MONTE PELLEGRINO (RNO)(PA) – LA GROTTA DELLE INCISIONI
Monte Pellegrino - Versante Nord - Grotta delle Incisioni
Grotta del
Genovese – Isola Levazo – Arcipelago
delle Egadi
Proseguendo
abbiamo tre figure maschili (riconoscibili per il fallo o, forse, astuccio
fallico), ed una femminile col ventre prominente.
Indice
1.
Caratterizzazione
delle Incisione
2.
Gli
Stili dell’Arte Rupestre
3.
L’Arte
Rupestre in Sicilia (Grotta Giovanna – Siracusa; Levanzo;)
4.
Grotta
Addaura
Le Incisioni – I Danzatori – Gli altri
Personaggi del Rituale –
I Danzatori sono tre ? Due Uomini ed una
Donna ..? –
L’Artista delle Incisioni era uno Sciamano
?
Le problematiche della Grotta delle Incisioni... tra atti vandalici, muffe .. e chiusa da 21 anni
Le problematiche della Grotta delle Incisioni... tra atti vandalici, muffe .. e chiusa da 21 anni
Grotta delle Incisioni
Dati
di Catasto
SI
PA n. 90
Altri
Nomi: Addaura II (in Bovio Marconi); Addaura III
Località:
Contrada Addaura
Tavoletta:
249 I S.E. Mondello
Long. E: 0°53’54” – Lat.N.:
38°11’09”
Quota:
80 m
Sviluppo;
7 m
I
graffiti dell’Addaura si collocano in un periodo caratterizzato da un mutamento ambientale e culturale che si
verificò sulla terra alla fine del Pleistocene intorno a 12 mila anni fa.
Mutamento ambientale caratterizzato da: un aumento della temperatura media
terrestre e con un diverso sviluppo della flora e della fauna e da un repentino
innalzamento del livello del mare con il
conseguente assottigliarsi delle terre emerse. Questi fattori cambieranno la vita delle popolazioni
che vivevano lungo le sponde del Mediterraneo ed in ogni altra parte del mondo.
Il
mutamento ambientale determinò anche una modificazione o un accelerazione del
processo cognitivo dell’Homo sapiens che, grazie a nuove esperienze di vita, nel
girono di millenni lo porterà ad assumere una diversa percezione di sé e
dell’ambiente che lo circondava.
Da
questo momento gli uomini impararono a coltivare la terra, ad avere il
controllo su alcune specie animali, e soprattutto prenderanno conoscenza del
divino.
Questi
fattori, ecologici ed antropologici, nel passaggio fra il Pleistocene e
l’Olocene, porteranno l’uomo a cambiamenti sociali importanti.
Anticamente
l’uomo aveva sempre manifestato una sudditanza nei confronti del mondo animale
e dei tanti misteri della natura a cui non era in grado rispondere. Una
sudditanza con cui l’uomo reagì con una lenta evoluzione tecnologica (armi,
ripari, ecc.) che gli permetteva di fronteggiare i pericoli della Natura. Un
mutamento che avverrà nelle diverse aree geografiche con tempo differenti più o
meno lunghi.
Nell’Europa
Occidentale gli uomini del Paleolitico
Superiore si erano cimentati, per oltre venticinque millenni, nell’incidere e
dipingere nelle grotte i soggetti della natura sacralizzata tanto ostile quando
feconda (come fonte di alimento). Si tratta dell’arte rupestre “franco cantabrica” che fu la prima
forma di comunicazione iconografica realizzata dall’uomo. Fu questa l’eredità
che ci ha donato il mondo Paleolitico alla fine del Pleistocene che si avvia,
con l’inizio dell’Olocene, nella fase di
passaggio verso la nascita di una nuova cultura Neolitica.
Le
incisioni dell’Addaura appartengono quindi a questa nuova fase di cambiamenti.
In una grotta sulle pendici del Monte Pellegrino un Artista o Maestro concepì
per la prima volta la realizzazione di una scena caratterizzata esclusivamente
da essere umani durante una cerimonia rituale collettiva. Furono incisi su una
parete, affiancati da figure animali,
che nei millenni precedenti erano stati per l’uomo il principale punto di
riferimento alimentare e spirituale e che improvvisamente, in un mondo nuovo,
erano diventati gli idoli di concezioni e di credenze ormai superate.
Una
scena che nella sua espressione ha dell’incredibile. Uomini, donne che sembrano
danzare, intenti a compiere gesti quotidiani, membri di una tribù in un rito
cultuale.
Portano
una strana maschera d’uccello e danzano in circolo, invocando un misterioso
dio, attorno a due figure che stanno subendo un incaprettamento… un terribile
rituale di morte. I due personaggi destinati alla morte sono del clan o forse
stranieri. Sono legati con delle corde e quindi costretti ad assumere una
posizione certamente dolorosa con le corde che li poterà all’autostrangolamento
ed alla morte per asfissia.
Attorno
a questa scena immagini di uomini della tribù, con le loro funzioni sociali. In
altre parti della grotta emergono mandrie di
equini selvatici e anche qualche cervide come a ricordare una vecchia cultura.
Una scena, quella cultuale, che a distanza di millenni consente di osservare il
mondo in cui l’artista ha vissuto e che magistralmente ha saputo comunicare.
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I
primi abitatori della Sicilia apportarono in Sicilia una cultura che fu
definita Epigravettiana che è inquadrabile nel momento conclusivo del Paleolitico
(circa 14 mila anni fa). Un periodo in cui gruppi di cacciatori-raccoglitori colonizzarono
l’isola occupando le grotte, in particolare quelle che si affacciavano sui
litorali, e i numerosi ripari nell’entroterra.
Alcune di queste grotte
furono utilizzate sia come abitazioni ma anche come luoghi si sepoltura con
inumazioni realizzate in fosse scavate nella terra e spesso delimitate da
pietre. Il defunto veniva sepolto con un povero corredo di oggetti ornamentali
per lo più conchiglie forate e qualche dente di animale.
Una
società senza alcuna gerarchia e la cui sussistenza era legata all’attività di
caccia e di macellazione delle prede catturate.
Gli
indizi di pratiche spirituali erano legate a segni lineari incisi e ad un certo
numero di figure di animali che gli
abitatori lasciarono in alcune grotte.
Nel
X millennio l’uomo dovette confrontarsi con un ambiente nuovo , sia in Sicilia
che nel Sud dell’Europa e del Mediterraneo, nel quale alle freddi steppe si
sostituirono ampie foreste e dove la vaste pianure costiere furono sommerse dal
mare. Un fenomeno quest’ultimo, causato dallo scioglimento dei ghiacciai, che
causò nel Mediterraneo un innalzamento
medio del mare di oltre un centinaio di metri nel giro di pochi millenni. Era
l’inizio del Mesolitico, una fase che in Sicilia, nel l’arco di tre millenni a
partire dal 9000 a.C., poterà i cacciatori di grossi mammiferi (cervidi, equidi
e bovidi) a diventare raccoglitori di molluschi terrestri e in seguito esperti
pescatori e raccoglitori di molluschi marini. Un cambiamento che si verificò
nell’Isola prima dell’arrivo della rivoluzione Neolitica che nel vicino Oriente
era già avviata.
In
Sicilia i dati relativi a questo periodo provengono in gran parte dal settore
Nord-Occidentale dell’isola. Infatti nel corso del Mesolitico gruppi di cacciatori-raccoglitori occuparono
le grotte che erano state abitate nel Paleolitico. Grotte che erano abitate nel
periodo invernale per l’attività di raccolta lungo le coste mentre la caccia
era praticata nell’entroterra nel periodo estivo.
I
defunti venivano seppelliti ancora nelle grotte dove si viveva e si continuò a
proseguire la pratica dell’inumazione in semplici fosse scavati nella terra e
in alcuni casi sul cadavere veniva posto un masso o una pietra per impedire che
dal regno dei morti potessero giungere delle sorprese.
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2. GLI STILI DELL’ARTE
RUPESTRE
Da quanto furono scoperte le prime raffigurazione di
arte rupestre nelle grotte della Francia e della Spagna gli studiosi si sono incentrati sullo studio
degli stili adottati dai misteriosi artisti della preistoria nelle diverse aree
geografiche dando origine a differenti culture artistiche. In merito alle
raffigurazioni rupestri della parte sud-occidentale dell’Europa si è dato
origine all’arte franco-cantabrica dal nome dell’area geografica posta fra la
Francia centro meridionale e la Spagna settentrionale. Zona dove sono avvenute
importanti ritrovamenti con raffigurazioni incise e dipinte di soggetti nati
dall’osservazione da parte del uomo del mondo animale e con rare attestazioni
di figure antropomorfe.
Figure zoomorfe splendidamente ritratte che non
appaiono in relazione tra di loro e che
probabilmente costituivano, nel loro insieme,
una specie di percorso all’interno di cavità sacralizzate. I diversi animali descrivevano per gli
uomini primitivi i simboli del dualismo maschile e femminile posto in
opposizione: il primo rappresentato dal cavallo e il secondo riconosciuto nelle
figure dei bisonti o bovidi ai quali si potevano aggiungere dei simboli neutri
come cervi, renne ed altri animali.
Il messaggio veniva completato con dei segni dal
significato misterioso. Segni ramiformi posti a completamento dell’elemento
maschile e segni vulvari connessi all’elemento femminile.
Paolo
Grazioni definì “Arte Mediterranea” l’arte rupestre espressa in Sicilia e nelle
altre aree del bacino del Mediterraneo. Si tratta in massima parte di figure
zoomorfe e di qualche rara figura antropomorfa che furono realizzate verso la
fine del paleolitico superiore. Figure che mostrano una certa propensione verso
le figure geometriche ed astratte anche se si nota un cero naturalismo.
Sempre
secondo l’archeologo Graziosi nel Mesolitico ci fu la tendenza da parte degli
artisti di accentuare le forme schematiche cercando di allontanarsi da quelle
rappresentazioni veriste espresse nei millenni precedenti. Opere che sono il
punto di congiunzione fra l’arte europea del Paleolitico e le raffigurazioni di
epoche successive rinvenute lungo le coste spagnole del Mediterraneo e nel
Sahara.
L’arte
rupestre lungo le coste spagnole è detta del “levante Spagnolo” e si sviluppò
durante il periodo successivo al Paleolitico e soprattutto fra il Mesolitico e
l’età del bronzo, in particolare nell’area centrale della Spagna che s’affaccia
sul Mediterraneo.si tratta di incisioni e pitture che mostrano rispetto alla
precedente arte rupestre Paleolitica, una maggiore attenzione per la figura
umana anche se gli animali continuano ad essere ben rappresentati.
Il Bovide
dell’Addaura
Il
bovide dell’Addaura presenta gli arti triangolari ed è una figura che è
considerata d’età avanzata, forse Mesolitica, dell’arte mediterranea. Presenta
numerose somiglianze con i bovidi raffigurati nella Grotta di Cosquer, in
Francia, risalenti all’arte Paleolitica
e con le rappresentazioni più recenti dello “Stile dei Pastori” nel Marocco.
Per questo motivo non è possibile avere una precisa corrispondenza fra lo stile
delle figure e la loro datazione cronologica.
“Le incisioni
dell’Addaura costituiscono un insieme particolarmente suggestivo per il loro
carattere decisamente scenografico; un caso limite in tutta l’arte Paleolitica.
Inoltre, nonostante le innegabili affinità stilistiche e tecniche che legano le
rappresentazioni di animali dell’Addaura e quelle dell’area mediterranea e in
particolare di Levanzo, troviamo nella grotta palermitana qualcosa di
completamente diverso da tutto quanto conosciamo fin ora nell’arte dell’antica
età della Pietra, cioè la figura umana trattata con spirito e con moduli
stilistici che nulla hanno a che vedere con quelli che caratterizzano le altre
figurazioni antropomorfe sia della provincia mediterranea che in quella
franco-cantabrica”.
“Inoltre, a
differenza di quanto avviene in tutta l’arte parietale, le figure di uomini
sono più numerose di quelle di animali. Sono riunite quasi tutte a formare un
grande gruppo centrale, ben in vista sulla parete, mentre gli animali hanno una
configurazione piuttosto marginale”.
3. L’Arte
Rupestre in Sicilia
Le grotte in
Sicilia che presentano raffigurazioni rupestre legate al periodo
paleo-mesolitico sono diverse decine. Solo un ristretto numero presenta delle
incisioni zoomorfe ed antropomorfe mentre tutte le altre presentano delle
incisioni lineari. Le cavità con raffigurazioni rupestri paleo-mesolitico sono
ubicate in massima parte in località prossime al mare o comunque non molto
distanti dalla costa soprattutto fra le province di Trapani e Palermo ed anche
nell’entroterra di Siracusa. Fra le figure di animali al primo posto quelli di
equidi e di bovidi, specie faunistiche che in Sicilia erano rappresentate
dall’asino idruntino e dal bue primigenio, seguite dalle figure di cervi e di daini.
Equus
hydruntinus (?)
Un Equss
hydrantinus raffigurato nella grotta di Lascaux – Francia
Equus
hydrantinus - Grotta del genovese – Isola di Levanzo
Arcipelago
Isole Egadi - Trapani
Bos
primigenius
Le raffigurazioni zoomorfe sono espresse con
incisione sulla roccia e hanno una comune dinamicità nei tratti: asini al
pascolo, bovidi in corsa, cervidi che si voltano all’indietro per assicurarsi
di non essere inseguiti dai predatori..
Gli artisti disponevano per lo più le figure su
piani paralleli. Questo permetteva di leggere le immagini da sinistra a destra
e viceversa secondo un tipo di rappresentazione che è stata definita “mitogramma”
cioè la narrazione di un mito attraverso figure incise o dipinte lungo le
pareti delle grotte. Luoghi all’interno delle quali dovevano compiersi dei riti
accompagnati da animazione e da un discorso.
Incisioni
nella Grotta “Niscemi” posta sul Versante Occidentale di Monte Pellegrino
Le
figure sono disposte su piani paralleli
Le ipotesi che le immagini zoomorfe rappresentavano
un mitogramma, cioè un discorso o una narrazione espressa da un linguaggio
figurativo con valenza simbolica e rivolta a tutta la comunità, sono confermate
dal fatto che figure non erano disegnate in anfratti nascosti all’interno delle
grotte, come ad esempio avveniva nella regione franco-catabrica, ma erano
realizzati sempre in posti ben visibili
e raggiungili da tutta la comunità. Gli scavi archeologici hanno spesso
rilevato che la comunità risiedeva all’esterno della grotta nella quale
l’accesso veniva in qualche modo sacralizzato dalla presenza delle figure degli
animali.
In Sicilia, come nel resto d’Europa, nell’arte
rupestre Paleolitica gli animali raffigurati non sembrano in chiara
relazione fra loro e spesso interagiscono con gli esseri umani raffigurati.
Infatti, le figure di animali, pur
se talvolta affiancate, sono da ritenersi indipendenti, essendo forse ognuna il
segno di un singolo evento che potremmo definire magico, ma che diveniva, in seguito, parte
dell’intera narrazione del mitogramma.
Equidi
affiancati nella Grotta Addaura – Equide nella grotta di Levanzo (a destra)
In
Sicilia l’arte paleolitica si sviluppò in un tempo relativamente breve rispetto
al resto dell’Europa.
Gli
archeologi esprimo una datazione per un periodo di soli due o tremila anni
durante i
quali gli artisti ripresero temi e
tradizioni riconducibili al
Continente.
La
cronologia dell’arte parietale paleo-mesolitica siciliana si basa sul ritrovamento
di due frammenti di roccia che riportano incise delle figure di bovidi.
Il
primo venne recuperato nel
corso degli scavi condotti dal Graziosi nel 1953 nella grotta
del
Genovese, sull’isola di Levanzo (Graziosi 1962); l’altro fu trovato negli scavi
effettuati da Luigi Cardini, fra il 1967 e il 1968, nella grotta Giovanna, nell’entroterra
di Siracusa (Cardini
1971).
Levanzo – Grotta
del Genovese
Frammento con
bovide inciso
Il
frammento di roccia fu rinvenuto nel riparo esterno della grotta del Genovese e
presenta un bovide inciso dallo stile piuttosto rigido (fig. 8). L’analisi
condotta con il metodo del radiocarbonio
su
elementi organici, provenienti dallo stesso strato del frammento di roccia,
diede in un primo tempo una datazione di 9.694±110 anni dal presente; data
successivamente corretta da nuove analisi in 11.180±120 anni.
Nella grotta
Giovanna,
posta nel Comune di Siarcusa, è un sito
nel quale sono stati recuperati diversi frammenti di roccia con incisioni
lineari e qualche incerta porzione di figure di animali
(Segre
Naldini 1992). Il frammento con la raffigurazione di un bovide, ritratto in uno
stile più verista rispetto a Levanzo, proveniva da uno strato archeologico
datato 12.840±100 anni dal presente.
Grotta Giovanna – Ingresso
Grotta Giovanna –
Interno
Grotta Giovanna
Frammento calcareo
con la raffigurazione di un bovide
Questi
due reperti rappresenterebbero due importanti capisaldi cronologici dell’arte rupestre
paleo-mesolitica siciliana che hanno indotto gli studiosi a individuare nello stile, utilizzato dagli artisti che hanno
eseguito tali raffigurazioni, la tendenza ad un maggiore verismo nelle figure
rispetto alla più antica. A questa tendenza ha determinato una semplificazione e
la schematizzazione delle forme.
Più
difficile è certamente descrivere gli aspetti dei soggetti antropomorfi cioè
l’uomo.
Molti
storici hanno affermato che soggetti raffigurati nelle grotte dell’Addaura e di
Levanzo fossero dei cacciatori del tardo Paleolitico, cioè quegli stessi
individui che avevano creato le figure zoomorfe.
La
figura umana apparve nell’arte rupestre siciliana solo in un momento successivo
alla fine del Paleolitico Superiore e si affermò, come nell’Addaura, nella fase
in cui l’uomo allontanò dalle sue concezioni sacrali l’animale e lo sostituì
con una figura umana. Per certi versi l’animale assunse quasi un posizione
intermedia perché diventava il mezzo per permettere all’uomo, alla comunità, di
giungere e di comunicare con la divinità.
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4. GROTTA ADDAURA
Pianta e Sezioni
Trasversali
I
primi scavi furono effettuati nel 1866 da Gaetano Giorgio Gemmellaro che gli permisero
di portare alla luce dei fossili appartenenti a specie animali vissuti
nell’Isola nel corso del Pleistocene (2 milioni e 12.000 anni fa) e ormai
estinte. Nel 1870 altri scavi effettuati dal tedesco Freiherrn Von Andrian e
nel 1931 da Di Salvo. Sempre nel 1931 i cunicoli che iniziavano dalla grotta
Caprara furono interessati da esplorazioni speleologiche da parte di Aspel
Kirner e Nanni Notarbartolo. Nelle grotta venne avviato uno studio e ricerca
paleontologica da parte dell’Istituto di Geologia dell’Università di Palermo.
Fra
il 1946 ed il 1947 la Soprintendenza della Sicilia Occidentale avviò due
campagne di scavi nei pressi della Grotta Caprara, in quella dei Bovidi e nella
grotta che sto descrivendo dell’Addaura o delle Incisioni. Ricerche archeologiche
che furono condotte dalla Soprintendente Iole Bovio Marconi che fu affiancata
dal noto archeologo Luigi Bernabò Brea che in quel periodo era archeologo presso la Soprintendenza alle
Antichità di Siracusa..
In
quegli scavi o ricerche effettuate presso la grotta dell’Addaura non furono
rilevati i graffiti forse, come riportò successivamente il prof. Giovanni
Mannino, a causa di una inadeguata e sistematica ricerca nel sito.
Infatti
la prof. Marconi illustrando i dati di scavo di quella campagna rilevò un
consistente deposito archeologico che negli strati più profondi restituì
manufatti in selce e quarzite scheggiata cioè manufatti di industria litica.
Reperti relativi alla fase finale del paleolitico che si daterebbe tra i 12.000
anni circa dal presente.
Negli
strati superiori furono invece rinvenuti materiali che furono attributi al
Mesolitico (epoca successiva al Paleolitico).
Gli
strati con materiale Mesolitico erano a volta ricoperti da strati più recenti e
molto rimaneggiati nelle quali si trovano reperti di varie epoche storiche come
romani e probabilmente caduti dall’alto della montagna dove sorgeva
nell’antichità un piccolo insediamento.
I
graffiti rimasero coperti per millenni dal deposito archeologico e in seguito
vennero alla luce probabilmente a causa dell’asportazione della terra che si
accumulò nel corso del tempo forse a causa anche dell’attività di tombaroli che
frequentarono assiduamente quelle cavità.
La
scoperta dei graffiti avvenne nel 1952 dopo cinque anni della fine degli scavi
archeologici che avevano interessato il sito.
Giosuè
Meli, Ispettore della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale,
e il medico Giuseppe Sacconi stavano perlustrando le pendici del Monte
Pellegrino per ricerche archeologiche.
Quel
giorno i due amici conobbero, nei pressi della grotta dell’Addaura, un operaio
palermitano Giovanni Cusumano. Il Cusumano era un profondo conoscitore del
territorio con i suoi numerosi anfratti che si aprono lungo le scoscesi pareti
del monte ed era alla ricerca di qualche “truvatura” cioè, secondo il gergo
siciliano di “ un anfratto che immetta
nel ventre terrestre e che, nella tradizione popolare, nascondo sempre qualche
tesoro”.
L’operaio
fu sollecitato dal prof. Meli a riferire se era a conoscenza di qualche anfratto
con disegni di “animali o pupi” sulla
roccia. La domanda fu pertinente perché l’operaio rilevò un aspetto importante
per l’archeologia siciliana e non solo.
Il
Cusimano condusse i due amici verso la grotta dove aveva notato delle strane
figure incise nella parete. Il prof. Meli, “vedendo
quelle strane figure” capì subito
l’importanza della scoperta e informò immediatamente il suo direttore
superiore: il Soprintendente alle Antichità la dott.ssa Iole Bovio Marconi.
Jole Bovio Marconi
(Roma, 21 gennaio
1897; Palermo, 14 aprile 1986)
Come
mai i graffiti non furono scoperti durante la campagna di scavi del 1946 ?
Resterà un mistero…
La
scoperta dei graffiti si deve quindi all’operaio Cusumano che li individuò per
primo e al Meli che successivamente su indicazioni del Cusimano capì
l’importanza archeologica del rinvenimento.
La
prof. Marconi cercò di giustificare la mancata visione dei graffiti durante gli
scavi del 1947 affermando che fu lo scoppio successivo di un ordigno bellico a
fare cadere lo strato di “breccia” che copriva i graffiti rilevandone il loro
aspetto.
L’eco
internazionale che le incisioni ebbero a livello mondiale fu poi per merito
della stessa archeologa Jole Bovio Marconi per le sue ricerche sulle varie
figure che furono pubblicate nelle riviste specializzate del tempo.
La
prof. Marconi nelle sue relazioni espose una serie di dati e di ipotesi che
furono oggetto di studio negli anni successivi. Distinse le figure in tre
gruppi:
-
Il
primo gruppo composto da soggetti
zoomorfi ed antropomorfi dallo stile naturalistico ed incisi con un tratto
sottile o sottilissimo;
-
Il
secondo, anch’esso naturalistico, comprendeva gran parte delle figure
antropomorfe a cui l’autrice aggiunse la figura di uno solo animale, il grande
daino; realizzato incidendo profondamente la superficie rocciosa;
-
Il
terzo gruppo costituito dai due bovidi, con uno stile più schematico.
Nei tre gruppi le figure degli uomini e
degli animali non presentavano i particolari del volto, le mani erano assenti
e, in alcuni casi, mancavano anche i piedi
La
studiosa mise subito in evidenza i soggetti posti al centro del circolo dei
danzatori. I due soggetti presentavo un evidente “itifallia”, cioè
manifestavano o esibivano i genitali in erezione e successivamente ritenuti
coperti da probabile astuccio fallico. Ipotizzò, nell’osservazione delle figure,
la presenza di un rudimentale abbigliamento costituito da una specie di mantellina, deducibile da due
linee sul dorso che congiungevano le gambe flesse col il capo.
In
base a queste ipotesi la dott.ssa Marconi pensò di trovarsi davanti ad una
coppia in atteggiamento omosessuale, collegato ad una pratica rituale, e forse
intenta in evoluzioni acrobatiche in relazione ai riti di iniziazione o magici
legati alla sfera della fecondità.
I
personaggi posti in basso nella scena furono considerati i componenti di una
seconda scena della quale facevano parte il personaggio incedente verso destra
e armato con una lunga asta, e altri personaggi realizzati a tratto sottile
compresa la figura femminile con un sacco sulle spalle.
Per
la prof. Marconi in definitiva il gruppo principale dei danzatori e dei due
ginnasti sarebbe stata l’opera di un artista mentre le figure poste a sinistra
di questa scena, realizzate tra l’altro con tratto sottile, sarebbero
l’espressione di un secondo artista.
Per
gli animali, non poteva essere altrimenti, il confronto fu immediato con le
raffigurazioni nella grotta del Genovese di Levanzo che a loro volta furono collegati con le
espressioni dell’arte franco-cantabrica. Per i bovidi del terzo gruppo venne
evidenziato un notevole irrigidimento espressivo che non era riscontrabile nello stile naturalistico
del tardo Paleolitico ma piuttosto in quello schematico tipico del successivo
periodo Mesolitico.
La
Marconi nei suoi studi mise in risalto ogni piccolo particolare della
raffigurazione come il predominio delle figura umana su quella animale e
soprattutto l’inconsueta presenza di una scena a carattere compositivo. Siamo in presenza di uomini che insieme
stanno svolgendo un azione che non è facile riscontrare nel Paleolitico ma
nell’arte Neolitica del Levante Spagnolo o ancora, nella stessa epoca,
nell’arte rupestre del Sahara.
La
scena dell’Addaura fu una ricca anticipatrice di un fenomeno che si sarebbe
sviluppato nell’arte rupestre mediterranea solo nei millenni successivi alla
fine del Paleolitico e cioè nel Neolitico.
Naturalmente
il mondo scientifico cominciò a studiare le tesi della Marconi e a proporre
nuove ipotesi.
Nel
1954 il barone Carlo Alberto Blanc nella rivista “Quaternaria” avanzò l’ipotesi, che da sempre ha avuto un gran
numero di seguaci, secondo la quale le due figure centrali non fossero degli
acrobati ma soggetti destinati purtroppo ad un esecuzione capitale sempre a
scopo rituale. Il Blanc esaminò a fondo le due figure centrali ed evidenziò
come questi uomini, inarcando all’indietro le gambe, avessero la medesima
postura o posizione.
Le
linee incise sopra il dorso non erano quelle di un indumento, linee che non
sono presenti in nessuna figura della scena,
ma di una corda legata fra le caviglie e il capo che li costringeva a
stare in una posizione che potremmo definire innaturale.
Si
concentrò anche sul problema dell’itifallia, evidenziata dalle tre linee cioè i
tre segni convergenti posti all’altezza del bacino che anche l’abate Breuil
aveva esaminato in un suo articolo.
Le
opinioni dei due studiosi convergevano perché basandosi su prove mediche si
metteva in risalto che il fenomeno dell’erezione poteva anche essere
determinato da situazioni di violenza fisica o psichica, come per lo
strangolamento durante le quale era possibile causare stati di
eccitazione.
Nel
graffito del personaggio posto in basso s’evidenziò anche la fuoriuscita della
lingua dovuta ad un evidente stato di asfissia del soggetto (Ginetta
Chiappella).
Paolo
Graziosi nel 1956 nella sua monografia “L’arte
dell’Antica Età della Pietra” citò i graffiti dell’Addaura. Secondo il suo parere la chiave di lettura
della composizione era legata ai due personaggi centrali. Non individuò nei due
personaggi né corde al collo e nemmeno la lingua in fuori dovuta al
soffocamento, né la presunta itifallia ma
la presenza di un astuccio fallico. Una chiara posizione favorevole alla
Marconi. Mettendo in risalto la forte vitalità dei due personaggi centrali
ipotizzò che essi siano stati ritratti in due differenti fasi di uno stesso
esercizio ginnico al quale avrebbero partecipato, come spettatori, i
rappresentanti di due fazioni o clan.
Fazioni
che sono evidenziate dal diverso tipo di acconciatura: una dal capo
rotondeggiante rasato mentre nell’altro da una ampia capigliatura. Gli animali
della rappresentazione sono cervidi ed equidi ed escluse i bovidi troppo
schematici. Per lo studioso le differenze del tratto, sottile o profondo, non
era un motivo di caratterizzazione stilistica o di successione di diversi stili
anche temporali. Si trattava quindi di medesimi artisti che facevano parte di
un identico contesto culturale che a breve distanza temporale, oppure in
momenti diversi, avrebbero realizzato le diverse incisioni. Da questo contesto
unitario si distaccano solo le figure dei due bovidi per lo stile rigido, le
parti anatomiche sproporzionate che sono vicine, anche cronologicamente, allo
stile adottato per incidere il bovide sul frammento di roccia ritrovato a
Levanzo.
Nello
stesso periodo uno studioso francese Andrè Leroi Gourhan collocò i graffiti
dell’Addaura in un preciso contesto storico in cui nel Mediterraneo si
assisteva al passaggio dall’arte di popoli cacciatori
– raccoglitori del Paleolitico all’arte
di popolazioni di agricoltori-pastori
del Neolitico. Si trattava di un
passaggio anche culturale
“Le grotte e i ripari decorati del Paleolitico
scoperti in Europa, circa un centinaio, rivelano tutti il medesimo schema
strutturale con alcune varianti legate al vasto territorio e alla cronologia
temporale di quindici-venti millenni.
Questo notevole
complesso è contrassegnato da una grande uniformità di concezione: disegni sulle
pareti di figure il cui stile si evolve nel corso del tempo ma la cui natura e
costituzione restano immutate.
L’originalità dell’arte
paleolitica è particolarmente sorprendente, quando viene confrontata con l’arte
parietale dei millenni successivi.
L’arte del Levante
Spagnolo, quella del Sahara o dell’Africa meridionale, quella del Vicino Oriente
o dell’India presentano una strutturazione dei soggetti del tutto diversa.
Non si tratta più
della
sovrapposizione di figure animali disposte come se ognuna di esse avesse una
sua vita autonoma (le figure paleolitiche sono accostate nello spazio, ma del tutto
raramente nell’azione) ma della raffigurazione di vere e proprie scene.
Cacciatori armati di arco o di lancia che colpiscono una preda, mandrie di buoi
guidate da pastori, raffigurazioni di case con scene familiari, ecc.
La fioritura dei
gruppi narrativi dell’arte del periodo successivo alle glaciazioni contrasta
fortemente con il sistema rappresentativo del Paleolitico superiore. Il
mutamento dei temi
pittorici è soprattutto legato ai profondi
mutamenti che debbono aver investito l’ideologia religiosa nel corso della
prolungata transizione dall’economia di preda (cacciatori) all’economia di
produzione (pastori ed agricoltori). Le grotte dell’Italia meridionale (Levanzo
e Addaura vicino Palermo) forniscono probabilmente il punto di saldatura tra i
due universi figurativi. Si trova, nella medesima composizione l’accumulo
simbolico, tipico del Paleolitico, dell’uro, del cavallo e di un cervide
insieme a dei personaggi che partecipano animatamente ad una specie di danza
circolare (Addaura). Tali opere, datate grazie al carbonio radioattivo al 9000
a.C., si collocano nella zona geografica in cui cominciano a elaborarsi i primi
segni dello sviluppo delle civiltà del Mediterraneo”.
Pertanto
è lecito domandarsi come possono essere state incise contemporaneamente le
figure di animali, accostati fra loro nello spazio ma non nell’azione, e quelle
di esseri umani, legati insieme vorticosamente in un’azione comune.
Uomini
che sembrano non collegati agli animali che sembrano avulsi dalla scena
raffigurata, dato che il centro della loro attenzione è focalizzata senza alcun
dubbio sui due uomini legati ?
In
tempi più recenti Franco Mezzena nel 1976 avanzò l’ipotesi che i due acrobati
siano stati ripresi nel momento in cui si trovano in volo e questo sempre nel
corso di un rituale ginnico. Escludendo la presenza di corde ipotizzava che i
due acrobati si dovevano trovare su due piani differenti, in quanto lanciati in
aria dai due uomini con le braccia alzate, posti in alto, mentre i due
personaggi posti in basso sarebbero stati coloro che avrebbero dovuto
raccogliere i soggetti prima che cadessero a terra. La tesi del Mezzena mise in
evidenza due aspetti importanti: il primo, grazie ad un attenta analisi sulla
prospettiva utilizzata dall’artista nel posizionare i personaggi, intuì che i graffiti furono tracciati secondo
una veduta dall’alto; il
secondo fu quello di aver individuato, attraverso una meticolosa osservazione
dei segni sulla parete, una fase più antica di quella figurativa,
caratterizzata dalle sole linee incise.
Studio prospettino
del Mezzena
Nel
1986 G. Bolzoni accettò la tesi dell’autostrangolamento ed evidenziò alcuni
spunti di riflessione molto importanti.
Esaminando
la figura Q (in basso nella scena) avanzò l’ipotesi che stesse trasportando
sulle spalle, legato con una corda che gli passava sopra la testa, il cadavere
in posizione rannicchiata di uno dei due sacrificati, probabilmente quello
posto più in basso.
La figura Q che traporta sulle
spalle uno dei due acrobati morti
Un
osservazione interessante che porta a riflettere sulla possibilità che dopo il
sacrificio, i due cadaveri siano stati trasportati in un altro luogo per dare
una degna sepoltura.
Il personaggio Q
sta trasportando uno dei due soggetti legati, ricostruito
nella figura in
alto a destra, posto al centro e in basso della scena
rituale, dopo la
morte per asfissia
Per
confermare la sua ipotesi il Bolzoni mise in risalto come il rituale dell’Addaura, caratterizzato
da un doppio sacrificio, era anche
legato ad una usanza nel Paleolitico Superiore del seppellimento bisomo, cioè della
collocazione di due cadaveri all’interno di una stessa sepoltura.
Lo
stesso autore ipotizzò che il personaggio H, per i suoi lineamenti e per il
segno trasversale sul corpo (simbolicamente il seno) fosse una donna. La stessa
donna che viene ritratta più in basso con un sacco sulle spalle.
In
questo modo evidenziò non solo le dinamiche legate ai riti, come la danza e il sacrificio dei personaggi, ma anche
altri aspetti temporali come il trasporto dei cadaveri.
La
prof. Alda Vigliardi nel 1991 attribuì al graffito dell’Addaura una datazione
vicina alla fine del Paleolitico e riconobbe delle affinità nell’arte figurativa
con le espressioni dell’arte Mesolitica del Levante Spagnolo e del Sahara. Non
si trovò d’accordo con le argomentazioni dei precedenti studiosi in merito a
diversi aspetti del graffito:
-
Le
figure intorno ai due personaggi principali non facevano parte di un coro
danzante, per il loro atteggiamento, e che solo i soggetti posti più in alto
erano da considerarsi come gli esponenti di due gruppi contrapposti mentre
tutti gli altri erano spettatori;
-
Non condivise la tesi del Mezzana che
proponeva la presenza di “lanciatori/raccoglitori
dei danzatori”, ritenendo che i personaggi non presentavano le braccia tese
come di chi stesse lanciando o raccogliendo qualcosa;
-
Considerò
l’ipotesi del trasporto del cadavere avulsa dalle varie fasi della scena.
Si
soffermò in particolare nello studio del cervo posto in basso, rispetto ai
danzatori. Un animale che considerò già morto
e il gonfiore della pancia legato alla fase di cattività in cui
l’animale probabilmente era stato soggetto ad una fase di ingrassamento. Ci
troveremo quindi in presenza di un clan anche dedito alla pastorizia tipica del
Mesolitico.
La
raffigurazione del cervo allevato in cattività evidenzia lo sviluppo di una
forma precoce di proto-pastorizia che viene così documentata per la prima volta
in Sicilia. Le indagini archeologiche e paleontologiche hanno dimostrato che in
Sicilia, con la fine del Paleolitico e a causa del mutamento climatico,
caratterizzato da temperature più alte, maggiore umidità e quindi con un
aumento della copertura boschiva, si verificò un aumento consistente della
popolazione di cervidi. Cervidi che andarono ad occupare i territori di pascolo
che erano stati frequentati da altri grossi mammiferi come il bue primigenio e
l’asino idruntino. Cervidi che
continuarono,, anche nel Epigravettiano, ad essere fortemente cacciato
dagli uomini mesolitici.
Nel
1997 un importante Congresso Internazionale sulla “Preistoria e Protostoria
Siciliana”. I relatori i prof. Margherita Mussi e Daniela Zampetti esposero un
interessante relazione sulla rilettura dei graffiti dell’Addaura.
Misero
in risalto per primis l’appartenenza dei graffiti all’arte rupestre paleolitica
europea e chiarirono come proprio sul finire del Paleolitico erano state già
superate da tempo le difficoltà mostrate dagli artisti nel raffigurare l’uomo.
Analizzarono
le due figure centrali e in particolare i fasci di tre linee trasversali che ne
attraversavano il corpo, inquadrando tali figure nel tema “dell’uomo trafitto o ucciso”. Un tema ricorrente nell’arte
rupestre del Paleolitico soprattutto fra i 20 mila e i 12 mila anni dal
presente.
Il tema della rappresentazione sarebbe ricercata
nella magia nera, nel rituale di commemorazione di un episodio vissuto dalla
comunità e diventato mitico nel tempo o ancora in ambito sciamanico cioè come
forze che attraversano il corpo, in questo caso uno stregone, proiettandolo in
un'altra dimensione.
Un
iniziazione sciamanica, cioè un processo di morte e di rinascita, che si
ritrova nell’arte Paleolitica e che nelle raffigurazioni in Sicilia assunse
delle connotazioni originali perché inserito in una specificità locale legata
alla presenza di aspetti tipici dell’isola. La presenza dell’asino
idruntino al posto del cavallo, che è invece presente nel resto d’Europa, e
nell’aspetto o effetto scenografico che non ha simili nell’arte di questo
periodo preistorico.
Con
questa relazione, sorprendente, s’aprì un interessante filone d’indagini.
È
un continuo alternarsi di tesi, ipotesi anche antiche che vengono riprese e
riviste con nuove argomentazioni.
Nel
1998 la dott.ssa Francesca Minellono, riprese ad esempio la tesi dei
lanciatori/ raccoglitori (tesi del Mezzena) e propose che i protagonisti dell’Addaura
si trovassero su vari piani, distinti per importanza: “Il primo sembra essere costituito dai tre uomini in piedi nella zona
alta della composizione, con quello centrale posto frontalmente, e dai due
ripiegati. Il secondo potrebbe
comprendere le
quattro figure in movimento, che salgono verso l’alto sulla destra, lungo una
linea leggermente arcuata.
Due di essi
volgono la schiena alla scena, forse volutamente bloccati in un momento
preciso, in un’identica postura. L’ultimo personaggio sulla sinistra, al limite
inferiore, sembra essere sul
punto di entrare
in scena. Infine, le due immagini al di sopra di quello, le uniche
assolutamente statiche, danno l’impressione di spettatori, più che di
partecipanti”.
La
stessa Minellono mise in evidenzia la minoranza di figure zoomorfe rispetto
alle antropomorfe e il seguire da parte dell’arista di una fascia obliqua lungo
la parete rocciosa ponendo in basso i personaggi intenti in attività quotidiane
ed inserendo in alto i personaggi per la scena maggiormente significativa.
Emmanuel
Anati, analizzando le componenti stilistiche e il significato di altre graffiti
rilevati a livello mondiale, distinse le raffigurazioni d’arte rupestre in quattro categorie:
-
Categoria
“A”. “cacciatori arcaici” che non conoscevano l’uso dell’arco e delle frecce.
Questi uomini disegnavano “figure e segni in associazione e solo raramente
delle scene di caccia”;
-
Categoria
“B”, “cacciatori evoluti”; conoscevano l’uso dell’arco e delle frecce ed
espressero la loro arte con “scene aneddotiche (episodi) e descrittive”.
A
queste due categorie sarebbero seguite:
la
categoria “C” di pastori-allevatori” e la categoria “D” detta ad Economia
Complessa.
Naturalmente
all’interno di questo schematico complesso evolutivo ci sono delle fasi di
transizione e miste con diversità anche notevoli.
Secondo
l’autore presso i “cacciatori evoluti” non sono rare le scene di caccia, di
cerimonia e di danza anche come evocazioni di miti mentre presso i “cacciatori
arcaici” non sono presenti scene descrittive di caccia né di episodi salvo casi
eccezionali nel periodo finale del Paleolitico come ad esempio la scena dell’Addaura.
L’autore
evidenziò nell’Addaura tre principali fasi d’incisioni rupestri.
La
più antica mostra figure zoomorfe di buon livello naturalistico associate a
degli ideogrammi. Tre di queste figure
sembrano formare una sequenza che è tipica dell’arte Paleolitica.
La
fase intermedia è rappresentata anch’essa da figure zoomorfe più tozze e
schematiche espressioni del periodo finale decadente del paleolitico.
Infine
la scena della danza che riflette una mentalità completamente diversa e che si
può considerare post-Paleolitica cioè di “cacciatori evoluti” e quindi
proto-neolitica.
Il
compianti Prof. Sebastiano Tusa nel 2004, in un articolo dal titolo “L’arte
preistorica della Sicilia” si soffermò sui graffiti dell’’Addaura prendendo in
esame l’aspetto dell’elemento volatile, cioè le maschere d’uccello portate
dagli uomini.
“La presenza delle
maschere con becco di uccello portate dai danzatori siano un elemento
peculiare nella
religiosità delle popolazioni preistoriche siciliane durante il periodo fra il
Paleolitico superiore e il Neolitico. Le raffigurazioni di volatili, e fra
queste quelle delle maschere
dell’Addaura,
avrebbero così fatto parte di una più vasta identità religiosa dove l’elemento
“aria”, sede dell’essenza e delle forze dominanti nel pantheon dei cacciatori,
avrebbe avuto la
preminenza su
quello “terra”, un tema religioso che invece si sarebbe sviluppato nei millenni
successivi nell’ambito delle comunità agricole”.
Secondo
il prof. Tusa la scena sarebbe di carattere magico-religiosa ed indirizzata ad
una divinità “celeste”. Le maschere richiamerebbero i rapaci delle rupi,
ineguagliabili cacciatori che l’uomo Paleolitico temeva e che cercava
d’ingraziarsi.
Insieme
all’aspetto religioso c’è la rappresentazione di un intera società di
cacciatori-raccoglitori che vivevano intorno al Monte Pellegrino e alla fertile
Conca d’oro. Una comunità che veniva ripresa non solo durante un cerimonia
culturale e nell’esecuzione di un
terribile rito ma anche nelle sue mansioni quotidiane, quindi rappresentazione
di un’intera società nella quale l’uomo costituisce l’elemento principale ma
dove anche gli animali sembrano avere un loro ruolo primario.
Fabio
Martini analizzò invece la sequenza di stili
iniziando dai segni lineari che ritenne i più antichi dell’intero
repertorio.
Una
seconda fase sarebbe rappresentata dalle figure incise a tratto sottile,
danzatori, che sarebbero più recenti e
per ultime le figure zoomorfe, i due bovidi, dallo stile naturalistico molto
irrigidito.
Ipotizzò
che le figure naturalistiche possano collocarsi tra i 12.800 e 11.200 anni dal
presente mentre i bovidi andrebbero
collocate in un periodo immediatamente successivo.
Un
aspetto che sembra quasi nascosto è rilevato dal fatto che i graffiti (figure
di uomini, animali e altri segni lineari) interessano quasi tutte le superficie
della grotta.
Raffigurazioni
lineari e zoomorfe rilevate dal prof. Mannino
sulla
parete di fondo della grotta.
Raffigurazioni
con soggetti antropomorfi , zoomorfi e lineari rilevati
in altre
parti della grotta.
Naturalmente
la scena principale è quella posta a sinistra dell’accesso, lungo una fascia
obliqua fra 2,15 e i 3 di altezza dall’attuale piano di calpestio della grotta.
Gli
studi del prof. Mannino rilevarono nella parete delle incisioni legate ad
immagini precedenti e la stessa roccia fu quindi perfettamente levigata prima
della realizzazione della nuova scena.
Secondo
questa tesi si creò un nuovo dibattito sull’arte Paleolitica perché generalmente,
ma con delle eccezioni, gli artisti non cancellavano le figure antiche presenti
nelle pareti ma tendevano a sovrapporle una sull’altra come nel caso dei
bisonti nella sala grande nella grotta di Altamira, in Spagna.. quindi un
operazione che si discosta dal normale modo di operare degli artisti.
Fin
dalle prime indagini la Marconi avevano posto una massima attenzione su due
tipologie di segni:
segni profondi, incisi con un bulino a punta
larga;
segni
meno marcati, incisi con un bulino a punta sottile.
Partendo
da questa osservazione la studiosa aveva collocato i graffiti in tre differenti
momenti: i primi due alla fase del Paleolotico (uomini ed animali) ed il terzo
al Mesolitico (solo i due bovidi).
Per
molti studiosi, tra cui P. Graziosi, il
tratto del segno “sottile o profondo” non costituiva un aspetto temporale
perché era possibile riscontrare i due segni anche nella medesima figura.
Infatti in alcune figure i tratti a solco profondo si prolungavano al di fuori
della figura stessa anche con un tratto sottile, soprattutto in merito alle
linee che compongono gli arti. Una tecnica espressiva legata ad un unico
artista che ha agito incidendo lungo lo stesso solco e forse anche in tempi
diversi.
È
probabile che il maestro abbia inciso inizialmente la sua opera operando con un
bulino a punta sottile e abbia poi realizzato la sua opera con l’arnese a punta
più spessa marcando in modo migliore i contorni dei personaggi principali
soprattutto in quei punti che riteneva importanti per esprimere il suo filone
narrativo.
È
probabile che i contorni delle figure sia state più volte ripassate con il
bulino, come si evince da alcuni profondi solchi lasciati in alcuni tratti,
sempre lungo il profilo delle figure.. probabilmente i visitatori del santuario
ripassavano le figure per renderle sempre vive e visibili ai devoti.
Il
maestro nella seconda fase del suo lavoro apportò delle correzioni alla sua
scena ed in particolare modificando gli arti di alcuni personaggi per rendere
le figure più dinamiche, cioè in movimento.
L’artista
dovette affrontare un problema piuttosto gravoso e difficile: esprimere la
dinamicità dei personaggi e la loro azione corale attorno ai due sacrificati.
A
discapito di belle figure, il cervo posta in alto a destra e parte di un precedente ciclo di incisioni,
pur non cancellandole vi soprappose i personaggi A e D nel lavoro di
rifinitura.
Cercò
di dare anche una sua prospettiva alla scena dei danzatori, la quale si
mostrava all’osservatore vista dall’alto. Questo fa indubbiamente pensare al
una quota del piano di campagna più alto rispetto all’attuale, tale da
consentire a chi guardava la scena di trovarsi proprio di fronte ai graffiti e
di poterli ammirare dall’alto verso il basso.
Sempre
nel suo lavoro prospettico, nella seconda fase, lavorò sulle braccia di alcuni
personaggi flettendole, specie a coloro che si trovavano nella parte inferiore
della superficie utilizzata. Queste modifiche o accorgimenti consentirono
all’artista di dare un particolare risalto all’elemento principe della scena,
ovvero ai due sacrificati.
I Danzatori
dell’Addaura
Tutti
gli studiosi hanno in gran parte focalizzato la loro attenzione sulle due
figure poste al centro della scena del circolo dei danzatori. Sono gli unici
soggetti che non poggiano sulle loro gambe e si mostrano con il ventre a terra,
presentando grosso modo la stessa posizione del corpo, cioè fortemente proteso
all’indietro, con le gambe flesse e piegate in modo che i talloni tocchino
quasi i glutei.
Un
segno retto per la figura a terra ed uno doppio per quella più in alto che
sembra congiungere il collo con le caviglie, passano al di sopra della loro
schiena. Questo segno è rappresentato da una corda e la posizione dei due
uomini sembra quella che in gergo mafioso viene chiamato “incaprettamento” con
la sola differenza che i nostri soggetti hanno le mani libere cosa che invece
non appare nelle manifestazioni delittuose di mafia
È
una corda ben tesa e il fatto che non vengano rappresentati i nodi sulle
caviglie e sul collo non è importante dato che l’artista spesso non badava ai
particolari dove questi non risultavano significativi ai fini del messaggio che
si voleva trasmettere.
Nella
scena sembra esserci un sorprendente verismo: la figura più in alto sembra
quasi voler appoggiare le braccia a terra mentre la figura più in basso serra i
gomiti e questo a causa della forte trazione della corda intorno al collo. Tale
posizione costringeva le due figure ad inarcarsi al massimo delle possibilità
di flessione pur di non soffocare a causa di un eventuale movimento delle
gambe, impedendogli inoltre di utilizzare le mani, anche se libere, di
slegarsi.
Una
descrizione complessa e dal forte significato simbolico.
L’incaprettamento
è un esecuzione capitale mafiosa secondo il quale il carnefice non si macchia
del sangue “impuro” del condannato al quale verrà in questo modo provocata una
lunga agonia fino alla morte.
Facendo
un paragone è quindi da ritenere la scena dell’Addaura un sacrificio a scopo
punitivo quindi l’esecuzione di una punizione esemplare all’interno del clan ?
Rispondere
ad una simile domanda non è facile perché è necessario indagare sulle religioni
e sulla lettura degli antichi testi sacri del medio oriente soprattutto fra le
antiche religioni indiane che attuavano i cosiddetti “legami divini”.
Legami
che diventavano “sacrificali” ed infatti troviamo delle divinità quali Varuna,
Yama, Nirrti che sono divinità definite come un “dio che lega” e i loro lacci
vengono chiamati “lacci della morte”
D’altra
parte anche le malattie venivano considerate come dei “lacci” e “la morte” non
è altro che il “laccio o legame supremo”.
«Possano i tuoi
lacci fatali che, sette per sette, triplicemente sono tesi, prendono colui che
dice il falso; e lascino andare chi dice la verità. Con cento lacci circondalo
Varuņa, non lasciar libero colui che dice il falso, o tu che osservi gli uomini
...» (Atharva-Veda,
4,16).
È
un breve bramo tratto dagli antichi scritti vedici, risalenti al III millennio
a.C. dove le corde e i nodi sono gli attributi del dio della morte. Legami
magici come magica era la sovranità del dio.
Legature
e scioglimenti che portavano l’uomo a prendere conoscenza della propria
posizione nel cosmo e soprattutto ad avvertite la necessità di avere una
relazione con un autorità superiore, un dio.
Questo
non avveniva solo nelle antiche religioni indiane e nell’Iran ma anche
altrove. Nella Siberia troviamo dei
rituali sciamanici con lacci destinati a catturare le anime vagabonde che hanno
lasciato i corpi degli uomini.
Gli
uomini legati dell’Addaura anticipano dunque di miglia di anni una ritualità
che troveremo espressa nella storia in varie credenze religiose ?
Quegli
uomini non erano solo legati a scopo punitivo ma quei lacci costituivano anche
un legame simbolico di vita e di morte, di un legame dell’uomo con la divinità
verso il quale tutta la comunità si rivolgeva.
Un
secondo aspetto sul quale l’artista ha voluto concentrare la sua espressione
per colpire il visitatore del santuario è costituita dal fascio di tre linee
convergenti che in entrambi gli uomini attraversano il corpo in posizione
baricentrica.
Molti
hanno definito queste tre linee come l’erezione del pene. Linee che fuoriescono
inspiegabilmente anche dalla schiena o dai glutei dei due uomini. Si parlò anche
di un astuccio fallico. L’organo maschile è rappresentato con un solco sottile,
dal punto di vista anatomico ben posizionato; non è rimarcato, è infatti disegnato a tratto
sottile nella prima stesura dell’opera, come invece è avvenuto per le altri
parti del corpo.
Questi
aspetti dimostrano che nella rappresentazione scenica l’organo genitale
maschile non aveva la sua importanza nell’ambito del messaggio cultuale che
l’artista voleva trasmettere ma che veniva evidenziato solo per dimostrare il
sesso dei soggetti.
Il
significato quindi delle tre linee che attraversano il corpo dei due personaggi ?
Fu
accettata la tesi dell’”uomo trafitto” di Mussi e Zampetti creando una
somiglianza o un legame con gli uomini “trafitti” dell’arte paleolitica
rupestre francese (grotta di Cougnac) pur con le dovute differenze cronologiche.
Grotta di Cougnac
– L’uomo trafitto
.
Trafitti
da cosa e perché?
Nelle
raffigurazioni preistoriche i tre segmenti che attraversano i corpi non
sarebbero o rappresenterebbero armi o ferite ma delle linee energetiche ( G.B.
Brusa Zappellini, riprendendo una tesi di N.W. Smith).
Si
tratterebbe di una “rappresentazione grafica di forze extracorporee che
collegano lo sciamano al mondo degli spiriti e degli animali magici”. Questa
sarebbe una delle interpretazioni ed in ogni caso la soluzione al quesito va
ricercata nell’interno della scena dato che l’artista ha voluto rrappresentare
tutta la narrazione grafica di un rito e di un mito a carattere religioso.
Stranamente il Graziosi aveva forse identificato il verso significato di quelle
tre linee anche se si ostinò a considerarle come caratterizzanti un astuccio
fallico o di genitali. Parlò infatti di quelle tre linee che formavano una
figura del tutto simile ai becchi degli uccelli delle maschere portate dagli
altri personaggi
I
due sacrificati sono trafitti dalla rappresentazione simbolica di becchi
d’uccelli, quegli stessi uccelli evocati, durante il rituale, dai danzatori
mascherati.
Confronto tra le
linee, interpretate come becchi d’uccelli infilzati nei corpi dei
due
sacrificati F ed E , e che attraversano
i loro corpi, e i becchi d’uccelli degli
altri personaggi o
figure.
I
due personaggi stanno mimando una morte rituale o che stanno realmente morendo
per soffocamento. Gli uccelli rapaci che si potrebbero collegare ai becchi
infilzati nei cadaveri sarebbero gli avvoltoi o grifoni. Uccelli divoratrici di carogne,
i più grandi volatili presenti alle nostre latitudini e come i grifoni dal
becco massiccio e pronunciato o i capovaccai (dal becco più lungo e affilato). I grifoni che sono vissuti in Sicilia sin dal Pleistocene, secondo i resti che
sono stati ritrovati negli scavi, ed oggi reintrodotti nell’isola.
La
loro presenza sulle rupi che circondano la Conca d’Oro è ricordata dal nome di
Monte Grifone che si trova di fronte al Monte Pellegrino..
Il Grifone
In
epoca preistorica, l’esempio meglio conosciuto di collegamento diretto tra la
figura dell’avvoltoio e una divinità legata alla morte ci è noto dalla famosa
scena dipinta sulle pareti del
santuario
Neolitico di Çatal Hüyük, nell’Anatolia centrale.
In
questo caso, grandi avvoltoi attaccano un essere umano senza vita (così come
avviene, ma in modo simbolico, con il solo becco anche all’Addaura) e con le
braccia distese. A Çatal Hüyük,
l’avvoltoio
è stato identificato proprio con il grifone, il Gyps fulvus, un rapace inoffensivo per l’uomo ma
grande divoratore di carogne. Ed è
proprio da questa sua peculiarità che, secondo
Marija
Gimbutas, è nato lo speciale legame del grifone-avvoltoio, quale essere divino,
con la morte.
Dunque
in definitiva, raffigurando Sach e Did durante la loro morte rituale, causata
dai lacci della divinità,
seguita dal sacrificio dei loro corpi
dati in pasto agli uccelli divini, il Maestro dimostra di appartenere ad una società
nella quale l’uomo non si rapporta più solo con la Natura, quale suo unico
referente divino (come nel caso delle raffigurazioni di animali del Paleolitico),
ma che la utilizza quale elemento mediatore (nel nostro caso attraverso gli
avvoltoi) nel tentativo di trovare un canale privilegiato di comunicazione con
una divinità che ora non è più terrena, bensì ultraterrena, celeste.
Gli avvoltoi, racchiudendo in sé l’aspetto
terreno e aereo, sarebbero gli artefici di un collegamento tra cielo e terra
verso un divinità superiore. La loro maestosità, il volare così in alto, i loro
versi per certi aspetti terrificanti che sembrano urla di morte, il mangiare i
cadaveri.. sono tutti aspetti di vita e di morte. Tutto ciò, narrato attraverso
complesse iconografie dal profondo significato simbolico.
Figure di Equidi e grossa incisione lineare
--------------
GLI ALTRI
PERSONAGGI DELLA SCENA
Attorno
ai due sacrificati ci sono almeno dieci personaggi ma di questi sembra che solo
tre sembrano prendere parte attivamente al rituale (A –
B – C)
I
personaggi A e B hanno un ruolo da protagonisti nella scienza.
Il
personaggio A ha un becco pronunciato e la folta capigliatura, caratteristiche
che appaiono nelle figure C – D – G – I – N – R.
Il
personaggio B
sembra avere la testa rasata come le figure P – Q – H
Il diverso tipo di capigliatura porta a prendere
in considerazione la visione di due gruppi
o comunità differenti ?
C’è
da dire che l’associazione tra tipi di capigliatura e il becco pronunciato non
si evidenzia in tutte le figure per cui è difficile poter affermare che ci
troviamo davanti a due gruppi sociali differenti. È probabile che tutti i componenti siano
esponenti della stessa comunità ed ogni personaggio riveste nella stessa
comunità una sua funzione sociale e religiosa.
Una
aspetto sociale evidenziato dalla capigliatura, dalla testa rasata, dalla
maschera, dalla cintola o dal giavellotto, tutti aspetti che permettono
all’artista di mettere in risalto la funzione sociale/religiosa del singolo
individuo nella comunità.
Il
rituale del cambiamento dell’acconciatura è un motivo ricorrente in tutti i
riti di iniziazione dei propoli primitivi e non solo. Infatti si ha la rasatura
dei capelli prima o durante il rituale d’iniziazione mentre alla fine del
noviziato i giovani potevano mostrare un folta capigliatura.
Erodoto
rilevò delle immagini sulla capigliatura dei guerrieri nello scontro tra
Spartani ed Ateniesi.
La
bellezza virile del guerriero veniva esaltata dalla lunga capigliatura che
avrebbe comportato un segno visivo di vittoria mentre la testa rasata, accanto
ad altre manifestazioni di lutto, rientrava fra i rituali che imbruttivano il
volto dei viventi avvicinandolo alla morte.
Di
grande interesse storico è la notazione di Diodoro Siculo sulla funzione sacra
della capigliatura in Sicilia quando afferma che “nella sua Agirio, fra i sacrifici che gli abitanti decretavano in
onore del santuario edificato da Iolao, vi era quello di farsi crescere i
capelli sin dalla nascita finchè non si fossero ottenuti buoni presagi e propiziato il dio con
sacrifici magnifici”.
Il
maestro dell’Addaura con la sua arte mise in risalto la relazione il rapporto
fra il sacro e l’interpretazione del significato della capigliatura sia nei
riti iniziatici così come nella condizione del guerriero o nei riti legati ai
sacrifici.
“Per le maschere
indossate dai danzatori, secondo il giudizio di Vernant, . Portare una maschera significa cessare di essere se stessi ed
incarnare, fin tanto che la si indossa, la potenza dell’aldilà che si appropria
di voi, di cui voi mimate la faccia,la gestualità e la voce. Lo sdoppiamento
del volto mascherato, la sovrapposizione del secondo al primo così da renderlo
irriconoscibile,
presuppone
l’alienazione di sé e il totale assoggettamento al dio”; si stabilisce così “una
contiguità tra l’uomo e il dio, uno scambio di statuto che può arrivare fino
alla confusione, all’identificazione; ma, al tempo stesso, in questa vicinanza s’instaura
anche lo strappo da sé, la proiezione in una alterità radicale, la distanza più
grande e lo smarrimento più completo che appartengono all’intimità e al
contatto”.
Negli
uomini mascherati dell’Addaura c’è un legame dell’uomo con la
divinità-avvoltoio. È questo un aspetto che è probabilmente l’elemento cardine
di tutta la scena.
La
maschera è lo strumento con il quale l’individuo è in grado di assumere le
sembianze della divinità entrando in rapporto con essa.
La
materializzazione avviene in modo cruento… orribile: infilzando il becco nel
corpo dei due sacrificati.
Sempre
nella figura A
l’artista ha ritoccato la figura originaria tracciata con punta fine. Ha reso i
glutei più voluminosi e prominenti; il suo corpo fa perno sulla gamba sinistra
mentre la destra sembra accennare ad un passo di danza. Di particolare effetto
le estremità inferiori, viste frontalmente, che si chiudono a punta, grazie a
due appendici triangolari… sembra quasi che stia danzando in punta di piedi
come un esperto ballerino dell’opera (la
stessa schematizzazione anche nelle figure ( C – D – G – Q -).
Particolari dei piedi di alcuni
danzatori.
Un elemento caratterizzante la
grande arte dell’Artista del Paleolitico
Accanto
alla figura A
è posta la figura B che sembra il personaggio più
importante della scena perché occupa il vertice della stessa
rappresentazione. È l’unica figura
rappresentata frontalmente, mostra le braccia alzate e una curiosa apertura
delle gambe che sembrano divaricate. Porta la maschera di avvoltoio e la sua
chioma non appare così folta come per gli altri danzatori forse per una
questione di angolazione nella rappresentazione scenica oppure perché ha la
testa parzialmente rasata.
Le
due figure A e B sono le uniche che hanno le braccia rivolte al
cielo. Forse rappresentano due uomini addetti al culto, per questo motivo sono
rappresentati ai vertici dell’scena cioè all’inizio, e quindi degli sciamani ?
Quelle
braccia protese al cielo sono legate ad un passo di danza oppure è
l’espressione dell’orante cioè “di colui che prega” ? La prima manifestazione
di preghiera rivolta ad un essere supremo ?
Le
braccia alzate nelle due figure è un gesto che interagisce sia con la danza che
con la preghiera.
Figura
dell’orante che è già presente nelle rappresentazioni del Paleolitico Superiore
(Germania in una rappresentazione antica di 30.000 anni).
Nell’Addaura
le due figure si trovano in un contesto sacrale, in un rito dove figurano altri
personaggi, e dimostrano con il loro gesto di essere sottomessi da una divinità
celeste posta in alto.
I
personaggi D ed N appaiono sulla
scena armati di lunghi giavellotti.. sono dei cacciatori ?
Il
personaggio N
sembra dirigersi velocemente verso il centro della scena tenendo ben alzato il
giavellotto e non sembra nel momento di cacciare e la figura del daino posta
vicino a lui, al di sotto, non è in relazione.
Il personaggio D appare invece
immobile sulla destra anch’esso con il giavellotto ben alzato. Poco più in
basso c’è il personaggio I che evidenzia uno strano incrocio delle gambe.
Presenta le stessa posizione delle braccia della figura D ma non porta il giavellotto
Quasi
simile sembra la posizione della figura C ma non tiene nulla in mano. Tutti
sono rivolti verso destra e hanno il capo ricoperto da una folta chioma e
indossano la fatidica maschera a becco d’avvoltoio, ad eccezione della figura C
che presenta invece una specie dio muso squadrato che somiglia a quello del
personaggio E (uno dei sacrificati).
Tutti
presentano un marcato segno all’altezza dei fianchi, si tratta di una cintura
che appare anche nei due sacrificati e nella figura B. Una cintura che doveva
avere un suo carattere simbolico perché non la si nota in altri personaggi.
In
alcune civiltà primitive era usanza ai soli maschi che avevano compiuto i
dodici anni d’età, di essere denominati in base alla cintura che portavano.
(Nuova Guinea, Elema)
Un
aspetto che potremo dire insignificante ma che in realtà aveva la sua
importanza perché probabilmente all’interno di un gruppo era un carattere di
distinzione sociale e forse anche religioso. Generalmente nelle raffigurazioni
di caccia è l’attività venatoria ad essere esaltata e non il cacciatore. Ma nel
graffito dell’Addaura tutto sembra diverso… ci troviamo in presenza di quello
che potremo definire un grande Arista.. capace di comunicare con la sua arte
mille messaggi…
I
potenziali cacciatori (N e D) sembrano fare solo bella mostra di sé con i loro
preziosi giavellotti. Sono in perfetta posa anche se il personaggio N sembra
procedere verso il centro della scena per raggiungere una meta misteriosa.
L’artista
riesce a dare un accenno di dinamicità sollevando leggermente anche il braccio
destro della figura D, ma in ogni caso entrambe le figure sembrano non avere
nessuna relazione, in quel momento, con la caccia.
Lo
scopo della loro presenza ?
Lhote
H. nelle sue ricerche mise in risalto che nei graffiti del Sahara, i personaggi armati di lancia o giavellotto,
detti “lancieri”, non erano solo dei cacciatori.
E
quindi cosa potrebbero rappresentare ?
Le
due figure affiancate sulla sinistra della scena (G ed H) sembrano quasi in relazione fra
di loro.
La
figura G,
un uomo, ha le braccia lunghe ed affusolate, rivolte verso il basso, e mostrano
una certa somiglianza con quelle della figura F (uno dei sacrificati, quello posto
in alto). La testa del personaggio è ricavata geometricamente da un rettangolo
nel quale il Maestro, incurvando in basso leggermente una linea, ha ricavato il
mento. Un aspetto assai somigliante sempre alla figura F. La figura G non
presenta la maschera con becco d’uccello ma mostra la solita folta capigliatura
come la maggior parte dei danzatori. Presenta anche lui piedi a punta e il
segno orizzontale che attraversa i fianchi cioè la cintura.
La
figura H appare
invece dall’ombra, come d’improvviso, vicino alla grande figura G. Un corpo
realizzato in modo approssimativo con la testa tondeggiante, umana, aggraziata
se confrontata con quella del suo compagno vicino G.
Presenta
a differenza degli altri soggetti le spalle strette e le braccia che si
confondono con il corpo slanciato. Un tratto retto, ben marcato, che attraversa
orizzontalmente il torace all’altezza del petto, potrebbe rappresentare
simbolicamente il seno. La sagoma delle gambe scende in modo flessuoso verso il
basso fino ad unirsi come ad un puntale d’anfora. Il maestro tentò di
ridisegnare la gamba sinistra, forse per dare più movimento alla figura, la
quale fuoriesce dal corpo con un evidente segno arcuato.
Le
due figure G ed H sembrano procedere
insieme verso la stessa direzione. Sono un uomo ed una donna, una coppia
forse ignari dell’atto cruento che si sta svolgendo non lontano da loro.
La
figura M,
alquanto sbiadita, rileva ben poco e sembra chiudere il gruppo degli appartenenti
al circolo dei danzatori.
I contorni del corpo sono solo accennati in
maniera confusa. La chioma è folta ma non presenta i lineamenti del viso e
neanche la maschera a becco d’uccello. È forse una figura legata al progetto
iniziale dell’artista che in seguito decise di tralasciare cercando di
cancellarla sovrapponendogli la figura L che
chiude il circolo dei danzatori e che sembra anch’essa in un abbozzato
movimento di danza.
Allontanandoci
dal gruppo si trovano altre figure maschili e una donna. La figura Q è una delle figure che ha destato
il maggiore interesse.
Un
uomo dal corpo vigoroso, il quale è rivolto verso sinistra, sembra allontanarsi
dal centro della scena principale. Mostra una corda o un nastro che gli passa
sopra la testa ed utilizzata per impedire la caduta del cadavere di uno dei due
sacrificati che sta trasportando. Del cadavere
sembrano distinguersi un accenno della testa e delle braccia piegate.
Molti segni della figura sono confusi come quelli del braccio sinistro, e del
braccio destro. La testa è rasata e sul viso è presente un accenno di becco o
forse un mento particolarmente prominente. Il maestro ha invece dimostrato una
sua capacità artistica nella rappresentazione della porzione inferiore del
corpo: ventre, glutei, organi genitali e cosce sono incise con estremo verismo.
L’unica estremità delle gambe visibile finisce con la tipica stesura a punta da
danzatore.
Monte
somiglianze con la figura Q la ritroviamo con la figura R posta più in basso e la più lontana
dalla scena.
Entrambe
sembrano procedere nella stessa direzione con la medesima andatura e
gestualità. Il braccio destro è alzato in direzione della testa come se stesse
trasportando qualcosa che non è percettibile.
La
figura P
è posizionata al di fuori della scena principale. Un aspetto rigido, il profilo
molto approssimativo, la muscolature lontana dalla bella conformazione delle
figure precedenti. Una stretta testa rigonfia che si allunga con un
affilatissimo becco, sembra quasi da pellicano, e uno stretto collo. Mostra un
solo braccio alzato con una gestualità che sembra simile a quella delle figure
Q ed R anche se goffamente proteso in avanti.
Non
si capisce se stia camminando o danzando; il sesso è accennato e mostra la
solita cintola alla vita. Non sembra opera dell’artista per diversi motivi:
approssimativi alcuni tratti della testa; stranissima la resa del becco che nelle altre figure
dimostra un aspetto molto accurato ed importante; troppo rigidi il corpo e la
sua azione. Forse opera di un suo allievo o forse aggiunta successivamente da
un altro artista ?
Le
ultime due figure sono le figure di due donne.
La
figura L è quindi l’ultima figura del gruppo di danzatori. Il Mezzena nel suo
studio critico identificò la figura con uno dei “raccoglitori” degli acrobati
lanciati in aria dai due soggetti (oranti) A e B (con le braccia alzate).
Secondo
altri storici invece, fra i quali la Marconi, si trattava di una figura in un
passo di danza con atteggiamento chinato come avviene ancora oggi in alcune tribù
primitive. Il maestro apportò delle modifiche alla prima stesura della figura.
Ripensamenti che sono chiaramente visibili nelle linee a tratto sottile da
quelle a tratto profondo, all’altezza dei gomiti e delle ginocchia. Nel
progetto originario le braccia dovevano essere distese così come la gamba
destra, mentre la gamba sinistra ha mantenuto la sua posizione originaria. In
un primo momento la figura doveva quindi avere uno strano atteggiamento, come
se fosse accovacciata, con braccia e
gambe protese in avanti. Nella stesura finale il maestro ha piegato le braccia
verso l’alto e la gamba destra all’indietro, dando così alla stessa figura un
certo movimento. Importante in ogni modo è l’identificazione del sesso. Un aspetto importante, osservando il profilo
della figura, è l’assoluta mancanza di
muscoli nelle gambe, nel tronco e la rotondità dei glutei, aspetti
riconducibili ad una corpo femminile. La mancanza del rilievo del seno non è un
elemento importante , seno che sarebbe
coperto dalla presenza del braccio sul corpo che lo coprirebbe.
Caratteristiche
femminili si osservano sul volto, sottile ed allungato, nella schiena liscia e
fluente tagliata di netto all’altezza delle spalle con un acconciatura che ricorda
certi aspetti femminili dell’arte egizia, in sostituzione della folta
capigliatura o del copricapo portato dai personaggi di sesso maschile.
La
figura L sarebbe quindi una donna intenta in qualcosa in un passo di danza oppure
ripresa in un momenti di vita quotidiana come la raccolta di erbe.Un lavoro
domestico ed in contrapposizione alla figura maschile vicina del cacciatore
armato di giavellotto. Una comunità di agricoltori – cacciatori ? Sarebbe
questo il messaggio dell’artista nel
rappresentare la sua comunità ?
La figura femminile O è altrettanto complessa.. si sta allontanando dalla
scena portando sulle spalle un fardello, un sacco, che sarebbe il più antico
fagotto della storia dell’umanità.
Ha
il capo tondeggiante, femminile, che assomiglia a quello della figura H, mostra
il braccio proteso in avanti, così come la gamba destra e procede spedita verso
una meta. Sta portando in quel fagotto uno dei due defunti ? Perché fare
trasportare un fagotto, un defunto,
comunque pesante, ad una donna
forse anche incinta ?
La
femminilità della figura è infatti espressa o sottolineata da due aspetti. Il
profilo del seno e la prominenza del ventre come di chi si trova in stato di
gravidanza. Un attributo , quello della capacità di procreare da parte della
donna, che il Maestro ha voluto sottolineare indicando un ulteriore ruolo specifico
sociale che il gruppo attribuiva alla donna (oltre a quello di raccogliere le
erbe).
Il
paleontologo Antonio Radmilli nelle sue ricerche evidenziò come nel Mesolitico
la rappresentazione delle donne fosse diversa da quelle delle Veneri del
Paleolitico. In questa fase non essendo più sufficiente la caccia, le donne
assunsero un ruolo predominante nell’attività di raccolta come nel caso
dell’Addaura.
Da
questo presupposto si può immaginare che la figura O, con il suo sacco sulle
spalle, stesse trasportando le verdure raccolte dalla figura L. Una
rappresentazione , la più antica, del lavoro di raccolta delle donne in una
comunità preistorica,, la più antica nella storia dell’umanità.
IL
Maestro dell’Addaura non ha solo descritto una scena dei suoi tempi ma ha
lasciato anche un messaggio un “mitogramma”. Un importante documento visivo
in cui è possibile leggere: i passi di
danza dei personaggi che introducevano ad un rito accompagnato dalla musica o
da un canto, le cui parole sono state per sempre perdute; l’esortazione degli
oranti, con le braccia verso il cielo rivolte alla divinità celeste; la prova fisica o il sacrificio umano, a
secondo delle interpretazioni; la presenza della congregazione, con la riunione
di tutta la comunità, distinta attraverso precisi attributi (capigliature,
armamenti, cinture) per ruoli o compiti sociali.
Il
suo messaggio o le sue parole finali sono legate alla manifestazione del divino:
le maschere degli avvoltoti e i loro becchi infilzati nei due sacrificati/iniziati.
La
storia di una comunità comunicata con un linguaggio visivo sulla roccia.
C’è
un grande rammarico nella descrizione di questo unico reperto al mondo.. ed è
veramente sconcertante..
La
grotta dell’Addaura ha sicuramente perso una serie di informazioni che non
furono accuratamente documentate. Quegli elementi archeologici che
probabilmente erano presenti nella grotta avrebbero potuto fornire degli
elementi d’indagine importantissimi dal punto di vista storico. Ma sono andati
perduti per imperizia, mancati scavi, o per causalità. Penso che siano andati
perduti anche a causa di scavi clandestini che ancora prima dell’intervento
della Soprintendenza furono effettuati nelle grotte da gente senza scrupoli e
anche da esponenti d’alto livello sociale, che cercavano la “trovatura”.
L’opera
del Maestro è quindi posteriore alla fine del Paleolitico ed anticipa la
rivoluzione agricola e pastorale che iniziò nel X millennio raggiungendo la
Sicilia verso il 6000 a.C.. In questo arco di tempo (periodo che per la Sicilia
corrisponde all’epoca Mesolitica) si dovrebbe collocare quindi, secondo gli
storici, l’opera dell’Addaura.
Una
società non agricola che ebbe come Essere supremo un dio del cielo o un Essere
celeste” in cui “alcuni animali sono ritenuti onniscienti, come i rapaci che
tutto odono, vedono, prevedono il tempo” e quindi avevano la facoltà di essere
a conoscenza del “passato, del presente e del futuro”.
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I
“Danzatori” sono Tre ? ….Due Uomini ed una Donna ?
Interessante
la tesi espressa da una ricerca della dott.ssa Monica Taddia sulle due figure
maschili
che
stanno per essere uccise in seguito ad un rituale.
Una
ricerca posta nel sito:
Come
abbiamo visto i ricercatori hanno identificato le due figure con acrobati o
danzatori, forse intenti ad intrattenere i convenuti ad una festa prima
dell’esecuzione di un rituale; altri
ancora hanno optato per un rapporto omosessuale e non sono mancati anche coloro
che hanno dato sfogo alla fantasia citando la presenza di elementi
extratterestri.
Come
si vede la letteratura d’indagine è
molto ampia e questo graffito collocato fra il 10.000 e il 7.000 a.C. sembra
ancora affascinare con la sua
comunicazione e molti storici nel passato lo definirono come un falso storico… perchè
è il primo graffito in cui viene comunicata un momento di vita di una tribù con
i suoi personaggi ognuno con la propria funzione sociale o anche religiosa.
La ricercatrice iniziò la sua indagine analizzando l’area geografica in cui è
collocata la grotta. La tribù si trova ad interagire con i quattro elementi che
potremo definire di vita:
-
Terra,
cioè la terra circostante
-
Aria
, la montagna
-
Acqua
, il mare
-
Fuoco,
non solo il fuoco in sé ma anche il sole in un isola come la Sicilia dalla
forte insolazione.
“Questo tipo di
popolazione, perciò, a differenza di altre stanziate in territori di tipo
pianeggiante e/o lontane dal mare godeva di una particolare fortuna: non solo
conosceva l'asprezza del territorio montano, ma aveva anche a che fare con le
alture e gli animali, specie rapaci, che popolano determinati luoghi:
conseguentemente ne derivavano ammirazione, stupore, emulazione, ricerca della
vicinanza al cielo come territorio "magico" che solo le creature
alate possono dominare.
La creatura alata
andava quindi ammirata e rispettata oltre che temuta. Occorreva cercarne le
grazie, assomigliarle per comunicare meglio con lei.
E quale modo
migliore del comunicarvi se non utilizzando delle maschere provviste di becco?
Ecco perchè, tra le varie figure presenti nel graffito, ne troviamo alcune che
indossano questo tipo di travestimento.
Per sopravvivere,
la popolazione non si occupava solo della caccia, ma anche della pesca: il mare
offre preziosissimo nutrimento quale pesci (dalle piccole alle grandi
dimensioni), crostacei, bivalvi...
Cacciare era meno
semplice: creature come ad esempio gli alci (presenti nel graffito) si
arrampicavano facilmente su per le montagne, riuscendo a trovare maggior riparo
in caso di pericolo. Da qui sarà certo nata la necessità di creare un rapporto
con gli animali che potesse essere quasi benevolo: un addomesticamento? Del
resto pare che si inizi a parlare di addomesticamento animale più o meno in
questo periodo.
La caccia inoltre,
va ricordato, veniva svolta quasi prevalentemente in gruppo.
Nel Paleolitico e
nel Mesolitico (che sono il nostro periodo di interesse relativo alla datazione
dei graffiti) le principali strutture della società erano il clan e la comunità
(quest'ultima è il clan allargato ovvero comprendente tutti i parenti delle
persone con cui ci si andava a congiungere).
Probabilmente non
vi era una gran differenza tra uomini e donne a livello di importanza/potere,
tuttavia, come emerso anche da ricerche svolte da Maria Gimbutas, pare che
l'area europea fosse basata su una religione di tipo MATRIARCALE che, quindi,
venerava una DEA MADRE (a tal proposito si ricordino i vari manufatti ritrovati
in quasi tutta l'area europea e databili anche circa 15mila anni fa,
raffiguranti personaggi dalle forme femminili rotondeggianti e voluminose,
rappresentanti la fertilità)
La Dea, come
sappiamo grazie a questi ritrovamenti, veniva adorata già durante l'era Paleolitica,
dal 50.000 all'8.000 avanti Cristo.
Numerosi sono i
simboli all'interno di questo graffito che ci riportano al culto del divino
femminile e che verranno spiegati in seguito.
Partiamo invece da
quelle che è la parte "bassa" del graffito dove i protagonisti
principali sono gli ANIMALI. Guardando dal basso verso l'alto notiamo alcune
figure che possono essere interpretate senza troppi fraintendimenti come bovini
ed equini (una potrebbe essere una pecora o comunque un ovino)
Una delle figure
maschili (quella più a sinistra) sta rincorrendo un bovide per cacciarlo.
Un'altra tiene
qualcosa di lungo nella mano destra: a logica uno strumento di caccia, visto
che sta prendendo la stessa direzione del personaggio di cui sopra. Notiamo, però,
che mentre quello di cui sopra NON ha maschere addosso, questo pare proprio
avere la maschera con tanto di becco che caratterizza i personaggi che
incontreremo nella parte alta del graffito. E se fosse invece una specie di
strumento musicale, magari costruito con lunghe canne o con rami/tronchi cavi?
Ad avvalorare l'ipotesi, vi è il fatto che il volto di costui non sia rivolto
verso il compagno cacciatore ed il bovino ma su quella che potrebbe essere
l'impugnatura o l'imboccatura dello strumento stesso.
Una terza figura
maschile (quella più a destra) porta qualcosa "alla cintura". Una
sacca? E se invece fosse un tamburo? Questi prende una direzione completamente
diversa, sta recandosi verso il fulcro della cerimonia.
Strumentario
sonoro preistorico
I paleolitici
accompagnavano la danza rituale con lo
strumento musicale
più antico del
mondo: la voce. Alla voce univano suoni ottenuti con pietre di dimensioni
diverse e
accostate tra loro che venivano battute con un legno; con ossa, ecc.
Gli scavi
archeologici hanno restituito nel tempo interessanti reperti che
venivano adoperati
come strumenti musicali a percussione ed adoperati dai cacciatori.
I sonagli legati
costituiti da noci, semi, denti di animali che erano legati tra loro da
una cordicella;
sognali di zucca cioè zucche vuote riempite di sassolini e anche
tamburi a fessura
ricavati da tronchi d’albero cavi cioè con una cavità interna longitudinale.
Gusci, bastoni,
conchiglie ed ossa che venivano raschiati con un oggetto duro e
strumenti a fiato
come ossa traforate o rudimentali trombe ottenute da rami caci come
ad esempio
l’infiorescenza dell’agave, seccata e svuotata internamente costituiva un
ottimo strumento a
fiato lungo anche 3 metri.
Strumenti
particolari erano l’arpa di terra e l’arco musicale.
L’arpa di terra
era costituita da una buca scavata nel terreno e riempita di corteccia
d’albero. Sulla
buca si tendeva una cordicella legata ad un bastone infisso nel
terreno e
percuotendola o pizzicandola si otteneva una strana e delicata risonanza.
L'arco musicale,
invece, era formato da un ramo flessibile curvato mediante una corda tesa
tra le due estremità e recante un risuonatore a zucca destinato
ad ampliare il
suono della corda pizzicata.
Dall’infiorescenza dell’Agave
Americana, presente in Sicilia, si può ricavare uno
strumento musicale. Una volta svuotata e seccata viene forata e
leggermente
curvata nella parte finale… un operazione
che ho visto eseguire in alcune
comunità che vivono a contatto
con la natura.Il risultato finale è l’emissione
di un suono dolcissimo
che dipende dalla distanza dei fori praticati sullo strumento.
Vi è infine una
figura femminile con un ventre enorme, quindi gravida. Di fianco a lei, un
animale con le CORNA la cui forma ricorda la MEZZALUNA. Questo è, a mio avviso,
uno dei punti chiave dell'intera vicenda.
Infatti con la
figura femminile affiancata all'animale inizia a delinearsi un cammino a
SPIRALE che, dall'esterno, si sviluppa verso l'interno, con moto ANTIORARIO.
Sappiamo che
nell'arte rupestre paleolitica la spirale viene associata a immagini di falci
di luna o ANIMALI le cui corna hanno la forma della FALCE di luna.
La spirale è
sinonimo di CICLO DELLA VITA oltre che della CREAZIONE, simboleggia
fecondità ma anche il LUNARE e l'ACQUATICO
La danza a
spirale, che è già prerogativa di questo periodo storico, aiuta l'uomo a
raggiungere uno stato di "estasi" che l'aiuta in un qualche modo ad
avvicinarsi il più possibile alle divinità.(Consiglio di confrontare con http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Simboli_danzaspirale.htm )
Il senso
antiorario della spirale simboleggia l'ACQUA e l'allontanamento del CALORE,
quindi del sole. Presumibilmente, quindi, questo rituale è stato effettuato in
autunno se non addirittura in inverno, quando le ore di luce iniziano a
diminuire; poichè la spirale viene spesso accomunata al solstizio, è più facile
pensare che il rituale sia avvenuto durante il solstizio autunnale o quello
invernale.
Il senso
centripeto solitamente tende ad essere il movimento inverso alla creazione,
quindi il riassorbimento, il ritorno, in alcuni casi la morte.
TUTTAVIA essendo
il CENTRO considerato il CANALE DELLA VITA, in questo caso potrebbe non essere
prevista la morte degli individui al centro della scena.
Ricordiamo infatti
che nella DANZA A SPIRALE il danzatore cerca di entrare in connessione con il
ciclo della vita.
Osserviamo ora le
figure che si trovano lungo la spirale.
Si tratta per lo
più di figure maschili che indossano un copricapo (potrebbe non essere un
copricapo rituale ma semplicemente un segno di riconoscimento del clan) e
quella che con tutta probabilità è una maschera a forma di BECCO.
Poichè l'autore
del graffito non ha indicato la presenza di un apparato genitale maschile in
tutti i personaggi, si presuppone che alcuni siano donne, forse vi è anche una
bambina/ragazzina dal momento che una delle presunte donne è stata ritratta con
minore statura.
Sulla destra,
inoltre, notiamo proprio "in fila" nella spirale, una testa di
alce/daino (ritroviamo l'indicazione delle corna a forma di falce).
I movimenti in cui
i personaggi sono immortalati sono tipici di una danza e ne rappresentano le
varie fasi. Sono movimenti che vanno quasi a toccare il suolo con le braccia
per poi innalzarle verso l'alto. Una connessione, quindi, tra terra e cielo.
Le due figure
centrali restano l'enigma principale del graffito.
Partiamo da quella
superiore. Una figura maschile (il fallo è ben visibile, addirittura più
pronunciato rispetto a quello degli altri), anch'esso con una maschera a becco,
pare essere privo del copricapo.
Vi sono delle
linee rette che paiono quasi essere un imbracatura che circonda il torso
dell'uomo, viene fatta passare per la schiena e forse va a legarsi ai piedi.
E', questo, ciò ha fatto pensare che si trattasse di una forma di
incaprettamento che costringesse l'uomo ad essere vittima sacrificale assieme
al compagno di cui sotto.
Quest'ultimo è
anche esso raffigurato con un fallo pronunciato. Potrebbe essere visto con la
testa rivolta verso sinistra, il copricapo, la maschera a becco, la schiena
arcuata, le gambe coperte dalla figura di quello sopra di lui. E anch'egli
incaprettato all'incirca come il suo "compagno"
Ma se le figure in realtà fossero TRE? Ipotesi
azzardata, forse una forzatura. Eppure non per questo meno logica rispetto alle
altre.
Secondo questa mia
interpretazione si tratterebbe di due uomini (in azzurro e giallo) e una donna
(in verde)
L'uomo in azzurro
ha il pene che, in questo caso, tende sia verso la vagina della donna che verso
l'ano dell'altro uomo, il quale è sdraiato a pancia in giù, forse dopo aver a
sua volta avuto un rapporto rituale con la donna.
La donna,
rappresentata con la parte che va dal bacino alle ginocchia più lunga del
normale, pare quasi una figura "sireniforme". Questa potrebbe essere
non tanto una rappresentazione del vero quanto una scelta artistica atta a
sottolineare il ruolo di "divinità marina" che la donna svolge
all'interno del rituale.
In questo caso, le
linee che io ho evidenziato in rosso equivarrebbero all'energia che già
proviene dall'utero della donna (già stata fecondata da un altro) mentre quelle
che ho marcato in bianco sarebbero non un imbracatura da incaprettamento
bensì
- il movimento/lo
sforzo compiuto oppure
- una specie di
vestiario rituale
Non essendo
visibile per intero la terza figura non sappiamo se anche essa possieda questo
capo di vestiario e quindi si trovi allo stesso "rango". Anche perchè
il personaggio in azzurro pare effettivamente non essere in possesso del
copricapo. (L'altro invece ha un becco più grosso e il copricapo quasi come se
fosse scomposto, forse un ulteriore segno dello sforzo sessuale compiuto).
Inoltre si può
pensare che il rituale fosse atto a richiedere la benevolenza del mare poichè
con gli animali già esisteva un rapporto di cooperazione: si trovano tutti al
di sotto del disegno, e alcuni di essi sono all'interno del cerchio come ad
indicare il loro ruolo di esseri subordinati all'uomo oltre che ad avere la
funzione di simboleggiare la Dea Madre.
Alla luce di tutte
queste affermazioni quel che si puo' dedurre, in sommi capi, è questo:
- Si trattava di
un rito propiziatorio compiuto il giorno del solstizio di autunno o d’inverno.
- Il rito si
svolgeva tramite danza a spirale con movimenti dall'alto verso il basso per
richiamare le forze del cielo e della terra
- La danza a
spirale di per sè rappresentava il ciclo della vita e aiuta a sentirsi in
comunione con la divinità
- Gli astanti
indossavano maschere dal becco d'uccello per sentirsi più vicini ai rapaci e,
di conseguenza, alla loro forza ed al cielo
- Il rito era
probabilmente accompagnato da musica (un uomo con un tamburo e due con delle
canne/flauto ?)
- Il rito era
dedicato alla Dea Madre (figura della donna incinta e del cervo)
- Il rito era atto
a propiziarsi anche la fertilità della pesca (spirale= acqua e vita) nel
momento più buio dell'anno (e quindi con meno ore disponibili a cacciare mentre
la pesca può fondamentalmente avvenire anche al buio)
- Il rito era atto
a ingraziarsi la benevolenza del mare: la donna al centro ha il corpo che
ricorda quello di una donna/pesce
- Nel rito due
uomini fecondavano la donna/pesce affinchè una doppia fecondazione possa essere
più produttiva (più pesci nel mare)
Il fatto che il
senso centripeto possa essere sinonimo di morte ci potrebbe far intuire questa
donna non verrà effettivamente fecondata: potrebbe essere una bambina oppure
una donna incapace di avere figli. Oppure che il nascituro verrà in seguito
sacrificato al mare. O, ancora, che uno, due o tutti e tre i personaggi
troveranno la morte alla fine del rituale.
Trovo però
improbabile la prima e l'ultima ipotesi dal momento che la scelta artistica
dell'autore si è concentrata moltissimo sul centro della spirale, e questa
quantità di particolari (compreso il tratto più marcato dell'incisione) ci fa
pensare che in realtà si tenda esclusivamente alla procreazione. Del resto al
principio della spirale appare una donna incinta. Quindi si giunge esattamente
al punto di origine, l'atto sessuale che dovrebbe dare origine ad una nuova
vita. Che, probabilmente, in un qualche modo, placherà le richieste del mare
tramite sacrificio ad esso.” (Monica Taddia)
L’Artista delle
Incisioni era uno Sciamano ?
Una
domanda a cui è difficile dare una risposta.
Jean
Clottes studia da decenni i dipinti o i graffiti rupestri del Paleolitico e
secondo l’archeologo l’arte rupestre sarebbe opera di sciamani.
Gli
straordinari dipinti delle grotte di Lascaux e Chauvet in Francia e quelli di
Altamira in Spagna, riportano corse di cavalli, segni a forma di arpione,
rinoceronti, cervi, mammut, teste di leone, linee tracciate con le dita, ecc..
tutte scene dipinte fra 30.000 e 10.000 anni fa.. Il loro messaggio ? Un
messaggio forse perduto per sempre ?
L’archeologo
francese Jean Clottes, esperto di fama mondiale per l’arte rupestre, ha
raccolto i suoi studi su un libro uscito prima in Francia e poi negli Stati
Uniti dal titolo ”What is Paleolithic Art?”
(University of Chicago).
Esperto
dell’età del Bronzo, professore d’archeologia all’Università di Tolosa e a
Berkeley, Clottes fu nominato nel 1975 direttore dell’antichità preistoriche
della regione del Midi-Pirinei. Si trovò inserito in un ambiente che accoglie
molte opere d’arte del paleolitico. Durante il suo mandato scoprì ed esplorò
nuove grotte fra cui, nel 1994, quella
di Chauvet, una tra le più ricche di capolavori preistorici d’arte. Grotta di
cui fino al 2016 dirigeva la ricerca scientifica..ӏ ancora la mia preferita.. il pannello dei cavalli e quello dei leoni sono
tra le vette dell’arte paleolitica”.
Le leonesse di Chauvet
“Negli anni successivi alle prime scoperte di grotte dipinte ci sono stati
un gran numero di tentativi per cercare di interpretarle. Alcuni vi vedevano
magie per propiziare la caccia, altri arte con fine a se stessa, altri ancora
come rappresentazioni di “totem”, animali delle tribù… ci fu persino che, visti
i disegni di genitali femminili, ipotizzò l’opera di adolescenti ribelli”.
Negli anni Settanta il grande etnologo e archeologo Andrè
Leroi-Gourhan sostenne che era inutile cercare di dare una spiegazione a quei
disegni..”queste pitture provengono da
una cultura e una visione del mondo troppo lontane e diverse dalla nostra, il
loro significato era perso per sempre”.
Secondo Clottes “lo
studio di ossa e attrezzi ci può dire molto sul mondo fisico delle genti del
Paleolitico, la loro arte ci offre una preziosa finestra sulla loro mente, e
non possiamo non tentare di darle un senso, almeno generale”.
L’archeologo francese girò il mondo visionando e
studiando l’arte rupestre in tutti i continenti
e parlò con gli ultimi rappresentanti di quelle popolazioni che usano
ancora questa forma di rappresentazione per scopi culturali e religiosi: gli
aborigeni australiani, le tribù fra Messico e Stati Uniti, i popoli siberiani,
i San dell’Africa australe, gli indios amazzonici…
“Questi popoli vivono ancora un contatto intimo con la natura, per cui il senso che danno alle loro immagini può aiutarci a capire quello che gli davano gli uomini di 30 mila anni fa. Per esempio ora sto studiando le popolazioni tribali dell'India, che usano l'arte rupestre per attrarre salute e prosperità. Nelle Americhe ho invece appreso che i graffiti sono spesso legati agli "spiriti animali" dei luoghi, che si cerca di rendersi amici con piccoli doni. In Australia poi i famosi dipinti degli aborigeni legati ai miti ancestrali vengono ridipinti e aggiornati da millenni, perché sono ancora usati per l'iniziazione dei giovani. I dipinti tribali di oggi hanno in comune con l'arte preistorica alcune caratteristiche, per esempio la continua ripetizione in certi luoghi degli stessi soggetti, oppure la presenza di impronte di mani e piedi di bambini, che fa pensare a riti di iniziazione, o i doni e i segni di dita lasciati sulle immagini, simili a quelli che lasciano i fedeli nelle chiese quando chiedono grazie».
Con l'etnologia si può dare quindi un significato preciso alle pitture paleolitiche europee? Clottes è pronto a frenare. «No, questo non è possibile: l'abisso temporale è troppo grande e molti dettagli sono ormai perduti. In Australia, per esempio, mi hanno spiegato come certe linee sulle rocce indichino luoghi accessibili solo ai maschi o solo a iniziati. Nelle grotte del paleolitico ci sono segni simili: ma chi ce ne potrà mai spiegare il senso? O pensate a quella scena dipinta a Lascaux: un uomo con la testa di uccello e il pene eretto, disteso davanti a un bisonte sventrato da una lancia. Non potremo mai sapere a quale mito si riferisca. Credo però che potremo arrivare a intuire l'idea generale che motiva certe opere. Ed eliminare alcune ipotesi, come quella che si tratti di graffiti casuali: a realizzare opere di tecnica sopraffina dovevano essere persone selezionate e addestrate. Da scartare è anche l'ipotesi che i dipinti abbiano fini solo estetici: spesso si trovano nei recessi più oscuri e nascosti delle grotte, non certo per essere visibili a tutti. C'è una logica che ci sfugge nella scelta dei siti: alcune grotte comode e abitate per millenni non hanno dipinti, altre disabitate e quasi inaccessibili ne sono piene. Perché? I nativi americani mi hanno confermato che l'arte rupestre si realizza solo dove i luoghi "parlano" agli uomini».
Ma in che modo «parlavano» Altamira o Chauvet? «In tante mitologie le cavità sono un accesso a mondi ultraterreni» spiega l'archeologo. «Immaginiamo un uomo del paleolitico che si spinga nell'interno di una grotta fino a luoghi bui, con strani odori e concrezioni, inquietanti figure create dalle ombre, paurosi effetti di eco, poco ossigeno. In un luogo simile non c'è da stupirsi se qualcuno aveva visioni, che forse provava poi a fissare sulle pareti. La grotta appariva un luogo a cavallo fra il mondo degli uomini e quello ultraterreno, e chi era capace di mantenere aperto il contatto, magari anche per l'abilità nel disegnare le sue visioni, diventava una figura di grande importanza, uno sciamano».
Lo sciamanesimo è una forma di spiritualità tipica di popolazioni che vivono a stretto contatto con la natura ed è basata sull'idea di una continuità e permeabilità fra mondi: umano e animale, terreno e ultraterreno. Lo sciamano, entrando in trance grazie a danze, canti, digiuno o droghe, contatta o diventa esso stesso uno spirito animale, per ottenere guarigioni, preveggenza, buona sorte. Le figure metà uomo e metà animale, presenti sia nei disegni tradizionali che nelle grotte del paleolitico, rappresenterebbero questa funzione di ponte dell'uomo sacro.
«La mia ipotesi» spiega Clottes «è che le grotte europee fossero le sedi di riti sciamanici, per l'iniziazione di giovani, per propiziare la salute, la caccia e forse anche la fertilità, come suggeriscono le figure di genitali femminili, spesso ricavate intorno a fessure nella roccia». Immaginiamo la discesa in quelle «chiese preistoriche» di giovani da iniziare o di malati da guarire, accompagnati dai loro sciamani. L'improvvisa apparizione dal buio di immagini dei grandi animali e delle storie di personaggi mitici doveva aver un effetto sconvolgente.
“Questi popoli vivono ancora un contatto intimo con la natura, per cui il senso che danno alle loro immagini può aiutarci a capire quello che gli davano gli uomini di 30 mila anni fa. Per esempio ora sto studiando le popolazioni tribali dell'India, che usano l'arte rupestre per attrarre salute e prosperità. Nelle Americhe ho invece appreso che i graffiti sono spesso legati agli "spiriti animali" dei luoghi, che si cerca di rendersi amici con piccoli doni. In Australia poi i famosi dipinti degli aborigeni legati ai miti ancestrali vengono ridipinti e aggiornati da millenni, perché sono ancora usati per l'iniziazione dei giovani. I dipinti tribali di oggi hanno in comune con l'arte preistorica alcune caratteristiche, per esempio la continua ripetizione in certi luoghi degli stessi soggetti, oppure la presenza di impronte di mani e piedi di bambini, che fa pensare a riti di iniziazione, o i doni e i segni di dita lasciati sulle immagini, simili a quelli che lasciano i fedeli nelle chiese quando chiedono grazie».
Con l'etnologia si può dare quindi un significato preciso alle pitture paleolitiche europee? Clottes è pronto a frenare. «No, questo non è possibile: l'abisso temporale è troppo grande e molti dettagli sono ormai perduti. In Australia, per esempio, mi hanno spiegato come certe linee sulle rocce indichino luoghi accessibili solo ai maschi o solo a iniziati. Nelle grotte del paleolitico ci sono segni simili: ma chi ce ne potrà mai spiegare il senso? O pensate a quella scena dipinta a Lascaux: un uomo con la testa di uccello e il pene eretto, disteso davanti a un bisonte sventrato da una lancia. Non potremo mai sapere a quale mito si riferisca. Credo però che potremo arrivare a intuire l'idea generale che motiva certe opere. Ed eliminare alcune ipotesi, come quella che si tratti di graffiti casuali: a realizzare opere di tecnica sopraffina dovevano essere persone selezionate e addestrate. Da scartare è anche l'ipotesi che i dipinti abbiano fini solo estetici: spesso si trovano nei recessi più oscuri e nascosti delle grotte, non certo per essere visibili a tutti. C'è una logica che ci sfugge nella scelta dei siti: alcune grotte comode e abitate per millenni non hanno dipinti, altre disabitate e quasi inaccessibili ne sono piene. Perché? I nativi americani mi hanno confermato che l'arte rupestre si realizza solo dove i luoghi "parlano" agli uomini».
Ma in che modo «parlavano» Altamira o Chauvet? «In tante mitologie le cavità sono un accesso a mondi ultraterreni» spiega l'archeologo. «Immaginiamo un uomo del paleolitico che si spinga nell'interno di una grotta fino a luoghi bui, con strani odori e concrezioni, inquietanti figure create dalle ombre, paurosi effetti di eco, poco ossigeno. In un luogo simile non c'è da stupirsi se qualcuno aveva visioni, che forse provava poi a fissare sulle pareti. La grotta appariva un luogo a cavallo fra il mondo degli uomini e quello ultraterreno, e chi era capace di mantenere aperto il contatto, magari anche per l'abilità nel disegnare le sue visioni, diventava una figura di grande importanza, uno sciamano».
Lo sciamanesimo è una forma di spiritualità tipica di popolazioni che vivono a stretto contatto con la natura ed è basata sull'idea di una continuità e permeabilità fra mondi: umano e animale, terreno e ultraterreno. Lo sciamano, entrando in trance grazie a danze, canti, digiuno o droghe, contatta o diventa esso stesso uno spirito animale, per ottenere guarigioni, preveggenza, buona sorte. Le figure metà uomo e metà animale, presenti sia nei disegni tradizionali che nelle grotte del paleolitico, rappresenterebbero questa funzione di ponte dell'uomo sacro.
«La mia ipotesi» spiega Clottes «è che le grotte europee fossero le sedi di riti sciamanici, per l'iniziazione di giovani, per propiziare la salute, la caccia e forse anche la fertilità, come suggeriscono le figure di genitali femminili, spesso ricavate intorno a fessure nella roccia». Immaginiamo la discesa in quelle «chiese preistoriche» di giovani da iniziare o di malati da guarire, accompagnati dai loro sciamani. L'improvvisa apparizione dal buio di immagini dei grandi animali e delle storie di personaggi mitici doveva aver un effetto sconvolgente.
Arte sciamanica
rupestre- Trois Freres (Francia)
«Abbiamo anche
scoperto che certe figure, composte da tratti disegnati e ombre di concrezioni,
si vedono solo tenendo la luce in certe posizioni, quindi lo sciamano poteva
farle apparire e sparire a volontà, come se uscissero dalla roccia» aggiunge
Clottes. Allora, come oggi, si tentava poi di condividere una parte del potere
del luogo, toccando con le dita le immagini o le pareti, lasciando su queste
segni che sono ancora visibili. «Oppure si facevano offerte, come le schegge di
osso incastrate nelle crepe vicino ai disegni: a me ricordano i bigliettini
indirizzati a Dio lasciati nel Muro del Pianto a Gerusalemme».
I «segni di devozione» più noti sono però le impronte di mano in negativo. «Erano forse il modo più suggestivo per attingere potenza spirituale: mettevi la mano sulla parete, su di questa veniva soffiata della polvere colorata facendola diventare uguale alla roccia, e quando sollevavi la mano era come se portassi con te un po' del potere del luogo». Una cosa che colpisce nei dipinti paleolitici è che gli animali sono tanti e bellissimi, mentre gli uomini sono pochi e raffigurati in modo schematico.
Anche per questo Clottes ha una spiegazione: «Nel mondo del Magdaleniano l'uomo era una piccola e debole cosa, immersa in una natura intatta, dominata da animali bellissimi, possenti, spesso pericolosi. Tutto l'immaginario, tutta la spiritualità umana dovevano ruotare intorno a loro». Un mondo che finì con l'avvento dell'agricoltura, le foreste disboscate e gli animali sterminati o chiusi nei recinti. Gli spiriti delle grotte allora tacquero e gli dei divennero umani.
I «segni di devozione» più noti sono però le impronte di mano in negativo. «Erano forse il modo più suggestivo per attingere potenza spirituale: mettevi la mano sulla parete, su di questa veniva soffiata della polvere colorata facendola diventare uguale alla roccia, e quando sollevavi la mano era come se portassi con te un po' del potere del luogo». Una cosa che colpisce nei dipinti paleolitici è che gli animali sono tanti e bellissimi, mentre gli uomini sono pochi e raffigurati in modo schematico.
Anche per questo Clottes ha una spiegazione: «Nel mondo del Magdaleniano l'uomo era una piccola e debole cosa, immersa in una natura intatta, dominata da animali bellissimi, possenti, spesso pericolosi. Tutto l'immaginario, tutta la spiritualità umana dovevano ruotare intorno a loro». Un mondo che finì con l'avvento dell'agricoltura, le foreste disboscate e gli animali sterminati o chiusi nei recinti. Gli spiriti delle grotte allora tacquero e gli dei divennero umani.
Lo
sciamano realizzava un collegamento fra il mondo dei viventi, rappresentato
dalla comunità in cui viveva, e l’aldilà. Aveva un grandissimo potere
all’interno della comunità che si rinnovava di continuo attraverso
l’inserimento o l’aggiunta di nuove figure in quella che veniva considerata la
grotta-santuario.
Lo
studioso, così come Lewis-Williams,
dichiararono che il rituale presenta varie componenti e quindi può aver
lasciato tracce diverse perché diverse erano le motivazioni a cui era
indirizzato.
Motivazioni
legate a pratiche di guarigione, controllo degli animali, riti per influire
sugli elementi, profezie, visioni, pratiche magiche, viaggi extra-corporali,
ecc.. ogni manifestazione aveva i suoi riti e i suoi miti. Per i due studiosi
l’arte del Paleolitico, nel lungo periodo, fu caratterizzata proprio da un
aspetto culturale comune identificabile con lo sciamanesimo.
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Le Problematiche
della Grotta delle Incisioni… chiusa da 21 anni
Negli
anni passati la grotta fu oggetto di atti vandalici da parte di mafiosi in
“erba”.. gente senza scrupoli che incise le pareti con delle frasi e
addirittura colorandole con vernice spray.. Ogni altro commento è
superfluo. La cavità è chiusa con un
opportuna recinzione per prevenire atti
vandalici ma spesso non è sufficiente.
Dal
1997 sono chiuse al pubblico per pericolo di caduta massi dal costone roccioso.
Nel
mese di giugno 2018 si parlò di una riapertura della cavità, dopo ben 21 anni
il sito archeologico dal valore storico, artistico e antropologico inestimabile sarebbe stato riconsegnato ai cittadini.
Venne stipulato un bando di gara per la progettazione degli interventi di messa
in sicurezza che scadeva il 30 luglio dello stesso anno.
Il giornale “L’Espresso di Palermo” riportò il 5 luglio
2018 la notizia dello stanziamento, da parte del Presidente della Regione Nello
Musumeci (in qualità di commissario di governo per il dissesto idrogeoloico),
di trenta milioni di euro per l’appalto delle progettazioni relativi agli
interventi di consolidamento delle pareti rocciose sovrastanti le aree urbane
di “Vergine Maria e Addaura”.
Quattro i lotti interessati: “ Zona Nord (855 mila
euro), Zona Nord-Est (510 mila euro), Zona Centro orientale /314 mila euro) e
Zona Sud (1,2 milioni di euro)”.
Il bando di gara fu pubblicato a fine giugno 2018 con
scadenza il 30 luglio 2018. Una volta aggiudicato ci sarebbero a disposizione sessanta giorni
per il progetto definitivo e trenta per quello esecutivo…. quindi ottobre 2018.
Successivamente si sarebbe proceduto alla gara
d’appalto dei lavori di consolidamento, già finanziati all’interno del “Patto
per lo Sviluppo della Città di Palermo” con 30,5 milioni di euro.
Il Governatore della Sicilia riferì allora che “"Il finanziamento delle
progettazioni rientra all'interno del finanziamento per interventi di sicurezza
del suolo e delle acque, con l'obiettivo di accelerare i progetti relativi alle
opere di tutela del territorio".
A causa dei lavori progettati sarebbero tornate visitabili in sicurezza le tre Grotte dell’Addaura sul fianco nord-orientale del Monte Pellegrino.
A causa dei lavori progettati sarebbero tornate visitabili in sicurezza le tre Grotte dell’Addaura sul fianco nord-orientale del Monte Pellegrino.
A febbraio 2019 la cavità dell’Addaura era ancora
chiusa.
Ma
fino ad oggi la cavità non è visitabile…. Un patrimonio mondiale in abbandono. Manca la volontà politica.. si
potrebbe superare il problema ponendo delle telecamere che permetterebbero la
visione dei graffiti e dell’interno delle altre cavità dal Museo Salinas di
Palermo. Si potrebbe quindi proporre un
percorso virtuale delle grotte mostrando quindi gli aspetti archeologici,
geologici….ma tutto sembra di difficile attuazione non sapendo che il
Turismo potrebbe essere la risorsa
economica più importante dell’Isola.
( Novembre 2011)
novembre 2011
Nella
grotta lo sviluppo delle muffe è un problema da affrontare per la salvaguardia
dei graffiti.. non so se la Soprintendenza negli ultimi anni sia intervenuta
per salvaguardare l’integrità delle raffigurazioni uniche al mondo….
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