La Donna Preistorica… mai citata nei libri di storia - Enciclopedia delle Donne - Capitolo Xx
...............................................
Indice:
Cava
Forbes – Gibilterra.
Grotta
Chagyrskaya (siberia) – La ragazza di Chagyrskaya.
Il
Parto e la maternità - Lo scheletro di “Tabun
1” (Monte Carmelo – Israele).
I
Bambini – Le orme di Le Rozel (Francia).
Il
Rapporto Madre – Figlia.
La
Donna era molto attiva nella comunità.
Vindja
(Croazia).
Monte
Carmelo (Israele) – Lo shelrto di “Tabun 1” – Dorothy Anne Elizabeth Garrod
(Archeologa).
El
Sindron (Asturie – Spagna).
Il
motivo per cui furono rinvenuti pochi resti femminili rispetto a quelli
maschili.
La
Grotta “La Ferrassie” – Savignac de Miremont (Francia) – Nei ciottoli è
raffigurata la vulva.
La
Pittura Femminile – Marja Gimbutas (Archeologa) – La Grotta Chauvet – La
grotta dei Cervi.
.....................................................................
La
donna Neanderthal aveva una sua importante funzione nella comunità.
Ma
cosa si sa di lei?
La
Donna Neanderthal ha vissuto, con il suo compagno di vita, nell’Europa, dal
Mediterraneo alla Siberia per circa 250.000 anni.
Un’eternità.. migliaia di anni in solitudine…condividevano
un mondo vergine.
Per
descrivere il momento cito un grande
giornalista e scrittore colombiano
Gabriel García
Márquez
che
nel 1982 fu insignito dall’Accademia di Svevia del Premio Nobel per la
Letteratura per il romanzo:
Cent’anni di
Solitudine
Il mondo era così
recente che molte cose erano senza nome e
per menzionarle
bisognava indicarle con il dito.
Per molto tempo, forse troppo, la donna
nella preistoria è stata raffigurata in un ruolo secondario. Una figura
passiva, chiusa nella grotta in attesa del ritorno dell’uomo.
Le
analisi biologiche ed archeologiche dei reperti rinvenuti superano la visione
di una figura passiva facendo emergere una donna indipendente, cacciatrice,
artista.
La
parola indipendente non deve trarre in inganno perché nella società neandertaliana
c’era una uguaglianza senza preconcetti, una cooperazione tra uomo e donna per
il bene comune alla luce della solidarietà e della compassione.
È
stato ipotizzato che dopo il parto la donna con i piccoli si dedicasse alla
creazione delle pitture rupestri (mani
di donne e bambini impressi nelle pareti delle grotte). Un modo per esprimere e rendere reale la loro
fantasia insieme a quella dei piccoli.
Le
antropologhe Cara Ocobock e Sarah Lacy, pubblicarono sulla rivista American Anthropologist come il
mito dell’uomo cacciatore e della donna passiva non era sostenuto da evidenze
scientifiche.
Studiando le differenze biologiche tra uomo e donna, la letteratura scientifica ha sempre evidenziato la superiorità del primo, fisicamente più adatto al ruolo di cacciatore per forza e resistenza.
Le
nuove ricerche degli ultimi anni hanno invece messo in evidenza dei nuovi potenziali vantaggi fisiologici
nelle donne.
Potenziali vantaggi che hanno posto le basi per una nuova visione del ruolo femminile nella preistoria e nel presente.
La dott.ssa Giulia Abbafati (laureata in Scienze Biologiche nell’Università di Roma Tre e laurea magistrale in Biologia Molecolare, Cellulare e della Salute) in un suo articolo evidenziò come i dati biologici hanno dimostrato nelle donne una straordinaria capacità di svolgere compiti fisici ardui in condizioni estreme, poiché dotate di una notevole resistenza fisica. Inoltre, era significativo il fatto che furono osservati molte più differenze biologiche all’interno di un gruppo dello stesso genere piuttosto che tra gruppi di donne e uomini.
Furono analizzati specifici aspetti biologici che rilevarono una fisiologica uguaglianza tra uomini e donne, dimostrando che le differenze (pur presenti) riguardavano le capacità di risposta. Capacità di risposta e che non erano tali da “ancorare” un sesso ai ruoli stereotipati a cui siamo abituati.
Furono osservate, per esempio, differenze nella composizione delle fibre muscolari. Le donne tendono ad avere più fibre muscolari di tipo I, mentre gli uomini hanno in genere più fibre di tipo IIa. Le prime sono quelle a contrazione lenta che producono energia più lentamente e quindi più adatte alla resistenza. Le fibre di tipo IIa, dette anche glicolitiche ossidative rapide, sono sostanzialmente in grado di produrre energia a velocità, potenza e tempo di affaticamento intermedi. Altra conosciuta differenza fisiologica è il diverso livello di estrogeni (ormoni sessuali femminili) presenti nell’organismo di donne e uomini; nelle prime sono presenti a livelli elevati, negli uomini è invece presente il testosterone come ormone sessuale caratterizzante e a livelli maggiori rispetto agli estrogeni. Gli estrogeni sono ormoni necessari in tutti gli esseri umani perché svolgono numerose funzioni. Il loro ruolo nel metabolismo degli acidi grassi determina nelle donne una particolare resistenza durante l’attività fisica. Sappiamo che questo oggi può influenzare le prestazioni atletiche, nel passato poteva avvantaggiare le donne cacciatrici. Questi ormoni, infatti, permettono di utilizzare gli acidi grassi immagazzinati rispetto al glicogeno (riserva del glucosio) e questo può essere a tutti gli effetti considerato un vantaggio in quanto l’utilizzo preferenziale di acidi grassi ritarda l’affaticamento e preserva scorte di glicogeno che possono essere utilizzate in seguito a un’attività faticosa e di lunga durata. Inoltre, recenti studi hanno dimostrato che gli estrogeni possono favorire il flusso sanguigno e l’angiogenesi (generazione di vasi sanguigni) nel muscolo scheletrico e questo porterebbe a un recupero più veloce dopo un’eventuale lesione. Anche dal punto di vista fisico la donna è quindi ben lontana dall’essere “inferiore” e aveva quindi le capacità necessarie per partecipare ad attività intense come appunto la caccia.
Per quale motivo, però, il corpo femminile si trova in un certo senso pre-adattato a sostenere sforzi anche molto intensi?
Le studiose rispondono al quesito focalizzando l’attenzione sulla gravidanza: è necessario che una donna incinta abbia una maggiore resistenza per poter conciliare tutte le attività e portarla a termine. Per questo servono una serie di caratteristiche strutturali e metaboliche. Queste però risulterebbero vantaggiose anche fuori dalla gravidanza, compatibili con lo svolgimento di attività come la caccia, la raccolta, la costruzione di utensili, ecc… Secondo le studiose non dovrebbe sorprendere questa straordinaria capacità di resistenza: è da questo adattamento che dipende la sopravvivenza della nostra specie. Escluse a priori dall’essere considerate cacciatrici, relegate alla maternità e alla raccolta da presunti vincoli biologici: i nuovi dati riassunti dalle antropologhe aiutano a demolire un altro stereotipo e a rivedere le nostre convinzioni in merito alla divisione del lavoro su base sessuale.
Studiando le differenze biologiche tra uomo e donna, la letteratura scientifica ha sempre evidenziato la superiorità del primo, fisicamente più adatto al ruolo di cacciatore per forza e resistenza.
Potenziali vantaggi che hanno posto le basi per una nuova visione del ruolo femminile nella preistoria e nel presente.
La dott.ssa Giulia Abbafati (laureata in Scienze Biologiche nell’Università di Roma Tre e laurea magistrale in Biologia Molecolare, Cellulare e della Salute) in un suo articolo evidenziò come i dati biologici hanno dimostrato nelle donne una straordinaria capacità di svolgere compiti fisici ardui in condizioni estreme, poiché dotate di una notevole resistenza fisica. Inoltre, era significativo il fatto che furono osservati molte più differenze biologiche all’interno di un gruppo dello stesso genere piuttosto che tra gruppi di donne e uomini.
Furono analizzati specifici aspetti biologici che rilevarono una fisiologica uguaglianza tra uomini e donne, dimostrando che le differenze (pur presenti) riguardavano le capacità di risposta. Capacità di risposta e che non erano tali da “ancorare” un sesso ai ruoli stereotipati a cui siamo abituati.
Furono osservate, per esempio, differenze nella composizione delle fibre muscolari. Le donne tendono ad avere più fibre muscolari di tipo I, mentre gli uomini hanno in genere più fibre di tipo IIa. Le prime sono quelle a contrazione lenta che producono energia più lentamente e quindi più adatte alla resistenza. Le fibre di tipo IIa, dette anche glicolitiche ossidative rapide, sono sostanzialmente in grado di produrre energia a velocità, potenza e tempo di affaticamento intermedi. Altra conosciuta differenza fisiologica è il diverso livello di estrogeni (ormoni sessuali femminili) presenti nell’organismo di donne e uomini; nelle prime sono presenti a livelli elevati, negli uomini è invece presente il testosterone come ormone sessuale caratterizzante e a livelli maggiori rispetto agli estrogeni. Gli estrogeni sono ormoni necessari in tutti gli esseri umani perché svolgono numerose funzioni. Il loro ruolo nel metabolismo degli acidi grassi determina nelle donne una particolare resistenza durante l’attività fisica. Sappiamo che questo oggi può influenzare le prestazioni atletiche, nel passato poteva avvantaggiare le donne cacciatrici. Questi ormoni, infatti, permettono di utilizzare gli acidi grassi immagazzinati rispetto al glicogeno (riserva del glucosio) e questo può essere a tutti gli effetti considerato un vantaggio in quanto l’utilizzo preferenziale di acidi grassi ritarda l’affaticamento e preserva scorte di glicogeno che possono essere utilizzate in seguito a un’attività faticosa e di lunga durata. Inoltre, recenti studi hanno dimostrato che gli estrogeni possono favorire il flusso sanguigno e l’angiogenesi (generazione di vasi sanguigni) nel muscolo scheletrico e questo porterebbe a un recupero più veloce dopo un’eventuale lesione. Anche dal punto di vista fisico la donna è quindi ben lontana dall’essere “inferiore” e aveva quindi le capacità necessarie per partecipare ad attività intense come appunto la caccia.
Per quale motivo, però, il corpo femminile si trova in un certo senso pre-adattato a sostenere sforzi anche molto intensi?
Le studiose rispondono al quesito focalizzando l’attenzione sulla gravidanza: è necessario che una donna incinta abbia una maggiore resistenza per poter conciliare tutte le attività e portarla a termine. Per questo servono una serie di caratteristiche strutturali e metaboliche. Queste però risulterebbero vantaggiose anche fuori dalla gravidanza, compatibili con lo svolgimento di attività come la caccia, la raccolta, la costruzione di utensili, ecc… Secondo le studiose non dovrebbe sorprendere questa straordinaria capacità di resistenza: è da questo adattamento che dipende la sopravvivenza della nostra specie. Escluse a priori dall’essere considerate cacciatrici, relegate alla maternità e alla raccolta da presunti vincoli biologici: i nuovi dati riassunti dalle antropologhe aiutano a demolire un altro stereotipo e a rivedere le nostre convinzioni in merito alla divisione del lavoro su base sessuale.
Riferimenti: Ocobock, Cara and Sarah Lacy. “Woman the hunter: The
physiological evidence.” American Anthropologist, vol. 126, no. 1, 1 Mar. 2024,
pp. 7-18, doi:10.1111/aman.13915. https://anthrosource.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/aman.13915
Le
donne si dedicavano anche alla raccolta
di vegetali ed insetti.
Molti
studiosi attribuirono proprio alle donne il merito della scoperta dell’agricoltura,
forse la più importante mai fatta dall’umanità.
Secondo questa teoria, le donne si erano specializzate nella raccolta di bacche
ed erbe commestibili e inoltre, passavano più tempo vicino agli accampamenti e
ai cumuli di rifiuti che il clan produceva. Sarebbero quindi state loro a rendersi
conto come un seme di cereale selvatico o di legume caduto o gettato via
germogliava in caso di pioggia, producendo una nuova pianta. Quando poi, nel
corso dell’Età mesolitica, nella Mezzaluna Fertile l’abbondanza dei cereali
selvatici permise di restare a lungo in uno stesso accampamento, la parte
femminile della comunità avrebbe inventato le prime tecniche di coltivazione,
interrando i semi in prossimità delle capanne e selezionando le specie più
adatte alla crescita.
Marylène
Patou-Mathis (un'accademica preistorica francese e una specialista del comportamento
dei Neanderthal e del popolo San - cacciatori-raccoglitori del deserto
del Kalahari in Botswana) scrisse un libro
La Preistoria è
Donna
Mise
in evidenza come il cambiamento culturale promosso dall’archeologia di genere
abbia dato una svolta allo studio dell’umanità e abbia permesso di ricostruire
con una maggiore oggettività il ruolo economico e culturale delle
donne nelle comunità preistoriche. Oggi si ha la possibilità di
indagare in modo più approfondito come fossero divisi i compiti tra uomini e
donne nelle società antiche, a chi spettasse dividere il cibo, chi si occupasse
di lavorare le materie prime e quali aspetti caratterizzassero il ruolo socioeconomico
delle donne nella società e la loro condizione man mano che i secoli passavano
e l’organizzazione sociale mutava.
I
dati archeologici dimostrarono infatti l’esistenza di donne
artiste, artigiane, cacciatrici, instancabili camminatrici e “interlocutrici di
altre tradizioni culturali” nei periodi in cui erano loro a
lasciare la loro comunità di appartenenza per unirsi ad altri gruppi a scopo
riproduttivo. E poi, si può davvero escludere l’idea che esistessero società
matriarcali o matrilineari?
Patou-Mathis
affrontò nel suo libro molti stereotipi di genere come quello della cultura
dello stupro sistematico associata al mondo preistorico.
Una
espressione con cui si intende la violenza sessuale come unica modalità di
accoppiamento e che non è supportata dai dati archeologici.
Piuttosto, come affermò l’autrice..
aver scartato a priori l’idea che già molti
millenni fa anche le donne scegliessero i loro
partner sessuali è stato un ottimo pretesto per
giustificare secoli di tolleranza verso la violenza sessuale contro le donne.
La
scrittrice criticò nel suo libro un aspetto, sempre legato al mondo preistorico,
riguardante l’assenza di donne artiste.
Anche
questo aspetto è legato a un’ideologia ottocentesca secondo la quale le donne
fossero, per loro natura, prive di potenza creativa e incapaci di
espressività ed espressione simbolica.
La verità è che la maggior parte delle opere parietali e mobiliari ritrovate
oggi risalgono a epoche così remote che è impossibile accertare di che sesso
fossero gli autori o le autrici. Tuttavia, alcuni studi recenti hanno
dimostrato che ben otto grotte tra Francia e Spagna sono state
decorate circa 25.000 anni fa da alcune donne con
la tecnica delle mani negative (che consisteva nel
dipingere con sostanze pigmentate e usare le mani come stencil, lasciando
quindi un’impronta “in negativo” all’interno dell’area colorata). Lo stesso
vale per la grotta di Cosquer alle Bocche del Rodano, dove c’è una
maggiore quantità di impronte femminili rispetto a quelle maschili e per la
grotta di Gua Masri, nel Borneo, a cui hanno partecipato sia uomini che
donne. Non ci sono motivi, quindi, per ritenere che l’arte preistorica fosse
appannaggio solo degli uomini e che alcune tra le pitture e
sculture più famose del paleolitico non possano essere state realizzate da
donne.
Parete dipinta con
la tecnica delle mani negative nella grotta di El Castillo, Cantabria. Foto:
Gabinete de Prensa del Gobierno de Cantabria. CC BY 3.0 es,
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=68591972
“Decostruire
gli argomenti sessisti, più ideologici che scientifici, è il compito che si è
data in particolare l’archeologia di genere, che è solo ai suoi primi vagiti.
La breccia è aperta e non si richiuderà prima che la donna abbia trovato il
giusto posto nella storia. La scienza preistorica gioca un ruolo fondamentale
in questa lotta, perché sonda gli abissi del tempo, giungendo laddove il
patriarcato dovrebbe trovare la propria giustificazione originaria….
Il
suo scopo, ovvero quello di dimostrare che il patriarcato non
riflette un ordine naturale, bensì un’ideologia colma di pregiudizi
che mira a imporre il controllo maschile sulle vite e i corpi delle donne, è
stato pienamente raggiunto. Per questo motivo è fondamentale che i futuri
sviluppi della ricerca storica, filosofica, antropologica e sociologica
procedano lungo questa strada per favorire un cambiamento culturale a beneficio
dell’umanità intera.
I
Neanderthal si estinsero circa 40.000 anni fa con l’arrivo della nuova specie
di Homo sapiens.
Il primo scheletro di Neanderthal ritrovato fu proprio quello di una Donna nel lontano 1848 nella cava di Forbes a Gibilterra.
Il primo scheletro di Neanderthal ritrovato fu proprio quello di una Donna nel lontano 1848 nella cava di Forbes a Gibilterra.
Prima della donna, nel 1826 fu rinvenuto nella stessa
zona (Forbes’ Quarry) lo scheletro di un bambino.
I due scheletri non furono subito identificati come
una nuova specie di ominidi. Il primo fossile umano catalogato fu scoperto a
Feldhofer, in Germania nel 1856. Due anni prima che Alfred Russel Wallace e
Charles Darwin presentassero la loro teoria sull’evoluzione.
Lo scheletro della donna fu rinvenuto dai cavatori
della Rocca di Gibilterra.
La calcite ricopriva interamente il cranio della donna
e, a prima vista, sembrò un vero e proprio pezzo di pietra. La calcite
nascondeva il suo aspetto: occhi enormi, arcate sopraccigliari molto
pronunciate e un cranio basso e lungo. La teoria delle origini umane come
scienza si svilupparono un decennio dopo il ritrovamento della donna. Solo nel
1863 la Donna di Gibilterra entrò nella ribalta mondiale.
Il merito fu di un medico con conoscenze anche
antropologiche. S’imbarcò su una nave diretta in Gran Bretagna per incontrare
Darwin che definì il ritrovamento del reperto
Un’esperienza meravigliosa.
Il reperto suscitò interesse solo dal punto di vista
anatomico mentre il suo potenziale sesso fu poco considerato.
Nella cronaca scientifica i reperti della cava di
Forbes e di Feldhoter affermarono la tesi sull’esistenza di un altro essere
umano antico cioè di una nuova specie di ominide.
Il cranio di
una donna adulta di Neanderthal scoperto nella cava di Forbes, a Gibilterra.
Museo di Storia Naturale di Londra.
Museo di Storia Naturale di Londra.
Solo verso la fine del XIX secolo e
l’inizio del XX secolo, con la scoperta di nuovi reperti fossili, il cranio di
Gibilterra iniziò a suscitare dei dubbi negli scienziati.
Il cranio non era di un uomo ma di
una donna.
Nonostante il volto sporgente, la
grande apertura nasale, il cranio appariva piccolo e le sopracciglia meno
sporgenti rispetto a quelli dell’uomo Neanderthal di Feldhofer.
Fu un’analisi di genetica antica a
svelare il mistero sul sesso del reperto.
Una polvere fine estratta dall'orecchio interno fu distillata fino a
raggiungere filamenti genetici, poi incastrati in una membrana di silice; lo
stesso costituente elementare degli utensili di pietra che l'avevano circondata
in vita. I ricercatori erano interessati principalmente alla sua età e alla sua
parentela con altre linee genetiche di Neanderthal, quindi il fatto che fosse
una donna era in un certo senso un fatto secondario.
L'archeologia
non fa eccezione ai pregiudizi contro gli interessi femminili in ambito
scientifico e umanistico. Fin dagli albori, la tendenza a concettualizzare le
origini profonde dell'umanità come popolate letteralmente da
" uomini delle caverne " ha portato a presentare presunte
attività maschili come le più visibili e interessanti. Una chiara dimostrazione
di ciò si trova nella materializzazione di queste visioni sotto forma di
ricostruzioni, sia disegnate che scolpite.
Il
primo schizzo in assoluto di un Neanderthal vivente immaginava il proprietario
del cranio di Forbes, scarabocchiato (casualmente durante una riunione) dal
biologo Thomas Huxley nel 1864. I suoi tratti decisamente scimmieschi non
lasciano traccia di carattere femminile. Infatti, per la maggior parte dei
successivi 160 anni, le donne di Neanderthal – se mai furono presenti
– tendono a essere meno numerose, localizzate in zone periferiche e limitate ad
attività "domestiche", tra cui la cura dei figli e la lavorazione
della pelle. Sono essenzialmente scenografie,
come dice l'antropologa Diane Gifford-Gonzalez, più che operatori
attivi impegnati nella scheggiatura della pietra o nella caccia e, inoltre,
spesso si nascondono in modo minaccioso in grotte buie.
Raffigurazione di una comunità di Neanderthal nel Perigord Preistorico. Francia
Sullo sfondo una donna rascia la pelle di un animale.
In primo piano un uomo lavora gli utensili.
Una donna, con un bambino, annuncia l’arrivo dei cacciatori che
recano un cervo su un bastone (fuori scena).
Una donna orna il primo piano.
Particolare del dipinto di Patrick Amblevert in
Périgorée en Périgorée (Armagnac 1989, P.7).
Ristampa della Editions Du Sud-Ovest.
Sullo sfondo una donna rascia la pelle di un animale.
In primo piano un uomo lavora gli utensili.
Una donna, con un bambino, annuncia l’arrivo dei cacciatori che
recano un cervo su un bastone (fuori scena).
Una donna orna il primo piano.
Particolare del dipinto di Patrick Amblevert in
Périgorée en Périgorée (Armagnac 1989, P.7).
Ristampa della Editions Du Sud-Ovest.
Approcci
più sfumati, a partire dagli anni '80, al genere e alla vita delle donne nella
preistoria successiva sono stati a malapena introdotti nella ricerca sui
primi Homo sapiens , per non parlare dei Neanderthal. Spesso
discussi indirettamente attraverso teorie sulla fertilità come potenziale
ragione della loro scomparsa avvenuta 40.000 anni fa, le donne di
Neanderthal sono state "protagoniste" solo poche volte nelle ricerche
recenti. Combinando resti di neonati e ossa pelviche raramente conservate, le
ricostruzioni del 2008 (Le dimensioni del cervello dei Neanderthal alla
nascita forniscono informazioni sull'evoluzione della storia della vita umana –
Rivista “PNAS))
e del
2009 (La forma del canale del parto dei Neanderthal e l'evoluzione del
parto umano – Rivista “PNAS”)
ci
hanno fornito informazioni sui precisi meccanismi della nascita dei
Neanderthal, mentre un altro studio degno di nota del 2006 ha preso in
considerazione direttamente le attività basate sul sesso, o meglio la loro
presunta assenza. In generale, tuttavia, nonostante metodi e analisi
archeologiche sempre più ingegnosi, l' esperienza di vita delle donne
di Neanderthal ha ricevuto relativamente poca attenzione.
Non considerare il
contesto biologico e sociale di metà della popolazione porterà a teorie
sbilanciate e potenzialmente perderà di vista prospettive chiave. Un
"fatto" che molti hanno sentito dire è che, contrariamente alla loro
reputazione storica di persone ottuse, i Neanderthal avevano cervelli più
grandi dei nostri.
Identificare
attraverso i reperti ossei il sesso di appartenenza non sempre è facile.
Malgrado
l’archeologia abbia a disposizione un discreto numero di scheletri parziali e migliaia di frammenti, troppo
spesso la parte più cruciale – il bacino – risulta mancante o danneggiata. In
sua assenza, le identificazioni provvisorie si basano sul presupposto che le
donne di Neanderthal tendessero ad essere più piccole e di corporatura più
esile. Su questa base, pochissimi dei corpi più completi sono stati descritti
come femminili.
Le
ricerche archeologiche cambiarono con l’avvento
della genetica antica, che
consentì non solo la conferma della
donna di Forbes, ma anche l'analisi di minuscole parti ossee.
Questo
consentì l’identificazione della donna trovata nella grotta di Chagyrskaya e
della donna di Vindija (Croazia).
Per
i ricercatori, anche avendo a disposizione campioni di DNA, non sempre possono
affermare delle tesi ben precise ma si devono affidare a delle ipotesi.
Gli
archeologi devono basarsi sulla comprensione biologica e antropologica di sesso
e genere. Sebbene sia altamente probabile che la maggior parte dei Neanderthal
si conformasse geneticamente e visivamente all'attuale classificazione sessuale
di maschio e femmina, in realtà queste non sono ben definite perché i corpi
sono disordinati. Ad esempio, sulla base delle persone viventi, circa un
Neanderthal su 2.000 potrebbe essere stato intersessuale.
In Siberia, nella grotta Chagyrskaya,
furono rinvenuti i resti di una famiglia Neanderthal. Una grotta che passò alla
storia attraverso il rinvenimento di fossili umani tra cui quello della ragazza
di Chagyrskaya.
Grotte de Chagyrskaya,
Sibérie, Russie © IAET SB RAS – S.I. Zelenkii
In questa grotta, nel Sud della Siberia, per la prima volta
nella storia dell’archeologia, furono rinvenuti i resti di una famiglia di
Neanderthal.
La letteratura scientifica dispone di conoscenze ben
precise in merito alla distribuzione dei Neanderthal nell’Eurasia occidentale,
fino appunto ai Monti Altai che contraddistinguevano l’estremo orientale della
loro distribuzione.
Una occupazione risalente a circa 430.000 anni fa e
protrattasi sino alla loro estinzione avvenuta verso 40.000 anni fa. Sono molte
le conoscenze, ormai acquisite, sui vari aspetti culturali dei Neanderthal. Ma
si hanno ancora poche conoscenze
sull’organizzazione sociale all’interno delle loro comunità e ancora
meno sulle loro relazioni genetiche.
Ricostruzione di Neanderthal al Natural History Museum – Vienna
Foto: Wikimedia Commons @Jakub Hałun
Foto: Wikimedia Commons @Jakub Hałun
Per
“organizzazione sociale” si intende
la dimensione, la composizione per sesso e la coesione spazio-temporale di una
comunità; per “comunità” un insieme di individui che
presumibilmente vivevano insieme nello stesso luogo. Con il termine “popolazione” si
indica invece un insieme di comunità ampiamente connesse in un’area geografica
più ampia.
La
ricerca venne pubblicata sulla rivista “Nature” con il titolo
“Genetic
insights into the social organization of Neanderthals”.
La
cava di Chagyrskaya si trova sulle sponde del fiume Charysh e fu oggetto di ricerca per oltre un
decennio.
Furono
rinvenuti resti ossei umani (Neanderthal) ed animali, in particolare bisonti e
cavalli, oltre a strumenti di pietra.
Materiale
archeologico risalente ad un periodo compreso tra 59.000 e 51.000 anni fa.
Una
zona che, secondo gli archeologici, era considerata di caccia per brevi periodi
nel corso delle migrazioni stagionali degli animali.
Nella
catena montuosa degli Altai furono rinvenute altre grotte con reperti simili ma
la grotta di Chagyrskaya aveva una sua particolare importanza perché fu la sede
e l’espressione di una comunità costituita da individui legati da parentele
molto strette. Parentele che vennero visualizzate grazie all’analisi del DNA
nucleare e mitocondriale.
Tra
i ricercatori anche il Premio Nobel per la Medicina Svante Paabo, il
paleogenetista Laurits Skov
e il genetista della popolazione Benjamin Peter del Max Planck
Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig (Germania).
Fu estratto e sequenziato il DNA a partire da 15 campioni di
denti e frammenti ossei
recuperati nella grotta di Chagyrskaya.
Le analisi portarono alla conclusione che i 15 campioni di DNA
appartenevano a soli 11 individui.
Lo stesso procedimento di estrazione ed analisi fu eseguito in un’altra grotta della zona e su
reperti ossei.
La grotta era quella di
Okladnikova, rifugio dei Neanderthal per la stessa epoca.
Grotta di Okladnikova (?)
Dai reperti di quest’ultima grotta furono ottenuti altri due genomi.
In totale si trattava di 13 individui di cui fu identificato anche il sesso:
- 7 maschi;
- 6 femmine.
Furono eseguite delle analisi per studiare la divergenza del DNA nucleare ed anche lo studio delle eteroplasmie del DNA mitocondriale per verificare il grado di parentela all’interno della comunità ed anche tra le due grotte.
La divergenza del DNA è tanto più bassa quanto più stretta e la relazione di parentela. Questo significa aver ereditato porzioni di genoma da antenati comuni vissuti di recente.
Per eteroplasmie del DNA mitocondriale s’intende invece la presenza nelle cellule di un individuo di copie differenti di DNA mitocondriale.
Le eteroplasmie possono essere trasmesse da madre in figlio, e generalmente persistono per 3 generazioni. Riscontrarne la presenza in due individui è indice di parentela per via materna.
Tra gli 11 abitanti di Chagyrskaya si scoprì quindi la presenza di due individui, un uomo e una donna in età adolescenziale, che condividevano metà del loro patrimonio genetico. Una situazione che può verificarsi tra fratelli o nel caso di un genitore e un figlio.
Per determinare la relazione tra i due, i ricercatori esaminarono il DNA mitocondriale, che viene ereditato come anticipato dalla madre, e risulterebbe quindi identico tra fratelli o tra madre e figlio, ma non tra padre e figlio. Il DNA mitocondriale risultò essere differente, portando alla conclusione che si trattava di un padre e una figlia.
Il padre inoltre mostrò una parentela stretta, rilevata tramite confronto delle eteroplasmie del DNA mitocondriale, con altri due individui di sesso maschile presenti nella grotta. I tre individui avevano quindi in comune una nonna. Ipotesi che purtroppo gli studi effettuati non consentirono di confermare o smentire. Ad ogni modo la parentela rilevata portò alla conclusione che i tre individui vissero nel medesimo periodo.
Altri due individui, un maschio e una femmina, evidenziarono tra loro una parentela di secondo grado. Anche per essi un legame così stretto da portare a concludere che siano vissuti nello stesso periodo storico. Nel complesso, il confronto tra gli 11 genomi, in 1/3 dei quali fu rilevata la presenza di lunghi segmenti di DNA caratterizzati da omozigosi (condizione che deriva da genitori con un antenato comune nel passato recente, entro circa 10 generazioni), racconta di una piccola comunità (di 10-20 individui). Un modello che nel mondo della biologia trova paragone nei gorilla di montagna, che solitamente vivono in comunità di meno di 10 individui, così come in altre specie minacciate.
I due abitanti della grotta di Okladnikov non mostrarono parentele tra loro né con gli abitanti della Chagyrskaya Cave. Erano due comunità distinte, afferenti alla medesima popolazione, tra le quali, come pare suggerire il DNA mitocondriale, vi siano stati contatti.
Il contatto tra le due comunità potrebbe essere stato mediato in particolare dalle donne. I ricercatori hanno infatti scoprirono come i DNA mitocondriali, ereditati per via materna, mostrassero una diversità genetica maggiore rispetto ai cromosomi Y, trasmessi per via paterna. La spiegazione potrebbe risiedere in uno spostamento delle donne tra diverse comunità.
“Penso che si possa dire che questa struttura sociale fosse quella prevalente tra i Neanderthal”,
affermò il paleogenetista Carles Lalueza-Fox, direttore del Museo di Scienze Naturali di Barcellona. Circa 10 anni fa infatti il suo team di ricerca visualizzò una situazione simile in una grotta spagnola. Una ipotesi che spinsea Lalueza-Fox a domandarsi se non siano state proprio le “donne migranti” dei Neanderthal a imbattersi ed accoppiarsi con l’Homo sapiens in altre aree dell’Eurasia.
Le grotte di Chagyrskaya e Okladnikov si trovano a un centinaio di chilometri da quello che è considerato un tesoro dell’archeologia: la grotta di Denisova, sito che è divenuto testimonianza dell’incontro tra Neanderthal e Denisoviani. Qui i Neanderthal giunsero in un’epoca antecedente a quella stimata per gli abitanti delle due caverne, circa 120.000 anni fa.
Molto interessante è notare che il confronto del DNA Neanderthal estratto dalle grotte di Chagyrskaya e Okladnikov con quello estratto dai reperti di Denisova e di una grotta croata abitata dai Neanderthal nel medesimo periodo storico (circa 50.000 anni fa) abbia evidenziato una maggiore prossimità genetica delle due comunità di Chagyrskaya e Okladnikov con i Neanderthal europei che con quelli vissuti a Denisova.
Spesso gli uomini e le donne si spostavano in gruppi. I ricchi periodi di caccia avrebbe potuto offrire l'opportunità di incontrare sconosciuti provenienti da ogni dove, e tali esperienze erano probabilmente tanto emozionanti quanto intimidatorie.
Il parto e la maternità
Il parto per le donne Neanderthal era un evento fisicamente doloroso, considerando i tempi, e nello stesso tempo emotivamente tumultuoso.
Gli studi delle ossa dei fianchi di uno degli scheletri femminili meglio conservati, trovato sul Monte Carmelo (Israele) nel 1932 e chiamato Tabūn 1, fanno pensare che la nascita avvenisse, però, in modo diverso: il bambino non doveva ruotare durante il parto e la testa sbucava lateralmente anziché rivolta all’indietro come per gli umani. Probabilmente, quindi, il parto era più rapido e c’erano meno rischi che il bambino restasse incastrato.
I crani dei bambini erano più lunghi e questo rendeva il parto difficile.
Doveva avvenire in un luogo protetto e sicuro, come una grotta o un rifugio dove passare anche le ore successive.
Naturalmente le compagne aiutavano la donna nel parto. I ricercatori osservarono alcuni parti dei bonobo e notarono come le femmine esperte sostenevano e proteggevano fisicamente la madre e alcune tenevano la testa del nascituro mentre emergeva.
Dopo la nascita , la gestante aveva bisogno di cure e di notevoli quantità di cibo per allattare. Questo rendeva il compito del gruppo difficile soprattutto per le nascite invernali quando il cibo scarseggiava.
Il parto per le donne Neanderthal era un evento fisicamente doloroso, considerando i tempi, e nello stesso tempo emotivamente tumultuoso.
Una volta partorito, iniziava la cura del neonato. Studi sui denti indicano che venivano allattati oltre l’anno di vita ma introducevano cibi solidi tra i sei e sette mesi, come gli umani. Quelli troppo piccoli per camminare venivano portati in braccio, probabilmente avvolti in pelli attorno al corpo della madre, che poteva anche allattarli durante gli spostamenti. Non si sa, infine, se tutte le donne fertili diventassero madri ma probabilmente, scrive Wragg Sykes, valeva per la maggior parte di loro.
I bambini/e Neanderthal trascorrevano molto tempo con i loro coetanei. Nelle culture di cacciatori-raccoglitori, si formavano bande di bambini, dai più piccoli fino ai giovani adolescenti, che esploravano e apprendevano sia abilità che relazioni attraverso il gioco e la ricerca di cibo. Tra le "tracce fossili" raramente rinvenute in rari siti, le impronte di giovani sono le più comuni, e le più sorprendenti sono quelle del sito dunale di Le Rozel in Francia.
Le Rozel (Francia)
Tracce di ominidi, impronta di una mano e di animali
Tracce di ominidi, impronta di una mano e di animali
Nel
villaggio paleolitico di Le Rozel (Normandia – Francia) furono rinvenute 257
impronte fossili (tra il 2012 ed il 2017). Impronte che rilevarono importanti
informazioni sulla vita sociale dell’Homo neanderthal.
L’importante
ricerca fu pubblicata sulla rivista scientifica “Journal of American Academy of
Sciences – Pnas) e rilevò le caratteristiche di vita del gruppo di Neanderthal:
dimensioni, struttura e composizione dello stesso gruppo.
Gli
storici e gli archeologi, sin dai primi rinvenimenti nei vari siti, acquisirono
una visione sulla vita in gruppo dei Neanderthal e le scoperte di Le Rozel
rilevarono dei dettagli di vita che erano sconosciuti.
“Prima di
Le Rozel, infatti, erano state trovate solo nove serie confermate di impronte
di Neanderthal: in Grecia, Romania, Gibilterra e Francia.
Il sito di El
Razel, con quello di El Sidròn in Spagna,
era l’unico a fornire informazioni attendibili sulla
composizione di questi gruppi sociali seppur producendo due modelli diversi:
il primo, quello di un gruppo composto per lo più di bambini e adolescenti, il
secondo, invece, per lo più di adulti.
I
dati archeologici generalmente forniscono dati sulla cultura materiale e sulle
attività del gruppo e un insieme di impronte, eccezionale nella loro
conservazione e nel numero, è in grado di rilevare un singolo momento di vita
del gruppo preistorico ed anche le specifiche legate a questo.
Le
impronte furono lasciate sul fango circa 80.000 anni fa e si sono conservate
nel tempo grazie alla sabbia spostata dal vento.
Il
sito era un’area occupata in modo stabile dalla comunità di Neanderthal.
L’analisi
morfometrica delle impronte ha consentito di visualizzare un gruppo costituito
da circa 10 – 13 persone per lo più bambini, (adolescenti circa il 90%) e da
alcuni adulti.
Su
257 impronte ben 88 era complete e tutte avevano una lunghezza variabile tra
gli 11,4 e i 28,7 cm. L’impronta più piccola aveva una lunghezza di 11,4 cm ed
era probabilmente di un bambino/a di circa due anni.
Le
impronte di Le Rozel corrispondono principalmente a bambini (64,1% per la
lunghezza, 47,0% per la larghezza) e adolescenti (rispettivamente 28,2 e
43,0%), mentre la classe di età adulta è meno rappresentata (7,2 e 10,0%).
L'impronta completa più corta (11,4 cm) corrisponde a un'età di 2 anni.
Le impronte più lunghe corrispondono a una statura media di 175 cm (sia per la lunghezza che per la larghezza) e furono probabilmente realizzate da un maschio, secondo i modelli di dimorfismo sessuale dei Neanderthal.
I piedi di Neanderthal erano più larghi di quelli degli umani moderni e dalle dimensioni rilevate, i ricercatori riuscirono a stimare l’altezza delle persone che l’avevano prodotte (individui alti tra i 65 e i 190 centimetri) e quindi a dedurne anche l’età. Da queste misure lo studio ha anche evidenziato che in questo gruppo vivevano Neanderthal molto più alti di quanto fino ad allora conosciuto.
Le impronte più lunghe corrispondono a una statura media di 175 cm (sia per la lunghezza che per la larghezza) e furono probabilmente realizzate da un maschio, secondo i modelli di dimorfismo sessuale dei Neanderthal.
I piedi di Neanderthal erano più larghi di quelli degli umani moderni e dalle dimensioni rilevate, i ricercatori riuscirono a stimare l’altezza delle persone che l’avevano prodotte (individui alti tra i 65 e i 190 centimetri) e quindi a dedurne anche l’età. Da queste misure lo studio ha anche evidenziato che in questo gruppo vivevano Neanderthal molto più alti di quanto fino ad allora conosciuto.
Le Rozel:
distribuzione individui per classe di età. (Fonte: studio Pnas)
Il
sito di El Rozel,dal punto di vista geologico, appartiene ad un sistema di
paleodune che si è formato nel Pleistocene superiore. È considerato il più
grande complesso icnologico dei Neanderthal fino ad oggi conosciuto.
Fu
scoperto negli anni ’60 e sottoposto a scavi dal 2012. Le centinaia di impronte
furono individuate e distribuite all’interno di cinque livelli stratigrafici.
Furono rinvenute con un ricco materiale archeologico e con tracce di animali.
Gli archeologici avanzarono delle ipotesi in merito alla destinazione d’uso del
sito. Un luogo dove si lavorava la carne e la pietra. Furono rinvenute anche
otto impronte di mani e i resti di molti animali.
Le
femmine giovani delle scimpanzé presentano delle azioni che vanno oltre al
rapporto madre-figlia.
Le giovani scimpanzé hanno la tradizione di portare dei bastoncini in un gioco simile a quello delle bambole. Con il gioco imitano la cura dei neonati. Un gioco che può durare molte ore … portano il bastoncino nel loro giaciglio e ci giocano. Un gioco molto presente nelle femmine e che cessa nel momento della nascita del primo cucciolo.
Le giovani non solo copiano dalle loro madre ma anche dai coetanei.
È impossibile individuare una fanciullezza distintiva nei due sessi. Un aspetto importante sarebbe legato allo sviluppo muscolare ed osseo che evidenziano una vita molto attiva per entrambi i sessi.
I piccoli, già in tenera età, imparano i fondamenti di vita in un ambiente dove si deve crescere in fretta per sopravvivere. Bambini/e di nove /dieci anni erano già in grado di tagliare il cibo tenendolo fra i denti. Denti già in tenera età usurati per aver masticato anche pelli di animali per ammorbidirla.
Le giovani scimpanzé hanno la tradizione di portare dei bastoncini in un gioco simile a quello delle bambole. Con il gioco imitano la cura dei neonati. Un gioco che può durare molte ore … portano il bastoncino nel loro giaciglio e ci giocano. Un gioco molto presente nelle femmine e che cessa nel momento della nascita del primo cucciolo.
Le giovani non solo copiano dalle loro madre ma anche dai coetanei.
È impossibile individuare una fanciullezza distintiva nei due sessi. Un aspetto importante sarebbe legato allo sviluppo muscolare ed osseo che evidenziano una vita molto attiva per entrambi i sessi.
I piccoli, già in tenera età, imparano i fondamenti di vita in un ambiente dove si deve crescere in fretta per sopravvivere. Bambini/e di nove /dieci anni erano già in grado di tagliare il cibo tenendolo fra i denti. Denti già in tenera età usurati per aver masticato anche pelli di animali per ammorbidirla.
Con
l’arrivo dell’adolescenza i bambini/e si ritrovano insieme ma il gioco tende ad
essere legato al loro genere.
Certo con l’arrivo della pubertà le fanciulle Neanderthal cominciarono a provare qualcosa di diverso e cominciavano a trascorrere molto tempo con le loro coetanee.
Probabilmente, considerando il loro sviluppo, le femmine Neanderthal cominciavano ad avere le mestruazioni fra gli 11 ed i 16 anni. Alcune cominciarono a provare disagio e dolore e, secondo le ricerche con donne cacciatrici-raccoglitrici, i cicli mestruali erano forse più brevi e duravano due o tre giorni. Certo la prima esperienza legata al ciclo fu traumatica per le fanciulle e impararono il suo significato forse dalla madre e dalla comunità.
Usavano le pelli degli animali che avevano ammorbidito da anni e le malattie infettive dovevano essere frequenti tanto da creare probabilmente un’alta mortalità.
Con il sopraggiungere della pubertà si apriva un nuovo aspetto di vita legato al sesso.
Per le fanciulle Neanderthal il sesso era collegato come conseguenza alla nascita del bambino/a?
Nasceva il concetto della riproduzione con i suoi legami alla paternità e alla creazione di una discendenza.
La letteratura scientifica affermò più volte come le donne lasciavano i loro gruppi o comunità per vivere in modo indipendente.
Le comunità degli scimpanzé e dei bonobo sono generalmente patrilocali e per questo motivo le femmine sono costrette a spostarsi per accoppiarsi.
Tra le comunità di cacciatori-raccoglitori il modello prevalente è matrilocale e cioè le ragazze rimangono con la madre.
Nella realtà gli spostamenti tra i gruppi sono molto vivi, spesso si parla anche di rapimento, e a volte sono i fratelli ad ospitarli. Dato il particolare isolamento dei gruppi di Neanderthal non c’erano molte opzioni per i partner sessuali e spesso avvenivano degli accoppiamenti tra parenti come fratelli, genitori e figli, cugini di vari gradi, ecc. Le persone, in questo caso, condividevano una certa quota di patrimonio genetico ereditato da un antenato comune. Questo aspetto determinava la consanguineità cioè un fattore di rischio di trasmissione di alcune malattie genetiche che, in quanto consanguinei, avevano una maggiore probabilità di condividere le stesse mutazioni genetiche.
Certo con l’arrivo della pubertà le fanciulle Neanderthal cominciarono a provare qualcosa di diverso e cominciavano a trascorrere molto tempo con le loro coetanee.
Probabilmente, considerando il loro sviluppo, le femmine Neanderthal cominciavano ad avere le mestruazioni fra gli 11 ed i 16 anni. Alcune cominciarono a provare disagio e dolore e, secondo le ricerche con donne cacciatrici-raccoglitrici, i cicli mestruali erano forse più brevi e duravano due o tre giorni. Certo la prima esperienza legata al ciclo fu traumatica per le fanciulle e impararono il suo significato forse dalla madre e dalla comunità.
Usavano le pelli degli animali che avevano ammorbidito da anni e le malattie infettive dovevano essere frequenti tanto da creare probabilmente un’alta mortalità.
Con il sopraggiungere della pubertà si apriva un nuovo aspetto di vita legato al sesso.
Per le fanciulle Neanderthal il sesso era collegato come conseguenza alla nascita del bambino/a?
Nasceva il concetto della riproduzione con i suoi legami alla paternità e alla creazione di una discendenza.
La letteratura scientifica affermò più volte come le donne lasciavano i loro gruppi o comunità per vivere in modo indipendente.
Le comunità degli scimpanzé e dei bonobo sono generalmente patrilocali e per questo motivo le femmine sono costrette a spostarsi per accoppiarsi.
Tra le comunità di cacciatori-raccoglitori il modello prevalente è matrilocale e cioè le ragazze rimangono con la madre.
Nella realtà gli spostamenti tra i gruppi sono molto vivi, spesso si parla anche di rapimento, e a volte sono i fratelli ad ospitarli. Dato il particolare isolamento dei gruppi di Neanderthal non c’erano molte opzioni per i partner sessuali e spesso avvenivano degli accoppiamenti tra parenti come fratelli, genitori e figli, cugini di vari gradi, ecc. Le persone, in questo caso, condividevano una certa quota di patrimonio genetico ereditato da un antenato comune. Questo aspetto determinava la consanguineità cioè un fattore di rischio di trasmissione di alcune malattie genetiche che, in quanto consanguinei, avevano una maggiore probabilità di condividere le stesse mutazioni genetiche.
La
donna era molto attiva nella comunità.
Probabilmente
la donna cacciava selvaggina di piccola taglia e spesso accompagnate dai
bambini e dagli anziani. Cacciavano anche specie di media taglia e spesso anche
cinghiali e cervi.
Nel
complesso dedicavano alla caccia lo stesso tempo degli uomini. Nella caccia
agli animali più grandi era rara la presenza delle donne. Affrontare animali
con le zanne o gli orsi che dormivano nelle tane era un compito che spettava
agli uomini.
Dal
punto di vista anatomico le donne Neanderthal avevano delle cosce relativamente forti, come quelle degli
uomini, mentre le gambe erano leggermente ridotte come conseguenza di abitudini
di movimento diverse. Gli uomini erano
abituati a scalare anche terreni molto accidenti e nella caccia erano costretti
a percorrere lunghi tragitti.
Le
braccia raccontavano una storia simile, con gli avambracci delle donne che venivano
allenati di più rispetto ai bicipiti. Inoltre, mentre gli uomini di Neanderthal
apparentemente usavano il braccio destro e quello sinistro in modo diverso
(paragonabile all'asimmetria nei tennisti professionisti), le braccia delle
donne erano sviluppate in modo più simmetrico forse perché spesso trasportavano
carichi pesanti con entrambe le mani.
Le
donne maneggiavano strumenti per la macellazione e la lavorazione delle pelli.
Il sangue e le membrane delle pelli fresche lasciavano
una particolare lucidatura sugli strumenti di pietra, mentre la laboriosa
raschiatura delle pelli secche produceva la sua distintiva lucentezza. Da
almeno 50.000 anni fa, esistevano persino speciali strumenti in osso
a punta arrotondata per le fasi finali di ammorbidimento e lucidatura, chiamati
"lissoir". Realizzati con le costole di animali più grandi come il
bisonte, avrebbero dovuto essere utilizzati con due mani; esattamente lo stesso
motivo che si nota nelle braccia delle donne di Neanderthal.
Da
notare la grande usura dei denti delle donne a causa del loro uso per
ammorbidire le pelli.
I
focolari era il fulcro della vita sociale attorno al quale si svolgevano le
varie attività di vita quotidiana all’interno della grotta.
Una
comunità basata sulla condivisione delle risorse, spesso precarie.
I
litigi, così come in qualsiasi comunità, erano frequenti sia tra gli uomini che
tra le donne soprattutto per la popolarità.
Ma
la vita emotiva della donna Neanderthal era anche incentrata sull’affetto che
veniva espressa in vari modi: attraverso la fornitura del cibo, doni, aiuto ai
malati che venivano assistiti nelle loro sofferenze fino alla guarigione.
La
donna Neanderthal aveva anche un ‘altro compito importante e cioè quello di
dare luce alla discendenza.
Nel
2011 (?) il genoma dei Neanderthal fu sequenziato, in uno studio di alcuni
ricercatori, su tre donne che furono rinvenute a Vindija in Croazia.
Un
sito archeologico che fu associato all’uomo di Neanderthal e all’Homo sapiens.
Un
aspetto importante perché dimostrerebbe la copresenza nella grotta delle due
specie.
Sembra
che donne Neanderthal abbiano dato alla luce figli di Homo sapiens e questi
ibridi sopravvissero per molte generazioni.
Le
analisi del DNA avrebbero confermato questa ibridazione tra Homo sapiens e
Donne Neanderthal.
Antonio
Rosa Gonzàles (biologo e paleoantropologo presso l’Università Complutense di
Madrid – professore del CSIC del gruppo de Paleoantropologia nel Museo
Nazionale de Ciencias Naturales di Madrid -
Collaborò negli scavi del sito di Atapuerca - Coordinò gli studi sopra l’Homo di
Neanderthal nella Cueva di Sidròn - Asturias e
partecipò al progetto “Genoma Neanderthal”)
Sono stati
rinvenuti molti meno resti di donne di Neanderthal rispetto a quelli di uomini.
Secondo
il Gonzàles non vi furono mai più di 15.000 Neanderthal in vita
contemporaneamente.
La letteratura
archeologica riconosce circa 465 individui (di cui quasi la metà immaturi).
E di queste, tra
90 e 100 potrebbero essere donne di Neanderthal. ….
Anche se sospetto
che potrebbero essere meno numerosi……….
Sono stati
ritrovati solo pochi fossili, salvati dalla pietra e dalla polvere del tempo.
Sono pochissimi
gli scheletri completi. Molari, una
mascella e, si spera, un bacino.
Uno
dei pochi scheletri di donna Neanderthal rinvenuti fu trovato sul Monte
Carmelo e fu chiamato “Tabun 1”.
Il
reperto fu trovato sul Monte Carmelo durante una campagna di scavi tra il 1929
ed il 1934. Fu trovato da Yusra, una donna del posto che faceva parte del team
guidato dall’archeologa Dorothy Annie Elizabeth Garrod.
Il
reperto era di una donna Neanderthal ed aveva un’età compresa tra 122.000 –
50.000 anni fa (una datazione ancora controversa).
Il
cranio presentava la dentatura superiore quasi completa ad eccezione di uno dei
terzi molari e lo scheletro post-cranico quasi completo.
Dorothy Annie
Elizabeth Garrod
Dorothy Garrod nel
tardo Musteriano della grotta di Shukbah in Palestina
Furono
trovate anche le ossa dell’anca che furono utilizzate per creare una
ricostruzione 3D volta a studiare il modo in cui le donne di Neanderthal
partorivano.
I
ricercatori scrissero un articolo che fu pubblicato nella rivista scientifica
PNAS.
Il canale del
parto ricostruito indica che il parto era difficile per le donne di Neanderthal
tanto quanto per gli esseri umani moderni, ma la forma del canale indica che
avevano un meccanismo di parto più primitivo.
Schema del canale
parziale di una donna sapiens confrontato con quello di Tabun,
la donna di Neanderthal.
la donna di Neanderthal.
I piccoli Neanderthal non
subirebbero il complesso processo di rotazione e svolta tipico della nostra
specie durante la nascita. Anche con delle difficoltà, dovute alla piccola
differenza tra le dimensioni della testa del feto e quelle del canale del
parto, nascerebbero in modo più semplice del nostro.
Le
adolescenti Neanderthal abbandonavano le loro tribù alla ricerca di nuovi
compagni.
I maschi rimangono
nel territorio della prole e sono le femmine a cambiare gruppo.
Uno
studio condotto sui tredici Neanderthal di El Sidrón (Asturie)
ha dimostrato che furono loro ad abbandonare la tribù in cerca di nuovi
partner.
Nell'ambito dell'antropologia sono stati
recuperati più di duemila resti, corrispondenti alle ossa dell'intero scheletro
di almeno dodici individui : sei adulti, tre
adolescenti, due giovani e un bambino. È stata accertata l'esistenza di segni
di scarnificazione che indicherebbero il cannibalismo. L'analisi
paleopatologica di alcuni resti rivelava un notevole stress nutrizionale.
Nel
2005 fu pubblicata la prima sequenza del DN mitocondriale di un individuo di El
Sidrón (in quel periodo era la nona sequenza
di DNA di Neanderthal disponibile.
Dal punto di vista scientifico il DNA mitocondriale è un piccolo genoma circolare presente nel citoplasma della cellula, all'interno dei mitocondri, organelli cellulari responsabili della produzione di energia (ATP) nelle cellule eucariotiche, e sono considerati le "centrali energetiche" della cellula.
I mitocondri hanno un proprio DNA (mtDNA) che codifica per alcune proteine e RNA necessari per la produzione di energia. Il mtDNA è ereditato per via materna.
Grazie
a questa eredità materna e alle sue piccole dimensioni, è un marcatore
ampiamente utilizzato per ricostruire in modo comprensibile processi evolutivi
complessi.
Il DNA mitocondriale dei Neanderthal è diverso da quello di tutti gli esseri umani moderni, dai quali si sono differenziati circa 600.000 anni fa. A loro volta, tutti i DNA mitocondriali dei Neanderthal finora recuperati sono molto simili tra loro. Poiché la diversità genetica è correlata alle dimensioni della popolazione, ciò indica che i Neanderthal avevano una popolazione numericamente ridotta.
Nel sito di El Sindròn fu sviluppata una specifica metodologia di scavo per il recupero di campioni destinati a studi paleogenetici. Per ridurre al minimo il rischio di contaminazione dei campioni con DNA umano moderno, alcune ossa furono scavate in condizioni sterili, simili a quelle riscontrate nei laboratori di biologia molecolare, e immediatamente congelate per impedire la degradazione del materiale genetico. Grazie a questo protocollo anticontaminazione, El Sidrón partecipò al Progetto Genoma di Neanderthal e fu anche un sito che fece da guida nel recupero specifico dei geni nucleari dei Neanderthal.
Dal punto di vista scientifico il DNA mitocondriale è un piccolo genoma circolare presente nel citoplasma della cellula, all'interno dei mitocondri, organelli cellulari responsabili della produzione di energia (ATP) nelle cellule eucariotiche, e sono considerati le "centrali energetiche" della cellula.
I mitocondri hanno un proprio DNA (mtDNA) che codifica per alcune proteine e RNA necessari per la produzione di energia. Il mtDNA è ereditato per via materna.
Il DNA mitocondriale dei Neanderthal è diverso da quello di tutti gli esseri umani moderni, dai quali si sono differenziati circa 600.000 anni fa. A loro volta, tutti i DNA mitocondriali dei Neanderthal finora recuperati sono molto simili tra loro. Poiché la diversità genetica è correlata alle dimensioni della popolazione, ciò indica che i Neanderthal avevano una popolazione numericamente ridotta.
Nel sito di El Sindròn fu sviluppata una specifica metodologia di scavo per il recupero di campioni destinati a studi paleogenetici. Per ridurre al minimo il rischio di contaminazione dei campioni con DNA umano moderno, alcune ossa furono scavate in condizioni sterili, simili a quelle riscontrate nei laboratori di biologia molecolare, e immediatamente congelate per impedire la degradazione del materiale genetico. Grazie a questo protocollo anticontaminazione, El Sidrón partecipò al Progetto Genoma di Neanderthal e fu anche un sito che fece da guida nel recupero specifico dei geni nucleari dei Neanderthal.
La
base genetica di alcuni tratti del nostro aspetto, come il colore dei capelli e
della pelle, è nota da anni ed è relativamente semplice perché dipende da pochi
geni. Nel 2007, uno di questi geni, denominato MC1R, fu recuperato da uno degli
individui di El Sidrón e fu descritto come una variante genetica che causava un
cambiamento funzionale nel gene e che non era presente negli esseri umani
moderni. Studi condotti in vitro sulle cellule pigmentate stabilirono che la
perdita di funzionalità del gene MC1R dei Neanderthal era della stessa
intensità delle varianti di questo gene associate al colore rosso dei capelli
negli esseri umani moderni. Ciò indicava che alcuni Neanderthal avevano i
capelli rossicci. Questo studio dimostrò la possibilità di scoprire
caratteristiche fisiche che non troveremo mai nei reperti fossili.
Uno dei contributi scientifici più importanti di El Sidrón fu la scoperta nel 2007 di come i Neanderthal possedevano le stesse varianti genetiche degli esseri umani moderni nel gene FOXP2. Questo gene è fondamentale nella regolazione dello sviluppo delle aree neuronali coinvolte nel linguaggio e la sua inattivazione provoca vari problemi nella comprensione del linguaggio e nel linguaggio stesso. L'interpretazione più plausibile di questa scoperta è che i Neanderthal possedessero la capacità di parlare. A El Sidrón sono stati recuperati altri geni nucleari correlati ad aspetti fisiologici e percettivi di questi individui, come il gene del gruppo sanguigno ABO e il gene correlato alla percezione del sapore amaro. Sidrón è stato un pioniere nel creare un'immagine personalizzata dei Neanderthal.
Uno dei contributi scientifici più importanti di El Sidrón fu la scoperta nel 2007 di come i Neanderthal possedevano le stesse varianti genetiche degli esseri umani moderni nel gene FOXP2. Questo gene è fondamentale nella regolazione dello sviluppo delle aree neuronali coinvolte nel linguaggio e la sua inattivazione provoca vari problemi nella comprensione del linguaggio e nel linguaggio stesso. L'interpretazione più plausibile di questa scoperta è che i Neanderthal possedessero la capacità di parlare. A El Sidrón sono stati recuperati altri geni nucleari correlati ad aspetti fisiologici e percettivi di questi individui, come il gene del gruppo sanguigno ABO e il gene correlato alla percezione del sapore amaro. Sidrón è stato un pioniere nel creare un'immagine personalizzata dei Neanderthal.
Il
DNA mitocondriale viene ereditato esclusivamente attraverso la linea materna e
pertanto le relazioni genealogiche non possono essere definite con la
precisione fornita dai marcatori genetici del DNA nucleare. Possono però
fornire informazioni su aspetti quali le dinamiche riproduttive dei gruppi di
Neanderthal. Il recupero delle sequenze di DNA mitocondriale di dodici
individui di El Sidrón ha rivelato l'esistenza di soli tre lignaggi
mitocondriali distinti all'interno del gruppo (otto individui hanno lo stesso
lignaggio). Ciò suggerisce che si trattasse di gruppi familiari con scarsa
diversità genetica interna. I tre maschi adulti hanno la stessa linea
mitocondriale, mentre ciascuna delle tre femmine adulte ha linee diverse.
Questo schema si osserva negli attuali gruppi che praticano una strategia nota
come patrilocalità, in cui gli uomini tendono a rimanere nel gruppo in cui sono
nati mentre le donne cambiano nucleo familiare. Le relazioni genealogiche
potranno essere chiarite con la futura acquisizione di dati genetici nucleari.
Nelle
società dei Neanderthal veniva praticata l'esogamia femminile, il che significa
che erano le donne adolescenti a cambiare gruppo, a lasciare "casa".
Nelle società dei primati e negli esseri umani in generale, è più comune che
siano le femmine a cambiare gruppo.
A Sidrón abbiamo
visto che esiste la patrilocalità, che è un altro nome per lo stesso fenomeno……
Gli individui maschi rimangono nel territorio della loro prole e sono le
donne a cambiare gruppo.
Se fossero state
loro, le donne di Neanderthal, a partire alla ricerca di nuovi orizzonti,
questo spiegherebbe perché noi ibridi siamo il risultato dell'incontro tra un
maschio Sapiens e una donna di Neanderthal. Una donna di Neanderthal farebbe
parte di un gruppo di Sapiens, che sappiamo essere più numeroso e sofisticato,
e non ci vuole molta scienza per immaginare il resto della storia.
Ci sono indizi
genetici, ma in questo caso non siamo sicuri se si tratti di uno schema o di
una norma. Potrebbe essere stato un aneddoto, ma nei pochi casi che conosciamo,
l'ibridazione è il risultato di una donna Neanderthal e un uomo Sapiens.
Secondo
una ricerca condotta dagli scienziati del CSIC (Consejo Superior de
Investigaciones Científicas), la scarsa diversità genetica
dei Neanderthal era compensata dalla tendenza delle donne a spostarsi
verso altri gruppi. Questo comportamento era comune nel 70% dei gruppi moderni
di cacciatori-raccoglitori ed era noto come patrilocalità.
I
risultati furono ottenuti analizzando geneticamente il DNA mitocondriale
(ereditato dalla madre) di 12 Neanderthal scoperti nella grotta di El Sidrón
(Asturie) nel 1994. Lo studio, condotto dal genetista Carles Lalueza Fox
(Istituto di Biologia Evoluzionistica, CSIC‐Università Pompeo Fabra,
Barcellona), dal paleobiologo Antonio Rosas (Museo Nazionale di Scienze
Naturali del CSIC, Madrid) e dall'archeologo Marco de la Rasilla (Università
di Oviedo), sarebbe il primo ad aver sequenziato il DNA di un numero
significativo di Neanderthal appartenenti allo stesso gruppo.
I
risultati, pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of
Sciences , mostrano come i 12 individui appartengono a tre
diverse linee materna : sette di loro appartengono alla linea A,
altri quattro alla linea B e uno alla linea C.
Ciò
che è rivelatore dello studio è che, mentre le femmine adulte appartenevano a
linee genetiche diverse, i maschi condividevano la stessa linea.
Questo fatto è coerente con l'ipotesi che siano state le femmine a
spostarsi da un gruppo all'altro….. Infatti, alcune specie di primati lo
praticano.
Secondo l'articolo, i risultati di questa ricerca
potrebbero aiutare a definire le condizioni di sopravvivenza e fertilità in cui
vissero i Neanderthal e che alla fine portarono alla loro estinzione.
Ricostruzione di
un gruppo dei tredici Neanderthal che abitarono la grotta di El Sidrón, nella
zona oggi conosciuta come Piloña, nelle Asturie, 49.000 anni fa
Secondo
Rosas esistevano altri modi per trovare un partner ed evitare la
consanguineità.
È possibile che di
tanto in tanto gruppi che vivevano in territori isolati,
più o meno scollegati, si riunissero
sporadicamente, ad esempio per cacciare renne o bisonti.
Poi lavoravano
insieme tutta quella carne, ed è possibile che in queste occasioni
le giovani donne
si unissero a individui di altre tribù.
Il
motivo per cui furono rinvenuti pochi resti femminili rispetto a quelli
maschili..
Le ossa degli
uomini sono più robuste, e questo potrebbe averne favorito la conservazione. Ma
vale anche la pena notare che i resti maschili scoperti si trovano in tombe;
sono stati sepolti. Sebbene ci siano tombe femminili, sono molto meno numerose.
Vale la pena considerare se gli uomini siano stati sepolti più spesso o in modo
più visibile rispetto alle donne.
Antonio
Rosas sottolineò come
il minor numero di
donne di Neanderthal rinvenute ha portato a basare la
descrizione della
specie sull'archetipo che definisce l'uomo.
Diciamo che è un
modo per "rendere invisibili" le donne di Neanderthal.
L'immagine
che è emersa dei Neanderthal si basa su scheletri e resti maschili. Gli
scheletri più completi, quelli che consentono la migliore caratterizzazione, sono
quelli degli uomini. A tal punto da aver distorto il nostro modo di descriverli
come specie, con un cranio più voluminoso, una mascella più grande e arcate
sopracciliari molto robuste. Quelle caratteristiche che chiamiamo Neanderthal
sono molto più pronunciate negli uomini che nelle donne. La neanderthalità si
manifesta in modo più evidente negli uomini, ed è per questo che sembrano molto
diversi da noi.
Le donne di
Neanderthal sarebbero “meno diverse dalle donne Sapiens rispetto agli uomini.
…. Sarebbe più difficile trovare differenze tra loro e noi.
Sappiamo che
abbiamo ereditato da loro i geni dei capelli rossi e che la loro pelle avrebbe
dovuto essere chiara. Avevano un corpo tozzo, largo e molto muscoloso. Nelle
descrizioni delle donne pre-Neanderthal di Atapuerca si stima che potessero
pesare fino a 100 kg.
Secondo
l’immaginario collettivo le prime pitture rupestri sarebbero state create da
uomini Neanderthal. Gli studi
archeologici hanno dimostrato come questa tesi, legata sempre ad una
letteratura di parte e quindi mai obiettiva, sia falsa.
Infatti,
secondo nuovi studi, le donne Neanderthal sarebbero state le artiste della
maggior parte delle pitture rupestri.
L’archeologo
Dean Snow, dell’Università della Pennsylvania, studiò le impronte di mani
rinvenute in otto grotte in Francia e Spagna.
Confrontò
la lunghezza di alcune dita e stabilì che il 75% delle impronte erano di donne.
Il
ricercatore esaminò centinaia di impronte impresse nelle grotte europee.
Naturalmente, dopo decine di migliaia di anni, la maggior parte delle impronte
erano di difficile lettura perché sbiadite o sfocate. Non erano quindi adatte
per un’attenta analisi.
Nello
studio sono incluse le misurazioni di 32 impronte (16 rinvenute nella grotta di
El Castillo- Spagna, 6 nella grotta di Gargas – Spagna e 5 nella grotta di Pech
Merle – Francia).
L’analisi
fu complessa e il ricercatore utilizzò un algoritmo basandosi sulle mani di persone
di origine europea. Studiò la lunghezza
delle dita, la lunghezza della mano e il rapporto tra le varie dita. In questo
modo riuscì a determinare se un'impronta era femminile o maschile. Tuttavia,
l'algoritmo non era del tutto accurato: determinò il sesso con una precisione
del 60%.
Per
molto tempo si accettò la tesi che le raffigurazioni delle mani, e non solo,
fossero opera di uomini. C’erano molte supposizioni ingiustificate su chi
fossero gli autori e perché.
Ci
sono centinaia di impronte sulle pareti delle caverne in tutto il mondo,
mescolate a pitture rupestri raffiguranti animali, ad esempio bisonti, renne,
cavalli e mammut. Per questo motivo molti ricercatori attribuirono
l’espressione artistica a cacciatori maschi che immortalavano in questo modo le
loro imprese o comunicavano qualcosa. Tuttavia, lo studio suggerì il contrario.
Nella
maggior parte delle società di cacciatori-raccoglitori, gli uomini erano
responsabili della caccia, ma spesso erano le donne a riportare la selvaggina nell'insediamento,
quindi erano coinvolte nella caccia tanto quanto gli uomini.
Naturalmente
molti studiosi non furono concordi con la tesi di Snow.
Tra
questi l’archeologo Paul Pettitt dell’Università di Durham (Inghilterra)….
le impronte di
mani sono una categoria speciale di arte rupestre, poiché sembrano
rappresentare un chiaro collegamento tra noi e la società paleolitica. Pensiamo
di conoscerle, ma più indaghiamo, più superficiale diventa la nostra
comprensione.
Nella maggior
parte delle società di cacciatori-raccoglitori, gli uomini erano
responsabili della caccia, ma spesso erano le donne a riportare la selvaggina
all'insediamento, quindi erano coinvolte nella caccia tanto quanto gli uomini.
responsabili della caccia, ma spesso erano le donne a riportare la selvaggina
all'insediamento, quindi erano coinvolte nella caccia tanto quanto gli uomini.
Sullo
studio delle donne Neanderthal anche una ricerca dell’antropologo australiano
Peter McAllister che calcolò la forze del suo braccio. La sua ricerca si basò
sui rinvenimenti fossili del braccio di una donna (La Ferrassie 2) rinvenuti in
Francia nel 1909.
La Grotta
“La Ferrassie “ o “Abri” è un’ampia cavità fiancheggiata da due ripari
rocciosi all’interno di una rupe calcarea.
Il
riparo si trova vicino al paese di Savignac-de-Miremont ( a 4 km a Nord di le
Bugue e a 6 km ad Ovest di Les Eyzies) nella Nuova Aquitania. La grotta fu
abitata dai Neanderthal.
È
stato ipotizzato che le donne di Neanderthal partecipassero alla caccia grossa
proprio come gli uomini. Era una caccia molto pericolosa, una caccia
all'incontro, all'agguato. I Neanderthal non avevano proiettili, cioè non
costruivano lance sporgenti. Avevano lance che impugnavano con il corpo, con
quel corpo forte e robusto. Cacciavano un rinoceronte o un mammut
incontrandoli. E questo si può fare solo cacciando in gruppo.
È
molto probabile che le donne, dopo la sanguinosa caccia, impugnassero gli
strumenti da macellaio e preparassero le pelli degli animali che servivano da
riparo. Il sangue animale e le fibre di pelle fresca conferiscono agli utensili
di pietra una lucentezza distintiva, ed è per questo che sappiamo che venivano
utilizzati più di 50.000 anni fa.
E
avevano una divisione dei compiti. Analizzando i denti dei Neanderthal di El
Sidrón, abbiamo osservato che i segni su uomini e donne erano leggermente
diversi. Usavano i denti come una terza mano, per afferrare, strappare,
sbucciare, conciare pelli, fibre vegetali, ecc. Sappiamo dalle differenze nei
segni sui denti che svolgevano lavori diversi, ma non possiamo dire quali.
Erano
decorati? E così fecero. Matite color ocra, un materiale ferroso, sono state
trovate nelle fosse funerarie, con segni di usura tipici dovuti allo
sfregamento ripetuto sulla pelle. Ciò significa che si dipingevano il corpo. I
Neanderthal (anche se non è chiaro se fossero uomini o donne) sono associati a
ornamenti, perle di collana e spine dorsali fatte di piume di grandi rapaci, come
gli avvoltoi, lavorate per modellare quelli che dovevano essere pennacchi che
fungevano da ornamenti.
Svilupparono
una prima arte rupestre e i loro utensili in pietra sono indistinguibili da
quelli utilizzati dai Sapiens nel Vicino Oriente 100.000 anni fa.
Ci sono cervelli
che funzionano in modo diverso, che percepiscono il mondo in modo diverso, e le
donne di Neanderthal percepivano il mondo in modo diverso da noi.
E come vedeva il
mondo quella donna di Neanderthal? Sappiamo che l'universo cognitivo dei
Neanderthal era diverso dal nostro. Hanno marcatori genetici diversi e sappiamo
che quando vengono alterati, si verificano differenze cognitive. Alcuni
cervelli funzionano in modo diverso, percepiscono il mondo in modo diverso, e i
Neanderthal percepivano il mondo in modo diverso da noi. Non possiamo sapere
come.
Nella
grotta “ La Ferrassie” furono rinvenute delle sepolture tra cui
quella di un uomo detto “l’anziano di La
Ferrassie”. Il corpo fu trovato in una sepoltura particolare. Gli archeologi
respinsero l’idea di una morte accidentale nel luogo in cui fu rinvenuto e
quindi lasciato sul posto.
Il luogo non presentava aspetti di crollo risalenti a
quel periodo quando il riparo era più grande.
Il corpo non poteva essere lasciato sul pavimento
della grotta dopo la sua morte perché sarebbe stato rapidamente divorato dalle
terribili iene delle caverne. Il corpo era stato deposto dopo un particolare
rito funebre.
Fu trovato in un angolo del riparo su un terreno in
leggera pendenza verso il muro.
Il
terreno era formato dai detriti e dagli avanzi domestici dei precedenti
abitanti, gli Acheuleani. (Aveva un colore giallo mentre quello che circondava
lo scheletro era bruno-rossastro.) Il
cadavere aveva le gambe robuste ripiegate, seguendo probabilmente lo stesso
rituale degli scheletri negroidi degli strati inferiori della grotta dei
bambini di Mentone ( la "grotta dei bambini" a Mentone, al
confine tra Francia e Italia-Don ). Tre pietre erano state poste
intenzionalmente sul suo corpo: una sulla testa e due sulle spalle. Forse anche
le ossa animali martellate gli erano state intenzionalmente poste addosso,
secondo un rito speciale. Era stato poi coperto, forse con rami o pelli, forse
con un po' di terra e detriti del terreno. Ma certamente non era stato sepolto
in una fossa.
Protetto dalla vicinanza dei Musteriani che vivevano nel riparo, non fu
disturbato, se non da piccoli carnivori o roditori, che gli disseminarono le
ossa del piede e della mano destra.
(Musteriano
è un nome dato dagli archeologi ad un periodo in cui venivano usati attrezzi
prevalentemente di selce, associato principalmente con l'Homo neanderthalensis
e risalente al Paleolitico medio, la parte centrale del Paleolitico).
Gradualmente,
i detriti degli abitanti del riparo (terra, cenere, schegge d'osso e ciottoli
di selce) si sparsero su di lui come sul resto del riparo, probabilmente a
causa degli andirivieni degli abitanti della grotta. Si formò così sopra di lui
una stratificazione perfettamente regolare di depositi archeologici, come nel
resto del riparo e in successione di epoca in epoca, secondo l'evoluzione umana
in questo luogo. Sotto questo pesante e immutabile sudario, lo scheletro si
conservò. Il crollo del soffitto dell'abri e i successivi depositi completarono
quest'opera di conservazione che ha permesso di ritrovare il corpo in modo così
prodigioso, esattamente nella posizione in cui si trovavano i suoi
contemporanei tanti secoli fa.
Vista dello
scheletro al momento del ritrovamento.
Giaceva sugli strati acheuleani, circondato e ricoperto da depositi musteriani.
( È importante notare che lo scheletro non era stato seppellito, ma semplicemente adagiato sulla superficie del terreno, forse con una copertura rudimentale, forse con rami, pelli e terra).
Foto: Capitan e Peyrony (1910)
Giaceva sugli strati acheuleani, circondato e ricoperto da depositi musteriani.
( È importante notare che lo scheletro non era stato seppellito, ma semplicemente adagiato sulla superficie del terreno, forse con una copertura rudimentale, forse con rami, pelli e terra).
Foto: Capitan e Peyrony (1910)
Vista della testa in posizione,
prima della rimozione.
Foto: Capitan e Peyrony (1910)
Foto: Capitan e Peyrony (1910)
Homo
neanderthalensis , scoperto nel 1909.
Ricostruzione di La Ferrassie 1 & Co.
Circa 50.000 anni fa.
Adulto, alto 172 cm, circa 85 kg, capacità cranica 1600 cm³ .
Cranio lungo e piatto con area occipitale allungata.
Denti anteriori grandi, molari con camera pulpare allargata.
Mento sfuggente, zigomi stretti e leggermente sporgenti, viso piatto,
ampia apertura nasale, fronte bassa con arcate sopraccigliari discrete.
Corporatura robusta e tozza, adatta ai climi freddi, preferiva una dieta ricca di carne.
Foto: Don Hitchcock 2015.
Fonte e testo: Facsimile, Museo di Storia Naturale di Vienna,
Naturhistorisches Museum Wien.
Ricostruzione di La Ferrassie 1 & Co.
Circa 50.000 anni fa.
Adulto, alto 172 cm, circa 85 kg, capacità cranica 1600 cm³ .
Cranio lungo e piatto con area occipitale allungata.
Denti anteriori grandi, molari con camera pulpare allargata.
Mento sfuggente, zigomi stretti e leggermente sporgenti, viso piatto,
ampia apertura nasale, fronte bassa con arcate sopraccigliari discrete.
Corporatura robusta e tozza, adatta ai climi freddi, preferiva una dieta ricca di carne.
Foto: Don Hitchcock 2015.
Fonte e testo: Facsimile, Museo di Storia Naturale di Vienna,
Naturhistorisches Museum Wien.
Nel
riparo roccioso di La Ferraisse furono rinvenuti otto scheletri di Neanderthal:
adulti, bambini, neonati e due feti.
Le
sepolture risalivano a circa 70.000 (secondo recenti studi) - 50.000 anni fa.
Uno
dei pochi siti al mondo ad avere sepolture multiple contemporanee. I soggetti appartenevano
a diverse fasce d’età e quindi fornivano una ottima immagine della popolazione.
Una
comunità costituita da sette persone ed è una composizione sociale molto comune
nell’epoca dei Neanderthal. Comunità molto strutturate che si prendevano anche
cura delle persone anziane e più fragili mostrando una grande solidarietà e
condivisione.
Un
aspetto importante per il tempo in esame perché gli individui fragili non
contribuivano direttamente alla vita del materiale del gruppo.
Le
sepolture individuali, rinvenute nella cavità,
avevano l’obiettivo di proteggere il corpo del defunto dopo la morte.
Anche questo è un aspetto di grande umanità.
Nella
grotta furono rinvenuti gli scheletri di un maschio e di una donna, entrambi
adulti, che evidenziavano il dimorfismo sessuale nei Neanderthal.
I
rinvenimenti degli scheletri dei bambini e dei neonati permisero ai paleontologi di fare luce sulle
fasi di sviluppo dei Neanderthal.
La
morfologia delle ossa delle gambe e del piede dei reperti fossili umani dimostrarono,
senza ombra di dubbio, come la postura e l'andatura dei Neanderthal differivano
molto poco dagli esseri umani moderni. Oggi lo scheletro di La Ferrassie 1 è
considerato l'esempio "classico" dell'anatomia neandertaliana.
(L'espressione
"incisione a beccata" nel contesto del Paleolitico si riferisce ad un
tipo di incisione rupestre, realizzata con strumenti appuntiti come schegge di
selce o lame, che producevano segni lineari più o meno profondi).
Nei
pressi della grotta furono rinvenuti dei
ciottoli aurignaziani (cultura del Paleolitico superiore tra
musteriano-Neanderthal e solutreano-CroMagnon o Homo sapiens) che presentavano
segni iconografici, figure di animali e rappresentazioni sessuali femminili.
Incisioni
in massima parte a “beccata” e cioè un tipo di incisione realizzata con
strumenti appuntiti (selce, ecc) su una pietra dura.
La
datazione copriva il periodo aurignaziano, cioè più di cinque millenni fino al
perigordiano, 35.000 – 20.000 anni fa, con rari esempi.
Furono
rinvenuti numerosi ciottoli con impressa la raffigurazione della vulva.
La Ferrassie,
scultura aurignaziana (47.000 – 35.0000 anni fa) di una vulva.
Foto: Don Hitchcock 2008, 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Foto: Don Hitchcock 2008, 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Una scultura
aurignaziana raffigurante una vulva,
proveniente da La Ferrassie.
Si tratta più di una scultura che di un'incisione, con un pronunciato aspetto tridimensionale, evidente soprattutto nell'immagine a sinistra.
Foto: Don Hitchcock 2014.
Fonte: Originale, esposto al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies.
proveniente da La Ferrassie.
Si tratta più di una scultura che di un'incisione, con un pronunciato aspetto tridimensionale, evidente soprattutto nell'immagine a sinistra.
Foto: Don Hitchcock 2014.
Fonte: Originale, esposto al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies.
La scultura della
vulva qui sopra è stata scolpita in una breccia calcarea.
Nel primo piano a sinistra, si possono vedere frammenti di conchiglia e
corallo (il motivo a rete) incastonati nella matrice.
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: Originale, esposto al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Nel primo piano a sinistra, si possono vedere frammenti di conchiglia e
corallo (il motivo a rete) incastonati nella matrice.
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: Originale, esposto al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
La Ferrassie,
incisione aurignaziana di una vulva.
Foto: Don Hitchcock 2008, 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Foto: Don Hitchcock 2008, 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
La Ferrassie,
incisione aurignaziana di una vulva.
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
La Ferrassie,
immagini in alta definizione di un'incisione aurignaziana di una vulva.
Catalogo: MNP34.1.08
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Catalogo: MNP34.1.08
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
La Ferrassie,
Incisioni aurignaziane di vulve e cupole.
Foto: Don Hitchcock 2008, 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Foto: Don Hitchcock 2008, 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
La Ferrassie,
immagini in alta definizione delle incisioni aurignaziane di vulve e cupole.
Catalogo: MNP34.1.07
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Catalogo: MNP34.1.07
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Roccia incisa con
zampe di un animale a quattro zampe, oltre al contorno di una vulva e
numerose cupole, proveniente da Ferrassie.
Foto: Don Hitchcock 2014.
Fonte: Originale, esposto al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies.
numerose cupole, proveniente da Ferrassie.
Foto: Don Hitchcock 2014.
Fonte: Originale, esposto al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies.
Disegno della
roccia incisa sopra.
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Sembrerebbe che le
cupole e la vulva siano state incise per prime,
mentre le zampe del quadrupede sarebbero state aggiunte in un secondo momento.
La roccia potrebbe aver originariamente contenuto il contorno completo di un animale, per poi essere spezzata a metà da un lato all'altro.
La vulva e le cupole alla sua destra sembrano molto antiche e sbiadite.
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: Esposizione al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
mentre le zampe del quadrupede sarebbero state aggiunte in un secondo momento.
La roccia potrebbe aver originariamente contenuto il contorno completo di un animale, per poi essere spezzata a metà da un lato all'altro.
La vulva e le cupole alla sua destra sembrano molto antiche e sbiadite.
Foto: Don Hitchcock 2014
Fonte: Esposizione al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Il clasto inciso
n. 16 di La Ferrassie, Aurignaziano medio, con le cupole principali e il
presunto simbolo della vulva in evidenza.
Foto e testo: Rock Art Research 2008 - Volume 25, Numero 1, pp. 61-100 RG BEDNARIK
Foto e testo: Rock Art Research 2008 - Volume 25, Numero 1, pp. 61-100 RG BEDNARIK
Cosa
rappresenterebbe la vulva nell’arte preistorica?
Sarebbe
principalmente un simbolo di fertilità e di vita. Segnalava l’importanza della
donna come figura importante nella procreazione e nella continuità della
specie. Nel pensiero preistorico rappresentava il “grembo della rinascita”.
In
alcune comunità di cacciatori e raccoglitori, la rappresentazione della vulva
potrebbe indicare un elevato status sociale e una sicurezza per la comunità.
Probabilmente
la rappresentazione della vulva era il punto di arrivo di un pensiero di
conoscenza delle regole di funzionamento della natura. Un pensiero che si legava
alla regola della creazione e a quanto ad essa connesso, riconoscerla in se
stesse e comunicarla al mondo. La sessa raffigurazione stilizzata ha un suo
significato?
Il
triangolo pubico e la vulva venivano disegnato isolati e privi del corpo
femminile. Una raffigurazione legata al pensiero che il corpo femminile fosse
la grotta-terra madre stessa?
Altri
rinvenimenti nella grotta “La Ferrassie”.
Scoperta dello
scheletro di La Ferrassie 2, ritrovato nel luogo coperto da un panno bianco
in primo piano in basso nella foto.
Foto: foto originale di MNP, scavo di D. Peyrony.
Rifotografia: Don Hitchcock, 2008, dalla mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
in primo piano in basso nella foto.
Foto: foto originale di MNP, scavo di D. Peyrony.
Rifotografia: Don Hitchcock, 2008, dalla mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Il rinvenimento di
un feto di 7 mesi che fu inumato
in una depressione ovale poco profonda e coperto da un monticolo di terra.
Testo: Dalla mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Foto: Don Hitchcock 2008
Artista:© Emmanuel Roudier, 2008in una depressione ovale poco profonda e coperto da un monticolo di terra.
Testo: Dalla mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Foto: Don Hitchcock 2008
Fonte: Esposizione al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
I resti, pochi
frammenti del cranio e alcune ossa, del feto di sette mesi.
Diversi splendidi raschiatoi in selce sono stati rinvenuti nelle vicinanze.
Si tratta finora dell'unico caso noto di sepoltura deliberata di un neonato
prematuro in tutto il Paleolitico.
Foto: Don Hitchcock 2008
Diversi splendidi raschiatoi in selce sono stati rinvenuti nelle vicinanze.
Si tratta finora dell'unico caso noto di sepoltura deliberata di un neonato
prematuro in tutto il Paleolitico.
Foto: Don Hitchcock 2008
I reperti fossili
del bambino, chiamato “Ferrassie 3”, di età compresa tra
i cinque ed i sette anni.
Fu sepolto in una fossa emisferica svasata ai bordi, di dimensioni (70 x 40 x 60) cm.
I suoi resti scheletrici si sono stranamente conservati: alcune parti fragili sono sopravvissute,
altre molto più solide sono scomparse.
Questa situazione, non dovuta a problemi di scavo, ricorda il caso di Saint-Césaire e
cioè un possibile intervento successivo con la prima sepoltura, che indicherebbe
un'ulteriore complessità nelle cerimonie funerarie dei Neanderthal.
Foto: Don Hitchcock 2008
i cinque ed i sette anni.
Fu sepolto in una fossa emisferica svasata ai bordi, di dimensioni (70 x 40 x 60) cm.
I suoi resti scheletrici si sono stranamente conservati: alcune parti fragili sono sopravvissute,
altre molto più solide sono scomparse.
Questa situazione, non dovuta a problemi di scavo, ricorda il caso di Saint-Césaire e
cioè un possibile intervento successivo con la prima sepoltura, che indicherebbe
un'ulteriore complessità nelle cerimonie funerarie dei Neanderthal.
Foto: Don Hitchcock 2008
I resti di un
bambino di tre anni.
Uno dei meglio conservati per questa fascia d'età.
Fu sepolto, con gli arti inferiori piegati, in una fossa trapezoidale scavata nel terreno.
Lo scheletro era completo e intatto, ad eccezione del cranio, apparentemente separato,
ma recuperato a breve distanza.
Foto: Don Hitchcock 2008
Testo: adattato e tradotto dalla mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Fonte: Originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Uno dei meglio conservati per questa fascia d'età.
Fu sepolto, con gli arti inferiori piegati, in una fossa trapezoidale scavata nel terreno.
Lo scheletro era completo e intatto, ad eccezione del cranio, apparentemente separato,
ma recuperato a breve distanza.
Foto: Don Hitchcock 2008
Testo: adattato e tradotto dalla mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Fonte: Originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Resti fossili del
bambino “Ferrassie 8”
Fu trovato in un’area circolare vicino al fondo del riparo.
Presentava cattive condizioni di fossilizzazioni attribuite a cause naturali.
Foto: Don Hitchcock 2008
Fonte: Originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Fu trovato in un’area circolare vicino al fondo del riparo.
Presentava cattive condizioni di fossilizzazioni attribuite a cause naturali.
Foto: Don Hitchcock 2008
Fonte: Originale, mostra al Musée National de Préhistoire, Les Eyzies
Nella grotta furono rinvenute le “cupole nella pietra”. Questo tipo di incisioni si riferiscono ai graffiti su rocce che possono includere non solo figure ma anche disegni geometrici o altre forme.
L’espressione “cupole nella pietra” può essere interpretata in due modi:
- Incisioni create in modo tale da dare un effetto simile ad una cupola così come per i cerchi o altre forme geometriche che creano profondità;
- incisioni che possono anche raffigurare vere e proprie strutture, inclusi archi, cupole o altri elementi architettonici.
Nella grotta di La Ferrassie furono rinvenute delle pietre che presentavano dei fori circolari e profondi ricavati nella pietra.
Furono considerate le più antiche cupole d’Europa e la più antica arte rupestre trovata nel continente.
Nella sepoltura neandertaliana n. 6, sempre nella grotta di La Ferrassie, fu rinvenuto il corpo di un bambino.
Sulla sepoltura fu collocata una grande lastra calcarea. La lastra calcarea presenta incisi 18 cupole e fu disposta in modo tale che le stesse cupole fosse rivolte sul lato inferiore cioè verso il corpo del bambino.
Una sepoltura risalente ad un periodo compreso tra 70.000 e forse 40.000 anni fa.
Guardando la figura si nota subito come 16 delle
cupole sono disposte a coppie.
Il significato di queste cupole?
La risposta non è facile. La lastra fu deposta sopra una sepoltura e
probabilmente aveva un significato legato ad un misterioso rito cultuale. Che
significato davano i neandertaliani a questa particolare deposizione?
La Ferraisse –
Roccia con cupole
La Ferraisse –
Pietra con cupole
Foto: Don Hitchcock 2018
Collezioni del Museo Nazionale di Preistoria – Les Eyzeles-de-Tayac
Foto: Don Hitchcock 2018
Collezioni del Museo Nazionale di Preistoria – Les Eyzeles-de-Tayac
Pittura
femminile nella Preistoria
Tratto da Marija Gimbutas – Vent’anni di studio sulla Dea – Atti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014.
Nelle
grotte, testimoni della presenza di comunità paleolitiche, l’arte e le forme
delle pareti richiamano simbolismi femminili?
Molti
archeologi nello studio delle immagini paleolitiche, presenti in molte grotte,
parlarono anche della rappresentazione di un universo femminile. Questi
simbolismi erano la diretta espressione di donne artiste ed esponenti della
larvale compagine spirituale di allora? Le impronte delle mani femminili, altre
immagini anche stilizzate o certe raffigurazioni sulla roccia di parti del
corpo femminile, confermerebbero la presenza di un mondo o universo femminile.
La
storia non fu scritta solo da uomini ma anche da donne spesso celate dalla
realtà dei fatti.
Perché
si parla sempre di uomo preistorico e mai di donna preistorica?
Come
se la donna fosse un elemento secondario nella comunità sociale di allora.
Interessante
fu lo studio della grande e dimenticata archeologa Marija Gimbutas.
Cosa
deduciamo quando l’arte e le forme delle pareti di due imponenti santuari
preistorici, come grotta Chauvet nell’Ardeche in Francia e Grotta dei Cervi a Porto Badisco in Italia, richiamano
in larga misura fra gli altri, simbolismi femminili?.
L’archeologa
Marija Gimbutas in un convegno prese come riferimento due grotte per parlare
dell’universo femminile nei gradi santuari preistorici.
Le due grotte:
- La grotta Chauvet (Ardeche – Francia)
- La grotta dei Cervi
Dopo
oltre un secolo di ricerche sull’arte preistorica, furono proposte ricostruzioni di ampia veduta sul ruolo
femminile nel Paleolitico e che tra gli artisti delle caverne ci siano state
anche delle donne. Nel dicembre del 2012, presso il Museo Archeologico di
Madrid, fu inaugurata una mostra intitolata
“Arte sin
Artistas. Una mirada al Paleolìtico”
la
locandina e la copertina del catalogo riportarono l’immagine di una pittrice
intenta a realizzare i superbi bisonti di Altamira.
Una
donna-artista, dunque, protagonista unica di quell’evento “ancestrale” che ha
prodotto alcune tra le più belle pitture dell’umanità. Ma la giovane pittrice era
anche madre, infatti era accompagnata da una bambina e stringeva al petto
un neonato nel porte-bébé. Tale ambientazione era una novità che anticipava una
visione diversa sull’arte dei primordi e, se pur vagamente New Age o
addirittura sessista, apriva uno squarcio su una realtà prossima al vero,
specie se saranno confermati e affinati gli studi sulle impronte delle mani.
Il quadro sarebbe
opera di Diego Rodríguez de Silva y
Velázquez intorno al 1656.
Museo del Prado - Madrid
Dal
2004, infatti, è iniziata una nuova fase di ricerche sulle impronte di mani
lasciate in negativo (dette stencil) sui muri delle caverne, grazie ad un
parametro identificativo stabilito alcuni anni prima dal biologo britannico
John Manning. Quest’ultimo, con altri ricercatori, ha fatto scoperte
sull’incidenza degli ormoni nei primi mesi di vita fetale, da cui risulta come
il testosterone influenzi la lunghezza dell’anulare e gli estrogeni agiscano
sullo sviluppo dell’indice. Oltre a ciò, Manning ha effettuato una lunga serie
di misurazioni di mani e trovato un rapporto ricorrente tra la lunghezza
dell’indice e dell’anulare su uomini e donne tra Europa e Caucaso. Su questi
dati ha concluso che tendenzialmente nelle donne l’indice e l’anulare hanno
lunghezze simili, mentre negli uomini l’anulare è solitamente più lungo
dell’indice.
Nel
2004 Kevin Sharpe e Leslie Van Gelder, specialisti di tracciati digitali
paleolitici, sono stati i primi a fare ricerche in tal senso, seguiti da
Jean-Michel Chazin (ricercatore francese del CRNS) e da Dean Snow (docente
della Pennsylvania State University). Da questi studi è emersa una
significativa incidenza di mani femminili nelle caverne di Gargas, Peche-Merle
El Castillo (esaminate da Dean Snow) e Gua Masri II nel Borneo (esaminate da
Chazin). Se si considera che le impronte siano state anche “marchi di
fabbrica”, firme di artisti e di coloro che ebbero un legame simbolico con le
immagini sulle pareti, si può dedurre che l’arte delle caverne sia stata
eseguita non solo anche da donne ma forse in prevalenza da queste. In
particolare Chazin ha messo a punto un software, Kalimain, in collaborazione
con Arnaud Noury, proprio basandolo sul rapporto 2Digital (indice) :4Digital
(anulare) abbreviato 2D:4D o anche indice di Manning. Nel 2006, Nelson, Manning
e Sinclair hanno pubblicato un articolo nel quale considerano positivi e
promettenti i risultati degli studi sulle impronte paleolitiche ma aggiungono
che il metodo 2D:4D, pur se utile, resta probabilistico e adatto essenzialmente
alla misurazione delle mani, dalle cui grandezze si può trarre una statistica
d’ordine sessuale.
Il
metodo delle mani è una via da percorrere, almeno per risalire alla taglia e
all’incidenza tipologica delle impronte ma resta, finora, un procedimento in
più da associare ai risultati delle altre discipline, quali: paletnologia,
etnologia, archeo-mitologia, archeo-psicologia, sociologia, ecc. Lo sforzo
congiunto di queste produrrà risultati e identikit sempre più attendibili. Gli
studi di etnologia e di sociologia, per esempio, stanno ricostruendo quei
meccanismi sociali che potrebbero anche risalire ai Cro-Magnon. Ruoli,
competenze, pratiche della contemplazione e della trascendenza che vedono le
donne pienamente protagoniste nella vita sociale dei Clan con posizioni di
rilievo come sciamane, curandere, artiste, cacciatrici, esperte di erbe, donne
dell’incanto e altro.
Non
è impossibile che ciò sia avvenuto anche tra i Cro-Magnon, quando l’asilo era
gratis e senza orari e le faccende quotidiane erano ben lontane dal tedio della
nostra economia domestica.
L’ausilio
delle scienze esatte come la statistica, la chimica e la fisica, lo studio del
DNA invece stanno fornendo notevoli dettagli sulle datazioni e sulle inumazioni
confermando un numero prevalente di donne sepolte in grotte e riparti con arte
(Cap Blanc, Coussac, Balzi Rossi, Paglicci,
Grotta delle Veneri, S. Maria di Agnano), seguite dai
bambini, adolescenti e ragazzi (Coussac, La Madelaine, Balzi Rossi, Paglicci) e
poi dagli uomini (Coussac, Villabruna, Arene
Candide,
Balzi Rossi). La grotta di Coussac è, in tal
senso, la più interessante, scoperta nel 2000 è ancora protetta nella sua
integrità paletnologica e, finora, ha restituito almeno sette sepolture datate
a 25.000 anni fa. Le deposizioni furono effettuate dentro le cucce degli orsi
spelei e l’esame del DNA ha rivelato i corpi di almeno un paio di neonati e un
adolescente.
La frequentazione di giovanissimi individui è spesso attestata nelle caverne
ornate, lo sappiamo sia dalle impronte delle manine che dalle orme dei piedi e
proprio le due grotte qui in esame ne sono degne rappresentanti. Grotta dei
Cervi contiene un centinaio di manine in positivo di bimbi di circa quattro
anni, mentre a Grotta Chauvet si contano una ventina di orme di piedi di un
bambino di otto anni (Graziosi P. 1980; AAVV 2010).
La frequentazione di giovanissimi individui è spesso attestata nelle caverne
ornate, lo sappiamo sia dalle impronte delle manine che dalle orme dei piedi e
proprio le due grotte qui in esame ne sono degne rappresentanti. Grotta dei
Cervi contiene un centinaio di manine in positivo di bimbi di circa quattro
anni, mentre a Grotta Chauvet si contano una ventina di orme di piedi di un
bambino di otto anni (Graziosi P. 1980; AAVV 2010).
La frequentazione di giovanissimi individui è spesso attestata nelle caverne
ornate, lo sappiamo sia dalle impronte delle manine che dalle orme dei piedi e
proprio le due grotte qui in esame ne sono degne rappresentanti. Grotta dei
Cervi contiene un centinaio di manine in positivo di bimbi di circa quattro
anni, mentre a Grotta Chauvet si contano una ventina di orme di piedi di un
bambino di otto anni (Graziosi P. 1980; AAVV 2010).
Nel 2004 Kevin Sharpe e Leslie Van Gelder, specialisti di tracciati digitali paleolitici, sono stati i primi a fare ricerche in tal senso, seguiti da Jean-Michel Chazin (ricercatore francese del CRNS) e da Dean Snow (docente della Pennsylvania State University). Da questi studi è emersa una significativa incidenza di mani femminili nelle caverne di Gargas, Peche-Merle El Castillo (esaminate da Dean Snow) e Gua Masri II nel Borneo (esaminate da Chazin). Se si considera che le impronte siano state anche “marchi di fabbrica”, firme di artisti e di coloro che ebbero un legame simbolico con le immagini sulle pareti, si può dedurre che l’arte delle caverne sia stata eseguita non solo anche da donne ma forse in prevalenza da queste. In particolare Chazin ha messo a punto un software, Kalimain, in collaborazione con Arnaud Noury, proprio basandolo sul rapporto 2Digital (indice) :4Digital (anulare) abbreviato 2D:4D o anche indice di Manning. Nel 2006, Nelson, Manning e Sinclair hanno pubblicato un articolo nel quale considerano positivi e promettenti i risultati degli studi sulle impronte paleolitiche ma aggiungono che il metodo 2D:4D, pur se utile, resta probabilistico e adatto essenzialmente alla misurazione delle mani, dalle cui grandezze si può trarre una statistica d’ordine sessuale.
Il metodo delle mani è una via da percorrere, almeno per risalire alla taglia e all’incidenza tipologica delle impronte ma resta, finora, un procedimento in più da associare ai risultati delle altre discipline, quali: paletnologia, etnologia, archeo-mitologia, archeo-psicologia, sociologia, ecc. Lo sforzo congiunto di queste produrrà risultati e identikit sempre più attendibili. Gli studi di etnologia e di sociologia, per esempio, stanno ricostruendo quei meccanismi sociali che potrebbero anche risalire ai Cro-Magnon. Ruoli, competenze, pratiche della contemplazione e della trascendenza che vedono le donne pienamente protagoniste nella vita sociale dei Clan con posizioni di rilievo come sciamane, curandere, artiste, cacciatrici, esperte di erbe, donne dell’incanto e altro.
Non è impossibile che ciò sia avvenuto anche tra i Cro-Magnon, quando l’asilo era gratis e senza orari e le faccende quotidiane erano ben lontane dal tedio della nostra economia domestica.
L’ausilio delle scienze esatte come la statistica, la chimica e la fisica, lo studio del DNA invece stanno fornendo notevoli dettagli sulle datazioni e sulle inumazioni confermando un numero prevalente di donne sepolte in grotte e riparti con arte (Cap Blanc, Coussac, Balzi Rossi, Paglicci, Grotta delle Veneri, S. Maria di Agnano), seguite dai bambini, adolescenti e ragazzi (Coussac, La Madelaine, Balzi Rossi, Paglicci) e poi dagli uomini (Coussac, Villabruna, Arene Candide, Balzi Rossi). La grotta di Coussac è, in tal senso, la più interessante, scoperta nel 2000 è ancora protetta nella sua integrità paletnologica e, finora, ha restituito almeno sette sepolture datate a 25.000 anni fa. Le deposizioni furono effettuate dentro le cucce degli orsi spelei e l’esame del DNA ha rivelato i corpi di almeno un paio di neonati e un adolescente.
La frequentazione di giovanissimi individui è spesso attestata nelle caverne ornate, lo sappiamo sia dalle impronte delle manine che dalle orme dei piedi e proprio le due grotte qui in esame ne sono degne rappresentanti. Grotta dei Cervi contiene un centinaio di manine in positivo di bimbi di circa quattro anni, mentre a Grotta Chauvet si contano una ventina di orme di piedi di un bambino di otto anni (Graziosi P. 1980; AAVV 2010).
Grotta
Chauvet e Grotta dei Cervi
Si
può dire che Grotta Chauvet e Grotta dei Cervi a Porto Badisco racchiudano,
cronologicamente, l’intero ciclo delle caverne ornate d’Europa, la prima risale
a 34.000 anni e la seconda a 6.000 anni fa. Ventottomila anni separano la loro
arte, il loro culto, la loro liturgia.
Le pitture naturalistiche di Chauvet sono prevalentemente dedicate agli animali con un bestiario straordinario, ricco di felini e rinoceronti, bisonti, mammut, cavalli, megaceri e segni astratti (tra cui due pseudo-farfalle e un insettiforme, come avviene anche a Badisco), con impronte di mani sia maschili che femminili.
Grotta dei Cervi, invece, ha una grafica astratto-geometrica di origine psichedelica, ermetica, confusa, enigmatica. Ciononostante, secondo la mia analisi, un analogo impianto ideativo e metafisico le accomuna. In entrambe, le pitture sono collocate in stretta relazione con le conformazioni rocciose, vale a dire presso muri con ondulazioni d’effetto che riproducono esseri umanoidi e fessure simili a genitali femminili. Se si esclude lo stile dell’arte, vari elementi simbolici risultano affini. Le due cavità sarebbero, pertanto, campioni di una concettualità preistorica ancora da approfondire, di due epoche diverse ma, evidentemente, connesse fra loro e appartenenti a universi oscuri, umidi e rocciosi, mai più sfruttati nella stessa misura artistica dopo la fine del Neolitico.
Quando ho studiato l’arte di Grotta dei Cervi è emerso che il punto più sacro e venerabile del sotterraneo, concentrato in fondo al corridoio centrale in due ambienti attigui (zona VIII e zona IX), è dedicato alla sfera del femminile (Leone, 2001, 2009). In questo punto aleggia non solo la pittura di una spiritella danzante, la stessa che continua a magnetizzare l’attenzione di chi la osserva (definita erroneamente lo stregone di Badisco), ma si trovano le uniche impronte di manine infantili e la presenza di incisioni pubiche. Oltre a ciò, l’unico pannello descrittivo qui presente, sembra evocare tematiche delle origini: due amanti che si baciano, un simbolo di accoppiamento (lingam-yoni), una farfalla antropomorfa, un’idoliforme che partorisce, una donna con un bucranio nella mano destra, due figure astrali. Vicinissimo a questo pannello, su una protuberanza rocciosa, ho individuato la presenza di due incisioni pubiche di tipo paleolitico. In questa Zona VIII manca il tema ricorrente del resto della grotta, un cacciatore itifallico intento a cacciare un cervo sacro conduttore di ierofanie. Non entro nello specifico di questa metafora, ma non va tralasciato che essa trattiene uno dei codici interpretativi dell’arte del sotterraneo (Leone, 2009). Le indicazioni femminili di questa sorta di gineceo continuano nella sala attigua, la Zona IX. Qui vi sono ben due, e forse tre, indicazioni pubiche dipinte ed una scena in cui un cacciatore punta la sua freccia su un cervo antropomorfo in stretta relazione semantica con una donna che sta per svettare verso l’alto. I riferimenti femminili di Grotta dei Cervi non terminano qui ma è il caso di passare in esame le peculiarità muliebri di Grotta Chauvet.
Inizialmente, mi sono interessata a Grotta Chauvet per l’eccezionalità della sua produzione artistica ma poi determinati suoi aspetti mi hanno fatto riscontrare insospettabili analogie con Grotta dei Cervi (Leone M. L. 2010 a-b, 2011). Anche qui, in fondo ad un ramo laterale della grotta, chiamata Sala del Fondo, è custodito un “gineceo”, insieme a un’impressionante parete dipinta.
Le pitture naturalistiche di Chauvet sono prevalentemente dedicate agli animali con un bestiario straordinario, ricco di felini e rinoceronti, bisonti, mammut, cavalli, megaceri e segni astratti (tra cui due pseudo-farfalle e un insettiforme, come avviene anche a Badisco), con impronte di mani sia maschili che femminili.
Grotta dei Cervi, invece, ha una grafica astratto-geometrica di origine psichedelica, ermetica, confusa, enigmatica. Ciononostante, secondo la mia analisi, un analogo impianto ideativo e metafisico le accomuna. In entrambe, le pitture sono collocate in stretta relazione con le conformazioni rocciose, vale a dire presso muri con ondulazioni d’effetto che riproducono esseri umanoidi e fessure simili a genitali femminili. Se si esclude lo stile dell’arte, vari elementi simbolici risultano affini. Le due cavità sarebbero, pertanto, campioni di una concettualità preistorica ancora da approfondire, di due epoche diverse ma, evidentemente, connesse fra loro e appartenenti a universi oscuri, umidi e rocciosi, mai più sfruttati nella stessa misura artistica dopo la fine del Neolitico.
Quando ho studiato l’arte di Grotta dei Cervi è emerso che il punto più sacro e venerabile del sotterraneo, concentrato in fondo al corridoio centrale in due ambienti attigui (zona VIII e zona IX), è dedicato alla sfera del femminile (Leone, 2001, 2009). In questo punto aleggia non solo la pittura di una spiritella danzante, la stessa che continua a magnetizzare l’attenzione di chi la osserva (definita erroneamente lo stregone di Badisco), ma si trovano le uniche impronte di manine infantili e la presenza di incisioni pubiche. Oltre a ciò, l’unico pannello descrittivo qui presente, sembra evocare tematiche delle origini: due amanti che si baciano, un simbolo di accoppiamento (lingam-yoni), una farfalla antropomorfa, un’idoliforme che partorisce, una donna con un bucranio nella mano destra, due figure astrali. Vicinissimo a questo pannello, su una protuberanza rocciosa, ho individuato la presenza di due incisioni pubiche di tipo paleolitico. In questa Zona VIII manca il tema ricorrente del resto della grotta, un cacciatore itifallico intento a cacciare un cervo sacro conduttore di ierofanie. Non entro nello specifico di questa metafora, ma non va tralasciato che essa trattiene uno dei codici interpretativi dell’arte del sotterraneo (Leone, 2009). Le indicazioni femminili di questa sorta di gineceo continuano nella sala attigua, la Zona IX. Qui vi sono ben due, e forse tre, indicazioni pubiche dipinte ed una scena in cui un cacciatore punta la sua freccia su un cervo antropomorfo in stretta relazione semantica con una donna che sta per svettare verso l’alto. I riferimenti femminili di Grotta dei Cervi non terminano qui ma è il caso di passare in esame le peculiarità muliebri di Grotta Chauvet.
Inizialmente, mi sono interessata a Grotta Chauvet per l’eccezionalità della sua produzione artistica ma poi determinati suoi aspetti mi hanno fatto riscontrare insospettabili analogie con Grotta dei Cervi (Leone M. L. 2010 a-b, 2011). Anche qui, in fondo ad un ramo laterale della grotta, chiamata Sala del Fondo, è custodito un “gineceo”, insieme a un’impressionante parete dipinta.
Grotta di Chauvet
Qui
sono concentrati i cinque triangoli pubici di tutta la grotta, compreso una
singolarissima “venere” dipinta su un pendente. È deducibile che la grande
parete abbia visto anche la mano artistica di una donna, sia per alcune sue
tematiche, sia perché nel sotterraneo è realmente attestata l’impronta di una
mano femminile. L’identificazione di questa mano e di un’altra di genere
maschile, non è scaturita dall’applicazione dell’indice di Manning ma dalla
taglia dei personaggi, dedotta anche dai gesti che avrebbero compiuto nel
decorare un paio di pannelli col palmo delle loro mani (Baffier D. Feruglio V.
1998; AAVV 2010).
Tra le ondulazioni naturali della grande parete dipinta si possono ammirare
leoni, bisonti, rinoceronti, cavalli e mammut che corrono dal fondo della
grotta verso l’entrata, mentre sono stati associati alle suggestive forme della
roccia. Insisto sulla questione delle forme della roccia poiché non si dà
ancora la giusta importanza alla sua incidenza sul processo creativo
dell’artista, un parametro che ritengo imprescindibile per la lettura dell’arte
e che mi ha dato risultati sorprendenti nello studio di Grotta dei Cervi. Sulla
sinistra della parete in questione, in prossimità dell’elenco dei rinoceronti
multipli, il muro ha una strana plasticità e una particolare rientranza a forma
di “M”, nella quale è dipinto un cavallo. Affianco, dopo un bisonte e un
elefante, il muro forma un paio di occhi simili a quelli di un gufo (volatile
inciso nella Sala Hillaire, precedente alla Sala del Fondo) più, verso il
basso, una specie di bocca formata da una nicchia naturale con dentro il
disegno di un rinoceronte. Più a destra la parete forma una grande rientranza
triangolare con al centro un cavità oblunga simile ad una vagina. Ancora più a
destra, la conformazione rocciosa delinea una gigantesca testa antropomorfa
vista di profilo, con la fronte, la linea della testa (fornita di capigliatura
o di un cappuccio), l’occhio (forse evidenziato con la stessa sostanza bruna
che macchia una parte dei muri) il naso e il mento. Questa impressionante testa
naturale è sul punto di passaggio verso la cosiddetta Sacrestia, la zona più
recondita di tutto il sotterraneo. Altre conformazioni antropomorfe e umanoidi
del tutto naturali e abbinate a dei pannelli pittorici sono presenti dentro
Grotta dei Cervi (Leone M. L. 2009).
Grotta di Chauvet
La
cosa interessante è che le pitture non invadono mai casualmente le forme
naturali appena descritte, bensì le assecondano, le incorniciano o le
sfruttano. Infatti il mento della testa gigantesca, formato da un pendente
roccioso denominato (anche qui erroneamente) pannello dello Stregone, ospita il
disegno di un essere composito formato da una venere, un bisonte e un felino o
una leonessa (la taglia delle figure è prossima al vero).
Yanik Le Guillou ha studiato il pendente con un’attrezzatura telescopica che ha
restituito la visione totale dello stesso. Da ciò ha scoperto che la venere era
inizialmente isolata e solo successivamente, attraverso alcune cancellazioni, è
stata connessa col felino e il bisonte. Quest’ultimo, grazie ad alcuni
particolari poco leggibili, sarebbe di sesso maschile.
Della venere si vedono il bacino, il triangolo pubico e le gambe, del bisonte è
presente la testa, la spalla e una zampa che, allo stesso tempo, è la gamba
sinistra della donna. La leonessa, rappresentata solo con la testa e parte del
collo, costituisce un prolungamento della donna-bisonte verso sinistra e mi
sembra sia lo stesso felino antropomorfo dipinto nella vicina Sala Hillaire. Qui,
infatti, esattamente nell’Alcova dei Leoni, c’è una leonessa che fuoriesce da
un taglio nella roccia e in basso c’è una fessura di tipo vaginale dalla quale
esce dell’acqua durante le piogge. Tutta l’alcova ha una forma che sembra
richiamare un ventre materno. Non a caso questo punto è già stato dichiarato
dagli studiosi come uno dei più sacri del sotterraneo, senza però rapportarlo
alla simbologia qui esposta. È un punto certamente significativo che va ad
anticipare la Galleria dei Megaceri, dove tre triangoli pubici annunciano lo
spettacolo della teoria dei leoni e della venere-bisonte nel fondo. Un impianto
ideativo topografico non dissimile da certi dispositivi simbolici che
ritroviamo dentro Grotta dei Cervi.
Bellissimo
il commento della dott.ssa Maria Laura Leone, paleontologa, ricercatrice di
arte preistorica e docente di Storia dell'Arte, e autrice di studi sugli
aspetti ideologici e religiosi della preistoria in Puglia…..
L’arte
preistorica, tutta, ha profondi significati e notevole potere espressivo, ma
quella prodotta in seno alle caverne è speciale, persino sconcertante, perché
talvolta riporta espressioni impensate. Ed ha valori aggiunti rispetto a quella
dedicata agli oggetti d’uso quotidiano. È più viscerale e strettamente connessa
al luogo, al suo calore, alla sua umidità, alle forme delle pareti come anche
alle sepolture ivi deposte e ai resti scheletrici. A tal proposito va
evidenziato un aspetto poco chiaro del rapporto arte e sepolture. Non si
capisce, infatti, in quale forma e misura siano esse legate. Questi luoghi,
evidentemente, dovettero essere ultime dimore di personaggi speciali: sciamane,
sacerdoti, curandere, accoliti, vittime di olocausti e magari anche di genitori
speciali. Come la mamma di Ostuni, una gestante sepolta nella grotta di S.
Maria di Agnano in Puglia, deposta con una mano sul ventre che trattiene ancora
un bimbo mai nato. Fu trovata così, nella sua antica dimora, dopo
venticinquemila anni, addormentata nella casa-grotta ora consacrata alla
Madonna. Queste incidenze muliebri, impronte di mani, sepolture, forme pubiche,
sono riprova della presenza diretta di protagoniste femminili. Evidentemente
autrici, ideatrici, promotrici di un universo religioso ancora da ricostruire.
Con questi dati non possiamo esclude che la donna abbia avuto un ruolo diretto
con gli enunciati arcani delle caverne, con i miti, gli animali e
l’ultraterreno. Che essa stessa fu autrice di quel prototipo che chiamiamo
“veneri”; i simulacri della regina, della madre, della Signora pingue di
bellezza, di un anello di congiunzione tra umani e fiere. Ciononostante, per
anni, tutto ciò è stato considerato pura ideazione maschile ma se si continua
con questa univocità non aggiungeremo null’altro alla vastità dell’ideazione
della nostra specie, che invece è sempre stata fervente in entrambi i sessi.
Arcy_sur_Cure ( Borgogna – Francia)
Facies: Aurignaziano.
Datazione: 30.000/24.500 (anni fa).
Sagoma femminile naturale, prodotta
da infiltrazioni, poi evidenziata con ocra rossa.
................................................
Altri
File..Preistoria
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2025/06/la-luce-delle-donne-preistoriche-delia.html
……………………………………………..
L’Uomo Preistorico in Europa…. La fine dei Neanderthal.
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2025/06/luomo-preistorico-in-europa-la-fine-dei.html
…………………………………………….
I Neanderthal erano artisti…pittori, incisori, creavano monili….
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2025/06/i-neanderthal-erano-artistipittori.html
………………………………………
Commenti
Posta un commento