Monte San Basilio (Lentini) ...Un sito dimenticato..
Indice:
1.
Il
Sito
2.
Le
Citazioni;
3.
Gli
scavi di Paolo Orsi
4.
La Tomba del duce ignoto – La corazza
5.
Le
capanne del 2000 a.C.
6.
Gli
scavi della prof.ssa Sebastiana Laganà – Le grotte e il piccolo santuario di Demetra
7.
L’edificio sotterraneo
8.
Gli
affreschi bizantini
9.
L’edificio
sotterraneo era una cisterna ?
10. Il termine Brikinnia
11. Quando fu
distrutta Brikinnia
12. Il Feudo di San
Basilio
13. Elena Thovez a
Scordia..una donna di grande cultura. I Thovez amministratori della Ducea di
nelson
14. Scordia. I Palazzi
De Cristofaro
15. Geologia di Monte
San Basilio – i Vulcani
16. La Storia
...................................
1.
Il Sito
Lungo
la strada che da Catania conduce a Gela (SS 417), 5 km dopo la base militare di
Sigonella, sulla sinistra si nota una montagnola dalla caratteristica forma
trapezoidale che si erge isolata.
È Monte San Basilio, detto anche il “Colle
delle Colonne”, alto 223 m. s.l.m. alla cui destra si trova un’altra piccola
montagnola detta “Monte Serravalle” alto 242 m s.l.m.
Dalla
Strada Statale (SS417) (Catania Gela)
dopo aver superato la Base Militare di Sigonella, s’imbocca sulla
sinistra la Sp 69 II che attraversa la vallata.
Si
può raggiungere anche dalla Strada Statale (SS385) (Catania Palagonia). Giunti alla Stazione di Palagonia, in
corrispondenza del bivio per Scordia, proseguire per Palagonia e sulla destra
apparirà l’imbocco per la Sp 69 II.
Il Monte è posto a Nord di Scordia. ricade nel territorio del Comune di Lentini, e visto da lontano ha qualcosa di misterioso e affascinante proprio per la sua particolare configurazione trapezoidale, posto a guardia dell’immensa Piana di Catania e facente parte degli antichi “Campi Leontini”.
I suoi fianchi sono scoscesi e quasi inaccessibili e il pianoro sul colle si può raggiungere da Sud-Est e Sud-Ovest grazie ad una stradella di proprietà privata, (un tempo proprietà del barone De Cristofaro).
2. Le Citazioni
Il
colle ha attirato fin da epoca molto antica l'attenzione di viaggiatori e
studiosi di antichità per le sue vestigia imponenti.Fu
citato già nella seconda edizione delle “Decadi” del Fazello, curata da Vito
Amico (1749), con il nome di “Scordiae oppidum” e poco dopo nel
“Dizionario Topografico” di Vito Amico (1757).
Vito Amico oltre alle grotte e alle mura, ricordò con il nome di “Basilica” una grande costruzione rettangolare scavata nella roccia del pianoro alla sommità del colle, con un tetto a larghi lastroni sorretti da pilastri anch’essi ricavati dalla roccia. Il sito fu oggetto d’indagine da parte del Principe di Biscari (1781) e da J. Houel (1785).
Ignazio Vincenzo
Paternò Castello
V Principe di
Biscari
(Catania, 24 maggio 1719 – Catania,
1 settembre 1786)
Dal
"VIAGGIO PER TUTTE LE ANTICHITA’ DELLA SICILIA" DI
IGNAZIO
PATERNO’, PRINCIPE DI BISCARI, leggiamo:
Non ho potuto
rappresentare questo luogo sotterraneo-una specie di scantinato-se non
mostrando nello spaccato. La sua pianta è quadrata. Guardate A nella parte in
basso della stampa. Vi si discende da una scala B, che si scorge nell'angolo a
destra, attraverso i pilastri conclusi da elementi lapidei che sostengono
grandi pietre. Queste, imitando le travi, sorreggono delle piccole pietre che
si alternano ad esse. Molte lastre mancano, e io raffiguro l'insieme nello
stato di degrado in cui è pervenuto. C'è una grande porta, un ridotto in cui si
vedono ancora delle pitture: vi si celebrava la messa nel periodo in cui devoti
di San Basilio occupavano questo luogo. ”Ho inserito nella stampa la pianta
dell'edificio con il proposito di dare un'idea esatta della sua forma e dei
suoi dettagli: D è il posto in cui si celebrava la messa. Si vede chiaramente
un sarcofago nel luogo contrassegnato con E, la cui entrata è ricurva. Credo
tuttavia che i sarcofagi scavati nella pietra siano posteriori al tempo in cui
l'edificio fungeva da serbatoio, e che siano stati realizzati dopo la
trasformazione in chiesa. Sono convinto che l'edificio fosse in origine una
magnifica cisterna; ma ciò non deve stupire: gli antichi amavano dare a tutto
ciò che creavano delle belle forme e sapevano abbinare la solidità al buon
gusto. Alla base di questa montagna si ritrovano ancora delle vaste grotte, di
cui una parte è adibita a sepolcri. Ciò prova che questo era il sito di una
città. Lo testimoniano le dimore appena descritte che, presenti sulla cima
della montagna, ne costituivano la parte principale.”
« Questi
resti rappresentano un bellissimo edificio di cui tutto ignoto, persino il nome.
L'edificio delle strutture che lo circondano
non potevano essere che
la residenza di
signori nobili e benestanti.”
Riportò
anche la presenza di numerose cisterne..“Montagna
vulcanica e isolata.. con resti di bellissime abitazioni, cisterne
e grotte usate
come tombe......quattro
o cinque cisterne
o serbatoi degni
di essere citati per la loro grandezza e profondità”
Quella
che io presenti convincerà per la bellezza della sua costruzione che l’edificio
per il quale essa fu fatta, con tante cure e spese, non poteva essere che un
edificio considerevole; cosa che è ancora attestata da grotte, tagliate in una
roccia calcarea prodotta da depositi marini.. per porvi delle tombe”.
Bellissimi disegni
di Houel che si trovano in gran parte
all’Hermitage a
San Pietroburgo
Jean-Pierre Houël
Nel 1861 il Sacerdote Mario De Mauro, un erudito
locale, pubblicò quello che si potrebbe definire come il primo studio sulla
storia del sito. Uno studio molto accurato, accompagnato anche da importanti
disegni. che ricopriva tutti gli aspetti dell’area: archeologico, geologico,
storico, antropico...
3. Gli Scavi di Paolo Orsi
Alla fine del secolo scorso il famoso archeologo Paolo
Orsi avviò degli scavi archeologici ed esattamente nel 1899 e nel 1922- 24.
Dal
punto di vista topografico nel descrivere la zona archeologica in merito
al monte scrisse:la formazione del
colle visto da Sud-Est è quella di un trapezio, mentre in planimetria
è una cornucopia
colla bocca a Sud e la punta a Nord-Est.......
il colle è formato
per metà da un sollevamento calcareo interposto tra due
masse basaltiche.
I suoi fianchi sono quindi scoscesi, quasi inaccessibili per
enormi scarpate,
coronate da piccole serie frastagliate.
Vi si accede meno
a disagio da Sud-Est e Sud-Ovest per due viottoli che
salgono per uno
sperone proteso; da tutti gli altri lati, specialmente
da Nord e
Nord-Ovest è assai faticosamente inaccessibile, quasi impossibile poi
di forza o di
inganno. Di lassopra, magnifica vista sul versante Sud
dell’Etna, su tutta
la Piana di Catania, sul centro della Sicilia sino
a Castrogiovanni e
sul bacino di Lentini.
Il luogo era assai
acconcio per un luogo di osservazione e per una
piccola fortezza
che al Monte Serravalle il quale sta a sinistra,
sé più basso, e
quindi il S, Basilio resta isolato e fortissimo”.
Il
luogo per le ricerche archeologiche presentava delle gravi difficoltà legate
non solo alla natura topografica del terreno ma anche all’accessibilità nella
zona di studio, tanto che lo stesso Orsi
definì la campagna di scavi come
Una disgraziata
compagna topografica più che uno scavo;
il quale mi venne
impedito dalla diffidenza e malafede degli uni, e dalla ignoranza degli altri”.
la formazione del
colle visto da Sud-Est è quella di un trapezio, mentre in planimetria
è una cornucopia
colla bocca a Sud e la punta a Nord-Est.......
il colle è formato
per metà da un sollevamento calcareo interposto tra due
masse basaltiche.
I suoi fianchi sono quindi scoscesi, quasi inaccessibili per
enormi scarpate,
coronate da piccole serie frastagliate.
Vi si accede meno
a disagio da Sud-Est e Sud-Ovest per due viottoli che
salgono per uno
sperone proteso; da tutti gli altri lati, specialmente
da Nord e
Nord-Ovest è assai faticosamente inaccessibile, quasi impossibile poi
di forza o di
inganno. Di lassopra, magnifica vista sul versante Sud
dell’Etna, su tutta
la Piana di Catania, sul centro della Sicilia sino
a Castrogiovanni e
sul bacino di Lentini.
Il luogo era assai
acconcio per un luogo di osservazione e per una
piccola fortezza
che al Monte Serravalle il quale sta a sinistra,
sé più basso, e
quindi il S, Basilio resta isolato e fortissimo”.
Il
luogo per le ricerche archeologiche presentava delle gravi difficoltà legate
non solo alla natura topografica del terreno ma anche all’accessibilità nella
zona di studio, tanto che lo stesso Orsi
definì la campagna di scavi come
il quale mi venne impedito dalla diffidenza e malafede degli uni, e dalla ignoranza degli altri”.
Le sue importanti ricerche rilevarono diverse fasi di vita del sito:
Gli scavi rilevarono quindi una continuità di vita molto ampia e decisamente importanti furono anche i rinvenimenti della cinta muraria e della costruzione sotterranea a pilastri.
La cinta muraria scoperta dall’Orsi si sviluppava
lungo il limite Ovest del pianoro ed aveva al centro un passaggio, un ingresso.
Costruita con grandi blocchi regolarmente squadrati e collocati con una tecnica
simile a quella di Leontinoi.
L’attenzione dell’ Orsi fu rivolta allo studio della
grande costruzione sotterranea, scavata magistralmente nella roccia, costituita
da una grande sala rettangolare, (18 x 16) m con ben trenta pilastri, anch’essi
ricavati nella roccia, con scala d’accesso e copertura realizzata con grandi
lastroni della stessa pietra calcarea.
Una
costruzione unica in Sicilia e che trova dei confronti con altre interessanti costruzioni
presenti in aree che si affacciano nel Mediterraneo.
Paestum
tra il tempio di Nettuno e il tempo noto come Basilica, nel santuario
meridionale di Paestum. Questa galleria era nota sin dall’Ottocento ed è
accessibile attraverso quattro pozzi. Ha una lunghezza di circa 50 m ed è percorribile
(al momento, per motivi di sicurezza, solo da tecnici addetti allo studio della struttura).
La presenza di malta idraulica, che riveste interamente le pareti della struttura,
lasciano ipotizzare la possibilità che sia stata usata nell’antichità come cisterna.
“A Paestum l’approvvigionamento delle acque rappresentava una criticità – spiega il direttore del Parco archeologico, Gabriel Zuchtriegel - l'acqua del Capodifiume era malsana e i pozzi non risolvevano il problema perché l’acqua di falda tendeva
Come sottolinea il funzionario archeologo del Parco, Francesco Scelza, la posizione della cisterna all’interno del grande santuario urbano della città antica non è casuale:
“Nei riti antichi, l’acqua giocava un ruolo fondamentale, anche se, spesso, non è facile distinguerne un uso cultuale da un uso corrente. La cisterna ipogeica del santuario meridionale di Paestum era nota già dai primissimi scavi dell’inizio del ‘900 ma finora è stata esplorata solo in parte”.
È un monumento che come pochi altri illustra come i templi fossero parte di una società, di un’economia e di una vita quotidiana nella quale la gestione delle acque rivestiva un ruolo centrale, dalla bonifica della piana da parte dei coloni greci fino all’impaludamento nell’Alto Medioevo. La storia di Poseidonia, come abbiamo raccontato in una mostra recente su archeologia e cambiamenti climatici, è anche la storia del rapporto tra la comunità e l’acqua”.
Sono state rilevati nella struttura anche dei graffiti che i viaggiatori
dell’ottocento e del Novecento hanno lasciato sulle pareti della galleria,
alcuni sono anche datati. Il più antico risalirebbe al 1855.
.....................
Cisterna di Qormi
(Malta) ?
.........................
Cisterna di Thera
(Santorini) – Grecia
...........................
Basilica Sommersa
di Istanbul (527 d.C.)
La Cisterna
Basilica (Yerebatan Sarnıcı) (Cisterna sommersa o palazzo sommerso “Yerebatan
Sarayı” è la più grande cisterna ancora conservata ad Istanbul.
Fu scoperta sul
finire del XX secolo e fu costruita dall’imperatore Giustiniano I
nel 532. Uno
spazio sotterraneo di (140 x 70)m con dodici file di 28 colonne alte
9 metri e distanti
tra loro 4,90 m. i capitelli sono in parte ionici, in parte corinzi
e con qualche
presenza di stile dorico. Sono presenti anche delle colonne
con capitelli non
decorati. Questa diversità artistica di
decorazione
dimostra come le
colonne furono prelevate da altri templi andati forse distrutti.
I muri perimetrale
sono in mattoni e presentano uno spessore di 4 metri e
le pareti sono
rivestite con malta impermeabile.
Una cisterna che
era alimentata dall’acquedotto di Valente, uno dei più
lunghi della
romanità che portava acqua fin dalla foresta di Belgrado.
Poteva contenere
fino a 80 milioni di litri d’acqua.
È visitabile ed in
ottimo stato conservativo tanto che nello strato d’acqua
vivono numerosi
pesci.
Cisterna di El
Jadida in Marocco (XV secolo)
Una sala che fu forse utilizzata in origine come arsenale e magazzino e successivamente
trasformata in cisterna. Costruita all’interno di un elegante edificio, è costituita da
una grande sala quadrata di 34 mq e sostenuta da cinque campate di colonne
e pilastri. Al centro un apertura, sopra ad un bacino, lascia filtrare
della luce che riflette nell’acqua stagnante le colonne e le volte
creando uno spettacolo magico ed irreale.
...........................
La Piscina di Siracusa
Piscina (?) di
Siracusa che citerò più avanti.
...............................
4. La Tomba del Duce Ignoto
L’Orsi
continuò negli scavi e riportò alla luce una tomba che chiamò “Tomba del
Duce Ignoto”..
Altre
fonti citano invece la tomba presente all’interno della struttura sotterranea.
Comunque
nel suo quaderno di scavi l’archeologo riportò il momento emozionante dell’apertura
della tomba:
Sulla scarpata orientale del colle gli abitanti di Brikinnia avevano installata la loro necropoli
[…]. Fu in questo punto che il giorno 13 maggio u. s. alla presenza di Donna Maria De Cristofaro si procedette allo scoprimento del Sepolcro del Duce Ignoto,
come io ho voluto fosse chiamato.
Pendici orientale
del Colle San Basilio.
(In rosso le
tracce del muro di cinta orientale del pianoro)
Dentro
la tomba trovò un’Armatura di Bronzo che è conservata nel bellissimo e
importante Museo Archeologico Regionale “ Paolo Orsi” di Siracusa.
Oltre
alla corazza furono rinvenuti un cinturione e alcune punte di lancia.
Fu
rinvenuta nel 1922 ed è un tipo di
corazza anatomica di bronzo, tagliata all’altezza dell’ombelico, che era molto diffuso nell’area italica (in
particolare in Campania e Lucania) nel IV secolo a.C..Per
questo motivo fu avanzata l’ipotesi che potesse appartenere ad un mercenario campano
o lucano che venne sepolto nella struttura sotterranea verso la seconda metà
del IV secolo a.C.... dopo il 350 a.C.,,,,,, oltre 2300 anni fa....Il
suo corredo funerario era molto ricco perché oltre alla corazza erano presenti: un cinturone italico a fascia liscia in
lamina di bronzo “con ganci a corpo di cicala e terminanti a punta di
freccia”, delle lance di cui si sono trovate le punte e una daga ricurva di
ferro e che solitamente è in dotazione alla cavalleria.Oltre
a questi reperti, di chiara espressione militare, c’erano: una “brocchetta
spargisabbia” in vernice nera; uno
strigile, raschiatoio incurvato di bronzo, che serviva a detergere il corpo da
sabbia, pomice e sudore; un’anfora a figure rosse di produzione siceliota in
cui era raffigurato il colloquio tra una donna ed un atleta, testimonianza
dell’adesione del defunto agli ideali dei giochi degli atleti greci.Chi
era questo guerriero del IV secolo a.C.? Un cavaliere capano o lucano giunto in
Sicilia e comandante della piazzaforte militare sul Monte San Basilio ?Forse
non lo sapremo mai... il suo nome è purtroppo scomparso nel nulla...
Il corredo
funerario della “Tomba del Duce”
Cinturone –
Strigile – Piastre Quadrangolari in bronzo
Sostegno di
Lucerna – Spada – Frammenti di Lance e Pugnali in ferro
Myke – Brocchetta
“spargisabbia” baccellata – Boccaletto baccellato
Lucerna – (Tutti i
reperti sono a vernice nera)
Anfora Siceliota
del Pittore di Lentini
(Dalla “Tomba del
Duce” – Tomba N. 5 (?) –
Contrada “Fossa” –
Monte Casale di San Basilio
Numero Inventario
; 42853)
Il Pittore di
Lentini fu attivo durante gli ultimi due
quarti del IV secolo a.C.
Decorò molti
lebeti nuziali, lekanines e anfore. Il soggetto preferito era
costituito dagli
eroti associati a delle donne sedute che avevano la
parte superiore
del corpo scoperta. Le donne hanno i capelli raccolti in
sakkos
sopradipinti di bianco. Sullo sfondo compaiono spesso
rosette, puntini e
grappoli, un artista che si distacca dai modelli attici
che erano
presenti nella ceramica di produzione
proto-siceliota.
5. Le Capanne del 2000 a.C.
L’Orsi
mise in risalto come il centro avesse avuto
una notevole consistenza già nella prima età del bronzo (agli inizi del
secondo millennio a.C.) continuando a fiorire nelle epoche successive .
Le
capanne rivenute dall’Orsi furono datate al “Siculo I” corrispondente cioè
all’ultima fase castellucciana. Di una delle capanne l’archeologo trovò “
metà del muro perimetrale piantato sopra uno spianamento di roccia vulcanica
decomposta, con un’asse interno di 6,27
metri... a ridosso della capanna era una specie di abside o cortiletto”.
Area del
Castellaccio di Lentini, Paolo Orsi, R Carta, R Santapaola
Fu proprio
l’archeologo Paolo Orsi che pose le basi scientifiche per
lo studio delle
popolazioni indigene della Sicilia. Sulla base dei dati raccolti
nei sepolcri e nei
riti funebri, l’Orsi considerò tutte le popolazioni preistoriche
della Sicilia come
facenti parte di un’unica entità culturale ed etnica.
Distinse quattro
fasi della cultura preistorica della Sicilia:
Periodo
Litico (Presiculo) : Palazzolo Acreide; mura di Dionisio;
Santa Panagia; Tremilia; Cava del Filosofo, presso l’Epipole; Stazione
neolitica di Stentinello;
Rinvenimenti:
asce basaltiche, grotte naturali ad uso di abitazione umana, coltelli di
silice, coltelli di ossidiana, schegge, resti di ossa di bruti, selci lavorate,
avanzi di pasti e dell'industria
1º Periodo Siculo (età del rame e prima età del
bronzo):
Necropoli di Melilli, Necropoli di Bernardina, Cava
della Signora (Castelluccio), Scarichi del villaggio siculo di Castelluccio,
Cava della Secchiera.
Rinvenimenti: coltelli di selce, ciottoletti forati ad
uso di pendaglio, grotte a forno, scarso il bronzo, vasi mal cotti non torniti,
cadaveri accoccolati scarniti, lame di selce presso i cadaveri, vasi nelle
celle, potori cilindrici, calice a doppio manico, ossa ridotte ad utensili
domestici, vasi mono e bicromici, rare anse, decorazione geometrica elementare
2º Periodo Siculo (età del bronzo):
Necropoli del Plemmirio, Necropoli
del Molinello, Necropoli di Cozzo del Pantano, Tomba di Milocca, Necropoli di
Pantalica, Necropoli di Thapsos.
Rinvenimenti: modificazioni delle
tombe a forno che diventano piccoli tholoi, bronzo, ceramica né a tornio né a
forno, decorazioni a stecco, vasi a calice, a decorazione geometrica; tecnica
grezza, tende a scomparire l'antica pittura vascolare
3º Periodo Siculo
(età del Ferro)
Necropoli di
Tremenzano, Necropoli del Finocchito
Rinvenimenti:
cadaveri distesi, non rannicchiati, lame di bronzo, pugnaletti di bronzo, tombe
a forme rettangolari, asce o scalpelli di ferro, scarabei, scomparso lo
scarnimento, Industria ceramica locale coesistente con quella straniera (vasi
proto ellenici siculi)
Anche
se non conosciamo l’estensione vera del villaggio castellucciano, del quale
l’Orsi individuò solo qualche capanna posta sul pendio Nord-Orientale del
colle, si può supporre che avesse una notevole consistenza, dato il numero
ragguardevole di frammenti ceramici e di piccoli oggetti di selce e ossidiana
sparsi sul terreno del colle e in particolare
nella zona Nord.Nello
strato soprastante una capanna sicula, l’archeologo rinvenne quattro grandi
anfore di forma globulare alte 55 cm;
incuneate con quale zeppa di pietra. Dalla presenza di resti di ossa
cremate nel fondo di una di esse, l’Orsi trasse la conclusione che fossero
state usate come urne cinerarie. Si
ritiene che il villaggio preistorico sia stato in parte cancellato dagli
insediamenti successivi, com’è avvenuto nella punta Nord-Orientale, dove fu
scoperta successivamente un unità abitativa medievale.
L’Orsi
riportò nel suo quaderno degli scavi in merito alle pendici orientali del
Monte:la pendice
orientale del monte formante un rampante di detriti
contiene la
necropoli ellenistica e poco sotto di essa un profondo vallone,
squarciatura delle
rocce vulcaniche, formava con la fossa naturale di esso;
sul lembo superiore
di questo, cercando in un ripiano di sepolcri greci,
ci siamo imbattuti
in detriti di vita Sic. I”.
Alla
base della parete del “profondo vallone, squarciatura delle rocce vulcaniche”,
s’apriva una breve galleria a sezione trapezoidale dalla quale sgorgava una
piccola sorgente “d’acqua bevibile che alimentava una macchia di verde, tra cui
un albero di fico, elemento botanico insolito in una zona così arida.
Questa
sorgente ere probabilmente utilizzata sia in epoca greca che preistorica dalle genti
che vivevano sul pianoro.
Forse
la sorgente subì, con la costruzione della piccola galleria, l’intervento
greco.
Durante
la ricognizione delle basse pendici del monte, l’Orsi non escluse che la
necropoli greco arcaica del VI – V secolo, soprastante l’insediamento Siculo I
del Bronzo inziale, possa essere stata distrutta da precedenti “ricercatori”
(tombaroli).
L’archeologo
era impegnato nel liberare la capanna dai detriti e rinviò la ricerca della
necropoli greca dove erano presenti delle sepolture per bambini posti dentro
delle anfore.
Molti
erano i detriti di vita risalenti al periodo Siculo I.
Nel
1922 furono ripresi dallo stesso Paolo Orsi le ricerche archeologiche sul sito.
“Tutta
l’area che doveva comprendere il villaggio “castellucciano” era stravolto
dall’azione di macchine escavatrici. Lunghi e profondi camminamenti, a mo’ di
trincea, erano stati realizzati evidentemente da altri “ricercatori”, proprio
alla ricerca di materiale greco, e forse non solo greco, da trasferire ai
mercati clandestini.È
certo comunque che una massa di materiali preistorici, litici e fittili, di
poco o nullo interesse per gli scavatori, fu abbandonata sul posto.Un
discreto campionario di tali materiali, attribuibili al Bronzo antico, furono
recuperati e sottoposti a studio. Si tratta di due frammenti di corni fittili
“votivi”, di strumenti di basalto, di selce e di numersi frammenti di vasi di
ceramica decorati secondo lo stile “castelluciciano” definito nella Sicilia
Occidentale”.
Basalti
Industria litica (Selce)
Industria litica
Il
grande studioso, grazie alle sue scoperte, si propose di continuare le ricerche
sperando di riuscire a riconoscere e ad identificare, in quelle testimonianze,
l’antica Brikinnia che era citata dalle fonti storiche. Il suo tentativo fu
vano perché non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi.Le
indagini archeologiche sul monte finirono e furono riprese nel 1980 grazie alla
Soprintendenza Archeologica di Siracusa che affidò le ricerche all’Istituto
d’Archeologia dell’Università di Catania con la direzione della Prof.ssa Sebastiana Lagona.
6. Gli Scavi sotto la direzione della Prof.ssa Sebastiana Lagona
Il sito
veniva studiato da un altro grande
esponente dell’Archeologia.
Era Professoressa
Emerita dell'Università degli Studi di Catania,
dove ha insegnato
per oltre trent'anni Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana
e Topografia
antica. Gli interessi scientifici di Sebastiana Lagona furono rivolti
soprattutto
alla Sicilia e al Sud
Italia (con le ricerche nel territorio di Caltanissetta, Lentini,
Scordia e Cosenza)
e alla Turchia (con gli scavi della Missione archeologica italiana a Iasos e a Kyme).
Gli
scavi furono avviati grazie ai finanziamenti del M.P.I e del C.N.R e con
piccoli importanti contributi dei Comuni di Lentini e Carlentini. Le indagini
confermarono l’esistenza delle fasi che erano state individuate dall’Orsi e
furono riportate alla luce nuove costruzioni con l’acquisizione d’importanti
dati.Della
cinta muraria individuata dall’Orsi e datata al VI secolo a.C., si conosceva un
lungo tratto che seguiva il limite del
costone rocciose, posto ad Ovest del pianoro, e con un apertura in
corrispondenza del punto vicino alla costruzione sotterranea. Si operò uno
scavo sul limite Est del pianoro riportando alla luce un tratto di muro
con un ingresso in corrispondenza di una stradella che saliva, con un andamento
molto tortuoso a “zig-zag” dal pendio. Le
ricerche permisero anche di stabilire come la cinta, costruita tra la fine del
VI e gli inizi del V secolo a.C.. fu oggetto di una ricostruzione nel IV secolo
a.C.La
cinta, conservata per più tratti, recingeva tutta la collina. Il tratto meglio
conservato è quello Sud – Ovest, quasi rettilineo e lungo circa 65 m. di esso rimangono per buona parte quattro
filari di blocchi; all’estremità settentrionale di questo tratto, notiamo
all’esterno, un breve muro lungo poco meno di 3 metri, in corrispondenza di un
apertura della cinta stessa da cui dista appena un metro e la cui funzione
probabilmente era quella di difendere l’ingresso. Il
muro è stato rimaneggiato in età moderna, si attende un’ulteriore scavo per
definire il sistema di difesa della porta, che dall’esterno sembra avere una
costruzione quadrata (torre).Muro
alto forse già in origine mentre il tratto Nord -Ovest, rimasto per circa 35 m
e rovinato per l’asportazione dei blocchi.. presenta un solo filare di blocchi in vista. A
Nord il pianoro era difeso da una scarpata ripidissima e quindi di accesso
impossibile mentre a Sud si notano una serie di blocchi sparsi sul pendio
(franati sia per cause naturali che per l’azione dell’uomo... i famosi
“tombaroli” che hanno agito anche con ruspe) e tracce di una torretta impianta su di un tratto di roccia sporgente sulla scarpata con
il piano livellato.
La
tecnica di costruzione del muro di cinta era
quella a paramento esterno a grossi blocchi non molto regolari e con
riempimento interno, abbastanza comune nella Sicilia Greca.
I
grossi blocchi di arenaria dovevano provenire dalle cave situate sul monte
Serravalle e in contrada Castellana,
tutte relativamente vicine.
La
stessa tecnica del taglio dei blocchi presenta
il grandioso monumento sotterraneo che l’Orsi indicava come una
cisterna.
La base del muro di cinta
Canale di drenaggio delle mura di cintaUn
ulteriore scavo eseguito sul limite Ovest del pianoro permise di portare alla
luce un piccolo santuario rupestre e una capanna preistorica.
Il
piccolo santuario era costituito da due grandi grotte scavate nella
roccia e da una serie di muri, costruiti con grossi blocchi di arenaria o
ricavati dalla rocca. In quest’ultimo caso i blocchi erano simulati con
incisioni sulla roccia stessa , al centro era presente una specie di altare
rettangolare, anch’esso ricavato nella roccia con una gradinata dal lato Sud.
Furono
rinvenuti dei reperti in gran parte costituiti da lucerne, statuette di
terracotta che erano riconducibili al culto di divinità, forse Demetra. Un
santuario probabilmente legato alla
costruzione sotterranea che si raggiunge attraverso un apertura posta in una
delle grotte del santuario. Un’apertura forse ricavata in epoca moderna per
ricovero di animali ?
Nell’edificio la prof.
ssa Lagona non eseguì nessun saggio
perchè la copertura del locale era in cattive condizioni strutturali e c’erano quindi dei
rischi di crolli. A quando sembra nell’edificio furono poi eseguiti dei lavori
consolidamento ma non ho notizie in merito a successive indagine archeologiche
Nell’area
del santuario gli scavi permisero di riportare alla luce anche una capanna preistorica per il rinvenimento di una
serie di buchi per l’inserzione di pali che ne indicavano il perimetro. Un’area
della capanna piuttosto piccola e da collegare alla fase di Castelluccio e
quindi collegate, per il periodo temporale, a quelle che furono rinvenute
dall’Orsi.Nei
presso della capanna fu trovata una
tomba, con uno scheletro rannicchiato, e con un coperchio in pietra,
Altra
zona ricca di reperti, forse sconosciuta all’Orsi, fu identificata a circa 300
m a sinistra di chi osserva il Monte da est ed interrotta dallo strapiombo. Si
tratta di una spianata simile a quella che l’Orsi trovò sulle pendici orientali
del Monte.
I
tombaroli rivolti alla ricerca di
un'altra necropoli greca da saccheggiare, scavarono nel piccolo strato di humus
creando delle piccole aree d’assaggio. I molti materiali fittili del Bronzo
antico, mancavano quelli d’età classica, furono recuperati e sottoposti a
studio.
Tra
i reperti fittili furono recuperati:
Boccale
(frammentario)
Corpo
globulare a profilo convesso, collo cilindrico a profilo leggermente concavo,
orlo con bordo molto assottigliato, fondo piatto leggermente convesso.
Probabile ansa a nastro verticale, ad orecchio, impostata sul corpo e
sopraelevata sull’orlo da cui si parte.
Decorazione
dipinta in bruno, molto vivace e ben conservata. Sotto l’orlo, banda
orizzontale interne ed esterna; lungo l’attacco del collo, altra banda
orizzontale. Sul collo, fasci di quattro linee disposte a zig-zag; sul corpo, fasci di sette o otto
linee, verticali, convergenti sul fondo, alternate ad una linea verticale che
si sviluppa a zig-zag.
Sotto
l’orlo, all’interno, in corrispondenza del punto d’attacco dell’ansa, due fasci
residui di tre linee verticali legate da due linee residue orizzontali.
Superficie
ingobbiata color camoscio rosato ed impasto rosso chiaro.
Pisside
(frammentaria)
Corpo
ovoidale a profilo convesso, su piccolo piede tronco-conico, cavo all’interno,
orlo indefinibile. Due anse a nastro verticale, contrapposte, indefinibili, ma probabilmente
ad anello, e due bugne ellissoidali contrapposte, impostate verticalmente sul
corpo.
Decorazione dipinta in bruno, ben conservata. Sul corpo,
fasci di tre linee che s’incrociano obliquamente, èresumibilmente sull’orlo, e
fino a una banda orizzntale che divide il piede del corpo; intercalate linee
doppie a zig-zag, verticali.
Le bugne dono delimitate da due bande laterali campite con
linee contrapposte a zig-zag.
Sempre dalla banda mediana, fasci di tre o quattro linee
verticali dirette verso la base.
Ingobbiatura di color camoscio rosato, con chiazze più rosse.
Impasto rosso chiaro.
Coppa Fruttifera su alto piede (frammentaria)
Bacino tronco conico a profilo quasi dritto, su piede troncop
conico cavo all’interno. Orlo indefinibile. Due anse a nastro verticale,
contrapposte, impostate sul bacino e sul piede. Decorazione dipinta in bruno,
ben conservata. Sul frammento residuo del bacino nessuna decorazione.
Banda orizzontale che divide il bacino dal piede, per metà
realizzata con due linee adiacenti e per metà con una sola linea. Fasci di due
linee o tre linee che si partono dalla banda e formano motivo a zig-zag. Sulle
anse, bande che le delimitano unite da segmenti orizzontali.
Superrficie ingobbiata rosso chioaro con larghe chiazze color
camoscio. Impasto rosso chiaro.
...........................
Sul
pendio orientale vennero alla luce due complessi medievali
costruiti adattando muri in pietra a grotte scavate nella roccia.Particolarmente
interessante era l’edificio posto nella zona più orientale del pianoro. Un
edificio costruito con una tecnica a piccoli blocchi davanti a due grandi
grotte riutilizzate in epoche recenti.L’unità
abitativa, forse familiare e produttiva di un insediamento feudale, era costituito da una serie di ambienti
disposti ad U intorno ad un cortile con piano di roccia ed con il focolare posto nell’angolo Nord,
vicino all’ingresso della grotta maggiore. Era probabilmente coperto da una
tettoia a tegole retta da pali. Una porta, piuttosto larga consentiva
l’ingresso alla grande grotta.I
materiali rinvenuti confermerebbero la data temporale dell’insediamento feudale
da collocare ai secoli XII – XIII. Un insediamento costituito da piccoli nuclei
che sfruttavano le risorse agricole della fertile pianura sottostante.
.........................
Le Cavità Rupestri
Ad
Est del pianoro, dove gli strati di calcare hanno una maggiore profondità, le
grotte sono disposte a quattro ordini sovrapposti ed hanno un perimetro
quadrato.Gli
antichi lastroni di roccia che costituivano le volte delle grotte, a causa di
fattori fisici (il peso proprio); chimici (la reazione del calcare a contatto
dell'acqua e degli altri agenti meteorologici); ambientali (gli scavi
clandestini che hanno interessato l'intera superficie delle grotte); già nel
1840 erano precipitati finendo con l'ostruire gli ingressi.Comunque
si può osservare, ancora oggi, come molte grotte siano in comunicazione tra di
loro per mezzo di buche e di porte ricavate dalla viva roccia.Nelle
pareti si possono notare piccoli incassi in cui venivano collocati le piccole
statuette votive, i lucernari o i vari utensili.Sulle
pareti sono visibili i buchi per l'inserzione di legni necessari per sorreggere
un controsoffitto.In
qualche grotta si trovano le tracce di antichi sarcofagi a dimostrazione di
come queste antiche abitazioni trogloditiche siano state successivamente usate
per collocarvi i defunti, forse nel periodo in cui la città cominciò a
spopolarsi mostrando i segni di una progressiva decadenza.
Il De Mauro (nel 1861) citò
come il terreno era sparso di frantumi di crete, di mattoni con marchi,
di lucerne, patere, lacrimatoi, anfore, idrie, vasetti d’acqua lustrate,
idoletti e testine d’argilla, ecc..
tutto matertiale ridotto in “pezzi...” per la ricerca di qualche reperto ancora
più prezioso.....
7. L’Edificio Sotterraneo
Pianta
dell’edificio
Ingresso
del sotterraneo
“Offre la divisione di sette scuole a chi stassi colla
faccia a Nord, e quella di sei a chi tiene il Sud a destra e il Nord a
sinistra. La sua volta è di enormi massi riquadrati strettamente tra di loro
congiunti, è sostenuta da trenta pilastri, composti di più riquadrati massi,
terminanti in cima per una specie di capitello di altrettanti intagli che vi
stanno a guisa di martello e attaccansi alla volta di cui son l’estremo
sostegno.
La campate dell'edificio“il
visitatore scenderà per comoda scala; vedrà uno scavo maestrevolmente eseguito
nella viva roccia. Il suo vano totale è di 9 canne siciliane (18,56
m), e
largo 7 e due palmi (14,94 m) ed alto
22 palmi circa (5,67 m).E’
coperto tutto questo vano da un gran palco sostenuto da 30 pilastri, ciascun
pilastro è formato di tre sole pietre; due meno grandi, che sono la inferiore
e la superiore di quattro palmi ogn’una (1,03 m): e
palmi dieci quella di
mezzo (2,77 m); conservandosi in tutti i pilastri la medesima
disposizione. Sopra
questi posa a traverso un’altra pietra, che per così dire forma il capitello,
lunga palmi 7 (1,80 m), che serve per stringere il vano tra pilastro e
pilastro; e sopra queste corre una catena di smili sassi, che formano un lungo
architrave sopra ciascuna pilastrata; che in numero di sei dividono la
Piscina in sette navate, larga ciascina palmi sette.
In realtà il pilastro è formato da tre pietre di cui l’ultima
superiore funge anche da capitello.Sul capitello
poggia la trave copstituita da diversi conci. Le tre pietre (inferiore, mediana
e superiore) non sempre presentano la stessa misura per tipologia di ubicazioneLa metà della lunghezza della prima di queste navate è occupata
da larga scala, che dava il comodo d’attingere l’acqua; la quale è larga pami
dieci (2,57 m), formata di 27 scalini, l’ulitmo de’ quali resta
quasi 4 palmi (1,03 m) sopra il pavimento. Sebbene la navata non sia più
larga di palmi sette (1,80 m), la scala però è di palmi dieci (2,57
m), essendo i 3 palmi (0,77 m) incavati
nel lato corrispondente.
Dalla parte opposta alla scala vi sono della stessa fattura
due piccole stanze, o vani, larghe palmi
10 (2,57 m), e lunghe 12 (3,09 m); in una delle quali a
pain terreno si osserva come una Tomba lunga palmi 8 e 4 larga ( 2,06 x 103 )m
Secondo lo storico De Mauro si tratterebbe di una tomba
similie a quelle rinvenute nelle catacombe di Siracusa destinate ai cadaveri
dei Cristiani.
La volta, o per meglio dire, il solare, che cuopre questo
monumento, è tutto formato d’intere pietre di eguale misura: sono queste di palmi 9 di lunghezza (2,32
m), e 2 di grossezza (0,52 m), ben lavorate da tutti i lati. Riposano
queste sopra i sottoposti architravi che hanno palmi due di largezza (0,52
m); in maniera che situati perfettamente l’una, accosto all’altra, posando
un palmo (0,26 m) per testa sopra l’architrave sudetto, ed attestando un
ordine coll’altro cuoprono i 7 palmi (1,80 m)
delle navate, formando estesissimo palco”. (Vi sono conci di copertura anche con le
seguenti misure:
palmi nove ed once sei di lunghezza = 2,44
m
palmi quattro ed once quattro di larghezza = 1,12
m
una
canna = 2,062 m
un
palmo (“parmu sicilianu”) = 25,775 cm
uoncia
(“unza liniari”) = 1,1479 cm
Si
notano le colonne costituite da due blocchi di notevoli dimensioni più
il
capitello, anch’esso un blocco di arenaria posto di testa, su cui appoggia
la
trave per l’impostazione della copertura.
“nelle pareti di Est veggonsi incavate due cellette
quadrate che van gardo grado rastremandosi in su, ed indicano di essere i
luoghi destinati alle vasche ove effettuarsi i bagni. Un aquidotto incavato
pure nel vivo calcario, dolcemente declina dalla parte del Sud e profondesi nel bagno allato alla scala
intagliatavavi nel masso perché vi si scendesse comodamente. Di altro non
difetta per dirsi intatto questo monumento, che di talini massi nel fondo
caduti alla volta. Ci duole che l’ignoranza, l’incuria, o il niun attaccamento
alle memorie illustri che rilevano la civiltà e la possanza de’ nostri
maggiori, lo hano lasciato, per lungo volgere di anni, ingombro di ortiche,
sanni, renischio, avanzume di muricce e macerie. Gli antiquarj che si snon
accinti a dir qualcosa del S. Basilio, sonosi con particolarità attenuti a far
cenno, o descrivere e dare importanza ad un tal vetusto monumento di non
ordinaria architettura.De Burigny ci ha detto: Sono osservabili sul colle di S.
Basilio le rovine del Casale dello stesso nome, che non più sussisteva nel
tempo de’ Normanni. V’è da congetturare, che fosse stato popolatissimo. Il sito
ne è molto ameno, vi si scorge a mezzodì il Lago di Leontini, e dall’altro lato
l’ampia pianura di Catania. gli avanzi di un sacro tempio ne accennano la
magnificenza”
Al tempo degli studi operati dal prete De Mauro, fu il grande
zelo dell’arciprete De Cristofaro nel fare pulire, a sue spese, il prestigioso nonumento mettendo “in
veduta il fondo del monumento in parola”.
L’archeologo Winkelmann
invitava gli antiquarj a procedere nelle loro
ricerche..” quanto ci rimane di antico tutto può divenire
utile sol
che si prenda nei suoi giusti rapporti, sol che lo esamini un
occhio intelligente”.
La costruzione è quindi scavata nella roccia e i blocchi che
costituiscono le travi e i pilastri hanno una tecnica di taglio che è simile a
quella dei conci dei muri di cinta.
Il monumento nel
passato fu oggetto d’interventi di restauro da parte della Sovrintendenza ma
furono bloccati per motivi di natura giudiziaria. se non ricordo male un
operaio morì per un incidente sul lavoro. I blocchi numerati restarono sparsi
sul pianoro perché la struttura fu messa sotto sequestro dall’A.G. ma non ai
tombaroli che continuarono i loro lavori di “ricerca....”
Il monumento fu utilizzato in epoca bizantina come sede di una chiesa cristiana come
d’altra parte testimonierebbero i resti di affreschi ormai andati perduti.
Come riportà lo storico De Mauro fino al 1837 gli affreschi
erano ancora in buone condizioni.
Il’edificio fu poi adibito a ricovero di intere famiglie che
“per paura di contrarre il colera, morbo africano, si rifugiarono nelle
grotte del Casale. Fu allora che l’inciviltà delle persone si scatenò sulle
sacre immagini”.
8. Gli Affreschi Bizantini
Lo
storico De Mauro vide quegli affreschi e li riportò nella sua descrizione del
sito.In
merito al Crocifisso riferì che “alcuni feroci superstizioni, per strano
consiglio, non so da chi suggerito..” di avere la possibilità di prendere
gli “occulti tesori del Casale” dopo aver dato sette colpi di “coltello a
quella immagine di Crocifisso”... L’Immagine
fu colpita e arrecarono “l’intero guasto non a questa soltanto, ma a tutti
gli affreschi del bagno...”. affreschi che erano esposti a levante..L’immagine
di Maria con il Bambino in gremboL’ingenua e così
soave figura del Bambino in grembo alla Vergine MadreL’immagine
degli Apostoli Pietro e Paolo, del Salvatore con diadema ed altro che “si è
unicamente osservato nelle immagini del IX secolo” e l’effige di un San
Basilio, in uno dei piloni che sostengono la volta.Un
santo forse titolare della chiesa sotterranea e che conferì al sito e al
territorio dell’antica Brikinnia l’appellativo di “San Basilio” con la
conseguente denominazione del titolo
baronale per le varie famiglie nobiliari che entrarono in possesso del feudo.
una vera e propria distruzione....
9. L’Edificio
Sotterraneo era una cisterna ?
Lo
studioso Gaspare Mannoia ipotizzò come il monumento sotterraneo sia collegato
alla presenza di svariati santuari degli eroi cioè di tombe ed altari dedicati
a valorosi eroi. Il monumento sarebbe quindi un deposito delle offerte,
soprattutto derrate, provenienti in massima parte dal circondario.La
definizione che venne data all’Orsi di monumento sotterraneo adibito a “cisterna”
venne quindi messo in discussione.Certo
la presenza di un monumento così imponente non può lasciare indifferenti al suo
studio.Purtroppo
gli scavi clandestini hanno cancellato tracce importanti che avrebbero potuto
svelare molti aspetti su questo
Casale. Molta ceramica giace a vista sul
pianoro che mette in risalto un assidua frequentazione del sito, strategicamente importante come Monte
Turcisi.Porzioni
di roccia ben squadrata e residui di strutture murarie sono presenti in vari
punti del pianoro, coperti da un sottile strato agrario che potrebbe suggerire l’esistenza di un
complesso abitativo molto più ampio di quello che è stato riportato alla luce
in due campagne di scavi di cui l’ultima circa vent’anni fa... mentre gli scavi
da parte dei tombaroli sono continuate......È
della fine del XIX secolo una ricevuta, rilasciata dal Museo Salinas di
Palermo, della donazione di una Falera d’Oro che fu rinvenuta nel colle dal
nobile Ippolito de Cristofaro, proprietario dell’area o Feudo.Nello
stesso museo sarebbe conservata anche una fibula bronzea, sempre d’epoca romana
e sempre d’ambiente militare
Diverse falere
romane su una corazza ricostruita
Falera con il volto di Augusto.
Non
ho l’immagine della falera d’oro e della
fibula bronzea che furono trovate sul Monte San Basilio ma dovevano appartenere
a qualche personaggio importante, per la qualità delle loro leghe. e non so se siamo ancora presenti nel Museo
Salinas di Palermo. Le
falere erano in origine di due dischi laterali dell’elmo a cui si fissavano gli
allacci. Il termine venne poi esteso a un qualsiasi elemento decorativo in
metalli che serviva a ornare le corazze dei soldati e le bardature dei cavalli.
Alla fine diventò quasi esclusivamente un importante elemento decorativo militare
romano.Nei
popoli più primitivi erano in legno e servivano a proteggere le mani, alle
quali erano allacciati, e a colpire gli
avversari che venivano storditi. In seguiti furono creati in bronzo, agente e
anche in oro per personaggi più importanti mentre raramente erano in ottone e rame.In
genere era costituita da un disco con un rialzo centrale semisferico che veniva
detto “umbone”.Venne
poi l’uso di applicare le falere sulle corazze sia di cuoio, di lino o di
metalli.La
presenza delle falere sulle corazze aveva diverse motivazioni:-
di
poter mostrare ai nemici il proprio valore e quindi di intimidirli durante la
battaglia;
-
di
poter sfilare nelle parate militare con le falere raccogliendo così
l’ammirazione del popolo che l’avrebbe ripagato con solo con l’ammirazione ma
anche con regali o riguardi particolari;
-
di
potersi presentare ad una candidatura politica con questa favorevole
presentazione legata proprio alle falere perché i rimani apprezzavano negli
uomini soprattutto le qualità militari;
-
di
ricevere incarichi particolari in battaglia, con operazioni che potessero
metterli ancora più in evidenza facendogli conquistare più meriti;
-
ricevere direttamente una nomina a un grado
superiore grazie ai meriti di calore
conquistati e riconosciuti:
-
Di
essere accolto dalla sua famiglia e dalla sua gens, come un membro che ha
saputo dare lustro ad ambedue, con relativi riconoscimenti, affetti e
riconoscenza.
Si
trattava in poche parole di una medaglia al valore militare.
Il
sito fu usato anche come luogo di mercenari durante il regno dei tiranni di
Siracusa. La presenza romana sia sul Monte che nelle contrade circostante fu testimoniata grazie anche ai vari
rinvenimenti archeologici. Il sito sin dall’antichità aveva una sua funzione
strategica molto importante perché dalla montagna si domina la valle che da
Katane, attraverso il territorio di Leontinoi, portava a Gela collegando le due
grandi e ricche pianure della Sicilia Orientale: quella catanese (I “campi Leontinoi”)
e quella gelese (I “campi Geloi”).
Il
sito oltre alla sua assodata funzione militare aveva anche un suo altissimo
valore religioso per la presenza di un santuario, come affermò lo studioso
Mannoia, che fu utilizzato per secoli da diverse fasi culturali ?
La
presenza di un possibile presidio avrebbe quindi avuto una sua funzione nel
controllo di una via commerciale, militare ed anche religiosa.
Nell’area
di Monte San Basilio l’archeologo Paolo
Orsi rinvenne anche delle inumazioni dentro grandi contenitori in
terracotta. Lo studioso Gino Calleri
avanzò l’ipotesi di un possibile collegamento di queste sepolture ad usanze
tramandate da ambienti italici, riconducibili ai miti degli eolidi, e
all’eventuale individuazione del mito e perduto regno di Xuto.
Secondo
le narrazioni di Diodoro Siculo, Xuto, figlio di Eolo, sarebbe stato mandato in
Sicilia dal padre.
(In
realtà nella mitologia greca, Xuto era
il figlio di Elleno e della ninfa Orseide e fu costretto dai fratelli Eolo e
Doro ad emigrare dalla Tessaglia per stabilirsi nell’Attica. Sposatosi
con Creusa, figlia di Eretteo, ebbe i figli Archeo e Ione che sono nel mito i
capostipiti dei popoli ellenici).
Comunque
Xuto avrebbe fondato in una zona
compresa tra la Valle dei Margi e la Piana di Catania un ricco e potente regno,
la mitica Xunthìa. In questo regno si
trovava l’area dedicata al culto dei Palici (l’antica Palikè, Mineo).
I
riferimenti letterali tramandarono come il Regno di Xunthìa si doveva estendere
tra l’antica Leontinoi (Lentini) e le balze di Caltagirone, lambendo le pendici
Etnee e delimitato dagli Iblei e dagli
Erei.
Regno di Xuto
Un
regno contraddistinto da terre fertili dive si coltivava il grano. San Basilio
domina questo vasto regno ed era un
punto strategico e di controllo di grande importanza oltre che importante via
di transito per i commercio.
Era
quindi una sede fortificata di ricchi depositi votivi ed agricoli ?
Fu
scoperto un piccolo Santuario dedicato a Demetra ed anche la sepoltura del
“Duce ignoto” lascia ipotizzare la presenza di un luogo dedicato alla sepoltura
degli eroi tra cui forse lo stesso Xuto.
Eolo,
dio dei venti, era il fratello di Xuto e il Colle di San Basilio è
continuamente colpito durante quasi tutto l’anno dai venti e il termine Xuto,
da “Xouthos”, significherebbe “biondo/bruno giallastro” , il colore del grano .
Xuto
potrebbe nella fantasia identificarsi con un imprenditore agricolo che costruì
un immenso granaio sotterraneo in un remoto passato per conservare i ricchi
prodotti del territorio.
Il
termine Basilio, dal greco Basileus e poi latinizzato in Basilius, sarebbe “
re” o “”regale” da “Basilieios”. Il
Colle di un re ?
Sembra
fantasia.. in ogni caso ci troviamo davanti ad un sito archeologico importante
con una testimonianza architettonica di
gran valore... eppure è abbandonato a se stesso ormai da anni e non penso che
la situazione attuale sia cambiata...In
Sicilia è presente una struttura simile ed esattamente a Siracusa nel Parco
Archeologico.
Un
confronto che dal punto di vista archeologico potrebbe creare nuove ipotesi
sull’uso del (tempio, cisterna, bagno, ecc.) di San Basilio.
Nel
Parco Archeologico di Siracusa si trova una piccola chiesa normanna dell’XI
secolo. Si tratta della chiesa di San
Nicolò ai Cordari, uno dei primi edifici cristiani costruiti subito dopo la
cacciata degli arabi.
Come
si nota dalla foto, l’edificio fu costruito su una balza rocciosa e presenta
un'unica navata, con abside semicircolare, finestrelle a feritoia e un piccolo
portale d’accesso laterale. Nel 1093 vu furono celebrati i funerali di Giordano,
figlio di Ruggero d’Altavilla. È detta dei Cordari perché nel 1577 fu concessa
agli artigiani che fabbricavano corde.
Diventò la chiesa di una corporazione che non era distante dalla grotta
dei Codari dov’era ubicato il loro cantiere di lavorazione.
“Discorso di San Paolo” nella grotta dei Cordari
Siracusa - Grotta dei CordariLa
chiesa è impostata, in parte, su una costruzione a pianta rettangolare che presenta uno sviluppo trasversale rispetto
alla pianta dell’edificio sacro.
Una
piscina d’epoca romana che fu scavata nella roccia viva e impostata su una
latomia greca. L’ambiente è diviso da quattordici pilastri massici (una doppia
fila di pilastri) in tre navate. Sui
pilastri poggiano degli architravi a piattaforma sormontati da volta a botte.
"Piscina" Romana - Siracusa
La
piscina in origine aveva la funzione originaria di serbatoio d’acqua e
presentava le pareti intonacate. Era collegata con il vasto sistema idrico dell’anfiteatro
romano attraverso un canale interrato.L’acqua
del serbatoio era usata durante le naumachie che si svolgevano all’interno
dell’Anfiteatro. Questa sua funzione è testimoniata non solo dalla presenza di
una lunga condotta che si sviluppa oltre 1 km ma anche dalla presenza di due
aperture, una delle quali connessa con un acquedotto retrostante che confluiva
nell’Anfiteatro.Fu
ricavata troncando e ricoprendo un tratto di strada incassata nella roccia che
costituiva un antico ingresso alla Latomia del Paradiso e le cui pareti erano
ricoperte da incavi votivi dedicati al culto dei defunti eroizzati.
In
seguito il serbatoio subì degli interventi strutturali perché in età
paleocristiana e bizantina fu trasformato in chiesa sotterranea e in ultimo fu
utilizzata come cripta della chiesa soprastante. Alcuni ingrottamenti erano in
origine decorati con affreschi ed oggi non sono più distinguibili e
costituivano dei sepolcri di martiri cristiani. Sempre nel serbatoio o piscina
furono sepolti i cittadini siracusani morti nella carestia del 1672. Dal
1700 fu utilizzata in rapporto all’attività
dei vicini mulini ad acqua. Negli anni ’90, durante i lavori di restauro del
tetto e della pavimentazione, curati dalla Soprintendenza di Siracusa, sotto il
pavimento furono rinvenute delle sepolture databili al I – II secolo d.C. entro
tombe a fossa, a bauletto e alla cappuccina. Erano presenti anche incinerazioni
in urne di terracotta.
Rispetto
alla “cisterna” di San Basilio presenta una differenza che dovrebbe fare
riflettere.
La
struttura di San Basilio non presenta alcuna traccia di intonaco idraulico
tenendo conto che le pareti di calcareniti sono costituite da una roccia molto
porosa.
In
nessun periodo dell’anno è stata mai riscontrata la presenza d’acqua stagnante.
Risulterebbe quindi accettabile l’idea di un suo utilizzo come granaio.
..........................
10. Il Termine “Brikinnia”
Malgrado
le ricerche effettuate, il nome del sito resta un mistero. Si sono formulate
due ipotesi che collegano il centro fortificato ai nomi di BRIKINNIA e di EUBOIA.La prima ipotesi sarebbe legata alle fonti tramandataci da Tucidide( che indica il sito
come “fortezza”)(Tucidide, V 4:
Brikànnia on ôruma ùn t–Leontàn– ) e
proposta anche dallo storico De Mauro e “quasi” accettata dall’Orsi.La
tradizione locale colloca il termine
“Bricinnia” a Buonvicino, un piccolo colle detto “Castelluccio” posto vicino
all’antica Leoninoi e forse più vicino alla strada che collegava Gela a
Catania.La
seconda ipotesi indica i ruderi come il centro fortificato di EUBOIA, colonia
dei Calcidesi di Leontini e accetta da alcuni storici.Indica
un sito vicino al fiume Gornalunga presso il quale correva la strada citata dalla fonte ma con il termine è oggi
identificata la moderna Licodia Eubea,
11.
Quando fu distrutta Brikinnia ?
Quando
i Saraceni stabilirono la loro sede sul Casale fu probabilmente intorno all’845
quando fu conquistata Modica da “Maometto” figlio di Abd’allà e dallo stesso condottiero anche Leonini e
Ragusa.
La
presenza della dominazione musulmana sul
Casale era testimoniata dalla presenza nel 1838 da
“un infinità di
rottami, di utensili in creta, verniciati con ossido di piombo, confusi in
tutta la periferia di quello altipiano con altra copia di rottami di varie
crete deitempi greci e
romani.La
tesi veniva confermata dalla forma più grande di quei reperti, dal modo con cui
erano verniciati e che spesso presentavano degli arabeschi... una ceramica
comunque “rude e da sesso”.
Il
De Mauri citò delle piccole monete in
oro,
con note
cristiane, delle quali due esibitemi dall’arciprete parroco De Cristofaro,
uscite dalla zecca bizantina, colla croce e la epigrafeIC: XC: NIKA(Vinci)
E le monete in
bronzo colla immagine di Cristo sino al petto,con diadema o
nimbo e nel rovescio ilBasileus A. Omeon
.......................
12. Il Feudo di San Basilio
Non
si sa per quale ragione Ruggero II diede il feudo all’archimandrita di Messina.
Nel
1283 un Giovanni di San Basilio figura tra gli “equites” di
Lentini chiamati al servizio da re Pietro I.
Il
“dominus” (signore/condottiero in guerra) Alafranco di San Basilio
(della famiglia di Lentini) l’11 febbraio 1300 aveva ricevuto l’investitura di
Pettineo e risultava stratigoto di Messina (l’8 agosto 1320) e giustiziere di
Palermo nel 1326-27 e nel 1328.
Il
23 novembre 1331 la R.C. rilasciò una cedola con la quale si dettavano le
modalità di scambio tra il casale Pettineo di Alafranco di San Basilio e il
casale Convicino (Barrafranca) di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, “nel
rispetto delle prerogative feudali di Pietro d’Antiochia, signore di Mistretta,
nella cui baronia rientrava Pettineo”.
Il
7 marzo 1332 con rogito del notaio Nicola Sammarata di Polizzi, avvenne tra i
due feudatari lo scambio di Pettineo con Convicino.
Nel
1332 un privilegio di re Federico III d’Aragona confermò i termini della
permuta dei due casali (cancelliere Pietro di Antiochia).
Nella
Deputazione Feudale del 1335 figurava titolare dei feudi Siccafari ( in Val di Noto presso
Licata), Comitium (Convichino, attuale Barrafranca) e San Basilio (in Val di
Noto e territorio di Lentini) che gli assicuravano un reddito di 264 onze
annuali.
Successivamente,
in virtù delle ultime volontà testamentarie di Alafranco di S. Basilio, i suoi
fidecommissari furono incaricati di vendere Convicino e Siccafari per
soddisfare i molti legatari testamentari, e solo con un certo ritardo, dovuto
all’assenza di Manfredi Chiaramonte che era uno dei suoi fidecommissari, si
giunse alla vendita dei suddetti feudi.
Il 23 dicembre 1337 fu emanato un decreto da
parte della Magna Regia Curia (MRC) che permise il 28 dicembre 1337 la stipula
dell’atto pubblico di vendita del casale Convicino ad Abbo Barresi.
L’8
dicembre 1337 il re Pietro confermò la suddetta vendita.
Alafranco
morì senza figli e gli successe nel feudo di San Basilio il cugino Alaynuccio
di Alaymo (o di San Basilio o Aloisio de Santo Basilio) che comparve
nell’adoa del 1345 domiciliato a Lentini e tassato per 3 cavalli armati
(equivalenti a un reddito di 60 onze). Parisia, moglie di Alaymo di San
Basilio, possedette Ucria, ma per la continuata dimora di quest’ultima fino al
termine della sua vita presso i nemici angioini di Lentini ed altri luoghi, il
casale venne devoluto al fisco.
Nel
1354 fu assegnato a Ruggero Lamia.
Alafranco
figlio di Alaynuccio(?) e la moglie Venturella vendettero nella V Indizione 1366-67 a Enrico di Santo
Stefano il feudo Visamino ( Val Di Noto, in territorio di Caltagirone),
appartenente a Venturella. Il 17aprile 1370 furono chiamati a corrispondere lo
“ius decime” per la vendita dei feudi Viscara (o Biliscara) e Ribichino (o
Libellini) (in val di Noto) a Pietro Capoblanco.
Il
nipote Giacomo di Lentini ottenne la conferma del privilegio per San Basilio.
Nel
ruolo feudale del 1408 signore dei feudi di San Basilio e Luculo(?) figurava Antonino
di San Basilio.
Nel
1453 per atto della camera reginale, il feudo di San Basilio, Cucco e
Castellana, era di Antonio di Lentini, padre di Alafranco ed avo di Giacomo che
ottenne la conferma del privilegio dalla regina Maria.Successivamente
figura un Giacomo di San Basilio
la cui figlia sposò Angelo Balsamo (1506).
Il
14 marzo 1641 Pietro Balsamo comprò dalla Regia Corte, per la somma di 500
scudi, l’investitura del mero e misto impero, ottenendo i feudi su indicati che
risultano staccati dal territorio di Lentini
Il
barone D. Giuseppe De Cristofaro, padre dell’arciprete Don Mario, nel marzo del
1818 comprò dal principe di Cattolica (Giuseppe Bonanno Branciforte ? – figlio
di Francesco Antonio e di Caterina Branciforte Pignatelli, figlia di Salvatore,
principe di Butera) il feudo di Castellana, dove sorge San Basilio, per il
prezzo di 20.000 e 10 onze. Ottenne la relativa investitura con il titolo di
barone di San Basilio e fu l’ultima investitura a causa dell’abolizione della
feudalità.
Fu quindi Giuseppe Rocco Silvestro De
Cristofaro (Scordia, 31 dicembre 1754 – Scordia, 26 marzo 1835) (figlio di
Mario De Cristofaro e di Ninfa Onfici) ad acquistare il feudo. Sposò Donna
Fortunata Savoca, dai cui i figli/e:
-
Sebastiano Vincenzo De Cristofaro (Scordia, 26 maggio 1779 – ?),
sposò Teresa Mauceri, da cui il figlio Francesco De
Cristofaro;
-
Mario
De Cristofaro (1784 – ?)
-
Maria Ninfa Gesualda
De Cristofaro ( 1787 – ?)
-
Gaetano
Antonino De Cristofaro (Scordia, 6
febbraio1793 - ?); sposò Francesca De Cristofaro da cui i figli: Antonino (1823
– 1878) e Filippo (1830);
-
Vincenzo
De Cristofaro (Scordia, 1796? – Scordia,
9 maggio 1876)
-
Lucia
Ninfa Maria De Cristofaro (Scordia, 2 maggio 1800 – Scordia, 11 giugno 1860);
sposò il 23 giugno 1829, in Scordia, Ercoli Paolo (1797 – 1873): da cui i
figli/e: Giuseppe (morto all’età di un anno). Filippo, Giuseppe. Filippa,
Mario;
-
Michelangelo
Giuseppe Antonio De Cristofaro (Scordia, 10 novembre 1801 – Scordia, 23 aprile 1880);
sposò Lucia Di Martino, da cui i figli: Luigi e Giuseppe.
-
Felice
Simone Giuseppe De Cristofaro (Scordia, 28 ottobre 1805 – Scordia, 25 febbraio 1875);
sposò Rosaria Trovato.
Giuseppe di Cristofalo s'investì del feudo
dell'Ingegno col titolo di Barone, a 11 Novembre 1808, per nomina fatta a suo
favore da Michele Cali, agli atti di Notar Salvatore Milana da Palermo, il 27
Ottobre 1808. A detto Cali spettava, per averli acquistati per persona da
nominare, da Francesco Leonardo Lo Faso e Gastone per contratto agli atti di esso
Notaro il 21 Ottobre 1808 (Conserv., libro Invest, dal 1807 al 1809, f. 101
retro).
Francesco De Cristofaro (nato a Scordia nel 1820 circa) sposò
il 9 maggio 1843, a Scordia, Elena Thovez (figlia di Filippo Thovez e di
Elisabetta ?), da cui il figlio Enrico De Cristofaro (1844 – 1898). Barone
dell’Ingegno.
13. Elena Thovez a Scordia - I Thovez in
Sicilia, amministratori della Ducea di Orazio Nelson
Come
mai questa famiglia inglese, originaria di Portsmouth, si trovava a Scordia ?
“La
sera del 3 settembre 1799, durante un solenne convegne tenuto nel Real
Palazzo con l’intervento dei ministri di
Stato, e di magnati del regno, il Grande Ammiraglio, visconte Horatio Nelson,
ebbe un diploma con cui gli venne conferito il titolo di Duca di Bronte, con
l’appannaggio dei redditi e diritti, che il Nuovo e Grande Ospedale di Palermo
godeva su Maniace e Bronte”.
Perché
quel conferimento ?
Ferdinando
III di Borbone volle ricompensare il vincitore di Abukir per aver salvato la
vita del sovrano e dei suoi familiari trasferendoli al sicuro in Sicilia
(Napoli era attaccata dalle truppe napoleoniche) e per aver riconquistato il trono reprimendo
nel sangue, il 20 giugno 1799, la rivoluzione napoletana.
Lo
stesso sovrano, animato da una immensa gratitudine verso il suo eroe, aumentò la rendita della Ducea di Bronte,
calcolata in 5.500 onze annuali, con qualche altro migliaio di reddito
derivanti dall’acquisizione di terre confinanti.
Fece
altresì a concessione di trasmettere la proprietà anche a non congiunti e di
esentarlo dal pagamento sia dei previsti redditi d’investitura che dei consueti
donativi nei confronti della corona.
Ci
fu una protesta da parte dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo che dal 1491
era in possesso dei beni dell’Abbazia Normanna di Maniace e dell’Abbazia di San
Filippo di Fragalà ? La decisione regia fu considerata un’indebita sottrazione
di terre con relativa perdita di una somma considerevole di reddito ?
La risposta, può lasciare sorpresi e increduli, ma fu negativa.
Per
l’Istituzione dell’Ospedale fu una vera e propria fortuna caduta dal cielo
perché finalmente si liberava di una gestione che nel corso del tempo (1538 –
1784) era diventata troppo complessa per una serie di atti di arrendamento
(imposta indiretta di consumo) con soggetti nobili e borghesi, spesso in
società tra di loro, che avevano determinato la nascita di una gran numero di
controversie giudiziarie con la comunità brontese.
Una
serie di liti che erano culminate il 6 aprile 1636 con un tumulto sanguinoso proprio
a Bronte.
Una
protesta che portò alla morte di due rivoltosi, il capitano d’arme Matteo Pace
e Luigi Terranova, e un indebitamento da parte della comunità brontese di 9000
ducati nei confronti dell’Ospedale di Palermo.
Un debito che determinò un forte inasprimento fiscale con gravi
conseguenze sociali per comunità.
Lo
stesso Ospedale per la perdita della Ducea ebbe un indennizzo di 5.600 onze
l’anno che fu basato sulla rendita annua della ducea aumentata di 100 onze
derivanti dall’esercizio del mero e misto imperio.
Allora
Bronte, siano nel 1798, aveva 9193 abitanti in gran parte contadini e pastori e
l’elevazione a contesa della loro terra non fu
ben accettata. Per gli abitanti significava riduzione a sudditi feudali
di uno straniero con la perdita del diritto di
mero e misto imperio riacquistato nel 1638 da Randazzo con una spesa
notevole e la fine di secolari aspirazioni di reintegrazione al regio demanio.
Orazio
Nelson non venne mai in Sicilia a visitare la sua Ducea che venne amministrata
da diversi governatori che intervennero nelle strutture edilizie dell’antico
monastero di Santa Maria di Maniace.
Uno
dei primi governatori fu John Andrew Graeffer che fu raccomandato al Nelson da
sir William Hamilton, ambasciatore inglese alla corte dei Borboni.
Non
fu un’amministrazione felice perché con i suoi bandi rinnovò i divieti sul legnatico, semina,
pascolo, passaggio per le regia trazzera e sull’uso dell’acqua di Maniace. Ci
furono una serie innumerevole di controversie con il comune.
Con
la morte di Orazio Nelson, il 21 ottobre 1895,
la Ducea passò al fratello reverendo William. Ci fu un nuovo
amministratore Antonio Forcella e la situazione peggiorò con l’inasprimento dei
divieti, che erano rilevati da guardie o campieri, e con la distruzione di
boschi.
Nell’aprile
1819 giunsero a Bronte i Thovez destinati ad amministrare la Ducea.
Philip
Thovez era nato a Napoli nel 1789 da un funzionario inglese al servizio di Orazio
Nelson. Era ritornato in Inghilterra ancora adolescente ed era diventato
commissario della marina inglese. Dimorava a Portsmouth dove aveva conosciuto e
sposato Elizabeth Paton.
L’Orsi
continuò negli scavi e riportò alla luce una tomba che chiamò “Tomba del
Duce Ignoto”..
Altre
fonti citano invece la tomba presente all’interno della struttura sotterranea.
Comunque
nel suo quaderno di scavi l’archeologo riportò il momento emozionante dell’apertura
della tomba:
Sulla scarpata orientale del colle gli abitanti di Brikinnia avevano installata la loro necropoli
[…]. Fu in questo punto che il giorno 13 maggio u. s. alla presenza di Donna Maria De Cristofaro si procedette allo scoprimento del Sepolcro del Duce Ignoto,
come io ho voluto fosse chiamato.
(In rosso le tracce del muro di cinta orientale del pianoro)
Oltre alla corazza furono rinvenuti un cinturione e alcune punte di lancia.
Fu
rinvenuta nel 1922 ed è un tipo di
corazza anatomica di bronzo, tagliata all’altezza dell’ombelico, che era molto diffuso nell’area italica (in
particolare in Campania e Lucania) nel IV secolo a.C..Per
questo motivo fu avanzata l’ipotesi che potesse appartenere ad un mercenario campano
o lucano che venne sepolto nella struttura sotterranea verso la seconda metà
del IV secolo a.C.... dopo il 350 a.C.,,,,,, oltre 2300 anni fa....Il
suo corredo funerario era molto ricco perché oltre alla corazza erano presenti: un cinturone italico a fascia liscia in
lamina di bronzo “con ganci a corpo di cicala e terminanti a punta di
freccia”, delle lance di cui si sono trovate le punte e una daga ricurva di
ferro e che solitamente è in dotazione alla cavalleria.Oltre
a questi reperti, di chiara espressione militare, c’erano: una “brocchetta
spargisabbia” in vernice nera; uno
strigile, raschiatoio incurvato di bronzo, che serviva a detergere il corpo da
sabbia, pomice e sudore; un’anfora a figure rosse di produzione siceliota in
cui era raffigurato il colloquio tra una donna ed un atleta, testimonianza
dell’adesione del defunto agli ideali dei giochi degli atleti greci.Chi
era questo guerriero del IV secolo a.C.? Un cavaliere capano o lucano giunto in
Sicilia e comandante della piazzaforte militare sul Monte San Basilio ?Forse
non lo sapremo mai... il suo nome è purtroppo scomparso nel nulla...
Il corredo
funerario della “Tomba del Duce”
Cinturone –
Strigile – Piastre Quadrangolari in bronzo
Sostegno di
Lucerna – Spada – Frammenti di Lance e Pugnali in ferro
Myke – Brocchetta
“spargisabbia” baccellata – Boccaletto baccellato
Lucerna – (Tutti i
reperti sono a vernice nera)
Anfora Siceliota
del Pittore di Lentini
(Dalla “Tomba del
Duce” – Tomba N. 5 (?) –
Contrada “Fossa” –
Monte Casale di San Basilio
Numero Inventario
; 42853)
Il Pittore di
Lentini fu attivo durante gli ultimi due
quarti del IV secolo a.C.
Decorò molti
lebeti nuziali, lekanines e anfore. Il soggetto preferito era
costituito dagli
eroti associati a delle donne sedute che avevano la
parte superiore
del corpo scoperta. Le donne hanno i capelli raccolti in
sakkos
sopradipinti di bianco. Sullo sfondo compaiono spesso
rosette, puntini e
grappoli, un artista che si distacca dai modelli attici
che erano
presenti nella ceramica di produzione
proto-siceliota.
Cinturone –
Strigile – Piastre Quadrangolari in bronzo
Sostegno di
Lucerna – Spada – Frammenti di Lance e Pugnali in ferro
Myke – Brocchetta
“spargisabbia” baccellata – Boccaletto baccellato
Lucerna – (Tutti i
reperti sono a vernice nera)
Anfora Siceliota
del Pittore di Lentini
(Dalla “Tomba del
Duce” – Tomba N. 5 (?) –
Contrada “Fossa” –
Monte Casale di San Basilio
Numero Inventario
; 42853)
Il Pittore di
Lentini fu attivo durante gli ultimi due
quarti del IV secolo a.C.
Decorò molti
lebeti nuziali, lekanines e anfore. Il soggetto preferito era
costituito dagli
eroti associati a delle donne sedute che avevano la
parte superiore
del corpo scoperta. Le donne hanno i capelli raccolti in
sakkos
sopradipinti di bianco. Sullo sfondo compaiono spesso
rosette, puntini e
grappoli, un artista che si distacca dai modelli attici
che erano
presenti nella ceramica di produzione
proto-siceliota.
5. Le Capanne del 2000 a.C.
Le capanne rivenute dall’Orsi furono datate al “Siculo I” corrispondente cioè all’ultima fase castellucciana. Di una delle capanne l’archeologo trovò
Area del
Castellaccio di Lentini, Paolo Orsi, R Carta, R Santapaola
Fu proprio
l’archeologo Paolo Orsi che pose le basi scientifiche per
lo studio delle
popolazioni indigene della Sicilia. Sulla base dei dati raccolti
nei sepolcri e nei
riti funebri, l’Orsi considerò tutte le popolazioni preistoriche
della Sicilia come
facenti parte di un’unica entità culturale ed etnica.
Distinse quattro
fasi della cultura preistorica della Sicilia:
Periodo
Litico (Presiculo) : Palazzolo Acreide; mura di Dionisio;
Santa Panagia; Tremilia; Cava del Filosofo, presso l’Epipole; Stazione
neolitica di Stentinello;
Rinvenimenti:
asce basaltiche, grotte naturali ad uso di abitazione umana, coltelli di
silice, coltelli di ossidiana, schegge, resti di ossa di bruti, selci lavorate,
avanzi di pasti e dell'industria
1º Periodo Siculo (età del rame e prima età del
bronzo):
Necropoli di Melilli, Necropoli di Bernardina, Cava
della Signora (Castelluccio), Scarichi del villaggio siculo di Castelluccio,
Cava della Secchiera.
Rinvenimenti: coltelli di selce, ciottoletti forati ad
uso di pendaglio, grotte a forno, scarso il bronzo, vasi mal cotti non torniti,
cadaveri accoccolati scarniti, lame di selce presso i cadaveri, vasi nelle
celle, potori cilindrici, calice a doppio manico, ossa ridotte ad utensili
domestici, vasi mono e bicromici, rare anse, decorazione geometrica elementare
2º Periodo Siculo (età del bronzo):
Necropoli del Plemmirio, Necropoli
del Molinello, Necropoli di Cozzo del Pantano, Tomba di Milocca, Necropoli di
Pantalica, Necropoli di Thapsos.
Rinvenimenti: modificazioni delle
tombe a forno che diventano piccoli tholoi, bronzo, ceramica né a tornio né a
forno, decorazioni a stecco, vasi a calice, a decorazione geometrica; tecnica
grezza, tende a scomparire l'antica pittura vascolare
3º Periodo Siculo
(età del Ferro)
Necropoli di
Tremenzano, Necropoli del Finocchito
Rinvenimenti:
cadaveri distesi, non rannicchiati, lame di bronzo, pugnaletti di bronzo, tombe
a forme rettangolari, asce o scalpelli di ferro, scarabei, scomparso lo
scarnimento, Industria ceramica locale coesistente con quella straniera (vasi
proto ellenici siculi)
Anche
se non conosciamo l’estensione vera del villaggio castellucciano, del quale
l’Orsi individuò solo qualche capanna posta sul pendio Nord-Orientale del
colle, si può supporre che avesse una notevole consistenza, dato il numero
ragguardevole di frammenti ceramici e di piccoli oggetti di selce e ossidiana
sparsi sul terreno del colle e in particolare
nella zona Nord.Nello
strato soprastante una capanna sicula, l’archeologo rinvenne quattro grandi
anfore di forma globulare alte 55 cm;
incuneate con quale zeppa di pietra. Dalla presenza di resti di ossa
cremate nel fondo di una di esse, l’Orsi trasse la conclusione che fossero
state usate come urne cinerarie. Si
ritiene che il villaggio preistorico sia stato in parte cancellato dagli
insediamenti successivi, com’è avvenuto nella punta Nord-Orientale, dove fu
scoperta successivamente un unità abitativa medievale.
L’Orsi
riportò nel suo quaderno degli scavi in merito alle pendici orientali del
Monte:la pendice
orientale del monte formante un rampante di detriti
contiene la
necropoli ellenistica e poco sotto di essa un profondo vallone,
squarciatura delle
rocce vulcaniche, formava con la fossa naturale di esso;
sul lembo superiore
di questo, cercando in un ripiano di sepolcri greci,
ci siamo imbattuti
in detriti di vita Sic. I”.
Alla
base della parete del “profondo vallone, squarciatura delle rocce vulcaniche”,
s’apriva una breve galleria a sezione trapezoidale dalla quale sgorgava una
piccola sorgente “d’acqua bevibile che alimentava una macchia di verde, tra cui
un albero di fico, elemento botanico insolito in una zona così arida.
Questa
sorgente ere probabilmente utilizzata sia in epoca greca che preistorica dalle genti
che vivevano sul pianoro.
Forse
la sorgente subì, con la costruzione della piccola galleria, l’intervento
greco.
Durante
la ricognizione delle basse pendici del monte, l’Orsi non escluse che la
necropoli greco arcaica del VI – V secolo, soprastante l’insediamento Siculo I
del Bronzo inziale, possa essere stata distrutta da precedenti “ricercatori”
(tombaroli).
L’archeologo
era impegnato nel liberare la capanna dai detriti e rinviò la ricerca della
necropoli greca dove erano presenti delle sepolture per bambini posti dentro
delle anfore.
Molti
erano i detriti di vita risalenti al periodo Siculo I.
Nel
1922 furono ripresi dallo stesso Paolo Orsi le ricerche archeologiche sul sito.
“Tutta
l’area che doveva comprendere il villaggio “castellucciano” era stravolto
dall’azione di macchine escavatrici. Lunghi e profondi camminamenti, a mo’ di
trincea, erano stati realizzati evidentemente da altri “ricercatori”, proprio
alla ricerca di materiale greco, e forse non solo greco, da trasferire ai
mercati clandestini.È
certo comunque che una massa di materiali preistorici, litici e fittili, di
poco o nullo interesse per gli scavatori, fu abbandonata sul posto.Un
discreto campionario di tali materiali, attribuibili al Bronzo antico, furono
recuperati e sottoposti a studio. Si tratta di due frammenti di corni fittili
“votivi”, di strumenti di basalto, di selce e di numersi frammenti di vasi di
ceramica decorati secondo lo stile “castelluciciano” definito nella Sicilia
Occidentale”.
Basalti
Industria litica (Selce)
Industria litica
Il
grande studioso, grazie alle sue scoperte, si propose di continuare le ricerche
sperando di riuscire a riconoscere e ad identificare, in quelle testimonianze,
l’antica Brikinnia che era citata dalle fonti storiche. Il suo tentativo fu
vano perché non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi.Le
indagini archeologiche sul monte finirono e furono riprese nel 1980 grazie alla
Soprintendenza Archeologica di Siracusa che affidò le ricerche all’Istituto
d’Archeologia dell’Università di Catania con la direzione della Prof.ssa Sebastiana Lagona.
6. Gli Scavi sotto la direzione della Prof.ssa Sebastiana Lagona
Il sito
veniva studiato da un altro grande
esponente dell’Archeologia.
Era Professoressa
Emerita dell'Università degli Studi di Catania,
dove ha insegnato
per oltre trent'anni Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana
e Topografia
antica. Gli interessi scientifici di Sebastiana Lagona furono rivolti
soprattutto
alla Sicilia e al Sud
Italia (con le ricerche nel territorio di Caltanissetta, Lentini,
Scordia e Cosenza)
e alla Turchia (con gli scavi della Missione archeologica italiana a Iasos e a Kyme).
Gli
scavi furono avviati grazie ai finanziamenti del M.P.I e del C.N.R e con
piccoli importanti contributi dei Comuni di Lentini e Carlentini. Le indagini
confermarono l’esistenza delle fasi che erano state individuate dall’Orsi e
furono riportate alla luce nuove costruzioni con l’acquisizione d’importanti
dati.Della
cinta muraria individuata dall’Orsi e datata al VI secolo a.C., si conosceva un
lungo tratto che seguiva il limite del
costone rocciose, posto ad Ovest del pianoro, e con un apertura in
corrispondenza del punto vicino alla costruzione sotterranea. Si operò uno
scavo sul limite Est del pianoro riportando alla luce un tratto di muro
con un ingresso in corrispondenza di una stradella che saliva, con un andamento
molto tortuoso a “zig-zag” dal pendio. Le
ricerche permisero anche di stabilire come la cinta, costruita tra la fine del
VI e gli inizi del V secolo a.C.. fu oggetto di una ricostruzione nel IV secolo
a.C.La
cinta, conservata per più tratti, recingeva tutta la collina. Il tratto meglio
conservato è quello Sud – Ovest, quasi rettilineo e lungo circa 65 m. di esso rimangono per buona parte quattro
filari di blocchi; all’estremità settentrionale di questo tratto, notiamo
all’esterno, un breve muro lungo poco meno di 3 metri, in corrispondenza di un
apertura della cinta stessa da cui dista appena un metro e la cui funzione
probabilmente era quella di difendere l’ingresso. Il
muro è stato rimaneggiato in età moderna, si attende un’ulteriore scavo per
definire il sistema di difesa della porta, che dall’esterno sembra avere una
costruzione quadrata (torre).Muro
alto forse già in origine mentre il tratto Nord -Ovest, rimasto per circa 35 m
e rovinato per l’asportazione dei blocchi.. presenta un solo filare di blocchi in vista. A
Nord il pianoro era difeso da una scarpata ripidissima e quindi di accesso
impossibile mentre a Sud si notano una serie di blocchi sparsi sul pendio
(franati sia per cause naturali che per l’azione dell’uomo... i famosi
“tombaroli” che hanno agito anche con ruspe) e tracce di una torretta impianta su di un tratto di roccia sporgente sulla scarpata con
il piano livellato.
La
tecnica di costruzione del muro di cinta era
quella a paramento esterno a grossi blocchi non molto regolari e con
riempimento interno, abbastanza comune nella Sicilia Greca.
I
grossi blocchi di arenaria dovevano provenire dalle cave situate sul monte
Serravalle e in contrada Castellana,
tutte relativamente vicine.
La
stessa tecnica del taglio dei blocchi presenta
il grandioso monumento sotterraneo che l’Orsi indicava come una
cisterna.
La base del muro di cinta
Canale di drenaggio delle mura di cintaUn
ulteriore scavo eseguito sul limite Ovest del pianoro permise di portare alla
luce un piccolo santuario rupestre e una capanna preistorica.
Il
piccolo santuario era costituito da due grandi grotte scavate nella
roccia e da una serie di muri, costruiti con grossi blocchi di arenaria o
ricavati dalla rocca. In quest’ultimo caso i blocchi erano simulati con
incisioni sulla roccia stessa , al centro era presente una specie di altare
rettangolare, anch’esso ricavato nella roccia con una gradinata dal lato Sud.
Furono
rinvenuti dei reperti in gran parte costituiti da lucerne, statuette di
terracotta che erano riconducibili al culto di divinità, forse Demetra. Un
santuario probabilmente legato alla
costruzione sotterranea che si raggiunge attraverso un apertura posta in una
delle grotte del santuario. Un’apertura forse ricavata in epoca moderna per
ricovero di animali ?
Nell’edificio la prof.
ssa Lagona non eseguì nessun saggio
perchè la copertura del locale era in cattive condizioni strutturali e c’erano quindi dei
rischi di crolli. A quando sembra nell’edificio furono poi eseguiti dei lavori
consolidamento ma non ho notizie in merito a successive indagine archeologiche
Nell’area
del santuario gli scavi permisero di riportare alla luce anche una capanna preistorica per il rinvenimento di una
serie di buchi per l’inserzione di pali che ne indicavano il perimetro. Un’area
della capanna piuttosto piccola e da collegare alla fase di Castelluccio e
quindi collegate, per il periodo temporale, a quelle che furono rinvenute
dall’Orsi.Nei
presso della capanna fu trovata una
tomba, con uno scheletro rannicchiato, e con un coperchio in pietra,
Altra
zona ricca di reperti, forse sconosciuta all’Orsi, fu identificata a circa 300
m a sinistra di chi osserva il Monte da est ed interrotta dallo strapiombo. Si
tratta di una spianata simile a quella che l’Orsi trovò sulle pendici orientali
del Monte.
I
tombaroli rivolti alla ricerca di
un'altra necropoli greca da saccheggiare, scavarono nel piccolo strato di humus
creando delle piccole aree d’assaggio. I molti materiali fittili del Bronzo
antico, mancavano quelli d’età classica, furono recuperati e sottoposti a
studio.
Tra
i reperti fittili furono recuperati:
Boccale
(frammentario)
Corpo
globulare a profilo convesso, collo cilindrico a profilo leggermente concavo,
orlo con bordo molto assottigliato, fondo piatto leggermente convesso.
Probabile ansa a nastro verticale, ad orecchio, impostata sul corpo e
sopraelevata sull’orlo da cui si parte.
Decorazione
dipinta in bruno, molto vivace e ben conservata. Sotto l’orlo, banda
orizzontale interne ed esterna; lungo l’attacco del collo, altra banda
orizzontale. Sul collo, fasci di quattro linee disposte a zig-zag; sul corpo, fasci di sette o otto
linee, verticali, convergenti sul fondo, alternate ad una linea verticale che
si sviluppa a zig-zag.
Sotto
l’orlo, all’interno, in corrispondenza del punto d’attacco dell’ansa, due fasci
residui di tre linee verticali legate da due linee residue orizzontali.
Superficie
ingobbiata color camoscio rosato ed impasto rosso chiaro.
Pisside
(frammentaria)
Corpo
ovoidale a profilo convesso, su piccolo piede tronco-conico, cavo all’interno,
orlo indefinibile. Due anse a nastro verticale, contrapposte, indefinibili, ma probabilmente
ad anello, e due bugne ellissoidali contrapposte, impostate verticalmente sul
corpo.
Decorazione dipinta in bruno, ben conservata. Sul corpo,
fasci di tre linee che s’incrociano obliquamente, èresumibilmente sull’orlo, e
fino a una banda orizzntale che divide il piede del corpo; intercalate linee
doppie a zig-zag, verticali.
Le bugne dono delimitate da due bande laterali campite con
linee contrapposte a zig-zag.
Sempre dalla banda mediana, fasci di tre o quattro linee
verticali dirette verso la base.
Ingobbiatura di color camoscio rosato, con chiazze più rosse.
Impasto rosso chiaro.
Coppa Fruttifera su alto piede (frammentaria)
Bacino tronco conico a profilo quasi dritto, su piede troncop
conico cavo all’interno. Orlo indefinibile. Due anse a nastro verticale,
contrapposte, impostate sul bacino e sul piede. Decorazione dipinta in bruno,
ben conservata. Sul frammento residuo del bacino nessuna decorazione.
Banda orizzontale che divide il bacino dal piede, per metà
realizzata con due linee adiacenti e per metà con una sola linea. Fasci di due
linee o tre linee che si partono dalla banda e formano motivo a zig-zag. Sulle
anse, bande che le delimitano unite da segmenti orizzontali.
Superrficie ingobbiata rosso chioaro con larghe chiazze color
camoscio. Impasto rosso chiaro.
...........................
Sul
pendio orientale vennero alla luce due complessi medievali
costruiti adattando muri in pietra a grotte scavate nella roccia.Particolarmente
interessante era l’edificio posto nella zona più orientale del pianoro. Un
edificio costruito con una tecnica a piccoli blocchi davanti a due grandi
grotte riutilizzate in epoche recenti.L’unità
abitativa, forse familiare e produttiva di un insediamento feudale, era costituito da una serie di ambienti
disposti ad U intorno ad un cortile con piano di roccia ed con il focolare posto nell’angolo Nord,
vicino all’ingresso della grotta maggiore. Era probabilmente coperto da una
tettoia a tegole retta da pali. Una porta, piuttosto larga consentiva
l’ingresso alla grande grotta.I
materiali rinvenuti confermerebbero la data temporale dell’insediamento feudale
da collocare ai secoli XII – XIII. Un insediamento costituito da piccoli nuclei
che sfruttavano le risorse agricole della fertile pianura sottostante.
.........................
Le Cavità Rupestri
Ad
Est del pianoro, dove gli strati di calcare hanno una maggiore profondità, le
grotte sono disposte a quattro ordini sovrapposti ed hanno un perimetro
quadrato.Gli
antichi lastroni di roccia che costituivano le volte delle grotte, a causa di
fattori fisici (il peso proprio); chimici (la reazione del calcare a contatto
dell'acqua e degli altri agenti meteorologici); ambientali (gli scavi
clandestini che hanno interessato l'intera superficie delle grotte); già nel
1840 erano precipitati finendo con l'ostruire gli ingressi.Comunque
si può osservare, ancora oggi, come molte grotte siano in comunicazione tra di
loro per mezzo di buche e di porte ricavate dalla viva roccia.Nelle
pareti si possono notare piccoli incassi in cui venivano collocati le piccole
statuette votive, i lucernari o i vari utensili.Sulle
pareti sono visibili i buchi per l'inserzione di legni necessari per sorreggere
un controsoffitto.In
qualche grotta si trovano le tracce di antichi sarcofagi a dimostrazione di
come queste antiche abitazioni trogloditiche siano state successivamente usate
per collocarvi i defunti, forse nel periodo in cui la città cominciò a
spopolarsi mostrando i segni di una progressiva decadenza.
Il De Mauro (nel 1861) citò
come il terreno era sparso di frantumi di crete, di mattoni con marchi,
di lucerne, patere, lacrimatoi, anfore, idrie, vasetti d’acqua lustrate,
idoletti e testine d’argilla, ecc..
tutto matertiale ridotto in “pezzi...” per la ricerca di qualche reperto ancora
più prezioso.....
7. L’Edificio Sotterraneo
Pianta
dell’edificio
Ingresso
del sotterraneo
“Offre la divisione di sette scuole a chi stassi colla
faccia a Nord, e quella di sei a chi tiene il Sud a destra e il Nord a
sinistra. La sua volta è di enormi massi riquadrati strettamente tra di loro
congiunti, è sostenuta da trenta pilastri, composti di più riquadrati massi,
terminanti in cima per una specie di capitello di altrettanti intagli che vi
stanno a guisa di martello e attaccansi alla volta di cui son l’estremo
sostegno.
La campate dell'edificio“il
visitatore scenderà per comoda scala; vedrà uno scavo maestrevolmente eseguito
nella viva roccia. Il suo vano totale è di 9 canne siciliane (18,56
m), e
largo 7 e due palmi (14,94 m) ed alto
22 palmi circa (5,67 m).E’
coperto tutto questo vano da un gran palco sostenuto da 30 pilastri, ciascun
pilastro è formato di tre sole pietre; due meno grandi, che sono la inferiore
e la superiore di quattro palmi ogn’una (1,03 m): e
palmi dieci quella di
mezzo (2,77 m); conservandosi in tutti i pilastri la medesima
disposizione. Sopra
questi posa a traverso un’altra pietra, che per così dire forma il capitello,
lunga palmi 7 (1,80 m), che serve per stringere il vano tra pilastro e
pilastro; e sopra queste corre una catena di smili sassi, che formano un lungo
architrave sopra ciascuna pilastrata; che in numero di sei dividono la
Piscina in sette navate, larga ciascina palmi sette.
In realtà il pilastro è formato da tre pietre di cui l’ultima
superiore funge anche da capitello.Sul capitello
poggia la trave copstituita da diversi conci. Le tre pietre (inferiore, mediana
e superiore) non sempre presentano la stessa misura per tipologia di ubicazioneLa metà della lunghezza della prima di queste navate è occupata
da larga scala, che dava il comodo d’attingere l’acqua; la quale è larga pami
dieci (2,57 m), formata di 27 scalini, l’ulitmo de’ quali resta
quasi 4 palmi (1,03 m) sopra il pavimento. Sebbene la navata non sia più
larga di palmi sette (1,80 m), la scala però è di palmi dieci (2,57
m), essendo i 3 palmi (0,77 m) incavati
nel lato corrispondente.
Dalla parte opposta alla scala vi sono della stessa fattura
due piccole stanze, o vani, larghe palmi
10 (2,57 m), e lunghe 12 (3,09 m); in una delle quali a
pain terreno si osserva come una Tomba lunga palmi 8 e 4 larga ( 2,06 x 103 )m
Secondo lo storico De Mauro si tratterebbe di una tomba
similie a quelle rinvenute nelle catacombe di Siracusa destinate ai cadaveri
dei Cristiani.
La volta, o per meglio dire, il solare, che cuopre questo
monumento, è tutto formato d’intere pietre di eguale misura: sono queste di palmi 9 di lunghezza (2,32
m), e 2 di grossezza (0,52 m), ben lavorate da tutti i lati. Riposano
queste sopra i sottoposti architravi che hanno palmi due di largezza (0,52
m); in maniera che situati perfettamente l’una, accosto all’altra, posando
un palmo (0,26 m) per testa sopra l’architrave sudetto, ed attestando un
ordine coll’altro cuoprono i 7 palmi (1,80 m)
delle navate, formando estesissimo palco”. (Vi sono conci di copertura anche con le
seguenti misure:
palmi nove ed once sei di lunghezza = 2,44
m
palmi quattro ed once quattro di larghezza = 1,12
m
una
canna = 2,062 m
un
palmo (“parmu sicilianu”) = 25,775 cm
uoncia
(“unza liniari”) = 1,1479 cm
Si
notano le colonne costituite da due blocchi di notevoli dimensioni più
il
capitello, anch’esso un blocco di arenaria posto di testa, su cui appoggia
la
trave per l’impostazione della copertura.
“nelle pareti di Est veggonsi incavate due cellette
quadrate che van gardo grado rastremandosi in su, ed indicano di essere i
luoghi destinati alle vasche ove effettuarsi i bagni. Un aquidotto incavato
pure nel vivo calcario, dolcemente declina dalla parte del Sud e profondesi nel bagno allato alla scala
intagliatavavi nel masso perché vi si scendesse comodamente. Di altro non
difetta per dirsi intatto questo monumento, che di talini massi nel fondo
caduti alla volta. Ci duole che l’ignoranza, l’incuria, o il niun attaccamento
alle memorie illustri che rilevano la civiltà e la possanza de’ nostri
maggiori, lo hano lasciato, per lungo volgere di anni, ingombro di ortiche,
sanni, renischio, avanzume di muricce e macerie. Gli antiquarj che si snon
accinti a dir qualcosa del S. Basilio, sonosi con particolarità attenuti a far
cenno, o descrivere e dare importanza ad un tal vetusto monumento di non
ordinaria architettura.De Burigny ci ha detto: Sono osservabili sul colle di S.
Basilio le rovine del Casale dello stesso nome, che non più sussisteva nel
tempo de’ Normanni. V’è da congetturare, che fosse stato popolatissimo. Il sito
ne è molto ameno, vi si scorge a mezzodì il Lago di Leontini, e dall’altro lato
l’ampia pianura di Catania. gli avanzi di un sacro tempio ne accennano la
magnificenza”
Al tempo degli studi operati dal prete De Mauro, fu il grande
zelo dell’arciprete De Cristofaro nel fare pulire, a sue spese, il prestigioso nonumento mettendo “in
veduta il fondo del monumento in parola”.
L’archeologo Winkelmann
invitava gli antiquarj a procedere nelle loro
ricerche..” quanto ci rimane di antico tutto può divenire
utile sol
che si prenda nei suoi giusti rapporti, sol che lo esamini un
occhio intelligente”.
La costruzione è quindi scavata nella roccia e i blocchi che
costituiscono le travi e i pilastri hanno una tecnica di taglio che è simile a
quella dei conci dei muri di cinta.
Il monumento nel
passato fu oggetto d’interventi di restauro da parte della Sovrintendenza ma
furono bloccati per motivi di natura giudiziaria. se non ricordo male un
operaio morì per un incidente sul lavoro. I blocchi numerati restarono sparsi
sul pianoro perché la struttura fu messa sotto sequestro dall’A.G. ma non ai
tombaroli che continuarono i loro lavori di “ricerca....”
Il monumento fu utilizzato in epoca bizantina come sede di una chiesa cristiana come
d’altra parte testimonierebbero i resti di affreschi ormai andati perduti.
Come riportà lo storico De Mauro fino al 1837 gli affreschi
erano ancora in buone condizioni.
Il’edificio fu poi adibito a ricovero di intere famiglie che
“per paura di contrarre il colera, morbo africano, si rifugiarono nelle
grotte del Casale. Fu allora che l’inciviltà delle persone si scatenò sulle
sacre immagini”.
8. Gli Affreschi Bizantini
Lo
storico De Mauro vide quegli affreschi e li riportò nella sua descrizione del
sito.In
merito al Crocifisso riferì che “alcuni feroci superstizioni, per strano
consiglio, non so da chi suggerito..” di avere la possibilità di prendere
gli “occulti tesori del Casale” dopo aver dato sette colpi di “coltello a
quella immagine di Crocifisso”... L’Immagine
fu colpita e arrecarono “l’intero guasto non a questa soltanto, ma a tutti
gli affreschi del bagno...”. affreschi che erano esposti a levante..L’immagine
di Maria con il Bambino in gremboL’ingenua e così
soave figura del Bambino in grembo alla Vergine MadreL’immagine
degli Apostoli Pietro e Paolo, del Salvatore con diadema ed altro che “si è
unicamente osservato nelle immagini del IX secolo” e l’effige di un San
Basilio, in uno dei piloni che sostengono la volta.Un
santo forse titolare della chiesa sotterranea e che conferì al sito e al
territorio dell’antica Brikinnia l’appellativo di “San Basilio” con la
conseguente denominazione del titolo
baronale per le varie famiglie nobiliari che entrarono in possesso del feudo.
una vera e propria distruzione....
9. L’Edificio
Sotterraneo era una cisterna ?
Lo
studioso Gaspare Mannoia ipotizzò come il monumento sotterraneo sia collegato
alla presenza di svariati santuari degli eroi cioè di tombe ed altari dedicati
a valorosi eroi. Il monumento sarebbe quindi un deposito delle offerte,
soprattutto derrate, provenienti in massima parte dal circondario.La
definizione che venne data all’Orsi di monumento sotterraneo adibito a “cisterna”
venne quindi messo in discussione.Certo
la presenza di un monumento così imponente non può lasciare indifferenti al suo
studio.Purtroppo
gli scavi clandestini hanno cancellato tracce importanti che avrebbero potuto
svelare molti aspetti su questo
Casale. Molta ceramica giace a vista sul
pianoro che mette in risalto un assidua frequentazione del sito, strategicamente importante come Monte
Turcisi.Porzioni
di roccia ben squadrata e residui di strutture murarie sono presenti in vari
punti del pianoro, coperti da un sottile strato agrario che potrebbe suggerire l’esistenza di un
complesso abitativo molto più ampio di quello che è stato riportato alla luce
in due campagne di scavi di cui l’ultima circa vent’anni fa... mentre gli scavi
da parte dei tombaroli sono continuate......È
della fine del XIX secolo una ricevuta, rilasciata dal Museo Salinas di
Palermo, della donazione di una Falera d’Oro che fu rinvenuta nel colle dal
nobile Ippolito de Cristofaro, proprietario dell’area o Feudo.Nello
stesso museo sarebbe conservata anche una fibula bronzea, sempre d’epoca romana
e sempre d’ambiente militare
Diverse falere
romane su una corazza ricostruita
Falera con il volto di Augusto.
Non
ho l’immagine della falera d’oro e della
fibula bronzea che furono trovate sul Monte San Basilio ma dovevano appartenere
a qualche personaggio importante, per la qualità delle loro leghe. e non so se siamo ancora presenti nel Museo
Salinas di Palermo. Le
falere erano in origine di due dischi laterali dell’elmo a cui si fissavano gli
allacci. Il termine venne poi esteso a un qualsiasi elemento decorativo in
metalli che serviva a ornare le corazze dei soldati e le bardature dei cavalli.
Alla fine diventò quasi esclusivamente un importante elemento decorativo militare
romano.Nei
popoli più primitivi erano in legno e servivano a proteggere le mani, alle
quali erano allacciati, e a colpire gli
avversari che venivano storditi. In seguiti furono creati in bronzo, agente e
anche in oro per personaggi più importanti mentre raramente erano in ottone e rame.In
genere era costituita da un disco con un rialzo centrale semisferico che veniva
detto “umbone”.Venne
poi l’uso di applicare le falere sulle corazze sia di cuoio, di lino o di
metalli.La
presenza delle falere sulle corazze aveva diverse motivazioni:-
di
poter mostrare ai nemici il proprio valore e quindi di intimidirli durante la
battaglia;
-
di
poter sfilare nelle parate militare con le falere raccogliendo così
l’ammirazione del popolo che l’avrebbe ripagato con solo con l’ammirazione ma
anche con regali o riguardi particolari;
-
di
potersi presentare ad una candidatura politica con questa favorevole
presentazione legata proprio alle falere perché i rimani apprezzavano negli
uomini soprattutto le qualità militari;
-
di
ricevere incarichi particolari in battaglia, con operazioni che potessero
metterli ancora più in evidenza facendogli conquistare più meriti;
-
ricevere direttamente una nomina a un grado
superiore grazie ai meriti di calore
conquistati e riconosciuti:
-
Di
essere accolto dalla sua famiglia e dalla sua gens, come un membro che ha
saputo dare lustro ad ambedue, con relativi riconoscimenti, affetti e
riconoscenza.
Si
trattava in poche parole di una medaglia al valore militare.
Il
sito fu usato anche come luogo di mercenari durante il regno dei tiranni di
Siracusa. La presenza romana sia sul Monte che nelle contrade circostante fu testimoniata grazie anche ai vari
rinvenimenti archeologici. Il sito sin dall’antichità aveva una sua funzione
strategica molto importante perché dalla montagna si domina la valle che da
Katane, attraverso il territorio di Leontinoi, portava a Gela collegando le due
grandi e ricche pianure della Sicilia Orientale: quella catanese (I “campi Leontinoi”)
e quella gelese (I “campi Geloi”).
Il
sito oltre alla sua assodata funzione militare aveva anche un suo altissimo
valore religioso per la presenza di un santuario, come affermò lo studioso
Mannoia, che fu utilizzato per secoli da diverse fasi culturali ?
La
presenza di un possibile presidio avrebbe quindi avuto una sua funzione nel
controllo di una via commerciale, militare ed anche religiosa.
Nell’area
di Monte San Basilio l’archeologo Paolo
Orsi rinvenne anche delle inumazioni dentro grandi contenitori in
terracotta. Lo studioso Gino Calleri
avanzò l’ipotesi di un possibile collegamento di queste sepolture ad usanze
tramandate da ambienti italici, riconducibili ai miti degli eolidi, e
all’eventuale individuazione del mito e perduto regno di Xuto.
Secondo
le narrazioni di Diodoro Siculo, Xuto, figlio di Eolo, sarebbe stato mandato in
Sicilia dal padre.
(In
realtà nella mitologia greca, Xuto era
il figlio di Elleno e della ninfa Orseide e fu costretto dai fratelli Eolo e
Doro ad emigrare dalla Tessaglia per stabilirsi nell’Attica. Sposatosi
con Creusa, figlia di Eretteo, ebbe i figli Archeo e Ione che sono nel mito i
capostipiti dei popoli ellenici).
Comunque
Xuto avrebbe fondato in una zona
compresa tra la Valle dei Margi e la Piana di Catania un ricco e potente regno,
la mitica Xunthìa. In questo regno si
trovava l’area dedicata al culto dei Palici (l’antica Palikè, Mineo).
I
riferimenti letterali tramandarono come il Regno di Xunthìa si doveva estendere
tra l’antica Leontinoi (Lentini) e le balze di Caltagirone, lambendo le pendici
Etnee e delimitato dagli Iblei e dagli
Erei.
Regno di Xuto
Un
regno contraddistinto da terre fertili dive si coltivava il grano. San Basilio
domina questo vasto regno ed era un
punto strategico e di controllo di grande importanza oltre che importante via
di transito per i commercio.
Era
quindi una sede fortificata di ricchi depositi votivi ed agricoli ?
Fu
scoperto un piccolo Santuario dedicato a Demetra ed anche la sepoltura del
“Duce ignoto” lascia ipotizzare la presenza di un luogo dedicato alla sepoltura
degli eroi tra cui forse lo stesso Xuto.
Eolo,
dio dei venti, era il fratello di Xuto e il Colle di San Basilio è
continuamente colpito durante quasi tutto l’anno dai venti e il termine Xuto,
da “Xouthos”, significherebbe “biondo/bruno giallastro” , il colore del grano .
Xuto
potrebbe nella fantasia identificarsi con un imprenditore agricolo che costruì
un immenso granaio sotterraneo in un remoto passato per conservare i ricchi
prodotti del territorio.
Il
termine Basilio, dal greco Basileus e poi latinizzato in Basilius, sarebbe “
re” o “”regale” da “Basilieios”. Il
Colle di un re ?
Sembra
fantasia.. in ogni caso ci troviamo davanti ad un sito archeologico importante
con una testimonianza architettonica di
gran valore... eppure è abbandonato a se stesso ormai da anni e non penso che
la situazione attuale sia cambiata...In
Sicilia è presente una struttura simile ed esattamente a Siracusa nel Parco
Archeologico.
Un
confronto che dal punto di vista archeologico potrebbe creare nuove ipotesi
sull’uso del (tempio, cisterna, bagno, ecc.) di San Basilio.
Nel
Parco Archeologico di Siracusa si trova una piccola chiesa normanna dell’XI
secolo. Si tratta della chiesa di San
Nicolò ai Cordari, uno dei primi edifici cristiani costruiti subito dopo la
cacciata degli arabi.
Come
si nota dalla foto, l’edificio fu costruito su una balza rocciosa e presenta
un'unica navata, con abside semicircolare, finestrelle a feritoia e un piccolo
portale d’accesso laterale. Nel 1093 vu furono celebrati i funerali di Giordano,
figlio di Ruggero d’Altavilla. È detta dei Cordari perché nel 1577 fu concessa
agli artigiani che fabbricavano corde.
Diventò la chiesa di una corporazione che non era distante dalla grotta
dei Codari dov’era ubicato il loro cantiere di lavorazione.
“Discorso di San Paolo” nella grotta dei Cordari
Siracusa - Grotta dei CordariLa
chiesa è impostata, in parte, su una costruzione a pianta rettangolare che presenta uno sviluppo trasversale rispetto
alla pianta dell’edificio sacro.
Una
piscina d’epoca romana che fu scavata nella roccia viva e impostata su una
latomia greca. L’ambiente è diviso da quattordici pilastri massici (una doppia
fila di pilastri) in tre navate. Sui
pilastri poggiano degli architravi a piattaforma sormontati da volta a botte.
"Piscina" Romana - Siracusa
La
piscina in origine aveva la funzione originaria di serbatoio d’acqua e
presentava le pareti intonacate. Era collegata con il vasto sistema idrico dell’anfiteatro
romano attraverso un canale interrato.L’acqua
del serbatoio era usata durante le naumachie che si svolgevano all’interno
dell’Anfiteatro. Questa sua funzione è testimoniata non solo dalla presenza di
una lunga condotta che si sviluppa oltre 1 km ma anche dalla presenza di due
aperture, una delle quali connessa con un acquedotto retrostante che confluiva
nell’Anfiteatro.Fu
ricavata troncando e ricoprendo un tratto di strada incassata nella roccia che
costituiva un antico ingresso alla Latomia del Paradiso e le cui pareti erano
ricoperte da incavi votivi dedicati al culto dei defunti eroizzati.
In
seguito il serbatoio subì degli interventi strutturali perché in età
paleocristiana e bizantina fu trasformato in chiesa sotterranea e in ultimo fu
utilizzata come cripta della chiesa soprastante. Alcuni ingrottamenti erano in
origine decorati con affreschi ed oggi non sono più distinguibili e
costituivano dei sepolcri di martiri cristiani. Sempre nel serbatoio o piscina
furono sepolti i cittadini siracusani morti nella carestia del 1672. Dal
1700 fu utilizzata in rapporto all’attività
dei vicini mulini ad acqua. Negli anni ’90, durante i lavori di restauro del
tetto e della pavimentazione, curati dalla Soprintendenza di Siracusa, sotto il
pavimento furono rinvenute delle sepolture databili al I – II secolo d.C. entro
tombe a fossa, a bauletto e alla cappuccina. Erano presenti anche incinerazioni
in urne di terracotta.
Rispetto
alla “cisterna” di San Basilio presenta una differenza che dovrebbe fare
riflettere.
La
struttura di San Basilio non presenta alcuna traccia di intonaco idraulico
tenendo conto che le pareti di calcareniti sono costituite da una roccia molto
porosa.
In
nessun periodo dell’anno è stata mai riscontrata la presenza d’acqua stagnante.
Risulterebbe quindi accettabile l’idea di un suo utilizzo come granaio.
..........................
10. Il Termine “Brikinnia”
Malgrado
le ricerche effettuate, il nome del sito resta un mistero. Si sono formulate
due ipotesi che collegano il centro fortificato ai nomi di BRIKINNIA e di EUBOIA.La prima ipotesi sarebbe legata alle fonti tramandataci da Tucidide( che indica il sito
come “fortezza”)(Tucidide, V 4:
Brikànnia on ôruma ùn t–Leontàn– ) e
proposta anche dallo storico De Mauro e “quasi” accettata dall’Orsi.La
tradizione locale colloca il termine
“Bricinnia” a Buonvicino, un piccolo colle detto “Castelluccio” posto vicino
all’antica Leoninoi e forse più vicino alla strada che collegava Gela a
Catania.La
seconda ipotesi indica i ruderi come il centro fortificato di EUBOIA, colonia
dei Calcidesi di Leontini e accetta da alcuni storici.Indica
un sito vicino al fiume Gornalunga presso il quale correva la strada citata dalla fonte ma con il termine è oggi
identificata la moderna Licodia Eubea,
11.
Quando fu distrutta Brikinnia ?
Quando
i Saraceni stabilirono la loro sede sul Casale fu probabilmente intorno all’845
quando fu conquistata Modica da “Maometto” figlio di Abd’allà e dallo stesso condottiero anche Leonini e
Ragusa.
La
presenza della dominazione musulmana sul
Casale era testimoniata dalla presenza nel 1838 da
“un infinità di
rottami, di utensili in creta, verniciati con ossido di piombo, confusi in
tutta la periferia di quello altipiano con altra copia di rottami di varie
crete deitempi greci e
romani.La
tesi veniva confermata dalla forma più grande di quei reperti, dal modo con cui
erano verniciati e che spesso presentavano degli arabeschi... una ceramica
comunque “rude e da sesso”.
Il
De Mauri citò delle piccole monete in
oro,
con note
cristiane, delle quali due esibitemi dall’arciprete parroco De Cristofaro,
uscite dalla zecca bizantina, colla croce e la epigrafeIC: XC: NIKA(Vinci)
E le monete in
bronzo colla immagine di Cristo sino al petto,con diadema o
nimbo e nel rovescio ilBasileus A. Omeon
.......................
12. Il Feudo di San Basilio
Non
si sa per quale ragione Ruggero II diede il feudo all’archimandrita di Messina.
Nel
1283 un Giovanni di San Basilio figura tra gli “equites” di
Lentini chiamati al servizio da re Pietro I.
Il
“dominus” (signore/condottiero in guerra) Alafranco di San Basilio
(della famiglia di Lentini) l’11 febbraio 1300 aveva ricevuto l’investitura di
Pettineo e risultava stratigoto di Messina (l’8 agosto 1320) e giustiziere di
Palermo nel 1326-27 e nel 1328.
Il
23 novembre 1331 la R.C. rilasciò una cedola con la quale si dettavano le
modalità di scambio tra il casale Pettineo di Alafranco di San Basilio e il
casale Convicino (Barrafranca) di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, “nel
rispetto delle prerogative feudali di Pietro d’Antiochia, signore di Mistretta,
nella cui baronia rientrava Pettineo”.
Il
7 marzo 1332 con rogito del notaio Nicola Sammarata di Polizzi, avvenne tra i
due feudatari lo scambio di Pettineo con Convicino.
Nel
1332 un privilegio di re Federico III d’Aragona confermò i termini della
permuta dei due casali (cancelliere Pietro di Antiochia).
Nella
Deputazione Feudale del 1335 figurava titolare dei feudi Siccafari ( in Val di Noto presso
Licata), Comitium (Convichino, attuale Barrafranca) e San Basilio (in Val di
Noto e territorio di Lentini) che gli assicuravano un reddito di 264 onze
annuali.
Successivamente,
in virtù delle ultime volontà testamentarie di Alafranco di S. Basilio, i suoi
fidecommissari furono incaricati di vendere Convicino e Siccafari per
soddisfare i molti legatari testamentari, e solo con un certo ritardo, dovuto
all’assenza di Manfredi Chiaramonte che era uno dei suoi fidecommissari, si
giunse alla vendita dei suddetti feudi.
Il 23 dicembre 1337 fu emanato un decreto da
parte della Magna Regia Curia (MRC) che permise il 28 dicembre 1337 la stipula
dell’atto pubblico di vendita del casale Convicino ad Abbo Barresi.
L’8
dicembre 1337 il re Pietro confermò la suddetta vendita.
Alafranco
morì senza figli e gli successe nel feudo di San Basilio il cugino Alaynuccio
di Alaymo (o di San Basilio o Aloisio de Santo Basilio) che comparve
nell’adoa del 1345 domiciliato a Lentini e tassato per 3 cavalli armati
(equivalenti a un reddito di 60 onze). Parisia, moglie di Alaymo di San
Basilio, possedette Ucria, ma per la continuata dimora di quest’ultima fino al
termine della sua vita presso i nemici angioini di Lentini ed altri luoghi, il
casale venne devoluto al fisco.
Nel
1354 fu assegnato a Ruggero Lamia.
Alafranco
figlio di Alaynuccio(?) e la moglie Venturella vendettero nella V Indizione 1366-67 a Enrico di Santo
Stefano il feudo Visamino ( Val Di Noto, in territorio di Caltagirone),
appartenente a Venturella. Il 17aprile 1370 furono chiamati a corrispondere lo
“ius decime” per la vendita dei feudi Viscara (o Biliscara) e Ribichino (o
Libellini) (in val di Noto) a Pietro Capoblanco.
Il
nipote Giacomo di Lentini ottenne la conferma del privilegio per San Basilio.
Nel
ruolo feudale del 1408 signore dei feudi di San Basilio e Luculo(?) figurava Antonino
di San Basilio.
Nel
1453 per atto della camera reginale, il feudo di San Basilio, Cucco e
Castellana, era di Antonio di Lentini, padre di Alafranco ed avo di Giacomo che
ottenne la conferma del privilegio dalla regina Maria.Successivamente
figura un Giacomo di San Basilio
la cui figlia sposò Angelo Balsamo (1506).
Il
14 marzo 1641 Pietro Balsamo comprò dalla Regia Corte, per la somma di 500
scudi, l’investitura del mero e misto impero, ottenendo i feudi su indicati che
risultano staccati dal territorio di Lentini
Il
barone D. Giuseppe De Cristofaro, padre dell’arciprete Don Mario, nel marzo del
1818 comprò dal principe di Cattolica (Giuseppe Bonanno Branciforte ? – figlio
di Francesco Antonio e di Caterina Branciforte Pignatelli, figlia di Salvatore,
principe di Butera) il feudo di Castellana, dove sorge San Basilio, per il
prezzo di 20.000 e 10 onze. Ottenne la relativa investitura con il titolo di
barone di San Basilio e fu l’ultima investitura a causa dell’abolizione della
feudalità.
Fu quindi Giuseppe Rocco Silvestro De
Cristofaro (Scordia, 31 dicembre 1754 – Scordia, 26 marzo 1835) (figlio di
Mario De Cristofaro e di Ninfa Onfici) ad acquistare il feudo. Sposò Donna
Fortunata Savoca, dai cui i figli/e:
-
Sebastiano Vincenzo De Cristofaro (Scordia, 26 maggio 1779 – ?),
sposò Teresa Mauceri, da cui il figlio Francesco De
Cristofaro;
-
Mario
De Cristofaro (1784 – ?)
-
Maria Ninfa Gesualda
De Cristofaro ( 1787 – ?)
-
Gaetano
Antonino De Cristofaro (Scordia, 6
febbraio1793 - ?); sposò Francesca De Cristofaro da cui i figli: Antonino (1823
– 1878) e Filippo (1830);
-
Vincenzo
De Cristofaro (Scordia, 1796? – Scordia,
9 maggio 1876)
-
Lucia
Ninfa Maria De Cristofaro (Scordia, 2 maggio 1800 – Scordia, 11 giugno 1860);
sposò il 23 giugno 1829, in Scordia, Ercoli Paolo (1797 – 1873): da cui i
figli/e: Giuseppe (morto all’età di un anno). Filippo, Giuseppe. Filippa,
Mario;
-
Michelangelo
Giuseppe Antonio De Cristofaro (Scordia, 10 novembre 1801 – Scordia, 23 aprile 1880);
sposò Lucia Di Martino, da cui i figli: Luigi e Giuseppe.
-
Felice
Simone Giuseppe De Cristofaro (Scordia, 28 ottobre 1805 – Scordia, 25 febbraio 1875);
sposò Rosaria Trovato.
Giuseppe di Cristofalo s'investì del feudo
dell'Ingegno col titolo di Barone, a 11 Novembre 1808, per nomina fatta a suo
favore da Michele Cali, agli atti di Notar Salvatore Milana da Palermo, il 27
Ottobre 1808. A detto Cali spettava, per averli acquistati per persona da
nominare, da Francesco Leonardo Lo Faso e Gastone per contratto agli atti di esso
Notaro il 21 Ottobre 1808 (Conserv., libro Invest, dal 1807 al 1809, f. 101
retro).
Francesco De Cristofaro (nato a Scordia nel 1820 circa) sposò
il 9 maggio 1843, a Scordia, Elena Thovez (figlia di Filippo Thovez e di
Elisabetta ?), da cui il figlio Enrico De Cristofaro (1844 – 1898). Barone
dell’Ingegno.
13. Elena Thovez a Scordia - I Thovez in
Sicilia, amministratori della Ducea di Orazio Nelson
Come
mai questa famiglia inglese, originaria di Portsmouth, si trovava a Scordia ?
“La
sera del 3 settembre 1799, durante un solenne convegne tenuto nel Real
Palazzo con l’intervento dei ministri di
Stato, e di magnati del regno, il Grande Ammiraglio, visconte Horatio Nelson,
ebbe un diploma con cui gli venne conferito il titolo di Duca di Bronte, con
l’appannaggio dei redditi e diritti, che il Nuovo e Grande Ospedale di Palermo
godeva su Maniace e Bronte”.
Perché
quel conferimento ?
Ferdinando
III di Borbone volle ricompensare il vincitore di Abukir per aver salvato la
vita del sovrano e dei suoi familiari trasferendoli al sicuro in Sicilia
(Napoli era attaccata dalle truppe napoleoniche) e per aver riconquistato il trono reprimendo
nel sangue, il 20 giugno 1799, la rivoluzione napoletana.
Lo
stesso sovrano, animato da una immensa gratitudine verso il suo eroe, aumentò la rendita della Ducea di Bronte,
calcolata in 5.500 onze annuali, con qualche altro migliaio di reddito
derivanti dall’acquisizione di terre confinanti.
Fece
altresì a concessione di trasmettere la proprietà anche a non congiunti e di
esentarlo dal pagamento sia dei previsti redditi d’investitura che dei consueti
donativi nei confronti della corona.
Ci
fu una protesta da parte dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo che dal 1491
era in possesso dei beni dell’Abbazia Normanna di Maniace e dell’Abbazia di San
Filippo di Fragalà ? La decisione regia fu considerata un’indebita sottrazione
di terre con relativa perdita di una somma considerevole di reddito ?
La risposta, può lasciare sorpresi e increduli, ma fu negativa.
Per
l’Istituzione dell’Ospedale fu una vera e propria fortuna caduta dal cielo
perché finalmente si liberava di una gestione che nel corso del tempo (1538 –
1784) era diventata troppo complessa per una serie di atti di arrendamento
(imposta indiretta di consumo) con soggetti nobili e borghesi, spesso in
società tra di loro, che avevano determinato la nascita di una gran numero di
controversie giudiziarie con la comunità brontese.
Una
serie di liti che erano culminate il 6 aprile 1636 con un tumulto sanguinoso proprio
a Bronte.
Una
protesta che portò alla morte di due rivoltosi, il capitano d’arme Matteo Pace
e Luigi Terranova, e un indebitamento da parte della comunità brontese di 9000
ducati nei confronti dell’Ospedale di Palermo.
Un debito che determinò un forte inasprimento fiscale con gravi
conseguenze sociali per comunità.
Lo
stesso Ospedale per la perdita della Ducea ebbe un indennizzo di 5.600 onze
l’anno che fu basato sulla rendita annua della ducea aumentata di 100 onze
derivanti dall’esercizio del mero e misto imperio.
Allora
Bronte, siano nel 1798, aveva 9193 abitanti in gran parte contadini e pastori e
l’elevazione a contesa della loro terra non fu
ben accettata. Per gli abitanti significava riduzione a sudditi feudali
di uno straniero con la perdita del diritto di
mero e misto imperio riacquistato nel 1638 da Randazzo con una spesa
notevole e la fine di secolari aspirazioni di reintegrazione al regio demanio.
Orazio
Nelson non venne mai in Sicilia a visitare la sua Ducea che venne amministrata
da diversi governatori che intervennero nelle strutture edilizie dell’antico
monastero di Santa Maria di Maniace.
Uno
dei primi governatori fu John Andrew Graeffer che fu raccomandato al Nelson da
sir William Hamilton, ambasciatore inglese alla corte dei Borboni.
Non
fu un’amministrazione felice perché con i suoi bandi rinnovò i divieti sul legnatico, semina,
pascolo, passaggio per le regia trazzera e sull’uso dell’acqua di Maniace. Ci
furono una serie innumerevole di controversie con il comune.
Con
la morte di Orazio Nelson, il 21 ottobre 1895,
la Ducea passò al fratello reverendo William. Ci fu un nuovo
amministratore Antonio Forcella e la situazione peggiorò con l’inasprimento dei
divieti, che erano rilevati da guardie o campieri, e con la distruzione di
boschi.
Nell’aprile
1819 giunsero a Bronte i Thovez destinati ad amministrare la Ducea.
Philip
Thovez era nato a Napoli nel 1789 da un funzionario inglese al servizio di Orazio
Nelson. Era ritornato in Inghilterra ancora adolescente ed era diventato
commissario della marina inglese. Dimorava a Portsmouth dove aveva conosciuto e
sposato Elizabeth Paton.
L’Orsi
riportò nel suo quaderno degli scavi in merito alle pendici orientali del
Monte:la pendice
orientale del monte formante un rampante di detriti
contiene la
necropoli ellenistica e poco sotto di essa un profondo vallone,
squarciatura delle
rocce vulcaniche, formava con la fossa naturale di esso;
sul lembo superiore
di questo, cercando in un ripiano di sepolcri greci,
ci siamo imbattuti
in detriti di vita Sic. I”.
Alla
base della parete del “profondo vallone, squarciatura delle rocce vulcaniche”,
s’apriva una breve galleria a sezione trapezoidale dalla quale sgorgava una
piccola sorgente “d’acqua bevibile che alimentava una macchia di verde, tra cui
un albero di fico, elemento botanico insolito in una zona così arida.
Questa
sorgente ere probabilmente utilizzata sia in epoca greca che preistorica dalle genti
che vivevano sul pianoro.
Forse
la sorgente subì, con la costruzione della piccola galleria, l’intervento
greco.
Durante
la ricognizione delle basse pendici del monte, l’Orsi non escluse che la
necropoli greco arcaica del VI – V secolo, soprastante l’insediamento Siculo I
del Bronzo inziale, possa essere stata distrutta da precedenti “ricercatori”
(tombaroli).
L’archeologo
era impegnato nel liberare la capanna dai detriti e rinviò la ricerca della
necropoli greca dove erano presenti delle sepolture per bambini posti dentro
delle anfore.
Molti
erano i detriti di vita risalenti al periodo Siculo I.
Nel
1922 furono ripresi dallo stesso Paolo Orsi le ricerche archeologiche sul sito.
“Tutta
l’area che doveva comprendere il villaggio “castellucciano” era stravolto
dall’azione di macchine escavatrici. Lunghi e profondi camminamenti, a mo’ di
trincea, erano stati realizzati evidentemente da altri “ricercatori”, proprio
alla ricerca di materiale greco, e forse non solo greco, da trasferire ai
mercati clandestini.È
certo comunque che una massa di materiali preistorici, litici e fittili, di
poco o nullo interesse per gli scavatori, fu abbandonata sul posto.Un
discreto campionario di tali materiali, attribuibili al Bronzo antico, furono
recuperati e sottoposti a studio. Si tratta di due frammenti di corni fittili
“votivi”, di strumenti di basalto, di selce e di numersi frammenti di vasi di
ceramica decorati secondo lo stile “castelluciciano” definito nella Sicilia
Occidentale”.
Basalti
Industria litica (Selce)
Industria litica
Il
grande studioso, grazie alle sue scoperte, si propose di continuare le ricerche
sperando di riuscire a riconoscere e ad identificare, in quelle testimonianze,
l’antica Brikinnia che era citata dalle fonti storiche. Il suo tentativo fu
vano perché non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi.Le
indagini archeologiche sul monte finirono e furono riprese nel 1980 grazie alla
Soprintendenza Archeologica di Siracusa che affidò le ricerche all’Istituto
d’Archeologia dell’Università di Catania con la direzione della Prof.ssa Sebastiana Lagona.
6. Gli Scavi sotto la direzione della Prof.ssa Sebastiana Lagona
Il sito
veniva studiato da un altro grande
esponente dell’Archeologia.
Era Professoressa
Emerita dell'Università degli Studi di Catania,
dove ha insegnato
per oltre trent'anni Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana
e Topografia
antica. Gli interessi scientifici di Sebastiana Lagona furono rivolti
soprattutto
alla Sicilia e al Sud
Italia (con le ricerche nel territorio di Caltanissetta, Lentini,
Scordia e Cosenza)
e alla Turchia (con gli scavi della Missione archeologica italiana a Iasos e a Kyme).
Gli
scavi furono avviati grazie ai finanziamenti del M.P.I e del C.N.R e con
piccoli importanti contributi dei Comuni di Lentini e Carlentini. Le indagini
confermarono l’esistenza delle fasi che erano state individuate dall’Orsi e
furono riportate alla luce nuove costruzioni con l’acquisizione d’importanti
dati.Della
cinta muraria individuata dall’Orsi e datata al VI secolo a.C., si conosceva un
lungo tratto che seguiva il limite del
costone rocciose, posto ad Ovest del pianoro, e con un apertura in
corrispondenza del punto vicino alla costruzione sotterranea. Si operò uno
scavo sul limite Est del pianoro riportando alla luce un tratto di muro
con un ingresso in corrispondenza di una stradella che saliva, con un andamento
molto tortuoso a “zig-zag” dal pendio. Le
ricerche permisero anche di stabilire come la cinta, costruita tra la fine del
VI e gli inizi del V secolo a.C.. fu oggetto di una ricostruzione nel IV secolo
a.C.La
cinta, conservata per più tratti, recingeva tutta la collina. Il tratto meglio
conservato è quello Sud – Ovest, quasi rettilineo e lungo circa 65 m. di esso rimangono per buona parte quattro
filari di blocchi; all’estremità settentrionale di questo tratto, notiamo
all’esterno, un breve muro lungo poco meno di 3 metri, in corrispondenza di un
apertura della cinta stessa da cui dista appena un metro e la cui funzione
probabilmente era quella di difendere l’ingresso. Il
muro è stato rimaneggiato in età moderna, si attende un’ulteriore scavo per
definire il sistema di difesa della porta, che dall’esterno sembra avere una
costruzione quadrata (torre).Muro
alto forse già in origine mentre il tratto Nord -Ovest, rimasto per circa 35 m
e rovinato per l’asportazione dei blocchi.. presenta un solo filare di blocchi in vista. A
Nord il pianoro era difeso da una scarpata ripidissima e quindi di accesso
impossibile mentre a Sud si notano una serie di blocchi sparsi sul pendio
(franati sia per cause naturali che per l’azione dell’uomo... i famosi
“tombaroli” che hanno agito anche con ruspe) e tracce di una torretta impianta su di un tratto di roccia sporgente sulla scarpata con
il piano livellato.
Basalti
Industria litica (Selce)
Industria litica
Il sito
veniva studiato da un altro grande
esponente dell’Archeologia.
Era Professoressa
Emerita dell'Università degli Studi di Catania,
dove ha insegnato
per oltre trent'anni Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana
e Topografia
antica. Gli interessi scientifici di Sebastiana Lagona furono rivolti
soprattutto
alla Sicilia e al Sud
Italia (con le ricerche nel territorio di Caltanissetta, Lentini,
Scordia e Cosenza)
e alla Turchia (con gli scavi della Missione archeologica italiana a Iasos e a Kyme).
Gli
scavi furono avviati grazie ai finanziamenti del M.P.I e del C.N.R e con
piccoli importanti contributi dei Comuni di Lentini e Carlentini. Le indagini
confermarono l’esistenza delle fasi che erano state individuate dall’Orsi e
furono riportate alla luce nuove costruzioni con l’acquisizione d’importanti
dati.Della
cinta muraria individuata dall’Orsi e datata al VI secolo a.C., si conosceva un
lungo tratto che seguiva il limite del
costone rocciose, posto ad Ovest del pianoro, e con un apertura in
corrispondenza del punto vicino alla costruzione sotterranea. Si operò uno
scavo sul limite Est del pianoro riportando alla luce un tratto di muro
con un ingresso in corrispondenza di una stradella che saliva, con un andamento
molto tortuoso a “zig-zag” dal pendio. Le
ricerche permisero anche di stabilire come la cinta, costruita tra la fine del
VI e gli inizi del V secolo a.C.. fu oggetto di una ricostruzione nel IV secolo
a.C.La
cinta, conservata per più tratti, recingeva tutta la collina. Il tratto meglio
conservato è quello Sud – Ovest, quasi rettilineo e lungo circa 65 m. di esso rimangono per buona parte quattro
filari di blocchi; all’estremità settentrionale di questo tratto, notiamo
all’esterno, un breve muro lungo poco meno di 3 metri, in corrispondenza di un
apertura della cinta stessa da cui dista appena un metro e la cui funzione
probabilmente era quella di difendere l’ingresso. Il
muro è stato rimaneggiato in età moderna, si attende un’ulteriore scavo per
definire il sistema di difesa della porta, che dall’esterno sembra avere una
costruzione quadrata (torre).Muro
alto forse già in origine mentre il tratto Nord -Ovest, rimasto per circa 35 m
e rovinato per l’asportazione dei blocchi.. presenta un solo filare di blocchi in vista. A
Nord il pianoro era difeso da una scarpata ripidissima e quindi di accesso
impossibile mentre a Sud si notano una serie di blocchi sparsi sul pendio
(franati sia per cause naturali che per l’azione dell’uomo... i famosi
“tombaroli” che hanno agito anche con ruspe) e tracce di una torretta impianta su di un tratto di roccia sporgente sulla scarpata con
il piano livellato.
La tecnica di costruzione del muro di cinta era quella a paramento esterno a grossi blocchi non molto regolari e con riempimento interno, abbastanza comune nella Sicilia Greca.
I grossi blocchi di arenaria dovevano provenire dalle cave situate sul monte Serravalle e in contrada Castellana, tutte relativamente vicine.
La stessa tecnica del taglio dei blocchi presenta il grandioso monumento sotterraneo che l’Orsi indicava come una cisterna.
Un
ulteriore scavo eseguito sul limite Ovest del pianoro permise di portare alla
luce un piccolo santuario rupestre e una capanna preistorica.
Furono rinvenuti dei reperti in gran parte costituiti da lucerne, statuette di terracotta che erano riconducibili al culto di divinità, forse Demetra. Un santuario probabilmente legato alla costruzione sotterranea che si raggiunge attraverso un apertura posta in una delle grotte del santuario. Un’apertura forse ricavata in epoca moderna per ricovero di animali ?
Nell’edificio la prof. ssa Lagona non eseguì nessun saggio perchè la copertura del locale era in cattive condizioni strutturali e c’erano quindi dei rischi di crolli. A quando sembra nell’edificio furono poi eseguiti dei lavori consolidamento ma non ho notizie in merito a successive indagine archeologiche
Nell’area
del santuario gli scavi permisero di riportare alla luce anche una capanna preistorica per il rinvenimento di una
serie di buchi per l’inserzione di pali che ne indicavano il perimetro. Un’area
della capanna piuttosto piccola e da collegare alla fase di Castelluccio e
quindi collegate, per il periodo temporale, a quelle che furono rinvenute
dall’Orsi.Nei
presso della capanna fu trovata una
tomba, con uno scheletro rannicchiato, e con un coperchio in pietra,
Altra
zona ricca di reperti, forse sconosciuta all’Orsi, fu identificata a circa 300
m a sinistra di chi osserva il Monte da est ed interrotta dallo strapiombo. Si
tratta di una spianata simile a quella che l’Orsi trovò sulle pendici orientali
del Monte.
I
tombaroli rivolti alla ricerca di
un'altra necropoli greca da saccheggiare, scavarono nel piccolo strato di humus
creando delle piccole aree d’assaggio. I molti materiali fittili del Bronzo
antico, mancavano quelli d’età classica, furono recuperati e sottoposti a
studio.
Tra
i reperti fittili furono recuperati:
Boccale
(frammentario)
Corpo
globulare a profilo convesso, collo cilindrico a profilo leggermente concavo,
orlo con bordo molto assottigliato, fondo piatto leggermente convesso.
Probabile ansa a nastro verticale, ad orecchio, impostata sul corpo e
sopraelevata sull’orlo da cui si parte.
Decorazione
dipinta in bruno, molto vivace e ben conservata. Sotto l’orlo, banda
orizzontale interne ed esterna; lungo l’attacco del collo, altra banda
orizzontale. Sul collo, fasci di quattro linee disposte a zig-zag; sul corpo, fasci di sette o otto
linee, verticali, convergenti sul fondo, alternate ad una linea verticale che
si sviluppa a zig-zag.
Sotto
l’orlo, all’interno, in corrispondenza del punto d’attacco dell’ansa, due fasci
residui di tre linee verticali legate da due linee residue orizzontali.
Superficie
ingobbiata color camoscio rosato ed impasto rosso chiaro.
Pisside
(frammentaria)
Corpo
ovoidale a profilo convesso, su piccolo piede tronco-conico, cavo all’interno,
orlo indefinibile. Due anse a nastro verticale, contrapposte, indefinibili, ma probabilmente
ad anello, e due bugne ellissoidali contrapposte, impostate verticalmente sul
corpo.
Decorazione dipinta in bruno, ben conservata. Sul corpo,
fasci di tre linee che s’incrociano obliquamente, èresumibilmente sull’orlo, e
fino a una banda orizzntale che divide il piede del corpo; intercalate linee
doppie a zig-zag, verticali.
Le bugne dono delimitate da due bande laterali campite con
linee contrapposte a zig-zag.
Sempre dalla banda mediana, fasci di tre o quattro linee
verticali dirette verso la base.
Ingobbiatura di color camoscio rosato, con chiazze più rosse.
Impasto rosso chiaro.
Coppa Fruttifera su alto piede (frammentaria)
Bacino tronco conico a profilo quasi dritto, su piede troncop
conico cavo all’interno. Orlo indefinibile. Due anse a nastro verticale,
contrapposte, impostate sul bacino e sul piede. Decorazione dipinta in bruno,
ben conservata. Sul frammento residuo del bacino nessuna decorazione.
Banda orizzontale che divide il bacino dal piede, per metà
realizzata con due linee adiacenti e per metà con una sola linea. Fasci di due
linee o tre linee che si partono dalla banda e formano motivo a zig-zag. Sulle
anse, bande che le delimitano unite da segmenti orizzontali.
Superrficie ingobbiata rosso chioaro con larghe chiazze color
camoscio. Impasto rosso chiaro.
...........................
Sul
pendio orientale vennero alla luce due complessi medievali
costruiti adattando muri in pietra a grotte scavate nella roccia.Particolarmente
interessante era l’edificio posto nella zona più orientale del pianoro. Un
edificio costruito con una tecnica a piccoli blocchi davanti a due grandi
grotte riutilizzate in epoche recenti.L’unità
abitativa, forse familiare e produttiva di un insediamento feudale, era costituito da una serie di ambienti
disposti ad U intorno ad un cortile con piano di roccia ed con il focolare posto nell’angolo Nord,
vicino all’ingresso della grotta maggiore. Era probabilmente coperto da una
tettoia a tegole retta da pali. Una porta, piuttosto larga consentiva
l’ingresso alla grande grotta.I
materiali rinvenuti confermerebbero la data temporale dell’insediamento feudale
da collocare ai secoli XII – XIII. Un insediamento costituito da piccoli nuclei
che sfruttavano le risorse agricole della fertile pianura sottostante.
.........................
Le Cavità Rupestri
Ad
Est del pianoro, dove gli strati di calcare hanno una maggiore profondità, le
grotte sono disposte a quattro ordini sovrapposti ed hanno un perimetro
quadrato.Gli
antichi lastroni di roccia che costituivano le volte delle grotte, a causa di
fattori fisici (il peso proprio); chimici (la reazione del calcare a contatto
dell'acqua e degli altri agenti meteorologici); ambientali (gli scavi
clandestini che hanno interessato l'intera superficie delle grotte); già nel
1840 erano precipitati finendo con l'ostruire gli ingressi.Comunque
si può osservare, ancora oggi, come molte grotte siano in comunicazione tra di
loro per mezzo di buche e di porte ricavate dalla viva roccia.Nelle
pareti si possono notare piccoli incassi in cui venivano collocati le piccole
statuette votive, i lucernari o i vari utensili.Sulle
pareti sono visibili i buchi per l'inserzione di legni necessari per sorreggere
un controsoffitto.In
qualche grotta si trovano le tracce di antichi sarcofagi a dimostrazione di
come queste antiche abitazioni trogloditiche siano state successivamente usate
per collocarvi i defunti, forse nel periodo in cui la città cominciò a
spopolarsi mostrando i segni di una progressiva decadenza.
Il De Mauro (nel 1861) citò
come il terreno era sparso di frantumi di crete, di mattoni con marchi,
di lucerne, patere, lacrimatoi, anfore, idrie, vasetti d’acqua lustrate,
idoletti e testine d’argilla, ecc..
tutto matertiale ridotto in “pezzi...” per la ricerca di qualche reperto ancora
più prezioso.....
7. L’Edificio Sotterraneo
Pianta
dell’edificio
Ingresso
del sotterraneo
“Offre la divisione di sette scuole a chi stassi colla
faccia a Nord, e quella di sei a chi tiene il Sud a destra e il Nord a
sinistra. La sua volta è di enormi massi riquadrati strettamente tra di loro
congiunti, è sostenuta da trenta pilastri, composti di più riquadrati massi,
terminanti in cima per una specie di capitello di altrettanti intagli che vi
stanno a guisa di martello e attaccansi alla volta di cui son l’estremo
sostegno.
La campate dell'edificio“il
visitatore scenderà per comoda scala; vedrà uno scavo maestrevolmente eseguito
nella viva roccia. Il suo vano totale è di 9 canne siciliane (18,56
m), e
largo 7 e due palmi (14,94 m) ed alto
22 palmi circa (5,67 m).E’
coperto tutto questo vano da un gran palco sostenuto da 30 pilastri, ciascun
pilastro è formato di tre sole pietre; due meno grandi, che sono la inferiore
e la superiore di quattro palmi ogn’una (1,03 m): e
palmi dieci quella di
mezzo (2,77 m); conservandosi in tutti i pilastri la medesima
disposizione. Sopra
questi posa a traverso un’altra pietra, che per così dire forma il capitello,
lunga palmi 7 (1,80 m), che serve per stringere il vano tra pilastro e
pilastro; e sopra queste corre una catena di smili sassi, che formano un lungo
architrave sopra ciascuna pilastrata; che in numero di sei dividono la
Piscina in sette navate, larga ciascina palmi sette.
In realtà il pilastro è formato da tre pietre di cui l’ultima
superiore funge anche da capitello.Sul capitello
poggia la trave copstituita da diversi conci. Le tre pietre (inferiore, mediana
e superiore) non sempre presentano la stessa misura per tipologia di ubicazioneLa metà della lunghezza della prima di queste navate è occupata
da larga scala, che dava il comodo d’attingere l’acqua; la quale è larga pami
dieci (2,57 m), formata di 27 scalini, l’ulitmo de’ quali resta
quasi 4 palmi (1,03 m) sopra il pavimento. Sebbene la navata non sia più
larga di palmi sette (1,80 m), la scala però è di palmi dieci (2,57
m), essendo i 3 palmi (0,77 m) incavati
nel lato corrispondente.
Dalla parte opposta alla scala vi sono della stessa fattura
due piccole stanze, o vani, larghe palmi
10 (2,57 m), e lunghe 12 (3,09 m); in una delle quali a
pain terreno si osserva come una Tomba lunga palmi 8 e 4 larga ( 2,06 x 103 )m
Secondo lo storico De Mauro si tratterebbe di una tomba
similie a quelle rinvenute nelle catacombe di Siracusa destinate ai cadaveri
dei Cristiani.
La volta, o per meglio dire, il solare, che cuopre questo
monumento, è tutto formato d’intere pietre di eguale misura: sono queste di palmi 9 di lunghezza (2,32
m), e 2 di grossezza (0,52 m), ben lavorate da tutti i lati. Riposano
queste sopra i sottoposti architravi che hanno palmi due di largezza (0,52
m); in maniera che situati perfettamente l’una, accosto all’altra, posando
un palmo (0,26 m) per testa sopra l’architrave sudetto, ed attestando un
ordine coll’altro cuoprono i 7 palmi (1,80 m)
delle navate, formando estesissimo palco”. (Vi sono conci di copertura anche con le
seguenti misure:
palmi nove ed once sei di lunghezza = 2,44
m
palmi quattro ed once quattro di larghezza = 1,12
m
una
canna = 2,062 m
un
palmo (“parmu sicilianu”) = 25,775 cm
uoncia
(“unza liniari”) = 1,1479 cm
Si
notano le colonne costituite da due blocchi di notevoli dimensioni più
il
capitello, anch’esso un blocco di arenaria posto di testa, su cui appoggia
la
trave per l’impostazione della copertura.
“nelle pareti di Est veggonsi incavate due cellette
quadrate che van gardo grado rastremandosi in su, ed indicano di essere i
luoghi destinati alle vasche ove effettuarsi i bagni. Un aquidotto incavato
pure nel vivo calcario, dolcemente declina dalla parte del Sud e profondesi nel bagno allato alla scala
intagliatavavi nel masso perché vi si scendesse comodamente. Di altro non
difetta per dirsi intatto questo monumento, che di talini massi nel fondo
caduti alla volta. Ci duole che l’ignoranza, l’incuria, o il niun attaccamento
alle memorie illustri che rilevano la civiltà e la possanza de’ nostri
maggiori, lo hano lasciato, per lungo volgere di anni, ingombro di ortiche,
sanni, renischio, avanzume di muricce e macerie. Gli antiquarj che si snon
accinti a dir qualcosa del S. Basilio, sonosi con particolarità attenuti a far
cenno, o descrivere e dare importanza ad un tal vetusto monumento di non
ordinaria architettura.De Burigny ci ha detto: Sono osservabili sul colle di S.
Basilio le rovine del Casale dello stesso nome, che non più sussisteva nel
tempo de’ Normanni. V’è da congetturare, che fosse stato popolatissimo. Il sito
ne è molto ameno, vi si scorge a mezzodì il Lago di Leontini, e dall’altro lato
l’ampia pianura di Catania. gli avanzi di un sacro tempio ne accennano la
magnificenza”
Al tempo degli studi operati dal prete De Mauro, fu il grande
zelo dell’arciprete De Cristofaro nel fare pulire, a sue spese, il prestigioso nonumento mettendo “in
veduta il fondo del monumento in parola”.
L’archeologo Winkelmann
invitava gli antiquarj a procedere nelle loro
ricerche..” quanto ci rimane di antico tutto può divenire
utile sol
che si prenda nei suoi giusti rapporti, sol che lo esamini un
occhio intelligente”.
La costruzione è quindi scavata nella roccia e i blocchi che
costituiscono le travi e i pilastri hanno una tecnica di taglio che è simile a
quella dei conci dei muri di cinta.
Il monumento nel
passato fu oggetto d’interventi di restauro da parte della Sovrintendenza ma
furono bloccati per motivi di natura giudiziaria. se non ricordo male un
operaio morì per un incidente sul lavoro. I blocchi numerati restarono sparsi
sul pianoro perché la struttura fu messa sotto sequestro dall’A.G. ma non ai
tombaroli che continuarono i loro lavori di “ricerca....”
Il monumento fu utilizzato in epoca bizantina come sede di una chiesa cristiana come
d’altra parte testimonierebbero i resti di affreschi ormai andati perduti.
Come riportà lo storico De Mauro fino al 1837 gli affreschi
erano ancora in buone condizioni.
Il’edificio fu poi adibito a ricovero di intere famiglie che
“per paura di contrarre il colera, morbo africano, si rifugiarono nelle
grotte del Casale. Fu allora che l’inciviltà delle persone si scatenò sulle
sacre immagini”.
8. Gli Affreschi Bizantini
Lo
storico De Mauro vide quegli affreschi e li riportò nella sua descrizione del
sito.In
merito al Crocifisso riferì che “alcuni feroci superstizioni, per strano
consiglio, non so da chi suggerito..” di avere la possibilità di prendere
gli “occulti tesori del Casale” dopo aver dato sette colpi di “coltello a
quella immagine di Crocifisso”... L’Immagine
fu colpita e arrecarono “l’intero guasto non a questa soltanto, ma a tutti
gli affreschi del bagno...”. affreschi che erano esposti a levante..L’immagine
di Maria con il Bambino in gremboL’ingenua e così
soave figura del Bambino in grembo alla Vergine MadreL’immagine
degli Apostoli Pietro e Paolo, del Salvatore con diadema ed altro che “si è
unicamente osservato nelle immagini del IX secolo” e l’effige di un San
Basilio, in uno dei piloni che sostengono la volta.Un
santo forse titolare della chiesa sotterranea e che conferì al sito e al
territorio dell’antica Brikinnia l’appellativo di “San Basilio” con la
conseguente denominazione del titolo
baronale per le varie famiglie nobiliari che entrarono in possesso del feudo.
una vera e propria distruzione....
9. L’Edificio
Sotterraneo era una cisterna ?
Lo
studioso Gaspare Mannoia ipotizzò come il monumento sotterraneo sia collegato
alla presenza di svariati santuari degli eroi cioè di tombe ed altari dedicati
a valorosi eroi. Il monumento sarebbe quindi un deposito delle offerte,
soprattutto derrate, provenienti in massima parte dal circondario.La
definizione che venne data all’Orsi di monumento sotterraneo adibito a “cisterna”
venne quindi messo in discussione.Certo
la presenza di un monumento così imponente non può lasciare indifferenti al suo
studio.Purtroppo
gli scavi clandestini hanno cancellato tracce importanti che avrebbero potuto
svelare molti aspetti su questo
Casale. Molta ceramica giace a vista sul
pianoro che mette in risalto un assidua frequentazione del sito, strategicamente importante come Monte
Turcisi.Porzioni
di roccia ben squadrata e residui di strutture murarie sono presenti in vari
punti del pianoro, coperti da un sottile strato agrario che potrebbe suggerire l’esistenza di un
complesso abitativo molto più ampio di quello che è stato riportato alla luce
in due campagne di scavi di cui l’ultima circa vent’anni fa... mentre gli scavi
da parte dei tombaroli sono continuate......È
della fine del XIX secolo una ricevuta, rilasciata dal Museo Salinas di
Palermo, della donazione di una Falera d’Oro che fu rinvenuta nel colle dal
nobile Ippolito de Cristofaro, proprietario dell’area o Feudo.Nello
stesso museo sarebbe conservata anche una fibula bronzea, sempre d’epoca romana
e sempre d’ambiente militare
Diverse falere
romane su una corazza ricostruita
Falera con il volto di Augusto.
Non
ho l’immagine della falera d’oro e della
fibula bronzea che furono trovate sul Monte San Basilio ma dovevano appartenere
a qualche personaggio importante, per la qualità delle loro leghe. e non so se siamo ancora presenti nel Museo
Salinas di Palermo. Le
falere erano in origine di due dischi laterali dell’elmo a cui si fissavano gli
allacci. Il termine venne poi esteso a un qualsiasi elemento decorativo in
metalli che serviva a ornare le corazze dei soldati e le bardature dei cavalli.
Alla fine diventò quasi esclusivamente un importante elemento decorativo militare
romano.Nei
popoli più primitivi erano in legno e servivano a proteggere le mani, alle
quali erano allacciati, e a colpire gli
avversari che venivano storditi. In seguiti furono creati in bronzo, agente e
anche in oro per personaggi più importanti mentre raramente erano in ottone e rame.In
genere era costituita da un disco con un rialzo centrale semisferico che veniva
detto “umbone”.Venne
poi l’uso di applicare le falere sulle corazze sia di cuoio, di lino o di
metalli.La
presenza delle falere sulle corazze aveva diverse motivazioni:-
di
poter mostrare ai nemici il proprio valore e quindi di intimidirli durante la
battaglia;
-
di
poter sfilare nelle parate militare con le falere raccogliendo così
l’ammirazione del popolo che l’avrebbe ripagato con solo con l’ammirazione ma
anche con regali o riguardi particolari;
-
di
potersi presentare ad una candidatura politica con questa favorevole
presentazione legata proprio alle falere perché i rimani apprezzavano negli
uomini soprattutto le qualità militari;
-
di
ricevere incarichi particolari in battaglia, con operazioni che potessero
metterli ancora più in evidenza facendogli conquistare più meriti;
-
ricevere direttamente una nomina a un grado
superiore grazie ai meriti di calore
conquistati e riconosciuti:
-
Di
essere accolto dalla sua famiglia e dalla sua gens, come un membro che ha
saputo dare lustro ad ambedue, con relativi riconoscimenti, affetti e
riconoscenza.
Si
trattava in poche parole di una medaglia al valore militare.
Il
sito fu usato anche come luogo di mercenari durante il regno dei tiranni di
Siracusa. La presenza romana sia sul Monte che nelle contrade circostante fu testimoniata grazie anche ai vari
rinvenimenti archeologici. Il sito sin dall’antichità aveva una sua funzione
strategica molto importante perché dalla montagna si domina la valle che da
Katane, attraverso il territorio di Leontinoi, portava a Gela collegando le due
grandi e ricche pianure della Sicilia Orientale: quella catanese (I “campi Leontinoi”)
e quella gelese (I “campi Geloi”).
Il
sito oltre alla sua assodata funzione militare aveva anche un suo altissimo
valore religioso per la presenza di un santuario, come affermò lo studioso
Mannoia, che fu utilizzato per secoli da diverse fasi culturali ?
La
presenza di un possibile presidio avrebbe quindi avuto una sua funzione nel
controllo di una via commerciale, militare ed anche religiosa.
Nell’area
di Monte San Basilio l’archeologo Paolo
Orsi rinvenne anche delle inumazioni dentro grandi contenitori in
terracotta. Lo studioso Gino Calleri
avanzò l’ipotesi di un possibile collegamento di queste sepolture ad usanze
tramandate da ambienti italici, riconducibili ai miti degli eolidi, e
all’eventuale individuazione del mito e perduto regno di Xuto.
Secondo
le narrazioni di Diodoro Siculo, Xuto, figlio di Eolo, sarebbe stato mandato in
Sicilia dal padre.
(In
realtà nella mitologia greca, Xuto era
il figlio di Elleno e della ninfa Orseide e fu costretto dai fratelli Eolo e
Doro ad emigrare dalla Tessaglia per stabilirsi nell’Attica. Sposatosi
con Creusa, figlia di Eretteo, ebbe i figli Archeo e Ione che sono nel mito i
capostipiti dei popoli ellenici).
Comunque
Xuto avrebbe fondato in una zona
compresa tra la Valle dei Margi e la Piana di Catania un ricco e potente regno,
la mitica Xunthìa. In questo regno si
trovava l’area dedicata al culto dei Palici (l’antica Palikè, Mineo).
I
riferimenti letterali tramandarono come il Regno di Xunthìa si doveva estendere
tra l’antica Leontinoi (Lentini) e le balze di Caltagirone, lambendo le pendici
Etnee e delimitato dagli Iblei e dagli
Erei.
Regno di Xuto
Un
regno contraddistinto da terre fertili dive si coltivava il grano. San Basilio
domina questo vasto regno ed era un
punto strategico e di controllo di grande importanza oltre che importante via
di transito per i commercio.
Era
quindi una sede fortificata di ricchi depositi votivi ed agricoli ?
Fu
scoperto un piccolo Santuario dedicato a Demetra ed anche la sepoltura del
“Duce ignoto” lascia ipotizzare la presenza di un luogo dedicato alla sepoltura
degli eroi tra cui forse lo stesso Xuto.
Eolo,
dio dei venti, era il fratello di Xuto e il Colle di San Basilio è
continuamente colpito durante quasi tutto l’anno dai venti e il termine Xuto,
da “Xouthos”, significherebbe “biondo/bruno giallastro” , il colore del grano .
Xuto
potrebbe nella fantasia identificarsi con un imprenditore agricolo che costruì
un immenso granaio sotterraneo in un remoto passato per conservare i ricchi
prodotti del territorio.
Il
termine Basilio, dal greco Basileus e poi latinizzato in Basilius, sarebbe “
re” o “”regale” da “Basilieios”. Il
Colle di un re ?
Sembra
fantasia.. in ogni caso ci troviamo davanti ad un sito archeologico importante
con una testimonianza architettonica di
gran valore... eppure è abbandonato a se stesso ormai da anni e non penso che
la situazione attuale sia cambiata...In
Sicilia è presente una struttura simile ed esattamente a Siracusa nel Parco
Archeologico.
Un
confronto che dal punto di vista archeologico potrebbe creare nuove ipotesi
sull’uso del (tempio, cisterna, bagno, ecc.) di San Basilio.
Nel
Parco Archeologico di Siracusa si trova una piccola chiesa normanna dell’XI
secolo. Si tratta della chiesa di San
Nicolò ai Cordari, uno dei primi edifici cristiani costruiti subito dopo la
cacciata degli arabi.
Come
si nota dalla foto, l’edificio fu costruito su una balza rocciosa e presenta
un'unica navata, con abside semicircolare, finestrelle a feritoia e un piccolo
portale d’accesso laterale. Nel 1093 vu furono celebrati i funerali di Giordano,
figlio di Ruggero d’Altavilla. È detta dei Cordari perché nel 1577 fu concessa
agli artigiani che fabbricavano corde.
Diventò la chiesa di una corporazione che non era distante dalla grotta
dei Codari dov’era ubicato il loro cantiere di lavorazione.
“Discorso di San Paolo” nella grotta dei Cordari
Siracusa - Grotta dei CordariLa
chiesa è impostata, in parte, su una costruzione a pianta rettangolare che presenta uno sviluppo trasversale rispetto
alla pianta dell’edificio sacro.
Una
piscina d’epoca romana che fu scavata nella roccia viva e impostata su una
latomia greca. L’ambiente è diviso da quattordici pilastri massici (una doppia
fila di pilastri) in tre navate. Sui
pilastri poggiano degli architravi a piattaforma sormontati da volta a botte.
"Piscina" Romana - Siracusa
La
piscina in origine aveva la funzione originaria di serbatoio d’acqua e
presentava le pareti intonacate. Era collegata con il vasto sistema idrico dell’anfiteatro
romano attraverso un canale interrato.L’acqua
del serbatoio era usata durante le naumachie che si svolgevano all’interno
dell’Anfiteatro. Questa sua funzione è testimoniata non solo dalla presenza di
una lunga condotta che si sviluppa oltre 1 km ma anche dalla presenza di due
aperture, una delle quali connessa con un acquedotto retrostante che confluiva
nell’Anfiteatro.Fu
ricavata troncando e ricoprendo un tratto di strada incassata nella roccia che
costituiva un antico ingresso alla Latomia del Paradiso e le cui pareti erano
ricoperte da incavi votivi dedicati al culto dei defunti eroizzati.
In
seguito il serbatoio subì degli interventi strutturali perché in età
paleocristiana e bizantina fu trasformato in chiesa sotterranea e in ultimo fu
utilizzata come cripta della chiesa soprastante. Alcuni ingrottamenti erano in
origine decorati con affreschi ed oggi non sono più distinguibili e
costituivano dei sepolcri di martiri cristiani. Sempre nel serbatoio o piscina
furono sepolti i cittadini siracusani morti nella carestia del 1672. Dal
1700 fu utilizzata in rapporto all’attività
dei vicini mulini ad acqua. Negli anni ’90, durante i lavori di restauro del
tetto e della pavimentazione, curati dalla Soprintendenza di Siracusa, sotto il
pavimento furono rinvenute delle sepolture databili al I – II secolo d.C. entro
tombe a fossa, a bauletto e alla cappuccina. Erano presenti anche incinerazioni
in urne di terracotta.
Rispetto
alla “cisterna” di San Basilio presenta una differenza che dovrebbe fare
riflettere.
La
struttura di San Basilio non presenta alcuna traccia di intonaco idraulico
tenendo conto che le pareti di calcareniti sono costituite da una roccia molto
porosa.
In
nessun periodo dell’anno è stata mai riscontrata la presenza d’acqua stagnante.
Risulterebbe quindi accettabile l’idea di un suo utilizzo come granaio.
..........................
10. Il Termine “Brikinnia”
Malgrado
le ricerche effettuate, il nome del sito resta un mistero. Si sono formulate
due ipotesi che collegano il centro fortificato ai nomi di BRIKINNIA e di EUBOIA.La prima ipotesi sarebbe legata alle fonti tramandataci da Tucidide( che indica il sito
come “fortezza”)(Tucidide, V 4:
Brikànnia on ôruma ùn t–Leontàn– ) e
proposta anche dallo storico De Mauro e “quasi” accettata dall’Orsi.La
tradizione locale colloca il termine
“Bricinnia” a Buonvicino, un piccolo colle detto “Castelluccio” posto vicino
all’antica Leoninoi e forse più vicino alla strada che collegava Gela a
Catania.La
seconda ipotesi indica i ruderi come il centro fortificato di EUBOIA, colonia
dei Calcidesi di Leontini e accetta da alcuni storici.Indica
un sito vicino al fiume Gornalunga presso il quale correva la strada citata dalla fonte ma con il termine è oggi
identificata la moderna Licodia Eubea,
11.
Quando fu distrutta Brikinnia ?
Quando
i Saraceni stabilirono la loro sede sul Casale fu probabilmente intorno all’845
quando fu conquistata Modica da “Maometto” figlio di Abd’allà e dallo stesso condottiero anche Leonini e
Ragusa.
La
presenza della dominazione musulmana sul
Casale era testimoniata dalla presenza nel 1838 da
“un infinità di
rottami, di utensili in creta, verniciati con ossido di piombo, confusi in
tutta la periferia di quello altipiano con altra copia di rottami di varie
crete deitempi greci e
romani.La
tesi veniva confermata dalla forma più grande di quei reperti, dal modo con cui
erano verniciati e che spesso presentavano degli arabeschi... una ceramica
comunque “rude e da sesso”.
Il
De Mauri citò delle piccole monete in
oro,
con note
cristiane, delle quali due esibitemi dall’arciprete parroco De Cristofaro,
uscite dalla zecca bizantina, colla croce e la epigrafeIC: XC: NIKA(Vinci)
E le monete in
bronzo colla immagine di Cristo sino al petto,con diadema o
nimbo e nel rovescio ilBasileus A. Omeon
.......................
12. Il Feudo di San Basilio
Non
si sa per quale ragione Ruggero II diede il feudo all’archimandrita di Messina.
Nel
1283 un Giovanni di San Basilio figura tra gli “equites” di
Lentini chiamati al servizio da re Pietro I.
Il
“dominus” (signore/condottiero in guerra) Alafranco di San Basilio
(della famiglia di Lentini) l’11 febbraio 1300 aveva ricevuto l’investitura di
Pettineo e risultava stratigoto di Messina (l’8 agosto 1320) e giustiziere di
Palermo nel 1326-27 e nel 1328.
Il
23 novembre 1331 la R.C. rilasciò una cedola con la quale si dettavano le
modalità di scambio tra il casale Pettineo di Alafranco di San Basilio e il
casale Convicino (Barrafranca) di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, “nel
rispetto delle prerogative feudali di Pietro d’Antiochia, signore di Mistretta,
nella cui baronia rientrava Pettineo”.
Il
7 marzo 1332 con rogito del notaio Nicola Sammarata di Polizzi, avvenne tra i
due feudatari lo scambio di Pettineo con Convicino.
Nel
1332 un privilegio di re Federico III d’Aragona confermò i termini della
permuta dei due casali (cancelliere Pietro di Antiochia).
Nella
Deputazione Feudale del 1335 figurava titolare dei feudi Siccafari ( in Val di Noto presso
Licata), Comitium (Convichino, attuale Barrafranca) e San Basilio (in Val di
Noto e territorio di Lentini) che gli assicuravano un reddito di 264 onze
annuali.
Successivamente,
in virtù delle ultime volontà testamentarie di Alafranco di S. Basilio, i suoi
fidecommissari furono incaricati di vendere Convicino e Siccafari per
soddisfare i molti legatari testamentari, e solo con un certo ritardo, dovuto
all’assenza di Manfredi Chiaramonte che era uno dei suoi fidecommissari, si
giunse alla vendita dei suddetti feudi.
Il 23 dicembre 1337 fu emanato un decreto da
parte della Magna Regia Curia (MRC) che permise il 28 dicembre 1337 la stipula
dell’atto pubblico di vendita del casale Convicino ad Abbo Barresi.
L’8
dicembre 1337 il re Pietro confermò la suddetta vendita.
Alafranco
morì senza figli e gli successe nel feudo di San Basilio il cugino Alaynuccio
di Alaymo (o di San Basilio o Aloisio de Santo Basilio) che comparve
nell’adoa del 1345 domiciliato a Lentini e tassato per 3 cavalli armati
(equivalenti a un reddito di 60 onze). Parisia, moglie di Alaymo di San
Basilio, possedette Ucria, ma per la continuata dimora di quest’ultima fino al
termine della sua vita presso i nemici angioini di Lentini ed altri luoghi, il
casale venne devoluto al fisco.
Nel
1354 fu assegnato a Ruggero Lamia.
Alafranco
figlio di Alaynuccio(?) e la moglie Venturella vendettero nella V Indizione 1366-67 a Enrico di Santo
Stefano il feudo Visamino ( Val Di Noto, in territorio di Caltagirone),
appartenente a Venturella. Il 17aprile 1370 furono chiamati a corrispondere lo
“ius decime” per la vendita dei feudi Viscara (o Biliscara) e Ribichino (o
Libellini) (in val di Noto) a Pietro Capoblanco.
Il
nipote Giacomo di Lentini ottenne la conferma del privilegio per San Basilio.
Nel
ruolo feudale del 1408 signore dei feudi di San Basilio e Luculo(?) figurava Antonino
di San Basilio.
Nel
1453 per atto della camera reginale, il feudo di San Basilio, Cucco e
Castellana, era di Antonio di Lentini, padre di Alafranco ed avo di Giacomo che
ottenne la conferma del privilegio dalla regina Maria.Successivamente
figura un Giacomo di San Basilio
la cui figlia sposò Angelo Balsamo (1506).
Il
14 marzo 1641 Pietro Balsamo comprò dalla Regia Corte, per la somma di 500
scudi, l’investitura del mero e misto impero, ottenendo i feudi su indicati che
risultano staccati dal territorio di Lentini
Il
barone D. Giuseppe De Cristofaro, padre dell’arciprete Don Mario, nel marzo del
1818 comprò dal principe di Cattolica (Giuseppe Bonanno Branciforte ? – figlio
di Francesco Antonio e di Caterina Branciforte Pignatelli, figlia di Salvatore,
principe di Butera) il feudo di Castellana, dove sorge San Basilio, per il
prezzo di 20.000 e 10 onze. Ottenne la relativa investitura con il titolo di
barone di San Basilio e fu l’ultima investitura a causa dell’abolizione della
feudalità.
Fu quindi Giuseppe Rocco Silvestro De
Cristofaro (Scordia, 31 dicembre 1754 – Scordia, 26 marzo 1835) (figlio di
Mario De Cristofaro e di Ninfa Onfici) ad acquistare il feudo. Sposò Donna
Fortunata Savoca, dai cui i figli/e:
-
Sebastiano Vincenzo De Cristofaro (Scordia, 26 maggio 1779 – ?),
sposò Teresa Mauceri, da cui il figlio Francesco De
Cristofaro;
-
Mario
De Cristofaro (1784 – ?)
-
Maria Ninfa Gesualda
De Cristofaro ( 1787 – ?)
-
Gaetano
Antonino De Cristofaro (Scordia, 6
febbraio1793 - ?); sposò Francesca De Cristofaro da cui i figli: Antonino (1823
– 1878) e Filippo (1830);
-
Vincenzo
De Cristofaro (Scordia, 1796? – Scordia,
9 maggio 1876)
-
Lucia
Ninfa Maria De Cristofaro (Scordia, 2 maggio 1800 – Scordia, 11 giugno 1860);
sposò il 23 giugno 1829, in Scordia, Ercoli Paolo (1797 – 1873): da cui i
figli/e: Giuseppe (morto all’età di un anno). Filippo, Giuseppe. Filippa,
Mario;
-
Michelangelo
Giuseppe Antonio De Cristofaro (Scordia, 10 novembre 1801 – Scordia, 23 aprile 1880);
sposò Lucia Di Martino, da cui i figli: Luigi e Giuseppe.
-
Felice
Simone Giuseppe De Cristofaro (Scordia, 28 ottobre 1805 – Scordia, 25 febbraio 1875);
sposò Rosaria Trovato.
Giuseppe di Cristofalo s'investì del feudo
dell'Ingegno col titolo di Barone, a 11 Novembre 1808, per nomina fatta a suo
favore da Michele Cali, agli atti di Notar Salvatore Milana da Palermo, il 27
Ottobre 1808. A detto Cali spettava, per averli acquistati per persona da
nominare, da Francesco Leonardo Lo Faso e Gastone per contratto agli atti di esso
Notaro il 21 Ottobre 1808 (Conserv., libro Invest, dal 1807 al 1809, f. 101
retro).
Francesco De Cristofaro (nato a Scordia nel 1820 circa) sposò
il 9 maggio 1843, a Scordia, Elena Thovez (figlia di Filippo Thovez e di
Elisabetta ?), da cui il figlio Enrico De Cristofaro (1844 – 1898). Barone
dell’Ingegno.
13. Elena Thovez a Scordia - I Thovez in
Sicilia, amministratori della Ducea di Orazio Nelson
Come
mai questa famiglia inglese, originaria di Portsmouth, si trovava a Scordia ?
“La
sera del 3 settembre 1799, durante un solenne convegne tenuto nel Real
Palazzo con l’intervento dei ministri di
Stato, e di magnati del regno, il Grande Ammiraglio, visconte Horatio Nelson,
ebbe un diploma con cui gli venne conferito il titolo di Duca di Bronte, con
l’appannaggio dei redditi e diritti, che il Nuovo e Grande Ospedale di Palermo
godeva su Maniace e Bronte”.
Perché
quel conferimento ?
Ferdinando
III di Borbone volle ricompensare il vincitore di Abukir per aver salvato la
vita del sovrano e dei suoi familiari trasferendoli al sicuro in Sicilia
(Napoli era attaccata dalle truppe napoleoniche) e per aver riconquistato il trono reprimendo
nel sangue, il 20 giugno 1799, la rivoluzione napoletana.
Lo
stesso sovrano, animato da una immensa gratitudine verso il suo eroe, aumentò la rendita della Ducea di Bronte,
calcolata in 5.500 onze annuali, con qualche altro migliaio di reddito
derivanti dall’acquisizione di terre confinanti.
Fece
altresì a concessione di trasmettere la proprietà anche a non congiunti e di
esentarlo dal pagamento sia dei previsti redditi d’investitura che dei consueti
donativi nei confronti della corona.
Ci
fu una protesta da parte dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo che dal 1491
era in possesso dei beni dell’Abbazia Normanna di Maniace e dell’Abbazia di San
Filippo di Fragalà ? La decisione regia fu considerata un’indebita sottrazione
di terre con relativa perdita di una somma considerevole di reddito ?
La risposta, può lasciare sorpresi e increduli, ma fu negativa.
Per
l’Istituzione dell’Ospedale fu una vera e propria fortuna caduta dal cielo
perché finalmente si liberava di una gestione che nel corso del tempo (1538 –
1784) era diventata troppo complessa per una serie di atti di arrendamento
(imposta indiretta di consumo) con soggetti nobili e borghesi, spesso in
società tra di loro, che avevano determinato la nascita di una gran numero di
controversie giudiziarie con la comunità brontese.
Una
serie di liti che erano culminate il 6 aprile 1636 con un tumulto sanguinoso proprio
a Bronte.
Una
protesta che portò alla morte di due rivoltosi, il capitano d’arme Matteo Pace
e Luigi Terranova, e un indebitamento da parte della comunità brontese di 9000
ducati nei confronti dell’Ospedale di Palermo.
Un debito che determinò un forte inasprimento fiscale con gravi
conseguenze sociali per comunità.
Lo
stesso Ospedale per la perdita della Ducea ebbe un indennizzo di 5.600 onze
l’anno che fu basato sulla rendita annua della ducea aumentata di 100 onze
derivanti dall’esercizio del mero e misto imperio.
Allora
Bronte, siano nel 1798, aveva 9193 abitanti in gran parte contadini e pastori e
l’elevazione a contesa della loro terra non fu
ben accettata. Per gli abitanti significava riduzione a sudditi feudali
di uno straniero con la perdita del diritto di
mero e misto imperio riacquistato nel 1638 da Randazzo con una spesa
notevole e la fine di secolari aspirazioni di reintegrazione al regio demanio.
Orazio
Nelson non venne mai in Sicilia a visitare la sua Ducea che venne amministrata
da diversi governatori che intervennero nelle strutture edilizie dell’antico
monastero di Santa Maria di Maniace.
Uno
dei primi governatori fu John Andrew Graeffer che fu raccomandato al Nelson da
sir William Hamilton, ambasciatore inglese alla corte dei Borboni.
Non
fu un’amministrazione felice perché con i suoi bandi rinnovò i divieti sul legnatico, semina,
pascolo, passaggio per le regia trazzera e sull’uso dell’acqua di Maniace. Ci
furono una serie innumerevole di controversie con il comune.
Con
la morte di Orazio Nelson, il 21 ottobre 1895,
la Ducea passò al fratello reverendo William. Ci fu un nuovo
amministratore Antonio Forcella e la situazione peggiorò con l’inasprimento dei
divieti, che erano rilevati da guardie o campieri, e con la distruzione di
boschi.
Nell’aprile
1819 giunsero a Bronte i Thovez destinati ad amministrare la Ducea.
Philip
Thovez era nato a Napoli nel 1789 da un funzionario inglese al servizio di Orazio
Nelson. Era ritornato in Inghilterra ancora adolescente ed era diventato
commissario della marina inglese. Dimorava a Portsmouth dove aveva conosciuto e
sposato Elizabeth Paton.
Altra
zona ricca di reperti, forse sconosciuta all’Orsi, fu identificata a circa 300
m a sinistra di chi osserva il Monte da est ed interrotta dallo strapiombo. Si
tratta di una spianata simile a quella che l’Orsi trovò sulle pendici orientali
del Monte.
I
tombaroli rivolti alla ricerca di
un'altra necropoli greca da saccheggiare, scavarono nel piccolo strato di humus
creando delle piccole aree d’assaggio. I molti materiali fittili del Bronzo
antico, mancavano quelli d’età classica, furono recuperati e sottoposti a
studio.
Tra
i reperti fittili furono recuperati:
Boccale
(frammentario)
Corpo
globulare a profilo convesso, collo cilindrico a profilo leggermente concavo,
orlo con bordo molto assottigliato, fondo piatto leggermente convesso.
Probabile ansa a nastro verticale, ad orecchio, impostata sul corpo e
sopraelevata sull’orlo da cui si parte.
Decorazione
dipinta in bruno, molto vivace e ben conservata. Sotto l’orlo, banda
orizzontale interne ed esterna; lungo l’attacco del collo, altra banda
orizzontale. Sul collo, fasci di quattro linee disposte a zig-zag; sul corpo, fasci di sette o otto
linee, verticali, convergenti sul fondo, alternate ad una linea verticale che
si sviluppa a zig-zag.
Sotto
l’orlo, all’interno, in corrispondenza del punto d’attacco dell’ansa, due fasci
residui di tre linee verticali legate da due linee residue orizzontali.
Superficie
ingobbiata color camoscio rosato ed impasto rosso chiaro.
Pisside
(frammentaria)
Corpo
ovoidale a profilo convesso, su piccolo piede tronco-conico, cavo all’interno,
orlo indefinibile. Due anse a nastro verticale, contrapposte, indefinibili, ma probabilmente
ad anello, e due bugne ellissoidali contrapposte, impostate verticalmente sul
corpo.
Decorazione dipinta in bruno, ben conservata. Sul corpo,
fasci di tre linee che s’incrociano obliquamente, èresumibilmente sull’orlo, e
fino a una banda orizzntale che divide il piede del corpo; intercalate linee
doppie a zig-zag, verticali.
Le bugne dono delimitate da due bande laterali campite con
linee contrapposte a zig-zag.
Sempre dalla banda mediana, fasci di tre o quattro linee
verticali dirette verso la base.
Ingobbiatura di color camoscio rosato, con chiazze più rosse.
Impasto rosso chiaro.
Coppa Fruttifera su alto piede (frammentaria)
Banda orizzontale che divide il bacino dal piede, per metà realizzata con due linee adiacenti e per metà con una sola linea. Fasci di due linee o tre linee che si partono dalla banda e formano motivo a zig-zag. Sulle anse, bande che le delimitano unite da segmenti orizzontali.
Superrficie ingobbiata rosso chioaro con larghe chiazze color camoscio. Impasto rosso chiaro.
...........................
Sul
pendio orientale vennero alla luce due complessi medievali
costruiti adattando muri in pietra a grotte scavate nella roccia.Particolarmente
interessante era l’edificio posto nella zona più orientale del pianoro. Un
edificio costruito con una tecnica a piccoli blocchi davanti a due grandi
grotte riutilizzate in epoche recenti.L’unità
abitativa, forse familiare e produttiva di un insediamento feudale, era costituito da una serie di ambienti
disposti ad U intorno ad un cortile con piano di roccia ed con il focolare posto nell’angolo Nord,
vicino all’ingresso della grotta maggiore. Era probabilmente coperto da una
tettoia a tegole retta da pali. Una porta, piuttosto larga consentiva
l’ingresso alla grande grotta.I
materiali rinvenuti confermerebbero la data temporale dell’insediamento feudale
da collocare ai secoli XII – XIII. Un insediamento costituito da piccoli nuclei
che sfruttavano le risorse agricole della fertile pianura sottostante.
.........................
Le Cavità Rupestri
Il De Mauro (nel 1861) citò come il terreno era sparso di frantumi di crete, di mattoni con marchi, di lucerne, patere, lacrimatoi, anfore, idrie, vasetti d’acqua lustrate, idoletti e testine d’argilla, ecc.. tutto matertiale ridotto in “pezzi...” per la ricerca di qualche reperto ancora più prezioso.....
7. L’Edificio Sotterraneo
Pianta
dell’edificio
Ingresso
del sotterraneo
“Offre la divisione di sette scuole a chi stassi colla
faccia a Nord, e quella di sei a chi tiene il Sud a destra e il Nord a
sinistra. La sua volta è di enormi massi riquadrati strettamente tra di loro
congiunti, è sostenuta da trenta pilastri, composti di più riquadrati massi,
terminanti in cima per una specie di capitello di altrettanti intagli che vi
stanno a guisa di martello e attaccansi alla volta di cui son l’estremo
sostegno.
“il
visitatore scenderà per comoda scala; vedrà uno scavo maestrevolmente eseguito
nella viva roccia. Il suo vano totale è di 9 canne siciliane (18,56
m), e
largo 7 e due palmi (14,94 m) ed alto
22 palmi circa (5,67 m).E’
coperto tutto questo vano da un gran palco sostenuto da 30 pilastri, ciascun
pilastro è formato di tre sole pietre; due meno grandi, che sono la inferiore
e la superiore di quattro palmi ogn’una (1,03 m): e
palmi dieci quella di
mezzo (2,77 m); conservandosi in tutti i pilastri la medesima
disposizione. Sopra
questi posa a traverso un’altra pietra, che per così dire forma il capitello,
lunga palmi 7 (1,80 m), che serve per stringere il vano tra pilastro e
pilastro; e sopra queste corre una catena di smili sassi, che formano un lungo
architrave sopra ciascuna pilastrata; che in numero di sei dividono la
Piscina in sette navate, larga ciascina palmi sette.
In realtà il pilastro è formato da tre pietre di cui l’ultima
superiore funge anche da capitello.Sul capitello
poggia la trave copstituita da diversi conci. Le tre pietre (inferiore, mediana
e superiore) non sempre presentano la stessa misura per tipologia di ubicazioneLa metà della lunghezza della prima di queste navate è occupata
da larga scala, che dava il comodo d’attingere l’acqua; la quale è larga pami
dieci (2,57 m), formata di 27 scalini, l’ulitmo de’ quali resta
quasi 4 palmi (1,03 m) sopra il pavimento. Sebbene la navata non sia più
larga di palmi sette (1,80 m), la scala però è di palmi dieci (2,57
m), essendo i 3 palmi (0,77 m) incavati
nel lato corrispondente.
Dalla parte opposta alla scala vi sono della stessa fattura
due piccole stanze, o vani, larghe palmi
10 (2,57 m), e lunghe 12 (3,09 m); in una delle quali a
pain terreno si osserva come una Tomba lunga palmi 8 e 4 larga ( 2,06 x 103 )m
Secondo lo storico De Mauro si tratterebbe di una tomba
similie a quelle rinvenute nelle catacombe di Siracusa destinate ai cadaveri
dei Cristiani.
La volta, o per meglio dire, il solare, che cuopre questo
monumento, è tutto formato d’intere pietre di eguale misura: sono queste di palmi 9 di lunghezza (2,32
m), e 2 di grossezza (0,52 m), ben lavorate da tutti i lati. Riposano
queste sopra i sottoposti architravi che hanno palmi due di largezza (0,52
m); in maniera che situati perfettamente l’una, accosto all’altra, posando
un palmo (0,26 m) per testa sopra l’architrave sudetto, ed attestando un
ordine coll’altro cuoprono i 7 palmi (1,80 m)
delle navate, formando estesissimo palco”. (Vi sono conci di copertura anche con le
seguenti misure:
palmi nove ed once sei di lunghezza = 2,44
m
palmi quattro ed once quattro di larghezza = 1,12
m
una
canna = 2,062 m
un
palmo (“parmu sicilianu”) = 25,775 cm
uoncia
(“unza liniari”) = 1,1479 cm
In realtà il pilastro è formato da tre pietre di cui l’ultima
superiore funge anche da capitello.Sul capitello
poggia la trave copstituita da diversi conci. Le tre pietre (inferiore, mediana
e superiore) non sempre presentano la stessa misura per tipologia di ubicazioneLa metà della lunghezza della prima di queste navate è occupata
da larga scala, che dava il comodo d’attingere l’acqua; la quale è larga pami
dieci (2,57 m), formata di 27 scalini, l’ulitmo de’ quali resta
quasi 4 palmi (1,03 m) sopra il pavimento. Sebbene la navata non sia più
larga di palmi sette (1,80 m), la scala però è di palmi dieci (2,57
m), essendo i 3 palmi (0,77 m) incavati
nel lato corrispondente.
Dalla parte opposta alla scala vi sono della stessa fattura
due piccole stanze, o vani, larghe palmi
10 (2,57 m), e lunghe 12 (3,09 m); in una delle quali a
pain terreno si osserva come una Tomba lunga palmi 8 e 4 larga ( 2,06 x 103 )m
Secondo lo storico De Mauro si tratterebbe di una tomba
similie a quelle rinvenute nelle catacombe di Siracusa destinate ai cadaveri
dei Cristiani.
La volta, o per meglio dire, il solare, che cuopre questo
monumento, è tutto formato d’intere pietre di eguale misura: sono queste di palmi 9 di lunghezza (2,32
m), e 2 di grossezza (0,52 m), ben lavorate da tutti i lati. Riposano
queste sopra i sottoposti architravi che hanno palmi due di largezza (0,52
m); in maniera che situati perfettamente l’una, accosto all’altra, posando
un palmo (0,26 m) per testa sopra l’architrave sudetto, ed attestando un
ordine coll’altro cuoprono i 7 palmi (1,80 m)
delle navate, formando estesissimo palco”. (Vi sono conci di copertura anche con le
seguenti misure:
palmi nove ed once sei di lunghezza = 2,44
m
palmi quattro ed once quattro di larghezza = 1,12
m
una
canna = 2,062 m
un
palmo (“parmu sicilianu”) = 25,775 cm
uoncia
(“unza liniari”) = 1,1479 cm
La metà della lunghezza della prima di queste navate è occupata
da larga scala, che dava il comodo d’attingere l’acqua; la quale è larga pami
dieci (2,57 m), formata di 27 scalini, l’ulitmo de’ quali resta
quasi 4 palmi (1,03 m) sopra il pavimento. Sebbene la navata non sia più
larga di palmi sette (1,80 m), la scala però è di palmi dieci (2,57
m), essendo i 3 palmi (0,77 m) incavati
nel lato corrispondente.
Dalla parte opposta alla scala vi sono della stessa fattura
due piccole stanze, o vani, larghe palmi
10 (2,57 m), e lunghe 12 (3,09 m); in una delle quali a
pain terreno si osserva come una Tomba lunga palmi 8 e 4 larga ( 2,06 x 103 )m
Secondo lo storico De Mauro si tratterebbe di una tomba similie a quelle rinvenute nelle catacombe di Siracusa destinate ai cadaveri dei Cristiani.
La volta, o per meglio dire, il solare, che cuopre questo
monumento, è tutto formato d’intere pietre di eguale misura: sono queste di palmi 9 di lunghezza (2,32
m), e 2 di grossezza (0,52 m), ben lavorate da tutti i lati. Riposano
queste sopra i sottoposti architravi che hanno palmi due di largezza (0,52
m); in maniera che situati perfettamente l’una, accosto all’altra, posando
un palmo (0,26 m) per testa sopra l’architrave sudetto, ed attestando un
ordine coll’altro cuoprono i 7 palmi (1,80 m)
delle navate, formando estesissimo palco”. (Vi sono conci di copertura anche con le
seguenti misure:
palmi nove ed once sei di lunghezza = 2,44
m
palmi quattro ed once quattro di larghezza = 1,12
m
una
canna = 2,062 m
un
palmo (“parmu sicilianu”) = 25,775 cm
uoncia
(“unza liniari”) = 1,1479 cm
Si
notano le colonne costituite da due blocchi di notevoli dimensioni più
il
capitello, anch’esso un blocco di arenaria posto di testa, su cui appoggia
la
trave per l’impostazione della copertura.
“nelle pareti di Est veggonsi incavate due cellette
quadrate che van gardo grado rastremandosi in su, ed indicano di essere i
luoghi destinati alle vasche ove effettuarsi i bagni. Un aquidotto incavato
pure nel vivo calcario, dolcemente declina dalla parte del Sud e profondesi nel bagno allato alla scala
intagliatavavi nel masso perché vi si scendesse comodamente. Di altro non
difetta per dirsi intatto questo monumento, che di talini massi nel fondo
caduti alla volta. Ci duole che l’ignoranza, l’incuria, o il niun attaccamento
alle memorie illustri che rilevano la civiltà e la possanza de’ nostri
maggiori, lo hano lasciato, per lungo volgere di anni, ingombro di ortiche,
sanni, renischio, avanzume di muricce e macerie. Gli antiquarj che si snon
accinti a dir qualcosa del S. Basilio, sonosi con particolarità attenuti a far
cenno, o descrivere e dare importanza ad un tal vetusto monumento di non
ordinaria architettura.De Burigny ci ha detto: Sono osservabili sul colle di S.
Basilio le rovine del Casale dello stesso nome, che non più sussisteva nel
tempo de’ Normanni. V’è da congetturare, che fosse stato popolatissimo. Il sito
ne è molto ameno, vi si scorge a mezzodì il Lago di Leontini, e dall’altro lato
l’ampia pianura di Catania. gli avanzi di un sacro tempio ne accennano la
magnificenza”
Al tempo degli studi operati dal prete De Mauro, fu il grande
zelo dell’arciprete De Cristofaro nel fare pulire, a sue spese, il prestigioso nonumento mettendo “in
veduta il fondo del monumento in parola”.
L’archeologo Winkelmann
invitava gli antiquarj a procedere nelle loro
ricerche..” quanto ci rimane di antico tutto può divenire
utile sol
che si prenda nei suoi giusti rapporti, sol che lo esamini un
occhio intelligente”.
La costruzione è quindi scavata nella roccia e i blocchi che
costituiscono le travi e i pilastri hanno una tecnica di taglio che è simile a
quella dei conci dei muri di cinta.
Il monumento nel
passato fu oggetto d’interventi di restauro da parte della Sovrintendenza ma
furono bloccati per motivi di natura giudiziaria. se non ricordo male un
operaio morì per un incidente sul lavoro. I blocchi numerati restarono sparsi
sul pianoro perché la struttura fu messa sotto sequestro dall’A.G. ma non ai
tombaroli che continuarono i loro lavori di “ricerca....”
Il monumento fu utilizzato in epoca bizantina come sede di una chiesa cristiana come
d’altra parte testimonierebbero i resti di affreschi ormai andati perduti.
Come riportà lo storico De Mauro fino al 1837 gli affreschi
erano ancora in buone condizioni.
Il’edificio fu poi adibito a ricovero di intere famiglie che
“per paura di contrarre il colera, morbo africano, si rifugiarono nelle
grotte del Casale. Fu allora che l’inciviltà delle persone si scatenò sulle
sacre immagini”.
8. Gli Affreschi Bizantini
9. L’Edificio
Sotterraneo era una cisterna ?
Lo
studioso Gaspare Mannoia ipotizzò come il monumento sotterraneo sia collegato
alla presenza di svariati santuari degli eroi cioè di tombe ed altari dedicati
a valorosi eroi. Il monumento sarebbe quindi un deposito delle offerte,
soprattutto derrate, provenienti in massima parte dal circondario.La
definizione che venne data all’Orsi di monumento sotterraneo adibito a “cisterna”
venne quindi messo in discussione.Certo
la presenza di un monumento così imponente non può lasciare indifferenti al suo
studio.Purtroppo
gli scavi clandestini hanno cancellato tracce importanti che avrebbero potuto
svelare molti aspetti su questo
Casale. Molta ceramica giace a vista sul
pianoro che mette in risalto un assidua frequentazione del sito, strategicamente importante come Monte
Turcisi.Porzioni
di roccia ben squadrata e residui di strutture murarie sono presenti in vari
punti del pianoro, coperti da un sottile strato agrario che potrebbe suggerire l’esistenza di un
complesso abitativo molto più ampio di quello che è stato riportato alla luce
in due campagne di scavi di cui l’ultima circa vent’anni fa... mentre gli scavi
da parte dei tombaroli sono continuate......È
della fine del XIX secolo una ricevuta, rilasciata dal Museo Salinas di
Palermo, della donazione di una Falera d’Oro che fu rinvenuta nel colle dal
nobile Ippolito de Cristofaro, proprietario dell’area o Feudo.Nello
stesso museo sarebbe conservata anche una fibula bronzea, sempre d’epoca romana
e sempre d’ambiente militare
Diverse falere
romane su una corazza ricostruita
Falera con il volto di Augusto.
-
di
poter mostrare ai nemici il proprio valore e quindi di intimidirli durante la
battaglia;
-
di
poter sfilare nelle parate militare con le falere raccogliendo così
l’ammirazione del popolo che l’avrebbe ripagato con solo con l’ammirazione ma
anche con regali o riguardi particolari;
-
di
potersi presentare ad una candidatura politica con questa favorevole
presentazione legata proprio alle falere perché i rimani apprezzavano negli
uomini soprattutto le qualità militari;
-
di
ricevere incarichi particolari in battaglia, con operazioni che potessero
metterli ancora più in evidenza facendogli conquistare più meriti;
-
ricevere direttamente una nomina a un grado
superiore grazie ai meriti di calore
conquistati e riconosciuti:
-
Di
essere accolto dalla sua famiglia e dalla sua gens, come un membro che ha
saputo dare lustro ad ambedue, con relativi riconoscimenti, affetti e
riconoscenza.
Si
trattava in poche parole di una medaglia al valore militare.
Il
sito fu usato anche come luogo di mercenari durante il regno dei tiranni di
Siracusa. La presenza romana sia sul Monte che nelle contrade circostante fu testimoniata grazie anche ai vari
rinvenimenti archeologici. Il sito sin dall’antichità aveva una sua funzione
strategica molto importante perché dalla montagna si domina la valle che da
Katane, attraverso il territorio di Leontinoi, portava a Gela collegando le due
grandi e ricche pianure della Sicilia Orientale: quella catanese (I “campi Leontinoi”)
e quella gelese (I “campi Geloi”).
Il
sito oltre alla sua assodata funzione militare aveva anche un suo altissimo
valore religioso per la presenza di un santuario, come affermò lo studioso
Mannoia, che fu utilizzato per secoli da diverse fasi culturali ?
La
presenza di un possibile presidio avrebbe quindi avuto una sua funzione nel
controllo di una via commerciale, militare ed anche religiosa.
Nell’area
di Monte San Basilio l’archeologo Paolo
Orsi rinvenne anche delle inumazioni dentro grandi contenitori in
terracotta. Lo studioso Gino Calleri
avanzò l’ipotesi di un possibile collegamento di queste sepolture ad usanze
tramandate da ambienti italici, riconducibili ai miti degli eolidi, e
all’eventuale individuazione del mito e perduto regno di Xuto.
Secondo
le narrazioni di Diodoro Siculo, Xuto, figlio di Eolo, sarebbe stato mandato in
Sicilia dal padre.
(In
realtà nella mitologia greca, Xuto era
il figlio di Elleno e della ninfa Orseide e fu costretto dai fratelli Eolo e
Doro ad emigrare dalla Tessaglia per stabilirsi nell’Attica. Sposatosi
con Creusa, figlia di Eretteo, ebbe i figli Archeo e Ione che sono nel mito i
capostipiti dei popoli ellenici).
Comunque
Xuto avrebbe fondato in una zona
compresa tra la Valle dei Margi e la Piana di Catania un ricco e potente regno,
la mitica Xunthìa. In questo regno si
trovava l’area dedicata al culto dei Palici (l’antica Palikè, Mineo).
I
riferimenti letterali tramandarono come il Regno di Xunthìa si doveva estendere
tra l’antica Leontinoi (Lentini) e le balze di Caltagirone, lambendo le pendici
Etnee e delimitato dagli Iblei e dagli
Erei.
Regno di Xuto
Era quindi una sede fortificata di ricchi depositi votivi ed agricoli ?
Fu scoperto un piccolo Santuario dedicato a Demetra ed anche la sepoltura del “Duce ignoto” lascia ipotizzare la presenza di un luogo dedicato alla sepoltura degli eroi tra cui forse lo stesso Xuto.
Eolo, dio dei venti, era il fratello di Xuto e il Colle di San Basilio è continuamente colpito durante quasi tutto l’anno dai venti e il termine Xuto, da “Xouthos”, significherebbe “biondo/bruno giallastro” , il colore del grano .
Xuto potrebbe nella fantasia identificarsi con un imprenditore agricolo che costruì un immenso granaio sotterraneo in un remoto passato per conservare i ricchi prodotti del territorio.
Il termine Basilio, dal greco Basileus e poi latinizzato in Basilius, sarebbe “ re” o “”regale” da “Basilieios”. Il Colle di un re ?
Sembra fantasia.. in ogni caso ci troviamo davanti ad un sito archeologico importante con una testimonianza architettonica di gran valore... eppure è abbandonato a se stesso ormai da anni e non penso che la situazione attuale sia cambiata...
In
Sicilia è presente una struttura simile ed esattamente a Siracusa nel Parco
Archeologico.
Un
confronto che dal punto di vista archeologico potrebbe creare nuove ipotesi
sull’uso del (tempio, cisterna, bagno, ecc.) di San Basilio.
Nel
Parco Archeologico di Siracusa si trova una piccola chiesa normanna dell’XI
secolo. Si tratta della chiesa di San
Nicolò ai Cordari, uno dei primi edifici cristiani costruiti subito dopo la
cacciata degli arabi.
Come
si nota dalla foto, l’edificio fu costruito su una balza rocciosa e presenta
un'unica navata, con abside semicircolare, finestrelle a feritoia e un piccolo
portale d’accesso laterale. Nel 1093 vu furono celebrati i funerali di Giordano,
figlio di Ruggero d’Altavilla. È detta dei Cordari perché nel 1577 fu concessa
agli artigiani che fabbricavano corde.
Diventò la chiesa di una corporazione che non era distante dalla grotta
dei Codari dov’era ubicato il loro cantiere di lavorazione.
“Discorso di San Paolo” nella grotta dei Cordari
La
chiesa è impostata, in parte, su una costruzione a pianta rettangolare che presenta uno sviluppo trasversale rispetto
alla pianta dell’edificio sacro.
Una
piscina d’epoca romana che fu scavata nella roccia viva e impostata su una
latomia greca. L’ambiente è diviso da quattordici pilastri massici (una doppia
fila di pilastri) in tre navate. Sui
pilastri poggiano degli architravi a piattaforma sormontati da volta a botte.
La
piscina in origine aveva la funzione originaria di serbatoio d’acqua e
presentava le pareti intonacate. Era collegata con il vasto sistema idrico dell’anfiteatro
romano attraverso un canale interrato.L’acqua
del serbatoio era usata durante le naumachie che si svolgevano all’interno
dell’Anfiteatro. Questa sua funzione è testimoniata non solo dalla presenza di
una lunga condotta che si sviluppa oltre 1 km ma anche dalla presenza di due
aperture, una delle quali connessa con un acquedotto retrostante che confluiva
nell’Anfiteatro.Fu
ricavata troncando e ricoprendo un tratto di strada incassata nella roccia che
costituiva un antico ingresso alla Latomia del Paradiso e le cui pareti erano
ricoperte da incavi votivi dedicati al culto dei defunti eroizzati.
In
seguito il serbatoio subì degli interventi strutturali perché in età
paleocristiana e bizantina fu trasformato in chiesa sotterranea e in ultimo fu
utilizzata come cripta della chiesa soprastante. Alcuni ingrottamenti erano in
origine decorati con affreschi ed oggi non sono più distinguibili e
costituivano dei sepolcri di martiri cristiani. Sempre nel serbatoio o piscina
furono sepolti i cittadini siracusani morti nella carestia del 1672. Dal
1700 fu utilizzata in rapporto all’attività
dei vicini mulini ad acqua. Negli anni ’90, durante i lavori di restauro del
tetto e della pavimentazione, curati dalla Soprintendenza di Siracusa, sotto il
pavimento furono rinvenute delle sepolture databili al I – II secolo d.C. entro
tombe a fossa, a bauletto e alla cappuccina. Erano presenti anche incinerazioni
in urne di terracotta.
Rispetto
alla “cisterna” di San Basilio presenta una differenza che dovrebbe fare
riflettere.
La
struttura di San Basilio non presenta alcuna traccia di intonaco idraulico
tenendo conto che le pareti di calcareniti sono costituite da una roccia molto
porosa.
In
nessun periodo dell’anno è stata mai riscontrata la presenza d’acqua stagnante.
Risulterebbe quindi accettabile l’idea di un suo utilizzo come granaio.
..........................
In
seguito il serbatoio subì degli interventi strutturali perché in età
paleocristiana e bizantina fu trasformato in chiesa sotterranea e in ultimo fu
utilizzata come cripta della chiesa soprastante. Alcuni ingrottamenti erano in
origine decorati con affreschi ed oggi non sono più distinguibili e
costituivano dei sepolcri di martiri cristiani. Sempre nel serbatoio o piscina
furono sepolti i cittadini siracusani morti nella carestia del 1672. Dal
1700 fu utilizzata in rapporto all’attività
dei vicini mulini ad acqua. Negli anni ’90, durante i lavori di restauro del
tetto e della pavimentazione, curati dalla Soprintendenza di Siracusa, sotto il
pavimento furono rinvenute delle sepolture databili al I – II secolo d.C. entro
tombe a fossa, a bauletto e alla cappuccina. Erano presenti anche incinerazioni
in urne di terracotta.
Rispetto
alla “cisterna” di San Basilio presenta una differenza che dovrebbe fare
riflettere.
La
struttura di San Basilio non presenta alcuna traccia di intonaco idraulico
tenendo conto che le pareti di calcareniti sono costituite da una roccia molto
porosa.
In
nessun periodo dell’anno è stata mai riscontrata la presenza d’acqua stagnante.
Risulterebbe quindi accettabile l’idea di un suo utilizzo come granaio.
..........................
10. Il Termine “Brikinnia”
Malgrado
le ricerche effettuate, il nome del sito resta un mistero. Si sono formulate
due ipotesi che collegano il centro fortificato ai nomi di BRIKINNIA e di EUBOIA.La prima ipotesi sarebbe legata alle fonti tramandataci da Tucidide( che indica il sito
come “fortezza”)(Tucidide, V 4:
Brikànnia on ôruma ùn t–Leontàn– ) e
proposta anche dallo storico De Mauro e “quasi” accettata dall’Orsi.La
tradizione locale colloca il termine
“Bricinnia” a Buonvicino, un piccolo colle detto “Castelluccio” posto vicino
all’antica Leoninoi e forse più vicino alla strada che collegava Gela a
Catania.La
seconda ipotesi indica i ruderi come il centro fortificato di EUBOIA, colonia
dei Calcidesi di Leontini e accetta da alcuni storici.Indica
un sito vicino al fiume Gornalunga presso il quale correva la strada citata dalla fonte ma con il termine è oggi
identificata la moderna Licodia Eubea,
11.
Quando fu distrutta Brikinnia ?
Quando
i Saraceni stabilirono la loro sede sul Casale fu probabilmente intorno all’845
quando fu conquistata Modica da “Maometto” figlio di Abd’allà e dallo stesso condottiero anche Leonini e
Ragusa.
La
presenza della dominazione musulmana sul
Casale era testimoniata dalla presenza nel 1838 da
“un infinità di
rottami, di utensili in creta, verniciati con ossido di piombo, confusi in
tutta la periferia di quello altipiano con altra copia di rottami di varie
crete deitempi greci e
romani.La
tesi veniva confermata dalla forma più grande di quei reperti, dal modo con cui
erano verniciati e che spesso presentavano degli arabeschi... una ceramica
comunque “rude e da sesso”.
Il
De Mauri citò delle piccole monete in
oro,
con note
cristiane, delle quali due esibitemi dall’arciprete parroco De Cristofaro,
uscite dalla zecca bizantina, colla croce e la epigrafeIC: XC: NIKA(Vinci)
E le monete in
bronzo colla immagine di Cristo sino al petto,con diadema o
nimbo e nel rovescio ilBasileus A. Omeon
.......................
11.
Quando fu distrutta Brikinnia ?
La presenza della dominazione musulmana sul Casale era testimoniata dalla presenza nel 1838 da
Il De Mauri citò delle piccole monete in oro,
12. Il Feudo di San Basilio
Nel 1283 un Giovanni di San Basilio figura tra gli “equites” di Lentini chiamati al servizio da re Pietro I.
Il “dominus” (signore/condottiero in guerra) Alafranco di San Basilio (della famiglia di Lentini) l’11 febbraio 1300 aveva ricevuto l’investitura di Pettineo e risultava stratigoto di Messina (l’8 agosto 1320) e giustiziere di Palermo nel 1326-27 e nel 1328.
Il 23 novembre 1331 la R.C. rilasciò una cedola con la quale si dettavano le modalità di scambio tra il casale Pettineo di Alafranco di San Basilio e il casale Convicino (Barrafranca) di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, “nel rispetto delle prerogative feudali di Pietro d’Antiochia, signore di Mistretta, nella cui baronia rientrava Pettineo”.
Nel 1332 un privilegio di re Federico III d’Aragona confermò i termini della permuta dei due casali (cancelliere Pietro di Antiochia).
Nella Deputazione Feudale del 1335 figurava titolare dei feudi Siccafari ( in Val di Noto presso Licata), Comitium (Convichino, attuale Barrafranca) e San Basilio (in Val di Noto e territorio di Lentini) che gli assicuravano un reddito di 264 onze annuali.
Successivamente, in virtù delle ultime volontà testamentarie di Alafranco di S. Basilio, i suoi fidecommissari furono incaricati di vendere Convicino e Siccafari per soddisfare i molti legatari testamentari, e solo con un certo ritardo, dovuto all’assenza di Manfredi Chiaramonte che era uno dei suoi fidecommissari, si giunse alla vendita dei suddetti feudi.
Il 23 dicembre 1337 fu emanato un decreto da parte della Magna Regia Curia (MRC) che permise il 28 dicembre 1337 la stipula dell’atto pubblico di vendita del casale Convicino ad Abbo Barresi.
L’8 dicembre 1337 il re Pietro confermò la suddetta vendita.
Alafranco morì senza figli e gli successe nel feudo di San Basilio il cugino Alaynuccio di Alaymo (o di San Basilio o Aloisio de Santo Basilio) che comparve nell’adoa del 1345 domiciliato a Lentini e tassato per 3 cavalli armati (equivalenti a un reddito di 60 onze). Parisia, moglie di Alaymo di San Basilio, possedette Ucria, ma per la continuata dimora di quest’ultima fino al termine della sua vita presso i nemici angioini di Lentini ed altri luoghi, il casale venne devoluto al fisco.
Nel 1354 fu assegnato a Ruggero Lamia.
Alafranco figlio di Alaynuccio(?) e la moglie Venturella vendettero nella V Indizione 1366-67 a Enrico di Santo Stefano il feudo Visamino ( Val Di Noto, in territorio di Caltagirone), appartenente a Venturella. Il 17aprile 1370 furono chiamati a corrispondere lo “ius decime” per la vendita dei feudi Viscara (o Biliscara) e Ribichino (o Libellini) (in val di Noto) a Pietro Capoblanco.
Nel ruolo feudale del 1408 signore dei feudi di San Basilio e Luculo(?) figurava Antonino di San Basilio.
Successivamente
figura un Giacomo di San Basilio
la cui figlia sposò Angelo Balsamo (1506).
Il
14 marzo 1641 Pietro Balsamo comprò dalla Regia Corte, per la somma di 500
scudi, l’investitura del mero e misto impero, ottenendo i feudi su indicati che
risultano staccati dal territorio di Lentini
Il
barone D. Giuseppe De Cristofaro, padre dell’arciprete Don Mario, nel marzo del
1818 comprò dal principe di Cattolica (Giuseppe Bonanno Branciforte ? – figlio
di Francesco Antonio e di Caterina Branciforte Pignatelli, figlia di Salvatore,
principe di Butera) il feudo di Castellana, dove sorge San Basilio, per il
prezzo di 20.000 e 10 onze. Ottenne la relativa investitura con il titolo di
barone di San Basilio e fu l’ultima investitura a causa dell’abolizione della
feudalità.
Fu quindi Giuseppe Rocco Silvestro De
Cristofaro (Scordia, 31 dicembre 1754 – Scordia, 26 marzo 1835) (figlio di
Mario De Cristofaro e di Ninfa Onfici) ad acquistare il feudo. Sposò Donna
Fortunata Savoca, dai cui i figli/e:
-
Sebastiano Vincenzo De Cristofaro (Scordia, 26 maggio 1779 – ?),
sposò Teresa Mauceri, da cui il figlio Francesco De
Cristofaro;
-
Mario
De Cristofaro (1784 – ?)
-
Maria Ninfa Gesualda
De Cristofaro ( 1787 – ?)
-
Gaetano
Antonino De Cristofaro (Scordia, 6
febbraio1793 - ?); sposò Francesca De Cristofaro da cui i figli: Antonino (1823
– 1878) e Filippo (1830);
-
Vincenzo
De Cristofaro (Scordia, 1796? – Scordia,
9 maggio 1876)
-
Lucia
Ninfa Maria De Cristofaro (Scordia, 2 maggio 1800 – Scordia, 11 giugno 1860);
sposò il 23 giugno 1829, in Scordia, Ercoli Paolo (1797 – 1873): da cui i
figli/e: Giuseppe (morto all’età di un anno). Filippo, Giuseppe. Filippa,
Mario;
-
Michelangelo
Giuseppe Antonio De Cristofaro (Scordia, 10 novembre 1801 – Scordia, 23 aprile 1880);
sposò Lucia Di Martino, da cui i figli: Luigi e Giuseppe.
-
Felice
Simone Giuseppe De Cristofaro (Scordia, 28 ottobre 1805 – Scordia, 25 febbraio 1875);
sposò Rosaria Trovato.
Giuseppe di Cristofalo s'investì del feudo
dell'Ingegno col titolo di Barone, a 11 Novembre 1808, per nomina fatta a suo
favore da Michele Cali, agli atti di Notar Salvatore Milana da Palermo, il 27
Ottobre 1808. A detto Cali spettava, per averli acquistati per persona da
nominare, da Francesco Leonardo Lo Faso e Gastone per contratto agli atti di esso
Notaro il 21 Ottobre 1808 (Conserv., libro Invest, dal 1807 al 1809, f. 101
retro).
Francesco De Cristofaro (nato a Scordia nel 1820 circa) sposò
il 9 maggio 1843, a Scordia, Elena Thovez (figlia di Filippo Thovez e di
Elisabetta ?), da cui il figlio Enrico De Cristofaro (1844 – 1898). Barone
dell’Ingegno.
13. Elena Thovez a Scordia - I Thovez in
Sicilia, amministratori della Ducea di Orazio Nelson
Come
mai questa famiglia inglese, originaria di Portsmouth, si trovava a Scordia ?
“La
sera del 3 settembre 1799, durante un solenne convegne tenuto nel Real
Palazzo con l’intervento dei ministri di
Stato, e di magnati del regno, il Grande Ammiraglio, visconte Horatio Nelson,
ebbe un diploma con cui gli venne conferito il titolo di Duca di Bronte, con
l’appannaggio dei redditi e diritti, che il Nuovo e Grande Ospedale di Palermo
godeva su Maniace e Bronte”.
Perché
quel conferimento ?
Ferdinando
III di Borbone volle ricompensare il vincitore di Abukir per aver salvato la
vita del sovrano e dei suoi familiari trasferendoli al sicuro in Sicilia
(Napoli era attaccata dalle truppe napoleoniche) e per aver riconquistato il trono reprimendo
nel sangue, il 20 giugno 1799, la rivoluzione napoletana.
Lo
stesso sovrano, animato da una immensa gratitudine verso il suo eroe, aumentò la rendita della Ducea di Bronte,
calcolata in 5.500 onze annuali, con qualche altro migliaio di reddito
derivanti dall’acquisizione di terre confinanti.
Fece
altresì a concessione di trasmettere la proprietà anche a non congiunti e di
esentarlo dal pagamento sia dei previsti redditi d’investitura che dei consueti
donativi nei confronti della corona.
Ci
fu una protesta da parte dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo che dal 1491
era in possesso dei beni dell’Abbazia Normanna di Maniace e dell’Abbazia di San
Filippo di Fragalà ? La decisione regia fu considerata un’indebita sottrazione
di terre con relativa perdita di una somma considerevole di reddito ?
La risposta, può lasciare sorpresi e increduli, ma fu negativa.
Per
l’Istituzione dell’Ospedale fu una vera e propria fortuna caduta dal cielo
perché finalmente si liberava di una gestione che nel corso del tempo (1538 –
1784) era diventata troppo complessa per una serie di atti di arrendamento
(imposta indiretta di consumo) con soggetti nobili e borghesi, spesso in
società tra di loro, che avevano determinato la nascita di una gran numero di
controversie giudiziarie con la comunità brontese.
Una
serie di liti che erano culminate il 6 aprile 1636 con un tumulto sanguinoso proprio
a Bronte.
Una
protesta che portò alla morte di due rivoltosi, il capitano d’arme Matteo Pace
e Luigi Terranova, e un indebitamento da parte della comunità brontese di 9000
ducati nei confronti dell’Ospedale di Palermo.
Un debito che determinò un forte inasprimento fiscale con gravi
conseguenze sociali per comunità.
Lo
stesso Ospedale per la perdita della Ducea ebbe un indennizzo di 5.600 onze
l’anno che fu basato sulla rendita annua della ducea aumentata di 100 onze
derivanti dall’esercizio del mero e misto imperio.
Allora
Bronte, siano nel 1798, aveva 9193 abitanti in gran parte contadini e pastori e
l’elevazione a contesa della loro terra non fu
ben accettata. Per gli abitanti significava riduzione a sudditi feudali
di uno straniero con la perdita del diritto di
mero e misto imperio riacquistato nel 1638 da Randazzo con una spesa
notevole e la fine di secolari aspirazioni di reintegrazione al regio demanio.
Orazio
Nelson non venne mai in Sicilia a visitare la sua Ducea che venne amministrata
da diversi governatori che intervennero nelle strutture edilizie dell’antico
monastero di Santa Maria di Maniace.
Uno
dei primi governatori fu John Andrew Graeffer che fu raccomandato al Nelson da
sir William Hamilton, ambasciatore inglese alla corte dei Borboni.
Non
fu un’amministrazione felice perché con i suoi bandi rinnovò i divieti sul legnatico, semina,
pascolo, passaggio per le regia trazzera e sull’uso dell’acqua di Maniace. Ci
furono una serie innumerevole di controversie con il comune.
Con
la morte di Orazio Nelson, il 21 ottobre 1895,
la Ducea passò al fratello reverendo William. Ci fu un nuovo
amministratore Antonio Forcella e la situazione peggiorò con l’inasprimento dei
divieti, che erano rilevati da guardie o campieri, e con la distruzione di
boschi.
Nell’aprile
1819 giunsero a Bronte i Thovez destinati ad amministrare la Ducea.
Philip
Thovez era nato a Napoli nel 1789 da un funzionario inglese al servizio di Orazio
Nelson. Era ritornato in Inghilterra ancora adolescente ed era diventato
commissario della marina inglese. Dimorava a Portsmouth dove aveva conosciuto e
sposato Elizabeth Paton.
A
Bronte erano deceduti sia Antonio Forcella che la giovane moglie e il Thovez
con la nomina di procuratore generale della Ducea giunse nel centro insieme
alla madre, Marianne Nun e ai figli William, Francis ed Helen.
Dovette
affrontare i problemi rivoluzionari legati ai moti del 1820 facendo un
importante opera di mediazione e nel 1824 nuovi dissidi tra la stessa Ducea e
il comune di Bronte a causa di una spregiudicata iniziativa del Thovez.
Il
procuratore autorizzò i gabelloti e
coloni di provvedere, per aumentare la superficie del seminativo, al taglio
indiscriminato di alberi nei boschi di S. Maria di Maniace, di S. Filippo di
Fragalà e in altri ex feudi (Mangione, Porticelli, Petrosino, Bochetto, S.
Nicolò).
Nel
1825 il comune di Bronte chiese ai Nelson il ripristino dei diritti civici su
tutto il territorio comunale. Il problema fu seguito dal Consiglio d’Intendenza
che accettò la richiesta del Comune ma solo su espressa autorizzazione della
Ducea... una decisione che sa tanto di “lavata di mano”... in pratica i boschi
continuavano ad essere di proprietà privata.
Il
Thovez rispose in maniera provocatoria
alle richieste del Comune e gabellò le terre ai coloni dei comuni vicini di
Maletto, Tortorici e Cesarò.
Gli
anni passarono sempre con i soliti problemi
legati ai numerosi divieti e ad aggravare la situazione ci fu anche
l’eruzione del 2 aprile 1832 che cancellò boschi e vigneti fermandosi vicino
all’abitato.
Nel
1830 c’era stata un ennesima richiesta del comune di Bronte sugli usi
civici presentata e discussa dall’avv. Placido De Luca
coadiuvato dal rettore del locale Collegio Capizzi, il canonico Giuseppe Saitta
considerato «il promotore più ardito e più accanito della lite».
Il
5 settembre 1833 fu mandata una supplica al Duca, il reverendo William Nelson.
Si trattava di un memoriale firmato da un centinaio di brontesi indirizzato al
parlamento inglese che “non si commosse”. Nell’ottobre del 1837 il fratello
dell’avvocato De Luca, l’abate e futuro cardinale Antonio Saverio, si recò a
Londra e intrattenne uno scambio epistolare con lo stesso Duca. Cosa ottenne ?
Una
formale e semplice promessa d’interessamento....
Nel
1835 morì il reverendo Nelson e la
figlia Charlotte ereditò la Ducea.
La
questione degli usi civici era sempre in primo piano e i nuovi protagonisti erano:
il medico chirurgo e sindaco di Bronte negli anni 1840 -1848, Luigi Saitta, un
esponente di primo piano dei liberali locali, e il trentenne William Thovez.
William
Thovez che nel 1837 era subentrato al padre Philip, gravemente ammalato (morirà
nell’ottobre del 1839), come governatore della Ducea dopo essere stato per
alcuni anni al servizio del connazionale Beniarnin Ingham, noto imprenditore
vinicolo con aziende a Marsala. L’11 dicembre 1841 furono emanate le Istruzioni
che portavano a soluzione la difficile questione demaniale. Le norme
determinavano la quotizzazione dei territori demaniali e comunali e decretavano
la restituzione ai comuni, da parte dei proprietari degli ex feudi, di almeno
un quinto degli stessi ex feudi a titolo di indennizzo per l’abolizione degli
usi civici.
Ci
furono come conseguenza delle Istruzioni tutta una serie di ordinanze da parte
dell’Intendente, di ricorsi da parte del Thovez e anche di lettere del Comune ,
tutti elementi che crearono uno stato di profonda confusione,
Nel
1846 ci fu l’intervento risolutore della Gran Corte dei Conti di Palermo che
diede un forte colpo agli interessi economici della Ducea. Pur non accogliendo
tutte le richieste del Comune di Bronte, fece diventare lo stesso Comune titolare
di un cospicuo patrimonio fondiario consistente nella
“metà delle terre
boschive, un quarto delle terre aratorie e pascolabilied in terzo di
quelle vulcaniche con esclusione delle terre censite”. Queste
furono le esperienze che visse Elena Thevez a Bronte perché il 9 maggio 1843
sposò a Scordia il Barone dell’Ingegno (territorio di Tortorici ?), Francesco
De Cristofaro.
Era
nata a Portsmouth nel 1815 e nel 1820 giunse in Sicilia assieme ai fratelli e
alla nonna. In Sicilia conobbe il barone Francesco De Cristofaro che sposò
nel 1843, fissando la residenza a Scordia
che un tempo fu possedimento dei Templari per donazione dei signori
Normanni Enrico di Buglio e Goffredo figlio di Oliviero.
Nell’Ottocento
Scordia era un villaggio contadino che aveva però un grosso vantaggio legato
alla sua vicinanza con Catania (circa 35 km).
Elena
Thovez aveva una grande cultura che non era comune per le donne del tempo.
Conosceva tre lingue, come si nota dal suo diario in cui sono contenuti
componimenti poetici in inglese, italiano e francese; disegnatrice di gran
pregio ci cui si conserva uno straordinario disegno a penna sul cui margine
pose la sua firma accanto al titolo “Eruzione dell’Etna avvenuta l’anno 1832”;
scrittrice di teatro con il dramma storico in cinque atti “Elfrida di
Salerno, ossia Vendetta e Perdono”, ambientato nel Medioevo, pubblicato a
Catania nel 1847 e rappresentato nel teatro comunale di Scordia e un “Mistero”
ambientato in Pennsylvania sullo sfondo della Rivoluzione Americana.
L’ambiente
paesano di Scordia non gli consentiva
quegli scambi culturali che amava.
Aveva
studiato in Inghilterra, con frequenti viaggi a Bronte per rivedere il padre e
i fratelli, dove fioriva un lunga e gloriosa tradizione massonica ed esoterica
e vista la mancanza in Sicilia di logge femminili, si affiliò alla Massoneria inglese.
Un’affiliazione
che la vedrà collaborare con diversi periodici
e prendere contatti epistolari
con altri affiliati, artisti e letterati.
Entrò
in contatto in Sicilia con il geniale medico Giuseppe Migneco, originario di
Augusta e che successivamente si trasferirà a Catania.
Giuseppe
Migneco fu massone, omeopata e
mesmerista, in fama di spiritista e la Elen Thovez, così come Mariannina Coffa
(famosa letterata siciliana), si pose sotto le sue cure recandosi spesso a
trovarlo.
La
giovane donna inglese diventò ben presto il centro della vita intellettuale del
piccolo paese e con il suo desiderio di comunicare e di diffondere il suo
sapere e le sue dottrine anche nella piccola Scordia, riuscì a
sprovincializzare l’ambiente.
Non
fu certamente un procedimento culturale semplice ma con la sua tenacia riuscì a
fondare prima il “Casino dei Civili” cioè un circolo di conversazione e subito
dopo un circolo esoterico, “La Società Spiritica”.
Nel
1866 la “Società Spiritica” fu anche dotata di una pubblicazione mensile.
Il
periodico si chiamava “La Voce di Dio” e pubblicava le comunicazioni che “gli
spiriti emissari del Supremo”, tra cui sant’Agostino, davano dall’aldilà ai
vivi tramite il medium nel corso delle sedute spiritiche.
Lo
storico Nuccio Ganbera, riportò come la “Società Spiritica” di Scordia fece
stampare nel 1865 un piccolo opuscolo contenente i verbali di undici sedute
spiritiche che si erano tenute nello
stesso anno con le relative comunicazioni spiritiche tramite il medium E.T.
Le
iniziali E.T. identificano Elen Thovez “che fu medium ella stessa”.
Lo
spiritismo era un fenomeno molto diffuso in quegli anni anche in Sicilia e vi
aderivano anche intellettuali di primo piano. Era presente una rete di società
spiritiche che operavano nell’isola mettendosi in contatto con le principali
città italiane e straniere. La presenza di personaggi come l’inglese Thovez o
Luisa Hamilton, moglie del principe Eugenio Caico, a Montedoro (Cl) e a
Palermo, con i vasti contatti che furono capaci d’instaurare, permisero alla
Sicilia, anche nei piccoli centri, di non rimanere mai isolata dal punto di
vista culturale.
La
Thevez era un personaggio scomodo per la Chiesa ma godeva di una grande
protezione e grazie alla sua affidabilità poteva avvalersi della stima di un
nutrito seguito di persone.Nello
spiritismo si nota la volontà dei filosofi positivisti di sottrarre alla Chiesa il dominio del mondo
degli inferi e dell’aldilà e il merito della Thovez fu quello di fare conoscere
alla Sicilia nuovi fenomeni.La
scrittrice Marinella Fiume affermò come lo “spiritismo legava a doppia mandata
molti dei nostri scrittori siciliani”. Sempre secondo la scrittrice uno di
questi letterati fu Luigi Capuana che dedicò intere pagine al verismo e alle
forze dell’aldilà.Il
Capuana affermò come “quel demone chiamato scrittura sarebbe capace di
trasformare lo scrittore in un medium” (Spiritismo 1884).Elen
Thovez, una donna forse dimenticata, ci parlò di una Sicilia magica e forse
oscura.... un’altra misteriosa testimonianza di questa Terra che non finisce
mai di stupire con i suoi segreti...un altra testimonianza di una delle suoi
tanti aspetti storici e culturali..Leonardo
Sciascia scriveva:basta girare una
montagna, salire da una valle o scendervi,per trovare un
mondo diverso, sorprendente. Elen
Thovez morì a Scordia nel 1896.Dal
matrimonio con Francesco De Cristofaro era nato a Scordia il 18 Luglio 1844 , Enrico De Cristofaro (morto a Scordia il 18 marzo
1898).Enrico
De Cristofaro non chiese il riconoscimento del titolo di Barone dell’Ingegno.Sposò
il 27 gennaio 1883, in Scordia, Giuseppa Di Mauro (Scordia, 1844 ? – Scordia,
11 agosto 1923) (figlia d Antonino Di Mauro e Serafina Mangano)Dal
matrimonio nacque a Scordia il 24
settembre 1884, Sebastiano Francesco Paolo De
Cristofaro ( morì a Scordia, 4 aprile 1955).Fu
riconosciuto Barone dell’Ingegno con Decreto Ministeriale del 10 dicembre 1901.Sposò
a Catania il 22 luglio 1905, Lucia (Lucietta) Elvira De Cristofaro (Scordia, 21
maggio 1882 – Scordia, 5 dicembre 1910) (figlia di Giuseppe De Cristofaro e di
Francesca de Cristofaro fu Filippo, nata a Scordia il 21 maggio 1882).Dal
matrimonio i figli/e:-
Giuseppina
De Cristofaro ( Scordia, 22 marzo 1906 – Scordia, 21 dicembre 1942);-
Francesca
Elena Serafina De Cristofaro (Catania, 26 dicembre 1907 – Catania, 12 maggio
1983) – sposò il 12 luglio 1928 in Scordia, salvatore Linguanti (1899 – 1962);-
Enrico
De Cristofaro (Catania, 19 novembre 1910 – Scordia, 16 dicembre 1975)-
Giuseppe
De Cristofaro (Scordia, 2 gennaio 1913 – Scordia, 1 gennaio 1984) – sposò
Annunziata Romano, da cui la figlia Maria De Cristofaro.-
Ernesto
De Cristofaro (Scordia, 18 dicembre 1918 - ?) – sposò Concetta Ferrotta. Dal
matrimonio nacquero Sebastiano Antonio e Alessandro Leopoldo Paolo De
CristofaroRicordo
di aver conosciuto il Barone Giuseppe De Cristofaro quando come collaboratore
del geom. Sciuto Sebastiano, padre della topografia a Catania ed inscritto
all’Albo dei Geometri di Catania al n. 63, mi recai a misurare l’ex feudo di San Basilio. Mi accompagnò
nella visita del Casale di San Basilio e ricordo la sua amarezza nel vedere lo
scempio che quotidianamente avveniva ai danni delle antiche e memorabili
vestigia. Una figura dalla grande cordialità che mi ha regalato piccoli momenti
che sono rimasti impressi nei miei
ricordi.
14. Scordia : I
Palazzi De Cristofaro
La
nobile famiglia De Cristofaro aveva diversi palazzi a Scordia.
I Palazzi della
Famiglia De Cristofaro sono indicati con la lettera “X”(gialla)
Il
Palazzo in Via Trabia, diventato quasi interamente di proprietà del Comune di
Scordia, fu costruito verso il 1842 sotto la direzione di “artigiani
palermitani”.Occupa
un intero isolato con due ingressi e nella cui rosta è posto lo stemma
gentilizio della famiglia.
La parte retrostante del palazzo su Via Bellini
Si
nota lo stemma della casata sulla rosta di uno dei due portoni d’ingresso.
I
De Cristofaro, secondo un’antica voce locale, vollero costruire il palazzo
imponente e grandioso “onde ostruire la visuale togliere un po' d’aria alla
famiglia Vecchio, fiera avversaria, il cui vicinissimo palazzo svettava sui
circostanti edifici del centro storico”.La
residenza rimase disabitata per parecchi anni e l’edificio venne denominato “La
casa degli uccelli” perché le rondini, un tempo molto numerose, e i passeri
vi nidificavano.Fu
più volte restaurato e conserva ancora oggi un aspetto quasi monastico con gli
archi che si dipartono sull’ampio cortile interno, dalla pianta quasi quadrata,
e nel quale si sviluppano, in modo simmetrico, due ampie scale che portano ai
piani superiori.Della
famiglia De Cristofaro sono ancora i palazzi posti su:-
Via
Principe Amedeo e Via Cavour
Palazzo De
Cristofaro su Via Principe Amedeo e lateralmente su Via Cavour
Palazzo che fu costruito
nella prima metà del XVIII secolo
Prospetto su Via
Cavour
-
Un
altro edificio, sempre su Via Cavour, poco prima di giungere alla chiesa di Santa Liberata
15. GEOLOGIA
Nel
1846 il sig. cav. Prof. Dr. D. Agatino Longo, presentò ai membri effettivi
della Sezione Geologica dell’ottavo
Congresso degli scienziati italiani, svoltosi a Genova, una sua
relazione sui vulcani estinti della val di Noto in Sicilia che era stata
presentata nel 1845 alla sezione geologica del Congresso di Napoli.Nella
relazione mostrò di non condividere i pareri del prof. geologo Carlo Gemmellaro
e di altri insigni geologi italiani e stranieri. I materiali vulcanici secondo
il professore Longo “non esistevano ed erano tutti un prodotto dell’acqua dato
che sono basalti amorfi, basalti ricomposti, basalti in decomposizione, pietre
ferruginose a base d’argilla, ecc.
“.. all’angolo del
Colle, sporgente verso il Nord, trae origine, in direzionead Oriente, un
prolungamento di eruzione che stendesi a guisa di muraglione.Appartiene al
genere basaltico, e molti massi mostrano di essere imbevuti diuna vera sostanza
quarzosa e zeolitica. In parecchi siti rinvengonsi de’ lapilli che contro ai raggi
del sole palesano bizzarramente delle particelle brillanti.Da taluni banchi
svolgonsi dei ciottoli e de’ massi formati di una grana grossetta, forati di piccoli
buchi; laonde riesce poco difficile il romperli, e sono poco penetrati di
sostanze cristalline. Alcune palle di lava, feldispatica ossia trachitica,
uscenti da seno di masse vulcaniche nello stato di distruzione, mostrano la loro struttura
a strati concentrici, e nel centro chiudono un nocciolo solido e compatto ( dovrebbe trattarsi
di Pillow lava)”.
Pillow lava, di
grandi dimensioni
Le piante fiorite
sono la Mandragora
In direzione a Sud
-Est, in una piccola valle incavata dalle piogge, inalzansi
a perpendicolo
delle piccole colonne di figura prismatica, le quali sembrano
una concrezione di
arena ocracea intermista a vulcaniche or già indurite
lave. Rischiarate
alquanto dal tremolo raggio del nostro satellite, tra le
svariate ombre che
gettan qua e là le rupi circostanti, sembrano una mano di
feroci che, ritti
in quella muta solitudine, stiano appiattati per la esecuzione
di un qualche
grave delitto”.
Quando
vidi la valle con queste particolari
formazioni geologiche, ricordo che ne rimasi affasciato e li chiamai “Santoni”
vedendo in loro qualcosa che potesse prevedere il futuro nel loro attento e
silenzioso aspetto di osservatori della realtà circostante. Mi trovavo in quel
luogo per fare delle misurazioni topografiche
e spero tanto che siano ancora presenti come a testimoniare un’antica
civiltà e il susseguirsi di eventi antichissimi che sfuggono alla nostra
memoria.
Sulla sinistra uno
dei “Santoni”
Il
professore Salvatore Lanza di Palermo, nella sua nota sulla “osservazione
de’ naturali prodotti del San Basilio” contenuta nella sua “Guida del
Viaggiatore in Sicilia Palermo 1859” scrisse:Parecchie miglia
prima di Palagonia, sulla sinistra, si offre la collina diS. Basilio, dove
il sito offre delle doppie osservazioni a fare e per la storiaNaturale e per
l’Archeologia. Sotto il primo rapporto è importante notareche questo è uno
dei molti siti dei campi Flegrei siciliani, dove si osservail lavoro una
volta fatto dal fuoco, essendo chiaramente qui, come in altriluoghi, un vulcano
estinto. Vi si osserva la sovrapposizione intersecata distrati vulcanici e
calcarei che meritar devono l’attenzione del naturalista”.
A
Bronte erano deceduti sia Antonio Forcella che la giovane moglie e il Thovez
con la nomina di procuratore generale della Ducea giunse nel centro insieme
alla madre, Marianne Nun e ai figli William, Francis ed Helen.
Dovette
affrontare i problemi rivoluzionari legati ai moti del 1820 facendo un
importante opera di mediazione e nel 1824 nuovi dissidi tra la stessa Ducea e
il comune di Bronte a causa di una spregiudicata iniziativa del Thovez.
Il
procuratore autorizzò i gabelloti e
coloni di provvedere, per aumentare la superficie del seminativo, al taglio
indiscriminato di alberi nei boschi di S. Maria di Maniace, di S. Filippo di
Fragalà e in altri ex feudi (Mangione, Porticelli, Petrosino, Bochetto, S.
Nicolò).
Nel
1825 il comune di Bronte chiese ai Nelson il ripristino dei diritti civici su
tutto il territorio comunale. Il problema fu seguito dal Consiglio d’Intendenza
che accettò la richiesta del Comune ma solo su espressa autorizzazione della
Ducea... una decisione che sa tanto di “lavata di mano”... in pratica i boschi
continuavano ad essere di proprietà privata.
Il
Thovez rispose in maniera provocatoria
alle richieste del Comune e gabellò le terre ai coloni dei comuni vicini di
Maletto, Tortorici e Cesarò.
Gli
anni passarono sempre con i soliti problemi
legati ai numerosi divieti e ad aggravare la situazione ci fu anche
l’eruzione del 2 aprile 1832 che cancellò boschi e vigneti fermandosi vicino
all’abitato.
Nel
1830 c’era stata un ennesima richiesta del comune di Bronte sugli usi
civici presentata e discussa dall’avv. Placido De Luca
coadiuvato dal rettore del locale Collegio Capizzi, il canonico Giuseppe Saitta
considerato «il promotore più ardito e più accanito della lite».
Il
5 settembre 1833 fu mandata una supplica al Duca, il reverendo William Nelson.
Si trattava di un memoriale firmato da un centinaio di brontesi indirizzato al
parlamento inglese che “non si commosse”. Nell’ottobre del 1837 il fratello
dell’avvocato De Luca, l’abate e futuro cardinale Antonio Saverio, si recò a
Londra e intrattenne uno scambio epistolare con lo stesso Duca. Cosa ottenne ?
Una
formale e semplice promessa d’interessamento....
Nel
1835 morì il reverendo Nelson e la
figlia Charlotte ereditò la Ducea.
La
questione degli usi civici era sempre in primo piano e i nuovi protagonisti erano:
il medico chirurgo e sindaco di Bronte negli anni 1840 -1848, Luigi Saitta, un
esponente di primo piano dei liberali locali, e il trentenne William Thovez.
William
Thovez che nel 1837 era subentrato al padre Philip, gravemente ammalato (morirà
nell’ottobre del 1839), come governatore della Ducea dopo essere stato per
alcuni anni al servizio del connazionale Beniarnin Ingham, noto imprenditore
vinicolo con aziende a Marsala. L’11 dicembre 1841 furono emanate le Istruzioni
che portavano a soluzione la difficile questione demaniale. Le norme
determinavano la quotizzazione dei territori demaniali e comunali e decretavano
la restituzione ai comuni, da parte dei proprietari degli ex feudi, di almeno
un quinto degli stessi ex feudi a titolo di indennizzo per l’abolizione degli
usi civici.
Ci
furono come conseguenza delle Istruzioni tutta una serie di ordinanze da parte
dell’Intendente, di ricorsi da parte del Thovez e anche di lettere del Comune ,
tutti elementi che crearono uno stato di profonda confusione,
Nel
1846 ci fu l’intervento risolutore della Gran Corte dei Conti di Palermo che
diede un forte colpo agli interessi economici della Ducea. Pur non accogliendo
tutte le richieste del Comune di Bronte, fece diventare lo stesso Comune titolare
di un cospicuo patrimonio fondiario consistente nella
“metà delle terre
boschive, un quarto delle terre aratorie e pascolabilied in terzo di
quelle vulcaniche con esclusione delle terre censite”. Queste
furono le esperienze che visse Elena Thevez a Bronte perché il 9 maggio 1843
sposò a Scordia il Barone dell’Ingegno (territorio di Tortorici ?), Francesco
De Cristofaro.
Era
nata a Portsmouth nel 1815 e nel 1820 giunse in Sicilia assieme ai fratelli e
alla nonna. In Sicilia conobbe il barone Francesco De Cristofaro che sposò
nel 1843, fissando la residenza a Scordia
che un tempo fu possedimento dei Templari per donazione dei signori
Normanni Enrico di Buglio e Goffredo figlio di Oliviero.
Nell’Ottocento
Scordia era un villaggio contadino che aveva però un grosso vantaggio legato
alla sua vicinanza con Catania (circa 35 km).
Elena
Thovez aveva una grande cultura che non era comune per le donne del tempo.
Conosceva tre lingue, come si nota dal suo diario in cui sono contenuti
componimenti poetici in inglese, italiano e francese; disegnatrice di gran
pregio ci cui si conserva uno straordinario disegno a penna sul cui margine
pose la sua firma accanto al titolo “Eruzione dell’Etna avvenuta l’anno 1832”;
scrittrice di teatro con il dramma storico in cinque atti “Elfrida di
Salerno, ossia Vendetta e Perdono”, ambientato nel Medioevo, pubblicato a
Catania nel 1847 e rappresentato nel teatro comunale di Scordia e un “Mistero”
ambientato in Pennsylvania sullo sfondo della Rivoluzione Americana.
L’ambiente
paesano di Scordia non gli consentiva
quegli scambi culturali che amava.
Aveva
studiato in Inghilterra, con frequenti viaggi a Bronte per rivedere il padre e
i fratelli, dove fioriva un lunga e gloriosa tradizione massonica ed esoterica
e vista la mancanza in Sicilia di logge femminili, si affiliò alla Massoneria inglese.
Un’affiliazione
che la vedrà collaborare con diversi periodici
e prendere contatti epistolari
con altri affiliati, artisti e letterati.
Entrò
in contatto in Sicilia con il geniale medico Giuseppe Migneco, originario di
Augusta e che successivamente si trasferirà a Catania.
Giuseppe
Migneco fu massone, omeopata e
mesmerista, in fama di spiritista e la Elen Thovez, così come Mariannina Coffa
(famosa letterata siciliana), si pose sotto le sue cure recandosi spesso a
trovarlo.
La
giovane donna inglese diventò ben presto il centro della vita intellettuale del
piccolo paese e con il suo desiderio di comunicare e di diffondere il suo
sapere e le sue dottrine anche nella piccola Scordia, riuscì a
sprovincializzare l’ambiente.
Non
fu certamente un procedimento culturale semplice ma con la sua tenacia riuscì a
fondare prima il “Casino dei Civili” cioè un circolo di conversazione e subito
dopo un circolo esoterico, “La Società Spiritica”.
Nel
1866 la “Società Spiritica” fu anche dotata di una pubblicazione mensile.
Il
periodico si chiamava “La Voce di Dio” e pubblicava le comunicazioni che “gli
spiriti emissari del Supremo”, tra cui sant’Agostino, davano dall’aldilà ai
vivi tramite il medium nel corso delle sedute spiritiche.
Lo
storico Nuccio Ganbera, riportò come la “Società Spiritica” di Scordia fece
stampare nel 1865 un piccolo opuscolo contenente i verbali di undici sedute
spiritiche che si erano tenute nello
stesso anno con le relative comunicazioni spiritiche tramite il medium E.T.
Le
iniziali E.T. identificano Elen Thovez “che fu medium ella stessa”.
Lo
spiritismo era un fenomeno molto diffuso in quegli anni anche in Sicilia e vi
aderivano anche intellettuali di primo piano. Era presente una rete di società
spiritiche che operavano nell’isola mettendosi in contatto con le principali
città italiane e straniere. La presenza di personaggi come l’inglese Thovez o
Luisa Hamilton, moglie del principe Eugenio Caico, a Montedoro (Cl) e a
Palermo, con i vasti contatti che furono capaci d’instaurare, permisero alla
Sicilia, anche nei piccoli centri, di non rimanere mai isolata dal punto di
vista culturale.
La
Thevez era un personaggio scomodo per la Chiesa ma godeva di una grande
protezione e grazie alla sua affidabilità poteva avvalersi della stima di un
nutrito seguito di persone.Nello
spiritismo si nota la volontà dei filosofi positivisti di sottrarre alla Chiesa il dominio del mondo
degli inferi e dell’aldilà e il merito della Thovez fu quello di fare conoscere
alla Sicilia nuovi fenomeni.La
scrittrice Marinella Fiume affermò come lo “spiritismo legava a doppia mandata
molti dei nostri scrittori siciliani”. Sempre secondo la scrittrice uno di
questi letterati fu Luigi Capuana che dedicò intere pagine al verismo e alle
forze dell’aldilà.Il
Capuana affermò come “quel demone chiamato scrittura sarebbe capace di
trasformare lo scrittore in un medium” (Spiritismo 1884).Elen
Thovez, una donna forse dimenticata, ci parlò di una Sicilia magica e forse
oscura.... un’altra misteriosa testimonianza di questa Terra che non finisce
mai di stupire con i suoi segreti...un altra testimonianza di una delle suoi
tanti aspetti storici e culturali..Leonardo
Sciascia scriveva:basta girare una
montagna, salire da una valle o scendervi,per trovare un
mondo diverso, sorprendente. Elen
Thovez morì a Scordia nel 1896.Dal
matrimonio con Francesco De Cristofaro era nato a Scordia il 18 Luglio 1844 , Enrico De Cristofaro (morto a Scordia il 18 marzo
1898).Enrico
De Cristofaro non chiese il riconoscimento del titolo di Barone dell’Ingegno.Sposò
il 27 gennaio 1883, in Scordia, Giuseppa Di Mauro (Scordia, 1844 ? – Scordia,
11 agosto 1923) (figlia d Antonino Di Mauro e Serafina Mangano)Dal
matrimonio nacque a Scordia il 24
settembre 1884, Sebastiano Francesco Paolo De
Cristofaro ( morì a Scordia, 4 aprile 1955).Fu
riconosciuto Barone dell’Ingegno con Decreto Ministeriale del 10 dicembre 1901.Sposò
a Catania il 22 luglio 1905, Lucia (Lucietta) Elvira De Cristofaro (Scordia, 21
maggio 1882 – Scordia, 5 dicembre 1910) (figlia di Giuseppe De Cristofaro e di
Francesca de Cristofaro fu Filippo, nata a Scordia il 21 maggio 1882).Dal
matrimonio i figli/e:-
Giuseppina
De Cristofaro ( Scordia, 22 marzo 1906 – Scordia, 21 dicembre 1942);-
Francesca
Elena Serafina De Cristofaro (Catania, 26 dicembre 1907 – Catania, 12 maggio
1983) – sposò il 12 luglio 1928 in Scordia, salvatore Linguanti (1899 – 1962);-
Enrico
De Cristofaro (Catania, 19 novembre 1910 – Scordia, 16 dicembre 1975)-
Giuseppe
De Cristofaro (Scordia, 2 gennaio 1913 – Scordia, 1 gennaio 1984) – sposò
Annunziata Romano, da cui la figlia Maria De Cristofaro.-
Ernesto
De Cristofaro (Scordia, 18 dicembre 1918 - ?) – sposò Concetta Ferrotta. Dal
matrimonio nacquero Sebastiano Antonio e Alessandro Leopoldo Paolo De
CristofaroRicordo
di aver conosciuto il Barone Giuseppe De Cristofaro quando come collaboratore
del geom. Sciuto Sebastiano, padre della topografia a Catania ed inscritto
all’Albo dei Geometri di Catania al n. 63, mi recai a misurare l’ex feudo di San Basilio. Mi accompagnò
nella visita del Casale di San Basilio e ricordo la sua amarezza nel vedere lo
scempio che quotidianamente avveniva ai danni delle antiche e memorabili
vestigia. Una figura dalla grande cordialità che mi ha regalato piccoli momenti
che sono rimasti impressi nei miei
ricordi.
14. Scordia : I
Palazzi De Cristofaro
La
nobile famiglia De Cristofaro aveva diversi palazzi a Scordia.
I Palazzi della
Famiglia De Cristofaro sono indicati con la lettera “X”(gialla)
Il
Palazzo in Via Trabia, diventato quasi interamente di proprietà del Comune di
Scordia, fu costruito verso il 1842 sotto la direzione di “artigiani
palermitani”.Occupa
un intero isolato con due ingressi e nella cui rosta è posto lo stemma
gentilizio della famiglia.
La parte retrostante del palazzo su Via Bellini
Si
nota lo stemma della casata sulla rosta di uno dei due portoni d’ingresso.
I
De Cristofaro, secondo un’antica voce locale, vollero costruire il palazzo
imponente e grandioso “onde ostruire la visuale togliere un po' d’aria alla
famiglia Vecchio, fiera avversaria, il cui vicinissimo palazzo svettava sui
circostanti edifici del centro storico”.La
residenza rimase disabitata per parecchi anni e l’edificio venne denominato “La
casa degli uccelli” perché le rondini, un tempo molto numerose, e i passeri
vi nidificavano.Fu
più volte restaurato e conserva ancora oggi un aspetto quasi monastico con gli
archi che si dipartono sull’ampio cortile interno, dalla pianta quasi quadrata,
e nel quale si sviluppano, in modo simmetrico, due ampie scale che portano ai
piani superiori.Della
famiglia De Cristofaro sono ancora i palazzi posti su:-
Via
Principe Amedeo e Via Cavour
Palazzo De
Cristofaro su Via Principe Amedeo e lateralmente su Via Cavour
Palazzo che fu costruito
nella prima metà del XVIII secolo
Prospetto su Via
Cavour
-
Un
altro edificio, sempre su Via Cavour, poco prima di giungere alla chiesa di Santa Liberata
15. GEOLOGIA
Nel
1846 il sig. cav. Prof. Dr. D. Agatino Longo, presentò ai membri effettivi
della Sezione Geologica dell’ottavo
Congresso degli scienziati italiani, svoltosi a Genova, una sua
relazione sui vulcani estinti della val di Noto in Sicilia che era stata
presentata nel 1845 alla sezione geologica del Congresso di Napoli.Nella
relazione mostrò di non condividere i pareri del prof. geologo Carlo Gemmellaro
e di altri insigni geologi italiani e stranieri. I materiali vulcanici secondo
il professore Longo “non esistevano ed erano tutti un prodotto dell’acqua dato
che sono basalti amorfi, basalti ricomposti, basalti in decomposizione, pietre
ferruginose a base d’argilla, ecc.
“.. all’angolo del
Colle, sporgente verso il Nord, trae origine, in direzionead Oriente, un
prolungamento di eruzione che stendesi a guisa di muraglione.Appartiene al
genere basaltico, e molti massi mostrano di essere imbevuti diuna vera sostanza
quarzosa e zeolitica. In parecchi siti rinvengonsi de’ lapilli che contro ai raggi
del sole palesano bizzarramente delle particelle brillanti.Da taluni banchi
svolgonsi dei ciottoli e de’ massi formati di una grana grossetta, forati di piccoli
buchi; laonde riesce poco difficile il romperli, e sono poco penetrati di
sostanze cristalline. Alcune palle di lava, feldispatica ossia trachitica,
uscenti da seno di masse vulcaniche nello stato di distruzione, mostrano la loro struttura
a strati concentrici, e nel centro chiudono un nocciolo solido e compatto ( dovrebbe trattarsi
di Pillow lava)”.
Pillow lava, di
grandi dimensioni
Le piante fiorite
sono la Mandragora
In direzione a Sud
-Est, in una piccola valle incavata dalle piogge, inalzansi
a perpendicolo
delle piccole colonne di figura prismatica, le quali sembrano
una concrezione di
arena ocracea intermista a vulcaniche or già indurite
lave. Rischiarate
alquanto dal tremolo raggio del nostro satellite, tra le
svariate ombre che
gettan qua e là le rupi circostanti, sembrano una mano di
feroci che, ritti
in quella muta solitudine, stiano appiattati per la esecuzione
di un qualche
grave delitto”.
Quando
vidi la valle con queste particolari
formazioni geologiche, ricordo che ne rimasi affasciato e li chiamai “Santoni”
vedendo in loro qualcosa che potesse prevedere il futuro nel loro attento e
silenzioso aspetto di osservatori della realtà circostante. Mi trovavo in quel
luogo per fare delle misurazioni topografiche
e spero tanto che siano ancora presenti come a testimoniare un’antica
civiltà e il susseguirsi di eventi antichissimi che sfuggono alla nostra
memoria.
Sulla sinistra uno
dei “Santoni”
Il
professore Salvatore Lanza di Palermo, nella sua nota sulla “osservazione
de’ naturali prodotti del San Basilio” contenuta nella sua “Guida del
Viaggiatore in Sicilia Palermo 1859” scrisse:Parecchie miglia
prima di Palagonia, sulla sinistra, si offre la collina diS. Basilio, dove
il sito offre delle doppie osservazioni a fare e per la storiaNaturale e per
l’Archeologia. Sotto il primo rapporto è importante notareche questo è uno
dei molti siti dei campi Flegrei siciliani, dove si osservail lavoro una
volta fatto dal fuoco, essendo chiaramente qui, come in altriluoghi, un vulcano
estinto. Vi si osserva la sovrapposizione intersecata distrati vulcanici e
calcarei che meritar devono l’attenzione del naturalista”.
14. Scordia : I Palazzi De Cristofaro
I Palazzi della Famiglia De Cristofaro sono indicati con la lettera “X”(gialla)
Il
Palazzo in Via Trabia, diventato quasi interamente di proprietà del Comune di
Scordia, fu costruito verso il 1842 sotto la direzione di “artigiani
palermitani”.Occupa
un intero isolato con due ingressi e nella cui rosta è posto lo stemma
gentilizio della famiglia.
La parte retrostante del palazzo su Via Bellini
Si
nota lo stemma della casata sulla rosta di uno dei due portoni d’ingresso.
I
De Cristofaro, secondo un’antica voce locale, vollero costruire il palazzo
imponente e grandioso “onde ostruire la visuale togliere un po' d’aria alla
famiglia Vecchio, fiera avversaria, il cui vicinissimo palazzo svettava sui
circostanti edifici del centro storico”.La
residenza rimase disabitata per parecchi anni e l’edificio venne denominato “La
casa degli uccelli” perché le rondini, un tempo molto numerose, e i passeri
vi nidificavano.Fu
più volte restaurato e conserva ancora oggi un aspetto quasi monastico con gli
archi che si dipartono sull’ampio cortile interno, dalla pianta quasi quadrata,
e nel quale si sviluppano, in modo simmetrico, due ampie scale che portano ai
piani superiori.Della
famiglia De Cristofaro sono ancora i palazzi posti su:-
Via
Principe Amedeo e Via Cavour
Palazzo De
Cristofaro su Via Principe Amedeo e lateralmente su Via Cavour
Palazzo che fu costruito
nella prima metà del XVIII secolo
Prospetto su Via
Cavour
-
Un
altro edificio, sempre su Via Cavour, poco prima di giungere alla chiesa di Santa Liberata
15. GEOLOGIA
Nel
1846 il sig. cav. Prof. Dr. D. Agatino Longo, presentò ai membri effettivi
della Sezione Geologica dell’ottavo
Congresso degli scienziati italiani, svoltosi a Genova, una sua
relazione sui vulcani estinti della val di Noto in Sicilia che era stata
presentata nel 1845 alla sezione geologica del Congresso di Napoli.Nella
relazione mostrò di non condividere i pareri del prof. geologo Carlo Gemmellaro
e di altri insigni geologi italiani e stranieri. I materiali vulcanici secondo
il professore Longo “non esistevano ed erano tutti un prodotto dell’acqua dato
che sono basalti amorfi, basalti ricomposti, basalti in decomposizione, pietre
ferruginose a base d’argilla, ecc.
“.. all’angolo del
Colle, sporgente verso il Nord, trae origine, in direzionead Oriente, un
prolungamento di eruzione che stendesi a guisa di muraglione.Appartiene al
genere basaltico, e molti massi mostrano di essere imbevuti diuna vera sostanza
quarzosa e zeolitica. In parecchi siti rinvengonsi de’ lapilli che contro ai raggi
del sole palesano bizzarramente delle particelle brillanti.Da taluni banchi
svolgonsi dei ciottoli e de’ massi formati di una grana grossetta, forati di piccoli
buchi; laonde riesce poco difficile il romperli, e sono poco penetrati di
sostanze cristalline. Alcune palle di lava, feldispatica ossia trachitica,
uscenti da seno di masse vulcaniche nello stato di distruzione, mostrano la loro struttura
a strati concentrici, e nel centro chiudono un nocciolo solido e compatto ( dovrebbe trattarsi
di Pillow lava)”.
Pillow lava, di
grandi dimensioni
Le piante fiorite
sono la Mandragora
In direzione a Sud
-Est, in una piccola valle incavata dalle piogge, inalzansi
a perpendicolo
delle piccole colonne di figura prismatica, le quali sembrano
una concrezione di
arena ocracea intermista a vulcaniche or già indurite
lave. Rischiarate
alquanto dal tremolo raggio del nostro satellite, tra le
svariate ombre che
gettan qua e là le rupi circostanti, sembrano una mano di
feroci che, ritti
in quella muta solitudine, stiano appiattati per la esecuzione
di un qualche
grave delitto”.
Quando
vidi la valle con queste particolari
formazioni geologiche, ricordo che ne rimasi affasciato e li chiamai “Santoni”
vedendo in loro qualcosa che potesse prevedere il futuro nel loro attento e
silenzioso aspetto di osservatori della realtà circostante. Mi trovavo in quel
luogo per fare delle misurazioni topografiche
e spero tanto che siano ancora presenti come a testimoniare un’antica
civiltà e il susseguirsi di eventi antichissimi che sfuggono alla nostra
memoria.
Sulla sinistra uno
dei “Santoni”
Il
professore Salvatore Lanza di Palermo, nella sua nota sulla “osservazione
de’ naturali prodotti del San Basilio” contenuta nella sua “Guida del
Viaggiatore in Sicilia Palermo 1859” scrisse:Parecchie miglia
prima di Palagonia, sulla sinistra, si offre la collina diS. Basilio, dove
il sito offre delle doppie osservazioni a fare e per la storiaNaturale e per
l’Archeologia. Sotto il primo rapporto è importante notareche questo è uno
dei molti siti dei campi Flegrei siciliani, dove si osservail lavoro una
volta fatto dal fuoco, essendo chiaramente qui, come in altriluoghi, un vulcano
estinto. Vi si osserva la sovrapposizione intersecata distrati vulcanici e
calcarei che meritar devono l’attenzione del naturalista”.
Palazzo De
Cristofaro su Via Principe Amedeo e lateralmente su Via Cavour
Palazzo che fu costruito
nella prima metà del XVIII secolo
Prospetto su Via Cavour
- Un altro edificio, sempre su Via Cavour, poco prima di giungere alla chiesa di Santa Liberata
15. GEOLOGIA
Nel
1846 il sig. cav. Prof. Dr. D. Agatino Longo, presentò ai membri effettivi
della Sezione Geologica dell’ottavo
Congresso degli scienziati italiani, svoltosi a Genova, una sua
relazione sui vulcani estinti della val di Noto in Sicilia che era stata
presentata nel 1845 alla sezione geologica del Congresso di Napoli.Nella
relazione mostrò di non condividere i pareri del prof. geologo Carlo Gemmellaro
e di altri insigni geologi italiani e stranieri. I materiali vulcanici secondo
il professore Longo “non esistevano ed erano tutti un prodotto dell’acqua dato
che sono basalti amorfi, basalti ricomposti, basalti in decomposizione, pietre
ferruginose a base d’argilla, ecc.
“.. all’angolo del
Colle, sporgente verso il Nord, trae origine, in direzionead Oriente, un
prolungamento di eruzione che stendesi a guisa di muraglione.Appartiene al
genere basaltico, e molti massi mostrano di essere imbevuti diuna vera sostanza
quarzosa e zeolitica. In parecchi siti rinvengonsi de’ lapilli che contro ai raggi
del sole palesano bizzarramente delle particelle brillanti.Da taluni banchi
svolgonsi dei ciottoli e de’ massi formati di una grana grossetta, forati di piccoli
buchi; laonde riesce poco difficile il romperli, e sono poco penetrati di
sostanze cristalline. Alcune palle di lava, feldispatica ossia trachitica,
uscenti da seno di masse vulcaniche nello stato di distruzione, mostrano la loro struttura
a strati concentrici, e nel centro chiudono un nocciolo solido e compatto ( dovrebbe trattarsi
di Pillow lava)”.
Pillow lava, di
grandi dimensioni
Le piante fiorite
sono la Mandragora
In direzione a Sud
-Est, in una piccola valle incavata dalle piogge, inalzansi
a perpendicolo
delle piccole colonne di figura prismatica, le quali sembrano
una concrezione di
arena ocracea intermista a vulcaniche or già indurite
lave. Rischiarate
alquanto dal tremolo raggio del nostro satellite, tra le
svariate ombre che
gettan qua e là le rupi circostanti, sembrano una mano di
feroci che, ritti
in quella muta solitudine, stiano appiattati per la esecuzione
di un qualche
grave delitto”.
Quando
vidi la valle con queste particolari
formazioni geologiche, ricordo che ne rimasi affasciato e li chiamai “Santoni”
vedendo in loro qualcosa che potesse prevedere il futuro nel loro attento e
silenzioso aspetto di osservatori della realtà circostante. Mi trovavo in quel
luogo per fare delle misurazioni topografiche
e spero tanto che siano ancora presenti come a testimoniare un’antica
civiltà e il susseguirsi di eventi antichissimi che sfuggono alla nostra
memoria.
Sulla sinistra uno
dei “Santoni”
Il
professore Salvatore Lanza di Palermo, nella sua nota sulla “osservazione
de’ naturali prodotti del San Basilio” contenuta nella sua “Guida del
Viaggiatore in Sicilia Palermo 1859” scrisse:Parecchie miglia
prima di Palagonia, sulla sinistra, si offre la collina diS. Basilio, dove
il sito offre delle doppie osservazioni a fare e per la storiaNaturale e per
l’Archeologia. Sotto il primo rapporto è importante notareche questo è uno
dei molti siti dei campi Flegrei siciliani, dove si osservail lavoro una
volta fatto dal fuoco, essendo chiaramente qui, come in altriluoghi, un vulcano
estinto. Vi si osserva la sovrapposizione intersecata distrati vulcanici e
calcarei che meritar devono l’attenzione del naturalista”.
Pillow lava, di
grandi dimensioni
Le piante fiorite
sono la Mandragora
In direzione a Sud
-Est, in una piccola valle incavata dalle piogge, inalzansi
a perpendicolo
delle piccole colonne di figura prismatica, le quali sembrano
una concrezione di
arena ocracea intermista a vulcaniche or già indurite
lave. Rischiarate
alquanto dal tremolo raggio del nostro satellite, tra le
svariate ombre che
gettan qua e là le rupi circostanti, sembrano una mano di
feroci che, ritti
in quella muta solitudine, stiano appiattati per la esecuzione
di un qualche
grave delitto”.
Quando
vidi la valle con queste particolari
formazioni geologiche, ricordo che ne rimasi affasciato e li chiamai “Santoni”
vedendo in loro qualcosa che potesse prevedere il futuro nel loro attento e
silenzioso aspetto di osservatori della realtà circostante. Mi trovavo in quel
luogo per fare delle misurazioni topografiche
e spero tanto che siano ancora presenti come a testimoniare un’antica
civiltà e il susseguirsi di eventi antichissimi che sfuggono alla nostra
memoria.
Sulla sinistra uno
dei “Santoni”
Il
professore Salvatore Lanza di Palermo, nella sua nota sulla “osservazione
de’ naturali prodotti del San Basilio” contenuta nella sua “Guida del
Viaggiatore in Sicilia Palermo 1859” scrisse:Parecchie miglia
prima di Palagonia, sulla sinistra, si offre la collina diS. Basilio, dove
il sito offre delle doppie osservazioni a fare e per la storiaNaturale e per
l’Archeologia. Sotto il primo rapporto è importante notareche questo è uno
dei molti siti dei campi Flegrei siciliani, dove si osservail lavoro una
volta fatto dal fuoco, essendo chiaramente qui, come in altriluoghi, un vulcano
estinto. Vi si osserva la sovrapposizione intersecata distrati vulcanici e
calcarei che meritar devono l’attenzione del naturalista”.
Pillow lava, di
grandi dimensioni
Le piante fiorite
sono la Mandragora
In direzione a Sud
-Est, in una piccola valle incavata dalle piogge, inalzansi
a perpendicolo
delle piccole colonne di figura prismatica, le quali sembrano
una concrezione di
arena ocracea intermista a vulcaniche or già indurite
lave. Rischiarate
alquanto dal tremolo raggio del nostro satellite, tra le
svariate ombre che
gettan qua e là le rupi circostanti, sembrano una mano di
feroci che, ritti
in quella muta solitudine, stiano appiattati per la esecuzione
di un qualche
grave delitto”.
Quando vidi la valle con queste particolari formazioni geologiche, ricordo che ne rimasi affasciato e li chiamai “Santoni” vedendo in loro qualcosa che potesse prevedere il futuro nel loro attento e silenzioso aspetto di osservatori della realtà circostante. Mi trovavo in quel luogo per fare delle misurazioni topografiche e spero tanto che siano ancora presenti come a testimoniare un’antica civiltà e il susseguirsi di eventi antichissimi che sfuggono alla nostra memoria.
Sulla sinistra uno
dei “Santoni”
Il
prof. Giovanni Storiale del Dipartimento di Scienze geologiche dell’Università
di Catania fece degli interessanti
ricerche sulla storia geologica dell’edificio vulcanico di Colle San Basilio.
Sulla
base dei rilievi effettuati riuscì a ricostruire la genesi geologica dell’area
e delle variazioni che questa ha
provocato nella morfologia.
Distinte
ben cinque fasi di sviluppo:
Sulla base dei rilievi effettuati riuscì a ricostruire la genesi geologica dell’area e delle variazioni che questa ha provocato nella morfologia.
Distinte ben cinque fasi di sviluppo:
I
FASE: durante il Pleistocene inferiore (da 2,59 milioni d’anni fa a 781.000 +/-
5.000 anni fa) nella zona in cui si elevano Monte San Basilio e Monte
Serravalle, da più apparti vulcanici subacquei, che erano attivi
contemporaneamente o in momenti diversi, vennero emesse delle lave
basaltiche. Intorno ai centri
d’emissione, in funzione della distanza degli stessi edifici vulcanici, si
depositarono dei prodotti idroclastici.Le
ialoclastiti massive rappresentano la copertura in situ delle colate laviche
Mentre
le ialoclastiti stratificate sono le porzioni distali più fini. Questi
materiali si accumularono.Questi materiali si accumularono romando dei rilievi
subacquei con pendii poco inclinati.
........................
II
Fase
La
fine dell’attività di questi vulcani di Monte Serravalle e di Monte San Basilio fu segnata dal deposito di calcarenitici infrapleistoceniche. (La
calcarenite è un tipo di roccia sedimentaria clastica formata da particelle
calcaree delle dimensioni della sabbia (> 0,0625 mm, < 2 mm di diametro).
In merito al termine “clastico” ci si riferisce a quelle rocce sedimentarie che
si originano per l’accumulo di detriti di natura e dimensioni diverse,
cementati o sciolti).
Blocchi di
calcarenite nelle Cave di Cusa
Calcarenite marina
........................
II Fase
La fine dell’attività di questi vulcani di Monte Serravalle e di Monte San Basilio fu segnata dal deposito di calcarenitici infrapleistoceniche. (La calcarenite è un tipo di roccia sedimentaria clastica formata da particelle calcaree delle dimensioni della sabbia (> 0,0625 mm, < 2 mm di diametro). In merito al termine “clastico” ci si riferisce a quelle rocce sedimentarie che si originano per l’accumulo di detriti di natura e dimensioni diverse, cementati o sciolti).
Blocchi di
calcarenite nelle Cave di Cusa
Calcarenite marina
D Dopo le ultime emissione dei suddetti edifici vulcanici o forse contemporaneamente, ad oriente e in un ambiente sempre subacqueo ma caratterizzato da una bassa profondità, uno o più apparati eruttivi (probabilmente disposti in modo lineare) posti nella zona occupata da Graben di Castellana, fuoriuscirono delle lave che presentavano una composizione chimica alcalina. Queste lave si riversarono lungo un pendio subacqueo poco inclinato e che degradava verso settentrione. (Con il termine di Graben s’indica una fossa tettonica e cioè una parte di crosta terrestre sprofondata a causa di un sistema di faglie normali in regine tettonico distensivo.
Sistema tettonico
di tipo distensivo, a “horst e graben”.
i due margini
crostali, indicati dalle frecce, tendono ad allontanarsi
tra loro
determinando il collasso di alcune parti di crosta terrestre che
formano fosse o graben delimitati da faglie dirette.
È
probabile che in questa fase eruttiva sia avvenuta l’attivazione delle faglie
con direzione Est – Ovest che daranno origine successivamente a fuoriuscite di
magmi tholeitici in ambiente subaereo nella zona di Monte Serravalle.Questi
vulcani di castellana ebbero un attività
con periodi più o meno lunghi di stasi che furono evidenziati dalla presenza di
intercalazioni calcarinitici con livelli conglomeratici basali..................................III
Fasel’attivazione
di alcune faglie con direzione Nord – Sud provocò la formazione di un horst e
la ripresa dell’attività vulcanica collegata al sistema tettonico. Ci furono
degli esplosioni frato-magmatiche in ambiente marino di bassa profondità che
diedero origine a dei depositi idroclastici. Questi prodotti colmavano,
livellandole, le depressioni preesistenti determinando una morfologia
pianeggiante.La
presenza di tre distinte superfici a “ripples”, sulle quali poggiano lembi
discontinui di depositi di ghiaie e calcareniti, indica come le eruzioni
freato-magmatiche siano avvenute in almeno quattro distinti episodi che furono
intervallati di periodi di stasi durante la quale riprendeva la normale
deposizione sedimentaria in ambiente marino.(I
ripples sono i segni di increspatura sulle superficie rocciosa legate al
movimento dell’acqua avvenuta milioni d’anni fa nei sedimenti di acqua basse.
Le
ultime manifestazioni legate a queste eruzioni diedero luogo all’emissione di
colate sottomarine sommitali.Nel
settore orientale sulle calcareniti si sedimentarono delle argille azzurre che
sarebbero il risultato di una sedimentazione in acqua più profonde o protette
da particolari morfologie. In quest’area furono anche trovate tracce di
eruzioni avvenute durante il periodo di sedimentazione delle stesse argille
azzurre.
.................................IV
Fase
In
questa fase avvenne la completa emersione dell’area.
In
seguito nell’area di Monte Serravalle e a settentrione di Monte Casale di san
Basilio,, da alcune zone di debolezza tettonica con andamento Est – Ovest, si
verificarono delle emissioni di lave tholeitiche subaeree, che si sono
riversate, in dipendenza delle nuove condizioni morfologiche, verso
settentrione nella zona a Nord di Monte Casale di San Basilio e principalmente
verso meridione invece nella zona di Monte Serravalle.
Queste
emissioni erano collegate con l’attivazione di faglie presenti nella zona.
Nel
settore orientale di verificava
l’attivazione della Faglia di Castellana, che portava all’individuazione
di una zona depressa in cui iniziava l’accumulo di depositi alluvionali.
....................
V
Fase
Quest’ultima
fase fu legata ad un’evoluzione morfologica del territorio legata in prevalenza
all’attività di faglie orientate Est – Ovest e in subordine Nord – Sud che
contribuirono ad accentuare l’andamento
a horst ed a graben del rilevo.
III
Fasel’attivazione
di alcune faglie con direzione Nord – Sud provocò la formazione di un horst e
la ripresa dell’attività vulcanica collegata al sistema tettonico. Ci furono
degli esplosioni frato-magmatiche in ambiente marino di bassa profondità che
diedero origine a dei depositi idroclastici. Questi prodotti colmavano,
livellandole, le depressioni preesistenti determinando una morfologia
pianeggiante.La
presenza di tre distinte superfici a “ripples”, sulle quali poggiano lembi
discontinui di depositi di ghiaie e calcareniti, indica come le eruzioni
freato-magmatiche siano avvenute in almeno quattro distinti episodi che furono
intervallati di periodi di stasi durante la quale riprendeva la normale
deposizione sedimentaria in ambiente marino.(I
ripples sono i segni di increspatura sulle superficie rocciosa legate al
movimento dell’acqua avvenuta milioni d’anni fa nei sedimenti di acqua basse.
Le
ultime manifestazioni legate a queste eruzioni diedero luogo all’emissione di
colate sottomarine sommitali.Nel
settore orientale sulle calcareniti si sedimentarono delle argille azzurre che
sarebbero il risultato di una sedimentazione in acqua più profonde o protette
da particolari morfologie. In quest’area furono anche trovate tracce di
eruzioni avvenute durante il periodo di sedimentazione delle stesse argille
azzurre.
.................................IV
Fase
In
questa fase avvenne la completa emersione dell’area.
In
seguito nell’area di Monte Serravalle e a settentrione di Monte Casale di san
Basilio,, da alcune zone di debolezza tettonica con andamento Est – Ovest, si
verificarono delle emissioni di lave tholeitiche subaeree, che si sono
riversate, in dipendenza delle nuove condizioni morfologiche, verso
settentrione nella zona a Nord di Monte Casale di San Basilio e principalmente
verso meridione invece nella zona di Monte Serravalle.
Queste
emissioni erano collegate con l’attivazione di faglie presenti nella zona.
Nel
settore orientale di verificava
l’attivazione della Faglia di Castellana, che portava all’individuazione
di una zona depressa in cui iniziava l’accumulo di depositi alluvionali.
....................
V
Fase
Quest’ultima
fase fu legata ad un’evoluzione morfologica del territorio legata in prevalenza
all’attività di faglie orientate Est – Ovest e in subordine Nord – Sud che
contribuirono ad accentuare l’andamento
a horst ed a graben del rilevo.
IV
Fase
In
questa fase avvenne la completa emersione dell’area.
In
seguito nell’area di Monte Serravalle e a settentrione di Monte Casale di san
Basilio,, da alcune zone di debolezza tettonica con andamento Est – Ovest, si
verificarono delle emissioni di lave tholeitiche subaeree, che si sono
riversate, in dipendenza delle nuove condizioni morfologiche, verso
settentrione nella zona a Nord di Monte Casale di San Basilio e principalmente
verso meridione invece nella zona di Monte Serravalle.
Queste
emissioni erano collegate con l’attivazione di faglie presenti nella zona.
Nel
settore orientale di verificava
l’attivazione della Faglia di Castellana, che portava all’individuazione
di una zona depressa in cui iniziava l’accumulo di depositi alluvionali.
Quest’ultima fase fu legata ad un’evoluzione morfologica del territorio legata in prevalenza all’attività di faglie orientate Est – Ovest e in subordine Nord – Sud che contribuirono ad accentuare l’andamento a horst ed a graben del rilevo.
Il professore Curiale pubblicò nel 1999 una foto, scattata
dal versante settentrionale di Monte Serravalle, che riprendeva una cupola
esogena in contrada “Xirumi”. Un affioramento lavico che evidenziava una zona
cirolare dove gli alberi stentavano a crescere.
In
vulcanologia la cupola di lava è una protrusione circolare a forma di tumulo
risultante
dalla lenta estrusione di lava viscosa da
un vulcano. Generalmente sopno
comuni
nelle impostazioni di confine di pèlacche convergentio. Comunque sono
imprevedibili
a causa delle loro dinamiche che possono essere di crescita, collasso,
solidificazione
ed erosione. Le cupole crescono per crescita endogena della cupola o
crescita
esogena della cupola. il primo caso rigiarda l’ampliamento di una cupola di
lava
a
causa dell’afflusso di magna all’interno della cupola stessa mentre il secondo
caso, come quello di contrada Xirumu, si riferisce a lobi di lava (o porzioni
di lava) che si pongono sulla superficie della cupola
(sovrapposizione in superficie di successive colate laviche).
È l'elevata
viscosità della lava che le impedisce di fluire lontano dalla bocca da cui
fuoriesce, creando una forma a cupola di lava appiccicosa che poi si raffredda
lentamente in situ.
Il
De Mauro parlò anche di risorse idriche nel territorio citando come
Le vene d’acqua
che emergono alle basi e nel mezzo dell’elevazione
di quelle vecchie
lave, sono in genere dolci, morbide e cristalline.”
Lo
storico citò anche la presenza di un’acqua minerale che fuoriesce
Da due meandri
incavati nel tufo calcareo-terroso
e specifica che
per l’idrogeno
solfarato o dell’idrosolfuro che di essa fa parte,
positivamente
infastidisce le narici dell’osservatore”
La
sua posizione non è facile da identificare con precisione..
Per un doppio
scolo che a non molta distanza del prolungamento
adjacente alla
schiena vulcanico-calcarea che a guisa di muraglione
dal medio
dibassaento settentrionale estendesi ad oriente.
esce da due
vallette contigue, e da due meandri incavati nel tufo
calcareo-terroso..”
La
sua descrizione continuò affermando cheE pur degno di
nota quel che siegue
Nelle estremità di un gruppo di colline intersecate
da piccole
valee, e che per
la schiena di cui testè abbiam ripetuto il cenno,
è congiunto al
nostrop Casale, sotto un grosso deposito di tufo
calcareo vien
fuori a grossi gorgoglioni e con molto impeto
una copiosa acqua
sensibilmente tiepida in estate come in inverno.
È una verità che
le acque minerali nella loro primitiva azione riescono
eccitanti senza
eccezione alcuna, e che per un abuso istantaneo son
capaci di
disturbare, a seconda dei principj mineralizzatori in maggiore
o minor quantità
in esse contenuti, l’esercizio della economia animale,
o di produrre
delle passeggere affezioni cutanee in chiunque non ne
abbia giammai
fatto uso. Di fatti, queste affezioni producono le
acque che vengono
alla superficie non molto lungi dal
San Basilio, in
contrada della Sagona. Se alcun non avvezzo beve o ribeve
delle impetuose
bolle di un tal fluido, o che vi si bagni, viene ad
essere invaso da
una fastidiosa eruzione cutanea pruriginosa in forma
di orticaria,
durevole per un tre o un quattro giorni, o infine a tanto che
colui si abitui
all’uso dell’umore mineralizzato.
Per sempre nuovi e
ripetuti argomenti si è preteso e si pretende
provare che il
fuoco centrale che elevò le montagne, è pur causa
delle fonti
termali, delle esalazioni di gas carbonico (moffette) e di
vapori sulfurei”.
L’acqua
doveva uscire con una certa forza se costrinse il De Mauro a cercare di spiegarne
il fenomeno:
può darsi che ciò
avvenga per le correnti di gas acido
crenico o carbonico
e di gas idrogeno
che insieme al liquido incalzano per isprigionarsi de
sotterraneo meato;
e può darsi ancora per molto peso grado grado crescente del
liquido tendente
di continuo a livellarsi. Perciocchè non è improbabile il credere
che introducendosi
questo primieramente in un largo meandro, e passando in
seguito in
condotti men larghi che lo conducono fin dove la uscita non sia punto
proporzionata al
suo proprio volume, ne siegua che la forza dopo aver cresciuto
secondo il
declivio procedente forse dalle vicine alture del Casale, aumentata
d’altronde dalla
concomitanza de’ gas sopra cennati, sospinga esso liquido a
sgorgare con furia
e con violenza”.
L’Ingegnere
Don Carmelo Lanzarotti di Siracusa, vittima dei moti rivoluzionari contro i
Borboni del 1848, visitò il Colle San
Basilio nel 1822 probabilmente per un
indagine geologica per lo scavo di un pozzo.
Riferì
all’arciprete De Cristofaro:Reverendissimo, scorre
un gran fiume sotto questa vostra montagna.
Una
verità affermata dall’ingegnere dato che al tempo, nella vicina contrada
“Sagona” erano presenti ben 50 salme di risiere.L’arciprete
affermò che:facendo egli
eseguire nel dibassamento orientale del Casale alcuni incavamenti
per investigazione
d’acqua; dai minatori ch’eransi molto inoltrati
orizzontalmente in
quel terreno, udissi, da qualche screpolo forse o sottil
fessura che si si
ebbe a riempire tantosto per qualche ragione sconosciuta;
udissi un sordo
rumoreggiar d’acque che queglino dissero
“come un fiume che
scorre”.
Il De Mauro aggiunse come l’arciprete alla fine “con genio e coraggio” riuscì a captare o “a troncare almeno in parte” il corso del fiume sotterraneo in modo che con le sue acque riuscì a migliorare dal punto di vista agricolo i terreno sottostanti Sul pendio orientale del Colle era presente un’antica sorgente che fu utilizzata in epoca antica. Il De Mauro citò questa fonte per gli interventi eseguiti dall’arciprete su di essa:
Nel
1854 l’arciprete De Cristofaro fece intraprendere da “mano perita taluni incavi” per verificare la presenza o meno di una miniera
di zolfo.“A poca
distanza dal principio di un incavamento, trovaronsi cristallizazioni in
piccoliPrismi esagoni e
verticalmente modificati, traslucidi, di aspetto vitree, biancastri, ecc.Nessuno non
avrebbe potuto ravvisare in questo minerale il carbonato di stronziana. Il Carbonato di
stronziana è una polvere bianca che serve a fare delle fiamme di colore rosso).Perciocchè a
ragione il prelato anzidetto veniva assicurato da quello indagatore dellaesistenza dello
zolfo. Se non che da costui si disse di essere un po' difficile di giungere arinvenirsene
l’abbondante miniera in un terreno così duro e scabroso, e quellecristallizazioni
esser pertinenti ad una vena o ramificazione di essa”.Il
De Mauro riportò anche una confidenza del suo amico barone Sebastiano De
Cristofaro che gli rilevò comeAnni addietro da
un Salvatore Lucchese, non analfabeta, fu trovato alCasale uno strato
di arena dotata di un certo grado di pellucidità e di colorzecchino. Non
volle a nessuno manifestarne il sito.
Sognava il gonzo ditesaurizzare,
ritenendolo per un oro purissimo. Non possiamo giudicarne la origine e
composizione, né decidere se mai la colorazione fosse dipendente dalquatri-solfuro
cubico, o dal solfuro di ferro, o dalla pirite o idrosolfuro e solfuro di rame”.
Nei
dintorni di San Basilio furono trovati pezzi e frammenti di ossa di animali
terrestri fossilizzati.Nel
1837 si rinvennero Talusa ossa che si
credettero di elefante.Er l’or già
estinto valoroso medico prof. Digiacomo, in una suaRelazione
Accademica (Catania 1837) che nel 30 maggio di quello stesso annoleggeva alla
Gioienia di Scienze Naturali, scrisse:A Scordia, e
precisamente al Casale, si fu ritrovata una difesa di Elefante di 4 palmi
circa, rotta in pezzi, svolta dalla calce carbonata che a me inviò il nostro
socio corrispondente mio amico Dottor
Pugliese”.Il
De Mauro si recò sul luogo in cui fu trovato il fossile e riferì di aver notato la presenza di un detrito sabbioso ed
argilloso ma non di calce carbonata. Riferì
anche di aver notato la presenza di grandi mascelle e di tibie pietrificate. “Non sappiamo
se debbano riferirsi alla classe degli Elefanti, oppure aquella oggi
perduta, o abitante altri climi sconosciuti,de’ Mamouth,
confusi da molti con la precdente”.
16. STORIA
Lo
sviluppo di Brikinnia, posta sul Monte San Basilio, fu legato, a prescindere dalla
sua origine o meno sicula, agli avvenimenti che coinvolsero le colonie
calcidesi e doriche nel 476 a .C.
e che trovarono nell'antica Leontinoi l'elemento cardine degli avvenimenti
storici.Secondo
TucidideThoukles e gli
abitanti di Naxos calcidese, cinque anni dopo la fondazione diSiracusa fondarono
Leontinoi, dopo aver cacciato i Siculi con le armi”.La
fondazione della sub-colonia di Leontinoi si potrebbe fissare intorno al 729
a.C. La
prova degli avvenimenti narrati da Tucidide troverebbe conferma nel
ritrovamento di un insediamento indigeno risalente all’età del ferro nel sito
che fu successivamente occupato dalla città greca.La
più antica storia della città di Leontinoi
è ignota anche se si sa dell’esistenza
del tiranno Panatios, citato da Aristotele, e della fondazione di una
sub-colonia Eubea (nel 650 a.C. circa), forse da identificare con l’odierna
Licodia Eubea.(Siracusa
era stata fondata un anno dopo Naxos, nel 734/733, dal corinzio Archia della
stirpe degli Eraclidi... ) (Tucidide).È probabile che Brikinnia sia stata fondata dai
Calcidesi di Leontinoi ancora prima di Eubea. In ogni caso si trattava di due
presidi militari importanti per controllare il vasto entroterra, ricco e
fertile, che costeggia i Monti Iblei.
Sarebbe
importante sapere se i Calcidesi abbiano
trovato o meno sul colle di San Basilio i Siculi e se quest'ultimi siano stati
cacciati dalle loro residenze trogloditiche o se abbiano instaurato con i
colonizzatori dei rapporti di pacifica convivenza. Questo aspetto potrà essere
rilevato solo attraverso scavi archeologici mirati che dovrebbero riguardare
sia il pianoro sul colle che i territori vicini.
Nel
V secolo a.C. Leontinoi e Brikinnia rientrarono nel dominio del tiranno
Ippocrate di Gela (Ἱπποκράτης, Hippokrátes; Hippocrătes) secondo tiranno di Gela che governò dal 498/497 a.C. fino
alla morte avvenuta ad Ibla nel 490 a.C.
In
sette anni di potere Ippocrate riuscì a conquistare un vasto territorio che
comprendeva Callipoli, Nasso, Zancle e Leontinoi.
Nella
sua politica militare attaccò prima i centri minori per procurarsi dei bottini
fondi per sostenere la guerra.
E’
necessario ricordare che “Ghelas” fu fondata da coloni di Rodi e di Creta,
condotti rispettivamente da Antifemo ed Entimo, 45 anni dopo la fondazione di
Siracusa.
La
corinzia Siracusa riuscì a sfuggire alla servitù d’Ippocrate grazie ai soccorsi
di Corinto e Corcira (Isola di Corfù) ma negli eventi bellici dovette cedere
Camarina.
In
questa campagna militare Ippocrate diventò padrone della Sicilia orientale, con
l’esclusione di Siracusa e Gelone grazie
al suo valore militare dimostrato nel campo, fu nominato “Ipparco” cioè
comandante della cavalleria.
Sembra
che Ippocrate si sia servito di una milizia mercenaria composta da Greci e
Siculi. Le città conquistate venivano
saccheggiate per ottenere ricchezze che rimetteva in circolazione coniando
moneta. Una moneta necessaria non solo per pagare i mercenari ma anche per
l’intensa attività edilizia che coinvolgeva Gela e la madrepatria per
interventi edilizi nel santuario di Olimpia.
Per
pagare le truppe mercenarie Ippocrate adottò un sistema che venne adottato
anche da tiranni successivi. Istituì delle colonie militari da destinare ai soldati e che riguardavano la
concessione di vasti superfici di terreni coltivabili.
Il
tiranno di Gela non distrusse quindi le città conquistate. Furono infatti
affidate a tiranni vicari che dipendevano dal suo potere e che quindi avevano un’autonomia solo formale.
A Leoninoi mise il tiranno Enesidemo di Leontinoi, figlio di Pateco, che
comandava anche su Brikinnia.
Con
Gelone, I tiranno di Siracusa dal 485 a.C. fino alla sua morte avvenuta a
Siracusa nel 478 a.C., gran parte della Sicilia orientale era sotto il suo
domino fino a Naxos.
L’immagine
di Gelone nello scenario politico internazionale fu importante per vari motivi.
Aiutò
i Romani nel 491 a.C., secondo una notizia riportata da Dionigi di Alicarnasso,
quando il senato romano chiese aiuto all’esterno per il grano a causa di una
forte carestia. Gli ambasciatori romani P. Valerio e Lucio Geganio Macerino
passarono l’invero a Gela e poi ritornarono a Roma con ben 25.000 medimmi di
grano (circa 984 tonnellate di derrate alimentari).
Sembra
che Gelone non abbia preteso alcun corrispettivo economico e considerò quel
grano come una donazione (Plutarco).
Vincitore
con la quadriga ai giochi panellenici di Olimpia nel 488 a.C.; sconfisse i Cartaginesi
ad Himera e nelle seguenti trattative di pace entrò di scena la moglie Damarete
(la protettrice dell’infanzia nell’antichità); operò una
redistribuzione delle terre e delle ricchezze che avevano come obiettivo la perdita d’importanza della classe aristocratica
e del loro peso politico.
Alla
sua morte il potere passò al fratello Ierone o Gerone I , tiranno di Siracusa
dal 477 a.C. fino alla sua morte avvenuta ad Aitna nel 467/466 a.C.
Lo storico De Mauro trovò sul monte, così
come il Principe Biscari, delle monete che in ogni caso sarebbero da
considerare testimonianze archeologiche importanti per descrivere la storia del
sito con una certa attendibilità e riferibili ai periodi dei tiranni Gelone e
Ierone .
Nessuna
moneta riportava la scritta “BPIKINNIAƩ”.
Il De Mauro scrisse:
“le
più comuni e più facili a rinvenirsi son coniate in bronzo, col capo di Apollo
coronato di alloro e nel rovescio offrono il leone grandiente e la leggenda
AEONTINΩN
“Il
capo laureato accenna alle tradizioni della religione dei primi coloni greci,
che imponevano come nessun Ateniese si sarebbe sciolto dalla madre patria se
prima non avesse sacrificato ad Apollo Arcagete per consultarne gli oracoli: il
leone è invece un simbolo di Ercole e presente nelle monetazioni di Leontini”.Aggiunse...”moneta
coniata dopo il 478 a.C. tempo in cui fioriva il figliuolo di Leoprepe”.Chi
erano Leoprepe e il suo figliuolo ?Nel 556 a.C. a
Iulide, nell’isola di Ceo, arcipelago delle Cicladi, nacque Simonide, figlio di Leoprepe. Il
giovane iniziò la sua attività come maestro di cori per poi entrare nel
circolo della poesia aristocratica nell’Isola di Eubea.Isola di CeoSimonide fu poi
inviato ad Atene dal tiranno Ipparco. A corte incontrò
Anacreonte, anche
lui un esponente della poesia nobiliare. Alla morte del tiranno,
nel 514 a.C.
circa, ucciso da Armodio ed Aristogitone, Simonide celebrò l’evento come
la nascita di una
nuova epoca. Fu quindi chiamato in Tessaglia dalla grande dinastia degli
Scopadi di Crannon, di cui celebrò le vittorie con vari epinici cioè dei canti
corali di vittoria. Compose dei carmi nel genere della poesia gnomica
(si potrebbe accostare
al proverbio) e conviviale.
Il rapporto con la
forte dinastia s’interruppe quando la dimora degli Scopadi
crollò e dalla
strage si salvò il solo Simonide. Grazie alla sua abilità nella
mnemotecnica aiutò
successivamente a riconoscere i corpi ricordando i posti a cui erano
sdraiati durante
il banchetto. Nel 490, dopo la battaglia di Maratona, il poeta tornò ad
Atene e fu
preferito ad Eschilo per comporre l’elogio dei caduti alle Termopoli.
Celebrò in varie
elegie le grandi battaglie della prima guerra persiana e compose il
distico inciso sul
tripode che il re spartano Pausania offrì a Delfi per celebrare la
vittoria di
Platea. I rapporti tra Simonide e Temistocle erano molto forti e quando la
fortuna politica del giovane democratico di Atene cominciò a scemare, lasciò la
città e con Eschilo raggiunse la Sicilia. La presenza nell’isola di governi
tirannici favorì la pratica del mecenatismo in
un ambiente adatto alla personalità del poeta lirico.
Operò presso la
corte di Gerone I a Siracusa e di Terone ad Agrigento.
Alcuni citano che
sia morto ad Agrigento nel 455 mentre Callimaco riportò la
sua morte a
Siracusa nel 467 a.C. e sepolto fuori la città.
Un'altra figura di
rilievo nella Storia del Regno di Sicilia di cui molti
sconoscono
l’esistenza.
Statua
di un suonatore di lira.
Copia
romana del II secolo a.C. , da un originale in bronzo del V secolo a.C.
Alcuni
storici hanno identificato il suonatore con Simonide.
Artista:
Pitagora da Reggio
Altezza
della statua: 1,68 m – Collocazione: Museo del Louvre, Parigi
A Simonide si deve
l’invenzione della tecnica mnemonica che permette d’imprimere
i dati nella
memoria tramite la fissazione di alcuni punti di riferimento visivi.
Tale notizia
deriva da un aneddoto ambientato al tempo della permanenza di Simonide presso
il re tessalo Skopas. Il
re si rifiutò di pagare Simonide per un ode scritta su una vittoria perché
conteneva troppi
riferimenti decorativi ai mitici gemelli Castore e Polluce. Avrebbe
pagato la metà e
la parte restante “sarebbe spettata ai mitici gemelli”. Simonide stava
celebrando la
vittoria con il re i suoi familiari in un banchetto quando ricevette la
notizia che due giovani
lo stavano aspettando fuori per vederlo.
Simonide uscì
dalla stanza e non trovò i due giovani e si rese subito conto che la
sala del banchetto
stava crollando alle sue spalle. Scopas e molti suoi parenti
perirono sotto le
macerie. Chi erano i due giovani? Erano Castore e Polluce che avevano
voluto premiare
l’interesse del poeta per loro, salvandogli la vita. Simonide successivamente
fece derivare alla
tragedia, a cui aveva assistito, un sistema di mnemonici.
Ma questa non fu
la sua unica fuga miracolosa.
Ci sono due
epigrammi nell’”Antologia Palatina”, entrambi attribuiti a Simonide e dedicati
ad un annegato. Un
cadavere trovato da Simonide e da alcuni suoi compagni e
sepolto in un
isola. Nel primo epitaffio il defunto invoca benedizioni su coloro
che avevano
seppellito il suo corpo e il secondo, invece, è un ringraziamento del
poeta all’annegato
per avergli salvato la vita. Simonide era stato avvertito dal
fantasma di non
salpare dall’isola. Le voci non furono ascoltare e i suoi
compagni annegarono.
Dopo il crollo del palazzo del re Scopas, Simonide fu
chiamato per
identificare tutti i corpi recuperati. I corpi erano ridotti
in uno stato
pietoso e il poeta riuscì a completare il difficile e raccapricciante
incarico di
riconoscimento correlando “le loro identità alle loro posizioni al
tavolo prima della
sua partenza”.
In seguito creò da questa esperienza un
modello per
sviluppare il “teatro della memoria” o “palazzo della memoria”.
Un sistema
mnemonico ampiamente utilizzato nelle società orali fino a Rinascimento.
Cicerone riportò
un commento di Temistocle sull’invenzione del metodo da parte
dell’amico poeta:
"Preferisco
una tecnica dell'oblio, perché ricordo quello che preferirei non ricordare e
non posso dimenticare quello che preferirei dimenticare".
Simonide è ritenuto portatore di un'etica originale,
una visione disincanta dell'uomo e del suo operare nella comunità,
La
Virtù autentica risiede solo negli dei immortali e perfetti, l'uomo non può far
altro che imitare tali valori assoluti, e pertanto può accontentarsi di vivere
una vita felice e serena rispettando adeguatamente le leggi e le regole. Se è
un politico, governare adeguatamente portando benefici e prosperità alla
comunità, senza pensare all'assillante accumulo delle ricchezze, come avviene
negli arcaici elegiaci di Solone e di Teognide.
L'esempio di vera valenza può
essere dato da azioni eroiche durante la guerra, dato che Simonide nel
carme Per la battaglia di Platea così come nella Commemorazione
dei caduti alle Termopili, paragona la causa bellica greca alla guerra di
Troia, per valore e possenza, e per sacrificio di uomini. La valenza verrà
raggiunta mediante la gloria del sacrificio umano di un piccolo drappello di
Spartani, come l'esercito di Leonida alle Termopili nel 480 a.C., e il ricordo
futuro della comunità e la celebrazione con steli e monumenti ne renderà la
magnificenza eterna, senza occorrenza di gemiti e lamenti inutili, poiché il
sacrificio servì per permettere la continuità stessa della comunità non solo
spartana, ma della Grecia tutta.
Famoso il suo encomio per i morti della Battaglia
delle Termopili
«Dei
morti alle Termopili
gloriosa la sorte, bella la fine,
la tomba un'ara, invece di pianti, il ricordo, il compianto è lode.
Un tal sudario né ruggine
né il tempo mangiatutto oscurerà.
Questo sacello d'eroi valorosi come abitatrice la gloria
d'Ellade si prese. Ne fa fede anche Leonida,
il re di Sparta, che ha lasciato di virtù grande
ornamento e imperitura gloria.”
«τῶν
ἐν Θερμοπύλαις θανόντων
εὐκλεὴς μέν ἁ τύχα, καλός δ'ὁ πότμος,
βωμὸς δ'ὁ τάφος, πρὸ γόων δὲ μνᾶστις, ὁ δ'οἶκτος ἔπαινος·
ἐτάφιον δὲ τοιοῦτον οὔτ'εὐρὼς
οὔθ'ὁ πανδαμάτωρ ἀμαυρώσει χρόνος.
ἀνδρῶν ἀγαθῶν ὅδε σηκὸς οἰκέταν εὐδοξίαν
Ἑλλάδος εἵλετο· μαρτυρεῖ δὲ καὶ Λεωνίδας,
Σπάρτας βασιλεύς, ἀρετᾶς μέγαν λελοιπὼς
κόσμον ἀέναόν τε κλέος.”
Sarebbe
importante sapere se i Calcidesi abbiano
trovato o meno sul colle di San Basilio i Siculi e se quest'ultimi siano stati
cacciati dalle loro residenze trogloditiche o se abbiano instaurato con i
colonizzatori dei rapporti di pacifica convivenza. Questo aspetto potrà essere
rilevato solo attraverso scavi archeologici mirati che dovrebbero riguardare
sia il pianoro sul colle che i territori vicini.
Nel
V secolo a.C. Leontinoi e Brikinnia rientrarono nel dominio del tiranno
Ippocrate di Gela (Ἱπποκράτης, Hippokrátes; Hippocrătes) secondo tiranno di Gela che governò dal 498/497 a.C. fino
alla morte avvenuta ad Ibla nel 490 a.C.
In
sette anni di potere Ippocrate riuscì a conquistare un vasto territorio che
comprendeva Callipoli, Nasso, Zancle e Leontinoi.
Nella
sua politica militare attaccò prima i centri minori per procurarsi dei bottini
fondi per sostenere la guerra.
E’
necessario ricordare che “Ghelas” fu fondata da coloni di Rodi e di Creta,
condotti rispettivamente da Antifemo ed Entimo, 45 anni dopo la fondazione di
Siracusa.
La
corinzia Siracusa riuscì a sfuggire alla servitù d’Ippocrate grazie ai soccorsi
di Corinto e Corcira (Isola di Corfù) ma negli eventi bellici dovette cedere
Camarina.
In
questa campagna militare Ippocrate diventò padrone della Sicilia orientale, con
l’esclusione di Siracusa e Gelone grazie
al suo valore militare dimostrato nel campo, fu nominato “Ipparco” cioè
comandante della cavalleria.
Sembra
che Ippocrate si sia servito di una milizia mercenaria composta da Greci e
Siculi. Le città conquistate venivano
saccheggiate per ottenere ricchezze che rimetteva in circolazione coniando
moneta. Una moneta necessaria non solo per pagare i mercenari ma anche per
l’intensa attività edilizia che coinvolgeva Gela e la madrepatria per
interventi edilizi nel santuario di Olimpia.
Per
pagare le truppe mercenarie Ippocrate adottò un sistema che venne adottato
anche da tiranni successivi. Istituì delle colonie militari da destinare ai soldati e che riguardavano la
concessione di vasti superfici di terreni coltivabili.
Il
tiranno di Gela non distrusse quindi le città conquistate. Furono infatti
affidate a tiranni vicari che dipendevano dal suo potere e che quindi avevano un’autonomia solo formale.
A Leoninoi mise il tiranno Enesidemo di Leontinoi, figlio di Pateco, che
comandava anche su Brikinnia.
Con
Gelone, I tiranno di Siracusa dal 485 a.C. fino alla sua morte avvenuta a
Siracusa nel 478 a.C., gran parte della Sicilia orientale era sotto il suo
domino fino a Naxos.
L’immagine
di Gelone nello scenario politico internazionale fu importante per vari motivi.
Aiutò
i Romani nel 491 a.C., secondo una notizia riportata da Dionigi di Alicarnasso,
quando il senato romano chiese aiuto all’esterno per il grano a causa di una
forte carestia. Gli ambasciatori romani P. Valerio e Lucio Geganio Macerino
passarono l’invero a Gela e poi ritornarono a Roma con ben 25.000 medimmi di
grano (circa 984 tonnellate di derrate alimentari).
Sembra
che Gelone non abbia preteso alcun corrispettivo economico e considerò quel
grano come una donazione (Plutarco).
Vincitore
con la quadriga ai giochi panellenici di Olimpia nel 488 a.C.; sconfisse i Cartaginesi
ad Himera e nelle seguenti trattative di pace entrò di scena la moglie Damarete
(la protettrice dell’infanzia nell’antichità); operò una
redistribuzione delle terre e delle ricchezze che avevano come obiettivo la perdita d’importanza della classe aristocratica
e del loro peso politico.
Alla
sua morte il potere passò al fratello Ierone o Gerone I , tiranno di Siracusa
dal 477 a.C. fino alla sua morte avvenuta ad Aitna nel 467/466 a.C.
Lo storico De Mauro trovò sul monte, così
come il Principe Biscari, delle monete che in ogni caso sarebbero da
considerare testimonianze archeologiche importanti per descrivere la storia del
sito con una certa attendibilità e riferibili ai periodi dei tiranni Gelone e
Ierone .
Nessuna
moneta riportava la scritta “BPIKINNIAƩ”.
Il De Mauro scrisse:
“le
più comuni e più facili a rinvenirsi son coniate in bronzo, col capo di Apollo
coronato di alloro e nel rovescio offrono il leone grandiente e la leggenda
AEONTINΩN
“Il
capo laureato accenna alle tradizioni della religione dei primi coloni greci,
che imponevano come nessun Ateniese si sarebbe sciolto dalla madre patria se
prima non avesse sacrificato ad Apollo Arcagete per consultarne gli oracoli: il
leone è invece un simbolo di Ercole e presente nelle monetazioni di Leontini”.Aggiunse...”moneta
coniata dopo il 478 a.C. tempo in cui fioriva il figliuolo di Leoprepe”.Chi
erano Leoprepe e il suo figliuolo ?Nel 556 a.C. a
Iulide, nell’isola di Ceo, arcipelago delle Cicladi, nacque Simonide, figlio di Leoprepe. Il
giovane iniziò la sua attività come maestro di cori per poi entrare nel
circolo della poesia aristocratica nell’Isola di Eubea.Isola di CeoSimonide fu poi
inviato ad Atene dal tiranno Ipparco. A corte incontrò
Anacreonte, anche
lui un esponente della poesia nobiliare. Alla morte del tiranno,
nel 514 a.C.
circa, ucciso da Armodio ed Aristogitone, Simonide celebrò l’evento come
la nascita di una
nuova epoca. Fu quindi chiamato in Tessaglia dalla grande dinastia degli
Scopadi di Crannon, di cui celebrò le vittorie con vari epinici cioè dei canti
corali di vittoria. Compose dei carmi nel genere della poesia gnomica
(si potrebbe accostare
al proverbio) e conviviale.
Il rapporto con la
forte dinastia s’interruppe quando la dimora degli Scopadi
crollò e dalla
strage si salvò il solo Simonide. Grazie alla sua abilità nella
mnemotecnica aiutò
successivamente a riconoscere i corpi ricordando i posti a cui erano
sdraiati durante
il banchetto. Nel 490, dopo la battaglia di Maratona, il poeta tornò ad
Atene e fu
preferito ad Eschilo per comporre l’elogio dei caduti alle Termopoli.
Celebrò in varie
elegie le grandi battaglie della prima guerra persiana e compose il
distico inciso sul
tripode che il re spartano Pausania offrì a Delfi per celebrare la
vittoria di
Platea. I rapporti tra Simonide e Temistocle erano molto forti e quando la
fortuna politica del giovane democratico di Atene cominciò a scemare, lasciò la
città e con Eschilo raggiunse la Sicilia. La presenza nell’isola di governi
tirannici favorì la pratica del mecenatismo in
un ambiente adatto alla personalità del poeta lirico.
Operò presso la
corte di Gerone I a Siracusa e di Terone ad Agrigento.
Alcuni citano che
sia morto ad Agrigento nel 455 mentre Callimaco riportò la
sua morte a
Siracusa nel 467 a.C. e sepolto fuori la città.
Un'altra figura di
rilievo nella Storia del Regno di Sicilia di cui molti
sconoscono
l’esistenza.
Statua
di un suonatore di lira.
Copia
romana del II secolo a.C. , da un originale in bronzo del V secolo a.C.
Alcuni
storici hanno identificato il suonatore con Simonide.
Artista:
Pitagora da Reggio
Altezza
della statua: 1,68 m – Collocazione: Museo del Louvre, Parigi
A Simonide si deve
l’invenzione della tecnica mnemonica che permette d’imprimere
i dati nella
memoria tramite la fissazione di alcuni punti di riferimento visivi.
Tale notizia
deriva da un aneddoto ambientato al tempo della permanenza di Simonide presso
il re tessalo Skopas. Il
re si rifiutò di pagare Simonide per un ode scritta su una vittoria perché
conteneva troppi
riferimenti decorativi ai mitici gemelli Castore e Polluce. Avrebbe
pagato la metà e
la parte restante “sarebbe spettata ai mitici gemelli”. Simonide stava
celebrando la
vittoria con il re i suoi familiari in un banchetto quando ricevette la
notizia che due giovani
lo stavano aspettando fuori per vederlo.
Simonide uscì
dalla stanza e non trovò i due giovani e si rese subito conto che la
sala del banchetto
stava crollando alle sue spalle. Scopas e molti suoi parenti
perirono sotto le
macerie. Chi erano i due giovani? Erano Castore e Polluce che avevano
voluto premiare
l’interesse del poeta per loro, salvandogli la vita. Simonide successivamente
fece derivare alla
tragedia, a cui aveva assistito, un sistema di mnemonici.
Ma questa non fu
la sua unica fuga miracolosa.
Ci sono due
epigrammi nell’”Antologia Palatina”, entrambi attribuiti a Simonide e dedicati
ad un annegato. Un
cadavere trovato da Simonide e da alcuni suoi compagni e
sepolto in un
isola. Nel primo epitaffio il defunto invoca benedizioni su coloro
che avevano
seppellito il suo corpo e il secondo, invece, è un ringraziamento del
poeta all’annegato
per avergli salvato la vita. Simonide era stato avvertito dal
fantasma di non
salpare dall’isola. Le voci non furono ascoltare e i suoi
compagni annegarono.
Dopo il crollo del palazzo del re Scopas, Simonide fu
chiamato per
identificare tutti i corpi recuperati. I corpi erano ridotti
in uno stato
pietoso e il poeta riuscì a completare il difficile e raccapricciante
incarico di
riconoscimento correlando “le loro identità alle loro posizioni al
tavolo prima della
sua partenza”.
In seguito creò da questa esperienza un
modello per
sviluppare il “teatro della memoria” o “palazzo della memoria”.
Un sistema
mnemonico ampiamente utilizzato nelle società orali fino a Rinascimento.
Cicerone riportò
un commento di Temistocle sull’invenzione del metodo da parte
dell’amico poeta:
"Preferisco
una tecnica dell'oblio, perché ricordo quello che preferirei non ricordare e
non posso dimenticare quello che preferirei dimenticare".
Simonide è ritenuto portatore di un'etica originale,
una visione disincanta dell'uomo e del suo operare nella comunità,
La
Virtù autentica risiede solo negli dei immortali e perfetti, l'uomo non può far
altro che imitare tali valori assoluti, e pertanto può accontentarsi di vivere
una vita felice e serena rispettando adeguatamente le leggi e le regole. Se è
un politico, governare adeguatamente portando benefici e prosperità alla
comunità, senza pensare all'assillante accumulo delle ricchezze, come avviene
negli arcaici elegiaci di Solone e di Teognide.
L'esempio di vera valenza può
essere dato da azioni eroiche durante la guerra, dato che Simonide nel
carme Per la battaglia di Platea così come nella Commemorazione
dei caduti alle Termopili, paragona la causa bellica greca alla guerra di
Troia, per valore e possenza, e per sacrificio di uomini. La valenza verrà
raggiunta mediante la gloria del sacrificio umano di un piccolo drappello di
Spartani, come l'esercito di Leonida alle Termopili nel 480 a.C., e il ricordo
futuro della comunità e la celebrazione con steli e monumenti ne renderà la
magnificenza eterna, senza occorrenza di gemiti e lamenti inutili, poiché il
sacrificio servì per permettere la continuità stessa della comunità non solo
spartana, ma della Grecia tutta.
Famoso il suo encomio per i morti della Battaglia
delle Termopili
«Dei
morti alle Termopili
gloriosa la sorte, bella la fine,
la tomba un'ara, invece di pianti, il ricordo, il compianto è lode.
Un tal sudario né ruggine
né il tempo mangiatutto oscurerà.
Questo sacello d'eroi valorosi come abitatrice la gloria
d'Ellade si prese. Ne fa fede anche Leonida,
il re di Sparta, che ha lasciato di virtù grande
ornamento e imperitura gloria.”
«τῶν
ἐν Θερμοπύλαις θανόντων
εὐκλεὴς μέν ἁ τύχα, καλός δ'ὁ πότμος,
βωμὸς δ'ὁ τάφος, πρὸ γόων δὲ μνᾶστις, ὁ δ'οἶκτος ἔπαινος·
ἐτάφιον δὲ τοιοῦτον οὔτ'εὐρὼς
οὔθ'ὁ πανδαμάτωρ ἀμαυρώσει χρόνος.
ἀνδρῶν ἀγαθῶν ὅδε σηκὸς οἰκέταν εὐδοξίαν
Ἑλλάδος εἵλετο· μαρτυρεῖ δὲ καὶ Λεωνίδας,
Σπάρτας βασιλεύς, ἀρετᾶς μέγαν λελοιπὼς
κόσμον ἀέναόν τε κλέος.”
Simonide fu poi
inviato ad Atene dal tiranno Ipparco. A corte incontrò
Anacreonte, anche
lui un esponente della poesia nobiliare. Alla morte del tiranno,
nel 514 a.C.
circa, ucciso da Armodio ed Aristogitone, Simonide celebrò l’evento come
la nascita di una
nuova epoca. Fu quindi chiamato in Tessaglia dalla grande dinastia degli
Scopadi di Crannon, di cui celebrò le vittorie con vari epinici cioè dei canti
corali di vittoria. Compose dei carmi nel genere della poesia gnomica
(si potrebbe accostare
al proverbio) e conviviale.
Il rapporto con la
forte dinastia s’interruppe quando la dimora degli Scopadi
crollò e dalla
strage si salvò il solo Simonide. Grazie alla sua abilità nella
mnemotecnica aiutò
successivamente a riconoscere i corpi ricordando i posti a cui erano
sdraiati durante
il banchetto. Nel 490, dopo la battaglia di Maratona, il poeta tornò ad
Atene e fu
preferito ad Eschilo per comporre l’elogio dei caduti alle Termopoli.
Celebrò in varie
elegie le grandi battaglie della prima guerra persiana e compose il
distico inciso sul
tripode che il re spartano Pausania offrì a Delfi per celebrare la
vittoria di
Platea. I rapporti tra Simonide e Temistocle erano molto forti e quando la
fortuna politica del giovane democratico di Atene cominciò a scemare, lasciò la
città e con Eschilo raggiunse la Sicilia. La presenza nell’isola di governi
tirannici favorì la pratica del mecenatismo in
un ambiente adatto alla personalità del poeta lirico.
Operò presso la
corte di Gerone I a Siracusa e di Terone ad Agrigento.
Alcuni citano che
sia morto ad Agrigento nel 455 mentre Callimaco riportò la
sua morte a
Siracusa nel 467 a.C. e sepolto fuori la città.
Un'altra figura di
rilievo nella Storia del Regno di Sicilia di cui molti
sconoscono
l’esistenza.
Statua
di un suonatore di lira.
Copia
romana del II secolo a.C. , da un originale in bronzo del V secolo a.C.
Alcuni
storici hanno identificato il suonatore con Simonide.
Artista:
Pitagora da Reggio
Altezza
della statua: 1,68 m – Collocazione: Museo del Louvre, Parigi
A Simonide si deve
l’invenzione della tecnica mnemonica che permette d’imprimere
i dati nella
memoria tramite la fissazione di alcuni punti di riferimento visivi.
Tale notizia
deriva da un aneddoto ambientato al tempo della permanenza di Simonide presso
il re tessalo Skopas. Il
re si rifiutò di pagare Simonide per un ode scritta su una vittoria perché
conteneva troppi
riferimenti decorativi ai mitici gemelli Castore e Polluce. Avrebbe
pagato la metà e
la parte restante “sarebbe spettata ai mitici gemelli”. Simonide stava
celebrando la
vittoria con il re i suoi familiari in un banchetto quando ricevette la
notizia che due giovani
lo stavano aspettando fuori per vederlo.
Simonide uscì
dalla stanza e non trovò i due giovani e si rese subito conto che la
sala del banchetto
stava crollando alle sue spalle. Scopas e molti suoi parenti
perirono sotto le
macerie. Chi erano i due giovani? Erano Castore e Polluce che avevano
voluto premiare
l’interesse del poeta per loro, salvandogli la vita. Simonide successivamente
fece derivare alla
tragedia, a cui aveva assistito, un sistema di mnemonici.
Ma questa non fu
la sua unica fuga miracolosa.
Ci sono due
epigrammi nell’”Antologia Palatina”, entrambi attribuiti a Simonide e dedicati
ad un annegato. Un
cadavere trovato da Simonide e da alcuni suoi compagni e
sepolto in un
isola. Nel primo epitaffio il defunto invoca benedizioni su coloro
che avevano
seppellito il suo corpo e il secondo, invece, è un ringraziamento del
poeta all’annegato
per avergli salvato la vita. Simonide era stato avvertito dal
fantasma di non
salpare dall’isola. Le voci non furono ascoltare e i suoi
compagni annegarono.
Dopo il crollo del palazzo del re Scopas, Simonide fu
chiamato per
identificare tutti i corpi recuperati. I corpi erano ridotti
in uno stato
pietoso e il poeta riuscì a completare il difficile e raccapricciante
incarico di
riconoscimento correlando “le loro identità alle loro posizioni al
tavolo prima della
sua partenza”.
In seguito creò da questa esperienza un
modello per
sviluppare il “teatro della memoria” o “palazzo della memoria”.
Un sistema
mnemonico ampiamente utilizzato nelle società orali fino a Rinascimento.
Cicerone riportò
un commento di Temistocle sull’invenzione del metodo da parte
dell’amico poeta:
"Preferisco
una tecnica dell'oblio, perché ricordo quello che preferirei non ricordare e
non posso dimenticare quello che preferirei dimenticare".
Simonide è ritenuto portatore di un'etica originale,
una visione disincanta dell'uomo e del suo operare nella comunità,
La
Virtù autentica risiede solo negli dei immortali e perfetti, l'uomo non può far
altro che imitare tali valori assoluti, e pertanto può accontentarsi di vivere
una vita felice e serena rispettando adeguatamente le leggi e le regole. Se è
un politico, governare adeguatamente portando benefici e prosperità alla
comunità, senza pensare all'assillante accumulo delle ricchezze, come avviene
negli arcaici elegiaci di Solone e di Teognide.
L'esempio di vera valenza può
essere dato da azioni eroiche durante la guerra, dato che Simonide nel
carme Per la battaglia di Platea così come nella Commemorazione
dei caduti alle Termopili, paragona la causa bellica greca alla guerra di
Troia, per valore e possenza, e per sacrificio di uomini. La valenza verrà
raggiunta mediante la gloria del sacrificio umano di un piccolo drappello di
Spartani, come l'esercito di Leonida alle Termopili nel 480 a.C., e il ricordo
futuro della comunità e la celebrazione con steli e monumenti ne renderà la
magnificenza eterna, senza occorrenza di gemiti e lamenti inutili, poiché il
sacrificio servì per permettere la continuità stessa della comunità non solo
spartana, ma della Grecia tutta.
Famoso il suo encomio per i morti della Battaglia
delle Termopili
«Dei
morti alle Termopili
gloriosa la sorte, bella la fine,
la tomba un'ara, invece di pianti, il ricordo, il compianto è lode.
Un tal sudario né ruggine
né il tempo mangiatutto oscurerà.
Questo sacello d'eroi valorosi come abitatrice la gloria
d'Ellade si prese. Ne fa fede anche Leonida,
il re di Sparta, che ha lasciato di virtù grande
ornamento e imperitura gloria.”
«τῶν
ἐν Θερμοπύλαις θανόντων
εὐκλεὴς μέν ἁ τύχα, καλός δ'ὁ πότμος,
βωμὸς δ'ὁ τάφος, πρὸ γόων δὲ μνᾶστις, ὁ δ'οἶκτος ἔπαινος·
ἐτάφιον δὲ τοιοῦτον οὔτ'εὐρὼς
οὔθ'ὁ πανδαμάτωρ ἀμαυρώσει χρόνος.
ἀνδρῶν ἀγαθῶν ὅδε σηκὸς οἰκέταν εὐδοξίαν
Ἑλλάδος εἵλετο· μαρτυρεῖ δὲ καὶ Λεωνίδας,
Σπάρτας βασιλεύς, ἀρετᾶς μέγαν λελοιπὼς
κόσμον ἀέναόν τε κλέος.”
Pompei “Casa del Poeta tragico”
Simonide in primo piano
..........................
Di
Gelone (Tiranno di Siracusa dal 485 a.C. fino alla sua morte avvenuta
nel 478 a.C.) il De Mauro scrisse che “ne esiste presso di me una d’argento”.
L’autore
si soffermò sull’aspetto artistico della moneta mettendo in risalto la figura
di Gelone:
la
testa diademata di quel buon principe offre tutti i caratteri fisionomici
dell’uomo che nel suobel volto lascia trapelare la luce di un animo grande e
generoso, alieno da qualunque vano forsennato fastigio, una bontà naturale
scolpita nelle sue labbra chiuse con grazia; e nella dolcezza del suo sguardo
di pace, quella fermezza e lealtà nelle promesse che tanto il distinse.Nel
rovescio ha la biga retta dalla Vittoria; sul capo di questa la leggenda ƩYPAKOƩION e sottoi piedi dei cavalli
IEAΩNOƩ
Di Gelone (Tiranno di Siracusa dal 485 a.C. fino alla sua morte avvenuta nel 478 a.C.) il De Mauro scrisse che “ne esiste presso di me una d’argento”.
L’autore
si soffermò sull’aspetto artistico della moneta mettendo in risalto la figura
di Gelone:
la
testa diademata di quel buon principe offre tutti i caratteri fisionomici
dell’uomo che nel suobel volto lascia trapelare la luce di un animo grande e
generoso, alieno da qualunque vano forsennato fastigio, una bontà naturale
scolpita nelle sue labbra chiuse con grazia; e nella dolcezza del suo sguardo
di pace, quella fermezza e lealtà nelle promesse che tanto il distinse.Nel
rovescio ha la biga retta dalla Vittoria; sul capo di questa la leggenda ƩYPAKOƩION e sottoi piedi dei cavalli
IEAΩNOƩ
Le
monete del fratello Gerone I (Ierone) (in carica dal 478 a.C. al 466 a.C.) sono pure “diademate, il
mento carnoso e rientrato disvela la propria debolezza di spirito; la bocca
fortemente chiusa, la sua violenza crudeltà, avarizia; e lo assieme delle parti
fisionomiche, composte ad una tal quale aria di ostentata disinvoltura,
annunzia quella vanità che fu sostenuta dalla adulazione de’ poeti che
alimentava nella sua corte, quando dissimulando le violenze onde egli si contaminò, non rifinivan di esaltarlo
come generoso e giustissimo, amico della poesia e della musica.
Le
monete del fratello Gerone I (Ierone) (in carica dal 478 a.C. al 466 a.C.) sono pure “diademate, il
mento carnoso e rientrato disvela la propria debolezza di spirito; la bocca
fortemente chiusa, la sua violenza crudeltà, avarizia; e lo assieme delle parti
fisionomiche, composte ad una tal quale aria di ostentata disinvoltura,
annunzia quella vanità che fu sostenuta dalla adulazione de’ poeti che
alimentava nella sua corte, quando dissimulando le violenze onde egli si contaminò, non rifinivan di esaltarlo
come generoso e giustissimo, amico della poesia e della musica.
Le
monete del fratello Gerone I (Ierone) (in carica dal 478 a.C. al 466 a.C.) sono pure “diademate, il
mento carnoso e rientrato disvela la propria debolezza di spirito; la bocca
fortemente chiusa, la sua violenza crudeltà, avarizia; e lo assieme delle parti
fisionomiche, composte ad una tal quale aria di ostentata disinvoltura,
annunzia quella vanità che fu sostenuta dalla adulazione de’ poeti che
alimentava nella sua corte, quando dissimulando le violenze onde egli si contaminò, non rifinivan di esaltarlo
come generoso e giustissimo, amico della poesia e della musica.
La
testa del cavaliero è coverta d’elmo, il petto di corazza: colla destra impugna
lunga asta, la clamide gli sventola sulle spalle e mostra di andare alla pugna.Sotto
la leggenda..IEPΩNOƩ
La
testa del cavaliero è coverta d’elmo, il petto di corazza: colla destra impugna
lunga asta, la clamide gli sventola sulle spalle e mostra di andare alla pugna.Sotto
la leggenda..IEPΩNOƩ
La
testa del cavaliero è coverta d’elmo, il petto di corazza: colla destra impugna
lunga asta, la clamide gli sventola sulle spalle e mostra di andare alla pugna.Sotto
la leggenda..IEPΩNOƩ
Sia
le monete di Gelone che quelle del fratello Gerone I (o Ierone I) furono
coniate successivamente al dominio dei due tiranni ?. Dagli studiosi
Spanhemio e Eckhel furono assegnate all’epoca “dell’orgoglioso e vano tiranno”
Geronimo (basileus di Siracusa dal 215 al 214 a.C., per appena 13 mesi) mentre
l’abate F. Ferrara le collocò al tempo di Gerone II (“uomo di singolare
modestia che giammai volle usar alcuna insegna regia che lo distinguesse dagli
altri cittadini”). Secondo
gli studiosi l’assegnazione cronologica sarebbe legata alla nitidezza del
disegno, alla vaghezza dei contorni, alla pienezza delle figure, all’esatta
esecuzione del conio, alla sostituzione della omega alla omicron e il diadema
che non fu usato sia da Gelone che dal fratello Gerone I.. Tutti caratteri
propri di quel secolo che fu definito dagli storici come un “luminoso artistico
periodo”.
Sia le monete di Gelone che quelle del fratello Gerone I (o Ierone I) furono coniate successivamente al dominio dei due tiranni ?. Dagli studiosi Spanhemio e Eckhel furono assegnate all’epoca “dell’orgoglioso e vano tiranno” Geronimo (basileus di Siracusa dal 215 al 214 a.C., per appena 13 mesi) mentre l’abate F. Ferrara le collocò al tempo di Gerone II (“uomo di singolare modestia che giammai volle usar alcuna insegna regia che lo distinguesse dagli altri cittadini”). Secondo gli studiosi l’assegnazione cronologica sarebbe legata alla nitidezza del disegno, alla vaghezza dei contorni, alla pienezza delle figure, all’esatta esecuzione del conio, alla sostituzione della omega alla omicron e il diadema che non fu usato sia da Gelone che dal fratello Gerone I.. Tutti caratteri propri di quel secolo che fu definito dagli storici come un “luminoso artistico periodo”.
.........................
.........................
A
Leontini e Brikinnia , intorno al 476
a.C.. Ierone deportò nei due centri gli
abitanti di Naxos (Nasso) e di Katana.Si
tratta di un intenso programma di redistribuzione demografica che venne
attestato da Diodoro Siculo:«Ierone, dopo aver
cacciato dalle loro città i Nassii e i Catanesi, vi inviò propri coloni,
raccolti cinquemila dal Peloponneso e altrettanti da Siracusa. Catania la
ribattezzò in Áitna e assegnò in lotti non solo il suo territorio, ma anche
molto di quello limitrofo [...] sia perché voleva disporre [...] di una forza
di intervento pronta e numerosa, sia perché mirava a ottenere onori eroici da
una città di diecimila abitanti. Trasferì poi in Lentini i Nassii e i Catanesi
scacciati dalle loro città, obbligandoli a coabitare con gli indigeni”. Un
operazione che fu favorita da una forte eruzione dell’Etna che venne citata
anche da Pindaro ed Eschilo.L’eruzione
sarebbe legata a Monte Arso nel territorio di Ragalna.
A
Leontini e Brikinnia , intorno al 476
a.C.. Ierone deportò nei due centri gli
abitanti di Naxos (Nasso) e di Katana.Si
tratta di un intenso programma di redistribuzione demografica che venne
attestato da Diodoro Siculo:«Ierone, dopo aver
cacciato dalle loro città i Nassii e i Catanesi, vi inviò propri coloni,
raccolti cinquemila dal Peloponneso e altrettanti da Siracusa. Catania la
ribattezzò in Áitna e assegnò in lotti non solo il suo territorio, ma anche
molto di quello limitrofo [...] sia perché voleva disporre [...] di una forza
di intervento pronta e numerosa, sia perché mirava a ottenere onori eroici da
una città di diecimila abitanti. Trasferì poi in Lentini i Nassii e i Catanesi
scacciati dalle loro città, obbligandoli a coabitare con gli indigeni”. Un
operazione che fu favorita da una forte eruzione dell’Etna che venne citata
anche da Pindaro ed Eschilo.L’eruzione
sarebbe legata a Monte Arso nel territorio di Ragalna.
A
Leontini e Brikinnia , intorno al 476
a.C.. Ierone deportò nei due centri gli
abitanti di Naxos (Nasso) e di Katana.Si
tratta di un intenso programma di redistribuzione demografica che venne
attestato da Diodoro Siculo:«Ierone, dopo aver
cacciato dalle loro città i Nassii e i Catanesi, vi inviò propri coloni,
raccolti cinquemila dal Peloponneso e altrettanti da Siracusa. Catania la
ribattezzò in Áitna e assegnò in lotti non solo il suo territorio, ma anche
molto di quello limitrofo [...] sia perché voleva disporre [...] di una forza
di intervento pronta e numerosa, sia perché mirava a ottenere onori eroici da
una città di diecimila abitanti. Trasferì poi in Lentini i Nassii e i Catanesi
scacciati dalle loro città, obbligandoli a coabitare con gli indigeni”. Un
operazione che fu favorita da una forte eruzione dell’Etna che venne citata
anche da Pindaro ed Eschilo.L’eruzione
sarebbe legata a Monte Arso nel territorio di Ragalna.
Il
ripopolamento definisce tre centri del dominio del regno di Gerone:
a.
La
capitale Siracusa;
b.
Leontini
dove i calcidesi erano attentamente controllati dato che vi risiedano anche dei
mercenari
c.
Aitna,
sarebbe l’antica Katane ribattezzata e dove risiedano dei mercenari.
Gerone morì nel 466 a.C. .. lapidato non si sa da
chi...
Il
ripopolamento definisce tre centri del dominio del regno di Gerone:
a.
La
capitale Siracusa;
b.
Leontini
dove i calcidesi erano attentamente controllati dato che vi risiedano anche dei
mercenari
c.
Aitna,
sarebbe l’antica Katane ribattezzata e dove risiedano dei mercenari.
Gerone morì nel 466 a.C. .. lapidato non si sa da
chi...
Il
ripopolamento definisce tre centri del dominio del regno di Gerone:
a.
La
capitale Siracusa;
b.
Leontini
dove i calcidesi erano attentamente controllati dato che vi risiedano anche dei
mercenari
c.
Aitna,
sarebbe l’antica Katane ribattezzata e dove risiedano dei mercenari.
Gerone morì nel 466 a.C. .. lapidato non si sa da
chi...
La sua statua che era stata scolpita in suo onore,
cadde nel giorno in cui morì. Si tramanda come venne sepolto in Aitna ma la
città non sopravvisse a lungo. Dopo la morte di Gerone i calcidesi tornarono e
cacciarono i coloni di Aitna che si rifugiarono ad Inessa. Ad Aitna venne di conseguenza restituito
l’antico ed originario nome di Katane mentre Inessa venne ribattezza “Aitna”.
Il monumento funebre che era stato dedicato a Gerone venne distrutto.
Non bisogna dimenticare che alla corte di Gerone
trovarono grande ospitalità Eschilo, Pindaro, Simonice, ecc.....
Trasibulo, fratello di Gerone, fu l’ultimo tiranno della
stirpe dei Dinomenidi. E rimase al potere per circa tredici mesi.
Un
avvenimento importante perché fu sempre commemorato con grandiosi
festeggiamenti annuali in onore di Zeus Eleuterio, il cui profilo appare nelle
monete del periodo.
Era
l’anno 465 a.C.
Festeggiamenti
per la riconquista della libertà democratica che avvenivano nell’Ara di Ierone
(Gerone ).
La sua statua che era stata scolpita in suo onore,
cadde nel giorno in cui morì. Si tramanda come venne sepolto in Aitna ma la
città non sopravvisse a lungo. Dopo la morte di Gerone i calcidesi tornarono e
cacciarono i coloni di Aitna che si rifugiarono ad Inessa. Ad Aitna venne di conseguenza restituito
l’antico ed originario nome di Katane mentre Inessa venne ribattezza “Aitna”.
Il monumento funebre che era stato dedicato a Gerone venne distrutto.
Non bisogna dimenticare che alla corte di Gerone
trovarono grande ospitalità Eschilo, Pindaro, Simonice, ecc.....
Trasibulo, fratello di Gerone, fu l’ultimo tiranno della
stirpe dei Dinomenidi. E rimase al potere per circa tredici mesi.
Un
avvenimento importante perché fu sempre commemorato con grandiosi
festeggiamenti annuali in onore di Zeus Eleuterio, il cui profilo appare nelle
monete del periodo.
Era
l’anno 465 a.C.
Festeggiamenti
per la riconquista della libertà democratica che avvenivano nell’Ara di Ierone
(Gerone ).
La sua statua che era stata scolpita in suo onore,
cadde nel giorno in cui morì. Si tramanda come venne sepolto in Aitna ma la
città non sopravvisse a lungo. Dopo la morte di Gerone i calcidesi tornarono e
cacciarono i coloni di Aitna che si rifugiarono ad Inessa. Ad Aitna venne di conseguenza restituito
l’antico ed originario nome di Katane mentre Inessa venne ribattezza “Aitna”.
Il monumento funebre che era stato dedicato a Gerone venne distrutto.
Non bisogna dimenticare che alla corte di Gerone
trovarono grande ospitalità Eschilo, Pindaro, Simonice, ecc.....
Trasibulo, fratello di Gerone, fu l’ultimo tiranno della
stirpe dei Dinomenidi. E rimase al potere per circa tredici mesi.
Un
avvenimento importante perché fu sempre commemorato con grandiosi
festeggiamenti annuali in onore di Zeus Eleuterio, il cui profilo appare nelle
monete del periodo.
Era
l’anno 465 a.C.
Festeggiamenti
per la riconquista della libertà democratica che avvenivano nell’Ara di Ierone
(Gerone ).
Non bisogna dimenticare che alla corte di Gerone trovarono grande ospitalità Eschilo, Pindaro, Simonice, ecc.....
Trasibulo, fratello di Gerone, fu l’ultimo tiranno della stirpe dei Dinomenidi. E rimase al potere per circa tredici mesi.
Un avvenimento importante perché fu sempre commemorato con grandiosi festeggiamenti annuali in onore di Zeus Eleuterio, il cui profilo appare nelle monete del periodo.
Era l’anno 465 a.C.
Festeggiamenti per la riconquista della libertà democratica che avvenivano nell’Ara di Ierone (Gerone ).
Non oggi per la
prima volta, ma da sempre li conosco, costoro che con simili discorsi o altri
ancora più dannosi e con i fatti vogliono spaventare voi, il popolo, per aver
loro il comando della città. E certo temo che dopo molti tentativi possano
riuscirci
(Dal discorso
del democratico Atenagora di Siracusa)
Non oggi per la
prima volta, ma da sempre li conosco, costoro che con simili discorsi o altri
ancora più dannosi e con i fatti vogliono spaventare voi, il popolo, per aver
loro il comando della città. E certo temo che dopo molti tentativi possano
riuscirci
(Dal discorso
del democratico Atenagora di Siracusa)
Non oggi per la
prima volta, ma da sempre li conosco, costoro che con simili discorsi o altri
ancora più dannosi e con i fatti vogliono spaventare voi, il popolo, per aver
loro il comando della città. E certo temo che dopo molti tentativi possano
riuscirci
(Dal discorso
del democratico Atenagora di Siracusa)
Non oggi per la
prima volta, ma da sempre li conosco, costoro che con simili discorsi o altri
ancora più dannosi e con i fatti vogliono spaventare voi, il popolo, per aver
loro il comando della città. E certo temo che dopo molti tentativi possano
riuscirci
(Dal discorso
del democratico Atenagora di Siracusa)
Fu
un periodo caratterizzato da molti eventi: la rivolta dei Siculi capeggiati da
Ducezio; la spedizione ateniese in Sicilia, il ritorno dell’insidia cartaginese.
Parlare
di democrazia, un termine di cui ancora oggi forse non comprendiamo il
significato, è piuttosto azzardato.
In
merito le parole di Aristotele furono molto chiare dato che parlò di “reggimento
politico” cioè di una “politheia”..”un “sistema che comprendeva
l’oligarchia e la democrazia”.
Un
governo “democratico” che era presente ad Atene con Pericle e che si era
diffuso si Sicilia.
L’intenzione
dei Siracusani era quella di abbandonare la politica militare e di egemonia
degli anni precedenti per raggiungere i seguenti obiettivi: uguaglianza, pace,
fraternità fra i siciliani. Belle
parole.... ma solo parole come avviene nei nostri giorni,,, dove fra il dire e
il fare c’è di mezzo il mare......
Eppure
qualcosa non andò per il verso giusto in quegli anni perché i Siracusani ben
presto si trovarono ad affrontare un gravissimo problema rappresentato da una forte
coalizione Siculo – Sicana - Elima che
aveva come obiettivo la messa in atto di un freno alla politica siracusana che
era diventata troppo espansionistica.
I
conflitti erano anche interni e in particolare con la colonia calcidese di Leontinoi.
Per
liberarsi dalla dominazione siracusana, la città di Leontinoi promosse una lega
di città calcidesi chiedendo anche l'aiuto di Atene.
Questa
alleanza, rinnovata nel 433, sarà all'origine dell'intervento ateniese in
Sicilia.
Per
convincere Atene ad un suo intervento militare, i Leontini mandarono ad Atene
il celebre Gorgia, il più grande retore del tempo, fondatore della prima
sofistica.
Fu
un periodo caratterizzato da molti eventi: la rivolta dei Siculi capeggiati da
Ducezio; la spedizione ateniese in Sicilia, il ritorno dell’insidia cartaginese.
Parlare
di democrazia, un termine di cui ancora oggi forse non comprendiamo il
significato, è piuttosto azzardato.
In
merito le parole di Aristotele furono molto chiare dato che parlò di “reggimento
politico” cioè di una “politheia”..”un “sistema che comprendeva
l’oligarchia e la democrazia”.
Un
governo “democratico” che era presente ad Atene con Pericle e che si era
diffuso si Sicilia.
L’intenzione
dei Siracusani era quella di abbandonare la politica militare e di egemonia
degli anni precedenti per raggiungere i seguenti obiettivi: uguaglianza, pace,
fraternità fra i siciliani. Belle
parole.... ma solo parole come avviene nei nostri giorni,,, dove fra il dire e
il fare c’è di mezzo il mare......
Eppure
qualcosa non andò per il verso giusto in quegli anni perché i Siracusani ben
presto si trovarono ad affrontare un gravissimo problema rappresentato da una forte
coalizione Siculo – Sicana - Elima che
aveva come obiettivo la messa in atto di un freno alla politica siracusana che
era diventata troppo espansionistica.
I
conflitti erano anche interni e in particolare con la colonia calcidese di Leontinoi.
Per
liberarsi dalla dominazione siracusana, la città di Leontinoi promosse una lega
di città calcidesi chiedendo anche l'aiuto di Atene.
Questa
alleanza, rinnovata nel 433, sarà all'origine dell'intervento ateniese in
Sicilia.
Per
convincere Atene ad un suo intervento militare, i Leontini mandarono ad Atene
il celebre Gorgia, il più grande retore del tempo, fondatore della prima
sofistica.
Fu
un periodo caratterizzato da molti eventi: la rivolta dei Siculi capeggiati da
Ducezio; la spedizione ateniese in Sicilia, il ritorno dell’insidia cartaginese.
Parlare
di democrazia, un termine di cui ancora oggi forse non comprendiamo il
significato, è piuttosto azzardato.
In
merito le parole di Aristotele furono molto chiare dato che parlò di “reggimento
politico” cioè di una “politheia”..”un “sistema che comprendeva
l’oligarchia e la democrazia”.
Un
governo “democratico” che era presente ad Atene con Pericle e che si era
diffuso si Sicilia.
L’intenzione
dei Siracusani era quella di abbandonare la politica militare e di egemonia
degli anni precedenti per raggiungere i seguenti obiettivi: uguaglianza, pace,
fraternità fra i siciliani. Belle
parole.... ma solo parole come avviene nei nostri giorni,,, dove fra il dire e
il fare c’è di mezzo il mare......
Eppure
qualcosa non andò per il verso giusto in quegli anni perché i Siracusani ben
presto si trovarono ad affrontare un gravissimo problema rappresentato da una forte
coalizione Siculo – Sicana - Elima che
aveva come obiettivo la messa in atto di un freno alla politica siracusana che
era diventata troppo espansionistica.
I
conflitti erano anche interni e in particolare con la colonia calcidese di Leontinoi.
Per
liberarsi dalla dominazione siracusana, la città di Leontinoi promosse una lega
di città calcidesi chiedendo anche l'aiuto di Atene.
Questa
alleanza, rinnovata nel 433, sarà all'origine dell'intervento ateniese in
Sicilia.
Per
convincere Atene ad un suo intervento militare, i Leontini mandarono ad Atene
il celebre Gorgia, il più grande retore del tempo, fondatore della prima
sofistica.
Fu
un periodo caratterizzato da molti eventi: la rivolta dei Siculi capeggiati da
Ducezio; la spedizione ateniese in Sicilia, il ritorno dell’insidia cartaginese.
Parlare
di democrazia, un termine di cui ancora oggi forse non comprendiamo il
significato, è piuttosto azzardato.
In
merito le parole di Aristotele furono molto chiare dato che parlò di “reggimento
politico” cioè di una “politheia”..”un “sistema che comprendeva
l’oligarchia e la democrazia”.
Un
governo “democratico” che era presente ad Atene con Pericle e che si era
diffuso si Sicilia.
L’intenzione
dei Siracusani era quella di abbandonare la politica militare e di egemonia
degli anni precedenti per raggiungere i seguenti obiettivi: uguaglianza, pace,
fraternità fra i siciliani. Belle
parole.... ma solo parole come avviene nei nostri giorni,,, dove fra il dire e
il fare c’è di mezzo il mare......
Eppure
qualcosa non andò per il verso giusto in quegli anni perché i Siracusani ben
presto si trovarono ad affrontare un gravissimo problema rappresentato da una forte
coalizione Siculo – Sicana - Elima che
aveva come obiettivo la messa in atto di un freno alla politica siracusana che
era diventata troppo espansionistica.
I
conflitti erano anche interni e in particolare con la colonia calcidese di Leontinoi.
Per
liberarsi dalla dominazione siracusana, la città di Leontinoi promosse una lega
di città calcidesi chiedendo anche l'aiuto di Atene.
Questa
alleanza, rinnovata nel 433, sarà all'origine dell'intervento ateniese in
Sicilia.
Per
convincere Atene ad un suo intervento militare, i Leontini mandarono ad Atene
il celebre Gorgia, il più grande retore del tempo, fondatore della prima
sofistica.
Gorgia (Gorgias de Leontinos) ( Γοργίας)
(Leontinoi, 460 a.C. circa – Larissa, 380 a.C. circa)
Filosofo sofista – allievo di Empedocle
Alunni : Ippocrate e Isocrate
Gorgia (Gorgias de Leontinos) ( Γοργίας)
(Leontinoi, 460 a.C. circa – Larissa, 380 a.C. circa)
Filosofo sofista – allievo di Empedocle
Alunni : Ippocrate e Isocrate
Gorgia (Gorgias de Leontinos) ( Γοργίας)
(Leontinoi, 460 a.C. circa – Larissa, 380 a.C. circa)
Filosofo sofista – allievo di Empedocle
Alunni : Ippocrate e Isocrate
Gorgia (Gorgias de Leontinos) ( Γοργίας)
(Leontinoi, 460 a.C. circa – Larissa, 380 a.C. circa)
Filosofo sofista – allievo di Empedocle
Alunni : Ippocrate e Isocrate
Nel
424 a.C. tutte le polis convolte si
riunirono a Gela per trattare la pace.
Il
congresso, uno dei primi della storia, sancì la fine delle ostilità.
Gela
fu scelta come sede del Congresso di pace perché città culturalmente e
politicamente importante e posta in una posizione baricentrica sia dal punto di
vista geografico che politico della Sicilia.
Il
generale siracusano Ermocrate prese la parola nel Congresso auspicando una pace
duratura tra le città sicule:
Nel
424 a.C. tutte le polis convolte si
riunirono a Gela per trattare la pace.
Il
congresso, uno dei primi della storia, sancì la fine delle ostilità.
Gela
fu scelta come sede del Congresso di pace perché città culturalmente e
politicamente importante e posta in una posizione baricentrica sia dal punto di
vista geografico che politico della Sicilia.
Il
generale siracusano Ermocrate prese la parola nel Congresso auspicando una pace
duratura tra le città sicule:
Nel
424 a.C. tutte le polis convolte si
riunirono a Gela per trattare la pace.
Il
congresso, uno dei primi della storia, sancì la fine delle ostilità.
Gela
fu scelta come sede del Congresso di pace perché città culturalmente e
politicamente importante e posta in una posizione baricentrica sia dal punto di
vista geografico che politico della Sicilia.
Il
generale siracusano Ermocrate prese la parola nel Congresso auspicando una pace
duratura tra le città sicule:
Nel
424 a.C. tutte le polis convolte si
riunirono a Gela per trattare la pace.
Il
congresso, uno dei primi della storia, sancì la fine delle ostilità.
Gela
fu scelta come sede del Congresso di pace perché città culturalmente e
politicamente importante e posta in una posizione baricentrica sia dal punto di
vista geografico che politico della Sicilia.
Il
generale siracusano Ermocrate prese la parola nel Congresso auspicando una pace
duratura tra le città sicule:
Ermocrate
(Siracusa, seconda
metà del V secolo a.C. - ?, 407 a.C.)
Politico e
militare siceliota
Ermocrate
(Siracusa, seconda
metà del V secolo a.C. - ?, 407 a.C.)
Politico e
militare siceliota
Ermocrate
(Siracusa, seconda
metà del V secolo a.C. - ?, 407 a.C.)
Politico e
militare siceliota
Ermocrate
(Siracusa, seconda
metà del V secolo a.C. - ?, 407 a.C.)
Politico e
militare siceliota
“Non è vergogna
per uomini che abitano la stessa patria scendere a qualche concessione
reciproca, Dori a Dori, Calcidesi a quelli dello stesso ceppo e, in complesso,
tra genti vicine che abitano il medesimo suolo, lambito dal mare e distinto da
un unico nome di popolo: Sicelioti. Combatteremo, io credo, e ricorreremo alla
pace quando sarà opportuno, ma sempre tra noi, appellandoci a trattati che noi
soli riguardino....” (Tucidide, La Guerra del Peloponneso – IV 64).
“Non è vergogna
per uomini che abitano la stessa patria scendere a qualche concessione
reciproca, Dori a Dori, Calcidesi a quelli dello stesso ceppo e, in complesso,
tra genti vicine che abitano il medesimo suolo, lambito dal mare e distinto da
un unico nome di popolo: Sicelioti. Combatteremo, io credo, e ricorreremo alla
pace quando sarà opportuno, ma sempre tra noi, appellandoci a trattati che noi
soli riguardino....” (Tucidide, La Guerra del Peloponneso – IV 64).
“Non è vergogna
per uomini che abitano la stessa patria scendere a qualche concessione
reciproca, Dori a Dori, Calcidesi a quelli dello stesso ceppo e, in complesso,
tra genti vicine che abitano il medesimo suolo, lambito dal mare e distinto da
un unico nome di popolo: Sicelioti. Combatteremo, io credo, e ricorreremo alla
pace quando sarà opportuno, ma sempre tra noi, appellandoci a trattati che noi
soli riguardino....” (Tucidide, La Guerra del Peloponneso – IV 64).
“Non è vergogna
per uomini che abitano la stessa patria scendere a qualche concessione
reciproca, Dori a Dori, Calcidesi a quelli dello stesso ceppo e, in complesso,
tra genti vicine che abitano il medesimo suolo, lambito dal mare e distinto da
un unico nome di popolo: Sicelioti. Combatteremo, io credo, e ricorreremo alla
pace quando sarà opportuno, ma sempre tra noi, appellandoci a trattati che noi
soli riguardino....” (Tucidide, La Guerra del Peloponneso – IV 64).
Ermocrate
nel suo discorso rilevò l’aspetto di una possibile nuova spedizione ateniese.
In ogni caso il suo discorso fu “unitario” e si potrebbe definire come il primo
personaggio politico a pronunciare in un discorso pubblico la visione di un “unico
popolo” che invitava all’unità delle
genti di Sicilia.Come
si vedrà più avanti la pace tra le poleis siciliane non durò e
il congresso di Gela fu presto un ricordo.Nel
trattato di Gela, nel 424, gli abitanti di Leontinoi ottennero la cittadinanza
di Siracusa.Ma
la crisi sociale a Leontinoi era già al culmine; due partiti o classi sociali
si scontravano con progressivo ardore.Da
un alto i popolari che chiedevano la spartizione delle terre che erano state
sottratte ai Siculi al momento della colonizzazione di Leontinoi e dall'altro
la classe aristocratica che non avrebbe mai accettato di perdere i fondi
agricoli su cui si basava la propria supremazia economica.Fu
così che l'aristocrazia di Leontinoi chiese, per placare le rivolta o le
esuberanti richieste dei popolari, l'aiuto della vicina Siracusa.Questa
espulse da Leontinoi il demo, mentre gli aristocratici si rifugiarono a
Siracusa.La
richiesta di aiuto da parte del partito democratico fu nuovamente rivolta ad
Atene, con la promessa di un risarcimento di denaro. Tale
richiesta fu la causa di una nuova spedizione Ateniese dalla Grecia, ( ci fu anche
una richiesta d’aiuto da parte di Segesta attaccata dai Selinunte) che finì col
provocare non solo una delle più gravi sconfitte subite dagli Ateniesi nel
corso della storia, ma anche la distruzione totale o parziale della stessa
Leontinoi. Per
gli ateniesi l’esito della sua prima spedizione in Sicilia fu disastroso.Gli
ateniesi, rimpatriati con l’esercito, esiliarono gli strateghi Pitodoro,
Sofocle e multarono Eurimedonte. Tutti sarebbero stati corrotti dall’oro dei
nemici in particolare dei siracusani e alla fine, anche se a malincuore,
l’assemblea ateniese accettò le
decisioni del Congresso di Gela. Alla città di kamarina sarebbe rimasta
Morgantina mentre a Siracusa avrebbe avuto un indennità.Questa
sconfitta fu la prima tra gli innumerevoli successi che la storia di Atene
aveva sempre coronato, in particolare con l’Atene di Pericle. Avevano
sempre dimostrato una grande sicurezza
nei confronti bellici e probabilmente questa considerazione giocò a loro
svantaggio anche perché l’evento bellico era molto distante dalla madre patria
e quindi in un ambiente per molti in gran parte sconosciuto. I
democratici di Leontini furono costretti ad abbandonare la città per rifugiarsi
a Brikinnia dove, come tutte le colonie calcidesi, vigeva la legislazione di
quel grande legislatore catanese, di nome Caronda.Tucidide
non solo descrisse gli avvenimenti su menzionati, ma riportò nelle sue
narrazioni anche del viaggio fatto da Feace, grande artefice del trattato di
pace del 424 a .C.,
il quale da ritorno da Gela, "attraverso il territorio dei Siculi"
per andare a Katane, si sarebbe fermato a Brikinnia.La
città ebbe quindi un incremento demografico con l'esodo degli abitanti
provenienti dalla vicina Leontinoi e merita quindi attenzione la definizione di
Stefano Bizantino che citò il sito come "città della Sicilia".L'antico
sito venne così circondato da una serie di ricchi villaggi che si svilupparono
nelle vicine contrade di Sirume, Cucco, San Giorgio, Santorello, Palazzelli,
tutti facenti parte dell'ex feudo di Castellana, che avevano nella forte ed
inespugnabile Brikinnia il loro caposaldo militare, economico e politico.I
rinvenimenti archeologici che si sono susseguiti sin dal lontano 1824 stanno a
dimostrare la continuità di vita che ebbe il centro. Una
delle monete più antiche è di rame, senza iscrizione, della grandezza di una
dracma attica, con raffigurata da un lato la civetta con un leone in cammino
ben rilevato e con l'albero della palma nel rovescio e risale probabilmente ad
un periodo antecedente alla "dominazione siracusana".Negli
anni successici la città di Leoninoi dovette rimanere quasi deserta se nel 406
vi furono sistemati gli Agrigentini
cacciati dall’avanzata Cartaginese. In questi anni la città è infatti un
avamposto, così come Brikinnia, di Siracusa
abitato da esiliati e da stranieri.Dichiarata
libera dopo la vittoria cartaginese su Dionigi di Siracusa nel 405, sarà
rioccupata e fortificata nel 396 dal tiranno che vi immagazzinò i cereali del
ricco territorio e vi insediò 10.000 mercenari, ai quali concesse, invece della
paga, il possesso della disgraziata città con il suo territorio. A
questo punto è necessario fare alcune considerazioni su Brikinnia. Brikinnia quindi in possesso dei mercenari e
posti a presidio del territorio ?La
corazza rinvenuta sarebbe quindi appartenuta al capo dei mercenari visto anche
il pregiato corredo funerario ?Ultimo
punto sarebbe legato al “Tempio sotterraneo delle colonne” perchè qualche
storico avanzò l’ipotesi che non si trattasse di una “cisterna” ma di un
deposito di grano. La presenza delle canalette esterne servirebbe a convogliare
l’acqua meteorica verso punti prestabiliti per preservare il deposito da
infiltrazioni d’acqua.Ipotesi
probabili ?Solo
degli scavi archeologici potrebbero confermare l’ipotesi della sua destinazione
d’uso a granaio. A quando sembra gli unici “scavi”, a prescindere da quelli
eseguiti dall’Orsi e dalla Lagona, furono effettuati dai tombaroli e in modo
sbrigativo con ruspe e altri macchinari. Uno scavo naturalmente eseguito non in
modo “scientifico” ma con la tecnica del “mordi e fuggi”.... con la speranza di
trovare qualcosa. Certo i reperti rinvenuti saranno stati molto numerosi perché
l’Orsi già nel 1922 si trovò davanti alla visione di una zona letteralmente
sconvolta.Negli
anni 1970/80 quando misurai la proprietà del barone De Cristofaro notai anche
delle ruspe che lavoravano sul colle... in maniera del tutto indisturbata e a
dispetto di un controllo del territorio da parte delle autorità... chissà
quanta gente s’è arricchita vendendo nel mercato d’antiquariato i reperti che
vi furono rinvenuti... Ma
torniamo alla pagina storica lasciando le persone che non rispettano l’ambiente
alle loro tristi miserie umane...Leontinoi
fu quindi direttamente convolta nelle guerre intestine tra Dionigi il Giovane e
Dione.Al
suo ritorno a Siracusa. Dopo l’esilio, Dionisio II Il Giovane aveva quindi ripreso il
potere della città cacciando il fratello Niseo. Il suo potere nella città era
debole così come nel resto dell’isola.
Era un periodo caratterizzato dalla presenza di numerosi tiranni:
Ermocrate
nel suo discorso rilevò l’aspetto di una possibile nuova spedizione ateniese.
In ogni caso il suo discorso fu “unitario” e si potrebbe definire come il primo
personaggio politico a pronunciare in un discorso pubblico la visione di un “unico
popolo” che invitava all’unità delle
genti di Sicilia.Come
si vedrà più avanti la pace tra le poleis siciliane non durò e
il congresso di Gela fu presto un ricordo.Nel
trattato di Gela, nel 424, gli abitanti di Leontinoi ottennero la cittadinanza
di Siracusa.Ma
la crisi sociale a Leontinoi era già al culmine; due partiti o classi sociali
si scontravano con progressivo ardore.Da
un alto i popolari che chiedevano la spartizione delle terre che erano state
sottratte ai Siculi al momento della colonizzazione di Leontinoi e dall'altro
la classe aristocratica che non avrebbe mai accettato di perdere i fondi
agricoli su cui si basava la propria supremazia economica.Fu
così che l'aristocrazia di Leontinoi chiese, per placare le rivolta o le
esuberanti richieste dei popolari, l'aiuto della vicina Siracusa.Questa
espulse da Leontinoi il demo, mentre gli aristocratici si rifugiarono a
Siracusa.La
richiesta di aiuto da parte del partito democratico fu nuovamente rivolta ad
Atene, con la promessa di un risarcimento di denaro. Tale
richiesta fu la causa di una nuova spedizione Ateniese dalla Grecia, ( ci fu anche
una richiesta d’aiuto da parte di Segesta attaccata dai Selinunte) che finì col
provocare non solo una delle più gravi sconfitte subite dagli Ateniesi nel
corso della storia, ma anche la distruzione totale o parziale della stessa
Leontinoi. Per
gli ateniesi l’esito della sua prima spedizione in Sicilia fu disastroso.Gli
ateniesi, rimpatriati con l’esercito, esiliarono gli strateghi Pitodoro,
Sofocle e multarono Eurimedonte. Tutti sarebbero stati corrotti dall’oro dei
nemici in particolare dei siracusani e alla fine, anche se a malincuore,
l’assemblea ateniese accettò le
decisioni del Congresso di Gela. Alla città di kamarina sarebbe rimasta
Morgantina mentre a Siracusa avrebbe avuto un indennità.Questa
sconfitta fu la prima tra gli innumerevoli successi che la storia di Atene
aveva sempre coronato, in particolare con l’Atene di Pericle. Avevano
sempre dimostrato una grande sicurezza
nei confronti bellici e probabilmente questa considerazione giocò a loro
svantaggio anche perché l’evento bellico era molto distante dalla madre patria
e quindi in un ambiente per molti in gran parte sconosciuto. I
democratici di Leontini furono costretti ad abbandonare la città per rifugiarsi
a Brikinnia dove, come tutte le colonie calcidesi, vigeva la legislazione di
quel grande legislatore catanese, di nome Caronda.Tucidide
non solo descrisse gli avvenimenti su menzionati, ma riportò nelle sue
narrazioni anche del viaggio fatto da Feace, grande artefice del trattato di
pace del 424 a .C.,
il quale da ritorno da Gela, "attraverso il territorio dei Siculi"
per andare a Katane, si sarebbe fermato a Brikinnia.La
città ebbe quindi un incremento demografico con l'esodo degli abitanti
provenienti dalla vicina Leontinoi e merita quindi attenzione la definizione di
Stefano Bizantino che citò il sito come "città della Sicilia".L'antico
sito venne così circondato da una serie di ricchi villaggi che si svilupparono
nelle vicine contrade di Sirume, Cucco, San Giorgio, Santorello, Palazzelli,
tutti facenti parte dell'ex feudo di Castellana, che avevano nella forte ed
inespugnabile Brikinnia il loro caposaldo militare, economico e politico.I
rinvenimenti archeologici che si sono susseguiti sin dal lontano 1824 stanno a
dimostrare la continuità di vita che ebbe il centro. Una
delle monete più antiche è di rame, senza iscrizione, della grandezza di una
dracma attica, con raffigurata da un lato la civetta con un leone in cammino
ben rilevato e con l'albero della palma nel rovescio e risale probabilmente ad
un periodo antecedente alla "dominazione siracusana".Negli
anni successici la città di Leoninoi dovette rimanere quasi deserta se nel 406
vi furono sistemati gli Agrigentini
cacciati dall’avanzata Cartaginese. In questi anni la città è infatti un
avamposto, così come Brikinnia, di Siracusa
abitato da esiliati e da stranieri.Dichiarata
libera dopo la vittoria cartaginese su Dionigi di Siracusa nel 405, sarà
rioccupata e fortificata nel 396 dal tiranno che vi immagazzinò i cereali del
ricco territorio e vi insediò 10.000 mercenari, ai quali concesse, invece della
paga, il possesso della disgraziata città con il suo territorio. A
questo punto è necessario fare alcune considerazioni su Brikinnia. Brikinnia quindi in possesso dei mercenari e
posti a presidio del territorio ?La
corazza rinvenuta sarebbe quindi appartenuta al capo dei mercenari visto anche
il pregiato corredo funerario ?Ultimo
punto sarebbe legato al “Tempio sotterraneo delle colonne” perchè qualche
storico avanzò l’ipotesi che non si trattasse di una “cisterna” ma di un
deposito di grano. La presenza delle canalette esterne servirebbe a convogliare
l’acqua meteorica verso punti prestabiliti per preservare il deposito da
infiltrazioni d’acqua.Ipotesi
probabili ?Solo
degli scavi archeologici potrebbero confermare l’ipotesi della sua destinazione
d’uso a granaio. A quando sembra gli unici “scavi”, a prescindere da quelli
eseguiti dall’Orsi e dalla Lagona, furono effettuati dai tombaroli e in modo
sbrigativo con ruspe e altri macchinari. Uno scavo naturalmente eseguito non in
modo “scientifico” ma con la tecnica del “mordi e fuggi”.... con la speranza di
trovare qualcosa. Certo i reperti rinvenuti saranno stati molto numerosi perché
l’Orsi già nel 1922 si trovò davanti alla visione di una zona letteralmente
sconvolta.Negli
anni 1970/80 quando misurai la proprietà del barone De Cristofaro notai anche
delle ruspe che lavoravano sul colle... in maniera del tutto indisturbata e a
dispetto di un controllo del territorio da parte delle autorità... chissà
quanta gente s’è arricchita vendendo nel mercato d’antiquariato i reperti che
vi furono rinvenuti... Ma
torniamo alla pagina storica lasciando le persone che non rispettano l’ambiente
alle loro tristi miserie umane...Leontinoi
fu quindi direttamente convolta nelle guerre intestine tra Dionigi il Giovane e
Dione.Al
suo ritorno a Siracusa. Dopo l’esilio, Dionisio II Il Giovane aveva quindi ripreso il
potere della città cacciando il fratello Niseo. Il suo potere nella città era
debole così come nel resto dell’isola.
Era un periodo caratterizzato dalla presenza di numerosi tiranni:
Ermocrate
nel suo discorso rilevò l’aspetto di una possibile nuova spedizione ateniese.
In ogni caso il suo discorso fu “unitario” e si potrebbe definire come il primo
personaggio politico a pronunciare in un discorso pubblico la visione di un “unico
popolo” che invitava all’unità delle
genti di Sicilia.Come
si vedrà più avanti la pace tra le poleis siciliane non durò e
il congresso di Gela fu presto un ricordo.Nel
trattato di Gela, nel 424, gli abitanti di Leontinoi ottennero la cittadinanza
di Siracusa.Ma
la crisi sociale a Leontinoi era già al culmine; due partiti o classi sociali
si scontravano con progressivo ardore.Da
un alto i popolari che chiedevano la spartizione delle terre che erano state
sottratte ai Siculi al momento della colonizzazione di Leontinoi e dall'altro
la classe aristocratica che non avrebbe mai accettato di perdere i fondi
agricoli su cui si basava la propria supremazia economica.Fu
così che l'aristocrazia di Leontinoi chiese, per placare le rivolta o le
esuberanti richieste dei popolari, l'aiuto della vicina Siracusa.Questa
espulse da Leontinoi il demo, mentre gli aristocratici si rifugiarono a
Siracusa.La
richiesta di aiuto da parte del partito democratico fu nuovamente rivolta ad
Atene, con la promessa di un risarcimento di denaro. Tale
richiesta fu la causa di una nuova spedizione Ateniese dalla Grecia, ( ci fu anche
una richiesta d’aiuto da parte di Segesta attaccata dai Selinunte) che finì col
provocare non solo una delle più gravi sconfitte subite dagli Ateniesi nel
corso della storia, ma anche la distruzione totale o parziale della stessa
Leontinoi. Per
gli ateniesi l’esito della sua prima spedizione in Sicilia fu disastroso.Gli
ateniesi, rimpatriati con l’esercito, esiliarono gli strateghi Pitodoro,
Sofocle e multarono Eurimedonte. Tutti sarebbero stati corrotti dall’oro dei
nemici in particolare dei siracusani e alla fine, anche se a malincuore,
l’assemblea ateniese accettò le
decisioni del Congresso di Gela. Alla città di kamarina sarebbe rimasta
Morgantina mentre a Siracusa avrebbe avuto un indennità.Questa
sconfitta fu la prima tra gli innumerevoli successi che la storia di Atene
aveva sempre coronato, in particolare con l’Atene di Pericle. Avevano
sempre dimostrato una grande sicurezza
nei confronti bellici e probabilmente questa considerazione giocò a loro
svantaggio anche perché l’evento bellico era molto distante dalla madre patria
e quindi in un ambiente per molti in gran parte sconosciuto. I
democratici di Leontini furono costretti ad abbandonare la città per rifugiarsi
a Brikinnia dove, come tutte le colonie calcidesi, vigeva la legislazione di
quel grande legislatore catanese, di nome Caronda.Tucidide
non solo descrisse gli avvenimenti su menzionati, ma riportò nelle sue
narrazioni anche del viaggio fatto da Feace, grande artefice del trattato di
pace del 424 a .C.,
il quale da ritorno da Gela, "attraverso il territorio dei Siculi"
per andare a Katane, si sarebbe fermato a Brikinnia.La
città ebbe quindi un incremento demografico con l'esodo degli abitanti
provenienti dalla vicina Leontinoi e merita quindi attenzione la definizione di
Stefano Bizantino che citò il sito come "città della Sicilia".L'antico
sito venne così circondato da una serie di ricchi villaggi che si svilupparono
nelle vicine contrade di Sirume, Cucco, San Giorgio, Santorello, Palazzelli,
tutti facenti parte dell'ex feudo di Castellana, che avevano nella forte ed
inespugnabile Brikinnia il loro caposaldo militare, economico e politico.I
rinvenimenti archeologici che si sono susseguiti sin dal lontano 1824 stanno a
dimostrare la continuità di vita che ebbe il centro. Una
delle monete più antiche è di rame, senza iscrizione, della grandezza di una
dracma attica, con raffigurata da un lato la civetta con un leone in cammino
ben rilevato e con l'albero della palma nel rovescio e risale probabilmente ad
un periodo antecedente alla "dominazione siracusana".Negli
anni successici la città di Leoninoi dovette rimanere quasi deserta se nel 406
vi furono sistemati gli Agrigentini
cacciati dall’avanzata Cartaginese. In questi anni la città è infatti un
avamposto, così come Brikinnia, di Siracusa
abitato da esiliati e da stranieri.Dichiarata
libera dopo la vittoria cartaginese su Dionigi di Siracusa nel 405, sarà
rioccupata e fortificata nel 396 dal tiranno che vi immagazzinò i cereali del
ricco territorio e vi insediò 10.000 mercenari, ai quali concesse, invece della
paga, il possesso della disgraziata città con il suo territorio. A
questo punto è necessario fare alcune considerazioni su Brikinnia. Brikinnia quindi in possesso dei mercenari e
posti a presidio del territorio ?La
corazza rinvenuta sarebbe quindi appartenuta al capo dei mercenari visto anche
il pregiato corredo funerario ?Ultimo
punto sarebbe legato al “Tempio sotterraneo delle colonne” perchè qualche
storico avanzò l’ipotesi che non si trattasse di una “cisterna” ma di un
deposito di grano. La presenza delle canalette esterne servirebbe a convogliare
l’acqua meteorica verso punti prestabiliti per preservare il deposito da
infiltrazioni d’acqua.Ipotesi
probabili ?Solo
degli scavi archeologici potrebbero confermare l’ipotesi della sua destinazione
d’uso a granaio. A quando sembra gli unici “scavi”, a prescindere da quelli
eseguiti dall’Orsi e dalla Lagona, furono effettuati dai tombaroli e in modo
sbrigativo con ruspe e altri macchinari. Uno scavo naturalmente eseguito non in
modo “scientifico” ma con la tecnica del “mordi e fuggi”.... con la speranza di
trovare qualcosa. Certo i reperti rinvenuti saranno stati molto numerosi perché
l’Orsi già nel 1922 si trovò davanti alla visione di una zona letteralmente
sconvolta.Negli
anni 1970/80 quando misurai la proprietà del barone De Cristofaro notai anche
delle ruspe che lavoravano sul colle... in maniera del tutto indisturbata e a
dispetto di un controllo del territorio da parte delle autorità... chissà
quanta gente s’è arricchita vendendo nel mercato d’antiquariato i reperti che
vi furono rinvenuti... Ma
torniamo alla pagina storica lasciando le persone che non rispettano l’ambiente
alle loro tristi miserie umane...Leontinoi
fu quindi direttamente convolta nelle guerre intestine tra Dionigi il Giovane e
Dione.Al
suo ritorno a Siracusa. Dopo l’esilio, Dionisio II Il Giovane aveva quindi ripreso il
potere della città cacciando il fratello Niseo. Il suo potere nella città era
debole così come nel resto dell’isola.
Era un periodo caratterizzato dalla presenza di numerosi tiranni:
Ermocrate
nel suo discorso rilevò l’aspetto di una possibile nuova spedizione ateniese.
In ogni caso il suo discorso fu “unitario” e si potrebbe definire come il primo
personaggio politico a pronunciare in un discorso pubblico la visione di un “unico
popolo” che invitava all’unità delle
genti di Sicilia.Come
si vedrà più avanti la pace tra le poleis siciliane non durò e
il congresso di Gela fu presto un ricordo.Nel
trattato di Gela, nel 424, gli abitanti di Leontinoi ottennero la cittadinanza
di Siracusa.Ma
la crisi sociale a Leontinoi era già al culmine; due partiti o classi sociali
si scontravano con progressivo ardore.Da
un alto i popolari che chiedevano la spartizione delle terre che erano state
sottratte ai Siculi al momento della colonizzazione di Leontinoi e dall'altro
la classe aristocratica che non avrebbe mai accettato di perdere i fondi
agricoli su cui si basava la propria supremazia economica.Fu
così che l'aristocrazia di Leontinoi chiese, per placare le rivolta o le
esuberanti richieste dei popolari, l'aiuto della vicina Siracusa.Questa
espulse da Leontinoi il demo, mentre gli aristocratici si rifugiarono a
Siracusa.La
richiesta di aiuto da parte del partito democratico fu nuovamente rivolta ad
Atene, con la promessa di un risarcimento di denaro. Tale
richiesta fu la causa di una nuova spedizione Ateniese dalla Grecia, ( ci fu anche
una richiesta d’aiuto da parte di Segesta attaccata dai Selinunte) che finì col
provocare non solo una delle più gravi sconfitte subite dagli Ateniesi nel
corso della storia, ma anche la distruzione totale o parziale della stessa
Leontinoi. Per
gli ateniesi l’esito della sua prima spedizione in Sicilia fu disastroso.Gli
ateniesi, rimpatriati con l’esercito, esiliarono gli strateghi Pitodoro,
Sofocle e multarono Eurimedonte. Tutti sarebbero stati corrotti dall’oro dei
nemici in particolare dei siracusani e alla fine, anche se a malincuore,
l’assemblea ateniese accettò le
decisioni del Congresso di Gela. Alla città di kamarina sarebbe rimasta
Morgantina mentre a Siracusa avrebbe avuto un indennità.Questa
sconfitta fu la prima tra gli innumerevoli successi che la storia di Atene
aveva sempre coronato, in particolare con l’Atene di Pericle. Avevano
sempre dimostrato una grande sicurezza
nei confronti bellici e probabilmente questa considerazione giocò a loro
svantaggio anche perché l’evento bellico era molto distante dalla madre patria
e quindi in un ambiente per molti in gran parte sconosciuto. I
democratici di Leontini furono costretti ad abbandonare la città per rifugiarsi
a Brikinnia dove, come tutte le colonie calcidesi, vigeva la legislazione di
quel grande legislatore catanese, di nome Caronda.Tucidide
non solo descrisse gli avvenimenti su menzionati, ma riportò nelle sue
narrazioni anche del viaggio fatto da Feace, grande artefice del trattato di
pace del 424 a .C.,
il quale da ritorno da Gela, "attraverso il territorio dei Siculi"
per andare a Katane, si sarebbe fermato a Brikinnia.La
città ebbe quindi un incremento demografico con l'esodo degli abitanti
provenienti dalla vicina Leontinoi e merita quindi attenzione la definizione di
Stefano Bizantino che citò il sito come "città della Sicilia".L'antico
sito venne così circondato da una serie di ricchi villaggi che si svilupparono
nelle vicine contrade di Sirume, Cucco, San Giorgio, Santorello, Palazzelli,
tutti facenti parte dell'ex feudo di Castellana, che avevano nella forte ed
inespugnabile Brikinnia il loro caposaldo militare, economico e politico.I
rinvenimenti archeologici che si sono susseguiti sin dal lontano 1824 stanno a
dimostrare la continuità di vita che ebbe il centro. Una
delle monete più antiche è di rame, senza iscrizione, della grandezza di una
dracma attica, con raffigurata da un lato la civetta con un leone in cammino
ben rilevato e con l'albero della palma nel rovescio e risale probabilmente ad
un periodo antecedente alla "dominazione siracusana".Negli
anni successici la città di Leoninoi dovette rimanere quasi deserta se nel 406
vi furono sistemati gli Agrigentini
cacciati dall’avanzata Cartaginese. In questi anni la città è infatti un
avamposto, così come Brikinnia, di Siracusa
abitato da esiliati e da stranieri.Dichiarata
libera dopo la vittoria cartaginese su Dionigi di Siracusa nel 405, sarà
rioccupata e fortificata nel 396 dal tiranno che vi immagazzinò i cereali del
ricco territorio e vi insediò 10.000 mercenari, ai quali concesse, invece della
paga, il possesso della disgraziata città con il suo territorio. A
questo punto è necessario fare alcune considerazioni su Brikinnia. Brikinnia quindi in possesso dei mercenari e
posti a presidio del territorio ?La
corazza rinvenuta sarebbe quindi appartenuta al capo dei mercenari visto anche
il pregiato corredo funerario ?Ultimo
punto sarebbe legato al “Tempio sotterraneo delle colonne” perchè qualche
storico avanzò l’ipotesi che non si trattasse di una “cisterna” ma di un
deposito di grano. La presenza delle canalette esterne servirebbe a convogliare
l’acqua meteorica verso punti prestabiliti per preservare il deposito da
infiltrazioni d’acqua.Ipotesi
probabili ?Solo
degli scavi archeologici potrebbero confermare l’ipotesi della sua destinazione
d’uso a granaio. A quando sembra gli unici “scavi”, a prescindere da quelli
eseguiti dall’Orsi e dalla Lagona, furono effettuati dai tombaroli e in modo
sbrigativo con ruspe e altri macchinari. Uno scavo naturalmente eseguito non in
modo “scientifico” ma con la tecnica del “mordi e fuggi”.... con la speranza di
trovare qualcosa. Certo i reperti rinvenuti saranno stati molto numerosi perché
l’Orsi già nel 1922 si trovò davanti alla visione di una zona letteralmente
sconvolta.Negli
anni 1970/80 quando misurai la proprietà del barone De Cristofaro notai anche
delle ruspe che lavoravano sul colle... in maniera del tutto indisturbata e a
dispetto di un controllo del territorio da parte delle autorità... chissà
quanta gente s’è arricchita vendendo nel mercato d’antiquariato i reperti che
vi furono rinvenuti... Ma
torniamo alla pagina storica lasciando le persone che non rispettano l’ambiente
alle loro tristi miserie umane...Leontinoi
fu quindi direttamente convolta nelle guerre intestine tra Dionigi il Giovane e
Dione.Al
suo ritorno a Siracusa. Dopo l’esilio, Dionisio II Il Giovane aveva quindi ripreso il
potere della città cacciando il fratello Niseo. Il suo potere nella città era
debole così come nel resto dell’isola.
Era un periodo caratterizzato dalla presenza di numerosi tiranni:
Leptine, uccisore di Callippo si era
stabilito ad Apollonia e ad Engio (Troina?);
Manerco, mercenario campano a Katane;
Un tiranno della stirpe Apolloniade ad
Agirio;
Nicodemo a Centuripe;
Ippone a Messana
Andromaco a Tauromenio;
Iceta, originario di Siracusa, a Leontini.
Leptine, uccisore di Callippo si era
stabilito ad Apollonia e ad Engio (Troina?);
Manerco, mercenario campano a Katane;
Un tiranno della stirpe Apolloniade ad
Agirio;
Nicodemo a Centuripe;
Ippone a Messana
Andromaco a Tauromenio;
Iceta, originario di Siracusa, a Leontini.
Leptine, uccisore di Callippo si era
stabilito ad Apollonia e ad Engio (Troina?);
Manerco, mercenario campano a Katane;
Un tiranno della stirpe Apolloniade ad
Agirio;
Nicodemo a Centuripe;
Ippone a Messana
Andromaco a Tauromenio;
Iceta, originario di Siracusa, a Leontini.
Leptine, uccisore di Callippo si era
stabilito ad Apollonia e ad Engio (Troina?);
Manerco, mercenario campano a Katane;
Un tiranno della stirpe Apolloniade ad
Agirio;
Nicodemo a Centuripe;
Ippone a Messana
Andromaco a Tauromenio;
Iceta, originario di Siracusa, a Leontini.
Leptine, uccisore di Callippo si era
stabilito ad Apollonia e ad Engio (Troina?);
Manerco, mercenario campano a Katane;
Un tiranno della stirpe Apolloniade ad
Agirio;
Nicodemo a Centuripe;
Ippone a Messana
Andromaco a Tauromenio;
Iceta, originario di Siracusa, a Leontini.
In
questo periodo Brikinnia, sul Monte San Basilio, risulta probabilmente soggetta alla madre patria Leontini che si
era liberata dal dominio siracusano.
Nella
fortezza di Brikinnia erano sempre
presenti dei mercenari dato che in questa fase di grave crisi economica per
l’isola, risultava essenziale l’assunzione e il mantenimento del potere per le
varie polis.
I
siracusani guidati da Iceta di Leontini si rivolsero a Corinto ed i Corinzi
decisero d’inviare in Sicilia un esercito di volontari e mercenari.
All’unanimità i Corinzi votarono l’affidamento della spedizione a Timoleonte.
In
questo periodo Brikinnia, sul Monte San Basilio, risulta probabilmente soggetta alla madre patria Leontini che si
era liberata dal dominio siracusano.
Nella
fortezza di Brikinnia erano sempre
presenti dei mercenari dato che in questa fase di grave crisi economica per
l’isola, risultava essenziale l’assunzione e il mantenimento del potere per le
varie polis.
I
siracusani guidati da Iceta di Leontini si rivolsero a Corinto ed i Corinzi
decisero d’inviare in Sicilia un esercito di volontari e mercenari.
All’unanimità i Corinzi votarono l’affidamento della spedizione a Timoleonte.
In
questo periodo Brikinnia, sul Monte San Basilio, risulta probabilmente soggetta alla madre patria Leontini che si
era liberata dal dominio siracusano.
Nella
fortezza di Brikinnia erano sempre
presenti dei mercenari dato che in questa fase di grave crisi economica per
l’isola, risultava essenziale l’assunzione e il mantenimento del potere per le
varie polis.
I
siracusani guidati da Iceta di Leontini si rivolsero a Corinto ed i Corinzi
decisero d’inviare in Sicilia un esercito di volontari e mercenari.
All’unanimità i Corinzi votarono l’affidamento della spedizione a Timoleonte.
In
questo periodo Brikinnia, sul Monte San Basilio, risulta probabilmente soggetta alla madre patria Leontini che si
era liberata dal dominio siracusano.
Nella
fortezza di Brikinnia erano sempre
presenti dei mercenari dato che in questa fase di grave crisi economica per
l’isola, risultava essenziale l’assunzione e il mantenimento del potere per le
varie polis.
I
siracusani guidati da Iceta di Leontini si rivolsero a Corinto ed i Corinzi
decisero d’inviare in Sicilia un esercito di volontari e mercenari.
All’unanimità i Corinzi votarono l’affidamento della spedizione a Timoleonte.
In
questo periodo Brikinnia, sul Monte San Basilio, risulta probabilmente soggetta alla madre patria Leontini che si
era liberata dal dominio siracusano.
Nella
fortezza di Brikinnia erano sempre
presenti dei mercenari dato che in questa fase di grave crisi economica per
l’isola, risultava essenziale l’assunzione e il mantenimento del potere per le
varie polis.
I
siracusani guidati da Iceta di Leontini si rivolsero a Corinto ed i Corinzi
decisero d’inviare in Sicilia un esercito di volontari e mercenari.
All’unanimità i Corinzi votarono l’affidamento della spedizione a Timoleonte.
Ritratto di
Timoleonte
Artista: Giuseppe
Patania
(Palermo, 18
gennaio 1780 – Palermo, 23 febbraio 1852)
Ritratto di
Timoleonte
Artista: Giuseppe
Patania
(Palermo, 18
gennaio 1780 – Palermo, 23 febbraio 1852)
Ritratto di
Timoleonte
Artista: Giuseppe
Patania
(Palermo, 18
gennaio 1780 – Palermo, 23 febbraio 1852)
Ritratto di
Timoleonte
Artista: Giuseppe
Patania
(Palermo, 18
gennaio 1780 – Palermo, 23 febbraio 1852)
Ritratto di
Timoleonte
Artista: Giuseppe
Patania
(Palermo, 18
gennaio 1780 – Palermo, 23 febbraio 1852)
A
Metaponto Timoleonte fu informato da alcuni emissari di Iceta che il tiranno di
Lentini s’era impadronito di Siracusa e che Dionisio II si era barricato ad
Ortigia.
C’erano
ancora dei tiranni che contendevano a Siracusa il dominio e cioè Iceta, Mamerco,
Ippone, Nicodemo e Apollonide. Tutti erano animati dalla paura che Siracusa,
aiutata dalla madre patria Corinto, li avrebbe prima o poi rovesciati.
Ancora
una volta Timoleonte fu costretto ad intervenire.
Iceta,
forse il più agguerrito, fu sconfitto e condannato a morte per tradimento
insieme al figlio. Purtroppo la componente femminile della sua famiglia venne
condotta a Siracusa e condannata a morte dall’assemblea del popolo.
I
cartaginesi stipularono un trattato di
pace , 339/338 a.C., con Timoleonte che stabiliva nel fiume “Halikos”
(l’odierno Platani) il confine del loro territorio.
A
Metaponto Timoleonte fu informato da alcuni emissari di Iceta che il tiranno di
Lentini s’era impadronito di Siracusa e che Dionisio II si era barricato ad
Ortigia.
C’erano
ancora dei tiranni che contendevano a Siracusa il dominio e cioè Iceta, Mamerco,
Ippone, Nicodemo e Apollonide. Tutti erano animati dalla paura che Siracusa,
aiutata dalla madre patria Corinto, li avrebbe prima o poi rovesciati.
Ancora
una volta Timoleonte fu costretto ad intervenire.
Iceta,
forse il più agguerrito, fu sconfitto e condannato a morte per tradimento
insieme al figlio. Purtroppo la componente femminile della sua famiglia venne
condotta a Siracusa e condannata a morte dall’assemblea del popolo.
I
cartaginesi stipularono un trattato di
pace , 339/338 a.C., con Timoleonte che stabiliva nel fiume “Halikos”
(l’odierno Platani) il confine del loro territorio.
A
Metaponto Timoleonte fu informato da alcuni emissari di Iceta che il tiranno di
Lentini s’era impadronito di Siracusa e che Dionisio II si era barricato ad
Ortigia.
C’erano
ancora dei tiranni che contendevano a Siracusa il dominio e cioè Iceta, Mamerco,
Ippone, Nicodemo e Apollonide. Tutti erano animati dalla paura che Siracusa,
aiutata dalla madre patria Corinto, li avrebbe prima o poi rovesciati.
Ancora
una volta Timoleonte fu costretto ad intervenire.
Iceta,
forse il più agguerrito, fu sconfitto e condannato a morte per tradimento
insieme al figlio. Purtroppo la componente femminile della sua famiglia venne
condotta a Siracusa e condannata a morte dall’assemblea del popolo.
I
cartaginesi stipularono un trattato di
pace , 339/338 a.C., con Timoleonte che stabiliva nel fiume “Halikos”
(l’odierno Platani) il confine del loro territorio.
A
Metaponto Timoleonte fu informato da alcuni emissari di Iceta che il tiranno di
Lentini s’era impadronito di Siracusa e che Dionisio II si era barricato ad
Ortigia.
C’erano
ancora dei tiranni che contendevano a Siracusa il dominio e cioè Iceta, Mamerco,
Ippone, Nicodemo e Apollonide. Tutti erano animati dalla paura che Siracusa,
aiutata dalla madre patria Corinto, li avrebbe prima o poi rovesciati.
Ancora
una volta Timoleonte fu costretto ad intervenire.
Iceta,
forse il più agguerrito, fu sconfitto e condannato a morte per tradimento
insieme al figlio. Purtroppo la componente femminile della sua famiglia venne
condotta a Siracusa e condannata a morte dall’assemblea del popolo.
I
cartaginesi stipularono un trattato di
pace , 339/338 a.C., con Timoleonte che stabiliva nel fiume “Halikos”
(l’odierno Platani) il confine del loro territorio.
A
Metaponto Timoleonte fu informato da alcuni emissari di Iceta che il tiranno di
Lentini s’era impadronito di Siracusa e che Dionisio II si era barricato ad
Ortigia.
C’erano
ancora dei tiranni che contendevano a Siracusa il dominio e cioè Iceta, Mamerco,
Ippone, Nicodemo e Apollonide. Tutti erano animati dalla paura che Siracusa,
aiutata dalla madre patria Corinto, li avrebbe prima o poi rovesciati.
Ancora
una volta Timoleonte fu costretto ad intervenire.
Iceta,
forse il più agguerrito, fu sconfitto e condannato a morte per tradimento
insieme al figlio. Purtroppo la componente femminile della sua famiglia venne
condotta a Siracusa e condannata a morte dall’assemblea del popolo.
I
cartaginesi stipularono un trattato di
pace , 339/338 a.C., con Timoleonte che stabiliva nel fiume “Halikos”
(l’odierno Platani) il confine del loro territorio.
Nel
trattato gli stessi cartaginesi riconoscevano l’indipendenza di tutte le città
greche ad oriente del fiume. S’impegnavano ad astenersi da qualsiasi alleanza
con eventuali tiranni della zona greca e
ogni cittadino greco della provincia cartaginese, se lo avesse desiderato, era
libero di trasferirsi a Siracusa.
I
tiranni ancora in guerra erano ormai isolati e per Timoleonte fu facile
sconfiggere Mamerco di Katana e Ippone di Messana che vennero giustiziati.
Mamerco fu crocifisso mentre Ippone fu torturato a morte nel teatro di Messana
davanti a numerosi spettatori fra cui alcuni adolescenti che erano stati
condotti nel teatro dalle vicine scuole.
Al
tiranno Andromaco, che aveva appoggiato Timoleonte sin dal momento in cui era
giunto in Sicilia, gli fu concesso di
restare a capo della città di Tauromenio.
Da
non dimenticare nell’opera sociale politica di Timoleonte anche l’adozione
della costituzione siracusana. Si dovrebbe parlare all’infinito sull’importanza
di questo condottiero morto tra il 337 ed il 336 a.C.
Timoleonte,
ormai padrone di Siracusa, con grande impegno cercò di ricostruire l’antica
immagine della città rispondendo alle istanze popolari.
Una
città che mostrava evidenti segni di crisi economica e demografica a causa
delle guerre civili e dell’occupazione cartaginese.
Per
rimediare allo spopolamento Timoleonte promosse una serie di bandi di
colonizzazione. Furono circa 60.000 le
unità che affluirono da tutto il mondo greco per ripopolare Siracusa e tra
questi c’era anche un profugo da Terme (città sorta dopo la distruzione di
Himera), il giovane Agatocle, che sarà il futuro tiranno.
L’apporto umano fu notevole soprattutto per lo
sviluppo agricolo e fu testimoniato anche dai ritrovamenti archeologici del
periodo che sembrano testimoniare delle cifre al rialzo.
Cercò
di fronteggiare la crisi economica con un opera di redistribuzione della chora,
cioè del territorio della polis con vendita a condizioni agevolate di immobili
demaniali e con sussidi ai meno abbienti.
Ad
eccezione della statua di Gelone, mise all’asta le statue dei vecchi tiranni
per avere dei fondi con cui finanziare la guerra ai cartaginesi.
La
sua opera fu fondamentale nella rinascita della città anche nel campo
dell’edilizia monumentale e sociale
favorendo anche le classi meno abbienti.
Alla
fine della sua vita ebbe dei gravi problemi alla vista e si ritirò a vita
privata non facendo ritorno a Corinto ma
rimanendo a Siracusa. Si narra che ormai cieco, quando si presentavano dei
problemi da affrontare nella vita cittadina partecipava sempre all’assemblea
cittadina prendendo la prola.
Ai
suoi funerali affluirono genti da tutta la Sicilia e nel suo funerale, secondo
il racconto di Plutarco, un tale Demetrio prese la parola e con voce potente
lesse da un manoscritto un decreto che recitava:
Nel
trattato gli stessi cartaginesi riconoscevano l’indipendenza di tutte le città
greche ad oriente del fiume. S’impegnavano ad astenersi da qualsiasi alleanza
con eventuali tiranni della zona greca e
ogni cittadino greco della provincia cartaginese, se lo avesse desiderato, era
libero di trasferirsi a Siracusa.
I
tiranni ancora in guerra erano ormai isolati e per Timoleonte fu facile
sconfiggere Mamerco di Katana e Ippone di Messana che vennero giustiziati.
Mamerco fu crocifisso mentre Ippone fu torturato a morte nel teatro di Messana
davanti a numerosi spettatori fra cui alcuni adolescenti che erano stati
condotti nel teatro dalle vicine scuole.
Al
tiranno Andromaco, che aveva appoggiato Timoleonte sin dal momento in cui era
giunto in Sicilia, gli fu concesso di
restare a capo della città di Tauromenio.
Da
non dimenticare nell’opera sociale politica di Timoleonte anche l’adozione
della costituzione siracusana. Si dovrebbe parlare all’infinito sull’importanza
di questo condottiero morto tra il 337 ed il 336 a.C.
Timoleonte,
ormai padrone di Siracusa, con grande impegno cercò di ricostruire l’antica
immagine della città rispondendo alle istanze popolari.
Una
città che mostrava evidenti segni di crisi economica e demografica a causa
delle guerre civili e dell’occupazione cartaginese.
Per
rimediare allo spopolamento Timoleonte promosse una serie di bandi di
colonizzazione. Furono circa 60.000 le
unità che affluirono da tutto il mondo greco per ripopolare Siracusa e tra
questi c’era anche un profugo da Terme (città sorta dopo la distruzione di
Himera), il giovane Agatocle, che sarà il futuro tiranno.
L’apporto umano fu notevole soprattutto per lo
sviluppo agricolo e fu testimoniato anche dai ritrovamenti archeologici del
periodo che sembrano testimoniare delle cifre al rialzo.
Cercò
di fronteggiare la crisi economica con un opera di redistribuzione della chora,
cioè del territorio della polis con vendita a condizioni agevolate di immobili
demaniali e con sussidi ai meno abbienti.
Ad
eccezione della statua di Gelone, mise all’asta le statue dei vecchi tiranni
per avere dei fondi con cui finanziare la guerra ai cartaginesi.
La
sua opera fu fondamentale nella rinascita della città anche nel campo
dell’edilizia monumentale e sociale
favorendo anche le classi meno abbienti.
Alla
fine della sua vita ebbe dei gravi problemi alla vista e si ritirò a vita
privata non facendo ritorno a Corinto ma
rimanendo a Siracusa. Si narra che ormai cieco, quando si presentavano dei
problemi da affrontare nella vita cittadina partecipava sempre all’assemblea
cittadina prendendo la prola.
Ai
suoi funerali affluirono genti da tutta la Sicilia e nel suo funerale, secondo
il racconto di Plutarco, un tale Demetrio prese la parola e con voce potente
lesse da un manoscritto un decreto che recitava:
Nel
trattato gli stessi cartaginesi riconoscevano l’indipendenza di tutte le città
greche ad oriente del fiume. S’impegnavano ad astenersi da qualsiasi alleanza
con eventuali tiranni della zona greca e
ogni cittadino greco della provincia cartaginese, se lo avesse desiderato, era
libero di trasferirsi a Siracusa.
I
tiranni ancora in guerra erano ormai isolati e per Timoleonte fu facile
sconfiggere Mamerco di Katana e Ippone di Messana che vennero giustiziati.
Mamerco fu crocifisso mentre Ippone fu torturato a morte nel teatro di Messana
davanti a numerosi spettatori fra cui alcuni adolescenti che erano stati
condotti nel teatro dalle vicine scuole.
Al
tiranno Andromaco, che aveva appoggiato Timoleonte sin dal momento in cui era
giunto in Sicilia, gli fu concesso di
restare a capo della città di Tauromenio.
Da
non dimenticare nell’opera sociale politica di Timoleonte anche l’adozione
della costituzione siracusana. Si dovrebbe parlare all’infinito sull’importanza
di questo condottiero morto tra il 337 ed il 336 a.C.
Timoleonte,
ormai padrone di Siracusa, con grande impegno cercò di ricostruire l’antica
immagine della città rispondendo alle istanze popolari.
Una
città che mostrava evidenti segni di crisi economica e demografica a causa
delle guerre civili e dell’occupazione cartaginese.
Per
rimediare allo spopolamento Timoleonte promosse una serie di bandi di
colonizzazione. Furono circa 60.000 le
unità che affluirono da tutto il mondo greco per ripopolare Siracusa e tra
questi c’era anche un profugo da Terme (città sorta dopo la distruzione di
Himera), il giovane Agatocle, che sarà il futuro tiranno.
L’apporto umano fu notevole soprattutto per lo
sviluppo agricolo e fu testimoniato anche dai ritrovamenti archeologici del
periodo che sembrano testimoniare delle cifre al rialzo.
Cercò
di fronteggiare la crisi economica con un opera di redistribuzione della chora,
cioè del territorio della polis con vendita a condizioni agevolate di immobili
demaniali e con sussidi ai meno abbienti.
Ad
eccezione della statua di Gelone, mise all’asta le statue dei vecchi tiranni
per avere dei fondi con cui finanziare la guerra ai cartaginesi.
La
sua opera fu fondamentale nella rinascita della città anche nel campo
dell’edilizia monumentale e sociale
favorendo anche le classi meno abbienti.
Alla
fine della sua vita ebbe dei gravi problemi alla vista e si ritirò a vita
privata non facendo ritorno a Corinto ma
rimanendo a Siracusa. Si narra che ormai cieco, quando si presentavano dei
problemi da affrontare nella vita cittadina partecipava sempre all’assemblea
cittadina prendendo la prola.
Ai
suoi funerali affluirono genti da tutta la Sicilia e nel suo funerale, secondo
il racconto di Plutarco, un tale Demetrio prese la parola e con voce potente
lesse da un manoscritto un decreto che recitava:
Nel
trattato gli stessi cartaginesi riconoscevano l’indipendenza di tutte le città
greche ad oriente del fiume. S’impegnavano ad astenersi da qualsiasi alleanza
con eventuali tiranni della zona greca e
ogni cittadino greco della provincia cartaginese, se lo avesse desiderato, era
libero di trasferirsi a Siracusa.
I
tiranni ancora in guerra erano ormai isolati e per Timoleonte fu facile
sconfiggere Mamerco di Katana e Ippone di Messana che vennero giustiziati.
Mamerco fu crocifisso mentre Ippone fu torturato a morte nel teatro di Messana
davanti a numerosi spettatori fra cui alcuni adolescenti che erano stati
condotti nel teatro dalle vicine scuole.
Al
tiranno Andromaco, che aveva appoggiato Timoleonte sin dal momento in cui era
giunto in Sicilia, gli fu concesso di
restare a capo della città di Tauromenio.
Da
non dimenticare nell’opera sociale politica di Timoleonte anche l’adozione
della costituzione siracusana. Si dovrebbe parlare all’infinito sull’importanza
di questo condottiero morto tra il 337 ed il 336 a.C.
Timoleonte,
ormai padrone di Siracusa, con grande impegno cercò di ricostruire l’antica
immagine della città rispondendo alle istanze popolari.
Una
città che mostrava evidenti segni di crisi economica e demografica a causa
delle guerre civili e dell’occupazione cartaginese.
Per
rimediare allo spopolamento Timoleonte promosse una serie di bandi di
colonizzazione. Furono circa 60.000 le
unità che affluirono da tutto il mondo greco per ripopolare Siracusa e tra
questi c’era anche un profugo da Terme (città sorta dopo la distruzione di
Himera), il giovane Agatocle, che sarà il futuro tiranno.
L’apporto umano fu notevole soprattutto per lo
sviluppo agricolo e fu testimoniato anche dai ritrovamenti archeologici del
periodo che sembrano testimoniare delle cifre al rialzo.
Cercò
di fronteggiare la crisi economica con un opera di redistribuzione della chora,
cioè del territorio della polis con vendita a condizioni agevolate di immobili
demaniali e con sussidi ai meno abbienti.
Ad
eccezione della statua di Gelone, mise all’asta le statue dei vecchi tiranni
per avere dei fondi con cui finanziare la guerra ai cartaginesi.
La
sua opera fu fondamentale nella rinascita della città anche nel campo
dell’edilizia monumentale e sociale
favorendo anche le classi meno abbienti.
Alla
fine della sua vita ebbe dei gravi problemi alla vista e si ritirò a vita
privata non facendo ritorno a Corinto ma
rimanendo a Siracusa. Si narra che ormai cieco, quando si presentavano dei
problemi da affrontare nella vita cittadina partecipava sempre all’assemblea
cittadina prendendo la prola.
Ai
suoi funerali affluirono genti da tutta la Sicilia e nel suo funerale, secondo
il racconto di Plutarco, un tale Demetrio prese la parola e con voce potente
lesse da un manoscritto un decreto che recitava:
Nel
trattato gli stessi cartaginesi riconoscevano l’indipendenza di tutte le città
greche ad oriente del fiume. S’impegnavano ad astenersi da qualsiasi alleanza
con eventuali tiranni della zona greca e
ogni cittadino greco della provincia cartaginese, se lo avesse desiderato, era
libero di trasferirsi a Siracusa.
I
tiranni ancora in guerra erano ormai isolati e per Timoleonte fu facile
sconfiggere Mamerco di Katana e Ippone di Messana che vennero giustiziati.
Mamerco fu crocifisso mentre Ippone fu torturato a morte nel teatro di Messana
davanti a numerosi spettatori fra cui alcuni adolescenti che erano stati
condotti nel teatro dalle vicine scuole.
Al
tiranno Andromaco, che aveva appoggiato Timoleonte sin dal momento in cui era
giunto in Sicilia, gli fu concesso di
restare a capo della città di Tauromenio.
Da
non dimenticare nell’opera sociale politica di Timoleonte anche l’adozione
della costituzione siracusana. Si dovrebbe parlare all’infinito sull’importanza
di questo condottiero morto tra il 337 ed il 336 a.C.
Timoleonte,
ormai padrone di Siracusa, con grande impegno cercò di ricostruire l’antica
immagine della città rispondendo alle istanze popolari.
Una
città che mostrava evidenti segni di crisi economica e demografica a causa
delle guerre civili e dell’occupazione cartaginese.
Per
rimediare allo spopolamento Timoleonte promosse una serie di bandi di
colonizzazione. Furono circa 60.000 le
unità che affluirono da tutto il mondo greco per ripopolare Siracusa e tra
questi c’era anche un profugo da Terme (città sorta dopo la distruzione di
Himera), il giovane Agatocle, che sarà il futuro tiranno.
L’apporto umano fu notevole soprattutto per lo
sviluppo agricolo e fu testimoniato anche dai ritrovamenti archeologici del
periodo che sembrano testimoniare delle cifre al rialzo.
Cercò
di fronteggiare la crisi economica con un opera di redistribuzione della chora,
cioè del territorio della polis con vendita a condizioni agevolate di immobili
demaniali e con sussidi ai meno abbienti.
Ad
eccezione della statua di Gelone, mise all’asta le statue dei vecchi tiranni
per avere dei fondi con cui finanziare la guerra ai cartaginesi.
La
sua opera fu fondamentale nella rinascita della città anche nel campo
dell’edilizia monumentale e sociale
favorendo anche le classi meno abbienti.
Alla
fine della sua vita ebbe dei gravi problemi alla vista e si ritirò a vita
privata non facendo ritorno a Corinto ma
rimanendo a Siracusa. Si narra che ormai cieco, quando si presentavano dei
problemi da affrontare nella vita cittadina partecipava sempre all’assemblea
cittadina prendendo la prola.
Ai
suoi funerali affluirono genti da tutta la Sicilia e nel suo funerale, secondo
il racconto di Plutarco, un tale Demetrio prese la parola e con voce potente
lesse da un manoscritto un decreto che recitava:
Nel
trattato gli stessi cartaginesi riconoscevano l’indipendenza di tutte le città
greche ad oriente del fiume. S’impegnavano ad astenersi da qualsiasi alleanza
con eventuali tiranni della zona greca e
ogni cittadino greco della provincia cartaginese, se lo avesse desiderato, era
libero di trasferirsi a Siracusa.
I
tiranni ancora in guerra erano ormai isolati e per Timoleonte fu facile
sconfiggere Mamerco di Katana e Ippone di Messana che vennero giustiziati.
Mamerco fu crocifisso mentre Ippone fu torturato a morte nel teatro di Messana
davanti a numerosi spettatori fra cui alcuni adolescenti che erano stati
condotti nel teatro dalle vicine scuole.
Al
tiranno Andromaco, che aveva appoggiato Timoleonte sin dal momento in cui era
giunto in Sicilia, gli fu concesso di
restare a capo della città di Tauromenio.
Da
non dimenticare nell’opera sociale politica di Timoleonte anche l’adozione
della costituzione siracusana. Si dovrebbe parlare all’infinito sull’importanza
di questo condottiero morto tra il 337 ed il 336 a.C.
Timoleonte,
ormai padrone di Siracusa, con grande impegno cercò di ricostruire l’antica
immagine della città rispondendo alle istanze popolari.
Una
città che mostrava evidenti segni di crisi economica e demografica a causa
delle guerre civili e dell’occupazione cartaginese.
Per
rimediare allo spopolamento Timoleonte promosse una serie di bandi di
colonizzazione. Furono circa 60.000 le
unità che affluirono da tutto il mondo greco per ripopolare Siracusa e tra
questi c’era anche un profugo da Terme (città sorta dopo la distruzione di
Himera), il giovane Agatocle, che sarà il futuro tiranno.
L’apporto umano fu notevole soprattutto per lo
sviluppo agricolo e fu testimoniato anche dai ritrovamenti archeologici del
periodo che sembrano testimoniare delle cifre al rialzo.
Cercò
di fronteggiare la crisi economica con un opera di redistribuzione della chora,
cioè del territorio della polis con vendita a condizioni agevolate di immobili
demaniali e con sussidi ai meno abbienti.
Ad
eccezione della statua di Gelone, mise all’asta le statue dei vecchi tiranni
per avere dei fondi con cui finanziare la guerra ai cartaginesi.
La
sua opera fu fondamentale nella rinascita della città anche nel campo
dell’edilizia monumentale e sociale
favorendo anche le classi meno abbienti.
Alla
fine della sua vita ebbe dei gravi problemi alla vista e si ritirò a vita
privata non facendo ritorno a Corinto ma
rimanendo a Siracusa. Si narra che ormai cieco, quando si presentavano dei
problemi da affrontare nella vita cittadina partecipava sempre all’assemblea
cittadina prendendo la prola.
Ai
suoi funerali affluirono genti da tutta la Sicilia e nel suo funerale, secondo
il racconto di Plutarco, un tale Demetrio prese la parola e con voce potente
lesse da un manoscritto un decreto che recitava:
«Il popolo di
Siracusa qui onora il rito funebre di Timoleonte, figlio di Timodemo, di
Corinto, con duecento mine, e lo riverisce in eterno con gare musicali,
equestri, ginniche; egli infatti cacciò via i tiranni, vinse i barbari in
guerra, restaurò la grandezza delle città devastate e ridiede ai Sicelioti le
loro leggi”
«ὁ δῆμος ὁ
Συρακουσίων Τιμολέοντα Τιμοδήμου
Κορίνθιον τόνδε θάπτει μὲν διακοσίων
μνῶν, ἐτίμησε δ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον
ἀγῶσι μουσικοῖς, ἱππικοῖς, γυμνικοῖς, ὅτι
τοὺς τυράννους καταλύσας καὶ τοὺς βαρβάρους
καταπολεμήσας καὶ τὰς μεγίστας τῶν
ἀναστάτων πόλεων οἰκίσας ἀπέδωκε τοὺς
νόμους τοῖς Σικελιώταις.”
(Plutarco, Vita
di Timoleonte, 39.5)
«Il popolo di
Siracusa qui onora il rito funebre di Timoleonte, figlio di Timodemo, di
Corinto, con duecento mine, e lo riverisce in eterno con gare musicali,
equestri, ginniche; egli infatti cacciò via i tiranni, vinse i barbari in
guerra, restaurò la grandezza delle città devastate e ridiede ai Sicelioti le
loro leggi”
«ὁ δῆμος ὁ
Συρακουσίων Τιμολέοντα Τιμοδήμου
Κορίνθιον τόνδε θάπτει μὲν διακοσίων
μνῶν, ἐτίμησε δ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον
ἀγῶσι μουσικοῖς, ἱππικοῖς, γυμνικοῖς, ὅτι
τοὺς τυράννους καταλύσας καὶ τοὺς βαρβάρους
καταπολεμήσας καὶ τὰς μεγίστας τῶν
ἀναστάτων πόλεων οἰκίσας ἀπέδωκε τοὺς
νόμους τοῖς Σικελιώταις.”
(Plutarco, Vita
di Timoleonte, 39.5)
«Il popolo di
Siracusa qui onora il rito funebre di Timoleonte, figlio di Timodemo, di
Corinto, con duecento mine, e lo riverisce in eterno con gare musicali,
equestri, ginniche; egli infatti cacciò via i tiranni, vinse i barbari in
guerra, restaurò la grandezza delle città devastate e ridiede ai Sicelioti le
loro leggi”
«ὁ δῆμος ὁ
Συρακουσίων Τιμολέοντα Τιμοδήμου
Κορίνθιον τόνδε θάπτει μὲν διακοσίων
μνῶν, ἐτίμησε δ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον
ἀγῶσι μουσικοῖς, ἱππικοῖς, γυμνικοῖς, ὅτι
τοὺς τυράννους καταλύσας καὶ τοὺς βαρβάρους
καταπολεμήσας καὶ τὰς μεγίστας τῶν
ἀναστάτων πόλεων οἰκίσας ἀπέδωκε τοὺς
νόμους τοῖς Σικελιώταις.”
(Plutarco, Vita
di Timoleonte, 39.5)
«Il popolo di
Siracusa qui onora il rito funebre di Timoleonte, figlio di Timodemo, di
Corinto, con duecento mine, e lo riverisce in eterno con gare musicali,
equestri, ginniche; egli infatti cacciò via i tiranni, vinse i barbari in
guerra, restaurò la grandezza delle città devastate e ridiede ai Sicelioti le
loro leggi”
«ὁ δῆμος ὁ
Συρακουσίων Τιμολέοντα Τιμοδήμου
Κορίνθιον τόνδε θάπτει μὲν διακοσίων
μνῶν, ἐτίμησε δ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον
ἀγῶσι μουσικοῖς, ἱππικοῖς, γυμνικοῖς, ὅτι
τοὺς τυράννους καταλύσας καὶ τοὺς βαρβάρους
καταπολεμήσας καὶ τὰς μεγίστας τῶν
ἀναστάτων πόλεων οἰκίσας ἀπέδωκε τοὺς
νόμους τοῖς Σικελιώταις.”
(Plutarco, Vita
di Timoleonte, 39.5)
«Il popolo di
Siracusa qui onora il rito funebre di Timoleonte, figlio di Timodemo, di
Corinto, con duecento mine, e lo riverisce in eterno con gare musicali,
equestri, ginniche; egli infatti cacciò via i tiranni, vinse i barbari in
guerra, restaurò la grandezza delle città devastate e ridiede ai Sicelioti le
loro leggi”
«ὁ δῆμος ὁ
Συρακουσίων Τιμολέοντα Τιμοδήμου
Κορίνθιον τόνδε θάπτει μὲν διακοσίων
μνῶν, ἐτίμησε δ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον
ἀγῶσι μουσικοῖς, ἱππικοῖς, γυμνικοῖς, ὅτι
τοὺς τυράννους καταλύσας καὶ τοὺς βαρβάρους
καταπολεμήσας καὶ τὰς μεγίστας τῶν
ἀναστάτων πόλεων οἰκίσας ἀπέδωκε τοὺς
νόμους τοῖς Σικελιώταις.”
(Plutarco, Vita
di Timoleonte, 39.5)
«Il popolo di Siracusa qui onora il rito funebre di Timoleonte, figlio di Timodemo, di Corinto, con duecento mine, e lo riverisce in eterno con gare musicali, equestri, ginniche; egli infatti cacciò via i tiranni, vinse i barbari in guerra, restaurò la grandezza delle città devastate e ridiede ai Sicelioti le loro leggi”
«ὁ δῆμος ὁ
Συρακουσίων Τιμολέοντα Τιμοδήμου
Κορίνθιον τόνδε θάπτει μὲν διακοσίων
μνῶν, ἐτίμησε δ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον
ἀγῶσι μουσικοῖς, ἱππικοῖς, γυμνικοῖς, ὅτι
τοὺς τυράννους καταλύσας καὶ τοὺς βαρβάρους
καταπολεμήσας καὶ τὰς μεγίστας τῶν
ἀναστάτων πόλεων οἰκίσας ἀπέδωκε τοὺς
νόμους τοῖς Σικελιώταις.”
(Plutarco, Vita
di Timoleonte, 39.5)
Siracusa – I
Funerali di Timoleonte
Artista: Giuseppe
Sciuti
Zafferana Etnea,
26 febbraio 1834 – Roma, 13 marzo 1911
Datazione: 1874 –
Collocazione: Galleria Arte Moderna, Palermo
Siracusa – I
Funerali di Timoleonte
Artista: Giuseppe
Sciuti
Zafferana Etnea,
26 febbraio 1834 – Roma, 13 marzo 1911
Datazione: 1874 –
Collocazione: Galleria Arte Moderna, Palermo
Siracusa – I
Funerali di Timoleonte
Artista: Giuseppe
Sciuti
Zafferana Etnea,
26 febbraio 1834 – Roma, 13 marzo 1911
Datazione: 1874 –
Collocazione: Galleria Arte Moderna, Palermo
Siracusa – I
Funerali di Timoleonte
Artista: Giuseppe
Sciuti
Zafferana Etnea,
26 febbraio 1834 – Roma, 13 marzo 1911
Datazione: 1874 –
Collocazione: Galleria Arte Moderna, Palermo
Siracusa – I
Funerali di Timoleonte
Artista: Giuseppe
Sciuti
Zafferana Etnea,
26 febbraio 1834 – Roma, 13 marzo 1911
Datazione: 1874 –
Collocazione: Galleria Arte Moderna, Palermo
Proprio
in contrada Palazzelli, in una grotta antichissima, vi era un antico bagno, che
l'allora proprietario Antonino Trovato, destinava a cantina.
Per
chiudere la grotta e collocarvi un cancello, il vecchio proprietario fece fare
delle opere di scavo.
Nel
corso di questi lavori si rinvennero numerose colonnette di marmo bianco,
"attortigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature di
circa oncia una di diametro".
Al
termine dello scavo, "profondo palmi sette siciliani", (circa 25 cm ), fu rinvenuto un
pregevole lastrico di marmo cipollino. "di bel marmo rosso e di granito
greggio, tutto messo in bella simmetria a foggia di mosaico".
Proprio
in contrada Palazzelli, in una grotta antichissima, vi era un antico bagno, che
l'allora proprietario Antonino Trovato, destinava a cantina.
Per
chiudere la grotta e collocarvi un cancello, il vecchio proprietario fece fare
delle opere di scavo.
Nel
corso di questi lavori si rinvennero numerose colonnette di marmo bianco,
"attortigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature di
circa oncia una di diametro".
Al
termine dello scavo, "profondo palmi sette siciliani", (circa 25 cm ), fu rinvenuto un
pregevole lastrico di marmo cipollino. "di bel marmo rosso e di granito
greggio, tutto messo in bella simmetria a foggia di mosaico".
Proprio
in contrada Palazzelli, in una grotta antichissima, vi era un antico bagno, che
l'allora proprietario Antonino Trovato, destinava a cantina.
Per
chiudere la grotta e collocarvi un cancello, il vecchio proprietario fece fare
delle opere di scavo.
Nel
corso di questi lavori si rinvennero numerose colonnette di marmo bianco,
"attortigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature di
circa oncia una di diametro".
Al
termine dello scavo, "profondo palmi sette siciliani", (circa 25 cm ), fu rinvenuto un
pregevole lastrico di marmo cipollino. "di bel marmo rosso e di granito
greggio, tutto messo in bella simmetria a foggia di mosaico".
Proprio
in contrada Palazzelli, in una grotta antichissima, vi era un antico bagno, che
l'allora proprietario Antonino Trovato, destinava a cantina.
Per
chiudere la grotta e collocarvi un cancello, il vecchio proprietario fece fare
delle opere di scavo.
Nel
corso di questi lavori si rinvennero numerose colonnette di marmo bianco,
"attortigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature di
circa oncia una di diametro".
Al
termine dello scavo, "profondo palmi sette siciliani", (circa 25 cm ), fu rinvenuto un
pregevole lastrico di marmo cipollino. "di bel marmo rosso e di granito
greggio, tutto messo in bella simmetria a foggia di mosaico".
Proprio
in contrada Palazzelli, in una grotta antichissima, vi era un antico bagno, che
l'allora proprietario Antonino Trovato, destinava a cantina.
Per
chiudere la grotta e collocarvi un cancello, il vecchio proprietario fece fare
delle opere di scavo.
Nel
corso di questi lavori si rinvennero numerose colonnette di marmo bianco,
"attortigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature di
circa oncia una di diametro".
Al
termine dello scavo, "profondo palmi sette siciliani", (circa 25 cm ), fu rinvenuto un
pregevole lastrico di marmo cipollino. "di bel marmo rosso e di granito
greggio, tutto messo in bella simmetria a foggia di mosaico".
Il
De Mauro fu presente al rinvenimento e riportò la sua breve relazione che
ritengo sia molto interessante anche se,
purtroppo il reperto sicuramente andò perduto..
“non
ha guari che si è a caso trovato in questa contrada un antico bagno del periodo
artistico luminoso de’ Greco-Sicoli, in piedi di una rupe (concrezione
tufaceo-calcare) assai pittoresca, sportà al meridiano, davanti ad un
antichissimo antro dei tempi trogloditici o lestrigoni, il quale dall’attuale
proprietario Antonino trovato è destinato ad uso di cantina.
Dalla
rupe spolpata onninamente di particelle di terra coltivabile, colavan le acque
pluviali, e depositavansi bell’altro, daddove introducevansi al bisogno del
bagno.
Il
cennato proprietario voendo dilatare il vano della cantina, faceva calar le
fondamenta per impiantarvi il muro di prospetto con sua porta d’ingresso.
Nel
corso di questa operazione, si rinvennero alcuni pezzi di colonnette di bel marmo
bianco, attorcigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature
di circa oncia una di diametro.
(un
oncia = 2,15 cm circa)
Uno
di quei pezzi o rottami offre l’imoscapo (estremità inferiore del fusto di una
colonna) di una delle colonnette, ed ha once otto di diametro (17 cm),
senza che vi si comprendessero le spire dello scannellamento, ed once nove (19
cm), comprendente le menzionate spire.
Altro
rottame, non lungi dal sommoscapo conveniente, ha once sei di diametro (13 cm circa),
senza che vi fossero comprese le spire, ed once sette (15 cm circa)
comprendendovi queste.
Giunti
che furono gli operai al termine della escavazione profonda palmi sette
siciliani (1,80
m)( un palmo = 25,775 cm), rinvennero un pregevole lastrico di elegantissimo
marmo cipollino, di bel marmo rosso e di granito greggio, tutto messo in bella
simmetria e foggia di mosaico.
Si
desidera che il proprietario si accingesse ad imprendere, dietro che a viva
istanza abbian cercato d’indurvelo, un’apposita escavazione, che di altronde
potrebbe costar poco, per così rinvenirsi nuovi pregi e testimonianze dello
antico lustro delle arti in Sicilia”.
Il
reperto poteva essere di epoca romana e il De Mauro non specificò se fu salvato. Dalla sua relazione sembra quasi
che il proprietario non avesse intenzione
di continuare nello scavo.
In
Contrada Cucco il De Mauro segnalò “oltre alcune monete greco-sicole in oro e in rame,
e oltre un buon numero di monete dei tempi romaneschi, sonosi recentemente
rinvenuti aquidotti di piombo e di enormi massi riquadrati. I vari rottami di
creta cotta, e sovratutto di dolii, idrie ed altri utensili”.
Il sito fu scavato negli anni trenta del secolo scorso e venne rilevata la
presenza di una villa di periodo romano con i “Resti di una fattoria il cui alzato era
realizzato in conci isodomi di grandi dimensioni”. (Che fine hanno fatto
queste ricerche ?)
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei primi decenni del sec. XVI il sito, insieme a S. Basilio, apparteneva
alla famiglia Balsamo (?).
Oggi, seppure all’interno di un agrumeto, si conservano ancora lunghi tratti di
mura, alte anche un paio di metri, costituite da grossi blocchi di pietra e in
qualche parte è possibile rilevare piccoli tratti di pavimento rosso decorato
con piccoli frammenti bianchi (?).
In
Contrada “Sirune” (Xirume), nella proprietà dell'allora barone di
Serravalle, furono rinvenute delle sepolture greco-sicule e avanzi di antiche
fabbriche “nella base occidentale antichissimi antri”
Nel
1858 nelle falde occidentali del colle furono scoperte due urne rotonde di
piombo, a poca distanza l'una dall'altra. destinate a contenere le ceneri di
personaggi importanti.
L'avidità
di coloro che fecero l'importante ritrovamento, coloni locali e "vangatori
calabresi", fece dividere l'importante reliquario in piccoli pezzi.
Una
lamina di appena "quattro pollici di larghezza e cinque di lunghezza"
era di proprietà del prete di Scordia... “A stento potei acquistarne una lamina, assai doppia,
di quattro pollici circa di larghezza e cinque di lunghezza”.
Da questa località provengono materiali preistorici, prevalentemente
castellucciani, oggi depositati al museo archeologico di Adrano ed in parte
esposti.
Successivamente sede di un casale medievale attestato fino
ai primi decenni del XV secolo
Belle
pagine di storia, forse sconosciute a tanti, dove appare anche la figura di uno
dei maggiori filosofi dell’antichità come Platone, allievo di Socrate e maestro
di Aristotele, giunto in Sicilia con la sua filosofia del “buon governo”.
Ma
sullo specifico in merito a Brikinnia sembra assodato la sua dipendenza dalla
corinzia Siracusa così come per Leontinoi, entrambe calcidesi.
Una simile tesi dovrebbe essere confermata da
indagini archeologiche mediante il rinvenimento di reperti.
Purtroppo la zona è stato oggetto di
escavazioni da parte di tombaroli, un azione ripetuta nel tempo senza alcun
intervento da parte delle autorità competenti responsabili nel presidio del
territorio. Dovrebbero essere questi piccoli e minuscoli “tombaroli” a scrivere
la pagina storica avendo avuto una
percezione diretta dei preziosi materiali ritrovati.
Prima
d’iniziare uno scavo clandestino dovrebbero avere ben in mente un epitaffio
scritto da William Shakespeare e che si trova sulla sua tomba presso la Chiesa
della Santa Trinità a Stratford in Inghilterra:
Caro
amico per amore di Gesù,
rinuncia
a cavare la polvere che qui è racchiusa.
Benedetto
colui che risparmia queste pietre,
e
maledetto chi muoverà le mie ossa”.
Parole forti... ma
quelle pietre... quei reperti.. sono Patrimonio dell’Umanità
e come tali
dovrebbero essere rispettati e valorizzati e non venduti a scopo di lucro.
Un reato che
meriterebbe la scomunica che d’altra parte è ancora oggi in
vigore per i
piromani.
Il
De Mauro fu presente al rinvenimento e riportò la sua breve relazione che
ritengo sia molto interessante anche se,
purtroppo il reperto sicuramente andò perduto..
“non
ha guari che si è a caso trovato in questa contrada un antico bagno del periodo
artistico luminoso de’ Greco-Sicoli, in piedi di una rupe (concrezione
tufaceo-calcare) assai pittoresca, sportà al meridiano, davanti ad un
antichissimo antro dei tempi trogloditici o lestrigoni, il quale dall’attuale
proprietario Antonino trovato è destinato ad uso di cantina.
Dalla
rupe spolpata onninamente di particelle di terra coltivabile, colavan le acque
pluviali, e depositavansi bell’altro, daddove introducevansi al bisogno del
bagno.
Il
cennato proprietario voendo dilatare il vano della cantina, faceva calar le
fondamenta per impiantarvi il muro di prospetto con sua porta d’ingresso.
Nel
corso di questa operazione, si rinvennero alcuni pezzi di colonnette di bel marmo
bianco, attorcigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature
di circa oncia una di diametro.
(un
oncia = 2,15 cm circa)
Uno
di quei pezzi o rottami offre l’imoscapo (estremità inferiore del fusto di una
colonna) di una delle colonnette, ed ha once otto di diametro (17 cm),
senza che vi si comprendessero le spire dello scannellamento, ed once nove (19
cm), comprendente le menzionate spire.
Altro
rottame, non lungi dal sommoscapo conveniente, ha once sei di diametro (13 cm circa),
senza che vi fossero comprese le spire, ed once sette (15 cm circa)
comprendendovi queste.
Giunti
che furono gli operai al termine della escavazione profonda palmi sette
siciliani (1,80
m)( un palmo = 25,775 cm), rinvennero un pregevole lastrico di elegantissimo
marmo cipollino, di bel marmo rosso e di granito greggio, tutto messo in bella
simmetria e foggia di mosaico.
Si
desidera che il proprietario si accingesse ad imprendere, dietro che a viva
istanza abbian cercato d’indurvelo, un’apposita escavazione, che di altronde
potrebbe costar poco, per così rinvenirsi nuovi pregi e testimonianze dello
antico lustro delle arti in Sicilia”.
Il
reperto poteva essere di epoca romana e il De Mauro non specificò se fu salvato. Dalla sua relazione sembra quasi
che il proprietario non avesse intenzione
di continuare nello scavo.
In
Contrada Cucco il De Mauro segnalò “oltre alcune monete greco-sicole in oro e in rame,
e oltre un buon numero di monete dei tempi romaneschi, sonosi recentemente
rinvenuti aquidotti di piombo e di enormi massi riquadrati. I vari rottami di
creta cotta, e sovratutto di dolii, idrie ed altri utensili”.
Il sito fu scavato negli anni trenta del secolo scorso e venne rilevata la
presenza di una villa di periodo romano con i “Resti di una fattoria il cui alzato era
realizzato in conci isodomi di grandi dimensioni”. (Che fine hanno fatto
queste ricerche ?)
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei primi decenni del sec. XVI il sito, insieme a S. Basilio, apparteneva
alla famiglia Balsamo (?).
Oggi, seppure all’interno di un agrumeto, si conservano ancora lunghi tratti di
mura, alte anche un paio di metri, costituite da grossi blocchi di pietra e in
qualche parte è possibile rilevare piccoli tratti di pavimento rosso decorato
con piccoli frammenti bianchi (?).
In
Contrada “Sirune” (Xirume), nella proprietà dell'allora barone di
Serravalle, furono rinvenute delle sepolture greco-sicule e avanzi di antiche
fabbriche “nella base occidentale antichissimi antri”
Nel
1858 nelle falde occidentali del colle furono scoperte due urne rotonde di
piombo, a poca distanza l'una dall'altra. destinate a contenere le ceneri di
personaggi importanti.
L'avidità
di coloro che fecero l'importante ritrovamento, coloni locali e "vangatori
calabresi", fece dividere l'importante reliquario in piccoli pezzi.
Una
lamina di appena "quattro pollici di larghezza e cinque di lunghezza"
era di proprietà del prete di Scordia... “A stento potei acquistarne una lamina, assai doppia,
di quattro pollici circa di larghezza e cinque di lunghezza”.
Da questa località provengono materiali preistorici, prevalentemente
castellucciani, oggi depositati al museo archeologico di Adrano ed in parte
esposti.
Successivamente sede di un casale medievale attestato fino
ai primi decenni del XV secolo
Belle
pagine di storia, forse sconosciute a tanti, dove appare anche la figura di uno
dei maggiori filosofi dell’antichità come Platone, allievo di Socrate e maestro
di Aristotele, giunto in Sicilia con la sua filosofia del “buon governo”.
Ma
sullo specifico in merito a Brikinnia sembra assodato la sua dipendenza dalla
corinzia Siracusa così come per Leontinoi, entrambe calcidesi.
Una simile tesi dovrebbe essere confermata da
indagini archeologiche mediante il rinvenimento di reperti.
Purtroppo la zona è stato oggetto di
escavazioni da parte di tombaroli, un azione ripetuta nel tempo senza alcun
intervento da parte delle autorità competenti responsabili nel presidio del
territorio. Dovrebbero essere questi piccoli e minuscoli “tombaroli” a scrivere
la pagina storica avendo avuto una
percezione diretta dei preziosi materiali ritrovati.
Prima
d’iniziare uno scavo clandestino dovrebbero avere ben in mente un epitaffio
scritto da William Shakespeare e che si trova sulla sua tomba presso la Chiesa
della Santa Trinità a Stratford in Inghilterra:
Caro
amico per amore di Gesù,
rinuncia
a cavare la polvere che qui è racchiusa.
Benedetto
colui che risparmia queste pietre,
e
maledetto chi muoverà le mie ossa”.
Parole forti... ma
quelle pietre... quei reperti.. sono Patrimonio dell’Umanità
e come tali
dovrebbero essere rispettati e valorizzati e non venduti a scopo di lucro.
Un reato che
meriterebbe la scomunica che d’altra parte è ancora oggi in
vigore per i
piromani.
Il
De Mauro fu presente al rinvenimento e riportò la sua breve relazione che
ritengo sia molto interessante anche se,
purtroppo il reperto sicuramente andò perduto..
“non
ha guari che si è a caso trovato in questa contrada un antico bagno del periodo
artistico luminoso de’ Greco-Sicoli, in piedi di una rupe (concrezione
tufaceo-calcare) assai pittoresca, sportà al meridiano, davanti ad un
antichissimo antro dei tempi trogloditici o lestrigoni, il quale dall’attuale
proprietario Antonino trovato è destinato ad uso di cantina.
Dalla
rupe spolpata onninamente di particelle di terra coltivabile, colavan le acque
pluviali, e depositavansi bell’altro, daddove introducevansi al bisogno del
bagno.
Il
cennato proprietario voendo dilatare il vano della cantina, faceva calar le
fondamenta per impiantarvi il muro di prospetto con sua porta d’ingresso.
Nel
corso di questa operazione, si rinvennero alcuni pezzi di colonnette di bel marmo
bianco, attorcigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature
di circa oncia una di diametro.
(un
oncia = 2,15 cm circa)
Uno
di quei pezzi o rottami offre l’imoscapo (estremità inferiore del fusto di una
colonna) di una delle colonnette, ed ha once otto di diametro (17 cm),
senza che vi si comprendessero le spire dello scannellamento, ed once nove (19
cm), comprendente le menzionate spire.
Altro
rottame, non lungi dal sommoscapo conveniente, ha once sei di diametro (13 cm circa),
senza che vi fossero comprese le spire, ed once sette (15 cm circa)
comprendendovi queste.
Giunti
che furono gli operai al termine della escavazione profonda palmi sette
siciliani (1,80
m)( un palmo = 25,775 cm), rinvennero un pregevole lastrico di elegantissimo
marmo cipollino, di bel marmo rosso e di granito greggio, tutto messo in bella
simmetria e foggia di mosaico.
Si
desidera che il proprietario si accingesse ad imprendere, dietro che a viva
istanza abbian cercato d’indurvelo, un’apposita escavazione, che di altronde
potrebbe costar poco, per così rinvenirsi nuovi pregi e testimonianze dello
antico lustro delle arti in Sicilia”.
Il
reperto poteva essere di epoca romana e il De Mauro non specificò se fu salvato. Dalla sua relazione sembra quasi
che il proprietario non avesse intenzione
di continuare nello scavo.
In
Contrada Cucco il De Mauro segnalò “oltre alcune monete greco-sicole in oro e in rame,
e oltre un buon numero di monete dei tempi romaneschi, sonosi recentemente
rinvenuti aquidotti di piombo e di enormi massi riquadrati. I vari rottami di
creta cotta, e sovratutto di dolii, idrie ed altri utensili”.
Il sito fu scavato negli anni trenta del secolo scorso e venne rilevata la
presenza di una villa di periodo romano con i “Resti di una fattoria il cui alzato era
realizzato in conci isodomi di grandi dimensioni”. (Che fine hanno fatto
queste ricerche ?)
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei primi decenni del sec. XVI il sito, insieme a S. Basilio, apparteneva
alla famiglia Balsamo (?).
Oggi, seppure all’interno di un agrumeto, si conservano ancora lunghi tratti di
mura, alte anche un paio di metri, costituite da grossi blocchi di pietra e in
qualche parte è possibile rilevare piccoli tratti di pavimento rosso decorato
con piccoli frammenti bianchi (?).
In
Contrada “Sirune” (Xirume), nella proprietà dell'allora barone di
Serravalle, furono rinvenute delle sepolture greco-sicule e avanzi di antiche
fabbriche “nella base occidentale antichissimi antri”
Nel
1858 nelle falde occidentali del colle furono scoperte due urne rotonde di
piombo, a poca distanza l'una dall'altra. destinate a contenere le ceneri di
personaggi importanti.
L'avidità
di coloro che fecero l'importante ritrovamento, coloni locali e "vangatori
calabresi", fece dividere l'importante reliquario in piccoli pezzi.
Una
lamina di appena "quattro pollici di larghezza e cinque di lunghezza"
era di proprietà del prete di Scordia... “A stento potei acquistarne una lamina, assai doppia,
di quattro pollici circa di larghezza e cinque di lunghezza”.
Da questa località provengono materiali preistorici, prevalentemente
castellucciani, oggi depositati al museo archeologico di Adrano ed in parte
esposti.
Successivamente sede di un casale medievale attestato fino
ai primi decenni del XV secolo
Belle
pagine di storia, forse sconosciute a tanti, dove appare anche la figura di uno
dei maggiori filosofi dell’antichità come Platone, allievo di Socrate e maestro
di Aristotele, giunto in Sicilia con la sua filosofia del “buon governo”.
Ma
sullo specifico in merito a Brikinnia sembra assodato la sua dipendenza dalla
corinzia Siracusa così come per Leontinoi, entrambe calcidesi.
Una simile tesi dovrebbe essere confermata da
indagini archeologiche mediante il rinvenimento di reperti.
Purtroppo la zona è stato oggetto di
escavazioni da parte di tombaroli, un azione ripetuta nel tempo senza alcun
intervento da parte delle autorità competenti responsabili nel presidio del
territorio. Dovrebbero essere questi piccoli e minuscoli “tombaroli” a scrivere
la pagina storica avendo avuto una
percezione diretta dei preziosi materiali ritrovati.
Prima
d’iniziare uno scavo clandestino dovrebbero avere ben in mente un epitaffio
scritto da William Shakespeare e che si trova sulla sua tomba presso la Chiesa
della Santa Trinità a Stratford in Inghilterra:
Caro
amico per amore di Gesù,
rinuncia
a cavare la polvere che qui è racchiusa.
Benedetto
colui che risparmia queste pietre,
e
maledetto chi muoverà le mie ossa”.
Parole forti... ma
quelle pietre... quei reperti.. sono Patrimonio dell’Umanità
e come tali
dovrebbero essere rispettati e valorizzati e non venduti a scopo di lucro.
Un reato che
meriterebbe la scomunica che d’altra parte è ancora oggi in
vigore per i
piromani.
Il
De Mauro fu presente al rinvenimento e riportò la sua breve relazione che
ritengo sia molto interessante anche se,
purtroppo il reperto sicuramente andò perduto..
“non
ha guari che si è a caso trovato in questa contrada un antico bagno del periodo
artistico luminoso de’ Greco-Sicoli, in piedi di una rupe (concrezione
tufaceo-calcare) assai pittoresca, sportà al meridiano, davanti ad un
antichissimo antro dei tempi trogloditici o lestrigoni, il quale dall’attuale
proprietario Antonino trovato è destinato ad uso di cantina.
Dalla
rupe spolpata onninamente di particelle di terra coltivabile, colavan le acque
pluviali, e depositavansi bell’altro, daddove introducevansi al bisogno del
bagno.
Il
cennato proprietario voendo dilatare il vano della cantina, faceva calar le
fondamenta per impiantarvi il muro di prospetto con sua porta d’ingresso.
Nel
corso di questa operazione, si rinvennero alcuni pezzi di colonnette di bel marmo
bianco, attorcigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature
di circa oncia una di diametro.
(un
oncia = 2,15 cm circa)
Uno
di quei pezzi o rottami offre l’imoscapo (estremità inferiore del fusto di una
colonna) di una delle colonnette, ed ha once otto di diametro (17 cm),
senza che vi si comprendessero le spire dello scannellamento, ed once nove (19
cm), comprendente le menzionate spire.
Altro
rottame, non lungi dal sommoscapo conveniente, ha once sei di diametro (13 cm circa),
senza che vi fossero comprese le spire, ed once sette (15 cm circa)
comprendendovi queste.
Giunti
che furono gli operai al termine della escavazione profonda palmi sette
siciliani (1,80
m)( un palmo = 25,775 cm), rinvennero un pregevole lastrico di elegantissimo
marmo cipollino, di bel marmo rosso e di granito greggio, tutto messo in bella
simmetria e foggia di mosaico.
Si
desidera che il proprietario si accingesse ad imprendere, dietro che a viva
istanza abbian cercato d’indurvelo, un’apposita escavazione, che di altronde
potrebbe costar poco, per così rinvenirsi nuovi pregi e testimonianze dello
antico lustro delle arti in Sicilia”.
Il
reperto poteva essere di epoca romana e il De Mauro non specificò se fu salvato. Dalla sua relazione sembra quasi
che il proprietario non avesse intenzione
di continuare nello scavo.
In
Contrada Cucco il De Mauro segnalò “oltre alcune monete greco-sicole in oro e in rame,
e oltre un buon numero di monete dei tempi romaneschi, sonosi recentemente
rinvenuti aquidotti di piombo e di enormi massi riquadrati. I vari rottami di
creta cotta, e sovratutto di dolii, idrie ed altri utensili”.
Il sito fu scavato negli anni trenta del secolo scorso e venne rilevata la
presenza di una villa di periodo romano con i “Resti di una fattoria il cui alzato era
realizzato in conci isodomi di grandi dimensioni”. (Che fine hanno fatto
queste ricerche ?)
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei primi decenni del sec. XVI il sito, insieme a S. Basilio, apparteneva
alla famiglia Balsamo (?).
Oggi, seppure all’interno di un agrumeto, si conservano ancora lunghi tratti di
mura, alte anche un paio di metri, costituite da grossi blocchi di pietra e in
qualche parte è possibile rilevare piccoli tratti di pavimento rosso decorato
con piccoli frammenti bianchi (?).
In
Contrada “Sirune” (Xirume), nella proprietà dell'allora barone di
Serravalle, furono rinvenute delle sepolture greco-sicule e avanzi di antiche
fabbriche “nella base occidentale antichissimi antri”
Nel
1858 nelle falde occidentali del colle furono scoperte due urne rotonde di
piombo, a poca distanza l'una dall'altra. destinate a contenere le ceneri di
personaggi importanti.
L'avidità
di coloro che fecero l'importante ritrovamento, coloni locali e "vangatori
calabresi", fece dividere l'importante reliquario in piccoli pezzi.
Una
lamina di appena "quattro pollici di larghezza e cinque di lunghezza"
era di proprietà del prete di Scordia... “A stento potei acquistarne una lamina, assai doppia,
di quattro pollici circa di larghezza e cinque di lunghezza”.
Da questa località provengono materiali preistorici, prevalentemente
castellucciani, oggi depositati al museo archeologico di Adrano ed in parte
esposti.
Successivamente sede di un casale medievale attestato fino
ai primi decenni del XV secolo
Belle
pagine di storia, forse sconosciute a tanti, dove appare anche la figura di uno
dei maggiori filosofi dell’antichità come Platone, allievo di Socrate e maestro
di Aristotele, giunto in Sicilia con la sua filosofia del “buon governo”.
Ma
sullo specifico in merito a Brikinnia sembra assodato la sua dipendenza dalla
corinzia Siracusa così come per Leontinoi, entrambe calcidesi.
Una simile tesi dovrebbe essere confermata da
indagini archeologiche mediante il rinvenimento di reperti.
Purtroppo la zona è stato oggetto di
escavazioni da parte di tombaroli, un azione ripetuta nel tempo senza alcun
intervento da parte delle autorità competenti responsabili nel presidio del
territorio. Dovrebbero essere questi piccoli e minuscoli “tombaroli” a scrivere
la pagina storica avendo avuto una
percezione diretta dei preziosi materiali ritrovati.
Prima
d’iniziare uno scavo clandestino dovrebbero avere ben in mente un epitaffio
scritto da William Shakespeare e che si trova sulla sua tomba presso la Chiesa
della Santa Trinità a Stratford in Inghilterra:
Caro
amico per amore di Gesù,
rinuncia
a cavare la polvere che qui è racchiusa.
Benedetto
colui che risparmia queste pietre,
e
maledetto chi muoverà le mie ossa”.
Parole forti... ma
quelle pietre... quei reperti.. sono Patrimonio dell’Umanità
e come tali
dovrebbero essere rispettati e valorizzati e non venduti a scopo di lucro.
Un reato che
meriterebbe la scomunica che d’altra parte è ancora oggi in
vigore per i
piromani.
Il
De Mauro fu presente al rinvenimento e riportò la sua breve relazione che
ritengo sia molto interessante anche se,
purtroppo il reperto sicuramente andò perduto..
“non
ha guari che si è a caso trovato in questa contrada un antico bagno del periodo
artistico luminoso de’ Greco-Sicoli, in piedi di una rupe (concrezione
tufaceo-calcare) assai pittoresca, sportà al meridiano, davanti ad un
antichissimo antro dei tempi trogloditici o lestrigoni, il quale dall’attuale
proprietario Antonino trovato è destinato ad uso di cantina.
Dalla
rupe spolpata onninamente di particelle di terra coltivabile, colavan le acque
pluviali, e depositavansi bell’altro, daddove introducevansi al bisogno del
bagno.
Il
cennato proprietario voendo dilatare il vano della cantina, faceva calar le
fondamenta per impiantarvi il muro di prospetto con sua porta d’ingresso.
Nel
corso di questa operazione, si rinvennero alcuni pezzi di colonnette di bel marmo
bianco, attorcigliate nella loro superficie di spire con cavette o scanalature
di circa oncia una di diametro.
(un
oncia = 2,15 cm circa)
Uno
di quei pezzi o rottami offre l’imoscapo (estremità inferiore del fusto di una
colonna) di una delle colonnette, ed ha once otto di diametro (17 cm),
senza che vi si comprendessero le spire dello scannellamento, ed once nove (19
cm), comprendente le menzionate spire.
Altro
rottame, non lungi dal sommoscapo conveniente, ha once sei di diametro (13 cm circa),
senza che vi fossero comprese le spire, ed once sette (15 cm circa)
comprendendovi queste.
Giunti
che furono gli operai al termine della escavazione profonda palmi sette
siciliani (1,80
m)( un palmo = 25,775 cm), rinvennero un pregevole lastrico di elegantissimo
marmo cipollino, di bel marmo rosso e di granito greggio, tutto messo in bella
simmetria e foggia di mosaico.
Si
desidera che il proprietario si accingesse ad imprendere, dietro che a viva
istanza abbian cercato d’indurvelo, un’apposita escavazione, che di altronde
potrebbe costar poco, per così rinvenirsi nuovi pregi e testimonianze dello
antico lustro delle arti in Sicilia”.
Il
reperto poteva essere di epoca romana e il De Mauro non specificò se fu salvato. Dalla sua relazione sembra quasi
che il proprietario non avesse intenzione
di continuare nello scavo.
In
Contrada Cucco il De Mauro segnalò “oltre alcune monete greco-sicole in oro e in rame,
e oltre un buon numero di monete dei tempi romaneschi, sonosi recentemente
rinvenuti aquidotti di piombo e di enormi massi riquadrati. I vari rottami di
creta cotta, e sovratutto di dolii, idrie ed altri utensili”.
Il sito fu scavato negli anni trenta del secolo scorso e venne rilevata la
presenza di una villa di periodo romano con i “Resti di una fattoria il cui alzato era
realizzato in conci isodomi di grandi dimensioni”. (Che fine hanno fatto
queste ricerche ?)
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei pressi si rinvennero frammenti di ceramica databili tra il I ed il II
secolo d.C.
Nei primi decenni del sec. XVI il sito, insieme a S. Basilio, apparteneva
alla famiglia Balsamo (?).
Oggi, seppure all’interno di un agrumeto, si conservano ancora lunghi tratti di
mura, alte anche un paio di metri, costituite da grossi blocchi di pietra e in
qualche parte è possibile rilevare piccoli tratti di pavimento rosso decorato
con piccoli frammenti bianchi (?).
In
Contrada “Sirune” (Xirume), nella proprietà dell'allora barone di
Serravalle, furono rinvenute delle sepolture greco-sicule e avanzi di antiche
fabbriche “nella base occidentale antichissimi antri”
Nel
1858 nelle falde occidentali del colle furono scoperte due urne rotonde di
piombo, a poca distanza l'una dall'altra. destinate a contenere le ceneri di
personaggi importanti.
L'avidità
di coloro che fecero l'importante ritrovamento, coloni locali e "vangatori
calabresi", fece dividere l'importante reliquario in piccoli pezzi.
Una
lamina di appena "quattro pollici di larghezza e cinque di lunghezza"
era di proprietà del prete di Scordia... “A stento potei acquistarne una lamina, assai doppia,
di quattro pollici circa di larghezza e cinque di lunghezza”.
Da questa località provengono materiali preistorici, prevalentemente
castellucciani, oggi depositati al museo archeologico di Adrano ed in parte
esposti.
Successivamente sede di un casale medievale attestato fino
ai primi decenni del XV secolo
Belle
pagine di storia, forse sconosciute a tanti, dove appare anche la figura di uno
dei maggiori filosofi dell’antichità come Platone, allievo di Socrate e maestro
di Aristotele, giunto in Sicilia con la sua filosofia del “buon governo”.
Ma
sullo specifico in merito a Brikinnia sembra assodato la sua dipendenza dalla
corinzia Siracusa così come per Leontinoi, entrambe calcidesi.
Una simile tesi dovrebbe essere confermata da
indagini archeologiche mediante il rinvenimento di reperti.
Purtroppo la zona è stato oggetto di
escavazioni da parte di tombaroli, un azione ripetuta nel tempo senza alcun
intervento da parte delle autorità competenti responsabili nel presidio del
territorio. Dovrebbero essere questi piccoli e minuscoli “tombaroli” a scrivere
la pagina storica avendo avuto una
percezione diretta dei preziosi materiali ritrovati.
Prima
d’iniziare uno scavo clandestino dovrebbero avere ben in mente un epitaffio
scritto da William Shakespeare e che si trova sulla sua tomba presso la Chiesa
della Santa Trinità a Stratford in Inghilterra:
Caro
amico per amore di Gesù,
rinuncia
a cavare la polvere che qui è racchiusa.
Benedetto
colui che risparmia queste pietre,
e
maledetto chi muoverà le mie ossa”.
Parole forti... ma
quelle pietre... quei reperti.. sono Patrimonio dell’Umanità
e come tali
dovrebbero essere rispettati e valorizzati e non venduti a scopo di lucro.
Un reato che
meriterebbe la scomunica che d’altra parte è ancora oggi in
vigore per i
piromani.
..............................
Di
Agatocle (tiranno di Siracusa dal 317/316 a.C. e basileus di Sicilia dal
307/304 a.C. fino alla morte avvenuta nel 289 a.C.)...” mi è toccato di
vederne due”.
“La
prima d’oro col capo di Proserpina (Artemide ?) nel dritto, e l’epigrafe aiay Vergine, nel
rovescio la Vittoria che orna un trofeo, e al basso dell’esergo AIAƟOKAEOƩ BAƩIAEƟƩ
di Agatocle.
..............................
Di
Agatocle (tiranno di Siracusa dal 317/316 a.C. e basileus di Sicilia dal
307/304 a.C. fino alla morte avvenuta nel 289 a.C.)...” mi è toccato di
vederne due”.
“La
prima d’oro col capo di Proserpina (Artemide ?) nel dritto, e l’epigrafe aiay Vergine, nel
rovescio la Vittoria che orna un trofeo, e al basso dell’esergo AIAƟOKAEOƩ BAƩIAEƟƩ
di Agatocle.
..............................
Di
Agatocle (tiranno di Siracusa dal 317/316 a.C. e basileus di Sicilia dal
307/304 a.C. fino alla morte avvenuta nel 289 a.C.)...” mi è toccato di
vederne due”.
“La
prima d’oro col capo di Proserpina (Artemide ?) nel dritto, e l’epigrafe aiay Vergine, nel
rovescio la Vittoria che orna un trofeo, e al basso dell’esergo AIAƟOKAEOƩ BAƩIAEƟƩ
di Agatocle.
..............................
Di
Agatocle (tiranno di Siracusa dal 317/316 a.C. e basileus di Sicilia dal
307/304 a.C. fino alla morte avvenuta nel 289 a.C.)...” mi è toccato di
vederne due”.
“La
prima d’oro col capo di Proserpina (Artemide ?) nel dritto, e l’epigrafe aiay Vergine, nel
rovescio la Vittoria che orna un trofeo, e al basso dell’esergo AIAƟOKAEOƩ BAƩIAEƟƩ
di Agatocle.
..............................
Di
Agatocle (tiranno di Siracusa dal 317/316 a.C. e basileus di Sicilia dal
307/304 a.C. fino alla morte avvenuta nel 289 a.C.)...” mi è toccato di
vederne due”.
“La
prima d’oro col capo di Proserpina (Artemide ?) nel dritto, e l’epigrafe aiay Vergine, nel
rovescio la Vittoria che orna un trofeo, e al basso dell’esergo AIAƟOKAEOƩ BAƩIAEƟƩ
di Agatocle.
La
seconda moneta “è di bronzo col capo giovanile di Apollo a profilo coronato
di alloro e la leggenda ΔIOƩ EAAANIOY,
Dei dei Greci.
Nel
rovescio l’aquila con il fulmine, simbolo di celerità e di potenza, è cinta
dalle lettere ƩIPAKAI’AƟOKAE
Morto
Timoleonte salì al potere Agatocle che subito riuscì ad estendere il suo
“orrido dominio” sull’isola riprendendo il governo di tutte quelle città e
centri che sotto Dionisio II “Il Giovane”, a causa del suo malgoverno, avevano
riacquistato la libertà.
La
seconda moneta “è di bronzo col capo giovanile di Apollo a profilo coronato
di alloro e la leggenda ΔIOƩ EAAANIOY,
Dei dei Greci.
Nel
rovescio l’aquila con il fulmine, simbolo di celerità e di potenza, è cinta
dalle lettere ƩIPAKAI’AƟOKAE
Morto
Timoleonte salì al potere Agatocle che subito riuscì ad estendere il suo
“orrido dominio” sull’isola riprendendo il governo di tutte quelle città e
centri che sotto Dionisio II “Il Giovane”, a causa del suo malgoverno, avevano
riacquistato la libertà.
La
seconda moneta “è di bronzo col capo giovanile di Apollo a profilo coronato
di alloro e la leggenda ΔIOƩ EAAANIOY,
Dei dei Greci.
Nel
rovescio l’aquila con il fulmine, simbolo di celerità e di potenza, è cinta
dalle lettere ƩIPAKAI’AƟOKAE
Morto
Timoleonte salì al potere Agatocle che subito riuscì ad estendere il suo
“orrido dominio” sull’isola riprendendo il governo di tutte quelle città e
centri che sotto Dionisio II “Il Giovane”, a causa del suo malgoverno, avevano
riacquistato la libertà.
La
seconda moneta “è di bronzo col capo giovanile di Apollo a profilo coronato
di alloro e la leggenda ΔIOƩ EAAANIOY,
Dei dei Greci.
Nel
rovescio l’aquila con il fulmine, simbolo di celerità e di potenza, è cinta
dalle lettere ƩIPAKAI’AƟOKAE
Morto
Timoleonte salì al potere Agatocle che subito riuscì ad estendere il suo
“orrido dominio” sull’isola riprendendo il governo di tutte quelle città e
centri che sotto Dionisio II “Il Giovane”, a causa del suo malgoverno, avevano
riacquistato la libertà.
La
seconda moneta “è di bronzo col capo giovanile di Apollo a profilo coronato
di alloro e la leggenda ΔIOƩ EAAANIOY,
Dei dei Greci.
Nel
rovescio l’aquila con il fulmine, simbolo di celerità e di potenza, è cinta
dalle lettere ƩIPAKAI’AƟOKAE
Morto
Timoleonte salì al potere Agatocle che subito riuscì ad estendere il suo
“orrido dominio” sull’isola riprendendo il governo di tutte quelle città e
centri che sotto Dionisio II “Il Giovane”, a causa del suo malgoverno, avevano
riacquistato la libertà.
Agatocle
Incisione su rame
del XVIII secolo
Agatocle
Incisione su rame
del XVIII secolo
Agatocle
Incisione su rame
del XVIII secolo
Agatocle
Incisione su rame
del XVIII secolo
Incisione su rame del XVIII secolo
Agatocle
stipulò un trattato di pace con i cartaginesi con il quale si stabiliva che “tutte
le città dipendenti da Siracusa dovessero governarsi colle proprie leggi”.Ma
era solo una falsa promessa perché ben presto Agatocle violò il trattato di
pace portando la guerra sin nel centro dell’isola e in due anni di ripetuti
scontri riuscì a riportare le città greche sotto il suo dominio. Quella libertà
che aveva avuto da Timoleonte, sinonimo di sviluppo sociale e culturale, s’era
nuovamente perduta sotto un nuovo tiranno.Anche
Brikinnia subì gli effetti della guerra
portata all’ambizione del tiranno al comando di un esercito “depredatore”.Il
tiranno subì la controffensiva cartaginese e fu sconfitto da Amilcare, figlio
di Giscone, nei campi d’Imera.Leonzio
e la sua colonia Brikinnia, Katana, Tauromenio, Abaceno e Messana dovettero a
malincuore sottomettersi ai Cartaginesi.Un
buon numero di monete punico-sicule attestano questa presenza cartaginese sia
sul Monte Basilio che nei dintorni. Sono di bronzo e presentano uno stile “originale
e forbito, proprio di quell’epoca memorabile per artistica eleganza, con capo
di donna inghirlandato di foglie di canna o di altra pianta palustre, il quale
da alcuni vuolsi di Venere, o di Teti moglie dell’Oceano, e da alcuni altri di
Giunone o di altra particolare deità dei Punici; e nel rovescio con il tipo del
cavallo intero, e dietro a questo quello della palma fruttifera”.
Agatocle
stipulò un trattato di pace con i cartaginesi con il quale si stabiliva che “tutte
le città dipendenti da Siracusa dovessero governarsi colle proprie leggi”.Ma
era solo una falsa promessa perché ben presto Agatocle violò il trattato di
pace portando la guerra sin nel centro dell’isola e in due anni di ripetuti
scontri riuscì a riportare le città greche sotto il suo dominio. Quella libertà
che aveva avuto da Timoleonte, sinonimo di sviluppo sociale e culturale, s’era
nuovamente perduta sotto un nuovo tiranno.Anche
Brikinnia subì gli effetti della guerra
portata all’ambizione del tiranno al comando di un esercito “depredatore”.Il
tiranno subì la controffensiva cartaginese e fu sconfitto da Amilcare, figlio
di Giscone, nei campi d’Imera.Leonzio
e la sua colonia Brikinnia, Katana, Tauromenio, Abaceno e Messana dovettero a
malincuore sottomettersi ai Cartaginesi.Un
buon numero di monete punico-sicule attestano questa presenza cartaginese sia
sul Monte Basilio che nei dintorni. Sono di bronzo e presentano uno stile “originale
e forbito, proprio di quell’epoca memorabile per artistica eleganza, con capo
di donna inghirlandato di foglie di canna o di altra pianta palustre, il quale
da alcuni vuolsi di Venere, o di Teti moglie dell’Oceano, e da alcuni altri di
Giunone o di altra particolare deità dei Punici; e nel rovescio con il tipo del
cavallo intero, e dietro a questo quello della palma fruttifera”.
Agatocle
stipulò un trattato di pace con i cartaginesi con il quale si stabiliva che “tutte
le città dipendenti da Siracusa dovessero governarsi colle proprie leggi”.Ma
era solo una falsa promessa perché ben presto Agatocle violò il trattato di
pace portando la guerra sin nel centro dell’isola e in due anni di ripetuti
scontri riuscì a riportare le città greche sotto il suo dominio. Quella libertà
che aveva avuto da Timoleonte, sinonimo di sviluppo sociale e culturale, s’era
nuovamente perduta sotto un nuovo tiranno.Anche
Brikinnia subì gli effetti della guerra
portata all’ambizione del tiranno al comando di un esercito “depredatore”.Il
tiranno subì la controffensiva cartaginese e fu sconfitto da Amilcare, figlio
di Giscone, nei campi d’Imera.Leonzio
e la sua colonia Brikinnia, Katana, Tauromenio, Abaceno e Messana dovettero a
malincuore sottomettersi ai Cartaginesi.Un
buon numero di monete punico-sicule attestano questa presenza cartaginese sia
sul Monte Basilio che nei dintorni. Sono di bronzo e presentano uno stile “originale
e forbito, proprio di quell’epoca memorabile per artistica eleganza, con capo
di donna inghirlandato di foglie di canna o di altra pianta palustre, il quale
da alcuni vuolsi di Venere, o di Teti moglie dell’Oceano, e da alcuni altri di
Giunone o di altra particolare deità dei Punici; e nel rovescio con il tipo del
cavallo intero, e dietro a questo quello della palma fruttifera”.
Agatocle
stipulò un trattato di pace con i cartaginesi con il quale si stabiliva che “tutte
le città dipendenti da Siracusa dovessero governarsi colle proprie leggi”.Ma
era solo una falsa promessa perché ben presto Agatocle violò il trattato di
pace portando la guerra sin nel centro dell’isola e in due anni di ripetuti
scontri riuscì a riportare le città greche sotto il suo dominio. Quella libertà
che aveva avuto da Timoleonte, sinonimo di sviluppo sociale e culturale, s’era
nuovamente perduta sotto un nuovo tiranno.Anche
Brikinnia subì gli effetti della guerra
portata all’ambizione del tiranno al comando di un esercito “depredatore”.Il
tiranno subì la controffensiva cartaginese e fu sconfitto da Amilcare, figlio
di Giscone, nei campi d’Imera.Leonzio
e la sua colonia Brikinnia, Katana, Tauromenio, Abaceno e Messana dovettero a
malincuore sottomettersi ai Cartaginesi.Un
buon numero di monete punico-sicule attestano questa presenza cartaginese sia
sul Monte Basilio che nei dintorni. Sono di bronzo e presentano uno stile “originale
e forbito, proprio di quell’epoca memorabile per artistica eleganza, con capo
di donna inghirlandato di foglie di canna o di altra pianta palustre, il quale
da alcuni vuolsi di Venere, o di Teti moglie dell’Oceano, e da alcuni altri di
Giunone o di altra particolare deità dei Punici; e nel rovescio con il tipo del
cavallo intero, e dietro a questo quello della palma fruttifera”.
Agatocle
stipulò un trattato di pace con i cartaginesi con il quale si stabiliva che “tutte
le città dipendenti da Siracusa dovessero governarsi colle proprie leggi”.Ma
era solo una falsa promessa perché ben presto Agatocle violò il trattato di
pace portando la guerra sin nel centro dell’isola e in due anni di ripetuti
scontri riuscì a riportare le città greche sotto il suo dominio. Quella libertà
che aveva avuto da Timoleonte, sinonimo di sviluppo sociale e culturale, s’era
nuovamente perduta sotto un nuovo tiranno.Anche
Brikinnia subì gli effetti della guerra
portata all’ambizione del tiranno al comando di un esercito “depredatore”.Il
tiranno subì la controffensiva cartaginese e fu sconfitto da Amilcare, figlio
di Giscone, nei campi d’Imera.Leonzio
e la sua colonia Brikinnia, Katana, Tauromenio, Abaceno e Messana dovettero a
malincuore sottomettersi ai Cartaginesi.Un
buon numero di monete punico-sicule attestano questa presenza cartaginese sia
sul Monte Basilio che nei dintorni. Sono di bronzo e presentano uno stile “originale
e forbito, proprio di quell’epoca memorabile per artistica eleganza, con capo
di donna inghirlandato di foglie di canna o di altra pianta palustre, il quale
da alcuni vuolsi di Venere, o di Teti moglie dell’Oceano, e da alcuni altri di
Giunone o di altra particolare deità dei Punici; e nel rovescio con il tipo del
cavallo intero, e dietro a questo quello della palma fruttifera”.
I
cartaginesi strinsero d’assedio anche Siracusa e Agatocle dopo alterne fortune
riuscì a spostare la battaglia in Africa.
Nell’assedio
di Siracusa Amilcare pur avendo un esercito di 123 mila fanti e 5000 cavalli fu
preso prigioniero.. “condotto in Siracusa, ed ivi, dopo essere stato
infelice zimbello di una plebe furente che fra obbrobrj e oltraggi li menava in
catene per la città, ebbe mozzata la testa che fu mandata in Africa...”.
Il
numero considerevole di monete punico-sicule che furono rinvenute sul Monte San Basilio
dimostrerebbero
come il sito non fu solo usato come importante presidio militare. Probabilmente
s’insediò una consistente comunità cartaginese
dedita all’agricoltura legata ai fertili campi a valle. Brikinnia aveva per i cartaginesi un suo
valore militare ma anche civile ed economico che portò probabilmente ad una
pacifica convivenza con la comunità che vi era insediata e costituita da
esuli siracusani, lentinesi ed
agrigentini.
I
cartaginesi dopo la sconfitta di Amilcare nominarono come nuovo generale
Dinocrate.
Agrigento,
dopo le guerre contro i siracusani ed i cartaginesi, si era ripopolata e
approfittando del momento critico dei due contendenti, cercò di ampliare il suo
territorio.
Mise in armi una forte armata affidata
all’agrigentino Senodico. L’azione fu
immediata perché in breve tempo riuscì a conquistare Enna, Erbesso e nel suo
cammino s’impadronì di molte roccaforti che erano in mano dei cartaginesi e dei
siracusani. Nelle città conquistate
furono riconosciuti i loro diritti e antichi privilegi. Non si hanno notizie in
merito alla situazione di Brikinnia.
I
cartaginesi d’altra parte cercarono di creare una lega con le città sicule per
combattere Agatocle in nome della libertà.
Agatocle
si trovava in Africa ed informato sugli insuccessi dei suoi generali Demofilo e
Leptine, decise di tornare in Sicilia. Giunto nell’isola fu informato della
vittoria riportata dai suoi due generali contro l’agrigentino Senodico che fu
costretto a fuggire verso Agrigento.
Giunsero
notizie negative dall’Africa dove il suo esercito aveva subito due gravi
sconfitte da parte di Annone ed Imilcone. Salpò da Siracusa e giunto in Libia
s’accorse delle condizioni “miserevoli”
del suo esercito.
Nonostante
le forze stanche ed esigue del suo esercito volle scontrarsi con il nemico
subendo una sconfitta.
Agatocle
era “avvilito e smagato per quest’ultima sconfitta subita, sfornito di
truppe, oppresso da melanconici pensamenti, e credendosi in pericolo di essere
assassinato da un suo figliuolo, lasciò
l’Africa, e tra difficoltà e stenti ritornò in Sicilia”.
Il
suo esercito venne abbandonato in Libia e i militi uccisero i due figli di
Agatocle per poi arrendersi ai cartaginesi. Per vendetta Agatocle “ strozzò
a Siracusa i parenti dei suoi generali che lo avevano tradito in Africa”.
I
cartaginesi chiesero ad Agatocle la restituzione delle città e dei presidi che
avevano conquistato nell’isola e in segno di pace gli mandarono, secondo la
versione di Timeo, “150 talenti
d’oro, oltre dugento mila medimni di frumento”. (Il medimno era l’unità di
misura di volume per le sostanze secche).
Brikinnia
era di nuovo in potere dei siracusani di Agatocle.
Il
tiranno morì nel 289 a.C. avvelenato da Menone che prese la “suprema autorità”.
Nuove
oppressioni per Brikinnia ed altre città greche di Sicilia.
I
siracusani, stanchi di continue tirannie, affidarono il comando dell’esercito
al concittadino Iceta per attaccare Menone. Questi chiese l’aiuto dei
cartaginesi pronti a scendere in campo
in cambio di acquisizioni e restituzioni territoriali ma Iceta riuscì a
conquistare il governo della città ancora prima dell’intervento cartaginese.
Gli
agrigentini s’erano ripresi dalla sconfitta subita da Agatocle e con un esercito composto anche da ribelli ed
esuli siracusani, si spostò verso Ibla al comando di Finzia. Ad Ibla vennero attaccati
e sconfitti da Iceta.
Sul
Monte San Basilio furono trovate alcune monete del tiranno agrigentino Finzia
e questi ritrovamenti fecero avanzare
l’ipotesi che l’esercito agrigentino “abbia dimorato in Bricinnia con
l’esercito alleato cartaginese e che via sia perdurato sin dopo che Iceta,
gonfio per la battaglia d’Ibla, fu sconfitto con incredibile strage nelle
vicine sponde del Teria (l’attuale fiume San Leonardo) dall’armata
cartaginese, e costretto a fuggirsene in Siracusa”.
Di
queste monete una di bronzo fu trovata sulle pendici orientali del Colle “di
esimia (perfetta) conservazione, offre nel dritto il capo di Diana dea della
caccia, delle selve, dei monti, col turcasso sporgente dietro il collo, e nel
rovescio un cignale furibondo in corsa, con bocca spalancata, grifo strano,
ottusa proboscide ritorta in su, coda tesa, orecchi levati, setole irte; e
sopra la leggenda
BAƩIAEΩƩ,
e sotto ΦINTIA (“io genero”).
I
cartaginesi strinsero d’assedio anche Siracusa e Agatocle dopo alterne fortune
riuscì a spostare la battaglia in Africa.
Nell’assedio
di Siracusa Amilcare pur avendo un esercito di 123 mila fanti e 5000 cavalli fu
preso prigioniero.. “condotto in Siracusa, ed ivi, dopo essere stato
infelice zimbello di una plebe furente che fra obbrobrj e oltraggi li menava in
catene per la città, ebbe mozzata la testa che fu mandata in Africa...”.
Il
numero considerevole di monete punico-sicule che furono rinvenute sul Monte San Basilio
dimostrerebbero
come il sito non fu solo usato come importante presidio militare. Probabilmente
s’insediò una consistente comunità cartaginese
dedita all’agricoltura legata ai fertili campi a valle. Brikinnia aveva per i cartaginesi un suo
valore militare ma anche civile ed economico che portò probabilmente ad una
pacifica convivenza con la comunità che vi era insediata e costituita da
esuli siracusani, lentinesi ed
agrigentini.
I
cartaginesi dopo la sconfitta di Amilcare nominarono come nuovo generale
Dinocrate.
Agrigento,
dopo le guerre contro i siracusani ed i cartaginesi, si era ripopolata e
approfittando del momento critico dei due contendenti, cercò di ampliare il suo
territorio.
Mise in armi una forte armata affidata
all’agrigentino Senodico. L’azione fu
immediata perché in breve tempo riuscì a conquistare Enna, Erbesso e nel suo
cammino s’impadronì di molte roccaforti che erano in mano dei cartaginesi e dei
siracusani. Nelle città conquistate
furono riconosciuti i loro diritti e antichi privilegi. Non si hanno notizie in
merito alla situazione di Brikinnia.
I
cartaginesi d’altra parte cercarono di creare una lega con le città sicule per
combattere Agatocle in nome della libertà.
Agatocle
si trovava in Africa ed informato sugli insuccessi dei suoi generali Demofilo e
Leptine, decise di tornare in Sicilia. Giunto nell’isola fu informato della
vittoria riportata dai suoi due generali contro l’agrigentino Senodico che fu
costretto a fuggire verso Agrigento.
Giunsero
notizie negative dall’Africa dove il suo esercito aveva subito due gravi
sconfitte da parte di Annone ed Imilcone. Salpò da Siracusa e giunto in Libia
s’accorse delle condizioni “miserevoli”
del suo esercito.
Nonostante
le forze stanche ed esigue del suo esercito volle scontrarsi con il nemico
subendo una sconfitta.
Agatocle
era “avvilito e smagato per quest’ultima sconfitta subita, sfornito di
truppe, oppresso da melanconici pensamenti, e credendosi in pericolo di essere
assassinato da un suo figliuolo, lasciò
l’Africa, e tra difficoltà e stenti ritornò in Sicilia”.
Il
suo esercito venne abbandonato in Libia e i militi uccisero i due figli di
Agatocle per poi arrendersi ai cartaginesi. Per vendetta Agatocle “ strozzò
a Siracusa i parenti dei suoi generali che lo avevano tradito in Africa”.
I
cartaginesi chiesero ad Agatocle la restituzione delle città e dei presidi che
avevano conquistato nell’isola e in segno di pace gli mandarono, secondo la
versione di Timeo, “150 talenti
d’oro, oltre dugento mila medimni di frumento”. (Il medimno era l’unità di
misura di volume per le sostanze secche).
Brikinnia
era di nuovo in potere dei siracusani di Agatocle.
Il
tiranno morì nel 289 a.C. avvelenato da Menone che prese la “suprema autorità”.
Nuove
oppressioni per Brikinnia ed altre città greche di Sicilia.
I
siracusani, stanchi di continue tirannie, affidarono il comando dell’esercito
al concittadino Iceta per attaccare Menone. Questi chiese l’aiuto dei
cartaginesi pronti a scendere in campo
in cambio di acquisizioni e restituzioni territoriali ma Iceta riuscì a
conquistare il governo della città ancora prima dell’intervento cartaginese.
Gli
agrigentini s’erano ripresi dalla sconfitta subita da Agatocle e con un esercito composto anche da ribelli ed
esuli siracusani, si spostò verso Ibla al comando di Finzia. Ad Ibla vennero attaccati
e sconfitti da Iceta.
Sul
Monte San Basilio furono trovate alcune monete del tiranno agrigentino Finzia
e questi ritrovamenti fecero avanzare
l’ipotesi che l’esercito agrigentino “abbia dimorato in Bricinnia con
l’esercito alleato cartaginese e che via sia perdurato sin dopo che Iceta,
gonfio per la battaglia d’Ibla, fu sconfitto con incredibile strage nelle
vicine sponde del Teria (l’attuale fiume San Leonardo) dall’armata
cartaginese, e costretto a fuggirsene in Siracusa”.
Di
queste monete una di bronzo fu trovata sulle pendici orientali del Colle “di
esimia (perfetta) conservazione, offre nel dritto il capo di Diana dea della
caccia, delle selve, dei monti, col turcasso sporgente dietro il collo, e nel
rovescio un cignale furibondo in corsa, con bocca spalancata, grifo strano,
ottusa proboscide ritorta in su, coda tesa, orecchi levati, setole irte; e
sopra la leggenda
BAƩIAEΩƩ,
e sotto ΦINTIA (“io genero”).
I
cartaginesi strinsero d’assedio anche Siracusa e Agatocle dopo alterne fortune
riuscì a spostare la battaglia in Africa.
Nell’assedio
di Siracusa Amilcare pur avendo un esercito di 123 mila fanti e 5000 cavalli fu
preso prigioniero.. “condotto in Siracusa, ed ivi, dopo essere stato
infelice zimbello di una plebe furente che fra obbrobrj e oltraggi li menava in
catene per la città, ebbe mozzata la testa che fu mandata in Africa...”.
Il
numero considerevole di monete punico-sicule che furono rinvenute sul Monte San Basilio
dimostrerebbero
come il sito non fu solo usato come importante presidio militare. Probabilmente
s’insediò una consistente comunità cartaginese
dedita all’agricoltura legata ai fertili campi a valle. Brikinnia aveva per i cartaginesi un suo
valore militare ma anche civile ed economico che portò probabilmente ad una
pacifica convivenza con la comunità che vi era insediata e costituita da
esuli siracusani, lentinesi ed
agrigentini.
I
cartaginesi dopo la sconfitta di Amilcare nominarono come nuovo generale
Dinocrate.
Agrigento,
dopo le guerre contro i siracusani ed i cartaginesi, si era ripopolata e
approfittando del momento critico dei due contendenti, cercò di ampliare il suo
territorio.
Mise in armi una forte armata affidata
all’agrigentino Senodico. L’azione fu
immediata perché in breve tempo riuscì a conquistare Enna, Erbesso e nel suo
cammino s’impadronì di molte roccaforti che erano in mano dei cartaginesi e dei
siracusani. Nelle città conquistate
furono riconosciuti i loro diritti e antichi privilegi. Non si hanno notizie in
merito alla situazione di Brikinnia.
I
cartaginesi d’altra parte cercarono di creare una lega con le città sicule per
combattere Agatocle in nome della libertà.
Agatocle
si trovava in Africa ed informato sugli insuccessi dei suoi generali Demofilo e
Leptine, decise di tornare in Sicilia. Giunto nell’isola fu informato della
vittoria riportata dai suoi due generali contro l’agrigentino Senodico che fu
costretto a fuggire verso Agrigento.
Giunsero
notizie negative dall’Africa dove il suo esercito aveva subito due gravi
sconfitte da parte di Annone ed Imilcone. Salpò da Siracusa e giunto in Libia
s’accorse delle condizioni “miserevoli”
del suo esercito.
Nonostante
le forze stanche ed esigue del suo esercito volle scontrarsi con il nemico
subendo una sconfitta.
Agatocle
era “avvilito e smagato per quest’ultima sconfitta subita, sfornito di
truppe, oppresso da melanconici pensamenti, e credendosi in pericolo di essere
assassinato da un suo figliuolo, lasciò
l’Africa, e tra difficoltà e stenti ritornò in Sicilia”.
Il
suo esercito venne abbandonato in Libia e i militi uccisero i due figli di
Agatocle per poi arrendersi ai cartaginesi. Per vendetta Agatocle “ strozzò
a Siracusa i parenti dei suoi generali che lo avevano tradito in Africa”.
I
cartaginesi chiesero ad Agatocle la restituzione delle città e dei presidi che
avevano conquistato nell’isola e in segno di pace gli mandarono, secondo la
versione di Timeo, “150 talenti
d’oro, oltre dugento mila medimni di frumento”. (Il medimno era l’unità di
misura di volume per le sostanze secche).
Brikinnia
era di nuovo in potere dei siracusani di Agatocle.
Il
tiranno morì nel 289 a.C. avvelenato da Menone che prese la “suprema autorità”.
Nuove
oppressioni per Brikinnia ed altre città greche di Sicilia.
I
siracusani, stanchi di continue tirannie, affidarono il comando dell’esercito
al concittadino Iceta per attaccare Menone. Questi chiese l’aiuto dei
cartaginesi pronti a scendere in campo
in cambio di acquisizioni e restituzioni territoriali ma Iceta riuscì a
conquistare il governo della città ancora prima dell’intervento cartaginese.
Gli
agrigentini s’erano ripresi dalla sconfitta subita da Agatocle e con un esercito composto anche da ribelli ed
esuli siracusani, si spostò verso Ibla al comando di Finzia. Ad Ibla vennero attaccati
e sconfitti da Iceta.
Sul
Monte San Basilio furono trovate alcune monete del tiranno agrigentino Finzia
e questi ritrovamenti fecero avanzare
l’ipotesi che l’esercito agrigentino “abbia dimorato in Bricinnia con
l’esercito alleato cartaginese e che via sia perdurato sin dopo che Iceta,
gonfio per la battaglia d’Ibla, fu sconfitto con incredibile strage nelle
vicine sponde del Teria (l’attuale fiume San Leonardo) dall’armata
cartaginese, e costretto a fuggirsene in Siracusa”.
Di
queste monete una di bronzo fu trovata sulle pendici orientali del Colle “di
esimia (perfetta) conservazione, offre nel dritto il capo di Diana dea della
caccia, delle selve, dei monti, col turcasso sporgente dietro il collo, e nel
rovescio un cignale furibondo in corsa, con bocca spalancata, grifo strano,
ottusa proboscide ritorta in su, coda tesa, orecchi levati, setole irte; e
sopra la leggenda
BAƩIAEΩƩ,
e sotto ΦINTIA (“io genero”).
I
cartaginesi strinsero d’assedio anche Siracusa e Agatocle dopo alterne fortune
riuscì a spostare la battaglia in Africa.
Nell’assedio
di Siracusa Amilcare pur avendo un esercito di 123 mila fanti e 5000 cavalli fu
preso prigioniero.. “condotto in Siracusa, ed ivi, dopo essere stato
infelice zimbello di una plebe furente che fra obbrobrj e oltraggi li menava in
catene per la città, ebbe mozzata la testa che fu mandata in Africa...”.
Il
numero considerevole di monete punico-sicule che furono rinvenute sul Monte San Basilio
dimostrerebbero
come il sito non fu solo usato come importante presidio militare. Probabilmente
s’insediò una consistente comunità cartaginese
dedita all’agricoltura legata ai fertili campi a valle. Brikinnia aveva per i cartaginesi un suo
valore militare ma anche civile ed economico che portò probabilmente ad una
pacifica convivenza con la comunità che vi era insediata e costituita da
esuli siracusani, lentinesi ed
agrigentini.
I
cartaginesi dopo la sconfitta di Amilcare nominarono come nuovo generale
Dinocrate.
Agrigento,
dopo le guerre contro i siracusani ed i cartaginesi, si era ripopolata e
approfittando del momento critico dei due contendenti, cercò di ampliare il suo
territorio.
Mise in armi una forte armata affidata
all’agrigentino Senodico. L’azione fu
immediata perché in breve tempo riuscì a conquistare Enna, Erbesso e nel suo
cammino s’impadronì di molte roccaforti che erano in mano dei cartaginesi e dei
siracusani. Nelle città conquistate
furono riconosciuti i loro diritti e antichi privilegi. Non si hanno notizie in
merito alla situazione di Brikinnia.
I
cartaginesi d’altra parte cercarono di creare una lega con le città sicule per
combattere Agatocle in nome della libertà.
Agatocle
si trovava in Africa ed informato sugli insuccessi dei suoi generali Demofilo e
Leptine, decise di tornare in Sicilia. Giunto nell’isola fu informato della
vittoria riportata dai suoi due generali contro l’agrigentino Senodico che fu
costretto a fuggire verso Agrigento.
Giunsero
notizie negative dall’Africa dove il suo esercito aveva subito due gravi
sconfitte da parte di Annone ed Imilcone. Salpò da Siracusa e giunto in Libia
s’accorse delle condizioni “miserevoli”
del suo esercito.
Nonostante
le forze stanche ed esigue del suo esercito volle scontrarsi con il nemico
subendo una sconfitta.
Agatocle
era “avvilito e smagato per quest’ultima sconfitta subita, sfornito di
truppe, oppresso da melanconici pensamenti, e credendosi in pericolo di essere
assassinato da un suo figliuolo, lasciò
l’Africa, e tra difficoltà e stenti ritornò in Sicilia”.
Il
suo esercito venne abbandonato in Libia e i militi uccisero i due figli di
Agatocle per poi arrendersi ai cartaginesi. Per vendetta Agatocle “ strozzò
a Siracusa i parenti dei suoi generali che lo avevano tradito in Africa”.
I
cartaginesi chiesero ad Agatocle la restituzione delle città e dei presidi che
avevano conquistato nell’isola e in segno di pace gli mandarono, secondo la
versione di Timeo, “150 talenti
d’oro, oltre dugento mila medimni di frumento”. (Il medimno era l’unità di
misura di volume per le sostanze secche).
Brikinnia
era di nuovo in potere dei siracusani di Agatocle.
Il
tiranno morì nel 289 a.C. avvelenato da Menone che prese la “suprema autorità”.
Nuove
oppressioni per Brikinnia ed altre città greche di Sicilia.
I
siracusani, stanchi di continue tirannie, affidarono il comando dell’esercito
al concittadino Iceta per attaccare Menone. Questi chiese l’aiuto dei
cartaginesi pronti a scendere in campo
in cambio di acquisizioni e restituzioni territoriali ma Iceta riuscì a
conquistare il governo della città ancora prima dell’intervento cartaginese.
Gli
agrigentini s’erano ripresi dalla sconfitta subita da Agatocle e con un esercito composto anche da ribelli ed
esuli siracusani, si spostò verso Ibla al comando di Finzia. Ad Ibla vennero attaccati
e sconfitti da Iceta.
Sul
Monte San Basilio furono trovate alcune monete del tiranno agrigentino Finzia
e questi ritrovamenti fecero avanzare
l’ipotesi che l’esercito agrigentino “abbia dimorato in Bricinnia con
l’esercito alleato cartaginese e che via sia perdurato sin dopo che Iceta,
gonfio per la battaglia d’Ibla, fu sconfitto con incredibile strage nelle
vicine sponde del Teria (l’attuale fiume San Leonardo) dall’armata
cartaginese, e costretto a fuggirsene in Siracusa”.
Di
queste monete una di bronzo fu trovata sulle pendici orientali del Colle “di
esimia (perfetta) conservazione, offre nel dritto il capo di Diana dea della
caccia, delle selve, dei monti, col turcasso sporgente dietro il collo, e nel
rovescio un cignale furibondo in corsa, con bocca spalancata, grifo strano,
ottusa proboscide ritorta in su, coda tesa, orecchi levati, setole irte; e
sopra la leggenda
BAƩIAEΩƩ,
e sotto ΦINTIA (“io genero”).
I
cartaginesi strinsero d’assedio anche Siracusa e Agatocle dopo alterne fortune
riuscì a spostare la battaglia in Africa.
Nell’assedio
di Siracusa Amilcare pur avendo un esercito di 123 mila fanti e 5000 cavalli fu
preso prigioniero.. “condotto in Siracusa, ed ivi, dopo essere stato
infelice zimbello di una plebe furente che fra obbrobrj e oltraggi li menava in
catene per la città, ebbe mozzata la testa che fu mandata in Africa...”.
Il
numero considerevole di monete punico-sicule che furono rinvenute sul Monte San Basilio
dimostrerebbero
come il sito non fu solo usato come importante presidio militare. Probabilmente
s’insediò una consistente comunità cartaginese
dedita all’agricoltura legata ai fertili campi a valle. Brikinnia aveva per i cartaginesi un suo
valore militare ma anche civile ed economico che portò probabilmente ad una
pacifica convivenza con la comunità che vi era insediata e costituita da
esuli siracusani, lentinesi ed
agrigentini.
I
cartaginesi dopo la sconfitta di Amilcare nominarono come nuovo generale
Dinocrate.
Agrigento,
dopo le guerre contro i siracusani ed i cartaginesi, si era ripopolata e
approfittando del momento critico dei due contendenti, cercò di ampliare il suo
territorio.
Mise in armi una forte armata affidata
all’agrigentino Senodico. L’azione fu
immediata perché in breve tempo riuscì a conquistare Enna, Erbesso e nel suo
cammino s’impadronì di molte roccaforti che erano in mano dei cartaginesi e dei
siracusani. Nelle città conquistate
furono riconosciuti i loro diritti e antichi privilegi. Non si hanno notizie in
merito alla situazione di Brikinnia.
I
cartaginesi d’altra parte cercarono di creare una lega con le città sicule per
combattere Agatocle in nome della libertà.
Agatocle
si trovava in Africa ed informato sugli insuccessi dei suoi generali Demofilo e
Leptine, decise di tornare in Sicilia. Giunto nell’isola fu informato della
vittoria riportata dai suoi due generali contro l’agrigentino Senodico che fu
costretto a fuggire verso Agrigento.
Giunsero
notizie negative dall’Africa dove il suo esercito aveva subito due gravi
sconfitte da parte di Annone ed Imilcone. Salpò da Siracusa e giunto in Libia
s’accorse delle condizioni “miserevoli”
del suo esercito.
Nonostante
le forze stanche ed esigue del suo esercito volle scontrarsi con il nemico
subendo una sconfitta.
Agatocle
era “avvilito e smagato per quest’ultima sconfitta subita, sfornito di
truppe, oppresso da melanconici pensamenti, e credendosi in pericolo di essere
assassinato da un suo figliuolo, lasciò
l’Africa, e tra difficoltà e stenti ritornò in Sicilia”.
Il
suo esercito venne abbandonato in Libia e i militi uccisero i due figli di
Agatocle per poi arrendersi ai cartaginesi. Per vendetta Agatocle “ strozzò
a Siracusa i parenti dei suoi generali che lo avevano tradito in Africa”.
I
cartaginesi chiesero ad Agatocle la restituzione delle città e dei presidi che
avevano conquistato nell’isola e in segno di pace gli mandarono, secondo la
versione di Timeo, “150 talenti
d’oro, oltre dugento mila medimni di frumento”. (Il medimno era l’unità di
misura di volume per le sostanze secche).
Brikinnia
era di nuovo in potere dei siracusani di Agatocle.
Il
tiranno morì nel 289 a.C. avvelenato da Menone che prese la “suprema autorità”.
Nuove
oppressioni per Brikinnia ed altre città greche di Sicilia.
I
siracusani, stanchi di continue tirannie, affidarono il comando dell’esercito
al concittadino Iceta per attaccare Menone. Questi chiese l’aiuto dei
cartaginesi pronti a scendere in campo
in cambio di acquisizioni e restituzioni territoriali ma Iceta riuscì a
conquistare il governo della città ancora prima dell’intervento cartaginese.
Gli
agrigentini s’erano ripresi dalla sconfitta subita da Agatocle e con un esercito composto anche da ribelli ed
esuli siracusani, si spostò verso Ibla al comando di Finzia. Ad Ibla vennero attaccati
e sconfitti da Iceta.
Sul
Monte San Basilio furono trovate alcune monete del tiranno agrigentino Finzia
e questi ritrovamenti fecero avanzare
l’ipotesi che l’esercito agrigentino “abbia dimorato in Bricinnia con
l’esercito alleato cartaginese e che via sia perdurato sin dopo che Iceta,
gonfio per la battaglia d’Ibla, fu sconfitto con incredibile strage nelle
vicine sponde del Teria (l’attuale fiume San Leonardo) dall’armata
cartaginese, e costretto a fuggirsene in Siracusa”.
Di
queste monete una di bronzo fu trovata sulle pendici orientali del Colle “di
esimia (perfetta) conservazione, offre nel dritto il capo di Diana dea della
caccia, delle selve, dei monti, col turcasso sporgente dietro il collo, e nel
rovescio un cignale furibondo in corsa, con bocca spalancata, grifo strano,
ottusa proboscide ritorta in su, coda tesa, orecchi levati, setole irte; e
sopra la leggenda
BAƩIAEΩƩ,
e sotto ΦINTIA (“io genero”).
Molte
medaglie emesse dai tiranni di Siracusa hanno il volto di Diana nel dritto
perché venerano la Diana Liberatrice e salvatrice con la speranza di avere i
suoi favori.
Durante
l’assenza di Iceta s’era impadronito del potere cittadino Tinione. Trovò subito
l’opposizione di Sosistrato (280 a.C.) anche lui in preda alle stesse ambizioni
di potere. Si scatenò una sanguinosa guerra civile e i cartaginesi sfruttarono
l’instabilità politica di Siracusa per riconquistare molti territori e tra
questi Brikinnia.
Una
poderosa armata cartaginese s’accingeva a conquistare le grandi polis
dell’isola.. “una flotta di cento vascelli e con cinquantamila armati”.
Tinione
e Sosistrato si resero conto dell’inutilità di quella lunga e sanguinosa guerra
fratricida per la conquista del governo della città e decisero d’unirsi per
fronteggiare il comune nemico cartaginese.
Inviarono
a Pirro, re di Epiro, che si trovava a Taranto, dei messaggeri per invitarlo a
scendere in Sicilia per liberare “i Greci dalle mani dei barbari”.
Pirro
“ricevè i messi graziosamente” e salpò da Taranto alla volta delle coste
siciliane.
Sbarcò
a Tauromenio, raggiunse Catania per poi procedere verso Siracusa.
Il
suo era un esercito di “trenta mila fanti e due mila e cinquecento cavalli”...
entrò a Siracusa senza trovare alcuna resistenza da parte dei Cartaginesi (278
a.C.).
Giunsero
a Siracusa degli ambasciatori da Leonini,
la città si era unita a Tinione e Sosistrato, e pregarono Pirro di
recarsi “senza indugio a prendere sotto la sua protezione i loro stati, ed
offrendogli di dare in suo potere la loro rispettiva città, e di unirsi alle
forze di lui con un corpo di quattromila fanti e cinquecento cavalli”.
Brikinnia
come altre città greche subiva ormai da tempo le angherie dei tiranni
soffocando i principi di libertà e quindi seguì l’esempio della “madre
patria” Leontini.
Pirro per i Siciliani rappresentava la speranza di un nuovo periodo
di libertà e di sviluppo e non tradì le attese. Da Siracusa marciò verso
Agrigento che era sotto il possesso dei cartaginesi comandati da Finzia.
Durante la marcia giunse la notizia che gli agrigentini avevano cacciato dalla
loro città gli alleati ed erano pronti non solo a riceverlo con gli onori ma
anche ad unirsi alle sue truppe.
Difatti,
giunto alle loro frontiere, fu incontrato da Sosistrato a capo di ottomila
fanti agrigentini ed ottocento cavalli. Prese sotto la sua protezione trenta
città vicine a quel paese; indi, avanzatosi nei territori cartaginesi, ridusse
in servitù Eraclea, Azone, Selinunte, Alicia, Egesta. Fornito da Siracusa di
copioso numero di dardi, frecce, di ogni sorta d’armi, e macchine da batteria,
prese per assalto la inespugnabile Erice, s’impadronì di Panormo, di Erecta e
di altre piazze, e assediò con tutte le sue forze Lilibeo, unica città rimasta
ai cartaginesi, da esso loro stimata una delle chiavi della Sicilia”.
I cartaginesi a Lilibeo (Marsala) si difero con coraggio respingendo
ogni attacco di Pirro che fu costretto a togliere l’assedio. Aveva deciso di
spostare l’asse della guerra in Africa “per ferire i Cartaginesi nel cuore e
dar nuova linfa alla sua ambizione”.
Ma fu abbandonato dall’armata siciliana per i suoi “arbitrarj
procedienti” e fu quindi costretto a
desistere da ogni ulteriore impresa bellica e ritornò in Italia.
Con la partenza di Pirro la siatuazione politica di Siracusa
era molto confusa e alla fine Artemidoro e Gerone ebbero il comando delle
truppe e e della città.
Ma fu soprattutto Gerone II che seppe “sperimentar le
dolci emozioni che sono il più nobile diuturno retaggio di chi sa guadagnarsi
affetto e benevoglienza nel tener le redini del governo con prudenza, con senno
e con modi placidi e gentili”.
“Dopo che ebbe Gerone sonfitto i Mamertini nelle pianure di
Mile, all’arrivo ch’ei fece in Siracusa, fu proclamato re (269 a.C.)”.
Brikinnia,
come le altre città greca, ebbe un periodo di prosperità economica agevolato da
una ristabilita tranquillità sociale. Gerone seppe riconciliare, dopo alcune
consultazioni, le varie fazioni che avevano funestato lo stato siracusano per
lunghissimi anni.
Sposò
la figlia del nobile e influente Leptine che gli permise di accrescere la
simpatia degli ottimati che del popolo.
L’esercito
siracusano era in gran parte costituito da mercenari infidi e molto legati al denaro.
Durante
il conflitto con i Mamertini, che avevano conquistato Messina e saccheggiato i
possedimenti siracusani, pose l’accampamento nel pressi del fiume Cinasmoro e
aspettò i nemici. Nel corso della battaglia, tenne nelle retrovie la cavalleria
e le unità della falange cittadino e mise in prima linea i mercenari. Lasciò
che i mercenari venissero circondati mentre con gli altri soldati si ritirò a
Siracusa, debellando ogni forma di ammutinamento.
Ricostituì
un esercito composto da siracusani e con questi respinse i Mamertini
conquistando in poco tempo Mylae e Alesa Arconidea mentre importanti città come
Tyndaris, Abacenum e Tauromenium si dichiarano a favore di Siracusa. Grazie a
questi importanti appoggi si spinse fino al torrente Longano (nei pressi di
Barcellona Pozzo di Gotto) e annientò i mamertini catturando anche il loro
comandante Clo.
I
Mamertini furono confinati a Messina e si salvarono da un ulteriore sconfitta
grazie alla mediazione dei cartaginesi che costrinsero Siracusa a firmare una
tregua.
I
cartaginesi avrebbero posto una guarnigione a Messina a garanzia della tregua.
Gerone
II, anche se non troppo convinto, accettò.
Nel
272 lo stesso Gerone II mandò delle truppe in aiuto dei Romani che stavano
assediando Rhegium.
Nel
270 a.C. fu accolto a Siracusa come un eroe e fu nominato tiranno o sovrano della citta, una carica che
mantenne fino alla morte.
Il
sovrano mantenne stabili contatti con i romani ed anche con i cartaginesi fino
al 264 a.C.
Il
264 a.C. sarà ricordato nella storia del Regno di Sicilia in modo negativo. I
mamertini, stanchi della presenza cartaginese, con funzioni di dominio, mandarono
un ambasceria a Roma offrendo la resa della città di Messina in cambio di un
aiuto contro i cartaginesi. Dopo una lunga discussione i Romani accettarono ed
inviarono il console Appio Claudio Caudice ad occupare Messina.
Gerone
II s’adirò e preso dal desiderio di espellere dalla Sicilia i mamertini,
stipulò un alleanza con i cartaginesi e partì con il proprio esercito alla
volta della città. Insieme al generale punico Annone, pose il campo nei pressi
della città ed iniziò l’assedio di Messina.
Giunto l’esercito romano ci fu una forte scontro militare e il console
riportò la vittoria sull’esercito punico-siracusano.
Gerone
II ritornò, dopo la sconfitta, a Siracusa non pienamente convinto della lealtà
cartaginese.
Il
console romano, dimenticando i rapporti amichevoli avuti in passato con Gerone,
decise di attaccare Siracusa. Conquistò delle città sicule e alla fine assediò
la città.
Scaduto
il mandato del console, il senato romano elesse nel 263 a.C. i nuovi consoli
Manio Otacilio Crasso e Manio Valerio Massimo Messalla che subito furono
inviati in Sicilia con quattro legioni.
All’arrivo
dei consoli, molte città siceliote passarono ai Romani e cercarono di
convincere Gerone a non intraprendere una guerra dall’esito molto incerto. Alla
fine il sovrano siracusano accettò i consigli ed inviò degli ambasciatori
presso i Romani con lo scopo di trattare la pace e una possibile alleanza. Dopo
varie discussione i Romani accettarono la proposta.
Gerone
II manteneva il possesso della Sicilia Sud-Orientale, fino a Tauromenium e fu
anche costretto a pagare una somma di denaro e a liberare i prigionieri di
guerra.
Il
sovrano siracusano intervenne più volte
in aiuto dei romani come nel 262 a.C. quando fornì un forte quantitativo di
viveri ad un esercito che era impegnato nell’assedio di Agrigento.
Fornì
anche un importante aiuto militare fornendo delle macchine belliche durante
l’assedio di Camarina e nel 252 a.C. quando inviò una flotta armata in aiuto
del console Aurelio Cotta.
I
romani non dimenticarono gli aiuti forniti da Gerone II perché nel 248 a.C. fu
rinnovato il trattato di tra Roma e Siracusa. Il senato romano rinunciò ad ogni
forma di tributo e incluse il sovrano siracusano tra gli alleati. Infatti nel
241 a.C. quando gli stessi romani conclusero un trattato di pace con i
cartaginesi, pretesero da quest’ultimi l’obbligo di non arrecare guerra né a
Siracusa né ai suoi alleati.
Gerone
II per le sue riforme sociali fu visto con grande rispetto sia dai romani che
dal mondo greco. Fu noto per i suoi grandi atti di liberalità presso il
Santuario di Olimpia e inviò forti aiuti economici ai Rodii quando nel 226 a.C.
subirono i danni di un devastante terremoto.
Sul
Monte San Basilio come riportò il De Mauro un Immenso numero di monete dei
tempi degli imperatori romani, le quali trovansi tuttodì a Casale, e tra le
zolle che volge e rivolge la mano del colono
nelle contrade de Cucco, de’ Palazzelli e d’atri terreni adjacenti,
oltre a Britinnia, danno pure argomento a supporre che sino a quell’epoca
fossero animate di popolosa frequenza...”.
Molte
medaglie emesse dai tiranni di Siracusa hanno il volto di Diana nel dritto
perché venerano la Diana Liberatrice e salvatrice con la speranza di avere i
suoi favori.
Durante
l’assenza di Iceta s’era impadronito del potere cittadino Tinione. Trovò subito
l’opposizione di Sosistrato (280 a.C.) anche lui in preda alle stesse ambizioni
di potere. Si scatenò una sanguinosa guerra civile e i cartaginesi sfruttarono
l’instabilità politica di Siracusa per riconquistare molti territori e tra
questi Brikinnia.
Una
poderosa armata cartaginese s’accingeva a conquistare le grandi polis
dell’isola.. “una flotta di cento vascelli e con cinquantamila armati”.
Tinione
e Sosistrato si resero conto dell’inutilità di quella lunga e sanguinosa guerra
fratricida per la conquista del governo della città e decisero d’unirsi per
fronteggiare il comune nemico cartaginese.
Inviarono
a Pirro, re di Epiro, che si trovava a Taranto, dei messaggeri per invitarlo a
scendere in Sicilia per liberare “i Greci dalle mani dei barbari”.
Pirro
“ricevè i messi graziosamente” e salpò da Taranto alla volta delle coste
siciliane.
Sbarcò
a Tauromenio, raggiunse Catania per poi procedere verso Siracusa.
Il
suo era un esercito di “trenta mila fanti e due mila e cinquecento cavalli”...
entrò a Siracusa senza trovare alcuna resistenza da parte dei Cartaginesi (278
a.C.).
Giunsero
a Siracusa degli ambasciatori da Leonini,
la città si era unita a Tinione e Sosistrato, e pregarono Pirro di
recarsi “senza indugio a prendere sotto la sua protezione i loro stati, ed
offrendogli di dare in suo potere la loro rispettiva città, e di unirsi alle
forze di lui con un corpo di quattromila fanti e cinquecento cavalli”.
Brikinnia
come altre città greche subiva ormai da tempo le angherie dei tiranni
soffocando i principi di libertà e quindi seguì l’esempio della “madre
patria” Leontini.
Pirro per i Siciliani rappresentava la speranza di un nuovo periodo
di libertà e di sviluppo e non tradì le attese. Da Siracusa marciò verso
Agrigento che era sotto il possesso dei cartaginesi comandati da Finzia.
Durante la marcia giunse la notizia che gli agrigentini avevano cacciato dalla
loro città gli alleati ed erano pronti non solo a riceverlo con gli onori ma
anche ad unirsi alle sue truppe.
Difatti,
giunto alle loro frontiere, fu incontrato da Sosistrato a capo di ottomila
fanti agrigentini ed ottocento cavalli. Prese sotto la sua protezione trenta
città vicine a quel paese; indi, avanzatosi nei territori cartaginesi, ridusse
in servitù Eraclea, Azone, Selinunte, Alicia, Egesta. Fornito da Siracusa di
copioso numero di dardi, frecce, di ogni sorta d’armi, e macchine da batteria,
prese per assalto la inespugnabile Erice, s’impadronì di Panormo, di Erecta e
di altre piazze, e assediò con tutte le sue forze Lilibeo, unica città rimasta
ai cartaginesi, da esso loro stimata una delle chiavi della Sicilia”.
I cartaginesi a Lilibeo (Marsala) si difero con coraggio respingendo
ogni attacco di Pirro che fu costretto a togliere l’assedio. Aveva deciso di
spostare l’asse della guerra in Africa “per ferire i Cartaginesi nel cuore e
dar nuova linfa alla sua ambizione”.
Ma fu abbandonato dall’armata siciliana per i suoi “arbitrarj
procedienti” e fu quindi costretto a
desistere da ogni ulteriore impresa bellica e ritornò in Italia.
Con la partenza di Pirro la siatuazione politica di Siracusa
era molto confusa e alla fine Artemidoro e Gerone ebbero il comando delle
truppe e e della città.
Ma fu soprattutto Gerone II che seppe “sperimentar le
dolci emozioni che sono il più nobile diuturno retaggio di chi sa guadagnarsi
affetto e benevoglienza nel tener le redini del governo con prudenza, con senno
e con modi placidi e gentili”.
“Dopo che ebbe Gerone sonfitto i Mamertini nelle pianure di
Mile, all’arrivo ch’ei fece in Siracusa, fu proclamato re (269 a.C.)”.
Brikinnia,
come le altre città greca, ebbe un periodo di prosperità economica agevolato da
una ristabilita tranquillità sociale. Gerone seppe riconciliare, dopo alcune
consultazioni, le varie fazioni che avevano funestato lo stato siracusano per
lunghissimi anni.
Sposò
la figlia del nobile e influente Leptine che gli permise di accrescere la
simpatia degli ottimati che del popolo.
L’esercito
siracusano era in gran parte costituito da mercenari infidi e molto legati al denaro.
Durante
il conflitto con i Mamertini, che avevano conquistato Messina e saccheggiato i
possedimenti siracusani, pose l’accampamento nel pressi del fiume Cinasmoro e
aspettò i nemici. Nel corso della battaglia, tenne nelle retrovie la cavalleria
e le unità della falange cittadino e mise in prima linea i mercenari. Lasciò
che i mercenari venissero circondati mentre con gli altri soldati si ritirò a
Siracusa, debellando ogni forma di ammutinamento.
Ricostituì
un esercito composto da siracusani e con questi respinse i Mamertini
conquistando in poco tempo Mylae e Alesa Arconidea mentre importanti città come
Tyndaris, Abacenum e Tauromenium si dichiarano a favore di Siracusa. Grazie a
questi importanti appoggi si spinse fino al torrente Longano (nei pressi di
Barcellona Pozzo di Gotto) e annientò i mamertini catturando anche il loro
comandante Clo.
I
Mamertini furono confinati a Messina e si salvarono da un ulteriore sconfitta
grazie alla mediazione dei cartaginesi che costrinsero Siracusa a firmare una
tregua.
I
cartaginesi avrebbero posto una guarnigione a Messina a garanzia della tregua.
Gerone
II, anche se non troppo convinto, accettò.
Nel
272 lo stesso Gerone II mandò delle truppe in aiuto dei Romani che stavano
assediando Rhegium.
Nel
270 a.C. fu accolto a Siracusa come un eroe e fu nominato tiranno o sovrano della citta, una carica che
mantenne fino alla morte.
Il
sovrano mantenne stabili contatti con i romani ed anche con i cartaginesi fino
al 264 a.C.
Il
264 a.C. sarà ricordato nella storia del Regno di Sicilia in modo negativo. I
mamertini, stanchi della presenza cartaginese, con funzioni di dominio, mandarono
un ambasceria a Roma offrendo la resa della città di Messina in cambio di un
aiuto contro i cartaginesi. Dopo una lunga discussione i Romani accettarono ed
inviarono il console Appio Claudio Caudice ad occupare Messina.
Gerone
II s’adirò e preso dal desiderio di espellere dalla Sicilia i mamertini,
stipulò un alleanza con i cartaginesi e partì con il proprio esercito alla
volta della città. Insieme al generale punico Annone, pose il campo nei pressi
della città ed iniziò l’assedio di Messina.
Giunto l’esercito romano ci fu una forte scontro militare e il console
riportò la vittoria sull’esercito punico-siracusano.
Gerone
II ritornò, dopo la sconfitta, a Siracusa non pienamente convinto della lealtà
cartaginese.
Il
console romano, dimenticando i rapporti amichevoli avuti in passato con Gerone,
decise di attaccare Siracusa. Conquistò delle città sicule e alla fine assediò
la città.
Scaduto
il mandato del console, il senato romano elesse nel 263 a.C. i nuovi consoli
Manio Otacilio Crasso e Manio Valerio Massimo Messalla che subito furono
inviati in Sicilia con quattro legioni.
All’arrivo
dei consoli, molte città siceliote passarono ai Romani e cercarono di
convincere Gerone a non intraprendere una guerra dall’esito molto incerto. Alla
fine il sovrano siracusano accettò i consigli ed inviò degli ambasciatori
presso i Romani con lo scopo di trattare la pace e una possibile alleanza. Dopo
varie discussione i Romani accettarono la proposta.
Gerone
II manteneva il possesso della Sicilia Sud-Orientale, fino a Tauromenium e fu
anche costretto a pagare una somma di denaro e a liberare i prigionieri di
guerra.
Il
sovrano siracusano intervenne più volte
in aiuto dei romani come nel 262 a.C. quando fornì un forte quantitativo di
viveri ad un esercito che era impegnato nell’assedio di Agrigento.
Fornì
anche un importante aiuto militare fornendo delle macchine belliche durante
l’assedio di Camarina e nel 252 a.C. quando inviò una flotta armata in aiuto
del console Aurelio Cotta.
I
romani non dimenticarono gli aiuti forniti da Gerone II perché nel 248 a.C. fu
rinnovato il trattato di tra Roma e Siracusa. Il senato romano rinunciò ad ogni
forma di tributo e incluse il sovrano siracusano tra gli alleati. Infatti nel
241 a.C. quando gli stessi romani conclusero un trattato di pace con i
cartaginesi, pretesero da quest’ultimi l’obbligo di non arrecare guerra né a
Siracusa né ai suoi alleati.
Gerone
II per le sue riforme sociali fu visto con grande rispetto sia dai romani che
dal mondo greco. Fu noto per i suoi grandi atti di liberalità presso il
Santuario di Olimpia e inviò forti aiuti economici ai Rodii quando nel 226 a.C.
subirono i danni di un devastante terremoto.
Sul
Monte San Basilio come riportò il De Mauro un Immenso numero di monete dei
tempi degli imperatori romani, le quali trovansi tuttodì a Casale, e tra le
zolle che volge e rivolge la mano del colono
nelle contrade de Cucco, de’ Palazzelli e d’atri terreni adjacenti,
oltre a Britinnia, danno pure argomento a supporre che sino a quell’epoca
fossero animate di popolosa frequenza...”.
Molte
medaglie emesse dai tiranni di Siracusa hanno il volto di Diana nel dritto
perché venerano la Diana Liberatrice e salvatrice con la speranza di avere i
suoi favori.
Durante
l’assenza di Iceta s’era impadronito del potere cittadino Tinione. Trovò subito
l’opposizione di Sosistrato (280 a.C.) anche lui in preda alle stesse ambizioni
di potere. Si scatenò una sanguinosa guerra civile e i cartaginesi sfruttarono
l’instabilità politica di Siracusa per riconquistare molti territori e tra
questi Brikinnia.
Una
poderosa armata cartaginese s’accingeva a conquistare le grandi polis
dell’isola.. “una flotta di cento vascelli e con cinquantamila armati”.
Tinione
e Sosistrato si resero conto dell’inutilità di quella lunga e sanguinosa guerra
fratricida per la conquista del governo della città e decisero d’unirsi per
fronteggiare il comune nemico cartaginese.
Inviarono
a Pirro, re di Epiro, che si trovava a Taranto, dei messaggeri per invitarlo a
scendere in Sicilia per liberare “i Greci dalle mani dei barbari”.
Pirro
“ricevè i messi graziosamente” e salpò da Taranto alla volta delle coste
siciliane.
Sbarcò
a Tauromenio, raggiunse Catania per poi procedere verso Siracusa.
Il
suo era un esercito di “trenta mila fanti e due mila e cinquecento cavalli”...
entrò a Siracusa senza trovare alcuna resistenza da parte dei Cartaginesi (278
a.C.).
Giunsero
a Siracusa degli ambasciatori da Leonini,
la città si era unita a Tinione e Sosistrato, e pregarono Pirro di
recarsi “senza indugio a prendere sotto la sua protezione i loro stati, ed
offrendogli di dare in suo potere la loro rispettiva città, e di unirsi alle
forze di lui con un corpo di quattromila fanti e cinquecento cavalli”.
Brikinnia
come altre città greche subiva ormai da tempo le angherie dei tiranni
soffocando i principi di libertà e quindi seguì l’esempio della “madre
patria” Leontini.
Pirro per i Siciliani rappresentava la speranza di un nuovo periodo
di libertà e di sviluppo e non tradì le attese. Da Siracusa marciò verso
Agrigento che era sotto il possesso dei cartaginesi comandati da Finzia.
Durante la marcia giunse la notizia che gli agrigentini avevano cacciato dalla
loro città gli alleati ed erano pronti non solo a riceverlo con gli onori ma
anche ad unirsi alle sue truppe.
Difatti,
giunto alle loro frontiere, fu incontrato da Sosistrato a capo di ottomila
fanti agrigentini ed ottocento cavalli. Prese sotto la sua protezione trenta
città vicine a quel paese; indi, avanzatosi nei territori cartaginesi, ridusse
in servitù Eraclea, Azone, Selinunte, Alicia, Egesta. Fornito da Siracusa di
copioso numero di dardi, frecce, di ogni sorta d’armi, e macchine da batteria,
prese per assalto la inespugnabile Erice, s’impadronì di Panormo, di Erecta e
di altre piazze, e assediò con tutte le sue forze Lilibeo, unica città rimasta
ai cartaginesi, da esso loro stimata una delle chiavi della Sicilia”.
I cartaginesi a Lilibeo (Marsala) si difero con coraggio respingendo
ogni attacco di Pirro che fu costretto a togliere l’assedio. Aveva deciso di
spostare l’asse della guerra in Africa “per ferire i Cartaginesi nel cuore e
dar nuova linfa alla sua ambizione”.
Ma fu abbandonato dall’armata siciliana per i suoi “arbitrarj
procedienti” e fu quindi costretto a
desistere da ogni ulteriore impresa bellica e ritornò in Italia.
Con la partenza di Pirro la siatuazione politica di Siracusa
era molto confusa e alla fine Artemidoro e Gerone ebbero il comando delle
truppe e e della città.
Ma fu soprattutto Gerone II che seppe “sperimentar le
dolci emozioni che sono il più nobile diuturno retaggio di chi sa guadagnarsi
affetto e benevoglienza nel tener le redini del governo con prudenza, con senno
e con modi placidi e gentili”.
“Dopo che ebbe Gerone sonfitto i Mamertini nelle pianure di
Mile, all’arrivo ch’ei fece in Siracusa, fu proclamato re (269 a.C.)”.
Brikinnia,
come le altre città greca, ebbe un periodo di prosperità economica agevolato da
una ristabilita tranquillità sociale. Gerone seppe riconciliare, dopo alcune
consultazioni, le varie fazioni che avevano funestato lo stato siracusano per
lunghissimi anni.
Sposò
la figlia del nobile e influente Leptine che gli permise di accrescere la
simpatia degli ottimati che del popolo.
L’esercito
siracusano era in gran parte costituito da mercenari infidi e molto legati al denaro.
Durante
il conflitto con i Mamertini, che avevano conquistato Messina e saccheggiato i
possedimenti siracusani, pose l’accampamento nel pressi del fiume Cinasmoro e
aspettò i nemici. Nel corso della battaglia, tenne nelle retrovie la cavalleria
e le unità della falange cittadino e mise in prima linea i mercenari. Lasciò
che i mercenari venissero circondati mentre con gli altri soldati si ritirò a
Siracusa, debellando ogni forma di ammutinamento.
Ricostituì
un esercito composto da siracusani e con questi respinse i Mamertini
conquistando in poco tempo Mylae e Alesa Arconidea mentre importanti città come
Tyndaris, Abacenum e Tauromenium si dichiarano a favore di Siracusa. Grazie a
questi importanti appoggi si spinse fino al torrente Longano (nei pressi di
Barcellona Pozzo di Gotto) e annientò i mamertini catturando anche il loro
comandante Clo.
I
Mamertini furono confinati a Messina e si salvarono da un ulteriore sconfitta
grazie alla mediazione dei cartaginesi che costrinsero Siracusa a firmare una
tregua.
I
cartaginesi avrebbero posto una guarnigione a Messina a garanzia della tregua.
Gerone
II, anche se non troppo convinto, accettò.
Nel
272 lo stesso Gerone II mandò delle truppe in aiuto dei Romani che stavano
assediando Rhegium.
Nel
270 a.C. fu accolto a Siracusa come un eroe e fu nominato tiranno o sovrano della citta, una carica che
mantenne fino alla morte.
Il
sovrano mantenne stabili contatti con i romani ed anche con i cartaginesi fino
al 264 a.C.
Il
264 a.C. sarà ricordato nella storia del Regno di Sicilia in modo negativo. I
mamertini, stanchi della presenza cartaginese, con funzioni di dominio, mandarono
un ambasceria a Roma offrendo la resa della città di Messina in cambio di un
aiuto contro i cartaginesi. Dopo una lunga discussione i Romani accettarono ed
inviarono il console Appio Claudio Caudice ad occupare Messina.
Gerone
II s’adirò e preso dal desiderio di espellere dalla Sicilia i mamertini,
stipulò un alleanza con i cartaginesi e partì con il proprio esercito alla
volta della città. Insieme al generale punico Annone, pose il campo nei pressi
della città ed iniziò l’assedio di Messina.
Giunto l’esercito romano ci fu una forte scontro militare e il console
riportò la vittoria sull’esercito punico-siracusano.
Gerone
II ritornò, dopo la sconfitta, a Siracusa non pienamente convinto della lealtà
cartaginese.
Il
console romano, dimenticando i rapporti amichevoli avuti in passato con Gerone,
decise di attaccare Siracusa. Conquistò delle città sicule e alla fine assediò
la città.
Scaduto
il mandato del console, il senato romano elesse nel 263 a.C. i nuovi consoli
Manio Otacilio Crasso e Manio Valerio Massimo Messalla che subito furono
inviati in Sicilia con quattro legioni.
All’arrivo
dei consoli, molte città siceliote passarono ai Romani e cercarono di
convincere Gerone a non intraprendere una guerra dall’esito molto incerto. Alla
fine il sovrano siracusano accettò i consigli ed inviò degli ambasciatori
presso i Romani con lo scopo di trattare la pace e una possibile alleanza. Dopo
varie discussione i Romani accettarono la proposta.
Gerone
II manteneva il possesso della Sicilia Sud-Orientale, fino a Tauromenium e fu
anche costretto a pagare una somma di denaro e a liberare i prigionieri di
guerra.
Il
sovrano siracusano intervenne più volte
in aiuto dei romani come nel 262 a.C. quando fornì un forte quantitativo di
viveri ad un esercito che era impegnato nell’assedio di Agrigento.
Fornì
anche un importante aiuto militare fornendo delle macchine belliche durante
l’assedio di Camarina e nel 252 a.C. quando inviò una flotta armata in aiuto
del console Aurelio Cotta.
I
romani non dimenticarono gli aiuti forniti da Gerone II perché nel 248 a.C. fu
rinnovato il trattato di tra Roma e Siracusa. Il senato romano rinunciò ad ogni
forma di tributo e incluse il sovrano siracusano tra gli alleati. Infatti nel
241 a.C. quando gli stessi romani conclusero un trattato di pace con i
cartaginesi, pretesero da quest’ultimi l’obbligo di non arrecare guerra né a
Siracusa né ai suoi alleati.
Gerone
II per le sue riforme sociali fu visto con grande rispetto sia dai romani che
dal mondo greco. Fu noto per i suoi grandi atti di liberalità presso il
Santuario di Olimpia e inviò forti aiuti economici ai Rodii quando nel 226 a.C.
subirono i danni di un devastante terremoto.
Sul
Monte San Basilio come riportò il De Mauro un Immenso numero di monete dei
tempi degli imperatori romani, le quali trovansi tuttodì a Casale, e tra le
zolle che volge e rivolge la mano del colono
nelle contrade de Cucco, de’ Palazzelli e d’atri terreni adjacenti,
oltre a Britinnia, danno pure argomento a supporre che sino a quell’epoca
fossero animate di popolosa frequenza...”.
Molte
medaglie emesse dai tiranni di Siracusa hanno il volto di Diana nel dritto
perché venerano la Diana Liberatrice e salvatrice con la speranza di avere i
suoi favori.
Durante
l’assenza di Iceta s’era impadronito del potere cittadino Tinione. Trovò subito
l’opposizione di Sosistrato (280 a.C.) anche lui in preda alle stesse ambizioni
di potere. Si scatenò una sanguinosa guerra civile e i cartaginesi sfruttarono
l’instabilità politica di Siracusa per riconquistare molti territori e tra
questi Brikinnia.
Una
poderosa armata cartaginese s’accingeva a conquistare le grandi polis
dell’isola.. “una flotta di cento vascelli e con cinquantamila armati”.
Tinione
e Sosistrato si resero conto dell’inutilità di quella lunga e sanguinosa guerra
fratricida per la conquista del governo della città e decisero d’unirsi per
fronteggiare il comune nemico cartaginese.
Inviarono
a Pirro, re di Epiro, che si trovava a Taranto, dei messaggeri per invitarlo a
scendere in Sicilia per liberare “i Greci dalle mani dei barbari”.
Pirro
“ricevè i messi graziosamente” e salpò da Taranto alla volta delle coste
siciliane.
Sbarcò
a Tauromenio, raggiunse Catania per poi procedere verso Siracusa.
Il
suo era un esercito di “trenta mila fanti e due mila e cinquecento cavalli”...
entrò a Siracusa senza trovare alcuna resistenza da parte dei Cartaginesi (278
a.C.).
Giunsero
a Siracusa degli ambasciatori da Leonini,
la città si era unita a Tinione e Sosistrato, e pregarono Pirro di
recarsi “senza indugio a prendere sotto la sua protezione i loro stati, ed
offrendogli di dare in suo potere la loro rispettiva città, e di unirsi alle
forze di lui con un corpo di quattromila fanti e cinquecento cavalli”.
Brikinnia
come altre città greche subiva ormai da tempo le angherie dei tiranni
soffocando i principi di libertà e quindi seguì l’esempio della “madre
patria” Leontini.
Pirro per i Siciliani rappresentava la speranza di un nuovo periodo
di libertà e di sviluppo e non tradì le attese. Da Siracusa marciò verso
Agrigento che era sotto il possesso dei cartaginesi comandati da Finzia.
Durante la marcia giunse la notizia che gli agrigentini avevano cacciato dalla
loro città gli alleati ed erano pronti non solo a riceverlo con gli onori ma
anche ad unirsi alle sue truppe.
Difatti,
giunto alle loro frontiere, fu incontrato da Sosistrato a capo di ottomila
fanti agrigentini ed ottocento cavalli. Prese sotto la sua protezione trenta
città vicine a quel paese; indi, avanzatosi nei territori cartaginesi, ridusse
in servitù Eraclea, Azone, Selinunte, Alicia, Egesta. Fornito da Siracusa di
copioso numero di dardi, frecce, di ogni sorta d’armi, e macchine da batteria,
prese per assalto la inespugnabile Erice, s’impadronì di Panormo, di Erecta e
di altre piazze, e assediò con tutte le sue forze Lilibeo, unica città rimasta
ai cartaginesi, da esso loro stimata una delle chiavi della Sicilia”.
I cartaginesi a Lilibeo (Marsala) si difero con coraggio respingendo
ogni attacco di Pirro che fu costretto a togliere l’assedio. Aveva deciso di
spostare l’asse della guerra in Africa “per ferire i Cartaginesi nel cuore e
dar nuova linfa alla sua ambizione”.
Ma fu abbandonato dall’armata siciliana per i suoi “arbitrarj
procedienti” e fu quindi costretto a
desistere da ogni ulteriore impresa bellica e ritornò in Italia.
Con la partenza di Pirro la siatuazione politica di Siracusa
era molto confusa e alla fine Artemidoro e Gerone ebbero il comando delle
truppe e e della città.
Ma fu soprattutto Gerone II che seppe “sperimentar le
dolci emozioni che sono il più nobile diuturno retaggio di chi sa guadagnarsi
affetto e benevoglienza nel tener le redini del governo con prudenza, con senno
e con modi placidi e gentili”.
“Dopo che ebbe Gerone sonfitto i Mamertini nelle pianure di
Mile, all’arrivo ch’ei fece in Siracusa, fu proclamato re (269 a.C.)”.
Brikinnia,
come le altre città greca, ebbe un periodo di prosperità economica agevolato da
una ristabilita tranquillità sociale. Gerone seppe riconciliare, dopo alcune
consultazioni, le varie fazioni che avevano funestato lo stato siracusano per
lunghissimi anni.
Sposò
la figlia del nobile e influente Leptine che gli permise di accrescere la
simpatia degli ottimati che del popolo.
L’esercito
siracusano era in gran parte costituito da mercenari infidi e molto legati al denaro.
Durante
il conflitto con i Mamertini, che avevano conquistato Messina e saccheggiato i
possedimenti siracusani, pose l’accampamento nel pressi del fiume Cinasmoro e
aspettò i nemici. Nel corso della battaglia, tenne nelle retrovie la cavalleria
e le unità della falange cittadino e mise in prima linea i mercenari. Lasciò
che i mercenari venissero circondati mentre con gli altri soldati si ritirò a
Siracusa, debellando ogni forma di ammutinamento.
Ricostituì
un esercito composto da siracusani e con questi respinse i Mamertini
conquistando in poco tempo Mylae e Alesa Arconidea mentre importanti città come
Tyndaris, Abacenum e Tauromenium si dichiarano a favore di Siracusa. Grazie a
questi importanti appoggi si spinse fino al torrente Longano (nei pressi di
Barcellona Pozzo di Gotto) e annientò i mamertini catturando anche il loro
comandante Clo.
I
Mamertini furono confinati a Messina e si salvarono da un ulteriore sconfitta
grazie alla mediazione dei cartaginesi che costrinsero Siracusa a firmare una
tregua.
I
cartaginesi avrebbero posto una guarnigione a Messina a garanzia della tregua.
Gerone
II, anche se non troppo convinto, accettò.
Nel
272 lo stesso Gerone II mandò delle truppe in aiuto dei Romani che stavano
assediando Rhegium.
Nel
270 a.C. fu accolto a Siracusa come un eroe e fu nominato tiranno o sovrano della citta, una carica che
mantenne fino alla morte.
Il
sovrano mantenne stabili contatti con i romani ed anche con i cartaginesi fino
al 264 a.C.
Il
264 a.C. sarà ricordato nella storia del Regno di Sicilia in modo negativo. I
mamertini, stanchi della presenza cartaginese, con funzioni di dominio, mandarono
un ambasceria a Roma offrendo la resa della città di Messina in cambio di un
aiuto contro i cartaginesi. Dopo una lunga discussione i Romani accettarono ed
inviarono il console Appio Claudio Caudice ad occupare Messina.
Gerone
II s’adirò e preso dal desiderio di espellere dalla Sicilia i mamertini,
stipulò un alleanza con i cartaginesi e partì con il proprio esercito alla
volta della città. Insieme al generale punico Annone, pose il campo nei pressi
della città ed iniziò l’assedio di Messina.
Giunto l’esercito romano ci fu una forte scontro militare e il console
riportò la vittoria sull’esercito punico-siracusano.
Gerone
II ritornò, dopo la sconfitta, a Siracusa non pienamente convinto della lealtà
cartaginese.
Il
console romano, dimenticando i rapporti amichevoli avuti in passato con Gerone,
decise di attaccare Siracusa. Conquistò delle città sicule e alla fine assediò
la città.
Scaduto
il mandato del console, il senato romano elesse nel 263 a.C. i nuovi consoli
Manio Otacilio Crasso e Manio Valerio Massimo Messalla che subito furono
inviati in Sicilia con quattro legioni.
All’arrivo
dei consoli, molte città siceliote passarono ai Romani e cercarono di
convincere Gerone a non intraprendere una guerra dall’esito molto incerto. Alla
fine il sovrano siracusano accettò i consigli ed inviò degli ambasciatori
presso i Romani con lo scopo di trattare la pace e una possibile alleanza. Dopo
varie discussione i Romani accettarono la proposta.
Gerone
II manteneva il possesso della Sicilia Sud-Orientale, fino a Tauromenium e fu
anche costretto a pagare una somma di denaro e a liberare i prigionieri di
guerra.
Il
sovrano siracusano intervenne più volte
in aiuto dei romani come nel 262 a.C. quando fornì un forte quantitativo di
viveri ad un esercito che era impegnato nell’assedio di Agrigento.
Fornì
anche un importante aiuto militare fornendo delle macchine belliche durante
l’assedio di Camarina e nel 252 a.C. quando inviò una flotta armata in aiuto
del console Aurelio Cotta.
I
romani non dimenticarono gli aiuti forniti da Gerone II perché nel 248 a.C. fu
rinnovato il trattato di tra Roma e Siracusa. Il senato romano rinunciò ad ogni
forma di tributo e incluse il sovrano siracusano tra gli alleati. Infatti nel
241 a.C. quando gli stessi romani conclusero un trattato di pace con i
cartaginesi, pretesero da quest’ultimi l’obbligo di non arrecare guerra né a
Siracusa né ai suoi alleati.
Gerone
II per le sue riforme sociali fu visto con grande rispetto sia dai romani che
dal mondo greco. Fu noto per i suoi grandi atti di liberalità presso il
Santuario di Olimpia e inviò forti aiuti economici ai Rodii quando nel 226 a.C.
subirono i danni di un devastante terremoto.
Sul
Monte San Basilio come riportò il De Mauro un Immenso numero di monete dei
tempi degli imperatori romani, le quali trovansi tuttodì a Casale, e tra le
zolle che volge e rivolge la mano del colono
nelle contrade de Cucco, de’ Palazzelli e d’atri terreni adjacenti,
oltre a Britinnia, danno pure argomento a supporre che sino a quell’epoca
fossero animate di popolosa frequenza...”.
Molte
medaglie emesse dai tiranni di Siracusa hanno il volto di Diana nel dritto
perché venerano la Diana Liberatrice e salvatrice con la speranza di avere i
suoi favori.
Durante
l’assenza di Iceta s’era impadronito del potere cittadino Tinione. Trovò subito
l’opposizione di Sosistrato (280 a.C.) anche lui in preda alle stesse ambizioni
di potere. Si scatenò una sanguinosa guerra civile e i cartaginesi sfruttarono
l’instabilità politica di Siracusa per riconquistare molti territori e tra
questi Brikinnia.
Una
poderosa armata cartaginese s’accingeva a conquistare le grandi polis
dell’isola.. “una flotta di cento vascelli e con cinquantamila armati”.
Tinione
e Sosistrato si resero conto dell’inutilità di quella lunga e sanguinosa guerra
fratricida per la conquista del governo della città e decisero d’unirsi per
fronteggiare il comune nemico cartaginese.
Inviarono
a Pirro, re di Epiro, che si trovava a Taranto, dei messaggeri per invitarlo a
scendere in Sicilia per liberare “i Greci dalle mani dei barbari”.
Pirro
“ricevè i messi graziosamente” e salpò da Taranto alla volta delle coste
siciliane.
Sbarcò
a Tauromenio, raggiunse Catania per poi procedere verso Siracusa.
Il
suo era un esercito di “trenta mila fanti e due mila e cinquecento cavalli”...
entrò a Siracusa senza trovare alcuna resistenza da parte dei Cartaginesi (278
a.C.).
Giunsero
a Siracusa degli ambasciatori da Leonini,
la città si era unita a Tinione e Sosistrato, e pregarono Pirro di
recarsi “senza indugio a prendere sotto la sua protezione i loro stati, ed
offrendogli di dare in suo potere la loro rispettiva città, e di unirsi alle
forze di lui con un corpo di quattromila fanti e cinquecento cavalli”.
Brikinnia
come altre città greche subiva ormai da tempo le angherie dei tiranni
soffocando i principi di libertà e quindi seguì l’esempio della “madre
patria” Leontini.
Pirro per i Siciliani rappresentava la speranza di un nuovo periodo
di libertà e di sviluppo e non tradì le attese. Da Siracusa marciò verso
Agrigento che era sotto il possesso dei cartaginesi comandati da Finzia.
Durante la marcia giunse la notizia che gli agrigentini avevano cacciato dalla
loro città gli alleati ed erano pronti non solo a riceverlo con gli onori ma
anche ad unirsi alle sue truppe.
Difatti,
giunto alle loro frontiere, fu incontrato da Sosistrato a capo di ottomila
fanti agrigentini ed ottocento cavalli. Prese sotto la sua protezione trenta
città vicine a quel paese; indi, avanzatosi nei territori cartaginesi, ridusse
in servitù Eraclea, Azone, Selinunte, Alicia, Egesta. Fornito da Siracusa di
copioso numero di dardi, frecce, di ogni sorta d’armi, e macchine da batteria,
prese per assalto la inespugnabile Erice, s’impadronì di Panormo, di Erecta e
di altre piazze, e assediò con tutte le sue forze Lilibeo, unica città rimasta
ai cartaginesi, da esso loro stimata una delle chiavi della Sicilia”.
I cartaginesi a Lilibeo (Marsala) si difero con coraggio respingendo
ogni attacco di Pirro che fu costretto a togliere l’assedio. Aveva deciso di
spostare l’asse della guerra in Africa “per ferire i Cartaginesi nel cuore e
dar nuova linfa alla sua ambizione”.
Ma fu abbandonato dall’armata siciliana per i suoi “arbitrarj
procedienti” e fu quindi costretto a
desistere da ogni ulteriore impresa bellica e ritornò in Italia.
Con la partenza di Pirro la siatuazione politica di Siracusa
era molto confusa e alla fine Artemidoro e Gerone ebbero il comando delle
truppe e e della città.
Ma fu soprattutto Gerone II che seppe “sperimentar le
dolci emozioni che sono il più nobile diuturno retaggio di chi sa guadagnarsi
affetto e benevoglienza nel tener le redini del governo con prudenza, con senno
e con modi placidi e gentili”.
“Dopo che ebbe Gerone sonfitto i Mamertini nelle pianure di
Mile, all’arrivo ch’ei fece in Siracusa, fu proclamato re (269 a.C.)”.
Brikinnia,
come le altre città greca, ebbe un periodo di prosperità economica agevolato da
una ristabilita tranquillità sociale. Gerone seppe riconciliare, dopo alcune
consultazioni, le varie fazioni che avevano funestato lo stato siracusano per
lunghissimi anni.
Sposò
la figlia del nobile e influente Leptine che gli permise di accrescere la
simpatia degli ottimati che del popolo.
L’esercito
siracusano era in gran parte costituito da mercenari infidi e molto legati al denaro.
Durante
il conflitto con i Mamertini, che avevano conquistato Messina e saccheggiato i
possedimenti siracusani, pose l’accampamento nel pressi del fiume Cinasmoro e
aspettò i nemici. Nel corso della battaglia, tenne nelle retrovie la cavalleria
e le unità della falange cittadino e mise in prima linea i mercenari. Lasciò
che i mercenari venissero circondati mentre con gli altri soldati si ritirò a
Siracusa, debellando ogni forma di ammutinamento.
Ricostituì
un esercito composto da siracusani e con questi respinse i Mamertini
conquistando in poco tempo Mylae e Alesa Arconidea mentre importanti città come
Tyndaris, Abacenum e Tauromenium si dichiarano a favore di Siracusa. Grazie a
questi importanti appoggi si spinse fino al torrente Longano (nei pressi di
Barcellona Pozzo di Gotto) e annientò i mamertini catturando anche il loro
comandante Clo.
I
Mamertini furono confinati a Messina e si salvarono da un ulteriore sconfitta
grazie alla mediazione dei cartaginesi che costrinsero Siracusa a firmare una
tregua.
I
cartaginesi avrebbero posto una guarnigione a Messina a garanzia della tregua.
Gerone
II, anche se non troppo convinto, accettò.
Nel
272 lo stesso Gerone II mandò delle truppe in aiuto dei Romani che stavano
assediando Rhegium.
Nel
270 a.C. fu accolto a Siracusa come un eroe e fu nominato tiranno o sovrano della citta, una carica che
mantenne fino alla morte.
Il
sovrano mantenne stabili contatti con i romani ed anche con i cartaginesi fino
al 264 a.C.
Il
264 a.C. sarà ricordato nella storia del Regno di Sicilia in modo negativo. I
mamertini, stanchi della presenza cartaginese, con funzioni di dominio, mandarono
un ambasceria a Roma offrendo la resa della città di Messina in cambio di un
aiuto contro i cartaginesi. Dopo una lunga discussione i Romani accettarono ed
inviarono il console Appio Claudio Caudice ad occupare Messina.
Gerone
II s’adirò e preso dal desiderio di espellere dalla Sicilia i mamertini,
stipulò un alleanza con i cartaginesi e partì con il proprio esercito alla
volta della città. Insieme al generale punico Annone, pose il campo nei pressi
della città ed iniziò l’assedio di Messina.
Giunto l’esercito romano ci fu una forte scontro militare e il console
riportò la vittoria sull’esercito punico-siracusano.
Gerone
II ritornò, dopo la sconfitta, a Siracusa non pienamente convinto della lealtà
cartaginese.
Il
console romano, dimenticando i rapporti amichevoli avuti in passato con Gerone,
decise di attaccare Siracusa. Conquistò delle città sicule e alla fine assediò
la città.
Scaduto
il mandato del console, il senato romano elesse nel 263 a.C. i nuovi consoli
Manio Otacilio Crasso e Manio Valerio Massimo Messalla che subito furono
inviati in Sicilia con quattro legioni.
All’arrivo
dei consoli, molte città siceliote passarono ai Romani e cercarono di
convincere Gerone a non intraprendere una guerra dall’esito molto incerto. Alla
fine il sovrano siracusano accettò i consigli ed inviò degli ambasciatori
presso i Romani con lo scopo di trattare la pace e una possibile alleanza. Dopo
varie discussione i Romani accettarono la proposta.
Gerone
II manteneva il possesso della Sicilia Sud-Orientale, fino a Tauromenium e fu
anche costretto a pagare una somma di denaro e a liberare i prigionieri di
guerra.
Il
sovrano siracusano intervenne più volte
in aiuto dei romani come nel 262 a.C. quando fornì un forte quantitativo di
viveri ad un esercito che era impegnato nell’assedio di Agrigento.
Fornì
anche un importante aiuto militare fornendo delle macchine belliche durante
l’assedio di Camarina e nel 252 a.C. quando inviò una flotta armata in aiuto
del console Aurelio Cotta.
I
romani non dimenticarono gli aiuti forniti da Gerone II perché nel 248 a.C. fu
rinnovato il trattato di tra Roma e Siracusa. Il senato romano rinunciò ad ogni
forma di tributo e incluse il sovrano siracusano tra gli alleati. Infatti nel
241 a.C. quando gli stessi romani conclusero un trattato di pace con i
cartaginesi, pretesero da quest’ultimi l’obbligo di non arrecare guerra né a
Siracusa né ai suoi alleati.
Gerone
II per le sue riforme sociali fu visto con grande rispetto sia dai romani che
dal mondo greco. Fu noto per i suoi grandi atti di liberalità presso il
Santuario di Olimpia e inviò forti aiuti economici ai Rodii quando nel 226 a.C.
subirono i danni di un devastante terremoto.
Sul
Monte San Basilio come riportò il De Mauro un Immenso numero di monete dei
tempi degli imperatori romani, le quali trovansi tuttodì a Casale, e tra le
zolle che volge e rivolge la mano del colono
nelle contrade de Cucco, de’ Palazzelli e d’atri terreni adjacenti,
oltre a Britinnia, danno pure argomento a supporre che sino a quell’epoca
fossero animate di popolosa frequenza...”.
Moneta
di Gerone II
(Tiranno di Siracusa e Basileus di Sicilia dal 270 al 215 a.C.) sono “in
bronzo e di piccol modulo, ne hanno il capo senile. I rovesci tengono impresso
il tridente con due delfini, emblemi di navigazione e di commercio esterno, e a
traverso il manico la parola IEP – ΩN
Monete Romane
Moneta
di Gerone II
(Tiranno di Siracusa e Basileus di Sicilia dal 270 al 215 a.C.) sono “in
bronzo e di piccol modulo, ne hanno il capo senile. I rovesci tengono impresso
il tridente con due delfini, emblemi di navigazione e di commercio esterno, e a
traverso il manico la parola IEP – ΩN
Monete Romane
Moneta
di Gerone II
(Tiranno di Siracusa e Basileus di Sicilia dal 270 al 215 a.C.) sono “in
bronzo e di piccol modulo, ne hanno il capo senile. I rovesci tengono impresso
il tridente con due delfini, emblemi di navigazione e di commercio esterno, e a
traverso il manico la parola IEP – ΩN
Monete Romane
Moneta
di Gerone II
(Tiranno di Siracusa e Basileus di Sicilia dal 270 al 215 a.C.) sono “in
bronzo e di piccol modulo, ne hanno il capo senile. I rovesci tengono impresso
il tridente con due delfini, emblemi di navigazione e di commercio esterno, e a
traverso il manico la parola IEP – ΩN
Monete Romane
Moneta
di Gerone II
(Tiranno di Siracusa e Basileus di Sicilia dal 270 al 215 a.C.) sono “in
bronzo e di piccol modulo, ne hanno il capo senile. I rovesci tengono impresso
il tridente con due delfini, emblemi di navigazione e di commercio esterno, e a
traverso il manico la parola IEP – ΩN
Monete Romane
“Degli
imperatori d’oriente, abbiam monete di Costanzo figlio di Costantino in bronzo,
con capo di profilo cinto di diadema, e la epigrafe D.N. CONSTANTIUS P. F.
Aug.; e di Tiberio Mourizio vittoriate in oro, come in bronzo battute in
Catania di prima grandezza, colla croce nel rovescio...”
Con
la dominazione bizantina dal 536 circa,
sul Monte San Basilio s’insidiarono
delle comunità che utilizzarono ed ampliarono le cavità preesistenti e a
riadattarono la cisterna o granaio a luogo di culto affrescando alcuni pilastri
e collocandovi anche un altare. Un culto legato a San Basilio ed è quindi
probabile la presenza anche di un piccolo gruppo di monaci basiliani.
In
epoca bizantina il casale mantenne probabilmente la sua funzione militare;
probabilmente in collegamento con la vicina rocca su Monte Turcisi. Ed anche
religiosa con l’edificio sotterraneo
adibito a luogo di culto (nei pilastri furono raffigurati dei Santi).
Di
epoca medievale, il sito doveva
presentare delle piccole comunità, sono delle monete, rinvenute sempre
dal De Mauro, risalenti al periodo di Guglielmo II e dell’aragonese re
Ludovico.
Il
sito fu in seguito abbandonato ed è difficile indicarne il periodo dato la
mancanza di scavi archeologici. È
comunque probabile che già alla fine del XV secolo il sito fosse ormai spopolato con il trasferimento
delle comunità a valle e verso il feudo della Castellana.
ALTRE MONETE CON L’EFFIGE DI APOLLO
“Degli
imperatori d’oriente, abbiam monete di Costanzo figlio di Costantino in bronzo,
con capo di profilo cinto di diadema, e la epigrafe D.N. CONSTANTIUS P. F.
Aug.; e di Tiberio Mourizio vittoriate in oro, come in bronzo battute in
Catania di prima grandezza, colla croce nel rovescio...”
Con
la dominazione bizantina dal 536 circa,
sul Monte San Basilio s’insidiarono
delle comunità che utilizzarono ed ampliarono le cavità preesistenti e a
riadattarono la cisterna o granaio a luogo di culto affrescando alcuni pilastri
e collocandovi anche un altare. Un culto legato a San Basilio ed è quindi
probabile la presenza anche di un piccolo gruppo di monaci basiliani.
In
epoca bizantina il casale mantenne probabilmente la sua funzione militare;
probabilmente in collegamento con la vicina rocca su Monte Turcisi. Ed anche
religiosa con l’edificio sotterraneo
adibito a luogo di culto (nei pilastri furono raffigurati dei Santi).
Di
epoca medievale, il sito doveva
presentare delle piccole comunità, sono delle monete, rinvenute sempre
dal De Mauro, risalenti al periodo di Guglielmo II e dell’aragonese re
Ludovico.
Il
sito fu in seguito abbandonato ed è difficile indicarne il periodo dato la
mancanza di scavi archeologici. È
comunque probabile che già alla fine del XV secolo il sito fosse ormai spopolato con il trasferimento
delle comunità a valle e verso il feudo della Castellana.
ALTRE MONETE CON L’EFFIGE DI APOLLO
“Degli
imperatori d’oriente, abbiam monete di Costanzo figlio di Costantino in bronzo,
con capo di profilo cinto di diadema, e la epigrafe D.N. CONSTANTIUS P. F.
Aug.; e di Tiberio Mourizio vittoriate in oro, come in bronzo battute in
Catania di prima grandezza, colla croce nel rovescio...”
Con
la dominazione bizantina dal 536 circa,
sul Monte San Basilio s’insidiarono
delle comunità che utilizzarono ed ampliarono le cavità preesistenti e a
riadattarono la cisterna o granaio a luogo di culto affrescando alcuni pilastri
e collocandovi anche un altare. Un culto legato a San Basilio ed è quindi
probabile la presenza anche di un piccolo gruppo di monaci basiliani.
In
epoca bizantina il casale mantenne probabilmente la sua funzione militare;
probabilmente in collegamento con la vicina rocca su Monte Turcisi. Ed anche
religiosa con l’edificio sotterraneo
adibito a luogo di culto (nei pilastri furono raffigurati dei Santi).
Di
epoca medievale, il sito doveva
presentare delle piccole comunità, sono delle monete, rinvenute sempre
dal De Mauro, risalenti al periodo di Guglielmo II e dell’aragonese re
Ludovico.
Il
sito fu in seguito abbandonato ed è difficile indicarne il periodo dato la
mancanza di scavi archeologici. È
comunque probabile che già alla fine del XV secolo il sito fosse ormai spopolato con il trasferimento
delle comunità a valle e verso il feudo della Castellana.
ALTRE MONETE CON L’EFFIGE DI APOLLO
“Degli
imperatori d’oriente, abbiam monete di Costanzo figlio di Costantino in bronzo,
con capo di profilo cinto di diadema, e la epigrafe D.N. CONSTANTIUS P. F.
Aug.; e di Tiberio Mourizio vittoriate in oro, come in bronzo battute in
Catania di prima grandezza, colla croce nel rovescio...”
Con
la dominazione bizantina dal 536 circa,
sul Monte San Basilio s’insidiarono
delle comunità che utilizzarono ed ampliarono le cavità preesistenti e a
riadattarono la cisterna o granaio a luogo di culto affrescando alcuni pilastri
e collocandovi anche un altare. Un culto legato a San Basilio ed è quindi
probabile la presenza anche di un piccolo gruppo di monaci basiliani.
In
epoca bizantina il casale mantenne probabilmente la sua funzione militare;
probabilmente in collegamento con la vicina rocca su Monte Turcisi. Ed anche
religiosa con l’edificio sotterraneo
adibito a luogo di culto (nei pilastri furono raffigurati dei Santi).
Di
epoca medievale, il sito doveva
presentare delle piccole comunità, sono delle monete, rinvenute sempre
dal De Mauro, risalenti al periodo di Guglielmo II e dell’aragonese re
Ludovico.
Il
sito fu in seguito abbandonato ed è difficile indicarne il periodo dato la
mancanza di scavi archeologici. È
comunque probabile che già alla fine del XV secolo il sito fosse ormai spopolato con il trasferimento
delle comunità a valle e verso il feudo della Castellana.
ALTRE MONETE CON L’EFFIGE DI APOLLO
“Degli imperatori d’oriente, abbiam monete di Costanzo figlio di Costantino in bronzo, con capo di profilo cinto di diadema, e la epigrafe D.N. CONSTANTIUS P. F. Aug.; e di Tiberio Mourizio vittoriate in oro, come in bronzo battute in Catania di prima grandezza, colla croce nel rovescio...”
Con
la dominazione bizantina dal 536 circa,
sul Monte San Basilio s’insidiarono
delle comunità che utilizzarono ed ampliarono le cavità preesistenti e a
riadattarono la cisterna o granaio a luogo di culto affrescando alcuni pilastri
e collocandovi anche un altare. Un culto legato a San Basilio ed è quindi
probabile la presenza anche di un piccolo gruppo di monaci basiliani.
In
epoca bizantina il casale mantenne probabilmente la sua funzione militare;
probabilmente in collegamento con la vicina rocca su Monte Turcisi. Ed anche
religiosa con l’edificio sotterraneo
adibito a luogo di culto (nei pilastri furono raffigurati dei Santi).
Di
epoca medievale, il sito doveva
presentare delle piccole comunità, sono delle monete, rinvenute sempre
dal De Mauro, risalenti al periodo di Guglielmo II e dell’aragonese re
Ludovico.
Il
sito fu in seguito abbandonato ed è difficile indicarne il periodo dato la
mancanza di scavi archeologici. È
comunque probabile che già alla fine del XV secolo il sito fosse ormai spopolato con il trasferimento
delle comunità a valle e verso il feudo della Castellana.
IL
De Mauro si pose la domanda su quale Apollo fosse raffigurato sulle monete di
Agatocle: “l’’arcageta (colui che guida la fondazione), il Dafnite (Apollo innamorato di Dafne), il Libistino,
il Feritore (Peana o Peane era un inno cantato in onore di Apollo Feritore del
serpente Pitone o dopo qualche vittoria o per allontanare qualche sciagura), il
Temenite (Temenite deriva dalla parola
greca “”temenos” (recinto) ed è il piccolo rilievo montuoso che divide in due
parti il Parco Archeologico della neapolis di Siracusa. Qui sorgeva il tempio dedicato
ad Apollo a cui fu aggiunto l’attributo di Temerite per indicare l’Apollo
venerato a Siracusa).“E’
probabile che Agatocle, avversario dei Cartaginesi, vi avesse raffigurato
Apollo Libistino, per aver questo morto di pestilenza i Libici che approdato
aveano al promontorio Pachino per invadere la Sicilia... e avrebbe potuto anco
a questo essere accoppiata la divozione del Feritore”.“Un
uomo
(Agatocle) datosi in braccio alla più scapigliata tirannide, implorar dovea
la protezione di un nume, sul cui dardo volava la peste foriera d’orrida
morte”.Lo
scrittore latino pagano Macrobio, vissuto tra il IV ed il VI secolo d.C.,
testimoniò la presenza di un tempio dedicato ad Apollo presso Pachino. Esisteva
da almeno due secoli dato che era citato nell’itinerario Antonini. Nei
suoi “Saturnalia” scrisse in merito al tempio:Presso Pachino,
promontorio della Sicilia, viene venerato con esimia religioneApollo Libistino.
Infatti, avendo i Libici che stavano per invadere la Siciliaapprodato con la
loro flotta in quel promontorio, Apollo, che colà è onorato,invocato dagli
abitanti, diffuse la peste tra i nemici che furono quasi tutti colpitida subitanea morte
e perciò da allora fu soprannominato Libistino”.Nel IV secolo d.C.
ancora molti dei e templi pagani erano venerati in Sicilia.Il Cluverio citò
il tempio nel castello di Spaccaforno e il Fazello nellacittà di Ina
vicino alla Cava d’Ispica. Entrambi caddero in errore dato cheil Macrobio citò
in modo chiaro il tempio su un promontoriovicino Pachino. È
da escludere Marzamemi come citò Vito Amico.Purtroppo del
tempio rimane solo la base... l’alzato è inesistente... opera benevola
dell’uomo..Nel ‘500 il Fazello rilevò infatti come il tempio
era ormai inesistente.In contrada “Scalo
Mandria”, nei pressi delle antiche casette dei marinai,sono presenti dei
conci che furono sottoposti a lavorazione per scopi edilizi.Le pietre del
tempio è probabile che siano state utilizzate come materialeda costruzione in
epoche diverse come il castello nell’Isola di Capo Passero o
nella costruzione della tonnara. Tutte opere elevate in epocaMedievale. Le
colonne invece sarebbero in fondo al mare se sidovrebbe dare
credito ai racconti di numerosi pescatori.... Nella
moneta dedicata ad Apollo Libistene è presente sia l’aquila che il fulmine che
sono simboli di Zeuss. (altri suoi simboli erano: il toro, la quercia, ecc.).Il
De Mauro analizzò questo aspetto rilevando come “gli antichi riunivano nelle
loro medaglie i simboli di vari numi ch’essi adoravano”.“Ad
Apollo in piedi col capo radiato, Messana riuniva nelle monete il capo di
Giove, padre dio altronde del nume della poesia, della musica e
dell’eloquenza...”..”Leontini al capo di Apolline laureato accoppiò il capo del
leone, il leone intero, i grani dell’orzo, i pesci, e talora l’immagine di
Cerere, o di Erco le sacrificante all’ara. E così via..”. Sul
Monte furono rinvenute altre monete che furono sempre descritte al prete di
Scordia:“
Di altre medaglie con capo di donna, il delfino e il polipo; con capo di un
giovine e il cavallo sfrenato o il pegaso volante; con capo di Giove barbato
cinto di alloro e con l’aquila e il caduceo; e di altre in maggior numero e
assai facili a rinvenirsi, massime col capo di Aretusa nel dritto e il bue
cornipeta nel rovescio, con sopra la clava, o invece un delfino, ed anco due,
l’uno sopra e l’altro sotto il toro, ed uno rincontro l’occipizio della
Ninfa.... crediamo che come il pegaso, così il toto alludesse a commercio
marittimo e a navi greche o fenicie....”.
IL
De Mauro si pose la domanda su quale Apollo fosse raffigurato sulle monete di
Agatocle: “l’’arcageta (colui che guida la fondazione), il Dafnite (Apollo innamorato di Dafne), il Libistino,
il Feritore (Peana o Peane era un inno cantato in onore di Apollo Feritore del
serpente Pitone o dopo qualche vittoria o per allontanare qualche sciagura), il
Temenite (Temenite deriva dalla parola
greca “”temenos” (recinto) ed è il piccolo rilievo montuoso che divide in due
parti il Parco Archeologico della neapolis di Siracusa. Qui sorgeva il tempio dedicato
ad Apollo a cui fu aggiunto l’attributo di Temerite per indicare l’Apollo
venerato a Siracusa).“E’
probabile che Agatocle, avversario dei Cartaginesi, vi avesse raffigurato
Apollo Libistino, per aver questo morto di pestilenza i Libici che approdato
aveano al promontorio Pachino per invadere la Sicilia... e avrebbe potuto anco
a questo essere accoppiata la divozione del Feritore”.“Un
uomo
(Agatocle) datosi in braccio alla più scapigliata tirannide, implorar dovea
la protezione di un nume, sul cui dardo volava la peste foriera d’orrida
morte”.Lo
scrittore latino pagano Macrobio, vissuto tra il IV ed il VI secolo d.C.,
testimoniò la presenza di un tempio dedicato ad Apollo presso Pachino. Esisteva
da almeno due secoli dato che era citato nell’itinerario Antonini. Nei
suoi “Saturnalia” scrisse in merito al tempio:Presso Pachino,
promontorio della Sicilia, viene venerato con esimia religioneApollo Libistino.
Infatti, avendo i Libici che stavano per invadere la Siciliaapprodato con la
loro flotta in quel promontorio, Apollo, che colà è onorato,invocato dagli
abitanti, diffuse la peste tra i nemici che furono quasi tutti colpitida subitanea morte
e perciò da allora fu soprannominato Libistino”.Nel IV secolo d.C.
ancora molti dei e templi pagani erano venerati in Sicilia.Il Cluverio citò
il tempio nel castello di Spaccaforno e il Fazello nellacittà di Ina
vicino alla Cava d’Ispica. Entrambi caddero in errore dato cheil Macrobio citò
in modo chiaro il tempio su un promontoriovicino Pachino. È
da escludere Marzamemi come citò Vito Amico.Purtroppo del
tempio rimane solo la base... l’alzato è inesistente... opera benevola
dell’uomo..Nel ‘500 il Fazello rilevò infatti come il tempio
era ormai inesistente.In contrada “Scalo
Mandria”, nei pressi delle antiche casette dei marinai,sono presenti dei
conci che furono sottoposti a lavorazione per scopi edilizi.Le pietre del
tempio è probabile che siano state utilizzate come materialeda costruzione in
epoche diverse come il castello nell’Isola di Capo Passero o
nella costruzione della tonnara. Tutte opere elevate in epocaMedievale. Le
colonne invece sarebbero in fondo al mare se sidovrebbe dare
credito ai racconti di numerosi pescatori.... Nella
moneta dedicata ad Apollo Libistene è presente sia l’aquila che il fulmine che
sono simboli di Zeuss. (altri suoi simboli erano: il toro, la quercia, ecc.).Il
De Mauro analizzò questo aspetto rilevando come “gli antichi riunivano nelle
loro medaglie i simboli di vari numi ch’essi adoravano”.“Ad
Apollo in piedi col capo radiato, Messana riuniva nelle monete il capo di
Giove, padre dio altronde del nume della poesia, della musica e
dell’eloquenza...”..”Leontini al capo di Apolline laureato accoppiò il capo del
leone, il leone intero, i grani dell’orzo, i pesci, e talora l’immagine di
Cerere, o di Erco le sacrificante all’ara. E così via..”. Sul
Monte furono rinvenute altre monete che furono sempre descritte al prete di
Scordia:“
Di altre medaglie con capo di donna, il delfino e il polipo; con capo di un
giovine e il cavallo sfrenato o il pegaso volante; con capo di Giove barbato
cinto di alloro e con l’aquila e il caduceo; e di altre in maggior numero e
assai facili a rinvenirsi, massime col capo di Aretusa nel dritto e il bue
cornipeta nel rovescio, con sopra la clava, o invece un delfino, ed anco due,
l’uno sopra e l’altro sotto il toro, ed uno rincontro l’occipizio della
Ninfa.... crediamo che come il pegaso, così il toto alludesse a commercio
marittimo e a navi greche o fenicie....”.
IL
De Mauro si pose la domanda su quale Apollo fosse raffigurato sulle monete di
Agatocle: “l’’arcageta (colui che guida la fondazione), il Dafnite (Apollo innamorato di Dafne), il Libistino,
il Feritore (Peana o Peane era un inno cantato in onore di Apollo Feritore del
serpente Pitone o dopo qualche vittoria o per allontanare qualche sciagura), il
Temenite (Temenite deriva dalla parola
greca “”temenos” (recinto) ed è il piccolo rilievo montuoso che divide in due
parti il Parco Archeologico della neapolis di Siracusa. Qui sorgeva il tempio dedicato
ad Apollo a cui fu aggiunto l’attributo di Temerite per indicare l’Apollo
venerato a Siracusa).“E’
probabile che Agatocle, avversario dei Cartaginesi, vi avesse raffigurato
Apollo Libistino, per aver questo morto di pestilenza i Libici che approdato
aveano al promontorio Pachino per invadere la Sicilia... e avrebbe potuto anco
a questo essere accoppiata la divozione del Feritore”.“Un
uomo
(Agatocle) datosi in braccio alla più scapigliata tirannide, implorar dovea
la protezione di un nume, sul cui dardo volava la peste foriera d’orrida
morte”.Lo
scrittore latino pagano Macrobio, vissuto tra il IV ed il VI secolo d.C.,
testimoniò la presenza di un tempio dedicato ad Apollo presso Pachino. Esisteva
da almeno due secoli dato che era citato nell’itinerario Antonini. Nei
suoi “Saturnalia” scrisse in merito al tempio:Presso Pachino,
promontorio della Sicilia, viene venerato con esimia religioneApollo Libistino.
Infatti, avendo i Libici che stavano per invadere la Siciliaapprodato con la
loro flotta in quel promontorio, Apollo, che colà è onorato,invocato dagli
abitanti, diffuse la peste tra i nemici che furono quasi tutti colpitida subitanea morte
e perciò da allora fu soprannominato Libistino”.Nel IV secolo d.C.
ancora molti dei e templi pagani erano venerati in Sicilia.Il Cluverio citò
il tempio nel castello di Spaccaforno e il Fazello nellacittà di Ina
vicino alla Cava d’Ispica. Entrambi caddero in errore dato cheil Macrobio citò
in modo chiaro il tempio su un promontoriovicino Pachino. È
da escludere Marzamemi come citò Vito Amico.Purtroppo del
tempio rimane solo la base... l’alzato è inesistente... opera benevola
dell’uomo..Nel ‘500 il Fazello rilevò infatti come il tempio
era ormai inesistente.In contrada “Scalo
Mandria”, nei pressi delle antiche casette dei marinai,sono presenti dei
conci che furono sottoposti a lavorazione per scopi edilizi.Le pietre del
tempio è probabile che siano state utilizzate come materialeda costruzione in
epoche diverse come il castello nell’Isola di Capo Passero o
nella costruzione della tonnara. Tutte opere elevate in epocaMedievale. Le
colonne invece sarebbero in fondo al mare se sidovrebbe dare
credito ai racconti di numerosi pescatori.... Nella
moneta dedicata ad Apollo Libistene è presente sia l’aquila che il fulmine che
sono simboli di Zeuss. (altri suoi simboli erano: il toro, la quercia, ecc.).Il
De Mauro analizzò questo aspetto rilevando come “gli antichi riunivano nelle
loro medaglie i simboli di vari numi ch’essi adoravano”.“Ad
Apollo in piedi col capo radiato, Messana riuniva nelle monete il capo di
Giove, padre dio altronde del nume della poesia, della musica e
dell’eloquenza...”..”Leontini al capo di Apolline laureato accoppiò il capo del
leone, il leone intero, i grani dell’orzo, i pesci, e talora l’immagine di
Cerere, o di Erco le sacrificante all’ara. E così via..”. Sul
Monte furono rinvenute altre monete che furono sempre descritte al prete di
Scordia:“
Di altre medaglie con capo di donna, il delfino e il polipo; con capo di un
giovine e il cavallo sfrenato o il pegaso volante; con capo di Giove barbato
cinto di alloro e con l’aquila e il caduceo; e di altre in maggior numero e
assai facili a rinvenirsi, massime col capo di Aretusa nel dritto e il bue
cornipeta nel rovescio, con sopra la clava, o invece un delfino, ed anco due,
l’uno sopra e l’altro sotto il toro, ed uno rincontro l’occipizio della
Ninfa.... crediamo che come il pegaso, così il toto alludesse a commercio
marittimo e a navi greche o fenicie....”.
IL
De Mauro si pose la domanda su quale Apollo fosse raffigurato sulle monete di
Agatocle: “l’’arcageta (colui che guida la fondazione), il Dafnite (Apollo innamorato di Dafne), il Libistino,
il Feritore (Peana o Peane era un inno cantato in onore di Apollo Feritore del
serpente Pitone o dopo qualche vittoria o per allontanare qualche sciagura), il
Temenite (Temenite deriva dalla parola
greca “”temenos” (recinto) ed è il piccolo rilievo montuoso che divide in due
parti il Parco Archeologico della neapolis di Siracusa. Qui sorgeva il tempio dedicato
ad Apollo a cui fu aggiunto l’attributo di Temerite per indicare l’Apollo
venerato a Siracusa).“E’
probabile che Agatocle, avversario dei Cartaginesi, vi avesse raffigurato
Apollo Libistino, per aver questo morto di pestilenza i Libici che approdato
aveano al promontorio Pachino per invadere la Sicilia... e avrebbe potuto anco
a questo essere accoppiata la divozione del Feritore”.“Un
uomo
(Agatocle) datosi in braccio alla più scapigliata tirannide, implorar dovea
la protezione di un nume, sul cui dardo volava la peste foriera d’orrida
morte”.Lo
scrittore latino pagano Macrobio, vissuto tra il IV ed il VI secolo d.C.,
testimoniò la presenza di un tempio dedicato ad Apollo presso Pachino. Esisteva
da almeno due secoli dato che era citato nell’itinerario Antonini. Nei
suoi “Saturnalia” scrisse in merito al tempio:Presso Pachino,
promontorio della Sicilia, viene venerato con esimia religioneApollo Libistino.
Infatti, avendo i Libici che stavano per invadere la Siciliaapprodato con la
loro flotta in quel promontorio, Apollo, che colà è onorato,invocato dagli
abitanti, diffuse la peste tra i nemici che furono quasi tutti colpitida subitanea morte
e perciò da allora fu soprannominato Libistino”.Nel IV secolo d.C.
ancora molti dei e templi pagani erano venerati in Sicilia.Il Cluverio citò
il tempio nel castello di Spaccaforno e il Fazello nellacittà di Ina
vicino alla Cava d’Ispica. Entrambi caddero in errore dato cheil Macrobio citò
in modo chiaro il tempio su un promontoriovicino Pachino. È
da escludere Marzamemi come citò Vito Amico.Purtroppo del
tempio rimane solo la base... l’alzato è inesistente... opera benevola
dell’uomo..Nel ‘500 il Fazello rilevò infatti come il tempio
era ormai inesistente.In contrada “Scalo
Mandria”, nei pressi delle antiche casette dei marinai,sono presenti dei
conci che furono sottoposti a lavorazione per scopi edilizi.Le pietre del
tempio è probabile che siano state utilizzate come materialeda costruzione in
epoche diverse come il castello nell’Isola di Capo Passero o
nella costruzione della tonnara. Tutte opere elevate in epocaMedievale. Le
colonne invece sarebbero in fondo al mare se sidovrebbe dare
credito ai racconti di numerosi pescatori.... Nella
moneta dedicata ad Apollo Libistene è presente sia l’aquila che il fulmine che
sono simboli di Zeuss. (altri suoi simboli erano: il toro, la quercia, ecc.).Il
De Mauro analizzò questo aspetto rilevando come “gli antichi riunivano nelle
loro medaglie i simboli di vari numi ch’essi adoravano”.“Ad
Apollo in piedi col capo radiato, Messana riuniva nelle monete il capo di
Giove, padre dio altronde del nume della poesia, della musica e
dell’eloquenza...”..”Leontini al capo di Apolline laureato accoppiò il capo del
leone, il leone intero, i grani dell’orzo, i pesci, e talora l’immagine di
Cerere, o di Erco le sacrificante all’ara. E così via..”. Sul
Monte furono rinvenute altre monete che furono sempre descritte al prete di
Scordia:“
Di altre medaglie con capo di donna, il delfino e il polipo; con capo di un
giovine e il cavallo sfrenato o il pegaso volante; con capo di Giove barbato
cinto di alloro e con l’aquila e il caduceo; e di altre in maggior numero e
assai facili a rinvenirsi, massime col capo di Aretusa nel dritto e il bue
cornipeta nel rovescio, con sopra la clava, o invece un delfino, ed anco due,
l’uno sopra e l’altro sotto il toro, ed uno rincontro l’occipizio della
Ninfa.... crediamo che come il pegaso, così il toto alludesse a commercio
marittimo e a navi greche o fenicie....”.
IL
De Mauro si pose la domanda su quale Apollo fosse raffigurato sulle monete di
Agatocle: “l’’arcageta (colui che guida la fondazione), il Dafnite (Apollo innamorato di Dafne), il Libistino,
il Feritore (Peana o Peane era un inno cantato in onore di Apollo Feritore del
serpente Pitone o dopo qualche vittoria o per allontanare qualche sciagura), il
Temenite (Temenite deriva dalla parola
greca “”temenos” (recinto) ed è il piccolo rilievo montuoso che divide in due
parti il Parco Archeologico della neapolis di Siracusa. Qui sorgeva il tempio dedicato
ad Apollo a cui fu aggiunto l’attributo di Temerite per indicare l’Apollo
venerato a Siracusa).“E’
probabile che Agatocle, avversario dei Cartaginesi, vi avesse raffigurato
Apollo Libistino, per aver questo morto di pestilenza i Libici che approdato
aveano al promontorio Pachino per invadere la Sicilia... e avrebbe potuto anco
a questo essere accoppiata la divozione del Feritore”.“Un
uomo
(Agatocle) datosi in braccio alla più scapigliata tirannide, implorar dovea
la protezione di un nume, sul cui dardo volava la peste foriera d’orrida
morte”.Lo
scrittore latino pagano Macrobio, vissuto tra il IV ed il VI secolo d.C.,
testimoniò la presenza di un tempio dedicato ad Apollo presso Pachino. Esisteva
da almeno due secoli dato che era citato nell’itinerario Antonini. Nei
suoi “Saturnalia” scrisse in merito al tempio:Presso Pachino,
promontorio della Sicilia, viene venerato con esimia religioneApollo Libistino.
Infatti, avendo i Libici che stavano per invadere la Siciliaapprodato con la
loro flotta in quel promontorio, Apollo, che colà è onorato,invocato dagli
abitanti, diffuse la peste tra i nemici che furono quasi tutti colpitida subitanea morte
e perciò da allora fu soprannominato Libistino”.Nel IV secolo d.C.
ancora molti dei e templi pagani erano venerati in Sicilia.Il Cluverio citò
il tempio nel castello di Spaccaforno e il Fazello nellacittà di Ina
vicino alla Cava d’Ispica. Entrambi caddero in errore dato cheil Macrobio citò
in modo chiaro il tempio su un promontoriovicino Pachino. È
da escludere Marzamemi come citò Vito Amico.Purtroppo del
tempio rimane solo la base... l’alzato è inesistente... opera benevola
dell’uomo..Nel ‘500 il Fazello rilevò infatti come il tempio
era ormai inesistente.In contrada “Scalo
Mandria”, nei pressi delle antiche casette dei marinai,sono presenti dei
conci che furono sottoposti a lavorazione per scopi edilizi.Le pietre del
tempio è probabile che siano state utilizzate come materialeda costruzione in
epoche diverse come il castello nell’Isola di Capo Passero o
nella costruzione della tonnara. Tutte opere elevate in epocaMedievale. Le
colonne invece sarebbero in fondo al mare se sidovrebbe dare
credito ai racconti di numerosi pescatori.... Nella
moneta dedicata ad Apollo Libistene è presente sia l’aquila che il fulmine che
sono simboli di Zeuss. (altri suoi simboli erano: il toro, la quercia, ecc.).Il
De Mauro analizzò questo aspetto rilevando come “gli antichi riunivano nelle
loro medaglie i simboli di vari numi ch’essi adoravano”.“Ad
Apollo in piedi col capo radiato, Messana riuniva nelle monete il capo di
Giove, padre dio altronde del nume della poesia, della musica e
dell’eloquenza...”..”Leontini al capo di Apolline laureato accoppiò il capo del
leone, il leone intero, i grani dell’orzo, i pesci, e talora l’immagine di
Cerere, o di Erco le sacrificante all’ara. E così via..”. Sul
Monte furono rinvenute altre monete che furono sempre descritte al prete di
Scordia:“
Di altre medaglie con capo di donna, il delfino e il polipo; con capo di un
giovine e il cavallo sfrenato o il pegaso volante; con capo di Giove barbato
cinto di alloro e con l’aquila e il caduceo; e di altre in maggior numero e
assai facili a rinvenirsi, massime col capo di Aretusa nel dritto e il bue
cornipeta nel rovescio, con sopra la clava, o invece un delfino, ed anco due,
l’uno sopra e l’altro sotto il toro, ed uno rincontro l’occipizio della
Ninfa.... crediamo che come il pegaso, così il toto alludesse a commercio
marittimo e a navi greche o fenicie....”.
Il
pegaso sarebbe legato alla leggenda di Bellerofonte ma anche alla madre patria
Corinto.
Vicino
Corinto c’era la fonte Priene dove Bellerofonte riuscì a catturare il “cavallo
pegaso” che venne effigiato nelle monete della città. I coloni corinzi giunti a
Siracusa guidati da Archia, mantennero l’immagine nelle nuove monete.
Il
pegaso sarebbe legato alla leggenda di Bellerofonte ma anche alla madre patria
Corinto.
Vicino
Corinto c’era la fonte Priene dove Bellerofonte riuscì a catturare il “cavallo
pegaso” che venne effigiato nelle monete della città. I coloni corinzi giunti a
Siracusa guidati da Archia, mantennero l’immagine nelle nuove monete.
Il
pegaso sarebbe legato alla leggenda di Bellerofonte ma anche alla madre patria
Corinto.
Vicino
Corinto c’era la fonte Priene dove Bellerofonte riuscì a catturare il “cavallo
pegaso” che venne effigiato nelle monete della città. I coloni corinzi giunti a
Siracusa guidati da Archia, mantennero l’immagine nelle nuove monete.
Il
pegaso sarebbe legato alla leggenda di Bellerofonte ma anche alla madre patria
Corinto.
Vicino
Corinto c’era la fonte Priene dove Bellerofonte riuscì a catturare il “cavallo
pegaso” che venne effigiato nelle monete della città. I coloni corinzi giunti a
Siracusa guidati da Archia, mantennero l’immagine nelle nuove monete.
Il
pegaso sarebbe legato alla leggenda di Bellerofonte ma anche alla madre patria
Corinto.
Vicino
Corinto c’era la fonte Priene dove Bellerofonte riuscì a catturare il “cavallo
pegaso” che venne effigiato nelle monete della città. I coloni corinzi giunti a
Siracusa guidati da Archia, mantennero l’immagine nelle nuove monete.
Il
pegaso sarebbe legato alla leggenda di Bellerofonte ma anche alla madre patria
Corinto.
Vicino
Corinto c’era la fonte Priene dove Bellerofonte riuscì a catturare il “cavallo
pegaso” che venne effigiato nelle monete della città. I coloni corinzi giunti a
Siracusa guidati da Archia, mantennero l’immagine nelle nuove monete.
Le
“palle di pietra” rinvenute sul Colle
Il
De Mauro citò l’esistenza di una voce
che parlava di “poderose palle di pietra assai dura” trovate sul Monte
Basilio o Casale e che “si rotolassero giù contro nemici che nei tempi
andati avrebbero tentato salir per aggredirne gli abitatori”.
Lo
storico era dubbioso su questa voce ma si dovette ricredere perché fu testimone
del ritrovamento di alcune “palle di pietra”.
“Tra
le ruine della robusta muraglia (allora il muro di cinta doveva trovarsi in
discrete condizioni) rimpetto l’occidente, sonosi testè ritrovate nove palle
di marmo “palumbino” di Taormina ben tornite, tre delle quali del raggio di
once sette (15 cm circa), linee sei e punti tre (circa 18 cm di
raggio per un diametro di 36 cm) e di libbre 170 di peso (circa 54
kg)...
Linea...
unità di misura della lunghezza: 1 linea = 1,79 mm
Punto.. “
“ “ : 1 punto = 0,15 mm
Libra Unitò di misura di peso alla fina: 1 Libbra
= 317,36 g
e sei del raggio di once sei, linea una e punti tre e di 70 libre di peso. (
13 cm circa) (22 kg di peso)
Le
“palle di pietra” rinvenute sul Colle
Il
De Mauro citò l’esistenza di una voce
che parlava di “poderose palle di pietra assai dura” trovate sul Monte
Basilio o Casale e che “si rotolassero giù contro nemici che nei tempi
andati avrebbero tentato salir per aggredirne gli abitatori”.
Lo
storico era dubbioso su questa voce ma si dovette ricredere perché fu testimone
del ritrovamento di alcune “palle di pietra”.
“Tra
le ruine della robusta muraglia (allora il muro di cinta doveva trovarsi in
discrete condizioni) rimpetto l’occidente, sonosi testè ritrovate nove palle
di marmo “palumbino” di Taormina ben tornite, tre delle quali del raggio di
once sette (15 cm circa), linee sei e punti tre (circa 18 cm di
raggio per un diametro di 36 cm) e di libbre 170 di peso (circa 54
kg)...
Linea...
unità di misura della lunghezza: 1 linea = 1,79 mm
Punto.. “
“ “ : 1 punto = 0,15 mm
Libra Unitò di misura di peso alla fina: 1 Libbra
= 317,36 g
e sei del raggio di once sei, linea una e punti tre e di 70 libre di peso. (
13 cm circa) (22 kg di peso)
Le
“palle di pietra” rinvenute sul Colle
Il
De Mauro citò l’esistenza di una voce
che parlava di “poderose palle di pietra assai dura” trovate sul Monte
Basilio o Casale e che “si rotolassero giù contro nemici che nei tempi
andati avrebbero tentato salir per aggredirne gli abitatori”.
Lo
storico era dubbioso su questa voce ma si dovette ricredere perché fu testimone
del ritrovamento di alcune “palle di pietra”.
“Tra
le ruine della robusta muraglia (allora il muro di cinta doveva trovarsi in
discrete condizioni) rimpetto l’occidente, sonosi testè ritrovate nove palle
di marmo “palumbino” di Taormina ben tornite, tre delle quali del raggio di
once sette (15 cm circa), linee sei e punti tre (circa 18 cm di
raggio per un diametro di 36 cm) e di libbre 170 di peso (circa 54
kg)...
Linea...
unità di misura della lunghezza: 1 linea = 1,79 mm
Punto.. “
“ “ : 1 punto = 0,15 mm
Libra Unitò di misura di peso alla fina: 1 Libbra
= 317,36 g
e sei del raggio di once sei, linea una e punti tre e di 70 libre di peso. (
13 cm circa) (22 kg di peso)
Le
“palle di pietra” rinvenute sul Colle
Il
De Mauro citò l’esistenza di una voce
che parlava di “poderose palle di pietra assai dura” trovate sul Monte
Basilio o Casale e che “si rotolassero giù contro nemici che nei tempi
andati avrebbero tentato salir per aggredirne gli abitatori”.
Lo
storico era dubbioso su questa voce ma si dovette ricredere perché fu testimone
del ritrovamento di alcune “palle di pietra”.
“Tra
le ruine della robusta muraglia (allora il muro di cinta doveva trovarsi in
discrete condizioni) rimpetto l’occidente, sonosi testè ritrovate nove palle
di marmo “palumbino” di Taormina ben tornite, tre delle quali del raggio di
once sette (15 cm circa), linee sei e punti tre (circa 18 cm di
raggio per un diametro di 36 cm) e di libbre 170 di peso (circa 54
kg)...
Linea...
unità di misura della lunghezza: 1 linea = 1,79 mm
Punto.. “
“ “ : 1 punto = 0,15 mm
Libra Unitò di misura di peso alla fina: 1 Libbra
= 317,36 g
e sei del raggio di once sei, linea una e punti tre e di 70 libre di peso. (
13 cm circa) (22 kg di peso)
Le
“palle di pietra” rinvenute sul Colle
Il
De Mauro citò l’esistenza di una voce
che parlava di “poderose palle di pietra assai dura” trovate sul Monte
Basilio o Casale e che “si rotolassero giù contro nemici che nei tempi
andati avrebbero tentato salir per aggredirne gli abitatori”.
Lo
storico era dubbioso su questa voce ma si dovette ricredere perché fu testimone
del ritrovamento di alcune “palle di pietra”.
“Tra
le ruine della robusta muraglia (allora il muro di cinta doveva trovarsi in
discrete condizioni) rimpetto l’occidente, sonosi testè ritrovate nove palle
di marmo “palumbino” di Taormina ben tornite, tre delle quali del raggio di
once sette (15 cm circa), linee sei e punti tre (circa 18 cm di
raggio per un diametro di 36 cm) e di libbre 170 di peso (circa 54
kg)...
Linea...
unità di misura della lunghezza: 1 linea = 1,79 mm
Punto.. “
“ “ : 1 punto = 0,15 mm
Libra Unitò di misura di peso alla fina: 1 Libbra
= 317,36 g
e sei del raggio di once sei, linea una e punti tre e di 70 libre di peso. (
13 cm circa) (22 kg di peso)
Le
“palle di pietra” rinvenute sul Colle
Il
De Mauro citò l’esistenza di una voce
che parlava di “poderose palle di pietra assai dura” trovate sul Monte
Basilio o Casale e che “si rotolassero giù contro nemici che nei tempi
andati avrebbero tentato salir per aggredirne gli abitatori”.
Lo
storico era dubbioso su questa voce ma si dovette ricredere perché fu testimone
del ritrovamento di alcune “palle di pietra”.
“Tra
le ruine della robusta muraglia (allora il muro di cinta doveva trovarsi in
discrete condizioni) rimpetto l’occidente, sonosi testè ritrovate nove palle
di marmo “palumbino” di Taormina ben tornite, tre delle quali del raggio di
once sette (15 cm circa), linee sei e punti tre (circa 18 cm di
raggio per un diametro di 36 cm) e di libbre 170 di peso (circa 54
kg)...
Linea...
unità di misura della lunghezza: 1 linea = 1,79 mm
Punto.. “
“ “ : 1 punto = 0,15 mm
Libra Unitò di misura di peso alla fina: 1 Libbra
= 317,36 g
e sei del raggio di once sei, linea una e punti tre e di 70 libre di peso. (
13 cm circa) (22 kg di peso)
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