ROMETTA (Messina) - BORGO PANTANO..Un Borgo Medievale nel suo aspetto originario




Indice:
1.      Descrizione del Borgo
a)      Aspetti Storici ed Esoterici – Coltivazione di piante officinali per la Spezieria di Roccavaldina – La medicina Spagirica – il Medico Paracelso – La Comunità Ebraica – L’espulsione degli Ebrei e i “marrani” – Il Quadro di El Greco – La Medichessa
b)      Le Costruzioni, aspetti unici;
c)      La Chiesa di S. Maria delle Grazie;
d)     La Torre del Baly;
e)      Pozzi di comunità -  “U Giacatu”, Il Percorso del Lavoro;
2.      Aspetti di Vita
a)      L’Arte Tessile;
b)      Il Palmento -  I Forni a Legna;
3.      I Segni Misteriosi;
4.      La Via del Melos, “U Riiddu” (Il Canto delle Donne);
5.      L’Attività Agricola;
6.      Il Recupero Edilizio;
7.      Il CIT;
8.      I Protocolli d’Intesa:   “Schola Salernitana” – L’Associazione Erboristi Mediterranei (Foggia) – Comune di Roccavaldina (Farmacia/Museo)
9.      Video
10.  Borgo Rapano

11.  Frazioni/Borghi di Rometta
a)      Sn Cono : La Chiesa – San Cono ( Monaco eremita di Naso-Me) – La sagra dell’Asparago Pungitopo
b)      Gimello;
c)      Gimello Né Monaci – Le Gole di Silimò;
d)     Safì;
e)      Conduri;
f)       Santa Domenica; Borgo di San Sebastiano ed Oratorio del 1699 – La Chiesa del Palostrico;
g)      Torretta; La Regia Trazzera Rometta – San Martino (Spadafora);
h)      Scalone – Oliveto; (Torre)
i)        Lorenti;
j)        Sottocastello; Ipogeo Paleocristiano;
k)      Sant’Andrea;
l)        Filari;  fortini militari; ipogei
m)    Rometta Marea


---------------------------









Borgo Pantano ricade nel Comune di Rometta  e si trova a circa 6 km dallo svincolo dell’Autostrada Messina Palermo (A20). Un piccolo borgo, creato in un territorio di circa 17 ha di superficie, con una trentina di edifici, distribuiti su due schiere, che si sviluppano lungo due linee di livello del terreno.
Si può raggiungere da Roccavaldina passando per Rometta e proseguendo lungo la Strada Provinciale 54bis. Arrivati a Rapano Inferiore, piccolo borgo del Comune di Rometta, si prosegue per circa 465 m sino a raggiungere Borgo Pantano.
Molti si chiederanno il motivo di questo collegamento con Roccavaldina dato che Borgo Pantano ricade nel Comune di Rometta.  Il borgo presenta un collegamento storico con la spezieria/farmacia di Roccavaldina.

a)      Aspetti Storici ed Esoterici
Le fonti storiche sul sito sono scarse e la sua vita è avvolta dal mistero. Sembra quasi che alcuni momenti di vita storica del borgo siano stati cancellati.




Le origini risalirebbero al 1296 quando il monastero delle Suore Latine della Diocesi di Messina s’insediò nei fondi di Pantani fino al 1304. In quell’anno sembra che le religiose siano state costrette ad abbandonare il luogo perché troppo isolato e pericoloso.
Il monastero traeva il sostentamento economico grazie alla coltivazione delle piante officinali spontanee di cui il territorio era ricco.  È probabile che questa attività sia stata in qualche modo sostenuta dalla presenza nel territorio di un monaco eremita, un esperto conoscitore di erboristeria, di probabile origine ebraica-spagnola. Il suo sapere fu probabilmente fondamentale per la conoscenza e la divulgazione delle proprietà delle piante officinali.





Si narra infatti che questo eremita avesse un suo particolare approccio con la medicina riuscendo a combinare elementi medici ed olistici tenendo anche in considerazione  sia la complessità della natura umana sia l’ambiente dove l’uomo viveva.
Nel 1347 la città di Messina fu colpita dalla peste nera. L’epidemia fu portata a bordo di navi genovesi provenienti dall’Asia centrale. A Pantani si trasferì una comunità di origine ebraico-spagnola proveniente dalla città di Pisa e già presente nella città di Messina dal lontano anno 1000. I pisani esercitavano il commercio ed avevano in città numerosi banchi di pegno. I medici del tempo ignoravano la causa del morbo e attribuivano la malattia alla qualità dell’aria, ai miasmi diffusi dai venti o alle congiunzioni astrali.
Gli unici rimedi erano la fuga dai luoghi colpiti e sovraffollati e il ricorso a salassi. Pantano, vicino Rometta, aveva le condizioni ambientali necessarie per una efficace profilassi: aria buona, scarsamente abitato e la vasca salubre necessaria per fare i salassi con le sanguisughe. La vasca era fornita delle tacche che servivano ad indicare i gradi necessari per calcolare le varie fasi lunari e per evitare i collassi dei pazienti che venivano messi a testa in giù. La vasca era posizionata ad est e raccoglieva la rugiada su teli posti sulle aste e inseriti nelle tacche… si anticipavano i principi esposti nel “Mutus liber”, un libro di alchimia del 1677.
Qui s’insediò la comunità ebraica  e praticò la medicina spagirica con un intreccio tra alchimia ed erboristeria in collegamento con la famosa spezieria/farmacia di Roccavaldina alla quale venivano fornite le erbe e forse anche distillati. Spezieria di Roccavaldina presente già nel 1587 come “Apotecas armatarie” e Don Pietro Guidara, della Terra di Rocca, era lo speziale. Una farmacia che doveva essere quindi già presente da tempo.

La Medicina Spagirica era nata nel 1500 ed era legata al principio che “nell’uomo/donna sano/a le forse dense e sottili sono in perfetto equilibrio, si ammala quando l’equilibrio è rotto”.
Il termine ha due radici greche: “spaein” (estrarre) e “ageirein” (riunire).
Il fondatore fu Paracelso (nato in Svizzera nel 1493)

Diventò professore all’Università di Basilea e fu seguito con grande passione dagli studenti.

Compì delle guarigioni eccezionali ma finì con l’essere abbandonato anche dai suoi stessi studenti
perdendo anche la cattedra di Basilea.
Fu in definitiva amato solo dai poveri che guariva con la sua arte e trascorse la sua vita
in povertà, impegnato nello studio e nel ricercare e preparare rimedi spagirici che
sperimentò con successo.
Tutti i rimedi della medicina spagirica si basano sull’uso delle erbe.
Paracelso affermava che
“Nel mondo c’è un ordine naturale di farmacie, poiché tutti i prati e i pascoli,
tutte montagne e colline sono farmacie”.
Si tratta di un forte legame tra alchimia ed erboristeria.
La scelta delle piante e dei minerali, a seconda del disturbo da riarmonizzare,
è fondamentale. Poiché secondo la concezione alchemica tutto ciò che vi
nel macrocosmo (cosmo) e nel macrocosmo locale ( regno animale, vegetale e minerale)
si riflette nel microcosmo (l’uomo). Attraverso il principio dell’analogia è possibile
riconoscere le caratteristiche e le qualità delle piante e dei minerali e utilizzarle
per riequilibrare l’organismo. Ogni pianta e ogni minerale ha delle corrispondenze
energetiche con i pianeti, con gli organi dell’uomo e
possiede virtù terapeutiche particolari.
In campo farmacologico fu il primo a raccomandare l’uso di sostanze minerali
e di prodotti chimici per la cura delle malattie e questo diversamente da
quanto esposto nelle precedenti dottrine dove ci si limitava solo
all’uso delle piante e di estratti vegetali.
Morì a Salisburgo il 24 settembre 1541 e fu sepolto nella chiesa di San Sebastiano.
Tutti credevano che fosse morte di apoplessia ma quando successivamente, dopo
molti anni, la sua tomba fu aperta si scoprì che il cranio presentava delle
fratture tipiche di una morte violenta. In definitiva fu ucciso… da chi ?
Nel 1831 si verificarono delle scene molto commoventi sulla tua tomba.
La città fu colpita da una terribile epidemia di colera e gli abitanti delle
Alpi salisburghesi si recarono in processione presso la sua tomba per implorare
il medico Paracelso di risparmiarli dall’epidemia.

Tomba di Paracelso –
Salisburgo – Chiesa di San Sebastiano

Simbolismo della trasmutazione dei vegetali in medicamenti


Nel 1492, con l’editto di espulsione emanato da Ferdinando il Cattolico e dalla moglie Isabella di Castiglia, regnanti di Spagna e di Sicilia, si decise di cancellare la presenza ebraica dai domini spagnoli. S’instaurò un clima d’inquisizione e questo potrebbe fare spiegare perché si è cancellata la memoria storica di quel tempo per certi versi legato a manifestazioni che furono definite dalla chiesa eretici (come l’alchimia e certi aspetti della professione medica) e che erano alla base dell’economia fiorente del luogo.
Il borgo si trasformò gradualmente in borgo rurale e molti marrani mantennero però le loro tradizioni ancestrali professandosi pubblicamente cattolici ma restando in privato fedeli all’ebraismo.
Il termine “marrano” nasce da un’ingiuria.
“Marrano” deriva dallo spagnolo e significa “giovane porco”, un termine con cui
venivano individuati ed offesi in Spagna gli ebrei o i musulmani che si erano
convertiti al cristianesimo: “conversos” o “cristianos nuevos”.
Condizione che valeva anche per i loro discendenti.
Nel 1380 addirittura un decreto del re castigliano vietò di usare questo termine
particolarmente ingiurioso. E così si decise che i marrani dovevano essere
denominati col nome più ufficiale di "conversos" o "cristianos nuevos".
Ovviamente, l'epoca in cui fu maggiormente utilizzato in senso dispregiativo
questo termine fu quello dell'Inquisizione.
La presenza ebraica in Sicilia era molto forte. Le fonti parlano di
almeno 25.000 unità alla fine del XV secolo presenti nell’Isola.
Le comunità più numerose erano a Palermo, Siracusa ed Agrigento con circa 5000
Ebrei ciascuna. Catania, Trapani, Marsala, Sciacca e Messina con
circa 2000 ebrei ciascuna e Caltagirone, Modica, Ragusa, Randazzo, Savoca,
Limina e Piazza Armerina con una presenza tra i 100 ed i 1000 ebrei.
In Sicilia comunque erano presenti 44 comunità censite nel 1454.
Ci furono diversi eccidi: a Modica nel 1474 (15 agosto – 18 settembre)
con 470 vittime (altre fonti parlano di 360 circa) e a Noto con circa 18 vittime.

Stato e Chiesa cercarono con tutti i mezzi, specialmente mediante l'Inquisizione rinnovata
nel 1481, di cancellare radicalmente ogni resto di attaccamento alla fede ebraica.
Anche l'espulsione dalla Spagna degli ebrei rimasti nella loro fede (1492) mirava
particolarmente a troncare ogni rapporto dei marrani con l'ebraismo.
Molti dei marrani e dei loro discendenti furono processati e condannati al rogo.
Molti per contro riuscirono a fuggire per recarsi in paesi
ove fosse loro possibile il ritorno alla religione dei padri.

Nel 1492 gli ebrei che non si erano convertiti furono espulsi dall’isola
con il Decreto di Alhambra.


Un Decreto emesso da Ferdinando II d’Aragona e da Isabella di Castiglia.
Una parte della comunità trovò rifugio nell’Italia meridionale sotto
la protezione di Ferdinando I di Napoli. Ma alla morte del sovrano, con
la conseguente occupazione spagnola, dovettero fuggire. Lo stesso re di Spagna
emise un altro decreto il 23 novembre 1510 con il quale si ordinava l’espulsione degli Ebrei
da tutta l’Italia del Sud. Un espulsione che poteva essere evitata con il pagamento di 300 ducati.
Ma neanche il pagamento fu sufficiente perché nel 1515 un ulteriore decreto ordinava agli
Ebrei convertiti di abbandonare il Regno.

Il periodo è raffigurato in bellissimo quadro di El Greco dove sembra
raffigurato  un gesto “marrano”.

I “marrani” cioè gli Ebrei convertiti, utilizzavano dei segni per farsi
riconoscere dai loro simili?
A Madrid, Museo del Prado, c’è un dipinto di El Greco dal titolo
“El Caballero de la mano al pecho”
“Il Cavaliere/Signore con la mano sul petto”.
Il quadro fu realizzato  nel 1578 (a Toledo e a Madrid)  e ritrae un personaggio spagnolo
a mezzo busto, su uno sfondo scuro. È vestito di mero, con finiture in pizzo
bianco ai polsi e al collo, ornato di un ciondolo d’oro; l’elsa d’oro di una spada e
con la mano destra sul petto.
La critica artistica ha diretto la sua attenzione proprio sul gesto della mano destra.
Le dita della mano sono aperte, ben distanti tra loro, ad eccezione del
terzo e quarto dito, che sono vicinissimi, quasi saldate.
La mano è posta sul petto, sul cuore, come testimone di un giuramento
mentre enigmatica è la disposizione di quelle due dita centrali
raffigurate in maniera diversa rispetto alle altre dita  sparse a ventaglio.
Il gesto del cavaliere ha forse un significato diverso da quello del giuramento ?
Una tecnica descrittiva, utilizzata anche da Tiziano e da altri pittori, che nasconde
un simbolo o significato ricco di contenuti, una vera comunicazione con un piccolo segno.
Sono state avanzate due ipotesi:
-          Il gesto della mano è un segreto ed indica che il signore è un “marrano” cioè un
cripto-ebreo che ha accettato di convertirsi per rimanere in Spagna e non
essere perseguitato o scacciato dopo il decreto del 1492;
-          Il gesto indica un Loyoliano/gesuita che chiede al peccatore di mettere
la sua mano sul petto dopo aver commesso un peccato, come segno di dolore morale.
Entrambe le tesi sono state discusse dalla critica artistica senza che si sia riusciti a
raggiungere una precisa soluzione. Resta comunque valido che
la posizione della mano ha un suo valore simbolico come
“una comunicazione importante, una dichiarazione personale”.
L’autoritratto di El Greco assomiglia al “cavaliere “del dipinto


E qui la prima sorpresa…
El Greco ( Domènikos Theotokòpoulos, Candia, i ottobre 1541 – Toledo, 7 aprile 1614)
era un greco ortodosso e si convertì al cattolicesimo all’arrivo in Spagna.
Altri studiosi ritengono che facesse parte della minoranza cattolica cretese ed altri ancora
che non abbia mai praticato il Cattolicesimo.
È anche probabile che si sentisse molto vicino ai marrani, convertiti a forza e che
abbia inserito nella sua pittura questo segno distintivo.

Altri due dipinti di El Greco …il Cristo e la Maddalena



La comunità ebraica continuò a vivere nel borgo dedicandosi all’agricoltura e rimanendo sempre fedele alla medicina spagirica.  Era presente  una figura femminile… definita “medichessa”.. Una figura enigmatica di cui non si sa molto. Fu perseguitata dal Tribunale dell’Inquisizione ?

Non si sa…secondo la chiesa la sua arte medica era vista come un “maleficio e sortilegio che con arti superstiziose tentava di danneggiare il prossimo “  e la sua stessa figura come un “astrologo giudiziario, divinatrice e maga, molto più se questa abbia fatto patti con il demonio…”



Trotula – “Medichessa” dell’XI secolo

“Bella de Paija” e “Virdimura de Medico”
“Due medichesse catanesi vissute tra  il ‘300 e il  ‘400”


Il Borgo continuò la sua vita agricola nel silenzio. Le fonti storiche nei periodi successivi sono assenti e con lo sviluppo del polo industriale di Milazzo nel 1960, si verificò il flusso demografico della popolazione verso la costa e il piccolo borgo si svuotò… contava allora circa 77 abitanti.
Lo spopolamento del borgo causò la fine delle produzioni delle attività e della vita e, come per ironia della sorte, questo influì nella sua conservazione… un caso di archeologia rurale.

----------------------------------

b
)      Le Costruzioni, aspetti unici

Naturalmente il patrimonio edilizio nel corso del tempo ha subito qualche deterioramento, più o meno grave, però l’assenza dell’uomo ha risparmiato il villaggio dagli orrori e dalle devastazioni che si sono verificati in altri borghi della Sicilia.
In questo piccolo borgo è quindi possibile leggere e comprendere le logiche e il funzionamento dei meccanismi sociali ed economici del tempo.
Il borgo sorge su una depressione dei Peloritani a circa 200 metri s.l.m. e risale al basso medioevo.
Malgrado le sue piccole dimensioni, sembra che abbia avuto un ruolo importantissimo nelle dinamiche sociali del tempo in tutta l’area tirrenico-peloritana. La chiesetta dedicata a Santa Maria delle Grazie è una delle più antiche del circondario anche, se come sembra, posteriore a quella del vicino borgo di Rapano.
La comunità era in contatto  con  i centri vicini in virtù di rapporti economici e sociali rilevanti.
Il borgo, come già detto, è costituito da una trentina di edifici che si sviluppano lungo le linee di livello altimetriche. Le abitazioni furono costruite secondo precisi canoni architettonici legati alla cultura e alla tradizione ebraica dei residenti. L’impianto urbanistico  del borgo risulta posizionato sull’asse Nord-Sud e le case presentano degli aspetti architettonici o delle componenti che sono insolite per il territorio. Alcuni aspetti costruttivi sono piuttosto rari  e si riscontrano  invece nelle costruzioni in pietra e coccio della Toscana, in particolare nella Versilia e nella Lucchesia.


Giungendo da monte si entra nel borgo per un vicolo stretto, volto a nord, fiancheggiato da case poste sui due fianchi, con piccole finestre e doppie porte di uscita, una sul vicolo e l’altra sul retro che dava sull’orto domestico di ciascuna abitazione.
Giunti alla chiesa, centro del culto religioso della piccola comunità, la strada si biforca.
I due viottoli abbracciano un’insula che comprende edifici di maggiore dimensioni per poi ricongiungersi sul fianco Nord dello sperone roccioso su cui sorge il borgo.
Qui sorgeva la torre “Bagliva” affiancata da altre due costruzioni  poste tutte sul lato esterno del viottolo e contrapposte all’insula. Questa torre, non può giustificarsi con il numero esiguo degli abitanti del borgo, e rappresenta quindi un vero e proprio enigma storico.
Il borgo ha mantenuto intatto il suo fascino grazie al fatto che l’uomo non è intervento e speriamo che non intervenga….
Le unità abitative, secondo uno schema tipico delle abitazioni medievali, avevano dimensioni minime e rispondevano alle esigenze abitative essenziali delle singole famiglie.
Il superfluo è assente e si notano aspetti che potrebbero essere proprie delle case più lussuose.






Ogni abitazione aveva la propria cisterna per l’approvvigionamento idrico. L’acqua in  parte arrivava dal sottosuolo e in parte attraverso un sapiente impianto di raccolta delle acque piovane che venivano convogliare dai tetti delle abitazioni verso le relative cisterne.  Venivano utilizzate condotte realizzate con manufatti in cotto. Attraverso l’uso di georadar si è potuto stabilire che prima della costruzione dei fabbricati esisteva già una rete idrica che delimitava i siti dove sarebbero sorte le case (una fase prima della realizzazione del progetto costruttivo). Ogni abitazione sfruttava al meglio l’energia passiva, sia per la ventilazione sia per il riscaldamento.
Particolari accorgimenti costruttivi garantivano infatti l’accumulo, la distribuzione e la conservazione dell’energia solare.
L’utilizzo di piccole superfici vetrate, esposte ad est ed ad ovest, garantivano la migliore illuminazione degli ambienti evitando l’eccessivo soleggiamento estivo.
Le pareti verso sud erano prive di aperture e quando le avevano erano piccolissime per migliorare la ventilazione ed il raffreddamento naturale dell’aria. In questo modo si creavano delle correnti convettive per differenza di temperatura tra l’aria fresca in basso e quella calda più in alto. Inoltre per la ventilazione si utilizzavano anche delle condotte d’aria interrate che prelevano l’aria, raffreddata e carica di umidità, proveniente dalle cisterne

Questi accorgimenti consentivano di avere case calde in inverno e fresche in estate, soleggiate durante le ore diurne e dotate di acqua corrente. La ventilazione naturale garantiva la salubrità degli ambienti. Un livello di comfort sicuramente inusuale per l’epoca, soprattutto considerando gli standard del territorio circostante. Evidentemente le capacità e le abilità tecniche della comunità insediata non erano quelle tipiche delle semplici società contadine. A tal proposito un dato concreto che fa scartare l’ipotesi dell’origine rurale del Borgo è la mancanza, nelle costruzioni originarie, di ambienti riconducibili a funzioni di magazzinaggio e/o a stalle per l’allevamento di animali.
Un altro riscontro che conferma la peculiarità del costruito si ricava dalla presenza, in ogni casa, di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana dal tetto – di cui si è già detto sopra. Si può ipotizzare che questa agiatezza e soprattutto questo bagaglio di conoscenze siano tipiche di una società artigiana e mercantile, piuttosto che rurale o comunque di un agricoltura specializzata con produzione di piante di pregio come quelle officinali. Ciò giustificherebbe anche la presenza nel borgo della torre “Bagliva”.

 Ci sono dei documenti storici e delle tradizioni che si sono in parte tramandate nel tempo, delle attività e dei personaggi del quotidiano degli ultimi duecento anni.  Si evidenziano soprattutto i rapporti sociali e religiosi, spesso controversi, attraverso corrispondenze epistolari tra gli abitanti del luogo e la Curia Arcivescovile di Messina, nell’epoca a cavallo tra il 1879 e il 1887. Altre ricerche mettono in risalto l’associazione degli aspetti filosofici ed esoterici del luogo partendo dalle  sue origini ebraiche  e collegandole con il profilo storico-naturalistico e con i concetti archeo astronomici.
Lo sviluppo planimetrico del borgo viene citato nei documenti dell’epoca come “…lungo più di cento canne e largo la metà….”
(La “canna” è un antica unità metrica di misura e varia da località a località. Per la Sicilia una canna equivale a circa 2,06 m….100 canne = 206 m   ….”lungo più di 206 m e largo 103 m..”… una comunità di circa 100 persone dato che nel 1960  gli ultimi abitanti, prima dell’abbandono definitivo, erano 77.

c)      La Chiesa


Il Borgo si sviluppò attorno alla chiesa e la sua datazione è alquanto incerta e potrebbe essere anche anteriore alla Chiesa di Rapano del 1604 e dedicata a San Domenico.
La presenza di autorità religiose nel territorio è confermata da una Bolla di Clemente VII del 1534 con cui la “grangia” di Rometta fu elevata ad abazia. L’abate, già arciprete di Rometta, diventò priore dell’intera comunità ed ebbe concesso l’uso della mitra e del pontificale. Simboli che sono presenti sull’altare della chiesa di Pantano, con la figura del priore che appare sul quadro posto sull’altare.
Un esempio di architettura rurale e costituì il primo nucleo religioso dell’intero comprensorio romettese dato che è anteriore al 1600.
Per risalire alla sua datazione storica si è fatta una ricerca sia bibliografica, sia presso musei e sono state considerate anche le cornici in pietra della finestra che si trova sopra l’ingresso. Simili aspetti architettonici risalgono al 1400 – 1500. Un caso simile è quello della Chiesa di Sant’Eustochia a Messina.
La Chiesa è un tipico esempio dell’architettura religiosa, molto semplice, del XV secolo nelle aree vallive ed appartiene alla parrocchia dei Santi Andrea e Domenico della frazione S. Andrea del Comune di Rometta.
All’interno oltre ad una statua in gesso raffigurante la Madonna che allatta il Bambino Gesù e risalente al 1800, è presente un quadro della fine del’ 600. Quadro che fu trafugato… dalla mafia d’arte e sostituito da una copia.
Nel quadro (del 1700) è raffigurato il famoso  “Collegium Studiorum” di Rometta  in quanto dimostrava che l’attività di studio del collegio, raffigurata nel dipinto, era antecedente a quella data.

Nel 1672 un nobile cittadino di Rometta. Antonino Lombardo, uomo colto e Giudice
del Foro di Messina, destinò i propri averi per la costruzione di un grande edificio.
Edificio che fu ultimato nel 1702 e che, per volere testamentario, fu donato ai
Frati Francescano del Terz’Ordine, nominati anche eredi universali.
I Frati dovevano rispettare una condizione:  istituire nell’edificio una scuola
di studi umanistici per i giovani romettesi. Sempre per volere del donatore, la scuola
doveva chiamarsi “Collegium Studiorum S. Mariae de Pace”.

Il “Collegium Studiorum” è oggi sede del Municipio.

Di particolare pregio sono l’altare e le colonne in pietra locale.
Dal punto di vista catastale, l’immobile è individuato alla particella B del foglio di mappa 8 del Comune di Rometta. La forma della costruzione in pianta è essenziale e lineare: una figura formata da rettangoli regolari. Il rapporto tra le dimensioni maggiori in pianta dell’edificio non supera il valore critico 2.50.

 La Chiesa è dedicata  SS. Maria delle Grazie.
La muratura della chiesa è costituita da pietra grezza e zeppe di frammenti di laterizi e presenta una buona fattura. La costruzione ha rappresentato sin dalla sua nascita la meta dei pellegrinaggi dai paesi vicini e, nonostante il vecchio stato di degrado, ogni anno il 2 luglio si riempiva di fedeli devoti alla Madonna. L’iconografia della Madonna che allatta è riconducibile all’ambiente rurale in cui la statua è inserita: essa aveva lo scopo di avvicinare il popolo al mistero della divina maternità della Vergine.


Agli inizi degli anni ’80, lo stato di conservazione della Chiesa presentava segni negativi: la risalita capillare di umidità dal suolo aveva creato diffusi deterioramenti alle superfici dei paramenti interni e rischiava di compromettere anche le storiche tele e l’altare.
Inoltre la copertura a solaio in legno della navata principale aveva manifestato significativi dissesti strutturali i quali permettevano l’infiltrazione di acque meteoriche. Infine si registrava la formazione localizzata di cedimenti strutturali delle fondazioni e dei setti murali.

Nell’agosto 2006 furono avviati i lavori di manutenzione della seicentesca chiesa della Madonna delle Grazie. Furono anche predisposti gli interventi per la realizzazione di una sala Multifunzionale destinata a pratiche sostenibili.

Dall’analisi dello stato delle opere e delle cause di degrado si sono quindi stabilite le diverse fasi dell’intervento, che fu il meno intrusivo possibile per salvaguardare la struttura originale, attraverso interventi di consolidamento.
Il restauro fu attuato utilizzando tecniche innovative che consentivano il ripristino delle strutture originali evitando la sostituzione degli elementi originari danneggiati.
Tale restauro fu eseguito sotto il costante controllo dei competenti uffici della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Messina, allo scopo di restituire al manufatto la sua integrità originaria messa alla prova da numerosi decenni di incuria e dagli agenti atmosferici.

d)      LA TORRE DEL BALY




Nel 1396 fu istituito a Palermo il “dayan kelay” cioè il giudice universale di tutte le comunità ebraiche di Sicilia. Una carica create dalla corona aragonese per avere un controllo diretto sulle fiorenti attività delle comunità ebraiche. Il “dayan kelay”, nei documenti è spesso riportato con il termine “dienchelele”, aveva il potere di nominare gli amministratori delle singole giudecche con l’arbitrio di delegare propri vicari nei luoghi in cui  mancava la figura. Per questo motivo sorsero le figure dei “Proti” che delegavano a loro volta, nelle piccole comunità, ai “Baly” che esercitavano la giustizia ed esigevano le tasse.
Nella torre tra il 1400 - 1600 veniva quindi amministrata la giustizia alla presenza dei Giurati di Palermo e del Baiuolo di Rometta.


-------------------------------

e)      POZZI  DI COMUNITA’


Ogni abitazione era dotata di cisterna di accumulo idrico che sfruttava sia canali sotterranei (realizzati addirittura prima dei fabbricati del borgo), sia un sapiente impianto di raccolta delle acque piovane che convogliava da ciascun tetto l'acqua alla propria cisterna.
Alle cisterne si associavano i pozzi, luogo di ritrovo dove le donne andavano ad attingere l'acqua fresca e scambiare quattro chiacchiere, dove le donzelle fortuitamente incontravano l'innamorato o gli uomini parlavano di affari all'ombra del pergolato. Da tale tratto emerge la forte coesione sociale basata sui principi di reciproco bisogno e fiducia.




Antico lavatoio

Dopo aver percorso una ripida discesa con la cesta dei panni sulla testa, fino al lavatoio nel Torrente Formica, le donne facevano il bucato con la cenere, circondate da alberi che davano ombra e refrigerio.

Un luogo di lavoro ma anche di incontro, momento di riunione femminile ove si scambiavano consigli, si trovavano accordi per svolgere lavori in comune e, soprattutto, si facevano pettegolezzi.
Intanto i bambini erano intenti a pescare nel torrente i "ranciaciumi" ( granchi di acqua dolce), un tempo molto diffusi ed  oggi scomparsi a causa dell’inquinamento.

“U GIACATU”
IL PERCORSO DEL LAVORO





La pietra emerge in tutto il territorio in molteplice forme (u giacatu).

Una pietra sagomata, scalpellata a formare spigoli e rientranze, in modo da segnare il percorso a dorso di mulo degli antichi agricoltori.
I sentieri permettono di capire il forte legame tra la gente del borgo e le caratteristiche geologiche e morfologiche del territorio. Una terra difficile da lavorare e conquistata palmo per palmo con duro lavoro di spietramento dei campi. In questi luoghi è rimasta l’anima degli abitanti del borgo.



Salita dietro case Pantano


Era il sentiero più breve per raggiungere il borgo dai campi.
La trazzera corrispondeva ai canoni originari tracciati dalla comunità nativa del borgo, la quale dava particolare attenzione alla cura del paesaggio naturale.  Un territorio agricolo valorizzato accostando zone ombrose a terreni coltivati e viti allevate in pergole, ponendosi così in contrasto con il nudo e secco paesaggio dei latifondi vicini.
La grandezza e l'autorevolezza del Borgo si fondava anche sulla cura del paesaggio e su uno stile di vita molto attento ai canoni dell'estetica e della cultura.

-----------------------------------------------

2. ASPETTI DI VITA
a. L’Arte Tessile




A Pantano veniva praticata l'attività serica. Parte della seta veniva lavorata per le esigenze della famiglia, il resto veniva portato a Rometta per la vendita. Quando arrivava la primavera le donne avviavano un modesto allevamento di bachi da seta, che si acquistavano a Saponara o a Rometta.
Nel mese di aprile si raccoglieva il lino, altro filato importante per il sostegno dell'economia del piccolo borgo.
Per alcune delle famiglie del borgo la tessitura della tela di seta e di lino per le esigenze domestiche veniva affidata a "u' papinu", il tessitore itinerante, che si metteva all'ombra del dammusu a cardare e filare per tutte le donne del borgo.
Uno stretto legame perpetuato nel tempo, che coniuga le tradizioni culinarie con le arti tessili femminili, entrambi carichi di significati ormai dimenticati, risultato di complesse sedimentazioni culturali.

Telai di dimensioni ridotte e facili da trasportare
Le ricerche hanno confermato come gli abitanti del borgo si dedicavano principalmente all’arte della tessitura con una particolare predisposizione per i tessuti bianchi e blu che costituivano una produzione tipica della comunità.
--------------------------------

Una volta al mese si portava un sacco di grano al mulino di Santo Pietro e si preparava la farina per il prossimo mese. Non era possibile tenere in casa il grano a lungo, perché c'era il rischio che si rovinasse. Per mezz'agosto si ammazzava "u' iadduzzu" (il galletto), allevato appositamente tutto l'anno. A S. Martino si spillava il vino novello. Dalla vinaccia, cioè i residui dell'uva pestata, si ricavava l'acqua tina, una sorta di vinello molto leggero da consumare subito. Gli abitanti del Borgo non si facevano mancare nulla, infatti a quel tempo si concedevano il piacere della granita, preparata da Mastru Giuseppi Papinu (originario di Saponara) che portava il ghiaccio da Dinnamare (distante circa 18 km  e il tempo impiegato per compiere il tragitto era di circa 6 ore). In inverno si recava a Dinnamare e metteva la neve in dei fossi; in estate prendeva il ghiaccio, scendeva a Pantano, e vendeva le granite e i gelati al limone, all'arancia e al mandarino. Per andare a Dinnamare si partiva la mattina presto e il segnale era il suono della brogna, una grossa conchiglia che soffiandoci dentro emana un suono di richiamo. Non esistevano la panna e il burro in quanto il paese viveva di agricoltura e non di pastorizia. Al loro posto si usava preparare la sugna con il grasso di maiale, molto utilizzata per fare i biscotti.

---------------------------

b)     Nel Borgo c’era anche un “Pammentu”. 
Un edificio, di origine cinquecentesca,  a due elevazioni posto nel schiera di case ad ovest del vicolo principale ed oggi sede del “CIT”.
Ubicato al centro del borgo è quindi di indubbio valore architettonico e testimonianza delle ricca produttività locale.






Sono presenti anche i resti di antichi “forni a legna” comuni sparsi tra le case.

Tutti aspetti che mostrano come il borgo fosse un luogo ricco per l’epoca. Un agiatezza e una cultura che sono anche l’espressione non solo di un fermento commerciale e artigianale ma anche  di una forte aggregazione e condivisione sociale tra i pochi esponenti della comunità.

---------------------------

3. ALCUNI ASPETTI MISTERIOSI
Il borgo ha tanti misteri ancora da scoprire. All’interno della Chiesa le immagini dipinti sull’altare meritano una grande attenzione.  Guardando le immagini sembrerebbero l’opera di un modesto decoratore di campagna, di un dilettante.
 Alcuni aspetti presentano uno stile molto ornato mentre altri dimostrano una realizzazione schematica quasi infantile.
La presenza di queste contraddizioni  legate agli aspetti topografici e allo stesso termine “Pantano”, sembrano confermare la volontà della comunità di dissimulare sia la conformazione del borgo, sia il nome del luogo per non farlo risalire alle sue origini ebraiche.
Il luogo sembrerebbe avere una sua “energia”. Le antiche popolazioni consideravano la Terra come un organismo vivente ed erano a conoscenza dell’importanza del luogo, anche come caratteristiche nascoste, per l’edificazione dei templi. Un collegamento con la scienza moderna del XX secolo che riguarda la geobiologia. La presenza in perfetta corrispondenza con la Chiesa di Santa Maria delle Grazie delle antiche vasche per i salassi, con nove aste di pietra esposte ad est, seguendo i principi dell’antico libro “Mutus Liber”, fino a quelli legati alle Acque di Luce che entrano in risonanza con l’energia cosmica.
Una tradizione orale parla del ritrovamento del libro del cinquecento, ritenuto dalla Chiesa Cattolica il libro del diavolo, della presenza nel borgo della Medichessa, dopo il 1500 dichiarata strega, di aree con collegamenti archeo-astronomici collegati alla costellazione di Orione e di altri segnali, rilevati e riscontrati con un indagine condotta con il geo-radar.



Questi misteri e per certi versi enigmi ancora non risolti, appartengono alla storia del borgo e confermano l’alto livello culturale di questa comunità capace di lasciare un grande segno nella tipologia costruttiva, delle case e del sistema idrico, ed anche culturale, enigmistico-misterico in quei segni, quasi nascosti, di cui per secoli hanno mantenuto il  segreto.
Segni che ancora oggi sono in fase di studio e di decodificazione per la creazione di una mappa.

------------------------------------

4. LA VIA DEL MELOS
U RIIDDU
Melos”..Canto, Melodia…; ”.. mele scrissero Alceo e Saffo”(Carducci)





Il “melos” era il canto popolare che si è unito e mescolato con la poesia popolare trasmessa oralmente.
“I canti popolari – dice Herder – sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione, della vita dei suoi padri, dei fasti della sua storia, l’espressione del cuore, l’immagine del suo interno, nella gioia e nel pianto, presso il letto della sposa ed accanto al sepolcro”.
Un canto che si è trasmesso oralmente.

Le cantanti (“capuane)” prendono il nome dal comune di Saponara e i loro canti svolgevano vari funzioni: alleviare le fatiche, passare il tempo e comunicare per un arrivo imminente.
I versi, tipicamente femminili, erano legati al contesto lavorativo dei “ghiummi”, cioè gruppi di sei-sette donne, che si dedicavano al trasporto di varia merce (fieno, paglia, carbone).
Il termine “ghiummo” potrebbe derivare dal termina ciurma ma potrebbe anche collegarsi a una derivazione del verbo siciliano “agghiummari” (aggomitolare) e in questo caso, riunire.
Infatti nella prima metà del XX secolo le donne di Saponara e delle frazioni di Scarcelli e Cavaliere erano delegate, oltre al lavoro della campagna, anche al trasporto di carbone sui Monti Peloritani e a quello di paglia e del fieno a Rapano e a Pantano.

In questo canto c’era un elemento caratteristico, “u riiddu”, in cui ad un tono o voce bassa facevano eco gli altri richiami spesso utilizzati per avvisare del proprio arrivo. Dall’altra parte della valle facevano eco altre voci che rispondevano al richiamo fino a trovare una melodia comune.
Le donne partivano da Saponara verso le tre del mattino, riunite in ghiummi. Già a quell’ora i canti chiamavano l’adunata e spesso alcuni paesani si rivolgevano ai carabinieri per quel canto in strada, nelle vie del paese, che svegliava i compaesani.
Attraversavano il torrente Saponara e s’incamminavano per la ripida salita, la trazzera di contrada Martinetto, ricca di flora spontanea, una macchia mediterranea composta in prevalenza da erica arborea, elychrysum, rosmarino, satureja fruticulosa, euphorbia dendroides.
In contrada Martinetto raggiungevano la sommità della collina.
Le lavoranti intonavano “U riiddu” un richiamo a più voci (scricchiolo), una specie di vocalizzo glissato (u-uu oppure ai-ai) molto gioioso che preannunciava il loro arrivo nei campi di Pantano.  A questo canto le donne del Borgo di Pantano rispondevano per confermare che avevano sentito ed erano in attesa del loro arrivo.
Nei loro canti erano spesso accompagnate da un tamburello..
Duemila carezzi mi facisti
Tutti ddi baciateddi chi mi dasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
(Duemila carezze mi hai fatto tanti baci mi hai dato. Passata la mezzanotte te ne sei andato mi hai lasciata con la pena nel cuore)
Il canto veniva eseguito esclusivamente all’interno di un contesto lavorativo cioè durante il trasporto della merce. Un canto che aveva la funzione di alleviare la fatica, far passare il tempo e anche come aggregazione nel gruppo.

La vegetazione, una volta raggiunto l’altopiano di contrada Lagunovu (luogo nuovo) andava pian piano cambiando e si caratterizzava per la prevalenza di vigneti e frumento e di alberi di olivi, agrumi e fichi. C’erano inoltre arbusti di mirti, corbezzoli, lauri, accompagnati da varie erbe aromatiche (menta, lavanda, rosmarino, timo).
Dall’altopiano di Lagunovu si intravedevano da una parte le luci del Comune di Saponara e dall’altra quelle del Borgo Pantano.
Una delle ragazze raccontava che arrivati in questo luogo appena si metteva a cantare il fidanzato, che ancora dormiva a Saponara, si alzava, accendeva la luce e si fumava una sigaretta alla finestra mentre lei da lassù vedeva la luce e gli cantava le canzoni.
Dall’altopiano di Lagunovu, dopo essersi rinfrescati alla sena (sorgiva d’acqua), le ragazze sempre cantando “u’ riiddu” intraprendevano la discesa per i campi del borgo.
Durante la discesa, a seconda della attività da svolgere, u ghiummu costeggiava il torrente lagunovu, fino ad arrivare alla zona detta  “tana delle volpi”  dove si caricava la paglia o il fieno. Una volta sul posto, ogni donna sistemava 50/60 kg di paglia o fieno nelle butane (lenzuoli spessi legati ai quattro estremi con delle corde) e riprendeva la strada del ritorno.
Nel mese di settembre c’era la vendemmia, e allora u ghiummu era delegato alla raccolta e al trasporto dell’uva. Giunti a Lagunovu si intraprendeva la discesa nei campi,  questa volta verso contrada Pozzo, dove all’ombra dei maestosi cipressi, si partecipava alla vendemmia.
C’era molta allegria, era un lavoro facile, e ogni tanto si mangiava un rappu (grappolo) tanto per controllare se l’uva era buona. Ogni tanto, durante le pause di lavoro, le donne aiutate dai bambini si immergevano nell’adiacente carruggio (ruscello) per pescare i ranciaciumi (granchio di fiume).
L’uva raccolta veniva caricata o a dorso di mulo, condotto dai contadini, o in grossi panieri sulla testa delle donne, che la trasportavano cantando fino al palmento di Pantano, dove gli uomini a piedi nudi la pestavano.
La vendemmia era anche una festa di aggregazione: c’era bisogno di molte braccia che all’ora di pranzo si ritrovavano. Le donne preparavano u sugu e u piscistoccu a ghiotta (pesce stocco cucinato in maniera tipica)  e Cinniredda, il musicista girovago, cantava e suonava la fisarmonica


Interessante sarebbe ricostruire il percorso delle “capuane” da Scarcelli, Saponara per giungere sino a Borgo Pantano e Rapano.



Probabile percorso delle “capuane”
---------------------------

5. L’ATTIVITA’  AGRICOLA





I terrazzamenti presenti lungo i versanti che circondano la collina, sulla cui sommità si trova il Borgo, sono la più chiara testimonianza dell’antica coltivazione di piante eduli ed officinali che ha contraddistinto quest’area per secoli.
L’abbandono delle suddette colture ha offerto la possibilità alla flora spontanea di ricolonizzare il territorio e attualmente tale processo è testimoniato dalle formazioni arbustive dominate dalle ginestre lungo i versanti delle colline e dalla presenza di ben oltre 200 specie di piante spontanee che tappezzano l’area.
L’area su cui sono stati effettuati i rilievi comprende circa 15 ha di superficie e si sviluppa intorno all’antico borgo Pantano e sulle colline antistanti ad un’altitudine che si attesta mediamente intorno ai 200 m s.l.m..
In seguito ad un’analisi approfondita del territorio è stato tracciato un sentiero didattico (marcato in rosso nell’immagine) lungo il quale è possibile osservare numerose specie di notevole interesse naturalistico e officinale; il percorso segue i versanti della collina fino ad arrivare, nella sua porzione più bassa, ad intercettare un torrente e 2 piccoli stagni artificiali in corso di naturalizzazione (tramite immissione di specie vegetali idrofile autoctone del territorio a cura dell’Orto Botanico P. Castelli di Messina), vere oasi di biodiversità e luogo di elezione per la riproduzione di numerose specie di anfibi ed insetti.




Una riqualificazione agricola del territorio che si fonda sui principi della ArcheoAgriCultura, vale a dire un modello di agricoltura naturale e sostenibile, che prende spunto dagli studi archeo-botanici (resti vegetali, impronte di radici nel terreno, semi carbonizzati e memorie orali) per coltivare la terra e trasformare i prodotti secondo antichi trattati, come facevano gli antichi romani, gli etruschi ed altri popoli storici.
Un'archeo-agricultura, che sostiene la conservazione del patrimonio genetico vegetale, l'utilizzo di tecniche agricole tradizionali, la fertilizzazione naturale nel rispetto della biodiversità e dell'antico sapere, parte integrante delle nostre radici.
In questo ambito trova, una particolare collocazione, la Fitoterapia. I nativi del borgo, di estrazione ebraica, diedero vita a questa arte della cura delle malattie, e non solo, con le piante. Partendo da tali origini viene confermata, anche la stretta correlazione con la farmacia di Roccavaldina, dove vari elementi storici e architettonici accostano Pantano alla farmacia, l’architettura dell’edificio, i materiali edilizi utilizzati, il portale cinquecentesco in stile toscano, ricordano le abitazioni della vicina Pantano. Inoltre, la documentata appartenenza al viceré Castagna dei casali di Rocca e “Pantani” e la necessità che un balì amministrasse questi casali  inseriscono Pantano in un gioco geo-economico di rilevanza non solo locale. È probabile che il borgo fosse un elemento essenziale della filiera della produzione farmaceutica legata a Rocca. In esso, si producevano plausibilmente le piante officinali, indispensabili per la farmacia, attività nella quale eccellevano gli ebrei.
In questo senso è stata condotta una ricerca scientifica-naturalistica, in collaborazione con l’Orto Botanico “P. Castelli” dell’Università di Messina.
Si è creato l’”Hortus Simplicium Pantano” cioè l’”Orto dei Semplici di Pantano” con l’Itinerario delle Piante officinali  e dei profumi. Un percorso consapevole nella natura per evocare nei fruitori emozioni e percezioni dimenticate o forse mai sperimentate o provate.






Il tutto è stato organizzato attraverso il C.I.T. (Centro di Interpretazione del Territorio), con un museo-sala congressuale e didattica che sovrintende e coordina tutte le attività, con l’ausilio di strumenti digitali e di tecnologie sofisticate.



---------------------

6. IL RECUPERO EDILIZIO


Il recupero architettonico, già avviato, è stato di tipo filologico, con la conservazione della cubatura originaria, del numero e delle dimensioni delle aperture (porte e finestre), delle partizioni interne e, ove possibile, della originaria organizzazione domestica.
Per l’esecuzione dei lavori si è fatto ricorso prevalentemente a materiale di recupero e, quando non possibile, a materiale proveniente dalla stessa area oggetto di corretta riproposizione deducibile da diversi studi tipologici su quella parte di patrimonio architettonico giunta integra.  Sono state conservate, infine, anche le tracce del vissuto delle genti rilevabili negli intonaci e nelle stratificazioni del costruito, le quali rappresentano parte integrante, secondo la filosofia d’intervento, dell'identità di questo luogo. L’obiettivo del recupero è legato alle tecniche edilizie di carattere conservativo adottate per il ripristino dei fabbricati che si sono avvicinate il più possibile a quelle originali dell'epoca, non volendo cancellare i segni del tempo e disegnando un quadro significativo per la comprensione della tradizione e dell’identità locale. Ovviamente sono state fatte piccole concessioni al comfort attraverso alcuni interventi, ma senza mai denaturare l’anima del borgo. È importante  la precisa volontà di riportare alla luce l'identità culturale restituendo al borgo il suo aspetto più autentico e forse mai perduto anche se era in abbandono. Per questo motivo sono stati reintrodotti anche i patrimoni della tradizione tessile, artigianale e dell'arredo domestico.
Il sito è stato oggetto d’indagine con il Georadar che, mediante l’invio di onde elettromagnetiche ad alta frequenza nel sottosuolo, è in grado di rilevare superfici di discontinuità nel sottosuolo dovute alla presenza dI altre murature. Le onde inviate nel sottosuolo riflettono, dalle superfici incontrate, con differenti caratteristiche dielettriche. In breve è capace di rilevare qualunque anomalia presente nel sottosuolo grazie proprio alla contrasto tra le proprietà le elettriche del materiale indagato sia metallo, cemento, muratura, ceramica ecc e quelle del terreno. L’obiettivo è la mappatura del territorio anche per evidenziare la presenza di siti o di antiche strutture sepolte




---------------------------------------------


7. CIT (Centro Interpretazione del Territorio)
 C.I.T. (Centro di Interpretazione del Territorio) è un'iniziativa dell'Osservatorio per lo Sviluppo Economico e Turistico del Tirreno (Osett).
L'Osett ha sede legale a Valdina (ME), in via Leonardo Sciascia nr. 1, e fa parte del progetto "Sulle tracce del Baly" (misura 313, sostegno alla creazione e allo sviluppo di microimprese). Azione A del P.S.R. Sicilia 2007/2013, che intende diffondere l'epoca del "benessere" del luogo, recuperare la memoria, riappropriarsi dei saperi e ripristinare modelli di sinergia tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda, sfruttando le particolarità del borgo e del territorio circostante.
Sede: Villaggio Pantano, s.n.c. - 98043 - Rometta (Messina) [Sicilia]
Andare "sulle tracce del Baly" vuol dire ricercare l'epoca del "benessere" del luogo, recuperare la memoria, riappropriarsi dei saperi, ripristinare modelli di sinergia tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda sfruttando le particolarità di borgo Pantano.
Il Centro Culturale di Interpretazione del "Luogo" proposto intende assolvere all'esigenza di creare un ponte tra il territorio, la sua storia, le comunità che lo hanno abitato e le politiche di sviluppo (che sanno riconoscere in questi elementi il vero giacimento dal quale trarre la materia prima per la crescita socio-economica locale), avviando un nuovo sistema di promozione e valorizzazione, un'innovativa possibilità di offerta e fruizione del patrimonio locale che registra grandi e crescenti aspettative in tutta Europa.
L'obiettivo principale è di garantire la riappropriazione dei "saperi" perduti e la riconquista della consapevolezza di appartenenza ad un territorio, alla sua storia ed alla sue peculiarità ambientali e socio-culturali attraverso:
- la testimonianza di un modo di costruire;
- l'opportunità di rileggere una fase storica negli aspetti economici, sociali; culturali- antropologici, ormai lontani ma forse non ancora totalmente dissipati;
- la rappresentazione di un'essenziale (forse anche "umile") ma sapiente cultura materiale che ha consentito ai fondatori di integrarsi totalmente con l'ambiente circostante in una sinergia uomo-attività-ambiente, prosperando per un lungo periodo e consentendo oggi, malgrado un prolungato abbandono, di ammirare la qualità e la sostenibilità dell'antropizzazione ambientale proposta.
Davanti a una simile realtà, diventa evidente l'importanza della valorizzazione e del recupero, intesi quali attività volte al riconoscimento del valore delle testimonianze materiali e immateriali ed alla trasmissione di tali valori.

Gli obiettivi del CIT sono molteplici:
-          Creare un luogo di visita ed escursioni;
-          Un laboratorio dove valorizzare le antiche culture del territorio che risalgono al 1500 rivolto alle scuole;
-          Creare consapevolezza e soprattutto conoscenza dell’ambiente che possono fare da stimolo a cambiamenti di vita rispetti della sostenibilità;
-          Sussidio a gruppi escursionistici per fornire conoscenze sulla natura e l’ambiente anche nei suoi aspetti culturali;
-          Creare dei viaggi di conoscenza che possono generare occasioni di scoperta e di crescita vivendo il territorio e riuscendo ad immergersi nella sua cultura e nella vita d’altri tempi;
-          Offrire un ospitalità di tipo monastico per il raggiungimento di un benessere psico-fisico attraverso il contatto con la natura, con le attività tradizionali ed olistiche del borgo; con i piatti tipici della tradizione locale; con il contatto con la cultura e soprattutto con il silenzio. Il luogo immerso nella natura e la stessa configurazione del borgo creano uno spazio dove si può veramente ascoltare il suono della natura e questo aiuta anche a conoscere sé stessi. Solo riscoprendo le nostre origini si potrà tornare a vivere liberi da condizionamenti naturali come diceva Socrate nel “Fedone” platonico riferendosi al Mediterraneo…”come rane e formiche attorno al nostro stagno” (nel rispetto delle reciproche differenze).

Al CIT bisogna dare i giusti meriti per essere riuscito a creare una grande opportunità turistica con la valorizzazione e il presidio di un territorio dimenticato e che è stato riscoperto con i suoi grandi valori storici e sociali.
Nella realizzazione del loro progetto avranno incontrato difficoltà non indifferenti,, invidie, atteggiamenti ostruzionisti da chi guarda con preoccupazione per i propri interessi simili iniziative,.. ma sono riusciti a realizzare qualcosa d’importante.. Ridare vita ad un borgo medievale lasciando intatto il suo antico fascino… è come se gli antichi abitanti che hanno vissuto momenti difficili siano ancora presenti in quei vicoli e in quelle case espressione di lavoro e soprattutto di aggregazione sociale. Quest’ultimo aspetto perduto ormai da tempo nella nostra società.
Mi auguro che nella loro attività di promozione e di valorizzazione non vengano influenzati da azioni esterne che potrebbero colpire  le loro azioni di sviluppo come purtroppo si è verificato per altri borghi della Sicilia anche loro ricchi di storia e di aspetti ancora non svelati.




----------------------------

8.      I PROTOCOLLI  D’INTESA

UNIPOSMS
Il “Progetto Pantano” è da diversi anni in fase di realizzazione con importanti iniziative
L’11 settembre 2017 fu firmato un protocollo d’intesa con l’UNIPOSMS (Università Popolare Nuova Scuola Medica Salernitana). Un importante istituzione quasi millenaria che rappresenta il primo esempio di medicina popolare oltre che di ricerca scientifica e filosofica nel campo della fisioterapia.  La pratica che prevede l’utilizzo delle piante per la cura delle malattie e per il mantenimento del benessere psicofisico che sono state ereditate dalla dottrina e dall’insegnamento originario della Schola.  Un insegnamento che determinò lo sviluppo culturale del Mediterraneo nella medicina nell’Europa Medievale e facilitando l’incontro di culture diverse: latina, greca, ebraica ed araba.

L’accordo prevede una collaborazione con la creazione nel Borgo di patano di un Centro Studi per la valorizzazione storico-scientifica, la rinascita culturale del territorio e la conservazione del paesaggio storico, ereditati dalle dottrine e dall’insegnamento della medicina popolare che si è sviluppata nel Bacino del Mediterraneo come patrimonio dell’antica Schola Medica Salernitana.



Miniatura Medievale: Medici curano un malato

“Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose:

l’animo lieto, la quiete e la moderata dieta”.

(Scuola Medica Salernitana, “Regimen Sanitatis Salermitanum)


“Perché il sonno ti sia lieve / la tua cena sarà breve.
Se gli humor serbar vuoi sani/ lava spesso le tue mani.
Se non hai medici appresso / farai medici a te stesso / questi tre:
anima lieta / dolce requie e  sobria dieta”
(“L’Ora di Storia )
La Scuola Medica Salernitana fu la prima e più importante istituzione medica
d’Europa nel Medioevo (IX secolo) ed è considerata la progenie delle moderne università
la Scuola si fondava sulla sintesi della tradizione greco-latina e completata
da saperi provenienti dalle culture araba ed ebraica. Rappresenta un monumento
fondamentale nella storia della medicina per le innovazioni che introduce nel metodo
e nell’impostazione della profilassi.
Di particolare importanza era anche il ruolo svolto dalle donne nella pratica
e nell’insegnamento della medicina. Donne che insegnarono e operarono nella scuola
diventando famose con il termine di “Mulieres Salernitanae”.
Le basi teoriche non erano solo legate alle fonti ed alle esperienze antiche  ma anche
all’esperienza maturata nella quotidiana attività di assistenza ai malti.
Con la traduzione dei testi arabi si aggiunse a questa esperienza una vasta
cultura fitorepatica e farmacologica legata all’utilizzo delle piante.
Già nel X – XIII secolo giungevano alla Schola Salerni persone provenienti
da tutta Europa, sia ammalati che speravano di essere guariti, sia studenti
che desideravano apprendere l’arte della Medicina. Il prestigioso della Schola
è testimoniato dalle cronache dell’epoca e dai numerosi manoscritti che
sono conservati in tutte le biblioteche europee.
Federico II di Svevia nelle sue “Costituzioni di Melfi” stabiliva che l’attività
di medico poteva essere svolta solo da chi era in possesso di diploma
rilasciato dalla Scuola Medica Salernitana.

---------------------------




“ASSOCIAZIONE ERBORISTI  MEDITERRANEI”

Il 25 marzo 2017 in occasione del Convegno Nazionale Erboristi Mediterranei, che si svolse a Zafferana Etnea, fu sottoscritto un Protocollo d’Intesa con obiettivi progettuali di ricerca per la conservazione e la valorizzazione delle risorse genetiche vegetali ma anche di carattere scientifico di studio e di ricerca storico-culturale.

Un Associazione che ha sede a Foggia e che si occupa delle diffusione delle conoscenze storiche e tradizionali delle attività di produzione erboristica e di cooperazione nel mondo scientifico e culturale per la valorizzazione delle risorse locali, umane e ambientali.

------------------------


Fu firmato il Protocollo d’Intesa tra Borgo Pantano e la Farmacia Medievale/Museo di Roccavaldina

COMUNE DI ROCCAVALDINA
DELIBERE DI GIUNTA MUNICIPALE
ANNO 2016
ESTRATTO ATTO DELIBERATIVO AI SENSI L.R. 22/2008
AI FINI DI PUBBLICITA’ NOTIZIA
come sostituito dall’art. 6 L.R. 11/2015
In attuazione a quanto disposto dalla legge regionale n. 22 del 16/12/2008 e ss. mm. ed ii. come sostituito dall’art. 6 della L.R. 11/2015, circa l’obbligo delle amministrazioni comunali di rendere note, per estratto, nel rispettivo sito internet tutti gli atti deliberativi adottati dalla giunta e dal consiglio, le determinazioni sindacali e dirigenziali, nonché le ordinanze, ai fini di pubblicità notizia, si comunica che nella presente sezione si procederà alla pubblicazione per estratto degli atti deliberativi adottati dagli organi di questo Ente.
Delibera di Giunta Municipale n. 111 del 25 ottobre 2016.

OGGETTO: Approvazione schema di protocollo di intesa per attività di collaborazione storica, culturale e scientifica.

ESTRATTO: Delibera di approvare lo schema di protocollo d’intesa che disciplina il rapporto di collaborazione tra Comune e la Incanti & Memorie s.a.s. di Maria Cannuli & C, finalizzato all’attività di collaborazione storica, culturale e scientifica legata al Museo Farmacia di Roccavaldina, autorizzare l’Assessore Grazia Paino, alla sottoscrizione del protocollo d’intesa, dà atto che il presente provvedimento non comporta impegno finanziario a carico dell’Ente
Parte Saliente del Protocollo di Intesa
La Incanti & Memorie s.a.s. e il Comune di Roccavaldina, convergono su questa iniziativa, con l’intento di attuare un’azione  di valorizzazione storico-culturale, che parte dalle origini del borgo, ed è strettamente correlata con  il museo farmacia di “Rocca” risalente al 1608.
Vari sono gli elementi storici e architettonici che accostano Pantano alla storica farmacia. L’architettura dell’edificio, i materiali edilizi utilizzati, il portale cinquecentesco in stile toscano ricordano infatti le abitazioni della vicina Pantano.
La documentata appartenenza al viceré Castagna dei casali di “Rocca” e “Pantani” e la necessità che un balì amministrasse questi casali, forniscono inoltre una  chiave di lettura e inseriscono Pantano, in un gioco geo-economico di rilevanza non solo locale.
Borgo Pantano, era probabilmente un elemento essenziale della filiera della produzione farmaceutica legata a “Rocca”.
In esso si producevano plausibilmente le piante officinali indispensabili per la farmacia, attività nella quale eccellevano gli abitanti ebrei del borgo.
La conoscenza e la comprensione del patrimonio culturale, rappresentano un contributo fondamentale per il proprio territorio e le sue risorse, dove, i soggetti firmatari potranno sostenere la diffusione di occasioni scientifiche e culturali per  la corretta lettura dei valori della storia e del  paesaggio, inteso come territorio, i cui i caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni.


-----------------







9.      Video 


-----------------------------

10.      Il Borgo di Rapano (Superiore ed Inferiore)


Da Rometta prendendo la Strada Provinciale 54bis si raggiunge il Borgo di Rapano suddiviso in Rapano Superiore e Rapano Inferiore.
Posto ad un altitudine di 326 m s.l.m. ha oggi circa 46 abitanti.
Le sue origini sono anteriori all’anno mille. Fu citato in alcuni documenti notarili del 1200 – 1330 del Monastero S. Maria de Messana che aveva molti terreni nel feudo di Rapano.
Sotto Federico III d’Aragona (1296 – 1337)   fu un feudo del nobile Giovanni di Manna. Nel 1408 il Casale di Rapano risulta di proprietà di Niccolò Castagna, signore anche di Rocca e di Valdina e di altri casali.
Il 15 novembre 1604, Rometta permutò con il Conte di Villafranca i diritti che aveva sulla terra ottenendo in cambio il casale di Rapano. In seguito venne tolto a Rometta ed assegnato nuovamente ai discendenti di Niccolò Castagna.
Sul finire del 1700 i Romettesi, dietro il pagamento di un ingente somma. riscattarono il possesso del feudo di Rapano che nel frattempo era stato elevato a Baronia. Fu l’ultimo passaggio perché da quell’anno Rapano resterà legato al centro di Rometta.
La chiesa parrocchiale è dedicata a San Domenico.
Non molto distante da Rapano (Inferiore) si trova il borgo abbandonato di Pantano.
Bisogna lasciare la SP 54bis, entrare a Rapano Inferiore e proseguire per il Borgo di Pantano dove la vita si è fermata asgli inizi del’  900 lasciando intatto un importante documento storico e sociale.

Borgo di Rapano










Rapano Inferiore




Rapano – Chiesa di San Domenico


------------------------------------


11.      Frazioni /Borghi  di Rometta

a)      San Cono – La Chiesa – La Storia di San Cono (Monaco basiliano di Naso-Me) -                          La Sagra dell’Asparago Pungitopo 


Da  Rometta si prosegue per la frazione di San Cono  che sorge sulle falde della collina. 
Una frazione vicina al centro e la cui origine è legata al culto di San Conone. Nel periodo in 
cui Messina era colpita dalla peste, nel 1500, si tramanda come i romettesi, per impedire il 
contagio con gli stranieri, decisero di costruire due chiese fuori le mura della città. Chiese che 
furono entrambe dedicate a San Cono. Una di queste chiese sorse proprio in vicinanza della 
Porta Terra o Milazzo. Attorno a questa chiesa cominciarono a sorgere le abitazioni fino a 
formare un vero e proprio centro.







San Cono era protettore di Naso ed è naturale chiedersi come mai i romettesi si
rivolsero a lui per essere salvati dal contagio.
A Naso l’intercessione del Santo aveva salvato la cittadina dalla peste e il magistrato di
Rometta fece il voto al santo di erigere due chiese in suo onore se l’avesse
salvata dalla peste. Esaudito il voto, sorsero quindi i due luoghi sacri: uno al villaggio
San Cono e l’altro al villaggio Sant’Andrea (detto Santuccio) dove fu posta una
bella tela sull’altare maggiore con l’effige della Madonna tra San Cono e Sant’Andrea.
Ma quali solo le origini di San Cono ?
San Cono, battezzato Conone, è un Santo Sicilian, un monaco basiliano e poi abate.
Nacque a Naso (Messina) il 3 giugno 1139 e morirà nella stessa cittadina il 28 marzo 1236.
In quel tempo regnava Ruggero II ed era figlio di Anselmo Navacita, governatore di
Naso e appartenente al nobile casato Normanno dei Navacita, e di Donna Claudia
o Apolonnia Santapau.
Giovanissimo si presentò nel Monastero di San Basilio, vicino Naso, dove venne accolto.
Dimostrò subito le sue virtù, l’amore per la preghiera e per la penitenza, accettando di
svolgere anche i servizi più umili. Venne poi trasferito nel Monastero Basiliano
di Fragalà (Frazzanò) dove conobbe San Silvestro da Troina e San Lorenzo da Frazzanò.
I superiori gli proposero e successivamente gli imposero il sacerdozio.
Conone amava la vita contemplativa infatti riuscì ad ottenere il permesso di vivere in
solitudine nella grotta di Rocca d’Almo, dove si nutriva di erbe selvatiche dormento sul terreno e dedicandosi solo alla preghiera.
Ritornò in convento perché chiamato dall’abate per sostituirlo e
successivamente, a causa del mancato ritorno dello stesso abate, fu nominato
abate malgrado la sua giovane età.
Fece un pellegrinaggio a Gerusalemme e al suo ritorno seppe della morte dei
suoi genitori. Come unico erede decise di donare il suo patrimonio ai poveri e di
ritirarsi definitivamente nella grotta di san Michele per riprendere la sua
vita da eremita. La sua quiete venne turbata da uno strano episodio che dimostra
come la cattiveria umana non abbia limiti.
Una giovane fanciulla di Naso, di nobile casato, cadde in peccato con un giovane
rimanendo nel disonore. Ella incolpò, del perduto onore, l’eremita nonostante la
sua età avanzata e la fama di santità di cui godeva. (La sua vita è
costellata da prodigi, miracoli, guarigioni prodigiose…). Conone fu
denunziato al Governatore e trascinato come il peggiore malavitoso davanti
al giudice e fustigato nella pubblica piazza. Ma quando fu spogliato,
comparve un corpo esile, coperto di piaghe, con il cilicio ai fianchi e al petto e le
carni in qualche punto a brandelli e già putrefatte. Il vecchio
abate fu allora riaccompagnato in massa dal popolo osannante nella grotta
da cui ingiustamente era stato prelevato”.
Morì durante il regno di Federico II di Svevia, un Venerdì Santo.
La leggenda narra  come a Naso si sentirono suonare le campane da sole.
I nasitano si recarono nella grotta di Conone, per chiedere spiegazioni su
quel suono improvviso delle campane, e lo trovarono privo di vita, in
estasi e sollevato da terra.
Spettacolare è la festa, la più importante a settembre, in onore del Santo a Naso.
Il busto del santo viene collocato su una pesante macchina e portato in
Processione per il paese adornato di archi, piramidi d’edera e lampioni variopinti.
Alla macchina vengono legate le spighe che dovranno essere mescolate al grano
da semina per la stagione per la stagione agraria.
Il simulacro del santo ha un aspetto sgradevole..”gli occhi grandi e spaccati,
il naso aquilino, le labbra grosse, la faccia… bronzina, larghissima”..nel detto
siciliano alcuni proverbi mettono in risalto questo aspetto..
“Avi ‘a facci ‘i san Conu”.
Il Santo è invocato contro i mali del naso e delle orecchie. A questo protettorato
Si deve collegare la rappresentazione di questi due organi (un naso tra due
orecchie) che in passato fu aggiunta allo stemma del paese e che dal popolo fu
subito interpretata come un ammonimento del Santo ai devoti di
“aver buon naso, ascoltare assai e parlar poco”.

Naso (Messina) – Processione di San Cono

A Rometta, in solenne attestato di gratitudine, ogni anno, si festeggiava il santo, con grande fervore, il primo settembre in tutte due le chiese. 


Ruscus Aculeatus



---------------------------

a)      GIMELLO
(Altitudine 409 m s.l.m. – abitanti n. 311


Le sue origini risalgono al periodo Normanno. Secondo la tradizione fu Ruggero che sul sito fondò un villaggio a cui diede il nome di S. Menna, uno dei suoi Santi protettori. Dal greco deriverebbe il 
termine “aghimeddu” che in alcuni documenti notarili medievali  appare come “Abamenni”. 
Una frazione immersa nei boschi Peloritani ed è, per numero d’abitanti, la seconda frazione di Rometta  dopo S. Cono.

Chiesa di San Rocco

-------------------

a)      GIMELLO  NE’ MONACI –
Gole di Silimò
(Altitudine. 404 m s.l.m. – abitanti: n. 88)






È una piccola contrada pianeggiante che si raggiunge dalla frazione di Gimello. Da Gimello Nè Monaci si raggiunge la fonte di Silimò sull’omonimo torrente. Il  nome della piccola frazione è legato alla presenza nel territorio di numerosi eremi di Monaci da cui nasce il nome. Si questi eremi 
sono solo un il rudero di un piccolo Monastero che era utilizzato, fino al 1700, per dare ospitalità e
cura per i malati.  Un altro aspetto del territorio è legato alla presenza di una fabbrica di polvere pirica, sita in contrada Costicampo, che fu operativa sino alla prima metà del 1900.


Ruderi di un antico Monastero

Per raggiungere le Gole di Silimò dalla chiesa di S. Rocco di Gimello, si prosegue sulla sinistra per raggiungere la frazione di Gimello Né Monaci.
Nelle planimetrie sono riportate due sentieri (A/B) che permettono di raggiungere il torrente e quindi di fare un percorso ad anello. In ogni caso è consigliabile rivolgersi alle guide locali di Rometta perché sono presenti dei salti con relative cascate (da 14 a 25 metri circa). Naturalmente è da evitare l’escursione nei periodi di pioggia.  Lungo il torrente si trova l’antica polveriera.













Video: 



-----------------------



d. SAFI’
(Altitudine: 478 m s.l.m. – abitanti inclusi in Rometta)
Piccola frazione lungo la strada provinciale San Cono – Gimello e a poca distanza da quest’ultimo.
Deve il suo nome ad un antico proprietario del feudo, Costantino Safì, come risulta da un antico documento del 1096.
-------------------------



e. CONDURRI
(Altitudine: 428 m – Abitanti: n. 12)
Antico borgo agricolo forse fondato in età medievale. Al centro sorge la Chiesa, ad un’unica navata, dedicata alla Madonna di Loreto costruita nel 1481. Densamente abitato sino al secondo conflitto mondiale, quando trovarono rifugio molti messinesi che avevano perso la propria abitazione a causa dei bombardamenti di Messina. Il villaggio andò via via spopolandosi nei decenni successivi. Abbandonato quasi del tutto ai primi del 1970 in seguito ad un’alluvione che aprì numerose frane.




--------------------------------

f. SANTA DOMENICA
      Borgo di San Sebastiano con Oratorio del 1699 – Chiesa del Palostrico
(Altitudine: 346 m s.l.m. - Abitanti: 228)

Nelle sue contrade si sono trovati i segni, tombe a grotticelle scavate nella roccia, dei primi insediamenti umani risalenti all'età del Neolitico (contrada Raspa). Sicuramente nel basso medioevo il villaggio era chiamato Neocastro. Successivamente, in età moderna, prese il nome attuale. Poco distante il piccolo borgo di S.Sebastiano dove sorgeva una Casa (Oratorio) di Sacerdoti sotto la regola di S.Filippo Neri, edificata nel 1699 dal Sacerdote, don Benedetto Mundo, ricco prelato romettese. Oggi tutto il plesso religioso con l'annessa Chiesa, proprietà privata, versa in abbandono completo. Nonostante da decenni si lotti per migliorare l'attuale stato precario delle due uniche strade provinciali che la collegano, una a Rometta e l'altra alla SS.113 attraversando i Comuni di Roccavaldina e Torregrotta, gli abitanti della frazione continuano a popolare, forse quello che fu il primo centro abitato dall'uomo del territorio romettese.










Contrada Barrera






Borgo San Sebastiano

Borgo San Sebastiano - L'antico Oratorio



'u Ricuttaru
-------------------










La chiesa è chiamata dai romettesi con l’appellativo di “palla” per la forma della sua cupola. Si trova sul colle “Palostrago o Palostraco o ancora Palostrico”. Un termine del deriva dal greco “paleo-Kastron” che significa “antico accampamento”.
Non sembra una chiesa per i suoi aspetti: volumetrico, nello spessore delle mura e anche per le ampie strombature delle sue poche finestre.
Il monte fu per secoli abitato e militarizzato come dimostrano i resti della necropoli greca e anche della torre d’avvistamento. Alla fine dell’ 800 sul luogo c’era un distaccamento militare che faceva parte del sistema difensivo della dorsale dei peloritani.
La prima costruzione della chiesa si fa risalire al periodo bizantino.  L’archeologo Giacomo Scibona affermò, nelle sue ricerche, la somiglianza dell’edificio con la chiesa di Santa Maria dei Cerei.
Una somiglianza legata a diversi aspetti: la pianta ottagonale e la rozza cupola emisferica che poggia, attraverso delle semplici pennacchi, su una cornice modanata.
Le stesse cornici si trovano nella “rosata” di Rodi Milici cos’ come nella distrutta chiesa della Madonna di Loreto a Pezzolo. In quest’ultimo edificio ritroviamo anche le stesse finestra ad arco ribassato e con la forte strombatura che portarono alcuni storici ad affermare l’esistenza di modifiche militari risalenti al cinquecento.
La cupola, più alta rispetto alle altre cupole bizantini, potrebbe essere legata all’abbassamento dei muri perimetrali per fare spazio al timpano quando la chiesa subì un ammodernamento nel XVIII secolo. Un ammodernamento legata ad un miracolo compiuto dalla Madonna.
Infatti la cupola bizantina  generalmente appare ribassata perché è incassata nelle mura perimetrali.
Non so se nell’edificio siano state mai effettuate delle indagini archeologici che potrebbero rilevare la probabile esistenza di stratificazioni. Infatti l’aspetto l’odierno, tra cui un orribile “imbiancata”, fanno somigliare l’edificio ad una struttura militare del rinascimento e, ancora di più, ad un bunker della seconda guerra mondiale.


La Chiesa è dedicata alla Madonna del Palostrico. I  festeggiamenti in onore della Madonna ricorrono nel mese di marzo con un solenne pellegrinaggio di fedeli da  Rometta e dai centri vicini. 



-------------------------------------

g. TORRETTA
      Regia Trazzera Rometta – San Martino

Altitudine (mt): 464

Abitanti: inclusi in Rometta

Ricorrenza religiosa: Madonna del Palostrago


Deve il suo nome ai resti di una torretta medievale d'avvistamento che sorge nei suoi pressi sul versante occidentale del Palostrago o Palostraco (da Paleo Castrum = vetus oppidum = vecchio campo). La torretta, d'impianto circolare faceva parte del complesso sistema difensivo della città-castello di Rometta: dalla sua posizione si controllava a vista tutto il golfo di Milazzo e gran parte della piana milazzese e, soprattutto, dominava e vigilava l'importante passo della strada mulattiera che dalla costa raggiungeva Rometta. Oggi la piccola Frazione non è abitata, e va ricordata per la scuola elementare rurale, attiva negli anni sessanta e che accoglieva numerosi alunni provenienti dalla vicina San Cono e per una Trattoria-Pizzeria immersa nel verde. Nei suoi pressi, si dirama un'importante strada di origine antichissima,(oggi a terra battuta), che collega Rometta a San Martino di Spadafora. La strada, tracciata su un'antica trazzera regia, attraversa contrade dai nomi che evocano ricordi e atmosfere di una volta, quali Quareddi, di chiara derivazione araba. Ed ancora Frantumeli e Cucuzzaro. Quest'ultimo luogo, poco distante da Torretta, fu interessato da un tragico evento accaduto durante la rivolta antispagnola di Messina del 1674-1678. Per far arrendere la guarnigione spagnola asserragliata in Rometta, le truppe francesi e i rivoltosi messinesi, decapitarono decine di prigionieri spagnoli. Finite le ostilità, i corpi orrendamente mutilati, furono sepolti in quel luogo che da allora si chiamò Cucuzzaro.


----------------------------------


h. SCALONE OLIVETO
(Altitudine: 355 m s.l.m. – Abitanti: n. 23)
Situato lungo la strada provinciale Rometta Marea-Rapano- Rometta, il piccolo centro abitato ha perso la quasi totalità dei suoi abitanti a partire dal secondo dopoguerra a causa dell'emigrazione. Scalone deve il suo nome ai grandi gradoni in pietra che permettevano di percorrere un breve ma tortuoso tratto in salita della regia trazzera che dalla marina portava alla città-castello di Rometta. Lo stesso tratto era controllato e difeso dalla torretta medievale i cui ruderi sono ancora oggi visibili. Alla Torretta di Scalone, simile ad una massiccia torre cilindrica, giungevano i segnali visivi lanciati, in caso di pericoli (incursioni saracene o turche) provenienti dal mare, dalla Torretta fortificata di Saponara e da qui bypassati direttamente a Rometta, centro di difesa e di asilo della popolazione del vasto territorio.

-------------------------------


i.   LORENTI
Altitudine: 308 m s.l.m. - Abitanti: (inclusi in Rometta)
Piccolissimo borgo posto lungo la strada provinciale Saponara-Rometta. Oggi è quasi del tutto spopolato. Deve il suo nome quasi sicuramente perchè sorgeva "ad oriente" di Rometta la quale si staglia in alto con lo sprone roccioso di Porta Messina.

---------------------------------

j. SOTTOCASTELLO
(Altitudine: 433 m s.l.m. - Abitanti: n. 11)
Piccolo Borgo fuori le mura sorge lungo l’argine della strada provinciale Rometta Marea-Rapano-Rometta. Oggi, molte delle sue abitazioni sono vuote. Si trova una Trattoria dove è possibile gustare piatti tradizionali del luogo. Anticamente costruito a margine dell’antica strada regia “Via Messina”, il Borgo si trova a poca distanza dalla Porta Castello o Messina che lo sovrasta dall'alto delle mura merlate e assieme all'altra Porta, chiamata Terra o Milazzo, rappresentavano le uniche vie d'accesso alla Città-castello. Nel medioevo rappresentava il luogo dove potevano trovare ospitalità i viaggiatori che giungevano a Rometta dopo la chiusura delle Porte che avveniva in coincidenza con il tramonto. Qui potevano pernottare e, di giorno, lasciare i bagagli e i cavalli in quanto era proibito per ragioni igienico sanitarie condurli dentro le mura della città-fortezza.




Ipogeo Paleocristiano



---------------------------------



k. SANT’ANDREA
Altitudine: 80 m s.l.m. - Abitanti: 137

Ricorrenza religiosa: Madonna del Sabato

Non si hanno notizie sulla sua fondazione. Solo un'attenta osservazione del tessuto urbano e viario del borgo potrebbero collegare la frazione ad una struttura di ispirazione araba e comunque alto medievale. Nel 2008, durante i lavori del gasdotto,  furono rinvenuti reperti risalenti alla Età del Bronzo collegati ad un insediamento umano preistorico. Il nome del borgo di Sant'Andrea appare intorno al XIII secolo in alcuni documenti, scritti in lingua greca e conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi, del Monastero di suore basiliane di S.Maria de Messana e nei quali viene citato il villaggio dell'Apostolo Andrea. Successivamente, in età moderna fu indicato con il nome di Rantuccio (1740) per poi passare al nome  originario ed attuale di S.Andrea. Il villaggio, sino al 1604, non dipendeva da Rometta ma era un feudo. Nel 1548 risultava signore feudale la famiglia Cottone, Conti di Bauso. Infatti, il 15 novembre 1604, Sant'Andrea e Rapano furono ceduti dagli stessi Cottone alla città di Rometta. La sua derivazione (di Sant'Andrea) di età bizantina è testimoniata dalla cantica "Evviva Maria". A differenze delle grandi chiese bizantine di Sicilia, le cui pareti venivano coperte da mosaici atti a raccontare al popolo le sacre scritture, qui nella povera cappella della Madonna del Sabato non sono le pareti della Chiesa a raccontare le sacre storie, ma la viva voce del popolo, che riunendosi sul sagrato per sette venerdì precedenti la festa nel nome di Maria, raccontano brani delle sacre scritture mediante un cantò che inframmezza la vita di Maria a storie del paese. (tratto da Saverio Ponz de Leon in "La tradizione dell'Evviva Maria a Sant'Andrea" - Trento 2007





---------------------------

l. FILARI
Fortino militare - Ipogei
Altitudine: 105 m s.l.m. - Abitanti: 17
La contrada Filari- Mazzabruno si trova a monte di Rometta Marea e si snoda lungo la provinciale Rometta Marea-Rometta. Di recente espansione urbanistica, la contrada Filari si è sviluppata intorno all’antico gruppo di casolari, attraversato da una trazzera pubblica che lambiva la vicina Chiesetta dedicata a San Giuseppe e conduceva all’abitato di San Martino di Spadafora. Sul suo territorio sorgono un moderno frantoio per la macina di olive e un'azienda di laterizi. Occupa un vasto pianoro ricco di acque sorgive conosciute fin dai tempi antichi (Gibbione). Su questo piccolo territorio pianeggiante avvenne la battaglia del 964 tra Bizantini e Arabi e, in epoca umbertina fu costruito un piccolo ridotto militare di cui ancora oggi si notano i resti in località Fortino a poca distanza dal Campo Sportivo comunale di Filari.
Furono individuati due ipogei legati alla presenza di un luogo di culto sovrastato da un alloggio eremitico del custode dei luoghi.




Video:

Il Fortino Militare
---------------------------

m. ROMETTA MAREA
Altitudine: 5 m s.l.m. – Abitanti 4.419
E' la frazione più grande del Comune e rappresenta il suo sbocco a mare. Si estende infatti lungo la costa tirrenica nella parte iniziale del golfo di Milazzo.
Il centro storico è rappresentato dal quartiere “Due Torri” che prende il nome dall’esistenza di due torri costiere che facevano parte del sistema difensivo del Regno di Sicilia ed in uso dal 1549. Resti che sono visibili lungo la Via Due Torri. Nel 1700 esisteva un casale “Vinci” che sorgeva all’imbocco della strada “Messina” che conduceva a Rametta. Il suo sviluppo è legato alla costruzione della rotabile (l’attuale Via nazionale) avvenuta nel 1833 per opera dei Borboni. A fianco della nazionale cominciarono a sorgere numerosi edifici civili. Un espansione urbanistica che toccò il suo apice negli anni 1970 – 1980.
In definitiva Rometta Marea è formata da due località “Fondaco Nuovo “ e “Due Torri”.




-------------------------------------

Commenti

Post popolari in questo blog

MONTE PELLEGRINO (R.N.O.) - Palermo - "Il Promontorio più bello al mondo.." -

PIETRAPERZIA (Caltanissetta) – Il castello della Principessa Dorotea Barresi “Grandes de Espana de primera grandeza” - La triste storia di uno dei castelli più belli della Sicilia..

MONTE PELLEGRINO (RNO)(PA) – LA GROTTA DELLE INCISIONI