Indice
Pitture Rupestri
Monte Castillo – El Castillo (Puente Visgo – Cantabria- Spagna);
Il disco rosso datato 48.000 anni fa – Differenza fra mani positive e negative – I segni tettiformi;
Abri du Poisson (Dordogna – Francia);
Lascaux (Montignac – Dordogna – Francia);
Grotta del Romito (Papasidero – Cosenza);
Grotta dell’Addaura ( Monte Pellegrino – Palermo);
Le mani dipinte
Grotta del Pech-Merle (Cabrerets – Francia);
Cueva de Gargas (Aventignan - Pirenei – Francia);
Le indagini di una ricercatrice del CNRS sui Stencil di mani;
Grotte de Bernifal (Meyrails – Dordogna – Francia);
El Castillo (Santander – Spagna);
Font-de - Gaume (Dordogna – Francia);
Gargas (Hautes – Pyrénes – Francia);
Les Cambarelles (Dordogna – Francia);
Maltravieso (Caceres - Spagna);
Pech-Merle (Lot, Francia);
Rocamadour (Lot – Francia).
Un’altra espressione artistica dei Neanderthal era l’incisione delle ossa.
Gli enigmatici cerchi di pietra realizzati dai Neanderthal.
Le “lampade” e le torce dei Neanderthal. Con il fuoco i Neanderthal cambiarono il paesaggio.
I Neanderthal creavano degli ornamenti personali:
- Gli artigli di Kaprina;
- Le conchiglie (Misliya – Istraele e Qafzef – Israele);
- Le conchiglie della Grotta dei Moscerini (Gaeta – Latina) e le pietre vulcaniche;
- Le penne degli uccelli (Grotta di Fiumane – Verona);
Dare ai Neanderthal il merito della prima espressione artistica.
Le pitture nel Paleolitico.
I Neanderthal avevano un pensiero simbolico.
……………………..
Le
sofisticate pitture rupestri presenti in Europa sono sempre al centro
dell’interesse della letteratura archeologica. La grotta Chauvet, nella Francia
meridionale, presenta degli animali selvatici che “corrono” lungo le sue pareti e datate circa 36.000 anni fa. Nel
soffitto della grotta di Altamira, nel Nord della Spagna, sono dipinti una
mandria di bisonti, risalenti anch’essi a circa 36.000 anni fa e nella grotta
di El Castillo, sempre in Spagna, i disegni delle mani e di enigmatici dischi
rossi, risalenti a più di 40.800 anni fa.
Ancora oggi molti storici continuano a dibattere sulle
attitudini o meno dei Neanderthal nell’esprimere le prime pitture rupestri.
L’Homo
Neanderthal, ancora oggi, presenta un stereotipo che ingiustamente lo
contraddistingue: stupido, poco intelligente, privo di immaginazione necessaria
per fare qualsiasi cosa, privo di
sentimenti, aspetto scimmiesco, ecc.
Uno
stereotipo ben radicato non solo nell’immaginario collettivo ma anche nei libri
di storia mai obiettivi.
Il
Neanderthal aveva un cervello il 10% più grande del nostro e forse per “alcuni”
i primi Sapiens erano molto più “sapiens” di noi “moderni”.

Ricostruzione di
un Neanderthal: testa grossa, perciò "cervello grosso",
ma si sono
estinti. Shutterstock
L’Homo
Neanderthal aveva un cranio di circa 1.450 cmc, con un volume superiore del 10%
rispetto all’Homo sapiens (uomo moderno). Eppure il Neanderthal si estinse e,
secondo alcuni ricercatori, il suo cervello aveva una struttura poco adatta
all’ambiente. Questo aspetto non permise ai Neanderthal di sviluppare quelle
abilità culturali necessarie alla loro sopravvivenza.
Secondo
i ricercatori l’intelligenza non dipendeva da parametri esclusivamente
biologici (ad esempio, un cranio più grande) ma dalla capacità di risolvere i
problemi.
La
capacità di risolvere i problemi sarebbe la base per capire chi sia più
intelligente tra i nostri antenati e l’uomo moderno di oggi. La risposta al
quesito sarebbe drammatica perché oggi non siamo in grado di risolvere i nostri
problemi di sopravvivenza in cui i primi Sapiens erano specialisti. Sul piano
evolutivo il nostro inevitabile destino sembrerebbe quello di essere stupidi
avvolti in un egoismo sempre più dilagante.
Forse
sono definizioni dure ma in merito c’è la ricerca di un genetista della
Stanford University, Geral Crabtree. Il dott. Crabtree fece uno studio,
pubblicato sul “Trend in Genetics”, sulle modifiche del patrimonio genetico ed intellettivo del
genere umano.
Secondo
il ricercatore i nostri antenati del
Paleolitico erano più attenti e vispi. Si cacciava e i passi falsi o gli
errori, in una natura selvaggia, non erano concessi. Con il passare dei
millenni e grazie al “progresso” la selezione naturale sarebbe diventata meno
severa nei nostri confronti e la qualità del nostro cervello sarebbe
peggiorata. Secondo la sua conclusione..
Oggi sappiamo più
cose ma siamo meno intelligenti.
Sarebbero ben 120
le generazioni interessate da un progressivo instupidimento.
Rispetto a
3000 anni fa, il nostro cervello immagazzina
infatti molte più conoscenze
(sappiamo leggere,
scrivere, contare...). Questo coinvolge l’attività di un numero di geni
molto vasto.
Espone però l'intelletto a un rischio maggiore di mutazioni genetiche
(che influenzano l'intelligenza), ognuna delle quali lo
indebolisce.
L’interessante
ricerca sul sito:
Diverso sarebbe il
discorso se per intelligenza si considerasse la capacità di elaborare un pensiero
astratto. A partire dai primi decenni del secolo scorso si sono
studiati test (talvolta al centro di vivaci discussioni) per misurare le
capacità logiche: il quoziente di intelligenza, o QI.
Adottando
questo criterio oggi saremo noi i più intelligenti. Sulla base dei manufatti,
che la preistoria ci ha lasciato, si ipotizzò come l’Homo erectus (arrivato
in Asia tra 1 e 1,5 milioni di anni fa) avesse un QI di circa 45, mentre la
media dell’Homo sapiens è attorno a 100, in crescita dal
dopoguerra a oggi.
Quando
la Spagna comunicò il rinvenimento di pitture rupestri nella Sierra Atapuerca
(Sima de Los Huesos), datate a circa 65.000 anni fa, la critica storica si
lasciò andare a commenti molto critici.
65.000
anni fa i Neanderthal erano forse gli unici abitanti in Europa.
Le
più famose riviste scientifiche e ben 44 ricercatori pubblicarono un articolo
nel quale criticavano lo studio e le relative conclusioni dei ricercatori spagnoli che erano basati sui reperti rinvenuti:
Non ci sono ancora prove archeologiche convincenti che i Neanderthal abbiano
creato l'arte rupestre iberica.
Perché queste critiche così forti e pressanti?
Perché i Neanderthal non potevano esprimere con l’arte rupestre le loro concezioni di vita?
Avevano dei sentimenti come la solidarietà, il senso della condivisione, ecc.
Quando si parla di arte Paleolitica si pensa subito alle famosa grotta di Lascaux , con i dipinti risalenti a 20.000 anni fa, e alla grotta di Chauvet, con pitture risalenti a 36.000 anni fa, entrambe in Francia.
Pitture attribuite all’Homo sapiens del Paleolitico superiore che ebbe il sopravvento sull’Homo Neanderthal vissuto tra 400.000 e 40.000 anni fa in Europa ed in alcune zone dell’Asia.
Il problema di fondo su cui si basarono le critiche verso i ricercatori spagnoli erano legate non solo alla concezione che si aveva dell’Homo Neanderthal ma anche al procedimento di datazione delle pitture rupestri.
Datare una pittura rupestre non è facile. Le pitture furono realizzate con pigmenti minerali che non potevano essere datati.
Il motivo?
I pigmenti naturali non contenendo materia organica, rendono impossibile la datazione mediante isotopi del carbonio. Alcuni possono contenere materia organica, come il carbone, che può essere datato con il metodo del radiocarbonio.
Questo procedimento di analisi è adatto solo per le pitture che hanno una datazione inferiore a 50.000 anni fa. Per molte pitture rupestri i ricercatori sospettavano una datazione inferiore ai 40.000 anni fa ma non si riusciva a stabilire un’età definitiva.
I ricercatori spagnoli, con grande professionalità e amore per la ricerca, decisero di utilizzare la datazione uranio-torio su minuscole stalattiti e stalagmiti che si erano formati sopra il pigmento (sostanza colorata).
Questi depositi di carbonato (calcite), lasciati dal passaggio di acqua e anidride carbonica attraverso la roccia, fornirebbero un’età minima per le pitture rupestri sottostanti.
Un’indagine fu eseguita anche da un gruppo di ricercatori guidati dalle Università del Southampton (Regno Unito) e dal Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia (Germania). I ricercatori pubblicarono i risultati dei loro studi nella rivista Science.
Anche loro datarono i residui di calcite, minerale che si forma per l’infiltrazione e il passaggio di acqua dolce sulle pareti rocciose ( in questo caso sulla roccia adornata dai dipinti preistorici).
Poiché il deposito si è formato sopra ai dipinti, dopo la loro realizzazione, fornisce una datazione minima dell'opera sottostante.
I ricercatori spagnoli utilizzarono questo metodo per datare tre pitture rupestri:
- Un’immagine rossa a forma di scala a La Pasiega (Spagna settentrionale);
I dipinti rupestri
nella caverna di La Pasiega.
Si nota la figura di una scala.

Un disegno della
scala rossa della grotta di La Pasiega.
Si pensa che sia
stata dipinta almeno 64 mila anni fa, ma gli animali
tra un piolo e
l'altro potrebbero essere successivi.
© Illustrazione:
Breuil et al
-
Degli stencil di mano nella grotta di Maltravieso
(Spagna occidentale);
La grotta di
Maltravieso in Spagna è decorata con stencil fatti a mano, uno dei quali risale
ad almeno 66.000 anni fa, all'epoca in cui i Neanderthal vivevano in Europa.
- Una cortina di stalagmiti dipinte di rosso ad Ardales (Spagna meridionale).
Datazione delle pitture: 66.700 anni fa
Stalattiti e stalagmiti della grotta di Ardales, vicino Malaga.
Furono dipinte in rosso e sembrano decorare l’interno delle caverne come
tende.

L’analisi venne eseguita su queste piccole macchie
bianche che si erano formate dall’acqua facendo
precipitare la calcite.
Questa calcite
si depositò sopra il dipinto e questo aspetto evidenziava come al momento della
sua
precipitazione il dipinto si trovava sulla parete.
Quindi un dipinto più antico della calcite.
La datazione in
serie dell’uranio dei carbonati era una realtà ed una tecnica utilizzata in
genocronologia da decenni ed era ormai consolidata.
Negli ultimi 25
anni gli sviluppi della spettrometria di massa hanno consentirono di datare
anche
campioni molto piccoli.
Questo era molto
importante perché si potevano datare anche piccole croste carbonatiche
rinvenute
ed associate all’arte rupestre.
Maltravieso
Con questo metodo le pitture rupestri furono datate a
circa 65.000 anni fa.
Anche queste ultime datazioni furono criticate. Fu
ancora una volta messo in discussione il
procedimento metodologico. I critici
misero in discussione il movimento dell’uranio nelle falde
acquifere delle
grotte e riconfermarono la loro tesi che solo gli Homo sapiens avrebbe potuto
realizzare quelle opere d’arte rupestri.
Il
Monte Castillo è una splendida montagna conica situata a
Puente Viesgo, nella valle del Pas, in
Cantabria (Spagna). Sul monte numerose
grotte con arte rupestre: El Castillo, Las Chimeneas, La
Pasiega e Las
Monedas. La Cueva il Castillo fu la
prima ad essere scoperta e diede il nome
al
monte. Fu scoperta da Herminio Alcalde del Río nel 1903 e subito, nei suoi
primi scavi, recuperò un
importante complesso di reperti magdaleniani.
A sinistra: Monte El Castillo (credito:
Governo della Cantabria).
A destra: Vista panoramica
dall'ingresso della grotta El Castillo (credito: Roberto Sáez)
Scultura bifacciale accanto
alla grotta El Castillo: Credito: Roberto Sáez
La grotta è un’importante testimonianza archeologica per visualizzare come vivevano i Cantabrici nella preistoria. Importante è la sua stratificazione costituita da ben 25 livelli che dimostrano una presenza umana di oltre 150.000 anni fa.
Le ricerche di Victoria Cabrera e d Federico Bernardo de Quiròs portarono allo sviluppo di interessanti teorie come quella secondo la quale i Neanderthal e i Cro-Magnon (Homo sapiens) avrebbero convissuto la grotta, ribaltando una teoria tradizionale.
Tutte queste scoperte furono fatte nel sito che si trova all'"esterno" della grotta, proprio nell'ingresso odierno.
I lavori, volti a migliorare l'accesso e le strutture, portarono alla creazione di un tetto artificiale sopra la grotta, proprio come nell'antichità.
Livelli 26-24: Acheuleano
Livelli 20-22: Musteriano
Livello 18: Transitorio
Livello 16: Aurignaziano
Livelli 14 e 12: Gravettiano
Livello 10: Solutreano
Livelli 8 e 6: Madgaleniano
Livello 4: Aziliano
Livello 2: Età del bronzo
Livello 1: Medioevo
Nel livello stratigrafico risalente al periodo Musteriano, fase di occupazione dei Neanderthal, furono rinvenuti numerosi fossili di animali erbivori (bovidi, cervi, equini ed anche rinoceronti lanosi) e di industria litica (punte musteriane, raschiatoi, denticolati e mannaie, associati all'abbattimento del legname, con frequente utilizzo della tecnica Levallois). Sono presenti dei gradi focolari, del diametro di un metro, attorno ai quali si instauravano le relazioni sociali.
Furono rinvenuti sei resti ossei di Neanderthal, datati a 80 ka (migliaia di anni) il più antico e almeno 42 ka il più recente:
- Le corone di tre denti decidui che presentano una forte usura occlusale e interprossimale (livello 20);
- Un premolare superiore molto robusto e abraso (livello 18);
- L’epifisi distale incompleta di una falange prossimale, forse dell’indice;
- Un incisivo centrale superiore molto grande.
I livelli stratigrafici 18b (datato 38.500 anni fa) e 18c (datato 40.000 anni fa) sarebbero l’espressione di un periodo di transizione tra l’Aurignaziano (livello 18) e il Musteriano (livelli 20 e 21).
I reperti rinvenuti nel livello 18 erano costituiti da utensili ed altre espressioni artigianali che erano comuni sia al periodo Musteriano che all’Aurignaziano: giavellotti, punteruoli, ossa con segni di caccia e persino una targa decorata.
In questo livello furono rinvenuti anche dei resti umani di uno o due adulti: tre frammenti cranici e un secondo molare inferiore e di un bambino (resti cranici e vertebrali e una mascella incompleta).
L’occupazione della grotta da parte dell’Homo sapiens o Cro-Magnon determinò la comparsa di una maggiore varietà di utensili. Utensili che erano caratterizzati da una diversa forma, molto più accurata, delle punte delle frecce eseguite in pietra o in corno di cervo e avorio.
Le materie prime degli utensili/oggetti erano costituite da quarzite, selce ed ofite.
Nel livello 8 fu rinvenuto il gancio di un’elica, esemplare unico in tutta la Cantabria.
Nel vestibolo furono rinvenuti importanti oggetti d’arte portatili:
- Un bastone riccamente traforato e decorato con la raffigurazione di un cervo. Fu datato a 12.000 anni fa;
Pezzo scolpito raffigurante un cervo, proveniente dalla grotta del Castillo, a Puente Viesgo.
Fu datato tra 13300 e 11500 anni prima del presente.
Misura circa 20 cm ed è realizzato in corno di cervo.
Fu scoperto all'inizio del XX secolo da Hugo Obermaier.
I bastoni da passeggio erano creati con frammenti di corna di cervo o di renna. Questi reperti furono rinvenuti in vari siti dell’Europa Occidentale e Centrale e coprivano un arco cronologico che andava dall’Aurignaziano al tardo Magdaleniano. Nei musei si trovano almeno 400 reperti e circa la metà sono riccamente decorati con:
- Perforazioni circolari o ellittiche. Di solito c'è una perforazione all'estremità più larga, ma ci sono alcuni bastoni che ne presentano due, e una dozzina di canne che ne hanno tre o più;
- Lunghezza tra 10-16 cm;
- Bordi smussati su entrambi i lati.
La decorazione era molto variabile presentando delle incisioni e rilievi figurativi e non.
Le raffigurazioni presentano spesso delle scene o figure simili a quelle incise sulle pareti delle grotte.
Questi oggetti suscitarono un vivace dibattito di ricerca sia sul loro utilizzo che sulle figure incise.
Sul loro utilizzo, in considerazione della loro breve lunghezza, furono avanzate molte ipotesi:
- “bastoni del comando”; chi li possedeva trasmetteva un senso di rango e di rispetto;
- Un significato religioso o simbolico forse legati alla fertilità dato che alcuni bastoni presentavano dei segni fallici;
- Uno strumento di un individuo preposto al culto magico e in questo caso gli animali raffigurati potrebbero essere considerati come dei totem;
- Oggetti utili per tendere, realizzare cesti o corde con fibre vegetali, da usare come picchetti per tende...
- Utilizzato nella caccia come elemento guida attraverso il quale passava la freccia lanciata dalla navetta:

Nel XIX secolo si scoprì che alcuni eschimesi
utilizzavano oggetti simili come leve per raddrizzare a caldo giavellotti o
punte di freccia e arpioni ricavati dal corno di renna.
Il bastone rinvenuto nella grotta di El Castello
sarebbe uno dei più lunghi malgrado la sua lunghezza di appena 20 cm. È, come
si nota nell’immagine, curvo e questo richiese una grande abilità dell’artista
nell’adattare la figura alla forma dell’utensile.
La figura
sarebbe un cervo maschio e mostra una grande accuratezza nei dettagli come le
corna, la giogaia, il dorso e i quarti posteriori. Da notare l’incisione delle
varie parti anatomiche dell’animale con tratti diversi.
Nel
vestibolo della grotta furono anche rinvenute 33 scapole decorate (datazione
circa 16.000 anni fa).


La grotta El Castillo è una delle cavità più famose perché contiene delle importanti testimonianze d’arte rupestre paleolitica risalenti ai gruppi umani che abitarono l’Europa tra i 38.000 e gli 11.000 anni fa.
(Le altre grotte importanti sarebbero quelle di Las Monedas, Las Chimemeas, la Pasiega e la Cantera).
Al suo interno una vera e propria galleria d’arte preistorica di grande valore per la sua conservazione e antichità.
L’importanza archeologica della grotta di El Castillo sarebbe quindi legata:
- Alla presenza continua dell’uomo per almeno 150.000 anni. Questo aspetto permise di ricostruire anche l’attività sociale e lo stile di vita della comunità di cacciatori – raccoglitori-pescatori che abitavano l’Europa;
- A un laboratorio importante per comprendere l’attività grafica e anche il pensiero simbolico dei gruppi che abitarono l’Europa nell’arco di tempo su considerato. Il Monte Castillo racchiude in sé una vera e propria monografica dell’arte rupestre paleolitica.
La grotta fu inserita nel 2008 nell’lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Dal
punto di vista geologico è una grotta che si sviluppò in un ambiente marino
circa 300 milioni di anni fa ed è costituita da rocce carbonatiche.
E’
considerata una delle più antiche della Cantabria.
La grotta è lunga circa 759 metri, di cui 500 metri vengono
percorsi durante le visite turistiche. Il resto della grotta è accessibile solo
ai ricercatori privilegiati.
Presenta
delle sale, corridoi, gallerie e spazi rotondi.
Si
tratta di spazi piuttosto ampi, accessibili e facili da esplorare con poche prove
grafiche collocate in spazi ristretti e di difficile accesso.
La
cavità fu scoperta nel 1903 da Hermilio Alcalde del Rio che realizzò i primi
scavi archeologici.
Nello
stesso anno scoprì nella grotta le espressioni di una preziosa arte rupestre
paleolitica.
Il
sito archeologico entrò subito nell’interesse scientifico attirando
l’attenzione degli studiosi della preistoria europea.
Nel
1910 l’Istituto di Paleontologia Umana di Parigi, creato dal principe Alberto I
di Monaco, iniziò gli scavi che durarono fino al 1914.
Gli scavi furono condotti da Hugo Obermaier e
Paul Wernett e finanziati dal principe Alberto I di Monaco. Le ricerche furono
interrotte a causa della prima guerra mondiale.
Gli scavi, diretti da H.
Obermaier, furono condotti in collaborazione con P. Wernert, J. Bouyssonie, P.
Theilard de Chardin e H. Alcalde del Río. Il Principe, anni prima, aveva
sostenuto la ricerca di H.
Breuilche, con H. Alcalde del Río, si era dedicato allo studio dell'arte
rupestre Uno studio che fu pubblicato nel 1911 nella prima sintesi dell'arte
paleolitica intitolata Les Cavernes de la Région Cantabrique.
Grotta El Castillo – 23 luglio
1909
L’abate Breuil (con la tonaca);
Oberlamer (sullo sfondo);
il sindaco del Fiume (al centro
con il cappello in mano) e Alberto I di Monaco
(seduto sulla destra).
Le
indagini archeologiche ripresero nel 1934 ad opera di un team della Commissione
delle Ricerche Paleontologiche e Preistoriche guidata dal conte Vega del Sella.
L’inizio
della guerra civile spagnola provocò un
nuovo stop nelle ricerche.
Nel 1950, dopo la guerra civile spagnola, le
ricerche ripresero da parte di J.
Carballo, Direttore del Museo di Preistoria ed Archeologia della Cantabria.
Nel
1973 Victoria Cabrera Valdés riprese gli
studi sul sito e negli anni '80 gli scavi ripresero ininterrottamente, con
Federico Bernaldo de Quirós come co-direttore e, dal 2004, come direttore,
sostituendo la brava archeologa Victoria dopo la sua morte.
Nel 1980 V. Cabrera, riesaminò i reperti provenienti dagli antichi
scavi ed eseguì nuovi scavi con F. Bernaldo de Quiros e, successivamente, M.
Groenen iniziò a ristudiare l’arte rupestre.
Nel
1903 la grotta si presentava come una cavità piena di depositi. L’ingresso era
consentito attraverso una piccola cavità tra i blocchi da cui partiva una leggera pendenza che
giungeva fino alla fine del vestibolo.
Il
giacimento aveva origine da resti medievali e dell’età del Rame, riconducibili
a sepolture umane all’interno della prima grande sala (denominata Settore III).
Sotto
di loro fu rinvenuto uno strato aziliano (fase Mesolitica – 12.000/9.5000 anni
fa) con arpioni ovali e piatti.
Dietro
una crosta stalagmitica furono rinvenute tracce di occupazioni corrispondenti
al Magdaleniano superiore (l’ultima cultura del Paleolitico superiore,
risalente a 18.000 - 11.000 anni fa), con significative testimonianze di
industria ossea, come la presenza di arpioni con una e due file di denti,
numerosi giavellotti a sezione circolare e una canna perforata con l'incisione
di un cervo.
Sotto queste occupazioni, fu documentato un
ricco livello del Magdaleniano inferiore con numerosi oggetti d'arte portatile,
come le scapole incise con figure per lo più di cervi (Almagro, 1976), i cui
paralleli più stretti si trovavano sulle pareti della grotta stessa. Si
trattava di un'occupazione molto intensa a causa dell'elevata densità di
materiali ossei e lapidei. Furono trovate le prove della presenza umana durante
i periodi Solutreano e Gravettiano, tra cui un ciottolo con la figura di un
animale, una delle più antiche testimonianze di arte mobile della Cantabria.
Senza
dubbio, i livelli più importanti, per le loro implicazioni scientifiche, erano
quelli corrispondenti all'Aurignaziano. Furono datati tra 40.000 e 38.500 anni
fa e costituivano la prova delle prime occupazioni dell'Homo sapiens
(Cro-Magnon) in Europa, indicando al contempo l'esistenza di una continuità tra
il Musteriano e le prime industrie del Paleolitico superiore, cioè tra gli
ultimi Neanderthal e i primi Homo sapiens. In questi livelli gli archeologi
trovarono piccole ossa e supporti in pietra.
La sequenza musteriana fu molto ampia e comprendeva diversi livelli che
permettevano di studiare la variabilità tecnica e culturale dei Neanderthal.
Infine, sotto una serie di strati di stalagmiti e limo contenenti resti di orsi
delle caverne, affiorarono industrie acheuleane, tipiche del Paleolitico
inferiore, che arrivavano fino alla base del sito.
Le
pareti della grotta presentavano
numerose incisioni, disegni e dipinti, e soprattutto sculture che
sfruttavano i rilievi naturali. Nella sua vastità la grotta rappresenta una
"monografia dell'arte rupestre del Paleolitico", poiché contiene
quasi tutti i temi, le tecniche e gli stili artistici eseguiti dai primi Homo
sapiens/Cro-Magnon. Una dimostrazione artistica di almeno 20.000-18.000 anni di
comportamento artistico e simbolico.
Si
può affermare che praticamente tutte le pareti della grotta di El Castillo
furono antropizzate, soggette a interventi grafici in una o più fasi del
Paleolitico superiore (corrispondenti all'ampia sequenza di occupazione umana
riconosciuta nel vestibolo).
Planta de la cueva de El Castillo con la ubicatiòn de todas las figuras
identificadas per E. Ripoll y per los
autores.
Planimetria della grotta di El Castillo con la localizzazione di tutte le
figure
identificate da E. Ripoll e dagli autori
All’interno
della cavità si trovano circa 300 pitture rupestri, di cui 200 raffigurano
animali, 50 segni e altrettante mani negative.
L’arte
rupestre della grotta di El Castillo si colloca nel Paleolitico Superiore, tra
il Gravettiano ed il Magdaleniano
esattamente tra il 40.000 e 12.000 a.C.
I
dipinti più antichi, tra cui un disco rosso, furono datati ad oltre 48.000 anni
fa.
La
grotta è conservata in condizioni eccellenti, soprattutto grazie alla sua
posizione sotterranea e alle misure restrittive di accesso.
Le
pitture della Cueva del Castillo furono realizzate sulla roccia calcarea delle
pareti utilizzando varie tecniche, come lo stencil (
la tecnica dello stencil consiste nel ricavare su un supporto rigido una
maschera in negativo dell'immagine che si vuole creare), la
soffiatura dei pigmenti e il disegno diretto.
I
pigmenti, solitamente ossidi di ferro e manganese,
venivano applicati con la bocca, con pennelli rudimentali o con le dita. Per
quanto riguarda il supporto, vennero utilizzate le pareti della
grotta , che talvolta servivano a generare volume o a suggerire
forme naturali.
Il
repertorio iconografico comprende mani negative, punti, dischi, simboli astratti
e figure di animali, come bisonti, cavalli,
stambecchi e cervi. Molte mani mostrano le dita retratte, il che
potrebbe indicare un linguaggio dei segni o un rituale. L'insieme, infatti, non
risponde a criteri decorativi, ma a una profonda intenzione simbolica. Come
prevedibile , si tratta di un'espressione di natura magica o rituale,
legata a credenze spirituali o legate alla caccia.
L’arte
rupestre presenta la raffigurazione di mani negative e positive.
La
differenza tra le due raffigurazioni è legata al mondo con cui venivano
realizzate.
Quelle
negative erano ottenute spruzzando colore intorno alla mano appoggiata alla
roccia, creando un'immagine negativa dell'impronta. Le positive, invece,
si ottenevano colorando la mano e poi imprimendola sulla roccia, creando
un'immagine positiva dell'impronta. Entrambe le tecniche furono utilizzate
nell'arte rupestre preistorica.
Le
figure vennero disegnate con tratti semplici e nonostante siano schematiche, trasmettono un alto grado
di espressività. Il colore era limitato al rosso, all’ocra e al nero. I disegni
cercavano di comunicare dei concetti o delle emozioni e lo stesso uso del
pigmento sarebbe legato non ad una logica naturalistica ma a una logica
simbolica.
Il
contrasto tra il colore e il supporto
roccioso genera dei particolari effettivi visivi dinamici.
Le
forme in rilievo vennero spesso utilizzate
per rafforzare la percezione del volume. La prospettiva era inesistente ma vi
sono degli straordinari esempi di sovrapposizione che
suggeriscono la profondità.
Potrebbe
sembrare strano ma già 40.000 anni fa gli artisti preistorici cercavano di
esprimere nei disegni delle figure un certo dinamismo. Alcune figure,
soprattutto di animali, furono disegnate mentre camminano o con la testa
girata.
Queste
forme espressive cercavano di trasmettere un’intenzione così come per i punti
ripetuti e delle linee. Sarebbero dei segni probabilmente legati ad un valore
rituale o sociale.
La
grotta fu frequentata da cacciatori-raccoglitori del Paleolitico a cui si deve
l’espressione di quest’arte. Erno nomadi ed avevano una struttura sociale molto
complessa e una visione del mondo che racchiudeva aspetti magici e religiosi.
Le grotte dipinte erano luoghi riservati e spesso non abitati ed utilizzati per
rituali o iniziazioni.
L’aspetto
figurativo della grotta non fu legato solo alle scene di caccia e venne
interpretato con approcci simbolici, cognitivi e forse sciamanici.
Molte
furono le interpretazioni delle figure da parte degli studiosi.
Secondo
David Lewis-Williams le immagini riflettevano stati
alterati di coscienza, esperienze visionarie o riti di passaggio. In
questo contesto, le mani negative potrebbero avere un'identità o
un significato magico, che va oltre quello visivo.
Il
disco rosso fu datato a 40.800 anni fa e rappresentò un
importante un punto di svolta negli
studi. Grazie a questi studi il disco rosso fu attribuito al Neanderthal.
Questa tesi sconvolse la comprensione dell’arte preistorica perché dimostrò
l’esistenza di un’espressione artistica
da parte degli antenati dell’Homo sapiens.
Dal
punto di vista stilistico ci sarebbero delle somiglianze con i dipinti di
Altamira, El Pindal o Chauvet. Le tecniche coincidevano come la soffiatura, il
disegno e l’utilizzo del rilevo.
Era
quindi una tradizione artistica che era condivisa in un ampio territorio nel
Nord della Spagna e nel Sud della Francia.
L’arte
preistorica raggiunse influenza l’arte contemporanea in alcuni artisti.
Picasso
affermò
“dopo Altamira, tutto è
decadenza”,
e
gli artisti Miró e Tàpies introdussero nelle loro opere elementi dell’arte
preistorica.
La
Cueva di El Castillo è quindi uno scrigno che contiene preziosi elementi di pensiero primitivo simbolico e questo in
un periodo in cui l’arte era spiritualità, comunicazione. Sarebbe un linguaggio
visivo che trascende il tempo e lo spazio. Il simbolismo di quest’arte sarebbe
un aspetto importante per capire il linguaggio dell’animo umano espresso con
l’arte.
Grotta di El
Castillo
Pannello
raffigurante le mani
Foto- Governo
della Cantabria
Datazione: 37.300
anni fa
Le mani sono tutte
in negativo e rosse.
Presentano delle
dimensioni varie ma solo 9 sono destrimani.
Il pannello presenta anche
diversi simboli e figure di animali, tra cui un bisonte rosso e
numerosi bisonti gialli, probabilmente
dipinti in precedenza a mano.
Grotta El Castillo
Galleria dei
dischi:
datazione: 40.800
anni fa
sono raffigurati
ben 90 grandi dischi rossi.
Ministero della Cultura,
Turismo e Sport, Governo della Cantabria / Pedro Saura
Grotta El Castillo
Angolo dei
tettonici
Datazione: 15.000
anni fa
Ancora oggi si
discute sul significato di questi disegni.
Secondo alcuni
studiosi i disegni sarebbero:
delle capanne,
come trappole per spiriti che potevano assumere la
forma di animali o
ancora come rappresentazioni sessuali maschili e femminili.
Foto: Governo
della Cantabria
Bisonte
antropoide (nell’aspetto esteriore presenta i caratteri somatici della figura
umana).
Il
disegno è una delle opere più singolari del Paleolitico.
Una
stupenda scultura in bassorilievo incastonata in una stalagmite.
Un
adattamento perfetto: la natura iniziò l’opera e l’uomo/donna la completò.
L’artista
riuscì ad intuire nella roccia la figura di un animale e intervenne dando
vita
ad una figura antropomorfa
con tratti umani e animali.
Unì, con grande
capacità artistiche, le tre tecniche fondamentali del Paleolitico:
scultura,
incisione e pittura.
Sfruttando le
forme naturali e bizzarre della roccia stalagmitica, creò una figura con
la testa e il
corpo di un bisonte che termina con gli arti inferiori umani, come si può
vedere dalla forma
del piede umano. Le corna sono visibili in alto tramite linee nere,
sfruttando una
concavità naturale per suggerire l'occhio, che è stato evidenziato
con sottili linee
incise lungo il suo contorno. La gobba sfrutta una protuberanza naturale
nella roccia,
evidenziata mediante la tecnica dello scavo.
La
figura era in origine pigmentata in nero ed oggi lo stato attuale del pigmento
è precario.
La
figura è disegnata verticalmente con un’altezza di 73 cm ed una larghezza
variabile.
La datazione delle figura fu collocata nel Paleolitico superiore ed
esattamente nella
Facies Aurignaziana. Questa datazione sarebbe legata alla similitudine
della
figura di El Castillo con quella presente nella grotta Chauvet in Francia.
La somiglianza si
basa sia sul tema “uomo-bisonte”, sia nelle caratteristiche
formali e nel
supporto utilizzato. La figura nella grotta Chauvet è bipede e dipinta
in nero e
riproduce le stesse caratteristiche di quella di El Castillo: palchi, gobba,
testa e
arti umani. Sempre
nella grotta di Chauvet, alla figura ne
è associata un’altra in cui si
notano le gambe ed il pube di una Venere
paleolitica. Questi aspetti spinsero gli studiosi nell’interpretare la scena
come la raffigurazione di un rapporto sessuale.
La figura fu
data 32.000 anni fa nella Facies Aurignaziana.
Altre due figure
di uomo-bisonte si trovano nella grotta Les Trois-Frères.
Una delle figure è
costituita da uno stregone, con testa e corpo di bisonte e arti umani,
che suona un
flauto. La figura sembra che guidi una mandria di animali.
Nella grotta è
presente un’altra figura isolata e con la testa rivolta all’indietro.
Entrambe le due
figure hanno le caratteristiche menzionate sopra e cioè il
bipedismo ed il
sesso marcato (nella prima figura sarebbe rappresentato come parte del ventre).
La "strega
del flauto" (Trois Frères)
Nella
grotta di El Castillo anche la figura di un bisonte sdraiato accanto a due
cervi in rosso. Il bisonte fu disegnato con la tecnica della punteggiatura. La
figura del bisonte fu datata a circa 13.000 anni fa mentre i due cervi a 15.000
anni fa.
Un
altro disegno, eseguito sfruttando il
rilievo della roccia, raffigura due cavalli, una cerva e un bisonte. La
rappresentazione fu datata a 20.000 anni fa. Il rilievo della roccia delimita
il contorno di parte del dorso e della metà posteriore del bisonte.
Prima
di parlare degli aspetti materiali e tecnici dei disegni, sarebbe importante
mettere in risalto la collocazione dei dipinti.
I
rinvenimenti archeologici misero in evidenza come i dipinti furono espressi in
luoghi chiusi, spesso inaccessibili nelle profondità delle grotte. La cavità di
El Castillo, ad esempio, si trova ad una
certa altitudine e lontana dai centri abitati. Questo ha permesso anche
una buona conservazione dei dipinti.
In
merito alla tecnica probabilmente il colore rosso delle mani sulle pareti della
grotta fu ottenuto grazie all’ossido di ferro unito a grassi vegetali o resine vegetali usati come legante.
Veniva
utilizzato un fusto cavo legnoso o ricavato da una fibra vegetale e il colore
veniva applicato sulla parete soffiandovi dentro.
Nel disegno si
potrebbe notare un certo ritmo perché le mani, pur non presentando una
disposizione geometrica, furono disposte alla stessa distanza l’una dall’altra
e sempre la mano sinistra.
Alcune
presentavano una certa rifinitura nei contorni.
Le
mani disegnate avevano un significato magico e simbolico?
Le mani nelle
civiltà primitive erano considerate come portatrici di vita e di forza ed
avevano un senso di spirito vitale e creativo.
L’aspetto per
certi versi curioso sarebbe legato al
fatto che il tema delle mani sia presente in siti distanti anche migliaia di
chilometri ed anche con date cronologiche molto lontane.
Famosa in tutto il
mondo è ad esempio la Cueva de las Manos in Argentina, nella regione di Santa
Cruz, i cui dipinti delle mani furono datati a 7350 a.C.
Non solo è coincidente il motivo o tema ma anche la
tecnica utilizzata. Naturalmente le grotte della Cantabria e del sud della
Francia sarebbero i luoghi dove si realizzarono le prime manifestazioni
artistiche dell’umanità.
Le comunità si
trovavano in un ambiente ostile, clima freddo (glaciazione Wurm – 35.000 –
9000) ed erano costretti a spostarsi per cercare le prede da cacciare.
Le pitture di El
Castillo sarebbero anche un esempio di come i Neanderthal e l’Homo sapiens
abbiano cercato, con i disegni, di esprimere le proprie
preoccupazioni, le proprie idee con forza, lo spirito vitale e creativo, o semplicemente
la consapevolezza di essere diversi dal resto della natura e il bisogno di
lasciare un segno.
La grotta, per una migliore visualizzazione dei dipinti, è stata divisa schematicamente in settori:
Settore 1
Nel fronte roccioso del vestibolo e vicino all’ingresso della grotta, in una piccola cavita denominata “Grotta del Rospo”, le pareti presentano delle superfici di colore violaceo. Forse una espressione di attività grafiche ma in cattivo stato di conservazione.
Settore 2
Sono presenti numerose figure
di animali che sono disposti su due fregi. Il primo fregio è presente sulla
parete W – SW e presenta numerose figure striate (diverse decine di cervi) e
vari motivi metrici. Sono espressione caratteristiche del Magdaleniano
inferiori, trovate anche sulle scapole rinvenute nel vestibolo della grotta ed
alche in altre grotte come quella di Altamira.
Alcune di queste figure si
sovrappongono tra loro per dare una rappresentazione dello spazio
ambientale. Su questa parte della parete
si trovano altre figure come quella di un cervo, un cavallo raffigurato tramite
punteggiature e una mano delineata in rosso sulla quale si sarebbero delle
perplessità in merito alla sua datazione preistorica. Ci sono poi altre
figure riferibili ad una cronologia
post-preistorica e antropomorfe.
A Nord di questo pannello è
presente un altro disegno che si trova in cattive condizioni di conservazione.
Era probabilmente un pannello importante nella scenografia decorativa della
grotta. Furono identificati nella
rappresentazione tre periodi e il potere di attrazione di questo pannello doveva
essere molto forte perché posto in un passaggio vicino all’ingresso.
Le varie sovrapposizioni
permettono di identificare come prima figura quella di una forma rettangolare
riempita di colore rosso e di linee rosse probabilmente da identificare con una
figura animale.
Successivamente vennero disegnate
delle figure striate tra cui risalta una composizione di tre figure
strettamente collegate e parzialmente sovrapposte (come nel pannello
precedente). Si osservano infine delle figure nere di cervi e cavalli e quella
di un animale con una struttura piuttosto complessa perché molto geometrica.
In questo settore le rappresentazioni avrebbero quindi una
lunga cronologia andando dal periodo Gravettiano (le figure rosse) al periodo
Magdaleniano, con le figure nere.
Settore 3
Poco
dopo l’ingresso, in una sporgenza calcificata, è presenta la figura di una
testa di cervo.
Proseguendo
si notano sul soffitto della cavità delle incisioni di vari animali tra cui la
testa di un cavallo e di una capra, oltre a delle figure zoomorfe (tra cui un
uro) e diversi tratti lineari.
Più
avanti un pannello con cervi e cerve con una composizione costituita da
sovrapposizioni delle stesse figure. Una
forma di rappresentazione per indicare un gruppo di animali.
Sono
incisioni dal contorno molto semplice e con un solco ampio e profondo. Sono
caratterizzati da uno schema sommario ed
anche da una scarsa attenzione all’anatomia.
Figure
che risalgono al periodo Gravettiano o successivo, cioè in una fase anteriore
al Magdaleniano per le figure nere.
Settore IV
Questo settore presente una
parete, leggermente obliqua, completamente incisa.
Vi sono raffigurati numerosi
animali, alcuni parzialmente disegnati, come caprini, cavalli, bovidi.
Sulla
parete Sud-Est spicca la figura di un grande cervo, un uro o una capra che
unisce linee rosse e l’arte del rilievo (la testa in rilievo e un orecchio o
corno dipinto), un uro nero, forse un mammut inciso ed una testa di capra
striata, oltre a numerose linee incise , in particolare nella parte anteriore
della parete.
Linee
che potrebbero indicare delle parti anatomiche di animali zoomorfi.
Sulla
parete opposta vi sono figure nere di cavalli, caprini e un probabile felino,
oltre ad animali non determinati.
In
questo settore la varietà tecnica, stilistica e formale delle figure della
parete SE contrasta con l'andamento omogeneo di quelle della parete NO. Nella
prima sembrerebbe evidente riconoscere una piccola raffigurazione di motivi di
varie fasi, mentre sulla parete opposta tutto fa ritenere che il gruppo
figurativo sia stato realizzato in un'epoca, probabilmente avanzata, del Magdaleniano.
Il dispositivo iconografico è completato da numerosi tratti
(alcuni descrivibili come bastoncini) e punti (alcuni più grandi e suscettibili
di essere descritti come dischi).
Settore 5
in questo settore le
raffigurazioni sono numerose e si trovano in particolare sulle pareti N e W.
Importante il “pannello
policromo” che erroneamente ebbe questa denominazione perché simile a quello
del soffitto di Altamira che raffigurava dei bisonti policromi.
L’identificazione era errata ma
non perse la sua importante funzione di “pannello base” dell’arte rupestre
europea del Paleolitico. Una funzione base per la sovrapposizione di figure e
per la cronologia dello sviluppo dell’arte rupestre paleolitica.

Le figure più importanti del
pannello sarebbero le mani in negativo (circa dieci) e quasi venti
animali, oltre ad alcuni segni.
Le mani sarebbero le figure più antiche (tra 27.000 e 22.000
anni fa) seguite dalle figure rosse.
Tra queste figure, quella più importante, è posta sul lato
sinistro del pannello e sarebbe un grande cavallo. Presenta cinque lunghe linee
viola associate al tronco di forma di claca (un segno a forma di clava), la
testa di un uro, la rappresentazione parziale e superiore di una cerva e un
bisonte che presenta il contorono rosso della testa (con numerosi dettagli
anatomici costituiti dal’occhio e cavità orbitale) e la regione anteriore del
corpo. Il resto del corpo è raffigurato in rilievo.
Nella
parte centrale del pannello spiccano due cervi rossi interi e un cartello
ovale. Sul set rosso sono stati disegnati quattro bisonti neri (alcuni
utilizzando tecniche complementari di disegno e incisione), tre dei quali sono
datati entro un breve periodo di tempo (tra 13.500 e 13.000 anni fa) e il
quarto con date più recenti (uno di essi intorno ai 12.400 anni fa e gli altri
tre vicini ai 10.600 anni fa).
Infine,
nella parte centrale del pannello, c’è una piccola cavità, i cui contorni e le
parti inferiori e interne sono stati colorati di rosso, ricordando la forma di
una vulva.
Prima
di raggiungere il pannello successivo, sulla parete N, erano dipinte in rosso
delle mani negative e numerosi dischi rossi, alcuni dei quali associati e
descriventi una forma circolare. Completano il repertorio punti e piccole linee
rosse, che ricordano dei bastoncini.
Nella
parte più bassa della stanza si trova il “Pannello delle mani”. Un altro gruppo di raffigurazioni importanti
nell’arte Paleolitica.
Sono
raffigurate delle mani, circa quaranta negativi in rosso, alcune delle quali
molto evidente ed altre sfumate. Queste mani sarebbero le raffigurazioni più antiche del pannello.
Numerosi
sono i segni e le forme rettangolari disegnate con soluzioni diverse: incisione;
pittura rossa o gialla; inchiostro piatto (pittura diretta sulla roccia);
riempite di linee verticali, segmentate mediante eliminazione di colore, con
appendice e rifinite con piccole linee rette), triangolari o, probabilmente,
ellissoidali, numerosi punti e dischi. Queste forme compongono più di
centocinquanta unità grafiche.
Tra
i motivi animali, spiccano all'inizio del pannello: un bisonte parzialmente
rappresentato che mostra stretti legami grafici con quelli di Niaux,
Covaciella, ecc., otto bisonti gialli o rossastri nella parte centrale del
pannello, quattro cerve striate, due cerve dai contorni semplici, un cervo
senza testa, una capra incisa, un cervo ottenuto per sfregamento della superficie,
un cervo rosso e numerose linee incise di difficile lettura (alcune delle quali
potrebbero corrispondere a regioni anatomiche di animali).
Alla
fine e sulla destra, si trova il cosiddetto “Angolo Tectiforme”. Uno stretto
spazio in cui furono dipinte una dozzina
di forme rettangolari o sub-rettangolari, il cui interno è in risalto
attraverso diverse segmentazioni. Anche alcune forme rettangolari si
intersecano formando una specie di croce. In questo spazio sono documentate
alcune piccole linee e punti, nonché alcune incisioni di un camoscio e di un
bisonte (probabilmente quattro).
Sulla
parete W di questo settore, corrispondente ad un lungo corridoio che inizia
nella parte anteriore del “Pannello delle Mani” e arriva fino al settore VII,
si trovano numerose manifestazioni grafiche. Sono documentate almeno dieci
figure di animali, tra cui spiccano nella parte anteriore un cervo e un bisonte
(con la lingua fuori) incisi in avanzato stile magdaleniano, un cervo dipinto
in nero, una grande figura di animale in nero, un'incisione di una
rappresentazione parziale di bisonte (probabilmente in corrispondenza temporale
con il bisonte dipinto del “Pannello delle Mani”) e una testa di cavallo o di
cerva dipinta in rosso (già nella parte posteriore del corridoio). Si
riconoscono inoltre almeno quattro mani rosse in negativo (mal conservate), piccole
linee rosse (alcune a forma di bastoncini), punti e dischi (in alcuni casi
associati a un bordo roccioso o a una sporgenza).
Si può concludere che in questo settore V sono presenti figure
appartenenti a più fasi e che di per sé completano la vicenda artistica
paleolitica, almeno a partire dal momento gravettiano.
Settore VI
Di
fronte al “Rincón de los Tectiformes” e a sinistra della parte finale del
“Panel de las Manos”, si sviluppa un nuovo settore. All'inizio, sulla destra,
vediamo un cavallo (con orecchie molto lunghe che ricordano le corna dell'uro)
il cui contorno è stato realizzato in rosso e giallo (il che potrebbe portare a
considerare la sincronicità nell'uso di entrambi i colori) e sul cui ventre
sono state dipinte delle sagome a forma di freccia, simili a clave. Nelle
vicinanze è documentato un grande cartello rosso rettangolare, appuntito alle
estremità, raffigurante parzialmente un bisonte dipinto e inciso, al cui
interno potrebbe trovarsi una testa di uro. Sulla parete opposta e nella parte
anteriore dell'ingresso si possono vedere dei segni ellissoidali in rosso e
giallo e, molto vicino, su una sporgenza del supporto, un cavallo in giallo e
una cerva o una capra in rosso.
Entrando nella galleria, vengono documentate mani negative in
rosso (quattro o cinque), nuove forme ovali, numerosi punti, linee e dischi
(alcuni viola), nonché figure di animali, tra cui una testa di capra incisa. In
questo settore sono state datate (tra 19.140 e 16.980 BP) delle linee nere che
corrispondono alla rappresentazione parziale di un possibile cavallo.
Settore VII
Conosciuta
anche come "Sala delle sculture dei bisonti". Su una colonna
stalagmitica, in risposta al suo nome, spicca un bisonte in posizione rampante
e in rilievo, realizzato sfruttando la naturale convessità della colonna, che è
stata opportunamente ritoccata con pittura e incisione; All'interno erano
dipinti due punti rossi. Nella stessa colonna è stata disegnata una capra.
Intorno
alla colonna e sulle pareti o sulle formazioni, tra gli altri motivi, è
documentato un bisonte inciso con una barba marcata, un cavallo e un uro con la
lingua fuori, zampe dipinte che corrispondono alla proiezione sulla parete
della colonna (come una figura umanoide) e alcune linee che potrebbero corrispondere
a un segno rettangolare. Infine, su una formazione, spiccano quattro cervi
striati e sovrapposti, che ricordano composizioni del settore II.
Davanti
alla colonna e sulla parete destra si trovano due capre dipinte di nero, due
cervi incisi, una testa di cerva in viola scuro, una rappresentazione parziale
di una figura animale (forse un uro) con il sesso evidenziato, un grande segno
rettangolare rosso con segmentazioni interne, piccole linee rosse e punti o
dischi, in alcuni casi associati a bordi e sporgenze rocciose.
A
destra della colonna con la scultura del bisonte, c'è una piccola stanza
rialzata che ospita un'interessante collezione. All'inizio e nella ristrettezza
dell'ingresso, compaiono in posizione verticale una capra dipinta in nero e
un'altra incisa con una linea semplice, entrambe accanto a possibili maschere
umane in cui l'incisione profonda si unisce al rilievo naturale. Andando più in
profondità, in una scanalatura larga e profonda sono stati scolpiti un uro e
due cerve, e più indietro, su un pannello a sinistra, sono stati dipinti una
testa di cavallo, una cerva, un uro e animali non specificati, tutti in grandi
formati metrici e in nero.
Tralasciando
i dischi, i punti e le linee, la cui cronologia è difficile da definire, le diverse
fasi artistiche del Magdaleniano sono chiaramente documentate, dalle cerve con
scapole striate ai motivi delle fasi successive o finali. Le pitture nere e le
incisioni a solchi profondi a cui si fa riferimento nello spazio della stanza
rialzata sono più difficili da caratterizzare, ma potrebbero benissimo
corrispondere a periodi precedenti, sia pre-Magdaleniani che addirittura molto
antichi.
Settore
VIII
In
questo corridoio, accessibile dal settore VII o II, è presente un pannello di rilievo,
il cosiddetto “Pannello delle figure a campana”, cinque figure a campana
(alcune delle quali con una linea centrale che divide in due il segno chiuso)
di colore rosso, un motivo lineare nero (parallelo alle figure ad albero o a
ramo) e un cavallo rosso (di tonalità diversa rispetto alle figure a campana).
Salendo (come si accede dal settore VII), e su entrambe le pareti,
erano incisi diversi animali con contorni semplici, come cervi, capre, daini e
forse un camoscio. Sono inoltre documentati alcuni punti, piccole tracce e
dischi rossi.
Sebbene
la cronologia magdaleniana (medio-alta) delle incisioni non sia in discussione,
i segni campaniformi e ramiformi sono stati e sono oggetto di discussione.
Sebbene la maggior parte dei ricercatori tenda a riferirsi a date pre-magdaleniane,
una valutazione complessiva del settore e i parallelismi che si possono
tracciare con la grotta di Niaux suggerirebbero una conformazione risalente al
periodo magdaleniano
Settore IX
Sebbene
attualmente l'accesso sia consentito sotto un falso soffitto di stalagmiti, il
passaggio originale era ricavato nella parte superiore, all'inizio della quale
si trovano due o addirittura tre figure di bisonti neri nel cosiddetto stile
magdaleniano dei Pirenei. Proseguendo, e generalmente in pessimo stato di
conservazione, si vedono (o meglio si vedevano) figure nere di cavalli e capre,
ma non mancano nemmeno alcuni uri.
Dopo
aver percorso la discesa, si giunge in cima alla stanza, dove si trova una
piccola curva o un piccolo angolo. Poco prima di entrare, in un luogo nascosto,
c'è un piccolo cavallo disegnato con inchiostro nero, e all'interno c'è un
cartello nero rettangolare con delle divisioni interne, la parte anteriore di
una capra e una maschera di uro. Quest'ultima composizione è una delle più
notevoli della grotta, poiché l'occhio (un piccolo cerchio) e una narice (una
piccola linea) sono dipinti in nero su un supporto roccioso a forma di testa di
uro. Quest'ultima composizione, dal marcato carattere scultoreo, ricorda le composizioni
di Niaux o quelle più recenti di La Garma e Altamira.
Più
all'interno, si trova una rara figura parzialmente ricoperta di calcite che
potrebbe corrispondere a un cavallo dalle proporzioni sproporzionate a causa
della "misura al supporto" che l'artista deve aver imposto.
Settore X
Dopo
aver superato un restringimento, sulla sinistra, la grotta si apre con un
ingresso dove, oltre a nuvole o una serie di punti viola, si può riconoscere un
cavallo nero che combina la pittura nera (per la metà posteriore) con l'uso del
rilievo (per la metà anteriore) e di linee rosse (alcune delle quali
corrispondono molto probabilmente a figure di animali, si potrebbe vedere anche
una figura di capra).
Nella
parte inferiore di questa sala si possono osservare alcune incisioni (alcune
probabilmente antiche), tra cui un cavallo con un solco largo e profondo e
qualche animale non identificato.
Infine, in una parte molto alta e nascosta della sala, a cui si
accede dalla sezione precedente, spiccano cinque motivi caprini del periodo del
Magdaleniano superiore.
In generale si tratta di un settore con scarsa attività umana e
con campioni artistici variegati dal punto di vista cronologico.
Settore XI
Corrisponde
alla cosiddetta “Galleria dei Dischi”, che inizia, dopo il collegamento con il
settore VI, con una testa di uro e il posteriore di un cervo, entrambi in
rosso. Non appena si inizia il percorso rettilineo della galleria o del
corridoio, sulla parete destra si notano numerosi dischi rossi disposti in file
o che formano serie irregolari. Nella prima sezione, con oltre 100 dischi, sono
documentate anche la forma a croce e le linee curvilinee. Dopo questa prima
grande composizione appare un piccolo pannello con due forme di diamante (per alcuni
ricercatori pesci) e una, e l'ultima, mano in negativo (leggermente più
aggraziata e più piccola delle altre).
Da
questo momento in poi i motivi sono più dispersi, con un mammut in rosso
(probabilmente un cucciolo, date le sue proporzioni anatomiche), capre incise
e, in una colonna, ancora dei dischi.
Settore XII
Ripetendo
quanto visto nel settore precedente, questo spazio ospita esclusivamente dischi
collocati in colonne stalagmitiche sulla parete. Disposti in serie verticale,
il totale è di circa 80.
Settore XIII
Questo
è il settore meno sconosciuto e meno studiato. In assenza di uno studio
preciso, è documentata l'incisione (mediante tre linee di contorno parallele)
di una grande testa di cervo, di due cavalli incisi sull'argilla.
Il
dispositivo iconografico della grotta di El Castillo rappresenta graficamente
gli eventi dei gruppi di cacciatori-raccoglitori-pescatori del Paleolitico
superiore, un insieme che racchiude almeno 18.000 anni di storia culturale.
In assenza di uno studio aggiornato e tralasciando concentrazioni
di colore di difficile interpretazione formale, il corpus tematico è composto
da segni (la componente più numerosa, quasi i tre quarti), animali e
riferimenti all'umano (attraverso le mani rosse negative, circa 60).
Tra i motivi animali, i più notevoli per la loro importanza
numerica, dopo le figure indeterminate, sono i cervi, i bisonti, i cavalli, i
cervi, le capre, gli uri, i camosci, le maschere e i mammut, nonché, senza
poter specificare, i cervidi, i bovidi e i capridi.
Tra i segni si contano più di 50 “complessi” (rettangolari, ovali,
a campana, ramiformi, ecc.) e numerosi dischi (quasi un centinaio), nuvole di
punti, punti isolati e numerose linee, alcune delle quali associate per formare
gruppi.
Le tecniche sono varie. Mani realizzate soffiando e di colore
rosso. Per le figure nere è stata utilizzata la tecnica della matita al
carboncino, poiché l'uso del manganese sembra probabile solo in una figura.
L'inchiostro spot è documentato solo in una figura nera. Il colore più
comunemente utilizzato è il rosso, che veniva applicato con i pennelli; la
linea tratteggiata era molto insolita. L'incisione è varia: semplice, con linee
larghe e profonde, oppure fine, con contorni multipli o con l'interno striato.
In
questa cavità risalta l'uso di rilievi naturali, in alcuni casi per completare
le figure e in altri (come la maschera dell'uro) per definire la struttura
generale del motivo.
Dal punto di vista cronologico, come è stato sottolineato, sono
rappresentate la maggior parte delle fasi cronoculturali e artistiche del
Paleolitico superiore, e oggi non è possibile confermare che esistano figure
anteriori a date di 27.000 anni fa (corrispondenti alle mani). Le fasi
probabilmente più rappresentate, durante le quali la cavità fu decorata,
corrispondono al Graveteniano medio-tardo, al Maddaleniano inferiore e al
Maddaleniano superiore.
Cavallo inciso sul
pavimento dell'ultima stanza
della grotta.
Soffitto delle mani:
bisonte tracciato in giallo, parzialmente
riattivato in
rosso.
Settore 10
Balcone delle
Capre: stambecco disegnato in nero.
Settore 3 – 4
Testa di cervo increspata (in alto a sinistra)
e
stambecco
finemente inciso (in basso a destra).
Galerie des Mains
Uri e cavallo
disegnati in giallo e rosso.
Galleria delle
Mani
Cavalli-uri.
Il dettaglio
mostra che la testa è sormontata da appendici ricurve
verso l'interno nella
loro parte distale, che corrispondono alle corna e non a orecchie.
Settore 3 -4
Figure incise ad
incastro che rappresentano
un uro (sagoma
esterna) e un cavallo (sagoma esterna interno).
Settore 7
Figura di un uomo bisonte disegnata a
carboncino
legno e inciso su
un rilievo evocativo di un pilastro stalagmitico,
la cui ombra
proiettata sulla parete della stanza riproduce la stessa modello.
Galleria dei
Dischi: linee curvilinee rosse.
Lato Inferiore:
area di macchioline rosso-viola.
Galleria dischi:
dischi rossi.
Guarda in
direzione dall'inizio della galleria.
Angolo dei
Tectiformes
Vista parziale
verso la Galleria delle Mani.
Quadrangoli
cloisonné dipinti rosso sono stati realizzati sul soffitto dello spazio
(il muretto fu costruito
tra il 1950 e il 1960).
Nella grotta furono censiti ben 2.979 unità grafiche. Unità grafiche che furono suddivisi:
- 2.509; tracce, linee indeterminate, elementari e complesse;
- 360 figure di animali;
- 22 di esseri umani di cui 19 figure schematiche protostoriche;
- 2 animali compositi;
- 1 figura umana composita:
- 83 mani negative.
Tecniche Utilizzate:
- La pittura e il disegno erano ampiamente in maggioranza (2.513 unità grafiche);
- Figure incise (465 unità grafiche).
2.292 erano motivi non figurativi mentre quelli figurativi erano 221, pari al 91,2%.
Le nuove indagini archeologiche permisero di individuare altre espressioni artistiche tra cui:
- 201 figure antropiche;
- Una decina di nuove figure tra cui le impronte di due bambini in calcite;
- 16 possibili litofoni costituiti da stalagmiti (il litofono è un pezzo di roccia, opportunamente modellato, che percosso emette dei suoni).
Questo spazio sotterraneo non era solo uno spazio visivo ma anche un luogo di simbolismo e forse anche come spazio sonoro.
I Disegni Tettiformi

Nell’arte preistorica i segni tettonici o tettiformi, disegnati sulle volta della grotta, hanno sempre suscitato un grande interesse nei ricercatori per cercare di comprendere il loro significato e valore simbolico.
Molte grotte presentano questi disegni sulle volte, piane o curve, e sembrano evocare una struttura geometrica complessa.
Le prime ricerche su questi segni furono eseguiti nel lontano 1902 da parte di Henri Breuil e Louis Capitain che studiarono i segni tettonici presenti nella grotta di Combarelles.
Per gli studiosi i segni evocavano
La struttura del tetto di una casa o di una capanna.
Gli stessi ricercatori, insieme a Denis Peyrony, trovarono gli stessi segno nel 1903 nella grotta di Bernifal. I segni erano incisi o dipinti accanto o sopra le figure di animali.
Nella letteratura archeologica il termine “tettiformi” indica non solo il tetto o copertura ma anche altri segni geometrici (quadrangolari, penniformi, scalariformi, ecc.).
Nella sua espressione, il segno tettiforme ha delle caratteristiche di base:
- presenta un albero centrale, con funzione di pilastro;
- alla base un terreno che è perpendicolare all’albero;
- delle linee, presenti nel vertice del segno, che scendono a destra e a sinistra della stessa figura.
Gèrard Capdeville (1986)
Tipi di Tectiformes del Périgord
disegno Tettiforme nella grotta di Font-de-Gaume
Il segno tettonico o figura tettonica si ritrova quindi nell’arte rupestre ed è assente negli oggetti. Il segno sarebbe quindi legato ad una cavità rocciosa.
In Francia è presente in quattro grotte, poste in un raggio di circa 8 km attorno a Les Eyzies-de-Tayac (Périgord):
- Les Combarelles;
- Fout de Gaume;
- Bernifal;
- Rouffignac.
I segni furono anche rinvenuti a:
- Bara-Bahau (Les Eyzies-de-Tayac (Périgord);
-
La Mouthe (Les
Eyzies-de-Tayac - Périgord);
- El Castillo (Spgna);
- Pasiega;
- Kapova (Urali).
https://www.hominides.com/articles/grotte-de-shulgan-tash-kapova-bachkirie-russie/
Secondo gli studiosi queste ultime quattro grotte presentano dei segni tettiformi che sono differenti rispetto alle prime quattro grotte di Les Eyzies-de-Tayac - Périgord.
Sono stati
spesso descritti come "tettiformi", termine altamente qualificante
che sarebbe meglio riservare ai veri tettiformi del gruppo
Eyzies ....
(André
Leroi-Gourhan – Arte parietale: Linguaggio della Preistoria).
Lo
strano aspetto che gli studiosi misero in risalto era quello che i segni non
erano mai presenti sugli oggetti d’arte o utensili. Sembra quasi che questi
uomini preistorici abbiano voluto preservare questi segni alle loro dimore… un
modo per affermare forse la padronanza del sito.
Grotta Bernifal incisa da Techtiform – Foto G. Delluc
Grotta Bernifal
incisa da Techtiform – Foto D. Vialou
Tectiformi –
Grotta di Font-de-Gaume – Foto D. Vialou
Techtiform e
mammut – Grotta Bernifal – Foto D. Vialou
Panoramica dei Techtiformes – Alain Roussot Arte preistorica
Altro aspetto importante è quello che i segni tettonici in ogni grotta
sono differenti.
Nella grotta di Combarelles i segni 1 e 3 sarebbero
incisi. Nella stessa grotta fu scoperto anche un segno dipinto.
A
Font-de-Gaume (figure da 4 a 15) i tettonici sono dipinti con pigmenti rossi
(ossido di ferro) e sono strettamente associati alle figure dei mammut, poiché
il segno è dipinto sull'animale.
Un ultimo esempio dalla grotta di Font-de-Gaume: il tema del mammut e del
tettoforme, si ritrova tre volte sulla stessa parete. Ci sono tre piccoli
mammut incisi e tre tettonici rossi ben allineati; un po' più avanti, un tettiforme
è dipinto su un mammut inciso e, a pochi metri di distanza, due mammut sembrano
ancora dirigersi verso due tettiformi. Non è una espressione simbolo del caso. Infatti
nella grotta del Bernifal si notano nuovamente una serie di tettonici incisi su
mammut.
Nella
grotta del Bernifal (figure da 16 a 19), uno dei tettiformi è molto particolare
perché è formato dalla giustapposizione di centinaia di punti rossi di diametro
inferiore al centimetro. Questo tettonico a punti è quindi presente in un unico
esemplare a Bernifal, ma anche in tutte le grotte decorate... I tettonici
incisi di Bernifal si trovano nello stretto spazio al centro di questa
cavità-galleria di modeste dimensioni (circa 90 metri di lunghezza).
A
Rouffignac (figure da 20 a 27) i tettonici sono stati tracciati con il dito in
una parete molto morbida. Per Denis Vialou……….
molti dei
tettonici di Rouffignac sono identici, ma sono il risultato di impronte digitali
su pareti di calcare molto morbido.
I
disegni tettiformi presentano in media una dimensione di 30 – 50 cm.
Le strutture murarie di queste grotte devono essere state in parte
costruite intorno al XIV e XIII millennio. Quelle di Rouffignac e Bernifal
presentano una forte omogeneità. Quello di Font-de-Gaume è invece eterogeneo,
in parte anteriore e in parte posteriore. Il sistema Combarelles fu completato
con l'aggiunta di rappresentazioni della fine del Magdaleniano. Denis Vialou.
Tettiformi - dipinti Grotta di
Font-de-Gaume – Les Eyzies de Tayac –
Foto Delluc
Tettiformi – Tracce Digitali – Grotta di Rouffignac
Tettiformi Grotta di Font-de-Gaume – Les Eyzies de Tayac – Foto
Font-de-Gaume
Sull’interpretazione di questi segni varie ipotesi,
alcuni fantasiose come quella di enigmatici dischi volanti.
Osservando i segni con attenzione, la prima ipotesi
che viene in mente è quella di una struttura abitativa, una specie di capanna
con pilastro centrale, la sua intelaiatura e i tetti a spiovente…
Il Breuil , Peyrony e Cpitain indicarono il segno come
un simbolo di proprietà ma non sulla grotta abitata, ma apposto su un animale,
come si può notare sul disegno presente nella grotta di Bernifal.
il maddaleniano avrebbe voluto marcare l'animale con il suo segno di
proprietà come il tuareg marca con il suo wasm (velo blu) gli animali che gli appartengono, questa presa di
possesso virtuale dell'immagine dell'animale corrisponde, per il troglodita,
alla presa di possesso reale dell'animale che può essergli utile.
Una ipotesi che fu accettata da diversi storici come lo
studioso di preistoria Denis Vialou che, successivamente, affermò come questi
segni erano
marcatori di identità privilegiati" (stemmi o segni).
Altra ipotesi
legata ad una tenda ( Gabriel de Mortillet), dove nello stesso piano si
mostrava sia la struttura interna che esterna.

Rilevamento dei tettiformi della grotta di Rouffignac
Molti critici andarono oltre e videro in queste “capanne” anche una trappola per spiriti maligni o una rete da caccia costituita da un cunicolo in cui la selvaggina si infilava prima di cadere in una buca.
Infatti nel 1941 Kurt Lindner studiò l’dea de segni come trappole. Vide nei segni tectiformi lasciati nelle grotte di Bernifal, Font-de-Gaume, les Combarelles, delle trappole a peso la cui struttura di travi e pietre ricadeva sull'animale una volta che questo aveva attivato il meccanismo. Una ipotesi molto difficile da accettare se collocata nel Paleolitico.
L’archeologo André Leroi Gourhan, esperto in preistoria, nel 1958 propose una sua ipotesi sui segni tettiformi.
Distinse due classi ben precise di segni:
- I segni solidi (rettangoli, triangoli, tettonici, ecc. che rappresentavano la femminilità;
- I segni sottili (bastoncini, linee, frecce, ecc.) che rappresentavano la mascolinità.
Questa contrapposizione di segni si ritrovava nelle grotte. Ipotesi che fu condivisa da Madame Annette Laming Emperaire.


Fotografia de uma
imagem de arquivo de Madame Annete Laming-Emperaire,
enquanto escavava
o crânio da Luzia, na década de 70.
Douglas Magno
Nel
1959, Cristian Zervos affermò come i
tettonici fossero una sorta di
immagini magiche
dell'abitazione.
La
rappresentazione di una capanna indicherebbe l'immagine di un'operazione magica
volta a porre l'abitazione sotto il potere tutelare della divinità e a
proteggere così chi la abitava dagli innumerevoli pericoli.
Finora nessuna delle interpretazioni è stata accettata,
ma il fatto che questi tectiformi siano presenti solo in un'area geografica
molto ristretta potrebbe indicare che la spiegazione sia probabilmente
regionale.
………………………………………..
Abri
du Poisson, Dordogna, Francia.
Uno
stencil di mani sul soffitto di questo piccolo riparo roccioso.
Un salmone…un
realismo eccezionale.
Le dimensioni
della scultura, 1,05 metri, sono a grandezza naturale e
in origine dipinto
in ocra rossa.
Datato circa
25.000 anni fa (Facies gravettiana).
I dettagli
permettono di riconoscere le caratteristiche della specie ed anche
l’epoca in cui fu
pescato nella vicina Vézère.
La mascella
inferiore è a forma di uncino, caratteristica del salmone maschio
Il salmone viene
allora chiamato bécard ,
ravalé o charogard.
Le sette barre sopra il pesce rappresentano la pinna dorsale.
Tuttavia, questa
parte è nettamente separata dal resto del pesce, senza alcuna spiegazione.
Soltanto nel 1975 venne scoperta una
"mano negativa" (C. Archambeau e A. Roussot)
dipinta sul soffitto del rifugio.
Numerose tracce di vernice nera e rossa nelle incrinature
della roccia fecero supporre che il
soffitto del riparo fosse interamente dipinto.
Purtroppo questo non fu verificabile
perché nel 1917 il rifugio fu lavato e spazzolato
per eliminare i licheni che stavano
invadendo la zona.
Da notare
che nell'immagine il contrasto fu accentuato per far apparire la mano più
chiaramente.
………………………..
A Lascaux,
una località presso il villaggio di Montignac (in Dordogna, Francia), si
trovano alcune grotte comunicanti ricche di importanti pitture e incisioni
rupestri, con figure di animali risalenti al tardo perigordiano (15.000 a.C.).
Vi sono immagini di uri dalle proporzioni monumentali,
che raggiungono i 5 m di lunghezza, accanto a bisonti, cavalli e cervi di 50-60
cm.
Grotta di Lascaux,
15.000 a.C. ca. Périgord, Francia. Pianta e indicazione delle pitture.
Le
grotte furono scoperte casualmente nel 1940, da quattro ragazzi che cercavano
il loro cane che si era smarrito. Furono aperte al pubblico dopo la fine della
Seconda guerra mondiale. Purtroppo il calore e l’anidride carbonica, prodotti
dal fiato dei tantissimi visitatori, iniziarono presto a deteriorare i dipinti,
al punto che nel 1963 si decise di chiudere l’intero complesso. Ancora oggi non
è possibile entrare nelle Grotte di Lascaux, in compenso, dal 1983 si può
visitare un museo, chiamato Lascaux II, che ripropone fedelmente e a grandezza
naturale, alcune parti di queste caverne, mentre altre riproduzioni dei dipinti
furono esposte in un parco a pochi chilometri da Montignac.
Dipinti rupestri.
Grotta di Lascaux, Francia.
Cavalli - 15.000
a.C. ca.
La Sala dei tori,
15.000 a.C. ca. Dipinti rupestri. Grotta di Lascaux, Francia.
Il
taglio naturale della caverna suggerì certamente la disposizione dei dipinti. Alcune volte sono serrati negli stretti
corridoi mentre altre volte sono distribuiti
con ritmo più largo negli spazi di maggiori dimensioni. Le figure non
presentano le consuete posizioni statiche delle raffigurazioni precedenti.
Molte
figure sembrano in movimento, altre si mostrano di scorcio o in
torsione e presentano degli occhi vivacemente espressivi.
Uro, 15.000 a.C.
ca. Dipinti rupestri. Grotta di Lascaux, Francia.
Gli
artisti seppero sfruttare le irregolarità della roccia per conferire un
maggior senso di rilievo agli animali dipinti e scelsero di
stendere i colori in modo non uniforme, lasciando i toni di fondo della pietra
per rendere più luminose certe parti. Svilupparono i primi temi animalistici
con estrema sicurezza, anche se i loro soggetti erano di norma rappresentati di
profilo e attraverso contorni piuttosto rigidi e poco definiti. Le zampe erano
sovrapposte (in pratica se ne vedono solo due) e appaiono incompiute e prive di
zoccolo.
La Sala dei tori,
15.000 a.C. ca. Dipinti rupestri. Grotta di Lascaux, Francia.
Uro, 15.000 a.C.
ca. Dipinti rupestri. Grotta di Lascaux, Francia.
Riprodurre
e quindi “catturare” le vere sembianze dell’animale anticipava e garantiva,
grazie al rito magico, anche la cattura materiale della selvaggina, durante le
successive battute di caccia. L’artista era dunque, quasi certamente, lo
stregone cui gli altri cacciatori attribuivano poteri magici. È probabile che
per esercitarsi nella pratica del disegno egli fosse esonerato dagli obblighi
della caccia. D’altro canto, il pittore-sciamano era
ugualmente utile alla comunità se la sua capacità artistica, unita alle doti
magiche, agevolava il lavoro dei compagni o addirittura era indispensabile per
garantire l’abbattimento della preda.
................................................................................
La Penisola italiana è stata popolata
fin da tempi antichissimi, le testimonianze più remote risalgono a 730.000 anni
fa. Nel nostro paese l’uomo cominciò a produrre manufatti artistici a partire
dal 18.000 a.C. Sono stati ritrovati dipinti rupestri a soggetto animalistico
non dissimili da quelli realizzati in Francia. Tuttavia, il territorio italiano
si distingue per il gran numero di graffiti,
che raffigurano sia animali, disegnati con mano ferma e attenta, sia figure
umane, ottenute attraverso pochi rapidi tratti, e dunque appena “schizzate”. I
siti archeologici più interessanti, in tal senso, sono la Grotta del Romito, in Calabria, e la
Grotta dell’Addaura, in Sicilia.
Grotta del Romito (Papasidero - Cosenza).
La
Grotta del Romito si trova nel comune di Papasidero, presso Cosenza,
risale al Paleolitico superiore. Contiene tracce di antiche sepolture
(risalenti a 10.500 anni fa) ma soprattutto alcune antichissime incisioni (20.000 -18.000 a.C.) che gli studiosi
considerano tra le più importanti testimonianze di arte preistorica in Europa. Tra
le figure un bovide (Bos primigenius) di profilo. Il tratto che disegna la figura è molto
preciso e rende l’animale perfettamente riconoscibile nelle sue corrette
proporzioni. Questa ricerca di verosimiglianza, attraverso un disegno lineare
che rinuncia all’uso del chiaroscuro, richiedeva all’artista grande talento e
soprattutto una maestria che gli proveniva da un lungo esercizio.
Toro,
20.000-18.000 a.C. Graffito rupestre. Riparo del Romito, Papasidero, Cosenza.
Sul
Monte Pellegrino, presso Palermo, furono scoperte alcune grotte,
dette Grotte dell’Addaura,
che ospitano un vasto e ricco complesso di incisioni risalenti al tardo
Paleolitico superiore (18.000 a.C., ma
forse anche 15.000 a.C.).


In
una moltitudine di bovidi e cavalli, spicca una scena con figure umane dall’impianto piuttosto
complesso, dove si contano più di dieci personaggi maschili, gran parte dei
quali disposti in tondo, a circondare due figure centrali sdraiate. Le loro
immagini, soprattutto se confrontate con i graffiti del Romito, sono molto
elementari.
Uomini
cacciatori ma non c’erano animali vicino a loro.
Alcuni
uomini hanno le braccia levate in alto, altri sembrano sospesi in aria o si
appoggiano l’uno all’altro come a prendere lo slancio per effettuare un salto.
L’artista paleolitico riuscì a rendere con grande efficacia il senso del loro
movimento.
Graffiti
semplici che evidenziano una grande stilizzazione.
L’arte stilizzata è frutto della ragione e non
dei sensi, punta al significato delle cose e non al loro aspetto, mostrando ciò
che l’uomo ha imparato a conoscere, non ciò che l’uomo vede. L’autore di questi
graffiti voleva evidenziare il significato dell’evento e non riprodurre
fedelmente la scena, che al contrario doveva risultare essenziale,
immediatamente comunicativa.
Grotta
dell’Addaura.
Graffito rupestre
- Figure umane, 18.000 a.C. ca.
Palermo, Museo
Archeologico Nazionale.
Furono
proposte molte ipotesi sul significato di questa scena.
Probabilmente
era la rappresentazione di un rito che univa danza e
spettacolari momenti acrobatici con gli
uomini che indossavano un copricapo a forma di testa di uccello. Il motivo o
obiettivo del rito non fu chiarito. Potrebbe essere una danza propiziatoria per
la caccia, oppure che celebrava una vittoria o ancora un terribile e crudele
sacrificio umano.
Infatti
i due personaggi centrali della scena sembrano come incaprettati. Presentano le
gambe
rivolte
all’indietro e tenute in tensione da una corda che passa intorno al collo, un
innaturale e doloroso inarcamento che li avrebbe portati alla morte per
autostrangolamento.
............................................
Le
Mani dipinte
Le
mani nell'arte rupestre rappresentano una forma di comunicazione molto
antica, utilizzata in diverse culture preistoriche per esprimere concetti,
narrare storie e per rituali.
Un
sito importante in merito si trova nella Francia meridionale e nella Spagna settentrionale.
Siti
che cronologicamente rientrano nell’intervallo di tempo compreso tra 42.000 –
12.500 a.C.
Furono
effettuate molte stampe di queste raffigurazioni di mani rinvenute nelle grotte
dell’Europa Sud-occidentale ma le stesse
immagini non permettevano di fare uno studio sulle figure perché sprovviste di
scale. Un aspetto che si rilevò subito dallo studio delle mani disegnate era il
loro dimorfismo sessuale.
Un
dimorfismo sessuale che si riscontrava nei rapporti delle dita in merito alle
dimensioni assolute.
Male right hand –
Mano destra maschile
Female left hand – Mano sinistra femminile
I siti del Paleolitico Superiore presenti nell’Europa Sud-occidentale sarebbero un valido campo archeologico per lo studio sul dimorfismo sessuale della mano umana.
Alla base dell’indagine due aspetti fondamentali:
- I siti visitabili contenenti stencil di mani;
- La disponibilità di database di riferimento di misure selezionate della mano da una vasta popolazione di individui viventi di origine europea.
Naturalmente ci sarebbe il rischio di una indagine legata al cambiamento evolutivo negli ultimi tre dozzine di millenni in una popolazione europea moderna che non sarebbe sufficientemente rappresentativa della popolazione del Paleolitico Superiore. In effetti questo indizio evidenziò alcuni cambiamenti significativi di grandezza delle dita nel tempo.
C’era un altro aspetto importante da tenere in considerazione ed era legato alla presenza di una letteratura storica sull’arte rupestre del Paleolitico superiore che attribuiva, in modo superficiale, l’espressione artistica a uomini adulti e, in alcuni casi, a degli sciamani. L’analisi di vari archeologi evidenziò la raffigurazione di molti stencil (impronte) di piccole mani. Alcuni storici si lasciarono andare a varie ipotesi sulle dimensioni più piccole delle mani come quella del Sollas che cercò di spiegarli come
Prodotti di una razza di pigmei aurignaziani.
Altri storici li attribuirono ad adolescenti e, ancora una volta, a dei maschi.
Lo storico Manning fece un attento studio sull’immagine di uno dei sei stencil di mani presenti attorno al murale dei “cavalli maculati” a Pech-Merle.

I cavalli
macchiati di Pech-Merle con stencil a mano.
Dipinti rupestri a
Pech-Merle, Francia;
cultura
Gravettiana, 25000 a.C. circa.
Fonte foto, Museo
Neanderthal [Wendel Coll.],
Tre dei sei stencil erano chiari e tutti sembravano avere caratteristiche femminili.
Russel Dale Guthrie ( nel 2005) avviò un’indagine sulle dimensioni delle mani in un ampio campione di riferimento. Un campione prelevato dalla popolazione euro-americana di Fairbanks (Alaska) sul quale provò molte combinazioni in una complessa analisi statistica.
Nella sua indagine non prese in considerazione la lunghezza dell’anulare (D4) come una delle sue misure e il protocollo che usò per misurare la lunghezza dell’indice (D2) non era simile a quello che fu utilizzato da un altro studioso, il biologo John Manning.
Guthrie aveva ragione nel sostenere come nel Paleolitico superiore i maschi erano solo una piccola minoranza tra coloro che avevano realizzato stencil di mani, circa il 10%.
Tuttavia la sua conclusione secondo la quale gli stencil erano realizzati da maschi subadulti non trovò conferme perché probabilmente rappresentavano appena il 15%.
Manning dimostrò come i rapporti delle dita differivano nelle varie popolazioni umane.
Effettuò una lunga serie di misurazioni di mani e trovò un rapporto ricorrente tra la lunghezza dell’indice e dell’anulare su uomini e donne tra Europa e Caucaso. Su questi dati concluse che tendenzialmente nelle donne l’indice e l’anulare avevano lunghezze simili, mentre negli uomini l’anulare era solitamente più lungo dell’indice.
Quindi il dimorfismo sessuale dovrebbe essere evidente anche nel piccolo numero di stencil di mani molto piccole (di adolescenti) trovati in alcune grotte del Paleolitico superiore.
Furono studiate tre stencil di mani delle grotte di Les Combarelles, Font-de-Gaume e Abri du Poisson e su altri tre reperti presenti nel museo di Pech-Merle nel 2004.
C’erano dozzine di grotte contenenti centinaia di stencil di mani ma i finanziamenti limitarono la ricerca che fu quindi applicata ad una minoranza di esse e cioè a quei siti che contenevano un numero relativamente elevato di stencil di mani.
Molte grotte avevano solo uno o due esempi di stencil di mani ed erano troppo deboli o incompleti per essere rilevati e misurati. Alcune grotte, come Chauvet e Cosquer, non furono indagate a causa dei pericoli, dei costi e anche delle rigide restrizioni sui permessi di ingresso. Altre furono eliminate perché i benefici previsti non giustificavano i costi.
Furono visitate le grotte di Pech-Merle, Bernifal, Gargas, Rocamadour, Grotte du
Bison in Francia, El Castillo e Maltravieso in Spagna.
Grotta
di Gargas (Aventignon – Pirenei – Francia)
Due stencil di
mani, ben evidenti, nella grotta di El Castillo.
Le mani n, 25 e n.
26
(Foto di Roberto
Ontanon Peredo).
Nella
foto è evidente il dimorfismo sessuale.
La
mano (n. 25 – sulla sinistra) fu realizzata da un uomo mentre la mano (n.26,
sulla destra) sarebbe stata realizzata da una donna.
La
mani sono più grandi nei maschi e ci sono anche delle differenze
consistenti nelle lunghezze delle dita.
Le
mani umane sono quindi sessualmente dimorfiche e si possono usare dati
rilevanti per argomentare dal generale allo specifico nella valutazione del
sesso probabile di un'impronta o di uno stencil di mani. Sebbene anche altre misure siano utili, John Manning
si concentrò sul rapporto tra la
lunghezza dell'indice e quella dell'anulare (D2/D4).
Male right hand –
Mano destra maschile
Female left hand –
Mano sinistra femminile
Impronte
di mani umane si trovano nell’arte parietale del Paleolitico in molti
continenti. Ci sarebbero regioni in cui queste manifestazioni artistiche
sarebbero frequenti ed in altre sembrerebbero assenti. Molti stencil di mani
sono concentrati nel Borneo o in Argentina dove nella “Cueva de los Manos”
(sito dichiarato Patrimonio dell’Umanità) è presente un’impressionante
concentrazione di stencil di mani.
(In genere le orme sono stampi (tipo stencil)
che venivano lasciati soffiando ocra o polvere di carbone di legna mediante un
osso cavo sul dorso della mano con il palmo tenuto contro la roccia. Sarebbe bastato piegare una o più dita
per simularne la mancanza).
Gli stencil di Gargas furono studiati da due
importanti ricercatori baschi, Aritz Irurtzun e Ricardo Etxepare, entrambi del
CNRS (Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica).
Conclusero i loro studi nel 2021 e comunicarono
una teoria rivoluzionaria che suscitò
clamore…
se quelle che
stiamo osservando fossero le prime rappresentazioni che i cacciatori di 27.000
anni fa utilizzavano per comunicare attraverso i gesti?
Nel 1967 le varie varietà delle sagome delle
mani furono identificate da Leroi - Gourhan
(Il numero, sottostante ad ogni impronta, indica la sua presenza
nella grotta).
I
due ricercatori del CNRS, nella loro ricerca, adoperarono una serie di
strumenti che vengono impiegati per analizzare la complessità delle lingue dei
segni.
L'obiettivo era
misurare quanto fossero articolabili questi Quello che vediamo è che
rappresentano solo gesti che possono essere articolati nell'aria, il che rende
plausibile l'idea che possa trattarsi di un linguaggio gestuale o dei segni.
I modelli che
compaiono in Gargas corrispondono al tipo di forma delle mani comunemente
riscontrabile nelle lingue dei segni. Ci sono alcuni gesti che possiamo fare
senza appoggiarci a un muro, come alzare l'indice, ma ce ne sono altri che non
possiamo fare mentre siamo in aria, come alzare l'anulare tenendo le altre dita
abbassate….Lo lasci cadere perché non hai un estensore che solleva l'anulare
indipendentemente dagli altri, ma puoi farlo contro un muro: non troviamo quel
tipo di posizione 'impossibile' nelle grotte.
Naturalmente
la tesi dei due ricercatori era
contraria alle argomentazioni di molti studiosi.
Stiamo parlando di
popolazioni di cacciatori-raccoglitori durante l'era glaciale. Amputarsi le
dita era una pessima idea a quei tempi; bisognava cacciare e trasportare
oggetti…. Inoltre, se si osservano popolazioni in cui questo avviene, si vede
che in genere iniziano con la falange distale del mignolo, ma non lo troviamo
nelle caverne. Qui troviamo tutti i tipi di schemi digitali e in tutti i tipi
di individui.
Portarono,
a favore della loro tesi, le basi dell’etnografia in merito all’esistenza di
altre lingue dei segni per la comunicazione silenziosa, alcune delle quali sono
rappresentate nella grotta con la pittura.
Nel
1967 l'etnologo francese André Leroi-Gourhan ipotizzò come
le mani fossero forse
un codice gestuale per comunicare durante la caccia senza fare rumore, come
quello utilizzato dai Boscimani del Botswana.
Sia gli aborigeni
australiani che gli indiani nordamericani hanno lingue per la comunicazione
silenziosa, e ci sono prove che rappresentino le loro lingue dei segni
nell'arte pittorica…..Se sei un cacciatore e devi cacciare un animale, è una
buona idea avere un linguaggio che la preda non possa sentire, in modo che non
scappi.
È il linguaggio dei segni degli Indiani
delle pianure che usano non solo nella caccia ma anche per la comunicazione tra
le varie tribù.
Anche gli aborigeni australiani adottano
il linguaggio dei segni, presenti in almeno 80 gruppi. Linguaggio utilizzato
nei riti, nel lutto e che gli stessi aborigeni dipinsero sui muri.
Un linguaggio dei segni anche in alcuni
ordini monastici (benedettini), per superare il voto del silenzio ed anche nel
linguaggio delle spose armene dove i novelli sposo erano costretti a tacere e a
parlare con gesti.
Quello che
sappiamo di queste mani è che sono molto specifiche di un periodo e di una
regione, del Gravetriano e della regione franco-cantabrica, e in particolar
modo dei Pirenei…. Stiamo parlando di esseri umani anatomicamente moderni, come
noi, che già parlavano lingue orali, e l'ipotesi è che potessero avere anche
lingue gestuali, che hanno catturato nell'arte che hanno realizzato nelle
caverne.
Si
tratta di una prima proto-scrittura o piuttosto della prima rappresentazione
pittorica di una lingua.

Altre mani
incomplete dalle Grotte di Gargas di Yoan Rumeau
(Wikimedia Commons)
Il
prof. Antonio Benitez Burraco, professore di Lingua Spagnola, Linguistica e Teoria
Letteraria, affermò..
si
tratterebbe del primo caso di scrittura di una lingua, che sarebbe molto più
antica di qualsiasi testo scritto, perché anche i pittogrammi, o la scrittura
cuneiforme, non hanno più di 6.000 o 7.000 anni e qui parliamo di 25.000-27.000
anni, a seconda della grotta.
Un
aspetto di grande rilevanza per fare luce sull’evoluzione della nostra lingua
ed anche dei gesti che potrebbero aver svolo un ruolo importante nelle fasi
inziali.
il fatto che
queste comunità gravettiane condividessero una serie di segni per comunicare
indicherebbe che 40.000 anni fa esistevano persone che si comportavano
esattamente come noi….. Trovare ciò che potrebbe essere un graffito, una
scrittura come quella che continuiamo a fare, sarebbe importante per l’attuale
dibattito sulla cognizione umana: nessuno potrebbe mettere in discussione la
modernità cognitiva o culturale di queste persone.
Miguel
Cortés, professore di Preistoria all’Università di Siviglia affermò che
non
credo che le mani mutilate dipinte non siano la conseguenza di amputazioni e
non accetto la teoria che si tratti di una lingua. Piuttosto, credo in qualcosa
di più semplice, come il marchio identificativo di un gruppo.
….
affinché si possa parlare di linguaggio, è necessaria una standardizzazione e
una variabilità sufficienti a soddisfare tutte le esigenze linguistiche che non
si presentano nelle mani di queste caverne…. Se si analizza il repertorio, si
scopre che è tutto molto limitato, una serie di formule ripetitive…. Inoltre,
aggiunge, stiamo parlando di un territorio molto vasto e di un periodo di tempo
molto lungo, tra i 4.000 e i 5.000 anni. La domanda sarebbe: in questi 4.000
anni, tutte le mani hanno lo stesso significato in tutti i territori in cui
compaiono?
Secondo
la professoressa di preistoria Pilar
Utrilla le dita mutilate nelle figure delle mani sarebbero legate al congelamento.
Una
tesi sostenuta dopo aver studiato nel 2005 le grotte di Gargas, Tibiran e
Fuente del Trucho …
È un'ipotesi,
considerando che avrebbero potuto attraversare i Pirenei (tra Gargas e Trucho
ci sono 110 km) e perdere le ultime falangi, come gli alpinisti dell'Himalaya.
Una
tesi che non fu accettata da alcuni studiosi, in base al fatto che
le falangi non
mancano mai nei pollici, sebbene nel Trout l'intero pollice possa essere
mancante (o nascosto). Ma il pollice è più corto degli altri e si muove molto
di più perché è l'unico opponibile, quindi è logico che sia l'ultimo a
bloccarsi.
Un altro gruppo di
mani "mutilate" a Fuente del Trucho.
Per
gentile concessione di Sergio Ripoll López.
Gesti aborigeni
identificati da Leroi Gourhan come linguaggio dei segni secondario
Leroi-Gourhan,
1967
Brea McCauley , ricercatrice presso la Simon Fraser
University, in uno studio recente a sostegno dell'ipotesi della mutilazione,
non ritiene
che
ci siano prove sufficienti a sostegno dell'idea che le immagini delle mani
siano state realizzate solo piegando le dita. Nella grotta di Gargas è stata
trovata un'impronta di mano nel fango indurito, a cui mancava metà del mignolo.
Ciò corrobora l'evidenza che almeno alcune delle persone che hanno visitato la
grotta avevano dita amputate.
Considerando
che il mignolo è il dito più frequentemente amputato nei rituali di amputazione
e che è assente in altri siti come Maltravieso, ritiene la mia ipotesi non possa essere esclusa.
Aggiunse
che
penso che potremmo
assistere all'impiego di molteplici comportamenti per creare
immagini di mani incomplete.
Un
dato è importante sulle analisi delle
mani che presentano amputazioni o meno..
Che si tratti di
un linguaggio dei segni o del risultato di un'amputazione deliberata, hanno
implicazioni importanti per la vita sociale delle persone che le hanno create.
La
dott.ssa Brea McCaulet, ricercatrice della Simon Fraser University Burnaby,
Canada
il
fatto che il pollice esteso compaia in tutte le configurazioni della mano nella
grotta di Gargas mi sembra un fattore contrario all'ipotesi linguistica….. Se
la configurazione delle mani si basasse principalmente sulla facilità con cui
si piegano in aria, credo che vedremmo modelli che coinvolgono il dito più
facile da piegare: il pollice….. In ogni caso, indipendentemente dall'ipotesi
che prendiamo in considerazione, una cosa che trovo affascinante nelle immagini
incomplete delle mani del Gravettiano è che dimostrano la prova di una pratica
culturale complessa e sistemica che risale a più di 25.000 anni fa….. Che le
immagini delle mani rappresentino una forma di linguaggio dei segni o
l'amputazione deliberata di un dito, hanno implicazioni importanti per la vita
sociale delle persone che le hanno create.
Le
mani di Gargas potrebbe rappresentare un codice di segni e, in questo caso,
decifrarli è molto difficile.
In
merito il prof. Benitez Burraco..
Non
è un problema molto diverso da quello che incontrano alcuni di coloro che
studiano la storia delle lingue antiche… Se si hanno solo poche parole,
esistono addirittura sistemi di scrittura che non sono stati decifrati, come ad
esempio la Lineare B , nonostante gli sforzi dei crittografi.
Una
possibilità è che a ogni posizione della mano fossero assegnati suoni diversi,
come ad esempio la mano tesa che rappresenta la B. Ciò renderebbe quasi
impossibile stabilire cosa stessero comunicando. Bisognerebbe vedere
esattamente quale struttura ha quella lingua, se sono rappresentate più mani e
se si tratta effettivamente di una parola o di una frase, e qual è la
grammatica…. Il fatto è che non credo che ci saranno abbastanza
rappresentazioni per raggiungere il livello di traduzione di un testo.
….. non stiamo navigando nel buio,
perché dal momento che si dà per scontato che esista un linguaggio umano,
abbiamo già una buona idea di cosa aspettarci….. Se si tratta di un testo, ci si può aspettare
che ci siano parole la cui forma potrebbe cambiare leggermente, come accade ad
esempio in latino con i casi, e che tali parole abbiano delle sillabe…. Se si
tratta di un linguaggio umano, avrà una serie di proprietà…. Non è come non
sapere che tipo di mente l'ha creato; non è come decifrare la scrittura aliena.
......................................
Grotte
de Bernifal, ( Meyrails - Dordogna, Francia).


Grotte
de Bernifal è una grotta decorata con oltre 100 incisioni e dipinti. Include
incisioni di cavalli, bisonti, mammut e stambecchi, oltre agli enigmatici
disegni tettiformi (posti sulla volta) visti in molte altre grotte dello stesso
periodo. È cambiata molto poco in più di dodicimila anni e non è stata
vandalizzata, poiché l'ingresso originale fu bloccato con una frana.

Ritratto di un
volto umano, su un rilievo naturale della parete della grotta.
Datazione: 17.000 a.C.
Mani sui muri grotta de Bernifal.
Il pannello di
mani include tre possibili stencil di mani, uno
dei quali è
sufficientemente leggibile da poter essere misurato.
Piccola testa di
cavallo incisa, profilo sinistro, appena a destra del buco nero inferiore.
Incisione di un
triangolo equilatero perfetto, con vertici arrotondati. Successivamente è stato
incrociato con linee sub-parallele.
Le pitture e le
incisioni furono scoperte nel 1902.
Secondo gli
storici risalirebbero a circa 13.000 anni fa.
Complessivamente
le raffigurazioni sono 110: 24 mammut, 7 cavalli selvatici, 1 asino, 8 bisonti
e uri, 2 cervi, 9 animali non identificati e 51 segni, tra cui un negativo di
mano e una testa umana.
.....................................................................
El
Castillo, Santander, Spagna.
È il pannello noto
come “Friso de las Manos”
(mani che sono
indicati con numeri da 1 a 30)
Si trova nella
galleria de los Discos.
Altri cinque
stencil di mani si trovano sul pannello “Bisontes Policromos”
(mani numerate da
32 a 36).
Lo stencil 37 si
trova a sinistra del pannello e lo stencil 38 nel passaggio
tra il Friso de
las Manos e una camera che presenta un bisonte scolpito
……………………………………..
Font-de-Gaume
(Les Eyzies, Dordogna, Francia).

Mappa della
caverna di Font-de-Gaume, che mostra il "Rubicon",
la Grande Galerie
des Fresques, in cui si trovano i principali dipinti policromi, e il
Diverticule final.
Foto e testo:
Osborn (1915)

Mappa dei disegni
nel Font de Gaume
1. Un bisonte, con solo la testa molto chiara.
2. I quarti posteriori di un secondo bisonte.
3. Il bisonte successivo è un bellissimo animale, i cui contorni sono dipinti
di nero con il
resto del corpo in rosso.
4. Un affascinante bisonte con una grande barba, dipinto nello stesso modo del
precedente.
5. Altri due uno di fronte all'altro, uno rosso, uno nero, continuano la serie.
6. Sono seguiti da un altro con una grande gobba, i cui piedi sono
splendidamente rappresentati.
7. Segue un altro, dipinto di nero.
8. Sopra questo bisonte, la sagoma di un altro, di cui i quarti posteriori si
perdono dietro una stalagmite, con un vitello, dipinto di nero, sul fianco.
Prendendo la galleria di destra:
9. Circa dieci metri più avanti e a un'altezza di quattro metri vediamo un bel
cavallo al galoppo, ricoperto da un sottile strato di carbonato di calcio. Di
fronte a questo,
un altro cavallo la cui coda, zampa e coscia
sono formate da due stalattiti.
10. Sulla parete opposta, la bella testa di un'antilope.
Quest stupendo
fregio fu scoperto nel 1966.
Raffigura cinque
bisonti che presentano dei fini contorni e il corpo dipinto di
nero-marrone e
rosso. Fu creato su una formazione di concrezioni calcaree gialle,
sopra una
sporgenza, per almeno quattro bisonti. Il fregio forma una
composizione piena
di vita. Sono raffigurati maschi e femmine come si nota
dalla
raffigurazione del pene. Era stato nascosto da uno spesso strato di calcite
grigia
mista a depositi
di ferro e argilla. Questo aveva reso il dipinto non solo invisibile ma
lo aveva protetto
da successivi graffiti. Il pavimento delle grotta fu abbassato di circa
un metroper
rendere il frego lontano dall’azione dei visitatori.
(Foto: Fanlac
1994).

Datazione dei
dipinti: 19.000 – 12.000 anni fa.
Nel
1901 le pitture parietali della grotta furono rese pubbliche e nel 1966 fu
portato alla luce un fregio con 5 bisonti che era ancora ricoperto da uno
strato di calcare. Oltre a negativi di mani, simboli, segni a X , quadrati e
immagini di vulve, si possono ammirare anche una raffigurazione umana e molte
rappresentazioni di animali: bisonti, cavalli selvatici, mammut, cervi, renne,
uri, capre, rinoceronti, leoni un orso e un lupo. La grotta è aperta al
pubblico ma l’entrata è limitata a 12 persone.
Sono
presenti quattro stencil di mani, due neri e due rossi, ma solo uno è
sufficientemente distinto
per
essere fotografato e misurato.
Renne, grotta Font de Gaume, 210 cm x 130 cm,
Magdaleniano.
Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil, Département
Dordogne
Foto and text: Capitan et Breuil 1903
Due renne, tra le
più belle rappresentazioni di questo animale preistorico, con il dorso sinistro
ben inciso da un contorno nero e la testa di un marrone intenso, protesa in
avanti verso una seconda renna inginocchiata. Le parti inferiori sono
danneggiate dalla perdita di pigmento. La renna sinistra ha la linea dorsale
fortemente incisa, il contorno è scuro.
Si piega verso una
seconda renna femmina, rossa.
Il disegno di un
grande bovide.
La figura fu ricavata
si un’ampia superficie rocciosa sfruttando le sue sporgenze che
Riproducevano, in
modo approssimato, i contorni dell’animale.
Successivamente la
forma del corpo fu ottenuta con una forte raschiatura della
parete per essere
poi olorata con un pigmento ocra rossa ben sfumato.
La parte anteriore
del corpo dell'animale è più scura e la testa è disegnata in modo
approssimativo.
La figura misura 270 cm di lunghezza per 130 cm di altezza. Sul corpo si
possono osservare due grandi segni tettonici dipinti in ocra rossa quasi pura,
molto simili a disegni di capanne o tende.
(Foto e testo:
Capitan e Breuil 1903)
Segno Tettiforme
sulla figura di un bisonte.
Raffigurazione di
un lupo
(Stile IV – 14.000
anni fa)
La
particolarità dell’arte rupestre di Font
de Gaume è che gli animali sono scolpiti e poi dipinti all'interno delle
incisioni. Un aspetto straordinario, perché se la pittura scompare, la maggior
parte delle incisioni rimane ancora visibile. Anni fa, in occasioni di lavori
per una ristrutturazione del pavimento della grotta per renderla più agevole
per il percorso turistico, furono studiate le pareti e si scoprirono nuovi
dipinti. Ben 180 figure vennero alla
luce e la
maggior parte di
esse si trova dietro uno strato di calcite ed è visibile solo con una luce UV o
IR. Tra le figure quella di un piccolo
mammut , grande più o meno quanto una mano, che prima non era stato notato. Fu
anche scoperto la figura del lupo di cui è rimasta solo la parte scolpita.
Un bisonte e un
cervo al centro sono sovrapposti e rivolti in direzioni opposte per un effetto
tridimensionale. Un altro cervo si trova a sinistra, disegnato con linee decise
e magistrali, mentre parte di un bisonte è visibile a destra. Il cervo centrale
ha il muso di profilo,
ma le corna sono
quasi frontali.
Foto e testo: Desdemaines-Hugon (2010)
Foto © N. Aujoulat-CNP-MCC.
Cavallo nero disegnato utilizzando le forme naturali della roccia.
L'artista ha incorporato le forme naturali del rilievo rupestre nell'opera.
Questo cavallo è uno dei migliori esempi che si possano dare nell'arte
paleolitica dell'uso di forme preesistenti. L'arto posteriore e la coda sono
suggeriti da una concrezione, la curva del ventre da un drappeggio di calcite.
L'artista preistorico ha evidenziato i contorni suggeriti dal rilievo naturale
con spesse linee nere. Le concrezioni si sono sviluppate dopo il completamento
del dipinto, ricoprendo il dipinto preistorico con un sottile strato di calcite
che ne ha garantito la protezione.
Vulva realizzata
con ocra rossa e concrezioni naturali del muro.
A Font de Gaume c'è un segno
geometrico caratteristico, il tetragramma...
sembra una pietra angolare, o un
incontro o un angolo:
Ne ho visti un
paio rossi. È difficile non leggerli come segni di clan/gang, e c'è un bel po'
di erudizione sulle caverne come centri di clan, club house che raccontano le
gloriose vittorie, per esempio, del popolo delle renne sul popolo dei bisonti.
Forse.
…………………………..
Gargas,
Hautes-Pyrénées, Francia.



Le grotte di Gargas sono le uniche
grotte decorate del dipartimento degli Alti Pirenei aperte al pubblico.
Il
complesso è costituito da due grotte distinti. La grotta inferiore (Gargas I) è
ampia e bassa con una volta quasi orizzontale. Il suo percorso termina in un
pozzo sotterraneo che apre la profonda rete di gallerie.
La
grotta superiore (Gargas II) è stretta, le sue pareti sono ricoperte di calcite
bianca. Rimase a lungo separata dalla Gargas I a causa dell’ostruzione
sedimentaria del loro collegamento. Le due grotte furono infatti collegate tra loro solo alla fine del XIX secolo grazie ad un piccolo tunnel artificiale.
Furono
dichiarate monumenti storici nel 1910. Erano frequentante dall’uomo Cro-Magnon,
cacciatori, raccoglitori del periodo
Gravettiano (29.000 – 22.000 anni fa).
Lasciarono
numerose tracce della loro presenza sul pavimento dell’atrio di Gargas I (focolari, utensili, resti della
caccia, ornamenti, pigmenti, ecc.).
Ma
la testimonianza più importante è rappresentata dalla eccezionale diversità e
ricchezza delle raffigurazioni lasciate sulle pareti.
Si
posso notare incisioni, dipinti di animali, segni geometrici, simboli sessuali
e soprattutto mani negative.
È
chiamato il “Santuario delle mani” perché vi sono gli stencil di mani preistoriche. Un numero
impressionante con ben 200 dipinti a mano negativi di uomini, donne e bambini.
Questi stencil venivano realizzati tamponando o
proiettando pigmenti neri, rossi, ocra o bianchi attorno alle mani premute
contro il muro. Sebbene oggi non si conosca il motivo di questa pratica, nel
corso del XX secolo furono proposte
diverse ipotesi: linguaggio, firma o pratiche simboliche legate ai
rituali sciamanici. Il mistero rimase anche nella drammaticità di alcune raffigurazioni..
Prima
di svelare il mistero delle mani sarebbe opportuno spiegare il modo di
esecuzione di queste espressioni d’arte rupestre. Furono effettuati diversi
studi e si giunse alla conclusione che, nella maggior parte dei casi, veniva spruzzata
una vernice ad acqua rossa o nera, che ha produceva un alone uniforme di
goccioline colorate di varie dimensioni attorno all'impronta della mano. Poiché
il pigmento rosso (ematite o ocra) è completamente solubile in acqua e il nero
(biossido di manganese) non lo è, la roccia assorbe più facilmente la
colorazione rossa. Di conseguenza, le mani rosse sono solitamente più sfocate e
meno chiare di quelle nere. Non è certo come sia stato applicato esattamente il
colore. Si suppone che l'artista abbia preso una grande boccata di vernice e l'abbia
soffiata tra le labbra increspate per produrre una sottile nebbia di colore.
Probabilmente al posto delle labbra venivano usate delle canne forate e delle
corna appositamente forate.
Il
motivo di queste raffigurazioni? Un divertimento ozioso o qualcosa di più
importante come un rituale religioso, magico o lasciare un segno di
appartenenza al territorio circostante
(indicare il numero del clan)?
La maggior parte delle mani raffigurate nella grotta
di Gargas sono incomplete cioè mancano di una o più falangi (cioè mancano una
più dita).
Questo aspetto stimolò un accesso dibattito che portò
gli storici a diverse interpretazioni scientifiche: mutilazioni rituali?
Patologie? Dita piegate?
Gargas
ha la più sorprendente collezione di queste impronte di mani malconce. Le
pareti inclinate sono coperte da nuvole di mani rosse e nere, che iniziano
vicino al pavimento e aumentano, alone dopo alone, quasi fuori dalla portata
della vista. A differenza di Maltravieso (altrra grotta con mani deformi), a
Gargas non mancano pollici, ma il catalogo delle articolazioni delle dita
incomplete è lungo e vario. I censimenti delle mani evidenziarono delle cifre
contrastanti perché alcune erano sbiadite e difficili da vedere. Tuttavia, sono
oltre 200 e almeno tre o quattro volte più mani sinistre rispetto alle destre.
Tra queste ci sono diverse impronte intatte appartenenti a mani non danneggiate
di bambini di pochi mesi. Forse il fatto più notevole sulle mani di Gargas è
che oltre il 50% mostra la perdita totale delle articolazioni superiori di
tutte e quattro le dita. Ammesso possibile che le mani siano state mutilate
intenzionalmente a causa di qualche strano rito o superstizione, il fatto che
la pratica abbia ridotto la mano quasi a un moncherino inutile è piuttosto
sorprendente.
Foto
da: Agenda de la Préhistoire 2002 – 2003
Una domanda sarebbe lecita dato che si tratta di raffigurazioni impresse nella roccia: le mutilazioni sono autentiche o un’illusione?
Alcuni storici affermarono come gli artisti nel disegnare le mani ripiegassero le articolazioni di mani sane e intatte soffiando il colore attorno ai contorni delle mani distorte.
Furono eseguite degli studi più approfonditi e si stabilì che:
- le distribuzioni molto uniformi di colore spruzzato non sembravano includere zone in cui le impronte delle mani avrebbero potuto essere ritoccate o alterate dopo che era stato tracciato il contorno iniziale;
- era fisicamente impossibile piegare solo l'articolazione del dito superiore, che manca in molte mani;
- era difficile creare immagini nitide come alcune di quelle di Gargas usando dita arricciate;
- alcuni dei contorni mostravano estremità stranamente appiattite o appuntite delle dita accorciate, e queste sembravano più mutilazioni che articolazioni nascoste.
Le prove di mani mutilate, nella Francia dell’era glaciale, vennero alla luce grazie ad un attento studio del Dott. Sahly Ali.
Il dott. Sahly scoprì un’impronta di una mano con un mignolo mancante nell'argilla morbida di una piccola camera circolare non lontano dai pannelli principali delle mani a Gargas. Anche le pareti e il soffitto della stessa camera erano coperti da file di buchi dove le dita erano state ovviamente spinte nell'argilla.
Sahly fece dei calchi dell'interno di alcuni di questi buchi e rivelò le forme non di punte delle dita arrotondate ma di moncherini sfregiati, con dettagli visibili come le labbra di pelle dove la ferita era guarita insieme.
Successivamente, diverse impronte di mani mutilate furono notate nell'argilla a Lascaux, diverse centinaia di chilometri a nord dei Pirenei, nonostante il fatto che non fossero state viste impronte dipinte di tali mani sulle pareti della grotta.
Nelle comunità preistoriche erano quindi presenti delle persone con mani gravemente danneggiate.
La domanda sarebbe sempre la stessa: lesioni legati a dei riti oppure l’espressione di una patologia?
L’aspetto sconcertante sarebbe legato al fatto che queste mani con mutilazioni sono concentrate in massima parte nelle grotte di Gargas.
Una pratica cultuale in un singolo sito e a un gruppo di cacciatori?
Altro aspetto importante sarebbe quello che molte mani furono disegnate più volte e mostrarono sempre la stessa deformazione.
Una malattia ereditaria che quindi colpiva solo una piccola parte della popolazione preistorica?
Una ipotesi legata all’osservazione degli strani contorni di molti monconi che indicavano aspetti di dita terribilmente deformi.
Sono conosciute un numero molto alto di malattie, per fortuna rare, che causano delle malformazioni o la caduta delle dita.
Dalle osservazioni delle mani dipinte sembra che nessuna delle malattie risponda alle condizioni patologiche delle mani dipinte:
- La malattia di Ainhum causa la perdita del mignolo attraverso la degenerazione dell'osso, sembra proporsi nella raffigurazione di Maltravieso, tranne per il fatto che la patologia lascia un moncone a metà delle articolazioni e non tra di esse, come sembra mostrare la maggior parte dei contorni dipinti;
- Una condizione ereditaria simile, la malattia di Raynaud, colpisce principalmente le giovani donne sui vent'anni o prima, può essere favorita dal freddo e dall'umidità, ed è una spiegazione promettente per le mani di Gargas. Questa malattia colpisce tutte le dita e le fa avvizzire attraverso la cancrena, mentre il pollice non ne è affetto a causa della sua migliore circolazione.
Ancora una volta, tuttavia, gli effetti non colpiscono nettamente tra ogni articolazione delle dita, quindi se una di queste due infezioni è responsabile è necessario immaginare che le vittime preistoriche abbiano deliberatamente tagliato la parte sprecata, forse per scoraggiare la diffusione della cancrena.
Altre patologie possibili: il congelamento, la lebbra ed anche una grave artrite.
L’enigma delle mani è ancora di difficile soluzione.
E se fosse un tipo di comunicazione, una primordiale
forma di informazione basata su segni?
Le raffigurazioni con dita mancanti si ritrovano in
pannelli presenti in Australia, Americhe, Indonesia e, come abbiamo visto,
anche in Europa.
Un aspetto che
dovrebbe fare riflettere sarebbe determinato dall’evidenza di come questi
pannelli a Gargas siano inseriti in
alternanza con dipinti ed incisioni di cavalli, bisonti, mammut, ecc.
Analisi degli insiemi
Mappa della grotta di Gargas, la posizione di diversi gruppi di mani e segni
negli insiemi I (sinistra), II (destra) e III (più avanti)
I gruppi di mani
costituiscono tre insiemi topograficamente ben definiti. L'insieme I occupa una
lunghezza di circa 35 metri, la parete sinistra della prima stanza. L'insieme
II occupa parte della parete destra della stanza. L'insieme III si trova nella
seconda stanza e comprende una mano isolata sotto una sporgenza sulla parete
sinistra (numero 27) e il lato destro, 38 mani disposte attorno a un pilastro o
all'interno di una piccola camera scavata nel pilastro.
Infine, sotto un
soffitto molto basso in direzione delle 'oubliettes',
si possono
distinguere due mani bianche (numero 28).
Le
mani occupano quindi aree ben definite: i due lati della stanza dall'ingresso e
il pilastro della seconda stanza, in cui è scavata una piccola camera con
pareti arrotondate. Singoli individui sono posti su un soffitto, uno (numero
27) di fronte al pilastro e all'ingresso di un passaggio alto, gli altri due
alla fine della serie, nell'area che segue il pilastro.
L'organizzazione generale in gruppi separati, con figure all'ingresso o alla
fine dei passaggi, non è dissimile da quella della maggior parte delle grotte
con figure di animali.
Il
CNRS, Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica di Bayonne (Francia), fece
delle ricerche con i prof. Aritz Irurtzun e Ricardo Etxepare che furono
pubblicati nella rivista “ “Philosophical Transactions of the Royal Society of London”.
I ricercatori affermarono come le “mani mutilate”
fossero in realtà legate ad una lingua dei segni.
Uno studio difficile
perché i ricercatori presero in considerazione la fisiologia della mano
e dell’avambraccio e, su questa base, esaminarono ogni disegno.
Le conclusioni furono sorprendenti.
Se i segni fossero
stati casuali e senza significato, ci si sarebbe aspettati di trovare dipinte
32 differenti combinazioni delle dita. Invece, ce ne sono solo 10 e si tratta
di quelle che corrispondono a posizioni delle dita facilmente realizzabili.
Questo suggerisce che corrispondano a particolari gesti delle mani.
“In altre parole non c’è traccia di configurazioni di mani che avrebbero
richiesto l'uso della parete come supporto per le dita. Invece i motivi
rintracciabili nelle grotte corrispondono al tipo di gesti che si trovano
normalmente nella ‘fonologia’ della lingua dei segni e, quindi, pensiamo che
corrispondano ai segni di una lingua ‘alternativa’ o ‘non primaria’, come
quelle ancora utilizzate da alcuni gruppi umani in popolazioni di
cacciatori-raccoglitori, in Australia, per esempio. In questi gruppi il
linguaggio dei segni viene utilizzato per la caccia e per una ricca serie di
scopi rituali, tra cui il lutto e la narrazione di storie tradizionali”.
Questi schemi sarebbero quindi come dei codici
nascosti ovvero codici del paleolitico
risalenti, come nel caso della grotta di Gargas, a ben 65.000 – 44.000 anni fa.
Non si potrebbe quindi escludere che tra gli esecutori di queste pitture
rupestri vi fosse anche il Neanderthal.
L’argomento più difficile sarebbe quello di svelare il
significato di questi segni.
Erano comunità di cacciatori, raccoglitori e quindi i
segni potrebbero rappresentare un’identità di gruppo, riconoscimento di beni
presenti nella grotta o ancora modalità di caccia dato che si trovano
alternati a pannelli ed incisioni di animali che erano cacciati, o ancora ad
espressioni di vita quotidiana.
Molte di queste mani appartenevano a bambini. Era un
modo per insegnare loro qualcosa o un segno da parte dei bambini di aver
appreso qualcosa?
La maggiore delle mani appartenevano a donne ed adulti
e questo grazie alle osservazioni sull’indice e l’anulare che nelle donne
tendono ad essere più lunghi degli uomini.
Secondo il prof. Hippolito Collado Giraldo,
dell’Università di Coimbra (Portogallo) non erano mani con dita mutilate…
Quelle mancanti sono solo dita nascoste sotto il palmo …..
Si tratta quasi certamente di un sistema di comunicazione.
La ricerca scientifica è qualcosa di affascinante perché
proietta in un mondo ricco di aspetti che devono essere studiati, analizzati e
confrontati. Ogni teoria espressa deve essere rispettata e discussa nel massimo
rispetto delle parti. Il confronto deve essere obiettivo e penso che la giusta
ed obiettiva comunicazione sia alla base della ricerca.
Per
molti storici gli uomini preistorici usavano lasciare le loro impronte sulle
pareti della grotte dopo i rituali…
Le impronte di
dita mutilate trovate nella grotta di Gargas sarebbero la prova che l'Homo
sapiens praticava riti sacrificali oltre 25 mila anni fa.
I
ricercatori Mark Collard e Brea McCauley, della Simon Fraser University (SFU),
esaminarono circa 300 impronte di mani provenienti dai siti preistorici
spagnoli e francesi.
Giunsero
alla conclusione di come
Quelle orme
mutilate sono la conseguenza di amputazioni rituali.
In alcuni casi
manca una delle tre falangi del dito mentre in altri più
falangi anche di
diverse dita.
È difficile
pensare che così tanti individui avessero perso accidentalmente
delle dita nelle
loro attività quotidiane.
Secondo
i ricercatori l’amputazione rituale era una pratica molto diffusa nella nostra
specie.
Riguardava
oltre un centinaio di culture sin dall’antichità.
Le
immagini sulle pareti delle rocce, in particolare del Gravettiano (29.000 –
20.000 anni fa) erano la prova di riti sacrificali per ottenere l’aiuto da una
entità o un potere superiore, in perfetta linea con l’animismo che
caratterizzava le prime fasi religiose.
In
risposta alle possibili critiche a questa conclusione, in particolare da coloro
che sostenevano le cause incidentali della perdita del medio e dell'anulare
durante la tarda era glaciale, rispetto a quella del mignolo che viene più
comunemente tagliato ritualmente nelle culture storiche, i ricercatori della
FSU misero in atto ulteriori osservazioni.
Furono censite 231 impronte, sempre nella grotta di Gargas, realizzate da 45 – 50 individui. Di queste impronte, 114 mancavano di una o più falangi delle dita.
Nella grotta di Cosquer, sempre in Francia, 28 su 49 mancano di alcune falangi e a Maltravieso, nella Spagna occidentale, era lo stesso per 61 delle 71 figure di mani.
Molto prima degli studi di Collard e MacCauly, nel libro La creazione del Sacro (Adelphi 2003), Walter Burket aveva affrontato le origini " biologiche" dei sacrifici umani. Il taglio di dita e altre usanze sacrificali avrebbero delle analogie in natura che l'uomo ha elaborato nella sua visione simbolica e rituale. Per esempio, quando un predatore in natura attacca un gruppo di erbivori, si assiste al "sacrificio" di un suo componente che libera gli altri dal pericolo. Per l’autore appare significativa al riguardo l'autotomia, il processo per cui alcuni animali riescono a mutilare parte del proprio corpo. Il caso più noto è la perdita volontaria della coda della lucertola, quando sacrifica una parte di sé per salvarsi se sta venendo catturata. L'uomo del Gravettiano, viveva in una "selva di pericoli". Occorreva un gesto magico-religioso per restare vivi.
La gotta di Gargas subì un forte sfruttamento turistico a partire dal XIX secolo. I resti delle pitture sono ben conservati ed hanno attraversato un periodo lunghissimo, 300 secoli, per giungere sino ad oggi.
Pitture intatte grazie al particolare contesto ambientale che presenta per periodi molto lunghi una notevole stabilità della circolazione dell'aria e dell'acqua nella cavità.
La conservazione di un patrimonio così eccezionale per le generazioni future viene ora effettuata tenendo conto degli impatti fisico-chimici delle visite turistiche alla grotta.
Oltre alla completa riprogettazione del percorso visitatori e del sistema di illuminazione, fu messo in atto un sistema di monitoraggio in tempo reale dei livelli di CO2, della temperatura e dell'umidità!
Nei primi anni Novanta divenne chiaro che lo stato di salute della grotta stava peggiorando: si notò la presenza di gelatina nera e appiccicosa sui soffitti, chiazze di alghe verdi sulla calcite e persino il deterioramento delle concrezioni stalagmitiche. Un'importante azione fu realizzata dal Servizio archeologico regionale del Midi-Pirenei, in stretta collaborazione con il Laboratorio sotterraneo di Moulis, volta a realizzare un monitoraggio ambientale il più dettagliato e preciso possibile:
- temperatura dell'aria e delle rocce;
- pressione atmosferica;
- umidità e tenore di anidride carbonica nell'aria;
- tasso di infiltrazione dell'acqua;
- installazione di sensori climatologici.
Registrazioni regolari mostrarono come il clima interno della grotta risultava permanentemente destabilizzato durante i mesi di luglio e agosto, corrispondenti all'alta stagione turistica. Anche il sistema di illuminazione allora in uso fu messo in discussione. Questi studi ambientali permisero di determinare le condizioni di stabilità climatica della grotta e di orientare un nuovo progetto di valorizzazione
Grotte
du Bison (Arcy-sur-Cure,
Borgogna, Francia).
Sulla collina, la
Grotta della Renna sulla destra e la Grotta del Bisonte sulla sinistra,
sotto la grata
rossa.
La mano
raffigurata non è facilmente leggibile.
Les
Combarelles (Les Eyzies de Tayac - Dordogna, Francia).


Nella
grotta sono presenti oltre 600 immagini incise nella roccia. In molti disegni
la parte colorata è scomparsa e sono rimaste le belle incisioni.
La
grotta fu scoperta il 12 settembre 1901 da Denis Peyrony,
dall'abate Breuil e da Louis Capitan. Occorre tuttavia notare
che il portico delle grotte e la galleria di destra (Combarelles II) erano già
stati scavati da Emile Rivière tra il 1891 e il 1894.
Durante le prime ricerche, l'abate Breuil contò 291 incisioni suddivise in 105
gruppi. L'abate Breuil descrisse addirittura le Combarelles come
un enorme petardo nel mondo preistorico.
La
grotta di Combarelles fu dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel
1979.
La
grotta deve la sua origine allo scorrere di un fiume sotterraneo.
Presenta
una lunghezza di circa 300 metri e una larghezza media di un metro.
Fu
l’uomo di Cro-Magnon ad incidere le pareti
di argilla e sabbia. Le tracce di colore indicavano come gli antichi artisti
abbiano dipinto le figure incise. A causa delle infiltrazioni d’acqua i colori
sono in gran parte scomparsi e sono rimaste le figure incise. Blocco inciso
della grotta di Combarelles.
Uro.
Lame e secchio
rinvenuti negli scavi di Combarelles.
Magdaleniano
superiore.
Museo nazionale
della preistoria Eyzies.
Foto Kroko per
Hominides.com
Nel 1973 furono effettuate delle datazioni al carbonio 14 dei resti ossei rinvenuti sotto il portico. Le analisi permisero di stabilire le date di occupazione della grotta da parte dell’uomo di Cro-Magnon:
- 13.680 anni BP per la parte più antica;
- 11.380 anni BP per quella più recente.
Le immagini sono sviluppate negli ultimi 160 metri della grotta. Figure molto vicine tra loro e a volte intrecciate.
Pianta delle
incisioni nella grotta Rilievo Louis Capitan 1924
Nella
grotta di Combarelles sarebbero presenti tra le 600 ed 800 figure parietali.
Figure che vanno dal singolo animale fino ai segni tettonici il cui significato
è in parte ancora oggi sconosciuto malgrado le diverse interpretazioni degli
studiosi.
La
difficoltà nel conteggio delle figure
sarebbe legata alla presenza di incisioni miste e alla copertura di
calcite presente in molte rappresentazioni.
Calcite
che presenta non solo degli svantaggi ma
anche un contributo positivo alla conservazione delle immagini incise.
Dai
rilievi le immagini più frequenti sono quelli dei cavalli. Da soli o in
branchi, le figure equine sarebbero più di un centinaio.
Grotta di
Combarelles - Cavallo inciso
Heinrich Wendel (©
The Wendel Collection, Neanderthal Museum)
Un
animale che è spesso rappresentato nei disegni è la renna. La figura della
renna presente nelle grotta è ritenuta di grande finezza per i suoi
atteggiamenti naturalistici che gli antichi disegnatori hanno saputo esprimere
con grande arte.
Di
grande valore artistico è la raffigurazione della renna che beve.. addirittura
allunga il collo verso una fessura della grotta da cui in origine doveva
sgorgare dell’acqua.
Un
espressione artistica sorprendente di ben 13.000 anni fa da parte di un artista
Cro-Magnon che utilizzò la parete della grotta per dare alla sua espressione
artistica un grande realismo.
Grotta di
Combarelles – Les Eyzies de tayac
Renna che beve –
incisione
Altre
immagini ricorrenti nella grotta Combarelles sono i felini.
Incredibile
è l’immagine della leonessa… un’immagine molto realistica.
Disegnata
di profilo, sembra immobile nell’atteggiamento tipico di balzare sopra la
preda. Per rappresentare l’occhio, l’artista ha utilizzato un ciottolo che era
conficcato nella parete. Probabilmente partì da questo ciottolo naturale per
disegnare tutta la figura.
Grotta di Combarelles
Leone inciso
Nelle
raffigurazioni sono presenti altri animali:
Grotta di
Combarelles
Orso – inciso
Carl
Julius Salomonsen (1919)
Grotta di
Combarelles
Mammut – inciso
Carl
Julius Salomonsen (1919)
Grotta di
Combarelles
Rinoceronte –
inciso.
Rilievo di Norbert
Aujoulat
Grotta di
Combarelles
Bisonte – inciso.
Rilievo di Claude
Barrière
Ci
sono delle rappresentazioni altamente stilizzate del corpo femminile. Un tema
molto diffuso in tutta Europa nella facies
del tardo Magdaleniano.
Grotta di
Combarelles
Figura femminile –
Incisione
Grotta di
Combarelles
Figura femminile –
Incisione.
Rilievo Claude
Barriere.
Grotte des
Combarelles
Vulve e figure
femminili – Incisione
Nella
parte terminale della grotta è presente uno stencil di mano leggibile.
............................................
Maltravieso (Cáceres, Spagna).
La grotta di Maltravieso si trova nella città di Càceres ed è integrata nel tessuto urbano. Fu occupata dall’uomo in diversi periodi della Preistoria.
Nel 1951 durante l’estrazione delle pietra calcarea per ottenere della calce, lungo la strada “Maltravieso”, scoppiò un trivella. Lo scoppio liberò l’ingresso di una cavità che costituiva una delle stanze della grotta. Gli operai, spinti dalla curiosità, entrarono nella cavità e trovarono dei resti umani e della ceramica.
Successivamente vennero rinvenuti diversi carni di Homo sapiens, uno dei quali presentava una trapanazione. La scoperta suscitò un grande interesse da parte delle autorità locali. Carlos Callejo Serrano, divenne cronista e studioso della grotta sin dalla sua scoperta.
Al suo interno si trovavano tre scheletri e frammenti di ceramica, tutti in disordine. I resti umani erano sotto grandi pietre. Sembra che ci siano altre grotte. All'esterno si trovano abbondanti resti di ceramica. Persone competenti hanno attribuito ai resti una classificazione preistorica,
Purtroppo, malgrado gli importanti rinvenimenti, i lavori della cava per l’estrazione di materiale continuarono e furono letteralmente cancellati ben 30 metri della sala e quindi della grotta.
I lavori furono successivamente furono interrotti e la grotta rimase abbandonata priva di qualsiasi protezione. Diventò teatro di atti di vandalismo e di varie attività che finirono con lo sconvolgere il sito archeologico causando gravissime alterazioni.
Una parte dei reperti rinvenuti nella grotta scomparvero senza lasciare nessuna traccia mentre altri si trovano nel Museo di Càceres. Tra questi reperti il cranio che presentava una trapanazione nel parietale destro. Il cranio mostrava segni di rigenerazione ossea, un aspetto per affermare come l’uomo sopravvisse.
Carlos Callejo Serrano nel 1956 mise in risalto, con diversi comunicati, l’esistenza nella grotta di pitture rupestri nelle pareti che datò al Paleolitico Superiore.
Si trattava di nove pannelli con dipinti che raffiguravano tre motivi artistici principali:
- Mani negative;
- Serie di punti;
- Serie di triangoli.
Il rinvenimento della grotta suscitò l’interesse della comunità scientifica e nel 1959 furono rinvenuti altri resti umani e nuove pitture rupestri. Si trattava delle prime pitture rupestri rinvenute nel Sud-Ovest della penisola iberica, lontano dalla tradizione area di rinvenimento franco-cantabrica.
Nel 1963 la grotta fu dichiarata Monumento Storico Artistico in base alla legge repubblicana per la Protezione del Tesoro Artistico Nazionale (in vigore dal 1933). In realtà i lavori di sfruttamento e costruzione continuarono attorno alla grotta e ciò provocò vari crolli al suo interno.
In
merito ci fu la nota di Carlos Callejo…
La
grotta di Maltravieso, gravemente danneggiata . Durante
una recente visita alla grotta di Maltravieso, monumento nazionale e sito
paleolitico di prima classe in Spagna, sono stati riscontrati danni
considerevoli nella prima metà del recinto e il crollo completo delle volte
nella seconda. Di conseguenza, la grotta è diventata completamente
inaccessibile alle visite, il che sarebbe estremamente pericoloso, e sei dei
ventiquattro pannelli di pitture rupestri sono andati perduti o sono stati resi
inaccessibili (non è possibile valutare l'entità dei danni).
Questa
delegazione per gli scavi ha più volte lanciato l'allarme sul pericolo di perforazioni,
scavi e altri lavori eseguiti con esplosivo nelle vicinanze della grotta, data
l'insicurezza degli strati calcarei, con la loro forte pendenza e la scarsa
aderenza, che ne costituiscono la struttura.
Il
Dipartimento di Belle Arti è stato informato del danno, ed è necessario
riaprire e puntellare efficacemente la Grotta se non si vuole che questa antica
vestigia degli abitanti più remoti della regione vada completamente perduta.
Questo resto, la cui importanza è stata riconosciuta dai più eminenti studiosi
stranieri e spagnoli, e che Cáceres dovrebbe essere orgogliosa di preservare,
deve essere preservato.
Carlos
Callejo Serrano,
Delegato
Provinciale degli Scavi e Segretario della Commissione dei Monumenti.
Il
giornale dell'Estremadura. 21 giugno 1968
Una recente ricerca condotta dal Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (Leipzig – Germania) e dall'Università di Southampton, con la collaborazione di archeologi spagnoli, utilizzò la datazione uranio-torio per datare i dipinti. La ricerca fu pubblicata sulla rivista americana “Science” e rilevò come una delle mani dipinte nella grotta risalirebbe a circa 66.700 anni fa.
I suoi autori erano quindi dei Neanderthal. Secondo queste ricerche si distinsero tre periodi di utilizzo della cavità:
- Paleolitico Inferiore;
- Paleolitico Superiore;
- Età del Bronzo.
Nello sviluppo del progetto di ricerca “Primi Coloni dell’Estremadura” si raggiunsero nuove conoscenze sulla grotta. Furono rinvenuti numerosi reperti d’industria litica di tipo acheuleano e resti ossei della fauna pleistocenica (daini, orsi, lince, cavalli, rinoceronti, uri, ecc.).
Tutti reperti che furono datati tra 350.000 e 120.000 anni fa.
Le pitture rupestri furono nuovamente riviste e studiate.
Pitture rupestri molto importanti nella storia della Spagna perché tra le poche pitture presenti nell’entroterra della penisola iberica e le uniche in Estremadura.
Pitture rupestri di vario tipo:
- Punteggiature;
- Elementi lineari;
- Zoomorfi ( cervidi, capridi e un bovide);
- Mani (con e senza mignolo).
Il motivo ricorrente era quello delle mani negative, circa settanta mani.
Queste impronte di mani, siano esse positive, negative o miste, risultano ancora oggi difficili da interpretare per gli archeologi.
Gli archeologi misero in risalto, anche in questo sito, la differenza nella realizzazione di mani in “positivo” o in “negativo”.
Nel primo caso si applicava direttamente sulla superficie della roccia la mano intrisa di colore. Nel secondo caso si tracciava sulla parete il profilo della mano seguendone il contorno.
Spesso queste impronte venivano realizzate con la tecnica del soffio e dello spruzzo.
Grazie a questo metodo si creavano i contorni della mano soffiandovi sopra il pigmento desiderato attraverso una cannula. Il palmo e le dita potevano essere lasciati come impronte negative nel campo colorato oppure essere riempiti con una tinta uniforme, creando in tal modo una mano in positivo.


Sono trenta gruppi di motivi che rappresentano
cinquantatré mani umane in negativo, circondate da pigmenti rossastri. Lungo i
suoi 100 m. di lunghezza della grotta, si possono vedere le mani dipinte
accanto a puntini o strisce nere e altri motivi incisi a bulino sulla parete.
Nella
grotta furono quindi rinvenuti preziosi reperti di occupazione umana come
ceramiche, utensili, animali ed ossa umane.
Questi reperti furono datati ad un periodo successivo rispetto ai
dipinti, in particolare al Neolitico e all’età del Rame. Le pitture di Maltravieso furono attribuite
ad un’età compresa tra 15.000 e 25.000 anni fa. Lo studio recente per la
datazione, effettuato con l’uranio-torio, dimostrò come alcuni pannelli
pittorici, quelli con le impronte delle mani, furono realizzati intorno al
66.700 a.C. e quindi realizzati dai Neanderthal.
Gli
scavi archeologici effettuati dal Team primi Coloni dell’Estremadura rilevò
tracce di presenza umane risalenti a circa 350.000 anni a.C.
La grotta di Maltravieso fa parte del complesso
carsico di Cáceres, insieme alle grotte di El Conejar e di Santa Ana, dove la
presenza di ominidi fu documentata fin dal Pleistocene, risalente all'800.000 a.C.,
attraverso il rinvenimento di utensili
in pietra e resti di fauna.
Come in tante altre grotte fu avviata
una política di gestione per preservare le importante pitture mediante anche il
controllo delle visite.
Il Consiglio Comunale di Caceres e
l’Assessorato alla Cultura della Giunta regionale dell'Estremadura decisero di
promuovere la conoscenza generale del ricco patrimonio del luogo presso il
pubblico attraverso il Centro di Interpretazione, inaugurato nel 1999 e
ristrutturato nel 2019.
Vista panoramica
del Parco Maltravieso, con l'ingresso della grotta sullo sfondo e al centro
dell'immagine e il rispettivo Centro di Interpretazione sulla sinistra,
costruito nel 1999.
Presso il Centro, i visitatori possono
conoscere la grotta e le sue manifestazioni artistiche, la sua storia e le sue
vicissitudini, i suoi scopritori e ricercatori, e persino immergersi
nell'atmosfera oscura di una cavità come quella abitata dalle comunità del
Paleolitico .
Grotta Maltravieso
Pitture rupestri
dei Neanderthal.
Al centro tre
impronte di mani, una delle quali risale a 66.000 anni fa
Fonte. H. Collado



Stencil di mani
GS3b nella grotta di Maltravieso (età minima 66,7 ka – migliaia d’anni)).
(A sinistra) Foto
originale. L'inserto mostra dove è stato campionato il carbonato sovrastante
(per MAL 13).
(A destra) Stessa
immagine dopo l'applicazione del software DStretch (25) (correlazione LRE 15%,
contrasto automatico) per migliorare il contrasto cromatico.

Mani su punti
dipinti nella grotta di Maltravieso
Datazione: 60.000
anni fa
Foto: Fatima
Lozano/Ep.
Secondo
gli archeologi della Giunta Regionale dell'Estremadura, le mani dipinte
dall'uomo di Neanderthal più di 60.000 anni fa sulle pareti della grotta di
Maltravieso a Cáceres, sarebbero dei segnali per il passaggio attraverso la
grotta ed indicherebbero la direzione dell’uscita dalla grotta.
Infatti, entrando nella grotta, le mani che si trovano sul lato destro sono
poste orizzontalmente con le dita rivolte verso l'interno, mentre quelle che si
trovano sulle pareti del lato sinistro sono poste con le dita rivolte verso
l'uscita. Inoltre, quando si presenta una cavità pericolosa, i dipinti a mano
vengono posizionati verticalmente, come per avvertire del pericolo di caduta in
quella zona o di qualche diramazione nelle gallerie.
Un'altra argomentazione avanzata dagli esperti riguardo all'assenza del mignolo
nei disegni delle mani suggerisce che esso sia stato nascosto durante la
pittura come simbolo della tribù che era entrata in questa grotta, come segno
di identità.
(Hipòlito
Collado, Responsabile del Servizio Archeologico della Giunta regionale
dell'Estremadura.
Molti degli stencil di mani a Maltravieso mancano di
dita e non fu possibile trovare casi sufficientemente chiari e completi.
…………………………….
Pech-Merle
(Lot – Francia).
Un tempo questa zona era attraversata da un grande
fiume che diede origine a dei canali sotterranei. Canali che in seguito vennero
utilizzati come riparo e infine per la pittura murale.
Numerose caverne che si estendono per oltre un chilometro e mezzo
dall'ingresso della grotta. Le pareti di sette delle camere di Pech
Merle hanno immagini di mammut lanosi, cavalli maculati, cavalli monocolore,
bovidi, renne, impronte di mani e alcuni esseri umani. Furono ritrovate anche
delle impronte di bambini conservate in quella che un tempo era argilla. I
disegni giocano con il rilievo e il colore della roccia. Si tratta di un
autentico capolavoro dell’arte preistorica europea risalente a 30.000 anni fa.
……………………..
Rocamadour
(Lot - Francia).
………………………………
Un’altra
espressione artistica dei Neanderthal era l’incisione delle ossa.
Nel sito neandertaliano di Einhornhöhle (Grotta
dell’Unicorno - Herzberg am Harz,
Germania) nel 2021 fu rinvenuto un osso inciso dell’alluce di Megaloceros
giganteus.
Zeichnung der Einhornhöhle von 1903 von P. Favreau nach Carl Struckmann,
links der natürliche Eingang. Darstellung entspricht nicht einer modernen Vermessung
Disegno della
Grotta dell'Unicorno del 1903 di P. Favreau da Carl Struckmann, con l'ingresso
naturale sulla sinistra. La rappresentazione non corrisponde ad un'indagine
moderna

Einhorndarstellung aus der Protogaea von G.W.Leibniz (gedruckt
1749)
Rappresentazione
di un unicorno tratta dalla Protogaea di G.W.Leibniz (stampata nel 1749)
Il nome del luogo era legato al ritrovamento, nel XVI secolo,
di alcune ossa che, secondo una credenza dell'epoca, sarebbero appartenute a
un unicorno che fu descritto e citato
da molti autori tra cui
Gottfried Wilhelm
Leibniz.
1784 gefertigte
Zeichnung der im Harz gelegenen Einhornhöhle durch
den Künstler Georg
Melchior Kraus ...
Un disegno della Grotta dell'Unicorno nei monti Harz,
realizzato dall'artista
Georg Melchior Kraus nel 1784...
Die Einhornhohle: Sonnenstrahl und Nebel in der Blauen Grotte
La Grotta
dell'Unicorno: Raggio di sole e nebbia nella Grotta Azzurra
Il Megaloceros, un
cervo estinto, poteva raggiungere i 2,10 metri d’altezza ed aveva
un'apertura alare
delle corna di 3,6 metri.
È denominato alce
irlandese e un suo scheletro è esposto al Museo di Storia Naturale
dello Smithsonian
– Washington.
Era presente
nell’Eurasia settentrionale, dalla Siberia all’Irlanda.
Annualmente
perdeva le sue imponenti corna.


Nella grotta di
Lascaux, un vero e proprio Museo d’arte rupestre Paleolitica, circa
17.000 anni fa
un’artista disegnò un cervo irlandese. Una raffigurazione molto precisa
di un animale che
all’epoca era molto conosciuto e cacciato.
Un’animale
imponente, i maschi pesavano circa 680 kg e presentavano delle
corna imponenti: 3,6
m di diametro e quasi 40 kg di peso. Le femmine erano in media
più basse del
maschio (10 – 15% in meno) ed erano prive di corna.
Non era un alce ma
un cervo gigante e presentava un aspetto importante di selezione sessuale.
Secondo il
paleobiologo Adian Lister, Natural History Museum di
Londra,
la letteratura
scientifica fu legata per tanto tempo alla tesi secondo la quale
le corna
dell’animale fossero solo un segno di esibizione. In realtà le corna
venivano usate
anche per difesa, per combattere. I maschi rivali,
abbassando la testa, intrecciavano
la parte inferiori dei palchi, per poi spingere,
torcere
l’avversario. Le femmine si accoppiavano con il vincitore.
Era uno degli
animali più celebrati nella ricerca scientifica.
Come mai si
estinse?
Anche qui la
letteratura scientifica all’inizio sposò la tesi secondo la quale le corna
dell’animale,
troppo grandi e pesanti, rimanevano impigliati negli alberi costringendo
l’animale ad una
terribile fine. In realtà la fine dell’animale fu causata da un forte
cambiamento
climatico. Gli animali si estinsero nell’Europa occidentale in un
periodo di rapido
raffreddamento climatico, noto come effetto Dryas recente, che durò
da 13.000 a 12.000
anni fa. La loro alimentazione, molto ricca di minerali, era erbivora,
(foglie e
germogli). Il raffreddamento climatico determinò un rapido declino della
vegetazione.
Naturalmente il
cambiamento climatico ebbe il suo effetto negativo anche
nei confronti delle
femmine perché la capacità di produrre ed allattare
i piccoli
dipendeva dallo stato nutrizionale della femmina.
In un paesaggio
caratterizzato da ghiaccio e tundra, le dimensioni delle
mandrie subirono
un forte declino fino a sparire completamente.
Sembra che in
Russia l’animale sia sopravvissuto fino a circa 8.000 anni fa.
L’aumento delle
temperature favorì la formazione in Russia
di foreste.
Qui erano già
presenti gli uomini Neolitici e probabilmente con la caccia
determinarono
l’estinzione degli ultimi animali.
Il reperto esposto
a Washington fu trovato in Irlanda da alcuni agricoltori che,
scavando alla
ricerca di torba da usare come combustibile, rinvennero
i preziosi resti (
all’inizio del XVII secolo).
L’osso
del dito del cervo graffito dal Neanderthal presenta sei incisioni. Queste
incisioni formano cinque motivi sfalsati e sovrapposti.
Gli angoli formati
dalle linee che si intersecano sono abbastanza regolari e vanno da 92,3 a 100,3
gradi. All'estremità prossimale è incisa una seconda serie di quattro brevi
linee.
Qualcuno potrebbe porsi una domanda: sono segni di
macellazione?
Le dita dei cervi non sono carnose ed i segni
presentano una raffigurazione come a voler delineare un motivo.
La datazione di questo osso risalirebbe a circa 51.000
anni fa.
Altra domanda: come mai fu scelto l’osso di un cervo
gigante, tra l’altro molto raro, per incidervi una serie di motivi?
La risposta non sarebbe facile. La scelta dell’animale
e la stessa incisione, avrebbero
probabilmente un significato simbolico.
L’arte è anche simbolismo e cioè la rappresentazione
di un’idea o di un oggetto in un’altra forma.
Un chiaro esempio del pensiero, costituito da simboli,
dei Neanderthal.
…………………….
Ciottolo inciso
databile a 77.000 anni fa.
………………………………
Gli enigmatici cerchi di pietra realizzati dai
Neanderthal
Nella grotta di Bruniquel, nel Sud-ovest della
Francia, i Neanderthal lasciarono qualcosa di strano.

A circa 366 metri dall’ingresso della grotta si
trovano numerose strutture costituite da circa 400 stalagmiti, formazioni
rocciose a forma di cono che si ergono dal pavimento delle grotte man mano che
l'acqua gocciolante e ricca di minerali si accumula nel tempo.
Si tratta di sei grandi strutture circolari che sono
composte da un massimo di quattro strati di frammenti di stalagmiti
sovrapposti.
Hanno un diametro compreso tra 2 – 7 metri ed
un’altezza di circa 40 cm.
Una struttura stalagmitica unica al mondo che presenta
un peso totale di ben 2,2 tonnellate e costituite da circa 400 stalagmiti che
messi in linea avrebbero uno sviluppo di ben 112 metri lineari.
Grazie alla datazione U-Th (uranio – torio) queste
formazioni furono datati a 176.000 anni fa, periodo storico in cui in Europa
vivevano i nostri lontani cugini, i Neanderthal.
La datazione U-Th dei carbonati è possibile a condizione che il materiale:
- Si sia formato all’interno dell’intervallo databile della sistematica U-Th
(fino a 500.000 anni),
(fino a 500.000 anni),
(fino a 500.000 anni),
- Contenga una concentrazione sufficiente degli isotopi minori 234U e 230Th per l’analisi di
diluizione isotopica ad alta precisione,
- Abbia incorporato una quantità nota o trascurabile di 230Th iniziale (in eccesso) al momento della
deposizione,
- Sia rimasto un sistema chiuso (senza variazioni negli isotopi U e Th) in seguito alla deposizione
originaria.
La perdita di uranio e l’incorporazione di 230Th in un sistema aperto possono portare a risultati
errati. I campioni con un rapporto U/Ca e una concentrazione di uranio iniziali relativamente bassi
generano età aberranti perché tendono ad assorbire uranio dopo la deposizione e attraverso i
processi diagenetici.
Gli archeologi datarono le strutture studiando l’età delle stalagmiti rotte e il momento in cui
iniziarono a germogliare. I risultati delle analisi furono eccezionali. Risalivano a circa 176.500 anni
fa e i Neanderthal arrivarono in Francia circa 100.000 - 90.000 anni fa.
Gli archeologi restarono allibiti davanti a queste costruzioni realizzate così in profondità nella
grotta.
Si posero la domanda:
Qual era il reale utilizzo di questo sito?
La domanda era collegata alla particolare disposizione delle stalagmiti che formavano due grandi
cerchi concentrici.
Per raggiungere il luogo dove si trovano questi due cerchi, si deve percorrere un angusto corridoio
lungo circa 30 metri. In questo corridoio furono rinvenuti dei resti di fauna risalenti al Pleistocene e
una microfauna olocenica.

Ricostruzione in 3D
dei cerchi di pietra

Furono rinvenuti molti artigli ed impronte dell’orso
delle caverne che si estinse circa 24.000 anni fa.
Il complesso è costituito da due grandi cerchi e da
altri quattro più piccoli.
Il cerchio più grande ha una dimensione di (6,7 x 4,5)
m mentre il più piccolo di (2,2 x 2,1) m.
Il diametro delle formazioni o pile di stalagmiti
varia da 0,55 – 2,60 m.
Due pile di stalagmiti si trovano al centro del
cerchio più grande mentre le altre quattro, più piccole, si trovano all’esterno
di esso.
Altri grandi pezzi sono stati aggiunti verticalmente
per rinforzare la costruzione.
Si
tratta di oltre 400 frammenti di stalagmiti…
Naturalmente
furono varie le interpretazioni, alcune
legate alla fantasia, su queste misteriose creazioni dei Neanderthal.
Lo
storico John Shea della Stony Brook University affermò come
gli orsi avessero
spostato i pezzi al fine di preparare un comodo giaciglio per l’inverno.
Marie
Soressi, famosa antropologa dell’Università di Leida e Jacques Jaubert
(coautore degli studi di Bruniquel pubblicati su Nature) fecero giustamente
notare come
gli orsi non
accumulano pezzi di stalagmite e non accendono fuochi sopra di essi.
Il
paleoantropologo Chris Stringer, del Natural History Museum di
Londra…. “
La scoperta
fornisce una chiara evidenza del fatto che i Neanderthal avevano capacità di
pianificazione e di costruzione pienamente umane, e che alcuni di essi erano in
grado di inoltrarsi molto in profondità nelle grotte, dove la luce artificiale
era assolutamente necessaria.
Sulle
sei strutture erano presenti delle tracce di fuochi, alcune di colore rosso ed
altre nere.
Questa
colorazione non era presente sulla volta
della grotta.
Vicino
alle strutture fu rinvenuto del materiale organico carbonizzato e circa sei
frammenti di colore nero.
Tra
questi frammento un pezzo carbonizzato costituito da un osso lungo 6,7 cm forse
pertinente ad un orso o a un grande erbivoro.
Uno
strato di calcite si era depositata su quest’osso che si era saldata tra i
pezzi delle stalagmiti.
Questo
permise di effettuare la datazione e il risultato fu sorprendente: 100.000 anni
prima della comparsa dell’Homo sapiens.
Queste
testimonianza dovrebbero quindi essere attribuite al Neanderthal che allora
popolava questa parte del continente europeo.
Naturalmente
per poter realizzare queste strutture a così grande distanza dall’ingresso
della grotta, i Neanderthal dovevano avere a disposizione un discreta forma di
luce oltre ad un’organizzazione sociale e alla capacità di ideare e quindi
realizzare un progetto:
Un’impresa che
richiese la mobilitazione di diverse persone per scegliere, dare ordini,
consigliare e costruire. Tutto questo indica la presenza di una società
strutturata.
Sopra le stalagmiti che delimitavano i cerchi venivano
poste delle torce (oppure delle primitive “lampade”) come dimostrava
l’annerimento degli stalagmiti? Era quindi un’area dove si riunivano per fini
cultuali o per altro?
Le torce utilizzate dai
Neanderthal erano create con rami secchi di ginepro e, in alcuni casi, anche
con rami di betulla. Venivano uniti tra loro per creare dei fasci di legno
resinoso. Nel campo archeologico furono rinvenute delle torce nelle grotte di Aldene
e Reseaus Clastres.



Aldene
I Neanderthal usavano anche delle piccole “lampade” in pietra o in osso.
Questi contenitori oltre a fonte di luce, fornivano anche calore e protezione.
Erano costituite
da blocchetti di calcare muniti di una piccola concavità naturale oppure con
una depressione, più o meno circolare, ricavata artificialmente grazie
all’abrasione o alla scheggiatura. All’interno della concavità veniva posto del
grasso animale oppure oli vegetali per la combustione.
Per accendere il
fuoco sfruttavano le scintille prodotte dalla percussione tra un frammento di
pirite e un’altra pietra. Un’altra
tecnica era il cosiddetto “metodo a sega”.
Reperto n.1: lampada rinvenuta nella grotta Le Gabillou (Francia);
Reperto n. 2: lampada ricava da un blocchetto roccioso, con due solchi per
fissare lo stoppino.
Le ricerche archeologiche dimostrarono come i
Neanderthal ricorrevano spesso al fuoco per le loro esigenze di vita.
Sulla rivista scientifica “Scientific Reports” furono
evidenziate delle realtà legate all’uso sistematico, da parte dei Neanderthal,
di strumenti per la produzione del fuoco.
I ricercatori indagarono in alcuni siti francesi gli
strati geologici risalenti a circa 50.000 anni fa (periodo Musteriano dei Neanderthal).
Furono rinvenuti numerosi strumenti caratterizzati dalla presenza di
scanalature di diverse dimensioni.
Queste scanalature (solchi) erano legati ai continui
sfregamenti e colpi eseguiti in un’unica direzione con minerali duri.
La tesi non fu la conseguenza di una semplice
osservazione. I ricercatori fecero delle prove per dimostrare come quelle
striature e depositi fossero compatibili con lo sfregamento di diversi
materiali,
tra cui tracce (seppur scarse) di pirite (FeS2) lungo l’asse longitudinale di
quelle che sembrano essere pietre focaie.
L’uso
della pietra focaia fu documentato nell’Età del Bronzo, nel Neolitico e nel
Mesolitico.
Il
periodo Paleolitico restituì pochi reperti simili.
Il
rinvenimento di pochi utensili per la produzione del fuoco sarebbe legato a
fattori legati alla dispersone naturale di questi reperti e forse anche
comportamentali. Sembra che questi primitivi “accendini” siano il riutilizzo di
strumenti che erano adibiti ad altri usi (strumenti per il taglio, schegge di lance)
e che presentavano una grande usura.
Nella
Dordogna furono studiati degli strumenti, detti bifacciali, che erano
utilizzati nella macellazione, nella lavorazione e pulitura delle pelli ed
anche nella lavorazione del legno e di altre pietre.
Questi
oggetti furono quindi alla base della ricerca per il loro eventuale riuso
nell’accensione del fuoco.
Le
analisi delle scanalature, di varie dimensioni ed usura, effettuate ai raggi X
e tramite SEM (microscopio elettronico a scansione), tutti eseguiti lungo la
stessa direzione, confermarono l’ipotesi.
I
risultati lasciati dai diversi minerali sui bifacciali potrebbe chiarire l’uso
di questi oggetti nella vita quotidiana dei Neanderthal.
Furono in particolare indagati i bifacciali che
presentavano una levigatura a C. Questa particolare forma coincideva con le
pietre focaie di epoche più recenti e i segni lasciati dai vari sfregamenti erano compatibili con i
movimenti per creare delle scintille.
Il confronto
dei bifacciali con altri oggetti rinvenuti nei siti Neanderthal, mostrò come le
prime avessero segni di usura differenti e compatibili con l’uso da pietre
focaie. L’attenta analisi del team di ricercatori evidenziò come questi
particolari oggetti, una sorta di coltellino svizzero per i Neanderthal, fossero
ben curati e mantenuti in buone condizioni a differenza di altri strumenti da
lavoro.
Lo
studio di questi oggetti, della vita comune dei Neanderthal, lavorati,
utilizzati e mantenuti diede una visione
più chiara sulle abitudini, il comportamento e dunque l’intelletto di questi
nostri recenti cugini estinti.
Le
ricerche nei siti archeologici risalenti a circa 125.000 anni fa, diedero
un’ulteriore visione sul rapporto tra i Neanderthal ed il fuoco. Un fuoco che
non solo serviva a proteggere dagli animali feroci ma anche ad illuminare le cavità, riscaldare, cucinare,
produrre resine da usare come colla ed anche per indurire le punte delle loro
lance di legno.
I
Neanderthal furono i primi a cambiare il paesaggio trasformando molte foreste
in praterie, la nascita di tenere piante che avrebbero attirato tanti animali
erbivori da cacciare, grazie all’uso del fuoco.
Un
intervento scellerato, distruttivo dei Neanderthal sull’ambiente evidenziato da
studi archeologici e geologici. Le prove?
Germania, sito archeologico di Neumark -Nord,
vicino alla città di Halle.


Prima
dell’Homo sapiens, che cambiò la natura grazie alla rivoluzione agricola
avvenuta circa 10.000 - 8.000 anni
fa, fu l’Homo neanderthal che creò ampi spazi aperti riducendo
l’estensione delle foreste con il fuoco.
Lo
studio di alcuni ricercatori fu pubblicato sulla rivista “Science Advances” ed
interessò un’area della Germania, Nemark nella Sassonia.
Lo
studio fu eseguito dal prof. Will Roebroeks, e dal suo team, della Leiden
University (Olanda)
nel
territorio di Neumark-Nord.
Per
ben 2000 anni i Neanderthal in questo
territorio riuscirono a modificare l’habitat distruggendo le foreste e creando
degli spazi verdi per la crescita di piante erbacee e di cespugli di nocciolo.
La
foresta era costituita da piante caducifoglie (betulle in particolare) e
pini, e ricopriva una buona parte delle
attuali Polonia e Germania. Una zona intervallata da laghi e da spazi aperti
creati dai Neanderthal.
La
prova scientifica della distruzione opera dai Neanderthal fu legata al
rinvenimento di particelle di carbone sparse ovunque negli strati geologici
analizzati. Furono rinvenuti anche resti di legno e foglie bruciate,
l’esposizione a forti fonti di calore di semi e strumenti litici. Questi
rinvenimenti dimostrarono l’esistenza di incendi intenzionali in vasti
territori per cambiare il paesaggio.
L’ipotesi
fu avvallata dal rinvenimento di pollini di piate erbacee e di alcune tipiche
erbe aromatiche. Gusci di molluschi che vivevano nelle zone aperte e le ossa
fossili di rinoceronti, cavalli e bovidi, macellati dai Neanderthal, sarebbero
la prova dell’esistenza di vaste praterie.
Negli scavi di
Neumark-Nord furono rinvenuti molti strumenti di selce che
occupano un arco
di tempo di circa 2.000 anni. Il sito venne occupato
di continuo e
quindi dimostra una stanzialità molto lunga, in
particolare nei
periodi caldo- temperati quando le risorse erano molto alte.
Bruciare
le foreste era purtroppo un modo d’agire sia dei Neanderthal che dell’Homo
sapiens.
Dando
uno sguardo al pianeta, in Australia (circa 40.000 anni fa) e in Nuova Guinea,
l’arrivo dell’Homo sapiens coincise con il verificarsi di numerosi incendi e
con la conseguente formazione di praterie. Nell’Africa centro-meridionale,
circa 85.000 anni fa, fu usato il fuoco per disboscare immense aree attorno al
lago Malawi-Niassa sempre per gli stessi obiettivi sopra citati.
Circa
200.000 anni fa, durante la glaciazione Riss, il paesaggio europeo, nei punti
non coperti da ghiaccio, era simile ad una steppa.
Massima estensione a nord della
catena alpina della glaciazione Riss (linea gialla)
Quando
il freddo diminuiva si formavano delle foreste di betulle e di abeti. Nel
periodo interglaciale, circa 130.000 – 110.000 anni fa, la temperatura saliva e
in questo caso come essenze arboree predominavano gli aceri e le querce oltre
ad altri tipi di alberi caducifoglie.
L’area
geografica in cui si trova il sito di Neumark-Nord non era estranea a questa
rotazione, che avveniva nel corso di migliaia di anni in rapporto al clima. Con
la differenza però che quando era il turno dei boschi di caducifoglie, i
Neanderhal di quel periodo provvedevano a cambiare il paesaggio perché si
formassero le praterie, più adatte per la caccia (come lo era la steppa). Dove
invece il Neanderthal non si era insediato, hanno appurato i ricercatori, i
boschi restavano continui.
Circa
130.000 anni fa, le grandi calotte glaciali si ritirarono, rendendo
Neumark-Nord abitabile fino a quando il ghiaccio non avanzò nuovamente 115.000
anni fa. Durante quel periodo caldo durato 15.000 anni, i Neanderthal si trasferirono nella zona, forse
attratti da una serie di laghi nella regione
MacDonald
e gli studiosi raccolsero dati relativi al periodo caldo sulle diverse specie
vegetali conservate nel sito, nonché sui depositi di carbone lasciati
dagli incendi. Rispetto ai siti limitrofi, dove non vivevano
Neanderthal, il team riscontrò una
diminuzione della copertura arborea. Mentre le aree limitrofe erano densamente
boscose, Neumark-Nord
sarebbe stata
molto più luminosa e aperta, e probabilmente anche più varia.
Gli
esseri umani moderni hanno alterato i paesaggi in modi simili, ma le prove sono
in gran parte limitate agli ultimi 50.000 anni.
È il primo caso in
cui ciò è stato dimostrato per i Neanderthal.
Una foto del 1893
sulla pratica del debbio in Finlandia, un metodo rudimentale di
fertilizzazione del terreno che viene dalla preistoria, quando i nostri
antenati Sapiens bruciavano vegetazione spontanea per coltivare direttamente, e
poi passare a bruciare e coltivare altri territori vergini. Il debbio è anche
indicato come l'antichissima tecnica agricola del taglia e brucia.
© Into Konrad Inha, via WikiMedia (P.D.)
L'uso
del fuoco per disboscare creava una grande disponibilità di nocciole. Secondo
Gaetano Forni, una delle massime autorità sullo studio delle origini
dell'agricoltura, l'uso del fuoco, anche se attuato solamente per lasciare
spazio alla crescita spontanea di piante commestibili, deve essere considerato
il "primo atto agricolo". Nella Mezzaluna Fertile (nel Vicino Oriente) l'Homo sapiens scoprì che assieme alle tenere
piante che attiravano gli animali, crescevano anche le graminacee, forme
selvatiche di orzo e di grano. Le prime macine nacquero per lavorare i semi di
queste piante selvatiche che si sviluppavano meglio nei terreni ricchi di
cenere, un buon fertilizzante. Poi ci si accorse che, seminando, le graminacee
potevano crescere in modo controllato. Ulteriori ricerche ci diranno se anche
il Neanderthal arrivò vicino alla rivoluzione agricola, preferendo però restare
un cacciatore nomade.
Nella
grotta di Berniquel, secondo i ricercatori, i Neanderthal dimostrarono, con la
creazione di questi enigmatici cerchi di stalagmiti, una organizzazione
spaziale e sociale complessa.
Nella
grotta non penetrava luce e quindi la dovettero creare e probabilmente, per
questo motivo, crearono deliberatamente dei speleofatti in cerchio ed accesero
dei falò o misero delle torce o “lampade”.
(Per
speleofatto s'intende qualsiasi oggetto proveniente da una grotta: stalattite,
stalagmite, cortina, colonna, canna d'organo, ...).
Wikimedia Commons
..................................
I Neanderthal creavano degli ornamenti personali, semplici manifestazioni della loro arte.
Gli esempi non furono rari. Furono invenuti ben 23 artigli di rapace, in massima parte dell’aquila di mare dalla coda bianca, in ben 10 siti di Neanderthal e datati in un periodo compreso tra 130.000 e 42.000 anni fa.

Gli
artigli (privi di tessuto carnoso) presentavano dei graffi e furono strappati
dal corpo dell’animale con l’intenzione di inciderli. Sulla superficie di un
artiglio fu rinvenuto del tessuto animale, forse i resti di una corda di cuoio.
Quest’ultimo
artiglio fu rinvenuto in Croazia in una grotta di Krapina.
Il
rinvenimento di tessuto animale suggerì agli archeologi l’ipotesi di come
l’artiglio fosse utilizzato come bracciale o come collana.
Krapina
Site
Hušnjakovo, Archive of the Krapina Neanderthal Museum
Sito di Hušnjakovo, Archivio del
Museo Neanderthal di Krapina.
Part of the
reconstructions of the Krapina Neanderthals at the Krapina Neanderthal Museums.
Photo: Tomislav Veić,
Archive of the Krapina Neanderthal Museum.
Parte delle ricostruzioni dei
Neanderthal di Krapina presso il Museo dei Neanderthal di Krapina. Foto:
Tomislav Veić, Archivio del Museo Neanderthal di Krapina.
Visione dorsale e laterale degli
artigli: la freccia indica una parte ben levigata.
La collezione completa di
artigli-gioiello della grotta di Krapina, in Croazia.
© Luk
Artigli di aquila dalla coda bianca
di Krapina
Replica of Krapina 3, National Museum of Natural History.
Krapina
- National Museum of Natural History
I Neanderthal cacciavano, con grandi sforzi fisici e
con grande difficolta a causa degli attrezzi di caccia di cui disponevano, mammut, bisonti, rinoceronti lanosi. Ma fra
tutti gli animali uno dei più pericolosi era l’aquila di mare dalla coda
bianca. Veniva cacciata per la sua carne
ma anche per i suoi pregiati artigli che veniva lavorati come gioielli.
Era
uno dei più grandi predatori dell’aria in Europa con la sua apertura alare di
ben due metri.
David
Frayer, paleoantropologo dell'Università del Kansas citò l’aquila del mare ((Haliaeetus albicilla) come..
Sono uccelli
potenti ci vuole una certa dose di coraggio, ma anche di incoscienza,
per acciuffarne
uno.
Piume
e artigli di rapaci furono rinvenuti in diversi siti dei Neanderthal, in
particolare in alcune grotte di Gibilterra. Gli artigli non sempre presentavano
dei disegni.
Gli
artigli ritrovati nella grotta di Krapina appartenevano ad almeno tre tipi di
rapaci.
Presentavano
degli intagli, sfaccettature, smussature e tagli che probabilmente furono fatti
per staccarli dalle zampe.
Il motivo di questi gioielli? Probabilmente legati al pensiero
simbolico. Un discorso forse complicato ma l’oggetto rappresentava per loro la
rappresentazione di qualcosa. Forse l’esaltazione, dopo la cattura, e il
relativo sacrificio del volatile, di un senso di rispetto verso lo stesso
volatile capace di mostrare una grande maestosità e padrone del cielo. Quindi
l’artiglio veniva visto non come un semplice utensile ma come qualcosa da
rispettare, da venerare.
A Kaprina furono rinvenuti dei reperti risalenti a circa 130.000 anni
fa.
Reperti
scoperti, agli inizi del 1900?, dal geologo Dragutin Gorjanović-Kramberger, in
un riparo roccioso.
Il
geologo rinvenne anche numerosi resti di animali, strumenti di pietra, ossa e
denti Neanderthal.
Ma
gli ornamenti personali creati dai Neanderthal erano molti vari.
Gli
archeologi trovarono nella grotta di Misliya (Israele) delle conchiglie
di vongole mescolate ad altri manufatti. Erano sepolti in strati di sedimenti
risalenti ad un periodo compresa tra 240.000 e 160.000 anni fa. La raccolta
delle conchiglie è una usanza che è presente ancora oggi, ma per i Neanderthal
quelle conchiglie non erano i residui di pasti a base di pesce.
I
Neanderthal di Misliya raccoglievano le conchiglie per hobby e le lasciavano
intatte senza alcuna decorazione o lavorazione.
Ad
appena 40 km dal sito di Misliya fu scoperta la grotta di Qafzef dove furono
rinvenute delle conchiglie che mostravano segni di lavorazione eseguiti sempre
dai Neanderthal. Una grotta occupata circa 40.000 anni dopo (120.000 anni fa) sempre
dai Neanderthal.



Le conchiglie presentavano dei fori che,
secondo gli archeologi, erano naturali
perché causati dalla raschiatura del fondo del mare.
Venivano raccolti sulla spiaggia dai
Neanderthal che li univano insieme per creare dei gioielli personali.
L’archeologa Daniella Bar-Yosef Mayer,
dell’Università di Tel Aviv, esaminò con i suoi colleghi alcune di queste
conchiglie. Esaminandole al microscopio trovarono sui gusci delle striature
attorno ai bordi dei fori. Questi segni evidenziarono come le conchiglie
fossero state disposte su una corda o filo.
I segni di usura dimostrarono dunque come
le conchiglie fossero legate ad una corda ma anche i segni di usura, tra i
bordi delle conchiglie, dimostrarono come
si sfregassero l’una con l’altra.
Alcune conchiglie mostravano anche tracce
di pigmento rosso ocra.
Gli archeologi fecero anche delle prove di
laboratorio.
Raccolsero dei gusci di vongole sulla
spiaggia e li sfregarono contro la sabbia, legno, argilla, pietre, cuoio e
altri diversi tipo di fibre.
Successivamente li esaminarono al
microscopio elettronico a scansione per studiare le striature e lucidature.
Crearono delle corde di lino e vi
infilarono le conchiglie con buchi naturali.
Esaminarono quindi i segni di usura lasciati dallo spago di lino sui
gusci.. Il risultato fu che i segni erano uguali a quelli lasciati sui gusci di
Qafzef.
Per completare le notizie sulla grotta di
Krapina, furono rinvenuti 1191 reperti litici in dieci livelli geologici. Gli
utensili in pietra furono rinvenuti nei livelli 3 e 8 con anche fossili di
ominidi.
1. Il cannibalismo da parte dei Neanderthal di Krapina sarebbe suggerita da diversi rinvenimenti:
- L’estrema frammentazione dei reperti ossei, alcuni con tracce di combustione, e di crani;
- Segni di percussione su frammenti di tibia spaccati, i canali midollari aperti nell’omero, radio, ulna e femore, sarebbero legati all’estrazione del midollo;
- Le rotture e segni di colpi sui frammenti del cranio sarebbero l’espressione di una frattura cranica perimortem (prima, durante o dopo la morte) per estrarre il cervello.
Naturalmente la comunità scientifica non si trovò concorde sulla tesi del cannibalismo e furono diverse le ipotesi proposte:
- Nel 1985, l'antropologo Trinkaus ipotizzò che i crani si fossero rotti a causa della pressione e del movimento dei sedimenti e che i pezzi fossero stati separati post-deposizione. Attribuì le parti sparse e incoerenti dello scheletro al crollo delle rocce, alle attività di altri mammiferi, ad attività umane come la costruzione di focolari vicino agli scheletri sepolti e all'assestamento sedimentario dei depositi e così via.
- L’antropologo, Russell, ipotizzò nel 1987 che i resti dell'ominide di Krapina fossero stati smembrati in preparazione per la sepoltura secondaria;
- Per altri ricercatori le ossa frantumate sarebbero legate ad una sepoltura secondaria o ad azioni rituali che potrebbero avere incluso anche il cannibalismo;
- La carne del defunto potrebbe essere stata esposta alla ferocia degli animali oppure potrebbe essere stata rimossa utilizzando delle pietre (raschiatoi) molto affilati. Alcune incisioni non sarebbero compatibili con il cannibalismo e con la scarnificazione. Forse quelle incisioni erano delle marcature simboliche come parte di un rituale neandertaliano ancora sconosciuto.
2. Nella grotta di Krapina furono trovati i resti di ben 11 individui che presentavano dei segni di ferite. Ferite che guarirono nel corso della loro vita. Una guarigione impossibile senza l’aiuto della comunità. La datazione: 130.000 anni BP (prima del presente).









Nei
depositi sabbiosi della grotta furono rinvenuti circa novecento esemplari di
ossa umane fossilizzate. I resti fossili appartenevano a diverse decine di
individui diversi, di sesso diverso, di età compresa tra 2 e 40 anni. Secondo
l'antropologo Herbert Ullrich, calcolare il numero minimo di individui (MNI)
per Krapina era un compito arduo, a causa delle condizioni fratturate o
frammentate delle ossa e dei dati incompleti per la precisa posizione
stratigrafica della maggior parte dei frammenti. La maggior parte dei resti umani
di Krapina erano ossa spaccate e sparse senza elementi associati: non c’erano
mandibole con cranio corrispondente , nessun femore
con tibia corrispondente ,
nessun omero con ulna corrispondente , ecc. Le stime
approssimative MNI variavano significativamente: da 10 a 75-82 (solo denti), ma
il minimo più credibile pubblicato sul numero di individui era di 23-35.
Alcuni
scienziati ritennero, sempre in base ai ritrovamenti ossei, come il numero di
individui fosse almeno 80 mentre per
altri il numero degli individui era di appena 27.

Krapina
3
Alcuni denti
anteriori di Neanderthal mostravano tracce di usura grossolana insolita ed
eccessiva legata ad un utilizzo dei denti non alimentare. I denti, come già espresso nella ricerca,
venivano utilizzati nella lavorazione delle pelli (per ammorbidirla, un lavoro
che veniva fatto in particolare dalle donne), ed anche su altri materiali.
Esempi
di tale utilizzo erano anche nella cesteria (intreccio di materiali flessibili
vegetali), nell’ammorbidimento del legno e nella produzione e ritocco di
utensili.
Infatti
le scheggiature riscontrate sui denti, sia anteriori che posteriori,
confermerebbero la tesi secondo la quale i Neanderthal utilizzavano i denti
anche per compiti non masticatori. Le scheggiature furono riscontrate anche su
denti di subadulti.
I
quattro denti mandibolari, del reperto Krapina “ Dental Person 20”, mostravano tracce di scanalature e graffi
sullo smalto. I Neanderthal tentavano di alleviare il forte dolore dentale con un approccio diretto
e meccanico.
………………………
In
Italia nella Grotta dei Moscerini furono rinvenuti utensili ricavati da bivalvi
e pietre vulcaniche raccolti sulla spiaggia o pescati.

Gaeta (Latina) –
Grotta dei Moscerini
I Neanderthal non
usavano solo oggetti o strumenti ricavati dalla
lavorazione di
selce o altri minerali ma da conchiglie e minerali trasportati dal mare.
Questo
cambia l’immaginario collettivo tramandato dai libri di storia di esseri umani
scimmieschi, primitivi.
La
realtà è ben diversa perché si avventuravano anche sotto l’acqua.
Nella
rivista “PLOS ONE” fu pubblicato uno studio archeologico sull’importante sito
archeologico della Grotta dei Moscerini posta vicino al comune di Gaeta
(Latina).
Questa
indagine rilevò un aspetto sconosciuto dei Neanderthal e cioè quello della
pesca da cui trarre risorse non solo per l’alimentazione ma anche materiale per
fabbricare utensili d’uso quotidiano.
I frammenti di
conchiglia usati come utensili dai Neanderthal.
I dati archeologici raccolti in Spagna, Francia ed anche in diverse località italiane dimostrerebbero come i Neanderthal sapessero pescare molluschi marini e pesci d’acqua dolce.
La ricerca nella Grotta dei Moscerini inserì un nuovo tassello nella complessa vita dei Neanderthal.
Scavi nella trincea principale della Grotta dei Moscerini nel 1949.
Foto: A. Segre, IIPULa
grotta si trova nei pressi della spiaggia e durante gli scavi furono rinvenuti
molte conchiglie di fasolari (molluschi bivalvi che vivono nei fondali
sabbiosi) ed anche pietra pomice.
La
grotta è particolarmente ricca di conchiglie tagliate e levigate a mano
risalenti al Medio Paleolitico (circa 100 mila anni fa), per la maggior parte
provenienti da fasolari (Callista
chione).
L’archeologa
Paola Villa, Museo di Storia Naturale
dell'Università del Colorado e dell'Istituto Italiano di Paleontologia Umana di
Roma, analizzò 171 conchiglie …
a giudicare dallo
stato di conservazione del guscio e delle incrostazioni presenti su di esso, un
quarto di esse sembra essere stato recuperato direttamente dal fondo del mare,
quando gli animali erano ancora vivi.
Le
conchiglie rimanenti sarebbero state, invece, raccolte sulla spiaggia, insieme
alle pietre pomici trovate nella grotta in abbondanti depositi. Queste rocce di
origine vulcanica, utilizzate come oggi per la loro capacità abrasiva,
sarebbero arrivate via mare dopo eruzioni sull'Isola di Ischia o nei Campi
Flegrei (la vasta area vulcanica nel Golfo di Pozzuoli). I bordi arrotondati
delle pietre indicavano come furono trasportate dalle correnti per circa 70 km,
fino alla spiaggia alla base della Grotta dei Moscerini.
Secondo
gli archeologi i Neanderthal erano in grado di guadare tratti di mare o
immergersi nelle acque costiere con scopi ben precisi e questo ancora prima che
l’Homo sapiens portasse queste abitudini. La pratica, un aspetto interessante,
risultò più diffusa in quegli strati sedimentari in cui gli utensili in pietra
era scarsi. Probabilmente i Neanderthal ricorrevano alla pesca dei bivalvi nei
periodi nei quali le rocce silicee scarseggiavano oppure cercavano apposta le
conchiglie per i loro bordi taglienti ed affilati.


Esemplari di
Callista chione rinvenuti nella Grotta dei Moscerini:
- I reperti
(A,B,D) furono raccolti nel fondale marino;
I reperti (C,E)
furono raccolti sulla spiaggia.
- (A) N. 74, umbone non ritoccato.
La superficie non
abrasa e lucida indicava come il bivalve fu raccolto dal fondale marino.
………….
- (B) N. 16, valva
sinistra, la frattura a destra era posteriore al ritocco,
ma il bordo
ritoccato è completo; si noti la superficie dorsale lucida.
Le fossette sono
post-deposizionali, non perforazioni dovute ad organismi marini, perché sono
presenti anche nelle aree ritoccate.
……………………….
- (C) N. 33, il bordo ritoccato era rotto sul lato sinistro,
le superfici
interna ed esterna avevano un aspetto
opaco e gessoso con dissoluzione,
a indicare che la
conchiglia era stata portata a riva e raccolta sulla spiaggia.
……………………..
(D) n. 14, parte
mesiale di una valva destra ricoperta da concrezioni postdeposizionali e bordo
ritoccato rotto sul lato destro, ma la frattura era anteriore al ritocco;
la superficie
dorsale non abrasa e lucida mostra che la conchiglia
fu raccolta dal
fondale marino.
…………………………
- (E) n. 24, valva sinistra con una porzione intatta della frangia a destra, il
lato sinistro fu
rotto ma la
frattura era anteriore al ritocco; la fascia erosa che segue le linee di
crescita e la superficie esterna opaca indicavano un esemplare spiaggiato.
.............................................
I
Neanderthal affilavano con piccoli martelli di pietra le valve per ottenere dei
raschiatoi.
Circa
tre quarti di questi reperti presentavano la superfice opaca e leggermente
abrasa dal contatto sulla spiaggia. Questo era un segno evidente di come
fossero stati portati sulla spiaggia dalle correnti marine e quindi raccolti
dai Neanderthal.
Le
restanti conchiglie, poco più grandi, evidenziavano una superficie esterna
liscia e luminosa. Un segno evidente che erano state pescate sott’acqua.
Secondo
la professoressa Paola Villa
I neanderthal non
cacciavano solo grandi mammiferi ma si
occupano anche di pesca,
perfino di
immersioni e questo prima dell’arrivo dell’Homo sapiens o Cro-Magnon.
Questo
aspetto sconvolse la visione storica e letterale dei Neanderthal.
Altre
testimonianze sui Neanderthal che si occupavano di pesca facendo anche delle
immersioni?
Alcuni
archeologi avevano evidenziato, in alcuni rinvenimenti scheletrici dei
Neanderthal, una strana ed anomala crescita ossea del canale uditivo noto nella
letteratura scientifica come
Orecchio del
nuotatore.
Altre testimonianze dell’attività di pesca:
- Nella grotta di Castelcivita nel Cilento;
- Altre testimonianze sempre in Spagna, Francia e nel Caucaso;
- In Spagna nella Cueva de los Aviones ( Grotta degli Aerei) furono rinvenute numerose conchiglie perforate e pigmentate che risalivano ad un età compresa tra 115.000 e 120.000 anni fa.
La pietra di pomice trovata nella grotta dei Moscerini da dove veniva?
Probabilmente la pomice era legata all’attività eruttiva dell’Isola d’Ischia e dei Campi Flegrei. Veniva quindi trasportata dalle correnti marine.
Veniva
quindi lavorata per la creazione di utensili e quando la stessa pomice scarseggiava,
veniva rimpiazzata dalle conchiglie.
Frammenti di pietra pomice scoperti
nella Grotta dei Moscerini nel 1949
……………………….
Nella grotta di Fumane (nell’unità A9) furono rinvenute delle testimonianze in
merito all’uso delle piume degli uccelli da parte dei Neanderthal.
Le ossa dei rapaci e di altri uccelli, mostravano dei segni di tagli e
raschiature per rimuovere le piume. Probabilmente queste piume venivano
adoperate come ornamento personale.

Nell’unità A9 furono rinvenute le evidenze legate al
consumo alimentare di uccelli e allo sfruttamento del piumaggio di vari rapaci
e altri uccelli. L’acquisizione di preziosi elementi del piumaggio, rafforzò il
crescente corpus di dati che dimostrava la comparsa del comportamento moderno in
popolazioni autoctone estinte d'Europa ben prima dell'immigrazione dell'uomo
moderno.
La
comunità scientifica affrontò anche il
dibattito sullo sfruttamento della piccola selvaggina come risorsa alimentare.
Molteplici reperti dimostrarono come lo
sfruttamento dei piccoli animali sia stato importante per la sussistenza umana
fin da circa 250 ka (250.000 anni fa).
Malgrado
questi dati non si sa se la cattura e il consumo di selvaggina avifaunistica
fossero praticati regolarmente.
Tracce
di questi comportamenti sporadici, risalenti al Pleistocene inferiore, furono
accertati a Sima del Elefante in Spagna (Huguet, 2007), a Dursunlu in Turchia
(Güleç et al., 2009) e, in tempi più recenti in Francia: a Lazaret (Lumley et
al., 2004), La Baume de Gigny (Mourer-Chauviré, 1989) e forse nella Grotte de
l'Hortus (Mourer-Chauviré, 1972).
La
grotta di Bolomor, in Spagna, restituì ripetute e notevoli prove relative al
consumo di uccelli, lungo l'intera sequenza stratigrafica dai livelli XVIIc a
IV, datati rispettivamente da MIS9 a 5e.
(La datazione del Marine
Isotope Stage 5e (MIS 5e), anche conosciuto come stadio Eemiano, è
approssimativamente tra 124.000 e 119.000 anni fa. Si tratta dell'ultimo
periodo interglaciale prima dell'Olocene, durante il quale le temperature
globali erano più calde di almeno 2°C).

Sulle ossa di zampe ed ali furono trovate delle tracce
antropiche fra cui segni di taglio, bruciature e impronte di denti. Tracce che
suggerirono l’uso alimentare di uccelli.
Sempre in Spagna, nella grotta di Gorhan, i Neanderthal
cacciavano i colombi selvatici per nutrirsi non in modo casuale o sporadico,
per un arco di tempo di migliaia di anni.

Oltre
a scopi alimentari, ci sarebbero delle prove archeologiche del rapporto tra i
Neanderthal e i rapaci durante il periodo del Paleolitico medio. Prove
esistenti in una vasta area, dall’Europa al Levante.
Gli
esami tafanomici rilevarono come i Neanderthal cacciavano principalmente
uccelli dalle piume nere e rapaci di diverse dimensioni per operare,
successivamente sulle loro carcasse, una specifica selezione di ali, piumaggio
e artigli. Una scelta per uso simbolico di alcune parti del corpo dell’uccello.
Casi
rilevanti di rapaci di taglia media e grande tagliati, in associazione con
altri uccelli (es. gracchio alpino) trattati per lo stesso scopo, furono
descritti in Italia a Grotta del Rio Secco (Romandini et al., 2014a) e Grotta
Fumane (Fiore et al., 2004, Peresani et al., 2011), in Croazia a Krapina
(Radovčić et al., 2015), in Francia a Pech de l'Azé I (Soressi et al., 2008) e
IV (Dibble et al., 2009), Baume de Gigny (Mourer-Chauviré, 1989), Combe-Grenal
e Les Fieux (Morin e Laroulandie, 2012), Grotte Mandrin (Romandini et al.,
2014a), e a Gibilterra (Finlayson et al., 2012) e i dati provenienti da questi
siti rivelarono una certa convergenza in queste selezioni.
Piume,
artigli ed ali che venivano usati come ornamento personale.
……………….
Ai
Neanderthal il merito della prima espressione artistica ?
L’arte, alla
luce di questi rinvenimenti, deve essere più antica di quanto si pensasse.
Non è emersa con l’Homo sapiens o Cro Magnon sotto
forma di materiali durevoli.
Eppure ogni volta che viene scoperto qualcosa
d’importante legata per cronologia ai Neanderthal viene messa in discussione.
Alla base di questa posizione critica ci sarebbe
Lo stereotipo dell'ingenuo Neanderthal e dell'astuto uomo moderno, affonda
le sue radici nei pregiudizi del XIX secolo.
Questa tesi consolidata delle carenze dei Neanderthal
e della superiorità dell’uomo moderno è profondamente radicata nella cultura
popolare e nella scienza.
Una posizione egoistica, con una grande esaltazione
dell’io dell’uomo moderno capace di tutto e al centro dell’universo, che si
sviluppò a metà del XIX secolo.
In quel periodo il dibattito intellettuale
s’incentrava sull’antichità degli esseri umani.
Le idee erano legate ad un quadro biblico che
raffigurava l’uomo come esistente da molto tempo e l’idea di una sua naturale
evoluzione era molto criticata, non accettata.
Il primo fossile umano fu scoperto nel 1856 in
Germania nel sito di Neander da cui il nome di Neanderthal.
Aveva un cranio lungo e basso, ampie arcate
sopraccigliari, un’ampia cavità nasale. Nel 1868 furono scoperti dei fossili
umani nel riparo di Cro-Magnon in Francia. Questi fossili, con la loro fronte
alta, furono subito identificati come uomini moderni.
Nel 1879 l’archeologo dilettate Marcellino Sanz de
Sautuola, scoprì la prima arte rupestre nella grotta di Altamira nella Spagna
del Nord.
Questi disegni furono subiti attribuiti, senza alcuna
indagine, all’Homo sapiens o Cro-Magnon.
L’errore fu che questa prima arte figurata diventò
subito uno dei tratti distintivi dell’uomo moderno.
L’immaginario collettivo, legato alla ripetuta
descrizione dei Neanderthal con il loro aspetto e natura brutale, offrivano un
confronto, ricco di contrasti, perfetto.
I Neanderthal erano stati soppiantati dagli uomini”
veri” o moderni che dipingevano le loro grotte dando origine alla prima arte
figurativa.
Questa idea, legata ad assenze di ricerche e
valutazioni obiettive, fu riportata per decenni, forse ancora oggi, nei libri
di storia e nei musei di tutto il mondo.
I ricercatori non si limitarono solo
ad esaltare il pensiero e il fare dell’Homo sapiens ma misero anche in risalto,
nei loro disegni, il contrasto con i Neanderthal.
Henry Fairfield Osborn , curatore per molti anni
presso l'American Museum of Natural History, collaborò con l'artista Charles
Robert Knight per illustrare le varie fasi del Paleolitico in libri e murales.
Un disegno
di Charles Robert Knight (!874 – 1953),
della Collezione Wellcome (183 Euston Road Londra NW1
2BE)
i Neanderthal appaiono come creature curve, apparentemente prive di
immaginazione e
incapaci di fare altro che fissare senza espressione, increduli,
mentre cercano di decifrare una roccia.
Datazione
del disegno: 1943
Lo stesso Charles Robert Knight
nel 1920 disegnò i Cro-Magnon mettendo
in risalto la loro capacità di “muralisti” che sapevano disegnare e maneggiare
il fuoco.
Un netto contrasto con la
raffigurazione dei Neanderthal tra l’altra basata solo su ipotetiche
congetture.
Knight
dipinse anche gli Artisti Cro-Magnon della Francia meridionale della grotta di
Font-de-Gaume, Les Eyzies-de Tayac nel 1920 per l'American Museum of Natural
History. Si noti la colorazione della pelle e dei capelli dei primi artisti.
La pittura
rupestre di Knight raffigura una fila di mammut, un'immagine che Knight scoprì
in seguito essere errata. (Immagine #ptc 5375,
Biblioteca
dell'American Museum of Natural History)
Nel 1929 il Field Museum inaugurò due diorami di Neanderthal nel 1929, per
i quali Jarin Blaschke realizzò le figure mettendo in evidenza la colorazione
della pelle e la postura dei modelli.
(© The Field Museum, Immagine n. CSA76895_Ac)
Sempre
il Field Museum inaugurò ulteriori diorami nel 1933 per la Sala dell'Età della
Pietra del Vecchio Mondo. Questo diorama raffigurava un artista di Cro-Magnon
dalla pelle più chiara e opere d'arte rupestre.
(© The Field
Museum, Immagine n. CSA76950c, Fotografo Ron Testa)
I Cro-Magnon raffigurati mentre tengono in mano un osso della spalla come
se
fosse la tavolozza di un pittore, mentre disegnano abilmente la curva della
gobba
di un bisonte sulla parete di una caverna.
Nel 1920, Knight dipinse i Neanderthal Flintworkers della caverna di Le
Moustier per l'American Museum of Natural History.
Da notare la postura e la colorazione della pelle dei Neanderthal.
(Immagine #ptc 618, Biblioteca dell'American Museum of Natural History)
Gli storici, in realtà molto pochi, criticarono
l’Osborn per questa sua visione.
Osborn era un’importante eugenetista, vedeva il
miglioramento della razza attraverso dei matrimoni selettivi, e
anti-immigrazione. Questi disegni, che citavano la storia antica, erano come
una giustificazione per le sue opinioni.
Infatti secondo la sua opinione i Neanderthal e i
Cro-Magnon non si mescolarono e quindi la sua tesi era
quindi perché mai dovrebbero mescolarsi le diverse
"razze" di oggi?
( Gli studi di genetica dimostrarono come l’Homo
sapiens o Cro-Magnon e i l Neanderthal si sarebbero incrociati e i genomi di
tutti gli esseri umani moderni contengono in genere tra lo 0,3% e il 4% di DNA
neandertaliano).
Su queste basi la figura dell’ingenuo e primitivo
Neanderthal era radicata nei pregiudizi dell’epoca in contrapposizione alla
figura dell’uomo moderno.
I Neanderthal crearono l’arte e sarebbe giusto dare
loro il merito della prima espressione artistica.
Nella società di oggi, basata su falsi modelli di vita, i pregiudizi del
passato hanno un grande potere e solo riconoscendoli le persone possono sperare
di superarli.
…………………………..
La pittura nel Paleolitico
La
pittura nel Paleolitico veniva applicata sia su piccoli oggetti, in particolare
su ciottoli, sia sulle pareti rocciose (arte rupestre) e forse anche sul corpo.
I
colori erano legati a risorse naturali come minerali (per l’ocra rosa veniva
impiegata l’ematite) e per il giallo la limonite, per il nero si adoperava del
carbone vegetale o fuliggine, o anche il guano del pipistrello).
Per
il bianco si adoperava le ossa calcinate e le terre argillose, per il blu i
mirtilli schiacciati e il sangue degli animali uccisi.
Le
tonalità dell’ocra potevano essere ottenute grazie al calore.
I
coloranti venivano ridotti in polvere. Una tecnica che fu documentata dai
ritrovamenti archeologici a Lascaux (Francia Sud-occidentale) dove furono
rinvenuti alcuni blocchetti con tracce di raschiamento, tre lame colorate di
ocra rossa oltre a pestelli e mortai.
Le
polveri venivano poi miscelate con grassi di animali, cera d’api o sostanze
liquide. Nella gotta di Lascaux veniva adoperata l’acqua della grotta che era
ricca di carbonato di calcio.
Per
l’applicazione del colore venivano adoperati dei pennelli costituiti da fibre
vegetali o animali. Era documentata anche la pratica di soffiare sulle
pareti il pigmento ridotto in polvere.

Mammuth.
Primo stile
pittura paleolitica. Pittura a secco su roccia.
L’esecuzione
del disegno veniva praticata direttamente sulla roccia, senza preparazione,
sfruttando le irregolarità della stessa roccia. Sporgenze, cavità e asperità
venivano spesso sfruttate per fare parte della figura.
Le
polveri potevano quindi essere adoperati sulla roccia a secco mediante una
strofinatura (così come oggi per i
disegni a carboncino o gessetto) o liquidi cioè mescolati con acqua o altre
sostanze ed applicati sulla roccia con le dita o con pennelli fatti da piume,
bastoncini appuntiti o fibre vegetali o animali.
A
queste tecniche si aggiunge quella dell’incisione che consisteva nell’incidere
la parete rocciosa con pietre scheggiate e molto appuntite.
I
contorni delle figure, in questo caso, potevano essere evidenziati con colore.
La
conservazione di queste espressioni artistiche è dovuta alla forte umidità.
Infatti l’evaporazione permette la cristallizzazione dei carbonati in un
naturale processo di fissaggio dei colori.
Filoni
e stili pittorici del Paleolitico
Cavalli. Pittura Paleolitica
del III stile. Pittura policroma su roccia.
Nella pittura parietale del Paleolitico si possono definire due filoni stilistici:
- Il filone naturalistico che sarebbe un elemento principale nell’espressione artistica in tutto il Paleolitico. Figure di animali e scene di caccia, testimonianze presenti nell’Europa Sud-occidentale, parte dell’Asia e dell’Africa. Nel solo continente europeo furono individuati 200 siti archeologici dipinti, tra grotte e ripari, di cui 120 in Francia e 55 in Spagna. Non mancano testimonianze anche in Italia, Portogallo, Romania e Russia;
- Il filone geometrico-astratto che sarebbe presente nel Paleolitico ma ancora più evidente nel Neolitico. Rispetto al filone naturalistico sembra seguire un espressione simbolica o concettuale. È di difficile interpretazione ed avrà un suo sviluppo nelle epoche successive. Un espressione che precede le prime forme di scrittura? Questi segni, alcuni caratterizzati da una forte stilizzazione, avevano un loro antico significato come i ciottoli incisi o dipinti? Erano forse un messaggio ?

Bisonte. Pittura
paleolitica III stile. Lascaux (Francia)
Nel
filone naturalistico la linea di contorno delle figure poteva essere incisa o
disegnata e fu una caratteristica delle pitture paleolitiche, il principale
elemento espressivo.
André
Leroi Gourhan (etnologo, archeologo e antropologo francese. Ricercatore di
prima classe del CNRS, professore ordinario di etnologia e preistoria in varie
università tra cui quella di Lione e la
Sorbona di Parigi) descrisse i quattro stili della pittura paleolitica.
Si
passò dai più antichi disegni sommari, con pochi segni in nero o bruno che
rendevano le immagini piatte, statiche e senza volume, al disegno
particolareggiato e rifinito con evidenti effetti di volume e movimento.
Questo
determinò una modificazione della
tecnica espressiva del segno con la ricerca degli aspetti anatomici degli
animali (anche delle masse muscolari),
del movimento ed anche degli atteggiamenti.
Si
passò dalla pittura monocromo a quella più ricca anche con le varie sfumature:
- I stile: (30.000 – 23.000) a.C. E’ lo stile più antico con espressioni importanti proprio in Dordogna (Francia) nelle grotte di La Ferrassie e Laussel. Figure schematiche tracciate con contorni continui. Gli animali (bisonti, buoi, cavalli, ecc.) sono graffiti o dipinti;
- II stile: (23.000 – 17.000) a.C. lo schema è diverso con dei cicli pittorici dove gli animali sono in gruppo. I disegni sono più sicuri e dinamici. Generalmente si vedono solo i contorni ma a volte sono presenti le prime coloriture e mancano alcuni dettagli come le zampe;
- III stile: (17.000 – 15.000) a.C. c’è una maggiore ricerca nell’espressione delle forme e dei movimenti e i contorni sono spesso associati a macchie di colore. I corpi sono però ancora sproporzionati e gli esempi più evidenti si trovano nelle grotte di Lascaux, Peh-Merl, Roc de Sers (tutte in Francia) e di El Castillo (in Spagna).

Cavallo. Pittura
paleolitica III stile. Lascaux (Francia)
Toro. Pittura
paleolitica III stile. . Lascaux (Francia)
- IV stile: (17.0000 – 8.500) a.C. E’ la fase di maggiore realismo perché le forme e l’anatomia sono corrette e proporzionate. C’è una maggiore ricerca ed espressione dei dettagli; i colori si sviluppano in varie tonalità dal bruno all’ocra e vengono usate, per la prima volta, anche le ombreggiature in grigio. Molta attenzione viene risolta verso i movimenti e le posizioni degli animali. C’è addirittura anche la ricerca dell’espressione della velocità dell’animale che viene materializzata con linee flessuose ed anche nella resa delle masse muscolari.
Probabilmente attraverso l’arte le comunità preistoriche vollero testimoniare la loro presenza nel territorio ed affermare il proprio io in un contesto ambientale molto difficile.
Vollero raccontare la propria vita in assenza della scrittura dando un volto ed un corpo a quella realtà che li circondava e che aveva qualcosa di soprannaturale.
La preistoria abbraccia un periodo di quasi 2,5 milioni di anni ed è suddivisa in tre periodi (Paleolitico, Mesolitico ed Eneolitico).
Dire quando sia comparsa l’arte non è facile.
Eppure circa 40.000 anni fa e forse ancora prima, le comunità paleolitiche conoscevano il valore delle immagini e delle figurazioni.

Uri, 38.000-34.000
a.C. Dipinti rupestri.
Grotta Chauvet,
Francia, Regione Rodano-Alpi.
Probabilmente
si tramandavano l’arte di generazione in
generazione e avevano anche dei maestri.
Le
raffigurazioni non erano improvvisate e
di alta qualità considerando gli strumenti che avevano a disposizione.
Grotta Chauvet,
38.000-34.000 a.C. Dipinti rupestri. Francia, Regione Rodano-Alpi.
I dipinti e i graffiti della grotta
Chauvet costituiscono uno dei più antichi esempi di arte
preistorica nel mondo. La grotta prese il nome dal suo scopritore, lo
speleologo e fotografo Jean-Marie Chauvet, e si trova nella Francia
sud-orientale, nella regione Rodano - Alpi.
Rinoceronti,
38.000-34.000 a.C. Dipinti rupestri.
Grotta
Chauvet, Francia, Regione Rodano-Alpi.
La
sua scoperta fu relativamente recente, risalendo al 1994. Le sue pareti vennero
coperte di figure 32.000-36.000 anni
fa, quando la regione era abitata dall’uomo di Cro-Magnon ed
era simile ad una tundra, fredda e desolata. Gli animali rappresentati erano
bisonti, mammut, rinoceronti, uri (ossia tori preistorici), cervi, cavalli,
renne. Si trovavano anche immagini di predatori, come leoni, orsi, iene, lupi e
altri felini poco riconoscibili, forse leopardi.
Teste di cavalli,
38.000-34.000 a.C. Dipinti rupestri.
Grotta Chauvet,
Francia, Regione Rodano-Alpi.
Orso,
38.000-34.000 a.C. Dipinti rupestri. Grotta Chauvet, Francia, Regione
Rodano-Alpi.
Le
figure sono incise e dipinte in modo piuttosto elementare, sempre di profilo, e
alcune non sono nemmeno finite. Si tratta più che altro di disegni
chiaroscurati, tuttavia efficacissimi, con forme e proporzioni rese con decisa
maestria. Alcuni animali presentano molte zampe sovrapposte, come a voler
rendere l’effetto del loro movimento..
Felini,
38.000-34.000 a.C. Dipinti rupestri. Grotta Chauvet, Francia, Regione
Rodano-Alpi.
Gli
studiosi riuscirono ad individuare alcune vere e proprie tendenze
artistiche, come quella perigordiana (30.000-15.000
a.C.), così chiamata dalla località francese del Périgord dove furono condotti
importanti scavi archeologici, e quella maddaleniana (15.000-8300
a.C.), dal nome del giacimento di La Madeleine, in Dordogna (Francia). Dopo il
15.000 a.C., gli artisti preistorici ricercarono sistematicamente anche vivaci
effetti di movimento. I pittori maddaleniani raggiunsero un buon livello
tecnico nel disegno; i profili degli animali erano corretti e le posizioni
molto verosimili, i dettagli precisi, i colori (rosso, nero e ocra) stesi in
modo tale da ricordare il modellato dei corpi.
Gli
studiosi riuscirono ad individuare alcune vere e proprie tendenze
artistiche, come quella perigordiana (30.000-15.000
a.C.), così chiamata dalla località francese del Périgord dove furono condotti
importanti scavi archeologici, e quella maddaleniana (15.000-8300
a.C.), dal nome del giacimento di La Madeleine, in Dordogna (Francia). Dopo il
15.000 a.C., gli artisti preistorici ricercarono sistematicamente anche vivaci
effetti di movimento. I pittori maddaleniani raggiunsero un buon livello
tecnico nel disegno; i profili degli animali erano corretti e le posizioni
molto verosimili, i dettagli precisi, i colori (rosso, nero e ocra) stesi in
modo tale da ricordare il modellato dei corpi.
………………………………
Ancora
oggi è difficile comprendere a fondo il significato di questi
dipinti rupestri, la cui straordinaria qualità inizialmente lasciò
increduli gli stessi scopritori, restii a datarla a tempi così remoti. Alcuni
studiosi ritennero che tali splendide scene figurate servissero a spiegare come
avveniva la caccia. Altri erano convinti che l’uomo preistorico dipingesse con
l’intento di capire l’ordine, le forme, i ritmi, le forze della realtà che lo
circondava, per conoscere più a fondo il mondo in cui viveva. L’immagine
sarebbe stata, dunque, un mezzo per comprendere meglio l’ambiente.
Tuttavia,
l’ipotesi più plausibile potrebbe essere quella secondo cui quest’arte fu
legata alle fasi misteriche dei riti propiziatori. I
dipinti rupestri, infatti, si trovavano quasi sempre all’interno di ambienti
naturali davvero insoliti, eppure frequentati da molte generazioni di
cacciatori, e furono realizzati da uomini e donne obbligati a dipingere in
posizioni assai scomode e alla luce di torce rudimentali. Chi affrontava così
tante difficoltà per decorare le pareti di grotte, dove nessuno viveva
abitualmente, riteneva quei dipinti davvero importanti, forse addirittura
vitali per la comunità primitiva. L’arte della
preistoria: dipinti e graffiti rupestri del Paleolitico.
È
verosimile che tali ambienti fossero dei veri e propri santuari,
in cui si svolgevano rituali molto particolari. Forse il cacciatore paleolitico
credeva che rappresentare l’animale equivalesse a possederlo, cioè che
disegnarlo fosse come catturarlo. Colpire l’animale dipinto era come uccidere
quello vero: facendo accadere in anticipo l’evento auspicato, sia pure
attraverso un’immagine, lo si sottraeva all’incertezza del caso. In tal modo si
potrebbe anche spiegare la forte esigenza di naturalismo,
ossia di verosimiglianza, che guidò la più antica pittura preistorica:
l’animale dipinto o graffito non poteva in alcun modo differire dall’originale,
perché aveva il compito di sostituirlo.
……………………………….
I
Neanderthal avevano un pensiero simbolico perché le ultime ricerche
effettuate in Spagna, sempre al centro delle ricerche storiche, in sedimenti
sovrastanti a conchiglie trattate con pigmenti e pitture murali, risalirebbero
a tempi molto antecedenti all’arrivo dell’Homo sapiens o Cro-Magnon.
A
questo punto chi pensava che i neandertaliani fossero ben inferiori a noi
"umani" come intelletto per qualsiasi motivo, da quelli scientifici a
convinzioni razziste o
antievoluzioniste, dovranno ricredersi.
Il
pensiero simbolico è la capacità di usare simboli, come immagini, parole o
gesti, per rappresentare concetti, oggetti, emozioni o situazioni che non sono
fisicamente presenti. In sostanza, è la capacità di collegare un'idea
astratta a un oggetto, un'immagine o una parola.
Per
più di un secolo, le prove archeologiche sembravano suggerire una comparsa dei
manufatti simbolici piuttosto tarda, databile al contesto della cosiddetta
rivoluzione del Paleolitico superiore, quando circa 40.000 anni fa in Europa
apparvero improvvisamente: l’arte rupestre, figure scolpite, strumenti ossei
decorati, e gioielli in osso, dente, avorio, guscio, o pietra.
Queste
scoperte portarono alla conclusione che la comparsa del pensiero astratto era
dovuto all’arrivo dell’Homo sapiens/Cro-Magnon.
L’Homo
sapiens sostituì le popolazioni euroasiatiche contemporanee come i Neanderthal
(eredi dell’Homo erectus e dei Denisovani). Popolazioni che erano considerate
ancora privi di pensiero simbolico e forse anche della lingua.
L’Homo
sapiens era uscito circa 100.000 anni fa dall’Africa del vicino oriente e si
era diretto verso il Sud-est asiatico perché era difficile contrastare i
Neanderthal e solo una rivoluzione culturale avrebbe consentito loro di
conquistare i territori neandertaliani.
La
presenza di un comportamento simbolico da parte dei Neanderthal sarebbe legata
all’uso, per l’ornamento del corpo, di pigmenti minerali, conchiglie spesso
colorate, artigli e piume di Aquila, per giungere all'arte rupestre.
Arte
rupestre che rappresenterebbe una testimonianza importante e suggestiva.
Nel
caso dei reperti paleontologici e degli utensili, la scarsità dei reperti
fornisce poche basi sulla cronologia della sua comparsa. La presenza di un
oggetto o un uso fornisce una sua età minima, dimostrando la sua presenza
almeno da quel momento, ma non consente di sapere da quanto tempo prima era
adottata. In base a questa definizione è possibile come la cultura simbolica
sia più antica e si collochi prima dell’arrivo dell’Homo sapiens in Europa.
I
pigmenti ocracei sono evidenti da 100.000 anni e nel 2002 furono rinvenuti in
Sudafrica ciottoli incisi risalenti a circa 80.000 anni fa.
Più
antiche erano le conchiglie forate e dipinte con ocra rinvenute in vari siti
della costa mediterranea dell’Africa.
Gli
studi sui reperti fossili di Atapuerca e di Sima de Los Tonios, risalenti a
50.000 anni fa, dimostrarono la presenza di strutture vocali ed uditive. Erano
reperti fossili appartenenti all’Homo heidelbergensis, antenato del
Neanderthal. Erano strutture che mostrarono la capacità di produrre e percepire
suoni emessi durante la moderna lingua parlata umana.
L’Homo
heidelbergensis è considerato l’antenato
comune sia del Neanderthal che dell’Homo sapiens. Questo aspetto dimostrerebbe
come la basi o radici del linguaggio potrebberoessere molto più antiche di
quanto ritenuto fino a pochi anni fa e che erano presenti proprio nell’antenato
comune sia del Neanderthal che dell’Homo sapiens.
La
cultura dei neanderthal fu sempre descritta come una cultura ferma, stabile per
migliaia di anni e la facies Chatelperroniana (ultima parte del Paleolitico
Superiore e vicina alla fine dei Neanderthal) fu considerata come un’imitazione
dei Neanderthal della cultura dei
Sapiens.
Le
conchiglie, datate 100.000 anni fa e ritrovate nella grotta di Qazfef, furono
usate per fare una collana (la prima corda o filo della storia). I fori erano
naturali ma le conchiglie mostravano segni di colore di pigmento ocraceo.
Un
sito Musteriano e quindi dei Neanderthal.
Numerosi
sono i siti dei Neanderthal con tracce di espressioni artistiche di alta
sensibilità e collegati ad un pensiero simbolico.
In
Crimea un osso di corvo decorato e nella Cueva de Los Aviones (Cartagena)
furono rinvenute conchiglie forate dipinti con vari pigmenti. Pigmenti ottenuti
con miscele molto complesse.
La
datazione di queste conchiglie?
Fu
applicato il metodo Uranio-Torio e fu utilizzato un sedimento immediatamente
posto al di sopra delle conchiglie. Fu ottenuta un’età minima dei reperti tra
115.000 – 120.000 anni fa.
Una
datazione perfettamente compatibile con la storia della grotta. Infatti, prima
della deposizione di questo sedimento, la grotta era sotto il livello del mare
ed emerse quando il mare si ritirò circa 118.000 anni fa.
I
Neanderthal avrebbero abitato la grotta subito dopo la sua emersione.
In
merito alla partenità dei Neanderthal di alcune pitture rupestri, sono numerosi
i siti che confermerebbero questa discussa paternità (Estremadura, Andalusia,
Cantabria del Nord).
Le
pitture eseguite su una concrezione calcarea possono essere datate utilizzando
la stessa concrezione con il metodo Uranio-Torio.
La
concrezione sarà più vecchia della pittura oppure analizzando una concrezione
che l’ha ricoperta. In questo caso la pittura è più antica della concrezione
che l’ha ricoperta.La pittura prelevando un campione non viene rovinata. Si
tratta in una porzione infinitesimale, circa 10 milligrammi.
Nella
grotta di La Pasiega (Cantabria) fu ricavata una età minima di 65.000 anni; al
sud a Maltravieso (Estremadura) l’età minima fu di 67.000 anni; a Doña Trinidad
(Andalusía) la situazione fu estremamente complessa, essendo questa attività
ripetuta nel tempo in diverse fasi, tra i 67 e i 38 mila anni fa.
Le
date più recenti di Doña Trinidad sarebbero compatibili sia con la presenza di
neandertaliani che di sapiens, collocandosi più o meno nella fase di
sostituzione della vecchia popolazione con la nuova, ma per quelle più vecchie
di questo sito e per le altre pitture le datazioni non lasciarono alcun dubbio:
dato che a quei tempi H. sapiens non era ancora arrivato in Spagna,
queste opere erano dovute ai Neandertaliani, i quali – di conseguenza – erano
quindi dotati di pensiero simbolico come gli esseri umani moderni.
Soprattutto,
il corollario di questi risultati era che la capacità di simbolismo sia
molto più antica di quello che le testimonianze archeologiche abbiano finora
evidenziato perché doveva per forza essere appannaggio dell’antenato
comune fra noi e i neandertaliani circa mezzo milione di anni fa, come i
fossili di Atapuerca dimostrarono per il linguaggio.

L'impronta di una mano impressa
nella roccia 67.000 anni fa in falsi colori a Maltravieso.
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