ventotene – Il Castello e Carcere Borbonico – Oggi sede del Municipio


Isola di Ventotene - Il Porto


Nell’isola, i cui aspetti  e la detenzione carceraria sono espressi nella nota n. 2, cominciò a svolgere la sua professione di avvocato difendendo i detenuti politici e comuni accusati di “Reale Maestà” che vi erano deportati. Una figura importante non solo per la sua cultura ma anche per una grande sensibilità. Spiegava gli avvenimenti umani collegandoli sempre ad uno sfondo sociale. Si rese conto che la criminalità aveva la sua base nella penosa condizione sociale del cittadino. Nella stessa isola si occupò anche dell’istruzione dei ragazzi. Il sito del suo comune di nascita, espone anche un avvenimento che lo rese protagonista durante il suo confinamento. In occasione della sfortuna spedizione di Carlo Pisacane, nel giugno 1857, Norelli riuscì a fare preparare dagli isolani dei tricolori che furono esposti. Si narra anche di un altro episodio che dimostrò il suo grande e caritatevole amore verso la gente umile. Salvò tre bambini dall’annegamento. In base alle “norme consuetudinarie” gli spettava di diritto la liberazione. La rifiutò a favore di un altro detenuto, Nicola Paladini, che aveva una prole numerosa e bisognosa d’aiuto.
Il Morelli probabilmente trovandosi nell’isola visse la difficile e gloriosa azione del Pisacane contro il governo Borbonico. Il Pisacane in un primo tempo aveva deciso di far partire la sua spedizione dalla Sicilia per poi scegliere il porto di Genova come inizio della spedizione.
Partì il 25 giugno 1957 con altri 24 rivoluzionari sul piroscafo “Cagliari” della società “Rubattino”, di proprietà di negozianti genovesi, che era diretto in origine a Tunisi ( faceva continui viaggi tra 
Genova, Cagliari e Tunisi). Erano tutti in possesso di regolare permesso di polizia e nascosero tra la varia mercanzia imbarcata delle casse di munizioni.
Alcuni testi riportano il numero dei rivoluzionari in 40 e sembra che almeno 20 sottoscrissero un documento che mise in evidenza l’ideologia del Pisacane e dei suoi fedeli basata sulla “propaganda del fatto”:
“Eran trecento, erano giovan e forti e sono morti “ (Luigi Mercantini, La Spigolatrice di Sapri)
Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente, che, avendo tutti congiurato, sprezzando le calunnie del volgo, forti nella giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci dichiariamo gli iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, non senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange de' martiri italiani. Trovi altra nazione al mondo uomini, che, come noi, s'immolano alla sua libertà, e allora solo potrà paragonarsi all'Italia, benché sino a oggi ancora schiava “ (Su “Il Cagliari la sera del 25 giugno 1857 alle ore 21,30).
La spedizione fu finanziata da Adriano Lemmi, banchiere livornese di idee mazziniane. Rosolino Pilo si occupò del resto delle armi (che non furono imbarcate sul “Cagliari”), e partì sempre da Genova l’indomani su alcuni pescherecci. Pilo fallì nella sua missione, probabilmente qualche burrasca frenò l’operazione, e il Pisacane pur essendo senza armi continuò nella sua impresa.
Durante la notte il Pisacane s’impadronì della nave, con la complicità di due macchinisti britannici e proseguì il viaggio con le armi, piuttosto esigue, che aveva sul Cagliari.
Il 26 giugno sbarcò a Ponza dove sventolando il tricolore riuscì senza nessuna difficoltà a liberare ben 323 detenuti (circa una decina erano detenuti politici) e li aggregò alla spedizione. Le truppe borboniche che presidiavano le carceri si trovavano a Capua, furono infatti spostate per fronteggiare le insurrezioni nella terraferma. Non avrebbero mai potuto pensare ad un attacco simile dal mare e per liberare dei detenuti su un’isola.
Si fermò due giorni nell’isola, e il 28 il “Cagliari” ripartì .. il gruppo era più numeroso per la presenza dei detenuti liberati.
La sera i rivoluzionari sbarcarono presso Sapri, in contrada “Uliveto” nel comune di Vibonati a circa 1,5 km dal confine con il comune di Sapri. La profondità dei fondali non avrebbe permesso lo sbarco nella baia di Sapri e fu trovata addosso al Pisacane una mappa con un segno “x” sulla località Uliveto.





Il 30 giugno giunse a “Casalnovo” (oggi Casalbuono). Ricevette un accoglienza festosa dalla popolazione che fu però turbata da un increscioso episodio. Il Pisacane per dare esempio della sua onestà e correttezza e anche come segno di ammonimento per i tanti galeotti liberati dall’isola di Ponza, condannò a morte Eusebio Bucci che aveva derubato una donna.
Lasciato Casalnovo, proseguì per Napoli e lungo il tragitto decise di fermarsi a Padula. Nella città era attivo un forte gruppo mazziniano i cui capi erano stati arrestati dalla polizia. Fu ospitato nel palazzo di Don Federico Romano che era un simpatizzante della rivoluzione. Il Romano cercò di convincere il Pisacane ad abbandonare l’impresa che secondo lui era “improvvisata”.
L’impresa del Pisacane sembrava avvolta da strani presagi infatti oltre all’ammonimento del Romano si verificò la mattina seguente un episodio che impressionò i rivoluzionari. Una donna, Giuseppina Puglisi, che si era imbarcata a Ponza, ammazzò per vendetta un membro della spedizione, Michelangelo Esposito. L’Esposito era un ex ufficiale borbonico in congedo che anni prima aveva ucciso il marito della donna.
Gli abitanti di Padula dimostrarono sempre un certa freddezza nei confronti della spedizione del Pisacane ma questo non influì sulla continuazione dell’impresa. Il Pisacane liberò i detenuti di Padula e assaltò le case dei nobili. Ma avvenne qualcosa che i rivoluzionari non avevano previsto.
I “ciaurri” , in gran parte banditi spietati attivi nel territorio da tempo, incitavano i contadini contro i rivoluzionari. Il governo borbonico nel frattempo reagì con fermezza inviando i gendarmi e VII Cacciatori.
Il reggimento dei Cacciatori Napoletani, a Cavallo, di Linea e della Guardia, erano la punta di diamante dell’esercito borbonico. Si distinguevano dagli altri corpi di fanteria per la giovane età dei soldati ed ufficiali. La loro origine risaliva a Ferdinando I che nel 1788 costituì cinque reggimenti di volontari Cacciatori di Frontiera, a reclutamento locale e che avevano il compito di sorvegliare i confini terrestri.
L’azione militare borbonica costrinse i rivoluzionari a ritirarsi nell’abitato di Padula. Gli abitanti spararono dalle finestre, dai vicoli e dai balconi sui rivoluzionari in fuga. Cinquantatré  rivoluzionari furono uccisi mentre circa 150 furono catturati e consegnati ai gendarmi.
Il Pisacane con Nicotera, Falcone e altri superstiti riuscì a raggiungere Sanza, vicino a Buonabitacolo. Qui un altro episodio increscioso. Il parroco di Sanza, Don Francesco Bianco, all’alba del 2 luglio, fece suonare le campane della chiesa per avvertire la popolazione dell’arrivo dei “briganti” ovvero i rivoluzionari che furono aggrediti in modo spietato, uno ad uno, ed uccisi con colpi di roncola, pale , falci… un massacro. Durante l’eccidio il Pisacane ebbe il coraggio di esortare i suoi compagni a non colpire la popolazione perché erano stati ingannati dalla propaganda.
Un vero massacro,, furono uccisi in 83 e tra questi anche lo stesso Pisacane, fu ucciso dal capo della guardia urbana, un certo  Sabino Laveglia, e Falcone. Ci sono altre due versioni sulla morte del Pisacane: una che fu ucciso dai gendarmi e l’altra di un suicidio sia del Pisacane che del Falcone (si uccisero con le proprie pistole).
I pochi sopravvissuti all’ira popolare furono processati nel gennaio del 1858 e naturalmente condannati a morte. Ma avvenne un fatto straordinario… furono graziati dal re che modificò la sentenza di morte in ergastolo. Un particolare aspetto nell’episodio rivoluzionario, di grande importanza storica, è legata ai due macchinisti britannici che favorirono il Pisacane sul “Cagliari”. Furono graziati dal loro governo che li dichiarò “non perseguibili per infermità mentale”.
Il compagno del Pisacane, Giovanni Nicotera, gravemente ferito, fu portato in catene a Salerno dove fu processato e condannato alla pena di morte poi tramutata in ergastolo grazie all’azione del governo inglese che non accettava la forte repressione di Ferdinando II. Con la spedizione dei Mille il Nicotera fu liberato e seguì la carriera politica diventando Ministro dell’Interno. Lo stesso Nicotera ottenne da Garibaldi un decreto per il mantenimento della compagna del Pisacane,  Enrichetta Di Lorenzo, e non solo.. adottò la figlia Silvia.

Enrichetta Di Lorenzo - Compagna di Carlo Pisacane

Silvia Pisacane 
Figlia di Carlo Pisacane e Enrichetta Di Lorenzo

I morti di Padula vennero sepolti in una fossa comune di una chiesa, (la Chiesa dell’Annunziata) mentre il corpo del Pisacane, come quelli di altri caduti a Sanza venne cremato  in un rogo  eretto nello stesso posto (Vallone dei Diavoli). Questo seguendo la legislazione sanitaria verso coloro che restavano insepolti per alcuni giorni e le ceneri seppellite nel vicino cimitero o disperse. C’è un cippo commemorativo, che fu collocato dopo la spedizione dei Mille del 1860, che lo ricorda vicino al luogo dove fu ucciso o si uccise.
Per la cronaca, dieci anni dopo uno dei dirigenti del Comitato di liberazione clandestino, lasciò un durissimo commento sull’esito dell’impresa del Pisacane: « Le uccisioni e le ferite fatte barbaramente, all'uso de'cannibali. La parte maggiore in tali scene di sangue fu dovuta a gendarmi, alla guardia urbana, e contadini. Tra questi anche le donne si videro precipitarsi come belve inferocite su disbarcati, ad alcuno de' quali fu data la caccia su pe'monti come a fiere, e trucidato barbaramente. A quella popolazione poco o nulla culta fu dato ad intendere che si trattasse di briganti, di ladri, di pirati che scendevano a rubare ed a saccheggiare. Le arti più nefande da parte delle Autorità furono aggiunte al piombo ed alla baionetta ; talchè da que'valorosi si ebbe a lottare non solo contro le forze ordinate del Governo, ma contro i pregiudizi e gli errori di tutta intera una popolazione. In simili condizioni i trecento di Sparta non avrebbero potuto difendere il passo della Termopili”.

Nel 1858 il Morelli fu rispedito in Puglia a Lecce dove fu sottoposto a sorveglianza speciale. Passò da Carovigno dove fu informato della morte della madre e delle precarie condizioni economiche della sua famiglia. Il padre, che dopo Salvatore aveva avuto dieci figli, aveva perduto l’incarico di impiegato della burocrazia borbonica e per sostenere la famiglia era stata costretto a vendere il palazzo che aveva ereditato. Nella città salentina continuò ad avere contatti con i liberali ma era senza lavoro. Fu accolto e ospitato in casa dal farmacista Di Pasquale Greco,  anche lui con idee liberali, come educatore dei figli. Alcuni testi, come l’Enciclopedia “Treccani” , riportano la tesi secondo cui il Morelli era sottoposto nella casa del dott. Greca agli arresti domiciliari.  Durante la sua azione educatrice, decise di sviluppare l’idea della emancipazione della donna. Un idea che aveva abbozzato durante gli anni della prigionia. I dialoghi con la moglie del farmacista, una donna colta raffinata ed intelligente, Giovanna De Angelis,  favorirono  la messa a fuoco delle sue idee. Lo stesso Morelli dedicò alla De Angelis un libro sui diritti delle donne.
Ma i guai giudiziari non erano terminati. Nel 1860 mentre si trovava a casa dei Greco fu arrestato e tenuto in prigione per qualche mese. Il suo arresto fu legato al rifiuto di incontrare il nuovo re borbonico Francesco II.  Fu sottoposto per questa azione sovversiva  a misure di sorveglianza speciale nella città di  Maglie. Dopo la caduta dei Borboni fu liberato. Da appassionato giornalista e 
da politico aveva sviluppato le sue idee mazziniane su un giornale pubblicato a Lecce e intitolato “il Dittatore” in riferimento a Garibaldi.
Nel giornale denunciava con grande autorevolezza le mancanze del nuovo governo proponendo le misure e le riforme più urgenti da adottare:
-          Decentramento;
-          Nuove istituzioni snelle ed efficienti;
-          Istruzione fra il popolo.
Sembra che dopo la liberazione e sempre nel 1860, abbia lavorato prima a Lecce e poi a Foggia come direttore di un istituto di beneficenza.
Nel 1861 tornò di nuovo a Napoli dove pubblicò la sua opera più importante: “La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale”,(con una edizione nel 1862 ed una nel 1869). 



Nella prima edizione riuscì ad anticipare di ben otto anni l’opera di John Stuart Mill (“La servitù delle donne”).  Il Morelli mise in evidenza il concetto della scienza basato sul sapere e sull’esperienza dove il problema dell’emancipazione femminile e quello pedagogico sono intimamente collegati alla soluzione dei problemi della società. In poche parole attribuisce alla donna un ruolo fondamentale nella società ed importante per tutta l’umanità. Considera un aspetto grave la pericolosa condizione d’inferiorità della donna. Il suo è un ragionamento che ben pochi uomini hanno dedotto o intrapreso nella storia dell’emancipazione femminile. La madre essendo educatrice dei figli deve avere tutti quei diritti intellettuali, civili e sociali che spettano ad ogni persona umana. In senso contrario i figli erediteranno dalla madre il proprio male di vivere. Investire sulla donna e sulla famiglia vuol dire investire in senso positivo sul futuro del paese.  Una figura che è complementare all’uomo sia nella famiglia che nella società. La famiglia per lui ha un ruolo fondamentale poiché incorpora i principi culturali e morali  del vivere civile e vuole aprire alla stessa donna le università, il pubblico impiego, l’attività politica, gli onori … “il Paese ha bisogno delle qualità femminili”.
Nella città partenopea svolse l’attività di giornalista scrivendo sul quotidiano di Mazzini e sul giornale “Il Libero Pensiero” che nel corso di quattro anni subì 184 sequestri. 




Nei suoi giornali esprimeva le idee sviluppate nei suoi testi ribadendo, con fermezza, che la vita sociale doveva fondarsi sulla scienza e sulla tecnica, unici strumenti possibili per ogni tipo di sviluppo materiale, morale e civile. Il male della società è l’ignoranza e pose subito delle proposte legate all’istruzione:
-          Gratuita, obbligatoria e moderna per tutti (sarà legge in Italia nel 1962);
-          Abolizione di qualsiasi forma di insegnamento religioso;
-          Largo spazio alle materie come storia, geografia e soprattutto scienza ed applicazioni tecniche.
Nel giornale anche critiche per le spese militari..”anziché spese militari piuttosto costruire scuole, ferrovie, allargare i servizi assistenziali e il diritto a usufruirne”.
La sua posizione è evidenziata dai giudizi molto severi contro i moderati e il regime monarchico.
Per un articolo sul “Popolo d’Italia”  del 24 maggio 1863 fu colpito nel 1863 da un uovo mandato di cattura. Nell’articolo critiche severe sulle dure condizioni di vita del ceti popolari. 



Riuscì a sfuggire al mandato di cattura grazie alla sua elezione come consigliere comunale a Napoli che si svolse nel luglio   dello stesso anno.
Come consigliere s’impegno nel portare avanti delle iniziative importanti per la città perché auspicavano lo sviluppo sociale ed economico: l’istruzione pubblica (con forti stanziamenti), la costruzione di varie linee ferroviarie, l’igiene pubblica e combattere il degrado della città con un vero e proprio risanamento architettonico.
A Morelli si devono inoltre opere pubbliche, come la ferrovia che congiunge Sessa Aurunca a Formia, il Real Ginnasio di Sessa Aurunca e il risanamento di una zona paludosa della Campania, fonte di colera.
Fu un anno importante nella vita politica e culturale del Morelli. Cominciò a frequentare la loggia massonica “I Figli dell’Etna”.  “ I Fratelli” ne chiesero l’espulsione quando iniziò la pubblicazione del giornale “Il Libero Pensiero”.
Nel 1865 aderì alla loggia massonica napoletana “La Massoneria Popolare” detta “Vita Nova” che era stata fondata da Saverio Friscia. Tra gli affiliati c’erano importanti esponenti della Sinistra: Giuseppe Fanelli, Giorgio Imbriani, Giovanni Nicotera (che aveva partecipato alla rivoluzione con Carlo Pisacane). Il Morello restò emarginato nella loggia forse per le sue idee, infatti nessuno lo sostenne nel portare avanti le sue proposte sociali, di emancipazione femminile e politiche.
Nel luglio del 1865 fu nuovamente eletto nel consiglio comunale di Napoli.
Il 27 settembre 1865 scrivendo un articolo sul “Popolo d’Italia”  si rivolse al Mazzini affermando che   “la questione sociale veniva prima della Unità”  e lo stesso Mazzini concluse l’articolo affermando che  “i democratici napoletani vagano dietro un socialismo che senza repubblica è un sogno da infermi”.
Nel 1866 presentò per il comune partenopeo il “ Progetto d’Organico per la Riforma dell’Istruzione Pubblica nel Comune di Napoli”.  Un progetto di grande importanza basato su 35 articoli.
Nel marzo del 1867 venne eletto deputato nel collegio di Sessa Aurunca come esponente della Sinistra, sconfiggendo il candidato della Destra, Rodrigo Nolli, già sindaco di Napoli.
Appena eletto deputato avanzò delle proposte di legge:
-          La Chiusura dei Sifilocomi;
-          La cancellazione delle Spese di Culto;
-          La Riforma del Processo Penale;
-          La Diminuzione della Durata di Carcerazione Preventiva.


 (Tommaso Campailla – Modica, 17 aprile 1668 – Filosofo, medico, ecc.)  

Rimase in carica per quattro legislature, fino al 1880, battendosi sempre con impegno per i più deboli. Una lotta, un confronto non facile in una camera dei deputati che era contraria ai rinnovamenti sociali, all’emancipazione delle donne e questo secondo anche i dettami della chiesa che vedeva nelle rivendicazioni sociali e nei movimenti femministe la parola del “modernismo” ovvero la più terribile delle eresie.

Il 18 giugno 1867 presentò alla Camera tre disegni di legge:
-          Per la Riforma della Pubblica Istruzione; Per Morelli “dall’ignoranza derivano i mali peggiori della società, onde la grande importanza attribuita all’istruzione e al ruolo della donna, educatrice nella famiglia e nella scuola”. Interessanti ernao le sue idee sui programmi d’insegnamento, che comprendevano le lingue straniere, la geografia, la storia, le materie scientifiche, insegnate in senso sperimentale, e una specie di educazione civica da lui definita “Galateo delle Libertà”, perché il popolo deve conoscere i propri diritti per poterli difendere. Il pensatore era profondamente convinto che il benessere di una società poteva scaturire solo da una buona organizzazione scolastica e dalla liberazione della donna.

-          Per la Reintegrazione Giuridica della Donna;
-          Per Circoscrivere il Culto Cattolico nella Chiesa;
-          Per sostituire ai Cimiteri il Sistema della Cremazione.

-          REINTEGRAZIONE GIURIDICA DELLA DONNA
La Proposta di legge ..”Abolizione della Schiavitù domestica con la reintegrazione giuridica della donna, accordando alla donna i diritti civili e Politici” fu la prima legge in Europa per riconoscere alla donne gli stessi diritti dell’uomo.
Si trattava di una forte risposta al Codice Civile dell’Italia unita del 1865 in cui la donna era sottoposta all’autorizzazione maritale per tutti gli atti economici e giuridici.  Gli sottraeva la propria dote riducendola ad una minorenne a vita e nell’impossibilità di esercitare i propri sacrosanti diritti politici e civili.
Nelle sue proposte di legge c’erano alla base un intenso lavoro di studio, elaborazione e documentazione delle migliori esperienze europee in materia di giurisdizione familiare ma non era una semplice copiatura.  Ogni Stato ha la sua cultura, i suoi aspetti e sociali che rendono la politica geografica di ogni singolo Stato unica e non ripetibile. Una legge che potrebbe andare bene in Germania non è detto che possa avere gli stessi effetti positivi in un altro stato. Il Morelli alla base delle sue proposte mise sempre la sua esperienza di umile legislatore..un legislatore che viveva a contatto con la gente facendo proprie le loro aspettative, rivendicazioni e speranze…. Un uomo d’altri tempi come si potrebbe definire oggi badandosi sulla psicologia moderna che valuta i comportamenti umani.
Il progetto non fu ammesso alla lettura.
Nel novembre 1870 fu rieletto e così pure nel 1874 e 1876 riuscendo a superare: nel 1870 il letterato patriota Luigi Settembrini; nel 1874 Nicola Amore, ex questore di Napoli; nel 1876 l'avvocato Pasquale Falco.
Particolare il confronto politico per l’elezione nel 1874. Il suo rivale era Nicola Amore, ovvero il questore di Napoli che aveva compilato un rapporto sul detenuto Morelli rinchiuso nelle carceri borboniche di Ponza, Ischia e Ventotene.
“…Salvatore Morelli nacque a Carovigno di Lecce il 1° maggio 1824… da padre sciagurato che nella sua prima gioventù sciupava in pochi anni l’avito patrimonio e la dote della propria moglie, ed ai suoi molti figli non dava altra educazione che quella dell’astuzia e della sfacciataggine nei raggiri e nelle truffe”.
Il rapporto continua con una dettagliata serie di truffe , raggiri perpetrate da Salvatore Morelli  durante il suo soggiorno a Napoli. Il rapporto è datato 1863. Nicola Amore di Roccamorfina non avrebbe mai potuto pensare che quel rivale ex detenuto, Salvatore Morelli, lo avrebbe superato nelle elezioni. L’Amore già nel 1861 era stato superato dal suo rivale Francesco De Sanctis. È probabile che nella “campagna elettorale” quei famosi rapporti siano diventati di dominio pubblico ma malgrado ciò il Morelli riuscì a sconfiggerlo.
Sui comportamenti di Nicola Amore c’è una relazione del marchese d’Afflitto, prefetto di Napoli che evidenziò come la sua attività legale avesse qualcosa di molto somigliante allo stampo mafioso: “egli riusciva ad essere appieno informato, prima che lo fosse l’autorità giudiziaria, delle prime indagini raccolte a carico dei suoi clienti responsabili di reati, arresta e travolge lo sviluppo delle indagini stesse, mantenne nella questura quella influenza che tanto agevole gli rendeva l’esercizio della sua professione di avvocato e che gli era ragione di pinguissimi lucri a scapito dei suoi compagni che mancando di questo potente mezzo, di cui egli solo disponeva, non potevano sostenere con lui la concorrenza” (Archivio di Stato di Napoli – Prefettura – Fasc. 478)

Gli insuccessi sulle sue proposte di legge non lo demoralizzarono anzi lo spronarono nell’intraprendere una lotta più forte e organica senza pause.
Le proposte:
-          Abolizione dei divieto per i militari di sposare le ragazze prive di una dote adeguata;
-          Introduzione del voto amministrativo alle donne (nel 1872);
-          Indennità ai deputati (1872);
-          Introduzione del rito della cremazione dei cadaveri.
Proposte cadute nel silenzio,… che non verranno emarginate dal Morelli che nel 1875 le ripropose:
-          diffondere le Scuole Normali per le ragazze;
-          introduzione della completa parità tra i coniugi all’interno della famiglia;
-          il divorzio; e relativa difesa delle donne divorziate ( sarà approvato in Italia nel 1970);
-          la tutela  dei figli illegittimi e norma che prevede il doppio cognome; (eliminazione di qualsiasi discriminazione tra figli legittimi e naturali)
-          il diritto elettorale amministrativo e politico per le donne;
-          istituzione di una Società delle Nazioni per preservare la pace nel mondo. (nascerà nel 1919).
-          Abolire il divieto delle donne impiegate del telegrafo a sposarsi;
-          Istituzione della cremazione; (in riferimento all’epidemia di colera che aveva devastato la Campania durante la sua infanzia); (sarà regolamentata in Italia nel 1987);
-          L’abolizione della pena di morte;
Era animato da forti principi di giustizia sociale e di tutela dei deboli: lottò per i  diritti dei figli illegittimi; difese le prostitute; propose l’abolizione della legge salica, onde permettere alle principesse sabaude di salire al trono; fu contro la pena di morte; si occupò dei preti patrioti, abbandonati dalla Chiesa e dallo Stato.
Nel 1876 intervenne su un progetto di Agostino Bertani per “L’Inchiesta Agraria” sollecitando uno studio più attento sulle condizioni di vita quotidiana dei contadini, soprattutto nel Sud, così come sulle condizioni di lavoro delle donne e dei minori.
Tutti progetti di legge ignorati che non furono nemmeno discussi.
Il Morelli scrisse a Mazzini lamentandosi per la mancata considerazione della camera alla sua proposta di legge sul riconoscimento giuridico delle donne. Il Mazzini rispose rincuorandolo sulle sue iniziative:  «L’emancipazione della Donna - scrive - sancirebbe una grande verità religiosa, base a tutte le altre (…) Ma sperar di ottenerla alla Camera così com’è costituita, e sotto il dominio dell’Istituzione che regge l’Italia è, ad un dipresso, come se i primi cristiani avessero sperato d’ottenere dal paganesimo l’inaugurazione del monoteismo e l’abolizione della schiavitù. Noi non l’avremo che dalla Repubblica». Aveva ragione.


Seppure emarginato il Parlamento approvò una sua proposta. La legge Morelli  del 9 dicembre 1877, n. 4167 (alcuni siti indicano la legge in modo errato con il numero 4176. Un errore di trascrizione) che riconosce alle donne il diritto di essere testimoni negli atti regolati dal Codice Civile(testamenti, ecc.). Un provvedimento molto significativo perchè diede un importante affermazione giuridica alla donna.






Fu la prima legge a favore delle donne italiane che da tanto e tanto tempo erano umiliate in base al concetto della loro incapacità giuridica. “Un incapacità giuridica” che poneva le donne sotto la dura autorizzazione maritale, le privava  anche delle proprie sostanze e dal prendere conoscenza del patrimonio familiare.

Bisogna d’altra parte dire che quella legge probabilmente faceva comodo alla classe nobiliare per i risvolti che aveva nel campo economico come trasferimenti di proprietà, donazioni, ecc.
Il Morelli grazie alla sua attività anche nel campo dell’istruzione raggiunse risultati positivi come “l’ammissione delle ragazze a frequentare i primi due anni del Ginnasio” (un ginnasio che era precluso alle ragazze).
Si schierò contro la legge della Quarentigie di cui chiese più volte l’abolizione. (si tratta di norme o garanzie concesse al Papa uguali a quelle previste per un capo di Stato straniero con la differenze che da quando la legge entrò in vigore le spese dei successori del Papa sono a carico totale del contribuente italiano).


JOHNN STUART MILL E HARRIET  TAYLOR

Nello stesso periodo, John Stuart Mill, che fu considerato  precursore dell’emancipazione femminile, presentò alla “House of Commons” una semplice petizione cioè un atto giuridico che è molto più semplice di una forte proposta di legge, per richiedere il voto femminile in base al censo. Il parlamento inglese diede al Mill la possibilità di esprimere la petizione e questo favorì la sua diffusione anche perché allora l’Inghilterra era uno dei paesi più ricchi e potenti dell’impero.
Tra il 1874 ed il 1875 presentò e illustrò ben sette proposte di legge per la riforma del Diritto di Famiglia… cento anni prima del 1975.
La riforma proposta dal Morelli prevedeva:
-          l’abolizione della posizione dell’uomo come capo famiglia..
-          stabiliva la parità tra i coniugi, con l’inclusione del doppio cognome,
-          i diritti dei figli illegittimi;
-          introduceva il divorzio.
Il Morelli durante l’attività parlamentare continuò a scrivere come giornalista.. allora non esisteva l’indennità parlamentare che fu introdotta da Giolitti nel 1907.
L’8 marzo del 1880 Salvatore Morelli pronunziò in Parlamento una breve frase: “La navigazione aerea sarà l’ultima parola del secolo… si potrà contrarre il matrimonio in America e tornar qui a passare la luna di miele”….. in aula molti colleghi risero.. ma il Morelli era abituato all’incomprensione e alla forte e maleducata ilarità dei colleghi… e sorretto dalla  fede delle sue idee continuò la sua lotta.
In quella seduta dell’8 marzo il Morelli presentò per la quarta volta la proposta per l’introduzione del divorzio. Un argomento difficile.. i suoi colleghi parlamentari non erano in grado di capire il problema dell’emancipazione femminile dal momento che avevano  “santificato” con la legge elettorale l’esclusione della donna dalle competizioni elettorali, mettendola sullo stesso livello degli interdetti e degli analfabeti.
In quel giorno il Morelli propose:   “.. La Caserma, la chiesa, il carcere e il postribolo che conducono le nazioni all’annientamento e al disonore, devono essere cancellati dal libro governamentale d’Italia”…..” si deve riflettere da capo quanto concerne la scuola e l’unico elemento sociale che rimane a sperimentare nella propaganda educatrice è la donna…. Tagliata fuori dalla comunione del diritto… quella donna che l’uomo carne deve farlo anche spirito”… in aula…….. si rise….
Nel 1880 nuove elezioni ma il Morelli non venne riletto a causa di forti contrasti, le solite divisioni, nella Sinistra. Rimase isolato, quasi dimenticato e le sue condizioni di salute peggioravano. Morì in una misera locanda di Pozzuoli, il 22 ottobre 1880, ridotto alla fame e sepolto nel cimitero di Pozzuoli. 

Pozzuoli – Hotel Grande Bretaglie ex Palazzo del Principe di Cardito – 
Prima stazione del telegrafo elettromagnetico il 19/8/1858 –
Salvatore Morelli mori in miseria in questo Hotel



LE REAZIONI ALLA NOTIZIA DELLA SUA MORTE
Le donne americane impegnate nella lotta dell’emancipazione, appresa la morte di Salvatore Morelli, scrissero nei loro giornali che era morto il più grande difensore dei diritti delle donne nel mondo”.

Salvatore Morelli ottenne l’apprezzamento e l’incoraggiamento di grandi personaggi del suo tempo, come Mazzini, Garibaldi, Stuart Mill, Victor Hugo, Jules Simon, Léon Richer. Fu ammirato dalle emancipatrici inglesi, che alla sua morte volevano erigergli un monumento a Londra, e dalle americane, che in una lettera al quotidiano di Bergamo piansero la perdita del più grande difensore delle donne del loro tempo.
“L’Eco di Bergamo” era stato fondato da Nicolò Rezzara alcuni mesi prima, il primo maggio 1880, ed aveva come direttore Giovanni Battista Caironi. (La composizione del giornale era fatta a mano grazie ad una macchina azionata da un fattorino. Il primo numero vendette ben 5000 copie).

“L’Eco di Bergamo” – il Primo numero datato 1 maggio 1880

L'importanza del pensiero di Salvatore Morelli fu sottolineata nella prefazione alla traduzione del suo libro "La donna e la Scienza" di Cipry, pubblicata a Bruxelles, e nell'opera francese di Vassy, "Lettre à Léon Gambetta", dedicata all'uomo politico che, dopo la sconfitta di Napoleone III da parte dei prussiani a Sedan nel 1870, dichiarò decaduto il secondo Impero e proclamò la Repubblica, della quale divenne Presidente del Consiglio. Il Vassy  citando Salvatore Morelli lo definì “un geniale pensatore della sua terra d’origine”. Il Morelli era molto conosciuto in Europa, specialmente in Francia e Inghilterra, e negli Stati Uniti dove era molto forte il movimento dell’emancipazione della donna. “ Lettre à Léon Gambetta” venne pubblicata a Parigi e a Roma nel 1878.  In Italia, alla sua morte nel 1880, lo commemorarono: Giovanni Nicotera a Roma, in Parlamento e l'avvocato Angelo Mazzoleni, a Milano, presso il Circolo della Canobbiana. Entrambi criticarono l'Italia che non gli aveva dato la visibilità, come invece avevano fatto gli Inglesi con Stuart Mill. Entrambi ne esaltarono l'onestà e la fierezza, provate dalla morte in miseria e dal rifiuto di usare il passato di patriota per ottenere incarichi, onori, denaro. 
Anche Garibaldi  lo ricordò:
“…SALVATORE MORELLI ha osato con audacia senza pari sfidare i pregiudizi dei secoli, e specialmente di quello inetto e ridicolo nel quale vegetiamo, portando sul campo legale il fulcro delle quistioni sociali, che si realizza nell’emancipazione della donna, della coscienza e dell’umano pensiere.

Io spero, io credo che questo conato altamente generoso del deputato Morelli cui si legano gl’interessi dei due Mondi, non rimanga senza effetto, come non rimane senza frutto l’opera di coloro, che aparecchiarono la grande rivoluzione francese formulando i dritti dell’uomo.

F.to Giuseppe  Garibaldi

 Nonostante tutto ciò Salvatore Morelli, troppo in anticipo sui suoi compatrioti, soprattutto per quanto riguardava la liberazione della donna, divenne un personaggio isolato e incompreso. Oggi molte delle sue idee e dei suoi progetti sono stati realizzati, ma molto resta ancora da fare per restituire al patrimonio spirituale della nazione il suo pensiero geniale e anticipatore.



Nel 1882 la riforma della legge elettorale, sostituiva le legge elettorale del 1860, fu approvata dal IV governo Depretis. Allarga la platea degli elettori agli uomini che sapevano leggere e scrivere. ll limite di età subì una riduzione da 25 a 21 anni ed il requisito “di censo” cioè di reddito passò da 40 a 19,8 lire di tasse pagate. Coloro che avevano superato l’esame di terza elementare non erano soggetti al requisito di censo. L’elettorato passò dal 2 al 7 per cento della popolazione. Le donne, però, erano escluse ancora una volta dalla sfera pubblica. È curioso rileggere, oggi, gli interventi in Parlamento durante la discussione del disegno di legge di riforma presentato dal ministro dell’Interno Agostino Depretis.
Il discorso che fece Giuseppe Zanardelli, “ministro” di  “ Grazia, Giustizia e Culti”, sicuramente legato alla Chiesa, è veramente da brividi.. Si battè con forza, insieme ai colleghi,  per chiedere di escludere dal voto le donne italiane: «La donna è diversa dall’uomo - si legge nel resoconto - essa non è chiamata agli stessi uffici, non è chiamata alla vita pubblica militante, il suo posto è la famiglia, la sua vita è domestica, le sue caratteristiche sono gli affetti del cuore che non si convengono coi doveri della vita civile.(…) la forza della donna non è nei comizi, ma nell’impero del cuore e del sentimento sul freddo calcolo e sulla ragione crudele». 

Zanardelli durante una visita in Basilicata nel 1902

Fu l’ennesima occasione mancata. Per arrivare a riconoscere il diritto di voto a tutte le donne, quello che Depretis chiamò il “suffragio universalissimo”, dovranno passare più di sessant’anni.

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PARLAMENTO ITALIANO

PRINCIPALI DISEGNI DI LEGGE, INTERVENTI, INTERROGAZIONI
DI SALVATORE MORELLI PRESSO LA CAMERA DEI DEPUTATI
Anni 1867-1880, Legislature X-XIII

-          Disegno di legge per la reintegrazione giuridica delle donne (per la prima volta in Europa si chiede la parità di diritti della donna con l’uomo), De Clemente, Firenze 1867.

-          Disegno di legge per la Riforma della Pubblica Amministrazione. De Clemente, Firenze 1867.

-          Disegno di legge per circoscrivere il culto cattolico nelle chiese e sostituire ai campisanti il sistema della cremazione. De Clemente, Firenze 1867.

-          Intervento sulla prostituzione nel corso del dibattito sul Bilancio dello Stato, X Legislatura, Tornata 27 gennaio 1868.

-          Intervento sulla riforma della pubblica amministrazione, X Legislatura, Tornata 5 febbraio 1868.

-          Intervento sul brigantaggio “con la forza si potrà distruggere il fenomeno non la causa che lo produce”, X Legislatura, Tornata 15 marzo 1868.

-          Intervento a favore dei preti patrioti abbandonati dalla Chiesa e dallo Stato, X Legislatura, Tornata 19 maggio 1869.

-          Interrogazione al Ministro della Giustizia sul ritardo dei processi penali, X Legislatura, Tornata 15 marzo 1870.

-          Interrogazione al Ministro della Giustizia sull’eccessiva lunghezza della carcerazione preventiva, X Legislatura, Tornata 15 marzo 1870.

-          Intervento sul disegno di legge per guarentigie alla Sede pontificia, XI Legislatura, tornata 24 gennaio 1871.

-          Intervento per proporre la nomina di una Commissione di Inchiesta sul funzionamento di tutti i Ministeri e per eliminare in via definitiva il disavanzo di bilancio riorganizzando la Pubblica Amministrazione,  XI Legislatura, Tornata 30 maggio 1871.

-          Intervento per proporre la creazione di un Tribunale Internazionale onde dirimere le vertenze tra Stati, XI Legislatura, Tornata 18 giugno 1871.

-          Intervento per proporre il voto amministrativo per le donne e l’indennità per i deputati (L’indennità parlamentare fu introdotta da Giolitti nel 1907), XI Legislatura, Tornata 8 marzo 1872.

-          Intervento per chiedere una casa per i lavoratori dell’agro romano che dormivano a migliaia nelle vie di Roma per sfuggire alla malaria, XI Legislatura, Tornata 24 maggio 1872.

-          Interrogazione al Ministro dell’Interno che ha decretato lo scioglimento di alcune Società operaie romane e ha impedito lo svolgimento del Comizio al Colosseo a favore del suffragio universale, XI Legislatura, Tornata 16 dicembre 1872.

-          Intervento sul Bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione per chiedere una scuola obbligatoria, mista e laica. XI Legislatura, Tornata del 30 gennaio 1873.

-          Presentazione e svolgimento delle Relazioni introduttive di sette disegni di legge volti ad assicurare con guarentigie giuridiche la sorte dei fanciulli e delle donne (si tratta di una Riforma del Diritto di Famiglia che anticipa la Riforma del 1975 con la parità tra i coniugi, i diritti dei figli illegittimi, l’introduzione del divorzio e il doppio cognome per i figli), XI Legislatura, Tornata 6 marzo 1874.

-          Intervento a favore dell’istruzione per le donne e in difesa degli insegnanti, XII Legislatura, Tornata  10 febbraio 1875.

-          Interrogazione sul seguito dato all’Ordine del giorno a favore dell’Arbitrato Internazionale votato dalla Camera dei Deputati all’unanimità e per sollecitare un’iniziativa della diplomazia italiana affinché ai Ministeri della Guerra si sostituiscano i Ministeri della Difesa, XII Legislatura, Tornata 18 maggio 1875.

-          Ripresenta i sette disegni di legge dell’anno precedente per la Riforma del Diritto di Famiglia con in aggiunta due nuovi disegni di legge: per il voto amministrativo e politico delle donne in condizione di parità con l’uomo e per un regolamento più umano della prostituzione, XII Legislatura, Tornata 14 giugno 1875.

-          Intervento a favore della Commissione di Inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini e per chiedere un’altra Commissione di Inchiesta sulle condizioni di lavoro delle donne e dei fanciulli, XII Legislature, Tornata 27 aprile 1876.

-          Intervento sul Regolamento che impone alle donne impiegate negli uffici del telegrafo il celibato, XIII Legislatura, Tornata 12 dicembre 1876.

-          Presentazione e svolgimento della Relazione introduttiva del disegno di legge per l’ammissione delle donne come testimoni negli atti pubblici e privati, XIII Legislatura, Tornata 1° febbraio 1877. Il disegno di legge sarà approvato il 9 novembre e diventerà la legge 4167 del 1877. Si tratterà della prima legge a favore delle donne nel nostro Paese, poiché permette alle mogli di prendere visione del testamento del maritò e inizia il percorso per riconoscere anche alla popolazione femminile la capacità giuridica.

-          Presentazione per la terza volta di un disegno di legge sul divorzio, XIII Legislatura, Tornata 25 maggio 1879.

-          Intervento sul disegno di legge relativo al divorzio, Sessione 1880, seconda tornata 8 marzo 1880.

-          Il Ministro della Giustizia Conforti chiede il parere di Salvatore Morelli sulla Riforma del Codice Penale nella parte riguardante l’ordinamento della famiglia, XIII Legislatura, Tornata 10 ottobre 1878.

-          Intervento a favore del finanziamento per l’introduzione in Italia delle piante di eucaliptus provenienti dall’Australia per la possibilità di risanare con questi alberi le zone paludose e combattere così la malaria, XIII Legislatura, Tornata 21 gennaio 1879.

-          Intervento per l’abolizione dell’articolo 189 del Codice Civile che vieta la ricerca della paternità, XIII Legislatura, Tornata 29 aprile 1879.

-          Intervento a favore delle donne dalle quali dipende il miglioramento degli individui e della società in quanto depositarie dell’educazione dei figli, XIII Legislatura, Tornata 5 maggio 1879.

-          Presentazione per la quarta volta di un disegno di legge sul divorzio, XIII Legislatura, Tornata 8 marzo 1880 (Ultimo atto da parlamentare. Gravemente ammalato non verrà rieletto per la quinta volta nelle elezioni di aprile e morirà il 22 ottobre 1880).

OPERE REALIZZATE DA SALVATORE MORELLI
DURANTE IL PERIODO PARLAMENTARE




Bonifica di alcune zone della Campania dove, nella prima metà dell’Ottocento, si era verificata una grave epidemia di colera.
Realizzazione del Ferrovia “Sessa Aurunca - Sezze - Gaeta”, di 60 km, che riesce a portare a termine dopo dodici anni di insistenze.

Fondazione del Ginnasio - Liceo di Sessa Aurunca, dopo la concessione al Municipio di Sessa Aurunca della metà del locale Seminario diocesano e della rendita corrispettiva.

Lunedì 12 Marzo 2018
Salvatore Morelli
"Il primo a chiedere la parità dei diritti per le donne".
CAMERA DEI DEPUTATI
TORNATA DEL 26 GENNAIO 1877
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CRISPI





La seduta è aperta alle ore 2 pomeridiane.
(Il Segretario PISSAVINI dà lettura del processo verbale della tornata precedente, che è approvato.)
IL PRESIDENTE. Gli uffici avendo ammesso alla lettura una proposta d’iniziativa dell’Onorevole Deputato Salvatore MORELLI, vi si procederà.
PISSAVINI, segretario. (Legge)
“Considerando, che la interdizione alle donne Italiane di Testimoniare nei testamenti ed in altri atti, costituisce una ingiustificabile contraddizione con ciò che è statuito nei Codici del Regno, i quali le riconoscono capaci della patria potestà, di far parte dei Consigli di famiglia, di testare, di contrattare di garantire innanzi al magistrato civile e penale, la verità dei fatti”;
“Considerando, che questo divieto, mentre offende l’entità morale e la personalità giuridica delle donne, in mancanza di testimoni maschi, specialmente nei luoghi abbondanti di analfabeti, arreca difficoltà alla stipulazione degli atti, mi faccio il dovere di sottoporre al voto della Camera il seguente progetto di legge”:
“Art. 1. Le donne Italiane sono riconosciute capaci a fare da testimoni in tutti gli atti ammessi dalle leggi dello Stato”.
“Art. 2. Le disposizioni contrarie alla presente legge rimangono abrogate”. 





Tornata del 26 marzo 1877 “il Segretario Quartieri fa l’appello nominale”. Annunzia il risultato della votazione a scrutinio segreto del progetto di legge.
L’esito della votazione del progetto di legge: “Ammissione delle donne a testimoniare negli atti pubblici e privati,” è il seguente:
Presenti e votanti ………..204
Maggioranza …………….. .103
Voti favorevoli ………136
Voti contrari ………… 68
La seduta e levata alle 6 e 10
Legge 9 dicembre 1877
“colla quale sono abrogate le disposizioni, che escludono le donne dall’intervenire come testimoni negli atti pubblici e privati”.
(Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del Regno il 10 dicembre 1877, n. 287)


VITTORIO EMANUELE II
 per grazia di Dio e per volontà della nazione
RE D’ITALIA
Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato;
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:    
Articolo unico
Sono abrogate le disposizioni di legge, che escludono le donne dall’intervenire come testimoni negli atti pubblici e privati”.







SALVAATORE  MORELLI NELLA SATIRA
L’impegno politico e sociale del Morelli a favore dei diritti delle donne scatenò spesso l’ironia dei suoi colleghi parlamentari. Venne spesso descritto con toni decisamente offensivi. La satira del tempo evidenziava un Morelli vestito spesso da donna e le sue immagini erano accompagnate da didascalie e commenti non certo gratificanti. Quando in aula si discutevano le sue proposte di legge, il dibattito veniva interrotto dagli schiamazzi  e dalla risate dei “colleghi”. Nei verbali delle sedute si leggono spesso frasi come “ilarità, “viva ilarità”, “si ride”, ecc.
Aspetti che sono stati evidenziati dal Presidente della Camera Laura Boldrini a cui bisogna dare il giusto merito per avere ricordato questo illustre personaggio politico difensore dei poveri e dei diritti delle donne.

(A Consolarmi affrettati – Momento desiato
Emancipate e libere – Io vi proclamerò)


(Tra l’altre piaghe Egitto ebbe la peste.
Oggi l’Italia ci ha Morelli e queste…)
(“La Lima” era un giornale umoristico romano di Guerra e Co.
Dal 2 agosto 1872 usciva 4 volte per settimana)







SALVATORE MORELLI  NEL TEATRO
La scrittrice Emilia Sarogni ha tratto dal suo libro ”L’Italia e la Donna. La Vita di Salvatore Morelli” un dramma: Salvatore Morelli. Una Tragedia Italiana
Il libro della Sarogni ha una prefazione del prof. Luigi Fontanella della Sate University di New York.
Un opera teatrale imperniata sulla vita del patriota politico mazziniano.
La tragedia è divisa in tre atti e mette in scena i momenti di vita del protagonista dalla prigionia più dura al suo grande ed unico amore; la morte in assoluta miseria. Una tragedia di circa  90 minuti. La voce narrante è di uno dei personaggi con un ruolo simile a quello del coro nelle famose tragedie greche. Nel 2010 il dramma è stato rappresentato nel suo paese natale  del Morelli, a Carovigno, per festeggiare l’Anniversario dell’Unità d’Italia. Altre rappresentazioni ad Ostumi, a San san Vito dei Normanni, a Torino, ecc.

Nota n.1 – Gli scritti di Luigi Settembrini sul Carcere di Santo Stefano:




“  Ma entriamo in questa tomba, dove son sepolti circa ottocento uomini vivi:
Chi si avvicina a Santo Stefano vede da mare sull’alto del monte grandeggiare l’ergastolo, che per la sua figura quasi circolare sembra da lungi una immensa forma di cacio posta su l’erba.

Il gran muro esterno, dipinto di bianco e senza finestre, è sparso ordinatamente di macchiette nere, che sono buchi a guisa di strettissime feritoie, che dànno luogo solo al trapasso dell’aria. Per iscendere sull’isola si deve saltare su di uno scoglio coperto d’alga e sdrucciolevole. Cominciando a salire per una stradetta erta e scabra, si trova in prima una vasta grotta, nella quale il provveditor dell’ergastolo suol serbare sue provvigioni; poi montando più su si vede il dosso del monte industriosamente coltivato. Sino a pochi anni addietro l’isola era tutta selvaggia ed aspra: ora è coltivata, tranne una ghirlanda intorno, dove tra gli sterpi e le erbacce pascono le capre pendenti dalle rocce, sotto di cui si rompe il mare e spumeggia. Su la parte più larga e piana del monte sorge l’ergastolo.

Non si può dire che tumulto d’affetti sente il condannato prima di entrarvi: con che ansia dolorosa si sofferma e guarda i campi, il verde, le erbe e tutto il mare, e tutto il cielo, e la natura che non dovrà più rivedere; con che frequenza respira e beve per l’ultima volta quell’aria pura; con che desiderio cerca di suggellarsi nella mente l’immagine degli oggetti che gli sono intorno. Fermato innanzi la terribile porta vede una strada lunga un cento cinquanta passi, in capo della quale un casolare fabbricato sulle rovine della villa di Giulia; e vicino a questo un recinto di mura con una croce che è il cimitero de’ condannati. Se gli è permesso di camminare un poco verso la sinistra dell’ergastolo vede una casetta del tavernaio divenuto coltivatore dell’isola, ed un’altra stradetta più malagevole della prima, per la quale con l’aiuto delle mani e dei piedi scendesi al mare. E null’altro vede, perché null’altro v’è fuori che il mare, ed il cielo, e le isole lontane, e il continente più lontano ancora, a cui vanamente il misero sospira.
Un edifizio di forma quadrangolare sta innanzi l’ergastolo, e ad esso è unito dal lato posteriore. Il lato anteriore o la facciata di questo edifizio ha due torrette agli angoli, ha cinque finestre, ed in mezzo una trista porta guardata da una sentinella: su la porta sta scritto questo distico:
Donec sancta Themis scelerum tot monstra catenis vincta tenet, stat res, stat tibi tuta domus.

“Finché la santa Legge tiene tanti scellerati in catene, sta sicuro lo stato, e la proprietà.”

Parole non lette o non capite dai più che entrano, ma che stringono il cuore del condannato politico e lo avvertono che entra in un luogo di dolore eterno, fra gente perduta, alla quale egli viene assimilato. Bisogna avere gran fede in Dio e nella virtù per non disperarsi. Varcata la porta ed un androne si entra in un cortile quadrilatero intorno al quale sono le abitazioni di quelli che sopravvegliano l’ergastolo, magazzino per provvigioni, il forno, la taverna. Custodi dell’ergastolo, come di ogni altro bagno, sono il comandante, che è un uffiziale di fanteria di marina, un sergente suo aiutante che è detto comite, pochi caporali, e bastevol numero di agozzini; un altro uffiziale comanda un drappello di soldati, i quali guardano l’esterno. Vi sono ancora due preti; due medici, un chirurgo, e tre loro aiutanti: v’è il provveditore, ed il tavernaio.

Nel cortile sei circondato dagli agozzini coi loro fieri ceffi, i quali ti ricercano e scuotono le vesti, ti tolgono la catena se sei condannato all’ergastolo, e te la osservano e ribadiscono se sei condannato ai ferri. Uno scrivano ti dimanda del nome e delle tue qualità personali: ed il comandante, dopo averti biecamente squadrato da capo a piè, ti avverte di non giocare, non tener armi, starti tranquillo, se no vi sono le battiture e la segreta: e ti manda al luogo che egli destina facendoti accompagnare dal sergente e dagli agozzini.

Dopo il cortile entri in un secondo androne, nel quale un custode apre una porta, e ti fa entrare in uno spazzetto scoperto, chiuso intorno da un muro con palizzata e da un fosso, su cui è un ponte levatoio. Un secondo custode apre un cancello di legno, varchi il ponte, ed eccoti nell’ergastolo. Immagina di vedere un vastissimo teatro scoperto, dipinto di giallo, con tre ordini di palchi formati da archi, che sono i tre piani delle celle dei condannati: immagina che in luogo del palcoscenico vi sia un gran muro, come una tela immensa, innanzi al quale sta lo spazzetto chiuso dalla palizzata e dal fosso: che nel mezzo di esso muro in alto sta una loggia coverta, che comunica con l’edifizio esterno, e su la quale sta sempre una sentinella che guarda, e domina tutto in giro questo teatro: e più su in questa gran tela di muro sono molte feritoie volte ad ogni punto. Così avrai l’idea di questo vasto edifizio, che ha forma maggiore di mezzo cerchio, con in mezzo un vasto cortile, ed in mezzo al cortile una chiesetta di forma esagona, chiusa intorno da vetri. Il cortile è lastricato di ciottoli, ha due bocche di cisterne, e tre basi di pietra, con ferri che sostengono fanali. Il lastricato e le cisterne son fatte da pochi anni: prima nel cortile erano ortiche e fossatelle d’acqua, dove i condannati andavano a bere, e spesso coi coltelli contendevano per dissetarsi a quelle fetide pozzanghere.
Ciascun piano è diviso in trentatré celle: nel primo e nel secondo piano sono trentatré archi, ciascuno innanzi ciascuna cella: nel terzo piano è una loggia scoperta che gira innanzi tutte le celle, e non è più larga di quattro palmi. Ogni cella ha una porta ed una piccola finestra ferrata che guardano nel cortile; e sul muro opposto ha un buco o feritoia lunga un palmo, stretta tre dita, dalla quale trapassa l’aria esterna, e si può vedere una striscia di mare. Il primo piano è a livello del cortile, e tiene innanzi un muro con sopra una palizzata, onde chiamasi le barriere, anche perché è scompartito da mura in varie porzioni, ciascuna contenente diverso numero di celle. Nello spazio tra la palizzata e le celle passeggiano i condannati; ed è brutto di fango e di acqua che vi gittano o vi cade da sopra. Per montare ai piani superiori vi sono due scale a destra e sinistra della gran tela di muro; ma chiuse da cancelli di legno tenuti da custodi. Il secondo piano ha innanzi una loggia coverta formata da un secondo ordine di archi, e larga quanto quella del terzo piano; ed è diviso in due porzioni. Nel terzo piano le ultime undici celle sono divise dalle altre, ed addette ad uso di ospedale: e queste sole invece di buchi esterni hanno finestrelle ferrate, dalle quali si può vedere un po’ di verde e la vicina Ventotene, hanno invetriate, e pareti bianchite. Una metà delle celle del primo piano è destinata per un centinaio di condannati ai ferri: in tutte le altre celle sono gli ergastolani: nell’altra metà del primo piano i più discoli; nel secondo i meno tristi; nel terzo quelli che han dato pruova di essere rassegnati.
I soli condannati ai ferri hanno la catena che li accoppia, e possono passeggiare nel cortile. Tra essi i fortunati vanno soli, portando o tutte le sedici maglie della catena o pure otto maglie: i fortunatissimi ne portano quattro, e fanno uffizio di serventi o di cucinieri, votano i cessi, portano acqua, vanno a spendere alla taverna: sono beati quei pochi che escono fuori a lavorare la terra. Gli ergastolani non hanno catena; ma nessuno può uscir del suo piano e del suo scompartimento: un tempo nessuno poteva uscir dalla sua cella. Queste divisioni sono necessarie per impedire le continue risse che nascono per stolte e turpi cagioni, e pel sempre funesto amore di parti; dappoiché questi sciagurati, che una pena tremenda dovrebbe unire, sono divisi tra loro secondo le province: e siciliani, calabresi, pugliesi, abruzzesi, napolitani, si odiano fieramente fra loro, spesso senza cagione e senza offese; e se per caso si scontrano si lacerano come belve e si uccidono. Non si cerca di spegnere questi odi di parte, perché per essi si hanno le spie, si vendono favori, si fanno eseguir vendette, si fa paura a tutti: una è l’arte di opprimere, ed ogni malvagio la conosce.
Per questa condizione de’ luoghi e degli uomini, gli ergastolani non hanno altro spazio che le celle, e la stretta loggia, dalla quale invidiando guardano il cortile dove non possono passeggiare, ed il cielo che è terminato dalle alte mura dell’ergastolo, e che come un immenso coverchio di bronzo ricopre il tristo edifizio e ti pesa sull’anima. Se passa volando qualche uccello, oh come lo riguardi con invidia, e lo segui col pensiero e con la speranza stanca, e con esso voli alla tua patria, alla tua famiglia, ai tuoi cari, ai giorni di gioia e di amore, che sempre ti tornano a mente per sempre tormentarti. Ma neppure puoi star molto su questa loggia ingombra di masserizie e di uomini che ti urtano, gridano, cantano, bestemmiano, accendono fuoco, fendono legne: e poi nel cortile non vedi che condannati trascinare penosamente le sonanti catene, taluno d’essi con oscena voce andar gridando: “Vendiamo e mangiamo”: spesso vedi lo scanno sul quale si danno le battiture, spesso la barella con entro cadaveri di uccisi. Il vento ti molesta, il sole ti brucia, la pioggia ti contrista, tutto che vedi o che odi ti addolora, e devi ritirarti nella cella.
Ogni cella ha lo spazio di sedici palmi quadrati [11 mt quadrati], e ce ne ha di più strette: vi stanno nove o dieci uomini e più in ciascuna. Son nere ed affumicate come cucine di villani, di aspetto miserrimo e sozzo; con i letti squallidi, coperti di cenci, e che lasciano in mezzo piccolo spazio; con le pareti nere dalle quali pendono appese a piuoli di legno pignatte, tegami, piattelli, fiaschi, agli, peperoni, fusa, conocchie, naspi ed altre povere e sudicie masserizie: una seggiola è arnese raro, un tavolino rarissimo. È vietato ogni arnese di ferro, e persino i chiodi, le forchette, i cucchiai, le bilance sono di legno: ed invece di coltellaccio per minuzzare il lardo usano un osso di costola di bue. Con un’industria incredibile fendono grossi ceppi e tronchi di albero mediante piccolissimi cunei di ferro, non permessi ma tollerati, e però da essi nascosti. Chi non vuole il cibo cotto in comune, e che non è altro che fave o pasta, lo cuoce da sé in fornacette di tufo, che si mettono sul davanzale della finestra ed anche sulle tavole del letto. Pochi fanno comunanza, perché il delitto li rende cupi e solitari: spesso ciascuno accende il suo fuoco, onde esce un fumo densissimo che ingombra tutta la cella e le vicine, ti spreme le lagrime, e ti fa uscire disperatamente su la loggia, dove trovi altre fornacette accese che fumano, ed invano cerchi un luogo non contristato dal fumo, che esce dalle porte, dalle finestre, da ogni parte. Alle due pareti opposte della stanza è legato uno spago, dal quale pende una canna, che dall’altro capo fesso in su tiene sospesa una lucerna di latta, la quale con questo ingegno può portarsi qua e là, e pendere nel mezzo della stanza, per dar lume la sera a tutti che fanno cerchio intorno e filano canape.
Tetre sono queste celle il giorno, più tetre e terribili la notte; la quale in questo luogo comincia mezz’ora prima del tramonto del sole, quando i condannati sono chiusi nelle celle, dove nella state si arde come in fornace, e sempre vi è puzzo. O quanti dolori, quante rimembranze, quante piaghe si rinnovellano a quell’ora terribile! Nel giorno sempre aspetti e sempre speri: ma quando è chiusa la cella ed alzato il ponte levatoio, più non aspetti e non speri, e ti senti venir meno la vita. Allora non odi altro che strani canti di ubbriachi, o grida minacciose che fieramente echeggiano nel silenzio della notte, come ruggiti di belve chiuse; talvolta odi un rumor sordo ed indistinto di gemiti o di strida, e la mattina vedi cadaveri nella barella. Quando stanco d’ozio, d’inerzia, e di noia cerchi un po’ di riposo e di solitudine sul duro e strettissimo letto, mentre dimenticando per poco gli orrori del luogo corri dolcemente col pensiero alla tua donna, ai tuoi figliuoletti, al padre, alla madre, ai fratelli, alle persone care all’anima tua, senti il fetido respiro dell’assassino che ti dorme accanto, e sognando rutta vino e bestemmia.

O mio Dio, quante volte ti ho invocato in quelle ore di angosce inesplicabili; quante notti con gli occhi aperti nel buio io ho vegliato sino a giorno fra pensieri tanto crudeli, che io stesso ora mi spavento a ricordarli.

Ritorna il giorno, e ritornano i suoi dolori, e l’un giorno non è diverso dall’altro. Sempre ti stanno innanzi gli stessi oggetti, gli stessi uomini, gli stessi delitti, le stesse azioni. Ogni giorno primamente ti si porta un pane; poi una porzione di orride fave o di arenosa pasta, che molti prendono cruda e poi cuocciono essi stessi con miglior condimento, poi cinque grani ai soli condannati all’ergastolo. Due volte il mese ti si da un pezzo di carne di bue: son due giorni di festa, in cui si beve più vino, e si fanno più delitti. Quando il mare non è agitato vengono alcune donne da Ventotene: portano a vendere pesce e verdure, e comprano il nero pane de’ condannati col quale sostengono sé stesse ed i loro figliuoli. Tanta miseria è in quell’isola, che di là si viene a spendere nelle taverne dell’ergastolo. Sebbene il continente sia poco lontano, pure raramente vengono barche, e se vengono ed approdano a Ventotene, non sempre si può traversare il canale su i battelli e venire a Santo Stefano, dove spesso si manca anche del necessario alla vita. Anche più raramente hai lettera o novella della tua famiglia. Ogni lettera che ricevi o mandi deve essere letta, ogni oggetto rivolto e ricercato per ogni parte. La prima lettera che io ebbi, e che io tanto avevo aspettata, mi strappò molte lagrime, e mi rendette convulso per più giorni. Io serbo ancora quella prima lettera, unita ad un’altra della mia figliuola Giulietta, che mi fu conceduto di tener caramente stretta in mano durante quei due giorni che io stetti condannato a morte in cappella; perché mi pareva che tenendola in mano io sarei morto abbracciando e benedicendo i miei figlioli.

Qui si vive a discrezione de’ venti e del mare, divisi dall’universo, e soffrendo tutti i dolori che l’universo racchiude”.


Funerale -  foto di Valentina Perniciaro



Carcere di Santo Stefano visto dal mare


Carcere di Santo Stefano (foto di Valentina Perniciaro)

Santo Stefano – La Lavanderia annessa al carcere


Santo Stefano – La Vasca Giulia – 
Giulia era la figlia dell’Imperatore Ottaviano Augusto e 
fu esiliata a Ventotene perché accusata di adulterio.





Nota n. 2 – L’Isola di Ventotene. Cenni di storia ed aspetti della detenzione

L’isola soltanto nel 1731, con la morte dell’ultimo dei Farnese, passò con gradualità sotto il dominio dei Borboni che avviarono una nuova urbanizzazione. L’urbanizzazione dell’isola ebbe un suo sviluppo più organico sotto Ferdinando IV che affidò il progetto a due illustri tecnici: Antonio Winspeare e Francesco Carpi. Il nucleo abitativo si sviluppò ai due edifici più importanti dell’isola: il castello e la Chiesa di Santa Candida. Si realizzarono due strade d’accesso per raggiungere i due edifici. Il castello si sarebbe raggiunto grazie ad una via carrabile che si snodava su un preesistente camminamento romano (avrebbe percorso in salita ed in modo concentrico il Pozzillo per poi sbucare nella Piazza del castello) mentre per giungere alla chiesa attraverso una scenografica serie di rampe che dal Porto Romano avrebbe raggiunto l’edificio sacro. Il castello è sede del Municipio e del Museo Archeologico. La sua funzione originaria era quella di fortezza  per poi diventare carcere. Forse nell’ultimo periodo dei Borboni fu appunto adibito a carcere e durante l’epoca fascista  la struttura fu modificata con due sopraelevazioni per meglio adattarla alla sua funzione carceraria.
Il centro storico era la “cittadella confinaria” dove i confinati potevano risiedere, passeggiare e “vivere”. Probabilmente in queste case già al tempo dei Borboni c’erano dei detenuti. A loro era preclusa la zona del porto e la strada che conduceva alla campagna. Potevano frequentare solo la piccola spiaggia di Calanave e solo in alcune ore del giorno.
Il castello che inizialmente era adibito a sede dei confinati con l’avvento del fascismo e con la successiva costruzione di padiglioni destinati ad un maggior numero di confinati, diventò la sede della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Qui risiedevano carabinieri e forze dell’ordine addetti alla sorveglianza. Furono costruiti dozzine di padiglioni. Tutti uguali e simili ad ospedali che a prigioni e formarono un blocco abitativo separato dall’unico villaggio esistente nell’isola. Ogni padiglione era suddiviso in due camerate, con bagno in comune. Ogni camerate conteneva venticinque brande allineate in due opposte file con tavolini costruiti in legno e in modo rudimentale. Durante la notte, dalle 21 alle 6 d’estate e dalle 18 alle 7 d’invero, le porte venivano sprangate e tutti i confinati erano rinchiusi nei cameroni. Successivamente dopo qualche ora veniva staccata l’elettricità.

Il 2 giugno 1978 a Ventotene fu dedicato un monumento a ricordo dei confinati deportati che venne posto nell’area dell’ex cittadella confinaria.

Sulla stele in marmo fu incisa un’epigrafe dettata da Umberto Terracini.

"NELLA BREVE CHIUSA CERCHIA | DELLE SUE SCOGLIERE BATTUTE DAL MARE | VENTOTENE | UMILIATA DALLA DITTATURA A LUOGO DI CONFINO POLITICO | OSPITO’ NEL VENTENNIO FASCISTA | CIRCONDANDOLI DI RISPETTOSA TACITA SIMPATIA | MIGLIAIA DI PERSEGUITATI DI OGNI PARTE D’ITALIA | MOLTI DEI QUALI FURONO DESIGNATI | DOPO LA LIBERAZIONE E LA DEMOCRAZIA INSTAURATA | A SOMMI INCARICHI E DIGNITA’ NELLA REPUBBLICA | RICORDANDO E ESALTANDO LE VIRTU’ UMANE E CIVILI | CHE NE REGGEVANO LO SPIRITO SOTTO LA DURA REPRESSIONE DEL | REGIME AUTORITARIO | GLI ABITANTI DELL’ISOLA | CUSTODISCANO ALLA NAZIONE RINNOVATA | QUESTE SOPRAVANZATE ROVINE DEGLI SQUALLIDI ACQUARTIERAMENTI | DOVE I CONFINATI ANTIFASCISTI MALPROTETTI DALL’INCLEMENZA DELLE | STAGIONI | COSPIRATIVAMENTE AUTOGOVERNANDOSI | CONDUSSERO LA LORO VITA DI SACRIFICIO E DI STUDIO | PREPARANDOSI ALLA LOTTA | PER UN’ITALIA RINNOVATA NELLA LIBERTA’."



Isola di Ventotene - I Confinati

Isola di Ventotene - Le camerate dei confinati

Isola di Ventotene - Il Porto Romano

Isola di Ponza - La Torre Borbonica (oggi Hotel)






Nota n. 3 – IL TESTAMENTO DI CARLO PISACANE (Fu scritto all’inizio della spedizione contro i Borboni, quando s’imbarcò sul “Cagliari”)



 "In procinto di lanciarmi in una temeraria impresa, voglio far note al paese le mie opinioni per combattere il volgo, sempre disposto ad applaudire i vincitori ed a maledire i vinti. "I miei princìpi politici sono abbastanza conosciuti: io credo nel socialismo, ma nel socialismo differente dai sistemi francesi, che tutti più o meno sono fondati sull’idea monarchica, o dispotica che prevale nella nazione; è l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia, e forse di tutta Europa. Il socialismo, di cui io parlo, può riassumersi con queste due parole: libertà ed associazione. Questa opinione io l’ho sviluppata nei due volumi che ho composto, che sono il frutto di quasi sei anni di studi, ed a cui, colpa del tempo, non ho potuto dare l’ultima mano, sia per lo stile, sia per la dizione. Se qualcuno dei miei amici volesse supplirmi, e pubblicare questi due volumi, glie ne sarei molto riconoscente. "Ho la convinzione, che le strade ferrate, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell’industria, tuttociò infine che tende a sviluppare e facilitare il commercio, è destinato, secondo una legge fatale, a render povere le masse, finché non si operi la ripartizione dei profitti, per mezzo della concorrenza. Tutti siffatti mezzi aumentano i prodotti; ma essi li accumulano in poche mani, per cui tutto il vantato progresso non si riduce che alla decadenza. Se si considerano questi pretesi miglioramenti come un progresso, sarà ciò in questo senso che, coll’aumentare la miseria del popolo, essi lo spingeranno infallibilmente ad una terribile rivoluzione che, mutando l’ordine sociale, metterà a disposizione di tutti, ciò che ora serve all’utile solo d’alcuni. Ho la convinzione, che i rimedi temperati, come il regime costituzionale del Piemonte e le progressive riforme accordate alla Lombardia, lungi dall’accelerare il risorgimento d’Italia, non possono fare che ritardarlo. Quanto a me non m’imporrei il più piccolo sagrifizio per cambiare un Ministero o per ottenere una Costituzione, neppure per cacciare gli Austriaci dalla Lombardia e riunire al regno della Sardegna questa provincia: io credo che la dominazione della Casa d’Austria e quella di Casa Savoja sieno la stessa cosa. "Credo al pari, che il governo costituzionale del Piemonte sia più nocevole all’Italia, che non la tirannia di Ferdinando II. Credo fermamente che, se il Piemonte fosse stato governato nella stessa maniera che gli altri Stati italiani, la rivoluzione d’Italia a quest’ora si sarebbe fatta. "Questa decisa opinione si venne formando in me per la profonda convinzione che io ho, essere una chimera la propagazione dell’idea, e un’assurdità l’istruzione del popolo. Le idee vengono dietro ai fatti e non viceversa; e il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma diverrà istrutto tostoché sarà libero. L’unica cosa che possa fare un cittadino, per essere utile alla sua patria, è l’aspettare, che sopraggiunga il tempo, in cui egli potrà cooperare a una rivoluzione materiale. "Le cospirazioni, i complotti, i tentativi d’insurrezione, sono a mio avviso, la serie dei fatti attraverso ai quali l’Italia va alla sua meta (l’Unità). L’intervento delle baionette a Milano ha prodotto una propaganda ben più efficace, che non mille volumi di scritti di dottrinari, che sono la vera peste della nostra patria e di tutto il mondo. "V’hanno taluni che dicono, la rivoluzione debbe essere fatta dal paese. Questo è incontrastabile. Ma il paese si compone d’individui; e se tutti aspettassero tranquillamente il giorno della rivoluzione senza prepararla col mezzo della cospirazione, giammai la rivoluzione scoppierebbe. Se invece ognuno dicesse; la rivoluzione deve effettuarsi dal paese, e siccome io sono una parte infinitesima del paese, spetta anche a me il compiere la mia infinitesima parte di dovere, e io la compio; la rivoluzione sarebbe immediatamente compiuta, e invincibile, poiché dessa sarebbe immensa. Si può dissentire intorno alla forma di una cospirazione circa il luogo e il momento in cui debba effettuarsi; ma il dissentire intorno al principio è un’assurdità, una ipocrisia; torna lo stesso che nascondere in bella maniera il più basso egoismo. "Io stimo colui che approva la cospirazione, e che non prende parte alla cospirazione; ma io non posso che nutrire disprezzo per coloro che non solo non vogliono far nulla, ma si compiacciono di biasimare e maledire coloro che operano. Coi miei prìncipi io avrei creduto di mancare al mio dovere se, vedendo la possibilità di tentare un colpo di mano sopra un punto bene scelto e in favorevoli circostanze, io non avessi impiegato tutta la mia energia nell’eseguirlo e condurlo a buon fine. "Non pretendo già, come alcuni oziosi per giustificare sé stessi mi accusano, di essere il salvatore della mia patria, no; io sono però convinto, che nel mezzodì d’Italia la rivoluzione morale esiste; che un impulso gagliardo può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo; ed è appunto per questo, che ho impiegato le mie forze per compiere una cospirazione che deve imprimere questo impulso. Se io giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri nel Principato Citeriore, credo che avrò con ciò ottenuto un grande successo personale, dovessi poi anche dopo morir sul patibolo. Da semplice individuo qual sono, sebbene sostenuto da un numero abbastanza grande di uomini, io non posso far che questo, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per questo scopo, e non esito punto a farlo. "Sono persuaso che, se l’impresa riesce, otterrò gli applausi di tutti; se soccombo, sarò biasimato dal pubblico. Forse mi chiameranno pazzo, ambizioso, turbolento: e tutti coloro che, non facendo mai nulla, consumano l’intera vita nel detrarre gli altri, esamineranno minutamente l’impresa; metteranno in chiaro i miei errori, e mi accuseranno di non esser riuscito per mancanza di spirito, di cuore, di energia. Sappiano tutti codesti detrattori, che io li considero non solo come affatto incapaci di fare ciò che io ho tentato, ma incapaci financo di concepirne l’idea. "Rispondendo poi a coloro che chiameranno impossibile il compito, dico che, se prima di effettuare simile impresa si dovesse ottenere l’approvazione di tutti, sarebbe d’uopo rinunziarvi; dagli uomini non si approvano anticipatamente fuorché i disegni volgari: pazzo si chiamò colui che in America tentò il primo sperimento di un battello a vapore, e si è dimostrato più tardi l’impossibilità di attraversare l’Atlantico con questi battelli. Pazzo era il nostro Colombo prima ch’ei discoprisse l’America, ed il volgo avrebbe trattato da pazzi e da imbecilli Annibale e Napoleone, se avesseo soccombuto l’uno alla Trebbia e l’altro a Marengo. Io non ho la presunzione di paragonare la mia impresa a quella di quei grandi uomini, però vi si rassomiglia per una parte; giacché sarà oggetto della universale disapprovazione se mi fallisce, e dell’ammirazione di tutti se mi riesce. Se Napoleone, prima di lasciare l’Isola d’Elba per isbarcare a Frèjus con 50 granattieri, avesse domandato consiglio, il suo concetto sarebbe stato unitamente disapprovato. Napoleone possedeva ciò che io non posseggo, il prestigio del suo nome; ma io riannodo intorno al mio stendardo tutti gli affetti, tutte le speranze della rivoluzione italiana. Tutti i dolori e tutte le miserie dell’Italia combattono con me. "Non ho che una parola: se io non riesco, sprezzo altamente il volgo ignorante che mi condannerà; se riesco farò ben poco caso dei suoi applausi. Tutta la mia ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza, e nell’animo dei cari e generosi amici, che mi hanno prestato il loro concorso, e che hanno divisi i miei palpiti e le mie speranze. Che se il nostro sacrifizio non porterà alcun vantaggio all’Italia, sarà per essa almeno una gloria l’aver generato figli, che volenterosi s’immolarono pel suo avvenire.
"Genova 24 Giugno 1857. - "Carlo Pisacane"


Nota 4 
-          Disegno di legge “Per la Reintegrazione Giuridica della Donna” e relativo discorso alla Camera;
-          Disegno di Legge” Per Circoscrivere il culto cattolico nella Chiesa e sostituire ai Campisanti il sistema della Cremazione” e relativo discorso alla Camera;
-          “La Donna e La Scienza – Soluzione dell’Umano Problema”;
-          Lettera di Giuseppe Mazzini a Salvatore Morelli;
-          Lettera di William Smith a Salvatore Morelli;
-          “L’Emancipazione della Donna” – Settimanale;
-          Disegno di Legge “Per la Riforma sulla Pubblica Istruzione” con discorso alla Camera;
-          I Tre Disegni di Legge – “Emancipazione della Donna –Riforma della Pubblica Istruzione – Circoscrizione Legale del Culto Cattolico nella Chiesa” preceduti da un Manifesto della Tipografia Franco-Italiana di Firenze;
-          “Alle Donne, Gioventù Studiosa e Stampa Indipendente d’Italia – Lettera di Giuseppe Garibaldi a Salvatore Morelli


Disegno di Legge
“Per la Reintegrazione Giuridica Della Donna”





“Onorevoli Signori
Una delle ragioni per le quali l’umanità o non cammina, o procede troppo dubbiamente sulla via del progresso, è appunto quella di aver spostato con artificiali sistemi le cose dalla loro sede naturale, e di non avere assegnato a ciascheduna di esse la sfera dei rapporti che le compete. Sicchè l’opera del legislatore filosofo per essere oggidì veramente riparatrice, e promuovere il benessere delle nazioni, fa mestieri che inizii la riforma allo scopo di riordinare elementarmente la spostata situazione giuridica degli enti sociali, ode ciascuno di essi riprenda il suo posto, e compia la parte che gli conviene nel lavoro razionale della vita individua e collettiva. È per questa considerazione che io, scorgendo nella Camera la generosa tendenza di migliorare le sorti d’Italia, con leggi provvide e conformi alla missione iniziatrice della terza civiltà del mondo, oso presentare alla sua considerazione il presente schema di legge riguardante i diritti della donna.
Imperocchè son convinto che la sua anormalità giuridica sia germe al disordine, alle degradazioni e alle lotte deplorabili, nelle quali non pure Italia, ma la più gran parte dell’umanità geme fatalmente da secoli.
Io potrei riassumere in prova dei miei detti una serie infinita di fatti incontestabili narrati dalla storia, ma per non peccare d’importunità verso i sapientissimi mei colleghi rappresentanti, ai quali più che a me stesso sono noti, e per non prolungare la discussione sopra un argomento che la forza dell’intuito appalesa vero a tutti, mi limito a certe considerazioni cardinali, che bastano da se stesse a convincere ognuno della necessità di provvedervi istantemente con un atto legislativo.
Voi, signori, non potrete sconoscere nella donna tutte le condizioni, che costituiscono nell’uomo la personalità giuridica, e che ammesse queste condizioni, non pure si ha il debito di riconoscerle, ma di garantirne lo svolgimento.
Se l’umanità ha lavato con torrenti di sangue nell’ultima guerra americana l’obbrobrio della schiavitù dei Neri, come può ella mai consentire più a lungo la schiavitù della donna, la quale è la più importante varietà dell’essere umano, anzi è a creatrice, la educatrice ed il movente perpetuo di quest’essere ? Come può consentire che colei che deve riscuotere maggior rispetto nella casa e nella società, rimanga destituita dei diritti civili e politici accordati a coloro che ne riconoscono la supremazia e la chiamano col nome di donna, signora ?
Come può consentire che si neghino a lei causa le prerogative accordate dalle leggi all’uomo, effetto della sua contemplazione creativa ?
Noi spesso deploriamo nei cittadini violazioni al dritto ed inadempienza del dovere, ma non sappiamo determinare l’origine di questi trascorsi che disturbano l’ordine civile.
Ebbene, signori, quei trascorsi mettono capo nel disprezzo sistematico, nel quale la società viziata da’ pregiudizi, ha mantenuto sin ora il dritto della donna.
L’uomo che e mosso da lei al bene ed al male, non poteva riceverne l’ispirazione al rispetto del diritto proprio ed altrui, quando ella lo vede sconosciuto e manomesso in lei medesima.
Quindi da ciò deriva l’inadempienza al dovere, perché se la società non lo adempie verso di lei, tanto mene ella può inspirare l’uomo ad adempierlo verso altrui. I figli che crescono nelle braccia delle madri schiave improntano nella vergine anima una certa passività, che rimane incancellabile e li accompagna per tutta la vita, anche quando nella condizione di uomini cominciano a godere certe garanzie all’esercizio dei propri dritti, ed alla propria libertà.
L’uomo stesso che si connubia alla donna per quella influenza naturale che esercita su di lui, o nesciente, o irritata dalla privazione dei diritti, trova in lei un serio ostacolo che gliene impedisce l’esercizio, lo assonna e quando dovrebbe concorrere volenteroso per bene della Nazione all’urna o pel bene della città al Municipio, egli o svogliatamente o per preconcetto manca al dovere patriottico con grave danne della cosa pubblica.
La chiesa ed il dispotismo corruttori dell’umanità, quando hanno sentito parlare di moralità e di virtù dell’uomo, non se ne sono troppo allarmati, perché il vero uomo, il più potente uomo, l’Ercole della casa che si chiama donna destituita di dritto, di dignità, e d’intelligenza era un perenne lievito di corruzione, e la sua schiavitù neutralizzava agevolmente nell’uomo l’entusiasmo della virtù.
Oltre a queste considerazioni ve ne hanno dell’altre che riguardano la giustizia, la decenza e la moralità sociale.
Come in tutti i paesi del mondo, in Italia la donna è considerata come l’uomo, quando deve fare dei sacrifici verso il comune e verso lo stato, Ella deve pagare tutti i balzelli che impone il governo, ella deve amministrare i figli alla leva, ella deve dare gli alloggi ai militari, ella deve essere posta sotto processo e catturata se delinque, e l’equivalente di tutti questi pesi, di tutte queste gravezze deve essere la ridevole ricognizione di qualche prerogativa giuridica messa nel codice per ischerno, e la irriconoscenza totale dei diritti civili e politici coerenti alla personalità d’ogni cittadino italiano.
Così la donna nella casa non ha nome, nel Municipio non ha rappresentanza, nella Provincia non ha rappresentanza, nella Nazione non ha rappresentanza, negli uffici pubblici non ha accesso veruno, dall’urna viene esclusa, dalle cattedre viene esclusa, nello Stato non balena mai come altrove la sua figura, di onori pubblici e del merito civile non l’è fatta mai largizione.
Se è incontrata sola per la via, un guardia di P.S. può impunemente catturarla sotto pretesto di meretricio e condurla nei sifilicomii per essere sottoposta alla più turpe delle violenze, e quindi rimanere schiava in quella vergogna del secolo importataci dalla bastarda civiltà straniera, che si chiama Inpanai o ufficiale.
In questa grande leva della decadenza e della civiltà dei popoli rimane ingratamente destituita di ogni garanzia, e nelle sue ore malinconiche maledice la società ed i legislatori che la tengono in una schiavitù, di cui nei riflessi del suo senso comune sente tutto il peso e l’intensità dolorosa.
Signori, dopo tutto questo io vi metto dinanzi un dilemma: la donna la ritenete per cosa o per persona ?
Riconoscete o negate in lei le facoltà tutte che possiede l’uomo ?
Ammettete o negate in lei la identità del tipo ?
Ammettete o negate in lei una medesima destinazione coll’uomo ?
Se riconoscete la donna per persona, se ammettete in lei le stesse facoltà che possiede l’uomo, se riconoscete in lei l’identità del tipo rivestito del prestigio della genitura, che la rende più maestosa e solenne, se ammettete nello svolgimento delle sue facoltà, come vi comanda il buon senso, la ragione e la storia, comune destinazione con l’uomo, quale argomento potrebbe affacciarsi per negare alla creatrice dei cittadini, la giuridica caratteristica di cittadino ? alla madre degli elettori, dei deputati, dei ministri di dritto di portare il voto all’urna, e di esercitare le altre prerogative politiche concesse all’uomo suo compagno ?
Signori, coloro che si oppongono a quest’atto di giustizia verso la schiava bianca che ci dà la vita, ci educa, e ci muove dal nascere al morire, non potranno essere gli enuchi del Concilio di Trento, ma voi sapientissimi che vedete in questo ribalzar della donna un incremento di forza, d’attività, d’intelligenza nell’uomo individuo e collettivo, voi non sarete fra i pusilli che da questo atto profetizzano disordine nella famiglia e nella società. Il disordine e l’anarchia sono oggi in permanenza, ed accennano ad un decadimento progressivo, giusto perché la donna che è il primo ente della vita domestica, è destituita dei suoi dritti, e soggiace schiava ed ignorante alla prepotenza dell’egoismo virile.
I disvolenti addurrano certo, che accordando questi dritti alla donna, essa si svierebbe dalle cure domestiche, e dall’allevamento ed educazione dei figliuoli, cui è principalmente chiamata dalla natura.
No, dico io, ella ubbidiente pur troppo alle leggi del dovere, tralascerebbe tutto, come tralascia il teatro ed altre vanità, quando la natura legislatrice, le impone diversi esclusivamente dedicare agli uffici domestici. Questo anche avviene pei padri di famiglia, essi non vanno all’urna e mancano ai doveri civili e politici, quando intime necessità ne fanno loro divieto.
Poi io domanderei ai signori, che veggono il finimondo nella reintegrazione dei diritti civili e politici della donna: dal medio evo in qua, la donna ha conseguito qualche diritto; ebbene quale detrimento ne ha avuto la famiglia e la società ? Eccoli: voi l’avete imparata a leggere, ed essa vi ha diretta meglio la casa, vi ha educato meglio i figliuoli, e vi ha aiutato col suo entusiasmo alle imprese dell’emancipazione nazionale. Voi le avete dato posto sulle liste dello stato civile, l’avete ammessa ad ereditare, ed essa vi ha generosamente risposto, facendo balenare nella famiglia un certo sentimento di dignità umana fin allora sconosciuta affatto, vi ha mitigato i costumi, vi ha migliorato l’economia. Che cosa dovete attendervi dunque dalla sua totale emancipazione ?
Moralità, sapienza, forza, ricchezza,  ordine, dignità, coscienza del diritto e del dovere, e sviluppo di tutti questi beni che rimasero un desiderio vacuo per gl’individui e per le nazioni, dacchè la donna degradata e ridotta letame invece di generare uomini, venne condannata dalla sociale ingiustizia a generar funghi !
Un altro argomento su cui si appoggeranno gli oppositori sarà quello dell’opportunità.
Essi vi diranno: ma  noi siamo ancora immaturi, i nostri costumi non permettono queste riforme.
È giusto perché siamo immaturi bisogna riformare, onde raggiungere la maturità. Quale gente più immatura dei Negri alla libertà, quando per mantenersi schiavi han versato fiumi di sangue, ed hanno massacrati i maestri di scuola, che sentivano la carità civile d’illuminarli ?
Con tutto ciò la coscienza della civiltà americana, che riconosceva il bisogni morale di effettuare quella grande  riforma glie l’ha imposta con la forza, e vi è rimasta benedetta da tutto il genere umano.
Il giorno in cui, onorevoli Signori, sarà emanata la legge che uguaglia la donna all’uomo nell’esercizio dei diritti civili e politici, tornerà il rispetto scambievole fra i coniugi, l’uno guarderà nell’altro, non lo schiavo od il padrone, ma il compagno amoroso della sua vita, e quest’armonia domestica dislagandosi nella società, scancellerà quelle uggie spesso fomentate dalla donna schiava, che rendono l’uomo omicida ed assassino dell’altro uomo.
Signori, voci dall’America, voci dall’Inghilterra, voci dalla Germania e dalla Francia, voci da tutti gli angoli della nostra penisola s’elevano per reclamare la soluzione di questa quistione umanitaria, e già qualche Parlamento ha proposto l’ammissione della donna al voto politico.
Vi lascerete voi scappar di mano l’iniziativa di questa grande riforma ?
Toglierete voi all’Italia nostra la gloria di essere la prima ad abolire questa turpe schiavitù ?
Io non l’immagino e con piena fiducia mi aspetto dalla vostra  saggezza, dalla vostra giustizia, dal vostro spirito di umanità l’approvazione dei disegno di legge che ho l’onore di presentarvi, il cui ultimo articolo quantunque sembri ridondante, pure ha un ligame intimo coi vantaggi che si attendono dall’emancipazione  della donna
Imperocchè mira a correggere un errore del secolo materialista, il quale spende e spande per migliorare le razze dei cavalli e dei bestiami, nulla poi curandosi della crescente degradazione della razza umana”.


DISEGNO DI LEGGE

Disegno di legge : "Abolizione della schiavitù domestica con la reintegrazione giuridica della donna, accordando alla donna i diritti civili e politici" - 1867

-          Art.1. Riconoscendo nella donna identità di tipo e fac oltà eguali all’uomo, giustizia
vuole che essa sia eguagliata al medesimo nei diritti civili e politici. Quindi le donne italiane, dalla pubblicazione di questa legge, sono facultate ad esercitare i diritti civili e politici nello stesso modo e con le medesime condizioni che li esercitano gli altri cittadini del regno d’Italia.
-          Art.2. Le divergenze degli interessi, che potranno verificarsi nel passaggio dal vecchio a questo nuovo regime, verranno composte ed ordinate da appositi decreti.
-          Art.3. Tutte le disposizioni del codice e di altre leggi suppletorie, che circoscrivevano e limitavano i diritti della donna, rimangono abolite.
-          Art. 4 .Le donne italiane, che si mostreranno più diligenti al miglioramento della razza umana, dando alla patria figlioli di belli e robusti tipi, e li educheranno in modo da farli divenire eroi, pensatori e produttori distinti, avranno conferiti dallo Stato titoli di onore, pubblici uffici, ed anche pensioni vitalizie, secondo il maggior bene che hanno arrecato colla loro opera.
   Firenze 18 giugno 1867.
   Salvatore MoreIIì, Deputato.


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DISEGNO DI LEGGE
“Per circoscrivere il culto cattolico nella Chiesa  e sostituire al Campisanti il sistema di Cremazione “



“Onorevoli Signori !
Quello che la storia imputerà alla nostra generazione come colpa più grave, è il poco rispetto usato alla logica.
Lasciando dall'uri dei lati la lunga serie dei mali che ha derivazione da ciò, richiamo la vostra autorevole attenzione sopra un fatto, il quale perchè troppo scandaloso produce gravi inconvenienze al senso morale,  alla salute pubblica , ed alla libertà dei cittadini italiani, e reclama dalla Camera un sollecito provvedimento legislativo.
Il fatto cui io accenno, o Signori, è l'abuso del culto esterno praticato dal clero cattolico per ispirito di fanatismo, e per alimentare la più barbara supestizione fra le povere plebi, abusando della loro ignoranza in tutte le città, i villaggi e le borgate del nostro Regno, e quel che più monta la mano forte che l'autorità politica gli concede per dar luogo a tante scene comiche e da medio
evo investigate dalla volponeria per ismungere oboli dalla scarsella ,'del l'operaio, ed imbuirgli la coscienza.
Se abbiamo la tolleranza dei culti da cui sono nate nel nostro paese le istituzioni di chiese diverse, perchè oggimai una parte dei cittadini non crede al cattolicismo; se abbiamo incamerati i beni del clero cattolico, e sciolte le corporazioni religiose per iscemare  la ostile influenza che queste esercitarono per secoli, oltre alle altre ragioni di pubblico interesse che si connettono all'avvenire morale ed economico della nazione, siamo ora noi logici permettendo al prete di Roma che perturbi lo Stato coi suoi artifizi settari i, e rinnovi scene grottesche e ridicole per le pubbliche vie
delle nostre città con grave detrimento del commercio, della libertà, dell'ordine, della morale, e della pubblica salute?
Signori, a me sembra che no, anzi a me sembra che gli stranieri, i quali vengono a deliziarsi nelle nostre ridenti contrade, vedendo sopravvivere alla nostra rivoluzione cotali mascherate da cui da mane a sera si deve essere obbligatorio osservatore, e delle quali non rimane più orma in tutte le città civili d'Europa, debbono recriminarci non solo d'illogici, ma di contraddizione e peggio.
Io diceva l'abuso del clero cattolico nel suo culto esterno offende il commercio, perché specialmente nei centri più popolosi, ora colle processioni bianche delle innumeri sue feste, ora colle processioni nere dei funerali che si sogliono moltiplicare e rivestire di tutto il terrorismo dell'inquisizione, specialmente in ricorrenze epidemiche per accrescere l'intensità del male, questi fatti verificandosi nelle vie più commerciate fanno arrestare per ore intere carri ed uomini, e tolgono alla vita industriale il più prezioso del suo tempo.
Io diceva pure che offende la libertà, perchè la prepotenza clericale sostenuta dal governo, sia che passi unicamente il viatico, sia queste processioni di vario colore, autorizza i sagrestani che precedono, ad imporre ai cittadini o di cavarsi il cappello, o d'inginocchiarsi come tante volte è avvenuto a Napoli, dove per questo dal 60 in qua sono registrati vari sanguinosi conflitti.
A ciò si aggiunge, che il suono perenne delle campane accennante d'ordinario ad avvenimenti mortuari, toglie i riposi ed impone forzosamente il lutto di private famiglie ad intere cittadinanze, la qual cosa per me è un'ingiustizia ed un attentato insieme alla libertà.
Dissi inoltre che l'abuso esterno del culto cattolico offende l'ordine, perchè, a prescindere dalle provocazioni di cui è causa col suo fanatismo, vi è proprio in se stesso qualche cosa di noioso e d'incompatibile con quell'ordine di idee accettato dalla civiltà del mondo, ed un pochino anche da noi italiani, quando nell'entusiasmo di un più lieto avvenire lo stigmatizzavamo d'anacronismo.
Il culto cattolico offende la morale, perchè colle sue molteplici feste, che sono per la chiesa un argomento di utilità, distoglie dal lavoro i miseri credenti per mendicare due terzi dell'anno che non producono nulla, o alimentarsi colla prostituzione.
Dissi da ultimo che offende la pubblica salute, perchè ai mali naturali da cui è afflitta questa disgraziata generazione, si aggiungono gli artifizi di tante apparizioni lugubri che spengono nel cuore gli ultimi raggi della speranza.
Chi si trovò in Napoli nell'ultima invasione colerica può testimoniare, che furono più le morti prodotte dal clero cattolico con le paure delle sue processioni funebri, scampanìi e cantilene, che da mane a sera assordavano e riempivano di lutto e di terrore quel vasto paese, delle avvenute per forza epidemica. Passando ai cimiteri dove il clero cattolico raccoglie la più ricca sua messe, senza parlare delle profanazioni cui dà luogo, il sistema dei campisanti collocati in siti vicini all'abitato, è difettoso in modo da dare sviluppo a quei miasmi dai quali si genera quella serie di malanni che ha infiacchita la nostra salute.
Finché il fanatismo adombrò le menti in modo da negligere i vivi per darsi tutto col pensiero ai morti, sicché i più ridenti siti e le migliori ricchezze venivano spese pei campisanti, la cosa era in qualche modo giustificabile, ma ora che questo fanatismo si è visto micidiale all'umano consorzio, e la ragione impone invere la conservazione della vita specialmente della classi produttrici, reiette finora e condannate dalla sociale ingiustizia a vegetare miseramente come belve nei siti più malsani delle città e delle borgate, oggi non è più lecito mantenere il lusso dei campisanti, e bisogna ricorrere ad un sistema più ragionevole, perchè più utile alla pubblica salute e più consolante per le famiglie dei defunti.
Il sistema che io invoco, o Signori, è il sistema di cretnazìnne detto dai latini cremandi vcl comburendi, sanzionato da Numa, dalle leggi delle dodici tavole, e conservato fino al quarto secolo delia Chiesa Cristiana, la quale poi lo inverti nel rovinoso sistema dei sepolcri in chiesa e dei campisanti, chi dice perchè erasi perduto il modo di lavorare Vamianto entro cui racco-
glievansi dal rogo le ceneri dei trapassati e si presentavano, sacre reliquie, ai parenti, ed i più severi poi giudicano essere stata una delle arti questa del elencato per mantenere nelle città, nei villaggi e nelle borgate quel fomite di malessere che ha generato tante nuove epidemie.
Per tutte le esposte ragioni, essendo per noi dovere imprescindibile quello di spulezzare i nostri costumi di tutte le usanze viete che ci fanno parere un secolo indietro ai popoli civili del mondo, e di provvedere all'economia dei tanti milioni che inutilmente si spendono per l'uopo dallo stato e dai comuni ed allo sviluppo del benessere morale e materiale del paese, io fortificato dal vostro patriottismo presento alla camera il seguente schema di legge, il quale per l'interesse pubblico che ispira, sarà degnato, spero, del suffragio di tutti i partiti.

SCHEMA DI LEGGE

-          Art. 1° L'abuso del culto cattolico per le vie della città, dello borgate e dei villaggi, tornando nocivo alla libertà civile, alla morale, al commercio ed alla pubblica salute, e più riuscendo noioso alla civiltà dalla quale la sua liturgia si ritiene come anacronismo, e dannevole anche a se stesso per le profanazioni cui va spesso soggetto nel conflitto delle varie credenze, dalla pubblicazione di questa legge sia per una ragione di dignità e di rispetto alla stessa religione, e pei principii di ordine pubblico che interessano lo stato italiano, il culto cattolico rimane circoscritto come gli altri culti nel perimetro delle chiese dove sarà permesso di esercitarlo.
            Quindi è espressamente vietato a qualunque ecclesiastico portare il viatico perle vie in modo  
             banale, bandire feste, questuare sia in nome del purgatorio sia in altro senso, organare
             processioni funebri o di altra natura, far suonare a distesa le campane o nel senso festivo o  
             in senso lugubre.

-          Art. 2° Tutti questi atti potranno liberamente i sacerdoti cattolici esercitarli nella chiesa di loro giurisdizione rispettando le leggi dello Stato.
-          Art. 3° Di ciascuna chiesa non sarà permesso che il suono di una sola campana a tocchi misurati, i quali senta incomodo delle cittadinanze avvertano i fedeli nelle ore mattutine, meridiane e serotine.
-          Art. 4° I cadaveri saranno trasportati nelle chiese in carrozze chiuse, e senza alcun corteggio o pompa di sorte. È in chiesa che si renderanno loro gli estremi uffici secondo il rito cattolico, e poscia trasportati al cimitero in carrozze chiuse e senza alcun segno che funesti i viandanti.
-          Art. 5° Nel caso di epidemia i cadaveri verranno rilevati dalle abitazioni ove giacciono, dietro la rivelazione fattane all'autorità municipale, nelle medesime carrozze chiuse non dissimili dalle vetture comuni e distinte soltanto da due persiane cieche agli sportelli; con tali precauzioni saranni trasportati direttamente al cimitero.
-          Art. 6° Col permesso dei Municipi potranno soltanto solennizzarsi pubblici funerali pei grandi patriotti, e per le intelligenze che hanno illustrato la nazione o giovato alla umanità sia con opere di scienza, sia con lavori di arte, o ritrovati produttori di pubblica prosperità.
-          Art. 7° 1 campisanti rimangono aboliti, e sarà vietato rigorosamente a chiunque seppellire i cadaveri furtivamente nelle chiese o in altro sito ed in modo diverso da quello che verrà indicato dalla legge.
-          8.° Coloro che intendono conservare intero il cadavere dei loro defunti, depositeranno 5000 lire nella cassa del Municipio, il quale fatta eseguire l'iniezione nei modi prescritti dalla scienza da una Commissione di medici sanitari, che metta in salvo la pubblica salute dal sospetto di qualunque possibile putrefazione, ne ordinerà la sepoltura nei siti destinati all'uopo.
-          Art. 10° Per la durata di anni sei, dal giorno in cui non si seppelliranno più cadaveri, gli attuali campisanti saranno tenuti in rispetto per ovviare alle profanazioni, e dopo tal periodo verranno adoprati dai Municipi per uso di pubblica utilità, rispettandovi i monumenti di arte che si stimeranno più pregevoli.
-          Art. 11° Invece dei campisanti si costruiranno dei modesti templi in diversi punti esterni delle città, secondo l'esige la loro grandezza, ed in ciascuno di questi si eleveranno i roghi secondo l'uso tradizionale dei nostri padri latini e greci, e dietro gli uffici estremi che saranno amministrati ai defunti dal sacerdozio della propria credenza religiosa, i corpi dei cadaveri verranno adusti colle norme della scienza, indi raccoltine le ceneri in tele di amianto, queste o verranno depositate in apposite località costrutte nei medesimi templi, o consegnate alla famiglia del defunto quando ne mostrasse desiderio.
-          Art. 12° Sarà permesso alle famiglie, cui appartengono i cadaveri sepolti negli aboliti cimiteri, disumarne le ossa o portarle al rogo per raccoglierne le ceneri.

-          Art. 13" Quando i Municipi demoliranno le tombe inviteranno i particolari che le edificarono, per ritirarsi i marmi, e restituiranno loro un terzo del prezzo esatto pel suolo.
-          Art. 14° Accanto ai templi dei roghi verranno costrutti altri tempietti, nel caso che vi si volessero seppellire in apposite nicchie i cadaveri iniettati, ma per queste concessioni verrà pagato un censo annuo al Municipio, il quale per tutta distinzione non permetterà altro che una lapide di marmo, dove verrà sculta la memoria del defunto.
-          Art. 15° I regolamenti per l'esatte esecuzioni di queste funzioni saranno redatti dai Municipi.
-          Art. 16° Coloro, che sia nella qualità ecclesiastica, sia in quella di particolari contravvenissero alle soprascritte disposizioni, verranno dell'autorità arrestati nella flagranza e rimessi al magistrato competente, per esserne giudicati come disturbatori dell'ordine pubblico e condannati da un mese ad un anno di carcere , quando gli atti loro non li rendessero responsabili di pene maggiori per altri reati dei quali furono cagione.

Firenze 18 giugno 1867.

Salvatore Morelli Deputato.

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“ La Donna e La Scienza”
“Soluzione Dell’Umano Problema”
Per
Salvatore Morelli
Deputato al Parlamento

(Terza Edizione Italiana
Aumentata e Ridotta a Miglior Forma)

“Le premure che ci vengono fatte di riprodurre questo libro, di cui è già esaurita la 2 a edizione, ci pongono nell'impegno di farne seguito al presente Opuscolo, coll'aggiunta del ritratto e della biografìa dell'Autore, scritta da una distinta Signora, -non che di una importante
lettera alle Signore di Edimburgo del dotto socialista G. Cipri riportata nell'edizione francese.
Non ci è mestieri dire al paese cosa è questo libro del Sig. Morelli: basta ricordare che nella futilità e scipitezza della vivente letteratura italiana, la quale per la maggior parte dei suoi prodotti non ebbe alcuna considerazione all' estero, questo libro meritò di fare il giro del mondo tradotto in lingue straniere e pei la simpatia dell'argomento, e perchè contenente un'ideale vero e completo sulla riforma della educazione privata e pubblica, e sui mezzi efficaci coi quali l'umanità, lasciando il campo selvaggio della forza, debba ricondursi su quello benefico della ragione per godere
nell'equilibrio di tutti gli enti sociali i frutti della pace e della vera libertà.
Noi non diremo cose nostre che potrebbero sembrar sospette, ma riporteremo su questo notabile lavoro per i tanti giudizii favorevoli dati dai giornali italiani e stranieri, una lettera del Mazzini, un'altra del letterato pubblicista inglese Villiara Smiht, ed un'articoletto che troviamo sul giornale la Situation di Parigi del 18 volgente luglio.
Ci auguriamo che gl'italiani che ignorano l'opera del Morelli, desumano da questi severi ed eminenti criterii la simpatia di cui a bisogno la nostra impresa perchè produca il bene desiderato. Nella intelligenza che se saremo incoraggiati, pubblicheremo dello stesso autore un opuscolo di 80 pagine al mese concernente la istruzione popolare, per dotare le scuole dei libri di cui àndifetto — Il Galateo della Liberta', ed altri originali lavori politici e scientifici non ancora messi in luce.
La Donna e la Scienza, come le altre indicate opere del Morelli verranno condotte sul medesimo sesto, carta, e caratteri del presente opuscolo.
Il costo del volume sarà di lire 3: ai librai sarà fatto un convenevole sconto. Le domande potranno sin d'ora indirizzarsi alla Tipografia Franco- Italiana di A. De Clemente in Firenze via della Fortezza N. 8.
• •




Firenze 15 Luglio 1867.

Gli Editori
Antonio C amagna e Comp.

Ecco la lettera di Mazzini quale l'abbiamo ricavata
dalle colonne del Popolo d'Italia di Napoli.

“Caro Morelli,
Ebbi dall'amico Pederzolli lettera e libro. S'anche voi non lo aveste trattato con altezza di concetti, e corredato di scienza filosofico-storica, l'argomento del vostro libro basterebbe per se a farne cosa sommamente giovevole, e meritarvi lode e riconoscenza da quanti in questo nostro sorgere a Nazione vedono più che un semplice mutar di uomini e di forme amministrative.
Se come, noi crediamo, il sorgere del popolo d'Italia a unità di vita collettiva è fatto sacro e profetico, fatto d'incivilimento Europeo, e iniziativa d'un'epoca d'emancipazione alle genti serve, divise, compresse da un elemento straniero, il nostro problema è or più che mai problema d'Educazione, tanto che i figli della nostra terra intendano la loro missione, sappiano a che son chiamati. E in cima a questa Educazione Dio à collocata la Madre.
Lo stadio più essenziale, lo stadio vitale dell'Educazione è il primo, quello in cui si fecondano a successivo sviluppo i germi dell'umanità intellettuale e morale; e questo è suo tutto. Alla Madre spetta d'istillare nell'anima che le è fidata, prima coll’esempio, poi colle nozioni elementari delle cose, che tutte hanno un fine l'idea del Dovere, l'idea che la vita è data per altro che per se stessa; alla Madre di darle nella contemplazione della natura, nello spettacolo delle industrie diffuse
intorno, nel semplice racconto delle tradizioni, la prima rivelazione di quel Progresso ch'è legge della vita, e che cova in sè inevitabile una Religione; alla Madre di insegnarle a conciliare l'esercizio temperato della sua propria santissima libertà colla riverenza non servile dovuta all'Autorità vera e buona.
È la più grave missione che possa idearsi. E quando io mormoro a me stesso quel nome di madre e penso alla seconda creazione che le è fidata, sento una qualche cosa nell'anima come il senso di terrore provato da Fausto quand'ei nei suoi pellegrinaggi simbolici s'appresta a visitare le madri. Se non che la Madre terrestre è pur Donna, e la sua immagine ci appare carezzevole di sorriso e di sereno placido amore.
A qnesta Madre, a questa Donna prima educatrice della crescente generazione, quale educazione diamo noi oggi?
Come trasmettiamo noi la religione del Progresso a un essere la cui vita è dalle leggi civili incatenata in un cerchio determinato di soggezione, smembrata d'ogni facoltà di sviluppo politico, esiliata per generale abitudine da metà degli studii che rivelano la sintesi progressiva? come insegniamo la Libertà decretando perenne tutela? Come istilliamo l'idea del Dovere comprimendo
le vocazioni per entro l'unica sfera della famiglia? A questa istitutrice d'uomini noi contendiamo il sentimento pratico dell'unità dell'umana natura. Contradizione assurda immorale, che nega Dio nell'unità della sua creazione.
Una come Dio è la natura umana.
La Donna e l'Uomo non sono due tipi, ma due varietà dello stesso tipo. Le facoltà che pongono sull'essere il segno dell'umanità sono identiche nella Donna e nell'Uomo.
La missione progredire e far progredire è una in ambi.
Nessuna via di compirla schiusa all'uno dovrebbe essere chiusa all'altra.
Queste convinzioni v'hanno ispirato il vostro libro (fa Donna e la Scienza) che i giovani dovrebbero studiare e commentare con altri lavori. Il problema dell'emancipazione della Donna, è identico a quello dell'educazione del nostro popolo.
Per cui — giova ormai dirlo apertamente — questo problema non si sciorrà se non dall'alto d'una nuova fede, che torrà le mosse dal Cristianesimo, ma lo varcherà, come il Cristianesimo, pur venendo a compire la legge Mosaica, non fu Mosaismo. Come all'abolizione generale e solenne del delitto ch'oggi chiamano pena di morte, è indispensabile l'abolizione del dogma dell'Inferno,
decapitazione dell'anima, e la sostituzione del dogma dell'espiazione progressiva, così l'emancipazione della Donna non sarà fatto compiuto nella sfera del diritto sociale, se non quando all'ipotesi Biblica della creazione successiva della Donna dall'uomo, sarà dai credenti sostituita l'unità delia creazione del tipo umano, e sancita così l'eguaglianza tra le due varietà.
Ma intanto è necessario preparare il terreno: è necessario svegliar l’uomo alla coscienza del proprio dovere verso la compagna che Dio gli diede — la Donna alla coscienza della propria missione, e alla necessità di meritare la propria emancipazione, come l'operaio va meritando la propria, mescolando l'opera sua alla nostra nelle lotte che sosteniamo per l'Unità e per la Libertà
della Patria, predicando il sacrificio, sagrifìcando, amando, operando.
Voi avete nel mezzo giorno d'Italia dato un primo e potente grido di rigenerazione. Proseguite senza stancarvi — e abbiate riconoscenti noi tutti e tra i primi
Settembre 23 del 1863.

il Vostro
Giuseppe Mazzini
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Un testo di Codice Civile  stampato dalla tipografia Franco-Italiana
di A. de Clemente

Firenze – Via della Fortezza
Sede della Tipografia "Franco Italiana" di A. De Clemente


Salvatore Morelli
Napoli.

Questa lettera la ricaviamo dal N° 21 anno 3° del giornale II Progresso, il quale, come si esprime, la riportò per orgoglio nazionale tradotta dal prof. Barra.

Londra 12 giugno 1863.

“Caro Signore
Con sommo piacere ho letto il vostro libro LA « DONNA E LA SCIENZA nell'originale italiano, offer-tomi da una signora inglese. Voi avete pienamente dimostrato la verità della vostra proposizione, che la causa della Donna è la causa dell'umanità. Il vostro ragionamento ed il vostro entusiasmo nel trattare la tesi, che involge i mezzi metodici di un completo sistema di rigenerazione morale e civile, onorano egualmente la vostra mente, ed il vostro cuore.
Io, che ammiro il vostro gran poeta Dante, ho apprezzato il giudizio che voi scrivete del suo sacro
poema, e l'elogio splendido che rendete alla memoria di quell'uomo meraviglioso.
Vi ho inviato per la posta alcune copie del mio Giornale, in cui sono inserite interamente le vostre
belle pagine tradotte in inglese. Vorrei fosse più degno del vostro lavoro, il quale è ad un tempo originale, cavalleresco, e sapiente.
Ho inviato pure una copia di un periodico, di cui io sono il Direttore in India, e vi prego gittare uno  sguardo sopra un articolo intitolato: la Valle dell' Eufrate.
Sembra che voi abbiate scritto relativamente al commercio fra l'Oriente e l'Occidente in una opera intitolata: La Storia di Brindisi. Vi sarei grato, se ora che il mondo si preoccupa tanto di tale quistione, vi piacesse d'inviarmene un'esemplare.
Spero che degnerete anche di una lettura alcuni miei versi pubblicati nello stesso periodico: e che trovandoli non privi di qualche pregio vorrete esserrai  cortese di tradurli nel vostro soave idioma. Li pubblicherò in India, ove è già noto il libro: LA DONNA E LA SCIENZA, e la biografia che vi ho aggiunto del suo autore e mio amico Salvatore Morelli, poichè spero d'ora innanzi mi permetterete di chiamarmi così. Credetemi »

Vostro Fedelissimo
William Smith 



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Al Signor Salvatore Morelli
Napoli.

L'articolo del giornale parigino La Situation è così concepito.

M. S. Morelli, dèputè au Parlement italien, l'auteur du célèbre livre: la Femme et la Science vient de présenter à ce mème parlement trois projets de loi d'autant plus importants qu'étant soutenus par la gauche ils courent la chance d'étre adoptés. Ces projets sont:

1° Octroi des droits politiques à la femme;

2° Suppression du ministère de l'instruction publique, qui sera dirigée exclusivement par les  communes;

3° Abolition des cimetières et restauration de l'usage de la crémation, qui dura en Italie jusqu'au quatrième siècle, et qui consiste à brùler les cadavres pour en conserer les cendres dans la familie.
Le fameux agitateur et philosophe Iota Stuart Mill, en coramunion d'idées avec M. Morelli (1), a presenté simultanément au Parlement anglais le mèrae projet de loi pour l'émancipation politique de la femme.
Une lettre de Garibaldi, datée de Monsommano, 6 juillet, et insérée dans le Diritto du 10, accorde le soutien le plus chaleureux aux trois réformes du député Morelli.


(1) Che l'illustre deputato inglese Stuart Mill sia in piena comunione d'idee col signor Morelli, chi ne può dubitare? Ma il dire che a Lui a chiesta al Parlamento britanno la completa emancipazione della Donna come U Morelli al Parlamento italiano, e inesatto. Stuart Mill à limitata la sua proposta al dritto del voto.

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L'EMANCIPAZIONE DELLA DONNA

GIORNALE SETTIMANALE

L'agitazione che si va creando per questo importante argomento nei varii centri delle città Italiane, dopo il manifesto di Garibaldi alle Donne, ai Giovani, ed alla Stampa indipendente, ci pone nel dovere di fondare nella capitale provvisoria del Regno, un'organo che serva al gentil sesso, ed a tutti coloro i quali intendono appoggiare la proposta del Deputato Morelli, coll'assumere la difesa di questa nobile causa e dell'educazione morale  della famiglia.
Il nostro scopo s'identifica perfettamente a quello dell'egregio giornale la Voce delle Donne, il quale sostenne e propagò coraggiosamente i principii della reintegrazione giuridica della Donna, nelle fluttuanze dei partiti retrivi che gli contrapponevano insormontabili ostacoli.
Ci auguriamo quindi che per tale coincidenza, e per l'ardore costante al bene della patria e dell'umanità, le illustri Signore Giovànnina Garcea, che dirigea la Voce delle Donne, Anna Maria Mozzoni, Giulia contessa Caracciolo ed altre che sì sapientemente vi collaboravano,
contribuiranno col loro virile ingegno e con la influenza loro alla prosperità della nostra opera.

Il giornale avrà sesto, tipi e carta eguali al presente opuscolo, perchè possa essere diffuso, letto e conservato più comodamente.
Esso verrà in carta e formato eguale al presente volumetto, in foglio di 16 pagine nelle quali non solo vi sarà trattata ampiamente la questione dell'emancipazione, ma la questione dell'insegnanento  e tutto quel che concerne il miglioramento delle scuole e della domestica educazione non che una breve rivista settimanale dei fatti sociali e politici più importanti alla storia del giorno, che abbiamo tutti l'obbligo di conoscere.
L'Emancipazione della Donna vedià la luce ogni settimana. Ogni foglio centesimi 30: un trimestre lire 4: un semestre lire 7: un anno lire 12. I pagamenti d'associazione debbono anticiparsi. La pubblicazione avrà cominciamento nel prossimo mese di novembre.

Dirigersi per gli abbuonamenti fin d'ora alla Tipografia Franco-Italiana di A. De Clemente in Firenze, Via della Fortezza N. 8.
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DISEGNO DI LEGGE PER LA RIFORMA
“Sulla Pubblica Istruzione”

“Onorevoli Signori,
Il primo pensiero del sapiente legislatore chiamato a fondare un nuovo stato, debba essere quello di formare la mente del popolo ai principi i del suo programma. La mente individuale e collettiva non s'illumina ne si forma che nella scuola, quindi il sapiente legislatore deve far rispondere numericamente e metodicamente questo efficace mezzo di trasformazione ideale allo scopo che
si propone.
Ha operato cosi il Governo italiano e la Camera legislativa nello iniziare la grand'opera dell'Unità?
Chi ha coscienza d'uomo onesto, di fronte ai fatti deve rispondere che no!
Un nuovo stato, sorgendo sulle rute cebi dei feudatari alla cui testa era il papato, proponi….scalzar questo come ostacolo allo sviluppo della società civile e politica, di cui facevasi banditore, e più per la fatalità storica legalizzata dai plebisciti e dai voti solenni della camera legislativa, di dare all'Italia la sua legittima capitale Roma, e trasforma …..proprietà delle mani morte in sorgente di vita…moitue economica, avrebbe dovuto per lo meno prepararsi nel…….
ignoranti, la cui superstizione poteva essere ostacolo al compimento dei suoi disegni, un'antimurale nella propaganda efficace della scuola gratuita ed obbligatoria. Ma sventuramente l'ultimo pensiero del legislatore italiano è stato questo: imperocché per quanto appare nei primi periodi del Governo d'Italia si è ispirato ostile alle mene reazionarie del clero,….ne poi che questo propagava nella scuola dominava….. con predilezione, e del difetto numerico, e metodico della scuola medesima, non si è affatto cura. Anzi, se si vuol essere veridico, tranne poche mutazioni nominali, lo spirito dell'istruzione è stato conservato intatto quale si ereditò dal governo dei tirannelli. Perchè nulla scuola si è serbato il catechismo, il prete, e tutto ciò che per l'innanzi aveva mantenuta in una crassa ignoranza le classi popolari. E per avere una pruova di fatto in proposito, mi basta ricordare le tesi di esame che venivano trasmesse dal Ministero dell' istruzione pubblica ai vari Consigli provinciali scolastici formolate così. Parlate della natura degli angeli. Si discorra del Sacramento dell'Eucaristia, e si parli di Dio sulla cena che istituì agli Apostoli!!/
Or, dopo questa prova d'ineluttabile retrivismo, non dobbiamo concludere, che la scuola ufficiale sia null' altro figlia della chiesa cattolica? Ed è nella …..cattolica che può educarsi la mente
ai principi della moralità e della libertà civile? non c'illudiamo tra la verità e la menzogna
non vi è transazione possibile.
Chi vuole l'uomo onesto, il cittadino produttore ed ubbidiente alla legge del dovere, bisogna che gli si apparecchino nella ….i mezzi d'un istruzione efficace, la quale è. enunciare dalla conoscenza di se stesso……deve finire nell'attitudine di darsi ragione dei fenomeni morali e fisici che si svolgono sotto i suoi sensi.
Quel volere mettere Dio come prima base dell'istruzione, secondo l'usanza dei preti adottata dal governo nostro, è un omicidio morale, perchè la creatura, essendo preoccupata sin dal nascere dall'assurdo dell'uno uguale a tre, rimane cieca ed ignorante per tutta la vita.
Dio è un sovraintelligibile, cui l'uomo non può arrivare mai a comprendere, e del quale acquista solo sparute nozioni pel principio di causalità, passando colla riflessione a traverso gl'immensi rapporti cosmici. Presentare Dio all'uomo nascente, digiuno di ogni sapere, è lo stesso che allucinarlo per tutta la vita; a quell'anima piccina Dio produce lo stesso effetto che pruova
colui che si attenta a guardare il sole, invece di restarne illuminato, rimane cieco!
Io che per propaganda ho svolto altra fiata queste materie, nou ristarò dal ripetere, che Dio non dev'essere il punto di partenza, ma il punto di arrivo, — predicherò sino alla nausea; che Dio dev'essere l' ultima non la prima parola dell'insegnamento. Quindi il voler mantenere nelle scuole popolari il catechismo ed il prete, non solo è un tradimento alla coscienza di un popolo, che ha compiuta la rivoluzione per passare dagli orrori della superstizione alla luce della verità, ma l'è anche un 'offesa grande alla libertà. Imperocché un paese che. ammette libertà di culti non deve escludere dalle scuole popolari coloro che non credono al cattolicismo, dai… a queste un'impronta puramente cattolica, ma deve schiudere in esse, secolarizzandole da ogni forma religiosa, il seminaio della moralità e dell'istruzione puramente scientifica e civile.
Oltre a ciò, o Signori, il legislatore italiano non rispondeva alle esigenze della istruzione popolare per difetto organico delle scuole, per manumissione della dignità dei maestri, e pel numero ironico delle scuole medesime.
Quando vediamo lo studio messo dal elencato per circondare di prestigio la chiesa, che è la sua scuola, onde illudere la fervida immaginazione delle masse, le quali per tal uopo si rendono volontariamente e diuturnamente sue tributàrie, e poi vediamo le scuole ufficiali del Regno d'Italia istallate in luoghi angusti, umidi, talvolta miasmatici, e mancanti dei concreti e dei libri necessari all'istruzione, abbiamo senza dubbio ragion di credere, che i ministeri passati non hanno agito di buona fede, e con questa larva non han cercato altro che gittar polvere negli occhi dei babbei.
Del modo osceno poi ed irriverente usato verso i maestri dei due sessi non è a parlarsene : basta ricordare, che il maestro, quest'apostolo cui è confidato l'augusto incarico di creare lo spirito dell'avvenire nella coscienza delle generazioni, si assimila alle meretrici, chiedendogli per l'esercizio del suo ministero la famosa patente, e non si giudichi più degno di un servitor da livrea,
dandogli per emolumento quel meschinissimo di 50 o 60 lire al mese.
Per l'Italia questo disprezzo all'intelligenza non è cosa nuova, perchè tranne gli uomini del privilegio, i liberi pensatori furono sempre dannati alla miseria, per il quale, quando non si ebbe il coraggio di morir di fame, la intelligenza o deviò, o si prostituì. Ma era sperabile che tale miserando spettacolo, il quale nella storia nostra s'elevava come un delitto della coscienza
nazionale, venisse cancellato dall'opera del governo chiamato ad iniziare una nuova óra di riparazione.
Però questa speranza, come tant'altre, falli e le appreziazioni del governo italiano sui maestri di scuola e sulle libere intelligenze furono le stesse di quelle del papa.
Lo diceva, Signori, che il numero delle scuole fondate dal Governo italiano e dai Municipi! sotto la sua suprema direzione era un'ironia; imperocché le scuole debbono rispondere all'esigenze degli analfabeti, e volendo stare anche alla statistica poco esatta del Ministero d'istruzione pubblica, in quelle già fondate ascendenti appena al numero di sei o settemila!? non solo non vi è la possibiìità locale di farvi entrare 17 milioni di discenti, ma statuisce una marcata ingiustizia, un odioso
privilegio, il quale ammette taluni all'istruzione, e ne esclude la maggioranza, mentre dal primo fino all'ultimo pelapiede da trivio paga allo stato tarì o di tributi da dargli dritto a questo benefizio. Il legislatore giusto non volendo imitare l'America, che impone una scuola per ogni 300 anime, dovrebbe almeno farne erigere una per ogni 600.
Vi ò anche di più, fra gli errori di quest'importante ramo della pubblica amministrazione, e questo consiste nell'avere il legislatore italiano trascurate le categorie, che nella scuola avrebbero dovuto dare completo svolgimento agl'istinti speciali del nostro popolo, e fornire cosìi nella varietà dei criteri razionali ed economici la vera forza dello stato, la vera sorgente della pubblica e privata ricchezza, da cui solo possono crearsi risorse finanziarie, costringendo col genio produttore l'uberifera natura a produrre il colmo degli spaventevoli disavvanzi.
Di fatti il nostro popolo è eminentemente agricolo, e di agricoltura non si parla nella scuola, non si presentano col concreto di macchine e di altro gli splendidi risultati che la scienza fa sperimentare ad altre provincie del mondo meno fortunate di noi.
In Italia vi è l'accattonaggio sistematico dei due sessi, allevato dal vecchio dispotismo politico ed ecclesiastico col proposito di far delle donne meretrici, e degli uomini tanti truffaldin da galera. Ebbene l'unico mezzo per cancellare questa vergogna era quella di creare offici industrali, ove raccolte tali genti e disciplinate al lavoro del capitale privato, avrebbero avuto da alimentarsi, da vestirsi da istruirsi ai doveri morali e civili, e mercè il frazionario risparmio giornaliero ,
apparecchiarsi un sostegno per l'avvenire.
Di questo potentissimo mezzo moralizzatore il legislatore italiano non si è dato caso, tanto che può dirsi che non ha demolito, nè edificato, accettando intorno a questo edifiicato argomento, la vieta eredità dei vecchi governoli senza bemuzio d'inventario.
Nulla dico poi circa alle prescrizioni regolamentari della scuola. Purché il cittadino impari a leggere, scrivere, computare, ed a farsi il segno della santa croce, si crede essersi sdebitato verso di lui e verso la patria di quanto occorre ad essere uomo ragionevole e produttore.
No, signori, quest'è un altro errore che trascina a funeste conseguenze. La scuola debbo far conoscere all'uomo che cosa egli è, e quale missione debba adempire sulla terra: Per conseguenza la scuola debba essere fornita degli scheletri umani, debba avere macchine di fisica e chimica per ispiegare al discente i fenomeni più comuni della vita, la scuola deve infine aprire al genio popolare le sorti dell'avvenire, apparecchiando chi ne degno agli slanci fortunati, cui finora il privilegio rese possibili le alte classi sociali. Sicché pei figli ……sempre miseri e sempre abbietti sorga nell'animo la voluttuosa speranza, che svolgendo le facoltà del loro spirito, raggiungano un giorno anch'essi le alte magistrature dello Stato.
Quello che io ho avuto l'onore di dirvi intorno alle scuole comuni, va ripetuto ancora pei Licei, Ginuasii, Collegi, scuole Tecniche ed Università. Falsato l'indirizzo in principio, le medesime inconseguenze seguono nelle diverse gradazioni di quest'istituzioni.
Tutto vi è imperfettamente organato, tutto sembra disposto al fine di fare degli uomini nascenti non dei liberi cittadini coscienti del dritto e del dovere, ma di formare invece una generazione di sagrestani egoisti, snervati e senza dignità. Questo triste andamento della pubblica istruzione diretta dallo Stato, dimostra la necessità logica accennata da tutti i buoni pensatori, che essendo cioè l'istruzione mezzo all'educazione, e l'educazione tutta quistioue di famiglia, niun altro avrebbe
potuto ben dirigerla quanto i Municipi, che assumono la civile paternità della famiglia. L'ingerenza dello Stato invece di far bene, fa male, anzi distrugge le feconde risultanze dell'intelligenza coltivata. Quindi quando lo Stato ha data fuori una legge, che regoli l'andamento  della pubblica istruzione, il resto debba lasciarsi al Comune, il solo vivamente interessato perchè essa prosperi e raggiunga il fine dell'umana perfettibilità.
Da ciò, onorevoli Signori, io ho desunta la necessità di proporre l'abolizione del Ministero dell'Istruzione Pubblica, ed in questo medesimo schema di legge riassumere brevemente le norme del come la istruzione debba essere regolata nelle sue graduali esplicazioni, sperando che le onorevoli S. V. gli facciano buon viso, anche nello scopo di sdebitarci colla Nazione del primo
obbligo, che nel rappresentarla, abbiamo solidalmente assunto, di darle cioè l'ideale con una istruzione adeguata alla civiltà, la cui mancanza è genitrice del disordine, miseria, e fiacchezza nazionale nella quale dolorosamente versiamo.

SCHEMA DI LEGGE

-          Art. 1° — Il Ministero della pubblica istruzione e abolito.

-          Art. 2— Sono aboliti altresì i Consigli scolastici, ed altre consimili istituzioni da esso dipendenti.
-          Art. 3° — QV impiegati dell' abolito Ministero della pubblica istruzione, che hanno capacità spiccata e non ancora raggiunti gli anni della liquidazione di una pen-sione di ritiro, o di altro sussidio sufficiente alla vita, verranno tramutati in altri uffici dello Stato, o raccomandati ai Comuni per utilizzarne il merito nelle cariche insegnanti od in quelle dell'ispettorato.
-          Art.. 4° — La pubblica istruzione rimane affidata ai Consigli comunali, i quali d' oggi innanzi assumeranno l'obbligo di farla prosperare con tutti i mezzi consentiti dalla legge.
-          Art. 5° — Essi provvedereranno all'organamento delle scuole, alla nomina degl'insegnanti dei due sessi, ed a quella dei sotto-ispettori mandamentali, i quali verranno eletti sempre per concorso, sia di merito, sia d' esperimento.
-          Art. 6° — Essendo le donne più attuose a comunicar la verità alle creature nascenti, i Municipi cureranno che queste fossero preferite nell'insegnamento delle scuole dei ragazzi che non ancora raggiunsero i sette anni.
-          Art. 7° — Le patenti di qualunque natura sono abolite. GÌ' insegnanti invece, che dietro il concorso verranno approvati, riceveranno dal Comune un diploma corrispondente, ed il passaggio degli studenti pei gradi accademici verrà fatto sul testimonio di un semplice certificato d'assistenza.
-          Art. 8° — In ciascuna provincia vi sarà un Ispettorato generale nominato dal Consiglio provinciale, il quale conferirà coi sotto ispettori dei mandamenti per sempre più migliorare lo sviluppo dell'istruzione pubblica, specialmente in quei luoghi ove deficienza di mezzi, o negligenza municipale non facesse prosperare le scuole.
-          Art. 9 — I sotto -ispettori detteranno due volte la settimana lezione di pedagogia ai cittadini dell'uno e dell'altro sesso, che vogliono imprendere l'ufficio d'insegnanti,
-          Art. 10° — La istruzione sarà gratuita ed obbligato! Sicché ogni cittadino avrà l'obbligo di andare, e di man- dare a scuola i figli e dipeiivleuti suoi.
-          Art. 11° — Coloro che trascureranno qucst' obbligo, saranno prima avvertiti, poscia ammoniti dall'autorità municipale, e da ultimo tradotti innanzi al Pretore urbano per esser condannati o ad una multa rispondente alla loro entità finanziaria, o alla detenzione , la quale si estenderà da cinque giorni ad un mese.
-          Art. 12° — In ciascun Comune vi sarà aperta una scuola per ogni 600 anime.
-          Art. 13° — La scuola sarà fondata sempre nel più decente, spazioso e salutifero abitato del Comune, ed oltre ai mezzi concreti per imparare il leggere, scrivere e computare, vi saranno apparecchi anatomici, onde l'uomo nascente acquisti la conoscenza del proprio organismo e sappia come conservarlo, anche igienicamente. Conterrà del pari in rilievo le carte geografiche per dargli la nozione del mondo nel quale entra nuovo ospite, ed infine per fargli conoscere le proprietà dei corpi e spiegarne i fenomeni, ei bisogna che vi sieno nella scuola macchine economiche di fisica e chimica. Oltre a ciò gli s'istilleranno nella mente le leggi del dovere e del diritto, perchè sappia quel che deve, e quel che non deve fare. In somma la scuola deve contenere ogni mezzo atto a determinare nell'animo del cittadino nascente gli essenziali criteri, che costituiscono la logica della vita.
-          Art. 14° — È vietato insegnare nella scuola il catechismo cattolico o di altra religione ; nè di ammettervi all'insegnamento le così dotte suore o figlie della carità, o chi eserciti il sacerdozio di qualunque religione.

-          Art. 15° — Nella scuola debbonsi insegnare i principi della libertà e moralità civile, che son comuni a tutto il genere umano. Ohi vuole la religione la impari nella casa, o nella chiesa.

-          Art. 16° — Oltre ai scuole elementari ogni Comune avrà una scuola d'agricoltura pratica, e quelli marittimiuna di nautica, le quali saranno aperto in tutti i giorni ed anche le domeniche per l'istruzione di queste classi

-          Art. 17° — Nei Comuni di sei mila abitanti, vi sarà pure una scuola che raggiunga i gradi della quarta classe.

-          Art. 18° — Nei Comuni di dieci mila abitanti verrà istituita una scuola tecnica, ed un opificio industriale, dove si raccoglieranno gli operai nascenti dei due sessi, che non hanno modo per istruirsi ed alimentarsi. Il Comune con capitolati che olirono all'industria privata il vantaggio di vaste località, quali potrebbero essere i conventi disabitati, e la forza di 400 o 500 braccia, metteranno volentieri macchine e capitali e si obbligheranno dalla produzione istruirò, alimentare, vestire, e formare con un tenue risparmio giornaliero un appannaggio per ciascun di quegli operai, quando volessero recarsi fuori lo stabilimento.

-          Art. 19° — Ciascuna città, che raggiunge i ventimila abitanti avrà un liceo ed un collegio per le classi più agiate, e per coloro che vogliono conseguire i gradi accademici nelle speciali branche dell'umano sapere. Dove vi è la possibilità, il Municipio curerà fare istituire asili infantili, i quali saranno affidati alle cure materne di donne italiane.

-          Art. 20° — I Comuni che vorranno conservare i ginnasi, collegi e licei fondati dal Ministero dell'istruzione pubblica, dovranno uniformarsi allo spirito della presente legge, secolarizzandone la istruzione.

-          Art. 21° — I regolamenti speciali delle scuole dei Comuni, dei collegi, dei licei e ginnasi, scuole tecniche, opifizi industriali ed asili infantili, verranno redatti, discussi ed approvati dai Consigli comunali e quindi passati alla revisione della Deputazione provinciale nel solo scopo di vedere se la legge fu osservata, saranno messi in esecuzione.

-          Art. 22° — Le università rimarranno sotto la giurisdizione del Municipio dove esistono. Il Consiglio comunale assumerà l'obbligo di far sì che le università rispondano allo scopo della loro istituzione, costituendo in esse la Enciclopedia dell'umano sapere, dalla cattedra di pedagogia fino all'ultima gradazione accademica dello scibile.

-          Art. 23° — Lo schema pratico delle nozioni antropologiche che deve servire di programma al professore di pedagogia, verrà formolato elementarmente dal corpo accademico, concorrendo ciascuna specialità perla parte che la riguarda.

-          Art. 24° — Il monopolio delle cattedre è abolito. Ogni libera intelligenza che ha titoli sufficienti per montare una cattedra, avrà dal Comune licenza d'insegnare nelle università, e salvo l'eccezione di qualche illustrazione nazionale, ogni professore riceverà il soldo corrispondente, quando si sarà constatato dall'esperimento di un anno, che sia stato udito con asseveranza da non meno di cinquanta giovani, e ne abbia nutrito bene la mente ed il cuore con lezioni non interrotte e coscienziose.

-          Art. 25° — I Comuni cureranno che nelle università non manchi l'insegnamento delle nuove scienze, come sarebbe quello della Omeopatia, la quale come progredisce nei suoi sperimenti a bene dell'umanità in America, in Germania, in Inghilterra ed in Francia, così deve anche fornire alla nostra penisola i suoi lumi per lo scongiuro dei mali, costituendo nell'università italiane, e negli ospedali clinici i mezzi di esplicazione per rivelare i veri raccolti dall'esperienza.

-          Art. 26° — I regolamenti dell'università verranno redatti dal corpo accademico e sottoposti all'approvazione del Consiglio comunale presso cui hanno sede, e rivedrà per semplice modalità legale dalla Deputazione provinciale,' dopo di che avranno vigore.

-          Art. 27 — Le tasse universitarie sono abolite. I giovani Studenti pagheranno nell'ascriversi fra le classi universitarie 50 lire pel corso delle lezioni di ciascun anno. Oltre a questo non sarà esatto da essi altra contribuzione, e daranno gli esami, e conseguiranno le cedole, licenze, e lauree gratis.

-          Art. 28° — Coloro fra gli studenti universitarii, che constatano autenticamente povertà, verranno dispensati anche dalle 50 lire del corso annuale.

-          Art. 29° — Sarà espressamente vietato di formolare preventivamente le tesi sulle quali debbono essere esaminati gli Studenti. La Commissione esaminatrice dovrà formolare nella stessa sala accademica l'argomento su cui vuoisi la pruova, e quand'anche il giovano non rispondesse adequatamente alla forinola, ma mostrasse d'avere criteri giusti della materia e sveltezza intellettiva, bisogna tenerne il debito conto.

-          Art. 30° — Nessun giovane Studente dell'università può essere obbligato agli esami annuali. Egli potrà presentatisi quando crede.

-          Art. 31° — Le domande per gli esami universitari i saranno fatte in carta semplice senza formalità al segretariato, il quale avrà cura segnare gl'individui nella lista degli esaminandi.

-          Art. 32° — Gli Studenti, che invece dei corsi universitari!, frequentano gli studi di privati professori notabili, constatato ciò, debbono essere ammessi agli esami universitarii, pagando però il contributo di istruzione calcolato per tanti anni di corso, per quanti ne esigevano i gradi accademici che cercano conseguire. Quando poi ragion di povertà provasse, che qualche Studente doveva assistere a studi privati per far procaccio di mezzi alla sua famiglia, questi verrà senza alcuna contribuzione ammesso agli esami universitarii.

-          Art. 33° — Le Provincie che mandano i loro figliuoli all'istruzione universitaria, contribuiranno per rate un assegno annuale all'università medesima quando risulti che la contribuzione pei corsi non basti alle spese, allo sviluppo, ed al decoro dell'università

-          Art. 34° — I reclami degli Studenti verranno presentati al Comune, il quale curerà far ottenere loro la ragione che meritano. Quando riguardano il corpo degli Studenti universitari, allora i reclami saranno presentati al Comune da una commissione non più numerosa di cinque individui. Ove i fatti esposti dagli Studenti del corpo universitario fossero di tale gravezza da esigere un'inchiesta, allora il Sindaco, dietro parere del Consiglio comunale, ne riferirà senz'indugio alla Deputazione provinciale, la quale, eretta a Giuri coll'intervento dell'Ispettore generale, prenderà esame dell'esposto, ed emetterà il suo giudizio.

-          Art. 35° — Gl'Istituti musicali in forza della presente legge cadranno tutti sotto la giurisdizione del Comune, e questi provvederà perchè si migliorino le sorti dell'arte e degli artisti.

-          Art. 36° — L'Ispettorato generale avrà due segretari, e convocherà nella sua sede centrale tutti o parte dei sotto ispettori, che costituiranno un Consiglio di Ispettorato, quando crede necessario si prendano deliberazioni prò o contra i Sindaci e Commissioni d'istruzione pubblica delegate dai Consigli comunali.

-          Art. 37° — Egli, come l'uomo della legge, veglierà perchè essa sia eseguita, e quando vede che qualcuno dei Municipi ne viola l'applicazione, ne farà prima reclamo al Sindaco, e poscia, ove questi se ne mostri indolente, denuncerà i fatti alla Deputazione provinciale, la quale aprirà un'inchiesta a carico dei disvolenti, e costituita in Giuri amministrativo, li multerà se rei, corrispondentemente alle gradazioni penali, che verranno stabilite in apposito regolamento redatto per l'esecuzione della legge, ed approvato dal Consiglio provinciale.

-          Art. 38° — Se nel Comune si trovi uno o più individui dei due sessi, che all'età di otto anni non sappia dopo due anni dalla pubblicazione della presente legge leggere, scrivere, e computare, o manchino delle cognizioni prescritte dalla legge, quando ciò sia avvenuto per negligenza del Sindaco o della Commissione prò tempore delegata dal Consiglio, questi saranno non solo puniti colla pena del carcere, ma pagheranno anche solidalmente tanta multa, per quanto è necessario a fare acquistare a quegli individui le cognizioni prescritte dalla legge. Se poi viene costatato, che il fatto è imputabile ai genitori o a chi ne assume la tutela, questi subiranno le medesime pene.


-          Art. 39° — Il Comune avrà altresì l'obbligo di fare esercitare alla carabina tutti i ragazzi da sette a quindici anni il giovedì e la domenica. La medesima istituzione si riterrà nei Collegi delle classi superiori.

-          Art. 40° — Per contribuzione dei Comuni, la Deputazione provinciale costituirà un largo premio, il quale verrà aggiudicato a colui od a coloro che avranno scritto il miglior libro pedagogico, in cui si espongano con metodo parabolico ed agevole a svolgere la riflessione dei discenti, le materie prescritte dalla legge, e tutto quello che può rendere l'uomo onesto e laborioso produttore.

-          Art. 41° — L'Ispettore generale percepirà il soldo di Lire 500 al mese — i suoi Segretari ne avranno 200 per ciascuno.

-          Art. 42° — I soldi dell'Ispettorato generale della provincia verranno contribuiti gradualmente da tutti i Comuni. Quelli poi dei sotto -ispettori saranno a carico dei Comuni dei mandamenti dov'essi esercitano il loro ufficio.

-          Art. 43° I sotto-ispettori poi avranno il debito di sorvegliare le scuole da essi dipendenti, ed osservare se gl'insegnanti dei due sessi adempiono scrupolosamente il loro dovere.

-          Art. 44° — Gl'insegnanti dei due sessi percepiranno ciascuno l'emolumento di non meno di 100 lire al mese, salvo il premio di 100 sino a 500 lire, che conseguiranno dopo l'esame annuale, quando sarà pruovato di aver bene istruito un numero considerevole di discenti.

-          Art. 45° — Quest'aggiudicazione verrà deliberata dalla Commissione delegata dal Consiglio comunale, la quale assumerà durante il corso dell'esame, autorità da Giuri.

-          Art. 46° — Nelle scuole verranno ammessi aiutanti dei due sessi alla dipendenza dei maestri nominati per concorso dal Consiglio comunale. Questi aiutanti perceperanno la metà del soldo dei maestri, e dopo due anni di lodevole esercizio, avranno dritto alla proprietà dell'uffizio.

-          Art. 47° — Quando nel fare i pubblici esami, si riveli nei figli del popolo genialità straordinaria per la scienza o per l'arte, il Municipio cui appartengono, ne curerà la completa educazione, mantenendoli a proprie spese negl' Istituti dove più inclinano i loro istinti.

-          Art. 48° — Quei ricchi proprietari che fonderanno a proprie spese scuole e opifizi industriali, verranno salutati benefattori della patria, ed il Comune in una lapide collocata sul fronte della sua sede, scolpirà il nome ed il beneficio su pietra di marmo perchè siano benedetta dalla posterità.

-          Art. 49 c — Sarà coniata una medaglia d'oro, argento e bronzo del merito civile, la quale verrà aggiudicata ai genitori, ai cittadini, ai maestri dei due sessi, agli artisti, agli scrittori distinti, ed a chiunqne contribuisce col suo lavoro al miglioramento dello spirito umano ed al benessere morale ed economico del paese.

Firenze 18 giugno 1867.
Salvatore Morelli Deputato

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I Tre Disegni di Legge sulla

Emancipazione della Donna,
Riforma della Pubblica Istruzione
E’
Circoscrizione Legale del Culto Cattolico Nella Chiesa”

Di Salvatore Morelli
Deputato al Parlamento

Preceduti da un Manifesto
Di
Firenze- Tip. Franco – Italiana
Di A. Db Clemente
Via della Fortezza, N. 8
(Anno) 1867


“AL LETTORE



Li bulla fama di martire intemerato, d'indipendente pensatore, di austero e operosissimo patriota, e di pubblicista fra i più energici e costanti oppositori del mal sistema dei moderati, che dal 1860 in qua ha condotto il paese alla rovina ed al disonore, questa bella fama che ha assunto il sig. Salvatore Morelli al supremo onore del parlamento nazionale, malgrado la guerra codarda ed ingenerosa di prezzolato fazioni, fece sorgere naturalmente il desiderio di sapere a quale fine miravano i tre progetti di legge presentati dal medesimo alla Camera nella tornata del 18 giugno
ultimo. •
Questo desiderio crebbe per l'indugio messo dalla Camera nel discuterli, quando la voce di Garibaldi sempre nunzia di bene e di verità, dalla grotta di Monsummano, mise in luce non solo lo scopo di quei progetti, ma destò nella miglior parto degl'italiani il desiderio di leggerli o meditarli. Ed è appunto per soddisfare a questa esigenza della pubblica opinione, che noi mettiamo a stampa ed il manifesto dell'illustre Generale, il quale con l'istinto della divinazione ne ha rivelato al paese la sublimita concetto emancipatore, ed i tre disegni di legge dell'unorevolo deputato Morelli. Questi tre progetti accettati e sostenuti dall'entusiasmo generoso dei pubblicisti indipendenti, del gentil sesso, dei giovani, e dai voti della Camera, daranno all'Italia con l'emancipazione della donna, la gloria della più grande riforma che interessa non la metà ma l'intero genere umano.
Dinnanzi a questo atto solenne scompariscono i parziali riformatori cui la gratitudine delle nazioni ha elevato monumenti. Abbia il legislatore italiano il coraggio di compierlo, e con questo provveda simultaneamente alla diffusione del sapere nelle masse popolari, non che alla rimozione di vecchi ostacoli, la patria nostra conseguirà quei beni morali che saranno buse al suo luminoso avvenire.

Firenze 15 luglio 1867
Gli Editori
Antonio Camagna e Comf.
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Alle Donne, Gioventù studiosa e Stampa indipendente d'Italia

“ I tre disegni di legge presentati al Parlamento dal deputato Salvatore Morelli, da me letti attentamente, sono la formola legale di quel sistema di rigenerazione, che mi lievitò sempre nel cuore, ed al quale aspirano costantemente i buoni patriotti, e specialmente voi donne, studenti e giornalisti, la cui voce io udii levarsi tante volte, ma infruttuosamente, contro un potere
di ferro che ha negato fin ora al gentil sesso i suoi diritti, alla gioventù le garanzie dell'intelligenza, ed alla stampa indipendente la liberta di sostenere la propaganda dei grandi principi.
II concetto del Morelli è sublime, perchè è concetto di emancipazione. Egli ha visto la patria arrestarsi nei suoi progressi morali ed economici, e trovandone le cagioni nella ignoranza del popolo, nella degradazione della donna, e nella maligna influenza del prete, invece "ì ricorrere, come il governo degli ebrei, alle tasse ed alle usure straniere, entrando in Parlamento ha detto:
« la nostra ricchezza come quella di tutte le nazioni sta nella libertà, sta nel pensiero emancipato, sta nei visceri della terra! cerchiamo dunque che il nostro spirito divenga libero, aboliamo il monopolio delle università e della istruzione officiale, animiamo il genio produttore del popolo con la scuola moltiplicata in ogni angolo d'Italia, ripurgata dai pregiudizi ed illuminata dalla scienza, ed avremo la ricchezza sufficiente a colmare i deficit ereditati dai barattieri, ed a riacquistare la natia prosperità ».
Ha detto pure: “Chi deve amministrare questa ricchezza bisogna che abbia la coscienza del dovere,  la coscienza del dovere non si ha nel foro, se manca in casa — depositaria di questa coscienza in casa, dovrebb'essere la donna — ma questa degradata e schiava non comunica all'uomo che la irritazione del suo stato anormale; quindi conchiude logicamente il Morelli: se
si vuol dare la coscienza del dovere e la dignità all'uomo, bisogna darla prima alla donna, rilevandola dallo stato di schiavitù nel quale ingiustamente giace, col conferirle tutti i diritti che esercitano gli altri cittadini del regno » .
Da ultimo egli ha detto: “ Ostacolo ad ottenere tali lini in Italia è il clero cattolico. Se non ancora il popolo s'induce a recidere questo cancro che gli divora il cuore, almeno in forza del principio della libertà di coscienza, mettiamolo nei limiti degli altri culti, reprimiamone legalmente gli abusi, circoscrivendolo nella chiesa, e togliamogli il pascolo dei morii, adottando invece dei campisanti, che riempiono di miasma le città, il sistema di cremazione usato utilmente dagli antichi Greci e
Romani, non che dagli Italiani, fino al quarto secolo dell'Ora volgare.
Donne, studenti,' giornalisti del libero pensiero, l'ispirazione del Morelli formulata in questi disegni di legge è pratica, e concretizza un iutiero sistema che solo può sanarci le piaghe di quello che ora ci tortura, e rialzarci moralmente ed economicamente in pochi anni.
Egli è stato il primo rappresentante nell'Europa e nel mondo intero, che ha osato con audacia senza pari sfidare i pregiudizi dei secoli, e specialmente di quello inetto e ridicolo nel quale vegetiamo, portando sul campo legale il fulcro delle quistioni sociali, che si realizza
nell'emancipazione della donna e dell'umano pensiero.
Io spero, io credo, che questo conato altamente (genio ?). del deputato Morelli, cui si ligano gli interessi italiano s 'e mondi, non rimanga senza effetto, come non (riprendere ?) il frutto dell'opera di coloro, che apparecchiarono la rivoluzione francese, formulando i diritti del Popolo (tutto?)..il difficile è che la verità si conosca; conosciuta appena, il suo passaggio dallo stato ideale al reale, è
rapidissimo.
Coll'emancipazione della donna si darebbe all'Italia l'iniziativa della più grande riforma, ristaurando la scaduta moralità della famiglia — con la moltiplicazione ed emancipazione della scuola si animerebbe il genio della gioventù assonnata dai papaveri ufficiali, si scoprirebbero le miniere della ricchezza, ed usciremmo dalle unghie dell'usura straniera — colla limitazione del culto nella chiesa scomparirebbero dalle nostre vie le ridicole ed incomode scene, che al dir del Morelli, tolgono all'industria ed al commercio il meglio del loro tempo, e ci fan sembrare viventi nel medio evo.
Se alle consorterie retrive della Camera parrà (indiscusso ?) il Morelli, perchè colle sue oneste e patriottiche (parole ?) " le disturba dalla contemplazione del disegno di decorticare il popolo italiano con la nuova tassa sul macinato; a voi donne, studenti e liberi giornalisti conviene
sostenerne e propugnarne i principii con propaganda animata, meeting, petizioni, comitati, e con qualche mezzo valido a produrre nella coscienza pubblica qualunque forza di opinione che fa obbedire legislatori e governanti. “

Grotta Monsummano, 6 luglio 1867.
G. Garibaldi.
Nel 1867 Giuseppe Garibaldi fu ospite a Monsummano nella villa ottocentesca Giusti.  Garibaldi si stava preparando ad espugnare Roma e lo Stato Pontificio per unirli al nuovo Regno d’Italia. Si fermò a Monsummano per sottoporsi ai bagni termali della Grotta Giusti, dette anche Grotte di Monsummano, per curare il forte dolore alla gamba che era stata ferita in guerra. I bagni terminali ebbero l’effetto sperato e Garibaldi ringraziò i proprietari con una lettera dai toni entusiastici.






Nota N. 5
Alcune vignette pubblicate sul giornale satirico “La Lima “ di Roma

“La Lima “ 1871 : I Romani si pronunziano (a sinistra)
Dopo il 20 settembre 1870 (La Presa di Roma) (a destra) –
Prima e dopo il 20 settembre.. per omnia secula seculorum

(“La Lima – 26/12/1871
Seum – Il Piano Finanziario di Sella
Ajuto  se che piano.. dovrebbe annà benone –
Co tasse e sopratasse annamo a tommolare)

(“La Lima” – 18/01/1872
Sum. Il trionfo di Ghigleri così detto procuratore del Re –
Su carro di gioia – di malva recinto –
Ghigleri sequestra – da quelli sospinto)
(foto prese dal sito : wwwmuseosatira.com)

Nota n. 6
Maria Grazia Colombari ho scritto un interessante libro dedicato a Salvatore Morelli “Il Deputato delle Donne”, edito da  Robin. Alcuni stralci
(…) 1861 

La donna italiana non ha il diritto di voto, non può accedere a tutte le professioni, non può far carriera nel mondo del lavoro e nella politica, non può scegliere liberamente il marito e, una volta sposata, non può mantenere il proprio cognome e non può trasmetterlo ai figli, non può esercitare la patria potestà, non può testimoniare, né denunciare: insomma la donna italiana non ha gli stessi diritti dell’uomo, anzi: non ha diritti.

Il percorso verso la parità di genere, iniziato 155 anni fa, non si è purtroppo ancora concluso. Ci sono tuttora alcuni pezzi dell’odioso tetto di cristallo da rompere ma certamente la tenacia delle donne arriverà a cancellare tutti gli stereotipi e tutti quei pregiudizi che ancora offendono la dignità di questa metà del cielo. Il Movimento Femminile italiano si fa sentire in maniera evidente negli anni Sessanta del Novecento.
(…) Quello è stato indubbiamente un periodo importante poiché ha determinato il cambiamento di molti aspetti della vita socio-politica italiana. (…) ma la nascita vera e propria del movimento femminile in Italia avviene all’indomani dell’Unità d’Italia, nel 1861, quando con il primo Codice Unitario Pisanelli, dal nome primo Guardasigilli, si legiferò spudoratamente al maschile. All’uomo i diritti, alla donna i doveri. “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani” E così a “Fare le Italiane” ci pensarono le donne. Anna Maria Mozzoni, Cristina Trivulzio di Belgioioso, Alessandrina Ravizza, Laura Solera Mantegazza, Anna Kuliscioff, Matilde Calandrini, Emilia Peruzzi, Clara Maffei, Maria Montessori, Angelina Altobelli, Matilde Serao, Teresa Casati Confalonieri, Bianca Milesi, Vittoria Cima, Selene Anselmi Kramer, Luisa Battistotti Sassi ed Ernesta Legnani Bisi. Questi i nomi di alcune di quelle donne che hanno fatto la Storia, ma che la Storia ha vergognosamente dimenticato (…)
Istruzione obbligatoria, diritto di voto, giusta retribuzione e leggi contro la violenza sessuale sui posti di lavoro e in casa: queste furono le prime richieste del nascente movimento femminile, richieste dal sapore decisamente attuale. La reazione del potere politico – sociale, saldamente in mani maschili, fu di negazione di qualsiasi apertura legislativa in senso femminile e si ribadiva, con il consenso della Chiesa, contraria all’unita politica italiana ma favorevole a considerare la donna inferiore all’uomo, che il ruolo della donna doveva essere essenzialmente quello di casalinga, per usare un termine più vicino a noi. Questa banalizzazione della donna sollevò l’indignazione dell’intellighenzia femminile, che pur sapendo di combattere contro i mulini a vento, cominciò il lungo cammino verso la parità.
(…) Morelli è stato un pioniere con le con le sue concezioni addirittura avveniristiche – alcuni parlavano di utopia. Morelli è stato un profeta inascoltato. Le donne, cui vuol dare i diritti che spettano loro, sono le donne invece cancellate dal Codice Unitario. Gli ostacoli, che nel corso degli anni si presenteranno, saranno molti: la mentalità maschile e maschilista, l’atteggiamento di netta chiusura della Chiesa, che considerava Eva l’incarnazione del peccato, destinata al massimo a ricoprire nella società il ruolo di angelo del focolare e appendice dell’uomo e purtroppo anche la resistenza di alcune donne che non capivano la necessità di riforme nei loro confronti.
(…) I politici del neonato Regno d’Italia, nonostante avessero ben chiaro quanto fosse stato fondamentale l’apporto femminile durante le Guerre d’Indipendenza, non pensarono minimamente di modificare la condizione sociale della donna, né di difendere il sesso femminile con leggi adeguate. 

(…)Salvatore Morelli è stato l’unico parlamentare ad aver lottato, sempre e comunque, in Parlamento perché alla donna venisse riconosciuta la parità di diritti con l’uomo… per le sue proposte di legge in favore della parte più debole ed umile della società, sarà oggetto di forte emarginazione tra i banchi dell’Aula Parlamentare. 

(…) la donna aveva già qualche diritto e concederne altri non avrebbe giovato al miglioramento sociale anzi sarebbe stata la causa di mali peggiori. La risposta di Morelli non si fece attendere. «Che in fatti di diritti non è lecito dire, ne ha avuto abbastanza –finché- non ne ha quanti gliene spettano, quanti gliene accorda la natura, ha sempre ragione di reclamare il completamento né alcuno può obbiettare la opportunità senza violare la giustizia distributiva su cui si fonda la stabilità dell’equilibrio sociale». Eppure la legislazione, evidenzia Morelli, relativamente alla famiglia privilegia l’uomo e nega ogni diritto alla donna. Morelli chiede in Aula che alla donna venga concesso di dare il proprio cognome al figlio in quanto è lei che lo genera e gli dà la vita. Questa sua richiesta incontrerà l’opposizione di gran parte dei politici che ritenevano impossibile la sua proposta poiché la perpetuazione del cognome del padre e l’eredità erano diritti inviolabili. 
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito nel 2014 (sentenza 7 gennaio 2014, Pres. Karakas, n. 77/2007) che «dare ai figli il cognome della madre è un diritto». (..)Riletta oggi, la posizione di Morelli è condivisibile ma negli anni in cui veniva espressa rappresentava una profonda rivoluzione dei sistemi sociali. (…) Secondo i dati della Camera furono 294 gli interventi di Morelli in Aula e 17 proposte di Legge ma solo quella relativo all’abrogazione dell’art 233 del codice civile Pisanelli che impediva alle donne di testimoniare negli atti pubblici diverrà legge. Morelli si era opposto a questo articolo che recitava: «Se il genitore abusa della patria potestà violandone o trascurandone i doveri, o male amministrando le sostanze del figlio, il tribunale sull’istanza di alcuno dei parenti più vicini o anche del Pubblico Ministero, potrà provvedere per la nomina di un tutore alla persona del figlio o di un curatore ai beni di lui, privare il genitore dell’usufrutto in tutto o in parte, e dare quegli altri provvedimenti che stimerà convenienti nell’interesse del figlio». Con queste disposizioni di legge non era concesso alla moglie di denunciare il padre poiché la donna non poteva testimoniare. «L’umanità ha bisogno di lei, si illumini dunque la donna, si riconosca in lei la personalità giuridica e tutti i diritti che le sono inerenti».
Non fu facile per il deputato pugliese sostenere la tesi della parità di capacità intellettiva uomo-donna…. Nello schema legislativo presentato il 18 giugno 1867 Morelli dichiarava: «Se l’umanità ha lavato con torrenti di sangue nell’ultima guerra americana l’obbrobrio della schiavitù dei neri, come può ella mai consentire più a lungo la schiavitù della donna, la quale è la più importante varietà dell’essere umano, anzi è la creatrice, la educatrice ed il movente perpetuo di quest’essere? Come può consentire che colei che deve riscuotere maggiore rispetto nella casa e nella società, rimanga destituita dei diritti civili e politici accordati a coloro che ne riconoscono la supremazia e la chiamano con il nome di donna, signora? …Signori, io vi metto dinanzi un dilemma: la donna la ritenete per cosa o per persona? Riconoscete o negate in lei la facoltà tutte che possiede l’uomo? …Se riconoscete la donna per persona, se ammettete in lei le stesse facoltà che possiede l’uomo, se riconoscete in lei l’identità del tipo rivestito del prestigio della genitura, che la rende più maestosa e solenne, se ammettete nello svolgimento delle sue facoltà, come vi comanda il buon senso, la ragione e la storia, comune destinazione con l’uomo, quale argomento potrebbe affacciarsi per negare alla creatrice dei cittadini, la giuridica caratteristica di cittadino? Alla madre degli elettori, dei deputati, dei ministri il diritto di portare il voto all’urna, e di esercitare le altre prerogative politiche concesse all’uomo suo compagno?»
(…) Per Morelli era giunto finalmente il tempo di sancire il suffragio universale, comprensivo del voto femminile. La proposta cadde nel vuoto e Morelli fu bersaglio di vignette satiriche che, ritraendolo in abiti femminili, lo sbeffeggiavano con lo slogan “deputato delle donne” .
Il primo febbraio 1877, Il Presidente della Camera, Francesco Crispi, invita dunque Morelli a illustrare la sua proposta di legge relativa alla possibilità della donna di testimoniare nelle questioni pertinenti il diritto civile. Morelli ribadisce «Non è possibile che quel che è lecito all’uomo debba essere illecito alla donna e quel che è morale per uno debba essere immorale per l’altra […] Perché, si chiede Morelli, l’uomo nasce già con i diritti mentre la donna dalla quale nasce l’uomo ne è priva? La proposta di Morelli divenne Legge n. 4167 il 9 dicembre del 1877, con 136 voti favorevoli e 68 contrari: la donna poteva finalmente testimoniare negli atti pubblici e privati. Fu certamente una vittoria importante per le donne, ma non fu una vittoria facile, perché la maggior parte dei politici continuava ad essere fortemente convinta che l’aver concesso la capacità giuridica alla donna avrebbe determinato, conseguentemente, il degrado morale dei costumi. Quel giorno, il 9 dicembre 1877, fu un giorno importantissimo: il primo pezzo del tetto di cristallo si era spezzato.

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Riscoprire Salvatore Morelli significa anche ricordare una certa idea dell’Italia. Un Paese contraddittorio che cercava di riunire sotto uno stesso tetto tanti piccole Italia, diverse per tradizioni, idiomi, economia e politica. Nella sua visione la riflessione è un’autostrada introspettiva che obbliga a fare i conti con se stessi e con le proprie conoscenze. È convinto che le coscienze debbano essere risvegliate e identifica la riflessione silenziosa come metodo: bisogna imparare a “parlare con noi stessi”, sostiene. Le proposte di Morelli erano in anticipo di circa cento anni: per vederle realizzate bisognerà aspettare il nuovo Diritto di Famiglia del 1975















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