Le Atrocità del Colonialismo Italiano.. una terribile verità storica nascosta.....
Non tutti sanno come Pietro Badoglio venne inserito nella lista dei criminali di guerra dell’ONU, su richiesta dell’Etiopia, per uso di armi chimiche sui soldati ed anche sulla popolazione civile. Non venne mai processato.
Fu catturato il 23 febbraio 1937 da Antonio Rizzo e
d’artiglieria. Avevamo fermato i carri d’assalto con le sole braccia
Avevamo ricevuto, senza crollare, bombe e barili d'iprite. Contro tutte queste cose, noi avevamo sparato e colpito. La nostra coscienza era tranquilla. Ma contro la nebbia tossica, che si depositava impercettibilmente sui nostri volti e le nostre mani, noi non potevamo fare nulla. Tuttavia, la nostra coscienza restava tranquilla. Perché non si può uccidere la nebbia...», raccontò poi Hailé Selassié.
Promessa Infranta
https://www.youtube.com/watch?v=vd0scgXb2G8
(Novara, 23 maggio 1925 – Torino, 6 luglio 2021).
E ancora: il 30 ottobre del '39, risultavano stoccate in Africa Orientale 2775 bombe c500t e 308 bombe c100b, le famose arsine... E secondo lei quelle bomba dove sono finite? Sono ancora lì: come faceva l'Italia a rimpatriarle nell'imminenza dell'entrata in guerra avvenuta nel giugno successivo e col timore che gli alleati avrebbero potuto usare armi chimiche? Non aveva senso portarle indietro. Che sia stato fatto durante la guerra lo escluderei. E se sia successo dopo non ne ho proprio notizia. Ma la Difesa dice che non risulta che l'Italia abbia lasciato qualcosa... Lo dimostri con carte alla mano e ci crederemo. Fino ad allora il dubbio rimane. La reticenza italiana su questa vicenda ha una storia troppo lunga perché sia sufficiente un comunicato.
Alle numerose denunce internazionali il Duce rispose sempre minimizzando e giustificando il ricorso alle armi chimiche con il diritto alla rappresaglia e questo nonostante la Convenzione di Ginevra del 1925 ammettesse la ritorsione chimica solo contro chi ne avesse fatto uso per primo.
Ci fu una puntuale opera di censura da parte della stampa italiana in merito a quanto riguardava i gas.
Una censura che si rifletté sulla produzione documentaria e memorialistica con una sorprendente efficacia.
Un grande timore ci assalì quando gli ufficiali ci annunciarono che erano stati lanciati dei gas molto potenti, raccomandavano di non toccare la terra, l'erba, le piante, tutto quello che era sottoposto alle radiazioni e ci raccomandavano la massima pulizia delle mani e del viso [...] qualcuno diceva che quei gas erano micidiali e bastava il minimo contatto per avere la carne divorata da piaghe inguaribili.
Per maggior prudenza, prima di coricarmi bagnai un fazzoletto di acqua, lo piegai a forma di triangolo e lo legai attorno alla fronte in modo da coprirmi gli occhi, una precauzione banale ma era sempre meglio di niente [...] dopo tutto quello che avevamo affrontato e visto,
I telegrammi della Vergogna
Segreto
Mussolini
timbro in alto a destra:
MINISTERO DELLE COLONIE
UFFICIO CIFRA
SPEDITO
timbro sotto la scritta Segreto:
SOPRACIFRATO
Roma, li 28 dicembre 1935
Segreto
Mussolini
come sopra
Roma, li 2 gennaio 1936
Segreto
Mussolini
Roma, li 5 gennaio 1936
Segreto
Mussolini
c.s.
Roma, li 19 gennaio 1936
Segreto
Mussolini
Roma, li 10 aprile 1936
Segreto
Mussolini
Come sopra
Roma, li 8 giugno 1936
Segreto
Mussolini
Roma, li 28 marzo 1936-XIV
Segreto
Mussolini
Segreto
Mussolini
c.s.
Roma, li 5 giugno 1936
Segreto
Mussolini
C.s.
Roma, li 8 luglio 1936
Segreto
Mussolini
timbro in alto a destra:
MINISTERO DELLE COLONIE
UFFICIO CIFRA
SPEDITO
timbro sotto la scritta Segreto:
SOPRACIFRATO
Fonte: "I documenti provenivano dagli archivi del Ministero dell'Africa Italiana, trasferiti nell'Italia del nord dopo la creazione della Repubblica di Salò, andati dispersi dopo il 25 aprile 1945." tratto da:
Angelo Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d'Etiopia. Editori riuniti, Roma 1996, pp. 148-182.
Al Governo Militare Alleato
Per facilitare il lavoro al Governo Militare, vi mandiamo l’elenco delle residenze
di 40 criminali di guerra, con la richiesta di mandarlo alle autorità responsabile
per il loro arresto e la loro estradizione al Governo Jugoslavo.
Nonostante le garanzie del Governo di Sua Maestà, fino ad ora ai Tribunali Jugoslavi
non è stato consegnato neanche un criminale di guerra italiano.
Il loro arresto provocherebbe un vero imbarazzo politico.
Hanno offerto un esemplare aiuto agli Alleati.
Se gli arrestassimo adesso provocheremmo un vero shock nell’opinione pubblica, e
creeremmo problemi anche a noi, con un coro di proteste e amarezza generale.
Però l’opportunità non lo consente.
Almeno l’estradizione di coloro che occupano le più alte cariche politiche.
…………………….
MINISTERO DELLA GUERRAGABINETTO Prot. N. 2030/11/255.5.1
Roma, 6 febbraio 1946
Oggetto: Criminali di guerra italiani secondo alcuni Stati esteri
AL SIG. PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ROMA
e, per conoscenza:
AL SIG. MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI
ROMA
Alcuni Stati coi quali l'Italia è stata in guerra, precisamente la Gran Bretagna, la Jugoslavia, la Grecia, l'Albania e, sembra anche l'Etiopia, hanno sollevato il problema dei criminali di guerra italiani e presentato, alla Commissione Alleata per i criminali di guerra in Londra, le loro richieste. Anche la Russia ha sollevato il problema compilando un elenco di criminali di guerra italiani, ma non si sa con precisione se abbia o meno presentato le sue richieste a tale commissione.
Sono attualmente noti:
- 12 nominativi ed i relativi capi di accusa di quelli che sono stati incriminati dalla Russia;
- 447 nominativi e relativi capi di accusa di quelli che sono stati incriminati dalla Jugoslavia;
- 497 nominativi di quelli che sono stati incriminati dalla Gran Bretagna (nella maggior parte per il trattamento usato a danno dei loro prigionieri);
- 6 nominativi di quelli che sono stati incrimìnati dalla Grecia;
- 3 nominativi e relativi capi di quelli che sono stati incriminati dall'Albania;
ed ho ragione di ritenere che molti altri cittadini italiani, per la maggior parte appartenenti alle Forze Armate, sono stati e saranno incriminati.
Tra i nominativi noti figurano quelli di ufficiali, funzionari, uomini politici che ricoprono, attualmente, alte cariche nello Stato italiano.
Poiché questi nominativi e le relative gravi accuse sono stati più volte ripetuti dalla stampa e dalle radio, estere e nazionali, sembra conseguirne ormai la necessità, per il Governo italiano, di compiere quegli accertamenti atti a stabilire la verità sui fatti denunciati, allo scopo:
a) di salvaguardare l'onore e la dignità di quelli che possono ritenersi immuni dalle accuse loro lanciate;
b) di sfatare la leggenda, che potrebbe crearsi all'estero, che lo Stato italiano voglia proteggere gli autori di odiosi reati, o che non voglia attenersi a quella deferente cortesia propria dei rapporti fra Stati sovrani;
c) eliminare la possibilità di arresti e di consegne di italiani agli Stati richiedenti, senza il concorso dello Stato Nazionale;
d) di dimostrare che si tiene nel dovuto conto un grave problema quale quello dei criminali di guerra.
A compiere tali accertamenti il Governo italiano potrebbe chiamare un organo il quale, accertati i fatti, dovrebbe proporre:
- la riabilitazione pubblica a quelli che risulteranno innocenti;
- il perseguimento, in via legale, di quelli sicuramente responsabili di violazioni delle leggi e degli usi di guerra o di analoghe norme.
Tale organo, in considerazione:
a) che i fatti sarebbero costitutivi di violazione, di norme di natura e carattere militari ed avrebbero attinenza con la condotta bellica;
b) che sarebbe essenziale l'indagine nel rapporto tra i fatti con la necessità bellica o ragioni di guerra;
c) che la ricerca dovrebbe coinvolgere anche il principio dell'obbedienza assoluta all'elemento militare, sia nell'interno dell'aggregato militare (gerarchia), sia in relazione al potere politico;
d) che gli accusati sono, nella grande maggioranza, militari;
non può che essere un organo strettamente tecnico del Ministero della Guerra.
Nella specie, poiché i presunti crimini dovranno essere esaminati anche alla luce delle direttive di politica generale della guerra ricevute dal Governo dell'epoca, sembra opportuno che di questo organo facciano parte gli ex ministri della guerra (particolarmente quelli del periodo post-armistizio, escluso, naturalmente, il gen. Orlando perché compreso tra i presunti criminali di guerra).
L'organo dovrebbe concretarsi in una Commissione d'Inchiesta composta di un determinato numero di alti generali e degli ex ministri della guerra e dovrebbe, sulla base delle accuse lanciate da parte straniera, compiere tutti gli accertamenti possibili onde stabilire:
a) se i fatti si siano verificati; se siano leciti o se violino norme penali;
b) in quali condizioni d'ambiente siano stati attuati;
c) in che relazione si trovino colla condotta della guerra.
Non sembra che, nel campo internazionale, potrebbero sorgere gravi contrasti in merito, dato che si tratterebbe di un atto interno di Governo, compiuto col fine dichiarato di collaborare, ai fini di giustizia, cogli Stati Esteri.
Per quanto riguarda l'azione da compiere nei confronti degli Alleati, tenuto conto:
- degli obblighi derivanti all'Italia dalle condizioni di armistizio;
- della «dichiarazione sull'Italia» fatta alla conferenza di Mosca che, nella parte concernente i criminali di guerra italiani, sia per la dizione, sia per il diverso trattamento usato esplicitamente verso la Germania, sembra modifichi le clausole armistiziali;
- del parere dell'Ambasciatore a Londra (telespresso 5232/3616 dell'11 dic. 1945 - allegato in copia);
- del parere dell'Ambasciatore a Mosca (telespresso 930/56 dell'11 maggio 1945 - allegato in copia);
- della circostanza che, finora, a parte coloro che sono stati arrestati dalle autorità di polizia alleata per crimini che ho ragione di ritenere commessi solo contro cittadini inglesi, nessun altro di quelli che sono stati incriminati è stato arrestato;
- di quanto si può dedurre dalla lettera con la quale venivano richiesti dall'Autorità Alleata gli indirizzi di alcuni incriminati per fatti commessi contro inglesi e jugoslavi (ministero dell'Interno: lettera 500/73438 del 4 luglio 1945 - allegata in copia);
sono del parere che un'azione diplomatica, iniziata dal Governo italiano allo scopo di ottenere di poter giudicare, con i propri normali organi giudiziari e secondo le proprie leggi, quelli che risultassero fondatamente accusati da altri Stati, potrebbe avere prospettive di un certo successo.
Ove non si potesse realizzare tale scopo, si dovrebbe tentare di ottenere tribunali misti, dei quali dovrebbe far parte, come giudice, un rappresentante della Nazione dell'imputato, con esclusione del rappresentante della Nazione della parte lesa. Inoltre il tribunale dovrebbe esercitare le sue funzioni in Italia e la celebrazione del dibattimento dovrebbe essere pubblica, nel senso più lato, anche coll'intervento della stampa.
Sarebbe pure opportuno che l'imputato, data la materia, potesse farsi assistere, nel periodo istruttorio e dibattimentale, oltre che dai difensori, da diversi consulenti tecnici, messi a disposizione dallo Stato italiano.
Correlativamente, anche alla parte lesa dovrebbero essere concessi i diritti di costituzione di parte civile e dell'intervento di propri consulenti tecnici.
Se neppure questo scopo si potesse raggiungere, si dovrebbe tentare, ai fini di una giustizia serena e obbiettiva, di ottenere:
a) che del tribunale non facessero parte rappresentanti delle Nazioni delle parti in contrasto;
b) che il giudizio - per evidente legittima suspicione - non si celebrasse nel territorio nazionale della presunta parte lesa;
c) ferme restando le altre formalità di cui sopra, con assoluta garanzia della massima pubblicità, con in più l'obbligo, per i Governi, di far intervenire i testi citati e di esibire i documenti richiesti.
Infine, se per dannata ipotesi dovessero ancora verificarsi fermi di sospetti criminali di guerra da parte della polizia militare alleata, lo Stato interessato dovrebbe per lo meno:
a) avvisare immediatamente l'autorità giudiziaria e militare italiana dell'avvenuto arresto;
b) comunicare il luogo e la detenzione;
c) assicurare tutte le garanzie di visita, assistenza, difesa ecc. che si assicurano agli imputati secondo la procedura dei paesi civili.
Risolvendola nel modo sopraindicato, sono del parere che questa complessa e delicata questione potrebbe semplificarsi e porsi sulla via di una soddisfacente soluzione. E potrebbe altresì influenzare favorevolmente le decisioni che - in materia - saranno segnate nel trattato di pace in corso di compilazione.
Ne interesso pertanto la S.V perché voglia, in merito, compiacersi disporre quanto riterrà opportuno ed autorizzarmi, intanto, a provvedere alla nomina ed a fissare le attribuzioni della Commissione d'Inchiesta.
FtoIL MINISTRO Manlio Brosio…………………………………..
L'11 settembre 1946 De Gasperi comunicò all’ammiraglio Stone che la Commissione stava per deferire alla giustizia penale militare quaranta inquisiti con l'accusadi essere venuti meno, con gli ordini o nella esecuzione degli ordini stessi, ai principi del diritto internazionale di guerra e ai doveri dell'umanità, ed in modo particolare ai principi della inviolabilità degli ostaggi e alla limitazione del diritto di rappresaglia
con la Sua lettera n. 6517/143/E.C. in data 2 maggio. Ella chiedeva di essere a suo tempo informato dei risultati delle indagini compiute dalla Commissione d'Inchiesta del Ministero della Guerra sui presunti criminali di guerra italiani. Il Presidente della Commissione. Senatore Casati, Le fa ora sapere che la Commissione. dopo attento e severo esame di situazioni personali è venuta nella determinazione di deferire alla giustizia penale militare coloro che possono essere inquisiti per essere venuti meno, con gli ordini o nelle esecuzione degli ordini stessi, ai principi del diritto internazionale di guerra e ai doveri dell’umanità, ed in modo particolare ai principi della inviolabilità degli ostaggi e alla limitazione del diritto di rappresaglia.
La Commissione ha pertanto redatto un elenco di quaranta nomi di militari o civili, contro í quali può essere elevata l’accusa e si riserva di precisare le singole posizioni personali in una prossima riunione.
Voglia, gradire. caro Ammiraglio. gli atti della mia alta considerazione.
Capo della Commissione Alleata
ROMA
Seconda Guerra mondiale, prestava servizio come Commissario Capo,
Commissione di Controllo Alleata in Italia
le richieste in tal senso devono essere indirizzate direttamente
al Governo Italiano.
(di non aver competenza a richiedere al Governo Italiano la consegna dei criminali
di guerra in quanto tale competenza spetta al paese interessato).
La Jugoslavia continuò a fare richieste agli Alleati e al Governo Italiano.
Il ministro per gli Affari esteri Inglese preparò un memorandum nel quale la Gran Bretagna specificava che
Venne osservato nella “Dichiarazione di Mosca” del ’43, l’esistenza di un buco giuridico.
Si capì che la parola “tedesco” venne scritta per errore e quindi, con grande ragione e opportunismo, i governi inglese e americano ne trassero vantaggio.
Gamer, del Foreign Office, propose al Governo di Roma
La “Dichiarazione di Mosca” non fu intesa per dividere i tedeschi dagli italiani ma coinvolgeva tutte le forze dell’Asse Europeo.
L’idea era che
La parte triste di questa vicenda fu che
L’avvocato della famiglia Bellomo, Russo Fratanzi, aveva tutte le autorizzazioni per adempiere alla difesa dell’imputato.
Ma non lo lasciarono entrare in tribunale, anche se mostrò i documenti.
Si potrebbero elencare tutta una serie di atti illegali, però la cosa importante fu che nessun processo, in quel tempo, venne condotto in questo modo.
Bellomo era l’unico generale antifascista.
Nell’esercito aveva ricevuto la medaglia per il merito nei combattimenti contro i tedeschi a Bari.
Il maresciallo Badoglio non gli era favorevole, perché con il suo comportamento fu di esempio per gli altri generali, che dovevano combattere i tedeschi, ma non erano in possesso di tanto coraggio.
Il Bellomo, all’inizio della sua carriera, salvò la vita ad un soldato inglese che fu condannato a morte dai fascisti perché sparò a due civili.
Il Bellomo riuscì a convincere la giuria che si trattò di un caso di autodifesa e non di un crimine.
Al processo contro Bellomo il Foreign Office le circostanza attenuanti non
mentre la guardia di turno era molto distante.
Di sicuro gli fu detto di agire così.
Certamente agli inglesi sarebbe bastato di screditarlo, ma Lui non ha
Voluto scappare proprio perché questo (atto) era contrario al suo onore militare.
20 Giugno 1947
Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia
(Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija, SFRJ)
che manterrà fino al 1992.
Il Capo di stato era Ivan Ribar mentre il maresciallo Josip Broz Tito era primo Ministro.
Benito Mussolini e da Rodolfo Graziani.
Dubitiamo nella accusa contro Badoglio sull’uso dei gas tossici.
Non c’è niente che provi il suo coinvolgimento in tal senso..
Era suo dovere controllare i suoi subordinati e prevenire che fossero
commessi crimini, il generale giapponese Jamashito venne condannato su questa base.
della realizzazione dell’intera campagna militare, debba in qualche
modo essere stato coinvolto nella decisione dell’uso dei gas tossici,
visto che si tratta di una decisione presa dagli alti comandi militari.
corrispondenza, che esiste un dubbio che questi bombardamenti furono intenzionali.
qualsiasi argomento dal Ministro degli Esteri italiano per discolparsi
sul bombardamento di unità mediche inglesi in Etiopia.
Ripetutamente perseguitate. Il che lo confermano anche i rappresentanti italiani della
Croce Rossa. Questo ebbe luogo quando Badoglio era al comando.
who participated in Operation Colossus
Uomini del commando n. 2 (battaglione del servizio aereo speciale n. 11)
che hanno partecipato all'operazione Colossus
Con questa azione di sabotaggio gli inglesi volevano dimostrare di essere in grado di colpire anche lontano dai loro confini. L’azione avrebbe provocato allarme e avrebbe demoralizzato la popolazione ed i militari italiani.
(deniminati X Troops)
il ponte-canale Tragino, lungo circa 100 metri.
Il maggiore Pritchard aveva quindi a disposizione, per la sua azione militare, circa un terzo dei 1000 kg di esplosivi programmati.
Un aspetto, che non fu considerato nell’azione di studio del sabotaggio, era legato al fatto che il ponte era costruito in solido cemento e non in mattoni, come ci si aspettava. Ad ogni modo, il maggiore Pritchard ordinò di minare il ponte Tragino e l’altro vicino ponte-canale sul torrente Ginestra, lungo 65 metri.
sono un toscano emigrato da anni in Inghilterra, dove vivo agiatamente.
Imbarcato prima come cameriere sul lussuoso piroscafo Majestic, poi diventai
vicedirettore del reparto banchetti del prestigioso Hotel Savoy di Londra, dove tutti mi conoscono come “Little Fortune”.
Non aveva mai mostrato simpatie per il fascismo, né ha aderito a sezioni del fascio aperte dagli italiani in Inghilterra, all’epoca ben tollerate dalle autorità britanniche.
Non apparteneva ad alcun partito politico.
Un rapporto del SOE - Special Operations Executives” definì Picchi
Durante gli interrogatori specificò
Era il 1941, e la vicenda di questo italiano, che volontariamente decise di andare incontro a morte certa pur di combattere il fascismo, fu un caso inquietante per le autorità. Solo un mese dopo la sua cattura, vennero diramati precisi ordini a tutti i comandi locali delle forze dell’ordine nel caso di
“catturati – laddove, al limite, il riferimento andrebbe ai catturatori – si astengano da ogni interrogatorio”.
Nìsida è una piccola isola appartenente all'arcipelago delle isole Flegree, (Napoli)
Major T.A.G Pritchard DSO MBE, Captain Christopher Lea, Captain G. Daly, Lieut. Anthony Deane-Drummond, Second Lieut. G Paterson, Second Lieut. G Jowett, Flight Lieut. Lucky, Sgt. P.P."Clem" Clements, Sgt. Arthur L. Lawley, Sgt. E.W. Durie, Sgt. J. Walker, Cpl. Philip "Pop" Julian, Cpl. J.E. Grice, Cpl. P. O'Brien, Cpl. D. Fletcher, L/Cpl. R.B. Watson, L/Cpl. H. Boulter, L/Cpl. Doug E. Jones, L/Cpl. Harry "Lucky" Pexton, L/Cpl. H. Tomlin, L/Cpl. J.E. Maher, L/Cpl. D. Henderson, Tpr. J."Nicky" Nastri, Tpr. Alan Bruce Ross, Tpr. E. Samuels, Tpr. E. Humphreys, Tpr. F. Picchi, Tpr. James Parker MM, Tpr. D.L. Struthers, Tpr. G. Pryor, Tpr. D.J. Phillips, Tpr. J.W. Crawford, Tpr. R. Davidson,
dopo la liberazione.
sono tratte dall’interessante ricerca storica e reportage degli storici:
Giovanni Marino e Pasquale Libutti
Con l'occupazione dell'oasi si strinse ulteriormente il cerchio intorno ad al-Mukhtār
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c4/Omar_Mukhtar_5.jpg
Il leone del deserto (1981)Film italiano completo-HD
عمرالمختارالنسخةالايطالية
https://www.youtube.com/watch?v=sb3O3knbFCk
Era collegate alla ripopolazione dei gebel da parte di coloni italiani. L’esodo delle tribù fu enorme… biblico.. e durò ben 20 settimane. Furono deportate 100.000 persone e ne arrivarono 85.000 secondo la relazione del generale Luigi Cicconetti inviata al generale Graziani.
I numerosi capi di bestiame furono falcidiati dalla sete, dalla mancanza di foraggio e dall’aviazione che li mitragliò a volo radente lungo tutto il Gebel per evitare di lasciarli alle bande locali.
Vi furono vari episodi di crudeltà come quello dell’abbandono di 35 indigeni, tra cui donne e bambini, nel deserto privi di acqua a causa di una rissa scoppiata tra loro.
Altri morti in seguito a fustigazioni, per sete o per la fatica.
il generale Domenico Siciliani
Il bilancio complessivo fu in realtà molto più alto.In merito importante fu la testimonianza del pilota V. Biano (in Del Boca Gli italiani in Libia)."Partiti all'alba ... gli apparecchi riconoscono sul terreno le piste dei ribelli in fuga e le seguono finché giungono sopra gli uomini; le bombe hanno scarso effetto perché il bersaglio è diluito ma le mitragliatrici fanno sempre buona caccia; mirano ad un uomo e lo fermano per sempre, puntano un gruppo di cammelli e lo abbattono... il gioco continua per tutta la giornata ... le carovaniere della speranza diventano un cimitero di morti.Il 20 Gennaio 1931 Cufra fu occupata; seguirono tre giorni di saccheggi e violenze di ogni tipo fatti dai soldati italiani col tacito assenso dei superiori….17 capi senussiti impiccati35 indigeni evirati e lasciati morire dissanguati 50 donne stuprate50 fucilazioni40 esecuzioni con accette, baionette, sciabole.Atrocità e torture impressionanti: a donne incinte squartato il ventre e i feti infilzati, giovani indigene violentate e sodomizzate (ad alcune infisse candele di sego in vagina e nel retto) teste e testicoli mozzati e portati in giro come trofei; torture anche su bambini (3 immersi in calderoni di acqua bollente) e vecchi (ad alcuni estirpati unghie e occhi)(Ottolenghi op. cit.pag 60 e seg.)Eccidi che naturalmente destarono tanto clamore nel mondo musulmano.La “Nation Arabe” riportò un giusto commento..Noi chiediamo ai signori italiani… i quali ora si gloriano di aver catturato cento donne e bambini appartenenti alle poche centinaia di abitanti male armati di Cufra che hanno resistito alla colonna occupante Che cosa c'entra tutto ciò con la civiltà?Al Jamia el Arabia", giornale di Gerusalemme, pubblicò il 28 aprile 1931un manifesto dove si ricordavano"alcune di quelle atrocità che fanno rabbrividire: da quando gli italiani hanno assalito quel paese disgraziato, non hanno cessato di usare ogni sorta di castigo ... senza avere pietà dei bambini, nè dei vecchi ....Il manifesto del quotidiano Al Jamia el Arabia
Il generale Graziani riportò il testo in “Cirenaica pacificata” e definì l’articolo del giornale arabo comeinfarcito di menzogne tali che non so se muovano più il riso o lo sdegno".Nel 1933 Italo Balbo sostituì Badoglio restando in carica sino al 1940.Nel 1934 Badoglio proclamò chela ribellione araba in Cirenaica è stroncata.Lo stesso Graziani parlò di 1641 mugiahidin caduti tra il marzo 1930 e il dicembre del 1931.Tra il 1923 e il 1931 l'aviazione italiana impiegò fosgene e iprite.
Relazione Mombelli (1):Caproni esplorò regione Uadi el Faregh...avvistò e bombardò grosso attendamento circa 150 tende coniche e rettangolari. Bombardò regione Saunno con esito visibilmente efficace settantina tende e numeroso bestiame al pascolo. Bombardò ripetutamente accampamento due chilometri est Garbagniha ... nonché ...…….. nuclei armati intenti lavori semina.".(2)A prova della terribile efficacia dei bombardamenti sta il fatto che basta ormai l'apparizione dei nostri apparecchi perché grossi aggregati spariscano allontanandosi sempre più.(3)Relazione De Bono al ministro delle colonie:263 Op.UG/Segreto:Stamane come stabilito quattro Ca 73 e tre Ro hanno bombardato Gife con evidente distruzione. I quattro Ca 73 si sono spinti circa settanta chilometri sud Nufilia bombardando anche a gas circa quattrocento tende....".(4)Relazione Teruzzi:Gebel. Ieri undici, aviazione Mechili bombardato efficacemente noto accampamento con bestiame pascolante .... Risulta da fonte attendibile che recenti bombardamenti eseguiti da aviazione abbiano causato ai ribelli quarantina persone uccise altrettanti feriti e sessantina cammelli abbattuti....(5)Relazione Teruzzi:Sembra che nello Zeefran i ribelli abbiano abbandonato quaranta tende .... in seguito ripetuti bombardamenti a gas.(6)Telegramma Badoglio a Domenico Siciliani e Emilio De Bono:Si ricordi che per Omar el Muchtar occorrono due cose: primo ottimo servizio informazioni, secondo, una buona sorpresa con aviazione e bombe a iprite.....(7)Graziani in Cirenaica pacificata a proposito del bombardamento dell'oasi di Taizerbo scrive …Fu effettuato il bombardamento con circa una tonnellata di esplosivo ... Un indigeno, facente parte di un nucleo di razziatori, catturato pochi giorni dopo il bombardamento, asserì che le perdite subite dalla popolazione erano state sensibili,e più grande ancora il panico.
Una deliberata politica di sterminio delle popolazioni locali con l’obiettivo di liberare il territorio libico per essere sfruttato dai coloni italiani.Bel concetto di apporto di sviluppo…Un tema che fu dibattuto da vari studiosi tra cui il libico-americano Ali Abdullatif Ahmida nel suo libroGenocidio in Libia: Shar, una storia coloniale nascosta.
Un libro dalla realtà inquietante perché riportò le testimonianze di chi sopravvisse al fascismo.Testimonianza di vicende personali e delle atrocità della conquista coloniale e delle violenze inflitte ai nativi. -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------La storia della conquista italiana del paese nordafricano fu lunga e molto difficile.
La prima fase fu la sconfitta dell’impero Ottomano e l’invasione di Tripoli.
Fu il Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia Giovanni Giolitti ( durata del mandato: 15 maggio 1892 – 15 dicembre 1893) ad iniziare la conquista delle regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica che, tra l’altro, erano controllate dall’Impero Ottomano.
Fonte: Il tricolore italiano in Tripolitania e Cirenaica. Diario illustrato della guerra italo-turca,
Stabilimento d’arti grafiche L. Teodoro & Frige, Milano, 25 novembre 1911.
Il quadro dell’Africa settentrionale ai primi del Novecento era drammatico perché sotto il controllo delle potenze europee ed in particolare della Francia e della Gran Bretagna.
La Gran Bretagna controllava solo l’Egitto mentre la Francia controllava l’Algeria (sottratta alla dominazione ottomana), la Tunisia (nonostante le ambizione dell’Italia) e stava colonizzando con successo il Marocco (a scapito della Germania).
La Turchia controllava, come abbiamo visto, la Tripolitania e la Cirenaica (ambite dall’Italia) e il Fezzaz.
La Tripolitania aveva un suo valore strategico perché costituiva un ponte di collegamento tra la parte occidentale e quella orientale del Nord Africa, mentre le sue coste avevano una loro importanza per il controllo del Mediterraneo (il canale di Suez che collegava l’Europa con l’Estremo Oriente).
Le province turche del Nord Africa erano ambite dagli italiani anche per altri motivi.
Motivi commerciali per gli industriali che intravedevano la possibilità di sviluppare le loro produzioni; motivi agricoli per i poveri contadini del meridione d’Italia che avrebbero avuto la possibilità di ottenere della terra libera da coltivare. Terra che mancava in Italia e i coloni vedevano nelle terre libiche il sogno di poter lavorare per ottenere dei prodotti con relativi redditi. Nei sogni dei contadini italiani si aveva la visione di una terra libica fertile e redditizia.
Una visione legata anche alle descrizioni di giornalisti e scrittori del tempo come Luigi Federzoni, Enrico Corradini e Giuseppe Bevione.
Racconti incredibili…….
I narratori riportarono la flora dell’oasi di Tripoli, con i suoi 2 milioni di palme, ed estesero questa visione lussureggiante a tutto il territorio libico che in realtà era in gran parte anche desertico e inospitale. Una comunicazione non corretta a cui molti credettero per ignoranza o forse per altri interessi.I sostenitori dell’azione bellica in Libia e la relativa colonizzazione erano i nazionalisti le cui idee erano appoggiate dalla stampa.Ma, se l’Associazione Nazionalista Italiana invocava la guerra, ovunque e comunque, ritenendola la giusta cura per i mali dell’Italia, anche gli assai meno bellicosi liberali – che, alla fine del secolo precedente, avevano disapprovato il tentativo fallito di conquistare l’Etiopia, esitato nella sanguinosa sconfitta delle forze italiane ad Adua – erano a favorevoli all’impresa libica. A favore dell’impresa bellica era anche la Chiesa e naturalmente i giolittiani. Decisiva fu comunque la posizione del presidente del Consiglio dei Ministri, Giovanni Giolitti che la critica storica riportò come unPolitico accorto, freddo, prudente, attento alla politica interna e meno a quella estera,specie se madre di avventure rischiose.La realtà storica dimostrò il contrario specie nell’azione militare in Libia e con la decisione dei massacri, degli stermini sui nativi libici.
Il 26 settembre 1911 l'Italia inviò la seguente nota alle Potenze:
"L'azione alla quale il Governo italiano si è deciso riguardo a Tripoli è da considerarsi conte l'ultimo anello di una catena di avvenimenti che hanno spinto il Governo Italiano di fronte all'imprescindibile necessità di un'azione decisiva. Il continuo espandersi del dominio di altre Potenze nel Mediterraneo ha già da qualche tempo sollevato a Roma la preoccupazione che l'Italia, nonostante la sua posizione geografica, che fa di essa una potenza mediterranea per eccellenza, potesse a poco a poco essere esclusa completamente dalla sfera africana di questo mare.
Già al primo sorgere di codesta prospettiva l'Italia dovette rivolgere la propria attenzione a Tripoli, l'unico territorio che avrebbe potuto escludere la possibilità di un danno irreparabile per gli interessi italiani. Il Governo italiano, nonostante l'urgenza impellente della questione, ad un'azione rapida e decisiva per raggiungere lo scopo, ha preferito un lavoro moderato e progressivo. La piega assunta dalla questione marocchina in seguito alle trattative franco-germaniche che hanno dato per risultato l'assoluto dominio della Francia nel Marocco, ora assolutamente non permette più all'Italia di attendere oltre. Le possibilità che un'altra Potenza, con l'andare del tempo, possa desiderare di ampliare ancora di più la sua sfera di dominio nel Mediterraneo, favorita forse da una diversa costellazione politica, fa si che l'Italia si trovi obbligata, per ragioni di conservazione, ad affrettare il passo ed a rafforzare i mezzi per far valere le sue aspirazioni per ciò che riguarda una posizione privilegiata a Tripoli. Il desiderio dell'Italia di ottenere da parte della Turchia il riconoscimento dei suoi grandi interessi in Tripolitania, interessi che sono dati dalla sua posizione geografica, ha trovato disgraziatamente a Costantinopoli il più tenace rifiuto. Invece di mostrare accondiscendenza amichevole la Turchia ha rifiutato di trattare gli interessi italiani alla stregua di quelli delle altre Potenze. Davanti a tale palese ingiustizia e di fronte alla situazione creata dall'insediamento definitivo della Francia nel Marocco, la convinzione di tutta Italia è che il Governo commetterebbe una colpa gravissima, ed irreparabile verso gli interessi politici ed economici del paese, se non agisse in modo da risolvere la questione di Tripoli in una maniera consona ai vitali interessi dell'Italia nel Mediterraneo. Alla Turchia rimane aperta la via per un accomodamento pacifico, ed a Roma non si può credere fino a prova contraria che il Governo turco rifiuterà di discutere, respingendo a priori le proposte dell'Italia per un'amichevole discussione delle divergenze".Nella notte del 26 – 27 settembre 1911 il Ministro degli Esteri marchese Antonino di San Giuliano spedì per telegrafo un ultimatum a Costantinopoli che, per ritardo di trasmissione, fu dal comm. Giacomo De Martino (plenipotenziario, reggente la Regia Ambasciata Italiana a Costantinopoli) consegnato al Governo turco il giorno 28 alle 14,30. (Telegramma di cui diede comunicazione anche all’incaricato d’affari ottomano a Roma).
Convegno di San Rossore (Pisa) del 22 ottobre 1912 per il rinnovo della Triplice alleanza. Da sinistra: l'ambasciatore italiano in Austria-Ungheria Giuseppe Avarna, l'ambasciatore austriaco in Italia Kajetan Mérey, il conte Alexander Hoyos, il principe Pietro Lanza di Scalea, la contessa Berchtold, il ministro degli Esteri italiano marchese Antonino di San Giuliano, il marchese Giovanni Visconti Venosta, il ministro degli Esteri austriaco conte Leopold Berchtold e Giacomo De Martino.
L’ultimatum fu concepito nei seguenti termini….«Prego V. S. di presentare alla Sublime Porta la Nota seguente :Durante una lunga serie d'anni, il Governo italiano non ha mai cessato di far constatare alla Sublime Porta la necessità assoluta che prenda fine lo stato di disordine e d'abbandono in cui la Tripolitania e la Cirenaica sono lasciate dalla Turchia, e che queste regioni siano ammesse a godere dei medesimi progressi compiuti in altre parti dell'Africa settentrionale.Questa trasformazione imposta dalle esigenze generali della civiltà costituisce per l'Italia un interesse vitale di primissimo ordine a cagione della vicinanza di quelle regioni alle coste italiane.Malgrado la condotta del Governo italiano, che ha sempre lealmente accordato il suo appoggio al Governo Imperiale ottomano in diverse questioni politiche anche in questi ultimi tempi; malgrado la moderazione e la pazienza di cui il Governo italiano ha dato prova finora, non solamente le sue intenzioni relative alla Tripolitania sono state disconosciute dal Governo Imperiale, ma ciò che è peggio, ogni iniziativa da parte degli italiani in quelle regioni ha sempre incontrato la più ostinata ed ingiustificata opposizione sistematica.Il Governo Imperiale, che aveva così dimostrato finora la sua costante ostilità contro ogni legittima attività italiana in Tripolitania e Cirenaica, ha recentemente, con un passo dell'ultima ora, proposto al Regio Governo di addivenire ad un'intesa dichiarandosi disposto ad accordare qualunque concessione economica compatibile coi trattati in vigore e colla dignità e cogli interessi superiori della Turchia. Ma il Governo italiano non si crede oramai più in grado di entrare in simili trattative, di cui l'esperienza del passato ha dimostrato l'inutilità e che invece di costituire una garanzia per l'avvenire non potrebbero che determinare una causa permanente di attriti e di conflitti.D'altra parte, le informazioni che il Governo Reale riceve dai suoi agenti consolari in Tripolitania e Cirenaica rappresentano la situazione colà come estremamente pericolosa, a causa dell'agitazione che vi regna contro gli italiani, e che è provocata nel modo più evidente da ufficiali e da altri organi dell'autorità. Questa agitazione costituisce un pericolo imminente, non solamente per gli italiani, ma anche per gli stranieri di ogni nazionalità, che, giustamente commossi e preoccupati per la loro sicurezza, hanno cominciato ad imbarcarsi, lasciando senza indugio la Tripolitania.L'arrivo a Tripoli di trasporti militari ottomani, del cui invio il Governo Reale non aveva mancato di fare osservare anticipatamente al Governo ottomano le serie conseguenze, non potrà che aggravare la situazione e impone al Governo Reale l'obbligo stretto e assoluto di provvedere ai pericoli che ne risultano.II Governo italiano, vedendosi in tal modo oramai forzato a pensare alla tutela della sua dignità e dei suoi interessi, ha deciso di procedere all'occupazione militare della Tripolitania e della Cirenaica. Questa soluzione è la sola che l'Italia possa adottare; e il Governo italiano si aspetta che il Governo Imperiale voglia dare gli ordini occorrenti affinchè essa non incontri da parte degli attuali rappresentanti ottomani alcuna opposizione, e i provvedimenti che necessariamente ne deriveranno, possano effettuarsi senza difficoltà. Accordi ulteriori saranno presi fra i due Governi per regolare la situazione definitiva che ne risulterà.La R. Ambasciata a Costantinopoli ha ordine di domandare una risposta perentoria in proposito da parte del Governo ottomano entro un termine di 24 ore dalla presentazione alla Sublime Porta del presente documento. In mancanza di che il Governo italiano sarà nella necessità di procedere alla attuazione immediata dei provvedimenti destinati ad assicurare l'occupazione.La S. V. vorrà aggiungere che la risposta della Sublime Porta, entro il predetto termine di 24 ore, ci deve essere comunicata anche per il tramite dell'Ambasciata di Turchia a Roma.Firmato: Di San Giuliano»Il 28, alle 14,30 il reggente dell'Ambasciata italiana a Costantinopoli (De Martino), accompagnato dal primo dragomanno, rimise a S. A. il Gran Visir (Ibrahim Hakki Pascià) la nota che comunicava l'ultimatum dell'Italia alla Sublime Porta.
Ibrahim Hakki Pascià
Allo scadere del termine, giungeva al Governo italiano la risposta della Sublime Porta che era del seguente tenore:"L'ambasciata conosce le molteplici difficoltà delle circostanze che non hanno permesso alla Tripolitania ed alla Cirenaica di godere nella misura desiderata dei benefici del progresso. Basta invero un'esposizione delle cose per stabilire che il Governo costituzionale ottomano non potrebbe essere chiamato responsabile di una situazione che è opera dell'antico regime. Ciò posto, la Sublime Porta, ricapitolando il corso dei tre ultimi anni cerca invano le circostanze nelle quali ossa si sarebbe dimostrata ostile alle imprese italiane interessanti la Tripolitania e la Cirenaica. Al contrario le è sempre parso comprensibile e razionale che l'Italia cooperasse con i suoi capitali e con la sua attività industriale al risorgimento economico di questa parte dell'impero. Il Governo imperiale ha coscienza di aver dimostrato disposizione d'accoglimento ogni volta che si è trovato di fronte a proposte concepite in quest'ordine d'idee. Esso ha pure esaminato e generalmente risolto con lo spirito più amichevole ogni reclamo presentato dalla regia ambasciata. à necessario aggiungere che esso obbediva cosi alla sua volontà tanto spesso manifestata di coltivare e mantenere rapporti di fiducia e di amicizia con il Governo italiano? Infine, questo solo sentimento l'ispirava quando proponeva recentissimamente alla regia ambasciata un accomodamento basato su concessioni economiche allo scopo di fornire all'attività italiana un vasto campo nelle suddette province. Seguendo come soli limiti per le sue concessioni la dignità e gl'interessi superiori dell'impero, come pure i trattati in vigore, il Governo ottomano dava la misura dei suoi sentimenti di conciliazione senza però perdere di vista i trattati e le convenzioni che lo impegnano di fronte alle altre Potenze ed il cui valore internazionale non potrebbe decadere per volontà di una parte. Per ciò che concerne l'ordine e la sicurezza tanto nella Tripolitania quanto nella Cirenaica, il Governo ottomano ben situato per apprezzare la situazione, non può che costatare, come già ha avuto occasione di farlo, la mancanza totale di ogni ragione che possa giustificare apprensioni per la sorte dei sudditi italiani e per gli altri stranieri colà stabiliti. Non soltanto non vi sono in questo momento agitazioni in quella regione, ancor meno propaganda eccitatrice, ma gli ufficiali e gli altri organi dell'autorità ottomana hanno per missione di assicurare la tutela dell'ordine, missione che essi compiono con tutta coscienza. Quanto all'arrivo a Tripoli del trasporto militare ottomano, da cui la regia ambasciata prende motivo per trarne conseguenze gravi, la Sublime Porta crede dover far notare che non si tratta effettivamente che di un piccolo trasporto la cui spedizione è anteriore di parecchi giorni alla nota del 23 settembre. E indipendentemente dal fatto che questa spedizione che non comprendeva del resto le truppe, non ha potuto avere sugli animi che un'influenza rassicurante. Ridotto ai suoi termini essenziali, il disaccordo attuale risiede nella mancanza di garanzie atte a rassicurare il Governo italiano circa l'espansione economica dei suoi interessi in Tripolitania e Cirenaica. Il Governo reale non procedendo ad un atto così grave come ad un'occupazione militare. si unirà alla volontà che ha la Sublime Porta di appianare questo disaccordo. Pertanto il Governo imperiale chiede che il Governo reale gli voglia far conoscere la misura di tali garanzie, alle quali esso sottoscriverà volentieri, purché non tocchino la sua integrità territoriale. Esso prende a tale effetto impegno di non modificare affatto in qualsiasi caso durante i negoziati la situazione presente della Tripolitania e della Cirenaica, specialmente dal punto di vista militare, e vuole sperare che il Governo reale, arrendendosi alle sincere disposizioni della Sublime Porta. aderirà a questa proposta".
Quel giorno stesso il De Martino presentò al Gran Visir la seguente dichiarazione:
"In obbedienza agli ordini di Sua Maestà il Re, suo Augusto sovrano, il sottoscritto incaricato d'affari d'Italia ha ordine di significare a Vostra Altezza quanto segue: Il termine che il Governo reale aveva ultimamente accordato al Governo imperiale, in vista dell'attuazione delle misure diventate necessarie, è trascorso senza che gli pervenisse una risposta soddisfacente. La mancanza di tale risposta non fa che confermare il malvolere o l'impotenza di cui il Governo e le Autorità imperiali hanno già fornito in numerose prove specialmente per ciò che concerne la tutela degli interessi o dei diritti italiani in Tripolitania e in Cirenaica. Il governo italiano si vede per conseguenza obbligato a provvedere direttamente alla salvaguardia di quei diritti ed interessi come della dignità e dell'onore del Paese con tutti i mezzi di cui dispone. Gli avvenimenti che seguiranno non potrebbero essere considerati altrimenti che come la conseguenza necessaria, per quanto penosa, del contegno adottato da lungo tempo dalle autorità dell'impero di fronte all'Italia. Essendo quindi interrotte le relazioni d'amicizia e di pace fra i due Stati, l'Italia si considera da questo momento in stato di guerra con la Turchia. Il sottoscritto, d'ordine del suo Governo, ha per conseguenza l'onore di far conoscere a Vostra Altezza che i passaporti saranno messi oggi stesso a disposizione dell'incaricato d'affari dell'impero ottomano a Roma e prega Vostra Altezza di voler fargli pervenire senza ritardo i propri passaporti. Il Governo reale ha incaricato il sottoscritto di dichiarare nello stesso tempo a Vostra Altezza che i sudditi ottomani potranno continuare a risiedere sul territorio del regno senza che vi sia a temere alcuna offesa alla loro sicurezza personale, alle loro proprietà ed ai loro affari". Contemporaneamente il Governo italiano lo stesso giorno dava comunicazione alle Potenze dell'annuncio della dichiarazione di guerra alla Turchia accompagnandola con una lunga relazione sugli incidenti che l'avevano determinata: "Il conflitto - cosi la nota che riportiamo integralmente- che sembra scoppiato improvvisamente fra l'Italia e la Turchia non è che l'epilogo di una lunga serie di vessazioni e di soprusi, ancor più reali che apparenti, fatti all'Italia e agli italiani dai Turchi dell'impero ottomano. Da qualche tempo innumerevoli erano le lagnanze dei nostri connazionali in ogni parte dell'impero al Governo del Re, che reclamavano sollecita opera di giustizia, per lunghe angherie, per la negata giustizia, per vera e propria sopraffazione che essi subivano e la cui soluzione era eternamente dilazionata. In questa categoria di reclami eternamente insoluti che dimostrano il conto che delle premure del regio Governo faceva la Sublime Porta, basta ricordare il reclamo Giustiniani e l'intervento arbitrario dall'autorità ottomana nel corso della giustizia locale. quello di Napoleone Guarnani. di Kuhn e di Cuttoni, di Marcopoli, degli eredi Sola, rispettivamente creditori verso lo Stato o verso personaggi della famiglia imperiale. La ditta Stagni, dalle ostilità dell'autorità locale ottomana, fu costretta ad abbandonare la concessione del taglio del legname nella provincia di Brussa. E cosi rimasero sempre insoluti tutti i danni d'ordine pubblico subiti dai sudditi italiani nelle varie province dell'impero, come quelli dipendenti dai massacri di Adana nel 1909 e dal saccheggio dell'Agenzia della Società di Navigazione Generale Italiana a Santi Quaranta. E numerosi altri reclami e infinite altre controversie di maggiore o minore gravità esistono - come ad esempio quelle per sfregi e aggressioni compiute contro il personale appartenente ai consolati italiani - tali da dimostrare come da qualche tempo i nazionali fossero circondati da un'atmosfera ostile, non rispondente alle nuove relazioni ufficiali esistenti fra i due Stati.
"Col nuovo regime, che tante speranze destò in Italia, gl'incidenti dolorosi si moltiplicarono e si aggravarono. Un fatto gravissimo avvenne recentemente: il ratto della giovanetta minorenne Giulia Franzoni, d'anni sedici, rapita fraudolentemente alla propria famiglia di onesti operai adibiti ai lavori delle ferrovie ottomane a Adana, sequestrata e convertita a viva forza all'islamismo e maritata con la violenza a un cittadino musulmano, nonostante le proteste dei genitori e degli stranieri di altre nazioni e nonostante l'intervento del regio consolato e della regia ambasciata. Questo incidente. che ha per ogni nazione importanza grave, ne ha più ancora per l'Italia che deve provvedere alla tutela di una numerosa emigrazione italiana, la quale trova lavoro nelle opere ferroviarie dell'Asia Minore. Ora il fatto di non aver trovato una rapida soluzione punitiva per questo barbaro sistema di forzata conversione e di ratto di un'ingenua fanciulla. può essere incentivo ad altri fatti consimili, che siano diretti a colpire tutta la popolazione operaia. che è in gran parte italiana. costretta a vivere con la propria famiglia in tali regioni.
" Ma gli atti più perseveranti d'avversione, di ostilità delle autorità ottomane, furono compiuti in quella parte dell'impero dove maggiori sono gl'interessi degli Italiani, cioè nel Mar Rosso e in Tripolitania. Dai rapporti dei nostri consoli, dalle relazioni di coloro che tornavano da quelle regioni, dai continui incidenti sollevati per colpa dei funzionari turchi, è dimostrato chiaramente conte se si volesse creare un ambiente di ostilità agli interessi italiani, quasi diffidandone lo sviluppo sempre crescente. Il contegno dell'autorità ottomana nel Mar Rosso e sulla costa araba prospiciente la colonia Eritrea, è stato sempre violento e continuamente provocante. Troppo lunga sarebbe la serie degli incidenti con i quali fu fatta offesa alla bandiera italiana. Citiamone soltanto alcuni, avvenuti sotto il nuovo regime. Il 5 giugno 1909 la cannoniera Nurahad. a 40 chilometri dalla costa turca, si impossessò con atti di violenza della somma di 2340 talleri a bordo del sambuco italiano Selima, vero atto di pirateria senza nessuna attenuante. Recentemente ha avuto una certa notorietà l'incidente del Genova, sequestrato da una cannoniera turca a Hodeida e sottoposto a iniquo procedimento e a tentativi di appropriazione a mano armata.
" Animato da spirito di conciliazione, il Governo italiano accettò di fare un'inchiesta in proposito per comporre l'incidente, inchiesta i cui risultati farebbero onta a qualsiasi Governo civile per quanto riguarda la condotta dei funzionari locali. Ma non basta! Mentre erano in corso le trattative per l'incidente del "Genova, il comandante di una cannoniera turca penetrava a mano armata a bordo del sambuco "Selima il 5 dicembre del 1910, e costringeva il nacuda a consegnare la corrispondenza dei negozianti di Massaua. Prepotenze di altra natura e di non minore gravità furono commesse a danno dei sambuchi eritrei appartenenti a Ali Kozem e a Kalid Kamed. Mentre le autorità turche perpetravano altre molestie di minore gravità verso altri sambuchi, esse, sempre felici di cogliere qualsiasi circostanza per danneggiare il commercio eritreo, si sfogavano il 31 agosto 1911, sperando l'impunità, sulla merce eritrea caricata a bordo del sambuco ottomano Path Es-Salam, ne bastonavano il nacuda, lo buttavano a mare e lasciavano il veliero in avaria, dopo aver preso a bordo tutta la merce, compresi i viveri dell'equipaggio. I sambuchi dei negozianti eritrei, terrorizzati dalle continue minacce loro sovrastanti per parte delle autorità turche sulla costa araba, hanno perciò, in gran parte, rinunciato a trafficarvi, con gravissime danno del commercio della nostra colonia. "In Tripolitania l'ostilità sistematica delle autorità ottomane, ora aperta e violenta, ora subdola e maligna, assume proporzioni ancor maggiori. Uno solo é il proposito loro; muovere guerra agli interessi economici e commerciali dell'Italia, impedire in tutti i modi lo sviluppo dell'influenza italiana. Citiamo pochi esempi, prescegliendoli dalla lunga serie che potremmo riferire anche a persuasione del più indulgente lettore. Il banco di Roma inizia in Tripolitania con capitale italiano una vera e benefica opera di progresso economico e di incivilimento del paese. Le autorità vietano agli indigeni di avere relazioni con quell'istituto e li puniscono per reati immaginari se vi ricorrono; si impedisce al banco di ottenere il riconoscimento giuridico dinanzi ai tribunali locali e quando dopo due anni di laboriose trattative il riconoscimento non si può negare, le angherie ricominciano sotto altra forma. I "vali" si susseguono rapidamente nel governo del "vilayet", ma la politica è sempre la medesima; finché nel 1910 il nuovo vali IBRAHIM pascià dichiara apertamente al Consiglio d'amministrazione che egli farà opposizione sistematica e irresistibile ad ogni iniziativa italiana, lasciando comprendere chiaramente che tali erano le istruzioni del proprio Governo. E cosi tutte le proposte, tutte le domande di concessioni e imprese fatte da italiani, quali d'acqua, impianti radiotelegrafici, lavori stradali ecc., sono sempre respinti. Contro i trattati s'impediscono ai regi sudditi sia l'acquisto di terreni, sia le volture catastali; a Homs, a Bengasi, gl'indigeni che vogliono vendere sono minacciati, e la vendetta si esplica con pretesti estranei alla vera causa. Contro gl'impegni assunti, si oppone l'ostruzionismo alla missione archeologica e mineralogica italiana.
"Tutti gli ostacoli e le difficoltà si accumulano contro gli impianti italiani - molini, oleifici - e contro la nostra navigazione. Gli indigeni, terrorizzati, non osano valersi di tali benefiche istituzioni e impianti per timore di proditorie vendette. In mezzo a questi impedimenti e difficoltà accadono gravissimi fatti delittuosi. quali l'assassinio di padre GIUSTINO e DERNA e l'altro di GASTONE TIRRENI, avvenuto a breve distanza fra Tripoli e Hons, assassinio che si volle coprire con l'apparenza di un suicidio, smentito dai testimoni e dalle posteriori rivelazioni; barbaro delitto per il quale non si poté mai ottenere una qualsiasi soddisfazione, neppure una seria istruttoria né criminale né civile, invocata dai parenti dell'ucciso e insistentemente richiesta dalle autorità diplomatiche e consolari. Una dichiarazione "di non luogo a procedere e d'estinzione dell'azione penale per intervenuta amnistia" fu tutto quanto si degnarono di concederci le autorità del luogo. Tali due luttuosi fatti notoriamente cagionati dall'odio dei Turchi contro gli Italiani, gettarono la costernazione e lo scoraggiamento nella colonia italiana, che divenne forzatamente timida davanti a qualsiasi utile iniziativa. Ogni intervento delle regie autorità consolari nel vilayet è contrastato apertamente o di nascosto dalle autorità ottomane, come lo dimostra l'incidente del giornalista ARBIB, bastonato dalla polizia, contro la quale l'intervento del regio drogomanno Samaz non ebbe altro effetto se non quello di provocare una nuova e più flagrante violazione delle capitolazioni. Tutta questa ininterrotta serie di soprusi, violenze, intimidazioni e sopraffazioni è apertamente incoraggiata e sostenuta dal giornale "Marasd, organo ufficiale del vali del vilayet, stampato nella sua tipografia e ispirato dallo stesso vali, giornale largamente diffuso tra gli arabi e che non risparmia in nessuna occasione oltraggi o insulti verso l'Italia. Da tutto quanto procede, chiaramente emerge che il Governo italiano si è trovato di fronte a un sistema o programma di avversione preconcetta contro i sudditi e contro le iniziative italiane in genere, in Tripolitania in modo speciale. La calda e quasi universale simpatia con la quale l'Italia aveva salutato l'avvento al potere della giovane Turchia, il proposito di dar tempo al nuovo regime di consolidarsi, di non creare difficoltà o imbarazzi all'impero ottomano o all'Europa, consigliarono al Governo d'Italia una pazienza e condiscendenza che non aveva avuto esempio nella storia dei popoli. Si sperava sempre nel consolidamento del nuovo Governo, nell'accoglimento dei buoni consigli, nella condiscendenza, nel ricambio di una buona amicizia che da parte nostra si era spinta fino al sacrificio dei propri interessi. Ma tutto fu vano. Ogni giorno la situazione peggiorava. Di fronte al nostro cosi paziente, si ergeva a Costantinopoli alternativamente o un Governo che dava melliflue parole é promesse alle quali mancava poi ogni corrispondenza nei fatti, ovvero un Governo senza autorità che non era capace d'imporre l'obbedienza alle dipendenti autorità locali, un Governo cui mancava la forza di far rispettare ed osservare i trattati, le capitolazioni, gl'impegni contratti, un Governo insomma che ha mancato nei riguardi dell'Italia ai propri doveri internazionali.
La misura era ormai colma. Gli attacchi violenti ed oltre ogni limite ingiuriosi della stampa ottomana, l'ostruzionismo sistematico e la malafede delle autorità in sott'ordine, la straordinaria serie di incidenti e reclami d'ogni genere ogni giorno in aumento, hanno finito per scuotere e stancare l'opinione pubblica, la stampa, il parlamento il Governo d'Italia. Ormai l'Italia non ha più alcuna fiducia di risolvere amichevolmente le proprie questioni con la Turchia; e disillusa di tante buone parole e promesse mendaci, datele in questi ultimi anni, perduta la pazienza, e decisa ad uscire da una tolleranza che potrebbe essere rimproverata quale debolezza e riconoscimento d'inferiorità, ha stabilito di ottenere con la più grande energia il rispetto dei propri diritti e la tutela dei propri interessi. La colpa ricade su coloro che da tre anni sono venuti ogni giorno provocandoci e creandoci con dei piccoli e grandi incidenti un ambiente di ostilità nelle varie province dell'impero, e specialmente in Tripolitania, si da rendere malsicura l'incolumità dei sudditi italiani e pericoloso il pacifico svolgimento del commercio eritreo nel Mar Rosso".
L'azione della diplomazia era terminata e la parola era già ai cannoni.Il 29 settembre 1911 il Re (Vittorio Emanuele III di Savoia) in base all'art. 5 dello Statuto Albertino, dichiarò guerra alla Turchia.Art. 5 – Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare: dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere.
Una dichiarazione di guerra senza l’approvazione né ratifica da parte del Parlamento, il quale, in vacanza da fine luglio. riaprirà solo il 22 febbraio 1912.Nel frattempo in Italia, fin dal giorno dell'ultimatum (del 26 set.) la direzione del partito socialista congiunta a quella della CGdL ( Confederazione Generale del Lavoro) proclamò uno sciopero generale contro la guerra, che ottenne però solo un parziale successo anche a causa di lacerazioni interne al PSI e alla CGdL.Più violente furono invece le agitazioni in Romagna guidate da due giovani, il rivoluzionario Benito Mussolini, e il repubblicano Pietro Nenni. Altre difficoltà interne sorsero pochi giorni dopo (il 15-18 ottobre a Modena) al XII congresso socialista. Spaccatura irreversibile dentro i riformisti di sinistra con Filippo Turati e Giuseppe Emanuele Modigliani che passarono all'opposizione per protestare contro la guerra. Invece la corrente di Leonida Bissolati ( Leonida Bergamaschi), in contrasto con le direttive del partito, continuerà a sostenere le scelte di Giolitti.La corrente rivoluzionarie fu invece intransigente e ottenne la sua vittoria morale, ottenendo la maggioranza relativa dei voti. Ma nessuna delle mozioni ottenne la maggioranza assoluta. e quindi rimase in carica la direzione riformista.
Dopo la dichiarazione di guerra, la Turchia inviò, in data 30 settembre, alle Potenze la seguente nota:
"Malgrado il termine di ventiquattro ore, termine estremamente breve. che ci è stato fissato dall'Italia nel suo ultimatum, ci siamo affrettati a rispondere assai prima dello scadere del termine, affinché il governo italiano non avesse bisogno di procedere ad un'occupazione militare per ottenere da noi in Tripolitania e in Cirenaica garanzie di espansione economica. Ci dichiarammo pronti a tali garanzie in quanto non toccassero la nostra integrità territoriale. Ed a tale scopo prendemmo l'impegno di non modificare durante le trattative la nostra situazione militare in dette province. Senza neppure rispondere a queste offerte concilianti, il Governo italiano, nello stesso tempo e prima dello spirare del termine invia la sua flotta a far attaccare una nostra torpediniera nelle acque del Mare Adriatico, e poi ci invia una dichiarazione di guerra in regola. Penosamente sorpresi da questa ostilità inattesa che non è affatto giustificata dalla nostra attitudine verso l'Italia, noi vogliamo credere che • date le intenzioni concilianti, dalle quali siamo animati- vi sia ancora il tempo di arrestare gli effetti nefasti di una guerra che non ha cause reali. E' perciò che ci rivolgiamo ai sentimenti pacifici ed umanitari, come all'amicizia del vostro Governo, perché intervenga presso l'Italia e la persuada del nostro sincero desiderio di negoziare con essa per prevenire un'inutile effusione di sangue". Fu tutto inutile. La guerra era stata ormai "voluta" e anche iniziata! La Flotta era già sul posto e all'opera, il Corpo di spedizione già in partenza.
Forse il Giolitti ebbe dei ripensamenti sull’azione militare, non lo sapremo mai, ma la pressione dei nazionalisti, desiderosi in realtà di un’azione bellica nei Balcani, lo costrinse nel proseguire il folle progetto d’invasione della Libia.In questo contesto influì anche l’opinione del Ministro degli esteri, Antonio di San Giuliano, anche lui uno dei più fervidi sostenitori dell’azione militare in Libia.Il marchese di San Giuliano era del parere che la campagna militare si sarebbe risoltain una breve passeggiata militare e che non avrebbe avuto conseguenze sul piano europeo.Anche le idee del San Giuliano furono smentite dalla realtà.Ma i libici e i turchi reagirono diversamente rispetto alle aspettative del ministro degli Esteri San Giuliano e del console generale a Tripoli Carlo Galli.Gli arabi non manifestarono accoglienza agli italiani, prima schierandosi a fianco dei turchi e, dopo la sconfitta di quest’ultimi, dando vita ad un energica resistenza che durò oltre vent’anni circa.Era un’Impero Ottomano ormai debole su tutti i fronti compreso quello Balcanico.Tutti aspetti che porteranno l’Europa e il resto del Mondo verso la Prima Guerra Mondiale.
Il marchese Antonino Paternò di San Giuliano (1852-1914),
due volte Ministro degli Esteri tra il 1905 e il 1914.
Fu tra i più strenui sostenitori dell’impresa libica.
Giovanni GiolittiIl 7 ottobre 1911 il Giolitti tenne un discorso al Teatro Regio di Torino, quando l’occupazione della Libia era ormai avviata…
Teatro Regio di Torino
Vi sono fatti che si impongono come una fatalità storica alla quale nessun popolo può sottrarsi senza compromettere in modo irreparabile il suo avvenire. In tali momenti è dovere del Governo di assumere tutte le responsabilità, perché un’esitazione o un ritardo può segnare l’inizio di una decadenza politica, producendo talora conseguenze che il popolo deplorerà per lunghi anni,
talora per secoli.
Se il governo italiano avesse avuto un attimo di esitazione forse sarebbe stato meglio per tutti… per gli italiani, per i libici… per il mondo intero.L’aspetto strano fu che anche gli esponenti della sinistra italiani furono favorevoli al conflitto:
La voce di coloro che erano contrari alla guerra non fu ascoltata e i loro discorsi furono un rischio anche per la loro incolumità.Erano isolati…..
Queste importanti figure della cultura italiana avevano criticato le narrazioni riguardanti la Tripolitania come “colonia di insediamento”.
La guerra avrebbe avuto un alto costo non solo di vite umane ma anche economico.
I costi dell’impresa libica avrebbero fermato lo sviluppo industriale dell’Italia portando il Paese verso una società militarista e barbarica.
Pietro Nenni, Amedeo Bordiga, Benito Mussolini e la CGdL tentarono di impedire la guerra con scioperi e manifestazioni, ma non ebbero grande seguito. Nenni e Mussolini scontarono anche alcuni mesi di carcere a Bologna.Purtroppo le frasi di dissenso all’azione militare non furono ascoltate e il 26 settembre 1911, il Governo Italiano mandò un ultimatum alla Turchia.L’ultimatum fu definito come un ….guazzabuglio di arroganza nelle lagnanze e di vaghezza nelle richieste, ma non conteneva nulla che potesse realmente definirsi un casus belli,per i turchi fu un ingiustificato ultimatum…Dopo un primo momento di naturale indignazione, la Turchia assunse un atteggiamento accomodante impegnandosi anchea garantire le prerogative dei commercianti italiani in Libia.La proposta turca, ad ultimatum scaduto, il termine era di appena 24 ore, fu respinta dal governo italiano perché considerata comeUn artificio per guadagnare tempo.Il 3 ottobre 1911 venti nave italiane aprirono il fuoco contro i vecchi forti di Tripoli, mal difesi da obsoleti cannoni turchi. Le navi italiane aprirono il fuoco contro le forze turche di stanza in Libia, pochi giorni dopo la scadenza dell’ultimatum inviato dal governo Giolitti al governo turco. Iniziò la guerra italo-turca, motivata dal fatto che il Regno d’Italia voleva delle colonie in Nord Africa e aveva deciso che quelle che facevano al caso suo erano le due province del vacillante impero ottomano costituite dalla Tripolitania e dalla Cirenaica.
L’Impero ottomano, almeno sulla carta, era un nemico facile da sconfiggere ma la sconfitta delle forze turche fu meno rapida e più impegnativa del previsto.
I turchi avevano l’appoggio degli arabi che vedevano gli italiani naturalmente come dei conquistatori e non liberatori dalla dominazione araba.
Questo aspetto tradì le aspettative del governo italiano.
Il 4 ottobre 1911 furono inviati a Tripoli ben 1732 fucilieri di marina al comando del capitano Umberto Cagni contro i turchi e gli arabi di Enver Pascià e di Aziz Bey.
Il 5 ottobre 1911, due giorni dopo avvenne lo sbarco. E in due settimane tutti i 34000 uomini del corpo di spedizione da contrapporre ai 4000 soldati turchi, erano a terra, intenti ad occupare Tripoli e Homs in Tripolitania e Tobruch, Derna e Bengasi in Cirenaica.Sbarco dei marinai italiani a Tripoli agli inizi di ottobre del 1911.
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/57/Italian_Marines_Disembarking_at_Tripoli_-_Camera_Craft_Mar_1912.jpg
Ufficiali turchi in Libia. Tra loro, quarto da sinistra, si trova anche Mustafa Kemal,
il futuro Ataturk.
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Cartina che raffigura il teatro della guerra italo-turca del 1911-12
A Tripoli e Tobruch gli sbarchi avvennero quasi senza problemi, ma nelle altre località ci furono degli scontri molto duri.A Homs, la previsione del console Galli fu immediatamente smentita: i 500 soldati turchi della guarnigione ebbero l’appoggio di oltre 1.000 libici.Ma anche a Tripoli l’occupazione fu presto contrastata. Il 23 ottobre la guarnigione italiana venne attaccata dai turchi e dai libici appartenenti non solo alle tribù del deserto ma anche a quelli che abitavano nell’oasi di Tripoli e nella città stessa. Un attacco sferrato da almeno 8.000 uomini molto motivati. Un’insurrezione generale, alla quale parteciparono donne e uomini, vecchi, giovani, adolescenti. La rivolta colpì 21 ufficiali e 482 soldati di truppa, uccisi nell’oasi, mentre altri vennero uccisi entro le mura cittadine.La rappresaglia italiana fu immediata e infinitamente più brutale della violenta ribellione libica.Per le strade di Tripoli iniziò la caccia all’arabo.E tra fucilate e impiccagioni di gruppo (una foto immortalò 14 ribelli (valorosi capi tribù) impiccati alla stessa forca nella piazza del Pane di Tripoli) ….. furono assassinate 4000 persone.
Ribelli senussi impiccati dagli italiani a Tripoli nel 1911.
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A queste drammatiche immagini si contrapponeva la propaganda giornalistica italiana…Una cartolina di propaganda che inneggiava alla conquista armata della Tripolitania
E non fu che l’inizio, perché presto le forche e le esecuzioni sommarie si sparsero in tutta la Libia.I giornali italiani riportarono invece degli articoli pieni di indignazione e di rabbia per quella che consideravanoUn’ingratitudine libica.Definivano la naturale reazione di chi difendeva la propria terra, la propria casa e i propri cari dall’invasore italiano comeUn’insidia… un tradimento…. Un vile attacco…… un assalto proditorio.I soldati italiani furono orribilmente massacrati, ma occorreva considerare che nelle oltre due settimane trascorse dallo sbarco, non soltanto le truppe avevano occupato le case e stravolto la vita degli abitanti di Tripoli, ma non avevano fatto nulla per ingraziarsi la popolazione e proporsi come liberatori.Il maggiore Giovanni Braganze annotò nel diario storico del suo reparto comei bersaglieri non meno dei fanti si diedero un gran daffare a molestare le donne.Il comportamento offensivo tenuto nei giorni precedenti dai bersaglieri verso le donne arabe, in contrasto con gli intenti del proclama del contrammiraglio Raffaele Borea Ricci del 7 ottobre, cheprometteva il massimo rispetto per il sesso femminile,venne considerato uno dei motivi che diedero alla rivolta un carattere più violento e duro e indussero allo sfregio dei corpi. La stessa coincidenza dello sbarco con il periodo del ramadan aveva già ferito i sentimenti dei musulmani, al di là delle diverse appartenenze.Gli arabi reagirono quindi all’occupazione italiana in corso con una violenza impressionante. Nell’oasi dove si svolse l’attacco, tra il Forte Messri e il villaggio di Sciara Sciat, gli arabi non presero prigionieri e le truppe italiane trovarono poi i corpi dei bersaglieri spesso mutilati dei genitali.La reazione italiana, però, fu ancora più brutale e priva di discernimento. Gli arabi, infatti, nel ribellarsi all’occupazione se l’erano presa con i militari e non con quei civili italiani che vivevano e lavoravano a Tripoli. Le nostre truppe, invece, non fecero distinzioni. La caccia all’uomo si scatenò con una rapidità e una ferocia imprevedibili.Il giornalista dell’epoca Paolo Valera scrisse…
Paolo ValeraGiornalista, scrittore(Como, 18 gennaio 1850 – Milano, 1 maggio 1926)I corrispondenti inglesi e tedeschi hanno restituito le loro tessere al generale Carlo Caneva per protestare contro i massacri degli arabi. Tutti loro hanno assistito a scene orribili. Il corrispondente della Westminster Gazzette ha dichiarato che fra 400 cadaveri di donne e di fanciulle e ragazze e fra i 4000 uomini abbattuti dalla gragnuola di piombo non vi potevano essere neppure 100 colpevoli.Gli arabi furono energicamente puniti. Ma gli Arabi erano convinti da Maometto che
chi cade in guerra va in Paradiso, muore come vive, senza scomporsi mai. La morte non teme e talora la cerca. […]
Forse la deportazione li tocca di più, perché temevano di essere trattati come fra di essi, con la frusta, coi ferri e colla fame. Per esempio sarebbe meglio impiccarli, perché dubitano che la loro anima rimanga nella strozza e non arrivi al cielo.
La prima fase fu la sconfitta dell’impero Ottomano e l’invasione di Tripoli.
Fu il Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia Giovanni Giolitti ( durata del mandato: 15 maggio 1892 – 15 dicembre 1893) ad iniziare la conquista delle regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica che, tra l’altro, erano controllate dall’Impero Ottomano.
Stabilimento d’arti grafiche L. Teodoro & Frige, Milano, 25 novembre 1911.
La Gran Bretagna controllava solo l’Egitto mentre la Francia controllava l’Algeria (sottratta alla dominazione ottomana), la Tunisia (nonostante le ambizione dell’Italia) e stava colonizzando con successo il Marocco (a scapito della Germania).
La Turchia controllava, come abbiamo visto, la Tripolitania e la Cirenaica (ambite dall’Italia) e il Fezzaz.
La Tripolitania aveva un suo valore strategico perché costituiva un ponte di collegamento tra la parte occidentale e quella orientale del Nord Africa, mentre le sue coste avevano una loro importanza per il controllo del Mediterraneo (il canale di Suez che collegava l’Europa con l’Estremo Oriente).
Le province turche del Nord Africa erano ambite dagli italiani anche per altri motivi.
Motivi commerciali per gli industriali che intravedevano la possibilità di sviluppare le loro produzioni; motivi agricoli per i poveri contadini del meridione d’Italia che avrebbero avuto la possibilità di ottenere della terra libera da coltivare. Terra che mancava in Italia e i coloni vedevano nelle terre libiche il sogno di poter lavorare per ottenere dei prodotti con relativi redditi. Nei sogni dei contadini italiani si aveva la visione di una terra libica fertile e redditizia.
Una visione legata anche alle descrizioni di giornalisti e scrittori del tempo come Luigi Federzoni, Enrico Corradini e Giuseppe Bevione.
Racconti incredibili…….
Il 26 settembre 1911 l'Italia inviò la seguente nota alle Potenze:
Già al primo sorgere di codesta prospettiva l'Italia dovette rivolgere la propria attenzione a Tripoli, l'unico territorio che avrebbe potuto escludere la possibilità di un danno irreparabile per gli interessi italiani. Il Governo italiano, nonostante l'urgenza impellente della questione, ad un'azione rapida e decisiva per raggiungere lo scopo, ha preferito un lavoro moderato e progressivo. La piega assunta dalla questione marocchina in seguito alle trattative franco-germaniche che hanno dato per risultato l'assoluto dominio della Francia nel Marocco, ora assolutamente non permette più all'Italia di attendere oltre. Le possibilità che un'altra Potenza, con l'andare del tempo, possa desiderare di ampliare ancora di più la sua sfera di dominio nel Mediterraneo, favorita forse da una diversa costellazione politica, fa si che l'Italia si trovi obbligata, per ragioni di conservazione, ad affrettare il passo ed a rafforzare i mezzi per far valere le sue aspirazioni per ciò che riguarda una posizione privilegiata a Tripoli. Il desiderio dell'Italia di ottenere da parte della Turchia il riconoscimento dei suoi grandi interessi in Tripolitania, interessi che sono dati dalla sua posizione geografica, ha trovato disgraziatamente a Costantinopoli il più tenace rifiuto. Invece di mostrare accondiscendenza amichevole la Turchia ha rifiutato di trattare gli interessi italiani alla stregua di quelli delle altre Potenze. Davanti a tale palese ingiustizia e di fronte alla situazione creata dall'insediamento definitivo della Francia nel Marocco, la convinzione di tutta Italia è che il Governo commetterebbe una colpa gravissima, ed irreparabile verso gli interessi politici ed economici del paese, se non agisse in modo da risolvere la questione di Tripoli in una maniera consona ai vitali interessi dell'Italia nel Mediterraneo. Alla Turchia rimane aperta la via per un accomodamento pacifico, ed a Roma non si può credere fino a prova contraria che il Governo turco rifiuterà di discutere, respingendo a priori le proposte dell'Italia per un'amichevole discussione delle divergenze".
"In obbedienza agli ordini di Sua Maestà il Re, suo Augusto sovrano, il sottoscritto incaricato d'affari d'Italia ha ordine di significare a Vostra Altezza quanto segue: Il termine che il Governo reale aveva ultimamente accordato al Governo imperiale, in vista dell'attuazione delle misure diventate necessarie, è trascorso senza che gli pervenisse una risposta soddisfacente. La mancanza di tale risposta non fa che confermare il malvolere o l'impotenza di cui il Governo e le Autorità imperiali hanno già fornito in numerose prove specialmente per ciò che concerne la tutela degli interessi o dei diritti italiani in Tripolitania e in Cirenaica. Il governo italiano si vede per conseguenza obbligato a provvedere direttamente alla salvaguardia di quei diritti ed interessi come della dignità e dell'onore del Paese con tutti i mezzi di cui dispone. Gli avvenimenti che seguiranno non potrebbero essere considerati altrimenti che come la conseguenza necessaria, per quanto penosa, del contegno adottato da lungo tempo dalle autorità dell'impero di fronte all'Italia. Essendo quindi interrotte le relazioni d'amicizia e di pace fra i due Stati, l'Italia si considera da questo momento in stato di guerra con la Turchia. Il sottoscritto, d'ordine del suo Governo, ha per conseguenza l'onore di far conoscere a Vostra Altezza che i passaporti saranno messi oggi stesso a disposizione dell'incaricato d'affari dell'impero ottomano a Roma e prega Vostra Altezza di voler fargli pervenire senza ritardo i propri passaporti. Il Governo reale ha incaricato il sottoscritto di dichiarare nello stesso tempo a Vostra Altezza che i sudditi ottomani potranno continuare a risiedere sul territorio del regno senza che vi sia a temere alcuna offesa alla loro sicurezza personale, alle loro proprietà ed ai loro affari". Contemporaneamente il Governo italiano lo stesso giorno dava comunicazione alle Potenze dell'annuncio della dichiarazione di guerra alla Turchia accompagnandola con una lunga relazione sugli incidenti che l'avevano determinata: "Il conflitto - cosi la nota che riportiamo integralmente- che sembra scoppiato improvvisamente fra l'Italia e la Turchia non è che l'epilogo di una lunga serie di vessazioni e di soprusi, ancor più reali che apparenti, fatti all'Italia e agli italiani dai Turchi dell'impero ottomano. Da qualche tempo innumerevoli erano le lagnanze dei nostri connazionali in ogni parte dell'impero al Governo del Re, che reclamavano sollecita opera di giustizia, per lunghe angherie, per la negata giustizia, per vera e propria sopraffazione che essi subivano e la cui soluzione era eternamente dilazionata. In questa categoria di reclami eternamente insoluti che dimostrano il conto che delle premure del regio Governo faceva la Sublime Porta, basta ricordare il reclamo Giustiniani e l'intervento arbitrario dall'autorità ottomana nel corso della giustizia locale. quello di Napoleone Guarnani. di Kuhn e di Cuttoni, di Marcopoli, degli eredi Sola, rispettivamente creditori verso lo Stato o verso personaggi della famiglia imperiale. La ditta Stagni, dalle ostilità dell'autorità locale ottomana, fu costretta ad abbandonare la concessione del taglio del legname nella provincia di Brussa. E cosi rimasero sempre insoluti tutti i danni d'ordine pubblico subiti dai sudditi italiani nelle varie province dell'impero, come quelli dipendenti dai massacri di Adana nel 1909 e dal saccheggio dell'Agenzia della Società di Navigazione Generale Italiana a Santi Quaranta. E numerosi altri reclami e infinite altre controversie di maggiore o minore gravità esistono - come ad esempio quelle per sfregi e aggressioni compiute contro il personale appartenente ai consolati italiani - tali da dimostrare come da qualche tempo i nazionali fossero circondati da un'atmosfera ostile, non rispondente alle nuove relazioni ufficiali esistenti fra i due Stati.
"Col nuovo regime, che tante speranze destò in Italia, gl'incidenti dolorosi si moltiplicarono e si aggravarono. Un fatto gravissimo avvenne recentemente: il ratto della giovanetta minorenne Giulia Franzoni, d'anni sedici, rapita fraudolentemente alla propria famiglia di onesti operai adibiti ai lavori delle ferrovie ottomane a Adana, sequestrata e convertita a viva forza all'islamismo e maritata con la violenza a un cittadino musulmano, nonostante le proteste dei genitori e degli stranieri di altre nazioni e nonostante l'intervento del regio consolato e della regia ambasciata. Questo incidente. che ha per ogni nazione importanza grave, ne ha più ancora per l'Italia che deve provvedere alla tutela di una numerosa emigrazione italiana, la quale trova lavoro nelle opere ferroviarie dell'Asia Minore. Ora il fatto di non aver trovato una rapida soluzione punitiva per questo barbaro sistema di forzata conversione e di ratto di un'ingenua fanciulla. può essere incentivo ad altri fatti consimili, che siano diretti a colpire tutta la popolazione operaia. che è in gran parte italiana. costretta a vivere con la propria famiglia in tali regioni.
" Ma gli atti più perseveranti d'avversione, di ostilità delle autorità ottomane, furono compiuti in quella parte dell'impero dove maggiori sono gl'interessi degli Italiani, cioè nel Mar Rosso e in Tripolitania. Dai rapporti dei nostri consoli, dalle relazioni di coloro che tornavano da quelle regioni, dai continui incidenti sollevati per colpa dei funzionari turchi, è dimostrato chiaramente conte se si volesse creare un ambiente di ostilità agli interessi italiani, quasi diffidandone lo sviluppo sempre crescente. Il contegno dell'autorità ottomana nel Mar Rosso e sulla costa araba prospiciente la colonia Eritrea, è stato sempre violento e continuamente provocante. Troppo lunga sarebbe la serie degli incidenti con i quali fu fatta offesa alla bandiera italiana. Citiamone soltanto alcuni, avvenuti sotto il nuovo regime. Il 5 giugno 1909 la cannoniera Nurahad. a 40 chilometri dalla costa turca, si impossessò con atti di violenza della somma di 2340 talleri a bordo del sambuco italiano Selima, vero atto di pirateria senza nessuna attenuante. Recentemente ha avuto una certa notorietà l'incidente del Genova, sequestrato da una cannoniera turca a Hodeida e sottoposto a iniquo procedimento e a tentativi di appropriazione a mano armata.
" Animato da spirito di conciliazione, il Governo italiano accettò di fare un'inchiesta in proposito per comporre l'incidente, inchiesta i cui risultati farebbero onta a qualsiasi Governo civile per quanto riguarda la condotta dei funzionari locali. Ma non basta! Mentre erano in corso le trattative per l'incidente del "Genova, il comandante di una cannoniera turca penetrava a mano armata a bordo del sambuco "Selima il 5 dicembre del 1910, e costringeva il nacuda a consegnare la corrispondenza dei negozianti di Massaua. Prepotenze di altra natura e di non minore gravità furono commesse a danno dei sambuchi eritrei appartenenti a Ali Kozem e a Kalid Kamed. Mentre le autorità turche perpetravano altre molestie di minore gravità verso altri sambuchi, esse, sempre felici di cogliere qualsiasi circostanza per danneggiare il commercio eritreo, si sfogavano il 31 agosto 1911, sperando l'impunità, sulla merce eritrea caricata a bordo del sambuco ottomano Path Es-Salam, ne bastonavano il nacuda, lo buttavano a mare e lasciavano il veliero in avaria, dopo aver preso a bordo tutta la merce, compresi i viveri dell'equipaggio. I sambuchi dei negozianti eritrei, terrorizzati dalle continue minacce loro sovrastanti per parte delle autorità turche sulla costa araba, hanno perciò, in gran parte, rinunciato a trafficarvi, con gravissime danno del commercio della nostra colonia. "In Tripolitania l'ostilità sistematica delle autorità ottomane, ora aperta e violenta, ora subdola e maligna, assume proporzioni ancor maggiori. Uno solo é il proposito loro; muovere guerra agli interessi economici e commerciali dell'Italia, impedire in tutti i modi lo sviluppo dell'influenza italiana. Citiamo pochi esempi, prescegliendoli dalla lunga serie che potremmo riferire anche a persuasione del più indulgente lettore. Il banco di Roma inizia in Tripolitania con capitale italiano una vera e benefica opera di progresso economico e di incivilimento del paese. Le autorità vietano agli indigeni di avere relazioni con quell'istituto e li puniscono per reati immaginari se vi ricorrono; si impedisce al banco di ottenere il riconoscimento giuridico dinanzi ai tribunali locali e quando dopo due anni di laboriose trattative il riconoscimento non si può negare, le angherie ricominciano sotto altra forma. I "vali" si susseguono rapidamente nel governo del "vilayet", ma la politica è sempre la medesima; finché nel 1910 il nuovo vali IBRAHIM pascià dichiara apertamente al Consiglio d'amministrazione che egli farà opposizione sistematica e irresistibile ad ogni iniziativa italiana, lasciando comprendere chiaramente che tali erano le istruzioni del proprio Governo. E cosi tutte le proposte, tutte le domande di concessioni e imprese fatte da italiani, quali d'acqua, impianti radiotelegrafici, lavori stradali ecc., sono sempre respinti. Contro i trattati s'impediscono ai regi sudditi sia l'acquisto di terreni, sia le volture catastali; a Homs, a Bengasi, gl'indigeni che vogliono vendere sono minacciati, e la vendetta si esplica con pretesti estranei alla vera causa. Contro gl'impegni assunti, si oppone l'ostruzionismo alla missione archeologica e mineralogica italiana.
"Tutti gli ostacoli e le difficoltà si accumulano contro gli impianti italiani - molini, oleifici - e contro la nostra navigazione. Gli indigeni, terrorizzati, non osano valersi di tali benefiche istituzioni e impianti per timore di proditorie vendette. In mezzo a questi impedimenti e difficoltà accadono gravissimi fatti delittuosi. quali l'assassinio di padre GIUSTINO e DERNA e l'altro di GASTONE TIRRENI, avvenuto a breve distanza fra Tripoli e Hons, assassinio che si volle coprire con l'apparenza di un suicidio, smentito dai testimoni e dalle posteriori rivelazioni; barbaro delitto per il quale non si poté mai ottenere una qualsiasi soddisfazione, neppure una seria istruttoria né criminale né civile, invocata dai parenti dell'ucciso e insistentemente richiesta dalle autorità diplomatiche e consolari. Una dichiarazione "di non luogo a procedere e d'estinzione dell'azione penale per intervenuta amnistia" fu tutto quanto si degnarono di concederci le autorità del luogo. Tali due luttuosi fatti notoriamente cagionati dall'odio dei Turchi contro gli Italiani, gettarono la costernazione e lo scoraggiamento nella colonia italiana, che divenne forzatamente timida davanti a qualsiasi utile iniziativa. Ogni intervento delle regie autorità consolari nel vilayet è contrastato apertamente o di nascosto dalle autorità ottomane, come lo dimostra l'incidente del giornalista ARBIB, bastonato dalla polizia, contro la quale l'intervento del regio drogomanno Samaz non ebbe altro effetto se non quello di provocare una nuova e più flagrante violazione delle capitolazioni. Tutta questa ininterrotta serie di soprusi, violenze, intimidazioni e sopraffazioni è apertamente incoraggiata e sostenuta dal giornale "Marasd, organo ufficiale del vali del vilayet, stampato nella sua tipografia e ispirato dallo stesso vali, giornale largamente diffuso tra gli arabi e che non risparmia in nessuna occasione oltraggi o insulti verso l'Italia. Da tutto quanto procede, chiaramente emerge che il Governo italiano si è trovato di fronte a un sistema o programma di avversione preconcetta contro i sudditi e contro le iniziative italiane in genere, in Tripolitania in modo speciale. La calda e quasi universale simpatia con la quale l'Italia aveva salutato l'avvento al potere della giovane Turchia, il proposito di dar tempo al nuovo regime di consolidarsi, di non creare difficoltà o imbarazzi all'impero ottomano o all'Europa, consigliarono al Governo d'Italia una pazienza e condiscendenza che non aveva avuto esempio nella storia dei popoli. Si sperava sempre nel consolidamento del nuovo Governo, nell'accoglimento dei buoni consigli, nella condiscendenza, nel ricambio di una buona amicizia che da parte nostra si era spinta fino al sacrificio dei propri interessi. Ma tutto fu vano. Ogni giorno la situazione peggiorava. Di fronte al nostro cosi paziente, si ergeva a Costantinopoli alternativamente o un Governo che dava melliflue parole é promesse alle quali mancava poi ogni corrispondenza nei fatti, ovvero un Governo senza autorità che non era capace d'imporre l'obbedienza alle dipendenti autorità locali, un Governo cui mancava la forza di far rispettare ed osservare i trattati, le capitolazioni, gl'impegni contratti, un Governo insomma che ha mancato nei riguardi dell'Italia ai propri doveri internazionali.
La misura era ormai colma. Gli attacchi violenti ed oltre ogni limite ingiuriosi della stampa ottomana, l'ostruzionismo sistematico e la malafede delle autorità in sott'ordine, la straordinaria serie di incidenti e reclami d'ogni genere ogni giorno in aumento, hanno finito per scuotere e stancare l'opinione pubblica, la stampa, il parlamento il Governo d'Italia. Ormai l'Italia non ha più alcuna fiducia di risolvere amichevolmente le proprie questioni con la Turchia; e disillusa di tante buone parole e promesse mendaci, datele in questi ultimi anni, perduta la pazienza, e decisa ad uscire da una tolleranza che potrebbe essere rimproverata quale debolezza e riconoscimento d'inferiorità, ha stabilito di ottenere con la più grande energia il rispetto dei propri diritti e la tutela dei propri interessi. La colpa ricade su coloro che da tre anni sono venuti ogni giorno provocandoci e creandoci con dei piccoli e grandi incidenti un ambiente di ostilità nelle varie province dell'impero, e specialmente in Tripolitania, si da rendere malsicura l'incolumità dei sudditi italiani e pericoloso il pacifico svolgimento del commercio eritreo nel Mar Rosso".
"Malgrado il termine di ventiquattro ore, termine estremamente breve. che ci è stato fissato dall'Italia nel suo ultimatum, ci siamo affrettati a rispondere assai prima dello scadere del termine, affinché il governo italiano non avesse bisogno di procedere ad un'occupazione militare per ottenere da noi in Tripolitania e in Cirenaica garanzie di espansione economica. Ci dichiarammo pronti a tali garanzie in quanto non toccassero la nostra integrità territoriale. Ed a tale scopo prendemmo l'impegno di non modificare durante le trattative la nostra situazione militare in dette province. Senza neppure rispondere a queste offerte concilianti, il Governo italiano, nello stesso tempo e prima dello spirare del termine invia la sua flotta a far attaccare una nostra torpediniera nelle acque del Mare Adriatico, e poi ci invia una dichiarazione di guerra in regola. Penosamente sorpresi da questa ostilità inattesa che non è affatto giustificata dalla nostra attitudine verso l'Italia, noi vogliamo credere che • date le intenzioni concilianti, dalle quali siamo animati- vi sia ancora il tempo di arrestare gli effetti nefasti di una guerra che non ha cause reali. E' perciò che ci rivolgiamo ai sentimenti pacifici ed umanitari, come all'amicizia del vostro Governo, perché intervenga presso l'Italia e la persuada del nostro sincero desiderio di negoziare con essa per prevenire un'inutile effusione di sangue".
due volte Ministro degli Esteri tra il 1905 e il 1914.
Teatro Regio di Torino
Vi sono fatti che si impongono come una fatalità storica alla quale nessun popolo può sottrarsi senza compromettere in modo irreparabile il suo avvenire. In tali momenti è dovere del Governo di assumere tutte le responsabilità, perché un’esitazione o un ritardo può segnare l’inizio di una decadenza politica, producendo talora conseguenze che il popolo deplorerà per lunghi anni,
talora per secoli.
Queste importanti figure della cultura italiana avevano criticato le narrazioni riguardanti la Tripolitania come “colonia di insediamento”.
La guerra avrebbe avuto un alto costo non solo di vite umane ma anche economico.
I costi dell’impresa libica avrebbero fermato lo sviluppo industriale dell’Italia portando il Paese verso una società militarista e barbarica.
L’Impero ottomano, almeno sulla carta, era un nemico facile da sconfiggere ma la sconfitta delle forze turche fu meno rapida e più impegnativa del previsto.
I turchi avevano l’appoggio degli arabi che vedevano gli italiani naturalmente come dei conquistatori e non liberatori dalla dominazione araba.
Questo aspetto tradì le aspettative del governo italiano.
Il 4 ottobre 1911 furono inviati a Tripoli ben 1732 fucilieri di marina al comando del capitano Umberto Cagni contro i turchi e gli arabi di Enver Pascià e di Aziz Bey.
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il futuro Ataturk.
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Forse la deportazione li tocca di più, perché temevano di essere trattati come fra di essi, con la frusta, coi ferri e colla fame. Per esempio sarebbe meglio impiccarli, perché dubitano che la loro anima rimanga nella strozza e non arrivi al cielo.
Secondo alcuni calcoli, vi furono tra millecinquecento e duemila morti, ma per la stampa straniera almeno quattromila arabi e berberi vennero fucilati o impiccati. La «crudeltà», il «fanatismo», il «tradimento» e la «dissimulazione»della popolazione araba furono le categorie esplicative costruite dopo l’evento per legittimare l’uso sproporzionato della violenza.Lo stesso giornalista Paolo Valera, sul campo per il suo personale periodico La Folla, fu autore di un reportage sulle terribili giornate di Sciara Sciat, accompagnato da numerose foto a testimonianza inequivocabile della violenza italiana sulla popolazione araba. Gli spari arabi, scrisse Valera,erano senza dubbio pericolosi, ma nessuno avrebbe dato all’episodio il nome di sommossa e a nessuno sarebbe mai venuto in mente di iniziare un massacro che sarebbe finito con quattro mila e più cadaveri […] La guerra è diventata un’effusione di sangue all’ingrosso, un omicidio generale, una esecuzione senza esempio.Il sergente Guido Sponsali raccontò invece alla famiglia le sue impressioni sulla battaglia al forte Messri:il 26 novembre le palle fischiavano e i nostri cavalli entravano fino al ginocchio nella sabbia, ma noi siamo andati sempre avanti per sconfiggere questi barbari. Il più bel divertimento è quando si carica alla baionetta; si infilano questi cani come i rondoni. Ain Zara venne occupata il 4 dicembre, nonostante l’accanita resistenza turca. Tiberio Nesi, artigliere, scrisse alla famiglia gli avvenimenti legati al bombardamento dell’oasi:La mattina del 4 ci alzammo di buon’ora, andammo subito ai nostri posti e si principiò a sparare. Non potete credere mai che cosa pareva che succedesse in quel momento. Da tutte le parti era un tonare di cannoni, e sembrava che tutto dovesse cedere sotto quel frastuono. Questa orchestra durò fino alle ore 11; poi un poco calmò.Le esecuzioni nei confronti degli arabi, come si evinsero dalla lettera dell’artigliere, proseguirono ancora, nonostante fosse trascorso un mese dall’attacco di Sciara Sciat:ora siamo tranquilli, ma sempre vigili perché con la gente con la quale abbiamo da fare non c’è mai da fidarsi. Ne abbiamo avute le prove. Anche ieri furono giustiziati dodici arabi autori del tradimento del 23 contro i nostri bersaglieri.Sulle popolazioni arabe, come si rilevò nella maggior parte delle missive, era chiara una visione dell’alterità stereotipata, propria della cultura cristiana e occidentale: gli abitanti sono così brutti e sembra perfino impossibile che la natura abbia creato esseri tanto orribili. Questa gente che non conobbe mai la civiltà, rassomiglia e fa come le belve alla foresta.Marsilio Gobelli raccontò invece un episodio drammatico, che ebbe per protagonista un giovane arabo di quindici anni:Siamo a dieci chilometri da Ain Zara, verso Garian. […] Mi rammento la gloriosa giornata del 4. In quel giorno furono anche impiccati diversi arabi traditori. Mentre il corpo di uno penzolava al nodo scorsoio lungo il tronco di una palma, una famiglia araba fu ritrovata nei dintorni da una pattuglia di cavalleria. Della famiglia faceva parte un giovinetto di 15 anni circa il quale, vedendo quel corpo ciondoloni ed il nostro accampamento vicino, tirato fuori un coltello, nascosto sotto il barracano, se ne inferse un colpo alla gola. Il ragazzo fu curato dai reparti sanitari italiani ed interrogato sui motivi del gesto, rispose chei turchi avevano detto che tutti gli arabi, caduti in mano degli italiani sarebbero stati impiccati e sgozzati. Egli aveva voluto uccidersi per non essere martirizzato.Sulla battaglia di Ain Zara, Gobelli rievocò anche la potenza distruttrice dell’artiglieria,una vera meraviglia ed uno sfacelo violento. Brandelli di carne volavano per aria. Al termine della campagna militare, con l’impiego di oltre 100.000 soldati, l’Italia riuscì ad ottenere dalla “Sublime Porta” le regioni definite oggi libiche nel trattato di Losanna del 18 ottobre 1912.La Sublime Porta in epoca ottomana.
Era uno degli elementi architettonici del Palazzo di Topkapi di Istanbul,
antica residenza del sultano ottomano.
L'espressione, nel corso dei secoli, fu usata per indicare la sede del
governo dell'Impero ottomano.
La firma del trattato di Losanna (18 ottobre 1912)
da una copertina della Domenica del Corriere.
Il Trattato disponeva:- la cessazione delle ostilità con il ripristino dello status quo e lo scambio dei prigionieri;- l'autonomia della Tripolitania e della Cirenaica dall'Impero ottomano;- il ritiro dei rispettivi funzionari sia militari sia civili dalla Libia e dalle isole dell'Egeo; - l'amnistia per le popolazioni arabe che avevano partecipato alle ostilità;- l'impegno a versare annualmente alla Turchia una somma corrispondente alla media delle somme introitate dalle province negli ultimi tre anni prima della guerra; - la garanzia da parte dell'Italia della presenza di un rappresentante religioso del califfo nelle due province;- da parte ottomana, la revoca dell'espulsione dei cittadini italiani (effettuata a giugno come ritorsione dell'occupazione italiana del Dodecaneso) e il reintegro nel lavoro svolto, con relativo trattamento comprensivo dei contributi per le pensioni di fine rapporto equivalente i mesi passati senza impiego. Il trattato di Losanna, quindi, non prevedeva "la sovranità piena ed intera del Regno d'Italia" sullaTripolitania e la Cirenaica, così come venne dichiarato unilateralmente dall'Italia con Regiodecreto n. 1247 del 5 novembre 1911, convertito in legge il 23 e il 24 febbraio 1912, bensì la solaamministrazione civile e militare - una sorta di protettorato - su un territorio che giuridicamenterestava a far parte dell'Impero ottomano.Al trattato venne data piena e intera esecuzione con legge n. 1312 del 16 dicembre 1912, che neriportava il testo per intero, in lingua francese. La restituzione delle isole dell'Egeo, che l'Italia subordinò al ritiro totale delle truppe ottomane dallaLibia, non venne attuata e l'occupazione delle isole proseguì fino agli anni immediatamentesuccessivi alla seconda guerra mondiale.La piena sovranità italiana sulla Tripolitania, la Cirenaica e il Dodecaneso venne riconosciuta con unsecondo trattato di Losanna, sottoscritto da tutte le potenze dell'Intesa e la Repubblica di Turchia, il24 luglio 1923.Anche la ritirata delle truppe italiane dalle regioni più interne verso la costa fu punteggiata di abusi,massacri, razzie e altre forme di sadismo.Persone gravemente ferite vennero bagnate di benzina e bruciate vive dagli ufficiali e dai soldatiitaliani, altre buttate dentro i pozzi, molte fucilate per capriccio, per non citare i paesi non ribelli chevennero depredati con sistematicità.Noi vendichiamo sugli arabi gli errori nostri, le nostre ritirate, le sconfitte subite ovunque, non per la loro abilità, ma per la nostra inettitudine.Nel suo rapporto per il generale Santangelo, il tenente colonnello Gherardo Pànatano scrisse:Non è raro purtroppo sentire ufficiali distinti e di animo generoso proclamare le teorie più reazionarie e più feroci, come ad esempio, l’utilità della soppressione di tutti gli arabi della Tripolitania. […] Vi sono ufficiali che si incaricano personalmente delle esecuzioni e se ne vantano […] Donde venga ai nostri ufficiali tanta cieca ferocia, tanta sete di sangue, tanta raffinatezza di crudeltà, io non so comprendere. […] Noi vendichiamo sugli arabi gli errori nostri, le nostre ritirate, le sconfitte subite ovunque, non per la loro abilità, ma per la nostra inettitudine. Anzi, non potendo vendicarci sui nemici che ottennero, con così scarsi mezzi, risultati tanto vistosi, sfoghiamo l’umiliazione sui deboli, sugli inermi.Complessivamente il tentativo di occupare la Libia durò 4 anni dall’autunno del 1911 allafine del mese di luglio 1915. Per raggiungere l’occupazione globale sarebbero occorsi altri 17anni. Più di tre lustri, quindi, segnati anche da morte e terrore ai danni della popolazione libica. Un ottavo di essa venne annientato dagli italiani, nei campi di sterminio, con esecuzioniarbitrarie e in combattimento.(Alberto Quattrocolo)
Dal 1911 al 1914 gli italiani fecero in Libia una campagna di deportazione collettiva. Gli italiani non potevano essere considerati come dei liberatori degli arabi dalla dominazione turca.D’altra parte non poteva essere considerato un gesto di liberazione il massacro indiscriminatoperpetrato, il 23 ottobre 1911, per le strade di Tripoli, come rappresaglia per gli attacchi alletruppe italiane da parte della popolazione locale, al fianco dei soldati turchi, nelle vie della città e nelvicino villaggio di Sciara Sciat.Alle 16,45 del 25 ottobre 1911– quindi, due giorni dopo l’attacco arabo ai soldati italiani appostati aSciara Sciat e la successiva caccia italiana all’arabo per le vie di Tripoli, esitata in 4000 morti,bambini, ragazzi e donne inclusi, il presidente del Consiglio dei Ministri italiano, GiovanniGiolitti, inviò al generale Carlo Caneva, a capo del corpo di spedizione italiano, un telegramma:Quanto a rivoltosi arrestati, che non siano fucilati costà, li manderà alle isole Tremiti, nel mare Adriatico, coi domiciliati coatti, dove ella può direttamente dirigerli avvisandomi partenza. Le isole Tremiti possono accogliere oltre 400 detenuti.Una misura amministrativa e strumento «preventivo» per l’ordine pubblico che era in vigore in Italiadal 1863. Molti di loro non tornarono mai nelle loro abitazioni in Libia.Gli abitanti di Tripoli finirono nelle colonie penali di Ustica e nelle isole Tremiti.I cittadini di Bengasi, Derna e Homs furono deportati a Gaeta e a Favignana.si trattava di coloniepenali soggetti al domicilio coatto.A Ustica e nelle isole Tremiti sbarcarono i primi 2975 esiliati, presi a caso per le strade di Tripoli,stivati a forza nelle navi, naturalmente senza alcuna prova di reato.Fra di loro bimbi in tenera età, donne e vecchi e moltissimi non sopravvivranno.La reazione violenta e rabbiosa delle autorità civili e militari italiane fu causata, innanzitutto, dallaspiacevole sorpresa di vedere che i libici solidarizzavano, al momento dello sbarco, nell’ottobre del1911, con le truppe turche di guarnigione ed anzi costituivano i reparti più aggressivi.Giolitti, male informato, era persuaso che gli abitanti della Tripolitania e della Cirenaicaattendessero l’arrivo degli italiani con autentica gioia. Deluso ed irritato, inviò al generale CarloCaneva dei nefasti telegrammi con i quali ordinava stragi e deportazioni.
Gli italiani avevano sottostimato il patriottismo arabo ed erano convinti che un «popolo di beduini»non sarebbe stato in grado di opporre una valida resistenza. Dovettero amaramente ricredersi.Già il 23 ottobre subirono, a Sciara Sciat, una pesante sconfitta con un bilancio di 21 ufficiali e 482soldati uccisi. Ma fu soltanto l’inizio.Nel 1915, durante la «grande rivolta araba», gli italiani avrebbero perso tutti i territori conquistati edavrebbero conservato soltanto alcuni porti, dopo una frettolosa e disperate ritirata che era costatadiecimila morti.I deportati libici in Italia superarono i 4 mila nel solo ottobre del 1911.Con il proseguo delle ostilità, le colonie penali italiane videro giungere altri confinati, dei quali perònon fu possibile tenere una precisa contabilità.Molti libici vennero giustiziati in strada ma non molto diverso fu il destino dei libici che vennneroinviati nelle colonie penali. Come i 920 uomini che, il 29 ottobre 1911, laceri e malandati venivanosbarcati ad Ustica. Di questi 69 perirono entro due mesi dall’arrivo, inclusi giovani di 16 anni.Al 31 gennaio 1912 i morti in viaggio furono meno di 600-700, mentre i deportati giunti vivinelle strutture detentive italiane furono così distribuiti:- 1.080 alle Tremiti,- 834 ad Ustica,- 654 a Gaeta,- 349 a Favignana,- 136 a Ponza.Di questi entro il 1912, ne vennero rimpatriati 917. Ma le deportazioni continuarono negli anniseguenti per impennarsi durante la grande rivolta del 1915, tanto che nel marzo del 1916 (nelpieno quindi della Prima Guerra Mondiale, cui l’Italia prese parte per “liberare” alcuni territori dalladominazione austro-ungarica), nella sola Ustica vi erano 1.300 libici detenuti.Ovviamente su tutto ciò che accadeva di violento e negativo in Libia l’opinione pubblica italiananon veniva informata. La censura era rigidissima sia nel periodo della liberaldemocrazia che duranteil ventennio fascista. Ma ciò che sorprende e indigna fu il silenzio sulle deportazioni e le stragi,consumate in Libia come in Etiopia. Un silenzio assoluto mantenuto in Italia anche nel secondodopoguerra, a libertà e democrazia ristabilite.Ancora oggi i testi scolastici, salvo poche eccezioni, ignorano quei gravissimi fatti o li minimizzano.E si dà il caso che un film sulla resistenza libica, «Il leone nel deserto», sia stato in pratica proibitoe visionato soltanto nei cineclub. Ciò che prevale ancora oggi in Italia, nonostante le precise edassordanti rivelazioni sui misfatti del colonialismo italiano, fu una visione mitica e bonaria dellenostre imprese coloniali.I risarcimenti dei danni di guerra, richiesti dalla Libia e dall’Etiopia, furono rimborsati con estremataccagneria, al punto da aprire, specie con la Libia di Gheddafi, un eterno contenzioso. Si cercò, conaltrettanta grettezza, di saldare il debito materiale e morale con la promessa di costruire un ospedaleo una strada litoranea. Ma ciò che si attendono veramente i libici, a saldo dei loro 100 mila morti,non sono tanto dei beni materiali quanto il riconoscimento del loro sacrificio, della loro dignitàtroppo a lungo calpestata, del loro patriottismo sovente negato. Salvo alcune nobili parole dell’allorapresidente del Consiglio Massimo D’Alema, il 1º dicembre 1999, dinanzi al monumento ai martiridi Sciara Sciat, i vertici dello Stato italiano continuarono ad ignorare i fatti e i loro debiti morali.
Tra il 25 e il 30 ottobre il generale Caneva imbarcò più di 4000 detenuti. Il numero esatto non fu noto, ma non si sarebbe lontani dalla realtà affermando che furono più di4.000. Infatti, non furono inviati solo alle Tremiti, ma anche a Ustica, Favignana, Caserta, Gaeta ePonza, cioè nelle colonie penitenziarie.Ma chi erano coloro che venivano deportati? Un aspetto… agghiacciante… erano vittime casuali….Di quei terribili momenti fu testimone oculare un giornalista, Giuseppe Bevone, che riferì come..Ad essere imbarcati erano uomini di tutte le età, vecchi canuti e giovani imberbi.
Alle Isole Tremiti giunsero soprattutto le persone catturate nell’area di Tripoli. Secondo la relazionedella Commissione dei prigionieri di guerra dell’epoca, oltre a tutti coloro che erano accusati diattività politica o militare o di collaborazione con i ribelli e che esercitavano, in virtù del loro rangosociale, una certa influenza sulle rispettive tribù, vennero deportati anche un miscuglio dimendicanti, di ricchi proprietari, di lavoratori, di fruttivendoli, di mercanti, di contadini e di anziani,e di donne e di bambini e ragazzi.Un’azione orribile….. perché in pratica veniva deportatochiunque capitasse a tiro, “in modo frettoloso” Il viaggio per raggiungere i centri di prigionia era di circa 4 giorni.Le navi d’imbarco non erano certamente navi da crociera e molti deportati morirono anche per lecondizioni di stress legate alla navigazione e i loro corpi gettati in mare….Giunti nelle colonie penali, le condizioni di sopravvivenza erano minime.Le Isole Tremiti potevano accogliere circa 400 persone ma ne arrivarono circa 1300.Fu una strage… ne morirono uno su tre..La Direzione delle carceri riferì cheLa capienza dei sette cameroni, destinati ai deportati, era di circa 360 persone.I più fortunati trovarono ospitalità nei cameroni ma gli altri 1000 circa furono ammassati in manierapromiscua……malati e sani, maschi e femmine, bambini e adulti, un po’ nelle stalle e un po’ nelle grotte…… nelle cavità scavate sul pendio nel monte sovrastante l’Isola di San Nicola chemancano di porte ed il vento vi penetra da tutti i lati…. Buie, umide esenza scolo….. poco adatte persino per gli animali. (Relazione di due delegati di Pubblica Sicurezza del 12 novembre 1911).
La scarsità di cibo e acqua, le numerose malattie (soprattutto, il tifo e il colera), l’ostilità di una partecospicua della popolazione locale, che spesso rubava i viveri destinati ai prigionieri, spiegaronoperché già il 9 gennaio 1912 risultarono deceduti 198 deportati: inclusi due bimbi di 10 anni, mentrea giugno i morti diventarono 437, un terzo di quelli che erano arrivati.Molti tremitesi, con grande umanità e rispondendo ai loro principi cristiani, videro in quei deportatidegli esseri umani e mostrarono loro una grande solidarietà a tal punto di essere accusati disovversione e di simpatie socialiste. Nelle isole Tremiti fu edificato nel 2006, sopra una grande fossa comune, il primo mausoleo italiano per i deportati libici….«Per restituire dignità»
Secondo l’ultimo censimento del 2022, nelle isole sarebbero residenti 496 persone.. i morti libiciesiliati furono 400….Per il Comune delle Isole Tremiti fu un dato di alto valore morale dare vita ad una memoria nonaccettata e dimenticata legata al brutale colonialismo italiano.Di grande umanità il racconto del Sindaco delle isole Tremiti, Giuseppe Calabrese, che organizzò nel2007 anche un convegno per ridare vita agli sventurati libici esiliati….Il senso di questa iniziativa è innanzitutto questo: noi isolani abbiamo voluto restituire dignità a persone che non ci sono più, di qualunque nazionalità siano, perché la dignità non ha colorazioni particolari, e che finora invece erano stati quasi cancellati, messi alla rinfusa in anonime fosse comuni. Perché secondo me la storia delle persone va rivalutata, a qualunque realtà nazionale appartengano. Per noi la dignità ha un solo colore e quindi abbiamo voluto ridare dignità a morti che erano sulle nostre isole così messi alla rinfusa, dimenticati in una fossa comune e abbiamo voluto dare loro un riconoscimento che finora non è ancora arrivato da nessuno…..Sin da ragazzo passavo nella parte più lontana dell’isola di S. Nicola dove c’è un cimitero che risale all’epoca dei benedettini» spiega il sindaco. Lì c’era un’abbazia ed era all’epoca l’unica isola abitata. Sopra ci passavano capre e le persone non sapevano nemmeno che laggiù in fondo fossero stati seppelliti in una fossa comune i deportati libici morti di stenti e malattie alle Tremiti.
Così, con un po’ di fondi messi a disposizione dal ministero degli esteri e un po’ di soldi trovati tra gli isolani, le Tremiti hanno eretto il primo mausoleo in terra italiana per i deportati libici. E’ venuto qui un imam che prima ha sconsacrato il luogo poi lo ha riconsacrato secondo il rito musulmano. In fondo il nostro mausoleo è stato solo un riconoscimento di dignità, un gesto molto semplice», conclude il sindaco Calabrese.Diverse centinaia, tra cui anche donne e bambini, morirono quindi proprio sull'isola.La loro colpa?Ufficialmente legata alla presunzione italiana..Rei di resistenza alla politica coloniale giolittiana.Morirono per denutrizione o affetti di “malattia misteriosa”, che il capitano Sabellico di Alatriscoprì essere tifo petecchiale. Anche lui morì nel marzo del 1912 curando quei disperati, nel marzodel 1912.Erano in 1300 e deportati nell’Isola dopo la battaglia di Sciara-Sciat e a distanza di un anno circa,un terzo dei deportati morirono di tifo esantematico. Telegramma n.3144 in data 14/6/1915
Dal Ministero delle Colonie in Roma per il Governo di Tripoli.
Prefetto di Palermo informa piroscafo “Re Umberto” con 778 deportati
giunto in Ustica 14 corrente con sei ammalati comuni e dodici feriti.
Sbarco compiutosi senza incidenti.
Il Ministro Anezia (?)Le deportazioni iniziarono nel 1911 e proseguirono nel 1912 con una sconfortante replica nel 1915 e1916.I riferimenti storici alle deportazioni nell’isola di Ustica sarebbero legate a fonti archivistiche egiornalistiche. Le morti furono tante e le cause legate alle pessime condizioni di vita, alle carenzeigienico sanitarie della colonia penale.Le deportazioni del 1915 e 1916 furono legate alla rivolta araba esplosa nel luglio 1914. Larepressione italiana fu legata ad un’azione di “polizia coloniale”.Le sconfitte dell’esercito italiano in Libia erano una costante.Le insurrezioni del libici era animate naturalmente dal desiderio di libertà dei nativi e ben viste dagliImperi ( Impero Tedesco, Impero Austro-ungarico, Impero Ottomano e Regno di Bulgaria).Un bilancio catastrofico per l’esercito del Regno d’Italia con le sconfitte di Uadi Marsit (6 – 7 aprile1915), di Gasar Bu Hadi (Al-Qardabiyyah) del 29 aprile 1915 e nel disastro del 18 giugno 1915quando la guarnigione di Tarhuna, che aveva abbandonato il presidio ormai non più difendibile perripiegare su posizioni più sicure, fu attaccata dai ribelli.In Italia non trapela nulla. Un fatto che non è accaduto neppure dopo la sconfitta di Adua.Trapelarono invece delle notizie sulla sconfitta di Gasar Bu Hadi (Al Qardabiyyah)La vittoria di Gasar Bu Hadi (Al-Qardabiyyah) diede slancio all’azione libica e la rivolta si estese inaltri ed ampi territori coinvolgendo intere comunità e provocando defezioni di quei capi tribù cheerano alleato degli italiani o non ostili.
Al-Qardabiyyah, a Sud-Est della città di Sirte, fu la città dove si riunirono i libici di Misurata, Ziten,Mesellata, Tarhuna, Uerfella… Una forza di ben tremila libici che si era unita agli italiani nellacampagna di “polizia coloniale”. Una campagna progettata per disperdere le forze dei guerriglieriche si erano concentrati nella Sirtica e nel territorio di Marada. Fecero causa comune e insorserocontro la spedizione del colonnello Miani determinandone la disfatta. Il ricorso a bande di irregolarilibici era un procedimento molto usuale perché permetteva di ridurre l’impiego di militari nazionali.Ma era anche un procedimento molto insicuro dato che per lo più si trattava di un arruolamentoforzato.I capi delle bande venivano catturati e trattenuti come ostaggi. Il “Corriere della Sera” del 7 maggio1915, citò il caso dei capi della banda del Tarhuna che poi si ribellarono contro il colonnello Miani aGasar Bu Hadi (Al-Qardabiyyah).Su 84 ufficiali, ne morirono 19 e 23 furono feriti. Dei 900 soldati nazionali i caduti furono 237 e 127i feriti. Dei 2.174 ascari , 242 furono uccisi e 290 feriti.(L'àscari era un militare eritreo dell'Africa Orientale Italiana, inquadrato come componente regolarenei Regi Corpi Truppe Coloniali, le forze coloniali italiane in Africa. Fu quindi utilizzato anche perindicare i militari reclutati nelle altre colonie africane italiane, tra i somali, gli etiopi e i berberi).Pesantissime le perdite di materiali: 5.000 fucili di ricambio, alcuni milioni di munizioni, tutte lemitragliatrici, 6 sezioni di artiglieria, l’intero convoglio di viveri e perfino la cassa…I superstiti, rientrati nel campo trincerato di Sirte, ebbero qualche problema e si registraronosparatorie. Seguirono vendette ma anche processi sommari, impiccagioni e fucilazioni, episodi checon il colonnello Miani non si erano mai verificati.Le sconfitte subite generarono nelle truppe italiane sgomento e confusione.Ci furono delle violente reazioni italiane con: condanne a morte di capi arabi ritenuti colpevoli ditradimento, massacri, arresti e deportazioni.Fu l'intera popolazione indigena che venne considerata nemica e sottoposta a tutte le vessazioni.Il dilagare della rivolta spinse il Consiglio dei ministri a proclamare lo stato di guerra in Libia il 3maggio 1915.Il “Corriere della Sera” del 4 maggio riportò…La deliberazione presa stamane dal Consiglio dei ministri mostra che il nostro Governo è fermamente risoluto a punire i ribelli e a mantenere il nostro prestigio contro ogni mossa sospetta.Il commento sarebbe emblematico…- Spirito di vendetta degli italiani;- Una forte, ferma ed energica reazione governativa nella repressione di tentativi di altre ribellioni, dopo Al-Qardabiyyah.Le repressioni dopo Sciara Sciat e quelle del 1915, durante la grande rivolta araba furono tra le peggiori pagine che il nostro esercito abbia mai scritto. Il soldato italiano, che si è battutolealmente e cavallerescamente nelle guerre risorgi-mentali, in terra d'Africa si fa giustizia da solo,si trasforma in boia erige forche (gli allucinanti "alberi di natale" di Scalarini) e le usa per punire eper intimorire [...1. In questo clima nascono i campi di concentramento, che la tenace resistenza deilibici alimenterà per anni.Disegnatori come Scalarini, Galantara e Bruno interpretarono con la matita i fatti.
L’albero di Natale di Giuseppe Scalarini, dove al posto dei consueti addobbi penzolavano
dall’albero i corpi di decine di arabi.Nell'elenco dei libici morti a Ustica figuravano anche ragazzi di 16 anni ed anziani di 75.Probabilmente la rappresaglia e la repressione non si limitarono ai libici Al-Qardabiyyah, ritenutitraditori e caduti nelle mani del grande sconfitto colonnello Miani, o ad altri ribelli catturatisuccessivamente, ma che fossero più stese coinvolgendo anche altri territori.Al-Qardabiyyah diventerà il simbolo della resistenza libica.La sconfitta costringerà la forza d’occupazione italiana a rivedere la posizione dei presidi preferendoquelli costieri.La notizia della sconfitta fu pubblicata sul “Corriere della Sera” del 3 maggio…Defezione di bande durante un combattimento nella regione Sirtica….notevoli perdite subite.Il 4 maggio lo stesso quotidiano riportò un comunicato dell’Agenzia Stefani che riferiva comeil combattimento doveva aver rivestito "un notevole carattere di gravità",a causa delle perdite considerevoli;mise in evidenza anche gli "errori politici" e le "responsabilità dell'ufficio politico-militare di Tripoli.dava notizia dell'arrivo dcl piroscafo Letimbro a Siracusa, avvenuto il giorno precedente, con 435feriti che furono ricoverati negli ospedali di Catania e di Siracusa. Nell’articolo figuravano anche le prime cifre sui morti e sui dispersi (18 ufficiali e 200 soldati mortio dispersi, oltre gli indigeni).Il 7 maggio, sempre sullo stesso giornale, il titolo11 tradimento dei Tarhuna,che riferiva di altri 150 ascari morti o gravemente feriti e pubblicava un elenco dei nominativi deisoldati italiani feriti.Un altro elenco verrà pubblicato l'8 maggio. Nei giorni successivi, fino al 28 maggio, non ci sarannopiù riferimenti alla situazione in Libia. Se ne scriverà ancora il 29 maggio e il 16 e il 24 giugno. Sicitarono piccole cronache di guerriglia che, seppure sostenute da una prosa enfatica sull'eroismodelle truppe nazionali e degli ascari, lasciavano trapelare l'entità delle disfatta del 29 aprile e lagravità della rivolta in corso.Non si faceva segno invece al pesante rovescio del 18 giugno, durante il ripiegamento da Tarhuna: lalogica di un paese ormai in guerra esigeva una vigile censura sulla diffusione di notizie cheavrebbero potuto nuocere sia sul piano politico e diplomatico, sia sul morale dei soldati italianiinviati al fronte.Nella stessa logica comunicativa rientravano sia la tendenza a rappresentare una situazione tenutasotto controllo, sia il silenzio sulla feroce e indiscriminata repressione in atto, sia sulle deportazioniin Italia.Le deportazioni in Italia furono invece riportate da quotidiani dell’opposizione e da alcuni quotidianipalermitani come “L’Ora” e “ Il Giornale di Sicilia”.Ci furono dei coraggiosi reportage, come quello di Paolo Valera sull’”Avanti” del 1912 che riportò lecondizioni di vita dei libici deportati nelle isola di Ustica e Favignana.Un dato fu certo. I fatti della Libia successivi al 1911 rimasero lontani dai quotidiani nazionali.Quegli stessi quotidiani che avevano scritto pagine piene di enfasi sullo sbarco degli italiani aTripoli, Bengasi, Hos e Derna, e tutte le operazioni militari di conquista che nell'immediato neseguirono al canto "bel suol d'a-more".Avvenimenti, questi, che avevano visto impegnati come corrispondenti di guerra le più prestigiosefirme del giornalismo nostrano.Nel "cimitero degli arabi" di Ustica esisteva già una lapide, posta nel 1913, che ricorda i libicimorti nel 1911 e 1912. E' giusto, pensiamo, affiancarne oggi un'altra anche per quelli morti nel1915 e 1916: se non ne conosciamo ancora le sofferenze, riconosciamone, almeno, l'esistenza.L’Elenco dei libici deceduto ad Ustica
Dal giugno 1915 all’agosto 1916
(trascritti con le omissioni, gli errori e le inesattezze ortografiche
riscontrati nei registi del Comune)..In merito alla deportazione libica a Ponza non ci sarebbero studi e ricerche. I ricordi di quel tristeavvenimento sarebbero legati alla gente nativa del luogo la cui voce si è tramandata nel tempo con ilsusseguirsi delle generazioni.Una signora anziana di Ponza raccontò come la madre gli parlò della deportazione libica…giungeva a Ponza la nave della Croce Rossa che periodicamente portava i prigionieri, lei, fanciulla di 15 anni, correva al molo, a casa delle sue amichette. Dal terrazzo vedevano sbarcare sulla spiaggia della Caletta i deportati libici traghettati con dei barchini. Qui venivano lavati e disinfestati, prima di essere avviati ai loro alloggi. Quando poi a Ponza giunse in visita ufficiale il principino Umberto, venne accolto nella piazzetta di S. Maria dalle autorità e da un gruppo di libici in costume, che in suo onore si esibirono in una danza folkloristica.
Lo storico Gino Usai fece delle ricerche in merito alle vicende di vita dei libici nell’isola..(…) L’ondata retorica che investì Italia in occasione dell’invasione della Libia tendente aconvincere l’opinione pubblica dell’opera civilizzatrice che ci attendeva in Africa, giunse anche aPonza; ma la maggior parte del popolo, composta da umilissimi contadini e pescatori, non si lasciòincantare dalla propaganda. Certamente provò compassione per i deportati, e li accolse con lastessa gentilezza e simpatia con la quale successivamente accoglierà le migliaia di antifascisti cheMussolini confinò sull’isola, dal 1928 al 1939. (…) Noi non sappiamo a quali ristrettezze e a qualiobblighi vennero sottoposti i libici a Ponza; (…) Sappiamo però che a loro venne accordato untrattamento ancora più incivile di quello fatto ai domiciliati coatti.
(…) Silverio Corvisieri (giornalista, storico e politico) scrisse: “I Libici furono costretti a dormire, in sei-sette in piccole camerette, su un palco di paglia e senzacoperte. Non fu loro assegnato né un asciugamano né un sacco per chiudere le loro povere cose. Ilvitto giornaliero consisteva in 750 grammi di pane e una minestra di 200 grammi; la carne lavedevano soltanto una volta alla settimana. I prigionieri erano quasi tutti beduini abituati a viverenel deserto, alla vita nomade a un clima caldo”. (…) La denutrizione e le pessime condizioniigieniche ebbero conseguenze fatali sulla salute di molti libici: nei primi sei mesi del 1912 nemorirono ben tredici mentre numerosi altri contraevano gravi malattie polmonari. I cadaveri deiprigionieri furono gettati in una fossa comune fuori del cimitero.”L’arrivo dei deportati a Ponza avvenne sul finire del 1911 e coincise con la cessazione deldomicilio coatto e con la crisi dell’amministrazione Comunale. Il 15 dicembre infatti il Consiglio di Stato annullò le elezioni amministrative e il Prefetto inviòsull’isola il Commissario Prefettizio Cav. Claudio Rugarli.Il cav. Rugarli al termine del suo mandato, 24 marzo 1912, nel congedarsi fece una relazione sul suolavoro.Nella relazione scrisse come..Ponza bella e ridente isola, che è gran gemma, d’inestimabile valore, emergente in amplissimo mare,dove, nell’aria balsamica, la natura sorride incantevolmente……….......... .difetta di viabilità, di acqua potabile, di edifizi scolastici, d’una casa comunale propria” dove la nettezza urbana lasciava molto a desiderare.Il Commissario per ripulire l’isola fece richiesta di una decina di arabi al direttore della Colonia dei deportati Musco Nazzareno, il quale esaudì volentieri la richiesta.In pochi giorni gli arabi ripulirono per bene le strade del paese.Il Rugarli annotò nella sua relazione..“Gli arabi lavoravano di buona voglia e coi pochi soldi che guadagnano, comprano sigarette,piacendo ad essi fumare, assai più che mangiare.Io che scambio con loro qualche parola in arabo (appena qualche parola) che imparai, a Massaua,ove stetti due anni, sono salutato dagli spazzini arabi, quando m’incontrano, così:– SALAM ALEKUM.Ed io rispondo:– ALEKUM EL SALAM.Ridete pure, Signori, ma vi assicuro che questo è il vero, genuino saluto che gli arabi si scambiano tra loro, e che, tradotto in italiano, dice:– LA SALUTE SIA CON VOI.– CON VOI SIA LA SALUTE.”
Era uno degli elementi architettonici del Palazzo di Topkapi di Istanbul,
antica residenza del sultano ottomano.
L'espressione, nel corso dei secoli, fu usata per indicare la sede del
governo dell'Impero ottomano.
da una copertina della Domenica del Corriere.
Dal Ministero delle Colonie in Roma per il Governo di Tripoli.
Prefetto di Palermo informa piroscafo “Re Umberto” con 778 deportati
giunto in Ustica 14 corrente con sei ammalati comuni e dodici feriti.
Sbarco compiutosi senza incidenti.
Il Ministro Anezia (?)
L’albero di Natale di Giuseppe Scalarini, dove al posto dei consueti addobbi penzolavano
dall’albero i corpi di decine di arabi.
Dal giugno 1915 all’agosto 1916
(trascritti con le omissioni, gli errori e le inesattezze ortografiche
riscontrati nei registi del Comune)..
“Nel 1912 nel cimitero di Ponza vi era una parte ben tenuta e pulita ed un’altra trasandata etrascurata, coperta di sterpi disseminata di croci in sfacelo, divelte e disseminate qua e là senzaalcuna indicazione dei defunti.Claudio Rugarli nella sua relazione scrisse…. Nella zona così mal tenuta, sono sepolti dieci degli arabi, qui deportati dalla Tripolitania e dallaCirenaica, che morirono in Ponza, nella infermeria della colonia penale.Io ne registro qui i nomi, non già per onorarli, giacché furono nostri in territorio guerreggiato, maper l’importanza che ha il fatto storico, che merita d’essere segnalato e mandato ai posteri (…) Ho pur creduto di compiere un atto di civiltà facendo apporre sulle rispettive fosse una tabellasegnalante il nome, cognome e la data del decesso di ciascuno.
I deportati a Ponza furono trattati con molta umanità dalle autorità e soprattutto dal popolo.(…) I padiglioni che ospitavano i libici (…) erano da considerarsi nel complesso ben areati eluminosi, dotati di servizi igienici e di rete fognaria. I prigionieri avevano vestiario e pasti caldigarantiti, bevevano l’ottima acqua del Serino portata da Napoli esclusivamente per ilmantenimento della Colonia; ricevevano una diaria di 67 centesimi (…) infine avevano adisposizione l’assistenza medica e l’Ospedale Militare.(una descrizione completamente opposta rispetto a quella originaria sull’arrivonell’isola dei deportati)Nel 1912, malgrado le discrete condizioni igieniche sanitarie, morirono 13 libici a causa di infezionialle vie respiratorie.Nel 1913 ci fu un solo morto ma nello stesso anno morirono nell’isola 55 bambini su unapopolazione di 4702 abitanti.La popolazione dell’isola, soprattutto delle zone periferiche, abitava in grotte umide ricavate nel tufonel corso dei secoli. Le strade del centro erano scarsamente illuminate (da lampade a petrolio) e lacorrente elettrica era assente. La parte restante dell’isola era completamente al buio.La rete fognaria era limitata solo al centro urbano mentre in alcune abitazioni erano presenti i pozzineri. Moltissime abitazioni erano prive di servizi igienici. Gli escrementi a cielo aperto eranopresenti ovunque e quindi adatte per le mosche che diffondevano i batteri infetti.L’acqua piovana era raccolta in apposite cisterne scavate nel tufo e, malgrado fossero ben tenute,biancheggiate e disinfettate con pietre di calce, erano sempre sporche per la presenza di larve.Per questo motivo la malattia più diffusa nell’isola era l’elmintiasi da ascaridi, cioè la produzione divermi nell’intestino.I bambini avevano la tigna, e gli occhi malati di tracoma; l’assistenza sanitaria era molto carente, viera una sola farmacia e spesso ci si curava con i rimedi, a base di erbe, delle nonne.Certamente, in queste precarie condizioni di vita, una buona parte della popolazione invidiò la diariaassegnata ai deportati. c’è da domandarsi se l’opera di civilizzazione non andava intrapresa nell’Italia del sud piuttosto che in Africa.
Ponza nei primi anni del Novecento
Ponza – Case in grotta
I rappresentanti dell’ISIAO chiesero al Sindaco di Ponza di poter onorare i libici morti nell’Isola trail 1912 e il 1918, erigendo in loro memoria un piccolo monumento.La giunta comunale, con il sindaco Mario Balzano, esponente di una coalizione di centrosinistra(liste civiche), concesse per la costruzione del monumento l’estremo lembo dello sterrato dellaBatteria “Leopoldo”, una fortificazione dell’Ottocento (1808)..
Nel luglio 2003, dopo appena un anno, il monumento, a forma di piramide turrita con gradoni,fu consacrata (La giunta comunale con il sindaco Pompeo Porzio, lista civica).Il monumento recava i nomi in arabo del 36 caduti libici a Ponza. Un monumento rivolto verso laMecca in ossequio alla religione islamica.All’inaugurazione del monumento fu presente anche una delegazione libica giunta a Ponza perl’importante evento.Nell’inaugurazione fu assente la popolazione locale. Ancora oggi la gente si reca al cimitero e nonsa cosa significhi quel monumento in ricordo di chi..Nel monumento non c’è una targa e le scritte in arabo non sono accompagnate dalle relativetraduzioni in italiano. Nelle scuole il tema, anche sulla storia locale, è assente.Un messaggio importante, dal grande contenuto umanitario, quello mandato dallo studioso GinoUsai in merito al monumento ai deportati libici…sento di dover invitare tutti i ponzesi a tenere in cura questo nostro monumento giù alla Batteria e adeporvi qualche fiore ogni tanto, quasi a risarcimento del molto male inferto. Un piccolo gesto persdebitarsi, anche se le colpe resteranno indelebili nel tempo; sia almeno di monito e di speranza perun mondo di pace e di solidarietà.
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I Deportati Libici a Favignana
Piscine Romane (San Giovannello) Le suggestive e squadrate piscine naturali che si snodano lungo la litoranea sono in realtà tra le più antiche cave di tufo dell'isola, risalenti a periodi remotissimi, sprofondate per fenomeni di bradisismo nel corso dei secoli.
Molti libici accusati di aver combattuto contro gli italiani o di aver appoggiato la resistenza libica alcolonialismo italiano, furono deportati anche nell’isola di Favignana.Tra gli sfortunati deportati anche un poeta libico che narrò in versi quei terribili anni di prigionianell’isola. Un vero e proprio dossier dove citò persone, capi tribù, luoghi. Un poema raro perchéprese gli aspetti inquietanti di tragica testimonianza storica.I suoi componimenti furono raccolti in un libro pubblicato nel 2024..
ديوان الشاعر المجاهد فضيل حسين الشلماني: شاعر معتقل فافنيانا
Poeta dei Mujahid Poeta Fadeel Hussein Al-Shalmani:
Un poeta in prigione, Fafniana (Favignana)
ه أحد أخرى إذ اسم إشارة إلى إلا الإبل الاحتلال الأخ الأرض الإيطالية البطنان البيت التي التي كان الحصان الدنيا الذي الذين الرجال الرعيض الزروق الشاعر العامية العدو الفرس القصيدة الله اللي المجاهدين المرحوم المعتقل المعتقلين المفردة الملحق رقم إلى إلى الوطن إلى إيطاليا إليه اليوم أن انظر أنه أنها أولئك أي أيضا إيطاليا بالسجن برقة بعد بعض بمعنى بنغازي به بها بيت بين تعبير تقول تلك ثم جزيرة فافنيانا جمع حسن حسين حوالي حياته حيث حين ذلك رواية سلوق سنة سنوات طبرق طلميثة عاد عام على عليه عليها عليهم عمر المختار عنه غير فرع فوق فيه فيها قبل قبيلة قد قمينس كانت كانوا كل كما كناية عن لا لم لنا له لو ليبيا ما محمد مدينة بنغازي معتقل منطقة منه منها نفسه هذه هم هنا هو هي والتعبير والمقصود وان وفي وقد وكان ولا ولد وما ومن وهو وهي ويقصد يا يرجح يعود يقصد يكون يوم يونس
Un poeta in prigione, Fafniana (Favignana)
ه أحد أخرى إذ اسم إشارة إلى إلا الإبل الاحتلال الأخ الأرض الإيطالية البطنان البيت التي التي كان الحصان الدنيا الذي الذين الرجال الرعيض الزروق الشاعر العامية العدو الفرس القصيدة الله اللي المجاهدين المرحوم المعتقل المعتقلين المفردة الملحق رقم إلى إلى الوطن إلى إيطاليا إليه اليوم أن انظر أنه أنها أولئك أي أيضا إيطاليا بالسجن برقة بعد بعض بمعنى بنغازي به بها بيت بين تعبير تقول تلك ثم جزيرة فافنيانا جمع حسن حسين حوالي حياته حيث حين ذلك رواية سلوق سنة سنوات طبرق طلميثة عاد عام على عليه عليها عليهم عمر المختار عنه غير فرع فوق فيه فيها قبل قبيلة قد قمينس كانت كانوا كل كما كناية عن لا لم لنا له لو ليبيا ما محمد مدينة بنغازي معتقل منطقة منه منها نفسه هذه هم هنا هو هي والتعبير والمقصود وان وفي وقد وكان ولا ولد وما ومن وهو وهي ويقصد يا يرجح يعود يقصد يكون يوم يونس
Il poeta vide le torture e le umiliazioni subite da uomini che erano dei valorosi e giusti capi tribù.Era un umile agricoltore nato nel 1877 ad Al Murassas, nel distretto di Tobruk. All’iniziodell’invasione italiana nel 1911, si unì alla resistenza e fu coinvolto in tutte le battaglie che sisvolsero a Tobruk. Negli anni successivi andò a Qaminis e qui visse per un po’ prima di esserearrestato.Il cognato era Nueiji al Shalmani, uno dei leader della resistenza libica.Il cognato scrisse una lettera al poeta in cui lo sollecitavaA passare per Qaminis.La lettera fu affidata ad un messaggero che non conosceva né il mittente (personalmente), né ildestinatario e neanche il contenuto.Al posto di blocco, all’ingresso della città, dei soldati italiani, il messaggero fu fermato e perquisito.I soldati gli trovarono la lettera. La fecero tradurre e scoprirono che conteneva importantiinformazioni sul movimento di resistenza e una richiesta di rifornimenti.Il messaggero e il poeta furono arrestati.Nella cella iniziò a scrivere i suoi drammatici momenti di vita in dialetto libico ricco di rime e dimetriche musicaliUna tradizione difficile corredata da importanti immagini.Sulla prima notte trascorsa in cella scrisse…Insonne, la mia mente è confusa e il mio cuore trema, mi sento le viscere ridotte in poltiglia. Qui nonho altri compagni di cella a parte uno, legato a me con una catena, che non smette mai di piangere.Sono in un buco stretto, le pareti mi schiacciano e ogni sera mi tirano su con le mie catene di ferro.Poi mi scaraventano giù come uno straccio. Non possiedo più il mio domani, non è più alla mia portata.
Il poeta chiese al suo compagno di cella, Sharaf Aldeen el Orfey, di raccontargli la sua storia…Fui arrestato a causa di una lettera.Uno sconosciuto mi chiese di portarla a Fadil al Shalmani, che di fatto non conoscevo.Ero in viaggio per comprare provviste per la mia festa di matrimonio.Il poeta gli rispose…La lettera era indirizzata a me…I due litigarono e alla fine il diverbio fu superato.Alla fine entrambi si trovarono d’accordo sul piano morale….Questo è il nostro destino e il volere di Dio è inevitabile. Il numero di detenuti nella cella cresceva, e tutti di notte erano legati alla stessa catena di notte. Tremesi dopo tutti furono processati sommariamente e condannati a pene comprese tra i dieci e iventicinque anni di carcere, che avrebbero dovuto scontare in Italia.Temevano il trasferimento molto più del carcere stesso.Il poeta ricordò a se stesso e ai suoi compagni di cella chela vita è questa, un’oscillazione costante tra gioia e dolore, e forse quel destino non era peggiore di ciò che avevano già visto, o di ciò che dovevano ancora vedere.Poi disse della vita:La vita è così, sin dall’antichità. Strappa le persone le une dalle altre. Sembra sorriderti per un po’,ma alla fine ti volta le spalle. Non ha mai avuto pietà del povero che non possiede nulla e non hanessuno. Non ha mai avuto pietà di un bambino indifeso a cui rubava il padre e che abbandonava alsuo destino. Continua a girare come un vento spietato, e proprio quando dici ‘Ecco una cosa dolce’,l’amarezza già ti serra la gola. Quanti giovani amanti ha colto di sorpresa, nonostante i lorotentativie i loro sforzi infiniti. Quante ragazze felici, agghindate con i loro gioielli più preziosi e i loro abitipiù belli, sono diventate simili a una terra bruciata, con tutti i giorni di tristezza con cui la vita le hainondate. Quanti nobili comandanti al culmine della loro gloria dalla sera alla mattina vengonocancellati e spariscono senza che di loro resti nulla a parte il ricordo e un sussurro che passa dibocca in bocca: qui una volta c’era un padrone.Nonostante ciò dio è generoso, dona senza limiti, ha già calcolato i nostri giorni, tutto è già scritto edeciso. Possa egli mandare un disastro su questa terra corrotta e un cannone, roboante e adiratocome il tuono, non smetta mai di fare fuoco finché non saranno spazzati via gli italiani con i loroseguaci, che con le loro campagne ci stanno sterminando. Possa dio confermare le mie parole condei segni, ed eliminare per sempre il loro dominio sulla nostra patria.
Giunse il giorno della partenza, la sirena della nave risuonò e i detenuti furono radunati e messi infila, pronti per salire a bordo. Il poeta descrisse quel momento in cui stava in piedi sul molo tra filedi volti tristi. La sirena della nave gli sembrò un urlo che lo metteva in guardia da quel viaggiominaccioso. Parlò della nave come se fosse una creatura vivente….La loro nave ha urlato, mi sta avvertendo, ha intenzione di portarci via dalla terra dei nostri padri.Ci hanno gettati lì dentro, mentre lei raccoglieva le ancore e si preparava a partire. È avanzatacome la notte che prende il sopravvento sul giorno, determinata a portarci via, senza alcunaesitazione, senza ripensare alle sue azioni, è andata avanti. Poco dopo non vedevo altro che cielo eacqua, un pesce che saltava e alti marosi. I figli dei nobili soffrivano il mal di mare, erano testimonidi una nuova era che non avevano mai vissuto prima.
Molti detenuti non erano mai saliti su una nave e soffrivano il mal di mare.La nave arrivò a Siracusa e il poeta, un semplice agricoltore, fraintese quei momenti di ospitalitàricevuti nella città.Infatti nei suoi versi parlò dell’ospitalità della gente generosa di Siracusa ma in realtà ciò chedescrisse erano le procedure di accoglienza per i nuovi detenuti, a partire dal momento in cui lilavarono e lavarono i loro abiti fino al trasferimento alla destinazione finale.Con educazione rese onore a chi lo ospitava ed essere grato dell’ospitalità ricevuta.Arrivammo a Siracusa, il cui popolo è gentile e generoso. È importante apprezzare le buone azioni,anche se vengono dal nemico. Al nostro arrivo ci hanno lavati e hanno lavato perfino i nostri vestiticon il vapore. Uno di loro ci ha mostrato i nostri letti e ci hanno fatto sedere per mangiare. Davanti a noi file di piatti, ognuno aveva il suo, nessuno condivideva il cibo con gli altri.La mattina dopo lasciarono Siracusa di buon’ora per andare alla stazione ferroviaria. Anche questaera un’esperienza nuova per loro, prima di allora non solo non erano mai saliti su un treno, non neavevano mai visto uno. Nonostante la sua situazione, prevalse nel poeta il fascino per il treno e perla bellezza della natura e del paesaggio:Siamo partiti prima dell’alba, legati in gruppo come bestie da allevamento. Ci hanno fatto salire suun vascello, il treno, costruito da un cristiano. Che cosa meravigliosa! Non avevamo mai visto nientedel genere prima di allora. Era splendido a vedersi, faceva un rumore simile al ruggito del tuono e simuoveva sulle ruote come un tamburino che fa rullare il suo tamburo. Ha attraversato molti villaggi, un’opera meravigliosa, chiunque l’abbia realizzata è degno della più grande ammirazione. In alcuni villaggi c’erano agricoltori con il capo scoperto, e tutti ci correvano incontro quando ci vedevano, ci attaccavano come se fossero iene imbattutesi in un asino.(Immaginò che si trattasse di agricoltori visto che non si coprivano il capo, poiché per lavorare neicampi non ci si veste bene. Le persone che li picchiavano in ogni stazione forse avevano persoqualcuno nelle battaglie in Libia).C’erano alte montagne che sembravano sfiorare le nuvole. Le vedevo, strato su strato. Il trenocorreva e continuava a urlare come fa un cavaliere durante una razzia. Continuava ad aumentare ladistanza tra me e i miei cari, ma avrò pazienza, sono in grado di resistere. Faccio appello allagenerosità dell’onnipotente, creatore di tutte le creature, lo imploro, per amore del suo profeta, difarci tornare a casa.In carcere, nei suoi componimenti successivi il poeta assistette alle torture e alle umiliazioni subiteda uomini che un tempo erano capitribù. Descrisse quei cavalieri in patria, il loro eroismo e ilcoraggio in battaglia, e paragonò quelle immagini alle condizioni in cui si trovavano in quelmomento, sottomessi e indifesi. Una delle umiliazioni a cui furono sottoposti era la rasatura dellabarba agli sceicchi. Pur essendo anche lui un prigioniero sottoposto alle stesse pratiche umilianti, leloro sofferenze lo addoloravano più di quelle patite in prima persona. Era doloroso vedere uominibuoni trattati a quel modo. Avevano vissuto con orgoglio, avevano affrontato le truppe italiane inmolte feroci battaglie ed eravamo riusciti a infliggergli pesanti sconfitte, ma alla fine la potenza dellearmi italiane aveva avuto la meglio.I giorni trascorrevano lentamente e pieni di dolore. Ogni mattina li mettevano in riga per la conta epoi, come si fa con gli schiavi, sceglievano i più forti per costringerli a lavorare. Il corpo del poetaera in carcere, ma la sua anima e il suo cuore continuavano a viaggiare per tornare a casa. In un altrocomponimento, si rivolse a un uccello:Oh uccello che voli e vaghi nel cielo, a cui dio ha concesso due ali, avvicinati così potrò raccontartiquello che mi è successo. Io qui sono uno straniero, e tu sei un viaggiatore. Oh fratello ti imploro,vola fino alla nostra patria, porta i miei saluti, che la pace sia con loro, ai forti cavalieri, i protettoridelle mandrie nel giorno della battaglia. Porta i miei saluti agli anziani, ai giovani e a chiunque sialoro vicino. Che la pace sia con i vicini dei loro vicini e con chiunque si trovi a portata d’orecchio, econ qualsiasi straniero dovesse di notte intravedere il fuoco del loro accampamento. Porta i mieisaluti, che la pace sia con la nostra patria, tutta intera, senza escludere nessuno, nemmeno i cani e ilupi nelle valli. Se dovessero chiedere di me, io sono stremato, il mio cuore è tormentato,ossessionato dal loro ricordo. Da quando non sto più con loro non ho più conosciuto la felicità e lemie gambe non hanno mai camminato. Sono in un buco, sette livelli sotto terra, è buio qui e il solenon si vede.Poi proseguì dando notizie di alcuni dei suoi compagni di prigionia, alcuni ancora vivi e altri giàmorti. Documentò la presenza di detenuti elencandone i nomi completi, quelli delle loro tribù diappartenenza e delle loro famiglie. Pregò Dio di mettere fine alla loro tragedia. Nonostante ladisperazione più nera, confidò nel fatto che in un modo o nell’altro la salvezza sarebbe arrivata,magari con un’amnistia generale che avrebbe incluso tutti loro. Alzo al cielo un desiderio:Quando morirò, vorrei stare in un posto da cui poter sentire le preghiere.Con il passare degli anni l’angoscia e la rabbia gli riempirono il cuore, e a questi sentimenti dedicòun intero poema. Maledisse Favignana, chiedendo a diodi riversare sull’isola tutta la sua vendetta e di cancellarla dalla faccia della terra, perché il suo popolo non aveva pietà né bontà.Concentrò il racconto su un ufficiale italiano, forse uno dei carcerieri, che continuò a prendersi giocodel poeta offrendogli alcol invece di acqua. Lo stesso ufficiale radunò di continuo i detenuticostringendoli a stare in piedi davanti a lui. Con una penna dietro l’orecchio e i documenti inmano, lui si prendeva gioco di loro elencando punizioni per infrazioni che non avevano commesso epunendoli, nonostante loro negassero con forza, per il solo gusto di farlo. Descrisse inoltre il cibodisgustoso che veniva servito loro, piccole quantità di pasta, pane duro come pietra e pochissimaacqua. Dopo sette anni trascorsi nella prigione di Favignana il re proclamò un’amnistia generale.Insieme a quelli che erano rimasti in vita il poeta fece ritorno a casa, alla sua famiglia e alla sua fattoria.
Nel 1929, quando le autorità italiane cominciarono a deportare il popolo della Cirenaica nei campi diconcentramento, il poeta, la sua famiglia e tutta la sua tribù furono deportati nel campo diconcentramento di El Magrun. Per caso sua moglie era andata a trovare la sua famiglia di origine,che viveva in un’altra zona, perciò lei fu deportata nel campo di concentramento di El Agheila.Cercò di scappare con il fratello, ma le guardie li presero e li uccisero.Il poeta sopravvisse a tutto questo e morì nel suo letto, all’alba del 21 dicembre 1951, propriomentre riecheggiava la chiamata alla preghiera, a tre giorni di distanza dal primo anniversariodell’indipendenza libica.(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Un anno dopo la fine del conflitto con la Turchia – che, firmando il Trattatao di Losanna del 18ottobre 1912, lasciò all’Italia i Vilayet della Tripolitania e della Cirenaica, nonché le isole egeedel Dodecaneso -, il Re affermò che quella italiana in Libia era una missione di civiltà. Compito dell’Italia era insegnare i benefici della civiltà alle popolazioni indigene e nel farlo, rispettare le loro proprietà, le loro famiglie, le loro tradizioni e la loro cultura.
I libici giustamente continuarono a non apprezzare tali «benefici della civiltà», visto cheimplicavano una sottomissione a chi, lungi dall’agire come un liberatore, ogni giorno dispiegava unadominazione assai più spietata e oppressiva di quella turca. Nel gennaio 1913 l’Italia istituì due distinti governi:- Uno per la Tripolitania affidato al generale Ottavio Ragni;- Uno per la Cirenaica guidato dal generale Ottavio Briccola.
La Tripolitania era controllata dal Regio Esercito sotto la guida, dall’ottobre 1913, del governatoreGiovanni Ameglio mentre la Cirenaica era sotto il controllo dei gruppi arabi turchi.All'interno dell'attuale Libia, principalmente nel Fezzan, la guerriglia indigena continuò per anni,approfittando dell'impegno italiano nella prima guerra mondiale e in particolare le zone interne dfatto non furono sotto controllo italiano. Infatti i governatori ridussero la dislocazione dei presidi sulterritorio, procedendo allo sgombero di quelli più avanzati, all'interno della regione. Nell'ottobre1918 le ostilità con l'Impero Ottomano cessarono e questi lasciarono nelle loro basi armi emunizioni, che furono prese dai capi delle tribù arabe.
Nel frattempo durante il Governo Facta I e II, la Francia e la Gran Bretagna cedettero allasovranità italiana alcuni territori desertici (così da rendere i confini più lineari), nel tentativo diplacare le polemiche di Roma sulla presunta "vittoria mutilata", e definendo i confini con la Tunisiada un lato e l'Egitto dall'altro. Solo nel 1923 la Turchia riconobbe la piena sovranità italiana.L'espressione vittoria mutilata fu coniata nel 1918 da Gabriele D'Annunzio e adottata da nazionalistie da una parte degli irredentisti per denunciare la mancanza di tutti i compensi territoriali cheritenevano spettassero all'Italia dopo la prima guerra mondiale a seguito del Patto di Londra e deitermini dell'armistizio di Villa Giusti con l'Austria-Ungheria.A partire dal gennaio 1922 il governo Facta, tramite il suo ministro per le colonie GiovanniAmendola, avviò un'ampia campagna militare che portò in breve alla riconquista di Misurata.
Quando la gestione della questione libica passò nelle mani del governo presieduto da Benito Mussolini (31 ottobre 1922), questi decise di procedere con ancor più spietata decisione, rispetto asuoi predecessori, per la riconquista dell’intera Libia. Nel dicembre del 1914 la Libia era stata ingran parte liberata dall’invasore italiano, costretto dai “ribelli” ad abbandonare le zone interne e aritirarsi sulla costa. Iniziò una nuova fase, lunga un decennio, di inedite e vergognose atrocità. Traqueste, non mancarono fucilazioni, deportazioni e marce forzate, di oltre 1.000 chilometri attraversoil deserto, verso campi di concentramento impostati e gestiti con il preciso scopo di far morire difame e dove i maltrattamenti e le malattie decimarono migliaia di deportati.Mussolini era a conoscenza della vitale importanza della posizione dell’Italia nel Mediterraneo.Una posizione strategia, al momento molto fragile, importante sia dal punto di vista commercialeche militare.Giuseppe Volpi di Misurata (nobile, imprenditore e politico aderente al fascismo) dichiarò ..Ricordo con emozione il primo incontro che, governatore della Tripolitania, ebbi con lui allaConsulta, tre giorni dopo la marcia su Roma. Il suo pensiero era già chiaro. Occorrevainnanzitutto riconquistare la Libia e dare conveniente assetto alle vecchie nostre colonie dell’Africa orientale.Nel ricordare la decisione del Duce di portare avanti la riconquista della Libia, senza più un attimodi indugio, Volpi si chiese..Qual è stata, in Africa, la linea inaugurata da Benito Mussolini?È stata quella che noi coloniali siamo soliti chiamare “politica di prestigio”.Con tale espressione va intesa quell’azione di governo che dia alle popolazioni soggette – chiara edinequivocabile non solo la sensazione della nostra superiorità militare….…. ma anche e soprattuttouna superiorità morale che ci deriva dal valore e dalla Forza delle nostre tradizioni storiche e dallagrandezza del compito di civiltà che da secoli l’Italia ha assolto”.
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Gli Ebrei di Libia
Gli Ebrei di Libia
Nel tempo importanti e consistenti comunità ebraiche si insediarono e svilupparono a Tripoli,Bengasi e regioni vicine, i cui membri erano dediti ad importanti attività artigianali, commerciali efinanziarie. La presenza ebraica in Libia fu in seguito ampliata dall’arrivo di correligionariprovenienti da varie nazioni europee, che portarono alla presenza in Tripolitania, a inizio Novecento,di ebrei inglesi, olandesi, austriaci e italiani, provenienti questi ultimi soprattutto da Livorno.Gli ebrei erano presenti in Libia da oltre 2000 anni. Molti di loro sostennero l’intervento dell’Italia econtribuirono allo sforzo bellico. Questo aspetto di sostegno all’Italia e al cambio di regime dalladominazione turca, sarebbe legato ai forti rapporti commerciali e culturali con gli italiani.Un altro aspetto sarebbe legato ai frequenti pogrom di cui soffrivano gli ebrei per mano dei lorovicini musulmani.L'ondata di antisemitismo che si diffuse nell'impero ottomano durante la metà del XIX secolo noncolpì gli ebrei della Libia, ma l'autonomia che ricevettero dall'impero non impedì il ripetersi di casidi pogrom.
A seguito dell’occupazione italiana, iniziata nel 1911, i rapporti tra le comunità ebraiche locali el’amministrazione coloniale rimasero in generale abbastanza buone, data anche l’importanzafondamentale assunta dagli ebrei nella economia della Libia, mentre gravi tensioni caratterizzaronoinvece i rapporti italiani con la popolazione araba, resasi protagonista di coraggiose, e inizialmentevittoriose, ribellioni. Nel 1931 un censimento della popolazione ebraica in Libia individuava circa25.000 presenze complessive, di cui oltre 15.000 a Tripoli, e 5.000 nella restante Tripolitania.Nel 1934 Italo Balbo fu nominato governatore generale della Libia italiana. Sviluppò la "coloniaitaliana" e, come molti altri fascisti, la vide come il simbolo del ritorno dell'Italia alla grandezzadell'Impero Romano. Durante il suo mandato, accelerò il processo di modernizzazione dellecomunità ebraiche e gli ebrei entrarono a far parte attivamente delle istituzioni governative. Balbo rispettò la tradizione ebraica fino a quando non impedì il progresso che aveva già portato inpassato in Libia.Un caso di conflitto si verificò quando gli ebrei chiusero i loro negozi di sabato, anche al di fuoridella comunità ebraica. Balbo condannò gli ebrei alla fustigazione, ma più tardi, nell'ottobre del1937, ammise a un raduno del Partito Fascista Mi sono sbagliato e non faccio distinzione tra cattolici ed ebrei: sono tutti italianiUna frase veritiera dato che Balbo si schierò sempre contro le leggi razziali.Fu infatti l’unico a votare, non a porte chiuse ma in modo palese, contro le leggi razziali del 1938. Equando furono promulgate, rifiutò di licenziare i suoi collaboratori ebrei, continuando a ostentarefrequentazioni con persone del mondo ebraico. Aveva una grande popolarità in Libia che gli permise dicreare una solida base di potere. Questo aspetto diede fastidio sia a Mussolini che ai gerarchi fascisti diRoma tanto che incominciarono a sospettare che pensasse alla secessione della colonia per sfidare il duce.Una volta, volendo entrare con un amico ebreo in un ristorante dove era esposto il cartello "Ingressovietato agli ebrei", sfondò la porta con un calcio.Secessione della Libia? Erano solo voci di corridoio…Tobruk, giugno 1940: i militari italiani abbattono per sbaglio due aerei.Su uno di essi si trova il noto gerarca fascista Italo Balbo.Un incidente..un errore o forse un complotto?Furono scritti molti articoli e libri sull”Ultimo volo di Balbo”La ricostruzione dei fatti….
Il 28 giugno 1940, alle 17:30, due aerei si avvicinarono a Tobruk, in Libia,
all'epoca colonia italiana.
Da una ventina di giorni Mussolini aveva dichiarato guerra alla Gran Bretagna ed alla Francia schierandosi a fianco di Adolf Hitler.
Subito dopo la dichiarazione di guerra, gli inglesi iniziarono a bombardare, sia pure sporadicamente, la Libia.
Sempre il 28 giugno il porto e l’aeroporto di Toburk erano stati bombardati dagli inglesi senza arrecare danni rilevanti. Alle 17,30 le sirene, a circa due ore dalla fine del raid inglese, le sirene non avevano ancora suonato il cessato allarme.
Nel cielo comparvero due sagome di aerei… avevano il sole alle spalle e non furono identificati.
Tutte le batterie italiane, da terra e dal mare, si misero a sparare contro i due aerei: i cannoni dell'esercito, quelli della milizia fascista, quelli dell'incrociatore San Giorgio all'àncora in porto, e persino le mitragliatrici di un misterioso sommergibile, la cui presenza, proprio sulla rotta di quei due aerei, fu confermata soltanto 60 anni dopo.
Gli aerei erano italiani e la contraerea italiana sparava su di loro….
Aerei che non era difficile da riconoscere dato che si trattava di due trimotori
Savoia-Marchetti S.M.-79, un modello arcinoto a tutti i militari,
con una evidentissima "gobba" sulla fusoliera.
Da terra alcuni addetti alle postazioni si accorsero dell'errore,
smisero di sparare e cercarono di informare gli altri.
Ma alcuni militari continuarono a fare fuoco anche mentre i due aerei stavano
iniziando le manovre di atterraggio. I due aerei erano ormai vicini e facilmente
identificabili… perché si continuò a fare fuoco contro di essi?
Uno dei due aerei riuscì ad atterrare mentre l’altro precipitò in fiamme..
Nessuno degli uomini a bordo si salvò.
Ai comandi dell’aereo abbattuto c’era Italo Balbo, uno dei più importanti gerarchi
fascisti e governatore della Libia. Uno tra i pochi che si era opposto all’alleanza
con Hitler e all’entrata in guerra dell’Italia.
la moglie del Balbo fu informata dell’accaduto e urlò..
"Me l'hanno ammazzato! Mussolini lo ha fatto uccidere!".
Stranamente gran parte degli Italiani ebbero lo stesso pensiero.
Sull'aereo volavano altri otto uomini, collaboratori di Balbo, che lasciarono vedove e orfani. Fra questi c'era un bambino di 10 anni, destinato a diventare un famoso documentarista, giornalista e scrittore: Folco Quilici (scomparso nel 2018), che successivamente avrebbe indagato sull'accaduto senza scoprire le realtà..
Gli studiosi in gran parte fece propria la tesi della fatalità, dell’errore.
Mancarono le prove.. scritte… ma l’ordine di ucciderlo venne da Mussolini.
Il Balco era l’unico che fosse in grado di affrontare Mussolini a viso aperto..
ci fu anche chi sentì i due gridare l'uno contro l'altro, dietro le porte chiuse.
all'epoca colonia italiana.
Da una ventina di giorni Mussolini aveva dichiarato guerra alla Gran Bretagna ed alla Francia schierandosi a fianco di Adolf Hitler.
Subito dopo la dichiarazione di guerra, gli inglesi iniziarono a bombardare, sia pure sporadicamente, la Libia.
Sempre il 28 giugno il porto e l’aeroporto di Toburk erano stati bombardati dagli inglesi senza arrecare danni rilevanti. Alle 17,30 le sirene, a circa due ore dalla fine del raid inglese, le sirene non avevano ancora suonato il cessato allarme.
Nel cielo comparvero due sagome di aerei… avevano il sole alle spalle e non furono identificati.
Tutte le batterie italiane, da terra e dal mare, si misero a sparare contro i due aerei: i cannoni dell'esercito, quelli della milizia fascista, quelli dell'incrociatore San Giorgio all'àncora in porto, e persino le mitragliatrici di un misterioso sommergibile, la cui presenza, proprio sulla rotta di quei due aerei, fu confermata soltanto 60 anni dopo.
Aerei che non era difficile da riconoscere dato che si trattava di due trimotori
Savoia-Marchetti S.M.-79, un modello arcinoto a tutti i militari,
con una evidentissima "gobba" sulla fusoliera.
Da terra alcuni addetti alle postazioni si accorsero dell'errore,
smisero di sparare e cercarono di informare gli altri.
Ma alcuni militari continuarono a fare fuoco anche mentre i due aerei stavano
iniziando le manovre di atterraggio. I due aerei erano ormai vicini e facilmente
identificabili… perché si continuò a fare fuoco contro di essi?
Uno dei due aerei riuscì ad atterrare mentre l’altro precipitò in fiamme..
Nessuno degli uomini a bordo si salvò.
Ai comandi dell’aereo abbattuto c’era Italo Balbo, uno dei più importanti gerarchi
fascisti e governatore della Libia. Uno tra i pochi che si era opposto all’alleanza
con Hitler e all’entrata in guerra dell’Italia.
la moglie del Balbo fu informata dell’accaduto e urlò..
"Me l'hanno ammazzato! Mussolini lo ha fatto uccidere!".
Stranamente gran parte degli Italiani ebbero lo stesso pensiero.
Sull'aereo volavano altri otto uomini, collaboratori di Balbo, che lasciarono vedove e orfani. Fra questi c'era un bambino di 10 anni, destinato a diventare un famoso documentarista, giornalista e scrittore: Folco Quilici (scomparso nel 2018), che successivamente avrebbe indagato sull'accaduto senza scoprire le realtà..
Gli studiosi in gran parte fece propria la tesi della fatalità, dell’errore.
Mancarono le prove.. scritte… ma l’ordine di ucciderlo venne da Mussolini.
Il Balco era l’unico che fosse in grado di affrontare Mussolini a viso aperto..
ci fu anche chi sentì i due gridare l'uno contro l'altro, dietro le porte chiuse.
11 29 giugno del 1440. diciannovesimo giorno di guerra,
il bollettino del Comando Supremo annunciava che
Italo Batto ora caduto sul "campo dell’onore" al ritorno
da una missione bellica sul territorio egiziano.
I particolari dell'incidente non venivano forniti per ovvie ragioni di segretezza. ma la mancanza di spiegazioni plausibili non mancarono i sospetti.
"La strana morte del maresciallo dell'aria è ormai sulla bocca di tutti. Le voci che il suo aereo sia stato abbattuto per ordine di Roma si intensificano a tal punto che la polizia non fa in tempo ad accoglierle tutte. Mussolini è nervoso (idea che si possa pensare che sia stato lui a liquidare il famoso gerarca gli provoca attacchi di ulcera. La situazione peggiora quando gli comunicano che anche i familiari di Balbo sostengono quella versione o che la vedova, contessa Florio, dice a tutti coloro che vanno a farlo visita che "e. stato Lui ad ucciderle il marito".
D'altra parte. era nota la rivalità esistente fra Mussolini e l'eroico transvolatore e. di conseguenza. non mancò di prendere subito piede l'ipotesi del sabotaggio. La voce che fosse stato Mussolini a organizzare la liquidazione del pericoloso concorrente dilagò dai salotti-bene della capitale all’ultimo bar di periferia.
(LA CONGIURA DELLE BARBETTE alcuni la conoscevano ed anche Mariti...J0SE' )
Ma sembra che dell'incidente Mussolini non ne avesse colpa.
" La prova è tuttora conservata fra lo carte del suo archivio. Si tratta della relazione riservata sull'incidente che il Duce in persona chiese al generalo di brigata aerea Egitto Perino.
La relazione porta la data del t. luglio 1940 (due giorni dopo l’incidente). Ma per ignote ragioni, non fu mai resa pubblica. (Forse Mussolini temeva gli immancabili ironici commenti sul fatto che i nostri artiglieri facevano "centro" solo quando tiravano sui nostri aerei). E di conseguenza il mistero rimase inviolato.' (Arrigo Petacco. Il Resto del Carino. 26 agos2o 1997)
Com'era avvenuto l'incidente: Il 28 giugno 1940, dopo aver compiuto un volo di missione assieme ad un altro trimotore, Balbo era giunto nei pressi Tobruk mentre sull'aeroporto -dice la relazione-stavano cadendo delle bombe sganciare da bombardieri inglesi in volo ad alta quota.
(Gli aerei inglesi quel giorno erano tre Bristol Blenheim che per bombardare volavano a 2000 metri di quota (nessun bombardiere che a pieno carico e lento, vota al di sotto di tale quota e proprio per evitare una semplice artiglieria) mentre la S'oda (che non Q un'antiaerea) con i suoi proiettili da 20 men raggiungo a malapena (con qualche effetto) i 1000.1500 metri: «a quindi un'arma quasi innocua per i bombardieri che volavano a 20004000 metri. Si sprecavano solo proiettili!!.)Quasi sulla verticale dell’aeroporto fummo investiti da una centratissima salva d'artiglieria' sparavano le batterie costiere e quelle dell'incrociatore San Giorgio incagliato nella baia. Mentre l'artiglieria italiana sul campo all’apparire dei nostri velivoli li scambiò per aerei nemici e aprì il fuoco."
I due aerei di Balbo e compagni stavano per atterrare: e bombardieri nemici (è appena stato detto che volavano ad alta quota) che atterrano in un campo nemico è cosa piuttosto improbabile)
"Noi del primo aereo riuscimmo a deviare verso il mare, mentre quello di Balbo verso terra .
Lo vedemmo scivolare su un'ala e quindi precipitare al suolo dove, dopo l’urto, si incendiava.
Sul posto fu constatato più tardi che l'apparecchio era sfato centrato da un proiettile dell'artiglieria". E' provato che la Marina sparo 280 colpi di cannone e anche i sommergibili lanciarono proiettili (relazione di Perino).
Con Bulbo more anche un famoso giornalista, Nello Quilici. Un grande reporter che aveva saputo conservare un'invidiabile margine di libertà. Capace di prendere posizioni contro certe decisioni del regime che valsero a Quilici i rimbrotti vivaci del ministero della Cultura Popolare.
Balbo nel 1925 aveva fondato a Ferrara il Correre Padano e aveva chiamato Nello Quilici a dirigerlo. E fu poi Balbo - il giorno dopo l'inizio dello ostilità - a chiamarlo
a Tripoli il 12 giugno 1940.
il bollettino del Comando Supremo annunciava che
Italo Batto ora caduto sul "campo dell’onore" al ritorno
da una missione bellica sul territorio egiziano.
I particolari dell'incidente non venivano forniti per ovvie ragioni di segretezza. ma la mancanza di spiegazioni plausibili non mancarono i sospetti.
"La strana morte del maresciallo dell'aria è ormai sulla bocca di tutti. Le voci che il suo aereo sia stato abbattuto per ordine di Roma si intensificano a tal punto che la polizia non fa in tempo ad accoglierle tutte. Mussolini è nervoso (idea che si possa pensare che sia stato lui a liquidare il famoso gerarca gli provoca attacchi di ulcera. La situazione peggiora quando gli comunicano che anche i familiari di Balbo sostengono quella versione o che la vedova, contessa Florio, dice a tutti coloro che vanno a farlo visita che "e. stato Lui ad ucciderle il marito".
D'altra parte. era nota la rivalità esistente fra Mussolini e l'eroico transvolatore e. di conseguenza. non mancò di prendere subito piede l'ipotesi del sabotaggio. La voce che fosse stato Mussolini a organizzare la liquidazione del pericoloso concorrente dilagò dai salotti-bene della capitale all’ultimo bar di periferia.
(LA CONGIURA DELLE BARBETTE alcuni la conoscevano ed anche Mariti...J0SE' )
Ma sembra che dell'incidente Mussolini non ne avesse colpa.
" La prova è tuttora conservata fra lo carte del suo archivio. Si tratta della relazione riservata sull'incidente che il Duce in persona chiese al generalo di brigata aerea Egitto Perino.
La relazione porta la data del t. luglio 1940 (due giorni dopo l’incidente). Ma per ignote ragioni, non fu mai resa pubblica. (Forse Mussolini temeva gli immancabili ironici commenti sul fatto che i nostri artiglieri facevano "centro" solo quando tiravano sui nostri aerei). E di conseguenza il mistero rimase inviolato.' (Arrigo Petacco. Il Resto del Carino. 26 agos2o 1997)
Com'era avvenuto l'incidente: Il 28 giugno 1940, dopo aver compiuto un volo di missione assieme ad un altro trimotore, Balbo era giunto nei pressi Tobruk mentre sull'aeroporto -dice la relazione-stavano cadendo delle bombe sganciare da bombardieri inglesi in volo ad alta quota.
(Gli aerei inglesi quel giorno erano tre Bristol Blenheim che per bombardare volavano a 2000 metri di quota (nessun bombardiere che a pieno carico e lento, vota al di sotto di tale quota e proprio per evitare una semplice artiglieria) mentre la S'oda (che non Q un'antiaerea) con i suoi proiettili da 20 men raggiungo a malapena (con qualche effetto) i 1000.1500 metri: «a quindi un'arma quasi innocua per i bombardieri che volavano a 20004000 metri.
I due aerei di Balbo e compagni stavano per atterrare: e bombardieri nemici (è appena stato detto che volavano ad alta quota) che atterrano in un campo nemico è
"Noi del primo aereo riuscimmo a deviare verso il mare, mentre quello di Balbo verso terra .
Lo vedemmo scivolare su un'ala e quindi precipitare al suolo dove, dopo l’urto, si incendiava.
Sul posto fu constatato più tardi che l'apparecchio era sfato centrato da un proiettile dell'artiglieria". E' provato che la Marina sparo 280 colpi di cannone e anche i sommergibili lanciarono proiettili (relazione di Perino).
Con Bulbo more anche un famoso giornalista, Nello Quilici. Un grande reporter che aveva saputo conservare un'invidiabile margine di libertà. Capace di prendere posizioni contro certe decisioni del regime che valsero a Quilici i rimbrotti vivaci del ministero della Cultura Popolare.
Balbo nel 1925 aveva fondato a Ferrara il Correre Padano e aveva chiamato Nello Quilici a dirigerlo. E fu poi Balbo - il giorno dopo l'inizio dello ostilità - a chiamarlo
a Tripoli il 12 giugno 1940.
Dopo 57 anni sappiamo dal protagonista cosa avvenne quel famoso giorno. Il redivivo responsabiledell'abbattimento diede proprio lui l'ordine di sparare. Così racconta il capopezzo Claudio Marzola,del 202 Reggimento artiglieria, pure lui di Ferrara come Balbo."Macché ordine di esecuzione, quale congiura, quel giorno in batteria non c'era nemmeno unufficiale, io avevo vent'anni, ed ero un ragazzino spaventato dalla guerra. Era dall'alba che stavamosubendo incursioni di bombardieri inglesi. Incalzavano e solcavano il cielo ogni quarto d'ora.Abbiamo visto due aerei sulla stessa rotta utilizzata dai nemici, si vedevano male nè c'erano segni diriconoscimento e abbiamo aperto il fuoco. Diedi io l'ordine di sparare a raffica con le nostre tremitragliatrici Breda con proiettili da 20 mm traccianti, esplosivi e perforanti. I primi colpi cidiedero la certezza che ne avevamo colpito uno, e quando si avvicinò lasciando una Scia di fumosolo allora riconobbi la sagoma del SM 79. Era spacciato, ci passo sopra e subito dopo cadde poco lontano incendiandosi.Quando recuperammo qualche giaccone, riconoscendolo scoprimmo che avevamo ucciso Balbo.Fu una tragedia. L'omicidio di regime? Una stupidaggine, una vera sciocchezza.(Intervista-servizio di Mario Fornasari sul Resto del Cereo del 26 agosto 1997).Su 'Il Messaggero di Sant'Antonio”, dell’ agosto 1995 troviamo questa testimonianza."Il signor Nunzio Russo racconta con dovizia di particolari le vicende di suo nonno materno,SALVO MESSINA, siciliano, tenente artigliere del Regio esercito italiano, mandato in Africa nelmaggio del 1949. II racconto del signor Salvo prende le mosse dal momento dell'imbarco perTripoli. Arrivato a Tripoli viene assegnato al XXI corpo d'armata del generale Dalmazzo presso laDivisione di artiglieria Cirene e viene trasferito a Tobruk. Questo l'episodio che Salvo ricorda: "Il10 giugno 1940, entrammo in guerra contro (Impero britannico e la Francia. La situazione militarenon era certo favorevole, Italo Balbo sino all'ultimo aveva tentato di convincere il Duce a nondichiarare la guerra. Ci trovavamo un pomeriggio sulle alture attorno la piazzaforte, era il 28giugno, eravamo in guerra da appena diciotto giorni e, a un tratto. un aereo proveniente da ovestsbucò all'orizzonte e prese a sorvolare la città e la baia del porto.In rada stava ormeggiato l'incrociatore San Giorgio che aprì subito un micidiale fuoco dicontraerea. L'aereo dopo pochi secondi, crivellato di colpi, precipito dietro le nostre postazioni.Tutti insieme, i presenti, battemmo a lungo le mani, avevamo assistito alla prima azione di guerradella nostra vita. Poi si seppe che l'aereo abbattuto era un ricognitore italiano (SM 79 non era unricognitore ma un bombardiere ) non riconosciuto dalla nostra contraerea e che, a bordo, viaggiavail comandante dell'Armata d'Africa e maresciallo dell'aria Italo Balbo.A lungo si parlò di questo incidente fra le truppe: popolare era la figura di Balbo, e piuttosto nota lasua avversione alla guerra contro gli inglesi e la sua devozione alla principessa di Piemonte MariaJosè, fiera avversaria delta politica di Mussolini.Ma tutte le supposizioni sul complotto non si sono placate, allora e a distanza di anni. Si basano suun non rintracciabile ufficiale della San Giorgio che raccontò durante un interrogatorio in Svizzera.di aver ricevuto l'ordine di far fuoco su quel velivolo malgrado fosse italiano. Vennero poi alla lucesvariate ricostruzioni, storie strane. leggende. A sparare fu proprio l'incrociatore San Giorgio,sostennero in molti (del resto 1a Relazione di Perino a Mussolini, citata sopra) parla effettivamentedi 280 colpi sparati). Folco Quilici, il figlio di Lello saputa la confessione di Marzola ha cosìcommentato "Ora so. ma non mi basta. Errore clamoroso e stupido" "Marzola spero di nonincontrarlo mai. Balbo. mio padre e gli altri furono abbattuti erroneamente da una mitragliettaquasi innocua. Marzola non poteva non conoscere la sagoma del trimotore era unica einconfondibile". Folco Quilici si basa sulle confidenze ricevute da un marinaio della San Giorgio,testimone oculare dell'episodio (diversi studenti dell'Università dove insegnava proprio Lello Quilicisi erano arruolati sul fronte africano od erano proprio sull'incrociatore San Giorgio). (Nella dichiarazione di Marzola c'è dell’incredibile. "Ogni quarto d'ora ci volavano addosso". Eppure in batteria dice "non c'era nessun ufficiale presente": ma solo uno spaurito ventenne capopezzo a dare ordini. Ed era appena iniziata la seconda guerra mondiale!.
L’annotazione di Galeazzo Ciano su Italo Balbo..Ingegno scarso, grande ambizione, assoluta infedeltà, capace di tutto: ecco Balbo.Conviene tenerlo d'occhio'. Perché Balbo non perde occasione di criticare Mussolini.Quando lo informai del Patto d'Acciaio con Hitler, Balbo quasi infuriato mi disse..'finirete tutti a fare il lustrascarpe dei tedeschi", mi ha sbattuto la porta in faccia.Quando si parlò di dichiarazione di guerra accanto a Hitler. corse a Roma a dissuadere Mussolini;ma fu inutile: se ne ritornò in Africa arrabbiato.
La principessa Maria Josè andava spesso a trovarlo in Libia suscitando anche qualche pettegolezzo(episodi che danno forza alla 'congiura delle barbette"). Balbo suddito fedele alla monarchiacorteggia la principessa e lusinga il debole principe ereditario:"Un giorno, confida agli intimi, Umberto sarà re ed io il suo primo ministro..."(Arngo Petacco.26/8/97 – Il Resto del Carlino). Che avesse l’ambizione di succedere a Mussolini. questo tutti losapevano, compreso Ciano (il delfino e genero di Mussolini).
Il merito alla morte di Italo Balbo, ci fu una lettera inviata da Rommel alla vedova…" Ribbentrop mi augura buon viaggio e torna a portarmi di Ciano ed Attolico entrambi antitedeschi.Egli critica la leggerezza di Ciano ed i pettegolezzi che egli ha tatto in Germania con signore anchepoco conosciute. Mi racconta che ha criticato Farinacci e Buffarini in pubblico Ira tedeschi, e cheha scherzato con compiacimento sulla morte di Bulbo". (vedi Diario di Rommel)
Quanto a Mussolini. ecco cosa scrisse Badoglio in "Memorie e documenti" in l’Italia nella secondaguerra mondiale" 1a ed. Mondadori, 1946. pag. 48"Ero con lui in Piemonte quando ci giunse un radiogramma che ci annunziava che Balbo era mortoin un incidente di volo. Mussolini accolse la notizia senza dimostrare il minimo turbamento. Forsela scomparsa dell'unico gerarca che osasse tenergli testa non gli era del tutto sgradita Ad ognimodo non disse una parola e mi domandò solo chi potevamo destinare a succedergli"Quanto ai pettegolezzi, sempre Badoglio sullo stesso libro (pag. 35) confermando ciò che scrivevaRornmel: "Era ormai noto a tutti che nessun segreto rimaneva a lungo tale in Roma, ove gerarchi e,specialmente. mogli ed amanti di gerarchi, si facevano vanto di diffondere ogni notizia.
L’autore della ricerca riportò alcuni dettagli tecnici sull’abbattimento dell’aereo SM79 di ItaloBalbo..Già a 2000 – 3000 metri in orizzontale o in verticale si individua subito la sagoma di questo aereo(SM 79) sia di profilo che in verticale.Da terra, a 1000 – 1500 metri di altezza l’aereo (un 79 – 81 – 82) lo si vede bene ad occhio nudo
Non solo, ma i suoi tre potenti motori (Alfa Romeo 128 RC) emettono un rumore così inconfondibile che è impossibile sbagliarsi anche se lontani 4000 – 5000 metri.
È quindi abbastanza discutibile che “non si sono riconosciuti gli aerei”
(dobbiamo, con cognizioni di causa, dare ragione a Fabio Quilici).
È quindi abbastanza discutibile che “non si sono riconosciuti gli aerei”
(dobbiamo, con cognizioni di causa, dare ragione a Fabio Quilici).
L’autore ricevette questa precisazione:La Regia Marina utilizzava mitragliere C. A. a partire da 13,2 mm in su.
Per quel che concerne la tanto “sminuita” arma da 20 mm Ansaldo-Breda (cannone-mitragliera)
comunque non pare corrisponda al vero il fatto che arrivasse a sparare solamente a 1000 metri
come si legge nel Vs. testo:
questi i dati ufficiali relativi all’arma:
Lunghezza in calibri: 65
Rigatura destrorsa a passo costante di 8 righe
Cadenza di fuoco pratica 220 colpi al minuto
Gittata massima (questo è il dato più interessante relativamente alle dichiarazioni sull’incidente):
in orizzonte: 5500 metri
in verticale: 2400 metri
Settore verticale di tiro: da – 10 a + 80
Fonte: Artiglieria e motorizzazione – Eserciti del XX secolo – Curcio Editore
L’autore dell’articolo rispose:io non mi rifaccio ai testi, ma all’esperienza diretta essendo
stato capo della squadra artiglieri.
La Breda ammettiamo pure che arrivi a 2400 in verticale (a 1000 con qualche effetto)
ma non sono colpi che potevano danneggiare un SM 79.
Che era quasi tutto in tela alluminizzata su un telaio a tubi…
…. ma non era così facile colpire gli involucri dei tre potenti motori contemporaneamente.
E con uno e anche con due motori fuori uso l’SM 79 ( così l’81 – 82) poteva atterrare senza danni.
L’autore dell’articolo è il terzo, seconda fila a destra, su un SM 81…Un aereo quasi identico a un SM 79.
Savoia-Marchetti S.M.79
Savoia Marchetti SM79 - atterraggio di fortuna e apparecchio in riparazione
Savoia Marchetti S.M.79 - incidente in atterraggio di fortuna
Schieramento di Savoia-Marchetti S.M.79Foto dal sito:https://it.wikipedia.org/wiki/Savoia-Marchetti_S.M.79#/media/File:Schieramento_di_Savoia-Marchetti_S.M.79.jpg
La carcassa dell'SM79 di Balbo abbattuto sulla baia di Tobruk
Rarissima foto del monumento funebre sul luogo di caduta,dedicato a Italo Balbo
S.E. Balbo con la moglie Emanuela Florio e i figli Giuliana, Valeria e PaoloIl ventitreenne Balbo fu presentato alla contessina Emanuela Florio di San Daniele del Friuli, all’epoca diciottenne, nell’inverno del 1919. I due si sposarono nel 1924 alla morte del padredella contessina, il conte Florio, che era contrario al matrimonio. Dal matrimonio nacquero tre figli (Giuliana nel 1926, Valeria nel 1928 e Paolo nel 1930).
Italo Balbo e la contessina Florio.
La contessa Emanuela Florio, moglie del maresciallo Italo Balbo,distribuisce doni ai soldati in LibiaDurante il suo incarico di Governatore della Libia, balbo si innamorò di un’attrice di teatromodenese Laura Adani, conosciuta durante una tournée della compagnia teatralenella colonia italiana.
Laura Adani
Laura Adani con Totò e Achille Majeroni in "Arrangiatevi"
Orbetello (Grosseto) - La tomba di Italo Balbo
Per quel che concerne la tanto “sminuita” arma da 20 mm Ansaldo-Breda (cannone-mitragliera)
comunque non pare corrisponda al vero il fatto che arrivasse a sparare solamente a 1000 metri
come si legge nel Vs. testo:
questi i dati ufficiali relativi all’arma:
Lunghezza in calibri: 65
Rigatura destrorsa a passo costante di 8 righe
Cadenza di fuoco pratica 220 colpi al minuto
Gittata massima (questo è il dato più interessante relativamente alle dichiarazioni sull’incidente):
in orizzonte: 5500 metri
in verticale: 2400 metri
Settore verticale di tiro: da – 10 a + 80
Fonte: Artiglieria e motorizzazione – Eserciti del XX secolo – Curcio Editore
stato capo della squadra artiglieri.
La Breda ammettiamo pure che arrivi a 2400 in verticale (a 1000 con qualche effetto)
ma non sono colpi che potevano danneggiare un SM 79.
Che era quasi tutto in tela alluminizzata su un telaio a tubi…
…. ma non era così facile colpire gli involucri dei tre potenti motori contemporaneamente.
E con uno e anche con due motori fuori uso l’SM 79 ( così l’81 – 82)
La situazione cominciò a cambiare alla fine degli anni Trenta. Ancora nel 1937 gli ebrei libiciavevano accolto con entusiasmo la visita di Mussolini, rassicurati dalle sue dichiarazioni chesarebbero stati trattati al pari dei cittadini italiani, liberi di continuare a professare la propria religione.L’emanazione della legislazione italiana cosiddetta «razziale» l’anno successivo pose fine a quellaillusione.Lee leggi razziali in Libia furono attuate in modo attenuato grazie all’intervento del governatoreItalo Balbo. L’unico contrasto con gli ebrei fu legato alla decisione del governatore di ordinarel’apertura anche il sabato delle scuole e dei negozi di ebrei.Italo Balbo
Mussolini nel 1937 si autoproclama“difensore dell’Islam”(Nella foto è con Italo Balbo, governatore della Libia)Balbo morì il 28 giugno 1940 e con l’avvento di Ettore Bastico, governatore della Libia dal 19 luglio1941 al 2 febbraio 1943, gli aspetti sociali cominciarono a peggiorare con l’applicazione delle leggi razziali.
Nel 1942 le leggi razziali vennero applicate con modalità sempre più brutali fino a toccare il culminecon l’ingresso delle truppe inglesi nel territorio libico.Nel giugno 1940 in Libia risiedevano circa 1600 ebrei con cittadinanza francese, tunisina,marocchina, mentre 870 ebrei erano titolari di cittadinanza britannica, a seguito soprattutto diimmigrazioni provenienti da Malta e Gibilterra. Per tutti il governatore Balbo prese inconsiderazione delle misure di internamento che furono applicate solo parzialmente per mancanza dimezzi e finanziamenti.L’azione definitiva per l’evacuazione dal territorio libico di tutti gli stranieri fu intrapresa l’8settembre 1941 quando il governatore Bastico inviò al Ministro dell’Africa Italiana, Attilio Teruzziun telegramma….
Imprescindibile necessità reprimere spionaggio insito elementi infidi ed anche alleggerire peso rifornimento popolare civile mi ha indotto a disporre allontanamento da zone operazioni militari (cioè da intera Libia) di tutti gli stranieri senza distinzione ed eccezione alcuna. Partenza avverrà con successivi convogli a decorrere da settimana prossima (...) Con primo convoglio partiranno 1970 ebrei stranieri. (...) prego disporre accordo Ministero Interno località di destinazione.
Il piano di evacuazione iniziò nel gennaio 1942, su direttive del Ministro dell’Interno.Il Ministro dell’Interno Benito Mussolini ordinòl’internamento in territorio metropolitano di varie centinaia di cittadini stranieri di potenze nemiche (tra cui greci, anglo-maltesi, inglesi) e di buona parte deisudditi inglesi di «razza ebraica».Nei primi mesi del 1942 furono deportati in Italia:- 263 ebrei libici in possesso di cittadinanza britannica;- 225 membri della locale comunità greco-ortodossa;- 1900 maltesi;- Altri stranieri il cui numero non fu precisato.Fu precisato che..tutti gli individui arrivati dalla Libia furono avviati inizialmente in centri di accoglienza predisposti dall’Ispettorato servizi di guerra, come fossero normali sfollati italiani.Per i casi di “comprovata pericolosità” le destinazioni furono diverse ed avviati in campi diconcentramento.Il primo gruppo costituito da ebrei anglo-libici, maltesi con passaporto inglese e greci, furonoraggruppati il 13 gennaio 1942 nella scuola Roma, a Tripoli per poi essere condottiall’imbarco per l’Italia.
I deportati furono imbarcati sulla motonave “Monginevro” e, dopo pochi giorni, sbarcarono aNapoli. Furono sottoposti a delle visite mediche per evitare il diffondersi di presuntepandemie.
I deportati abbandonarono le loro case e le piccole proprietà. Furono autorizzati a portaresolo una valigia con pochi beni di utilità. Furono definiti dalla critica storica come ebrei“tripolini” e si trovarono ad intraprendere un nuovo percorso di vita nell’incertezza del futuroe del luogo di destinazione. Furono imbarcati soprattutto anziani, donne e bambini mentre gliuomini ritenuti idonei al lavoro coatto furono destinati in vari campi di concentramenti.Un campo di concentramento fu istituito dal governo italiano a Giado.A Giado era presente una vecchia caserma posta nel deserto del Gebel.
Altro campo di concentramento era quello di Sidi Azaz, vicino Tripoli.Se fossero stati imbarcati per l’Italia, al loro arrivo nel porto italiano sarebbero statidivisi dai famigliari e dagli altri internati per essere trasferiti in altri luoghi didetenzione.Secondo la studiosa Liliana Picciotto, gli ebrei con cittadinanza britannica trasferitidalla Libia all’Italia furono un totale di quasi 400 persone; 389 quelle elencate dallastudiosa Anna Pizzuti.I deportati (non solo gli ebrei anglo-libici) furono divisi in 4 gruppi destinati ai campi o luoghi di internamento di:- Civitella del Tronto (107 persone),- Civitella della Chiana (51 persone di cui 27 tra donne e bambini);- Badia al Pino, vicino ad Arezzo: - Bagno a Ripoli (77 uomini) in provincia di Firenze;- Pollenza in provincia di Macerata. Altri anglo-libici, con successivi trasporti, furono inviati all’internamento libero nei comuni di :- Camugnano (Bologna);- Bazzano (Bologna)e successivamente anche nei Comuni di:- S. Felice sul Panaro (Modena);- Cavezzo;- Medolla;- Nonantola;- Modena;- Casinalbo;- Fiumalbo;- Bastiglia.(Tutti Comuni in provincia di Modena)
Nel decreto del 4 settembre del 1940 XVIII (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.239 dell'11 ottobre 1940), riguardante l'internamento, venne espressamente precisatoche"gli internati devono essere trattati con umanità e protetti contro ogni offesa e violenza" (art. 5).Un principio che fu rispettato ?Ma l’internamento in un campo aveva un suo aspetto drammatico dato cherappresentava una limitazione della libertà personale.Le persone, strappate alle loro famiglie e alle loro case, erano ammassate in base allepossibilità di ricezione dei campi.I campi erano inoltre sorvegliati anche se, con l'eccezione di Ferramonti, non cera ilfilo spinato.Il permesso d’uscita veniva concesso solo in casi eccezionali come un interventomedico d’urgenza.Qualsiasi atteggiamento o azione che poteva compromettere l'ordine interno erapunito con il trasferimento in un campo ancora più duro, soprattutto dal punto di vistalogistico (campo di Ustica).Di regola gli internati non potevano lavorare, ma ricevevano per il loro sostentamentoun sussidio giornaliero di 6,50 Lire, appena sufficiente per mangiare e per lasostituzione degli abiti logori. Quando le difficoltà di approvvigionamentoaumentarono, anche a causa degli eventi bellici, e non tutti i generi alimentarigiungevano nei campi, gli internati cominciarono a patire la fame.Le condizioni igieniche erano carenti e il riscaldamento invernale era assente oinsufficiente. Gli internati, nei campi più grandi, avevano la possibilità di esercitare una forma di amministrazione autonoma. Nel campo di Ferramonti, in Calabria, erapresente un’assemblea dei rappresentanti delle baracche. Eleggevano il portavoce delcampo e creavano delle commissioni come quella sanitaria, culturale ed educativa.
Nel 1940 a Ferramonti furono edificate delle baracche per famiglie dopo l'arrivo di ungruppo di ebrei stranieri arrestati a Bengasi, in Libia, perché tentavano la fuga inPalestina.Era costituito da un gruppo di 302 persone in gran parte da donne e bambini.Le baracche erano però insufficienti per alloggiare tutte quelle famiglie.Così, a partire dalla primavera del 1941 venne concessa la possibilità, su istanza degliinternati, di passare al regime di "internamento libero", in cui molti sperano di trovarecondizioni di vita migliori, specie se i luoghi in questione si trovavano nell'Italiasettentrionale.La tragica conseguenza fu che, dopo 1'8 settembre del '43 (Armistizio di Cassibile),molti profughi e immigrati ebrei si trovarono nella zona d'occupazione tedesca evennero deportati.
L'Internamento liberoL'isolamento in un comune lontano dal proprio domicilio abituale determinava unanotevole limitazione della libertà personale. Gli internati erano strappati all'ambienteloro familiare, separati da parenti e amici, e costretti a vivere in un luogo fino adallora sconosciuto, dove era loro proibito ogni contatto con gli abitanti, ad eccezionedei padroni di casa. Non potevano allontanarsi dal territorio comunale senzaautorizzazione speciale e dovevano presentarsi alla stazione di polizia o deicarabinieri in orari determinati, di solito una volta al giorno. Potevano lasciare la casadove abitavano solo durante il giorno, senza però mai superare un determinatoperimetro. In un primo momento l'internamento nei comuni era previsto solo per ledonne. Questa forma più blanda di isolamento forzato venne vista come unasoluzione transitoria fino a quando nei campi non si crearono posti sufficienti perfamiglie e donne sole. Ma ciò di fatto non accadrà mai. Le località di "internamentolibero" nella Penisola erano alcune centinaia e ciascuna poteva accogliere un numerovariabile di internati: da uno/due a diverse decine. Talora lo stesso comune ospitavasia un campo di concentramento che un campo di "internati liberi".In generale, le località prescelte non si trovavano all'interno delle zone strategiche daun punto di vista militare. E quando le donne e i bambini partivano perl'internamento, le Autorità del luogo di residenza consegnavano loro il "foglio di viaobbligatorio", con il quale dovevano presentarsi entro una data prestabilita allaquestura della provincia decisa dal Ministero dell'interno, che li destinava poi a unospecifico comune.Nella prima fase dell'internamento, fino all'agosto 1941, non era difficile reperirealloggi, ma in seguito la situazione andò sempre peggiorando, malgradol'internamento venisse esteso anche alle province dell'Italia settentrionale. Ciò eradovuto soprattutto allo sfollamento nelle campagne di gran parte degli abitanti dellecittà bombardate. Le prefetture tempestarono quindi di lettere e telegrammi ilMinistero dell'interno per evitare d’inviare altri internati, appellandosi ogni volta allamancanza di alloggi. Alloggi che, anche nel caso dell'internamento libero, erano quasisempre poveri o squallidi, e molte volte invivibili. Pur costretti a rinunciare alle piùmodeste comodità quotidiane, molti internati dovettero adattarvisi per oltre tre anni.https://giustiemiliaromagna.it/linternamento-italiano-degli-ebrei-durante-la-secondaguerra-mondiale/
Non tutti gli anglo-libici internati in Italia riuscirono a sopravvivere aglieventi bellici. La stessa sorte toccò agli ebrei italiani e a quelli stranieri catturati inItalia perché furono inviati nei campi di concentramento nazisti di Bergen Belsen.Qui furono uniti agli ebrei arrestati in Europa e che erano di nazionalità neutrale,britannica, americana o di altra nazione non occupata dalla Germania.Erano considerati come ostaggi in attesa di un probabile scambio con cittadini esoldati tedeschi in mano degli alleati.Un primo gruppo di ebrei anglo-libici raggiunse Bergen Belsen nel febbraio 1944provenienti dal campo di Fossoli, dove erano stati via via concentrati nella parte delcosiddetto «campo vecchio», sottoposto ancora a controllo italiano, a differenza del«campo nuovo», in mano tedesca. Fossoli (Carpi – Modena) – Campo di concentramento
Fossoli – Campo per ebrei e politici
15 febbraio - primi di agosto 1944: Nel corso del 1944, il campo di Fossoli diventò ilCampo di polizia e transito ("Polizei- und Durchgangslager"), utilizzato dalle SS einserito quindi nel sistema dei campi di concentramento nazisti. Diventò un tristecampo deputato alla deportazione dall'Italia verso i Lager e i campi di sterminio delReich. Nei paesi occupati dell'Europa occidentale (Francia, Belgio, Olanda, e quindi dopo l'8 settembre 1943 anche l'Italia) la decisione delle autorità naziste fu di noncreare ghetti o campi di sterminio e di evitare il più possibile atti aperti di violenzaantiebraica. L'antisemitismo era minore, e si aveva timore di esacerbare un'opinionepubblica già in larga parte ostile. Si istituirono così appositi campi di internamento odi transito lontani dai centri abitati dove la popolazione ebraica potesse essereraccolta prima di essere trasferita nei campi di concentramento o sterminio dellaPolonia. Al campo di Fossoli in Italia venne quindi assegnata la stessa funzione svoltain Francia dal campo di internamento di Drancy, in Belgio dal campo di transito diMalines e nei Paesi Bassi dal campo di concentramento di Westerbork. I circa 5000deportati politici e razziali internati a Fossoli ebbero come tragiche destinazioni campi di Auschwitz, Bergen Belsen, Mauthausen, Ravensbruck., Birkenau, Buchenwald. Ad oggi è noto che tra il gennaio e l'agosto 1944 furono organizzati pergli internati di Fossoli almeno 8 convogli ferroviari, cinque dei quali destinati adAuschwitz.La Questura di Modena (Rsi) restò a dirigere il Campo Vecchio (l'area a nord che siaffaccia su via Grilli) e vi fondò il campo per internati civili (attivo fino all'invernodel 1944). Già presenti da inizio febbraio 1944, le SS nello stesso mese assunseroufficialmente la direzione del campo di Polizia e Transito nel Campo Nuovo (l'area asud-est che si affaccia su via Remesina). Prigionieri politici e razziali vennero quitrasferiti dai campi e dalle carceri del nord Italia per essere successivamente deportatinei Lager europei.
Fossoli Campo Vecchio
Fossoli Campo Nuovo
A causa dell'avvicinarsi del fronte e dell'intensificarsi delle pressioni partigiane nella zona, lagestione e il controllo del campo diventarono difficili. Il 2 agosto il comando tedesco decisela chiusura del lager e il suo trasferimento più a nord, a Bolzano-Gries. Si stimò che sianopassati da Fossoli circa 5000 deportati, di cui la metà ebrei, un terzo dei deportati ebreidell'Italia transitò per il campo di Fossoli.
Agosto 1944 - novembre 1944: Il Campo Nuovo passò alle dipendenze della Direzionegenerale per l'ingaggio della manodopera per la Germania (Gba). Nel campo confluironocittadini rastrellati, oppositori politici, uomini e donne da inviare al lavoro coatto nei territoridel Terzo Reich. In seguito ai bombardamenti il campo venne trasferito a Gonzaga nelmantovano.Dopo la fine della guerra il Campo Nuovo venne utilizzato come campo di concentramentoper prigionieri: militari che avevano combattuto al servizio dei nazifascisti e civilicollaborazionisti.In questa fase, come nelle fasi precedenti, Francesco Venturelli, parroco di Fossoli, svolseopera di assistenza ai prigionieri. Nel clima di forte contrapposizione di quei mesi ilVenturelli fu ucciso il 15 gennaio 1946.
Nella notte del 15 gennaio 1946 uno sconosciuto pregò Padre Venturelli di seguirlo per assistere un ferito. La mattina del 16 gennaio lo trovarono ucciso.
La DC di Modena accusò il giornale dell'ANPI, la polemica politica divampò assai dura.
Il colpevole o colpevoli non furono mai assicurati alla giustizia.
Godeva della massima fiducia del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Diede la sua vita nell’assistenza degli internati e durante i rastrellamenti si rifugiava nel sottotetto della chiesa.
Fu un omicidio di mano comunista? In questo caso dovrebbe essere inquadrato in un clima di generico anticlericalismo.
Un omicidio legato alla sua attività nel campo di concentramento di Fossoli?
Nel campo nell’inverno ’45-46 c’erano non solo numerosi gerarchi fascisti in via di epurazione, ma c’erano anche molte persone senza documenti, senza mezzi, in attesa di identificazione e di una destinazione ed anche molti ebrei.
C’erano molti stranieri: slavi, ucraini, tedeschi, greci, che rifiutavano il rimpatrio e che creavano grandi problemi alla Questura locale, alla Pubblica sicurezza e alla popolazione di Fossoli. Don Venturelli potrebbe aver contattato o essere stato contattato da qualcuno. Un contatto ritenuto pericoloso per il gruppo o per il singolo e fu quindi deciso di eliminarlo.
La DC di Modena accusò il giornale dell'ANPI, la polemica politica divampò assai dura.
Il colpevole o colpevoli non furono mai assicurati alla giustizia.
Godeva della massima fiducia del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Diede la sua vita nell’assistenza degli internati e durante i rastrellamenti
Fu un omicidio di mano comunista? In questo caso dovrebbe essere inquadrato in un clima di generico anticlericalismo.
Un omicidio legato alla sua attività nel campo di concentramento di Fossoli?
Nel campo nell’inverno ’45-46 c’erano non solo numerosi gerarchi fascisti in via di epurazione, ma c’erano anche molte persone senza documenti, senza mezzi, in attesa di identificazione e di una destinazione ed anche molti ebrei.
C’erano molti stranieri: slavi, ucraini, tedeschi, greci, che rifiutavano il rimpatrio e che creavano grandi problemi alla Questura locale, alla Pubblica sicurezza e alla popolazione di Fossoli. Don Venturelli potrebbe aver contattato o essere stato contattato da qualcuno. Un contatto ritenuto pericoloso per il gruppo o per il singolo e
Per il campo di Fossati passarono 2844 ebrei, di cui ben 2802 furono deportati.Nel campo furono uccisi alcuni ebrei..- Un uomo, in principio di ribellione, venne ucciso in un convoglio di camion che si dirigeva a Fossoli, e arrivò al campo già morto. Si chiamava Leone di Consiglio.- Giulia Consolo, di Alessandria d'Egitto, trasferitasi a Roma per il matrimonio, morì il 5 febbraio 1944 all'ospedale di Carpi.- Giulio Ravenna, ferrarese, era di un'ex-famiglia ebraica, divenuta cattolica; già di salute malferma prima di giungere al campo, si aggravò il 17 febbraio, Don Venturelli, parroco della frazione Fossoli, lo assistette sino alle 17 del giorno dopo, quando morì. Aveva 71 anni.- Carolina Iesi, ferrarese, di 85 anni, morì, per quanto dichiarato, di "senilità", a Fossoli.- Giovanni Schembri, sessantunenne, proveniente da Bagni di Lucca, nato a Tripoli, morì il 13 marzo.- Rosa Doczi, slovena, vissuta a Fiume, doveva essere deportata ad Auschwitz con il convoglio RSHA 9, ma morì quattro giorni prima, il 1º aprile. Il nipote, invece, venne deportato, e lì morì.- Il 7 giugno morì Teodoro Sacerdote, di Torino, di 95 anni.- Il 12 giugno morì Magenta Nissim di Firenze. Lei e Sacerdote andavano deportati il 26 giugno ed erano i più vecchi del campo.- Pacifico di Castro doveva essere assegnato ad una squadra di lavoro. Non capiva il tedesco e, secondo alcune fonti, era anche parzialmente sordo; Rieckhoff, un ufficiale, gli sparò il 1º maggio.
Tra i politici…- Leopoldo Gasparotto, comandante delle Brigate partigiane Giustizia e Libertà, vennearrestato a Milano, e si recò a Fossoli nei primi mesi del suo funzionamento. Riuscì acontattare i partigiani, ai quali forniva documenti, e iniziò a predisporre un piano di fugagenerale, dopo aver fatto fuggire diversi altri prigionieri. Le SS, notata la sua pericolosità, il22 giugno 1944 lo portarono in un camion nel circondario di Carpi, e, quando la ruota delcamion si bucò, gli ordinarono di scendere e lo uccisero sul posto. Tornarono al campo inbicicletta, e poco dopo vennero, con un altro mezzo che prelevò il cadavere di Gasparotto,dal luogo dell'esecuzione. Il suo corpo venne sepolto in una tomba anonima,successivamente è stato recuperato.- Un cinquantanovenne, Arturo Morello, di Casale Monferrato, morì il 12 marzo di mortenaturale.- L'Eccidio di Cibeno: il 12 luglio 1944, 67 internati politici del Campo di concentramentodi Fossoli furono fucilati dalle SS al poligono di tiro di Cibeno (Carpi). ………………………..
Gli i ebrei «tripolini» di Fossoli - tra i quali si trovavano anche coloro che provenivanodall’internamento di Camugnano, località dell’appenino bolognese - furono trasferiti nelnovembre 1944 da Bergen Belsen al campo di Vittel, in Francia, in attesa di eventualescambio. Qui gli anglo-libici trovarono un altro gruppo di ebrei libici che - caso particolare era stato inizialmente imprigionato nel campo di concentramento di Reichenau, pressoInnsbruck, provenienti dall’internamento a Bazzano.Altri ebrei anglo-libici furono internati invece nel campo abruzzese di Civitella del Tronto,da dove più tardi partiranno per il campo di Fossoli, che raggiungeranno il 6 aprile 1944.Vi rimarranno fino al 16 maggio 1944, data in cui saranno messi in partenza per BergenBelsen, dove arrivano il 20. Il 16 novembre 1944 infine furono inviati nel campo diBiberach, in Baviera, dove saranno liberati dalle truppe francesi il 23 aprile 1945.Alla fine della guerra, dopo varie vicissitudini, molti dei quasi 400 ebrei anglo-libiciriusciranno a ritornare nella loro terra d'origine, in parte passando dal Portogallo. Mapotranno rimanervi solo pochi anni, poiché a causa delle persecuzioni anti ebraiche messe inatto dai nazionalisti arabi, che sfoceranno anche in alcuni violenti pogrom, la maggior partesceglierà l’emigrazione verso il nuovo stato di Israele. Un totale di 36.730 ebrei libicifaranno Aliyah verso Israele, di cui 30.972 tra il 1948 e il 1951. La guerra dei Sei giorni, nel1967, costringerà alla emigrazione l’ultimo gruppo rimasto.
Il Campo era diviso in tre sedi:1. L’Ospizio Alessandrini;
2. Una casa privata di proprietà della sig.ra Vinca Migliorati; 3. Convento di Santa Maria dei Lumi.
Per un totale di 230 posti.Nel luglio 1940 fu completato l’allestimento del campo e i primi prigionieri arrivarono nelsettembre dello stesso anno. Era in massima parte tedeschi ebrei.Il 9 aprile 1941 due internati, Bernard G. Battista fu Adolfo, zingaro, con il figlio Michele,riuscirono ad evadere.I primi internati ebrei, provenienti dalla Libia e di nazionalità inglese, arrivarono nelgennaio 1942. Erano in 107 e in gran parte anziani, donne e bambini.Gli internati denunciarono in una lettera il divieto di rimanere all’aria aperta, come potevanofare in Libia. Nella lettera evidenziarono anche le difficoltà di poter rimanere in 50 – 70 mq,soprattutto per i bambini.Il 27 ottobre 1943 121 internati vennero inviati verso Nord dai tedeschi al campo di Fossolidi Carpi (Modena), per poi essere, il 16 maggio 1944, deportati in quello di Auschwitz. Tra lafine del 1943 e l’inizio del 1944 60 internati, tutti libici di nazionalità inglese e di religioneebraica vennero trasferiti a Fossoli di Carpi, per poi essere deportati nel campo di BergenBelsen in Germania.Nell’aprile 1944, il Ministero dell’Interno inviò varie circolari, alla Prefettura di Teramo, chesollecitavano il trasferimento degli internati, presenti in provincia, verso Nord. In seguito aqueste disposizioni, il 18 aprile 23 internati tutti ebrei tedeschi vennero prima trasferiti aFossoli, dalla polizia tedesca, e poi, il 16 maggio 1944, ad Auschwitz. Stessa sorte, il 4maggio, toccò ai 134 ebrei inglesi provenienti dalla Libia, i quali, dopo essere stati inviati aFossoli, vennero deportati, il 16 maggio, a Bergen Belsen e ad Auschwitz.Il campo di Civitella venne chiuso il 22 maggio 1944. ………………………..
Gli ebrei anglo-libici che furono sottoposti a «internamento libero» a Camugnano, giunseronella località appenninica bolognese nel marzo 1942, dopo uno sbarco avvenuto a Palermo.All’arrivo in Italia la maggior parte degli uomini furono separati per essere internati nelcampo di Bagno a Ripoli.Furono trasferiti a Camugnano 44 ebrei inglesi dopo aver pernottato a Bologna la seraprecedente.A Bologna furono alloggiati in un dormitorio posto in via Cirene (una strada del quartieredetto della “cirenaica” ) che oggi porta il nome di via Francesco Sabatucci.A Camugnano giunsero il 14 marzo 1942 per mezzo di tre torpedoni. Lungo il tragitto sifermarono nei pressi della stazione ferroviaria e nel ristorante del Dopolavoro ferroviariofurono rifocillati con un panino, del formaggio e una arancia, oltre a un bicchiere di latte peri bambini. Dopo il pasto proseguirono fino a Camugnano.
Il trasferimento dei deportati fu inserito nel rapporto del Commissariato aggiunto di P.S.Gerbino, che riferì anche dei primi gravi problemi che subito si presentarono all’arrivo.Alle ore 13,30 assieme all’Avv. Prati della Prefettura ci siamo avviati [da Bologna] perCamugnano e ci siamo trovati subito di fronte ad impreviste difficoltà, giacché i 40 posti cheil Municipio aveva a suo tempo fatto conoscere di avere a disposizione, erano tutti pressofamiglie privati ed alberghi, e data la sporcizia degli internanti, di cui parte indigeni, nonera possibile consentire tale forma di alloggiamento, anche perché si è presto venuto aconoscere come la popolazione (che forse si attendeva ricchi ebrei inglesi!), ne ricusasse laospitalità.(Archivio di Stato di Bologna - Fondo Prefettura di Bologna. Ufficio A.B.E. (AsportazioneBeni Ebraici) 1938-1945, fascicolo Ebrei sudditi inglesi internati a Camugnano (d'ora inavanti ASBO), relazione del comm. Gerbino, 15 marzo 1942).La situazione non era facile da gestire.L’amministrazione del Comune scartò un primo edificio di emergenza perché inadatto acausa dei suoi muri pericolanti e decise di ospitare provvisoriamente internati in un salonedel palazzo municipale.Un salone che fu munito di una stufa per il riscaldamento e il pavimento fu cosparso dipaglia dato che mancavano i letti.La locale sezione del Fascio femminile distribuì agli internati una cena composta dalatte, surrogato, pane, ulive e formaggi, che ha dato adito a spontanee manifestazioni digratitudine da parte degli assistiti, che hanno potuto accorgersi come noi italiani con sudditidi stati nemici, non sappiamo allontanarci da quei principi di umanità che hanno sempre fattoonore alla nostra Patria.Una descrizione del momento piena d’orgoglio per poi aggiungereGli internati sono in uno stato pietoso: alcuni sono veri e propri indigeni e indossano,secondo il costume locale, il baracano. Altri sono europeizzati e parlano quasi benel’italiano. Tutti hanno manifestato simpatia per l’Italia, asserendo di essere sudditi inglesisoltanto per origine, perché tali erano i loro antenati.Lo stesso Gerbino, in un secondo rapporto del 19 marzo, rilevò comeil giorno dopo l’arrivo è predisposta una visita medica e una «bonifica sanitaria» degliinternati, in preparazione del trasferimento in un alloggio definitivo.Le loro condizioni furono definite soddisfacenti tranne qualche caso di tracoma mentre unadona era incinta.Nella relazione si mise in risalto come gli ebreihanno vivo desiderio di essere riuniti ai propri congiunti, internati in provincia di Firenze, oper lo meno di poterli vedere per qualche giorno, data la loro assenza da circa due anni daBengasi….. Tutte le famiglie (…) hanno sollecitato l’invio dei bagagli lasciati a Palermo,facendo presente che non hanno come cambiare gli indumenti; per ovviare provvisoriamentein ogni modo a tale inconveniente, il Comune di Camugnano provvederà a distribuire ilnecessariocome in realtà avvenne.Nel frattempo proseguirono le ricerche per trovare un alloggio definitivo per gli internati..nonostante alcuni colloqui infruttuosi con proprietari della zona, dopo alcuni giorni saràindividuato in una casa colonica disabitata situata appena fuori il paese, in via Roma n. 57,in località descritta come «Pontegatti» (in realtà Pontegazzi), presa in affitto, dopo avervinto certe resistenze dalla madre del locale ufficiale sanitario, per la cifra di lire 550,composto da 6 vani tra piano terreno e primo piano, da «riattarsi» ad inizio e fine dellalocazione, con lavori previsti di durata settimanale. Lì vengono fatte giungere per ciascuninternato una branda pieghevole e due coperte di lana (provenienti dai depositi bolognesidel «P.N.F. - Gioventù Italiana del Littorio, Ufficio Tendopoli - Logistico e delleManifestazioni»), oltre a «N. 63 colli di indumenti e generi vari appartenenti ai 44 sudditiinglesi internati dalla Libia.La sorveglianza è affidata a visite periodiche dei carabinieri in servizio nel comune,facilitate dal fatto che il fabbricato si trovava a metà strada tra la loro stazione e ilMunicipio. Per il mantenimento, come da disposizioni ministeriali comunicate dallaprefettura bolognese attraverso un telegramma, viene corrisposta la somma di «lire otto algiorno ai capi famiglia et rispettivamente lire quattro e tre al giorno mogli e figli minorenninonché indennità alloggio lire cinquanta mensili capifamiglia.Il contingente di 44 internati risulta inizialmente composto da ben 11 diversi nuclei familiari,variabili da un minimo di due ad un massimo di otto persone. Complessivamente sono 30 iminori di 18 anni, solo due gli uomini, di 50 e 70 anni, per il resto donne.Altri 9 internati anglo-libici raggiungeranno Camugnano successivamente, portando iltotale degli internati in quella località fino a 53.Le condizioni di vita in una vecchia casa colonica prevista per circa otto persone, che deveinvece ospitarne 44 e più, non sono certo ideali, stante il grave sovraffollamento.
Un aspetto quest’ultimo che venne rilevato durante la visita del 14 – 15 dicembre 1942 daparte dei Sign.ri Steffen e Braunn, ispettori della Legazione Svizzera - Servizio InteressiStranieri.Un organismo incaricato di sorvegliare gli interessi britannici in Italia anche in tema diprigionieri di guerra e internamenti (rifornendoli di beni di prima necessità), accompagnatidall'Ispettore generale di P.S. Comm. Dr. Carlo Rosati.L’ispezione avviene in tutti i luoghi di internamento di «stranieri sudditi di Stati nemici»delle province di Firenze e Bologna, incluse entrambe le sedi di internamento bolognesi diBazzano e Camugnano, e portò alla redazione di un rapporto piuttosto severo. Un rapporto che fu inoltrato anche al ministero degli Affari Esteri a fine gennaio 1943, cheporterà i rappresentanti del Governo Britannico a lamentare il ritardo nella messa in operadei miglioramenti promessi dalle autorità comunali delle due località emiliane già inoccasione della ispezione.Sul luogo di internamento di Camugnano, un estratto del rapporto, di compilazione italiana,riportò le seguenti informazioni…..Camugnano. Clima: in estate fresco e piacevole, freddo nell’inverno, ma secco esalubre. Abitazione: Come Bazzano. I 50 anglo-maltesi [sic!], di razza ebraica provenientidalla Libia, sono tutti alloggiati in modo molto primitivo in una vecchia casa di campagnavicino al villaggio. Vi sono solamente quattro stanze che sono troppo piccole, anche percontenere i letti necessari. In tutta la casa vi sono solamente due stufe che devono servireanche per la cucina di 9 famiglie, Vi sono solamente le necessarie brande pieghevoli con duecoperte, senza materasso di paglia, né altra mobilia. Le stanze sono sovraffollate e non vi èqualsiasi possibilità di separazione fra bambini, adolescenti e adulti, genitori e figlicresciuti. Noi fummo impressionati di questa povera sistemazione e insistemmo fortementeperché fossi provveduto immediatamente per pagliericci, tavole, sedie e panche e perchéalcuni degli internati fossero trasferiti altrove. Installazioni sanitarie: Vi sono due Wc. Inbuone condizioni ed acqua sufficiente. Però vi è solamente un piccolo lavandino per l’usopersonale di tutti gli internati e per la lavanderia. Benchè non si sia rilevato alle autoritàlocali che questo era assolutamente insufficiente ci è sembrato che esse non erano almomento disposte ad apportare migliorie. Noi abbiamo fatto premure per una immediatasoddisfacente soluzione e finalmente abbiamo ottenuto la promessa che sarà costruita unalavanderia provvisoria. Rifornimento viveri: Gl internati si sono lamentati sull’impossibilitàdi ottenere la loro razione di latte specialmente per i bambini e per gli anziani. Inoltre lafornitura di verdura è molto scarsa. Questo fatto è molto deplorevole perché gli internatihanno rinunziato alla carne essendo essi di religione ebraica. Essi trovano una grandedifficoltà per ottenere formaggio al posto della carne. Dalle indagini da noi fatteimmediatamente sul posto ci risulta che sarà fatta una fornitura regolare di latte e patate eche in futuro gli internati avranno almeno la loro minima razione di cibo prescritto. E’strano che questo ordine venne dato lo stesso giorno della nostra ispezione. Impressionegenerale: Siccome la casa è sovraffollata, noi abbiamo suggerito il trasferimento di unafamiglia numerosa in altro luogo in modo che vi sia spazio sufficiente per quelli cherimangono. Abbiamo ricevuto promesse precise al riguardo dalle competenti autorità. Ilmorale degli internati non è molto buono, essi preferirebbero vivere in gruppi famigliariseparati come in Libia, ma ciò non è possibile nelle presenti circostanze. Essi soffronorealmente per il clima freddo, ma avendoci le autorità detto non è il caso di pensare altrasferimento in località più bassa di tutti quanti questi internati in epoca vicina, essidovranno passare l’inverno a Camugnano; il che significa per essi un grave disagio.
La relazione degli ispettori creò un vivace dibattito tra le autorità italiane (ministero,prefettura, polizia locale e autorità comunali).Il Commissario prefettizio di Camugnano informò il 16 febbraio 1943 il Prefetto di Bolognadi aver provveduto intanto (quindi solo allora) alla distribuzione della paglia, di averedisposto per la sostituzione di cinque brande resesi inservibili e di aver fatto aggiustare latubazione dell’acqua potabile, danneggiata, a suo dire, dagli stessi internati. Per il lavatoionuovo era stata richiesto per ora solo un preventivo di spesa.In un nuovo rapporto, datato 5 marzo 1943, redatto dal Commissario aggiunto di P.S. StefanoDe Stefano e consegnato al Prefetto, si fece riferimento ad una visita effettuata al centroisolamento insieme al Ragioniere Capo della Prefettura e al Medico provinciale aggiunto.la sistemazione degli internati è effettivamente alquanto deficiente e che nel complesso leloro condizioni non appaiono completamente soddisfacenti… Il lavatoio non è stato ancoracostruito e mancano sedie, tavoli e ogni altra suppellettile…La casa è composta di quattro piccoli ambienti e da due cameroni. In uno di questi viabitano N. 15 persone e nell’altro 17, componenti vari nuclei familiari, di modo ché siverifica effettivamente un eccessivo affollamento ed una certa promiscuità. Però è darilevare in detti cameroni alloggiano solo donne e bambini, questi in maggior numero,essendovene ventidue di età inferiore ai quindici anni, mentre gli uomini con le loro famiglieoccupano le camere separate. Anche le condizioni sanitarie degli internati sono alquantoprecarie, una gran parte dei bambini ha la tosse, ciò in dipendenza dell’attuale stagione edanche perché le porte d’accesso alla casa sono lasciate aperte per i continuo andirivienidegli alloggiati. Vi sono inoltre numerosi casi di tracoma e di scabbia che però vengonocurati con i mezzi a disposizione (alcuni degli ammalati sono autorizzati a recarsisettimanalmente presso la locale Clinica Oculistica).Nel rapporto si suggerì di provvedere ad una diminuzione degli internati cercando altrialloggi nella zona, una ricerca difficile considerando i tempi, o di trasferirli in altri Comuni.Il 2 luglio 1943 ancora una lamentela da parte del Questore di Bologna rivolta al Prefetto inmerito all’alloggio degli internati sempre a Camugnano…a Camugnano né il divisorio destinato a separare gli spazi abitativi di uno dei cameronidall’accesso all’unica ritirata, né la promessa imbiancatura, né la costruzione di un lavatoio(la cui spesa era stata già autorizzata) erano ancora state realizzate dall’autorità locale, chesi suggeriva venisse energicamente richiamata ad adempiere quanto disposto.Il 7 aprile 1943 furono finalmente trasferiti 15 degli internati “ebrei inglesi” (quattro nucleifamiliari) da Camugnano al “Campo di Concentramento Internati Civili ‘Villa Oliveto’(Civitella della Chiana)”, mentre altri 3, in date diverse, furono trasferiti a Bazzano, doveavevano dei famigliari, riducendo quindi a 35 persone il contingente internato a Camugnanoalla fine dell'estate 1943.
Campi di Internamento per ebrei libici
Il Campo di “Villa Oliveto”, nel Comune di Civitella Val di Chiana (Arezzo), fu allestito nel1940 e “accolse” in massima parte ebrei stranieri. Era inserito nell’elenco dei campi diconcentramento italiani durante la guerra. Un elenco fornito dal Ministero dell’Internoall’Unione Comunità Israelitiche Italiane.Era un campo di Internamento ad Amministrazione Civile con il N. 4 e da altri indicato con ilN. 115. La numerazione era un elemento essenziale per i campi di internamento per laprecisa individuazione dei luoghi di prigionia. Nelle corrispondenze doveva infatti essereindicato solo il numero del campo ed era assolutamente vietato indicare il nome e la località.Fu trovata una lettera spedita dal Campo di Concentramento di Villa Oliveto, pubblicata sullibro di Luciano Previato (L’Altra Italia), contenente tutti i timbri di censura.
Timbri per la censura sulla corrispondenza in uso presso il
Campo di Concentramento di Civitella in Val di Chiana (Arezzo)
Negli Stati Uniti fu trovata una busta spedita proprio dal Campo di “Villa Oliveto” eindirizzata alla sede della Croce Rossa Internazionale di Ginevra.Nella busta sarebbero presenti tutti i timbri che contraddistinguono il Campo di “VillaOliveto”.Il bollo di partenza della lettera apparteneva all’ufficio postale di Badia al Pino,distante circa 6 km dal Campo.
Sulla lettera anche il seguente timbro:
Timbro a giustificazione dell'esenzione da tasse postali, il richiamo era alla Circ. 588605-944104/IPS del 25 Settembre 1940-XVIII che disponeva:
Internati Civili1. Internatici civili a causa della guerra (sudditi di Stati nemici):Possono usufruire della esenzione di tassa al pari dei prigionierie internati di guerra (militari).La corrispondenza da e per detti internati vengono verificate come quelledei prigionieri e internati di guerra.2. Internati civili per altre cause:non usufruiscono della esenzione di tassa.Le corrispondenze da e per detti internati vengono verificate comesopra, ma seguono l’avviamento normale delle corrispondenze affrancate.
Campo di Concentramento di Civitella in Val di Chiana (Arezzo)
Sulla lettera anche il seguente timbro:
Chi era il mittente?Era, come già detto, un internato civile di guerra appartenente ad una nazione nemica.Il suo nome era: Joseph Brennan di..., nato a Malta il 28-08-1942 (data improbabile e non sispiega come non si sia accorto dell’errore).La lettera ha senza dubbio un suo valore storico per visualizzare i momenti di vita deiprigionieri nei campi ma anche per i bolli collegati alle censure in atto.Nel sito: sono riportati dei documenti che farebbero luce sulla figura di Joseph Brennan.
"Anche l’assistenza sanitaria non era soddisfacente, poiché per mancanza di spazio non sitrovava sul posto un’infermeria, e un medico veniva al campo da Arezzo tre volte lasettimana."Proseguendo: “Il dottor Gambassini, insieme al giovane medico maltese Joseph Brennan, adalcuni medici libici e al già citato cipriota Homer Habibis, che sostituì Brennan qualchemese dopo, riuscì a migliorare di molto la situazione...”Ancora nel giugno del 1942: “Tuttavia la situazione sanitaria ebbe un nuovo peggioramento,dopo la partenza di un medico internato nel campo. Dalla Relazione sulla visita dellaLegazione Svizzera in Provincia di Arezzo, notizie circa l'aggressione di Giuseppe Brennan eproposta di trasferimento a Montechiarugolo”
La lettera era quindi indirizzata alla Legazione Svizzera della Croce Rossa econteneva la segnalazione dell'aggressione subita. La lettera fu spedita il 20 maggio 1942 ein questa informativa al Capo della Polizia si leggeva: Costui confermando la segnalazione giunta alla Legazione Svizzera, ha informato che pochigiorni orsono. mentre rincasava, è stato aggredito percosso ed anche ferito con un colpo dipistola da quattro sconosciuti...Il motivo dell’aggressione?Forse legata al carattere arrogante del giovane studente che forse, a modo suo, manifestavacollaborazione con la direzione del Campo di Concentramento.Joseph Brennan fu poi trasferito al Campo di concentramento di Montechiarugolo e sostituitodall’ungherese Grumbaum.Il nome di Giuseppe Brennan riapparve nella sintesi di un documento che purtroppo non fuscansionato:
"Il campo di Villa Oliveto fu quindi installato nel giugno del 1940 in un edificio che era statoutilizzato nel 1934 come campo di addestramento per gli ustascia.(Gli ùstascia o ustàscia fu un movimento nazionalista e clerico-fascista croato di estremadestra guidato da Ante Pavelić e creato nel 1929, alleato dei nazisti tedeschi e fascisti italianinella seconda guerra mondiale, che si opponeva al Regno di Jugoslavia a predominio serbo).Gli Ustascia Croati in Barbagia
Con l’arrivo dell’estate del 1942 le condizioni del campo iniziarono a peggiorare, a causadella mancanza cronica di acqua con gravi conseguenze, facilmente intuibili, sia per l’igienepersonale che dell’ambiente.Nei letti furono trovati degli insetti e gli internati protestarono più volte per la scarsa quantitàe qualità del vitto.Le proteste furono inutili. L’assistenza sanitaria era carente. L’infermeria non aveva un suolocale a causa della mancanza di spazio. Un medico giungeva nel campo da Arezzo tre voltela settimana.Villa Oliveto fu uno dei campi in cui furono smistati gli ebrei di nazionalità ingleseprovenienti dalla Libia; vi giunsero alcuni gruppi di famiglie, con molti bambini, donne eanziani. L’arrivo dei libici, in condizioni di salute assai precarie, aggravò la situazione sottomolti aspetti. Un rapporto della Legazione Svizzera riportò le impressioni di una visitaeffettuata nel mese di gennaio del 1942. …..pessime le condizioni sanitarie ed igieniche di Villa Oliveto:i servizi igienici erano del tutto inadeguati alle esigenze degli internati, poiché per circa ottanta persone vi era una sola doccia con acqua fredda e quattro lavandini; gli internati dovevano pagare una somma abbastanza consistente – la metà della diaria giornaliera -, per fare il bagno con acqua calda. Essendo permesso fare il bagno tre volte alla settimana, per tre volte al giorno, la proporzione non era adeguata al numero degli internati. Il vitto era scarso e scadente, e gli internati riuscivano a sopravvivere solo con i pacchi inviati loro dalla Croce Rossa. […]La Legazione Svizzera riferì, in una relazione dell’aprile del 1942, chel’edificio era troppo esiguo per contenere il gran numero di internati presente in quel momento, tra i quali 25 bambini e alcune donne in stato di gravidanza.Durante il periodo in cui il campo restò in funzione nacquero sette bambini. Una famiglia di15 persone, ad esempio, doveva vivere in un unico vano, con solo sette letti; il rapportorilevò che a più di due mesi dall’arrivo dei libici non era stata apportata nessuna modifica omiglioramento sostanziale. Molti di loro, poiché avevano perduto i bagagli durante ilviaggio, erano senza indumenti adatti alle nuove condizioni climatiche.
Dopo i primi mesi assai difficili, nel giugno del 1942, fu deciso di trasferire tutti gli internatisoli e di lasciare nel campo soltanto i gruppi familiari libici. Il vitto migliorò dopo che lefamiglie di religione ebraica si accordarono con il fornitore degli alimenti.Cominciarono ad acquistare i prodotti da quest’ultimo, per poi provvedere a cucinarlisecondo le loro regole alimentari. Un rabbino giungeva ogni sabato per la macellazione.Tuttavia la situazione sanitaria ebbe un nuovo peggioramento, dopo la partenza di un medicointernato nel campo. Il 26 maggio 1940 il sottosegretario per l'Interno Guido Buffarini comunica che "il Ducedesidera che si preparino dei campi di concentramento anche per ebrei, in caso di guerra".In Toscana vengono allestiti durante la guerra quattro campi per l'internamento di civili; idue di questi, Bagno a Ripoli e Oliveto, vengono ospitati ebrei stranieri.II campo di Villa Oliveto, posto a 16 chilometri da Arezzo e 4 da Badia al Pino, vieneallestito in un edificio composto da un piano terra e due piani superiori, di proprietà diPasquale Mazzi. La villa era stata usata già nel 1934 come campo di addestramento per gliUstascia di Ante Pavelic.II Mazzi, al momento del contratto di affitto con il Prefetto di Arezzo, si impegna anchecome fornitore del campo, a gestire cioè l'alimentazione degli internati. secondo una tabellasottoscritta da lui stesso, dal Prefetto, dal Questore di Arezzo e dall'Ispettore di Pubblica Sicurezza.L'amministrazione del campo verrà poi varie volte richiamata dall'ispettore Generale di PSperché sospettata di praticare prezzi troppo alti nello spaccio e per l'insufficientesomministrazione degli alimenti.
Relazione su Villa Oliveto come località adatta per essere un campo di concentramento, maggio 1940 (ACS, Roma)
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Contratto di appalto tra la Prefettura e il fornitore Pasquale Mazzi5 giugno 1940 (ACS – Roma)
Villa Oliveto – Elenco degli Internati – 17 settembre 1940 (ACS – Roma)
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Il primo gruppo di ebrei libici giunto ad Oliveto era composto da 51 internati, di cui 27 tradonne e bambini, componenti 9 gruppi familiari. I capifamiglia erano tre commercianti, 2osti, un ebanista, un sarto, un possidente non vedente e una casalinga. Molti dei bambinierano in età scolare e alcuni molto piccoli (1 o 2 anni).Gli ebrei arrivarono al campo in condizioni miserevoli. Erano quasi tutti laceri, scalzi edaffetti da malattie e parassiti. Molti di loro avevano perso i bagagli nel viaggio ed eranovestiti con abiti molto leggeri, adatti al clima libico.Alcuni internati furono ricoverati in ospedale perché affetti da tracoma e da scabbia.Le condizioni igieniche e sanitarie del campo, con l'arrivo dei libici, subirono unpeggioramento. . Un rapporto della Legazione svizzera del gennaio 1942 riportò lecondizioni del campo come "pessime".Era presente una sola doccia con acqua fredda e 4 lavandini per tutti gli internati, cheteoricamente dovrebbero usufruire di tali servizi per tre volte alla settimana (doccia) e trevolte al giorno (lavandini).La Legazione svizzera lamentò come il campo era troppo piccolo rispetto al numero degliinternati, tra cui vi erano 25 bambini e diverse donne incinte. Una famiglia di 15 persone dovette alloggiare in un unico vano con solo quattro letti.
"Così ricorda quei momenti Gabriele Burbea che all'epoca aveva solo cinque anni:Nel campo vivevano circa 30 bambini e io ricordo che insieme a molti di loro mi mettevo difronte al cancello del campo e vedevamo gli agricoltori sui carri pieni di frutta, legumi everdura fresca che portavano ai mercati in città. Noi mettevamo le braccia fuori dal cancelloe chiedevamo qualche grappolo d'uva o qualche altra frutta. Per convincerli a darciqualcosa dicevamo che la frutta l'avremmo data a nostra madre che era incinta.Tra il 25 luglio e 1'8 settembre 1943 Badoglio mantenne in vigore l'intera legislazionepersecutoria, anche se furono prese misure per la liberazione degli internati. L'ordine per laliberazione degli ebrei stranieri giunse solo 1'11 settembre. Mentre il campo di Bagno aRipoli continuò a mantenere la detenzione degli ebrei là internati dietro intervento delQuestore di Firenze Mormino, ad Oliveto all'arrivo della circolare vennero aperte le portedel campo. Molti ebrei rimasero però nella struttura credendo di potervi continuare a viveretranquilli e protetti e avendo paura di andare incontro a pericolose incognite avventurandosinel mondo esterno. Gli internati di Oliveto erano molto meno consci del pericolo incombentedi quelli di Bagno a Ripoli, 50 dei quali si dettero alla fuga il 22 settembre nonostante lasorveglianza fosse stata rafforzata. La difficoltà a mettersi in salvo era maggiore al campodi Oliveto per la presenza di donne e bambini, che invece erano assenti a Bagno a Ripoli.Dopo l'armistizio rimasero a Villa Mazzi una settantina di persone, per la maggior partedonne e bambini.Il 23 novembre 1943 il Ministero dell'Interno revocò la circolare dell'11 settembre e ordinòche i cittadini di Stati nemici già internati fossero nuovamente sottoposti ad internamento. Icampi di internamento per ebrei ancora in funzione in Italia divennero di fatto delleanticamere per i campi di sterminio. A Bagno a Ripoli a metà dell'aprile 1944 quasi tutti gli internati ebrei vennero prelevati daitedeschi."Così il 10 febbraio 1944 il direttore del campo di concentramento di "Villa Oliveto" informòufficialmente la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza e il questore che«Il 5 corrente si presentò a questo Campo un reparto di SS Germanici, i quali rilevarono conun autocarro gli internati ebrei, sudditi Britannici di cui all'unito elenco, avviandoli perignota destinazione».Tra i 62 ebrei libici prelevati vi erano anche cinque bambine nate nel campo: Loris Labi di 5mesi, Grazia Reginiano di 4 mesi, Lina Reginiano di 4 mesi, Anna Labi (nata nel precedentecampo di Camugnano) di un anno e mezzo, Vittoria Reginiano di quasi 10 mesi.Solo 8 persone rimasero al campo. In realtà gli ebrei libici di Villa Mazzi furono dapprimaportati alle carceri di Firenze, per poi essere trasferiti con un carro bestiame al campo diFossoli. Da li, dopo sette mesi, furono deportati a Bergen Belsen, il campo in cui sarebbemorta, nell'inverno 1945, Anna Frank. Qui rimasero 4 mesi, dopodiché furono finalmenteliberati.Gli ebrei di Oliveto non vennero eliminati nel campo di sterminio solo perchérappresentavano oggetto di scambio con tedeschi prigionieri degli alleati.II campo di Oliveto fu chiuso nel maggio 1944.
Prelevamento di internati ebrei da parte di truppe SS tedesche, con elenco dei nominativi, 10 febbraio 1944. (ACS, Roma)
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https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0208.htm
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Qui furono internati a più riprese, tra l’aprile 1942 e la fine di settembre del 1943, 58 ebrei(appartenenti a 9 diversi gruppi familiari) di nazionalità inglese di età compresa tra 1 e 72anni (ai quali si aggiungeranno due bambini nati durante l’internamento).Furono deportati dalla Libia e cioè da Bengasi, Barca e Tripoli.Alcuni di loro provenivano da diversi campi: Civitella del Tronto (TE), Bagno a Ripoli(FI), Castelnuovo ne’ Monti (RE) e Camugnano (BO).Numerose le testimonianze degli abitanti di Bozzano che vissero quei momenti legatiall’arrivo dei deportati..“quelle persone” avevano degli strani vestiti, dei “sottanoni” e che non venivano mai inpiazza. La gente diceva di loro che erano “ebrei”, ma per un bambino questa parola nonpoteva significare molto ed era semmai assimilabile a quella di straniero. Ricordo che c’erano almeno due famiglie con molti ragazzi e ragazze. Era d’estate e questigiovani facevano un gioco piuttosto pericoloso: dal ponte sul Samoggia, facevano gare dituffi: erano robusti, di buon aspetto fisico. Passavano così i pomeriggi e noi che eravamo piùpiccoli di loro, li guardavamo. Certo che il fiume non era come adesso, c’era acquaabbondante anche d’estate. Poi ricordo che c’erano delle ragazze e che giravano sempreinsieme: erano molto belle e appariscenti e tutti in paese commentavano le loro grazie … i nostri ragazzi cercavano di conoscerle, di avvicinarle.Una ragazza di Bazzano, allora sedicenne e stava imparando a fare la camiciaia in casa dellaSig.ra Desdemona…Le loro ragazze venivano spesso da noi per farsi ricamare la biancheria. Portavano i tessuti,di ottima qualità e poi tornavano a riprenderli quando il nostro lavoro era finito…..Erano delle ragazze bellissime, con lineamenti molto affascinanti. Usavano un trucco moltomarcato che metteva in risalto i loro occhi. (Verosimilmente usavano la polvere di Khol, chesi ricava da un minerale e, una volta raffinato si mescola a polvere d’aglio che protegge gliocchi da infezioni. E’ tuttora usato in molto paesi del Nordafrica). Si, erano molto truccate eappariscenti … tipo Moira Orfei. Con bei capelli neri, ben curati. Vestivano con abiti lunghi,del tipo di quelli usati dagli arabi (Jalabiia: abiti in uso nel Mascrek e nel Magreb) edavevano un’eleganza naturale. Posso capire che i ragazzi del paese fossero attratti dallaloro bellezza esotica … Dalla qualità dei loro tessuti e dai loro abiti di ottima qualità, sicapiva che erano di famiglie facoltose. dei signori, molto eleganti, che non avevano vestiti da paesani. Erano molto distinti. Perògiravano radenti i muri, con fare molto guardingo e preoccupato. Quando domandavo ai piùgrandi chi fossero, mi veniva risposto con molta circospezione e a mezza voce: “sonoebrei…”. Dal tono e dal modo delle risposte intuivo che quelle persone avevano deiproblemi o che potevano darne. Ma io non avevo l’età per capire di più, né mi furono maidate altre spiegazioni. Di gran valore storio anche la testimonianza del Sig. Remo che all’epoca aveva 18 anni e cheera molto attivo nella Resistenza.Tra l’altro partecipò con la sua squadra al tentativo di raggiungere Bologna per promuovereil progetto di insurrezione che culminò con la battaglia di Porta Lame. Anche lui e i suoicompagni, come la squadra di Corrado Masetti (Bolero) che fu poi sterminata a Casteldebole,furono impediti nell’intento dalla piena del fiume e dovettero riparare in un casolare dicampagna.Ricordava bene gli sfortunati ebrei della “Bagantona”..In quella grande casa, che allora era in mezzo alla campagna, vivevano delle famiglieebree: almeno due. Io ero giovane ed ero attirato dalle ragazze che risiedevano lì. Eranobellissime e tutti noi giovani eravamo attratti da loro. Gli uomini erano vestiti in mododiverso da noi: portavano abiti lunghi e larghi. Certo, stavano in campagna, eravamonella bella stagione e forse così erano più comodi… Quella casa stava in mezzo ad unpodere che veniva lavorato da Francesco C. Egli aveva altri fratelli con cui aveva lavoratoin un podere più grande che si chiamava “Acqua Salata”. Poi lui si era trasferito alla“Bagantona” e si era messo in proprio. Poi, una notte, gli ebrei sparirono. Ricordo cheFrancesco era disperato e continuava a dire che il suo grande bene se ne era andato ... Il“suo grande bene”, così diceva. Credo che fosse innamorato di una delle donne cherisiedevano lì. Io lo potevo ben capire, a tutti noi era capitato di sognare un amore conquelle ragazze. Si era giovani, la vita era piena di pericoli e per reazione si pensava conmaggior intensità a far l’amore… Ma per gli ebrei la situazione, dopo l’armistizio, si erafatta davvero pericolosa. Cesare Parini, (partigiano e futuro Sindaco di Bazzano) che erail nostro comandante ce lo diceva sempre: “È meglio che questa gente trovi il modo diandare via perché altrimenti va a finire male”…
Dai rapporti redatti dalle autorità italiane a seguito delle ispezioni della legazione Svizzeraemergerebbe una condizione abitativa leggermente migliore rispetto agli altri centrid’internamento. Le condizioni sanitarie erano però critiche almeno nel primo anno del lorointernamento.La relazione nel dicembre 1942…Bazzano. Clima: dolce in estate, ma molto umido e nebbioso nell’inverno. Abitazione: Lestanze sono pulite e tutte equipaggiate con stufe dove gli internati preparano anche il lorocibo però, oltre ai letti, non vi è mobilia. Abbiamo insistito perché ogni stanza siaimmediatamente ammobiliata con un tavolo e qualche seggiola, o almenopanche. Installazioni sanitarie: Assolutamente insufficienti. Vi è solamente una ritirata che èusata da tutti gli internati di ambo i sessi e di ogni età. Detta ritirata dista 25 metri dalfabbricato. Questa situazione è intollerabile per donne e bambini come anche per gli anzianispecialmente di notte e con cattivo tempo. Vi è una ritirata nella casa; ma, dato il pericolo diinfiltrazione nel vicino pozzo dell’acqua da bere, non può essere usata. Per essere sicuri chel’acqua potabile è assolutamente incontaminata, come le autorità dichiararono, abbiamoordinato un’analisi da eseguirsi da un ufficiale sanitario. Inoltre vi è solamente un piccololavandino dove gli internati devono anche lavare i loro indumenti. Noi abbiamo richiamatol’attenzione delle competenti autorità, su queste condizioni impossibili. Abbastanza vicinoalla casa noi abbiamo trovato una capanna che potrebbe essere facilmente trasformata inlavanderia.Una relazione del Prefetto di Bologna, dott. Salerno, inviata al Ministero dell’Interno(Ministro era ancora Benito Mussolini) e alla Direzione generale di P.S. del 12 marzo 1943, aseguito della ispezione della Legazione Svizzera, per rimediare ai problemi da quelladenunciati, fu istituita dal Prefetto una piccola commissione composta dal Medicoprovinciale, da un funzionario di P.S. e dal Ragioniere capo della prefettura, incaricata diaccertare quali fossero le effettive condizioni di detti internati e quindi attuare le provvidenzeritenute necessarie per una più conveniente sistemazione di quelle comunità …..e inoltre:Per quanto riferiscesi a Bazzano detta commissione ha rilevato che pur esistendo un certoaffollamento determinato dal fatto che in appena nove camere alloggiano 50 persone, lecondizioni sono nel complesso soddisfacenti, in quanto ogni famiglia dispone di una propriacamera, oltre ai servizi in comune; la pulizia è assicurata e nel complesso gli internati sisono mostrati soddisfatti, anche perché, trattandosi di persone di ceto molto modesto, lecondizioni di vita attuale non sono affatto differenti da quelle in cui vivevano abitualmente.Nello stesso rapporto si comunicò …di aver provveduto a far riattivare la latrina interna, e «alla messa in opera di una vasca peril bucato e sono state impartite disposizioni perché sia costruita una lavanderia in un localeattiguo al fabbricato, che possa eventualmente servire anche come gabinetto da bagno….Era stata disposto per l’imbiancatura di tutti gli ambienti, la verifica dei pagliericci e dellebrande e «per la consegna immediata di tavoli e panche nel numero ritenuto necessario.In merito alla vita quotidiana degli internati la studiosa Aurelia Casagrande fece dellericerche in merito..Nonostante i rigorosi controlli e i numerosi divieti, le autorità locali assecondarono semprele richieste degli internati, quando si trattava di agevolarne le pratiche religiose. E infattiquando fu necessario provvedere alla circoncisione dei due bambini nati in loco, il podestàpermise l’arrivo a Bazzano del rabbino di Bologna. Allo stesso modo, in occasione dellaPasqua ebraica, vennero forniti agli internati gli ovini da macellare secondo la loro usanza.Agli ebrei fu inoltre permesso di allontanarsi dalla «Bagantona» per andare a lavorare inpaese. Alcuni di loro, infatti, debitamente segnalati alla Questura e sorvegliati, venneroautorizzati a lavorare chi presso la segheria di Bazzano, chi presso un elettricista, chi nellostabilimento per la lavorazione della frutta, mentre il Comune, per conto del Ministerodell’Interno, corrispondeva a ciascuna famiglia un modestissimo sussidio giornaliero pergarantirne la sopravvivenza.A Bazzano come a Camugnano, ed anche negli altri centri, ci furono dei frequenti richiamialle autorità locali, anche da parte della popolazione, per un più stretto controllo degliinternati.Internati che erano speso accusati di piccoli furti che si verificavano nelle campagne.A Camugnano fu avanzata anche la proposta perImpedire agli internati di allontanarsi per più di 50 metri dall’abitazione per tutta la duratadella stagione di maturazione delle castagne per impedirne una raccolta abusiva da parteloro.Non si sa se la disposizione fu adottata.
Dopo l’8 settembre 1943, proclamazione dell’Armistizio di Cassibile e la conseguenteoccupazione nazista, la posizione degli internati si fece molto pericolosa.A novembre furono prelevati di notte dai tedeschi e di loro non si seppe più nulla.Forse furono prima condotti a Fossoli, il campo di internamento più grande del Nord Italia eposto vicino a Bazzano. Una cosa fu certa…. Furono condotti in Germania…Le vicende furono raccontante dagli stessi ebrei che a distanza di tempi si ripresentarono.Le testimonianza sarebbero legate ai documenti dell’Archivio Storico del Comune diBazzano.Carteggio amministrativo, 1945, cat. XV, cl. 8, b. 670. - Lettera del Commissario Prefettizio del Comune di Bazzano alla Questura di Bologna (Bazzano, 21 marzo 1945): “Nel dubbio di poter recuperare tutti gli atti rimasti sotto le macerie della sede municipale semicrollata in seguito al bombardamento aereo del 26 febbraio u.s., Vi prego trasmettere copia della pratica medesima (ebrei inglesi già internati a Bazzano) onde poterne dare sollecita evasione”.- 2) Lettera di Giohra R. al Comune di Bazzano (La Bourboule, 15 settembre 1945): “La sottoscritta Giohra R. di nazionalità inglese, internata in Italia dal maggio fino all’ottobre 1943 [La signora parla di maggio, ma sappiamo che gli ebrei erano qui da almeno tre mesi prima, come attestano i certificati di nascita già citati dei due bimbi], chiedo cortesemente di volermi inviare il mio passaporto.- 3) Lettera di Isacco B. al Comune di Bazzano (La Bourboule, Hotel Continental, n. 39, 20 settembre 1945) [Chi scrive è la stessa persona della lettera n. 11]: “Il sottoscritto Isacco B. di H. di nazionalità inglese, fa sapere di quanto segue. Io e la mia famiglia eravamo internati al suddetto Comune; dopo l’armistizio del maresciallo Badoglio i tedeschi ci hanno trasferito in Germania e ci ha confiscato la nostra roba e i nostri soldi e i nostri gioielli e dopo lunghe sofferenze siamo liberare dagli americani e ci hanno trasferito in Francia ma però siamo senza nessun documento personale; prego alla spett. Comune di mandarmi il mio passaporto il più presto possibile per il fatto che non posso partire per nessun posto se io non ho il mio passaporto e di fatti sono già 11 mesi che siamo liberati, ma non ci fanno partire per il fatto del mio passaporto e prego anche di mandarmi un certificato di nascita del mio figlio Moris che nato ha Bazzano in tempo del nostro internamento, e di farci sapere se ancora esiste la rimanenza della nostra roba che abiamo lasciato alla villa Bagnatone. Prego di rispondermi e di inviarmi il mio passaporto e le carte di ricunuscimento anche quella di mia moglie. Vi ringrazio di tutto. Vi firmo con tutta la mia stima.”- 4) Lettera del Sindaco di Bazzano, Lelio Benetti, al Questore di Bologna (Bazzano 30 ottobre 1945): “Alcuni ebrei inglesi, già internati in questo Comune, poi deportati in Germania, scrivono a questo ufficio dalla Francia richiedendo i loro passaporti depositati presso questo ufficio all’atto dell’internamento. Si chiede a codesta Questura se nulla osta a che sia aderito alla richiesta”.- 5) Lettera di Salomone C. al Comune di Bazzano (Marsiglia, 8 novembre 1945): “Sapete che noi siamo in Francia dopo 5 annes de prigioniere [Perché cinque anni? Forse che le restrizioni delle loro libertà cominciarono in Libia?] vi prego che una sola cosa di mandare il nostro passaporto di Salomone C. vi ringrazio di tutto mio cuore”.- 6) Lettera di V. L. al Comune di Bazzano (Marsiglia, Centre d’Etrangers n. 2, Marsaques Campagne Colgate, 8 novembre 1945): “Io sottoscritto V. L. di U. e A. L. nato nel 1924 a Bendasi (Pirenaica) prego la S. V. di inviarle il certificato di matrimonio sposato il 14 aprile 1943 a Bazzano provincia di Bologna con la signora P. L. nata a Bendasi nel 1918. Prego vivamente la S. V. di inviarlo con sollecitudine essendo fra poco tempo rientrerà a Bendasi e avrà bisogno di presentare al Console britannico della Pirenaica il certificato di matrimonio per ottenere un passaporto. Trovandosi sprovvisto di documenti essendo stati confischiate dai Tedeschi quando ci trasportarono da Bazzano in Germana. Vivi ringraziamenti e distinti saluti”.- 7) Lettera al Consolato Generale d’Italia al Comune di Bazzano (Marsiglia, 19 novembre 1945): “Si sono presentati a questo Consolato generale i sudditi inglesi menzionati nel foglio annesso, i quali affermano che i loro passaporti e carte d’identità si troverebbero depositati presso codesto Comune. Poiché questi documenti sono necessari per permettere il ritorno dei titolari a Tripoli, si prega di voler trasmettere a questo Consolato Generale con tutta la possibile cortese urgenza”.- 8) Lettera della Questura di Bologna al Sindaco di Bazzano (Bologna, 26 novembre 1945): “Di seguito alla mia lettera del 14 corr. Per corrispondere ad analoga richiesta del Consolato Generale Inglese di Milano, pregasi trasmettere, con tutta urgenza, i passaporti inglesi richiesti dagli interessati a codesto ufficio.”- 9) Lettera del Sindaco di Bazzano, Lelio Benetti, alla Questura di Bologna (Bazzano, 6 dicembre 1945): “Con riferimento alla nota sopraindicata di codesto ufficio, trasmetto i passaporti dei seguenti ebrei già internati in questo Comune, i quali hanno fatto richiesta del documento stesso: Scialon R., Grazia R., Isacco B. Questi ex internati hanno dichiarato di risiedere attualmente all’Hotel Continental – La Bourboule – P.d. D. Francia. Allego inoltre i passaporti di altri ex internati depositati presso questo ufficio e precisamente: Oscar S., Salomon R. Isacco B. di A., David L., Ester B., nonché le carte d’identità di: Oscar S., Delly S., Scialon R., Isacco B., Zachia M., Vittorio R. di S., Vittorio R. di N., Giohra R., Beniamino R., Rina R., Lisa R., Diamantina A., Nina L. vedova S., Arbib M. in B. Pur non avendone questi fatta richiesta e non conoscendosi il loro indirizzo. Una richiesta telegrafica generica non firmata proveniente da Marzaques – Marseille fu inviata a questo ufficio di trasmettere i documenti a mezzo Console Inglese Alleato a Marsiglia al Centre d’Etrangers n. 2 – Marzaques – Campagne Colgate – Marseille”.- 10) Lettera del Consolato Generale d’Italia al Comune di Bazzano (Marsiglia, 18 dicembre 1945): “Si prega di voler dare un cortese sollecito riscontro alla lettera di questo Consolato Generale del 19 novembre u.s. con la quale si richiedeva l’inoltro di passaporti e carte d’identità appartenenti a sudditi inglesi qui in attesa di rimpatrio in Africa”.- 11) Lettera di Isacco B. al Sindaco di Bazzano (Marsiglia, Centre Languedoc n. 2 Colgate – Marzaques, 4 aprile 1946) [Chi scrive è la stessa persona della lettera n. 3]: “Io sottoscritto Isacco B. di H., di nazionalità inglese, ex internato civile di Bazzano provincia di Bologna, fa sapere quanto segue. Dopo la capitolazione d’Italia circa un mese i Tedeschi sono venuti a prenderci per trasferirci in Austria e ci hanno dato cinque minuti di tempo. Abbiamo portato con noi solamente i bagagli a mano che ci sono stati confiscati e che non ci ha restato solo quello che abbiamo lasciato alla villa Pagantone che spero che l’avete salvato. Prego a codesta autorità del Comune di Bazzano di farmi sapere qualche cosa al merito. Faccio sapere la distinta della roba che ho lasciato al Vostro Comune: - Una cassa contenente roba biancheria, ecc. - Tre materassi di lana - Uno comodo cassa contenente una macchina da cucire, due catene d’oro e uno scaffale.
In quale campo di concentramento furono deportati i 22 ebrei?Probabilmente, data la loro buona salute e costituzione furono mandati in campi di lavoroforzato e che quindi siano stati in grado di superare i 15 mesi di detenzione prima di essereliberati.L’unico interrogativo, il più drammatico, sarebbe legato alla fine dei due neonati, Moris eSasi, che nacquero nel campo di Bazzano.I campi di concentramento nazisti centellinavano la morte secondo un calcolo strumentale,inumano e crudele…. Un calcolo che eliminava subito i bambini inadatti al lavoro..Riuscirono i due neonati ad avere la protezione delle loro madri?Furono assistiti dalla “Delasen, un’associazione ebraica particolarmente attiva nella tutela deibambini internati per salvarli da un destino crudele?Nel campo di Camugnano fu internata una bambina…il suo nome,, Giulia Cohen..Quando il 30 novembre 1943 fu diramato l’Ordine di Polizia N. 5, con cui il governo dellaRepubblica di Salò ordinòl’invio in campo di concentramento di tutti gli ebrei abitanti in Italia.Una piccola parte degli internati stranieri - tra i quali anche alcuni ebrei anglo-libici - riusciràcomunque a nascondersi o a trovare provvisoria protezione presso civili italiani e araggiungere la Svizzera o gli Alleati.
Giulia Cohen rilasciò una intervista nel dopoguerra…Cohen GiuliaNata il 27 giugno 1928 a Bengasi (Libia)Località di internamento: CamugnanoDeportata a Fossoli, Bergen Belsen, VittelÈ sopravvissutaTestimonianza di Giulia Cohen.Sintesi da: Anna Pizzuti, Giulia Cohen racconta.Da Bengasi a Bergen Belsen, passando per l’Italia (1942 – 1945):la testimonianza, la storia. L'intervista è stata raccolta dal nipote, Haim Varda.
R: Io mi chiamo Giulia Cohen, figlia di Aron Cohen e Misa Rubin Sono nata a Bengasinel 1928. Ho vissuto a Bengasi fino alla guerra, fino al 1942.D: Zia Giulia, vogliamo sapere del fascismo e del tempo prima della guerra.R: I fascisti hanno obbligato gli ebrei ad aprire i magazzini e i negozi nel giorno del sabatoe noi eravamo molto religiosi. E hanno detto che tutti gli ebrei dovevano aprire i negozi,per legge. Se non li aprivano avrebbero avuto molte punizioni.D: E un’altra cosa: le scuole?R: Nelle scuole bisognava andare ogni giorno, anche il sabato. Era nel tempo di ItaloBalbo sì che hanno fatto queste leggi? Sì.D: Adesso vogliamo sapere come voi avete [reagito] a questi ordini. Prima c’eraamicizia con gli italiani e poi è cambiato così. La famiglia come ne ha parlato?R: Era molto, come si dice triste, molto triste, preoccupata, per noi lavorare il sabato èmolto male, per la nostra religione, sì.D: Ma voi come avete fatto?R: Mio padre ha messo nel negozio uno di noi, bambini, non poteva vendere, lavorare,solo stare così: non vendere, non toccare.D: Zia Giulia, ora sul periodo quando i fascisti cominciarono a fare le leggi contro gli ebrei, che cosa è [accaduto], cosa erano?R: Nel 1938 hanno detto che gli ebrei non potevano andare a scuola.D: Che cosa avete capito, perché prima avete molto amici con gli italiani e con arabi,come avete [reagito a] questo?R: Noi non abbiamo saputo perché, cosa successe. In questo tempo [avevamo] moltapaura.D: Avete, dal 1938 fino al 1941, vissuto con [queste leggi dei] fascisti: come avetevissuto, in questo tempo?R: Questi tre anni prima di tutto erano anni molto difficili perchè è cominciata la guerra etutte le notti [venivano] degli aeroplani per bombardare e noi abbiamo avuto paura.Volevamo andare nei rifugi ma non era possibile con tutta la famiglia, piccoli, grandi,vecchi. [Finalmente] vengono gli inglesi e noi abbiamo molto piacere, siamo contenti chesia finita la guerra . Dopo che gli inglesi sono andati via da Bengasi, come si dice, [in]ritirata, mio padre è partito con loro, è andato in India. Molta gente da Bengasi è scappatacon gli inglesi.D: E non aveva paura per la famiglia?R: Lui credeva che, forse, prendevano solo gli uomini.D: E come come vi hanno detto che bisognava andare [in Italia]?R: Una persona che era responsabile per la Comunità è venuta e ha detto: “Domanimattina dovete essere preparati tutti”D: Allora un giorno all’altro dovevate essere pronti.R: Mia sorella era molto malata, l’hanno presa dal letto e noi eravamo otto bambini e lamamma, senza il padre.D: Dove siete arrivati prima?R: Due giorni siamo stati nella strada, in camion, una notte abbiamo dormito nel camion.Siamo arrivati a Tripoli. A Tripoli hanno messo tutta la famiglia in carcere. Circa per tremesi siamo stati a Tripoli. In questo carcere c’erano molti ladri, criminali, era moltosporco, non avevamo il mangiare, vestiti, niente eravamo in situazione minimale.D: E dopo tre mesi a Tripoli?R: Dopo tre mesi siamo partiti in nave, sì.D: Chi vi ha detto che bisogna partire, chi è venuto a dire, italiani?R: Sì italiani.D: E siete partiti da Tripoli per …?R: La Sicilia e dopo in treno fino a Bologna.D: E a Bologna cosa è successo?R: Niente a Bologna. Da Bologna [siamo andati a] Camugnano, piccolo villaggio.D: Siete arrivati la notte o la mattina? Siamo arrivati alla notte e loro: chi arriva, chiarriva? Loro non sapevano niente di noi.D:E quando siete arrivati dove avete dormito?R: Noi eravamo in una casa a Camugnano, una piccola casa era e noi eravamo 44persone (44 persone!!!) 20 bambini, siamo stati tutti insieme.D: Quante camere?R: Questa casa era molto piccola, noi eravamo la famiglia più grande e noi abbiamo avutouna grande stanza.D: Gli abitanti vi hanno ricevuto bene?R: Loro non sapevano da quale parte noi venivamo, credevano che noi eravamo africani.Ma dopo un giorno, due giorni sono venuti da noi con la musica, hanno fatto come unagrande – come si dice – gioia. Erano molto felici con noi. Uno aveva un acordion[organetto]e ha fatto musica e abbiamo ballato con i cittadini.D: Giulia, adesso tu mi racconti un po’ come è finito Camugnano, come è successo.R: Eravamo a Camugnano da quasi due anni, un giorno sono venute due automobili.Loro hanno detto: adesso tutti andiamo, venite tutti e hanno preso pistole e hanno detto:nessuno farà niente, venite fuori. Io e mia mamma siamo andate nella camera di bagnoper cambiare i vestiti. Lui era un uomo un soldato con la pistola: andate fuori non fateniente. Io ho [messo i miei ] vestiti uno [sull’]altro e anche la mia mamma. Noi abbiamoavuto due vestiti, siamo molto ricchi. Gli altri hanno solo un vestito. Siamo andati con lorocon due automobili piccole [camion?], non grandi, eravamo 44 persone, tutti insieme,come sardine. Siamo andati da Camugnano a carcere a Bologna.D: E come era questo carcere?R: In ogni camera eravamo quasi 10, 12 persone.D: Che cosa era prima questo carcere, un convento?R: Credo che [si chiamasse] San Donato [in realtà era il carcere giudiziario di SanGiovanni in Monte]. C’era una camera, c’erano suore. Suore, sì, suore ci hanno chiusodentro una camera.L'intervista si interrompe a questo punto della storia. Giulia non se l'è sentita diraccontare il successivo trasporto a Fossoli e al lager di Bergen Belsen, da dove fu infinetrasferita al campo di internamento di Vittel, in Francia, e lì liberata nell'estate del 1944.
A sinistra – Rachel Messika, assassinata nel campo di concentramento di Giado all'età di 50 anni. Dagli archivi fotografici e cinematografici di Yad Vashem
Campo di concentramento di Renicci (Frazione di Motina) Anghiari (Arezzo)Roberto Monticini
Il campo di Internamento di Renicci (“Campo Internamento fascista e badogliano n. 97”)era posto nella frazione di Motina (Comune di Anghiari). Con il numero 97 era gestitodall’Amministrazione Militare, numero 3200 di Posta Militare, e da quella Civile con ilnumero 54.
Nell’estate del 1941 la costruzione del campo fu affidata all’impresa dell’architetto G. BerniI prigionieri giunsero a Renicci dai campi di Arbe (Rab ), un'isola a sud di Fiume nel golfodel Quarnaro (Carnaro), di Gonars (Udine) e di Chiesanuova (Caserma Romagnoli)(Padova). Il campo di Gonars (vicino a Gorizia) era uno dei campi italiani più feroci eterribili, dove, per le pessime condizioni del lager, morirono più di quattromila e cinquecentopersone, con una media di dodici decessi al giorno, soprattutto tra vecchi e bambini. Altrocampo terribile era quello di Arbe. I prigionieri, giunti alla stazione di Anghiari, venivanoincolonnati e dopo un percorso di 4 km (a piedi) raggiungevano il campo di Renicci.
Il 10 ottobre 1942 arrivarono i primi deportati a Renicci ma i lavori nel campo non eranoancora stati ultimati. Molti prigionieri dormirono nelle tende montate dagli stessi prigionieri.scarso il vitto e molti si nutrirono di ghiande.A metà dicembre gli internati erano 3.884, sorvegliati da 450 militari e carabinieri.Il campo era una prigione ed i prigionieri erano in gran parte sloveni, della provincia diLubiana, in attesa di “sentenza”.Non erano prigionieri di guerra ma in gran parte antifascisti o presunti tali.Oltre agli sloveni c’erano anche dei croati, qualche serbo e montenegrino, alcuni albanesi egreci.A questi, come vedremo, si aggiungeranno molti anarchici.C’erano anche una trentina di ragazzi compresi fra i 14 e i 17 anni.Circa centocinquanta persone morirono durante la loro permanenza a Renicci. Basterebbe ildrammatico appello giunto da Renicci nel novembre del 1942:Ora che siamo qui da sei settimane, dunque quasi quaranta notti sotto le tende, col tempopiovoso e freddo per coloro che non hanno abiti, la situazione è piú grave. Le baracche perora non sono abitabili, soltanto due verranno assegnate ai bambini e agli ammalati. Sonopavimentate in cemento, non abbiamo uno spaccio, tutto ciò può ben illustrare le doloroseconseguenze che lasceranno il freddo e la fame.La gente letteralmente muore al cospetto di tutti, gli internati si spengono come lumicini senza olio.I morti nel campo erano messi sotto una tenda, fuori dal reticolato, nell'attesa che un militaredel posto sistemasse le casse, costruite con le assi in legno delle cassette di frutta. Lo stessopodestà di Anghiari, Talete Bartolomei, lamentò, in una lettera al comando territoriale diFirenze, cheil cimitero di Anghiari non riesce a ospitare tanti morti.Malgrado i pochi mesi d'esistenza, in questo campo la mortalità fu molto alta; centinaia dislavi furono sepolti nel cimitero di Micciano d'Anghiari che divenne ben presto insufficientea contenere tutte le salme che vennero quindi inumate nel cimitero comunale di Anghiari.
Anche attraverso attente ricerche da parte di studiosi, non fu possibile accertare quandodetenuti passarono da Renicci. Una stima parlerebbe di circa 10.000 internati in appena 11mesi di vita del campo.Era un grosso campo recintato da filo spinato e torrette di sorveglianza, suddiviso in tredistinti settori, separati gli uni dagli altri da reti metalliche: due sezioni erano per gli slavi,la terza per gli italiani. La guarnigione di guardia era composta da cinquecento armaticomandati dal tenente colonnello di fanteria Giuseppe Pistone, coadiuvato dal comandantedei carabinieri Tronci. Tra luglio e l’agosto del 1943, con la caduta del fascismo e l’avvicinarsi delle truppe alleate,a Renicci vennero trasferiti 234 confinati politici provenienti dalla colonia di Ustica ed altrecentinaia di confinati ed anarchici dalle colonie di Ventotene e Ponza.
Elenco di internati politici provenienti da Ustica. (ACS)nel campo di Renicci
Erano in gran parte anarchici e comunisti che il governo Badoglio decise di non liberarecome invece aveva proceduto con tutti gli antifascisti.I detenuti presenti nel campo salirono a 3.620 e il corpo di guardia a 500 uomini.Con l’arrivo dei prigionieri politici, l’atmosfera nel campo muto ed iniziarono delle fortiproteste, scioperi della fame e dimostrazioni.Dopo l’8 settembre l’atmosfera si fece sempre più tesa. Molti militari di guardia fuggirono edaltri sbandati giunsero nel campo.Gli internati si rifiutarono di presentarsi all'appello quotidiano. La sera del 9 settembre ci fu una sparatoria con quattro feriti ed un detenuto ucciso e gliinternati ed i confinati politici cominciarono ad essere rilasciati.Tutti temevano l’arrivo dei tedeschi con il rischio di essere, compresi i militari, deportati inGermania.Il sabato pomeriggio del 14 settembre 943 giunsero nel campo, forse casualmente, treautoblindo tedesche.I militari di presidio del campo si diedero alla fuga e gli internati, rendendosi conto che nonc’era alcuna vigilanza, fecero crollare il cancello e fuggirono verso le montagne che separanola Valtiberina dall’Adriatico.Un internato fu ucciso da una guardia mentre tentava di scavalcare il reticolato; un ragazzoche aveva tentato la fuga fu ripreso e picchiato duramente.Fuggì un notevole numero di prigionieri, all'incirca quattromila. Dopo l'allontanamento deitedeschi (nel tardo pomeriggio del 14 settembre 1943) il campo fu assalito e saccheggiato daalcuni militari e da persone del posto. Portarono via tutto: viveri, coperte, lenzuola, carte,fotografie, quasi a voler cancellare tutto.Numerosi ex-prigionieri del campo di Renicci entrarono nelle file partigiane operandosoprattutto nell’Appennino Tosco-Marchigiano.Perché i tedeschi non deportarono i prigionieri? Perché permisero che i detenuti fuggissero?Al contrario di Urbisaglia, Civitella del Tronto, Alatri, dove gli internati furono portati versocampi di concentramento tedeschi. Tutto restò avvolto nel mistero. Renicci fu, con LeFraschette, tra i campi dove la vita fu più dura e terribile.In novembre il campo fu riaperto e messo a disposizione della questura di Arezzo. Vi eranointernati civili fermati per motivi politici e il centro venne gestito dalla milizia fascista.Successivamente diventò un centro di raccolta di residuati bellici. Il 27 luglio del 1946avvenne un'esplosione che causò la morte di due uomini. Entro la fine del '46 gran parte dellemunizioni furono fatte brillare vicino al Tevere.Nel 1973 fu costruito a San Sepolcro un museo della Resistenza anche a ricordo dellevittime. Episodi di violenza, di uccisione sono finiti nel dimenticatoio.
Campo di Renicci, estate 1943, internati al lavatoio (fonte www.cnj.it )
Angela Crociani e Beppone Livi,partigiani che organizzarono il soccorso agli internati fuggiaschi di Renicci.(Foto archivio privato famiglia Draghi, Anghiari)
Il colonello Pistone, comandante del Campo di Renicci(Fonte: www.storiememorie.it)https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2015/12/foto-5.jpg
NotaMa quando iniziò formalmente la colonizzazione?La colonizzazione iniziò formalmente nel 1913 con l'istituzione dell'Ufficio Fondiario ,che aveva il compito di assegnare terreni ai potenziali coloni italiani.Inizialmente, l'Ufficio Fondiario diede per scontato che tutti i terreni incolti fossero proprietàprivata e assegnò ai coloni solo terreni pubblici. Tuttavia, il 18 luglio 1922, il governatoreitaliano della Libia, Giuseppe Volpi (che in seguito avrebbe ordinato la Riconquista dellaLibia), emanò un decreto che dichiaravatutti i terreni incolti di pubblico dominio, aumentando di dieci volte la quantità di terradisponibile per i coloni italiani.Ulteriori decreti emessi causarono la confisca di terreni di proprietà dei ribelli o di coloro cheli aiutavano, nel tentativo di reprimere il dissenso.Nel 1928, de Bono (successore di Volpi) emanò sussidi e crediti aggiuntivi per aiutare adattrarre più coloni. Nonostante queste misure, i tassi di immigrazione italiana furono moltopiù bassi di quanto il governo si aspettasse, con poco capitale investito in terre libiche.Quando Omar Mukhtar fu giustiziato e i ribelli sconfitti, molte idee di progetti di operepubbliche e infrastrutturali poterono finalmente essere intraprese, oltre ai progetti direinsediamento. In effetti, tutti questi progetti richiedevano manodopera. Era la regioneperfetta per il tipico povero patriota italiano.Nel 1934, la Tripolitania e la Cirenaica furono unite per formare una provincia con sede aTripoli. Quattro anni dopo, Mussolini avrebbe dichiarato la Libia parte integrante del Regnod'Italia, formando la diciannovesima regione del paese, soprannominandola La Quarta Sponda d'Italia .
Mussolini, che fu imprigionato nel 1911 per le sue critiche all'invasione italiana iniziale,aveva visitato la Libia tre volte: nel 1926, nel 1937 e nel 1942. La sua visita del 1937 fu perinaugurare quello che fu descritto come il più grande progetto di lavori pubblici in Libia,la strada litoranea (autostrada costiera) lunga 1.132 miglia, che correva dal confine tunisino a quello egiziano. Sebbene gli italiani insistessero sul fatto che servisse solo a migliorare il turismo nellaregione, i contemporanei videro il valore militare strategico di tale strada. In effetti, questastrada si rivelò cruciale per la vittoria sul fronte nordafricano della seconda guerra mondiale(e più di recente, della guerra civile libica). La stampa in Italia la salutò come un'impresa diingegneria italiana, nonostante fosse stata costruita sulle spalle dei lavoratori libici.Due grandi ondate di immigrazione si verificarono negli anni '30; una nell'ottobre 1938 el'altra nel 1939. Entrambe furono organizzate dal governatore italiano Balbo, che guidò unconvoglio di circa 10.000 italiani in Libia nel 1938 e altri 10.000 l'anno successivo. Il suopiano era di insediare 20.000 coloni all'anno per cinque anni, con l'obiettivo finale diraggiungere i 500.000 coloni entro il 1950.In quello che potrebbe essere visto come un precursore delle reazioni contro l'immigrazioneebraica nella Palestina britannica, l'immigrazione italiana suscitò risentimento e proteste nelmondo musulmano, con agitazioni contro di essa che apparvero fino a Baghdad.Un maggiore sostegno ai coloni emerse sotto forma della corporazione agricola Ente, cheavrebbe dovuto attrarre gli agricoltori. Utilizzando terreni confiscati, i coloni (che alla finedegli anni '30 erano 50.000) lavorarono in 2.000 fattorie. Entro il 1939, gli italianicostruirono 400 chilometri di nuove ferrovie e 4.000 chilometri di nuove strade. Fino al1940, fu persino organizzato annualmente un Gran Premio di Tripoli, mentre gli archeologiitaliani riportarono in luce l'insediamento fenicio in rovina di Leptis Magna e inviaronoreperti ai musei della terraferma.
Molti dei coloni erano poveri, ma in genere stavano economicamente meglio dellapopolazione nativa libica. I libici, per lo più poveri, erano risentiti per lo sviluppo italiano,ricordando ancora il genocidio virtuale da loro commesso. Fu solo nel settembre del 1933che i campi di concentramento furono finalmente chiusi, e lasciarono un tributo orribile.40.000 dei 100.000 internati totali morirono nei campi. Sebbene i libici fossero risentiti pergli stranieri, la propaganda italiana ritrasse una storia molto diversa. Nella visita di Mussolinidel 1937, dichiarò che la Libia era"moralmente e profondamente italiana",e i musulmani di Tripoli lo accolsero chiamandolo"il più grande uomo del secolo e un sincero amico dell'Islam".Gli fu persino conferita la "Spada dell'Islam" (una spada fiorentina con una storia inventata)e fu dichiarato "Protettore dell'Islam".Per i libici nativi, la vita non era facile. Tutti i libici, di qualsiasi fede, dovevano fare il salutofascista. La maggior parte dovevano indossare camicie nere durante la visita di Mussolini aTripoli nel 1937. E nel tentativo di diffondere le meraviglie del fascismo, il governo italianoordinò la formazione di un gruppo fascista per i giovani libici, la Gioventù Araba (Gioventùaraba), modellata sull'Opera Nazionale Balilla italiana .Nel 1939, gli italiani permisero ai libici di richiedere la Cittadinanza Italiana Speciale,relegando di fatto i libici a cittadini di seconda classe. All'epoca, ai libici non era consentitolavorare professionalmente in lavori che coinvolgessero subordinati italiani. Detto questo,sembrava improbabile che si trattasse comunque di un grosso problema, dato che ben prestonel paese c'erano solo 16 laureati universitari libici. Tutto sommato, anche se l'occupazioneitaliana portò a significativi miglioramenti nelle infrastrutture e nella produzione agricola,lasciò dietro di sé una popolazione libica nativa che non era qualificata e in gran parteignorante, mentre il paese era privo di istituzioni politiche efficaci. Gli effetti di ciòsarebbero stati evidenti nei decenni successivi.Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, il piano di Balbo andò in frantumi. Lamaggior parte dei combattimenti avvenne nelle fattorie assegnate ai coloni. Nel 1941, eranorimasti solo 8.426 coloni. Nel giro di un anno, questo numero si dimezzò. Dopo la fine deisussidi e del sostegno governativo, i coloni abbandonarono la Libia. Le forze alleateoccuparono la Libia nel 1943. La Libia avrebbe dichiarato la sua indipendenza nel dicembre1951.
La resistenza libica portò ad un genocidio. Si parlò della morte di 83.000 libici ma fu uncifra largamente sottostimata. Circa 70.000 civili delle aree rurali (per lo più donne,bambinied anziani) morirono di fame e di malattie.Questa deliberata politica di uccisioni di massa e carestia organizzata cercò diannientare unintero popolo e una cultura. Fu seguita da una campagna di successo contro la memoriastorica: una campagna sistematica per cancellare qualsiasi documento storico , poiché ilgoverno fascista italiano soppresse le notizie sul genocidio e distrusse prove materiali estoriche.Questa amnesia collettiva orchestrata sarebbe continuata ben dopo la fine dell'Italiafascista nel 1943 e forse ancora oggi.Una verità nascosta anche nei libri di storia dove per il genocidio in Libia si dovrebbecreare un collegamento con l’Olocausto.Ci sarebbero delle testimonianze in merito che dovrebbero fare riflettere.Le pubblicazioni in lingua, sponsorizzate dall’Italia nel periodo coloniale, rilevaronodiverse visite in Libia da parte di funzionari nazisti tedeschi chepercepivano e studiavano i metodi di insediamento dei fascisti italiani come "riusciti".
In una visita ufficiale a Tripoli nell'aprile del 1939, il feldmaresciallo nazista HermanGoring incontrò il governatore generale coloniale italiano della Libia, Italo Balbo,succeduto a Pietro Badoglio.Secondo Ahmida…Badoglio fu l'architetto dietro il piano originale di mettere le persone nei campi diconcentramento con lo sterminio in mente". Il capo delle SS Heinrich Himmler fece una visita ufficiale in Libia nel 1939 per vedere dipersona i risultati sui campi di concentramento.Continuò tristemente a istituire i campi di sterminio nazisti e concepì l'idea della SoluzioneFinale: l'Olocausto.
Lo stesso Ahmeda mise in evidenza la mancanza di studi storici sull'argomentodell'imperialismo italiano e l'estrema violenza da esso messa in atto per sottomettere lepopolazioni locali nelle colonie. L'estrema violenza perpetrata contro i libici dai fascisti italiani divenne un modello per ciòche i nazisti tedeschi avrebbero finito per fare sul suolo europeoLo stesso autore mise in evidenza il netto contrasto con l'abbondanza di studi sul fascismo.Un aspetto spiegato attraverso il concetto del mito popolare della “brava gente”….”gliitaliani sono essenzialmente brave persone e quindi incapaci di commettere atrocità comealtre potenze imperiali, o persino altre forme di fascismo. È come se i fascisti italiani non potessero essere presi sul serio come il partito nazista inGermania. Persino Mussolini è spesso raffigurato come un buffone , un pagliaccio o unbanale dittatore, piuttosto che come una manifestazione di una pericolosa minacciaideologica da parte di un movimento politico basato sul primato della violenza e dellaconquista. Tuttavia, i nazisti tedeschi erano lungimiranti sulla natura del fascismo italiano findall'inizio. L'estrema violenza perpetrata contro i libici divenne un modello per ciò cheavrebbero finito per fare sul suolo europeo. Le loro visite sul campo in Libia furonoseguite da libri, conferenze e seminari sull'esperienza coloniale italiana sia in Libia che inAbissinia (Etiopia), dove gli italiani portarono avanti una campagna simile di estremaviolenza .Questi fatti storici furono significativi per stabilire una connessione tra il genocidiocoloniale e l'Olocausto. Gli studiosi del genocidio e i lettori furono costretti ad affrontarel'Olocausto da una nuova prospettiva: la storia genocida della Germania nazista erafortemente correlata a quella dell'Italia fascista: le due erano inestricabilmente legate enon potevano essere pienamente comprese senza l'altra. In effetti, prima di Auschwitz e di altri campi di sterminio, c'erano i campi diconcentramento fascisti italiani di El Agheila , Slug, Braiga e Magrun (i campi diconcentramento erano 19).
Ahmida sostenne che"l'intera teoria costruita del genocidio in Europa è miope e falsa".L'idea di un fascismo moderato italiano è ancora una narrazione ampiamente accettatadell'eredità di Mussolini , e il caso della Libia rimane assente anche dai libri più recentisul genocidio dimenticato.Tuttavia, la storia orale e le testimonianze dei sopravvissuti dei campi riuscirono a colmarequesta lacuna storica. Questa parte della storia della Libia, scoperta solo di recente, è stata sistematicamentemessa a tacere dai colonizzatori fascisti, i cui effetti persistono ancora oggi attraversol'amnesia autoinflitta e gli approcci orientalisti che hanno permeato la conservazione degliarchivi storici. https://www.middleeasteye.net/opinion/libya-italy-fascism-colonial-past-forgotten-genocide
Ettore Muti, nato Muty
(Ravenna, 22 maggio 1902 – Fregene, Fiumicino, Roma, 24 agosto 1943)
Ettore Muti con l'uniforme da Luogotenente generale della MVSN
(Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale)
(Ravenna, 22 maggio 1902 – Fregene, Fiumicino, Roma, 24 agosto 1943)
Ettore Muti con l'uniforme da Luogotenente generale della MVSN
(Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale)
Il 24 agosto del 1943 Ettore Muti, ex segretario del Pnf (Partito Nazionale Fascista), fuprelevato dalla sua abitazione dai Carabinieri.Il Motivo dell’arresto?Carmine Senise, capo della polizia (dal 20 novembre 1940 al 14 aprile 1943 e dal 26 luglio1943 al 23 settembre 1943), riportò nelle sue memorie gli avvenimenti.Il generale Giacomo Carboni, ex direttore del Servizio informazioni Militari (SIM) (dalnovembre 1939 al settembre 1940), dopo la ceduta del fascismo (25 luglio 1943) rilevò almaresciallo Pietro Badoglio un complotto di fascisti e di tedeschi per effettuare un attacco suRoma programmato per il 28 agosto.Fu dato l’ordine di arrestare alcune importanti personalità del passato regime fascista…
I Carabinieri si presentarono perciò a Fregene dove Muti, rientrato dalla Spagna dopo il 25luglio, abitava in un villino insieme a un'amica. Secondo la versione ufficiale dei CarabinieriMuti cercò di fuggire e fu colpito a morte.A seguito dell'accertamento di gravi irregolarità nella gestione di un ente parastatale, nellequali risultava implicato l'ex segretario del P. N. F., Ettore Muti, l'Arma dei Carabinieriprocedeva nella notte dal 23 al 24 corrente [agosto] al fermo del Muti a Fregene. Mentre losi conduceva alla caserma sono stati sparati dal bosco alcuni colpi di fucile contro la scorta.Nel momentaneo scompiglio egli si dava alla fuga ma,inseguito e ferito da colpi di moschetto tirati dai carabinieri, decedeva.I particolari della vicenda non furono mai chiariti.Il Muti fu condotto nella vicina pineta di Fregene e lì brutalmente assassinato.Chi furono i mandanti dell’omicidio?Soltanto quattro giorni (19/20 agosto) prima il maresciallo Pietro Badoglio aveva inviato alcapo della Polizia Carmine Senise un biglietto dal tono inquietante..:Muti è sempre una minaccia. Il successo è solo possibile con un meticoloso lavoro dipreparazione. Vostra eccellenza mi ha perfettamente compreso.Un caso? Ma pochi giorni dopo lo stesso Badoglio annunciò la firma dell’Armistizio diCassibile con gli angloamericani.
Nel settembre ’43, appena dopo un mese dalla morte del Muti, la propagandafascista lo presentò a Roma come un martire e gli fu dedicata una piazza. Nel dicembre 1944 fu diffusa la notizia dell'esistenza di un biglietto, di cui lo stessoCarmine Senise (capo della polizia) non escluse in assoluto che potesse davvero essere statoscritto da Badoglio, ma riferìdi non ricordare di averlo ricevuto e che se lo avessi veramente era da intendersi in altro modo,Un biglietto nel quale Muti era indicato come «una minaccia» e che avrebbe costituitoun'indicazione di ucciderlo.
Il Muti era una figura pericolosa, ingombrante per vari motivi.Per i suoi grandi meriti di soldato e di aviatore che gli avevano permesso di ottenetegrandi riconoscimenti al valore militare, rappresentava la figura del vero fascista ecioè incorruttibile, ligio al dovere, per nulla propenso ai compromessi e alle soluzionidi comodo.Mussolini si rese conto della forte personalità e valore del Muti e, si consiglio diCiano, gli affidò (nell’aprile 1939, subito dopo la campagna d’Albania), la presidenzadel PNF.Il Muti affrontò il nuovo impegno politico con impegno a tal punto da proporre nuoveiniziative per un possibile rilancio del partito.Un partito che doveva essere smantellato e ricostruito su basi nuove cercando dieliminare le vecchie presenze del passato legati ad aspetti clientelari.Per questo motivo si circondò di uomini fidati, soprattutto compagni d’armi emilitari.La sua azione riformatrice ben presto si fermò e tornò sul campo di battaglia con ilsolito grande entusiasmo.Il 25 luglio 1943 ci fu la caduta del fascismo e il Muti, come altri gerarchi fascisti.Giurarono fedeltà al Re e al muovo governo (Badoglio).Il Badoglio, almeno all’inizio, ebbe dei buona rapporti con il Muti tanto da affidarglidelle missioni.Questo fu un privilegio dato che almeno un migliaio di fascisti furono imprigionati.Ma quali missioni il Badoglio affidò al Muti?1) Il Muti aveva dei buoni rapporti con gli ufficiali tedeschi e il Badoglio gli affidòquindi il compito di capire le loro intenzioni militari specialmente dopol’allontanamento del Duce;2) La seconda missione fu quella di cercare di convincere la divisione corazzata“Camice Nere”, di stanza a Bracciano, di eliminare dalle mostrine la lettera “M” (chestava per Mussolini). Questo incarico, data anche il suo passato fascista, fu rifiutatodal Muti.
Come mai successivamente il Muti fu considerato un pericolo o una minaccia per ilsuo governo nel periodo post fascista?Dopo la caduta del fascismo e con la nascita del governo Badoglio, la situazione inItalia era drammatica. Gli alleati continuavano a bombardare le città (drammatici ibombardamenti de 5 agosto a Napoli e del 15 a Milano) falciando migliaia di vittimecivili. La popolazione cominciò a manifestare un grande senso d’insofferenza e digrave preoccupazione. I civili si erano illusi che , con la caduta dal fascismo, lasituazione sarebbe migliorata con una cessazione delle ostilità.Un pensiero del tutto sbagliato perché il nuovo governo era incapace di adottareprovvedimenti idonei. Il nuovo governo militare, con i suoi provvedimenti, avevafinito con il fomentare gli animi.Il Badoglio era in uno stato mentale di totale confusione perchéDa un lato riaffermava la fedeltà all’alleato tedesco,mentre dall’altro tesseva una nascosta tela per cercare digiungere ad un accordo con gli anglo-americani.Uno stato di confusione totale che venivano pagato acaro prezzo dai civili. Ci furonodei disordini a Milano, Torino, Reggio Emilia, Genova, La Spezia, a Trieste e a Bari.La gente, un po' dappertutto manifestò la sua preoccupazione.Le forze dell’ordine reagirono più volte nei disordini sparando sui manifestanti ecausando molte vittime.I vertici militari pensarono di ripristinare il vecchio “status”.Come? Riportando sulla scena politica Mussolini e il fascismo e quindi instaurare ilgoverno in grado di porre fine ai disordini, alle proteste ed anche alla confusioneideologica.Riproporre una “marcia su Roma” che avrebbe avuto la preziosa collaborazione deitedeschi.Un’azione proposta e condivisa da persone fidate e di gran carattere e fedeltàmilitare.L’aviatore Ettore Muti, grande uomo di guerra e dal passato fascista, era uno deiprofili adatti nell’esecuzione del piano che naturalmente prevedeva la caduta delgoverno Badoglio.Il capo della polizia Senise lo aveva infatti inserito in una lista di militare che agivanoper un colpo Stato.Un altro aspetto di grande importanza era legato alla considerazione che il Muticonosceva molto bene l’ambiente spagnolo per aver svolto in Spagna numeroseazioni militari.Dopo la caduta di Mussolini, gli emissari del governo Badoglio, nella seconda metàdel 1943, aveva avviato nella penisola Iberica, delle trattative con gli angli americaniper fare uscire l’Italia dal conflitto.Il Muti, grazie alle sue forti amicizie spagnole e portoghesi, era riuscito ad avere deidocumenti importanti e compromettenti che rilevano il gioco ambiguo italiano?Un aspetto inquietante e sufficiente nel decretare la soppressione dei Muti dato che neera a conoscenza.Infatti un aspetto strano fu che il Muti, prima della sua uccisione, alcuni mesi primafu inviato dal SIA (Servizio Informazione dell’Aeronautica) in missione proprio inSpagna.La missione era legata al recupero del radar di un velivolo americano che eraprecipitato nel territorio spagnolo. Un’apparecchiatura molto importante per la suafunzione tecnica nelle operazioni navali ed aeree.Fu questo il vero motivo della missione in Spagna del Muti?Fu eliminato per il buon esisto delle trattative tra italiani ed anglo americani cheporteranno nella firma dell’Armistizio di Cassibile del 3 settembre 1943?Il 25 agosto 1943 l’agenzia Stefano fece un comunicato…A seguito di accertamento di gravi irregolarità nella gestione di un ente parastatale,nel quale risultava implicato l’ex segretario del partito fascista Ettore Muti, l’armadei Carabinieri procedeva nella notte dal 23 al 24 agosto corrente al fermo del Mutia Fregene. Mentre lo si conduceva alla caserma sono stati sparati dal bosco colpi difucile contro la scorta. Nel momentaneo scompiglio egli si dava alla fuga mainseguito e ferito da colpi di moschetto tirati dai Carabinieri, decedeva.Questa versione fu riportata nel rapporto del tenente Taddei, cioè l’ufficiale che fuincaricato dell’arresto dei Muti.Perché l’arresto di un alto e valoroso ufficiale dell’Aeronautica con un così grandespiegamento di forze militari e soprattutto in piena notte?Un arresto sulla base di presunte irregolarità nella gestione di un ente parastatale.Quella sera Ettore Muti indossava un berretto che entrò in possesso dei familiari. Nelberretto si trovavano due fori provocati dai proiettili.Un foro (d’entrata) si trovava in corrispondenza della nuca e il foro (d’uscita) sitrovava invece sulla visiera.
Tutto questo lascia supporre che il colpo sia stato sparato da una distanzaravvicinata e non durante un tentativo di fuga, come recitava il rapporto. Si eratrattato, in parole povere, di una vera e propria esecuzione. Muti era statofreddato con il classico colpo alla nuca.Uno dei Carabinieri, che quella sera partecipò all’azione, tale Antonio Contiero,interrogato in seguito da alcuni esponenti della Repubblica Sociale non ebbedifficoltà ad ammettere che si trattò di un omicidio.Le altre persone, che si trovavano all’interno della villa in quei tragici momenti, nonebbero il coraggio di parlare e raccontare la verità dei fatti.Uno di essi, tale Roberto Rivalta, vecchio amico di Ettore Muti, che quella seradormiva alla villa, raccontò di aver visto un uomo vestito con una tuta color kaki,sulla quarantina, basso, stempiato, con una forte inflessione napoletana che, almenosecondo l’inchiesta condotta dai giudici di Salò, sarebbe stato l’esecutore materialedel delitto. Il Rivalta, però, venne subito messo in condizioni di non nuocere. Prima,infatti, fu condotto a Regina Coeli e lì tenuto in carcere per qualche tempo.Riacquistata la libertà se ne tornò a Ravenna dove, poco dopo, fu trovato cadaverecon il solito colpo alla nuca. Un altro omicidio, quindi, restò impunito.Ma di lì a breve ciò diventò una prassi tristemente diffusa e consolidata. In Italia eraormai iniziata la guerra civile. Dopo l’armistizio la figura di Muti, fu ampiamente celebrata nella RepubblicaSociale Italiana che a lui intitolò:La Squadra di Bombardamento Ettore Muti: reparto dell’Aviazione NazionaleRepubblicana.Il battaglione Ettore Muti della Brigata Nera Mobile Achille Corrao, nel ravennate.La Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, costituitasi a Milano il 14 settembre 1943,reparto che fu impegnato principalmente in brutali azioni di repressione dellaresistenza partigiana.Ettore Muti fu seppellito nella sua città di Ravenna e la sua tomba fu oggetto sempredi commemorazione da parte di organizzazioni di destra e dell’Associazione degliArditi d’Italia per ricordare l’anniversario della sua morte. Queste cerimonieprovocarono le reazioni delle forze antifasciste e nel 2026 il sindaco di Ravenna(Michele de Pascale) inviò una lettera al Prefetto chiedendo la soppressione dellamanifestazione in ricordo dell’anniversario. Altri sollecito in merito giunsero ancheda parte di vari parlamentari.Il 12 giugno del 2017 l’Associazione Nazionale degli Arditi d’Italia denunciò un attodi vandalismo alla tomba del Muti con la scomparsa della lapide.Sfregiare la memoria di un combattente è l’atto più riprovevole che si possacommettere, indigna non solamente noi giovani depositari della storia che fu, masoprattutto l’anima di chi, tra i combattenti della Repubblica Sociale, ancora oggivive di quei alti ideali a difesa della Patria.Pochi giorni dopo, un’altra comunità di destra, il gruppo Fortezza Identità Tradizione,depose una corona sulla tomba di Ettore Muti e poco dopo venne collocata anche unanuova lapide. Nella corona era scritto..“La Luce degli Eroi splende sulla miseria dei Vili”.La famiglia di Ettore Muti, chiamato “Gim dagli occhi verdi” decise di rimuovere iresti del loro caro dal cimitero di Ravenna, facendolo probabilmente cremare pertrasportare poi le ceneri in una località rimasta segreta.Oggi nel cimitero di Ravenna non ci sarebbe alcun riferimento per il valoroso EttoreMuti ma il 26 agosto si svolge quasi sempre una commemorazione, in suo onore, nelcimitero monumentale di Ravenna.
Si sposò con la ravennate Fernanda Mazzotti da cui ebbe una figlia, Diama.
Come riportarono alcune biografie, anche se separato di fatto,
amò intensamente la moglie fino alla sua morte violenta.
Su di lui tante storie d’amore e una delle più durature fu quella con la
soprano dilettante spagnola Araceli Ansaldo y Cabrera.
Lo storico Fabio Lambertucci, nel suo articolo “L’Orgasmo del Fascismo” riportò
come il Muti, secondo la maitresse Fedora Sandelli, fosse tra i più assidui
frequentatori del bordello di lusso sulla via Appia antica.
Un bordello che fu creato da Mussolini per i suoi gerarchi.
Quando diventò uno dei massimi gerarchi gli fu concesso, ad uso abitativo e di studio, il
il torrione di Porta San Sebastiano sulle Mura aureliane ed incaricò il celebre architetto Luigi Moretti di arredare la sua residenza.
Roma – Porta San Sebastiano - Foto anteriormente al 1900
Foto posteriormente al 1900
Interno di porta San Sebastiano arredato dall’architetto Luigi Moretti
Come riportarono alcune biografie, anche se separato di fatto,
amò intensamente la moglie fino alla sua morte violenta.
Su di lui tante storie d’amore e una delle più durature fu quella con la
soprano dilettante spagnola Araceli Ansaldo y Cabrera.
Lo storico Fabio Lambertucci, nel suo articolo “L’Orgasmo del Fascismo” riportò
come il Muti, secondo la maitresse Fedora Sandelli, fosse tra i più assidui
frequentatori del bordello di lusso sulla via Appia antica.
Un bordello che fu creato da Mussolini per i suoi gerarchi.
Quando diventò uno dei massimi gerarchi gli fu concesso,
il torrione di Porta San Sebastiano sulle Mura aureliane ed
Il giornalista e scrittore Corrado Augias, nel suo libro “I Segreti dfi Roma” del 2005
edito da Mondadori” riportò come..
Oggi le mura di porta San Sebastiano si presentano nude, ma per fortuna sono sopravvissute le fotografie custodite all’Archivio centrale dello Stato.
Dalle foto e dall’osservazione in loco emergono due caratteristiche del lavoro di Moretti. La prima è che l’architetto intervenne il meno possibile sulle strutture dei locali; il poco che aggiunse per permettere la vivibilità lo inserì in modo da non alterare troppo le mura del torrione. Seconda caratteristica, gli arredi veri e propri sembrano progettati per ricalcare, anche con una sottolineatura ironica, il temperamento avventuroso e fatuo di chi quei locali avrebbe abitato: sontuosi e pesanti drappeggi, grandi letti ricoperti di pelli tigrate, un certo fasto più da set cinematografico che da alloggio privato.
Il gerarca Giuseppe Bottai aveva definito sprezzantemente la dimora di porta San Sebastiano “una garconnière”. Non in modo sprezzante, anzi con eleganza e divertimento, Moretti sembra essere andato nella stessa direzione”.
Ettore Muti venne arrestato in una villa di FregeneSi trovava in compagnia di Dana Havolova, all’anagrafe Edith Fischerowa,una bella soubrette cecoslovacca che lavorava nella compagniadel cantautore Odordo Spadaro (1893 – 1965) nella rivista “Mani in tasca, naso al vento”.La donna venne in seguito accusata di essere una spia tedesca.https://www.ponzaracconta.it/wp-content/uploads/2020/07/Ettore-Muti-con-Dana-Havlova.jpg
edito da Mondadori” riportò come..
Oggi le mura di porta San Sebastiano si presentano nude, ma per fortuna sono sopravvissute le fotografie custodite all’Archivio centrale dello Stato.
Dalle foto e dall’osservazione in loco emergono due caratteristiche del lavoro di Moretti. La prima è che l’architetto intervenne il meno possibile sulle strutture dei locali; il poco che aggiunse per permettere la vivibilità lo inserì in modo da non alterare troppo le mura del torrione. Seconda caratteristica, gli arredi veri e propri sembrano progettati per ricalcare, anche con una sottolineatura ironica, il temperamento avventuroso e fatuo di chi quei locali avrebbe abitato: sontuosi e pesanti drappeggi, grandi letti ricoperti di pelli tigrate, un certo fasto più da set cinematografico che da alloggio privato.
Il gerarca Giuseppe Bottai aveva definito sprezzantemente la dimora di porta San Sebastiano “una garconnière”. Non in modo sprezzante, anzi con eleganza e divertimento, Moretti sembra essere andato nella stessa direzione”.
La villa di Fregene presenta una ricca vegetazione e si trova
tra via Rapallo e Via Palombina. Nel maggio 2015 il sito
https://www.fregeneonline.com/la-villa-dei-rifiuti/
riportò come la villa fosse in abbandono e che l’area fosse ricoperta
da rifiuti. Più volte ripulita, anche da volontari, e sempre ricoperta da nuovi rifiuti.
tra via Rapallo e Via Palombina. Nel maggio 2015 il sito
https://www.fregeneonline.com/la-villa-dei-rifiuti/
riportò come la villa fosse in abbandono e che l’area fosse ricoperta
da rifiuti. Più volte ripulita, anche da volontari, e sempre ricoperta da nuovi rifiuti.
Lo steso Corrado Augias riportò un suo momento di vita in merito all’arredamento dellavilla del Muti ..“In un pomeriggio d’autunno del 1943 stavo giocando, bambino, con alcuni coetanei neipressi di porta Latina. A un certo punto ci rendemmo conto che dalla vicina porta SanSebastiano arrivava una fila di persone cariche degli oggetti più disparati: chi con untappeto arrotolato sulle spalle, chi con due sedie, chi con alcune pentole, due o tretrasportavano faticosamente un tavolo. Incuriositi, risalimmo la corrente e giungemmorapidamente alla porta. Una piccola folla si assiepava davanti a un minuscolo ingresso chesi trovava (e tuttora si trova, anche se in disuso) nel bastione di sinistra per chi è all’internodella cinta.L’andirivieni era affannoso, ostacolato dal fatto che, nello stretto passaggio, chi cercava diuscire carico di un qualche bottino era impedito da chi tentava furiosamente d’entrare perrubare a sua volta qualcosa. Dopo un po’, prima che imbrunisse, l’arrivo di una pattuglia dimilitari, forse tedeschi, mise fine al saccheggio. Due soldati si piazzarono ai lati della porta,altri salirono. Il flusso dei predatori venne interrotto e soltanto una ragazza, dopo averparlottato con le sentinelle, venne lasciata passare. Molti nella folla si chiesero a mezza voceperché si fosse permessa quell’eccezione e anche, con l’aggiunta di qualche sorrisomalizioso, che fine avrebbe fatto la ragazza”.
Una sua grande impresa fu il bombardamento, dopo 410 km di volo,delle raffinerie del Bahrein. Un bombardamento compito con quattro velivoliSM.81 il 5 settembre 1940. Ancora detiene il record mondiale di ore di volo in guerrae quello italiano di medaglie conquistate in azioni di guerra.
La Libia italiana ovvero fattorie e capi di concentramento modello, espressioni del passatocoloniale italiano?
Il campo di concentramento di el Abiar in Cirenaica. Derna, cittadina sulla costa orientale della Libia, non distante dall’Egitto e da quel confine che le truppe italiane fasciste segnarono con un chilometrico reticolato di filo spinato per impedire ai ribelli libici di rifugiarsi dopo aver cercato di contrastare l’avanzata italiana.
https://www.youtube.com/watch?v=Y6fppI6ZjCU
Gli italiani crearono campi di concentramento e fattorie modello. Strutture, per quantoriguardava i campi di concentramento che, nella loro semplicità ed efficacia, furono poicopiate in altri luoghi, in altri paesi dove la repressione collettiva delle popolazioni, o di unaparte di esse, era o sarebbe stata all’ordine del giorno.Nel 1979 usci, edito da “SugarCo”, il libro “Genocidio in Libia” di Eric Salerno. Un testoche pose gli italiani di fronte al proprio passato coloniale.
L’8 ottobre 2011 a Tripoli, durante le celebrazioni del centenario dell’assalto italiano allaLibia, ci furono delle dichiarazioni da parte di Mustafa Abdel Jalil, allora presidente delConsiglio Nazionale di Transizione (dopo la guerra della Nato e la morte di Gheddafi) e delMinistro della Difesa Ignazio La Russa.Jalil, come riportò nella cronaca “Il Manifesto” disse..Quella del colonialismo italiano fu per la Libia un’era di sviluppo. Infatti, il colonialismo italiano portò strade e palazzi ancora oggi bellissimi a Tripoli, Derna, Bengasi; portò sviluppo agricolo, leggi giuste e processi giusti: i libici questo lo sanno benissimo.Una dichiarazione che non poteva non rendere felice il Ministro La Russa che, a sua volta,dichiarò..La storia coloniale europea la conosciamo bene, anche con le sue ombre, però l’Italia halasciato un segno di amicizia.
Che dire? Al lettore ogni commento e giudizio.Certo furono dichiarazioni molto differenti da quelle che fece il leader libico Gheddafi il7 ottobre 1975 in un suo discorso, un vero atto d’accusa nei confronti dell’Italia…
Ciò che l’Italia ha commesso nella località di el Agheila rappresenta oggi una lezione storica per l’umanità e un tragico esempio di aggressione, brutalità e barbarie. Esso rispecchia l’arroganza dei forti quando aggrediscono i popoli poveri e deboli.
La Libia ha una superficie di quasi 1,8 kmq ed è il quarto paese per superficie dell’Africa.Tutto il territorio presenta le tristi ombre del colonialismo italiano. Da Derna a Soluch,passando a Sud di Bengasi, ci sono quasi 400 km. Nella sabbia del deserto affioravanospesso le tristi ossa dei libici morti nel campo di concentramento. Dopo tre ore di viaggio siarriva sulla spiaggia, non lontano dai resti del campo di El-Aghelia, campo dove venivanointernati i ribelli libici più pericolosi e dove furono registrati il maggior numero di mortilibici.Quanti furono i morti libici? Molte ricerche negli archivi dei ministeri italiani, checertamente avevano delle cifre, furono vane… si stimarono almeno 80.000 vittime libichema fu una cifra in difetto…Perché Gheddafi (allora trentatreenne), presidente della neonata Repubblica Araba Libica,fece quel discorso proprio il 7 ottobre (1975) ?Già nel 1969, anno del colpo di Stato con la salita al potere di Gheddafi, la comunità italianasi era dimezzata durante l’evacuazione dei cittadini e dei militari inglesi ed americani.Nel 1970 gli italiani in Libia erano circa 20.000 a differenza dei 40.000 nel periodomonarchico e degli oltre mezzo milione nel periodo coloniale.Con obiettività sarebbe necessario precisare come nelle relazioni formali tra Libia ed Italianon ci furono dei provvedimenti visto anche il peso dei finanziamenti italiani alla fragileeconomia libica, e nei sui frequenti discorsi il leader libico mise in evidenza sia ilcomportamento degli italiani, nella conquista del territorio libico, ed anche dei piani diesproprio dei beni italiani.Proprio in un suo discorso a Misurata disseripulire la Libia dai rimasugli del passato coloniale” e che si trattasse “di un disegno dilegge sul riappropriamento dei beni che gli italiani hanno usurpato e confiscato agli arabidurante 32 anni di colonialismo.
Fu quindi ordinato alle comunità coinvolte di dichiarare i propri beni, con due anni di carcereprevisti per i trasgressori o i ritardatari. Alla confisca dei beni, seguì l’espulsione delle duecomunità, con gli ebrei che si diressero verso Israele e gli italiani verso l’Italia.Gli italiani furono evacuati grazie all’intervento del ministero della Marina Mercantile chemise a disposizione nove navi. Furono “ospitati” in centri di accoglienza dislocati in tutta lapenisola. Lasciati in tali soggiorni “temporanei” per anni, i profughi italiani si trovarono afar fronte a un lunghissimo processo di re-integrazione sociale ed economica in una nazioneche li aveva dimenticati. Inoltre, la comunità italiana espulsa dalla Libia chiese più volte giustizia e risarcimenti per le proprietà perse in Nord Africa. Risarcimenti che lo Statoitaliano raramente garantì e quasi mai rispettando il valore reale delle proprietà.Le operazioni di traghettamento di più di 17.000 italiani finirono il 15 ottobre 1970 (con ilvapore “Sicilia”), otto giorni dopo l’ultimatum inviato da Gheddafi il 7 ottobre, data chesegnò per 38 anni una festività nazionale libica molto sentita:La “Giornata della Vendetta”Nel 2008 questa ricorrenza cambiò nome inGiornata dell’Amicizia per celebrare la rinnovata collaborazione con l’Italia di Berlusconi. Il 30 agosto 2008 fu infatti stipulato a Bengasi un Trattato di Amicizia, Partenariato eCooperazione tra Libia ed Italia.Trattato che fu approvato dal Parlamento Italiano nel 2010.In base a questo trattato, la Libia venne risarcita con 5 miliardi di dollari/euro, in 25 anni, per ilperiodo di occupazione sotto forma di progetti. Anche le persone italiane e le aziende colpite dalripristino dei beni in Libia ottennero alcuni risarcimenti e fu istituito un fondo annuale di progetticomuni per tre anni per 50 milioni di euro. "La firma di questo trattato di amicizia, parternariato ecooperazione ha una portata storica e chiude definitivamente la pagina del passato".Così si espresse il premier Berlusconi dopo aver firmato il trattato con la Libia.AppendiceDocumenti
pertinenti agli internati nei campi fascisti.. Jacobson
Leo Lazar ex internato
Civitella del
Tronto (Teramo)
Campo di concentramento.
https://campifascisti.it/documento_doc.php?n=318
Campi
concentramento per P.G.
(entrata in
funzione di O.A.R.E Bologna, Modena, Urbisaglia e Renicci)Un
ultimo appunto sul generale Rodolfo Graziani inserito nella lista dei criminali
di guerra e mai processato. Con
l’avanzata delle truppe anglo-americane, il 26 aprile 1945 firmò la delega al
generale Karl Wolf per le trattative di resa a Caserta. La sera del 29 aprile
si consegnò a Milano al IV Corpo d'armata statunitense, con la mediazione dell'OSS (Office of
Strategic Service – servizio segreto statunitense). Passò il mese di maggio
chiuso in un carcere di Roma e a giugno fu inviato in Algeria come prigioniero
di guerra presso il 211 POW Camp di Cap
Matifou. nei pressi del villaggio Rouïba. Venne quindi rimandato in Italia e il 16
febbraio 1946 rinchiuso nel carcere di Procida. Nel periodo di detenzione
scrisse dei libri: Ho difeso la patria, Africa
settentrionale 1940-41 e Libia redenta. Nel frattempo c’erano delle continue richieste da parte delle
autorità Etiopiche per cimini di guerra
ma gli Alleati non procedettero nell’incriminazione del Graziani. Eppure la documentazione presentata dalle autorità etiopiche era
molto valida perché forniva una documentazione molto precisa facendo anche
riferimento all’uso del gas di iprite e al continuo bombardamento degli
ospedali della Croce Rossa. Il
4 marzo 1948 l'Etiopia presentò la
propria documentazione alle Nazioni Unite in cui si
accusava l'Italia di sistematico terrorismo in Etiopia e della intenzione
ammessa da Graziani di uccidere tutte le autorità Amhara. Venne citato, per
esempio, un telegramma inviato al generale Guglielmo Nasi in cui
Graziani esprimeva chiaramente questo proposito.
Il generale
Guglielmo Nasi
Fossa, Nasi ed
altre autorità militari e religiose a Dire Daua
data:
maggio 1936
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0600001903/8/fossa-nasi-ed-altre-autorita-militari-e-religiose-dire-daua.html?startPage=0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[%22*:*%22],%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20,%22persone%22:[%22\%22Nasi,%20Guglielmo\%22%22]}}
Il
telegramma del Graziani inviato al generale Nasi..
Keep in mind also that I
have already aimed at the total destruction of Abyssinian chiefs and notables
and that this should be carried out completely in your territories»
(Tenga a mente, anche, che ho già mirato alla totale distruzione
dei capi e notabili abissini e che questa azione dovrebbe essere compiuta fino
in fondo nei territori sotto il vostro controllo).
La commissione delle Nazioni Unite constatò come vi fossero presenti le basi per un processo preliminare a otto
Italiani, incluso Graziani. Ma gli sforzi etiopici di portare Graziani a
processo furono vanificati sia dall'Italia che dall'Inghilterra e furono di
seguito abbandonati sotto la pressione del Ministero degli Affari Esteri, il
cui supporto era considerato essenziale dal governo etiopico per le proprie pretese nei confronti dell'Eritrea. Graziani
venne invece processato in Italia relativamente al ruolo da lui svolto
nella Repubblica
Sociale Italiana.
Il processo ebbe inizio l'11 ottobre 1948 presso la Corte d'assise straordinaria
di Roma, ma venne sospeso nel febbraio successivo, quando la Corte si dichiarò
incompetente a decidere su reati prevalentemente militari. Dopo un supplemento
d'istruttoria, il processo si riaprì davanti a un tribunale militare, composto da cinque
generali e un ammiraglio, che con sentenza del 3 maggio 1950 condannò Graziani
a 19 anni di reclusione per collaborazionismo, 13 anni e 8
mesi dei quali condonati, e quattro mesi dopo il verdetto poté tornare in
libertà. Il generale
Graziani al processo
Un processo farsa
splendidamente descritto nel link..
https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1952_16-21_11.pdf
Nel
processo si valutò come l’imputato Graziani non fosse
in grado di incidere sulle decisioni del governo della RSI, anche se lo stesso
Graziani durante la RSI fu ministro delle Forze Armate e responsabile del bando
con cui erano condannati a morte i renitenti alla leva e i partigiani.
Nel
1952 si iscrisse al Movimento Sociale Italiano, di cui divenne presidente
onorario nel 1953.
Nel
1953 avviò una causa legale, con richiesta di sequestro del film “Anni
facili”, ritenendo che
alcune scene della pellicola lo deridessero.
AppendiceDocumenti
pertinenti agli internati nei campi fascisti.. Jacobson
Leo Lazar ex internato
Civitella del
Tronto (Teramo)
Campo di concentramento.
https://campifascisti.it/documento_doc.php?n=318
Campi
concentramento per P.G.
(entrata in
funzione di O.A.R.E Bologna, Modena, Urbisaglia e Renicci)Un
ultimo appunto sul generale Rodolfo Graziani inserito nella lista dei criminali
di guerra e mai processato. Con
l’avanzata delle truppe anglo-americane, il 26 aprile 1945 firmò la delega al
generale Karl Wolf per le trattative di resa a Caserta. La sera del 29 aprile
si consegnò a Milano al IV Corpo d'armata statunitense, con la mediazione dell'OSS (Office of
Strategic Service – servizio segreto statunitense). Passò il mese di maggio
chiuso in un carcere di Roma e a giugno fu inviato in Algeria come prigioniero
di guerra presso il 211 POW Camp di Cap
Matifou. nei pressi del villaggio Rouïba. Venne quindi rimandato in Italia e il 16
febbraio 1946 rinchiuso nel carcere di Procida. Nel periodo di detenzione
scrisse dei libri: Ho difeso la patria, Africa
settentrionale 1940-41 e Libia redenta. Nel frattempo c’erano delle continue richieste da parte delle
autorità Etiopiche per cimini di guerra
ma gli Alleati non procedettero nell’incriminazione del Graziani. Eppure la documentazione presentata dalle autorità etiopiche era
molto valida perché forniva una documentazione molto precisa facendo anche
riferimento all’uso del gas di iprite e al continuo bombardamento degli
ospedali della Croce Rossa. Il
4 marzo 1948 l'Etiopia presentò la
propria documentazione alle Nazioni Unite in cui si
accusava l'Italia di sistematico terrorismo in Etiopia e della intenzione
ammessa da Graziani di uccidere tutte le autorità Amhara. Venne citato, per
esempio, un telegramma inviato al generale Guglielmo Nasi in cui
Graziani esprimeva chiaramente questo proposito.
Il generale
Guglielmo Nasi
Fossa, Nasi ed
altre autorità militari e religiose a Dire Daua
data:
maggio 1936
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0600001903/8/fossa-nasi-ed-altre-autorita-militari-e-religiose-dire-daua.html?startPage=0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[%22*:*%22],%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20,%22persone%22:[%22\%22Nasi,%20Guglielmo\%22%22]}}
Il
telegramma del Graziani inviato al generale Nasi..
Keep in mind also that I
have already aimed at the total destruction of Abyssinian chiefs and notables
and that this should be carried out completely in your territories»
(Tenga a mente, anche, che ho già mirato alla totale distruzione
dei capi e notabili abissini e che questa azione dovrebbe essere compiuta fino
in fondo nei territori sotto il vostro controllo).
La commissione delle Nazioni Unite constatò come vi fossero presenti le basi per un processo preliminare a otto
Italiani, incluso Graziani. Ma gli sforzi etiopici di portare Graziani a
processo furono vanificati sia dall'Italia che dall'Inghilterra e furono di
seguito abbandonati sotto la pressione del Ministero degli Affari Esteri, il
cui supporto era considerato essenziale dal governo etiopico per le proprie pretese nei confronti dell'Eritrea. Graziani
venne invece processato in Italia relativamente al ruolo da lui svolto
nella Repubblica
Sociale Italiana.
Il processo ebbe inizio l'11 ottobre 1948 presso la Corte d'assise straordinaria
di Roma, ma venne sospeso nel febbraio successivo, quando la Corte si dichiarò
incompetente a decidere su reati prevalentemente militari. Dopo un supplemento
d'istruttoria, il processo si riaprì davanti a un tribunale militare, composto da cinque
generali e un ammiraglio, che con sentenza del 3 maggio 1950 condannò Graziani
a 19 anni di reclusione per collaborazionismo, 13 anni e 8
mesi dei quali condonati, e quattro mesi dopo il verdetto poté tornare in
libertà. Il generale
Graziani al processo
Un processo farsa
splendidamente descritto nel link..
https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1952_16-21_11.pdf
Nel
processo si valutò come l’imputato Graziani non fosse
in grado di incidere sulle decisioni del governo della RSI, anche se lo stesso
Graziani durante la RSI fu ministro delle Forze Armate e responsabile del bando
con cui erano condannati a morte i renitenti alla leva e i partigiani.
Nel
1952 si iscrisse al Movimento Sociale Italiano, di cui divenne presidente
onorario nel 1953.
Nel
1953 avviò una causa legale, con richiesta di sequestro del film “Anni
facili”, ritenendo che
alcune scene della pellicola lo deridessero.
Campo di concentramento.
https://campifascisti.it/documento_doc.php?n=318
(entrata in funzione di O.A.R.E Bologna, Modena, Urbisaglia e Renicci)
Un ultimo appunto sul generale Rodolfo Graziani inserito nella lista dei criminali di guerra e mai processato. Con l’avanzata delle truppe anglo-americane, il 26 aprile 1945 firmò la delega al generale Karl Wolf per le trattative di resa a Caserta. La sera del 29 aprile si consegnò a Milano al IV Corpo d'armata statunitense, con la mediazione dell'OSS (Office of Strategic Service – servizio segreto statunitense). Passò il mese di maggio chiuso in un carcere di Roma e a giugno fu inviato in Algeria come prigioniero di guerra presso il 211 POW Camp di Cap Matifou. nei pressi del villaggio Rouïba. Venne quindi rimandato in Italia e il 16 febbraio 1946 rinchiuso nel carcere di Procida. Nel periodo di detenzione scrisse dei libri: Ho difeso la patria, Africa settentrionale 1940-41 e Libia redenta. Nel frattempo c’erano delle continue richieste da parte delle autorità Etiopiche per cimini di guerra ma gli Alleati non procedettero nell’incriminazione del Graziani. Eppure la documentazione presentata dalle autorità etiopiche era molto valida perché forniva una documentazione molto precisa facendo anche riferimento all’uso del gas di iprite e al continuo bombardamento degli ospedali della Croce Rossa. Il 4 marzo 1948 l'Etiopia presentò la propria documentazione alle Nazioni Unite in cui si accusava l'Italia di sistematico terrorismo in Etiopia e della intenzione ammessa da Graziani di uccidere tutte le autorità Amhara. Venne citato, per esempio, un telegramma inviato al generale Guglielmo Nasi in cui Graziani esprimeva chiaramente questo proposito.
data: maggio 1936
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0600001903/8/fossa-nasi-ed-altre-autorita-militari-e-religiose-dire-daua.html?startPage=0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[%22*:*%22],%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20,%22persone%22:[%22\%22Nasi,%20Guglielmo\%22%22]}}
Keep in mind also that I have already aimed at the total destruction of Abyssinian chiefs and notables and that this should be carried out completely in your territories»
(Tenga a mente, anche, che ho già mirato alla totale distruzione dei capi e notabili abissini e che questa azione dovrebbe essere compiuta fino in fondo nei territori sotto il vostro controllo).
Un processo farsa splendidamente descritto nel link..
https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1952_16-21_11.pdf
Nel 1952 si iscrisse al Movimento Sociale Italiano, di cui divenne presidente onorario nel 1953.
Nel 1953 avviò una causa legale, con richiesta di sequestro del film “Anni facili”, ritenendo che alcune scene della pellicola lo deridessero.
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