Viaggio Lungo le Ferrovie Dismesse della Sicilia : NOTO – PACHINO
Un Viaggio tra Storia, Arte, Natura e Prodotti Tipici..
Noto,
“Capitale del Barocco”, dal 2002 il suo
centro storico è stato dichiarato
3.b - PIAZZA MAGGIORE (Palazzo Senatorio; Chiesa Madre e Fontana del Laocoonte)
3.i - "Grotta dalle Cento Bocche" e "Grotta del Carciofo" con segni ebraici.
Nel rinnovamento urbanistico della città c’è
da inserire anche il tempio dedicato a Demetra come si ricava dall’iscrizione
su un’arula di terracotta e dal tipo degli ex-voto che rappresentano la dea con
una fiaccola e che furono trovati in due piccoli ambienti a nord-ovest del
tempio.
La Trigona Bizantina
Interno della Trigona Bizantina
interno deposito vino vicino la stazione
Indice:
1
– La Linea Ferroviaria Noto – Pachino; Archeologia Industriale;
Video : L’Inaugurazione della Linea Noto –
Pachino;
2
Noto (Cenni);
3
Noto Antica:
a)
Chiesa del Carmine;
b)
Piazza Maggiore – Palazzo Senatorio – Fontana del
Laocoonte;
c)
Eremo di S. Maria della Provvidenza – Il quadro
trafugato (?) della Madonna con il Bambino di Costantino Carasi;
d)
Cava Carosello – Le Concerie – I Mulini – Chiesa Rupestre
di San Giuliano – Le “Gurne”
e)
Palazzo Landolina di Belludia;
f)
Chiesa dei Gesuiti;
g)
“Ginnasio Greco”;
h)
“Heros Greci”;
i)
Grotta delle Cento Bocche – Grotta del Carciofo con
segni ebraici;
j)
L’Ospedale e la Chiesa di S. Maria di Loreto;
k)
Chiesa del SS. Crocifisso e Quartiere delle Celle del
Crocifisso;
l)
Il Castello – La Cappella del Castello – Le carceri –
i graffiti dei prigionieri
m)
Santuario di Santa Maria della Scala
n)
Eremo di San Corrado Fuori le Mura
3. Le Mandorle di Noto
4. Stazioni/Fermate : Falconara Iblea – Noto Marina –
Noto Bagni;
5. Eloro;
a) “La Pizzuta”;
b) L’Antica Heloro – Il tempio al Dio Asclepio – La Torre Stampace;
c) Le Spiagge ;
6. La Villa Romana
del Tellaro;
7. Vendicari –
Oasi Faunistica
Le Latomie – La Spiaggia di Calamosche – La
Torre Aragonese – La Tonnara – I Pantani –
Le Vasche greche per il pesce – Le saline –
La Trigona Bizantina
8. Marzamemi – Il
Borgo dei Pescatori – La Tonnara – L’isoletta di Brancati;
9. Pachino
Grotta Calafarina – Grotta Carruggi – Torre
Xibini – Torre Fano – Castello Belmonte Tabuli
I Prodotti Tipici (IGP) : Melone Cantalupo
– Pomodori di Pachino –
Museo del Vino – I Vitigni
Conclusioni
-----------------------------
1. La linea ferroviaria Noto
Pachino
a semplice binario, a scartamento ordinario, che con
la sua stazione terminale di Pachino aveva il duplice primato di essere la
linea ferroviaria e la stazione più a sud d’Italia e d’Europa. Una linea lunga 27 km, inaugurata nel 1935, chiusa nel 1986 e dismessa nel 2002.
La tratta Ferroviaria Siracusa - Gela – Canicattì aveva
una sua grande importanza nello sviluppo socio-economico della Regione. Permetteva
ai prodotti interni dell’isola di
raggiungere il porto di Siracusa e dal
porto, via ferrovia, l’importante scalo ferroviario di Catania. Prodotti che raggiungevano non solo i ricchi mercati
del catanese ma anche del nord Italia.
Naturalmente la presenza di questa linea di
comunicazione era un invito per altre aree, contraddistinte da diverse
tipologie produttive, di collegarsi alla rete preesistente per fare raggiungere
i loro prodotti in mercati di una certa importanza superando l’isolamento
commerciale.
In questo contesto si deve inquadrare la nascita della
linea Noto-Pachino che avrebbe permesso, all’estremo lembo territoriale della
Sicilia, di esportare i propri prodotti agricoli, vinicoli e ittici.
In realtà i progetti della linea risalivano ai primi
anni del Novecento. La prima guerra mondiale e la crisi economica del 1929,
rallentarono moltissimo l’esecuzione dell’opera. Linea che fu comunque
completata soltanto alla fine del 1934 ed inaugurata con l’apertura
dell’esercizio il 28 aprile 1935.
Video
L'Inaugurazione della Linea Noto - Pachino
Il servizio era costituito da quattro
coppie di treni giornalieri di cui tre di categoria “omnibus” e una di
categoria misto. Si fermavano in tutte le stazioni ma nel periodo invernale si
evitata la fermata a Noto Bagni. La prima corsa era in partenza da Pachino alle
5,22 mentre l’ultima terminava il servizio, sempre a Pachino, alle ore 20,11.
La percorrenza variava dai 47 ai 65 minuti.
Il servizio passeggeri venne subito affidato alle Littorine Fiat ALn56
mentre per il traffico merci si faceva
uso delle locomotive dei gruppi 740 e 790. La linea ferroviaria, nella
stazione di Noto, era collegata alle importanti linee per
Siracusa/Catania/Messina/Agrigento.
Littorina Fiat Aln56
Locomotiva 740
Stranamente la linea non ebbe un gran successo. La sua
vita fu caratterizzata da una presenza umana alquanto modesta tranne alcuni
momenti particolari legati per lo più alla stagione estiva e quindi al forte
flusso di bagnanti.
Infatti il 28 agosto 1935, grazie alle richieste dei
bagnanti, che numerosi affollavano le spiagge neatine, venne istituita la
fermata “Noto Bagni”. Per la creazione di questa fermata, che restava in
funzione solo dal 15 giugno al 30 settembre, fu utilizzata una preesistente
casa cantoniera posta al km 7 +578 della linea.
La seconda guerra mondiale e lo sbarco alleato causarono dei forti danni
alle linee ferroviarie dell’isola e nel particolare, la linea di
Noto-Pachino, rimase interrotta con
altre linee sempre della Sicilia sud-orientale dal giugno 1943 per oltre un
anno.
I lavori di ripristino permetteranno alla linea di
riaprire nel maggio 1944 con la speranza di in incremento almeno nel traffico
merci.
Il 17 ottobre 1951 una forte alluvione causò delle
interruzioni sulla linea e fu chiaro in quel momento l’atteggiamento delle FS
con “la volontà di sopprimere i servizi e
di non intraprendere i lavori di ripristino”.
La popolazione locale protestò riuscendo a fare
cambiare idea ai dirigenti delle FS. Infatti l’1 marzo 1955 i treni ripreso a
percorrere la linea. Il traffico viaggiatori non dimostrò alte presenze a
differenza del traffico commerciale legato ai vini pachinesi, molto ricercati,
e all’industria ittica di Marzamemi.
La presenza di una rete stradale, in parte per quei
tempi migliorata, e la lontananza dai centri abitati, cominciarono a
determinare sulla linea un ulteriore e drastica riduzione dei passeggeri. Le FS
quando riaprirono la linea nel 1955 avevano già disabilitato le stazioni di
Roveto Bimmisca e San Lorenzo Vecchio, che private quindi di segnali e binari
d’incrocio, vennero declassate a semplici fermate come Noto Marina.
Unica stazione d’incrocio restò Marzamemi (km 23+956).
Le FS nel frattempo sostituiranno le vecchie littorine
ALn56 con le ALn772 anche se in presenza di un scarso servizio passeggeri.
Littorina Aln 772
Nel 1968 erano in orario solo due treni passeggeri
verso Noto e tre verso Pachino mentre il traffico merci era discreto e
costituito, come sempre, da prodotti ittici di Marzamemi e di vini di Pachino
dove la produzione già allora superava i 300.000 ettolitri l’anno. Una richiesta
di vini soprattutto dalla Francia.
Gli anni ’70 videro le nuove littorine Aln668 della
serie 1500 e 1600, spesso in combinazione singola, prestare servizio sulla
linea sempre più scarsamente utilizzata.
Nel 1973 erano presenti tre treni da Pachino per Noto
e due da Noto per Pachino, pensati in orari collegati alle coincidenze per
Siracusa. Nei giorni festivi era in partenza un solo treno da Pachino a Noto,
alle 5,46 del mattino, e nessun treno in senso inverso. Ormai c’era un distacco
tra utenza e FS. Anche il traffico merci subì una drastica riduzione per la
spietata concorrenza degli autotrasportatori.
In occasione delle festività natalizie era
consuetudine che il “DM della stazione
del Brennero (la stazione più a nord d'Italia) mandasse in dono al suo collega
di Pachino (la stazione più a sud d'Italia) un abete (che veniva addobbato per
il Natale), ricevendo in cambio un cesto di prodotti tipici siciliani”.
“Una testimonianza ormai scomparsa di una ferrovia, che seppur antiquata,
era ancora umana”.
Negli anni ’80 si fecero sempre più insistenti le voci
di una chiusura della linea abbandonata da un sempre maggiore numero di persone
anche per le scelte, non troppo felici, delle FS che nel mese estivo sospesero
il servizio passeggeri per effettuare il traffico merci.
Il colpo di grazia definitivo lo diede l'arcinoto ministro Signorile, che con il suo decreto (DM 73/T del 15-04-1987) sospese il traffico passeggeri e merci a partire dal 1 Gennaio 1986. Per diversi anni le FS continueranno a gestire gli autobus sostitutivi, che verranno soppressi definitivamente nei primi anni '90.
L’ultimo passaggio di un treno fu il 9 ottobre 1985
che si fermò nella stazione di Marzamemi.
Nell’estate del 1985 erano in corso lungo la linea
vari lavori che riguardavano l’automazione dei passaggi a livello, che erano
tutti manuali cioè prevedevano la presenza costante di un casellante, e la
creazione di nei pressi di Roveto di un attraversamento alternativo del fiume
Tellaro. I treni si fermavano a Marzameni e poi con un servizio sostitutivo di
pulman si permetteva ai passeggeri di raggiungere la stazione finale di
Pachino.
Il
colpo di grazia definitivo lo diede l'arcinoto ministro Signorile, che con il
suo decreto (DM 73/T del 15-04-1987) sospese il traffico passeggeri e
merci a partire dal 1 Gennaio 1986.
Venivano
e vengono ancora chiamati “rami secchi” perché considerate delle linee
secondarie che secondo le FS sono in perdita e con un bacino d’utenza così
scarso da non giustificare il mantenimento dell’esercizio ferroviario. Per la
verità i primi tagli risalgono agli anni ’30 quando vennero chiuse delle linee
improduttive. Gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale provocarono
gravi danni alla rete ferroviaria. Linee che vennero ricostruite tranne alcune
che per la loro scarsa frequentazione ne sconsigliarono la ricostruzione.
L’incremento della motorizzazione determino agli inizi degli anni ’60 le prime
soppressioni con la chiusura al traffico di linee piuttosto brevi ed
improduttive. La situazione era difficile anche perché le FS disponevano di
treni vecchi ed antiquati, sempre in ritardo e le linee erano gestite con
criteri ormai superati. L’utenza era sempre più rivolta al trasporto su
autoveicoli. Negli anni ’80 si ricominciò a parlare di FS portando avanti un
progetto “faraonico” che fu approvato con un piano d’investimenti che aveva
come obiettivo la modernizzazione delle FS. È vero modernizzazione ma era anche
necessario risparmiare e qui il Ministro dei Trasporti Claudio Signorile,
esponente del PSI e membro del governo Craxi, compilò un elenco di “linee non comprese nella rete di interesse
generale”, assolutamente improduttive e di cui si sarebbe dovuta avere la
chiusura. Le linee che si sarebbero dovute tagliare, tra il 1985 ed il 1986, un
elenco di ben 60 linee. In merito alla Sicilia le linee da sopprimere erano:
-
Alcamo
– Castelvetrano – Trapani;
-
Caltagirone
– Gela, che era stata aperta nel 1980;
-
Canicattì
– Siracusa;
-
Randazzo
– Alcantara;
-
Noto
– Pachino;
-
Castelvetrano
– Ribera:
-
Motta
Sant’Anastasia – Regalbuto;
Ci
furono delle proteste anche perché molte linee presentavano un discreto
traffico. Le FS furono quindi costrette a rivedere il piano e alla fine le
linee soppresse, dopo un attento studio su singola linea, nel 1986 furono:
-
Bastia
– Mondovì;
-
Airasca
– Saluzzo;
-
Isola
della Scala – Dossobuono;
-
Priverno
– Fossanova;
-
Martgherita
di Savoia – Margherita di Savoia/Ofantino;
-
Motta
S. Anastasia – Carcari (Sicilia);
-
Noto
– Pachino (Sicilia);
-
Castelvetrano
– Ribera (Sicilia).
Ad
onor di cronaca c’è da dire che la soppressione delle linee continuò nel 1987 e
nel 1994 ci furono altri tagli (Taormina – Randazzo). Spesso erano anche le
regioni a richiedere la chiusura di una linea. Nel 2000 – 2010 altri tagli.
Il colpo di grazia definitivo lo diede l'arcinoto ministro Signorile, che con il suo decreto (DM 73/T del 15-04-1987) sospese il traffico passeggeri e merci a partire dal 1 Gennaio 1986. Per diversi anni le FS continueranno a gestire gli autobus sostitutivi, che verranno soppressi definitivamente nei primi anni '90.
In
realtà la linea venne chiusa ma non smantellata. Infatti fino al 1997 rimaneva
ancora inserita per memoria nel fascicolo d’orario di servizio delle FS.
Nel
2002 la linea venne dichiarata ufficialmente dismessa dal Ministero dei
Traporti e delle Infrastrutture (Pietro Lunardi), emesso ai sensi dell’articolo
2 del DM 138T del 31 ottobre 2000 e a seguito dell’istanza di rinuncia alla
concessione dell’esercizio da parte di RFI … il tutto dopo il parere favorevole
espresso dalla Regione Sicilia, dal Ministero della Difesa e dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze … e il 6 maggio 2002 anche dalla Direzione
Generale del Trasporto Ferroviario.
Don Carlo Emanuele Starabba nel 1917 si suicidò e vi
furono subito una serie di processi per l’annullamento del testamento che
lasciava come erede universale l’avv. Sipione Maltese di Rosolini. Avv. Sipione
che nel 1915 era stato nominato dallo stesso Carlo Starabba “procuratore
generale” del patrimonio, rompendo in questo modo il pluriennale rapporto con
il “fidatissimo Tafuri”.
Nel 1933 lo stabilimento veniva trasformato in "cantina sociale - anonima cooperativa A. Di Rudinì" e con questa ragione sociale restò in attività fino ai primi anni '60.
Il recupero dello stabilimento Di Rudinì, che ha svolto un fondamentale ruolo nella storia economica locale ed è stato testimone del passaggio dai sistemi produttivi artigianali a quelli industriali, è stato inserito dall'Amministrazione Comunale in un progetto più generale, denominato “Ecomuseo del Mediterraneo”, facente parte dei P.I.T. e finalizzato al recupero del vecchio manufatto, da destinare ad uso turistico-culturale.
La
stazione di Marzamemi era la stazione principale per il trasporto del vino. La
ferrovia infatti passò alla storia con l’appellativo di “Ferrovia del Vino”.
Dei
350 hl di vino prodotti dal comprensorio di Pachino, più del 50% veniva spedito
tramite ferrovia. I carri cisterna
arrivano durante la notte nella stazione per poi ripartire l’indomani carichi
del prezioso liquido. Un traffico
intenso giornaliero che aveva soprattutto nei mesi di settembre ed ottobre
delle punte molto alte. Si parla in media di 400 – 450 carri cisterna annui che
partivano dalla stazione di Marzamemi negli anni ‘70.
Vicino alla stazione i magazzini che furono utilizzati dagli alleati
come caserme da dove il vino tramite tubi venivano caricato nei vagoni
cisterna. Nel 1897 il secondo marchese di Rudinì, don Antonio Starabba costruì
nelle vicinanze del sito, dove poi
sarebbe sorta la stazione, un importante palmento.
Il
palmento si trova in contrada “Lettiera” e la sua costruzione iniziò nel 1897
per festeggiare la vittoria sulla filossera che aveva distrutto i vigneti e
ridotto i contadini in miseria tanto da
costringerli alla migrazione.
Il
marchese Don Antonio Starraba importò nuovi vitigni dall’America e diede un
forte impulso alla rinascita della viticoltura. Tra i suoi progetti c’era quello di razionalizzare il ciclo
lavorativo dei piccoli palmenti che da oltre un secolo operavano nel
territorio.
Nelle
immediate vicinanze dello stabilimento sorsero in seguito numerosi altri
manufatti legati alla produzione vinicola, i cosiddetti “magazzini del vino”,
oltre ad una importante distilleria che riciclava gli scarti della lavorazione
(le vinacce) per estrarne alcool.
Il
grande palmento fu completato nei primi anni del 1900 e mostrò subito la sua
modernità ed efficienza. Era diviso in ben 19 sezioni, intestate a membri della
famiglia, con sotterranei scavati nella pietra arenaria e vasche in muratura
collegate al vicino piccolo porto di Marzamemi. Un collegamento ottenuto con un
funzionale sistema di pompaggio e canalizzazione.
Nello
stabilimento lavoravano circa 40 persone che aggiunti alle “…12 ciurme di giovanotti,
pagati 60 centesimi al giorno....ai carrettieri...e alle ragazze che
trasportavano l'acqua per i vendemmiatori..." formavano i salariati.
Nello stabilimento furono introdotte moderne macchine
come le pigiatrici a rullo.
Nei primi anni del 1900 l’azienda vinicola produceva
500.000 lire di reddito annuo. Dopo la morte di S.E. Antonio Starabba le cose
cambiarono..”la gestione fu trascurata” con un netto calo della produzione del vino
che nel 1918 venne stimato in 2,50 hl a tumulo mentre nel 1909 la perizia
annuale citava 6 – 7 hl di mosto con media di 11 – 12 hl.
Alla morte del marchese Antonio, l’azienda passò al
figlio Carlo Emanuele che delegò un amministratore con pieni incarichi per la
gestione dei beni..
Nel 1933 lo stabilimento veniva trasformato in "cantina sociale - anonima cooperativa A. Di Rudinì" e con questa ragione sociale restò in attività fino ai primi anni '60.
Il recupero dello stabilimento Di Rudinì, che ha svolto un fondamentale ruolo nella storia economica locale ed è stato testimone del passaggio dai sistemi produttivi artigianali a quelli industriali, è stato inserito dall'Amministrazione Comunale in un progetto più generale, denominato “Ecomuseo del Mediterraneo”, facente parte dei P.I.T. e finalizzato al recupero del vecchio manufatto, da destinare ad uso turistico-culturale.
Un
palmento che aveva un sistema di pompaggio e di canalizzazioni che permettevano
al vino di raggiungere il porto di Marzamemi da dove partivano le navi (bettoline) per Genova e la Francia.
Palmento Rudinì... alcuni anni fa...
S.E. Antonio
Starabba. Marchese di Rudinì, nobile, politico e prefetto.
(Palermo, 6 aprile
1839 – Roma, 7 agosto 1908)
Una famiglia
originaria di Piazza Armerina e ostile al dominio borbonico in Sicilia.
Il padre,
Francesco Paolo Starabba, primo marchese di Rudinì, partecipò ai moti siciliani del 1848
presiedendo il
comitato di raccolta fondi per l’imminente guerra contro i Borbone.
La madre era la
nobile Livia Statella dei principi di Cassero.
Don Antonio
Starabba entrò nel 1859 a fare parte del
comitato rivoluzionario che spianò
la strada ai trionfi di Garibaldi.
I 4 aprile 1860 lo
Starabba partecipò attivamente alla Rivolta della Gancia
che fu repressa in
modo energico dal governo borbonico. Riuscì ad evitare l’esecuzione
capitale fuggendo
su un imbarcazione francese diretta a Genova. Rimase nella città ligure
fino a quando
Garibaldi liberò la Sicilia.
dopo un intensa
vita politico si ritirò nel suo villino di Roma “Villino Rudinì”, progettato
dall’architetto
Ernesto Basile, dove morì.
Villino Rudini.. in
Via Gaeta (Roma)….oggi sede dell’Ambasciata Giapponese
Nel 1897……
Fu promotore della
ripresa economica della zona del sud-est siciliano che era
stata colpita
dalla filossera che aveva distrutto i rigogliosi vigneti. Fece arrivare
dagli Stati Uniti
dei nuovi vitigni e costruì, come abbiamo visto, a Marzamemi il
primo grande palmento
industriale della Sicilia.
fu uno dei più
grandi proprietari terrieri della Sicilia
che coordinò seguendo delle
precise idee
liberali senza mai incorrere in problemi con la manodopera locale.
Si sposò nel 1864
con la nobildonna francese Maria de Barral due cui ebbe due figli:
Carlo che sposò una
figlia di Henry Labouchere;
Alessandra, che
dopo essere stata l’amante di G. D’Annunzio, si fece
Monaca Carmelitana.
Maria de Barral
morì il 7 febbraio 1896 e il Di Rudinì si sposò
in seconde nozze,
il 30 luglio 1896, con
Leonia Incisa
Beccaria di Santo Stefano Belbo.
Interno Palmento Rudinì
Una
volta costruita la ferrovia furono installati dei tubi che permettevano di far
confluire il vino dai magazzini ai carri cisterna presenti nella vicina
stazione.
Il
tronchino per il fissaggio dei tubi che permettevano il riempimento dei carri
cisterna .
Nell’estate
del 1985 giunse da Milano un fotografo delle Ferrovie dello Stato che si recò a
Randazzo probabilmente per fotografare la linea Randazzo - Alcantara.
Successivamente si trasferì a Modica dove si fece accendere una vaporiera per
raggiungere la stazione di Noto. Proprio a Noto incrociò un convoglio con ben 20 carri cisterna carichi
di vino che proveniva da Marzamemi.
Un’attività
fiorente… anche se il vicino palmento Ridinì aveva fortemente ridotto, o
annullato, la sua attività di pigiatura delle uve.
La
linea rientra comunque nell’Archeologica Industriale anche per i suoi aspetti costruttivi.
Sono
presenti ancora le targhette inserite nelle traverse dei binari… i chiodi di
fissaggio dei binari con impressi l’anno
e il mese… e il marchio della
fabbrica dei binari…
Targhetta traversa
– 5/70
5/61 (maggio
/1961)
1934
L’Archeologia
Industriale è una branca dell’Archeologia che raccoglie tutte le testimonianze,
materiali ed immateriali / dirette ed indirette, che riguardano il processo d’industrializzazione
fin dalle sue origini con l’obiettivo di approfondire la conoscenza della
storia del passato e del presente industriale.
Questi
chiodi…. queste targhette sulle traverse o i binari con la dicitura dell’azienda produttrice, che è
impressa su alcune rotaie, non sono banalità perché rappresentano delle
testimonianze…….
Infatti
le testimonianze attraverso cui l’archeologica industriale può a queste
conoscenze del passato sono i luoghi e le tecnologie dei processi produttivi ma
anche le tracce archeologiche lasciate da questi; i mezzi e i macchinari
attraverso cui questi processi si sono realizzati; i prodotti di questi
processi; tutte le fonti scritte a loro inerenti, le fonti fotografiche, ecc.
Una linea non elettrificata, dall’andamento
piano-altimetrico abbastanza regolare con pendenza massima del 14 per mille in
un solo tratto. Le stazioni erano fornite di attrezzature per il carico e lo
scarico di merci (piani caricatori, magazzini) e di segnalazione semaforica ad
ala.
Circolazione a dirigenza unica con l’installazione di
telefoni tipo “Western” a cassetta di legno e generatore a manovella collegati
in parallelo alla linea telefonica del dirigente unico che aveva sede a
Siracusa.
Percorso in km .. progressivi da stazione a stazione
0.0
- Stazione di
Noto
4,00 – Falconara Iblea;
6,10 – Noto Marina
8,10 – Noto Bagni
12,56 – Roveto – Bimmisca;
18,35 – San Lorenzo Lo Vecchio
23,95 – Marzamemi
27,03 - Pachino
In discreto stato di manutenzione sono le opere d’arte
mentre i fabbricati sono in rovina.
STAZIONE DI NOTO
Km 0 + 000
Diramazione per Gela e Siracusa
La linea Noto - Pachino è evidenziata con puntini rossi
Stazione di Noto
2. Noto (Cenni)
dall’UNESCO,
“Patrimonio dell’Umanità”. Un riconoscimento legato ad altre
città tardo
barocche della Val D Noto.
Il
turista che scopre la città per la prima volta deve soltanto prepararsi a
“subirne” il fascino. Giunto sotto la Porta Reale, fatta costruita nel 1841 in
onore del re Ferdinando II di Borbone, il suo sguardo riesce subito a cogliere
i motivi per cui Noto fu inserita nell’Heritage list dell’Unesco.
Noto – Porta Reale
Il
“cassaro”, lungo viale che attraversa la città da Est ad Ovest, è l’asse
principale di Noto bassa.
Varcata
la “Porta” s’entrerà nel centro storico e sarà un susseguirsi di slarghi,
scalee, dislivelli, palazzi dalle inferriate panciute mentre il colore
abbagliante della pietra arenaria colpita dal sole farà il resto dando una
luminosità particolare.
Il
poeta arabo Ibn Hamdis, anche se nel 1100, esprimeva il suo stupore
magnificando l’atmosfera quasi magica che ricopriva la città..”Oh, custodica Iddio una casa in Noto, e
fluiscano su di lei rigonfie nuvole!”.
Lo
storico dell’arte, Andrè Chastel, paragonò la città “all’incanto di una sala di teatro vuota” e Guido Ceronetti nel suo
“Viaggio in Italia” ne parlò come di “un piccolo
borgo, eppure la percorri come l’infinito; Una cifra e un enigma messi insieme.
Qualcosa di non dicibile”.
In
realtà Noto ha un fascino particolare. Distrutta dal terremoto del 1693, la
città nuova, a differenza di altre che avevano subito lo stesso triste destino,
fu ricostruita in un'altra località, a poca distanza dal mare ma con una
struttura aperta. È un fiorire di palazzi, chiese e monasteri e conventi
arricchiti da mensole, capitelli, colonne, fregi e putti. A queste opere fanno
da contrasto magnifiche piazze, terrazze, dislivelli e imponenti scalinate.
Chiesa San
Francesco all’Immacolata
Noto - Basilica
del SS. Salvatore
Monastero del SS.
Salvatore
Chiesa e Convento
di Santa Chiara
Chiesa di Santa Chiara
Palazzo Ducezio
Cattedrale
Palazzo
Sant’Alfano dove era solito fermarsi re Ferdinando II
Palazzo Nicolaci di Villadorata – i
balconi più belli del mondo
Altri
palazzi, chiese tutte risalenti al Settecento completano un luogo tutto da
scoprire.
Da
Noto bisogna spostarsi a Noto Antica dove sorgeva la città fino al gravissimo terremoto del 1693
3. NOTO ANTICA
L’antica Noto (“Netum” latina,
“Neeton o Neaiton” greca) si trovava nel sito di Noto Vecchia, cioè
la città distrutta dai terremoti
del 9 – 11 gennaio 1693 e che, come abbiamo visto, fu ricostruita nel luogo attuale a circa 8 km più a
est. Un sito contraddistinto da un
immenso patrimonio archeologico e naturalistico. I numerosi sepolcri trovati in
prossimità dell’abitato dimostrano che si trattava di un centro siculo che successivamente fu
ellenizzato. La sua prima citazione risale al 263 a.C. quando, in seguito al trattato di pace tra Roma e Ierone
II, il centro fu ceduto a Siracusa.
Cicerone ricorda la città perché
era uno dei pochi centri della Sicilia alleato con Roma. Lo stesso storico ricorda l’esistenza a Noto di un
certo Attalo, un uomo ricchissimo, che fabbricava
per Verre delle stoffe e dei
tappeti di porpora. In età imperiale “Netum” godeva del diritto latino
insieme a Centuripe e a Segesta.
La città sorgeva sulla montagna
dell’Alveria (Monte degli Olmi), alta circa 420 m. un colle
allungato da nord a sud, lungo circa 1,5 km, che si conclude
dividendosi in due lobi, circondato da profondi burroni.
In uno di questi burroni scorre
l’antico “Assinaros”. Gli antichi storici ricordano la città anteriore al 1693 con resti di mura antiche, templi, piazze, ecc.
La “Municipium” dei Romani conservò
la sua importanza sotto i Bizantini e gli Arabi. Arabi che
chiamarono “Val di Noto” una delle tre zone amministrative della Sicilia.
Con Ferdinando il Cattolico fu
fregiatadel titolo di “civitas ingegnosa”. Fu un centro importantissimo dal
punto di vista culturale, militare ed economico della Sicilia Sud-orientale.
3.a - LA CHIESA DEL CARMINE
Da Noto si percorre la SP 64 e
prima di raggiungere la “Piazza Maggiore” si devia a destra
per raggiungere la “Chiesa del
Carmine”.
I resti della Chiesa del Carmine
La chiesa fu realizzata tra la fine
del 500 e gli anni venti del 600. Furono i Carmelitani che
ampliarono i locali di una preesistente
chiesa di origine medievale e fatiscente.
L’edificio, dopo le
ristrutturazioni, presentava una pianta in tre navate che erano suddivide da
due
ordini di quattro colonne doriche.
Colonne che erano proporzionate sulla base dell’ordine
vitruviano proposto da Jacopo
Barozzi da Vignola nel 1562 nella “Regola
delle cinque ordini
d’architettura”. La navata centrale era
probabilmente coperta da un tetto ligneo a cassettoni, e si concludeva in un
grande presbiterio, ultimato nel 1618, con la realizzazione di una volta a
padiglione a base ottagonale
impostata su archetti angolari. Sopra l’ingresso della navata centrale era posta la
cantoria che poggiava su grandi pilastri a base rettangolare.
I resti dell’edificio sono
costituiti dalle basi delle colonne e dei pilastri che dividevano lo spazio interno, da frammenti
architettonici mentre la cappella absidale è occupata da una costruzione rurale che ne ha
incorporato un tratto di muro.
Ricostruzione
dell’edificio
Ritornando
indietro si giunge alla Piazza Maggiore
3.b - PIAZZA MAGGIORE (Palazzo Senatorio; Chiesa Madre e Fontana del Laocoonte)
La Piazza Maggiore, come indica il nome,
era il grande piano al centro dell’antica città. Si giungeva alla piazza attraverso
la strada che partiva dalla Porta della Montagna, nella zona del castello, e
costeggiava il complesso dei Gesuiti. Dalla piazza si poteva raggiungere la
Chiesa del Carmine e l’eremo di Santa Maria della Provvidenza.
La
piazza al momento del sisma del 1693 presentava il Palazzo Senatorio e la grande Chiesa
Madre che dal periodo normanno, a causa di vari rifacimenti ed ampliamenti,
alla data del terremoto non era ancora completata.
Nello
spazio antistante la chiesa erano presenti i resti di alcuni botteghe che
facevano parte di un quartiere che fu demolito nel 1580 per l’ampliamento della
stessa piazza. Il perimetro della piazza
era delimitato da edifici residenziali mentre la sua pavimentazione era
costituita da un lastricato di basole rettangolari di pietra bianca. Lo stesso
tipo di pietra che era utilizzata per la costruzione degli edifici. La descrizione di Noto Antica lascia meravigliati perché sembra quasi di rivivere
quei luoghi.
Frà
Filippo Tortora da Noto ( 1669 – 1738) nella sua descrizione citò anche la
presenza di una bellissima fontana presente nella piazza e adiacente al palazzo
Senatorio. Una fontana con il gruppo del
Laocoonte che era presente nel luogo già all’inizio del cinquecento
Un
grande arco urbano, che poggiava sul muro della chiesa grazie ad una colonna di
sostegno del diametro di circa due metri,
costituiva l’ingresso della strada che costeggiando il fianco laterale
della chiesa, collegava la stessa piazza alla zona delle absidi.
La
Chiesa doveva avere una sua imponenza. Un marcapiano in pietra la divideva in
due parti e nella parte alta si trovava un rosone in pietra. Un campanile s’innalzava
alla fine della navata sinistra. Il livello della chiesa era rialzato rispetto
al piano della piazza di circa sei gradini. Si accedeva alla chiesa tramite un
portale preceduto da un protiro. Un aspetto architettonico simile a quello della
chiesa Madre di Militello in Val di Catania, anch’essa città del barocco.
Il
protiro era probabilmente formato da due colonne che erano sorrette da leoni
stilofori che sono stati recuperati ed oggi custoditi all’interno della Chiesa
del SS. Crocifisso a Noto. Il portale d’ingresso era opera dello scultore
Gabriele di Battista. Un portale in marmo bianco con due esili colonne tortili
ed un architrave che sorreggeva una lunetta con un altorilievo.
Il
palazzo Senatorio, a sinistra della Chiesa, fu invece costruito per volere del
vicerè Juan de Vega, tra il 1547 e il 1556. I lavori iniziarono nel 1559 e
furono affidati al maestro fiorentino Bartolomeo la Scala, a Francesco Cerami
di Noto e al mastro Giacomo Siracusa di Noto. C’è negli archivi storici una
descrizione di Corrado Gallo del Palazzo Senatorio: ““il soffio rinnovatore del Rinascimento si sarà fatto sentire anche
nella casa sanatoria, detta casa di corte, la quale sorgeva nella piazza
maggiore, proprio al centro della città”.
Un
edificio che aveva una sua funzione pubblica. Il portale del palazzo era simile
a quello di palazzo Arnone a Cosenza e il cui autore fu lo stesso Bartolomeo
della Scala.
Un prospetto
che era caratterizzato da tre ordini architettonici: dorico, ionico e corinzio
che erano separati da fasce marcapiano e sormontati da un
coronamento aggettante.
Ricostruzione virtuale della Chiesa
Ricostruzione virtuale del Palazzo
Senatorio
Ricostruzione virtuale della fontana del Laooconte
Dalla
Piazza Maggiore parte la strada che conduce all’Eremo di Santa Maria della Provvidenza
3.c - Eremo di Santa Maria della Provvidenza
Il quadro trafugato (?) della Madonna con il Bambino, opera di Costantino Carasi
L’eremo
fu costruito nel 1723, in stile barocco,
quindi sulle rovine di un precedente convento distrutto dal terremoto.
Fu abitato dalle Suore Carmelitane fino al 1800 quando la struttura venne
abbandonata forse a causa anche del suo isolamento. La struttura sembra in
degrado rispetto a quando nel 2000 la visitai. La chiesa, che presentava
stucchi e dipinti, e il convento sono oggetto di vandalismi
La sua
edificazione fu legata al ricordo delle vittime del terremoto. Attorno
all’eremo numerosi caseggiati, stalle, a
testimonianza di una vita non solo religiosa.
Nel
convento e nella chiesa erano custoditi dei quadri di notevole valore che
purtroppo sono stati trafugati da ignoti. Un quadro, in particolare, attribuito
al pittore neatino del’ 700, Costantino Carasi, autore delle famose tele della
Cappella Landolina del SS. Crocifisso, sparì nel nulla. Era di pregevole fattura e vecchio di almeno
due secoli. Il dipinto raffigurava la Madonna della Provvidenza con in braccio
il Bambino. Una tela che in origine era ubicata nella chiesa annessa al
convento dei Frati Minori e posta sull’altare centrale. Nel 1748 il padre, Pier
Paolo Riva, fece collocare sull’altare dell’Eremo il prezioso dipinto.
Il quadro trafugato (?)
Dalla
Piazza Maggiore si può scendere attraverso un sentiero a Cava Carosello, una gola profonda tipica dell’ambiente ibleo.
3d. CAVA CAROSELLO ( Concerie, Mulini, Chiesa Rupestre di San Giuliano..Laghetti)
Cava Carosello
Per
visitare la Cava Carosello è
opportuno prendere contatto con le guide del luogo il tutto per affrontare una
visita in assoluta sicurezza.
Dalla
Piazza Maggiore parte il sentiero che conduce alla “Porta di Santa Margherita”,
una delle nove porte inserite nella fortificazione dell’antica Noto, e che
costituisce uno dei principali ingressi alla cava. Una mulattiera scavata nella
roccia permette di raggiungere la Cava dove erano ubicate le numerose concerie
e i mulini.
La
porta era costituita da un arco di cui restano pochi ruderi e da un robusto portale
di ferro oggi scomparso. A fianco della porta si trova un piccolo ambiente, una
garitta, nel quale prestavano servizio gli addetti al pagamento del dazio
d’ingresso delle merci provenienti dalle concerie. Il nome della porta, “Santa
Margherita” era probabilmente legato ai resti di una piccola chiesa che era già
in rovina prima del terremoto del 1693.
La Mulattiera che conduce alla
cava
Postazione per il dazio
Porta Margherita – Resti
dell’arco
Mentre
si scende la mulattiera si possono notare i vari canyons che confluiscono nella
cava (San Calogero, San Giuseppe, Pisciatura) e che insieme formano il fiume
Asinaro. I corsi fluviali sono il risultato finale di un azione erosiva nata
dalla tettonica Pleistocenica che ha causato un costante ringiovanimento del
corso fluviale e la cui portata d’acqua varia sensibilmente nel corso delle
stagioni. Un corso d’acqua che ha alimentato nel tempo numerosi mulini e
concerie rupestri.
Il
territorio aveva una sua importanza proprio per la presenza di questi impianti
artigianali e aveva anche una sua posizione strategica legata ad una orografia
della zona praticamente inespugnabile. Le materie prime non mancavano nella
cava: acqua, pascoli, piante spontanee, legname e selvaggina. Tutti fonti
indispensabili per la vita della Noto Antica. Naturalmente l’economia neatina
riuscì a trarre da questi aspetti naturalistici indiscussi benefici.
La
presenza degli impianti artigianali è attestata in epoca araba a cui si deve
una organizzazione amministrativa esemplare anche se i documenti che attestano
le attività artigianali risalgono al 1500 attraverso i Riveli del 1584.
Lo
studioso Bruno Ragonese visitò il sito negli anni ’70 del Novecento ed indagò
quelle grotte che erano scavate nella parete rocciosa sotto le mura di ponente.
Riuscì con la sua opera attenta e ricca di spunti a censire circa 30 concerie,
tre mulini ed una grande serie di opere idrauliche necessarie per le varie
attività come prese d’acqua, condotte, canalette. La presenza umana lasciò
anche qualche edificio extra artigianale come la chiesetta rupestre di San
Giuliano che era legata al culto degli artigiani che lavoravano nella cava. Le concerie furono realizzate intorno
all’anno 1000. Avevano una struttura a pianta semplice cioè costituite da un
grande ambiente scavato nella roccia che presentava un solo ingresso costituito
da stipiti e battenti; un corridoio di servizio; vasche di raccolta di
dimensione varie; canalette e pareti divisorie. La diversa forma delle vasche
era legata ad una diversificazione della funzione produttiva che svolgevano durante
la fase di lavorazione delle pelli.
Il
geografo arabo El Edrisi testimoniò la
presenza di un certo numero di mulini a
Noto nel 1154. I mulini presenti nella Cava del Carosello sono del tipo a ruota
orizzontale riconducibili al modello di Vitruvio. La maggior parte, da 16 a 20
a secondo dei periodi, si trovavano vicino alla Fontana Grande. Uno di questi
mulini, il meglio conservato, è detto della Grotta, per il suo ambiente
ricavato in una cavità. Un ambiente semplice di cui rimane la testimonianza di una
tramoggia e di una macina di pietra bianca. La sua attività era molto
importante tanto che si creò la “Via dei Saccari” cioè una vita che permetteva
il transito degli animali da tiro carichi di sacchi di frumento all’andata e di
farina al ritorno.
Nella
Cava erano presenti anche altre attività artigianali legati ai “liamari”, ai
“satariddari” e ai “craunari”.
I
“liamari” raccoglievano l’ampelodesma, la “liama”, da cui tramite essiccazione
e immersione in acqua, si riusciva a produrre le corde usate nelle tonnare e
nelle attività agricole; i “satariddari”, raccoglievano il timo che, raccolta
in grossi fasci, veniva trasportato
assieme alla liama, negli stabilimenti per l’essiccazione; i “craunari” cioè i
carbonari che producevano il carbone utilizzando la legna di roverelle e di
leccio molto presenti nella cava.
Dei
palmenti rupestri sono presenti per la produzione di vino.
Da
tempo sono state avviate delle politiche per la tutela della Cava del Carosello
grazie all’Azienda Foreste Demaniali. Il sito è un immenso patrimonio dal punto
di vista archeologico, geologico, storico e paesaggistico. Sono stati
ripristinati diversi sentieri e creati una serie di ingressi tra cui quello che
si trova percorrendo la SS 287 Noto – Palazzolo Acreide.
Passeggiando
lungo le sponde del fiume si potranno vedere le trote, i granchi di fiume e il
merlo acquaiolo. La natura offre un aspetto affascinante con in suoi laghetti.
La prima conceria che s’incontra è proprio al termine della discesa da Porta
Santa Margherita, ricavata in un ambiente che prima era una chiesa rupestre.
Qui il fiume forma un bellissimo laghetto.
Partendo
dalla zona in cui il sentiero di partenza arriva al fiume e lasciando le
concerie alla propria destra si prosegue in piano e dopo una mezzoretta si
arriva a uno spettacolare laghetto pensile. Una piscina naturale a
strapiombo sulla cava.
Risalendo
il fiume si possono incontrare altre concerie, i ruderi dei mulini ad acqua per
poi giungere, risalendo il fiume, alla Porta
della Montagna, l’antico ingresso della città.
Conceria – Grotta
Burritta
http://www.scattomancino.com/wp-content/gallery/013-08-11-cava-carosello/img_8438.jpg
https://www.valdinotoexcursions.it/wp-content/uploads/2018/03/laghetto-cava-carosello-noto-avola.jpg
https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/11/c6/1c/1c/20180114-133331-largejpg.jpg
CHIESA RUPESTRE DI
SAN GIULIANO
La
chiesa rupestre, sita nella Cava San Calogero, è costituita da tre ambienti. Due
sono comunicanti tra loro, la chiesa e la relativa sagrestia mentre il terzo
ambiente, non comunicante con gli altri due, provvisto di due piccole nicchie, era probabilmente la dimora dell’officiante.
Ingresso dalla chiesa
La
chiesa presenta due altari. Quello principale e l’altro secondario, posto
lateralmente e confinante con la sagrestia.
Nell’altare
maggiore è presente una grande nicchia rettangolare. Sul fondo di questo
nicchione sono presenti quattro fori quadrati disposti sull’estremità che
probabilmente erano utilizzati per permettere la collocazione o l’incasso di
una croce o di un dipinto di grandi dimensioni posto su un supporto ligneo.
Interno e altare
principale
L’altare
secondario era affrescato così come la parete superiore con la raffigurazione
di un probabile santo o scena biblica.
Un
aspetto particolare di questa chiesa rupestre è legata alla somiglianza con la
chiesa rupestre di san Febronia a Palagonia. Nella stretta parete, a destra
dell’ingresso, è raffigurato un santo barbuto con nimbo . a distanza di tempo e malgrado l’abbandono sembra di vedere in
quell’immagine la rappresentazione di San Giuliano o di S. Nicola.
La
parte ad ovest dell’ingresso è completamente intonacata e sicuramente dovrebbe
avere degli affreschi che sono coperti da una spessa fuliggine nera. Fuliggine nera
legata all’uso della cavità come rifugio di pastori nel corso dei secoli.
Altare secondario
e sagrestia
Affresco altare
secondario
Affresco vicino
all’ingresso
Secondo ambiente e
nicchie
Uno dei tanti
affreschi rovinati
(N.
B….. le foto risalgono a dicembre 2009…).
Un
vero peccato per gli affreschi che si sono perduti ………
L’origine
di questa chiesa ?
Mancano
dati legati a indagini archeologiche. Non so se la Sovrintendenza abbia mai
effettuato delle ricerche o degli scavi in questa chiesa rupestre.
Lo
studioso Bruno ragonese, esplorò la cava negli anni ’70 del Novecento e fece
quasi un censimento di tutte le cavità poste sotto le mura di ponente dell’antica
Noto. Censì ben 30 concerie, tre mulini, un infinità di opere idriche come
prese d’acqua, condotte, canalette ed altri ambienti tra cui la chiesa rupestre
di San Giuliano legata alla fede degli artigiani che operavano nelle varie
cave.
Le
concerie furono realizzate dagli Arabi intorno all’anno 1000.. La chiesa
rupestre era già esistente forse perché legata ad una comunità di bizantini
presenti in un luogo particolarmente fertile oppure è di origine tardo
medievale ?
Cartina dell'IGM ...Scala 1:25.000 (1 cm = 250 m)
Da
Piazza Maggiore si prosegue verso nord, sempre sulla strada sterrata.
3e. Palazzo Landolina di Belludia
Palazzo Landolina
di Belludia – ruderi
La
famiglia Landolina giunse a Noto Antica nel 1091 al seguito di Ruggero il Normanno.
Il
palazzo era una delle dimori nobiliari più prestigiose della città. Fu
costruito agli inizi del seicento ma il terremoto lo rase totalmente al suolo.
Durante gli scavi, anche se saltuari e preceduti da altrettanti scavi
clandestini, riportarono alla luce importanti resti archeologici. I ruderi
delle scalinate, gli archi e i corridoi, fanno intuire il grande valore architettonico
dell’edificio che doveva anche essere molto sontuoso.
Dal lato opposto la Chiesa dei Gesuiti.
3.f - La Chiesa dei Gesuiti
Ruderi della
Chiesa dei Gesuiti
A
Noto antica era presente un collegio dei Gesuiti sin dal 1605 presso la Chiesa
di San Pietro. Successivamente fu dato incarico a Natale Masuccio (Messina
1561/1568; ?, 1619), uno dei più famosi architetti nella Sicilia del Seicento,
di costruire un nuovo collegio. Il
collegio fu costruito ed ultimato in tempi brevi mentre la chiesa subì delle
modifiche costruttive per diversi decenni.
I
documenti del tempo riportano le pressioni dei nobili, che risiedevano nei
pressi del cantiere, affinchè la chiesa venisse ricostruita sul lato opposto
del collegio cioè più vicina alla Piazza Maggiore.
Una
controversia che ritardò la costruzione della stessa chiesa e che costrinsero i
Gesuiti a predisporre una cappella, per le loro funzioni religiose, all’interno
del Collegio. L’unica porzione di muro visibile nella parte anteriore del sito,
appartiene alla cappella di cui è stata ritrovata anche parte dell’ingresso. La
nuova chiesa venne alla fine edificata demolendo addirittura un’ala del cortile
nord del collegio che aveva due ampi cortili.
L’imponente
costruzione non venne mai completa a causa del sopraggiungere del terremoto.
I
resti, soprattutto nei pilastri della crociera e dell’ingresso, danno un idea
di quella che doveva essere la sua imponenza simile alla chiesa di Gesù di Casa
Professa a Palermo. La pianta a croce latina era caratterizzata da un'unica
navata con cappelle laterali che erano comunicanti tra di loro; tamburo e
cupola a coprire l’incrocio fra transetto e navata, secondo i canoni delle
chiese tipiche della Compagnia.
Alle
spalle del Collegio dei Gesuiti è presente l’antico Ginnasio Greco.
3.g - "Ginnasio Greco"
Per
giungere al Ginnasio è consigliabile prendere il sentiero posto sulla sinistra
della stradella che conduce alla Chiesa del Carmine. Percorrendo il sentiero si
vedono nel costone rocciose escavazioni di epoca medievale e tombe a
grotticella di epoca preistorica. Giunti alla fine del sentiero, alla sua
destra, si notano dei resti di fortificazioni di epoca greca. Riguardo al
Ginnasio si tratta di pochi ruderi posti all’interno di una fitta vegetazione e
anche non facilmente raggiungibili
perché si deve scavalcare un muretto a secco. Ci sono dei resti di
grottoni di epoca greca ed una grande architrave con un’iscrizione in lettere
greche. Si tratta di una copia dato che l’originale è stato rimosso. Gli
archeologici trovarono in questo luogo delle epigrafi che si riferivano ad una
associazione sportiva di atletica in onore del re siracusano Ierone. Da questi
rinvenimenti venne dato il nome di
Ginnasio.
Dal
caseggiato accanto alla Chiesa del Carmine parte un sentiero che permette di
raggiungere le vestigia più antiche di Noto cioè gli “Heros greci” detto anche “Heroa
greci”.
Il
sentiero scende lungo la vallata, non è particolarmente
difficile , ma era privo di indicazioni quando visitai il sito. Indicazioni che
sono state più volte collocate e rimosse da qualcuno a cui danno fastidio.
Senza una guida, profonda conoscitrice dei luoghi, non è facile individuarli
anche per la presenza di una fitta vegetazione e per la loro posizione.
3.h - "Heros greci"
Dell’antica
storia di Noto, non si sa molto. Ha avuto una fase greca e poi romana e andando
più indietro nel tempo, molti hanno individuato in Noto l’antica città di
Ducezio, il famoso e valoroso re dei Siculi del V secolo a.C.
Scendendo
lungo il sentiero si incontreranno due grandi grotte che presentano le pareti lisce e una pianta quasi
rettangolare. Il grande archeologo Paolo Orsi agli inizi del Novecento
identificò questi luoghi come gli “heroa” greci. Cioè dei luoghi che erano
dedicati al culto degli antenati defunti.
Probabilmente,
come dice anche l’appellativo del luogo,
non si trattava di defunti comuni. Era un santuario dedicato al culto degli
eroi e quindi alla venerazione di personaggi illustri. Le pareti delle due
grotte, che sono comunicanti tra di loro, sono riempite da decine e decine di
nicchie di forma rettangolare e dette “pinakes”. In queste nicchie venivano
collocati dei quadretti votivi di terracotta, legno o pietra che ricordavano il
defunto. Con l’uso di lampade è possibile notare anche qualche piccola
decorazione pittorica sbiadita dal tempo, delle lettere incise e qualche
bassorilievo, magistralmente inseriti nelle piccole nicchie. Alcune di queste
nicchie presentano fori per battenti di legno e timpani scolpiti nella roccia.
Un luogo che fu riutilizzato in epoche successive.
Sono
quattro Santuari “heroa” cioè un esempio, peraltro raro, di venerazione che si
presentano ben conservati nonostante i duemila anni. Solo l’Heroon “4” risulta
incompleto ed è comunque un importante reperto perché evidenzia la tecnica
costruttiva.
L’ambiente
di destra è preceduto da una sorta di pronao ed è munito di un bancone lungo le
pareti.
Qualche
necropoli sicula fu riutilizzata in epoca cristiana e tra queste va inserita
una piccola catacomba giudaica riconoscibile dalla rappresentazione di due
candelabri a sette braccia scolpiti in cavo ai lati di un arcosolio.
Heroa – Pinax affrescato
HEROON2
Heroon2 – Incisione
HEROON 3- 4 ; Ingressi
Heroon 1 – Ingresso
Heroon 4 – Interno
Heroon 1 – altare
Il
territorio di Noto Antica è interessato dalla presenza di un gran numero di tombe
e catacombe.
Nei
dirupi, tra profonde vallate, sono visibili numerose tombe a grotticella di
epoca preistorica risalenti alla civiltà sicula. Sul torrente “Salitello” è
visibile una bellissima necropoli sicula (730-650 a.C.) caratterizzata proprio
da tombe a cameretta scavate nella roccia.
Poco
distante dall’ingresso nord di Noto Antica, nei pressi della Porta della
Montagna, è presente una bellissima catacomba bizantina chiamata “Grotta delle
Cento Bocche” per la presenza dei resti
di una “tomba a baldacchino” che fanno somigliare le sporgenze del tetto a
delle ugole, da cui il nome. Una catacomba che nel corso del tempo fu
utilizzata addirittura come ovile e anche come bunker nella Seconda Guerra
Mondiale per la sua posizione strategica a guardia della vallata del torrente
Salitello.
3.i - "Grotta dalle Cento Bocche" e "Grotta del Carciofo" con segni ebraici.
Grotta delle Cento Bocche
La Grotta del Carciofo è invece una catacomba
giudaica per la presenza nell’arcosolio di due rappresentazioni della menorah
giudaica, cioè di due candelabri a sette braccia. I contadini del luogo
scambiarono quelle raffigurazioni per dei carciofi da cui il nome della grotta.
La presenza di questa catacomba è la testimonianza dell’esistenza di una
comunità ebraica nella Noto Antica prima del terremoto.
Sia la Grotta del Carciofo che quella delle
Cento Bocche fino a pochi anni fa erano recintate e la zona quindi chiusa al
pubblico.
Grotta del
Carciofo
Dai
ruderi della Chiesa dei Gesuiti, procedendo verso Nord, s’incontrano i resti dell’ospedale con la Chiesa di Santa Maria di Loreto e,
poco distante la Chiesa del SS.
Crocifisso.
3.j - Hospitalia con Chiesa di Santa Maria di Loreto
L’Ospedale venne realizzato nel XVI
secolo in sostituzione di un ospedale preesistente, forse anche un ospizio per
pellegrini dove sembra che vi abbia soggiornato per poco tempo San Corrado, e intitolato
a San Martino. Era affidato ai Padri Fatebenefratelli di San Giovanni di Dio ed
aveva annessa una piccola chiesa dedicata alla Madonna di Loreto. (in parte
scavata nella roccia e probabile oratorio). Il Santo Patrono di Noto, Corrado
Confalonieri, un eremita che aveva poteri taumaturgici, si recava presso
l’antico ospedale per assistere e curare gli infermi.
3.k - Chiesa del SS. Crocifisso e Quartiere delle celle del Crocifisso
La
seconda chiesa per importanza di Noto Antica era quella del SS. Crocifisso, un tempo dedicata a S.
Maria del Castello. La tradizione
riporta che fu fondata da Giordano nello stesso periodo in cui fu costruito il
castello. La chiesa con il passare del tempo andò in rovina e fu restaurata
dalla nobile famiglia Landolina. Un sforzo finanziario non indifferente e per
dimostrare ciò fecero dipingere il proprio stemma sulla volta della chiesa.
La
Chiesa conteneva una vasta serie di opere d’arte di gran valore che
fortunosamente furono salvate e oggi si trovano nella nuova Chiesa del SS.
Crocifisso di Noto.
C’era
un bellissimo dipinto del Crocifisso, di cui oggi rimane solo il volto, che
secondo l’antica tradizione fu dipinto da San Luca. Si narra che fu portato dal
Conte Ruggero e regalato ai Landolina affinchè costruissero una chiesa.
L’immagine del Crocifisso, come riporta il Pirri, fu posta sotto la cupola
della chiesa e poi trasferita il 27 marzo 1514 in un apposita cappella.
Sopra
questa cappella s’ammirava, oltre ad un ponte, la superba mole della torre
campanaria che “su di essa gravava con
ardita soluzione architettonica”,…un’altra lapide:”perché ricordare gli antichi
colossi dell’Asia? La provvida Noto ha di che stupire i Siculi”.
Oggi
di quell’antica immagine rimane solo il volto del Cristo che è custodito in una
teca su uno splendido Crocifisso dorato opera, nel 1746 di Vincenzo Rotondo su
disegno di Rosario Gagliardi, nella nuova chiesa di Noto.
Nella
chiesa si venerava la teca in oro in cui è custodita la Santa Spina (oggi
anch’essa nella nuova chiesa del SS. Crocifisso) così come la bellissima statua
della Madonna Bianca, datata 1471, attribuita a Francesco Laurana. Altra pregevole opera scultorea è il busto ligneo dell’Ecce Homo,
del ‘500, di autore sconosciuto.
Dalla Chiesa del SS. Crocifisso si prende il sentiero che conduce
al Quartiere delle Celle del Crocifisso.
Una denominazione per indicare le piccole abitazioni, scavate nella roccia,
abitate dagli eremiti nel basso medioevo. Un sentiero circondato da una fitta
vegetazione lungo il quale è possibile ammirare gli ambienti che qualche anno
fa furono ripuliti da volontari. Due cavità sono state transennate per le
condizioni statiche precarie delle pareti rocciose.
Una di queste grotte fu
abitata dal 1331 al 1333, secondo una tradizione non confermata da fonti
storiche, da San Corrado quando giunse a Noto. Qui visse assieme ad altri
eremiti e impiantò anche un piccolo orto che curava amorevolmente.
Un ambiente è definito la “Grotta Grande” per le sue vaste
proporzioni in cui sono evidenti le tracce di una frequentazione greca e
cristiana fino all’utilizzo in epoca recenti per attività agricole.
La Madonna Bianca
La Madonna Bianca
Francesco Laurana
(Vrana, 1430: Avignone, 1502)
3.l - IL CASTELLO - La Cappella e le Carceri (le iscrizioni dei prigionieri)
L’edificio
fu costruito su uno sperone roccioso e con una visuale che giunge fino alla costa, domina le vallate
circostante e controllava la strada d’accesso verso Nord.
L’impianto
planimetrico è costituito da una torre “mastra” affiancata da un muro di
cortina entro una fortificazione quadrilatera. Il latto settentrionale è
incompleto ed irregolare perché si attesta in parte al ciglio roccioso. Vi sono
tre torri di cui due angolari ed una centrale.
Oltrepassata
la Porta della Montagna sulla destra s’incontreranno l’ampia sala d’Armi e le
scuderie adiacenti alle mura. La torre principale risale al 1431 e nell’antica
prigione sono visibili moltissimi graffiti e bassorilievi lasciati dai galeotti. Molti di questi graffiti riportano
il nome della persona e raffigurano le imbarcazioni dell’ epoca. Sono anche
presenti anche, sempre scolpiti nella pietra, dei giochi che si effettuavano
con le pedine.
La
struttura venne edificata nel 1091 dal Duca Giordano d’Altavilla, figlio di Ruggero.
Nel 1430 il duca Pietro d’Aragona fece eseguire importanti lavori d’ampliamento
e nel 1600 vennero inserite nelle mura le bocche di fuoco, visibili nei pressi
dell’ingresso della Porta della Montagna.
Il terremoto distrusse l’importante castello Reale anche se diverse
parti della struttura sono ancora oggi in discreto stato di conservazione e
meriterebbero un ulteriore salvaguardia per liberarli dalla vegetazione
infestante che con le sue radici pregiudica la perfetta conservazione dei
reperti.
Carcere di Noto Antica
Nel corridoio della torre
Raffigurazione di San Sebastiano
(?) lasciata da un galeotto
Una imbarcazione….
Graffito di un gioco
Noto
fu conquistata dagli arabi grazie al tradimento di un concittadino che “mostrò la via di penetrar nella fortezza”
(Michele Amari). Noto era stata l’unica città della Sicilia a resistere “mentre tutte le altre erano state espugnate
o arrese” alla conquista normanna avvenuta nel 1091.
Nel
libro di Re Ruggero, il geografo El Edrisi riportò la fortezza di Noto come “rocca delle più forti ed elevate”. Furono
i Normanni, che su preesistenze arabe, fortificarono il castello soprattutto
nel suo punto forse più debole, cioè nell’accesso della città a Nord e per questo
motivo Ruggero “diede Noto al figlio
Giordano ordinandogli di costruire nella parte più alta della città il
castello, quanto mai opportuno, tuttora esistente, fortissimo baluardo contro
le sollevazioni di ribelli, se ne fossero stati. Esistono ancora la munitissima
fila di bastioni e torri che, all’interno del castello, la chiesa dedicata a
San Michele, costruita con arte mirabile con enormi massi e colonne…”
(Littara).
Anche
Rocco Pirri nel suo testo di storiografia ecclesiastica citò la Chiesa di San
Michele del castello di Noto come “regio beneficio perduto e che Federico III
la concesse a Giacomo Landolina, canonico siracusano”.
Sempre
a Noto era stata già avviata la costruzione della Chiesa Madre di San Nicolò,
per opera di Ruggero il Normanno. Al tempo di Giordano risalirebbero invece la
costruzione della Chiesa di Santa Maria del castello, detta poi del SS.
Crocifisso, per merito della famiglia Landolina e la Chiesa di Santa Lucia de
Montaneis (contrada Mendola) dove sembra si trovava anche una fortezza.
La
costruzione della chiesa di Santa Lucia fu iniziata dal Ruggero il Normanno e
poi continuata dal figlio Giordano.
La cappella di San Michele
Porta della Montagna
Dalla
Porta della Montagna, sempre sulla
SP 64, si raggiunge il Santuario di Santa
Maria della Scala del Paradiso
3.m - Santuario Santa Maria della Scala del Paradiso
Da Noto
Antica si può raggiungere l’Eremo di San
Corrado in fuori.
3.n - Eremo di San Corrado fuori le mura
Eremo San Corrado in Fuori - Stazione di Noto
3.o - Le Mandorle della Val di Noto
Torrone siciliano
3.p - L'Infiorata
A 4 km
dalla stazione di Noto s’incontra la fermata di Falconara Iblea
4 - Le Stazioni/Fermate di : Falconara Iblea - Noto Marina - Noto Bagni
Stazione di Falconara Iblea
Dalla
fermata di Falconara Iblea, la linea punta verso il mare in direzione di Calabernardo per raggiungere la
stazione di Noto Marina.
Stazione di Noto
Marina
Anno 1926...
….. subito dopo la fermata di Noto Bagni che funzionava solo nel
periodo estivo.
Noto Bagni - Fermata
La
linea prosegue verso Eloro…. Si oltrepassava il fiume Tellaro, con un viadotto
in ferro, per raggiungere la stazione di Roveto- Bimmisca, nei pressi del
Pantano Grande.
Prima
di giungere al viadotto sul fiume Tellaro
una breve escursione sui resti archeologici dell’antica Eloro e sulle bellissime spiagge.
5 - ELORO
La Pizzuta - L'Antica Heloro (Un tempio al dio Asclepio, ecc) - Le Spiagge
La Colonna Pizzuta
Saint-Non : Voyage
Pittoresque.. Nouvelle Edition Paris, Dufour.. 1829
Tecnica:
Acquaforte – Misura: (25 x 20) cm
“La
Pizzuta”, sorge su una piattaforma di roccia livellata, al di sopra della quale
è un podio con quattro gradini. Presenta un diametro inferiore di 3,80 m ed una
altezza, conservata, di 10,50 m
Prospicente
alla spiaggia il sito archeologico di Eloro.
Si
credeva che la colonna fosse un monumento commemorativo della battaglia
dell’Asinaro tra Ateniesi e Siracusani del 413 a.C.
Nel
1899 furono effettuati nell’area degli scavi che portarono alla scoperta di un
sottostante ipogeo di epoca ellenistica. Un ipogeo scavato nella roccia e al
quale si accedeva grazie ad una scalinata.
Il
monumento à quindi una tomba monumentale, destinata ad un personaggio
importante di cui purtroppo s’ignora il nome.
Il Sito Archeologico della greca Heloros
La
più antica menzione del sito è nelle Nemee di Pindaro. Erodoto riferisce che
Ippocrate di Gela nel 493 sconfisse i Siracusani nei pressi di Eloro e Tucidide
ricorda più volte la “Via Elorina” che collegava la città con Siracusa. Gli
scavi hanno comunque riportato alla luce della ceramica dell’VIII secolo
a.C.. Rinvenimenti che dimostrano come
la città sia stata probabilmente la prima colonia di Siracusa prima di
intraprendere la sua espansione verso il centro dell’isola.
Eloro
è citatata nelle Verrine di Cicerone perché sarebbe stata svuotata
completamente delle sue opere d’arte da Verre (II,3, 103) e presso di essa si sarebbe svolto il combattimento
navale che si concluse nel 71 a.C. con la distruzione della flotta provinciale
da parte dei pirati.
Una città fiorente anche in epoca bizantina per essere
distrutta con l’arrivo degli Arabi.
A partire dalla seconda metà del IV secolo a.C. tutta l’area fu interessata da un
rinnovamento urbanistico con la costruzione di grandi edifici pubblici. Tra
questi edifici un piccolo tempio dedicato ad Asclepio costituito da un cortile
circondato da portici dove gli ammalati sostavano e dormivano in attesa della
visita in sogno del dio che li avrebbe portato, secondo la loro credenza, alla
guarigione. Nei pressi sorgeva un piccolo “thesauròs” cioè un piccolo tempio in
antis (un tempio caratterizzato dalla presenza sulla facciata di due colonne
tra due ali di muro che prolungano in avanti la pareti laterali della cella).
In questo edificio venivano depositate le offerte votive destinate al dio
Asclepio e risale anch’esso alla seconda metà del IV secolo a.C.
Non si è sicuri
della dedica del tempio al dio Asclepio, ovvero il dio della medicina.
Un culto che sembra abbia
avuto in Sicilia la sua importanza nei centri di
Siracusa, Scornavacche ed
Eloro. La maggior parte delle testimonianze
archeologiche legate al culto
di Asclepio provengono dalle città della Sicilia
sud-orientale : Catania,
Lentini, Mineo, Floridia e verso ovest con Morgantina, Gela, Camerina,
Sampieri. La presenza del culto ad Asclepio
nella piccola città di Eloro non dovrebbe
meravigliare dato che la città
fu fondata da Siracusa. Proprio da Siracusa proviene
la più antica attestazione del
culto ad Asclepio.
Le fonti storiche sono
chiare e Cicerone, Valerio massimo,
Arnobio e Lattanzio citano il furto
compiuto da parte di Dionisio
il Vecchio della barba d’oro di una statua di Asclepio che
si trovava in un tempio
dedicato al dio. Polieno racconta che Dionisio I mise in vendita
le offerte d’oro e d’argento
che si trovavano nel tempio di Asclepio e Ateneo ricorda
l’atto sacrilego del tiranno
che rubò una trapeza d’oro dal tempio sempre di Asclepio.
Questi avvenimenti lasciano
presupporre l’esistenza a Siracusa di un tempio dedicato
ad Asclepio nella prima metà
del IV secolo a.C. e anche dei rapporti intensi con il Tempio di Epidauro in
Grecia. Infatti Cicerone nel raccontare l’episodio sul furto della barba d’oro
del
dio lo appella “Epidaurio”
proprio per evocare una dipendenza iconografica della
statua di culto siracusana con
quella venerata in Grecia nell’Argolide.
Lo stesso Cicerone afferma
inoltre che Verre fu accusato di aver rubato
una statua di Apollo dal
tempio di Asclepio che, in età repubblicana, era
ancora un importante centro di
culto.
Il tempio di Asclepio, facendo
riferimento ai ritrovamenti archeologici, doveva
trovarsi vicino al tempio di
Apollo ad Ortigia, in un stretto rapporto non solo
topografico ma anche culturale
con la divinità padre, circostanza riscontrabile in
moltissime località della
Grecia. Il luogo di culto doveva trovarsi tra
piazza Pancali e via del
Littorio, adiacente quindi al “temenos” di Apollo, dove
furono rinvenute due statue di
età romana. Una delle due statue raffigurava
Igea ovvero la figlia di
Asclepio. Fu rinvenuta anche un’importante iscrizione
greca in esametri del II
secolo d.C. dedicata alla città da un medico.
Un iscrizione che era
probabilmente esposta nell’area sacra al dio della medicina.
Siracusa
Statua Romana di
Asclepio rinvenuta nel Ginnasio Romano
Busto di Asclepio
rinvenuto nei pressi del Castello Maniace di Siracusa
Siracusa - Igea,
Figlia di Asclepio.
Nel
II secolo a.C. questo tempio subì ulteriori ampliamenti assumendo un aspetto
monumentale. È considerato uno dei più notevoli edifici dell’età
tardoellenistica conosciuto in Sicilia che riprendeva i modelli
dell’architettura contemporanea dell’Asia Minore.
L'area in cui doveva sorgeva il tempio al dio Asclepio
Eloro – Il piccolo
teatro greco
A
sud-est una torre medievale detta Torre Stampace venne costruita nel 1353 da
Blasco Alagona, agli ordini di Pietro d'Aragona, per la difesa della costa: la
torre poggia sui resti di una fortezza, citata da Plinio il Vecchio.
Dal
2015 molte associazioni si battono per tutelare e promuovere l’area “Eloro –
Pizzuta” chiedendo il suo inserimento nella Riserva di Vendicari. Fu presentata
anche la relativa documentazione di studio per legittimare la proposta…. ma
ancora nulla e l’area continua ad essere minacciata da speculazioni edilizie…
…..
Le spiagge…per la loro
descrizione mi affido alle recensioni che si trovano su internet.. sono le
valutazioni, le impressioni espresse da chi ha visitato i luoghi ….. Le
recensioni nel settore turistico sono molto importanti. È fondamentale sapere l’impressione percepita
dal turista nel visitare un luogo per intervenire ed eliminare eventuali
difetti. Ma oggi è solo “aria fritta”
come diceva don G. B.…. un grande imprenditore turistico del ragusano…..
Spiaggia della Pizzuta
“Decisamente una bella spiaggia, molto grande e
spaziosa. Nel periodo estivo però è estremamente affollata.
Per quanto sia bella consiglio di andare nelle spiagge
vicine, più belle e generalmente meno affollate.
I fondali in prossimità degli scogli sono
assolutamente da vedere, molto particolari e belli”
----------------
“Bellissima spiaggia con poca gente. Per raggiungerla
bisogna fare un percorso di 10 minuti a piedi, con i bimbi piccoli bisogna
attrezzarsi di zaino o marsupio. Non ci sono servizi, ma è una bellissima
spiaggia
Bellissima spiaggia con un mare stupendo, si accede
tramite un piccolo percorso naturalistico, dotarsi di calzature comode. La
spiaggia è grande ed anche nei periodi di maggior affluenza si trova sempre un
po di spazio”.
------------------
“Spiaggia spaziosa con un mare stupendo, ti fà sentire
immerso nella natura anche se in realtà ti trovi
a qualche centinaio di metri dalla spiaggia di Eloro
di fianco al lido di Noto.
Volendo si può raggiungere a piedi partendo dal Lido
di Noto e proseguire fino
alle spiagge successive tutte suggestive e che ti
immergono nella vegetazione mediterranea”.
----------------------
Spiaggia di Eloro
Posta a nord della foce del fiume Tellaro
“Ampia spiaggia di sabbia gialla, mare trasparente e
pulito. Le auto vengono parcheggiate in una stretta stradina sterrata, che
dista circa 200 metri e che potrebbe costituire un problema nei giorni di
agosto per gli angusti spazi a disposizione. Suggestivi i fiumi chiusi, per
scarsità d'acqua, a pochi metri dal mare!”
---------------------
Spiaggia Marinelli
Posta a sud della foce del fiume Tellaro
“Veramente un luogo dove vale la pena andare. Mare
pulitissimo, tranquillità e tanti pesci! Peccato perché spiaggia anche di
nudisti e con un bambino non è proprio indicato poterla frequentare
quotidianamente. È però tutto indicato quindi anche per noi non è stata una
sorpresa”.
“Spiaggia di sabbia gialla, acqua pulita e
trasparente, bassa fino a oltre 100 metri dalla riva perciò molto adatta ai
bambini. Il parcheggio dista circa 700 m dalla spiaggia, è molto ampio e ha un
costo di 4,50 €, che possono essere recuperati con consumazioni all'agriturismo
adiacente. Spiaggia affollata e frequentata da nudisti, pur non essendo
segnalata in nessun modo come spiaggia per nudisti!”
“a mattina presto la spiaggia è deserta. Un
po'impegnativa da raggiungere ma sicuramente lo sforzo è ripagato da un'acqua
cristallina e da un silenzio quasi surreale. Fantastica, tra le più belle della
zona. È una spiaggia segnalata come meta dei naturisti!”
Viadotto in ferro
sul Fiume Tellaro
Dopo
aver attraversato il Tellaro sulla destra la “Villa
Romana”..
6 - Villa Romana del Tellaro
La villa è posta a
circa 2,5 km, in linea d’aria a ovest di Eloro, su una piccola altura a destra
del Tellaro. I resti della villa romana, risalente alla
seconda metà del IV secolo d.C.,
furono rinvenuti nel 1971. Si trovano in un
fertile comprensorio agricolo e
sotto una masseria
sette-ottocentesca. Si tratta quindi di un complesso più tardo rispetto ai
complessi analoghi
di Piazza Armerina e di Patti.
Particolarmente
interessanti sono i mosaici pavimentali tra cui spicca la scena della
“Pesatura del
Corpo di Ettore”
La scena della
“Riscatto del Corpo di Ettore” presenta uno schema iconografico del tutto
nuovo.
A sinistra sono
Ulisse, Achille e Diomede (i nomi sono scritti in greco); al centro il corpo di
Ettore è pesato su
una grande stadera, sull’altro piatto della stessa stadera è posto
l’equivalente del
suo peso in oro. A destra sono i Troiani e Priamo, di cui la figura è andata
perduta.
Un episodio che
non è ricordato e che comunque non appare in questa forma nell’Iliade di
Omero. Questa
rappresentazione potrebbe derivare da una tragedia perduta di Eschilo, “I
Frigi”.
Il pavimento
del secondo ambiente presenta una scena di caccia. Una scena particolare perché
presenta anche un banchetto all’aria all’aperta tra gli alberi. Una figura
femminile è probabilmente da identificare con l’Africa. I mosaici sembrerebbero
espressioni di maestranze africane e realizzati dopo la metà del IV secolo d.C.
Lasciata
la Villa del Tellaro si riprende la ferrovia per Pachino per giungere alla
stazione di Roveto – Bimmisca.
Dalla
stazione di Roveto si possono raggiungere, sfruttando le strade di penetrazione
agricola, le Latomie di Vendicari e la
Spiaggia di Calamosche.
7 - VENDICARI - OASI FAUNISTICA
Le Latomie - Spiaggia di Calamosche - Torre Aragonese - La Tonnara - Le Saline -
Le vasche per i pesci (Greche, IV sec. a.C.) - I Pantani - La Trigona Bizantina
La Cittadella dei Maccari - L'Isola di Vendicari
Le Latomie di Vendicari
Le latomie di Vendicari, sono delle cave
di pietra poco distanti dalla spiaggia di Marianelli. Queste cave furono
utilizzate nel V secolo a.C. per la costruzione degli edifici civili, monumenti
e templi, della vicina Eloro.
Spiaggia di
Calamosche
La
spiaggia si trova tra i resti archeologici di Eloro e l’Oasi Faunistica di
Vendicari. Il suo fascino è legato sia alla sua particolare ubicazione, tra
due promontori rocciosi, che alla presenza di una vegetazione e di una
variegata geologia. Un piccolo angolo di costa lungo circa 200 m e arricchito
da grotte che si trovano nei promontori che costeggiano la spiaggia.
I
locali citano la spiaggia con l’appellativo di “Funn’i Musca” e si trova nella zona di Pre-riserva dell’Oasi di
Vendicari. Nel 2005 fu insignita dalla “Guida Blu di Legambiente” del titolo di
“Spiaggia più bella d’Italia”.
Anche
in questo caso le recensioni sono il miglior metodo per esaltare la bellezza di
questo angolo di spiaggia:
“Un’incantevole piscina naturale ideale per fare snorkeling. Nuotando verso
la scogliera ai lati del golfetto, dove il fondale è più profondo, grotte,
cavità e anfratti ospitano una variegata fauna marina.”
L’accesso diretto a questa spiaggia è garantito da un ingresso dedicato, raggiungibile dalla SP19. Una volta arrivati al
parcheggio attrezzato, bisogna imboccare un sentiero di circa un chilometro. Un
piccolo sacrificio ampiamente ricompensato una volta arrivati, quando vi si
aprirà davanti ai nostri occhi un luogo incantevole, un vero paradiso naturale!
Sarò conciso ma chiaro! E' una cala che non si può
perdere per niente al mondo, un paradiso terrestre. Ampissima, poca gente (ai
primi di luglio!), mare meraviglioso, avventure e foto nelle grotte... Un
sogno. L'unica cosa è che bisogna portarsi dietro un pò tutto, ombrellone, ecc.
Dalla
Stazione di Roveto – Bimmisca si prosegue per la fermata di San Lorenzo Lo Vecchio…
La Tonnara
Torre Aragonese
il fabbricato nelle vecchie saline
Le saline (Pantano
Piccolo – Oasi Faunistica)
Vasche
Ellenistiche per il pesce
la spiaggia di Vendicari
Stazione di San Lorenzo Lo Vecchio
Il Pantano Grande
– Oasi Faunistica
Fenicotteri rosa con i piccoli
Catacomba - Cittadella dei Maccari
La Trigona Bizantina
Interno della Trigona Bizantina
le saline al tramonto
Isola di Vendicari
Dalla
stazione di San Lorenzo il Vecchio si prosegue per la stazione di Marzamemi..
la linea tra San Lorenzo lo Vecchio e Marzamemi
Stazione di Marzamemi con magazzino
interno deposito vino vicino la stazione
Accanto
alla Stazione la cantina del Feudo Ramaddini.
E'
nel cuore della Sicilia, nelle terre di Noto e di Pachino, da sempre vocate
alla coltivazione di vitigni (quali il Nero d'Avola e il Moscato) che nasce nel
2003 Feudo Ramaddini. In questa patria di secolari vigneti e di un conoscere
atavico ma in continua maturazione, all'interno delle mura di palmenti antichi,
intere generazioni di agricoltori hanno imparato la magia e i segreti della
nobile arte della vinificazione. I vigneti di Feudo Ramaddini si snodano
dolcemente dall'altopiano di Noto verso il mare di Marzamemi, nell'angolo
estremo a sud-est della Sicilia meridionale. La vicinanza dei due mari, il
canale di Sicilia a Sud e lo Ionio a Est, conferiscono particolare benevolenza
al clima, che risulta essere temperato arido, tipico del mediterraneo, caratterizzato
da lunghe estati calde e secche ed inverni miti, con scarsa frequenza di gelate
invernali-primaverili. Il costante apporto della luce solare e la fertilità del
terreno, principalmente, creano le condizioni ideali alla prosperità di alcuni
particolari vitigni che in questo territorio sono stati selezionati e
migliorati nel corso di secoli.
8 - MARZAMEMI (Siracusa)
Marzamemi – La
Tonnara
Il
termine Marzamemi avrebbe origine dalle parole “ marza” e “memi” cioè “piccolo
porto” mentre secondo altri storici dall’arabo ”marsà al hamam” cioè “baia
delle tortore” per la presenza delle tortore durante il volo di migrazione
verso i luoghi più caldi.
Il
fascino del Sud e dei suoi estremi, da sempre
elemento di richiamo di turisti e viaggiatori di ogni epoca, ha nel
piccolo borgo della provincia di Siracusa un insieme di armonia, dove il centro
storico è rimasto quasi intatto con le casette dei pescatori in parte
abbandonate e in parte recuperate per fini turistici legati all’accoglienza e
al ristoro. Il tutto protetto e guardato a vista dal Mare Jonio.
Mare
Jonio che da sempre è stato il fulcro di ogni attività del piccolo centro. Il
borgo nacque attorno all’approdo, poi diventato porto da pesca, e si è
sviluppato grazie all’attività di pesca, molto sviluppata anche oggi, e dotandosi
di una tonnara che fu una delle più importanti della Sicilia.
La
tonnara risale alla dominazione araba e nel 1630 venne venduta dal proprietario al Principe di Villadorata di
Noto (Pietro Nicolaci ?). Altre fonti mettono in evidenza la
concessione in gabella di varie tonnare e di altri beni alla famiglia Nicolaci
nelle persone di Pietro, Giacomo, di Eleonora (vedova di Giacomo) e
successivamente del figlio Corradino.
Comunque
i principi di Villadorata potenziarono i fabbricati della tonnara di Marzamemi
portando nel piccolo centro gli abili carpentieri di Avola e di Siracusa che vi
si stabilirono.
Nel
1752 costruirono il palazzo, la chiesa della tonnara, dedicata a San Francesco
di Paola, e le piccole case dei pescatori.
Palazzo del
principe di Villadorata
La
Piazza Regina Margherita è il luogo centrale di Marzamemi da cui partono dei
vicoli che portano, da ogni lato, sempre al mare. La sua pianta è quadrangolare
ed è circondata dalle antiche case dei
pescatori. Alcune di queste case presentano in comune il caratteristico “cortile
arabo”.
Molte
delle casette dei pescatori sono state trasformate in negozi e locali di
ritrovo dove si possono gustare i prodotti tipici del luogo come il ciliegino
di Pachino, il Nero d’Avola, il tonno.
Nel
centro sono presenti due piccoli porto, La Fossa e la Balata, un tempo
espressione dei fiorenti commerci del vino diretto in tutti i porti della
penisola.
I
suoi fondali sono ricchi di testimonianza storiche, reperti che si trovavano
sulle navi affondate durante le mareggiate in varie epoche: greco, romana e
anche bizantina. Su un imbarcazione è
possibile effettuare un escursione alle Colonne Romane grazie ad una battello
che permette una perfetta visione subacquea stando comodamente seduti.
All’inizio
del Novecento fu costruito uno stabilimento per la lavorazione del tonno salato
e successivamente del tonno sott’olio. Un industria legata proprio alla pesca
del tonno che fu abbondante fino al dopoguerra per poi entrare in crisi.
Il Borgo dei
Pescatori
Cortile Arabo
Alcune
di queste casette sopno disabitate. Sono costruite con blocchi di pietra, dalla
piccola pianta quadra e con tetto a spiovente. Caratteristica era la cosiddetta
“casa del forno” perché al suo interno c’era un grande forno. Una casetta che
era contraddistinta dal numero civico 7.
Il
palazzo del principe presenta un bel portale d’ingresso sul cui arco è presente
lo stemma della famiglia. All’interno del fabbricao un ampio cortile con una
scala di pietra a due rampe che porta all’appartamento del principe. Da questo
appartamento si accede alla terrazza dove erano presenti dei sedili in pietra.
Sulle mura del terranno erano presenti le feritoie che permettevano di fare
sparare contro i pirati. Sempre dall’appartamento del principe, ma dalla parte
opposta del terrazzo, si accede ad un balconcino, dal quale il principe di
affacciava per controllare i lavori dei pescatori nel sottostante magazzino. Un
magazzino detto “camperia” che presente delle arcate su cui erano poste delle
immagini sacre e delle ciotole, destinati alle offerte per la festa del
patrono. All’interno del magazzino si trovano la barche usate per la pesca dei
tonni, lo “scieri” e le “chatte”, gli uncini e le reti.
Superato
l’arco che unisce il palazzo del principe alla vecchia chiesa, si giunge alla
balata. Cioè una piccola piazza, limitata in parte da case e in parte dal mare,
lastricata con calcare compatto, dove si trovano due fabbricati la vecchia fabbrica
e la Casa Cappuccio. L’altro porto, quello della Fossa, è ogi sede dello yacht
club locale.
Marzamemi – La Tonnra. I borgo dei pescatori e il porto la
“balata” in una foto del 1960
La Ciminiera, in origine erano due, della fabbrica del
tonno dei primi anni del 1900.
La tonnara per molti anni fu una delle più importanti della Sicilia
sud orientale.
Attività fruttifera quella della pesca che portò alla costruzione nel 1912 di un grande stabilimento destinato alla produzione di tonno salato e tonno sott’olio. Solo recentemente è stata recuperata l’area di rimessaggio delle barche adesso trasformata in location per eventi.
Attività fruttifera quella della pesca che portò alla costruzione nel 1912 di un grande stabilimento destinato alla produzione di tonno salato e tonno sott’olio. Solo recentemente è stata recuperata l’area di rimessaggio delle barche adesso trasformata in location per eventi.
Il rimessaggio in tonnara dello “scieri” , la tradizionale imbarcazione
costruita dai “calafatari”.
(Foto degli anni ’60 - Fam. Consiglio)
La tonnara
La festa della
cuccagna in occasione dei festeggiamenti del Santo patrono. Ben visibile la
Balata, la tonnara (prima del crollo di uno dei comignoli) e la “casa
cappuccio”.
Marzamemi – Isolotto Brancati
Dalla stazione di Marzamemi si prosegue
per Pachino..
Stazione di
Pachino
9 - PACHINO.... TRA STORIA E PRODOTTI TIPICI
Pachino – Zona
Archeologica Cugni
Grotta Corruggi
(Paleolitico)
Castello Belmonte
Tafuri
Torre Scibini
Torre Fano
A
Pachino degustazioni di prodotti tipici:
CANTALUPO DI PACHINO
Prodotto IGP
----------------------------
L’IGP “Pomodoro di
Pachino”
classifica e tutela ben quattro diverse tipologie di pomodoro, ognuna con
aspetti e caratteristiche diverse e destinati a diversi settori o segmenti di
mercato.
In
termini tecnici si è soliti dire di tipologie di pomodoro legate da un elevato
grado “brix”, da una straordinaria resistenza post raccolta e dal
caratteristico colore quasi brillante.
Il pomodoro Ciliegino di Pachino IGP identifica il prodotto in tutto il mondo nella
tipologia ciliegino.
---------------------
Il Pomodoro Costoluto , IGP “Pomodoro di
Pachino”, è un frutto di grandi dimensioni e di colore verde scuro,
brillante.
--------------------------
Il pomodoro Tondo Liscio di Pachino, anch’esso IGP, perchè è una delle tipologie del
marchio IGP del Pomodoro di Pachino.
------------------------
Il pomodoro Datterino si
differenzia dalle altre tipologie di pomodoro, per le dimensioni ridotte e per
la tipica forma allungata a "dattero". Rispetto alle altre varietà di
pomodoro, presenta un grado zuccherino più elevato che può raggiungere i 12°
Brix, la buccia si presenta estremamente sottile e di un intenso colore rosso
brillante.
----------------------
ALLEVAMENTO SPIGOLE ED ORATE
MUSEO DEL VINO
Museo feudo
Ramaddini
Vitigno Nero
d’Avola
Eloro – Vitigno
Frappato
Vitigno Inzolia
Vitigno Albanella Bianca
Da Pachino si può raggiungere Portopalo di Capo Passero con l'omonima Isola.
--------------------
CONCLUSIONI
La
linea ha una su importanza culturale, naturalistica ed anche economica.
Per
parlare di ogni sito attraversato dalla linea si dovrebbero scrivere dei veri e
propri trattati perché ogni centro ha una sua storia ed unicità nei suoi vari
aspetti.
Noto,
capitale del barocco siciliano e sito Unesco e non solo. Noto con le rovine
dell’antica Netum distrutta dal terremoto del 1693 ha la particolarità di
offrire anche degli importanti aspetti archeologici sia di civiltà antiche..
siculi e del medioevo oltre naturalmente
ai suoi prodotti tipici come le mandorle.
Il
sito archeologico di Eloro (l’antica
Helorus greca e la villa Romana del Tellaro con i suoi importanti mosaici);
l’Oasi Faunistica di Vendicari con i suoi aspetti naturalistici ed anche
archeologici, storici ed industriali; il piccolo centro di Marzamemi con il suo
borgo di pescatori e sede annuale della rassegna cinematografica “Cinema di
frontiera” per giungere a Pachino con i suoi aspetti archeologici, industriali
storici e produttivi.
Ripristinare
la linea ?
È
un argomento difficile… è ancora armata anche se in qualche tratto è stata
occupata abusivamente… ma questo non deve meravigliare..
Secondo
stime ufficiali la stima della popolazione servita dovrebbe essere di oltre
50.000 residenti mentre per i turisti solo cifra riferita a Vendicari parla di
circa 80.000.
Sulla
linea ci sono dei vincoli della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio in merito
al ponte sulla SP 34 e fiume Noto, in perfette condizioni; il ponte a sagoma
limitata del Lido di Noto.
La
tratta non presenta gallerie, è quindi tutta a giorno. In gran parte in trincea
e presenta delle opere d’arte interessanti e ben conservate come diversi ponti
di attraversamento; il ponte in ferro tralicciato sul fiume Tellaro, visibile
dalla SP 34, risalente al 1985 che rimase “non armato” a causa della chiusura
della stessa linea che avvenne dopo qualche mese. Di valore sono i paramenti in
pietra che costeggiano la linea in trincea costituiti da pietra calcarea
bocciordata.
La
linea è ancora armata (armamento Fonderie Sesto San Giovanni, 36 kg/m), 1934) e
le traversine in legno presentano ancora infissi i grossi chiodi in ferro con
la data di messa in opera segnata sulla testa del chiodo. I fabbricati, circa
10, sono in pessime condizioni e dovrebbero essere restaurati
La
zona presenta molti agriturismi di fascia media-alta, alberghi, molti BeB;
buona la ristorazione.
Le
produzioni agroalimentari sono ottimi una serie di prodotti IGL come le mandorle, i
pomodori di Pachino, il melone cantalupo; i vini che da sempre vantano una
buona posizione e valutazione nella produzione enologica siciliana e anche il
pesce con l’allevamento in mare di orate e spigole.
Molte
associazioni e comitati si stanno da tempo battendo per la riapertura della
linea. Sono stati presentati dei progetti anche sfruttando le leggi nazionali
che prevedono in merito il ripristino delle linee abbandonate per fini
turistici.
Naturalmente
questi progetti sono accompagnati da una stima potenziale di frequentazione
turistica se la linea fosse riattivata: 100.000 turisti/anno e 40.000
passeggeri/anno.
Le
località balneari avrebbero un gran vantaggio dal ripristino della linea dato
che la viabilità attuale è assicurata solo dalla SP 39, in precarie condizioni,
e che nel periodo di massima produzione agricola è trafficata da un ingente
numero di Tir, circa 100. Una linea che a Noto si collega con la Siracusa –
Ragusa – Gela e naturalmente con la linea Siracusa – Catania /Palermo –
Messina. Importante sarebbe il collegamento anche con aeroporto di Comiso
Fu
anche presa in considerazione il suo utilizzo come pista ciclabile ma presenta
vari punti con difficoltà perché posti in trincea ed altre difficoltà.
In
Sicilia le linee ferroviarie dismesse…. I binari dimenticati, … potrebbero
costituire un tesoro se opportunamente valorizzati.
Solo
gli esponenti della regione Sicilia sembrano non accorgersi dell’immenso tesoro
che hanno a disposizione.
Nel
mese di novembre del lontano 2016, si svolse a Rimini la presentazione di un dossier
da parte delle Ferrovie della Stato sulle linee dismesse.
In
quel convegno l’amministratore delegato delle Ferrovie fece un importante
appunto: “In Sicilia un terzo del totale
delle linee dismesse italiane, un enorme risorsa” (costituita da stazioni,
caselli, depositi… tutto da riutilizzare anche se spesso in precarie condizioni
statiche).
Molte
linee sono ancora armate, cioè complete di binari e relativi segnali, altri
sono invece sterrati e da alcuni amministrazioni virtuose trasformate in piste
ciclabili. In Italia sono circa 1500 km
di ferrovie dismesse e censite dalle Ferrovie dello Stato che ne è ancora
proprietaria attraverso le Fs Spa e Rfi Spa.
Il dossier fu presentato a Rimini alla Fiera
Ecomondo dall’amministratore delegato di Ferrovie il dott. Renato Mazzoncini e
aveva come obiettivo di lanciare un appello ad amministrazioni regionali e
locali, ma anche a privati ed associazioni, per acquistarle e valorizzarle. Un
invito che fu accolto da molte amministrazioni virtuose ma con scarsi esiti al
sud.
La
Regione Sicilia ha circa 444 km di binari dismessi…”solo in quest’isola esiste un terzo del patrimonio italiano di linee
dismesse. Immaginiamo cosa potrebbe essere il turismo se queste linee fossero
trasformate in piste ciclabili, le vecchie stazioni in ostelli e ristoranti o
centri di vendita di prodotti tipici. Arte, archeologia, artigianato e turismo
sarebbero messi a sistema creando occupazione e facendo emergere le eccellenze
della Sicilia".
Sono
ben 24 le linee siciliane inserite in elenco. Dai quasi ottanta chilometri
della Dittaino-Caltagirone ai 400 metri della Palermo Centrale-Porto. Tracciati
disseminati di svariati tipi di costruzioni, dai caselli a stazioni e depositi
e poi ponti, viadotti e gallerie. Venti case cantoniere e cinque stazioni nei
24,2 chilometri della Terme Vigliatore-Messina Scalo, sei stazioni e venti case
cantoniere nei 28,5 chilometri della Catania Ognina vecchia-Fiumefreddo. E poi
l'Alcantara-Randazzo (37,5 chilometri con sette stazioni, 10 magazzini, due
rimesse per locomotive, 18 case cantoniere), la Regalbuto-Santa Maria di
Locodia (35,1 chilometri con cinque stazioni), la Leonforte-Caltagirone (71,2
chilometri con 20 stazioni e 39 case cvantoniere), la Noto-Pachino (27,5
chilometri, otto stazioni e 14 case cantoniere) e la Agrigento Bassa-Licata
(60,8 chilometri, sette stazioni, nove magazzini merci e trenta case
cantoniere). In molte di queste linee ormai non ci sono neanche i binari ma
tutte le infrastrutture ideali per trasformarle in greenway, percorsi ciclabili
o di trekking nei quali gli edifici recuperati possono ospitare varie tipologie
di attività legate al turismo. In alcuni casi la trasformazione è già avvenuta
ma sono ancora poche esempi virtuosi.
Fra le linee censite anche la Magazzolo-Lercara Bassa e la Palazzo
Adriano-Filaga e i 123 chilometri della Castelvetrano-Porto Empedocle con le
sue 21 stazioni e ben 69 case cantoniere, la Salaparuta-Castelvetrano, la
Salemi-Santa Ninfa e altre tratte più brevi, da uno a 5 chilometri, abbandonate
per velocizzazioni di tracciato: Trabia-Buonfornello, Pollina-Tusa,
Fiumetorto-Cerda, Carini-Punta Raisi, Palermo Centrale-Porto, Trapani-Trapani
Porto, Targia-Siracusa, Siracusa Centrale-Siracusa Marittima, Lentini
Diramazione-Gela, Licata-Licata Porto, Mazara del Vallo-Mazara del Vallo Porto.
Linee urbane in alcuni casi retaggio di un trasporto merci su ferro e nave che
evidentemente era più efficiente in passato ma che potrebbero anche essere
inserite nei piani di mobilità delle cittadine siciliane interessate. Ma la
scommessa principale rimane la valorizzazione di questo patrimonio nel settore
turistico.
Il
problema è la manza di fondi e naturalmente Ferrovie non è disposta a regalare
i suoi binari dismessi magari cedendoli a prezzo ragionevole per permettere
alle regioni, province, Comuni di acquisire
il patrimonio industriale. I
fondi europei dovrebbero aiutare in quest’ottica anche perchè c’è un certo
interesse da parte del Ministero ai beni Culturali nel proposito di fare
rivivere queste linee per scopi turistici
.
Ci
sono diverse riferimenti legislativi in merito tra la cui la Legge 8 agosto
2017 n. 128.. ma deve esserci l’interesse e la visione lungimirante degli
organismi regionali che dovrebbero avere in primis la consapevolezza dell’azione
rivolta alla valorizzazione turistica del proprio territorio con conseguenti
benefici sociali ed economici in particolare occupazionali.
molte
associazioni si battono per il suo ripristino anche perchè la linea è stata
inserita nella normativa nazionale come una delle linee storiche da salvaguardare.
Commenti
Posta un commento