ALCAMO (Trapani) - IL CASTELLO DEI CONTI DI MODICA







Indice:
1.      Etimologia e Citazioni – Il “Rollo” di Monreale;
2.      Le Origini del Castello – I Casali di Alcamo
I Feudatari: Peralta – Chiaramonte – Ventimiglia – Giacomo e Violante Prades –
Bernardo V Cabrera – La Controversia tra Bernardo V e Raimondo –
La Regia Corte processò Bernardo V – Nicolò Speciale – Anna I Cabrera e Federico Enriquez – La Chiesa e il Convento di San Francesco a Medina de Rioseco –
La Chiesa di Santa Maria di Gesù ad Alcamo e il Dipinto del Ruzzolone
I Capitoli Nuziali – Ricompra del Feudo di Alcamo – Enriquez e Vittoria Colonna –
Vendita nel 1614(?) del Feudo di Alcamo a Paolo Balsamo - Riacquisto della baronia di Alcamo  e vendita alla famiglia Ajutamicristo (?) – Famiglie Alvarez Toledo e Stuart –
1828 il castello di Alcamo acquisito dal Comune.
3.      Struttura Architettonica
4.      Il Carcere o Fossa dei Re (?)
5.      Iscrizione  rinvenuta in una cella
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1.      ETIMOLOGIA E CITAZIONI
Il geografo Idrisi nel XII secolo, attivo alla corte di re Ruggero il Normanno,  riportò Alqamah come “vasto casale con terre da seminare e ubertose… con un mercato frequentato, artigiani e manifattura”.
L’etimologia di Alcamo potrebbe derivare da “alquam” (terra fangosa) o da “Marzil Alqamah” (casale di Alqamah).
Secondo lo storico e glottologo Corrado Avolio  (Siracusa, 1843- Noto,1905), il termine potrebbe derivare dalla pianta araba Alqamah cioè il Citrullus colocynthis.



Altra citazione del  viaggiatore arabo Ibn Jubair (1145, 1217) che, nel suo viaggio da Palermo verso Trapani, fece tappa ad Alqamah (città bassa) e riportò  “grande, opulento mercato, provvisto di moschee (Beleda), essendo tutti musulmani gli abitatori di esso».

“Alqamah”  era la città posta sulle pendici del Monte Bonifato.
Il famoso “Rollo di Monreale”  pur descrivendo la zona circostante ad Alcamo, anche in maniera dettagliata, non fa alcuna menzione sul centro. 
Nel maggio 1182 il re Guglielmo II redasse una Donazione nota come “Rollo”
(forse una storpiatura di “Ruolo”). Un documento che rimase in uso nei secoli fino al 1846.
Un atto solenne trascritto in greco, arabo e latino cioè le tre lingue ufficiali dell’epoca
In questo documento venivano precisati i confini dell’area concessa alla Diocesi di Monreale

La versione latina fu contaminata da costrutti tipici del dialetto siciliano e anche
del francese antico.




Il documento riportò notizie di carattere topografico, agricolo, sociale, ecc.

Furono anche riportate i paesi di provenienza delle persone che abitavano il territorio donato:
marocchini, magrebini, andalusi, tunisini, del basso indo, del Nord Africa ed anche ebrei, sudanesi,
latini, bizantini, genovesi, magiari.
Il  territorio comprendeva:
Sagana, Pioppo, Gicalone, Piana degli Albanesi, Santa Cristina, Corleone, Roccamena,
Camporeale, Calatafimi, Alcamo, Partinico e Borgetto… un territorio di circa 1.000 kmq.


Diocesi di Monreale

Parte finale del Rollo, versione araba con le firme di:

Re Guglielmo II
Il Vescovo di Palermo, Gualtiero Offamiglio;
Vice Cancelliere: Matteo d’Aiello;
Eletto di Siracusa: Riccardo Palmer

L’abate Vito Maria  Amico nel suo dizionario topografico (1760) citò la città di Alcamo e il castello sul monte e solo nel 1330 sarebbe stata edificata la nuova città ai piedi del monte stesso (Monte Bonifato).
G.E. Massa asserì che l’attuale Alcamo sorse quando venne distrutta la città sul monte.

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2.  LE ORIGINI DEL CASTELLO




Castello prima dei restauri

La data di costruzione del castello di Alcamo non è conosciuta anche se in linea di massima si potrebbe collocare alla prima metà del trecento.

Secondo il De Blasi e il Bambina il castello di Alcamo fu opera di Adelkamo, primo condottiero dei Saraceni in Sicilia che nell’828 fondò sul Monte Bonifato un grande castello del quale oggi rimane solo una torre ed una città che andò in rovina . Una città che portava lo stesso nome di quella che oggi si trova alle falde del monte.
Michele Amari nel suo “Storia dei Musulmani di Sicilia” smentì i due storici alcamesi che si erano basati su un errore involontario commesso dal canonico Schiavo nelle sue “Memorie per servire alla storia letteraria della Sicilia” e affermò  che il castello fu invece opera dei  Ventimiglia.


Dopo il 1184, durante la prima signoria di Alcamo, iniziata con la famiglia Tragna nel 1077, l’antico casale di Alkamah, sulle pendici di Monte Bonifato, si trasformò in borgo medievale.
Con i Normanni e gli Svevi il centro cominciò ad espandersi verso valle, lasciando il Monte Bonifato, e creando i quattro casali di San Vito, San Leonardo, Sant’Ippolito e San Nicolò del Vauso (Salto ?) che verso il 1340 avevano raggiunto una certo sviluppo urbanistico.
Casali che erano abitati in massima parte da musulmani.

L’aspetto urbanistico di “Alcamo” in epoca Normanna e Sveva

Le rivolte dei saraceni, tra il 1221 ed il 1243, spinsero l’Imperatore Federico II di Svevia ad intraprendere verso di loro una vera e propria guerra. Alla fine anche la popolazione araba di Alcamo fu deportata nel 1243 verso Nocera Inferiore e a Lucera (Foggia). I casali lentamente diventarono cristiani.
        
Il feudo fu quindi concesso ai Ventimiglia e durante il loro dominio gli abitanti della città, posta sul Monte Bonifato, continuarono a trasferirsi nei quattro casali posti a valle che subirono un espansione verso nord-est.
Casali che non erano difesi o circondati da mura  come il casale sul Monte Bonifato sul quale era presente il Castello dei Ventimiglia.
Infatti nel privilegio emanato da Federico III d’Aragona nel 1317, la città di Alcamo era ancora considerata un casale (si riferiva al casale sul Monte Bonifato) mentre in un altro diploma del 1332 si stabiliva la ricostruzione della città alta sul Monte Bonifato.
Gli storici Fazello, il Pirri e l’Amico studiando l’ultimo diploma ritennero più esatto parlare di “un trasferimento della città bassa sul Monte Bonifato”.
Giustificarono il provvedimento con le migliori condizioni di difesa della città alta mentre le ipotesi degli storici Luca Barberi e Di Giovanni misero in evidenza come il provvedimento di “trasferimento” fosse legato a favorevoli esenzioni fiscali. I due diplomi non ottennero gli obiettivi prefissati perché nel 1398, re Martino I (Il Giovane) riconfermò e quindi ripropose il privilegio di “trasferimento”.
Tra il 1334 ed il 1340 il casale d’Alcamo visse un periodo di demanialità cioè faceva parte del Regio Demanio.
Nel 1340 il re Pietro II, con un privilegio reale datato 23 agosto ed emesso a Messina, concesse all’ammiraglio Raimondo Peralta, Conte di Caltabellotta, la “terra d’Alcamo”, il castello di Bonifato e il castello di Calatubo, mentre negò la demanialità e le franchigie che erano state concesse dal padre Federico III a causa “del mancato ripopolamento del Monte Bonifato”.

Raimondo Peralta era figlio di Filippo Saluzzo e di Sibilla Peralta, della baronia di Peralta
in Aragona, della quale mantenne il cognome.
Secondo  il De Spuches sarebbe invece figlio di un complicato rapporto familiare:
il padre sarebbe Filippo Perlata (fratello di Costanza di Svevia cioè moglie del re Pietro III)
e la madre  Aldonza Ferandez, figlia di Eufemia d’Aragona, primogenita
del re di Sicilia Pietro II (figlio di Federico III d’Aragona)e regina di
Sicilia dal 1355 al 1357
La prima tesi è quella più accettata anche perché Filippo Saluzzo ebbe
dalla moglie altre due figlie:
Eleonora di Salluzzo, (Marchesa di Salluzzo) e Costanza di Salluzzo.
Rimasto vedovo si risposò con Agalbursa di Cervera


Raimondo Peralta si sposò con Aldonza Fernandez de Castro, da cui ebbe quattro figli: Guglielmo de Peralta, Filippo de Peralta, Raimondetto de Peralta, Berengario de Peralta.

Rimasto vedovo si risposò nel 1322 (?), ottenuta la dispensa pontificia dato che era scomunicato per avere aderito al re Pietro II, con Isabella de Sicilia y Sormella. Dal matrimonio nacquero: Giovanna Peralta, Eleonora de Peralta e Giovanni de Perlata.
Ebbe un altro figlio naturale, Galcerando de Peralta, con Esmeralda de Lorenzo  (di Messina).
Dopo la morte di Isabella il conte si sposò in terze nozze con Allegranza Abbate  (figlia di Enrico) (ante giugno 1344) da cui non ebbe figli.
Isabella  (1297-1341 ?) era figlia naturale di Federico III d’Aragona e di Sibilla Sormellla ( figlia di Siro de Solimella e di Ilagia de Santa Sofia)(1273 – Catania ?) e quindi sorella di Pietro II (figlio di Federico III d’Aragona e di Eleonora d’Angiò) re di Sicilia.
Isabella nel 1313 sposò Ponc VI de Ampurias el Malgaulino  ( nacque una figlia che fu Marchesa de Ampurias) e, rimasta vedova, sposò nel 1322 Raimondo Peralta.
Tra il 1340 e il 1350 il conte Peralta intraprese la costruzione del castello, come riporta anche Gian Luca Barberi nel suo “Capibrevi”. L’edificazione del castello favorì un ulteriore processo di urbanizzazione per la nuova città sempre verso valle. L’edificio fu completato per opera dei nuovi feudatari Enrico e Federico Chiaramonte, conti di Modica. 


Stemma della Famiglia Chiaramonte

La loro presenza nel territorio, anche se di breve durata, fu importante a tal punto che il castello ancora oggi è conosciuto con il termine di “Castello dei Conti di Modica”  a dimostrazione del prestigio della nobile famiglia  inferiore solo alle prerogative regali.
Il castello sorse in pieno feudalesimo quando i baroni erano in lotta tra di loro per il controllo del territorio dal punto di vista commerciale. Le famiglie si contendevano il florido commercio del frumento e quindi le importanti vie di trasporto granario. Alcamo, per la sua posizione topografica, era considerato uno scalo marittimo importante per il commercio del grano che si produceva nel fertile territorio alcamese. Un territorio che diventò ambito dalle nobili famiglie, prima i Peralta e poi i Chiaramonte di Modica. I feudatari si resero conto che era necessario la costruzione di un castello per il controllo del territorio. Un castello che, insieme ai fortilizi di Salemi e di Caltafimi, avrebbe dato origine ad un triangolo fortificato contro le invasioni provenienti da Mazara e dirette e Palermo.
Alcamo verso  il 1340, anno dell’inizio di costruzione del castello, si presentava topograficamente così distribuita;
-          La vecchia città araba di Alqamah posta sulle pendici del Monte Bonifato sul quale si trovava il Castello dei Ventimiglia;
-           A valle quattro casali (San Vito, San Leonardo, Sant’Ippolito e San Nicolò del Vauso).
I Peralta e i  Chiaramonte capirono che era necessario difendere anche questa zona.
Una zona che nel tempo aveva subito un graduale ampliamento perché la gente aveva in gran parte lasciato le proprie case sul Monte per scendere a valle. I Chiaramonte completarono la struttura come fortezza e anche come lussuosa dimora.
È questo un periodo storico molto confuso perché le fonti non sono molto chiare.
Nel 1360 la Signoria di Alcamo fu consegnata a Francesco II di Ventimiglia, Conte di Geraci.
Nel 1378 la città di Alcamo, per cause ignote era piena di rovine e venne riedificata rapidamente grazie all’opera degli immigrati di  quel tempo e chiamati “habitatores”.
Nel 1392, capeggiati dall'arciprete Pietro De Laudes, gli alcamesi insorsero contro Enrico Ventimiglia, figlio di Francesco II.
Alcamo rimase in potere dei Ventimiglia fino al 1397.

Stemma della Famiglia Ventimiglia

Fu questo un periodo di decadenza per la città di Alcamo a causa delle lotte associate ad interessi di natura economica per l’importanza del ruolo  della città di Alcamo come “Caricatore del Vallone”, centro di accumulo e smistamento del frumento.
A causa di questi problemi la città ritornò al Regio Demanio dal 1398 al 1407.
Fu ricostruita e verso la fine del XIV secolo passò dal grado di “casale” a quello di “Terra”.
Una città che presentava un aspetto demografico alquanto complesso perché erano anche presenti diverse centinaia di immigrati provenienti da altre zone della Sicilia, dell’Italia (Pisa, Amalfi, Bologna, Calabria e Liguria) e anche dalla Spagna.

 Nel 1400 oltre agli addetti al custodia del castello, al castellano, erano presenti dodici onorati compagni che prestavano servizio dietro giuramento. Un castello piuttosto grande ed in grado di sostenere, grazie alle munizioni e ai viveri, per un mese e mezzo ben trenta compagnie di soldati.
Gli alcamesi videro nel castello all’inizio un importante supporto per la difesa del territorio e un simbolo di accresciuto prestigio, ma ben presto si accorsero che rappresentava anche il simbolo della perduta libertà davanti al feudatario.
Una costruzione legata all’aristocrazia feudale che fino al 1812 condizionò assieme al clero, gli eventi storici del centro.
Nel 1407 (Re di Sicilia era Martino I, Il Giovane) il castello di Alcamo fu ceduto a Giaimo de Prades e la figlia lo portò in dote al marito Giovan  I Bernardo Cabrera, figlio del famoso giustiziere conte di Modica, persecutore della regina Bianca.




Giacomo (o Giaimo) d’Aragona e Arenòs di Prades
(…….; Perpignano, 25 agosto 1408)
Nobile, politico e militare catalano del XIV secolo, capostipite dei Prades in Sicilia.
Figlio di Giovanni d’Aragona e Foix, III Conte di Prades, e di
Sancha Ximènez dei signori di Arenos, di cui era figlio secondogenito.
Nel 1392 giunse in Sicilia al seguito di Martino I (Il Giovane), che dopo
aver conquistato la Sicilia,  lo nominò Governatore di Catania e successivamente
Gran Contestabile della Corona d’Aragona, Ammiraglio del Regno di Sicilia (1398),
Luogotenente nella Val di Mazara.
Signore di Alcamo, Caccamo, Calatafimi, Sclafani e Sortino
sposò Giovanna Moncada Peralta, figlia di Matteo, Conte di Agosta,
da cui nacquero:  Agata, che sposò Giovanni de Ventimiglia, e
Isabella che sposò Francesco de Ventimiglia
Alla morte della moglie avvenuta nel 1393,Giacomo Prades si risposò con la cugina
Elenora d’Aragona Ximènez, figlia di Alfonso, conte di Dèmia.
Dal matrimonio nacque Violante (1395-1471) che sposò
Giovanni I Bernardo  Cabrera morto nel 1466.

Nel 1410 circa, giunsero  in Sicilia gli ambasciatori del re Ferdinando di Castiglia, mentre Bianca di Navarra, vedova del marito re di Sicilia Martino il Giovane, attendeva dal re la conferma del suo vicariato.
Alcamo fu al centro di una grave sommossa fra due opposte fazioni: i fautori di Bianca di Navarra e
le forze del castello fedeli a Violante de Prades (futura moglie del giovane Giovanni Bernardo I Cabrera, Conte di Modica).
Ci fu un terribile scontro notturno tra i fedeli a Violante che, armati di bombarde, combatterono al grido di «viva donna Violante et la capra, et cui dichi altru mojra!». Con il nome di «capra» era indicata Timbore (Timbor)  Cabrera (o Caprera), sorella (non figlia come riportano alcuni siti) del Conte di Modica, che guidava la ribellione dietro le quinte.
Dopo la vittoria ottenuta sui partigiani della regina Bianca di Navarra, ci furono grandi feste e tripudi nel castello tra i Prades e i Cabrera.
Giovanni I Bernardo  de Cabrera (nato nel 1400; morto il 14 maggio 1466 a Ragusa) sposò quindi Violante de Prades, baronessa di Caccamo.  Dal matrimonio nacquero Joan, XIII visconte de Cabrera e Isabel de Cabrera, (Giacomo e Bernardo). Timbor de Cabrera e Sancha Jmena de Cabrera erano le sorelle di Giovanni I Bernardo  Cabrera, in quanto figlie di Berbardo  de Cabrera e di Timbor de Prades y Aragon.
Timbor de Cabrera (1386 – 1464 (+13?)) sposò Juan “el Orador” Fernandez Hjiar, barone di Hjiar, signore di Lecera y Vinaceite.



Bernardo Caprera (Cabrera) e de Foix
(Barcellona, 10 agosto 1350; Catania, settembre 1423)
fu uno dei primi signori della Catalogna.
Visconte di Caprera, passò in Sicilia con il re Martino e con la carica di
ammiraglio dell’armata reale. Con Concessione del 5 giugno 1392 fu investito
della Contea di Modica che era stata posseduta da Andrea Chiaramonte di cui
il Cabrera fu giudice e spietato carnefice.
Si sposò prima con Timbora d’Aragona-Prades e Arenòs e successivamente
con Cecilia d’Aragona e Monferrato.
Giovanni I Bernardo  Cabrera era figlio della prima moglie.


La tomba di Bernardo Cabrera a Ragusa nella Chiesa di San Giorgio

Il Cabrera dovette attendere alcuni anni prima di ottenere il possesso della Contea in seguito alla morte del padre Bernardo.
Il padre  lo dichiarò “erede universale” lasciandogli i feudi della Catalogna ( i Viscontadi di Caprera e Bas, il Ducato di Osuna ed altri territori e assegnò la Contea al figlio illegittimo (naturale) Raimondo, nato da una relazione con una certa Filingeri, convivente, e già abilitato dal Re Alfonso “…a qualsiasi paterna successione anche di feudi come se fosse nato da legittimo matrimonio…”, ma con la clausola “salvi i diritti dei terzi”.
Questa piccola clausola permise al Cabrera di ottenere il permesso della Contea e delle baronie facendo valere i suoi diritti, riconosciuti anche dalle leggi feudali, come figlio legittimo.
L’accordo tra Bernardo V e Raimondo venne facilitato dalla mediazione del principe Pietro, figlio del re Ferdinando d’Aragona, luogotenente generale del Regno di Sicilia per nomina del fratello Alfonso il Magnanimo.
Il principe il 2 novembre 1424 a Catania, emanò il suo giudizio arbitrale dichiarando che “ Raimondo aveva diritto a ricevere dal “fratello” sia 45.000 fiorini d’oro d’Aragona garantiti, se non versati subito, dalla cessione di Mazzara, Alcamo e Calatafimi,  sia parte dei beni mobili del Conte Bernardo e la metà del frumento esistente nei magazzini della Contea”.

Fiorino d’oro d’Aragona (Alfonsino)

Il 18 ottobre 1425 Giovanni I e Raimondo convennero che “Giovanni I consegnava a Raimondo le città di Scicli, Giarratana e Spaccaforno (Ispica) e garanzia della suddetta somma e fino al pagamento della stessa, compresi gli interessi”.
Raimondo prese però possesso della Contea subito dopo la morte del padre e, malgrado gli accordi raggiunti con fratello, vi rimase per parecchi anni anche come signore delle tre città che gli erano state assegnate.
Giovanni I dimorò a Modica dopo il 1431grazie al perdono di re Alfonso che gli aveva confiscato la Contea per aver aiutato militarmente il re di Castiglia, nemico del Magnanimo (Alfonso).
Lo stesso re Alfonso gli mostrò successivamente la sua grande stima e gratitudine per il contributo militare nell’assedio di Napoli del 1437-38 e nella conquista della città nel 1442.
Questo permise al Cabrera di ottenere il perdono per gli abusi e le appropriazioni indebite di cui era stato accusato anche dai suoi vassalli e di ottenere la conferma sia dei privilegi goduti dal padre sia l’assegnazione della Contea con un nuovo atto di infeudazione del 1452.
Nel 1447 il cattivo governo e gli abusi vari commessi da Giovanni I, allora presente nella Contea, e probabilmente anche da altri  che spadroneggiavano “a suo nome”, avevano fatto insorgere gli abitanti di Ragusa. I più scalmanati incendiarono la Cancelleria (l’Ufficio fu completamente distrutto e ricostruito dopo vari decenni prendendo il nome di “Corte del Patrimonio”) e uccisero il figliastro dell’amministratore di Ragusa.
Intervenne il vicerè di Sicilia (Lope III Ximènez de Urrea y de Bardaixi) che fece processare, con giudici da lui nominati, sia il Conte che i vassalli.
Malgrado le forti condanne inflitte ai facinorosi, l’insurrezione si estese in tutta la Contea con la richiesta dei sudditi “di cacciare  Giovanni I dal feudo, di porsi sotto la sovranità del re e di intentare un processo al Conte per le accuse di usurpazione dei diritti demaniali, di abuso di potere, di alterazione del privilegio originario, di infeudazione illegale della Contea dato che ancora non aveva ricevuto l’investitura”.
La situazione sia nella Contea che nelle baronie era drammatica.
La Regia Corte aveva già sottoposto a regolare processo il Cabrera per accuse simili, compreso l’arbitrario ampliamento della Contea mediante l’annessione di altri paesi, decidendo fra l’altro il 2 maggio 1445 la sua condanna al pagamento di 60.000 scudi per “le appropriazioni indebite di diritti e proventi spettanti al demanio”.
Il Conte, temendo gravi conseguenze, si rivolse direttamente al sovrano.
Re Alfonso, sebbene fosse convinto sia delle gravi colpe di Bernardo Cabrera e del figlio Giovanni I rilevate dalla Gran Corte durante il lungo procedimento giudiziario nel 1435 sia della fondatezza delle accuse mosse soprattutto dai cittadini di Modica, confermò al Conte, come in una transazione amministrativa “tutti i privilegi, leciti ed illeciti, fino ad allora goduti, condannando le ruberie e le usurpazioni commesse”.
 Ordinò quindi un nuovo diploma d’investitura in sostituzione di quello del 1392 e rilasciato dal re Martino I (Il Giovane) al Conte Cabrera poiché le “alterazioni lo rendevano di dubbio valore”.
Mantenne però la condanna al pagamento di 60.000 scudi al fisco già decisa dai giudici della Gran Corte.
I vassalli  non riuscirono ad ottenere che il territorio della Contea “divenisse libero o demaniale” sottraendolo al dominio del Conte di cui erano state riconosciute le colpe.
Gli stessi vassalli ottennero d’allora in poi un governo migliore. Il Conte, tornato a Ragusa nel suo feudo, vendette molti centri per poter ricavare i 60.000 ducati relativi alla condanna della Corte e “trasse vita divota  ed ascetica, invitando con pubblico bando i sudditi a reclamare dei torti subiti per colpa sua o dei suoi officiali”.
Fu costretto a vendete molti centri ed alcuni con diritto di ricompra:
-          Nel 1453 Comiso al Conte Periconio Naselli per 1320 onze;
-          Giarratana  a Guglielmo ed a Nicolò Casaglia;
-          Spaccaforno (Ispica) ad Antonio Caruso per 2800 onze;
-          Monterosso a Ludovico Perollo ma con diritto di ricompra;
-          Alcamo e Calatafimi a Niccolò (Nicolò) Speciale ma con diritto di ricompra.
 Il Conte alla fine fu anche amato dagli stessi vassalli attraverso le opere di beneficenze e anche per la distribuzione di terre ad enfiteusi con la richiesta di lievi canoni.


“Si vuole originaria di Pisa, nota, sin dal secolo XIII, in Sicilia dove, al dir del Baronio,
ebbe il privilegio di batter moneta.
Possedette la ducea di Valverde già Bologna ; le baronie di Alcamo e Calatafimi,
di Sant’Andrea, Cipolla, Ficarazzi, Mallia, San Marco, Santa Maria la Nuova, Sant’Onofrio,
Pozzo, Vaccarizzo, l’ufficio di regio secreto di Nicosia, ecc. ecc.;
godette nobiltà in Messina nei secoli XIII, XIV, XV, in Palermo, in Nicosia, ecc.
Un Ottavio fu giurato di Messina nel 1231; un Francesco, milite, di Messina è notato nel ruolo dei feudatari sotto re Ludovico per un cavallo alforato; un Antonio fu vice secreto di Lentini nel 1398;
un Nicolò, milite, maestro razionale fu barone di Paternò, Spaccaforno, Castelluzzo,
Graneri, Cassibile, San Marco lo Celso, Monteclimito, Cipolla e fu vicerè in Sicilia
negli anni 1423, 1429, 1432; un Pietro barone di Cipolla, di Alcamo, di Calatafimi, ecc. fu
pretore di Palermo negli anni 1440-41, 1461, maestro razionale del regno e vicerè di Sicilia nel 1448;

 Giovanni I Bernardo  Cabrera e Aragona rimase in carica, con il titolo di Conte di Modica, dal 1423 al 1466 e morì a Ragusa il 14 maggio 1466.
Era anche: Conte di Osona, Visconte di Bas, Barone di Montclùs e del caricatore di grano di Pozzallo (Ragusa), Signore d’Hostalric, d’Argimon, di Palafolls, di Caccamo (Palermo).
 Il figlio Giovanni II (Juan) (1425 – Modica, 29 dicembre 1474 ) fu l’XI Conte di Modica  e sposò  Giovanna Ximènez de Foix (? – Modica 15 dicembre 1486). Trasferì la capitale della Contea da Ragusa a Modica.
(Giovanna Ximènes de Foix, viene indicata in alcuni testi come “de Jonna de Carmain” figlia di Jean I de Carmaing, Visconte di Caraman e di Isabella dei Foix. La madre di Isabella era “Sancha Imena de Cabrera” (sorella di Bernardo V Giovanni Cabrera) e il padre “Archambaud de Grailly, Signore de Navailles”) (“Carmain” era forse “Puerto del Carmine” nelle Isole Canarie ?).
La coppia ebbe i seguenti figli/e;
-          Joan III (1460 – 1474), XIV Visconte di Cabrera;
-          Anna I, XV Viscontessa di Cabrera;
-          Carles de Cabrera;
-          Isabel de Cabrera.
Giovanni II dalla relazione con Rafaela de Rocaberti ebbe un figlio naturale, Ioan de Cabrera, che sposò una certa Anna de Miquel.


 Anna Cabrera Ximènez o Anna I Cabrera (Modica, 1460 – Medina de Rioseco (Chiesa di San Francesco), 1526). 
Nel 1474 morì precocemente Joan III lasciando il feudo al figlio Giannotto che morirà nel 1477. Anna I, ancora minorenne succedette al fratello minore Giovanni e al nipote Giannotto con la reggenza della madre Giovanna Ximenez.
I Titoli di Anna Cabrera erano: Contessa di Modica, Viscontessa di Cabrera, Signora di Alcamo e Osona.
Anna Cabrera “bellissima secondo le cronache ed immensamente ricca”  diventò l’ereditiera più contesa dei regni di Spagna ed anche la prima donna alla guida di uno stato feudale, di una Contea.
Re Giovanni II di Spagna, che nel 1458 era subentrato al fratello Alfonso il Magnanimo, inviò un’ambasceria alla contessa madre Giovanna Ximènez, per chiederle di concedere la mano della figlia Anna ad un suo nipote, Federico Enriquez, primogenito dell’Almirante di Castiglia, nipote del re Giovanni e cugino di primo grado di Ferdinando, che sarà re nel 1479 con il nome di Cattolico.



Stemma Famiglia Henriquez/Enriquez

Dal Nobiliario Siciliano

La contessa madre propose un vero r proprio contratto di matrimonio, i “Capitoli nuziali”, in cui, fra le altre cose, s’imponeva allo sposo di aggiungere al cognome Enriquez quello di Cabrera.
Questi capitoli furono ratificati e giurati da Ferdinando il Cattolico e dalla famiglia Enriquez a Toledo nel febbraio 1749 e nel dicembre dello stesso anno a Modica dalle due contesse.
Questi capitoli hanno anche un importanza linguistica.
“Le complesse trattative cominciarono con i capitoli stesi da un notaio di Modica (per conto di Anna Cabrera e di sua madre) e da uno di Toledo; un terzo notaio prese in consegna gli atti a Barcellona. I capitoli furono infine sottoposti al re per l’approvazione. Il notaio di Modica, Tommaso de Bagheri, scrive in siciliano e in latino; il notaio di Toledo, che è catalano ( Gaspare Davinyo), scrive in catalano e in latino; in castigliano sono infine le formule di approvazione da parte del re. Ne risulta un documento quadrilingue, composto dei capitoli redatti a Modica, e che è andato via via completandosi attraverso la loro ratifica da parte del re a Toledo, e successive integrazioni ancora a Toledo, quindi a Modica, Barcellona, Toledo. Nella parte finale consta di quattro pergamene cucite insieme, ed è preceduto da una narrazione (in latino) delle laboriose trattative”.
Fra le tantissime norme contrattuali scritte nei capitoli ..
“ Et prometti in dota lu carricaturi di lu Puzzallu et di Cammarana cum facultati di putiri trahiri omni annu deli dicti carricaturi tractidudichimilia cum lu supplimentu et lu jus luendi lu qualiteni supra Alcamu et Calatafimi et supra la terra di Muntirussu”.
Questa “promessa”  del 1479 mette in rilievo alcuni aspetti decisamente importanti:
-          Alcamo, Calatafimi e Monterosso dopo la vendita di Giovanni I Bernardo Cabrera, nel 1453  non erano state ancora riscattate a distanza di 26 anni
-          Le 12.000 salme di frumento esenti dal dazio d’esportazione continuavano a rimanere salde nelle mani dei Conti e costituivano una voce importantissima nell’economia dell’intera Contea;
-          Il caricatore di Cammarana lavorava a pieno regime dimostrando in tutto il territorio un  attività produttiva e commerciale di tutto rispetto.
Altre norme presenti nei “Capitoli”:
-          Celebrare il matrimonio a Modica;
-          Conservare per sé il castello di Modica e di abitarvi insieme , mentre il Segreto della città doveva continuare a mantenervi il castellano e la compagnia d’armi.

Castello di Modica



Modica

Raggiunta la maggiore età, nel 1481 (aveva 21 anni)  nella chiesa di Santa Maria del Gesù a Modica, sposò Federico Henriquez, con il quale governò i possedimenti fino alla morte.
Vissero nel castello di Modica, dove era nata, e in quello d’Alcamo quando venne riscattato.


Il Convento dei Frati Minori Osservanti con l’annessa Chiesa di Santa Maria di Gesù fu realizzato extramoenia (fuori le mura della città)  ed è uno dei monumenti superstiti dell’architettura del Quattrocento/Cinquecento Siciliano. 
Una struttura che non subì danni importanti nel terremoto del 1693.
Chiesa e convento furono fondati nel 1478 circa e la costruzione fu legata ai
finanziamenti di Anna I Cabrera e probabilmente anche di Federico Enriquez
che si sarebbero sposati nella chiesa nel gennaio del 1481.
Al Convento venne annesso anche uno Studium (Almum Generale Gymnasium Mothycense)
aperto non soltanto ai 40 frati che il convento ospitava ma anche ai laici.





Chiostro della Chiesa di Santa Maria di Gesù - Modica

Modica - Particolare del Chiostro della Chiesa e Convento di Santa Maria di Gesù

Nella chiesa di Santa Maria di Gesù ad Alcamo che fu fatta costruire da Anna I Cabreara, si trova un bellissimo dipinto che fu commissionato, dalla stessa Anna I e dal marito
Federico Enriquez, al pittore palermitano Pietro Ruzzolone (Rozzolone, Ruzolone,
Ruzzuluni, attivo da 1484 al 1523 a Palermo).
Il dipinto rappresenta la Madonna delle Grazie (Madonna greca) con il
Bambino Gesù in braccio, ai lati San Francesco d’Assisi e San Benedetto e, in ginocchio,
tre paggi vicino al Conte Federico Henriquez e
tre damigelle accanto ad Anna I Cabrera.

Alcamo - Chiesa di Santa Maria di Gesù

Dipinto del Ruzzolone che ritrae Anna Cabrera e Federico Enriquez

Nel 1484 re Ferdinando II (Il Cattolico) d’Aragona  richiamò Federico Henriquez  in Spagna per affidargli l’incarico di Almirante di Castglia. La coppia decise quindi di trasferirsi in Aragona invalidando tutti i benefici, anche economici, che la presenza della corte fedale produceva sia nella Contea che nei vasti possedimenti.
Fu infatti introdotta  la consuetudine  dei feudi amministrati “da lontano”,  che causò una progressiva diminuzione di prosperità economica e soprattutto di prestigio.
Federico Enriquez si preoccupò dell’amministrazione della Contea con la stesura di “capitoli” od ordinanze con le quali prescriveva agli ufficiali addetti alla riscossione delle gabelle, diritti e proventi vari di compilare i conti di carico e di scarico e di presentarli al Maestro Razionale presso la Cancelleria del Patrimonio.  Emanò anche dei “capitoli” (12 gennaio 1520), sempre rivolti ai capitani, ai giurati ed ai magazzinieri, affinchè evitassero abusi nell’esercizio della loro carica riscuotendo fra l’altro diritti non spettanti o commettendo illeciti come quello di usare due tumoli… diversi: “uno per misurare il grano che si riceveva dai fittavoli o dagli enfiteuti e l’altro per quello che si vendeva..”
Federico ed Anna risiedettero a Medina de Rioseco, nel Regno di Castiglia, dove fecero anche costruire la Chiesa di San Francesco con la cappella funebre di famiglia. Parteciparono attivamente alla vita della corte dei re cattolici, a Toledo e a Barcellona dove era presente la figlia del re ed erede alla corona, Giovanna La Pazza.

Medina di Rioseco – Chiesa e Convento di San Francesco


Medina di Rioseco (Valladolid) - Chiesa e Convento di San Francesco

Nel frattempo nel castello di Alcamo, di proprietà di Nicolò Speciale, nel 1517, sotto il regno di Carlo V, vi trovò rifugio con i suoi figli Giovanni di Luna, conte di Caltabellotta per avere favorito la causa del viceré Ugone Moncada, Temendo la vendetta del popolo si ritirò nel castello.

Anna I Cabrera morì all’età di sessantasei anni (1526), senza prole, e venne sepolta nel convento di San Francesco.
Federico Enriquez, prima di morire nel 1530, consegnò la baronia di Caccamo, riacquistata dopo una precedente vendita insieme ad Alcamo, e la Contea di Modica ai due nipoti Luigi (o Ludovico), figlio del fratello Ferdinando, e ad Anna II Cabrera Moncada.
Anna II Cabrera Moncada (1508/1526 - / Valladolid, Castiglia, 28 maggio 1565) era figlia di un Giovanni, definito III, figlio naturale di una relazione che Joan II Cabrera aveva avuto prima di morire.
Alcuni testi indicano Giovanni III come fratellastro di Anna I e quindi figlio naturale di Joan II, infatti Federico Enriquez citò Anna II come nipote.
Anna II e Luis Enriquez e Giron, II duca di Medina de Rioseco, si sposarono nel 1530 e ricevettero l’investitura dai possedimenti dall’imperatore Carlo V. Investitura che comprendeva anche la baronia di Calatafimi che sarà riscattata nel 1551.
Nel 1534 il castello di Alcamo fu attaccato dal Barbarossa, un famigerato corsaro esponente di quella pirateria islamica che in quel tempo conduceva una vera e propria guerriglia contro le navi cristiane. Nelle sue azioni spesso si addentrava nell’interno dell’isola per colpire e depredare le città e i villaggi.

L’1 settembre 1535 nel loro castello di Alcamo vi soggiornò per tre giorni l'imperatore Carlo V, reduce vittorio con il suo esercito da Tunisi, che definì Alcamo «città opulenta e gioconda».
La città in quel periodo aveva circa 8.000 abitanti

Nel 1567 il conte, stanco di molte vicissitudini soprattutto economiche, cedette l’amministrazione dei suoi beni di Spagna al figlio Ludovico II che aveva ricevuto alla morte della madre Anna II  anche la Contea di Modica e le baronie di Alcamo, Caccamo e Calatafimi.
Ludovico II Enriquez ricevette l’investitura della Contea e dei beni il 7 novembre 1565  e il 31 dicembre 1586 sposò Vittoria Colonna (figlia dei Marcantonio II Colonna, Duca di Tagliacozzo e vicerè di Sicilia, dal 1577 al 1584, e di Felicia Orsini). Un matrimonio voluto dal fratello di Vittoria, il cardinale Ascanio, ed effettuato per procura.
Vittoria Colonna  diventò quindi Duchessa di Medina di Rioseco e Contessa di Modica e di altri feudi e  dama di compagnia della regina alla corte di re Filippo II e del successore Filippo III.
Rimase vedova nel 1660, Ludovico III Enriquez morì all’età di 36 anni in maniera improvvisa e sospetta, con tre figli a carico, fra cui il piccolo Giovanni Alfonso (di quattro anni). Decise di assumere a nome di Giovanni Alfonso il governo di tutti gli stati degli Stati degli Enriquez (comprese le baronie) adempiendo alle ultime volontà del marito che l’aveva designata reggente dei medesimi purchè “non si risposasse e risiedesse in Spagna”.
(La coppia ebbe sei figli di cui solo tre riuscirono a sopravvivere:
-          Anna (1589), sposò Francesco de la Cueva;
-          Felicia (1594), il cui coniuge fu Francesco Gomez De Sandoval;
-          Giovanni Alfonso (1956) che  sposò Luisa, figlia del Duca di Cea (Duca di Uceda)
Vittoria dapprima ottenne da un funzionario del Regno la ratifica e la conferma di tutrice del Conte Giovanni Alfonso ancora minorenne  e di amministratrice  dei feudi lasciati dal marito; quindi s’interessò delle baronie e della Contea di Modica la quale per la sua ampiezza ed i suoi elevati redditi richiedeva un governo molto efficiente.

Stemma della Famiglia Colonna

Per questo motivo la Duchessa sollecitò la collaborazione sia del procuratore generale da lei eletto, cioè il nobile Fortunio Arrighetti, sia del governatore Don Paolo La Restia e dei funzionari più elevati in carica ed addetti presso la corte del Patrimonio alla gestione di tutte le entrate  e le uscite del Feudo. Dovette affrontare, con diversi espedienti, il problema legato all’elevata massa di debiti che gravavano sulla Contea e  regolare il pagamento di quei debiti che riteneva legittimi.
Raggiunse un accordo con i numerosi debitori che minacciavano svendite forzate o sequestri di beni e rendite. Riuscì ad ottenere di poter rateizzare a lungo termine (in trent’anni) la liquidazione dei crediti dovuti e dei relativi interessi. Per questo scopo utilizzò la metà dei redditi della Contea e delle baronie, mentre adibì l’altra metà ad occorrenze varie, fra cui quella degli  “alimenti” mensili, circa un migliaio d’onze, per il mantenimento in Ispagna di lei e dei suoi figli secondo le esigenze di una famiglia nobile del tempo.
In secondo luogo restrinse l’entità dei debiti rifiutando di pagare quelli che il defunto marito, Ludovico III, aveva contratto a titolo personale.
 Una donna capace di guidare una Contea anche nel campo economico.  Il suo pensiero economico sulla Contea e sui possedimenti fu diverso rispetto a quello dei suoi predecessori.  Pensò che la Contea avrebbe reso economicamente molto di più se amministrata direttamente da lei invece che da estranei come gli arrendatori genovesi Alessandro Cigala ed il suo socio. Esonerò i due  genovesi dall’incarico dopo aver pagato loro solo una parte del credito che pretendevano di vantare nei suoi confronti. Nel 1604 riconcesse la gestione del feudo ad Angelo Giorfino ed a Vicenzo Giustiniano, ma con patti più seri e soprattutto più convenienti per la Duchessa.
Riuscì anche a fondare la città di Vittoria che porta in onore il suo nome.


Busto di Vittoria Colonna a Vittoria (Ragusa)




Nel contempo utilizzando le rendite  della Contea di Modica, riscattò alcune città della Castiglia ed i feudi della Catalogna. Poi si dedicò alla sistemazione delle due figlie e del figlio con matrimoni vantaggiosi, con personaggi illustri.
Nel 1614 Vittoria Colonna vendette per 2000 scudi la Baronia di Alcamo a Pietro Balsamo, principe di Roccaforita per rientrarne in possesso nel 1618.

“Nobile ed antica famiglia originaria, al dir del Galluppi, da Costantinopoli,
e che godette nobiltà in Messina dal secolo XI al XVIII….”

 Il figlio Giovanni Alfonso, divenuto maggiorenne assunse nel 1617 il dominio della Contea e degli altri feudi con i relativi titoli. Vittoria Colonna si ritirò a vita privata dedicandosi ad opere di beneficenza a favore di istituti religiosi. Favorì la venuta dei Gesuiti a Modica dove crearono nel 1630, grazie alla donazioni ed ai sussidi ricevuti, un collegio con scuole di ordine superiore oltre ad un corso universitario con insegnamento delle materie del “trivio e del quadrivio” e studi per la laurea in filosofia ed in teologia.
(Nelle Scuole del Trivio e del Quadrivio s’insegnavano le arti liberali, cioè grammatica, dialettica, retorica, da una parte, e aritmetica, geometria, musica ed astronomia, dall’altra).
Morì nel dicembre del 1633 e fu sepolta, come il marito ed altri Conti Enriquez, nella cappella di famiglia nella Chiesa e Convento di San Francesco d’Assisi a Medina de Rioseco.

Giovanni Alfonso Enriquez ereditò tutti i feudi paterni a cui si aggiunsero quelli di “Almirante maggiore” e di Conte di Melgar in Castiglia. Ottenne l’investitura della Contea e delle baronie
Come i suoi predecessori fece una vita dispendiosa a causa anche della magnificenza di cui si circondava da uomo di corte frequentando assiduamente, mentre dimorava a Madrid, la reggia di Filippo IV.
Risiedeva a Madrid e la Contea di Modica era affidata al procuratore generale Fortunio Arrighetti  e ai suoi funzionari del Feudo modicano che periodicamente ricevevano i suoi ordini.
Fu nominato vicerè di Sicilia (dal 1641 al 1644) e successivamente fino al 1646 del Regno di Napoli.
Durante il periodo in cui esercitò il viceregnato delegò la moglie Luisa de Sandoval a sostituirlo nel governo della Contea. Luisa si dimostrò un abile amministratrice emanando dei provvedimenti di grande utilità economica e sociale.
Fu costretto ad affrontare ingenti spese, fra cui quelle per la sua ambasceria, su ordine del re Filippo IV, al nuovo papa Innocenzo X. Per fare fronte a queste spese fu costretto a vendere la baronia di Caccano  nel 1646 a Don Filippo Amato, principe di Galati, per  la somma di 48.000 onze di monete siciliane,
Nello stesso anno il territorio di Ragusa subì una tremenda invasione di cavallette che causò una tremenda carestia. il pane venne a mancare e fu rimpiazzato dalla crusca quando era possibile trovarlo al "mercato nero". La gente si riversava nei campi alla ricerca di erbe e radici commestibili e fu tanta la fame che quell'anno fu ricordato come "a malannata ranni" (la grande male annata).
Dopo il periodo vicereale a Napoli, Giovanni Alfonso si ritirò definitivamente nel 1646 a Madrid dove, dove la morte lo colse, a soli 50 anni, nel febbraio del 1647, fra le braccia del re di Spagna che, durante la breve malattia, lo andò a visitare più volte. Fu sepolto come gli altri Conti del medesimo casato nella chiesa di S. Francesco a Medina dei Rio Seco.  

Giovanni Alfonso Enriquez  De Cabrera

Modica 

Nel 1631 Alcamo venne levata dal grado di “Terra” a quello di “Città” dal Vicerè Francesco de la Cueva.
Gli Enriquez  verso la fine del XVII secolo, con il Conte Giovanni Gaspare, vendettero la baronia di Alcamo a Guglielmo Ajutamicristo, i cui eredi saranno proprietari sino al 1741.

Una famiglia originaria di Pisa e giunta a Palermo con un Guglielmo,
giurato di Palermo “negli anni 1483, 1484, 1485, 1493 e 1494, che, per gli atti
di notar Domenico Di Leo, comprò da potere di Giovan Vincenzo la Grua il feudo e
 castello di Misilmeri che ebbe confermato a 29 gennaio 1486. Avea di già comprato
la terra di Calatafimi che trasmise, una a Misilmeri, al figlio Raineri il quale
ne fu investito a 2 settembre 1501. Fu Guglielmo giurato di Palermo negli anni 1483, 1484, 1485 e 1493 e 1494, carica tenuta anche da un Nicolò Antonio nel 1523-24 e
da un Pietro negli anni 1518-19 e 1521-22. Quest’ultimo fu anche pretore di Palermo
nell’anno 1536-37, ministro della nobile compagnia della Carità nell’anno 1534,
e possedette lo splendido palazzo, sito nella via che oggi porta il nome di Garibaldi, nel quale alloggiò Carlo V.

Sul possesso della baronia di Alcamo da parte della famiglia Ajutamicristo non ci sono molti riferimenti se non nel sito della Regione Sicilia dedicato ai castelli.
Il passaggio sarebbe avvenuto forse durante la guerra di successione spagnola, all’inizio del XVIII secolo, che interessò anche la Sicilia, dominio del Regno di Spagna, e la Contea di Modica con il suo conte Juan Tomas Enriquez de Cabrera (succeduto al Conte Giovanni Gaspare Enriquez (1647 – 1691)
(Juan Tomas Enriquez de Cabrera Toledo e Sandoval, VII Duca di Medina Rioseco,- nato a Genova il 21 dicembre 1646 / morto ad Estremoz (Portogallo) il 29 giugno 1705 – figlio di Juan Gaspar Enriquez de Cabrera e Sandoval (X ammiraglio di Castiglia, VI Duca di Medina de Rioseco, VIII Conte di Modica)  e di Elvira del Toledo Osorio (Ponce de Leon ?).
Filippo di Borbone, duca d’Angiò, fu incoronato nuovo Re di Spagna con il nome di Filippo V come disposto per testamento dal defunto re Carlo II di Spagna, zio di Filippo di Borbone.
L’ascesa al trono del nuovo sovrano fu contrastata dalle monarchie europee e in particolare dagli Asburgo che da molto tempo avanzano delle pretese  sul Regno di Spagna con l’arciduca Calo d’Austria.
Juan Tomas Henriquez si schierò in favore delle rivendicazioni asburgiche e il sovrano Filippo V di Spagna lo condannò a morte, per tradimento, nel 1702. Lo stesso Enriquez ricevette anche la confisca dei beni tra cui la stessa Contea di Modica che venne reintegrata al Regio Demanio.
Fu in questo periodo che la baronia di Alcamo passò alla famiglia Ajutamicristo  che la mantenne fino al 1741?  La baronia fu venduta agli Ajutamicristo dagli Stessi Enriquez, prima della condanna a morte di Juan Tomas o fu concessa dal Regio Demanio ? Domande legate sempre ad un eventuale possesso della baronia da parte degli Ajutamicristo dato che nel nobiliario siciliano non appare questo titolo di proprietà.
La guerra di successione spagnola si concluse nel 1713 con il trattato di Utrecht che tra le condizioni determinava la cessione, da parte della Spagna, del Regno di Sicilia al Duca Vittorio Amedeo II di Savoia che diventava re di Sicilia.
La dinastia Savoia acquisì per la prima volta il titolo di re con l’incoronazione a Palermo.
Era importante per i Savoia diventare “reali”  e per raggiungere lo scopo, nel trattato di Utrecht, dovettero concedere qualcosa agli spagnoli pur di avere al più presto il Regno di Sicilia nelle loro mani ….. per farne che cosa ?
Fu così che al punto (X) del trattato di Utrecht, i Savoia cedettero a Filippo V il possesso della Contea di Modica e di “qualunque altro bene la corona spagnola avesse in possesso personale in Sicilia”.
In definitiva dal 1713 al 1720 Filippo V di Spagna fu titolare della Contea di Modica e di altre baronie.
Una strana decisione perché si determinò la creazione di un’enclave spagnola nel territorio della Sicilia, purtroppo, Sabauda.
Il re di Spagna per difendere l’autonomia e la sovranità della Contea di Modica e delle baronie, assegnò alla città di Modica un reggimento di cavalleria ed affiancò al Governatore, al cui comando erano 12 alabardieri, un ministro spagnolo che aveva funzioni di controllo amministrativo.
Nel 1718 partì proprio da Modica un tentativo da parte della corona spagnola di riconquista dell’isola. Dalla Contea partirono 500 soldati per Augusta, ma dopo qualche primo successo, il tentativo di riconquista dell’isola svanì in seguito alla sconfitta della flotta spagnola (comandata dall’ammiraglio Don Antonio de Gaztaneta e dal contrammiraglio Don Ferdinando Chacon) nella battaglia di Capo Passero (11 agosto 1718) da parte della flotta inglese comandata dall’ammiraglio George Byng, primo Visconte di Torrington..

La battaglia navale di Capo Passero dell'11 agosto 1718, olio su tela di Richard Paton, 1767

I Savoia che “amavano tanto la Sicilia…..” scambiarono l’Isola con la Sardegna e Filippo V con il trattato dell’Aja del 1720, perse la Contea, le baronie e tutta la Sicilia che passarono all’Austria.
Dal 1720  si ha la visione del Regno di Sicilia sotto la sovranità asburgica e nel 1722 l’imperatore Carlo VI d’Austria riconcesse la Contea di Modica e le baronie agli Enriquez ed esattamente a Pascual Enriquez de Cabrera Y Almansa (con investitura del 15 febbraio 1729), nipote ed erede legittimo di Giovanni Tommaso Enriquez che era stato giustiziato, come abbiamo visto, nel 1702 da Filippo V.
In questo modo l’imperatore si sdebitata con gli Enriquez per l’aiuto che aveva ricevuto da Giovanni Tommaso nella guerra di successione spagnola e che aveva pagato con la morte.
Pascual Henriquez, che aveva sposato Josefa Pacheco v Tèllez-Giròn dei duchi d’Uzeda, morì nel 1740 senza prole e gli succedette per designazione testamentaria la sorella (?) Maria (alcune testi la indicano come nipote), che ricevette l’investitura il 18 febbraio 1740. Donna Maria fu la nona contessa di Modica dal 1740 al 1742 e morì nubile. Si estinse quindi con la sua morte la dinastia degli Enriquez Cabrera, Duchi di Medina de Rioseco.
Proprio in questo periodo, nel 1741, la “Città di Alcamo” sarebbe ritornata in possesso  della famiglia Enriquez Cabrera .                                                                                                                                      
L’eredità per testamento passò a Maria Teresa I Alvarez de Toledo de Sylva y Mendoza (ricevette l’investitura il primo  luglio 1742), figlia di Donna Caterina de Haro Enriquez (Duchessa d’Alba) e di Antonio Martino Alvarez. 

MARIA-TERESA-ALVAREZ-DE-TOLEDO-Y-HARO

Maria Teresa I era quindi cugina di Maria Enriquez  e sposò Don Manuele Maria  Conte de Sylva Guelves y Mendoza dei Duchi d’Infantado e Grande di Spagna. I due erano già sposati al momento dell’eredità di Maria Enriquez.
Dal matrimonio nasceranno due figli: Ferdinando e Maria.
Maria sposerà Fitz James Stuart, duca di Berwich.

Nel 1775 diventò Signore della Contea di Modica Ferdinando  de Sylva Alvarez de Toledo Mendoza che ricevette l’investitura il 21 febbraio 1755. Per parte della madre (Maria Teresa I) era anche Duca d’Alba de Tormes. Di Huescar, marchese di El Carpio (Castiglia), Conte d’Olivares e di Montoro.
Ferdinando si sarebbe sposato con Ana Maria Bernarda Toledo Portugal y Fermàndez de Còrboba, XII condesa de Oropesa.
Il conte morì nel novembre del 1776 (il figlio primogenito Francesco Paolo De Sylva y Alvarez de Toledo era premorto al padre) e i beni  feudali passarono alla figlia donna Maria del Pilar Teresa II Gaetana che era sposata con Don Giuseppe Alvarez Toledo de Coldora, Duca di Ferrandina.


María del Pilar Teresa Cayetana de Silva y Álvarez de Toledo
13ma Duchessa d'Alba,ecc..
(Artista: Francisco Goya)
Le cronache citarono una sua relazione con il pittore Francisco Goya dopo la morte del marito.
La relazione non fu mai confermata ed è probabile che
tra i due ci fosse solo una stretta relazione platonica.

(Artista: Francisco Goya)


Il Duca di Ferrandina diventò il 3° Conte dio Modica della dinastia Toledo e ne ottenne l’investitura il 16 aprile 1777.
Il 9 giugno del 1796 Don Giuseppe Alvarez Toledo de Coldora morì senza lasciare alcun erede. La contessa Donna Maria del Pilar Teresa II Gaetana sopravvisse al marito fino al 1802 e  a causa di mancanza d’eredi l’Erario di Sicilia incamerò al Demanio la Contea di Modica con un decennio d’anticipo rispetto alla definitiva abolizione della feudalità (1812), e vi rimase fino al 1816.

La famiglia Alvarez de Toledo, originaria della Spagna, si trasferì agli inizi del
XVI secolo a Napoli dove Pedro Alvarez de Toledo fu nominato vicerè di
Napoli il 4 settembre 1532  rimanendo in carica fino al 22 febbraio 1553.
Giuseppe Federico Alvarez de Toledo e de Cordova, duca di Ferrandina, marchese di Villafranca, Grande di Spagna di 1° classe,  nel 1683 si trasferì in Sicilia dove, nello stesso anno, sposò
Caterina Moncada figlia ed erede di Ferdinando Moncada  e Moncada principe di Paternò…

Durante  il possesso del Demanio Borbonico si faranno vivi dei feudatari che reclameranno di continuo il possesso della Contea e delle baronie anche se la stessa Contea, dopo il 1812, aveva ormai perduto il suo carattere di Stato feudale. Il Demanio in queste condizioni assicurerà ai legittimi eredi solo il titolo ed alcuni beni personali.
Infatti nel 1813 il Duca di Berwich, di origini inglesi e spagnole, Don Carlos Miguel Fitz James Stuart y Stolberg Sylva Alvarez, si presentò come legittimo discendente della Contessa Maria Teresa I Alvarez.


Era figlio di  Jacobo Fitz-James Stuart de Stolberg-Gedern che, il 24 gennaio  1790 a Madrid, aveva sposato Maria Teresa de Silva  figlia della Contessa di Modica Maria Teresa I Alvarez de Toledo de Sylva y Mendoza.
Don Carlos giustamente rivendicò ed ottenne la Contea di Modica con i rispettivi titoli: Conte di Modica, barone di Alcamo, di Bompietro, Calatafimi, Chiaramonte, Monterosso, Ragusa la Vecchia, Ragusa la Nuova, Scicli e Vittoria.
La sua azione di rivalsa non si fermò perché chiese anche i danni, per tutti gli anni dal 1802 al 1813, che aveva subito per l’ingiusto incameramento della Contea al fisco regio borbonico.
Ne prese possesso solo nel 1816 cioè con il ritorno  nei pieni poteri di Ferdinando di Borbone.

Carlos Miquel Fitz – James Stuart y Silva  (nato a Madrid il 19 marzo 1794  e morto a Sion il 7 ottobre 1835) sposò a Roma nel 1819 Rosalia Ventimiglia y Moncada  principessa di Grammonte (nata a Palermo il 16 agosto 1798 e morta a Madrid il 4 marzo 1868).
Rosalia Ventimiglia y Moncada era figlia di Luigi Ventimiglia, II principe di Grammonte, V Conte di Prades e di Eleonora Moncada e Branciforte.

Rosalia Ventimiglia


Il Conte Don Carlos nel giro di pochi anni sperperò l’enorme ricchezza e si trovò con numerosi debiti e relativi interessi da pagare. Diversi tribunali imposero al Conte di pagare i numerosi creditori con canoni o in frumento o in denaro.
Il 5 marzo 1828, in seguito ad una sentenza del Tribunale  di Trapani, il Comune di Alcamo prese possesso del castello e nel 1870 fu trasformato in carcere.

Foto del castello adibito a carcere
  
Il 25 ottobre  1828 il Tribunale di Palermo stabilì il valore dei canoni di frumento che il Conte riceveva dai numerosissimi enfiteuti e con detto valore li assegnava ai creditori. Nel solo stato di Ragusa antica e nuova venne assegnato ai creditori il capitale di circa due milioni di scudi. Nel 1832, dopo 17 anni di possesso della Contea, il Conte Don Carlo non possedeva quasi più nulla e morì il 7 ottobre 1835 a Sion in Svizzera.

La coppia ebbe 7 figli (5 maschi e due femmine) e il primogenito Jacobo Luis Rafael Francisco Pablo Fitz James Stuart y Ventimiglia  Alvarez de Toledo Beaumont y Navarra (nato a Palermo il 3 giugno 1821 e morto a Madrid il 10 luglio 1881) aveva numerosi titoli. Oltre ad essere XV duca d’Alba de Tormes, Grande di Spagna e deputato della Gran  Corte era anche barone di Caccamo, Alcamo e Calatafimi, XVIII Conte di Modica.
A titolo di cronaca Jacobo sposò a Madris il 14 febbraioo 1848 Maria Francisca Palafox Portocarrero e KirkPatrick, XII duchessa di Penaranda e sorella maggiore di Eugenia di Montijo, imperatrice di Francia.




Jacobo Luis Rafael Francisco Pablo Fitz James Stuart 
y Ventimiglia  Alvarez de Toledo Beaumont y Navarra

Maria Francisca Palafox Portocarrero e KirkPatrick



Per la cronaca l’ultima contessa di Modica, la 21ma, fu Dona Maria del Rosaio Cayetana Alfonsa Victoria Eugenia Francisca Fitz-James Stuart y de Silva Falcò y Gurtubay,  conosciuta solo come Dona Cayetana d’Alba o La Duchessa d’Alba (18ma Duchessa d’Alba de Tormes).  Morì a Siviglia il 20 novembre 2014 (era nata a Madrid il 28 marzo 1926) e tra i suoi numerosi titoli c’era anche quello di Contessa di Modica 




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2.  STRUTTURA ARCHITETTONICA

Foto del castello adibito a carcere

Il 5 marzo 1828, in seguito ad una sentenza del Tribunale  di Trapani, il Comune di Alcamo prese possesso del castello e nel 1870 fu trasformato in carcere.
Un’utilizzazione che durò fino al 1968 con gravi conseguenze   sulla struttura a causa di mancate opere di manutenzione..
La destinazione d'uso a carcere determinò la scomparsa di molte decorazioni e aspetti artistici.
Gli ultimi restauri tra il 2000 e il 2010 portarono in parte la struttura al suo aspetto originario ed utilizzata per  ospitare il Museo Etnografico, l’Enoteca Storica regionale, il Museo del Vino e delle Tradizioni, un’esposizione permanente dei Pupi Siciliani.
In seguito alla comparsa di alcune lesioni sui muri, il castello venne chiuso dal 2011 al 2013 e a dicembre del 2015 venne riaperto al pubblico anche se alcune zone non furono riaperte per motivi di sicurezza.
All'esterno del Castello si possono ammirare bifore e trifore di stile gotico. Il prospetto Nord fu ingentilito da due finestre ad arco acuto con rosone sormontate da un grande arco ogivale. Nel prospetto principale fu aperta una finestra bifora con colonnina marmorea bianca. La facciata Ovest risulta essere inglobata in corpi edilizi residenziali. Tutti gli ambienti interni, nel tempo, sono stati manomessi per via degli usi diversi a cui il Castello è stato adibito: carcere, stalla, uffici comunali. Il pavimento è in pietra, in graniglia di marmo e in battuto di cemento.

Il castello risale al trecento e presenta due stili architettonici visibili dalle piante delle quattro torri che si alternano: due cilindriche che corrispondono ad uno stile più antico e due a pianta quadra.
La differenza di stile delle torri era legata a questioni di tempo, economiche e soprattutto militari.
Per costruire una torre cilindrica è necessaria meno pietra e soprattutto meno tempo rispetto alla costruzione di una torre a pianta quadra. La costruzione del castello fu avviata  nel 1350 con l’edificazione di una torre quadra e successivamente, per accelerare i tempi, con due torri cilindriche. Il periodo  di costruzione del castello coincideva con un epoca fatta di disordini e soprattutto di scontri fra baroni per il predominio sul territorio. Era quindi necessario accelerare i tempo di costruzioni delle opere di difesa. Dopo le due torri cilindriche fu costruita la quarta torre quadrata.
Il castello non si trovava nel cuore della città.



La prima torre quadra è la torre di Nord-Ovest posta alla fine della strada (via barone di San Giuseppe – Via Rossotti) che collegava il mare alla terra. Si trova di fronte all’entrata della città come presidio della strada più importante che non era il Corso. Fu concepito soprattutto come palazzo militare per ospitare una forte guarnigione e sporadicamente i nobili feudatari.

Il fronte della torre quadra non è perfettamente parallelo all’odierno Corso VI Aprile. Questo è probabilmente dovuto alla necessità di aumentare il fronte di difesa fornendo un maggiore spazio per la disposizione di uomini pronti a difendere il territorio. Una torre quadra che getta il suo angolo sulla via e sullo spazio principale, permette, attraverso la sua disposizione “a cuneo” di aumentare le capacità difensive, con un maggiore schieramento di uomini.  Una scelta strategica.
Nel castello era presente una quinta torre che è documentata nel dipinto del Collegio risalente al secondo quarto del XVIII secolo e nella stampa di Cesare Orlandi del 1770, e nel manoscritto di Ignazio De Blasi della fine del XVIII secolo.

Antica mappa di Alcamo, dipinto del 1725
Sullo sfondo il castello dei Ventimiglia sul Monte Bonifato

Delimitava la cittadella militare creando questo cortile interno difeso nell’area immediatamente circostante al castello. Le mura della cittadella avevano una forma triangolare che terminava con la quinta torre. Seguendo la teoria dell’alternanza delle torri, rotonde e quadre, si potrebbe ipotizzare che la quinta torre sia stata a pianta cilindrica, ma le rappresentazioni in questo senso sono contrastanti. Le fondamenta della torre, situate in una casa privata, fanno pensare ad una pianta rotonda. La sua antica posizione era vicina all’attuale scalinata che conduce da via Mazzini in via Commendatore Navarra. Il De Biasi riferisce che la torre fu abbattuta perché pericolante nel 1758.
Il castello presenta una merlatura di tipo guelfo. Le sporgenze esterne ai merli sono delle mensolette che servivano a tenere, con dei ganci, le ventiere. 

sporgenze esterne

Le ventiere erano delle strutture basculanti che permettevano al difensore di lanciare oggetti verso il basso mantenendo sempre un ottima copertura difensiva.
Guardando dall’alto queste mensolette  ancora oggi è possibile vedere gli  incavi nei quali erano poggiati i ganci che reggevano gli sportelli. Il tutto faceva parte della difesa piombante.


Esisteva anche un’altra struttura, al centro delle mura sud, della quale rimangono soltanto due sporgenze, simili a due grossi mensoloni, punto in cui, non essendoci merlature, in realtà non avrebbero alcun significato.
Questa è probabilmente ciò che resta di una bertesca, un sistema difensivo aggettante, consistente in un pavimento di legno sostenuto da queste due sporgenze in pietra e coperto sui lati, che permetteva un migliore utilizzo delle armi di difesa su eventuali assalti da terra.
Un altro sistema di difesa è quello delle caditoie, dalle quale si faceva uscire olio bollente.
Infine sono presenti le bombardiere, grossi fori situati lungo il camminamento di ronda.

Bombardiera

Nella corte interna del castello, angolo Nord-Est, c’è un locale sotterraneo scavato nella roccia di travertino, di difficile interpretazione se non assimilandola ad una fossa carceraria. Nel castello esistevano tre tipi di celle carcerarie riservate a uomini di diversa estrazione sociale: le stanze per i nobili, i luoghi più angusti all’interno delle torri e le fosse che erano utilizzate per i reati più gravi, le quali potevano contenere un numero esiguo di persone.


L’ingresso di una cella


La volta di una cella

La finestra di una cella

 In un angolo esterno della torre quadra Nord-Ovest, su una pietra delle dimensioni notevolmente differente da quelle circostanti, è presente un iscrizione che era stata interpretata in passato come una scritta araba. In realtà è la somma di due scritture diverse. Da uno studio approfondito è risultata  un iscrizione riportante “Uscidi”, risalente, come si può intuire dallo stile della scrittura al ‘ 500 e l’altra “bono” di più recente datazione ed attribuibile al nome di qualche capomastro illetterato.


Sotto l’arco d’ingresso interno alla torre quadra c’è un effige a forma di croce in cui si trova la scritta “ASP 1738” e “MM”.
La data di questa incisione è probabilmente legata a qualche avvenimento importante avvenuto all’interno del castello.
La sigla MM può avere diversi significati:
1. Magister Munerum (maestro delle opere)
2. Municipes Municipii (città del municipio)
Infine è presente una croce polilobata che è interpretata come un “signum tabellionatus”.


Ogni torre aveva una sua funzione specifica:
-          Torre Sud-Est (Torre Maestra) , a pianta quadra è la più alta e qui venivano torturati i prigionieri;


-          Torre Nord-Ovest, a pianta quadra e la più bassa,  era riservata alle sentinelle;


-          La Torre Nord-Est, a pianta circolare era utilizzata per ospitare persone di riguardo;


-          La Torre Sud-Ovest, a pianta circolare, reca in alto lo stemma di Federico II o dei Peralta.




Sui lati del castello si notano le finestre bifore e trifore di derivazione gotico-catalana.

Bifora del castello prima del restauro (1967)

La finestra bifora dopo il restauro avvenuto nel 2015
  
Il castello presentava al piano terra una cappella, le stanze del cappellano, dei servi ed una cella d’isolamento. Al primo piano erano invece presenti un salone per ricevimenti con annessa anticamera, lo studio del conte, le camere da letto con relativo corridoio e un’altra cella d’isolamento.


Scala d’accesso al primo piano

Porta d’accesso al primo piano

Cortile Interno

Il castello in origine era cinto da mura ed era dotato di tre porte disposte sui lati Sud, Ovest e Nord.

Porta d’ingresso del castello sul lato Ovest

Ciascuna porta si apriva su una piazza:
-          La piazza a Sud era utilizzata come capitaneria delle milizie urbane a piedi e a cavallo;
-          la piazza a ovest era chiamata "cittadella";
-          la terza piazza era invece situata a nord.


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 3. ANTICHE FOSSE  CARCERARIE DEI RE
Il castello ha sempre ispirato nella tradizione locale delle voci sull’esistenza di antiche fosse carcerarie che sarebbero state utilizzate tra il XIV ed il XVIII secolo per la reclusione dei re.
Nel 2014, durante dei rilievi furono trovate delle fosse carcerarie che testimonierebbero l’uso a cui fu adibito il castello dei Conti di Modica nelle epoche passate.
Mons. Vincenzo Regina (1910 – 2009) nel suo libro “Il Castello di Alcamo”  citò l’esistenza delle carceri e in base alle indagini storiche dell’architetto Ignazio Longo e speleologiche del geologo Antonio Bambina sembra confermata l’esistenza di fosse carcerarie.
Il castello era un importante presidio militare e venne sempre ricordato nella letteratura storica anche come carcere.
Si pensa che tra la fine del XIV secolo e il XVIII oltre al carcere per i prigionieri c’era anche uno spazio per le cosiddette “fosse dei re”.
"L’esplorazione speleologica ha evidenziato un ipogeo che verso il basso si trasforma in un vano interrato a pianta quadrata le cui pareti sono costituite di travertino mentre nella parte sommitale l'ipogeo si chiude con una sorta di cupola sempre in travertino, mancano completamente adduttori di acqua. E proprio l’assenza di adduttori d’acqua e non solo - affermano Longo e Bambina- fa pensare all’ipotesi di una fossa carceraria che se dovesse rivelarsi vera sarebbe davvero una scoperta  interessante che contribuisce a completare il quadro d’insieme della storia passata del castello 
simbolo della nostra città".

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4. L'ISCRIZIONE
Durante i lavori di restauro fu rinvenuta sulla parete di una cella un'antica scrittura probabilmente lasciata da un detenuto..


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Il castello prima dei restauri





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