Aidone (Enna) – Castello di Pietratagliata (Gresti) – In Rovina… “È l'intelletto superficiale che non presta all'antichità la dovuta reverenza.”(Erasmo da Rotterdam)


“Ove son or le meraviglie tue
O Regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare Memorie, onde potevi altri
Mostrar per segni le grandezze antiche ?
(Fazello T. – Storia di Sicilia; Deca I, lib. VI, cap.I)











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Indice
1.      Il Castello –  Ubicazione -
La “Cresta” Rocciosa – La “Gurna” – Un Fortilizio ben strutturato – I Fani;
2.      La Storia – I Feudatari: Prandino Capizana, Gioeni, Graffeo, Caprini, Amato, Pomar, Mallia, Aldisio, La Lumia Aldisio (attuali proprietari) – L’Epigrafe datata 1668
3.      Le Leggende : Il Cavaliere al galoppo e la “truvatura” – Il Laghetto senza fondo
4.      Archeologia : La Collina della Monete
5.      La Struttura
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1.      Il Castello


Il castello si trova nel territorio di Aidone al centro quasi di in triangolo che unisce i centri di Aidone, Valguarnera e Raddusa e lungo la strada vicinale “Tufo” che collega Valguarnera con gli altri due centri.
La contrada è denominata “Li Gresti” ma è una terminologia abbastanza recente e risalente al tempo in cui furono redatte le cartine dell’IGM.
Il compilatore probabilmente non conosceva il nome del castello e lo indicò con lo stesso nome del poggio che si trova nelle vicinanze, “Cozzo di Gresti”.
“Gresti” è un termine dialettale per indicare “cocci”,  frammenti di ceramica che si rinvengono sulla piccola alture e riferibili ad epoche anteriori (romana ?).


Il suo vero nome è quello di “Pietratagliata” ed è una terminologia legata alla particolare conformazione della roccia sul quale si eleva e che rende il fortilizio simile, per certi versi, al castello di Sperlinga.
Il castello ha una sua particolare configurazione perché sorge su un elevata e massiccia cresta rocciosa di natura arenitica che si estende per circa 2 km, con un orientamento NE-SO. da Cozzo dei Gresti a Cozzo Sughereta. 


Questo sperone fu utilizzato, grazie alla sua posizione strategica, per l’edificazione di un castello per la difesa e il controllo del territorio.  Più che un castello si potrebbe includere nell’elenco delle torri di avvistamento e di avamposto a controllo di un territorio dove si snodavano le importanti vie di comunicazione che dalla costa orientale (Catania, Siracusa, Lentini, Naxos) penetravano verso la parte centrale dell’isola.
Una zona particolarmente importante come testimoniano i numerosi insediamenti di Morgantina, Enna, Agira.
La Strada Provinciale 67 (detta strada "Tuffo"), che costeggia il fortilizio, doveva essere un antica via di comunicazione che da Morgantina conduceva verso Agira ed anche verso Rossomanno.
Nei pressi del percorso della SP67 sono state rinvenute diverse testimonianze risalenti all’epoca greca e romana che hanno permesso di porre in rilievo l’importanza di questa antica via di transito che si mantenne nei secoli.






La Cresta rocciosa affiora nella vallata del Fiume Gornalunga, che scorre più a Sud, e la sua parte centrale è posta a cavallo del torrente Canne o Gresti a cui fa da diga naturale.
La formazione geologica si sarebbe formata con il corrugamento delle crosta terrestre, cioè movimenti orogenetici che avrebbero dato origine a questo piccolo rilevo a pieghe.
Le rocce quarzarenitiche (silicee) poggiano su uno stato argilloso e le due facce del rilevo è come se fossero stato oggetto, da entrambe i lati, di una fortissima compressione per poi inabissarsi.
Le acque del torrente Gresti, con la loro erosione, tagliarono la cresta rocciosa in due tronconi e su quello centrale fu costruito il fortilizio.
Lo strato impermeabile di argille brune scagliose ha creato un delizioso laghetto detto “gurna” che mantiene, anche nel periodo estivo, una certa quantità d’acqua mentre il torrente è in secca.
Il laghetto è legato ad una leggenda che riporterò in seguito.












Anticamente il feudo faceva parte della baronia di S. Bartolomeo e Fessima (forse in antico “Fesuna”).
Non lontano dal fortilizio e lungo il  corso del torrente Canne, sorgeva il “Fondaco delle Canne” che fu abbandonato nel 1810 quando fu costruito il centro di Raddusa.



Nelle cartine è indicato come castello “Li Gresti” o “Pietratagliata” ma in realtà non è un castello quanto una fortezza d’avvistamento posta nella valle del fiume Gornalunga che da sempre fu considerata una via di penetrazione dalla Costa Ionica verso l’interno della Sicilia. Probabilmente in questo tratto l’antico “Erykes” non so se a quei tempi fosse navigabile. I Greci nella loro penetrazione verso l’interno della Sicilia sfruttavano i corsi d’acqua, costeggiandoli e questo per avere sempre a disposizione  la risorsa idrica.
Certo la fortezza aveva una sua importanza dato che si crearono anche degli ambienti che davano ospitalità sia al castellano e ai militari. La presenza della cappella e anche di decorazioni ed affreschi, che sono andati perduti,  fanno pensare ad una struttura che s’allontana dalla terminologia di torre d’avvistamento.
La presenza di un falso ingresso al piano terreno; di una scala ripida per accedere ai piani superiori e dove si poteva salire  con una certa difficoltà ed uno alla volta; la presenze della torre con un ingresso, probabilmente ben celato,  solo dal secondo livello o piano; lo stesso ingresso al fortilizio che presentava dalla strada una doppia risega o piega per fare in modo che gli assalitori offrissero il fianco destro ai difensori, sono tutti aspetti che danno una certa importanza a questa struttura irrimediabilmente perduta e dimenticata,
Uno dei tanti esempi d’arte militare normanna che  sotto l’incuria dell’uomo stanno pian piano scomparendo dal territorio.
 Un fortilizio ben strutturato che aveva quindi la funzione di mettere in comunicazione attraverso segnalazioni ottiche “fani”, le postazioni militari vicine impegnate anche loro a difendere un vasto territorio.
La rete ottica in cui si inseriva la fortezza era rappresentata dalle direttrici: Enna, Morgantina, Aidone, Mineo, Lentini,


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2. STORIA

Durante il periodo Normanno, vi doveva risiedere un castellano militare con la corte per adempiere agli uffici amministrativi e soprattutto a quelli militari come torre di avvistamento e di segnalazione con i castelli vicini.
Un castello in origine Normanno e quindi costruito da Ruggero I d’Altavilla secondo il suo progetto di fortificazione della Sicilia.  Uno dei suoi programmi militari prevedeva la fortificazione degli Erei trasversalmente all’andamento Est-Ovest della Sicilia per impedire che le truppe saracene , poste a Nord e a Sud dell’isola, si riunissero.
Qualche storico attribuisce invece l’edificazione, o riedificazione, ad opera di Federico III d’Aragona nel corso delle opere di fortificazione dell’Ennese che fu attuata dagli Svevi e dagli Aragonesi. Si tratta di ipotesi che solo accurate indagini archeologiche potrebbero confermare o smentire. Il  castello, e questo è un dato certo, fu oggetto di rimaneggiamenti che nel corso del tempo ne modificarono il suo aspetto architettonico originario.
Nel 1210 è attestato un casale “Fesinae”.

Nel 1337 il feudo di Fessima, sembra spopolato, ma è una registrazione di cui non è certi.
Il 12 dicembre 1356 Federico IV il Semplice assegnò a Prandino Capizana da Piazza, “con l’obbligo di prestare il consueto servizio militare..”, i beni feudali e burgensatici, siti nel territorio di Mineo e che erano stati confiscati al messinese Tommaso Parisio.
Una concessione limitata perché i beni, come recita il privilegio, sarebbero passati nuovamente al Parisio non appena “fosse tornato alla fede regia”.  Il Parisio tornò alla “fede regia” dopo pochi mesi ed infatti con un privilegio dell’8 marzo 1357 i beni furono restituiti al Parisio.
Probabilmente lo stesso sovrano Federico IV “Il Semplice” per compensare Prandino Capizana della perdita dei beni, con un privilegio del 21 aprile 1361, gli concesse il fortilizio di Pietratagliata posto presso il feudo Fessima.
Con un altro privilegio del 21 novembre  1361 il sovrano diede l’autorizzazione al Prandino di “riparare il fortilizio”.
 Il 3  giugno 1363 Federico IV concesse al Prandino ed ai suoi eredi i beni di Giacomo Neocastro di Piazza. I beni del Neocastro erano stati concessi il 24  aprile 1361 a Giovanni Capizana (fratello di Prandino) “ormai morto”.
Il 7 ottobre 1364 Prandino Capizana ricevette la conferma del feudo Fessima con il fortilizio di Pietratagliata. Nel privilegio era citato il precedente assegnatario, un certo Bonifacio Friderici di Aragona.
Prandino Capizana rivestì la carica di capitano della terra di Asaro nel settembre 1365 e fu maestro razionale del Regno dal 6 settembre 1369 al 1373-74.
Si ribellò a Federico IV e gli furono quindi confiscati il feudo di Fessima e il fortilizio di Pietratagliata che ritornarono alla Regia Curia.

Stemma della Famiglia
Capazena/De Magistro
?
Un Matteo de Magistro possedette le terre di Modica, Palazzolo,
Scicli e Vizzini, che gli furono confiscate e assegnate il 13 settembre 1255
da papa Alessandro IV a Ruggero Fimetta di Lentini, in precedenza,
in precedenza esiliato dall’imperatore Federico II di Svevia.
Un Guglielmo de Magistro detto Capezana, abitante a Piazza, è attestato
il 7 maggio 1307 e Prando Capizana di Piazza è attestato il 22 gennaio 1316.
Il “dominus” Prando e Guglielmo Capizzana figurano fra i fidecommissari
dell’eredità di Giovenco Uberti nel 1308.
Un Giacomo Capizana di Piazza vendette in data anteriore l’ottobre 1355
un tenimento di terre al conte Blasco Alagona.
Prandino Capizana di Piazza, possedette il feudo Rabichina, in Val di Noto
e nel tenimento di Piazza. (Il feudo Rabichina si trovava nel territorio di P. Armerina)
(Una sorella di Prandino, Caterina, sposò Franceschino Ventimiglia)

Nel 1358 si ha la prima e vera testimonianza del fortilizio, “castrum” consistente nella torre quadrata e negli ipogei scavati nella rupe, di età anteriore, sulle quali insiste la torre.
Il feudo Fessima e il fortilizio furono assegnati il 17 marzo 1375 (13 marzo 1374?) a Perrono de Iuvenio (Juenio)(Gioieni) per sé ed i suoi discendenti. Il Perrono era anche feudatario del “terra” e del castello di Aidone.
Perrono (detto anche “Perronio” o “Pietro”) era figlio di Berolomeo II Gioeni e di Leonora Ventimiglia (figlia di Arrigo Ventimiglia ?).
Sposò Giovanna d’Aragona (figlia di Guglielmo d’Aragona, Conte di Malta e Gozo, e di Beatrice d’Aragona d’Avola). Dal matrimonio nacquero: Bartolomeo III Gioeni, Margherita Gioeni e Don Consalvo Gioeni.


Università di Catania – Blasone Gioeni d’Angiò

Il re Martino (il Giovane) d'Aragona e la regina Maria Bianca, figlia di Federico IV, confermarono il possesso del castello al figlio di  Perrono, Bartolomeo III, nel 1392.
Con Bartolomeo il castello di Pietratagliata raggiunge il culmine della propria importanza, parallelamente all'ascesa del Bartolomeo alle più alte cariche del regno.
Grazie alla sua fedeltà ai Martini, ottenne nel 1392 la conferma del possesso di Gresti (Pietratagliata) nonché  la carica di cancelliere, giocando un ruolo rilevante nelle vicende degli ultimi anni del secolo.
Fino al 1512 Giovanni Luca Barberi confermava nei suoi “Capibrevi” l’appartenenza alla famiglia Gioeni sia di Pietratagliata che della “Terra di Aidone” e dei feudi circostanti.
La signoria dei Gioeni sul castello durò fino al 1648, anno in cui ne diventarono proprietari i Graffeo.



In questo periodo furono effettuati altri interventi sulla struttura con la costruzione di ambienti in muratura proprio sotto la torre, lungo il lato sud e al livello inferiore. Ambienti destinati a magazzini, stalle ed abitazioni rurali.
Parti costruite e parti scavate nella roccia convivono integrandosi a vicenda. Sotto il grande torrione, la “pietra tagliata” presenta alcuni ambienti artificialmente scavati, fra cui una scala a pianta rettangolare lunga oltre 8 metri.
Nel 1668 il feudo passò al barone Caprini che intervenne su alcune strutture.
Sull’architrave di una finestra ogivale, su una lastra di marmo fece incidere un epigrafe in latino. Purtroppo dell’epigrafe non c’è traccia, probabilmente crollata in seguito alla rovina del muro o trafugata. Il testo fu comunque riportato in una ricerca dell’arciprete di Raddusa Giacomo Mango che nel suo libro (Vualguarnera, Caropere) narra di averla letta grazie all’utilizzo di un binocolo. Lo stesso Mango fece la traduzione dell’epigrafe, che fino agli anni trenta era nel ancora visibile, e riportò che era una dedica del Caprini ad un giovane successore forse il figlio, a cui lasciava questi terreni fertili e ricchi ma arsi dal sole e privi delle delizie del giardino delle Esperidi:

«A Dio Ottimo Massimo o giovinetto, al quale queste cose appartengono per diritto (di discendenza) di Giacomo Caprini, il quale ne è il barone e qui risplende col suo antico stemma, ti avanza. Tu godrai non dell’orto delle Esperidi, ma dei feudi, del pingue armento di lui e del gregge pascolante. Felice te, o giovinetto, che ti pasci di aura celeste nella casa del grande eroe piena di abbondanza. Anno del Signore 1668»

All’epigrafe è legata una leggenda che riporterà in seguito.

Famiglia originaria della Catalogna, possedette in
Sicilia i feudi di Menzagno di Pagano, Baccarati, Fargione,
S. Bartolomeo, Pietratagliata e Fessima e fu illustrata da
quell’Antonio Caprini e Sabbia, che, con privilegio dato a
30 settembre 1671, esecutoriato a 13 marzo 1672, venne decorato,
per sé e suoi del titolo di principe di Villadorata.
Un Gaetano Maria fu giurato di Nicosia nel 1746-47 e capitano di giustizia
di detta città nel 1757-58 ed un Antonio fu senatore di detta città
nel 1799 -1800”.

Dalle ricerche mi risulta che il barone Giacomo Caprini (1620; ?) sposò Caterina Pannuso (Palermo 1620; ?) ed ebbero un'unica figlia, Violante (Palermo, 1640; ?).
Violante Caprini sposò a Palermo, il 15 settembre 1673, Don Giovanni Rosso e Camolo (Palermo, 28 settembre 1626; Palermo 3 febbraio 1689), II Principe di Cerami dal 1675.
Dal loro matrimonio nacque Alessandra Rosso e Caprini.
 Don Giovanni, a titolo di cronaca, si sposò una seconda volta a Catania, l’11 gennaio 1678, con Remigia Scammacca (1649, ?) (figlia di Guglielmo, barone della Bruca. E di Isabella Scammacca). Dal matrimonio nacquero: Domenico Rosso  e Melchiorra Rosso.
Nel 1692 il fortilizio passò ad Andrea Amato, III principe di Galati, duca di Caccamo e “già duca d’Asti”.
Andrea Amato, (figlio di Antonio Amato, II principe di Galati, e di Francesca Alliata) sposò a Palermo, il 26 marzo 1692, Alessandra Rosso e Caprini che era titolare del feudo di Pietratagliata o Fessima e di metà di S. Bartolomeo.
La metà del feudo di S. Bartolomeo è forse spiegabile con la suddivisione in quota del feudo dato che il barone Giacomo Caprini aveva un fratello di nome Antonio, (entrambi figli di don Nicolò Caprini e di ? ). ( Antonio Caprini sembra che abbia sposato donna Armenia Brigida Aci (1620; ?) e alcuni siti internet attribuiscono la nascita di Violante al loro matrimonio).
(Don Antonio Caprini, Barone di San Bartolomeo già feudo di Fessima con fortilizio di Pietratagliata “si investì di metà di detta Baronia e feudi, per la morte di Nicolò, suo padre, a 28 settembre 1654 (R.C. VIII Indi, f.2). Reinvestito di essi metà dei beni e del titolo di Barone di Pietratagliata a 10 settembre 1666 per il passaggio della Corona (Officio di Protonotaro, V Indizione, F. 553)( Passaggio della Corona : da Filippo IV d’Asburgo a Carlo II d’Asburgo).
(Era Anche Signore di Menzagni di Pagano (presso Aidone) ..”come donatario di Bigida (suamoglie), s’investì del feudo di menzagni di Pagano, a V luglio 1650 (R.C. III Indiz., libro corr. F. 273); da quell’epoca fino al 1759 non ci sono investiture.).

Giacomo Caprini, Barone di San Bartolomeo già feudo di Fessima con fortilizio di Pietratagliata.. “come nominatario di Nicolò, suo padre, prese possesso della metà della Baronia e dei feudi suddetti; non prese investitura. Detta nomina si  legge agli atti di Notar Marco Agnello di Nicosia il 9 ottobre 1653”)
Donna Caterina Pannusso (moglie di Giacomo Caprini) ..”appare come restitutaria di Giacomo, s’investì di ½ della Baronia e dei feudi il 4 dicembre 1662 (R.C. I Indiz., f. 242) e reinvestita a 20 maggio 1666 per il passaggio della Corona (R.C. Iv Indiz. F. 57). La restituzione fu stipulata da Notaio Matteo Picone di Nicosia il 31 luglio  1659.) 

Dal matrimonio tra Andrea Amato ed Alessandra Rosso, nacque Filippo Antonio Amato, IV principe di Galati.


Il principe Andrea stipulò il suo testamento, presso il notaio Antonino Fazio di Palermo, il 21 febbraio 1713, istituendo come erede il figlio Filippo Antonio che fu investito di Galati e Caccamo il 29 febbraio 1716(C.R., Inv:; Vol. 1159. F. 63 e 64).
Nella stessa data ricevette l’investitura della baronia di Sn Bartolomeo, di Pietratagliata e de Sessima, consistente in molti feudi, succedendo alla madre Alessandra. Fu Duca d’Asti, Deputato del Regno nel 1746 e 48 e Governatore del Reale Albergo Generale dei Poveri (1746).
Filippo Amato si sposò tre volte:
-          Donna Giovanna Colonna Ioppolo Romano figlia di Don Calogero Duca di Cesarò e di Rosalia Ioppolo – Dotali in notaio Ferdinando Vasta di Palermo dell’11 ottobre 1717;
-          Belladama Settimo Settimo fu Trojano ( figlio primogenito di Girolamo, marchese di Giarratana)  e di Giovanna Caterina Settimo (unica figlia ereditiera di Settimo Settimo barone di Cammaratini e Dragonara). I dotali del matrimonio fra il principe Don Filippo e Donna Belladama furono stipulati dal notaio Antonino Fazio di Palermo il 23 settembre 1719. Donna Belladama morì a Palermo il 3 marzo 1736 in seguito al parto.
-          Giovanna Bologna e Reggio (figlia di Giuseppe Marchese della Sambuca e di Francesca Reggio (Jaci), vedova di Don Luigi Guglielmo Moncada, principe di Paternò. Matrimonio che si svolse a Palermo il 7 aprile 1753.
Ebbe un figlio, Gioacchino Andrea Amato, dalla moglie Belladama, figlia di Trojano Settimo, marchese di Giarratana.
Don Filippo Antonio Amato s’investì della baronia di San Bartolomeo Pietratagliata o Fessima il 29 febbraio 1716, “per la morte e come figlio primogenito legittimo e naturale di D. Andrea Amato. Quale baronia di compone dei feudi San Bartolomeo, Li Gresti, Lo Zuffo, Cannizzoni o Pirato, congiunti e collaterali col loro fortilizio” (R.C., IX Audizione, foglio 52),
Don Filippo morì a Palermo il 21 agosto 1768 e fu sepolto ai Cappuccini come risulta dalla Fede della Cattedrale. Il suo testamento fu aperto e pubblicato in Palermo agli atti del notaio Gaetano Fazio e Porcari il 26 settembre 1768.
L’ultima moglie di Don Filippo, Donna Giovanna Bologna e Reggio morì a Palermo il 26 novembre 1787 e fu anch’essa sepolta ai Cappuccini.

Alla morte del principe Filippo succedeva nei feudi e nei titoli il figlio Gioacchino Andrea Amato e Settimo, (V Principe di Galati) ottenendo la relativa investitura il 25 agosto 1769.
Giacchino sposò Antonia Amato, (figlia di Domenico Corvino, principe di Villanova,  e di ?) e dal matrimonio nacque Giuseppe Amato e Corvino.
Sembra che Gioacchino Andrea Amato e Settimo abbia venduto il fortilizio a Gioacchino Pomar.

Nobile famiglia originaria della Castiglia, detta Pomar, Pomaro, pomaroli o
Pomarolli, di chiara ed avita virtù, protagonisti nel corso dei secoli, in
diverse regioni d’Italia. La chiara nobiltà della casata risulta confermata
dalla presenza, della sua blasonatura, nella pregevole opera
"L'Armorial General" di J.B. Rietstap.-
“….Giacomo, chiaro giureconsulto, vivente in Palermo, nel 1668; Benedetto, milite di professione, vivente nel 1712; Rodrigo, giurista, vivente in Messina, nel 1717;
P. Luigi, dell'Ordine dei Predicatori, vivente in Palermo, nel 1738; D. Antonino,
canonico, teologo e commissario apostolico, vivente nel 1734;
La famiglia Pomar aveva il possesso del feudo di Cassibile nel XIV secolocon:
Garsia Pomar; eredi di Garsia Pomar (1335); Bernarda Pomar (1345)
e un Federico Pomar risulta cavaliere “cavallarizzzo” del re Alfonso.

Gioacchino Pomar mantenne il possesso del castello per pochi anni dato che nel 1772 pervenne ad Alessandro Mallia.
Alessandro Mallia e Bonifacio dovrebbe essere quel nobile che con privilegio del 14 dicembre 1756 ottenne il titolo di barone di Sambuci.


Nobile famiglia di Terranova di Sicilia (Gela). Possedette il tiolo di
Marchese di Torreforte, le baronie di Tuffo, Fontana degli Angeli, Gresti, Sambuci ecc.
Un giacomo tenne la carica di proconservatore di Terranova nel 1710,
carica tenuta dal marchese Andrea Francesco nl 1786-1787; dal marchese
Alessandro Emanuele negli anni 1789, 1793, 1811 e da un Giuseppe nel 1810”.

  Il casato Aldisio-Mallia è un titolo nobiliare allodiale (libero ed originario non derivante da concessione feudale), legato cioè alla proprietà e non soggetto ad investitura. Il titolo fu concesso con il Predicato di S. Giuseppe a Francesco Palermo con privilegio datato 21 giugno 1638.
    Una figlia del Palermo, Francesca, andò in sposa ad Antonio Bruno. Da questa unione nacque Giuseppe che ereditò i titoli di Marchese di Torrealta e di Barone di S. Giuseppe. Egli sposò Allegranza Asaiti Bartolotta, figlia di Francesco Signore di Girbi, ma dal loro matrimonio, non essendo nato nessun erede, la proprietà passò per testamento ai Padri Gesuiti di Salemi. Carlo Bruno, fratello di Antonio e zio di Giuseppe, intentò causa riuscendo a recuperare parte dell’eredità; lo stesso successivamente conseguì i titoli di Barone di S. Giuseppe e Barone di Canalotti di S. Leonardo. Anche questi non ebbe figli, ma lasciò come erede il nipote Benedetto Emanuele Abrignano, figlio della sorella Giovanna Bruno Palermo, moglie di Domenico Abrignano, che deteneva i titoli sopra citati. Emanuele, successivamente sposò Annamaria Villarani conseguendo poi, il 19 giugno del 1735, il titolo di Marchese di Torretta.
Benedetto Emanuele Abrignano prima di morire, Mazzara, 8 ottobre 1762, vendette il titolo di Barone di San Giuseppe ad Alessandro Mallia Bonifacio che ne ebbe riconoscimento  con il “Predicato di Sambuci” del 14 dicembre 1756-
Ad Alessandro Mallia successe il figlio Francesco Andrea che ebbe assegnato dal re Ferdinando III il titolo di Maeggi, con la nuova denominazione di Torreforte; quindi, oltre a Barone di Sabuci, diventò anche Marchese di Torreforte a partire dal 12 maggio 1787. Francesco Andrea morì qui il 10 maggio 1810 come risulta dagli atti dell’archivio della Chiesa Madre. A Francesco Andrea Mallia successe il figlio primogenito Alessandro Emanuele che ereditò il titolo di Marchese di Torreforte, in quanto primogenito ma anche in forza testamentaria (testamento pubblicato il 14 maggio 1810, notaio Giacomo D’Agostini Cremona in Eraclea-Terranova).
Alessandro Emanuele Mallia non ebbe figli maschi, pertanto titoli e proprietà passarono de iure a Rosalia Rosaria Mallia (figlia di Alessandro Mallia e di Carolina Caldarera), che in seguito sposò Francesco AldisioBarone di Mautana; da questa unione nacquero Salvatore, Alessandro, Tommaso e Enrichetta. Il primogenito Salvatore Aldisio Mallia compare nell’elenco ufficiale definitivo del 1902 delle famiglie nobili e titolate di Sicilia con i titoli di Marchese di Torreforte e Barone di Sabuci con discendenza maschile di primogenitura, titoli successivamente ufficializzati in seguito a sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 7 settembre 1885 e confermati dalla Corte di Cassazione con sentenza del 24 luglio 1888.
 Il terzogenito Barone Tommaso sposò Sara Scepi, dalla quale ebbe otto figli, Concettina, Antonio, Francesco, Giuseppe, Alessandro, Rosalia, Giovanni Tommaso e Maria Antonietta. Il primogenito Salvatore Aldisio, Marchese di Torreforte e Barone di Sabuci (morto il 5 gennaio del 1925), essendo rimasto celibe, nominò il nipote Giuseppe (4° figlio del fratello Tommaso) erede universale di tutti i suoi beni, giusto testamento pubblicato il 9 gennaio 1925 a rogito del Notaio Enrico Navarra in Terranova di Sicilia.
    Il Cav. Giuseppe Aldisio, erede dei beni dello zio Marchese Salvatore in forza delle disposizioni testamentarie, si unì in matrimonio con Margherita Ciffo da cui nacque Marisella Aldisio, l’attuale proprietaria del palazzo Aldisio-Mallia. I titoli nobiliari di cui sopra passarono all’erede del fratello Tommaso.

Stemma della Famiglia Aldisio (?)

Il castello nei primi decenni del 1900 era quindi di proprietà della famiglia del Marchese Aldisio e di un certo Mons. A. Prato.
Comunque ai nostri giorni sembra che sia in possesso dei discendenti  della famiglia del barone Ignazio La Lumia Aldisio da Licata (Licata, 25 agosto 1870). (Deputato, Partito Democratico Costituzionale, nella XXIII e XXIV  Legislatura).
Tra i suoi interventi più importanti nella sua attività parlamentare:
nella XXIII legislatura (dal 24 marzo 1909 al 29 settembre 1913):
-          I fatti di Naro
-          Abigeati e  sequestro di persona nel territorio di Palma Montechiaro
-          Questione dell’acqua di Pisciotta in territorio di Licata.
Nella XXIV legislatura (dal 27 novembre 1913 al 29 settembre 1919):
-          Disastro del ponte sul fiume Salso ( una tragedia .. 22 novembre 1915 ..morirono 115 persone..);
-          Esami di laurea degli studenti di medicina sotto le armi.

Licata …. 22 novembre 1915


L’onorevole Pasqualino Vassallo nella seduta del 4 dicembre presentò una interrogazione ai ministri dell’interno e dei Lavori Pubblici sulle cause del terribile disastro avvenuto a Licata per il crollo del ponte sul Salso. Il testo dell’interrogazione è pubblicato a p. 8143 degli Atti del Parlamento Italiano (Roma 1920) e non risulta che i ministri interrogati abbiano risposto.



Barone Ignazio La Lumia Aldisio

Solenne Inaugurazione della XXIV Legislatura nell’aula del Senato


Il fortilizio è. ancora oggi, di proprietà privata e in completo abbandono.

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3. Le Leggende
L’epigrafe posta in alto e  con la conseguente difficile lettura, ha fatto nascere luna leggenda legata ad una possibile “truvatura”….” Il cavaliere che, mentre supera il castello al galoppo, fosse riuscito a leggere e ad interpretare l’epigrafe, avrebbe trovato un ingente tesoro”.

Alla base della rupe, come già citato, c’è un piccolo laghetto (“gurna”) che è ritenuto dalla fantasia popolare senza fondo.
Ricordo nel 1974 di aver visitato il sito. Il castello non era nelle condizioni attuali e un contadino della zona mi raccontò la “strana” storia di questo laghetto.
Mi disse che alcuni esperti della zona calarono nel centro del laghetto una cima zavorrata lunga parecchie decine di metri e di non essere riusciti, a toccarne il fondo.
Una storia che fa ormai parte di questo territorio che con i colori della natura mantiene un fascino antico che è difficile descrivere soprattutto nei bellissimi tramonti.



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4.  Archeologia
I riferimenti archeologici sul sito sono numerosi anche se a quanto sembra la Soprintendenza non ha mai dati riferimenti bibliografici sul materiale rinvenuto e sulle varie epoche di riferimento.
La zona fu anche chiamata la “Collina delle Monete” in riferimento ai ritrovamenti di alcune monete sulla collina sovrastante.
Si trattava di parecchie monete d’argento e di elettro coniate da una zecca al seguito di un esercito punico (Ippocrate? Figlio di una cartaginese e di un siracusano, esiliato da Agatocle, servì l’esercito di Annibale) e alcune monete d’argento di Morgantina.
Le monete di Morgatina appartenevano a quella serie definita dagli archeologici “SIKELOTIAN”.
Le monete rappresentano sul retro un cavaliere al galoppo e sul davanti una testa, Artemide.



Forse la leggenda nacque in seguito a questi fortuiti ritrovamenti che testimonierebbero la presenza di un insediamento di età greco-romana e forse anche siculo.
Numerosi sono i cocci ceramici che si rinvengono nelle campagne e che fece appellare la piccola altura con il termine di “Gresti”, termine dialettale siciliano per indicare “cocci”
Tutta la contrada è interessata da resti di diverse età che testimoniano una lunga e complessa frequentazione umana.  Come abbiamo visto non solo nella famosa Collina delle Monete, con resti di un insediamento ellenistico romano continuato fino all’età tardo romana, ma anche vicino ed attorno alle case Gresti sono stati trovati resti dell’età greca arcaica, a testimonianza della precoce influenza calcidese verso Morgantina, e resti di età tardo romana e bizantina.


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5 . La Struttura

Osservando la struttura,  purtroppo in rovina, si percepisce subito la presenza di strutture che si sono sovrapposte nei secoli.
Il fortilizio è costituito da quattro livelli con il primo livello costituito dal piano terra dove sono presenti due cavità forse abitazioni preistoriche (una cavità fu allargata  durante la costruzione del fortilizio). Mancano purtroppo le indagini della Soprintendenza. Le grotte sono localizzate alla base della parete orientale della rupe, nella vasta grotta preceduta da un riparo sotto la roccia posta ai piedi della torre, e nei due vani ipogei scavati nella zona ed incorporati nella struttura del castello.



Pianta Piano Terra

Al castello si accede attraverso uno stretto sentiero (1) tagliato nella roccia.
Il sentiero è delimitato a destra dalla massiccio roccioso sul quale si erge la torre e a sinistra da un muretto che probabilmente era più alto.
Si giunse dinnanzi ad un portale e ad una scala di cui resta qualche traccia sul muro.
Superato il portale, si attraversa un piccolo corridoio, si giunge ad una piccola camera/loggetta aperta (2). Un piccolo ambiente scavato nella rupe e che s’affaccia sul vallone sottostante
Dalla loggetta si passa ad un grande ambiente dalla pianta rettangolare, scavato nella roccia e con u soffitto piano che presenta evidenti tracce di scalpellatura (3).
Sulla parete occidentale si trova una finestra ricavata nella roccia e che domina il sottostante vallone “Canne”.
Prima dell’entrata della loggetta, sulla destra, si trova la scala ricavata nella roccia che permetteva di raggiungere l’entrata del fortilizio. Una scala che in parte è crollata.
La collocazione della scala ha un suo particolare aspetto militare perché è posta tra il contrafforte roccioso e il muretto che sporge nella vallata. Gli eventuali assalitori precorrendo il sentiero avrebbero esposto il loro fianco destro alle frecce dei difensori.



Il Sentiero (1)







La Torre vista dal sentiero (1)

In questa particolare configurazione dell’ubicazione della torre a destra si riconosce uno dei canoni fondamentali a cui dovevano rispondere le strade di accesso ai castelli e più in generale alle fortificazioni e cioè la realizzazione della rampa a sinistra.

Il Portale della grotte al piano terra

La Loggetta (2)



Nella Roccia sono ricavate delle piccole nicchie per la
collocazione di lucerne





Il grande ambiente, ipogeo, rettangolare (3)

c.s.

Il grande ambiente rettangolare (3) con la finestra
Si tratta di un allargamento di una probabile preesistente cavità.
Sono evidenti i segni delle picconate o striature per il taglio della roccia
Si notano  dei segni sulle pareti dell’ipogeo… si tratta di scritture lasciate
dai soliti ignoranti… piccoli mafiosi in erba…..


Nella pianta con (R) è indicata una stretta e doppia piega del sentiero che conduceva alla Torre. Questo per evitare, a chi cercava nella fuga rifugio nel castello, di diventare facile bersaglio delle frecce degli assalitori.
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Il fortilizio aveva quindi due ingressi. Il secondo ingresso, che conduceva ai piani superiori, era costituito da una scala in parte ricavata nella roccia e in parte costituita da blocchi calcarei, ben squadrati  e presenti nei materiali di crollo. Una scala che doveva opportunamente mimetizzata ed occultata. L’ultima rampa di scala dall’andamento rettilineo, che conduceva al terzo piano,  era costituita da un camminamento delimitato da un lungo intaglio sulla roccia e da un muro. Lungo questo camminamento s’incontra un portale d’ingresso che dà su un ambiente con pianta rettangolare, isolato, privo di tetto e con robusti muri perimetrali.
L’altro ingresso (  al piano terra), quello che conduceva alla loggetta, era in caso di necessità un falso ingresso. Gli assalitori entrando nella loggetta, attraverso lo stretto camminamento, si trovavano in quella che potremmo definire una vera e propria camera della morte dato che la grotta vicina era piena di soldati pronti a difendersi.

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Primo Piano


Ritornando  al portale del sentiero (1) si notano subito le tracce di una ripida scala (4) che permetteva di raggiungere il livello superiore della rupe dove poggiano le strutture in muratura del complesso. Una scala che doveva essere alta circa 8 metri..secondo le fonti.

Le strutture sono costituite da: un torrione a pianta quadra (5) ed un corpo edilizio con due ambienti  (6):  un ingresso e un vano.
La scala (4) finiva probabilmente in un pianerottolo e da qui s’accedeva ad un ambiente di disimpegno che metteva il comunicazione il vano (6) e alla scala (S) che conduceva al piano superiore (Secondo piano).
La stanza è abbastanza curata, presenta una  finestra e due sedili contrapposti tipici dell’architettura medievale

La scala ricavata nella roccia che conduce al primo piano






Secondo Piano


Attraverso la scala (4) ricavata nella roccia, si giunge al secondo piano della struttura.
Nell’estremità occidentale si trovano i resti di una finestra (apertura)  (F1) che si affaccia sullo strapiombo sottostante mentre in quella orientale (apertura) (F2), al termine di un ballatoio, si apriva una porta (P1) che poteva servire come uscita per ospiti non graditi.
Erano presenti altre due finestre indicate con la lettera (F).
A quanto sembra in questo livello era in sito un corridoio ligneo la cui presenza sarebbe testimoniata da incassi in cui alloggiavano i travetti. Le nicchie per le lucerne delimitavano la prima rampa di scale al cui termine un breve corridoio dava accesso ai vani della caverna.
Accanto al corridoio una cisterna con tubazioni di terracotta, incassato nella roccia, che serviva a convogliare l’acqua piovana proveniente dal tetto.
In questo piano si trovano i locali degli antichi fasti del castello. Il pavimento del primo vano è andato perduto mentre l’intonaco è rimasto quasi intatto. Un grande ambiente presenta o presentava un bel portale d’accesso in pietra lavica lavorata con un volto sorridente scolpito sull’architrave, forse dell’antico proprietario.
L’ambiente presentava una volta a cupoletta ed era una chiara testimonianza, assieme agli altri aspetti, della funzione “nobile” a cui erano destinati questi ambienti.
Dal lato opposto si trova una caverna piuttosto allungata doveva era presente una scritta in latino che evocava il diavolo e un affresco, in bianco e nero, con la rappresentazione di un personaggio dalla caratteristica barba bianca e coperto da un mantello. Un affresco probabilmente risalente al ‘500 -  ‘600.













Terzo Piano


Il terzo piano è quello più elevato della rocca. Attraverso un portale si accedeva alla cappella del castello.

Sono presenti degli ambienti di difficile interpretazione a causa di molti crolli.
L’accesso alla terrazza del castello era consentito da una scala a chiocciola realizzata all’interno della Torre (5), in prossimità del suo spigolo Sud-Est.
Nella parte retrostante la cappella di nota un massiccio basamento in muratura accanto alla quale in vetta è visibile l’imbocco di una profonda cisterna. Due pilastrini in muratura raccordati con una piccola volta ad arco, per agevolare l’uso di corde e secchi per il prelievo dell’acqua, affiancano e sormontano l’apertura della medesima cisterna. Quest’ultima raccoglieva l’acqua piovana del detto della cappella e del limitrofo ed ormai distrutto ambiente eretto sopra il basamento.

La Cisterna




La Torre

La torre è alta circa 36 metri e poggia direttamente sulla roccia.
Roccia che sul versante Sud mostra un imponente opera di taglio con la conseguente formazione di una scarpata naturale che permette alla torre stessa di scaricare il suo peso sul basamento roccioso.
La torre presenta una struttura piena, priva di spazi interni. Una scala elicoidale esterna, alloggiata in un vano, alloggiata in un vano cilindrico nell’angolo sud orientale, permetteva l’accesso al terrazzo sommitale.
A pianta quadrata, risale probabilmente all’epoca normanna e fu costruita per funzioni di avvistamento, segnalazione e ha perso da tempo la bellissima scalinata elicoidale che portava sulla cima a circa 36 metri di altezza dal fondovallle.



Si accedeva alla scala da una porticina, posta al secondo piano, incastonata in un portale in pietra lavica terminante con una voltina del quale è conservato lo stipite sinistro.
Il vano scala fu ottenuto grazie ad una perfetta sovrapposizione dei gradini che la compongono.
La ripartizione del carico statico della torre sulle rocce sottostanti è stata ottenuta allargando con accurata opera di scalpellatura la superficie del basamento per cui la torre appare sorretta da una struttura tronco piramidale. Probabilmente per l’assenza dei fori sulle pareti, l’erezione della torre è avvenuta senza l’uso di  ponteggi, d’altronde si doveva rendere difficoltosa l’eventuale scalata dei muri esterni.
Una particolare cura nella realizzazione della torre si avverte anche nella costruzione degli spigoli caratterizzati dall’utilizzo di massicci blocchi di pietra perfettamente squadrati e tra loro ben incastrati.
I gradini erano realizzati in basalto, a forma di spicchi, e sono dei settori circolari con un angolo al centro di circa 30 gradi. Di questa stupenda scala si conservano ancora in situ alcuni gradini delle prime rampe ad elica, essendo crollata tutta la parte superiore.
Secondo il Mazzola la torre risalirebbe al 1300 e la sua  costruzione sarebbe stata effettuata da Pietro Fessinia, il celebre “miles fidelis” di Federico d’Aragona, “a difesa e commemorazione dell’accampamento che vi tenne il re nel 1300”.










La Torre, si nota il livellamento della roccia a scarpata.
Un esecuzione di livellamento della roccia di grande rilievo anche in
considerazione del tempi in cui si è operato e del tipo di attrezzatura adoperata
(cunei, scalpelli, picconi, ecc.)



Veduta del Gornalunga

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Gli ambienti costruiti alla base della torre sul lato settentrionale, erano probabilmente gli spazi residenziali del piccolo fortilizio e costituivano un elemento di raccordo tra la struttura difensiva e gli ambienti ipogei.
La parte scavata nella roccia è quasi certamente  antecedente alla prima citazione storica del fortilizio risalente al XIV secolo.
Dopo il 1693 il complesso edilizio subì un ulteriore ampliamento a valle del torrione con la costruzione di grandi magazzini destinati alla  conservazione e trattamento dei prodotti del feudo attorniato da stalle e da modesta abitazioni rurali per il personale della ormai divenuta masserie fortificata.
Queste costruzioni in pietra locale, probabilmente sottratta alle strutture del castello, hanno subito gravissimi crolli nel 1990, il sisma del 13 dicembre, e nel 1998.
Oggi le condizioni della parte medievale e barocca sono tali che è del tutto impossibile entrare nelle parti padronali.
Fino all’inizio del secondo conflitto mondiale il castello era integro ed in discrete condizioni mentre oggi versa in drammatiche condizioni.

Sotto la strada di accesso al castello ci sono degli ambienti sicuramente più antichi del magazzino. Ambienti che presentano delle belle volte a botte con crociere e utilizzati, in tempi recenti come stalle. Ambienti che sfruttarono preesistenti ipogei. Su un architrave, se non ricordo male,  era presente un’iscrizione che riporta l’anno di costruzione degli ambienti o comunque della loro ristrutturazione: 1699.


L’ampio magazzino, indicato con la freccia, era composto da due grandi vani divisi da possenti archi. Il primo vano è accessibile da una scaletta in muratura che s’affaccia sulla strada. In questo ambiente si notava anche un grande arco murato volto a creare una separazione dai vani retrostanti. Su due stipiti, se non ricordo male, si notavano delle iscrizioni che riportavano la data di costruzione della struttura: 1709













Questo fabbricato, fino a poco tempo fa adibito a stalla, presenta degli ambienti molto antichi. All’interno si trovano infatti degli ambienti con bellissime volte a crociera e degli archi a tutto sesto. Ambienti che furono ricavati su preesistenti ipogei  che erano forse collegati, per la loro funzione, al fortilizio.








L'ingresso del magazzino baronale dalla strada


i miseri resti della casa baronale






Anche la cappella familiare costruita dopo il terremoto del 1693,  posta sulle rocce antistanti l’entrata del castello ed in una stupenda posizione panoramica, ha subito dei crolli e spoliazioni sono a mantenere solo i muri perimetrale ed il semplice portalino in pietra locale.

La Cappella sulla destra costruita dopo il terremoto del 1693















Un foto quando il fortilizio era in discrete condizioni (1966 ?)

La costruzione è sottoposta a vincoli: L. 1089/1939.
Un vero peccato che la bellissima costruzione abbia fatto questa fine..uno dei tanti castelli trecenteschi distrutti……

Visitai il fortilizio  nel 1974 circa ed allora la struttura non era nelle condizioni in cui si trova adesso. Allora era un ricovero di bovini ed ovini  e sarebbero bastati pochi interventi per cercare di salvaguardare questo importante patrimonio storico. 
la foto risale all'incirca a quel periodo.


















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