ROMETTA (Messina) - BORGO PANTANO..Un Borgo Medievale nel suo aspetto originario
Indice:
1.
Descrizione
del Borgo
a)
Aspetti
Storici ed Esoterici – Coltivazione di piante officinali per la Spezieria di
Roccavaldina – La medicina Spagirica – il Medico Paracelso – La Comunità
Ebraica – L’espulsione degli Ebrei e i “marrani” – Il Quadro di El Greco – La Medichessa
b)
Le
Costruzioni, aspetti unici;
c)
La
Chiesa di S. Maria delle Grazie;
d)
La
Torre del Baly;
e)
Pozzi
di comunità - “U Giacatu”, Il Percorso
del Lavoro;
2.
Aspetti
di Vita
a)
L’Arte
Tessile;
b)
Il
Palmento - I Forni a Legna;
3.
I
Segni Misteriosi;
4.
La
Via del Melos, “U Riiddu” (Il Canto delle Donne);
5.
L’Attività
Agricola;
6.
Il
Recupero Edilizio;
7.
Il
CIT;
8.
I
Protocolli d’Intesa: “Schola
Salernitana” – L’Associazione Erboristi Mediterranei (Foggia) – Comune di
Roccavaldina (Farmacia/Museo)
9.
Video
10. Borgo Rapano
11. Frazioni/Borghi di
Rometta
a)
Sn
Cono : La Chiesa – San Cono ( Monaco eremita di Naso-Me) – La sagra dell’Asparago
Pungitopo
b)
Gimello;
c)
Gimello
Né Monaci – Le Gole di Silimò;
d)
Safì;
e)
Conduri;
f)
Santa
Domenica; Borgo di San Sebastiano ed Oratorio del 1699 – La Chiesa del
Palostrico;
g)
Torretta;
La Regia Trazzera Rometta – San Martino (Spadafora);
h)
Scalone
– Oliveto; (Torre)
i)
Lorenti;
j)
Sottocastello;
Ipogeo Paleocristiano;
k)
Sant’Andrea;
l)
Filari; fortini militari; ipogei
m)
Rometta
Marea
---------------------------
Borgo
Pantano ricade nel Comune di Rometta e
si trova a circa 6 km dallo svincolo dell’Autostrada Messina Palermo (A20). Un
piccolo borgo, creato in un territorio di circa 17 ha di superficie, con una
trentina di edifici, distribuiti su due schiere, che si sviluppano lungo due
linee di livello del terreno.
Si
può raggiungere da Roccavaldina passando per Rometta e proseguendo lungo la
Strada Provinciale 54bis. Arrivati a Rapano Inferiore, piccolo borgo del Comune
di Rometta, si prosegue per circa 465 m sino a raggiungere Borgo Pantano.
Molti
si chiederanno il motivo di questo collegamento con Roccavaldina dato che Borgo
Pantano ricade nel Comune di Rometta. Il
borgo presenta un collegamento storico con la spezieria/farmacia di Roccavaldina.
a)
Aspetti Storici ed
Esoterici
Le
fonti storiche sul sito sono scarse e la sua vita è avvolta dal mistero. Sembra
quasi che alcuni momenti di vita storica del borgo siano stati cancellati.
Le
origini risalirebbero al 1296 quando il monastero delle Suore Latine della Diocesi
di Messina s’insediò nei fondi di Pantani fino al 1304. In quell’anno sembra
che le religiose siano state costrette ad abbandonare il luogo perché troppo
isolato e pericoloso.
Il
monastero traeva il sostentamento economico grazie alla coltivazione delle piante
officinali spontanee di cui il territorio era ricco. È probabile che questa attività sia stata in
qualche modo sostenuta dalla presenza nel territorio di un monaco eremita, un
esperto conoscitore di erboristeria, di probabile origine ebraica-spagnola. Il
suo sapere fu probabilmente fondamentale per la conoscenza e la divulgazione
delle proprietà delle piante officinali.
Si
narra infatti che questo eremita avesse un suo particolare approccio con la
medicina riuscendo a combinare elementi medici ed olistici tenendo anche in
considerazione sia la complessità della
natura umana sia l’ambiente dove l’uomo viveva.
Nel
1347 la città di Messina fu colpita dalla peste nera. L’epidemia fu portata a
bordo di navi genovesi provenienti dall’Asia centrale. A Pantani si trasferì
una comunità di origine ebraico-spagnola proveniente dalla città di Pisa e già
presente nella città di Messina dal lontano anno 1000. I pisani esercitavano il
commercio ed avevano in città numerosi banchi di pegno. I medici del tempo
ignoravano la causa del morbo e attribuivano la malattia alla qualità
dell’aria, ai miasmi diffusi dai venti o alle congiunzioni astrali.
Gli
unici rimedi erano la fuga dai luoghi colpiti e sovraffollati e il ricorso a
salassi. Pantano, vicino Rometta, aveva le condizioni ambientali necessarie per
una efficace profilassi: aria buona, scarsamente abitato e la vasca salubre
necessaria per fare i salassi con le sanguisughe. La vasca era fornita delle
tacche che servivano ad indicare i gradi necessari per calcolare le varie fasi
lunari e per evitare i collassi dei pazienti che venivano messi a testa in giù.
La vasca era posizionata ad est e raccoglieva la rugiada su teli posti sulle
aste e inseriti nelle tacche… si anticipavano i principi esposti nel “Mutus
liber”, un libro di alchimia del 1677.
Qui
s’insediò la comunità ebraica e praticò
la medicina spagirica con un intreccio tra alchimia ed erboristeria in
collegamento con la famosa spezieria/farmacia di Roccavaldina alla quale
venivano fornite le erbe e forse anche distillati. Spezieria di Roccavaldina
presente già nel 1587 come “Apotecas armatarie” e Don Pietro Guidara, della
Terra di Rocca, era lo speziale. Una farmacia che doveva essere quindi già
presente da tempo.
La
Medicina Spagirica era nata nel 1500 ed era legata al principio che “nell’uomo/donna sano/a le forse dense e
sottili sono in perfetto equilibrio, si ammala quando l’equilibrio è rotto”.
Il
termine ha due radici greche: “spaein”
(estrarre) e “ageirein” (riunire).
Il
fondatore fu Paracelso (nato in Svizzera nel 1493)
Diventò professore
all’Università di Basilea e fu seguito con grande passione dagli studenti.
Compì delle
guarigioni eccezionali ma finì con l’essere abbandonato anche dai suoi stessi
studenti
perdendo anche la
cattedra di Basilea.
Fu in definitiva
amato solo dai poveri che guariva con la sua arte e trascorse la sua vita
in povertà,
impegnato nello studio e nel ricercare e preparare rimedi spagirici che
sperimentò con
successo.
Tutti i rimedi
della medicina spagirica si basano sull’uso delle erbe.
Paracelso
affermava che
“Nel mondo c’è un ordine naturale di farmacie, poiché
tutti i prati e i pascoli,
tutte montagne e colline sono farmacie”.
Si tratta di un
forte legame tra alchimia ed erboristeria.
La scelta delle
piante e dei minerali, a seconda del disturbo da riarmonizzare,
è fondamentale.
Poiché secondo la concezione alchemica tutto ciò che vi
nel macrocosmo
(cosmo) e nel macrocosmo locale ( regno animale, vegetale e minerale)
si riflette nel
microcosmo (l’uomo). Attraverso il principio dell’analogia è possibile
riconoscere le
caratteristiche e le qualità delle piante e dei minerali e utilizzarle
per riequilibrare
l’organismo. Ogni pianta e ogni minerale ha delle corrispondenze
energetiche con i
pianeti, con gli organi dell’uomo e
possiede virtù
terapeutiche particolari.
In campo
farmacologico fu il primo a raccomandare l’uso di sostanze minerali
e di prodotti
chimici per la cura delle malattie e questo diversamente da
quanto esposto
nelle precedenti dottrine dove ci si limitava solo
all’uso delle
piante e di estratti vegetali.
Morì a Salisburgo
il 24 settembre 1541 e fu sepolto nella chiesa di San Sebastiano.
Tutti credevano
che fosse morte di apoplessia ma quando successivamente, dopo
molti anni, la sua
tomba fu aperta si scoprì che il cranio presentava delle
fratture tipiche
di una morte violenta. In definitiva fu ucciso… da chi ?
Nel 1831 si
verificarono delle scene molto commoventi sulla tua tomba.
La città fu
colpita da una terribile epidemia di colera e gli abitanti delle
Alpi salisburghesi
si recarono in processione presso la sua tomba per implorare
il medico
Paracelso di risparmiarli dall’epidemia.
Tomba di Paracelso
–
Salisburgo –
Chiesa di San Sebastiano
Simbolismo della
trasmutazione dei vegetali in medicamenti
Nel
1492, con l’editto di espulsione emanato da Ferdinando il Cattolico e dalla
moglie Isabella di Castiglia, regnanti di Spagna e di Sicilia, si decise di
cancellare la presenza ebraica dai domini spagnoli. S’instaurò un clima
d’inquisizione e questo potrebbe fare spiegare perché si è cancellata la
memoria storica di quel tempo per certi versi legato a manifestazioni che
furono definite dalla chiesa eretici (come l’alchimia e certi aspetti della
professione medica) e che erano alla base dell’economia fiorente del luogo.
Il
borgo si trasformò gradualmente in borgo rurale e molti marrani mantennero però
le loro tradizioni ancestrali professandosi pubblicamente cattolici ma restando
in privato fedeli all’ebraismo.
Il termine
“marrano” nasce da un’ingiuria.
“Marrano” deriva
dallo spagnolo e significa “giovane porco”, un termine con cui
venivano
individuati ed offesi in Spagna gli ebrei o i musulmani che si erano
convertiti al
cristianesimo: “conversos” o “cristianos nuevos”.
Condizione che
valeva anche per i loro discendenti.
Nel 1380
addirittura un decreto del re castigliano vietò di usare questo termine
particolarmente
ingiurioso. E così si decise che i marrani dovevano essere
denominati col
nome più ufficiale di "conversos" o "cristianos nuevos".
Ovviamente,
l'epoca in cui fu maggiormente utilizzato in senso dispregiativo
questo termine fu
quello dell'Inquisizione.
La presenza
ebraica in Sicilia era molto forte. Le fonti parlano di
almeno 25.000
unità alla fine del XV secolo presenti nell’Isola.
Le comunità più
numerose erano a Palermo, Siracusa ed Agrigento con circa 5000
Ebrei ciascuna.
Catania, Trapani, Marsala, Sciacca e Messina con
circa 2000 ebrei
ciascuna e Caltagirone, Modica, Ragusa, Randazzo, Savoca,
Limina e Piazza
Armerina con una presenza tra i 100 ed i 1000 ebrei.
In Sicilia
comunque erano presenti 44 comunità censite nel 1454.
Ci furono diversi
eccidi: a Modica nel 1474 (15 agosto – 18 settembre)
con 470 vittime
(altre fonti parlano di 360 circa) e a Noto con circa 18 vittime.
Stato e Chiesa
cercarono con tutti i mezzi, specialmente mediante l'Inquisizione rinnovata
nel 1481, di
cancellare radicalmente ogni resto di attaccamento alla fede ebraica.
Anche l'espulsione
dalla Spagna degli ebrei rimasti nella loro fede (1492) mirava
particolarmente a
troncare ogni rapporto dei marrani con l'ebraismo.
Molti dei marrani
e dei loro discendenti furono processati e condannati al rogo.
Molti per contro
riuscirono a fuggire per recarsi in paesi
ove fosse loro
possibile il ritorno alla religione dei padri.
Nel 1492 gli ebrei
che non si erano convertiti furono espulsi dall’isola
con il Decreto di
Alhambra.
Un Decreto emesso
da Ferdinando II d’Aragona e da Isabella di Castiglia.
Una parte della
comunità trovò rifugio nell’Italia meridionale sotto
la protezione di
Ferdinando I di Napoli. Ma alla morte del sovrano, con
la conseguente
occupazione spagnola, dovettero fuggire. Lo stesso re di Spagna
emise un altro
decreto il 23 novembre 1510 con il quale si ordinava l’espulsione degli Ebrei
da tutta l’Italia
del Sud. Un espulsione che poteva essere evitata con il pagamento di 300
ducati.
Ma neanche il pagamento
fu sufficiente perché nel 1515 un ulteriore decreto ordinava agli
Ebrei convertiti
di abbandonare il Regno.
Il periodo è
raffigurato in bellissimo quadro di El Greco dove sembra
raffigurato un gesto “marrano”.
I “marrani” cioè
gli Ebrei convertiti, utilizzavano dei segni per farsi
riconoscere dai
loro simili?
A Madrid, Museo
del Prado, c’è un dipinto di El Greco dal titolo
“El Caballero de la mano al pecho”
“Il Cavaliere/Signore con la mano sul petto”.
Il quadro fu
realizzato nel 1578 (a Toledo e a
Madrid) e ritrae un personaggio spagnolo
a mezzo busto, su
uno sfondo scuro. È vestito di mero, con finiture in pizzo
bianco ai polsi e
al collo, ornato di un ciondolo d’oro; l’elsa d’oro di una spada e
con la mano destra
sul petto.
La critica artistica
ha diretto la sua attenzione proprio sul gesto della mano destra.
Le dita della mano
sono aperte, ben distanti tra loro, ad eccezione del
terzo e quarto
dito, che sono vicinissimi, quasi saldate.
La mano è posta
sul petto, sul cuore, come testimone di un giuramento
mentre enigmatica
è la disposizione di quelle due dita centrali
raffigurate in
maniera diversa rispetto alle altre dita
sparse a ventaglio.
Il gesto del
cavaliere ha forse un significato diverso da quello del giuramento ?
Una tecnica descrittiva,
utilizzata anche da Tiziano e da altri pittori, che nasconde
un simbolo o
significato ricco di contenuti, una vera comunicazione con un piccolo segno.
Sono state
avanzate due ipotesi:
-
Il
gesto della mano è un segreto ed indica che il signore è un “marrano” cioè un
cripto-ebreo che
ha accettato di convertirsi per rimanere in Spagna e non
essere
perseguitato o scacciato dopo il decreto del 1492;
-
Il
gesto indica un Loyoliano/gesuita che chiede al peccatore di mettere
la sua mano sul
petto dopo aver commesso un peccato, come segno di dolore morale.
Entrambe le tesi
sono state discusse dalla critica artistica senza che si sia riusciti a
raggiungere una
precisa soluzione. Resta comunque valido che
la posizione della
mano ha un suo valore simbolico come
“una comunicazione
importante, una dichiarazione personale”.
L’autoritratto di
El Greco assomiglia al “cavaliere “del dipinto
E qui la prima
sorpresa…
El Greco (
Domènikos Theotokòpoulos, Candia, i ottobre 1541 – Toledo, 7 aprile 1614)
era un greco
ortodosso e si convertì al cattolicesimo all’arrivo in Spagna.
Altri studiosi
ritengono che facesse parte della minoranza cattolica cretese ed altri ancora
che non abbia mai
praticato il Cattolicesimo.
È anche probabile
che si sentisse molto vicino ai marrani, convertiti a forza e che
abbia inserito
nella sua pittura questo segno distintivo.
Altri due dipinti
di El Greco …il Cristo e la Maddalena
La
comunità ebraica continuò a vivere nel borgo dedicandosi all’agricoltura e
rimanendo sempre fedele alla medicina spagirica. Era presente
una figura femminile… definita “medichessa”.. Una figura enigmatica di
cui non si sa molto. Fu perseguitata dal Tribunale dell’Inquisizione ?
Non
si sa…secondo la chiesa la sua arte medica era vista come un “maleficio e sortilegio che con arti
superstiziose tentava di danneggiare il prossimo “ e la sua stessa figura come un “astrologo giudiziario, divinatrice e maga,
molto più se questa abbia fatto patti con il demonio…”
Trotula – “Medichessa” dell’XI secolo
“Bella de Paija” e “Virdimura de Medico”
“Due medichesse catanesi vissute tra il ‘300 e il
‘400”
Il
Borgo continuò la sua vita agricola nel silenzio. Le fonti storiche nei periodi
successivi sono assenti e con lo sviluppo del polo industriale di Milazzo nel
1960, si verificò il flusso demografico della popolazione verso la costa e il
piccolo borgo si svuotò… contava allora circa 77 abitanti.
Lo
spopolamento del borgo causò la fine delle produzioni delle attività e della
vita e, come per ironia della sorte, questo influì nella sua conservazione… un
caso di archeologia rurale.
----------------------------------
b
)
Le Costruzioni,
aspetti unici
Naturalmente
il patrimonio edilizio nel corso del tempo ha subito qualche deterioramento,
più o meno grave, però l’assenza dell’uomo ha risparmiato il villaggio dagli
orrori e dalle devastazioni che si sono verificati in altri borghi della
Sicilia.
In
questo piccolo borgo è quindi possibile leggere e comprendere le logiche e il
funzionamento dei meccanismi sociali ed economici del tempo.
Il
borgo sorge su una depressione dei Peloritani a circa 200 metri s.l.m. e risale
al basso medioevo.
Malgrado
le sue piccole dimensioni, sembra che abbia avuto un ruolo importantissimo nelle
dinamiche sociali del tempo in tutta l’area tirrenico-peloritana. La chiesetta
dedicata a Santa Maria delle Grazie è una delle più antiche del circondario
anche, se come sembra, posteriore a quella del vicino borgo di Rapano.
La
comunità era in contatto con i centri vicini in virtù di rapporti
economici e sociali rilevanti.
Il
borgo, come già detto, è costituito da una trentina di edifici che si
sviluppano lungo le linee di livello altimetriche. Le abitazioni furono
costruite secondo precisi canoni architettonici legati alla cultura e alla
tradizione ebraica dei residenti. L’impianto urbanistico del borgo risulta posizionato sull’asse
Nord-Sud e le case presentano degli aspetti architettonici o delle componenti
che sono insolite per il territorio. Alcuni aspetti costruttivi sono piuttosto
rari e si riscontrano invece nelle costruzioni in pietra e coccio
della Toscana, in particolare nella Versilia e nella Lucchesia.
Giungendo
da monte si entra nel borgo per un vicolo stretto, volto a nord, fiancheggiato
da case poste sui due fianchi, con piccole finestre e doppie porte di uscita,
una sul vicolo e l’altra sul retro che dava sull’orto domestico di ciascuna
abitazione.
Giunti
alla chiesa, centro del culto religioso della piccola comunità, la strada si
biforca.
I
due viottoli abbracciano un’insula che comprende edifici di maggiore dimensioni
per poi ricongiungersi sul fianco Nord dello sperone roccioso su cui sorge il
borgo.
Qui
sorgeva la torre “Bagliva” affiancata da altre due costruzioni poste tutte sul lato esterno del viottolo e
contrapposte all’insula. Questa torre, non può giustificarsi con il numero
esiguo degli abitanti del borgo, e rappresenta quindi un vero e proprio enigma
storico.
Il
borgo ha mantenuto intatto il suo fascino grazie al fatto che l’uomo non è
intervento e speriamo che non intervenga….
Le
unità abitative, secondo uno schema tipico delle abitazioni medievali, avevano
dimensioni minime e rispondevano alle esigenze abitative essenziali delle
singole famiglie.
Il
superfluo è assente e si notano aspetti che potrebbero essere proprie delle
case più lussuose.
Ogni
abitazione aveva la propria cisterna per l’approvvigionamento idrico. L’acqua
in parte arrivava dal sottosuolo e in
parte attraverso un sapiente impianto di raccolta delle acque piovane che
venivano convogliare dai tetti delle abitazioni verso le relative
cisterne. Venivano utilizzate condotte
realizzate con manufatti in cotto. Attraverso l’uso di georadar si è potuto stabilire
che prima della costruzione dei fabbricati esisteva già una rete idrica che
delimitava i siti dove sarebbero sorte le case (una fase prima della
realizzazione del progetto costruttivo). Ogni abitazione sfruttava al meglio
l’energia passiva, sia per la ventilazione sia per il riscaldamento.
Particolari
accorgimenti costruttivi garantivano infatti l’accumulo, la distribuzione e la
conservazione dell’energia solare.
L’utilizzo
di piccole superfici vetrate, esposte ad est ed ad ovest, garantivano la
migliore illuminazione degli ambienti evitando l’eccessivo soleggiamento
estivo.
Le
pareti verso sud erano prive di aperture e quando le avevano erano piccolissime
per migliorare la ventilazione ed il raffreddamento naturale dell’aria. In
questo modo si creavano delle correnti convettive per differenza di temperatura
tra l’aria fresca in basso e quella calda più in alto. Inoltre per la
ventilazione si utilizzavano anche delle condotte d’aria interrate che
prelevano l’aria, raffreddata e carica di umidità, proveniente dalle cisterne
Questi
accorgimenti consentivano di avere case calde in inverno e fresche in estate,
soleggiate durante le ore diurne e dotate di acqua corrente. La ventilazione
naturale garantiva la salubrità degli ambienti. Un livello di comfort
sicuramente inusuale per l’epoca, soprattutto considerando gli standard del
territorio circostante. Evidentemente le capacità e le abilità tecniche della
comunità insediata non erano quelle tipiche delle semplici società contadine. A
tal proposito un dato concreto che fa scartare l’ipotesi dell’origine rurale
del Borgo è la mancanza, nelle costruzioni originarie, di ambienti
riconducibili a funzioni di magazzinaggio e/o a stalle per l’allevamento di
animali.
Un
altro riscontro che conferma la peculiarità del costruito si ricava dalla
presenza, in ogni casa, di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana dal
tetto – di cui si è già detto sopra. Si può ipotizzare che questa agiatezza e
soprattutto questo bagaglio di conoscenze siano tipiche di una società
artigiana e mercantile, piuttosto che rurale o comunque di un agricoltura
specializzata con produzione di piante di pregio come quelle officinali. Ciò
giustificherebbe anche la presenza nel borgo della torre “Bagliva”.
Ci
sono dei documenti storici e delle tradizioni che si sono in parte tramandate
nel tempo, delle attività e dei personaggi del quotidiano degli ultimi duecento
anni. Si evidenziano soprattutto i
rapporti sociali e religiosi, spesso controversi, attraverso corrispondenze
epistolari tra gli abitanti del luogo e la Curia Arcivescovile di Messina,
nell’epoca a cavallo tra il 1879 e il 1887. Altre ricerche mettono in risalto
l’associazione degli aspetti filosofici ed esoterici del luogo partendo
dalle sue origini ebraiche e collegandole con il profilo
storico-naturalistico e con i concetti archeo astronomici.
Lo
sviluppo planimetrico del borgo viene citato nei documenti dell’epoca come “…lungo più di cento canne e largo la metà….”
(La
“canna” è un antica unità metrica di misura e varia da località a località. Per
la Sicilia una canna equivale a circa 2,06 m….100 canne = 206 m ….”lungo
più di 206 m e largo 103 m..”… una comunità di circa 100 persone dato che nel
1960 gli ultimi abitanti, prima dell’abbandono
definitivo, erano 77.
c)
La Chiesa
Il
Borgo si sviluppò attorno alla chiesa e la sua datazione è alquanto incerta e
potrebbe essere anche anteriore alla Chiesa di Rapano del 1604 e dedicata a San
Domenico.
La
presenza di autorità religiose nel territorio è confermata da una Bolla di
Clemente VII del 1534 con cui la “grangia” di Rometta fu elevata ad abazia. L’abate,
già arciprete di Rometta, diventò priore dell’intera comunità ed ebbe concesso
l’uso della mitra e del pontificale. Simboli che sono presenti sull’altare
della chiesa di Pantano, con la figura del priore che appare sul quadro posto
sull’altare.
Un
esempio di architettura rurale e costituì il primo nucleo religioso dell’intero
comprensorio romettese dato che è anteriore al 1600.
Per
risalire alla sua datazione storica si è fatta una ricerca sia bibliografica,
sia presso musei e sono state considerate anche le cornici in pietra della
finestra che si trova sopra l’ingresso. Simili aspetti architettonici risalgono
al 1400 – 1500. Un caso simile è quello della Chiesa di Sant’Eustochia a Messina.
La
Chiesa è un tipico esempio dell’architettura religiosa, molto semplice, del XV
secolo nelle aree vallive ed appartiene alla parrocchia dei Santi Andrea e
Domenico della frazione S. Andrea del Comune di Rometta.
All’interno
oltre ad una statua in gesso raffigurante la Madonna che allatta il Bambino
Gesù e risalente al 1800, è presente un quadro della fine del’ 600. Quadro che
fu trafugato… dalla mafia d’arte e sostituito da una copia.
Nel
quadro (del 1700) è raffigurato il famoso “Collegium Studiorum” di Rometta in quanto dimostrava che l’attività di studio
del collegio, raffigurata nel dipinto, era antecedente a quella data.
Nel 1672 un nobile cittadino di
Rometta. Antonino Lombardo, uomo colto e Giudice
del Foro di Messina, destinò i
propri averi per la costruzione di un grande edificio.
Edificio che fu ultimato nel 1702 e
che, per volere testamentario, fu donato ai
Frati Francescano del Terz’Ordine,
nominati anche eredi universali.
I Frati dovevano rispettare una
condizione: istituire nell’edificio una
scuola
di studi umanistici per i giovani
romettesi. Sempre per volere del donatore, la scuola
doveva chiamarsi “Collegium
Studiorum S. Mariae de Pace”.
Il “Collegium
Studiorum” è oggi sede del Municipio.
Di
particolare pregio sono l’altare e le colonne in pietra locale.
Dal
punto di vista catastale, l’immobile è individuato alla particella B del foglio
di mappa 8 del Comune di Rometta. La forma della costruzione in pianta è
essenziale e lineare: una figura formata da rettangoli regolari. Il rapporto
tra le dimensioni maggiori in pianta dell’edificio non supera il valore critico
2.50.
La
Chiesa è dedicata SS. Maria delle
Grazie.
La
muratura della chiesa è costituita da pietra grezza e zeppe di frammenti di
laterizi e presenta una buona fattura. La costruzione ha rappresentato sin
dalla sua nascita la meta dei pellegrinaggi dai paesi vicini e, nonostante il
vecchio stato di degrado, ogni anno il 2 luglio si riempiva di fedeli devoti
alla Madonna. L’iconografia della Madonna che allatta è riconducibile
all’ambiente rurale in cui la statua è inserita: essa aveva lo scopo di
avvicinare il popolo al mistero della divina maternità della Vergine.
Agli
inizi degli anni ’80, lo stato di conservazione della Chiesa presentava segni
negativi: la risalita capillare di umidità dal suolo aveva creato diffusi
deterioramenti alle superfici dei paramenti interni e rischiava di
compromettere anche le storiche tele e l’altare.
Inoltre
la copertura a solaio in legno della navata principale aveva manifestato
significativi dissesti strutturali i quali permettevano l’infiltrazione di
acque meteoriche. Infine si registrava la formazione localizzata di cedimenti
strutturali delle fondazioni e dei setti murali.
Nell’agosto
2006 furono avviati i lavori di manutenzione della seicentesca chiesa della
Madonna delle Grazie. Furono anche predisposti gli interventi per la
realizzazione di una sala Multifunzionale destinata a pratiche sostenibili.
Dall’analisi
dello stato delle opere e delle cause di degrado si sono quindi stabilite le
diverse fasi dell’intervento, che fu il meno intrusivo possibile per
salvaguardare la struttura originale, attraverso interventi di consolidamento.
Il
restauro fu attuato utilizzando tecniche innovative che consentivano il
ripristino delle strutture originali evitando la sostituzione degli elementi
originari danneggiati.
Tale
restauro fu eseguito sotto il costante controllo dei competenti uffici della
Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Messina, allo scopo di
restituire al manufatto la sua integrità originaria messa alla prova da
numerosi decenni di incuria e dagli agenti atmosferici.
d)
LA TORRE DEL BALY
Nel 1396 fu istituito a Palermo il “dayan kelay” cioè
il giudice universale di tutte le comunità ebraiche di Sicilia. Una carica
create dalla corona aragonese per avere un controllo diretto sulle fiorenti
attività delle comunità ebraiche. Il “dayan kelay”, nei documenti è spesso
riportato con il termine “dienchelele”, aveva il potere di nominare gli
amministratori delle singole giudecche con l’arbitrio di delegare propri vicari
nei luoghi in cui mancava la figura. Per
questo motivo sorsero le figure dei “Proti” che delegavano a loro volta, nelle
piccole comunità, ai “Baly” che esercitavano la giustizia ed esigevano le
tasse.
Nella torre tra il 1400 - 1600 veniva quindi
amministrata la giustizia alla presenza dei Giurati di Palermo e del Baiuolo di
Rometta.
-------------------------------
e)
POZZI DI COMUNITA’
Ogni
abitazione era dotata di cisterna di accumulo idrico che sfruttava sia canali
sotterranei (realizzati addirittura prima dei fabbricati del borgo), sia un
sapiente impianto di raccolta delle acque piovane che convogliava da ciascun
tetto l'acqua alla propria cisterna.
Alle
cisterne si associavano i pozzi, luogo di ritrovo dove le donne andavano ad
attingere l'acqua fresca e scambiare quattro chiacchiere, dove le donzelle
fortuitamente incontravano l'innamorato o gli uomini parlavano di affari
all'ombra del pergolato. Da tale tratto emerge la forte coesione sociale basata
sui principi di reciproco bisogno e fiducia.
Antico lavatoio
Dopo
aver percorso una ripida discesa con la cesta dei panni sulla testa, fino al
lavatoio nel Torrente Formica, le donne facevano il bucato con la cenere,
circondate da alberi che davano ombra e refrigerio.
Un
luogo di lavoro ma anche di incontro, momento di riunione femminile ove si
scambiavano consigli, si trovavano accordi per svolgere lavori in comune e,
soprattutto, si facevano pettegolezzi.
Intanto
i bambini erano intenti a pescare nel torrente i "ranciaciumi" (
granchi di acqua dolce), un tempo molto diffusi ed oggi scomparsi a causa dell’inquinamento.
“U GIACATU”
IL PERCORSO DEL LAVORO
La
pietra emerge in tutto il territorio in molteplice forme (u giacatu).
Una
pietra sagomata, scalpellata a formare spigoli e rientranze, in modo da segnare
il percorso a dorso di mulo degli antichi agricoltori.
I
sentieri permettono di capire il forte legame tra la gente del borgo e le
caratteristiche geologiche e morfologiche del territorio. Una terra difficile
da lavorare e conquistata palmo per palmo con duro lavoro di spietramento dei
campi. In questi luoghi è rimasta l’anima degli abitanti del borgo.
Salita dietro case
Pantano
Era il sentiero più breve per raggiungere
il borgo dai campi.
La
trazzera corrispondeva ai canoni originari tracciati dalla comunità nativa del
borgo, la quale dava particolare attenzione alla cura del paesaggio
naturale. Un territorio agricolo
valorizzato accostando zone ombrose a terreni coltivati e viti allevate in pergole,
ponendosi così in contrasto con il nudo e secco paesaggio dei latifondi vicini.
La
grandezza e l'autorevolezza del Borgo si fondava anche sulla cura del paesaggio
e su uno stile di vita molto attento ai canoni dell'estetica e della cultura.
-----------------------------------------------
2.
ASPETTI DI VITA
a.
L’Arte Tessile
A
Pantano veniva praticata l'attività serica. Parte della seta veniva lavorata
per le esigenze della famiglia, il resto veniva portato a Rometta per la
vendita. Quando arrivava la primavera le donne avviavano un modesto allevamento
di bachi da seta, che si acquistavano a Saponara o a Rometta.
Nel
mese di aprile si raccoglieva il lino, altro filato importante per il sostegno
dell'economia del piccolo borgo.
Per
alcune delle famiglie del borgo la tessitura della tela di seta e di lino per
le esigenze domestiche veniva affidata a "u' papinu", il tessitore
itinerante, che si metteva all'ombra del dammusu a cardare e filare per tutte
le donne del borgo.
Uno
stretto legame perpetuato nel tempo, che coniuga le tradizioni culinarie con le
arti tessili femminili, entrambi carichi di significati ormai dimenticati,
risultato di complesse sedimentazioni culturali.
Telai
di dimensioni ridotte e facili da trasportare
Le ricerche hanno confermato come gli abitanti del
borgo si dedicavano principalmente all’arte della tessitura con una particolare
predisposizione per i tessuti bianchi e blu che costituivano una produzione
tipica della comunità.
--------------------------------
Una volta al mese si portava un
sacco di grano al mulino di Santo Pietro e si preparava la farina per il
prossimo mese. Non era possibile tenere in casa il grano a lungo, perché c'era
il rischio che si rovinasse. Per mezz'agosto si ammazzava "u'
iadduzzu" (il galletto), allevato appositamente tutto l'anno. A S. Martino
si spillava il vino novello. Dalla vinaccia, cioè i residui dell'uva pestata,
si ricavava l'acqua tina, una sorta di vinello molto leggero da consumare subito.
Gli abitanti del Borgo non si facevano mancare nulla, infatti a quel tempo si
concedevano il piacere della granita, preparata da Mastru Giuseppi Papinu
(originario di Saponara) che portava il ghiaccio da Dinnamare (distante circa
18 km e il tempo impiegato per compiere
il tragitto era di circa 6 ore). In inverno si recava a Dinnamare e metteva la
neve in dei fossi; in estate prendeva il ghiaccio, scendeva a Pantano, e
vendeva le granite e i gelati al limone, all'arancia e al mandarino. Per andare
a Dinnamare si partiva la mattina presto e il segnale era il suono della
brogna, una grossa conchiglia che soffiandoci dentro emana un suono di
richiamo. Non esistevano la panna e il burro in quanto il paese viveva di
agricoltura e non di pastorizia. Al loro posto si usava preparare la sugna con
il grasso di maiale, molto utilizzata per fare i biscotti.
---------------------------
b)
Nel Borgo c’era
anche un “Pammentu”.
Ubicato
al centro del borgo è quindi di indubbio valore architettonico e testimonianza
delle ricca produttività locale.
Sono
presenti anche i resti di antichi “forni
a legna” comuni sparsi tra le case.
Tutti
aspetti che mostrano come il borgo fosse un luogo ricco per l’epoca. Un agiatezza
e una cultura che sono anche l’espressione non solo di un fermento commerciale
e artigianale ma anche di una forte
aggregazione e condivisione sociale tra i pochi esponenti della comunità.
---------------------------
3. ALCUNI ASPETTI
MISTERIOSI
Il
borgo ha tanti misteri ancora da scoprire. All’interno della Chiesa le immagini
dipinti sull’altare meritano una grande attenzione. Guardando le immagini sembrerebbero l’opera
di un modesto decoratore di campagna, di un dilettante.
Alcuni aspetti presentano uno stile molto
ornato mentre altri dimostrano una realizzazione schematica quasi infantile.
La
presenza di queste contraddizioni legate
agli aspetti topografici e allo stesso termine “Pantano”, sembrano confermare
la volontà della comunità di dissimulare sia la conformazione del borgo, sia il
nome del luogo per non farlo risalire alle sue origini ebraiche.
Il
luogo sembrerebbe avere una sua “energia”. Le antiche popolazioni consideravano
la Terra come un organismo vivente ed erano a conoscenza dell’importanza del
luogo, anche come caratteristiche nascoste, per l’edificazione dei templi. Un
collegamento con la scienza moderna del XX secolo che riguarda la geobiologia.
La presenza in perfetta corrispondenza con la Chiesa di Santa Maria delle
Grazie delle antiche vasche per i salassi, con nove aste di pietra esposte ad
est, seguendo i principi dell’antico libro “Mutus Liber”, fino a quelli legati
alle Acque di Luce che entrano in risonanza con l’energia cosmica.
Una
tradizione orale parla del ritrovamento del libro del cinquecento, ritenuto
dalla Chiesa Cattolica il libro del diavolo, della presenza nel borgo della
Medichessa, dopo il 1500 dichiarata strega, di aree con collegamenti
archeo-astronomici collegati alla costellazione di Orione e di altri segnali,
rilevati e riscontrati con un indagine condotta con il geo-radar.
Questi
misteri e per certi versi enigmi ancora non risolti, appartengono alla storia
del borgo e confermano l’alto livello culturale di questa comunità capace di
lasciare un grande segno nella tipologia costruttiva, delle case e del sistema
idrico, ed anche culturale, enigmistico-misterico in quei segni, quasi nascosti,
di cui per secoli hanno mantenuto il
segreto.
Segni
che ancora oggi sono in fase di studio e di decodificazione per la creazione di
una mappa.
4. LA VIA DEL
MELOS
U RIIDDU
“Melos”..Canto, Melodia…; ”.. mele scrissero
Alceo e Saffo”(Carducci)
Il
“melos” era il canto popolare che si è unito e mescolato con la poesia popolare
trasmessa oralmente.
“I canti popolari – dice
Herder – sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza,
della sua religione, della vita dei suoi padri, dei fasti della sua storia,
l’espressione del cuore, l’immagine del suo interno, nella gioia e nel pianto,
presso il letto della sposa ed accanto al sepolcro”.
Un canto che si è trasmesso oralmente.
Le
cantanti (“capuane)” prendono il nome
dal comune di Saponara e i loro canti svolgevano vari funzioni: alleviare le
fatiche, passare il tempo e comunicare per un arrivo imminente.
I
versi, tipicamente femminili, erano legati al contesto lavorativo dei
“ghiummi”, cioè gruppi di sei-sette donne, che si dedicavano al trasporto di
varia merce (fieno, paglia, carbone).
Il
termine “ghiummo” potrebbe derivare dal termina ciurma ma potrebbe anche
collegarsi a una derivazione del verbo siciliano “agghiummari” (aggomitolare) e
in questo caso, riunire.
Infatti
nella prima metà del XX secolo le donne di Saponara e delle frazioni di
Scarcelli e Cavaliere erano delegate, oltre al lavoro della campagna, anche al
trasporto di carbone sui Monti Peloritani e a quello di paglia e del fieno a
Rapano e a Pantano.
In
questo canto c’era un elemento caratteristico, “u riiddu”, in cui ad un tono o
voce bassa facevano eco gli altri richiami spesso utilizzati per avvisare del
proprio arrivo. Dall’altra parte della valle facevano eco altre voci che
rispondevano al richiamo fino a trovare una melodia comune.
Le
donne partivano da Saponara verso le tre del mattino, riunite in ghiummi. Già a
quell’ora i canti chiamavano l’adunata e spesso alcuni paesani si rivolgevano ai
carabinieri per quel canto in strada, nelle vie del paese, che svegliava i
compaesani.
Attraversavano
il torrente Saponara e s’incamminavano per la ripida salita, la trazzera di
contrada Martinetto, ricca di flora spontanea, una macchia mediterranea
composta in prevalenza da erica arborea, elychrysum, rosmarino, satureja
fruticulosa, euphorbia dendroides.
In
contrada Martinetto raggiungevano la sommità della collina.
Le
lavoranti intonavano “U riiddu” un richiamo a più voci (scricchiolo), una
specie di vocalizzo glissato (u-uu oppure ai-ai) molto gioioso che
preannunciava il loro arrivo nei campi di Pantano. A questo canto le donne del Borgo di Pantano
rispondevano per confermare che avevano sentito ed erano in attesa del loro
arrivo.
Nei
loro canti erano spesso accompagnate da un tamburello..
“Duemila carezzi mi facisti
Tutti ddi baciateddi chi mi dasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
Tutti ddi baciateddi chi mi dasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
Passau mezzanotti ti n’aisti
Cu na pena o me cori mi lassasti.
(Duemila carezze
mi hai fatto tanti baci mi hai dato. Passata la mezzanotte te ne sei andato mi
hai lasciata con la pena nel cuore)
Il
canto veniva eseguito esclusivamente all’interno di un contesto lavorativo cioè
durante il trasporto della merce. Un canto che aveva la funzione di alleviare
la fatica, far passare il tempo e anche come aggregazione nel gruppo.
La
vegetazione, una volta raggiunto l’altopiano di contrada Lagunovu (luogo nuovo) andava pian piano
cambiando e si caratterizzava per la prevalenza di vigneti e frumento e di
alberi di olivi, agrumi e fichi. C’erano inoltre arbusti di mirti, corbezzoli,
lauri, accompagnati da varie erbe aromatiche (menta, lavanda, rosmarino, timo).
Dall’altopiano
di Lagunovu si intravedevano da una parte le luci del Comune di Saponara e
dall’altra quelle del Borgo Pantano.
Una
delle ragazze raccontava che arrivati in questo luogo appena si metteva a
cantare il fidanzato, che ancora dormiva a Saponara, si alzava, accendeva la
luce e si fumava una sigaretta alla finestra mentre lei da lassù vedeva la
luce e gli cantava le canzoni.
Dall’altopiano di Lagunovu, dopo essersi rinfrescati alla sena (sorgiva d’acqua), le ragazze sempre cantando “u’ riiddu” intraprendevano la discesa per i campi del borgo.
Durante la discesa, a seconda della attività da svolgere, u ghiummu costeggiava il torrente lagunovu, fino ad arrivare alla zona detta “tana delle volpi” dove si caricava la paglia o il fieno. Una volta sul posto, ogni donna sistemava 50/60 kg di paglia o fieno nelle butane (lenzuoli spessi legati ai quattro estremi con delle corde) e riprendeva la strada del ritorno.
Nel mese di settembre c’era la vendemmia, e allora u ghiummu era delegato alla raccolta e al trasporto dell’uva. Giunti a Lagunovu si intraprendeva la discesa nei campi, questa volta verso contrada Pozzo, dove all’ombra dei maestosi cipressi, si partecipava alla vendemmia.
C’era molta allegria, era un lavoro facile, e ogni tanto si mangiava un rappu (grappolo) tanto per controllare se l’uva era buona. Ogni tanto, durante le pause di lavoro, le donne aiutate dai bambini si immergevano nell’adiacente carruggio (ruscello) per pescare i ranciaciumi (granchio di fiume).
L’uva raccolta veniva caricata o a dorso di mulo, condotto dai contadini, o in grossi panieri sulla testa delle donne, che la trasportavano cantando fino al palmento di Pantano, dove gli uomini a piedi nudi la pestavano.
La vendemmia era anche una festa di aggregazione: c’era bisogno di molte braccia che all’ora di pranzo si ritrovavano. Le donne preparavano u sugu e u piscistoccu a ghiotta (pesce stocco cucinato in maniera tipica) e Cinniredda, il musicista girovago, cantava e suonava la fisarmonica
Dall’altopiano di Lagunovu, dopo essersi rinfrescati alla sena (sorgiva d’acqua), le ragazze sempre cantando “u’ riiddu” intraprendevano la discesa per i campi del borgo.
Durante la discesa, a seconda della attività da svolgere, u ghiummu costeggiava il torrente lagunovu, fino ad arrivare alla zona detta “tana delle volpi” dove si caricava la paglia o il fieno. Una volta sul posto, ogni donna sistemava 50/60 kg di paglia o fieno nelle butane (lenzuoli spessi legati ai quattro estremi con delle corde) e riprendeva la strada del ritorno.
Nel mese di settembre c’era la vendemmia, e allora u ghiummu era delegato alla raccolta e al trasporto dell’uva. Giunti a Lagunovu si intraprendeva la discesa nei campi, questa volta verso contrada Pozzo, dove all’ombra dei maestosi cipressi, si partecipava alla vendemmia.
C’era molta allegria, era un lavoro facile, e ogni tanto si mangiava un rappu (grappolo) tanto per controllare se l’uva era buona. Ogni tanto, durante le pause di lavoro, le donne aiutate dai bambini si immergevano nell’adiacente carruggio (ruscello) per pescare i ranciaciumi (granchio di fiume).
L’uva raccolta veniva caricata o a dorso di mulo, condotto dai contadini, o in grossi panieri sulla testa delle donne, che la trasportavano cantando fino al palmento di Pantano, dove gli uomini a piedi nudi la pestavano.
La vendemmia era anche una festa di aggregazione: c’era bisogno di molte braccia che all’ora di pranzo si ritrovavano. Le donne preparavano u sugu e u piscistoccu a ghiotta (pesce stocco cucinato in maniera tipica) e Cinniredda, il musicista girovago, cantava e suonava la fisarmonica
Interessante
sarebbe ricostruire il percorso delle “capuane” da Scarcelli, Saponara per
giungere sino a Borgo Pantano e Rapano.
Probabile percorso
delle “capuane”
---------------------------
5. L’ATTIVITA’ AGRICOLA
I
terrazzamenti presenti lungo i versanti che circondano la collina, sulla cui
sommità si trova il Borgo, sono la più chiara testimonianza dell’antica
coltivazione di piante eduli ed officinali che ha contraddistinto quest’area
per secoli.
L’abbandono
delle suddette colture ha offerto la possibilità alla flora spontanea di
ricolonizzare il territorio e attualmente tale processo è testimoniato dalle
formazioni arbustive dominate dalle ginestre lungo i versanti delle colline e
dalla presenza di ben oltre 200 specie di piante spontanee che tappezzano
l’area.
L’area
su cui sono stati effettuati i rilievi comprende circa 15 ha di superficie e si
sviluppa intorno all’antico borgo Pantano e sulle colline antistanti ad
un’altitudine che si attesta mediamente intorno ai 200 m s.l.m..
In
seguito ad un’analisi approfondita del territorio è stato tracciato un sentiero
didattico (marcato in rosso nell’immagine) lungo il quale è possibile
osservare numerose specie di notevole interesse naturalistico e officinale; il
percorso segue i versanti della collina fino ad arrivare, nella sua porzione
più bassa, ad intercettare un torrente e 2 piccoli stagni artificiali in corso
di naturalizzazione (tramite immissione di specie vegetali idrofile autoctone
del territorio a cura dell’Orto Botanico P. Castelli di Messina), vere oasi di
biodiversità e luogo di elezione per la riproduzione di numerose specie di
anfibi ed insetti.
Una
riqualificazione agricola del territorio che si fonda sui principi della
ArcheoAgriCultura, vale a dire un modello di agricoltura naturale e
sostenibile, che prende spunto dagli studi archeo-botanici (resti vegetali,
impronte di radici nel terreno, semi carbonizzati e memorie orali) per
coltivare la terra e trasformare i prodotti secondo antichi trattati, come
facevano gli antichi romani, gli etruschi ed altri popoli storici.
Un'archeo-agricultura,
che sostiene la conservazione del patrimonio genetico vegetale, l'utilizzo di
tecniche agricole tradizionali, la fertilizzazione naturale nel rispetto della
biodiversità e dell'antico sapere, parte integrante delle nostre radici.
In
questo ambito trova, una particolare collocazione, la Fitoterapia. I nativi del
borgo, di estrazione ebraica, diedero vita a questa arte della cura delle
malattie, e non solo, con le piante. Partendo da tali origini viene confermata,
anche la stretta correlazione con la farmacia di Roccavaldina, dove vari
elementi storici e architettonici accostano Pantano alla farmacia,
l’architettura dell’edificio, i materiali edilizi utilizzati, il portale
cinquecentesco in stile toscano, ricordano le abitazioni della vicina Pantano.
Inoltre, la documentata appartenenza al viceré Castagna dei casali di Rocca e
“Pantani” e la necessità che un balì amministrasse questi casali
inseriscono Pantano in un gioco geo-economico di rilevanza non solo locale. È
probabile che il borgo fosse un elemento essenziale della filiera della
produzione farmaceutica legata a Rocca. In esso, si producevano plausibilmente
le piante officinali, indispensabili per la farmacia, attività nella quale
eccellevano gli ebrei.
In questo senso è stata condotta una ricerca scientifica-naturalistica, in collaborazione con l’Orto Botanico “P. Castelli” dell’Università di Messina.
In questo senso è stata condotta una ricerca scientifica-naturalistica, in collaborazione con l’Orto Botanico “P. Castelli” dell’Università di Messina.
Si è creato l’”Hortus Simplicium
Pantano” cioè l’”Orto dei Semplici di Pantano” con l’Itinerario delle Piante
officinali e dei profumi. Un percorso
consapevole nella natura per evocare nei fruitori emozioni e percezioni
dimenticate o forse mai sperimentate o provate.
Il
tutto è stato organizzato attraverso il C.I.T. (Centro di Interpretazione del
Territorio), con un museo-sala congressuale e didattica che sovrintende e
coordina tutte le attività, con l’ausilio di strumenti digitali e di tecnologie
sofisticate.
---------------------
6. IL RECUPERO
EDILIZIO
Il
recupero architettonico, già avviato, è stato di tipo filologico, con la
conservazione della cubatura originaria, del numero e delle dimensioni delle
aperture (porte e finestre), delle partizioni interne e, ove possibile, della
originaria organizzazione domestica.
Per
l’esecuzione dei lavori si è fatto ricorso prevalentemente a materiale di
recupero e, quando non possibile, a materiale proveniente dalla stessa area
oggetto di corretta riproposizione deducibile da diversi studi tipologici su
quella parte di patrimonio architettonico giunta integra. Sono state
conservate, infine, anche le tracce del vissuto delle genti rilevabili negli
intonaci e nelle stratificazioni del costruito, le quali rappresentano parte
integrante, secondo la filosofia d’intervento, dell'identità di questo luogo.
L’obiettivo del recupero è legato alle tecniche edilizie di carattere
conservativo adottate per il ripristino dei fabbricati che si sono avvicinate
il più possibile a quelle originali dell'epoca, non volendo cancellare i segni
del tempo e disegnando un quadro significativo per la comprensione della
tradizione e dell’identità locale. Ovviamente sono state fatte piccole
concessioni al comfort attraverso alcuni interventi, ma senza mai denaturare
l’anima del borgo. È importante la
precisa volontà di riportare alla luce l'identità culturale restituendo al
borgo il suo aspetto più autentico e forse mai perduto anche se era in
abbandono. Per questo motivo sono stati reintrodotti anche i patrimoni della
tradizione tessile, artigianale e dell'arredo domestico.
Il sito è
stato oggetto d’indagine con il Georadar che, mediante l’invio di onde
elettromagnetiche ad alta frequenza nel sottosuolo, è in grado di rilevare
superfici di discontinuità nel sottosuolo dovute alla presenza dI altre
murature. Le onde inviate nel sottosuolo riflettono, dalle superfici
incontrate, con differenti caratteristiche dielettriche. In breve è capace di
rilevare qualunque anomalia presente nel sottosuolo grazie proprio alla
contrasto tra le proprietà le elettriche del materiale indagato sia metallo,
cemento, muratura, ceramica ecc e quelle del terreno. L’obiettivo è la
mappatura del territorio anche per evidenziare la presenza di siti o di antiche strutture sepolte
---------------------------------------------
7. CIT (Centro Interpretazione del
Territorio)
C.I.T. (Centro di
Interpretazione del Territorio) è un'iniziativa dell'Osservatorio per
lo Sviluppo Economico e Turistico del Tirreno (Osett).
L'Osett ha sede legale a Valdina
(ME), in via Leonardo Sciascia nr. 1, e fa parte del progetto "Sulle
tracce del Baly" (misura 313, sostegno alla creazione e allo sviluppo di
microimprese). Azione A del P.S.R. Sicilia 2007/2013, che intende diffondere
l'epoca del "benessere" del luogo, recuperare la memoria,
riappropriarsi dei saperi e ripristinare modelli di sinergia tra l'uomo e
l'ambiente che lo circonda, sfruttando le particolarità del borgo e del
territorio circostante.
Sede: Villaggio Pantano, s.n.c. -
98043 - Rometta (Messina) [Sicilia]
Andare "sulle tracce del
Baly" vuol dire ricercare l'epoca del "benessere" del luogo,
recuperare la memoria, riappropriarsi dei saperi, ripristinare modelli di
sinergia tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda sfruttando le particolarità di
borgo Pantano.
Il Centro Culturale di
Interpretazione del "Luogo" proposto intende assolvere all'esigenza
di creare un ponte tra il territorio, la sua storia, le comunità che lo hanno
abitato e le politiche di sviluppo (che sanno riconoscere in questi elementi il
vero giacimento dal quale trarre la materia prima per la crescita socio-economica
locale), avviando un nuovo sistema di promozione e valorizzazione,
un'innovativa possibilità di offerta e fruizione del patrimonio locale che
registra grandi e crescenti aspettative in tutta Europa.
L'obiettivo principale è di
garantire la riappropriazione dei "saperi" perduti e la riconquista
della consapevolezza di appartenenza ad un territorio, alla sua storia ed alla
sue peculiarità ambientali e socio-culturali attraverso:
- la testimonianza di un modo di
costruire;
- l'opportunità di rileggere una
fase storica negli aspetti economici, sociali; culturali- antropologici, ormai
lontani ma forse non ancora totalmente dissipati;
- la rappresentazione di
un'essenziale (forse anche "umile") ma sapiente cultura materiale che
ha consentito ai fondatori di integrarsi totalmente con l'ambiente circostante
in una sinergia uomo-attività-ambiente, prosperando per un lungo periodo e
consentendo oggi, malgrado un prolungato abbandono, di ammirare la qualità e la
sostenibilità dell'antropizzazione ambientale proposta.
Davanti a una simile realtà, diventa
evidente l'importanza della valorizzazione e del recupero, intesi quali
attività volte al riconoscimento del valore delle testimonianze materiali e
immateriali ed alla trasmissione di tali valori.
Gli
obiettivi del CIT sono molteplici:
-
Creare
un luogo di visita ed escursioni;
-
Un
laboratorio dove valorizzare le antiche culture del territorio che risalgono al
1500 rivolto alle scuole;
-
Creare
consapevolezza e soprattutto conoscenza dell’ambiente che possono fare da
stimolo a cambiamenti di vita rispetti della sostenibilità;
-
Sussidio
a gruppi escursionistici per fornire conoscenze sulla natura e l’ambiente anche
nei suoi aspetti culturali;
-
Creare
dei viaggi di conoscenza che possono generare occasioni di scoperta e di
crescita vivendo il territorio e riuscendo ad immergersi nella sua cultura e
nella vita d’altri tempi;
-
Offrire
un ospitalità di tipo monastico per il raggiungimento di un benessere
psico-fisico attraverso il contatto con la natura, con le attività tradizionali
ed olistiche del borgo; con i piatti tipici della tradizione locale; con il
contatto con la cultura e soprattutto con il silenzio. Il luogo immerso nella
natura e la stessa configurazione del borgo creano uno spazio dove si può
veramente ascoltare il suono della natura e questo aiuta anche a conoscere sé
stessi. Solo riscoprendo le nostre origini si potrà tornare a vivere liberi da
condizionamenti naturali come diceva Socrate nel “Fedone” platonico riferendosi
al Mediterraneo…”come rane e formiche attorno al nostro stagno” (nel rispetto
delle reciproche differenze).
Al
CIT bisogna dare i giusti meriti per essere riuscito a creare una grande
opportunità turistica con la valorizzazione e il presidio di un territorio
dimenticato e che è stato riscoperto con i suoi grandi valori storici e
sociali.
Nella
realizzazione del loro progetto avranno incontrato difficoltà non
indifferenti,, invidie, atteggiamenti ostruzionisti da chi guarda con
preoccupazione per i propri interessi simili iniziative,.. ma sono riusciti a
realizzare qualcosa d’importante.. Ridare vita ad un borgo medievale lasciando
intatto il suo antico fascino… è come se gli antichi abitanti che hanno vissuto
momenti difficili siano ancora presenti in quei vicoli e in quelle case
espressione di lavoro e soprattutto di aggregazione sociale. Quest’ultimo
aspetto perduto ormai da tempo nella nostra società.
Mi
auguro che nella loro attività di promozione e di valorizzazione non vengano
influenzati da azioni esterne che potrebbero colpire le loro azioni di sviluppo come purtroppo si
è verificato per altri borghi della Sicilia anche loro ricchi di storia e di
aspetti ancora non svelati.
----------------------------
8.
I PROTOCOLLI D’INTESA
UNIPOSMS
Il
“Progetto Pantano” è da diversi anni in fase di realizzazione con importanti
iniziative
L’11
settembre 2017 fu firmato un protocollo d’intesa con l’UNIPOSMS (Università
Popolare Nuova Scuola Medica Salernitana). Un importante istituzione quasi
millenaria che rappresenta il primo esempio di medicina popolare oltre che di
ricerca scientifica e filosofica nel campo della fisioterapia. La pratica che prevede l’utilizzo delle
piante per la cura delle malattie e per il mantenimento del benessere
psicofisico che sono state ereditate dalla dottrina e dall’insegnamento
originario della Schola. Un insegnamento
che determinò lo sviluppo culturale del Mediterraneo nella medicina nell’Europa
Medievale e facilitando l’incontro di culture diverse: latina, greca, ebraica
ed araba.
L’accordo
prevede una collaborazione con la creazione nel Borgo di patano di un Centro
Studi per la valorizzazione storico-scientifica, la rinascita culturale del
territorio e la conservazione del paesaggio storico, ereditati dalle dottrine e
dall’insegnamento della medicina popolare che si è sviluppata nel Bacino del
Mediterraneo come patrimonio dell’antica Schola Medica Salernitana.
Miniatura
Medievale: Medici curano un malato
“Se
ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose:
l’animo
lieto, la quiete e la moderata dieta”.
(Scuola
Medica Salernitana, “Regimen Sanitatis Salermitanum)
“Perché
il sonno ti sia lieve / la tua cena sarà breve.
Se
gli humor serbar vuoi sani/ lava spesso le tue mani.
Se
non hai medici appresso / farai medici a te stesso / questi tre:
anima
lieta / dolce requie e sobria dieta”
(“L’Ora
di Storia )
La Scuola Medica
Salernitana fu la prima e più importante istituzione medica
d’Europa nel
Medioevo (IX secolo) ed è considerata la progenie delle moderne università
la Scuola si
fondava sulla sintesi della tradizione greco-latina e completata
da saperi
provenienti dalle culture araba ed ebraica. Rappresenta un monumento
fondamentale nella
storia della medicina per le innovazioni che introduce nel metodo
e
nell’impostazione della profilassi.
Di particolare
importanza era anche il ruolo svolto dalle donne nella pratica
e
nell’insegnamento della medicina. Donne che insegnarono e operarono nella
scuola
diventando famose
con il termine di “Mulieres Salernitanae”.
Le basi teoriche
non erano solo legate alle fonti ed alle esperienze antiche ma anche
all’esperienza
maturata nella quotidiana attività di assistenza ai malti.
Con la traduzione
dei testi arabi si aggiunse a questa esperienza una vasta
cultura
fitorepatica e farmacologica legata all’utilizzo delle piante.
Già nel X – XIII
secolo giungevano alla Schola Salerni persone provenienti
da tutta Europa,
sia ammalati che speravano di essere guariti, sia studenti
che desideravano
apprendere l’arte della Medicina. Il prestigioso della Schola
è testimoniato
dalle cronache dell’epoca e dai numerosi manoscritti che
sono conservati in
tutte le biblioteche europee.
Federico II di
Svevia nelle sue “Costituzioni di Melfi” stabiliva che l’attività
di medico poteva
essere svolta solo da chi era in possesso di diploma
rilasciato dalla Scuola
Medica Salernitana.
---------------------------
“ASSOCIAZIONE
ERBORISTI MEDITERRANEI”
Il
25 marzo 2017 in occasione del Convegno Nazionale Erboristi Mediterranei, che
si svolse a Zafferana Etnea, fu sottoscritto un Protocollo d’Intesa con obiettivi
progettuali di ricerca per la conservazione e la valorizzazione delle risorse
genetiche vegetali ma anche di carattere scientifico di studio e di ricerca
storico-culturale.
Un
Associazione che ha sede a Foggia e che si occupa delle diffusione delle conoscenze
storiche e tradizionali delle attività di produzione erboristica e di
cooperazione nel mondo scientifico e culturale per la valorizzazione delle
risorse locali, umane e ambientali.
------------------------
Fu
firmato il Protocollo d’Intesa tra Borgo Pantano e la Farmacia Medievale/Museo
di Roccavaldina
COMUNE DI
ROCCAVALDINA
DELIBERE DI GIUNTA MUNICIPALE
ANNO 2016
DELIBERE DI GIUNTA MUNICIPALE
ANNO 2016
ESTRATTO ATTO
DELIBERATIVO AI SENSI L.R. 22/2008
AI FINI DI PUBBLICITA’ NOTIZIA
come sostituito dall’art. 6 L.R. 11/2015
AI FINI DI PUBBLICITA’ NOTIZIA
come sostituito dall’art. 6 L.R. 11/2015
In attuazione a quanto disposto dalla legge regionale n. 22 del 16/12/2008
e ss. mm. ed ii. come sostituito dall’art. 6 della L.R. 11/2015, circa
l’obbligo delle amministrazioni comunali di rendere note, per estratto, nel
rispettivo sito internet tutti gli atti deliberativi adottati dalla giunta e
dal consiglio, le determinazioni sindacali e dirigenziali, nonché le ordinanze,
ai fini di pubblicità notizia, si comunica che nella presente sezione si
procederà alla pubblicazione per estratto degli atti deliberativi adottati
dagli organi di questo Ente.
Delibera di Giunta Municipale n. 111 del 25 ottobre
2016.
OGGETTO: Approvazione schema di protocollo di intesa
per attività di collaborazione storica, culturale e scientifica.
ESTRATTO: Delibera di
approvare lo schema di protocollo d’intesa che disciplina il rapporto di
collaborazione tra Comune e la Incanti & Memorie s.a.s. di Maria Cannuli
& C, finalizzato all’attività di collaborazione storica, culturale e
scientifica legata al Museo Farmacia di Roccavaldina, autorizzare l’Assessore
Grazia Paino, alla sottoscrizione del protocollo d’intesa, dà atto che il
presente provvedimento non comporta impegno finanziario a carico dell’Ente
Parte Saliente del Protocollo di Intesa
La Incanti &
Memorie s.a.s. e il Comune di Roccavaldina, convergono su questa iniziativa,
con l’intento di attuare un’azione di valorizzazione storico-culturale,
che parte dalle origini del borgo, ed è strettamente correlata con il
museo farmacia di “Rocca” risalente al 1608.
Vari sono gli elementi
storici e architettonici che accostano Pantano alla storica farmacia.
L’architettura dell’edificio, i materiali edilizi utilizzati, il portale
cinquecentesco in stile toscano ricordano infatti le abitazioni della vicina
Pantano.
La documentata
appartenenza al viceré Castagna dei casali di “Rocca” e “Pantani” e la
necessità che un balì amministrasse questi casali, forniscono inoltre una
chiave di lettura e inseriscono Pantano, in un gioco geo-economico di rilevanza
non solo locale.
Borgo Pantano, era
probabilmente un elemento essenziale della filiera della produzione
farmaceutica legata a “Rocca”.
In esso si producevano
plausibilmente le piante officinali indispensabili per la farmacia, attività
nella quale eccellevano gli abitanti ebrei del borgo.
La conoscenza e la
comprensione del patrimonio culturale, rappresentano un contributo fondamentale
per il proprio territorio e le sue risorse, dove, i soggetti firmatari potranno
sostenere la diffusione di occasioni scientifiche e culturali per la
corretta lettura dei valori della storia e del paesaggio, inteso come
territorio, i cui i caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia
umana e dalle reciproche interrelazioni.
-----------------
9. Video
-----------------------------
10.
Il Borgo di Rapano
(Superiore ed Inferiore)
Da Rometta prendendo la Strada Provinciale 54bis si raggiunge
il Borgo di Rapano suddiviso in Rapano Superiore e Rapano Inferiore.
Posto ad un altitudine di 326 m s.l.m. ha oggi circa 46
abitanti.
Le
sue origini sono anteriori all’anno mille. Fu citato in alcuni documenti
notarili del 1200 – 1330 del Monastero S. Maria de Messana che aveva molti
terreni nel feudo di Rapano.
Sotto
Federico III d’Aragona (1296 – 1337) fu
un feudo del nobile Giovanni di Manna. Nel 1408 il Casale di Rapano risulta di
proprietà di Niccolò Castagna, signore anche di Rocca e di Valdina e di altri
casali.
Il
15 novembre 1604, Rometta permutò con il Conte di Villafranca i diritti che
aveva sulla terra ottenendo in cambio il casale di Rapano. In seguito venne tolto
a Rometta ed assegnato nuovamente ai discendenti di Niccolò Castagna.
Sul
finire del 1700 i Romettesi, dietro il pagamento di un ingente somma.
riscattarono il possesso del feudo di Rapano che nel frattempo era stato
elevato a Baronia. Fu l’ultimo passaggio perché da quell’anno Rapano resterà
legato al centro di Rometta.
La
chiesa parrocchiale è dedicata a San Domenico.
Non
molto distante da Rapano (Inferiore) si trova il borgo abbandonato di Pantano.
Bisogna
lasciare la SP 54bis, entrare a Rapano Inferiore e proseguire per il Borgo di Pantano
dove la vita si è fermata asgli inizi del’
900 lasciando intatto un importante documento storico e sociale.
Borgo di Rapano
Rapano
Inferiore
Rapano – Chiesa di San Domenico
------------------------------------
11. Frazioni /Borghi di Rometta
11. Frazioni /Borghi di Rometta
a) San Cono – La Chiesa – La Storia di San Cono
(Monaco basiliano di Naso-Me) - La Sagra dell’Asparago
Pungitopo
Da Rometta si prosegue per la frazione di San
Cono che sorge sulle falde della
collina.
Una frazione vicina al centro e la cui origine è legata al culto di San
Conone. Nel periodo in
cui Messina era colpita dalla peste, nel 1500, si
tramanda come i romettesi, per impedire il
contagio con gli stranieri, decisero
di costruire due chiese fuori le mura della città. Chiese che
furono entrambe
dedicate a San Cono. Una di queste chiese sorse proprio in vicinanza della
Porta Terra o Milazzo. Attorno a questa chiesa cominciarono a sorgere le
abitazioni fino a
formare un vero e proprio centro.
San
Cono era protettore di Naso ed è naturale chiedersi come mai i romettesi si
rivolsero
a lui per essere salvati dal contagio.
A
Naso l’intercessione del Santo aveva salvato la cittadina dalla peste e il
magistrato di
Rometta
fece il voto al santo di erigere due chiese in suo onore se l’avesse
salvata
dalla peste. Esaudito il voto, sorsero quindi i due luoghi sacri: uno al
villaggio
San
Cono e l’altro al villaggio Sant’Andrea (detto Santuccio) dove fu posta una
bella
tela sull’altare maggiore con l’effige della Madonna tra San Cono e
Sant’Andrea.
Ma
quali solo le origini di San Cono ?
San
Cono, battezzato Conone, è un Santo Sicilian, un monaco basiliano e poi abate.
Nacque
a Naso (Messina) il 3 giugno 1139 e morirà nella stessa cittadina il 28 marzo
1236.
In
quel tempo regnava Ruggero II ed era figlio di Anselmo Navacita, governatore di
Naso
e appartenente al nobile casato Normanno dei Navacita, e di Donna Claudia
o
Apolonnia Santapau.
Giovanissimo
si presentò nel Monastero di San Basilio, vicino Naso, dove venne accolto.
Dimostrò
subito le sue virtù, l’amore per la preghiera e per la penitenza, accettando di
svolgere
anche i servizi più umili. Venne poi trasferito nel Monastero Basiliano
di
Fragalà (Frazzanò) dove conobbe San Silvestro da Troina e San Lorenzo da
Frazzanò.
I
superiori gli proposero e successivamente gli imposero il sacerdozio.
Conone
amava la vita contemplativa infatti riuscì ad ottenere il permesso di vivere in
solitudine
nella grotta di Rocca d’Almo, dove si nutriva di erbe selvatiche dormento sul
terreno e dedicandosi solo alla preghiera.
Ritornò
in convento perché chiamato dall’abate per sostituirlo e
successivamente,
a causa del mancato ritorno dello stesso abate, fu nominato
abate
malgrado la sua giovane età.
Fece
un pellegrinaggio a Gerusalemme e al suo ritorno seppe della morte dei
suoi
genitori. Come unico erede decise di donare il suo patrimonio ai poveri e di
ritirarsi
definitivamente nella grotta di san Michele per riprendere la sua
vita
da eremita. La sua quiete venne turbata da uno strano episodio che dimostra
come
la cattiveria umana non abbia limiti.
“Una giovane fanciulla di Naso, di nobile
casato, cadde in peccato con un giovane
rimanendo nel disonore. Ella incolpò, del
perduto onore, l’eremita nonostante la
sua età avanzata e la fama di santità di cui
godeva. (La sua vita è
costellata
da prodigi, miracoli, guarigioni prodigiose…). Conone fu
denunziato al Governatore e trascinato come il
peggiore malavitoso davanti
al giudice e fustigato nella pubblica piazza. Ma
quando fu spogliato,
comparve un corpo esile, coperto di piaghe, con
il cilicio ai fianchi e al petto e le
carni in qualche punto a brandelli e già
putrefatte. Il vecchio
abate fu allora riaccompagnato in massa dal
popolo osannante nella grotta
da cui ingiustamente era stato prelevato”.
Morì
durante il regno di Federico II di Svevia, un Venerdì Santo.
La
leggenda narra come a Naso si sentirono
suonare le campane da sole.
I
nasitano si recarono nella grotta di Conone, per chiedere spiegazioni su
quel
suono improvviso delle campane, e lo trovarono privo di vita, in
estasi
e sollevato da terra.
Spettacolare
è la festa, la più importante a settembre, in onore del Santo a Naso.
Il
busto del santo viene collocato su una pesante macchina e portato in
Processione
per il paese adornato di archi, piramidi d’edera e lampioni variopinti.
Alla
macchina vengono legate le spighe che dovranno essere mescolate al grano
da
semina per la stagione per la stagione agraria.
Il
simulacro del santo ha un aspetto sgradevole..”gli occhi grandi e spaccati,
il naso aquilino, le labbra grosse, la faccia…
bronzina, larghissima”..nel
detto
siciliano
alcuni proverbi mettono in risalto questo aspetto..
“Avi ‘a facci ‘i san Conu”.
Il
Santo è invocato contro i mali del naso e delle orecchie. A questo protettorato
Si
deve collegare la rappresentazione di questi due organi (un naso tra due
orecchie)
che in passato fu aggiunta allo stemma del paese e che dal popolo fu
subito
interpretata come un ammonimento del Santo ai devoti di
“aver buon naso, ascoltare assai e parlar poco”.
Naso (Messina) – Processione di San Cono
A Rometta, in solenne attestato di gratitudine,
ogni anno, si festeggiava il santo, con grande fervore, il primo settembre in
tutte due le chiese.
Ruscus Aculeatus
---------------------------
a)
GIMELLO
(Altitudine 409 m s.l.m. – abitanti n. 311
Le sue origini risalgono al periodo Normanno. Secondo la tradizione fu
Ruggero che sul sito fondò un villaggio a cui diede il nome di S. Menna, uno
dei suoi Santi protettori. Dal greco deriverebbe il
termine “aghimeddu” che in alcuni documenti
notarili medievali appare come “Abamenni”.
Una frazione immersa nei
boschi Peloritani ed è, per numero d’abitanti, la seconda frazione di Rometta dopo S. Cono.
Chiesa
di San Rocco
-------------------
a)
GIMELLO
NE’ MONACI –
Gole di Silimò
(Altitudine. 404 m
s.l.m. – abitanti: n. 88)
È una piccola contrada
pianeggiante che si raggiunge dalla frazione di Gimello. Da Gimello Nè Monaci
si raggiunge la fonte di Silimò sull’omonimo torrente. Il nome della piccola frazione è legato alla
presenza nel territorio di numerosi eremi di Monaci da cui nasce il nome. Si
questi eremi
sono solo un il rudero di un piccolo Monastero che era utilizzato,
fino al 1700, per dare ospitalità e
cura per i malati. Un altro aspetto del territorio è legato alla
presenza di una fabbrica di polvere pirica, sita in contrada Costicampo, che fu
operativa sino alla prima metà del 1900.
Ruderi
di un antico Monastero
Per raggiungere le Gole
di Silimò dalla chiesa di S. Rocco di Gimello, si prosegue sulla sinistra per
raggiungere la frazione di Gimello Né Monaci.
Nelle planimetrie sono
riportate due sentieri (A/B) che permettono di raggiungere il torrente e quindi
di fare un percorso ad anello. In ogni caso è consigliabile rivolgersi alle
guide locali di Rometta perché sono presenti dei salti con relative cascate (da
14 a 25 metri circa). Naturalmente è da evitare l’escursione nei periodi di
pioggia. Lungo il torrente si trova
l’antica polveriera.
Video:
-----------------------
d. SAFI’
(Altitudine:
478 m s.l.m. – abitanti inclusi in Rometta)
Piccola
frazione lungo la strada provinciale San Cono – Gimello e a poca distanza da
quest’ultimo.
Deve
il suo nome ad un antico proprietario del feudo, Costantino Safì, come risulta
da un antico documento del 1096.
-------------------------
e. CONDURRI
(Altitudine:
428 m – Abitanti: n. 12)
Antico borgo agricolo
forse fondato in età medievale. Al centro sorge la Chiesa, ad un’unica navata,
dedicata alla Madonna di Loreto costruita nel 1481. Densamente abitato sino al
secondo conflitto mondiale, quando trovarono rifugio molti messinesi che
avevano perso la propria abitazione a causa dei bombardamenti di Messina. Il
villaggio andò via via spopolandosi nei decenni successivi. Abbandonato quasi
del tutto ai primi del 1970 in seguito ad un’alluvione che aprì numerose frane.
--------------------------------
f. SANTA DOMENICA
Borgo di San Sebastiano con Oratorio del
1699 – Chiesa del Palostrico
(Altitudine:
346 m s.l.m. - Abitanti: 228)
Nelle sue contrade si sono trovati i segni, tombe a grotticelle scavate nella
roccia, dei primi insediamenti umani risalenti all'età del Neolitico (contrada
Raspa). Sicuramente nel basso medioevo il villaggio era chiamato Neocastro.
Successivamente, in età moderna, prese il nome attuale. Poco distante il
piccolo borgo di S.Sebastiano dove sorgeva una Casa (Oratorio) di Sacerdoti
sotto la regola di S.Filippo Neri, edificata nel 1699 dal Sacerdote, don
Benedetto Mundo, ricco prelato romettese. Oggi tutto il plesso religioso con
l'annessa Chiesa, proprietà privata, versa in abbandono completo. Nonostante da
decenni si lotti per migliorare l'attuale stato precario delle due uniche
strade provinciali che la collegano, una a Rometta e l'altra alla SS.113
attraversando i Comuni di Roccavaldina e Torregrotta, gli abitanti della
frazione continuano a popolare, forse quello che fu il primo centro abitato dall'uomo
del territorio romettese.
Contrada Barrera
Borgo
San Sebastiano
Borgo San Sebastiano - L'antico Oratorio
'u Ricuttaru
-------------------
La
chiesa è chiamata dai romettesi con l’appellativo di “palla” per la forma della
sua cupola. Si trova sul colle “Palostrago o Palostraco o ancora Palostrico”.
Un termine del deriva dal greco “paleo-Kastron” che significa “antico
accampamento”.
Non
sembra una chiesa per i suoi aspetti: volumetrico, nello spessore delle mura e
anche per le ampie strombature delle sue poche finestre.
Il
monte fu per secoli abitato e militarizzato come dimostrano i resti della
necropoli greca e anche della torre d’avvistamento. Alla fine dell’ 800 sul
luogo c’era un distaccamento militare che faceva parte del sistema difensivo
della dorsale dei peloritani.
La
prima costruzione della chiesa si fa risalire al periodo bizantino. L’archeologo Giacomo Scibona affermò, nelle
sue ricerche, la somiglianza dell’edificio con la chiesa di Santa Maria dei
Cerei.
Una
somiglianza legata a diversi aspetti: la pianta ottagonale e la rozza cupola
emisferica che poggia, attraverso delle semplici pennacchi, su una cornice
modanata.
Le
stesse cornici si trovano nella “rosata” di Rodi Milici cos’ come nella
distrutta chiesa della Madonna di Loreto a Pezzolo. In quest’ultimo edificio
ritroviamo anche le stesse finestra ad arco ribassato e con la forte
strombatura che portarono alcuni storici ad affermare l’esistenza di modifiche
militari risalenti al cinquecento.
La
cupola, più alta rispetto alle altre cupole bizantini, potrebbe essere legata
all’abbassamento dei muri perimetrali per fare spazio al timpano quando la
chiesa subì un ammodernamento nel XVIII secolo. Un ammodernamento legata ad un
miracolo compiuto dalla Madonna.
Infatti
la cupola bizantina generalmente appare
ribassata perché è incassata nelle mura perimetrali.
Non
so se nell’edificio siano state mai effettuate delle indagini archeologici che
potrebbero rilevare la probabile esistenza di stratificazioni. Infatti
l’aspetto l’odierno, tra cui un orribile “imbiancata”, fanno somigliare
l’edificio ad una struttura militare del rinascimento e, ancora di più, ad un
bunker della seconda guerra mondiale.
La Chiesa è dedicata alla Madonna del Palostrico. I festeggiamenti in onore della Madonna
ricorrono nel mese di marzo con un solenne pellegrinaggio di fedeli da Rometta e dai centri vicini.
-------------------------------------
g. TORRETTA
Regia Trazzera Rometta – San Martino
Altitudine
(mt): 464
Abitanti: inclusi in Rometta
Ricorrenza religiosa: Madonna del Palostrago
Deve il
suo nome ai resti di una torretta medievale d'avvistamento che sorge nei suoi
pressi sul versante occidentale del Palostrago o Palostraco (da Paleo Castrum =
vetus oppidum = vecchio campo). La torretta, d'impianto circolare faceva parte
del complesso sistema difensivo della città-castello di Rometta: dalla sua
posizione si controllava a vista tutto il golfo di Milazzo e gran parte della
piana milazzese e, soprattutto, dominava e vigilava l'importante passo della
strada mulattiera che dalla costa raggiungeva Rometta. Oggi la piccola Frazione
non è abitata, e va ricordata per la scuola elementare rurale, attiva negli
anni sessanta e che accoglieva numerosi alunni provenienti dalla vicina San Cono
e per una Trattoria-Pizzeria immersa nel verde. Nei suoi pressi, si dirama
un'importante strada di origine antichissima,(oggi a terra battuta), che
collega Rometta a San Martino di Spadafora. La strada, tracciata su un'antica
trazzera regia, attraversa contrade dai nomi che evocano ricordi e atmosfere di
una volta, quali Quareddi, di chiara derivazione araba. Ed ancora Frantumeli e
Cucuzzaro. Quest'ultimo luogo, poco distante da Torretta, fu interessato da un
tragico evento accaduto durante la rivolta antispagnola di Messina del
1674-1678. Per far arrendere la guarnigione spagnola asserragliata in Rometta,
le truppe francesi e i rivoltosi messinesi, decapitarono decine di prigionieri
spagnoli. Finite le ostilità, i corpi orrendamente mutilati, furono sepolti in
quel luogo che da allora si chiamò Cucuzzaro.
----------------------------------
h. SCALONE OLIVETO
(Altitudine:
355 m s.l.m. – Abitanti: n. 23)
Situato
lungo la strada provinciale Rometta Marea-Rapano- Rometta, il piccolo centro
abitato ha perso la quasi totalità dei suoi abitanti a partire dal secondo
dopoguerra a causa dell'emigrazione. Scalone deve il suo nome ai grandi gradoni
in pietra che permettevano di percorrere un breve ma tortuoso tratto in salita
della regia trazzera che dalla marina portava alla città-castello di Rometta.
Lo stesso tratto era controllato e difeso dalla torretta medievale i cui ruderi
sono ancora oggi visibili. Alla Torretta di Scalone, simile ad una massiccia
torre cilindrica, giungevano i segnali visivi lanciati, in caso di pericoli
(incursioni saracene o turche) provenienti dal mare, dalla Torretta fortificata
di Saponara e da qui bypassati direttamente a Rometta, centro di difesa e di
asilo della popolazione del vasto territorio.
-------------------------------
i. LORENTI
Altitudine:
308 m s.l.m. - Abitanti: (inclusi in Rometta)
Piccolissimo
borgo posto lungo la strada provinciale Saponara-Rometta. Oggi è quasi del
tutto spopolato. Deve il suo nome quasi sicuramente perchè sorgeva "ad
oriente" di Rometta la quale si staglia in alto con lo sprone roccioso di
Porta Messina.
---------------------------------
j. SOTTOCASTELLO
(Altitudine:
433 m s.l.m. - Abitanti: n. 11)
Piccolo
Borgo fuori le mura sorge lungo l’argine della strada provinciale Rometta
Marea-Rapano-Rometta. Oggi, molte delle sue abitazioni sono vuote. Si trova una
Trattoria dove è possibile gustare piatti tradizionali del luogo. Anticamente
costruito a margine dell’antica strada regia “Via Messina”, il Borgo si trova a
poca distanza dalla Porta Castello o Messina che lo sovrasta dall'alto delle
mura merlate e assieme all'altra Porta, chiamata Terra o Milazzo,
rappresentavano le uniche vie d'accesso alla Città-castello. Nel medioevo
rappresentava il luogo dove potevano trovare ospitalità i viaggiatori che
giungevano a Rometta dopo la chiusura delle Porte che avveniva in coincidenza
con il tramonto. Qui potevano pernottare e, di giorno, lasciare i bagagli e i
cavalli in quanto era proibito per ragioni igienico sanitarie condurli dentro
le mura della città-fortezza.
Ipogeo Paleocristiano
---------------------------------
k. SANT’ANDREA
Altitudine:
80 m s.l.m. - Abitanti: 137
Ricorrenza religiosa: Madonna del Sabato
Non
si hanno notizie sulla sua fondazione. Solo un'attenta osservazione del tessuto
urbano e viario del borgo potrebbero collegare la frazione ad una struttura di
ispirazione araba e comunque alto medievale. Nel 2008, durante i lavori del
gasdotto, furono rinvenuti reperti risalenti
alla Età del Bronzo collegati ad un insediamento umano preistorico. Il nome del
borgo di Sant'Andrea appare intorno al XIII secolo in alcuni documenti, scritti
in lingua greca e conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi, del Monastero
di suore basiliane di S.Maria de Messana e nei quali viene citato il villaggio
dell'Apostolo Andrea. Successivamente, in età moderna fu indicato con il nome
di Rantuccio (1740) per poi passare al nome originario ed attuale di S.Andrea. Il
villaggio, sino al 1604, non dipendeva da Rometta ma era un feudo. Nel 1548
risultava signore feudale la famiglia Cottone, Conti di Bauso. Infatti, il 15
novembre 1604, Sant'Andrea e Rapano furono ceduti dagli stessi Cottone alla
città di Rometta. La sua derivazione (di Sant'Andrea) di età bizantina è
testimoniata dalla cantica "Evviva Maria". A differenze delle grandi
chiese bizantine di Sicilia, le cui pareti venivano coperte da mosaici atti a
raccontare al popolo le sacre scritture, qui nella povera cappella della
Madonna del Sabato non sono le pareti della Chiesa a raccontare le sacre
storie, ma la viva voce del popolo, che riunendosi sul sagrato per sette
venerdì precedenti la festa nel nome di Maria, raccontano brani delle sacre
scritture mediante un cantò che inframmezza la vita di Maria a storie del
paese. (tratto da Saverio Ponz de Leon in "La tradizione dell'Evviva Maria
a Sant'Andrea" - Trento 2007
---------------------------
l. FILARI
Fortino
militare - Ipogei
Altitudine:
105 m s.l.m. - Abitanti: 17
La
contrada Filari- Mazzabruno si trova a monte di Rometta Marea e si snoda lungo
la provinciale Rometta Marea-Rometta. Di recente espansione urbanistica, la
contrada Filari si è sviluppata intorno all’antico gruppo di casolari,
attraversato da una trazzera pubblica che lambiva la vicina Chiesetta dedicata
a San Giuseppe e conduceva all’abitato di San Martino di Spadafora. Sul suo
territorio sorgono un moderno frantoio per la macina di olive e un'azienda di
laterizi. Occupa un vasto pianoro ricco di acque sorgive conosciute fin dai tempi
antichi (Gibbione). Su questo piccolo territorio pianeggiante avvenne la
battaglia del 964 tra Bizantini e Arabi e, in epoca umbertina fu costruito un
piccolo ridotto militare di cui ancora oggi si notano i resti in località
Fortino a poca distanza dal Campo Sportivo comunale di Filari.
Furono
individuati due ipogei legati alla presenza di un luogo di culto sovrastato da
un alloggio eremitico del custode dei luoghi.
Video:
Il Fortino Militare
---------------------------
m. ROMETTA MAREA
Altitudine:
5 m s.l.m. – Abitanti 4.419
E' la frazione più grande del Comune
e rappresenta il suo sbocco a mare. Si estende infatti lungo la costa tirrenica
nella parte iniziale del golfo di Milazzo.
Il centro storico è rappresentato
dal quartiere “Due Torri” che prende il nome dall’esistenza di due torri
costiere che facevano parte del sistema difensivo del Regno di Sicilia ed in
uso dal 1549. Resti che sono visibili lungo la Via Due Torri. Nel 1700 esisteva
un casale “Vinci” che sorgeva all’imbocco della strada “Messina” che conduceva
a Rametta. Il suo sviluppo è legato alla costruzione della rotabile (l’attuale
Via nazionale) avvenuta nel 1833 per opera dei Borboni. A fianco della
nazionale cominciarono a sorgere numerosi edifici civili. Un espansione
urbanistica che toccò il suo apice negli anni 1970 – 1980.
In definitiva Rometta Marea è formata
da due località “Fondaco Nuovo “ e “Due Torri”.
-------------------------------------
Commenti
Posta un commento