MONTE PELLEGRINO (RNO)(PA) – LA GROTTA DELLE INCISIONI

Monte Pellegrino - Versante Nord - Grotta delle Incisioni




Indice

1.      Caratterizzazione delle Incisione
2.      Gli Stili dell’Arte Rupestre
3.      L’Arte Rupestre in Sicilia (Grotta Giovanna – Siracusa; Levanzo;)
4.      Grotta Addaura
Le Incisioni – I Danzatori – Gli altri Personaggi del Rituale –
I Danzatori sono tre ? Due Uomini ed una Donna ..? –
L’Artista delle Incisioni era uno Sciamano ?
Le problematiche della Grotta delle Incisioni... tra atti vandalici, muffe .. e chiusa da 21 anni



Grotta delle  Incisioni
Dati di Catasto
SI PA n. 90
Altri Nomi: Addaura II (in Bovio Marconi); Addaura III
Località: Contrada Addaura
Tavoletta: 249 I S.E. Mondello
Long. E: 0°53’54” – Lat.N.: 38°11’09”
Quota: 80 m
Sviluppo; 7 m


I graffiti dell’Addaura si collocano in un periodo caratterizzato da  un mutamento ambientale e culturale che si verificò sulla terra alla fine del Pleistocene intorno a 12 mila anni fa. Mutamento ambientale caratterizzato da: un aumento della temperatura media terrestre e con un diverso sviluppo della flora e della fauna e da un repentino innalzamento del livello del mare  con il conseguente assottigliarsi delle terre emerse. Questi  fattori cambieranno la vita delle popolazioni che vivevano lungo le sponde del Mediterraneo ed in ogni altra parte del mondo.
Il mutamento ambientale determinò anche una modificazione o un accelerazione del processo cognitivo dell’Homo sapiens che, grazie a nuove esperienze di vita, nel girono di millenni lo porterà ad assumere una diversa percezione di sé e dell’ambiente che lo circondava.
Da questo momento gli uomini impararono a coltivare la terra, ad avere il controllo su alcune specie animali, e soprattutto prenderanno conoscenza del divino.
Questi fattori, ecologici ed antropologici, nel passaggio fra il Pleistocene e l’Olocene, porteranno l’uomo a cambiamenti sociali importanti.
Anticamente l’uomo aveva sempre manifestato una sudditanza nei confronti del mondo animale e dei tanti misteri della natura a cui non era in grado rispondere. Una sudditanza con cui l’uomo reagì con una lenta evoluzione tecnologica (armi, ripari, ecc.) che gli permetteva di fronteggiare i pericoli della Natura. Un mutamento che avverrà nelle diverse aree geografiche con tempo differenti più o meno lunghi.
Nell’Europa Occidentale  gli uomini del Paleolitico Superiore si erano cimentati, per oltre venticinque millenni, nell’incidere e dipingere nelle grotte i soggetti della natura sacralizzata tanto ostile quando feconda (come fonte di alimento). Si tratta dell’arte rupestre “franco cantabrica” che fu la prima forma di comunicazione iconografica realizzata dall’uomo. Fu questa l’eredità che ci ha donato il mondo Paleolitico alla fine del Pleistocene che si avvia, con l’inizio dell’Olocene, nella  fase di passaggio verso la nascita di una nuova cultura Neolitica.
Le incisioni dell’Addaura appartengono quindi a questa nuova fase di cambiamenti. In una grotta sulle pendici del Monte Pellegrino un Artista o Maestro concepì per la prima volta la realizzazione di una scena caratterizzata esclusivamente da essere umani durante una cerimonia rituale collettiva. Furono incisi su una parete,  affiancati da figure animali, che nei millenni precedenti erano stati per l’uomo il principale punto di riferimento alimentare e spirituale e che improvvisamente, in un mondo nuovo, erano diventati gli idoli di concezioni e di credenze ormai superate.
Una scena che nella sua espressione ha dell’incredibile. Uomini, donne che sembrano danzare, intenti a compiere gesti quotidiani, membri di una tribù in un rito cultuale.
Portano una strana maschera d’uccello e danzano in circolo, invocando un misterioso dio, attorno a due figure che stanno subendo un incaprettamento… un terribile rituale di morte. I due personaggi destinati alla morte sono del clan o forse stranieri. Sono legati con delle corde e quindi costretti ad assumere una posizione certamente dolorosa con le corde che li poterà all’autostrangolamento ed alla morte per asfissia.
Attorno a questa scena immagini di uomini della tribù, con le loro funzioni sociali. In altre parti della grotta emergono mandrie di  equini selvatici e anche qualche cervide come a ricordare una vecchia cultura. Una scena, quella cultuale, che a distanza di millenni consente di osservare il mondo in cui l’artista ha vissuto e che magistralmente ha saputo comunicare.

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I primi abitatori della Sicilia apportarono in Sicilia una cultura che fu definita Epigravettiana che è inquadrabile nel momento conclusivo del Paleolitico (circa 14 mila anni fa). Un periodo in cui gruppi di cacciatori-raccoglitori colonizzarono l’isola occupando le grotte, in particolare quelle che si affacciavano sui litorali, e i numerosi ripari nell’entroterra.
Alcune di queste grotte furono utilizzate sia come abitazioni ma anche come luoghi si sepoltura con inumazioni realizzate in fosse scavate nella terra e spesso delimitate da pietre. Il defunto veniva sepolto con un povero corredo di oggetti ornamentali per lo più conchiglie forate e qualche dente di animale.
Una società senza alcuna gerarchia e la cui sussistenza era legata all’attività di caccia e di macellazione delle prede catturate.
Gli indizi di pratiche spirituali erano legate a segni lineari incisi e ad un certo numero di figure di animali che  gli abitatori lasciarono in alcune grotte.
Nel X millennio l’uomo dovette confrontarsi con un ambiente nuovo , sia in Sicilia che nel Sud dell’Europa e del Mediterraneo, nel quale alle freddi steppe si sostituirono ampie foreste e dove la vaste pianure costiere furono sommerse dal mare. Un fenomeno quest’ultimo, causato dallo scioglimento dei ghiacciai, che causò nel Mediterraneo  un innalzamento medio del mare di oltre un centinaio di metri nel giro di pochi millenni. Era l’inizio del Mesolitico, una fase che in Sicilia, nel l’arco di tre millenni a partire dal 9000 a.C., poterà i cacciatori di grossi mammiferi (cervidi, equidi e bovidi) a diventare raccoglitori di molluschi terrestri e in seguito esperti pescatori e raccoglitori di molluschi marini. Un cambiamento che si verificò nell’Isola prima dell’arrivo della rivoluzione Neolitica che nel vicino Oriente era già avviata.
In Sicilia i dati relativi a questo periodo provengono in gran parte dal settore Nord-Occidentale dell’isola. Infatti nel corso del Mesolitico  gruppi di cacciatori-raccoglitori occuparono le grotte che erano state abitate nel Paleolitico. Grotte che erano abitate nel periodo invernale per l’attività di raccolta lungo le coste mentre la caccia era praticata nell’entroterra nel periodo estivo.
I defunti venivano seppelliti ancora nelle grotte dove si viveva e si continuò a proseguire la pratica dell’inumazione in semplici fosse scavati nella terra e in alcuni casi sul cadavere veniva posto un masso o una pietra per impedire che dal regno dei morti potessero giungere delle sorprese.

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2. GLI STILI DELL’ARTE RUPESTRE
Da quanto furono scoperte le prime raffigurazione di arte rupestre nelle grotte della Francia e della Spagna  gli studiosi si sono incentrati sullo studio degli stili adottati dai misteriosi artisti della preistoria nelle diverse aree geografiche dando origine a differenti culture artistiche. In merito alle raffigurazioni rupestri della parte sud-occidentale dell’Europa si è dato origine all’arte franco-cantabrica dal nome dell’area geografica posta fra la Francia centro meridionale e la Spagna settentrionale. Zona dove sono avvenute importanti ritrovamenti con raffigurazioni incise e dipinte di soggetti nati dall’osservazione da parte del uomo del mondo animale e con rare attestazioni di figure antropomorfe.
Figure zoomorfe splendidamente ritratte che non appaiono in relazione tra di  loro e che probabilmente costituivano, nel loro insieme,  una specie di percorso all’interno di cavità sacralizzate.   I diversi animali descrivevano per gli uomini primitivi i simboli del dualismo maschile e femminile posto in opposizione: il primo rappresentato dal cavallo e il secondo riconosciuto nelle figure dei bisonti o bovidi ai quali si potevano aggiungere dei simboli neutri come cervi, renne ed altri animali.
Il messaggio veniva completato con dei segni dal significato misterioso. Segni ramiformi posti a completamento dell’elemento maschile e segni vulvari connessi all’elemento femminile.

 Paolo Grazioni definì “Arte Mediterranea”  l’arte rupestre espressa in Sicilia e nelle altre aree del bacino del Mediterraneo. Si tratta in massima parte di figure zoomorfe e di qualche rara figura antropomorfa che furono realizzate verso la fine del paleolitico superiore. Figure che mostrano una certa propensione verso le figure geometriche ed astratte anche se si nota un cero naturalismo.
Sempre secondo l’archeologo Graziosi nel Mesolitico ci fu la tendenza da parte degli artisti di accentuare le forme schematiche cercando di allontanarsi da quelle rappresentazioni veriste espresse nei millenni precedenti. Opere che sono il punto di congiunzione fra l’arte europea del Paleolitico e le raffigurazioni di epoche successive rinvenute lungo le coste spagnole del Mediterraneo e nel Sahara.
L’arte rupestre lungo le coste spagnole è detta del “levante Spagnolo” e si sviluppò durante il periodo successivo al Paleolitico e soprattutto fra il Mesolitico e l’età del bronzo, in particolare nell’area centrale della Spagna che s’affaccia sul Mediterraneo.si tratta di incisioni e pitture che mostrano rispetto alla precedente arte rupestre Paleolitica, una maggiore attenzione per la figura umana anche se gli animali continuano ad essere ben rappresentati.


Il Bovide dell’Addaura

Il bovide dell’Addaura presenta gli arti triangolari ed è una figura che è considerata d’età avanzata, forse Mesolitica, dell’arte mediterranea. Presenta numerose somiglianze con i bovidi raffigurati nella Grotta di Cosquer, in Francia,  risalenti all’arte Paleolitica e con le rappresentazioni più recenti dello “Stile dei Pastori” nel Marocco. Per questo motivo non è possibile avere una precisa corrispondenza fra lo stile delle figure e la loro datazione cronologica.
“Le incisioni dell’Addaura costituiscono un insieme particolarmente suggestivo per il loro carattere decisamente scenografico; un caso limite in tutta l’arte Paleolitica. Inoltre, nonostante le innegabili affinità stilistiche e tecniche che legano le rappresentazioni di animali dell’Addaura e quelle dell’area mediterranea e in particolare di Levanzo, troviamo nella grotta palermitana qualcosa di completamente diverso da tutto quanto conosciamo fin ora nell’arte dell’antica età della Pietra, cioè la figura umana trattata con spirito e con moduli stilistici che nulla hanno a che vedere con quelli che caratterizzano le altre figurazioni antropomorfe sia della provincia mediterranea che in quella franco-cantabrica”.
“Inoltre, a differenza di quanto avviene in tutta l’arte parietale, le figure di uomini sono più numerose di quelle di animali. Sono riunite quasi tutte a formare un grande gruppo centrale, ben in vista sulla parete, mentre gli animali hanno una configurazione piuttosto marginale”.

3. L’Arte  Rupestre in Sicilia

Le  grotte in Sicilia che presentano raffigurazioni rupestre legate al periodo paleo-mesolitico sono diverse decine. Solo un ristretto numero presenta delle incisioni zoomorfe ed antropomorfe mentre tutte le altre presentano delle incisioni lineari. Le cavità con raffigurazioni rupestri paleo-mesolitico sono ubicate in massima parte in località prossime al mare o comunque non molto distanti dalla costa soprattutto fra le province di Trapani e Palermo ed anche nell’entroterra di Siracusa. Fra le figure di animali al primo posto quelli di equidi e di bovidi, specie faunistiche che in Sicilia erano rappresentate dall’asino idruntino e dal bue primigenio, seguite  dalle figure di cervi e di daini. 

Equus hydruntinus (?)

Un Equss hydrantinus raffigurato nella grotta di Lascaux – Francia

Equus hydrantinus  - Grotta del genovese – Isola di Levanzo
Arcipelago Isole Egadi - Trapani

Bos primigenius

Le raffigurazioni zoomorfe sono espresse con incisione sulla roccia e hanno una comune dinamicità nei tratti: asini al pascolo, bovidi in corsa, cervidi che si voltano all’indietro per assicurarsi di non essere inseguiti dai predatori..
Gli artisti disponevano per lo più le figure su piani paralleli. Questo permetteva di leggere le immagini da sinistra a destra e viceversa secondo un tipo di rappresentazione che è stata definita “mitogramma” cioè la narrazione di un mito attraverso figure incise o dipinte lungo le pareti delle grotte. Luoghi all’interno delle quali dovevano compiersi dei riti accompagnati da animazione e da un discorso.

Incisioni nella Grotta “Niscemi” posta sul Versante Occidentale di Monte Pellegrino

Le figure sono disposte su piani paralleli


Le ipotesi che le immagini zoomorfe rappresentavano un mitogramma, cioè un discorso o una narrazione espressa da un linguaggio figurativo con valenza simbolica e rivolta a tutta la comunità, sono confermate dal fatto che figure non erano disegnate in anfratti nascosti all’interno delle grotte, come ad esempio avveniva nella regione franco-catabrica, ma erano realizzati sempre  in posti ben visibili e raggiungili da tutta la comunità. Gli scavi archeologici hanno spesso rilevato che la comunità risiedeva all’esterno della grotta nella quale l’accesso veniva in qualche modo sacralizzato dalla presenza delle figure degli animali.
In Sicilia, come nel resto d’Europa, nell’arte rupestre Paleolitica gli animali raffigurati non sembrano in chiara relazione fra loro e spesso interagiscono con gli esseri umani raffigurati.
Infatti, le figure di animali, pur se talvolta affiancate, sono da ritenersi indipendenti, essendo forse ognuna il segno di un singolo evento che potremmo definire magico, ma che diveniva, in seguito, parte dell’intera narrazione del mitogramma.


Equidi affiancati nella Grotta Addaura – Equide nella grotta di Levanzo (a destra)

In Sicilia l’arte paleolitica si sviluppò in un tempo relativamente breve rispetto al resto dell’Europa.
Gli archeologi esprimo una datazione per un periodo di soli due o tremila anni durante i quali gli artisti ripresero temi e tradizioni riconducibili al Continente.
La cronologia dell’arte parietale paleo-mesolitica siciliana si basa sul ritrovamento di due frammenti di roccia che riportano incise delle figure di bovidi.
Il primo venne recuperato nel corso degli scavi condotti dal Graziosi nel 1953 nella grotta
del Genovese, sull’isola di Levanzo (Graziosi 1962); l’altro fu trovato negli scavi effettuati da Luigi Cardini, fra il 1967 e il 1968, nella grotta Giovanna, nell’entroterra di Siracusa (Cardini
1971).

 Grotta del Genovese – Isola Levazo – Arcipelago  delle Egadi

Levanzo – Grotta del Genovese


Frammento con bovide inciso

Il frammento di roccia fu rinvenuto nel riparo esterno della grotta del Genovese e presenta un bovide inciso dallo stile piuttosto rigido (fig. 8). L’analisi condotta con il metodo del radiocarbonio
su elementi organici, provenienti dallo stesso strato del frammento di roccia, diede in un primo tempo una datazione di 9.694±110 anni dal presente; data successivamente corretta da nuove analisi in 11.180±120 anni.

Nella grotta Giovanna, posta nel Comune di Siarcusa, è un  sito nel quale sono stati recuperati diversi frammenti di roccia con incisioni lineari e qualche incerta porzione di figure di animali
(Segre Naldini 1992). Il frammento con la raffigurazione di un bovide, ritratto in uno stile più verista rispetto a Levanzo, proveniva da uno strato archeologico datato 12.840±100 anni dal presente.

Grotta Giovanna – Ingresso

Grotta Giovanna – Interno

Grotta Giovanna
Frammento calcareo con la raffigurazione di un bovide



Questi due reperti rappresenterebbero due importanti capisaldi cronologici dell’arte rupestre paleo-mesolitica siciliana che hanno indotto gli studiosi a individuare nello stile, utilizzato dagli artisti che hanno eseguito tali raffigurazioni, la tendenza ad un maggiore verismo nelle figure rispetto alla più antica. A questa tendenza ha determinato una semplificazione e la schematizzazione delle forme.

Più difficile è certamente descrivere gli aspetti dei soggetti antropomorfi cioè l’uomo.
Molti storici hanno affermato che soggetti raffigurati nelle grotte dell’Addaura e di Levanzo fossero dei cacciatori del tardo Paleolitico, cioè quegli stessi individui che avevano creato le figure zoomorfe.
La figura umana apparve nell’arte rupestre siciliana solo in un momento successivo alla fine del Paleolitico Superiore e si affermò, come nell’Addaura, nella fase in cui l’uomo allontanò dalle sue concezioni sacrali l’animale e lo sostituì con una figura umana. Per certi versi l’animale assunse quasi un posizione intermedia perché diventava il mezzo per permettere all’uomo, alla comunità, di giungere e di comunicare con la divinità.

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4. GROTTA  ADDAURA


Pianta e Sezioni Trasversali

I primi scavi furono effettuati nel 1866 da Gaetano Giorgio Gemmellaro che gli permisero di portare alla luce dei fossili appartenenti a specie animali vissuti nell’Isola nel corso del Pleistocene (2 milioni e 12.000 anni fa) e ormai estinte. Nel 1870 altri scavi effettuati dal tedesco Freiherrn Von Andrian e nel 1931 da Di Salvo. Sempre nel 1931 i cunicoli che iniziavano dalla grotta Caprara furono interessati da esplorazioni speleologiche da parte di Aspel Kirner e Nanni Notarbartolo. Nelle grotta venne avviato uno studio e ricerca paleontologica da parte dell’Istituto di Geologia dell’Università di Palermo.
Fra il 1946 ed il 1947 la Soprintendenza della Sicilia Occidentale avviò due campagne di scavi nei pressi della Grotta Caprara, in quella dei Bovidi e nella grotta che sto descrivendo dell’Addaura o delle Incisioni. Ricerche archeologiche che furono condotte dalla Soprintendente Iole Bovio Marconi che fu affiancata dal noto archeologo Luigi Bernabò Brea che in quel periodo  era archeologo presso la Soprintendenza alle Antichità di Siracusa..
In quegli scavi o ricerche effettuate presso la grotta dell’Addaura non furono rilevati i graffiti forse, come riportò successivamente il prof. Giovanni Mannino, a causa di una inadeguata e sistematica ricerca nel sito.
Infatti la prof. Marconi illustrando i dati di scavo di quella campagna rilevò un consistente deposito archeologico che negli strati più profondi restituì manufatti in selce e quarzite scheggiata cioè manufatti di industria litica. Reperti relativi alla fase finale del paleolitico che si daterebbe tra i 12.000 anni circa dal presente.
Negli strati superiori furono invece rinvenuti materiali che furono attributi al Mesolitico (epoca successiva al Paleolitico).
Gli strati con materiale Mesolitico erano a volta ricoperti da strati più recenti e molto rimaneggiati nelle quali si trovano reperti di varie epoche storiche come romani e probabilmente caduti dall’alto della montagna dove sorgeva nell’antichità un piccolo insediamento.
I graffiti rimasero coperti per millenni dal deposito archeologico e in seguito vennero alla luce probabilmente a causa dell’asportazione della terra che si accumulò nel corso del tempo forse a causa anche dell’attività di tombaroli che frequentarono assiduamente quelle cavità.
La scoperta dei graffiti avvenne nel 1952 dopo cinque anni della fine degli scavi archeologici che avevano interessato il sito.
Giosuè Meli, Ispettore della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale, e il medico Giuseppe Sacconi stavano perlustrando le pendici del Monte Pellegrino per ricerche archeologiche.
Quel giorno i due amici conobbero, nei pressi della grotta dell’Addaura, un operaio palermitano Giovanni Cusumano. Il Cusumano era un profondo conoscitore del territorio con i suoi numerosi anfratti che si aprono lungo le scoscesi pareti del monte ed era alla ricerca di qualche “truvatura” cioè, secondo il gergo siciliano di “ un anfratto che immetta nel ventre terrestre e che, nella tradizione popolare, nascondo sempre qualche tesoro”.
L’operaio fu sollecitato dal prof. Meli a riferire se era a conoscenza di qualche anfratto con disegni di “animali o pupi” sulla roccia. La domanda fu pertinente perché l’operaio rilevò un aspetto importante per l’archeologia siciliana e non solo.
Il Cusimano condusse i due amici verso la grotta dove aveva notato delle strane figure incise nella parete. Il prof. Meli, “vedendo quelle strane figure”  capì subito l’importanza della scoperta e informò immediatamente il suo direttore superiore: il Soprintendente alle Antichità la dott.ssa Iole Bovio Marconi.

Jole Bovio Marconi
(Roma, 21 gennaio 1897; Palermo, 14 aprile 1986)


Come mai i graffiti non furono scoperti durante la campagna di scavi del 1946 ? Resterà un mistero…
La scoperta dei graffiti si deve quindi all’operaio Cusumano che li individuò per primo e al Meli che successivamente su indicazioni del Cusimano capì l’importanza archeologica del rinvenimento.
La prof. Marconi cercò di giustificare la mancata visione dei graffiti durante gli scavi del 1947 affermando che fu lo scoppio successivo di un ordigno bellico a fare cadere lo strato di “breccia” che copriva i graffiti rilevandone il loro aspetto.
L’eco internazionale che le incisioni ebbero a livello mondiale fu poi per merito della stessa archeologa Jole Bovio Marconi per le sue ricerche sulle varie figure che furono pubblicate nelle riviste specializzate del tempo.



La prof. Marconi nelle sue relazioni espose una serie di dati e di ipotesi che furono oggetto di studio negli anni successivi. Distinse le figure in tre gruppi:
-          Il primo gruppo composto  da soggetti zoomorfi ed antropomorfi dallo stile naturalistico ed incisi con un tratto sottile o sottilissimo;
-          Il secondo, anch’esso naturalistico, comprendeva gran parte delle figure antropomorfe a cui l’autrice aggiunse la figura di uno solo animale, il grande daino; realizzato incidendo profondamente la superficie rocciosa;
-          Il terzo gruppo costituito dai due bovidi, con uno stile più schematico.
Nei tre gruppi le figure degli uomini e degli animali non presentavano i particolari del volto, le mani erano assenti e, in alcuni casi, mancavano anche i piedi

La studiosa mise subito in evidenza i soggetti posti al centro del circolo dei danzatori. I due soggetti presentavo un evidente “itifallia”, cioè manifestavano o esibivano i genitali in erezione e successivamente ritenuti coperti da probabile astuccio fallico. Ipotizzò, nell’osservazione delle figure, la presenza di un rudimentale abbigliamento costituito da  una specie di mantellina, deducibile da due linee sul dorso che congiungevano le gambe flesse col il capo.




In base a queste ipotesi la dott.ssa Marconi pensò di trovarsi davanti ad una coppia in atteggiamento omosessuale, collegato ad una pratica rituale, e forse intenta in evoluzioni acrobatiche in relazione ai riti di iniziazione o magici legati alla sfera della fecondità.
I personaggi posti in basso nella scena furono considerati i componenti di una seconda scena della quale facevano parte il personaggio incedente verso destra e armato con una lunga asta, e altri personaggi realizzati a tratto sottile compresa la figura femminile con un sacco sulle spalle.
Per la prof. Marconi in definitiva il gruppo principale dei danzatori e dei due ginnasti sarebbe stata l’opera di un artista mentre le figure poste a sinistra di questa scena, realizzate tra l’altro con tratto sottile, sarebbero l’espressione di un secondo artista.
Per gli animali, non poteva essere altrimenti, il confronto fu immediato con le raffigurazioni nella grotta del Genovese di Levanzo  che a loro volta furono collegati con le espressioni dell’arte franco-cantabrica. Per i bovidi del terzo gruppo venne evidenziato un notevole irrigidimento espressivo che non  era riscontrabile nello stile naturalistico del tardo Paleolitico ma piuttosto in quello schematico tipico del successivo periodo Mesolitico.
La Marconi nei suoi studi mise in risalto ogni piccolo particolare della raffigurazione come il predominio delle figura umana su quella animale e soprattutto l’inconsueta presenza di una scena a carattere compositivo.  Siamo in presenza di uomini che insieme stanno svolgendo un azione che non è facile riscontrare nel Paleolitico ma nell’arte Neolitica del Levante Spagnolo o ancora, nella stessa epoca, nell’arte rupestre del Sahara.
La scena dell’Addaura fu una ricca anticipatrice di un fenomeno che si sarebbe sviluppato nell’arte rupestre mediterranea solo nei millenni successivi alla fine del Paleolitico e cioè nel Neolitico.
Naturalmente il mondo scientifico cominciò a studiare le tesi della Marconi e a proporre nuove ipotesi.
Nel 1954 il barone Carlo Alberto Blanc nella rivista “Quaternaria” avanzò l’ipotesi, che da sempre ha avuto un gran numero di seguaci, secondo la quale le due figure centrali non fossero degli acrobati ma soggetti destinati purtroppo ad un esecuzione capitale sempre a scopo rituale. Il Blanc esaminò a fondo le due figure centrali ed evidenziò come questi uomini, inarcando all’indietro le gambe, avessero la medesima postura o posizione.
Le linee incise sopra il dorso non erano quelle di un indumento, linee che non sono presenti in nessuna figura della scena,  ma di una corda legata fra le caviglie e il capo che li costringeva a stare in una posizione che potremmo definire innaturale.
Si concentrò anche sul problema dell’itifallia, evidenziata dalle tre linee cioè i tre segni convergenti posti all’altezza del bacino che anche l’abate Breuil aveva esaminato in un suo articolo.
Le opinioni dei due studiosi convergevano perché basandosi su prove mediche si metteva in risalto che il fenomeno dell’erezione poteva anche essere determinato da situazioni di violenza fisica o psichica, come per lo strangolamento durante le quale era possibile causare stati di eccitazione. 
Nel graffito del personaggio posto in basso s’evidenziò anche la fuoriuscita della lingua dovuta ad un evidente stato di asfissia del soggetto (Ginetta Chiappella).



Paolo Graziosi nel 1956 nella sua monografia “L’arte dell’Antica Età della Pietra” citò i graffiti dell’Addaura.  Secondo il suo parere la chiave di lettura della composizione era legata ai due personaggi centrali. Non individuò nei due personaggi né corde al collo e nemmeno la lingua in fuori dovuta al soffocamento, né la presunta itifallia ma  la presenza di un astuccio fallico. Una chiara posizione favorevole alla Marconi. Mettendo in risalto la forte vitalità dei due personaggi centrali ipotizzò che essi siano stati ritratti in due differenti fasi di uno stesso esercizio ginnico al quale avrebbero partecipato, come spettatori, i rappresentanti di due fazioni o clan.
Fazioni che sono evidenziate dal diverso tipo di acconciatura: una dal capo rotondeggiante rasato mentre nell’altro da una ampia capigliatura. Gli animali della rappresentazione sono cervidi ed equidi ed escluse i bovidi troppo schematici. Per lo studioso le differenze del tratto, sottile o profondo, non era un motivo di caratterizzazione stilistica o di successione di diversi stili anche temporali. Si trattava quindi di medesimi artisti che facevano parte di un identico contesto culturale che a breve distanza temporale, oppure in momenti diversi, avrebbero realizzato le diverse incisioni. Da questo contesto unitario si distaccano solo le figure dei due bovidi per lo stile rigido, le parti anatomiche sproporzionate che sono vicine, anche cronologicamente, allo stile adottato per incidere il bovide sul frammento di roccia ritrovato a Levanzo.
Nello stesso periodo uno studioso francese Andrè Leroi Gourhan collocò i graffiti dell’Addaura in un preciso contesto storico in cui nel Mediterraneo si assisteva al passaggio dall’arte di popoli cacciatori – raccoglitori del Paleolitico all’arte di popolazioni di agricoltori-pastori del Neolitico. Si trattava di un passaggio anche culturale


 “Le grotte e i ripari decorati del Paleolitico scoperti in Europa, circa un centinaio, rivelano tutti il medesimo schema strutturale con alcune varianti legate al vasto territorio e alla cronologia temporale di quindici-venti millenni.  
Questo notevole complesso è contrassegnato da una grande uniformità di concezione: disegni sulle pareti di figure il cui stile si evolve nel corso del tempo ma la cui natura e costituzione restano immutate.
L’originalità dell’arte paleolitica è particolarmente sorprendente, quando viene confrontata con l’arte parietale dei millenni successivi.
L’arte del Levante Spagnolo, quella del Sahara o dell’Africa meridionale, quella del Vicino Oriente o dell’India presentano una  strutturazione dei soggetti del tutto diversa. Non si tratta più
della sovrapposizione di figure animali disposte come se ognuna di esse avesse una sua vita autonoma (le figure paleolitiche sono accostate nello spazio, ma del tutto raramente nell’azione) ma della raffigurazione di vere e proprie scene. Cacciatori armati di arco o di lancia che colpiscono una preda, mandrie di buoi guidate da pastori, raffigurazioni di case con scene familiari, ecc.
La fioritura dei gruppi narrativi dell’arte del periodo successivo alle glaciazioni contrasta fortemente con il sistema rappresentativo del Paleolitico superiore. Il mutamento dei temi
pittorici è soprattutto legato ai profondi mutamenti che debbono aver investito l’ideologia religiosa nel corso della prolungata transizione dall’economia di preda (cacciatori) all’economia di produzione (pastori ed agricoltori). Le grotte dell’Italia meridionale (Levanzo e Addaura vicino Palermo) forniscono probabilmente il punto di saldatura tra i due universi figurativi. Si trova, nella medesima composizione l’accumulo simbolico, tipico del Paleolitico, dell’uro, del cavallo e di un cervide insieme a dei personaggi che partecipano animatamente ad una specie di danza circolare (Addaura). Tali opere, datate grazie al carbonio radioattivo al 9000 a.C., si collocano nella zona geografica in cui cominciano a elaborarsi i primi segni dello sviluppo delle civiltà del Mediterraneo”.

Pertanto è lecito domandarsi come possono essere state incise contemporaneamente le figure di animali, accostati fra loro nello spazio ma non nell’azione, e quelle di esseri umani, legati insieme vorticosamente in un’azione comune.
Uomini che sembrano non collegati agli animali che sembrano avulsi dalla scena raffigurata, dato che il centro della loro attenzione è focalizzata senza alcun dubbio sui due uomini legati ?

In tempi più recenti Franco Mezzena nel 1976 avanzò l’ipotesi che i due acrobati siano stati ripresi nel momento in cui si trovano in volo e questo sempre nel corso di un rituale ginnico. Escludendo la presenza di corde ipotizzava che i due acrobati si dovevano trovare su due piani differenti, in quanto lanciati in aria dai due uomini con le braccia alzate, posti in alto, mentre i due personaggi posti in basso sarebbero stati coloro che avrebbero dovuto raccogliere i soggetti prima che cadessero a terra. La tesi del Mezzena mise in evidenza due aspetti importanti: il primo, grazie ad un attenta analisi sulla prospettiva utilizzata dall’artista nel posizionare i personaggi,  intuì che i graffiti furono tracciati secondo una veduta dall’alto; il secondo fu quello di aver individuato, attraverso una meticolosa osservazione dei segni sulla parete, una fase più antica di quella figurativa, caratterizzata dalle sole linee incise.





Studio prospettino del Mezzena

Nel 1986 G. Bolzoni accettò la tesi dell’autostrangolamento ed evidenziò alcuni spunti di riflessione molto importanti.
Esaminando la figura Q (in basso nella scena) avanzò l’ipotesi che stesse trasportando sulle spalle, legato con una corda che gli passava sopra la testa, il cadavere in posizione rannicchiata di uno dei due sacrificati, probabilmente quello posto più in basso.  


La figura Q che traporta sulle spalle uno dei due acrobati morti

Un osservazione interessante che porta a riflettere sulla possibilità che dopo il sacrificio, i due cadaveri siano stati trasportati in un altro luogo per dare una degna sepoltura.


Il personaggio Q sta trasportando uno dei due soggetti legati, ricostruito
nella figura in alto a destra, posto al centro e in basso della scena
rituale, dopo la morte per asfissia

Per confermare la sua ipotesi il Bolzoni mise in risalto   come il rituale dell’Addaura, caratterizzato da un doppio sacrificio,  era anche legato ad una usanza nel Paleolitico Superiore del seppellimento bisomo, cioè della collocazione di due cadaveri all’interno di una stessa sepoltura.
Lo stesso autore ipotizzò che il personaggio H, per i suoi lineamenti e per il segno trasversale sul corpo (simbolicamente il seno) fosse una donna. La stessa donna che viene ritratta più in basso con un sacco sulle spalle.


In questo modo evidenziò non solo le dinamiche legate ai riti, come la danza  e il sacrificio dei personaggi, ma anche altri aspetti temporali come il trasporto dei cadaveri.
La prof. Alda Vigliardi nel 1991 attribuì al graffito dell’Addaura una datazione vicina alla fine del Paleolitico e riconobbe delle affinità nell’arte figurativa con le espressioni dell’arte Mesolitica del Levante Spagnolo e del Sahara. Non si trovò d’accordo con le argomentazioni dei precedenti studiosi in merito a diversi aspetti del graffito:
-          Le figure intorno ai due personaggi principali non facevano parte di un coro danzante, per il loro atteggiamento, e che solo i soggetti posti più in alto erano da considerarsi come gli esponenti di due gruppi contrapposti mentre tutti gli altri erano spettatori;
-           Non condivise la tesi del Mezzana che proponeva la presenza di  “lanciatori/raccoglitori dei danzatori”, ritenendo che i personaggi non presentavano le braccia tese come di chi stesse lanciando o raccogliendo qualcosa;
-          Considerò l’ipotesi del trasporto del cadavere avulsa dalle varie fasi della scena.

Si soffermò in particolare nello studio del cervo posto in basso, rispetto ai danzatori. Un animale che considerò già morto  e il gonfiore della pancia legato alla fase di cattività in cui l’animale probabilmente era stato soggetto ad una fase di ingrassamento. Ci troveremo quindi in presenza di un clan anche dedito alla pastorizia tipica del Mesolitico.




La raffigurazione del cervo allevato in cattività evidenzia lo sviluppo di una forma precoce di proto-pastorizia che viene così documentata per la prima volta in Sicilia. Le indagini archeologiche e paleontologiche hanno dimostrato che in Sicilia, con la fine del Paleolitico e a causa del mutamento climatico, caratterizzato da temperature più alte, maggiore umidità e quindi con un aumento della copertura boschiva, si verificò un aumento consistente della popolazione di cervidi. Cervidi che andarono ad occupare i territori di pascolo che erano stati frequentati da altri grossi mammiferi come il bue primigenio e l’asino idruntino. Cervidi che  continuarono,, anche nel Epigravettiano, ad essere fortemente cacciato dagli uomini mesolitici.

Nel 1997 un importante Congresso Internazionale sulla “Preistoria e Protostoria Siciliana”. I relatori i prof. Margherita Mussi e Daniela Zampetti esposero un interessante relazione sulla rilettura dei graffiti dell’Addaura.

Misero in risalto per primis l’appartenenza dei graffiti all’arte rupestre paleolitica europea e chiarirono come proprio sul finire del Paleolitico erano state già superate da tempo le difficoltà mostrate dagli artisti nel raffigurare l’uomo.
Analizzarono le due figure centrali e in particolare i fasci di tre linee trasversali che ne attraversavano il corpo, inquadrando tali figure nel tema “dell’uomo trafitto o ucciso”. Un tema ricorrente nell’arte rupestre del Paleolitico soprattutto fra i 20 mila e i 12 mila anni dal presente.
Il  tema della rappresentazione sarebbe ricercata nella magia nera, nel rituale di commemorazione di un episodio vissuto dalla comunità e diventato mitico nel tempo o ancora in ambito sciamanico cioè come forze che attraversano il corpo, in questo caso uno stregone, proiettandolo in un'altra dimensione.
Un iniziazione sciamanica, cioè un processo di morte e di rinascita, che si ritrova nell’arte Paleolitica e che nelle raffigurazioni in Sicilia assunse delle connotazioni originali perché inserito in una specificità locale legata alla presenza  di aspetti  tipici dell’isola. La presenza dell’asino idruntino al posto del cavallo, che è invece presente nel resto d’Europa, e nell’aspetto o effetto scenografico che non ha simili nell’arte di questo periodo preistorico.
Con questa relazione, sorprendente, s’aprì un interessante filone d’indagini.
È un continuo alternarsi di tesi, ipotesi anche antiche che vengono riprese e riviste con nuove argomentazioni.
Nel 1998 la dott.ssa Francesca Minellono, riprese ad esempio la tesi dei lanciatori/ raccoglitori (tesi del Mezzena) e propose che i protagonisti dell’Addaura si trovassero su vari piani, distinti per importanza: “Il primo sembra essere costituito dai tre uomini in piedi nella zona alta della composizione, con quello centrale posto frontalmente, e dai due ripiegati. Il secondo potrebbe
comprendere le quattro figure in movimento, che salgono verso l’alto sulla destra, lungo una linea leggermente arcuata.
Due di essi volgono la schiena alla scena, forse volutamente bloccati in un momento preciso, in un’identica postura. L’ultimo personaggio sulla sinistra, al limite inferiore, sembra essere sul
punto di entrare in scena. Infine, le due immagini al di sopra di quello, le uniche assolutamente statiche, danno l’impressione di spettatori, più che di partecipanti”.
La stessa Minellono mise in evidenzia la minoranza di figure zoomorfe rispetto alle antropomorfe e il seguire da parte dell’arista di una fascia obliqua lungo la parete rocciosa ponendo in basso i personaggi intenti in attività quotidiane ed inserendo in alto i personaggi per la scena maggiormente significativa.

Emmanuel Anati, analizzando le componenti stilistiche e il significato di altre graffiti rilevati a livello mondiale, distinse le raffigurazioni  d’arte rupestre in quattro categorie:
-          Categoria “A”. “cacciatori arcaici” che non conoscevano l’uso dell’arco e delle frecce. Questi uomini disegnavano “figure e segni in associazione e solo raramente delle scene di caccia”;
-          Categoria “B”, “cacciatori evoluti”; conoscevano l’uso dell’arco e delle frecce ed espressero la loro arte con “scene aneddotiche (episodi) e descrittive”.
A queste due categorie sarebbero seguite:
la categoria “C” di pastori-allevatori” e la categoria “D” detta ad Economia Complessa.
Naturalmente all’interno di questo schematico complesso evolutivo ci sono delle fasi di transizione e miste con diversità anche notevoli.
Secondo l’autore presso i “cacciatori evoluti” non sono rare le scene di caccia, di cerimonia e di danza anche come evocazioni di miti mentre presso i “cacciatori arcaici” non sono presenti scene descrittive di caccia né di episodi salvo casi eccezionali nel periodo finale del Paleolitico come ad esempio la scena dell’Addaura.
L’autore evidenziò nell’Addaura tre principali fasi d’incisioni rupestri.
La più antica mostra figure zoomorfe di buon livello naturalistico associate a degli ideogrammi. Tre di queste figure  sembrano formare una sequenza che è tipica dell’arte Paleolitica.
La fase intermedia è rappresentata anch’essa da figure zoomorfe più tozze e schematiche espressioni del periodo finale decadente del paleolitico.
Infine la scena della danza che riflette una mentalità completamente diversa e che si può considerare post-Paleolitica cioè di “cacciatori evoluti” e quindi proto-neolitica.
Il compianti Prof. Sebastiano Tusa nel 2004, in un articolo dal titolo “L’arte preistorica della Sicilia” si soffermò sui graffiti dell’’Addaura prendendo in esame l’aspetto dell’elemento volatile, cioè le maschere d’uccello portate dagli uomini.
“La presenza delle maschere con becco di uccello portate dai danzatori siano un elemento
peculiare nella religiosità delle popolazioni preistoriche siciliane durante il periodo fra il Paleolitico superiore e il Neolitico. Le raffigurazioni di volatili, e fra queste quelle delle maschere
dell’Addaura, avrebbero così fatto parte di una più vasta identità religiosa dove l’elemento “aria”, sede dell’essenza e delle forze dominanti nel pantheon dei cacciatori, avrebbe avuto la
preminenza su quello “terra”, un tema religioso che invece si sarebbe sviluppato nei millenni successivi nell’ambito delle comunità agricole”.
Secondo il prof. Tusa la scena sarebbe di carattere magico-religiosa ed indirizzata ad una divinità “celeste”. Le maschere richiamerebbero i rapaci delle rupi, ineguagliabili cacciatori che l’uomo Paleolitico temeva e che cercava d’ingraziarsi.
Insieme all’aspetto religioso c’è la rappresentazione di un intera società di cacciatori-raccoglitori che vivevano intorno al Monte Pellegrino e alla fertile Conca d’oro. Una comunità che veniva ripresa non solo durante un cerimonia culturale  e nell’esecuzione di un terribile rito ma anche nelle sue mansioni quotidiane, quindi rappresentazione di un’intera società nella quale l’uomo costituisce l’elemento principale ma dove anche gli animali sembrano avere un loro ruolo primario.

Fabio Martini analizzò invece la sequenza di stili  iniziando dai segni lineari che ritenne i più antichi dell’intero repertorio.
Una seconda fase sarebbe rappresentata dalle figure incise a tratto sottile, danzatori, che sarebbero più recenti  e per ultime le figure zoomorfe, i due bovidi, dallo stile naturalistico molto irrigidito.
Ipotizzò che le figure naturalistiche possano collocarsi tra i 12.800 e 11.200 anni dal presente mentre  i bovidi andrebbero collocate in un periodo immediatamente successivo.

Un aspetto che sembra quasi nascosto è rilevato dal fatto che i graffiti (figure di uomini, animali e altri segni lineari) interessano quasi tutte le superficie della grotta.


Raffigurazioni lineari e zoomorfe rilevate dal prof. Mannino
sulla parete di fondo della grotta.



Raffigurazioni con soggetti antropomorfi , zoomorfi e lineari rilevati
in altre parti della grotta.

Naturalmente la scena principale è quella posta a sinistra dell’accesso, lungo una fascia obliqua fra 2,15 e i 3 di altezza dall’attuale piano di calpestio della grotta.
Gli studi del prof. Mannino rilevarono nella parete delle incisioni legate ad immagini precedenti e la stessa roccia fu quindi perfettamente levigata prima della realizzazione della nuova scena.
Secondo questa tesi si creò un nuovo dibattito sull’arte Paleolitica perché generalmente, ma con delle eccezioni, gli artisti non cancellavano le figure antiche presenti nelle pareti ma tendevano a sovrapporle una sull’altra come nel caso dei bisonti nella sala grande nella grotta di Altamira, in Spagna.. quindi un operazione che si discosta dal normale modo di operare degli artisti.
Fin dalle prime indagini la Marconi avevano posto una massima attenzione su due tipologie di segni:
 segni profondi, incisi con un bulino a punta larga;
segni meno marcati, incisi con un bulino a punta sottile.

Partendo da questa osservazione la studiosa aveva collocato i graffiti in tre differenti momenti: i primi due alla fase del Paleolotico (uomini ed animali) ed il terzo al Mesolitico (solo i due bovidi).
Per molti studiosi, tra cui P. Graziosi,  il tratto del segno “sottile o profondo” non costituiva un aspetto temporale perché era possibile riscontrare i due segni anche nella medesima figura. Infatti in alcune figure i tratti a solco profondo si prolungavano al di fuori della figura stessa anche con un tratto sottile, soprattutto in merito alle linee che compongono gli arti. Una tecnica espressiva legata ad un unico artista che ha agito incidendo lungo lo stesso solco e forse anche in tempi diversi.
È probabile che il maestro abbia inciso inizialmente la sua opera operando con un bulino a punta sottile e abbia poi realizzato la sua opera con l’arnese a punta più spessa marcando in modo migliore i contorni dei personaggi principali soprattutto in quei punti che riteneva importanti per esprimere il suo filone narrativo.
È probabile che i contorni delle figure sia state più volte ripassate con il bulino, come si evince da alcuni profondi solchi lasciati in alcuni tratti, sempre lungo il profilo delle figure.. probabilmente i visitatori del santuario ripassavano le figure per renderle sempre vive e visibili ai devoti.
Il maestro nella seconda fase del suo lavoro apportò delle correzioni alla sua scena ed in particolare modificando gli arti di alcuni personaggi per rendere le figure più dinamiche, cioè in movimento.
L’artista dovette affrontare un problema piuttosto gravoso e difficile: esprimere la dinamicità dei personaggi e la loro azione corale attorno ai due sacrificati.
A discapito di belle figure, il cervo posta in alto a destra e  parte di un precedente ciclo di incisioni, pur non cancellandole vi soprappose i personaggi A e D nel lavoro di rifinitura.


Cercò di dare anche una sua prospettiva alla scena dei danzatori, la quale si mostrava all’osservatore vista dall’alto. Questo fa indubbiamente pensare al una quota del piano di campagna più alto rispetto all’attuale, tale da consentire a chi guardava la scena di trovarsi proprio di fronte ai graffiti e di poterli ammirare dall’alto verso il basso.
Sempre nel suo lavoro prospettico, nella seconda fase, lavorò sulle braccia di alcuni personaggi flettendole, specie a coloro che si trovavano nella parte inferiore della superficie utilizzata. Queste modifiche o accorgimenti consentirono all’artista di dare un particolare risalto all’elemento principe della scena, ovvero ai due sacrificati.


I Danzatori dell’Addaura

Tutti gli studiosi hanno in gran parte focalizzato la loro attenzione sulle due figure poste al centro della scena del circolo dei danzatori. Sono gli unici soggetti che non poggiano sulle loro gambe e si mostrano con il ventre a terra, presentando grosso modo la stessa posizione del corpo, cioè fortemente proteso all’indietro, con le gambe flesse e piegate in modo che i talloni tocchino quasi i glutei.
Un segno retto per la figura a terra ed uno doppio per quella più in alto che sembra congiungere il collo con le caviglie, passano al di sopra della loro schiena. Questo segno è rappresentato da una corda e la posizione dei due uomini sembra quella che in gergo mafioso viene chiamato “incaprettamento” con la sola differenza che i nostri soggetti hanno le mani libere cosa che invece non appare nelle manifestazioni delittuose di mafia


È una corda ben tesa e il fatto che non vengano rappresentati i nodi sulle caviglie e sul collo non è importante dato che l’artista spesso non badava ai particolari dove questi non risultavano significativi ai fini del messaggio che si voleva trasmettere.
Nella scena sembra esserci un sorprendente verismo: la figura più in alto sembra quasi voler appoggiare le braccia a terra mentre la figura più in basso serra i gomiti e questo a causa della forte trazione della corda intorno al collo. Tale posizione costringeva le due figure ad inarcarsi al massimo delle possibilità di flessione pur di non soffocare a causa di un eventuale movimento delle gambe, impedendogli inoltre di utilizzare le mani, anche se libere, di slegarsi.
Una descrizione complessa e dal forte significato simbolico.

L’incaprettamento è un esecuzione capitale mafiosa secondo il quale il carnefice non si macchia del sangue “impuro” del condannato al quale verrà in questo modo provocata una lunga agonia fino alla morte.
Facendo un paragone è quindi da ritenere la scena dell’Addaura un sacrificio a scopo punitivo quindi l’esecuzione di una punizione esemplare all’interno del clan ?
Rispondere ad una simile domanda non è facile perché è necessario indagare sulle religioni e sulla lettura degli antichi testi sacri del medio oriente soprattutto fra le antiche religioni indiane che attuavano i cosiddetti “legami divini”.
Legami che diventavano “sacrificali” ed infatti troviamo delle divinità quali Varuna, Yama, Nirrti che sono divinità definite come un “dio che lega” e i loro lacci vengono chiamati “lacci della morte”
D’altra parte anche le malattie venivano considerate come dei “lacci” e “la morte” non è altro che il “laccio o legame supremo”.
«Possano i tuoi lacci fatali che, sette per sette, triplicemente sono tesi, prendono colui che dice il falso; e lascino andare chi dice la verità. Con cento lacci circondalo Varuņa, non lasciar libero colui che dice il falso, o tu che osservi gli uomini ...» (Atharva-Veda, 4,16).

È un breve bramo tratto dagli antichi scritti vedici, risalenti al III millennio a.C. dove le corde e i nodi sono gli attributi del dio della morte. Legami magici come magica era la sovranità del dio.
Legature e scioglimenti che portavano l’uomo a prendere conoscenza della propria posizione nel cosmo e soprattutto ad avvertite la necessità di avere una relazione con un autorità superiore, un dio.
Questo non avveniva solo nelle antiche religioni indiane e nell’Iran ma anche altrove.  Nella Siberia troviamo dei rituali sciamanici con lacci destinati a catturare le anime vagabonde che hanno lasciato i corpi degli uomini.
Gli uomini legati dell’Addaura anticipano dunque di miglia di anni una ritualità che troveremo espressa nella storia in varie credenze religiose ?
Quegli uomini non erano solo legati a scopo punitivo ma quei lacci costituivano anche un legame simbolico di vita e di morte, di un legame dell’uomo con la divinità verso il quale tutta la comunità si rivolgeva.
Un secondo aspetto sul quale l’artista ha voluto concentrare la sua espressione per colpire il visitatore del santuario è costituita dal fascio di tre linee convergenti che in entrambi gli uomini attraversano il corpo in posizione baricentrica.
Molti hanno definito queste tre linee come l’erezione del pene. Linee che fuoriescono inspiegabilmente anche dalla schiena o dai glutei dei due uomini. Si parlò anche di un astuccio fallico. L’organo maschile è rappresentato con un solco sottile, dal punto di vista anatomico ben posizionato; non è  rimarcato, è infatti disegnato a tratto sottile nella prima stesura dell’opera, come invece è avvenuto per le altri parti del corpo.
Questi aspetti dimostrano che nella rappresentazione scenica l’organo genitale maschile non aveva la sua importanza nell’ambito del messaggio cultuale che l’artista voleva trasmettere ma che veniva evidenziato solo per dimostrare il sesso dei soggetti.
Il significato quindi delle tre linee che attraversano il corpo  dei due personaggi ?
Fu accettata la tesi dell’”uomo trafitto” di Mussi e Zampetti creando una somiglianza o un legame con gli uomini “trafitti” dell’arte paleolitica rupestre francese (grotta di Cougnac) pur con le dovute differenze cronologiche.


Grotta di Cougnac – L’uomo trafitto


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Trafitti da cosa e perché?
Nelle raffigurazioni preistoriche i tre segmenti che attraversano i corpi non sarebbero o rappresenterebbero armi o ferite ma delle linee energetiche ( G.B. Brusa Zappellini, riprendendo una tesi di N.W. Smith).
Si tratterebbe di una “rappresentazione grafica di forze extracorporee che collegano lo sciamano al mondo degli spiriti e degli animali magici”. Questa sarebbe una delle interpretazioni ed in ogni caso la soluzione al quesito va ricercata nell’interno della scena dato che l’artista ha voluto rrappresentare tutta la narrazione grafica di un rito e di un mito a carattere religioso. Stranamente il Graziosi aveva forse identificato il verso significato di quelle tre linee anche se si ostinò a considerarle come caratterizzanti un astuccio fallico o di genitali. Parlò infatti di quelle tre linee che formavano una figura del tutto simile ai becchi degli uccelli delle maschere portate dagli altri personaggi
I due sacrificati sono trafitti dalla rappresentazione simbolica di becchi d’uccelli, quegli stessi uccelli evocati, durante il rituale, dai danzatori mascherati.

Confronto tra le linee, interpretate come becchi d’uccelli infilzati nei corpi dei
due sacrificati  F ed E , e che attraversano i loro corpi, e i becchi d’uccelli degli
altri personaggi o figure.

I due personaggi stanno mimando una morte rituale o che stanno realmente morendo per soffocamento. Gli uccelli rapaci che si potrebbero collegare ai becchi infilzati nei cadaveri sarebbero gli avvoltoi o grifoni. Uccelli divoratrici di carogne, i più grandi volatili presenti alle nostre latitudini e come i grifoni dal becco massiccio e pronunciato o i capovaccai (dal becco più lungo e affilato). I grifoni che sono vissuti in Sicilia sin dal Pleistocene, secondo i resti che sono stati ritrovati negli scavi, ed oggi reintrodotti nell’isola.
La loro presenza sulle rupi che circondano la Conca d’Oro è ricordata dal nome di Monte Grifone che si trova di fronte al Monte Pellegrino..



Il Grifone



In epoca preistorica, l’esempio meglio conosciuto di collegamento diretto tra la figura dell’avvoltoio e una divinità legata alla morte ci è noto dalla famosa scena dipinta sulle pareti del
santuario Neolitico di Çatal Hüyük, nell’Anatolia centrale.


In questo caso, grandi avvoltoi attaccano un essere umano senza vita (così come avviene, ma in modo simbolico, con il solo becco anche all’Addaura) e con le braccia distese. A Çatal Hüyük,
l’avvoltoio è stato identificato proprio con il grifone, il Gyps fulvus, un rapace inoffensivo per l’uomo ma grande divoratore di carogne. Ed è proprio da questa sua peculiarità che, secondo
Marija Gimbutas, è nato lo speciale legame del grifone-avvoltoio, quale essere divino, con la morte.
Dunque in definitiva, raffigurando Sach e Did durante la loro morte rituale, causata dai lacci della divinità, seguita dal sacrificio dei loro corpi dati in pasto agli uccelli divini, il Maestro dimostra di appartenere ad una società nella quale l’uomo non si rapporta più solo con la Natura, quale suo unico referente divino (come nel caso delle raffigurazioni di animali del Paleolitico), ma che la utilizza quale elemento mediatore (nel nostro caso attraverso gli avvoltoi) nel tentativo di trovare un canale privilegiato di comunicazione con una divinità che ora non è più terrena, bensì ultraterrena, celeste.
 Gli avvoltoi, racchiudendo in sé l’aspetto terreno e aereo, sarebbero gli artefici di un collegamento tra cielo e terra verso un divinità superiore. La loro maestosità, il volare così in alto, i loro versi per certi aspetti terrificanti che sembrano urla di morte, il mangiare i cadaveri.. sono tutti aspetti di vita e di morte. Tutto ciò, narrato attraverso complesse iconografie dal profondo significato simbolico.


Figure di Equidi e grossa incisione lineare

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GLI ALTRI PERSONAGGI DELLA SCENA

Attorno ai due sacrificati ci sono almeno dieci personaggi ma di questi sembra che solo tre sembrano prendere parte attivamente al rituale (A – B – C)
I personaggi A e B hanno un ruolo da protagonisti nella scienza.
Il personaggio A ha un becco pronunciato e la folta capigliatura, caratteristiche che appaiono nelle figure C – D – G – I – N – R.
Il personaggio B sembra avere la testa rasata come le figure P – Q – H


 Il  diverso tipo di capigliatura porta a prendere in considerazione la visione di due gruppi  o comunità differenti ?
C’è da dire che l’associazione tra tipi di capigliatura e il becco pronunciato non si evidenzia in tutte le figure per cui è difficile poter affermare che ci troviamo davanti a due gruppi sociali differenti.  È probabile che tutti i componenti siano esponenti della stessa comunità ed ogni personaggio riveste nella stessa comunità una sua funzione sociale e religiosa.
Una aspetto sociale evidenziato dalla capigliatura, dalla testa rasata, dalla maschera, dalla cintola o dal giavellotto, tutti aspetti che permettono all’artista di mettere in risalto la funzione sociale/religiosa del singolo individuo nella comunità.
Il rituale del cambiamento dell’acconciatura è un motivo ricorrente in tutti i riti di iniziazione dei propoli primitivi e non solo. Infatti si ha la rasatura dei capelli prima o durante il rituale d’iniziazione mentre alla fine del noviziato i giovani potevano mostrare un folta capigliatura.
Erodoto rilevò delle immagini sulla capigliatura dei guerrieri nello scontro tra Spartani ed Ateniesi.
La bellezza virile del guerriero veniva esaltata dalla lunga capigliatura che avrebbe comportato un segno visivo di vittoria mentre la testa rasata, accanto ad altre manifestazioni di lutto, rientrava fra i rituali che imbruttivano il volto dei viventi avvicinandolo alla morte.
Di grande interesse storico è la notazione di Diodoro Siculo sulla funzione sacra della capigliatura in Sicilia quando afferma che “nella sua Agirio, fra i sacrifici che gli abitanti decretavano in onore del santuario edificato da Iolao, vi era quello di farsi crescere i capelli sin dalla nascita finchè non si fossero ottenuti  buoni presagi e propiziato il dio con sacrifici magnifici”.
Il maestro dell’Addaura con la sua arte mise in risalto la relazione il rapporto fra il sacro e l’interpretazione del significato della capigliatura sia nei riti iniziatici così come nella condizione del guerriero o nei riti legati ai sacrifici.
“Per le maschere indossate dai danzatori, secondo il giudizio di Vernant, . Portare una maschera significa cessare di essere se stessi ed incarnare, fin tanto che la si indossa, la potenza dell’aldilà che si appropria di voi, di cui voi mimate la faccia,la gestualità e la voce. Lo sdoppiamento del volto mascherato, la sovrapposizione del secondo al primo così da renderlo irriconoscibile,
presuppone l’alienazione di sé e il totale assoggettamento al dio”; si stabilisce così “una contiguità tra l’uomo e il dio, uno scambio di statuto che può arrivare fino alla confusione, all’identificazione; ma, al tempo stesso, in questa vicinanza s’instaura anche lo strappo da sé, la proiezione in una alterità radicale, la distanza più grande e lo smarrimento più completo che appartengono all’intimità e al contatto”.

Negli uomini mascherati dell’Addaura c’è un legame dell’uomo con la divinità-avvoltoio. È questo un aspetto che è probabilmente l’elemento cardine di tutta la scena.
La maschera è lo strumento con il quale l’individuo è in grado di assumere le sembianze della divinità entrando in rapporto con essa.
La materializzazione avviene in modo cruento… orribile: infilzando il becco nel corpo dei due sacrificati.
Sempre nella figura A l’artista ha ritoccato la figura originaria tracciata con punta fine. Ha reso i glutei più voluminosi e prominenti; il suo corpo fa perno sulla gamba sinistra mentre la destra sembra accennare ad un passo di danza. Di particolare effetto le estremità inferiori, viste frontalmente, che si chiudono a punta, grazie a due appendici triangolari… sembra quasi che stia danzando in punta di piedi come un esperto ballerino dell’opera  (la stessa schematizzazione anche nelle figure ( C – D – G – Q -).

Particolari dei piedi di alcuni danzatori.
Un elemento caratterizzante la grande arte dell’Artista del Paleolitico

Accanto alla figura A è posta la figura B che sembra il personaggio più importante della scena perché occupa il vertice della stessa rappresentazione.  È l’unica figura rappresentata frontalmente, mostra le braccia alzate e una curiosa apertura delle gambe che sembrano divaricate. Porta la maschera di avvoltoio e la sua chioma non appare così folta come per gli altri danzatori forse per una questione di angolazione nella rappresentazione scenica oppure perché ha la testa parzialmente rasata.
Le due figure A e B sono le uniche che hanno le braccia rivolte al cielo. Forse rappresentano due uomini addetti al culto, per questo motivo sono rappresentati ai vertici dell’scena cioè all’inizio, e quindi degli sciamani ?



Quelle braccia protese al cielo sono legate ad un passo di danza oppure è l’espressione dell’orante cioè “di colui che prega” ? La prima manifestazione di preghiera rivolta ad un essere supremo ?
Le braccia alzate nelle due figure è un gesto che interagisce sia con la danza che con la preghiera.
Figura dell’orante che è già presente nelle rappresentazioni del Paleolitico Superiore (Germania in una rappresentazione antica di 30.000 anni).

Nell’Addaura le due figure si trovano in un contesto sacrale, in un rito dove figurano altri personaggi, e dimostrano con il loro gesto di essere sottomessi da una divinità celeste posta in alto.
I personaggi D ed N appaiono sulla scena armati di lunghi giavellotti.. sono dei cacciatori ?


Il personaggio N sembra dirigersi velocemente verso il centro della scena tenendo ben alzato il giavellotto e non sembra nel momento di cacciare e la figura del daino posta vicino a lui, al di sotto, non è in relazione.  Il personaggio D appare invece immobile sulla destra anch’esso con il giavellotto ben alzato. Poco più in basso c’è il personaggio I che evidenzia uno strano incrocio delle gambe. Presenta le stessa posizione delle braccia della figura D ma non porta il giavellotto
Quasi simile sembra la posizione della figura C ma non tiene nulla in mano. Tutti sono rivolti verso destra e hanno il capo ricoperto da una folta chioma e indossano la fatidica maschera a becco d’avvoltoio, ad eccezione della figura C che presenta invece una specie dio muso squadrato che somiglia a quello del personaggio E (uno dei sacrificati).
Tutti presentano un marcato segno all’altezza dei fianchi, si tratta di una cintura che appare anche nei due sacrificati e nella figura B. Una cintura che doveva avere un suo carattere simbolico perché non la si nota in altri personaggi.
In alcune civiltà primitive era usanza ai soli maschi che avevano compiuto i dodici anni d’età, di essere denominati in base alla cintura che portavano. (Nuova Guinea, Elema)
Un aspetto che potremo dire insignificante ma che in realtà aveva la sua importanza perché probabilmente all’interno di un gruppo era un carattere di distinzione sociale e forse anche religioso. Generalmente nelle raffigurazioni di caccia è l’attività venatoria ad essere esaltata e non il cacciatore. Ma nel graffito dell’Addaura tutto sembra diverso… ci troviamo in presenza di quello che potremo definire un grande Arista.. capace di comunicare con la sua arte mille messaggi…
I potenziali cacciatori (N e D) sembrano fare solo bella mostra di sé con i loro preziosi giavellotti. Sono in perfetta posa anche se il personaggio N sembra procedere verso il centro della scena per raggiungere una meta misteriosa.
L’artista riesce a dare un accenno di dinamicità sollevando leggermente anche il braccio destro della figura D, ma in ogni caso entrambe le figure sembrano non avere nessuna relazione, in quel momento, con la caccia.
Lo scopo della loro presenza ?
Lhote H. nelle sue ricerche mise in risalto che nei graffiti del Sahara, i   personaggi armati di lancia o giavellotto, detti “lancieri”, non erano solo dei cacciatori.
E quindi cosa potrebbero rappresentare ?
Le due figure affiancate sulla sinistra della scena (G ed H) sembrano quasi in relazione fra di loro.


La figura G, un uomo, ha le braccia lunghe ed affusolate, rivolte verso il basso, e mostrano una certa somiglianza con quelle della figura F (uno dei sacrificati, quello posto in alto). La testa del personaggio è ricavata geometricamente da un rettangolo nel quale il Maestro, incurvando in basso leggermente una linea, ha ricavato il mento. Un aspetto assai somigliante sempre alla figura F. La figura G non presenta la maschera con becco d’uccello ma mostra la solita folta capigliatura come la maggior parte dei danzatori. Presenta anche lui piedi a punta e il segno orizzontale che attraversa i fianchi cioè la cintura.
La figura  H appare invece dall’ombra, come d’improvviso, vicino alla grande figura G. Un corpo realizzato in modo approssimativo con la testa tondeggiante, umana, aggraziata se confrontata con quella del suo compagno vicino G.
Presenta a differenza degli altri soggetti le spalle strette e le braccia che si confondono con il corpo slanciato. Un tratto retto, ben marcato, che attraversa orizzontalmente il torace all’altezza del petto, potrebbe rappresentare simbolicamente il seno. La sagoma delle gambe scende in modo flessuoso verso il basso fino ad unirsi come ad un puntale d’anfora. Il maestro tentò di ridisegnare la gamba sinistra, forse per dare più movimento alla figura, la quale fuoriesce dal corpo con un evidente segno arcuato.
Le due figure G ed H sembrano procedere  insieme verso la stessa direzione. Sono un uomo ed una donna, una coppia forse ignari dell’atto cruento che si sta svolgendo non lontano da loro.
La figura M, alquanto sbiadita, rileva ben poco e sembra chiudere il gruppo degli appartenenti al circolo dei danzatori.
I  contorni del corpo sono solo accennati in maniera confusa. La chioma è folta ma non presenta i lineamenti del viso e neanche la maschera a becco d’uccello. È forse una figura legata al progetto iniziale dell’artista che in seguito decise di tralasciare cercando di cancellarla   sovrapponendogli la figura L che chiude il circolo dei danzatori e che sembra anch’essa in un abbozzato movimento di danza.

Allontanandoci dal gruppo si trovano altre figure maschili e una donna.  La figura Q è una delle figure che ha destato il maggiore interesse.


Un uomo dal corpo vigoroso, il quale è rivolto verso sinistra, sembra allontanarsi dal centro della scena principale. Mostra una corda o un nastro che gli passa sopra la testa ed utilizzata per impedire la caduta del cadavere di uno dei due sacrificati che sta trasportando. Del cadavere  sembrano distinguersi un accenno della testa e delle braccia piegate. Molti segni della figura sono confusi come quelli del braccio sinistro, e del braccio destro. La testa è rasata e sul viso è presente un accenno di becco o forse un mento particolarmente prominente. Il maestro ha invece dimostrato una sua capacità artistica nella rappresentazione della porzione inferiore del corpo: ventre, glutei, organi genitali e cosce sono incise con estremo verismo. L’unica estremità delle gambe visibile finisce con la tipica stesura a punta da danzatore.

Monte somiglianze con la figura Q la ritroviamo con la figura R posta più in basso e la più lontana dalla scena.
Entrambe sembrano procedere nella stessa direzione con la medesima andatura e gestualità. Il braccio destro è alzato in direzione della testa come se stesse trasportando qualcosa che non è percettibile.


La figura P è posizionata al di fuori della scena principale. Un aspetto rigido, il profilo molto approssimativo, la muscolature lontana dalla bella conformazione delle figure precedenti. Una stretta testa rigonfia che si allunga con un affilatissimo becco, sembra quasi da pellicano, e uno stretto collo. Mostra un solo braccio alzato con una gestualità che sembra simile a quella delle figure Q ed R anche se goffamente proteso in avanti.


Non si capisce se stia camminando o danzando; il sesso è accennato e mostra la solita cintola alla vita. Non sembra opera dell’artista per diversi motivi: approssimativi alcuni tratti della testa; stranissima la  resa del becco che nelle altre figure dimostra un aspetto molto accurato ed importante; troppo rigidi il corpo e la sua azione. Forse opera di un suo allievo o forse aggiunta successivamente da un altro artista ?
Le ultime due figure sono le figure di due donne.
La figura L è quindi l’ultima figura del gruppo di danzatori. Il Mezzena nel suo studio critico identificò la figura con uno dei “raccoglitori” degli acrobati lanciati in aria dai due soggetti (oranti) A e B (con le braccia alzate).
Secondo altri storici invece, fra i quali la Marconi, si trattava di una figura in un passo di danza con atteggiamento chinato come avviene ancora oggi in alcune tribù primitive. Il maestro apportò delle modifiche alla prima stesura della figura. Ripensamenti che sono chiaramente visibili nelle linee a tratto sottile da quelle a tratto profondo, all’altezza dei gomiti e delle ginocchia. Nel progetto originario le braccia dovevano essere distese così come la gamba destra, mentre la gamba sinistra ha mantenuto la sua posizione originaria. In un primo momento la figura doveva quindi avere uno strano atteggiamento, come se fosse accovacciata, con braccia  e gambe protese in avanti. Nella stesura finale il maestro ha piegato le braccia verso l’alto e la gamba destra all’indietro, dando così alla stessa figura un certo movimento. Importante in ogni modo è l’identificazione del sesso. Un  aspetto importante, osservando il profilo della figura, è  l’assoluta mancanza di muscoli nelle gambe, nel tronco e la rotondità dei glutei, aspetti riconducibili ad una corpo femminile. La mancanza del rilievo del seno non è un elemento importante  , seno che sarebbe coperto dalla presenza del braccio sul corpo che lo coprirebbe.


Caratteristiche femminili si osservano sul volto, sottile ed allungato, nella schiena liscia e fluente tagliata di netto all’altezza delle spalle con un acconciatura che ricorda certi aspetti femminili dell’arte egizia, in sostituzione della folta capigliatura o del copricapo portato dai personaggi di sesso maschile.
La figura L sarebbe quindi una donna intenta in qualcosa in un passo di danza oppure ripresa in un momenti di vita quotidiana come la raccolta di erbe.Un lavoro domestico ed in contrapposizione alla figura maschile vicina del cacciatore armato di giavellotto. Una comunità di agricoltori – cacciatori ? Sarebbe questo il messaggio dell’artista  nel rappresentare la sua comunità ?
La figura femminile O è altrettanto complessa.. si sta allontanando dalla scena portando sulle spalle un fardello, un sacco, che sarebbe il più antico fagotto della storia dell’umanità.


Ha il capo tondeggiante, femminile, che assomiglia a quello della figura H, mostra il braccio proteso in avanti, così come la gamba destra e procede spedita verso una meta. Sta portando in quel fagotto uno dei due defunti ? Perché fare trasportare un fagotto, un defunto,  comunque pesante, ad una donna  forse anche incinta ?
La femminilità della figura è infatti espressa o sottolineata da due aspetti. Il profilo del seno e la prominenza del ventre come di chi si trova in stato di gravidanza. Un attributo , quello della capacità di procreare da parte della donna, che il Maestro ha voluto sottolineare indicando un ulteriore ruolo specifico sociale che il gruppo attribuiva alla donna (oltre a quello di raccogliere le erbe).
Il paleontologo Antonio Radmilli nelle sue ricerche evidenziò come nel Mesolitico la rappresentazione delle donne fosse diversa da quelle delle Veneri del Paleolitico. In questa fase non essendo più sufficiente la caccia, le donne assunsero un ruolo predominante nell’attività di raccolta come nel caso dell’Addaura.
Da questo presupposto si può immaginare che la figura O, con il suo sacco sulle spalle, stesse trasportando le verdure raccolte dalla figura L. Una rappresentazione , la più antica, del lavoro di raccolta delle donne in una comunità preistorica,, la più antica nella storia dell’umanità.

IL Maestro dell’Addaura non ha solo descritto una scena dei suoi tempi ma ha lasciato anche un messaggio un “mitogramma”. Un importante documento visivo in  cui è possibile leggere: i passi di danza dei personaggi che introducevano ad un rito accompagnato dalla musica o da un canto, le cui parole sono state per sempre perdute; l’esortazione degli oranti, con le braccia verso il cielo rivolte alla divinità celeste; la prova fisica o il sacrificio umano, a secondo delle interpretazioni; la presenza della congregazione, con la riunione di tutta la comunità, distinta attraverso precisi attributi (capigliature, armamenti, cinture) per ruoli o compiti sociali.


Il suo messaggio o le sue parole finali sono legate alla manifestazione del divino: le maschere degli avvoltoti e i loro becchi infilzati nei due sacrificati/iniziati.
La storia di una comunità comunicata con un linguaggio visivo sulla roccia.
C’è un grande rammarico nella descrizione di questo unico reperto al mondo.. ed è veramente sconcertante..
La grotta dell’Addaura ha sicuramente perso una serie di informazioni che non furono accuratamente documentate. Quegli elementi archeologici che probabilmente erano presenti nella grotta avrebbero potuto fornire degli elementi d’indagine importantissimi dal punto di vista storico. Ma sono andati perduti per imperizia, mancati scavi, o per causalità. Penso che siano andati perduti anche a causa di scavi clandestini che ancora prima dell’intervento della Soprintendenza furono effettuati nelle grotte da gente senza scrupoli e anche da esponenti d’alto livello sociale, che cercavano la “trovatura”.

L’opera del Maestro è quindi posteriore alla fine del Paleolitico ed anticipa la rivoluzione agricola e pastorale che iniziò nel X millennio raggiungendo la Sicilia verso il 6000 a.C.. In questo arco di tempo (periodo che per la Sicilia corrisponde all’epoca Mesolitica) si dovrebbe collocare quindi, secondo gli storici, l’opera dell’Addaura.
Una società non agricola che ebbe come Essere supremo un dio del cielo o un Essere celeste” in cui “alcuni animali sono ritenuti onniscienti, come i rapaci che tutto odono, vedono, prevedono il tempo” e quindi avevano la facoltà di essere a conoscenza del “passato, del presente e del futuro”.

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I  “Danzatori” sono Tre ? ….Due Uomini ed una Donna ?

Interessante la tesi espressa da una ricerca della dott.ssa Monica Taddia sulle due figure maschili
che stanno per essere uccise in seguito ad un rituale.
Una ricerca posta nel sito:


Come abbiamo visto i ricercatori hanno identificato le due figure con acrobati o danzatori, forse intenti ad intrattenere i convenuti ad una festa prima dell’esecuzione di un rituale;  altri ancora hanno optato per un rapporto omosessuale e non sono mancati anche coloro che hanno dato sfogo alla fantasia citando la presenza di elementi extratterestri.
Come si vede la letteratura  d’indagine è molto ampia e questo graffito collocato fra il 10.000 e il 7.000 a.C. sembra ancora  affascinare con la sua comunicazione e molti storici nel passato lo definirono come un falso storico… perchè è il primo graffito in cui viene comunicata un momento di vita di una tribù con i suoi personaggi ognuno con la propria funzione sociale o anche religiosa.
 La ricercatrice  iniziò la sua indagine  analizzando l’area geografica in cui è collocata la grotta. La tribù si trova ad interagire con i quattro elementi che potremo definire di vita:
-          Terra, cioè la terra circostante
-          Aria , la montagna
-          Acqua , il mare
-          Fuoco, non solo il fuoco in sé ma anche il sole in un isola come la Sicilia dalla forte insolazione.

“Questo tipo di popolazione, perciò, a differenza di altre stanziate in territori di tipo pianeggiante e/o lontane dal mare godeva di una particolare fortuna: non solo conosceva l'asprezza del territorio montano, ma aveva anche a che fare con le alture e gli animali, specie rapaci, che popolano determinati luoghi: conseguentemente ne derivavano ammirazione, stupore, emulazione, ricerca della vicinanza al cielo come territorio "magico" che solo le creature alate possono dominare. 
La creatura alata andava quindi ammirata e rispettata oltre che temuta. Occorreva cercarne le grazie, assomigliarle per comunicare meglio con lei.
E quale modo migliore del comunicarvi se non utilizzando delle maschere provviste di becco? Ecco perchè, tra le varie figure presenti nel graffito, ne troviamo alcune che indossano questo tipo di travestimento.
Per sopravvivere, la popolazione non si occupava solo della caccia, ma anche della pesca: il mare offre preziosissimo nutrimento quale pesci (dalle piccole alle grandi dimensioni), crostacei, bivalvi...
Cacciare era meno semplice: creature come ad esempio gli alci (presenti nel graffito) si arrampicavano facilmente su per le montagne, riuscendo a trovare maggior riparo in caso di pericolo. Da qui sarà certo nata la necessità di creare un rapporto con gli animali che potesse essere quasi benevolo: un addomesticamento? Del resto pare che si inizi a parlare di addomesticamento animale più o meno in questo periodo.
La caccia inoltre, va ricordato, veniva svolta quasi prevalentemente in gruppo.

Nel Paleolitico e nel Mesolitico (che sono il nostro periodo di interesse relativo alla datazione dei graffiti) le principali strutture della società erano il clan e la comunità (quest'ultima è il clan allargato ovvero comprendente tutti i parenti delle persone con cui ci si andava a congiungere).
Probabilmente non vi era una gran differenza tra uomini e donne a livello di importanza/potere, tuttavia, come emerso anche da ricerche svolte da Maria Gimbutas, pare che l'area europea fosse basata su una religione di tipo MATRIARCALE che, quindi, venerava una DEA MADRE (a tal proposito si ricordino i vari manufatti ritrovati in quasi tutta l'area europea e databili anche circa 15mila anni fa, raffiguranti personaggi dalle forme femminili rotondeggianti e voluminose, rappresentanti la fertilità)
La Dea, come sappiamo grazie a questi ritrovamenti, veniva adorata già durante l'era Paleolitica, dal 50.000 all'8.000 avanti Cristo.

Numerosi sono i simboli all'interno di questo graffito che ci riportano al culto del divino femminile e che verranno spiegati in seguito.

Partiamo invece da quelle che è la parte "bassa" del graffito dove i protagonisti principali sono gli ANIMALI. Guardando dal basso verso l'alto notiamo alcune figure che possono essere interpretate senza troppi fraintendimenti come bovini ed equini (una potrebbe essere una pecora o comunque un ovino) 


 Proseguendo abbiamo tre figure maschili (riconoscibili per il fallo o, forse, astuccio fallico), ed una femminile col ventre prominente.
Una delle figure maschili (quella più a sinistra) sta rincorrendo un bovide per cacciarlo.
Un'altra tiene qualcosa di lungo nella mano destra: a logica uno strumento di caccia, visto che sta prendendo la stessa direzione del personaggio di cui sopra. Notiamo, però, che mentre quello di cui sopra NON ha maschere addosso, questo pare proprio avere la maschera con tanto di becco che caratterizza i personaggi che incontreremo nella parte alta del graffito. E se fosse invece una specie di strumento musicale, magari costruito con lunghe canne o con rami/tronchi cavi? Ad avvalorare l'ipotesi, vi è il fatto che il volto di costui non sia rivolto verso il compagno cacciatore ed il bovino ma su quella che potrebbe essere l'impugnatura o l'imboccatura dello strumento stesso.
Una terza figura maschile (quella più a destra) porta qualcosa "alla cintura". Una sacca? E se invece fosse un tamburo? Questi prende una direzione completamente diversa, sta recandosi verso il fulcro della cerimonia. 

Strumentario sonoro preistorico
I paleolitici accompagnavano la danza rituale  con lo strumento musicale
più antico del mondo: la voce. Alla voce univano suoni ottenuti  con pietre di dimensioni
diverse e accostate tra loro che venivano battute con un legno; con ossa, ecc.
Gli scavi archeologici hanno restituito nel tempo interessanti reperti che
venivano adoperati come strumenti musicali a percussione ed adoperati dai cacciatori.
I sonagli legati costituiti da noci, semi, denti di animali che erano legati tra loro da
una cordicella; sognali di zucca cioè zucche vuote riempite di sassolini e anche
tamburi a fessura ricavati da tronchi d’albero cavi cioè con una cavità interna longitudinale.
Gusci, bastoni, conchiglie ed ossa che venivano raschiati con un oggetto duro e
strumenti a fiato come ossa traforate o rudimentali trombe ottenute da rami caci come
ad esempio l’infiorescenza dell’agave, seccata e svuotata internamente costituiva un
ottimo strumento a fiato lungo anche 3 metri.
Strumenti particolari erano l’arpa di terra e l’arco musicale.
L’arpa di terra era costituita da una buca scavata nel terreno e riempita di corteccia
d’albero. Sulla buca si tendeva una cordicella legata ad un bastone infisso nel
terreno e percuotendola o pizzicandola si otteneva una strana e delicata risonanza.
L'arco musicale, invece, era formato da un ramo flessibile curvato mediante una corda tesa
 tra le due estremità e recante un risuonatore a zucca destinato
ad ampliare il suono della corda pizzicata.

Dall’infiorescenza dell’Agave Americana, presente in Sicilia, si può ricavare uno 
strumento musicale. Una volta svuotata e seccata viene forata e leggermente 
curvata nella parte finale… un operazione
che ho visto eseguire in alcune comunità che vivono a contatto 
con la natura.Il risultato finale è l’emissione di un suono dolcissimo 
che dipende dalla distanza  dei fori praticati sullo strumento.

Vi è infine una figura femminile con un ventre enorme, quindi gravida. Di fianco a lei, un animale con le CORNA la cui forma ricorda la MEZZALUNA. Questo è, a mio avviso, uno dei punti chiave dell'intera vicenda.
Infatti con la figura femminile affiancata all'animale inizia a delinearsi un cammino a SPIRALE che, dall'esterno, si sviluppa verso l'interno, con moto ANTIORARIO.
Sappiamo che nell'arte rupestre paleolitica la spirale viene associata a immagini di falci di luna o ANIMALI le cui corna hanno la forma della FALCE di luna. 
La spirale è sinonimo di CICLO DELLA VITA  oltre che della CREAZIONE, simboleggia fecondità ma anche il LUNARE e l'ACQUATICO
La danza a spirale, che è già prerogativa di questo periodo storico, aiuta l'uomo a raggiungere uno stato di "estasi" che l'aiuta in un qualche modo ad avvicinarsi il più possibile alle divinità.(Consiglio di confrontare con http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Simboli_danzaspirale.htm )
Il senso antiorario della spirale simboleggia l'ACQUA e l'allontanamento del CALORE, quindi del sole. Presumibilmente, quindi, questo rituale è stato effettuato in autunno se non addirittura in inverno, quando le ore di luce iniziano a diminuire; poichè la spirale viene spesso accomunata al solstizio, è più facile pensare che il rituale sia avvenuto durante il solstizio autunnale o quello invernale.
Il senso centripeto solitamente tende ad essere il movimento inverso alla creazione, quindi il riassorbimento, il ritorno, in alcuni casi la morte.
TUTTAVIA essendo il CENTRO considerato il CANALE DELLA VITA, in questo caso potrebbe non essere prevista la morte degli individui al centro della scena.
Ricordiamo infatti che nella DANZA A SPIRALE il danzatore cerca di entrare in connessione con il ciclo della vita. 

Osserviamo ora le figure che si trovano lungo la spirale. 
Si tratta per lo più di figure maschili che indossano un copricapo (potrebbe non essere un copricapo rituale ma semplicemente un segno di riconoscimento del clan) e quella che con tutta probabilità è una maschera a forma di BECCO.
Poichè l'autore del graffito non ha indicato la presenza di un apparato genitale maschile in tutti i personaggi, si presuppone che alcuni siano donne, forse vi è anche una bambina/ragazzina dal momento che una delle presunte donne è stata ritratta con minore statura. 
Sulla destra, inoltre, notiamo proprio "in fila" nella spirale, una testa di alce/daino (ritroviamo l'indicazione delle corna a forma di falce).
I movimenti in cui i personaggi sono immortalati sono tipici di una danza e ne rappresentano le varie fasi. Sono movimenti che vanno quasi a toccare il suolo con le braccia per poi innalzarle verso l'alto. Una connessione, quindi, tra terra e cielo.

Le due figure centrali restano l'enigma principale del graffito. 
Partiamo da quella superiore. Una figura maschile (il fallo è ben visibile, addirittura più pronunciato rispetto a quello degli altri), anch'esso con una maschera a becco, pare essere privo del copricapo. 
Vi sono delle linee rette che paiono quasi essere un imbracatura che circonda il torso dell'uomo, viene fatta passare per la schiena e forse va a legarsi ai piedi. E', questo, ciò ha fatto pensare che si trattasse di una forma di incaprettamento che costringesse l'uomo ad essere vittima sacrificale assieme al compagno di cui sotto.
Quest'ultimo è anche esso raffigurato con un fallo pronunciato. Potrebbe essere visto con la testa rivolta verso sinistra, il copricapo, la maschera a becco, la schiena arcuata, le gambe coperte dalla figura di quello sopra di lui. E anch'egli incaprettato all'incirca come il suo "compagno"

Ma se le figure in realtà fossero TRE? Ipotesi azzardata, forse una forzatura. Eppure non per questo meno logica rispetto alle altre. 


Secondo questa mia interpretazione si tratterebbe di due uomini (in azzurro e giallo) e una donna (in verde) 
L'uomo in azzurro ha il pene che, in questo caso, tende sia verso la vagina della donna che verso l'ano dell'altro uomo, il quale è sdraiato a pancia in giù, forse dopo aver a sua volta avuto un rapporto rituale con la donna. 
La donna, rappresentata con la parte che va dal bacino alle ginocchia più lunga del normale, pare quasi una figura "sireniforme". Questa potrebbe essere non tanto una rappresentazione del vero quanto una scelta artistica atta a sottolineare il ruolo di "divinità marina" che la donna svolge all'interno del rituale.
In questo caso, le linee che io ho evidenziato in rosso equivarrebbero all'energia che già proviene dall'utero della donna (già stata fecondata da un altro) mentre quelle che ho marcato in bianco sarebbero non un imbracatura da incaprettamento bensì 
- il movimento/lo sforzo compiuto               oppure
- una specie di vestiario rituale 
Non essendo visibile per intero la terza figura non sappiamo se anche essa possieda questo capo di vestiario e quindi si trovi allo stesso "rango". Anche perchè il personaggio in azzurro pare effettivamente non essere in possesso del copricapo. (L'altro invece ha un becco più grosso e il copricapo quasi come se fosse scomposto, forse un ulteriore segno dello sforzo sessuale compiuto).

Inoltre si può pensare che il rituale fosse atto a richiedere la benevolenza del mare poichè con gli animali già esisteva un rapporto di cooperazione: si trovano tutti al di sotto del disegno, e alcuni di essi sono all'interno del cerchio come ad indicare il loro ruolo di esseri subordinati all'uomo oltre che ad avere la funzione di simboleggiare la Dea Madre. 

Alla luce di tutte queste affermazioni quel che si puo' dedurre, in sommi capi, è questo:

- Si trattava di un rito propiziatorio compiuto il giorno del solstizio di autunno o d’inverno.
- Il rito si svolgeva tramite danza a spirale con movimenti dall'alto verso il basso per richiamare le forze del cielo e della terra
- La danza a spirale di per sè rappresentava il ciclo della vita e aiuta a sentirsi in comunione con la divinità
- Gli astanti indossavano maschere dal becco d'uccello per sentirsi più vicini ai rapaci e, di conseguenza, alla loro forza ed al cielo
- Il rito era probabilmente accompagnato da musica (un uomo con un tamburo e due con delle canne/flauto ?)
- Il rito era dedicato alla Dea Madre (figura della donna incinta e del cervo)
- Il rito era atto a propiziarsi anche la fertilità della pesca (spirale= acqua e vita) nel momento più buio dell'anno (e quindi con meno ore disponibili a cacciare mentre la pesca può fondamentalmente avvenire anche al buio)
- Il rito era atto a ingraziarsi la benevolenza del mare: la donna al centro ha il corpo che ricorda quello di una donna/pesce 
- Nel rito due uomini fecondavano la donna/pesce affinchè una doppia fecondazione possa essere più produttiva (più pesci nel mare)

Il fatto che il senso centripeto possa essere sinonimo di morte ci potrebbe far intuire questa donna non verrà effettivamente fecondata: potrebbe essere una bambina oppure una donna incapace di avere figli. Oppure che il nascituro verrà in seguito sacrificato al mare. O, ancora, che uno, due o tutti e tre i personaggi troveranno la morte alla fine del rituale. 
Trovo però improbabile la prima e l'ultima ipotesi dal momento che la scelta artistica dell'autore si è concentrata moltissimo sul centro della spirale, e questa quantità di particolari (compreso il tratto più marcato dell'incisione) ci fa pensare che in realtà si tenda esclusivamente alla procreazione. Del resto al principio della spirale appare una donna incinta. Quindi si giunge esattamente al punto di origine, l'atto sessuale che dovrebbe dare origine ad una nuova vita. Che, probabilmente, in un qualche modo, placherà le richieste del mare tramite sacrificio ad esso.” (Monica Taddia)

L’Artista delle Incisioni era uno Sciamano ?
Una domanda a cui è difficile dare una risposta.
Jean Clottes studia da decenni i dipinti o i graffiti rupestri del Paleolitico e secondo l’archeologo l’arte rupestre sarebbe opera di sciamani.
Gli straordinari dipinti delle grotte di Lascaux e Chauvet in Francia e quelli di Altamira in Spagna, riportano corse di cavalli, segni a forma di arpione, rinoceronti, cervi, mammut, teste di leone, linee tracciate con le dita, ecc.. tutte scene dipinte fra 30.000 e 10.000 anni fa.. Il loro messaggio ? Un messaggio forse perduto per sempre ?
L’archeologo francese Jean Clottes, esperto di fama mondiale per l’arte rupestre, ha raccolto i suoi studi su un libro uscito prima in Francia e poi negli Stati Uniti dal titolo ”What is Paleolithic Art?”  (University of Chicago).
Esperto dell’età del Bronzo, professore d’archeologia all’Università di Tolosa e a Berkeley, Clottes fu nominato nel 1975 direttore dell’antichità preistoriche della regione del Midi-Pirinei. Si trovò inserito in un ambiente che accoglie molte opere d’arte del paleolitico. Durante il suo mandato scoprì ed esplorò nuove grotte fra cui, nel 1994,  quella di Chauvet, una tra le più ricche di capolavori preistorici d’arte. Grotta di cui fino al 2016 dirigeva la ricerca scientifica..”è ancora la mia preferita.. il pannello dei cavalli e quello dei leoni sono tra le vette dell’arte paleolitica”.


Le leonesse di Chauvet

“Negli anni successivi alle prime scoperte di grotte dipinte ci sono stati un gran numero di tentativi per cercare di interpretarle. Alcuni vi vedevano magie per propiziare la caccia, altri arte con fine a se stessa, altri ancora come rappresentazioni di “totem”, animali delle tribù… ci fu persino che, visti i disegni di genitali femminili, ipotizzò l’opera di adolescenti ribelli”.
Negli anni Settanta il grande etnologo e archeologo Andrè Leroi-Gourhan sostenne che era inutile cercare di dare una spiegazione a quei disegni..”queste pitture provengono da una cultura e una visione del mondo troppo lontane e diverse dalla nostra, il loro significato era perso per sempre”.
Secondo Clottes “lo studio di ossa e attrezzi ci può dire molto sul mondo fisico delle genti del Paleolitico, la loro arte ci offre una preziosa finestra sulla loro mente, e non possiamo non tentare di darle un senso, almeno generale”.
L’archeologo francese girò il mondo visionando e studiando l’arte rupestre in tutti i continenti  e parlò con gli ultimi rappresentanti di quelle popolazioni che usano ancora questa forma di rappresentazione per scopi culturali e religiosi: gli aborigeni australiani, le tribù fra Messico e Stati Uniti, i popoli siberiani, i San dell’Africa australe, gli indios amazzonici…
Questi popoli vivono ancora un contatto intimo con la natura, per cui il senso che danno alle loro immagini può aiutarci a capire quello che gli davano gli uomini di 30 mila anni fa. Per esempio ora sto studiando le popolazioni tribali dell'India, che usano l'arte rupestre per attrarre salute e prosperità. Nelle Americhe ho invece appreso che i graffiti sono spesso legati agli "spiriti animali" dei luoghi, che si cerca di rendersi amici con piccoli doni. In Australia poi i famosi dipinti degli aborigeni legati ai miti ancestrali vengono ridipinti e aggiornati da millenni, perché sono ancora usati per l'iniziazione dei giovani. I dipinti tribali di oggi hanno in comune con l'arte preistorica alcune caratteristiche, per esempio la continua ripetizione in certi luoghi degli stessi soggetti, oppure la presenza di impronte di mani e piedi di bambini, che fa pensare a riti di iniziazione, o i doni e i segni di dita lasciati sulle immagini, simili a quelli che lasciano i fedeli nelle chiese quando chiedono grazie».
Con l'etnologia si può dare quindi un significato preciso alle pitture paleolitiche europee? Clottes è pronto a frenare. «No, questo non è possibile: l'abisso temporale è troppo grande e molti dettagli sono ormai perduti. In Australia, per esempio, mi hanno spiegato come certe linee sulle rocce indichino luoghi accessibili solo ai maschi o solo a iniziati. Nelle grotte del paleolitico ci sono segni simili: ma chi ce ne potrà mai spiegare il senso? O pensate a quella scena dipinta a Lascaux: un uomo con la testa di uccello e il pene eretto, disteso davanti a un bisonte sventrato da una lancia. Non potremo mai sapere a quale mito si riferisca. Credo però che potremo arrivare a intuire l'idea generale che motiva certe opere. Ed eliminare alcune ipotesi, come quella che si tratti di graffiti casuali: a realizzare opere di tecnica sopraffina dovevano essere persone selezionate e addestrate. Da scartare è anche l'ipotesi che i dipinti abbiano fini solo estetici: spesso si trovano nei recessi più oscuri e nascosti delle grotte, non certo per essere visibili a tutti. C'è una logica che ci sfugge nella scelta dei siti: alcune grotte comode e abitate per millenni non hanno dipinti, altre disabitate e quasi inaccessibili ne sono piene. Perché? I nativi americani mi hanno confermato che l'arte rupestre si realizza solo dove i luoghi "parlano" agli uomini».

Ma in che modo «parlavano» Altamira o Chauvet? «In tante mitologie le cavità sono un accesso a mondi ultraterreni» spiega l'archeologo. «Immaginiamo un uomo del paleolitico che si spinga nell'interno di una grotta fino a luoghi bui, con strani odori e concrezioni, inquietanti figure create dalle ombre, paurosi effetti di eco, poco ossigeno. In un luogo simile non c'è da stupirsi se qualcuno aveva visioni, che forse provava poi a fissare sulle pareti. La grotta appariva un luogo a cavallo fra il mondo degli uomini e quello ultraterreno, e chi era capace di mantenere aperto il contatto, magari anche per l'abilità nel disegnare le sue visioni, diventava una figura di grande importanza, uno sciamano».

Lo sciamanesimo è una forma di spiritualità tipica di popolazioni che vivono a stretto contatto con la natura ed è basata sull'idea di una continuità e permeabilità fra mondi: umano e animale, terreno e ultraterreno. Lo sciamano, entrando in trance grazie a danze, canti, digiuno o droghe, contatta o diventa esso stesso uno spirito animale, per ottenere guarigioni, preveggenza, buona sorte. Le figure metà uomo e metà animale, presenti sia nei disegni tradizionali che nelle grotte del paleolitico, rappresenterebbero questa funzione di ponte dell'uomo sacro.

«La mia ipotesi» spiega Clottes «è che le grotte europee fossero le sedi di riti sciamanici, per l'iniziazione di giovani, per propiziare la salute, la caccia e forse anche la fertilità, come suggeriscono le figure di genitali femminili, spesso ricavate intorno a fessure nella roccia». Immaginiamo la discesa in quelle «chiese preistoriche» di giovani da iniziare o di malati da guarire, accompagnati dai loro sciamani. L'improvvisa apparizione dal buio di immagini dei grandi animali e delle storie di personaggi mitici doveva aver un effetto sconvolgente.



Arte sciamanica rupestre- Trois Freres (Francia)
«Abbiamo anche scoperto che certe figure, composte da tratti disegnati e ombre di concrezioni, si vedono solo tenendo la luce in certe posizioni, quindi lo sciamano poteva farle apparire e sparire a volontà, come se uscissero dalla roccia» aggiunge Clottes. Allora, come oggi, si tentava poi di condividere una parte del potere del luogo, toccando con le dita le immagini o le pareti, lasciando su queste segni che sono ancora visibili. «Oppure si facevano offerte, come le schegge di osso incastrate nelle crepe vicino ai disegni: a me ricordano i bigliettini indirizzati a Dio lasciati nel Muro del Pianto a Gerusalemme».

I «segni di devozione» più noti sono però le impronte di mano in negativo. «Erano forse il modo più suggestivo per attingere potenza spirituale: mettevi la mano sulla parete, su di questa veniva soffiata della polvere colorata facendola diventare uguale alla roccia, e quando sollevavi la mano era come se portassi con te un po' del potere del luogo». Una cosa che colpisce nei dipinti paleolitici è che gli animali sono tanti e bellissimi, mentre gli uomini sono pochi e raffigurati in modo schematico.

Anche per questo Clottes ha una spiegazione: «Nel mondo del Magdaleniano l'uomo era una piccola e debole cosa, immersa in una natura intatta, dominata da animali bellissimi, possenti, spesso pericolosi. Tutto l'immaginario, tutta la spiritualità umana dovevano ruotare intorno a loro». Un mondo che finì con l'avvento dell'agricoltura, le foreste disboscate e gli animali sterminati o chiusi nei recinti. Gli spiriti delle grotte allora tacquero e gli dei divennero umani.
Lo sciamano realizzava un collegamento fra il mondo dei viventi, rappresentato dalla comunità in cui viveva, e l’aldilà. Aveva un grandissimo potere all’interno della comunità che si rinnovava di continuo attraverso l’inserimento o l’aggiunta di nuove figure in quella che veniva considerata la grotta-santuario.
Lo studioso, così come Lewis-Williams,  dichiararono che il rituale presenta varie componenti e quindi può aver lasciato tracce diverse perché diverse erano le motivazioni a cui era indirizzato.
Motivazioni legate a pratiche di guarigione, controllo degli animali, riti per influire sugli elementi, profezie, visioni, pratiche magiche, viaggi extra-corporali, ecc.. ogni manifestazione aveva i suoi riti e i suoi miti. Per i due studiosi l’arte del Paleolitico, nel lungo periodo, fu caratterizzata proprio da un aspetto culturale comune identificabile con lo sciamanesimo.

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Le Problematiche della Grotta delle Incisioni… chiusa da 21 anni
Negli anni passati la grotta fu oggetto di atti vandalici da parte di mafiosi in “erba”.. gente senza scrupoli che incise le pareti con delle frasi e addirittura  colorandole  con vernice spray.. Ogni altro commento è superfluo.  La cavità è chiusa con un opportuna recinzione per prevenire  atti vandalici ma spesso non è sufficiente.





Dal 1997 sono chiuse al pubblico per pericolo di caduta massi dal costone roccioso.
Nel mese di giugno 2018 si parlò di una riapertura della cavità, dopo ben 21 anni il sito archeologico dal valore storico, artistico e  antropologico inestimabile  sarebbe stato riconsegnato ai cittadini. Venne stipulato un bando di gara per la progettazione degli interventi di messa in sicurezza che scadeva il 30 luglio dello stesso anno. 
Il giornale “L’Espresso di Palermo” riportò il 5 luglio 2018 la notizia dello stanziamento, da parte del Presidente della Regione Nello Musumeci (in qualità di commissario di governo per il dissesto idrogeoloico), di trenta milioni di euro per l’appalto delle progettazioni relativi agli interventi di consolidamento delle pareti rocciose sovrastanti le aree urbane di “Vergine Maria e Addaura”.
Quattro i lotti interessati: “ Zona Nord (855 mila euro), Zona Nord-Est (510 mila euro), Zona Centro orientale /314 mila euro) e Zona Sud (1,2 milioni di euro)”.
Il bando di gara fu pubblicato a fine giugno 2018 con scadenza il 30 luglio 2018. Una volta aggiudicato  ci sarebbero a disposizione sessanta giorni per il progetto definitivo e trenta per quello esecutivo…. quindi ottobre 2018.
Successivamente si sarebbe proceduto alla gara d’appalto dei lavori di consolidamento, già finanziati all’interno del “Patto per lo Sviluppo della Città di Palermo” con 30,5 milioni di euro.
Il Governatore della Sicilia riferì allora che “"Il finanziamento delle progettazioni rientra all'interno del finanziamento per interventi di sicurezza del suolo e delle acque, con l'obiettivo di accelerare i progetti relativi alle opere di tutela del territorio".
A causa dei lavori progettati sarebbero tornate visitabili in sicurezza le tre Grotte dell’Addaura sul fianco nord-orientale del Monte Pellegrino.
A febbraio 2019 la cavità dell’Addaura era ancora chiusa.
Ma fino ad oggi la cavità non è visitabile…. Un patrimonio mondiale  in abbandono. Manca la volontà politica.. si potrebbe superare il problema ponendo delle telecamere che permetterebbero la visione dei graffiti e dell’interno delle altre cavità dal Museo Salinas di Palermo. Si  potrebbe quindi proporre un percorso virtuale delle grotte mostrando quindi gli aspetti archeologici, geologici….ma tutto sembra di difficile attuazione non sapendo che il Turismo  potrebbe essere la risorsa economica più importante dell’Isola.




( Novembre 2011)

novembre 2011






Nella grotta lo sviluppo delle muffe è un problema da affrontare per la salvaguardia dei graffiti.. non so se la Soprintendenza negli ultimi anni sia intervenuta per salvaguardare l’integrità delle raffigurazioni uniche al mondo….














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