Viaggio Lungo le Ferrovie Dismesse della Sicilia : NOTO – PACHINO

Un Viaggio tra Storia, Arte, Natura e Prodotti Tipici..






Indice:
1        – La Linea Ferroviaria Noto – Pachino; Archeologia Industriale;
   Video : L’Inaugurazione della Linea Noto – Pachino;
2        Noto (Cenni);
3        Noto Antica:
a)      Chiesa del Carmine;
b)      Piazza Maggiore – Palazzo Senatorio – Fontana del Laocoonte;
c)      Eremo di S. Maria della Provvidenza – Il quadro trafugato (?) della Madonna con il Bambino di Costantino Carasi;
d)     Cava Carosello – Le Concerie – I Mulini – Chiesa Rupestre di San Giuliano – Le “Gurne”
e)      Palazzo Landolina di Belludia;
f)       Chiesa dei Gesuiti;
g)      “Ginnasio Greco”;
h)      “Heros Greci”;
i)        Grotta delle Cento Bocche – Grotta del Carciofo con segni ebraici;
j)        L’Ospedale e la Chiesa di S. Maria di Loreto;
k)      Chiesa del SS. Crocifisso e Quartiere delle Celle del Crocifisso;
l)        Il Castello – La Cappella del Castello – Le carceri – i graffiti dei prigionieri
m)    Santuario di Santa Maria della Scala
n)      Eremo di San Corrado Fuori le Mura

3. Le Mandorle di Noto
4. Stazioni/Fermate : Falconara Iblea – Noto Marina – Noto Bagni;
5. Eloro;
a)      “La Pizzuta”;
b)      L’Antica Heloro – Il tempio al Dio Asclepio – La Torre Stampace;
c)      Le Spiagge ;
6. La Villa Romana del Tellaro;
7. Vendicari – Oasi Faunistica
    Le Latomie – La Spiaggia di Calamosche – La Torre Aragonese – La Tonnara – I Pantani –
    Le Vasche greche per il pesce – Le saline – La Trigona Bizantina
8. Marzamemi – Il Borgo dei Pescatori – La Tonnara – L’isoletta di Brancati;
9. Pachino
    Grotta Calafarina – Grotta Carruggi – Torre Xibini – Torre Fano – Castello Belmonte Tabuli
    I Prodotti Tipici (IGP) : Melone Cantalupo – Pomodori di Pachino –
    Museo del Vino – I Vitigni
Conclusioni
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1.      La linea ferroviaria Noto Pachino
a semplice binario, a scartamento ordinario, che con la sua stazione terminale di Pachino aveva il duplice primato di essere la linea ferroviaria e la stazione più a sud d’Italia e d’Europa.  Una linea lunga 27 km, inaugurata  nel 1935,  chiusa nel 1986 e dismessa nel 2002.
La tratta Ferroviaria Siracusa - Gela – Canicattì aveva una sua grande importanza nello sviluppo socio-economico della Regione. Permetteva ai prodotti  interni dell’isola di raggiungere il porto di Siracusa e  dal porto, via ferrovia, l’importante scalo ferroviario di Catania. Prodotti  che raggiungevano non solo i ricchi mercati del catanese ma anche del nord Italia.
Naturalmente la presenza di questa linea di comunicazione era un invito per altre aree, contraddistinte da diverse tipologie produttive, di collegarsi alla rete preesistente per fare raggiungere i loro prodotti in mercati di una certa importanza superando l’isolamento commerciale.
In questo contesto si deve inquadrare la nascita della linea Noto-Pachino che avrebbe permesso, all’estremo lembo territoriale della Sicilia, di esportare i propri prodotti agricoli, vinicoli e ittici.
In realtà i progetti della linea risalivano ai primi anni del Novecento. La prima guerra mondiale e la crisi economica del 1929, rallentarono moltissimo l’esecuzione dell’opera. Linea che fu comunque completata soltanto alla fine del 1934 ed inaugurata con l’apertura dell’esercizio il 28 aprile 1935.



Video 
L'Inaugurazione della Linea Noto - Pachino


Il servizio era costituito da quattro coppie di treni giornalieri di cui tre di categoria “omnibus” e una di categoria misto. Si fermavano in tutte le stazioni ma nel periodo invernale si evitata la fermata a Noto Bagni. La prima corsa era in partenza da Pachino alle 5,22 mentre l’ultima terminava il servizio, sempre a Pachino, alle ore 20,11. La percorrenza variava dai 47 ai 65 minuti.
Il servizio passeggeri venne  subito affidato alle Littorine Fiat ALn56 mentre per il traffico merci si faceva  uso delle locomotive dei gruppi 740 e 790. La linea ferroviaria, nella stazione di Noto, era collegata alle importanti linee per Siracusa/Catania/Messina/Agrigento.

Littorina Fiat Aln56

Locomotiva 740

Stranamente la linea non ebbe un gran successo. La sua vita fu caratterizzata da una presenza umana alquanto modesta tranne alcuni momenti particolari legati per lo più alla stagione estiva e quindi al forte flusso di bagnanti.
Infatti il 28 agosto 1935, grazie alle richieste dei bagnanti, che numerosi affollavano le spiagge neatine, venne istituita la fermata “Noto Bagni”. Per la creazione di questa fermata, che restava in funzione solo dal 15 giugno al 30 settembre, fu utilizzata una preesistente casa cantoniera posta al km 7 +578 della linea.
La seconda guerra mondiale e lo sbarco alleato causarono dei forti danni alle linee ferroviarie dell’isola e nel particolare, la linea di Noto-Pachino,  rimase interrotta con altre linee sempre della Sicilia sud-orientale dal giugno 1943 per oltre un anno.
I lavori di ripristino permetteranno alla linea di riaprire nel maggio 1944 con la speranza di in incremento almeno nel traffico merci.
Il 17 ottobre 1951 una forte alluvione causò delle interruzioni sulla linea e fu chiaro in quel momento l’atteggiamento delle FS con “la volontà di sopprimere i servizi e di non intraprendere i lavori di ripristino”.

La popolazione locale protestò riuscendo a fare cambiare idea ai dirigenti delle FS. Infatti l’1 marzo 1955 i treni ripreso a percorrere la linea. Il traffico viaggiatori non dimostrò alte presenze a differenza del traffico commerciale legato ai vini pachinesi, molto ricercati, e all’industria ittica di Marzamemi.
La presenza di una rete stradale, in parte per quei tempi migliorata, e la lontananza dai centri abitati, cominciarono a determinare sulla linea un ulteriore e drastica riduzione dei passeggeri. Le FS quando riaprirono la linea nel 1955 avevano già disabilitato le stazioni di Roveto Bimmisca e San Lorenzo Vecchio, che private quindi di segnali e binari d’incrocio, vennero declassate a semplici fermate come Noto Marina.
Unica stazione d’incrocio restò Marzamemi (km 23+956).
Le FS nel frattempo sostituiranno le vecchie littorine ALn56 con le ALn772 anche se in presenza di un scarso servizio passeggeri.

Littorina Aln 772

Nel 1968 erano in orario solo due treni passeggeri verso Noto e tre verso Pachino mentre il traffico merci era discreto e costituito, come sempre, da prodotti ittici di Marzamemi e di vini di Pachino dove la produzione già allora superava i 300.000 ettolitri l’anno. Una richiesta di vini soprattutto dalla Francia.
Gli anni ’70 videro le nuove littorine Aln668 della serie 1500 e 1600, spesso in combinazione singola, prestare servizio sulla linea sempre più scarsamente utilizzata.




Nel 1973 erano presenti tre treni da Pachino per Noto e due da Noto per Pachino, pensati in orari collegati alle coincidenze per Siracusa. Nei giorni festivi era in partenza un solo treno da Pachino a Noto, alle 5,46 del mattino, e nessun treno in senso inverso. Ormai c’era un distacco tra utenza e FS. Anche il traffico merci subì una drastica riduzione per la spietata concorrenza degli autotrasportatori.
In occasione delle festività natalizie era consuetudine che il “DM della stazione del Brennero (la stazione più a nord d'Italia) mandasse in dono al suo collega di Pachino (la stazione più a sud d'Italia) un abete (che veniva addobbato per il Natale), ricevendo in cambio un cesto di prodotti tipici siciliani”.
“Una testimonianza ormai scomparsa di una ferrovia, che seppur antiquata, era ancora umana”.
Negli anni ’80 si fecero sempre più insistenti le voci di una chiusura della linea abbandonata da un sempre maggiore numero di persone anche per le scelte, non troppo felici, delle FS che nel mese estivo sospesero il servizio passeggeri per effettuare il traffico merci.
L’ultimo passaggio di un treno fu il 9 ottobre 1985 che si fermò nella stazione di Marzamemi.
Nell’estate del 1985 erano in corso lungo la linea vari lavori che riguardavano l’automazione dei passaggi a livello, che erano tutti manuali cioè prevedevano la presenza costante di un casellante, e la creazione di nei pressi di Roveto di un attraversamento alternativo del fiume Tellaro. I treni si fermavano a Marzameni e poi con un servizio sostitutivo di pulman si permetteva ai passeggeri di raggiungere la stazione finale di Pachino.
Il colpo di grazia definitivo lo diede l'arcinoto ministro Signorile, che con il suo decreto (DM 73/T del 15-04-1987) sospese il traffico passeggeri e merci a partire dal 1 Gennaio 1986. 
Venivano e vengono ancora chiamati “rami secchi” perché considerate delle linee secondarie che secondo le FS sono in perdita e con un bacino d’utenza così scarso da non giustificare il mantenimento dell’esercizio ferroviario. Per la verità i primi tagli risalgono agli anni ’30 quando vennero chiuse delle linee improduttive. Gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale provocarono gravi danni alla rete ferroviaria. Linee che vennero ricostruite tranne alcune che per la loro scarsa frequentazione ne sconsigliarono la ricostruzione. L’incremento della motorizzazione determino agli inizi degli anni ’60 le prime soppressioni con la chiusura al traffico di linee piuttosto brevi ed improduttive. La situazione era difficile anche perché le FS disponevano di treni vecchi ed antiquati, sempre in ritardo e le linee erano gestite con criteri ormai superati. L’utenza era sempre più rivolta al trasporto su autoveicoli. Negli anni ’80 si ricominciò a parlare di FS portando avanti un progetto “faraonico” che fu approvato con un piano d’investimenti che aveva come obiettivo la modernizzazione delle FS. È vero modernizzazione ma era anche necessario risparmiare e qui il Ministro dei Trasporti Claudio Signorile, esponente del PSI e membro del governo Craxi, compilò un elenco di “linee non comprese nella rete di interesse generale”, assolutamente improduttive e di cui si sarebbe dovuta avere la chiusura. Le linee che si sarebbero dovute tagliare, tra il 1985 ed il 1986, un elenco di ben 60 linee. In merito alla Sicilia le linee da sopprimere erano:
-          Alcamo – Castelvetrano – Trapani;
-          Caltagirone – Gela, che era stata aperta nel 1980;
-          Canicattì – Siracusa;
-          Randazzo – Alcantara;
-          Noto – Pachino;
-          Castelvetrano – Ribera:
-          Motta Sant’Anastasia – Regalbuto;

Ci furono delle proteste anche perché molte linee presentavano un discreto traffico. Le FS furono quindi costrette a rivedere il piano e alla fine le linee soppresse, dopo un attento studio su singola linea,  nel 1986 furono:
-          Bastia – Mondovì;
-          Airasca – Saluzzo;
-          Isola della Scala – Dossobuono;
-          Priverno – Fossanova;
-          Martgherita di Savoia – Margherita di Savoia/Ofantino;
-          Motta S. Anastasia – Carcari (Sicilia);
-          Noto – Pachino (Sicilia);
-          Castelvetrano – Ribera (Sicilia).


Ad onor di cronaca c’è da dire che la soppressione delle linee continuò nel 1987 e nel 1994 ci furono altri tagli (Taormina – Randazzo). Spesso erano anche le regioni a richiedere la chiusura di una linea. Nel 2000 – 2010 altri tagli.

Il colpo di grazia definitivo lo diede l'arcinoto ministro Signorile, che con il suo decreto (DM 73/T del 15-04-1987) sospese il traffico passeggeri e merci a partire dal 1 Gennaio 1986.  Per diversi anni le FS continueranno a gestire gli autobus sostitutivi, che verranno soppressi definitivamente nei primi anni '90.
In realtà la linea venne chiusa ma non smantellata. Infatti fino al 1997 rimaneva ancora inserita per memoria nel fascicolo d’orario di servizio delle FS.
Nel 2002 la linea venne dichiarata ufficialmente dismessa dal Ministero dei Traporti e delle Infrastrutture (Pietro Lunardi), emesso ai sensi dell’articolo 2 del DM 138T del 31 ottobre 2000 e a seguito dell’istanza di rinuncia alla concessione dell’esercizio da parte di RFI … il tutto dopo il parere favorevole espresso dalla Regione Sicilia, dal Ministero della Difesa e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze … e il 6 maggio 2002 anche dalla Direzione Generale del Trasporto Ferroviario.




La stazione di Marzamemi era la stazione principale per il trasporto del vino. La ferrovia infatti passò alla storia con l’appellativo di “Ferrovia del Vino”.
Dei 350 hl di vino prodotti dal comprensorio di Pachino, più del 50% veniva spedito tramite ferrovia.  I carri cisterna arrivano durante la notte nella stazione per poi ripartire l’indomani carichi del  prezioso liquido. Un traffico intenso giornaliero che aveva soprattutto nei mesi di settembre ed ottobre delle punte molto alte. Si parla in media di 400 – 450 carri cisterna annui che partivano dalla stazione di Marzamemi negli anni  ‘70.  Vicino alla stazione i magazzini che furono utilizzati dagli alleati come caserme da dove il vino tramite tubi venivano caricato nei vagoni cisterna. Nel 1897 il secondo marchese di Rudinì, don Antonio Starabba costruì nelle vicinanze  del sito, dove poi sarebbe sorta la stazione, un importante palmento.


Il palmento si trova in contrada “Lettiera” e la sua costruzione iniziò nel 1897 per festeggiare la vittoria sulla filossera che aveva distrutto i vigneti e ridotto i contadini in miseria  tanto da costringerli alla migrazione.
Il marchese Don Antonio Starraba importò nuovi vitigni dall’America e diede un forte impulso alla rinascita della viticoltura.  Tra i suoi progetti  c’era quello di razionalizzare il ciclo lavorativo dei piccoli palmenti che da oltre un secolo operavano nel territorio.
Nelle immediate vicinanze dello stabilimento sorsero in seguito numerosi altri manufatti legati alla produzione vinicola, i cosiddetti “magazzini del vino”, oltre ad una importante distilleria che riciclava gli scarti della lavorazione (le vinacce) per estrarne alcool.
Il grande palmento fu completato nei primi anni del 1900 e mostrò subito la sua modernità ed efficienza. Era diviso in ben 19 sezioni, intestate a membri della famiglia, con sotterranei scavati nella pietra arenaria e vasche in muratura collegate al vicino piccolo porto di Marzamemi. Un collegamento ottenuto con un funzionale sistema di pompaggio e canalizzazione.
Nello stabilimento lavoravano circa 40 persone che aggiunti alle “…12 ciurme di giovanotti, pagati 60 centesimi al giorno....ai carrettieri...e alle ragazze che trasportavano l'acqua per i vendemmiatori..." formavano i salariati.
Nello stabilimento furono introdotte moderne macchine come le pigiatrici a rullo.
Nei primi anni del 1900 l’azienda vinicola produceva 500.000 lire di reddito annuo. Dopo la morte di S.E. Antonio Starabba le cose cambiarono..”la gestione fu trascurata”  con un netto calo della produzione del vino che nel 1918 venne stimato in 2,50 hl a tumulo mentre nel 1909 la perizia annuale citava 6 – 7 hl di mosto con media di 11 – 12 hl.
Alla morte del marchese Antonio, l’azienda passò al figlio Carlo Emanuele che delegò un amministratore con pieni incarichi per la gestione dei beni..
 Don Carlo Emanuele Starabba nel 1917 si suicidò e vi furono subito una serie di processi per l’annullamento del testamento che lasciava come erede universale l’avv. Sipione Maltese di Rosolini. Avv. Sipione che nel 1915 era stato nominato dallo stesso Carlo Starabba “procuratore generale” del patrimonio, rompendo in questo modo il pluriennale rapporto con il “fidatissimo Tafuri”.

Nel 1933 lo stabilimento veniva trasformato in "cantina sociale - anonima cooperativa A. Di Rudinì" e con questa ragione sociale restò in attività fino ai primi anni '60.
Il recupero dello stabilimento Di Rudinì, che ha svolto un fondamentale ruolo nella storia economica locale ed è stato testimone del passaggio dai sistemi produttivi artigianali a quelli industriali, è stato inserito dall'Amministrazione Comunale in un progetto più generale, denominato “Ecomuseo del Mediterraneo”, facente parte dei P.I.T. e finalizzato al recupero del vecchio manufatto, da destinare ad uso turistico-culturale.
Un palmento che aveva un sistema di pompaggio e di canalizzazioni che permettevano al vino di raggiungere il porto di Marzamemi da dove partivano le navi (bettoline)  per Genova e la Francia.

 Palmento Rudinì... alcuni anni fa...


S.E. Antonio Starabba. Marchese di Rudinì, nobile, politico e prefetto.
(Palermo, 6 aprile 1839 – Roma, 7 agosto 1908)
Una famiglia originaria di Piazza Armerina e ostile al dominio borbonico in Sicilia.
Il padre, Francesco Paolo Starabba, primo marchese di Rudinì, partecipò ai moti  siciliani del 1848
presiedendo il comitato di raccolta fondi per l’imminente guerra contro i Borbone.
La madre era la nobile Livia Statella dei principi di Cassero.
Don Antonio Starabba entrò  nel 1859 a fare parte del comitato rivoluzionario che spianò
la strada  ai trionfi di Garibaldi.
I 4 aprile 1860 lo Starabba partecipò attivamente alla Rivolta della Gancia
che fu repressa in modo energico dal governo borbonico. Riuscì ad evitare l’esecuzione
capitale fuggendo su un imbarcazione francese diretta a Genova. Rimase nella città ligure
fino a quando Garibaldi liberò la Sicilia.
dopo un intensa vita politico si ritirò nel suo villino di Roma “Villino Rudinì”, progettato
dall’architetto Ernesto Basile, dove morì.

Villino Rudini.. in Via Gaeta (Roma)….oggi sede dell’Ambasciata Giapponese

Nel 1897……

Fu promotore della ripresa economica della zona del sud-est siciliano che era
stata colpita dalla filossera che aveva distrutto i rigogliosi vigneti. Fece arrivare
dagli Stati Uniti dei nuovi vitigni e costruì, come abbiamo visto, a Marzamemi  il
primo grande palmento industriale della Sicilia.
fu uno dei più grandi proprietari terrieri della Sicilia  che coordinò seguendo delle
precise idee liberali senza mai incorrere in problemi con la manodopera locale.
Si sposò nel 1864 con la nobildonna francese Maria de Barral due cui ebbe due figli:
Carlo che sposò una figlia di Henry Labouchere;
Alessandra, che dopo essere stata l’amante di G. D’Annunzio, si fece
Monaca Carmelitana.
Maria de Barral morì il 7 febbraio 1896 e il Di Rudinì si sposò
in seconde nozze, il 30 luglio 1896, con
Leonia Incisa Beccaria di Santo Stefano Belbo.

Interno Palmento Rudinì

Una volta costruita la ferrovia furono installati dei tubi che permettevano di far confluire il vino dai magazzini ai carri cisterna presenti nella vicina stazione.

Il tronchino per il fissaggio dei tubi che permettevano il riempimento dei carri cisterna .



Nell’estate del 1985 giunse da Milano un fotografo delle Ferrovie dello Stato che si recò a Randazzo probabilmente per fotografare la linea Randazzo - Alcantara. Successivamente si trasferì a Modica dove si fece accendere una vaporiera per raggiungere la stazione di Noto. Proprio a Noto incrociò un  convoglio con ben 20 carri cisterna carichi di vino che proveniva da Marzamemi.


Un’attività fiorente… anche se il vicino palmento Ridinì aveva fortemente ridotto, o annullato, la sua attività di pigiatura delle uve.

La linea rientra comunque nell’Archeologica Industriale  anche per i suoi aspetti costruttivi.

Sono presenti ancora le targhette inserite nelle traverse dei binari… i chiodi di fissaggio dei binari con impressi l’anno  e il mese… e il marchio  della fabbrica dei binari…

Targhetta traversa – 5/70


5/61 (maggio /1961)


1934


L’Archeologia Industriale è una branca dell’Archeologia che raccoglie tutte le testimonianze, materiali ed immateriali / dirette ed indirette, che riguardano il processo d’industrializzazione fin dalle sue origini con l’obiettivo di approfondire la conoscenza della storia del passato e del presente industriale.
Questi chiodi…. queste targhette sulle traverse o i binari con  la dicitura dell’azienda produttrice, che è impressa su alcune rotaie, non sono banalità perché rappresentano delle testimonianze…….






Infatti le testimonianze attraverso cui l’archeologica industriale può a queste conoscenze del passato sono i luoghi e le tecnologie dei processi produttivi ma anche le tracce archeologiche lasciate da questi; i mezzi e i macchinari attraverso cui questi processi si sono realizzati; i prodotti di questi processi; tutte le fonti scritte a loro inerenti, le fonti fotografiche, ecc.


Una linea non elettrificata, dall’andamento piano-altimetrico abbastanza regolare con pendenza massima del 14 per mille in un solo tratto. Le stazioni erano fornite di attrezzature per il carico e lo scarico di merci (piani caricatori, magazzini) e di segnalazione semaforica ad ala.
Circolazione a dirigenza unica con l’installazione di telefoni tipo “Western” a cassetta di legno e generatore a manovella collegati in parallelo alla linea telefonica del dirigente unico che aveva sede a Siracusa.



Percorso in km .. progressivi da stazione a stazione
0.0      -  Stazione di Noto
4,00 – Falconara Iblea;
6,10 – Noto Marina
8,10 – Noto Bagni
12,56 – Roveto – Bimmisca;
18,35 – San Lorenzo Lo Vecchio
23,95 – Marzamemi
27,03 - Pachino

In discreto stato di manutenzione sono le opere d’arte mentre i fabbricati sono in rovina.




STAZIONE DI NOTO
Km 0 + 000
Diramazione per Gela e Siracusa

La linea Noto - Pachino è evidenziata con puntini rossi

Stazione di Noto

2. Noto (Cenni)

 Noto, “Capitale del Barocco”,  dal 2002 il suo centro storico è stato dichiarato
dall’UNESCO, “Patrimonio dell’Umanità”. Un riconoscimento legato ad altre
città tardo barocche della Val D Noto.



Il turista che scopre la città per la prima volta deve soltanto prepararsi a “subirne” il fascino. Giunto sotto la Porta Reale, fatta costruita nel 1841 in onore del re Ferdinando II di Borbone, il suo sguardo riesce subito a cogliere i motivi per cui Noto fu inserita nell’Heritage list dell’Unesco.

Noto – Porta Reale

Il “cassaro”, lungo viale che attraversa la città da Est ad Ovest, è l’asse principale di Noto bassa.
Varcata la “Porta” s’entrerà nel centro storico e sarà un susseguirsi di slarghi, scalee, dislivelli, palazzi dalle inferriate panciute mentre il colore abbagliante della pietra arenaria colpita dal sole farà il resto dando una luminosità particolare.
Il poeta arabo Ibn Hamdis, anche se nel 1100, esprimeva il suo stupore magnificando l’atmosfera quasi magica che ricopriva la città..”Oh, custodica Iddio una casa in Noto, e fluiscano su di lei rigonfie nuvole!”.
Lo storico dell’arte, Andrè Chastel, paragonò la città “all’incanto di una sala di teatro vuota” e Guido Ceronetti nel suo “Viaggio in Italia” ne parlò come di “un piccolo borgo, eppure la percorri come l’infinito; Una cifra e un enigma messi insieme. Qualcosa di non dicibile”.
In realtà Noto ha un fascino particolare. Distrutta dal terremoto del 1693, la città nuova, a differenza di altre che avevano subito lo stesso triste destino, fu ricostruita in un'altra località, a poca distanza dal mare ma con una struttura aperta. È un fiorire di palazzi, chiese e monasteri e conventi arricchiti da mensole, capitelli, colonne, fregi e putti. A queste opere fanno da contrasto magnifiche piazze, terrazze, dislivelli e imponenti scalinate.

Chiesa San Francesco all’Immacolata

Noto - Basilica del SS. Salvatore

Monastero del SS. Salvatore

Chiesa e Convento di Santa Chiara

Chiesa di Santa Chiara

Palazzo Ducezio

Cattedrale

Palazzo Sant’Alfano dove era solito fermarsi re Ferdinando II


Palazzo Nicolaci di Villadorata – i balconi più belli del mondo



Altri palazzi, chiese tutte risalenti al Settecento completano un luogo tutto da scoprire.

Da Noto bisogna spostarsi a Noto Antica dove sorgeva la città fino al gravissimo terremoto del  1693




3. NOTO  ANTICA
L’antica Noto (“Netum” latina, “Neeton o Neaiton” greca) si trovava nel sito di Noto Vecchia, cioè
la città distrutta dai terremoti del 9 – 11 gennaio 1693 e che, come abbiamo visto, fu ricostruita nel luogo attuale a circa 8 km più a est.  Un sito contraddistinto da un immenso patrimonio archeologico e naturalistico. I numerosi sepolcri trovati in prossimità dell’abitato dimostrano che si trattava di un centro siculo che successivamente fu ellenizzato. La sua prima citazione risale al 263 a.C. quando, in seguito al trattato di pace tra Roma e Ierone II, il centro fu ceduto a Siracusa.
Cicerone ricorda la città perché era uno dei pochi centri della Sicilia alleato con Roma. Lo stesso storico ricorda l’esistenza a Noto di un certo Attalo, un uomo ricchissimo, che fabbricava
per Verre delle stoffe e dei tappeti di porpora. In età imperiale “Netum” godeva del diritto latino
insieme a Centuripe e a Segesta.
La città sorgeva sulla montagna dell’Alveria (Monte degli Olmi), alta circa 420 m. un colle allungato da nord a sud, lungo circa 1,5 km, che si conclude dividendosi in due lobi, circondato da profondi burroni.
In uno di questi burroni scorre l’antico “Assinaros”. Gli antichi storici ricordano la città anteriore al 1693 con  resti di mura antiche, templi, piazze, ecc.
La “Municipium” dei Romani conservò la sua importanza sotto i Bizantini e gli Arabi. Arabi che chiamarono “Val di Noto” una delle tre zone amministrative della Sicilia.
Con Ferdinando il Cattolico fu fregiatadel titolo di “civitas ingegnosa”. Fu un centro importantissimo dal punto di vista culturale, militare ed economico della Sicilia Sud-orientale.


3.a - LA CHIESA DEL CARMINE

Da Noto si percorre la SP 64 e prima di raggiungere la “Piazza Maggiore” si devia a destra
per raggiungere la “Chiesa del Carmine”.

I resti della Chiesa del Carmine



La chiesa fu realizzata tra la fine del 500 e gli anni venti del 600. Furono i Carmelitani che ampliarono  i locali di una preesistente chiesa di origine medievale e fatiscente.
L’edificio, dopo le ristrutturazioni, presentava una pianta in tre navate che erano suddivide da due
ordini di quattro colonne doriche. Colonne che erano proporzionate sulla base dell’ordine
vitruviano proposto da Jacopo Barozzi da Vignola nel 1562 nella “Regola delle cinque ordini
d’architettura”. La navata centrale era probabilmente coperta da un tetto ligneo a cassettoni, e si concludeva in un grande presbiterio, ultimato nel 1618, con la realizzazione di una volta a
padiglione a base ottagonale impostata su archetti angolari. Sopra l’ingresso della navata centrale era posta la cantoria che poggiava su grandi pilastri a base rettangolare.
I resti dell’edificio sono costituiti dalle basi delle colonne e dei pilastri che dividevano lo spazio interno, da frammenti architettonici mentre la cappella absidale è occupata da una costruzione rurale che ne ha incorporato un tratto di muro.

Ricostruzione dell’edificio

Ritornando indietro si giunge alla Piazza Maggiore





3.b - PIAZZA MAGGIORE (Palazzo Senatorio; Chiesa Madre e Fontana del Laocoonte)
        

La Piazza Maggiore, come indica il nome, era il grande piano al centro dell’antica città. Si giungeva alla piazza attraverso la strada che partiva dalla Porta della Montagna, nella zona del castello, e costeggiava il complesso dei Gesuiti. Dalla piazza si poteva raggiungere la Chiesa del Carmine e l’eremo di Santa Maria della Provvidenza.
La piazza al momento del sisma del 1693 presentava il Palazzo Senatorio e la grande Chiesa Madre che dal periodo normanno, a causa di vari rifacimenti ed ampliamenti, alla data del terremoto non era ancora completata.
Nello spazio antistante la chiesa erano presenti i resti di alcuni botteghe che facevano parte di un quartiere che fu demolito nel 1580 per l’ampliamento della stessa piazza.  Il perimetro della piazza era delimitato da edifici residenziali mentre la sua pavimentazione era costituita da un lastricato di basole rettangolari di pietra bianca. Lo stesso tipo di pietra che era utilizzata per la costruzione degli edifici.  La descrizione di Noto Antica lascia  meravigliati perché sembra quasi di rivivere quei luoghi.
Frà Filippo Tortora da Noto ( 1669 – 1738) nella sua descrizione citò anche la presenza di una bellissima fontana presente nella piazza e adiacente al palazzo Senatorio.  Una fontana con il gruppo del Laocoonte che era presente nel luogo già all’inizio del cinquecento
Un grande arco urbano, che poggiava sul muro della chiesa grazie ad una colonna di sostegno del diametro di circa due metri,  costituiva l’ingresso della strada che costeggiando il fianco laterale della chiesa, collegava la stessa piazza alla zona delle absidi.
La Chiesa doveva avere una sua imponenza. Un marcapiano in pietra la divideva in due parti e nella parte alta si trovava un rosone in pietra. Un campanile s’innalzava alla fine della navata sinistra. Il livello della chiesa era rialzato rispetto al piano della piazza di circa sei gradini. Si accedeva alla chiesa tramite un portale preceduto da un protiro. Un aspetto architettonico simile a quello della chiesa Madre di Militello in Val di Catania, anch’essa città del barocco.
Il protiro era probabilmente formato da due colonne che erano sorrette da leoni stilofori che sono stati recuperati ed oggi custoditi all’interno della Chiesa del SS. Crocifisso a Noto. Il portale d’ingresso era opera dello scultore Gabriele di Battista. Un portale in marmo bianco con due esili colonne tortili ed un architrave che sorreggeva una lunetta con un altorilievo.
Il palazzo Senatorio, a sinistra della Chiesa, fu invece costruito per volere del vicerè Juan de Vega, tra il 1547 e il 1556. I lavori iniziarono nel 1559 e furono affidati al maestro fiorentino Bartolomeo la Scala, a Francesco Cerami di Noto e al mastro Giacomo Siracusa di Noto. C’è negli archivi storici una descrizione di Corrado Gallo del Palazzo Senatorio: ““il soffio rinnovatore del Rinascimento si sarà fatto sentire anche nella casa sanatoria, detta casa di corte, la quale sorgeva nella piazza maggiore, proprio al centro della città”.
Un edificio che aveva una sua funzione pubblica. Il portale del palazzo era simile a quello di palazzo Arnone a Cosenza e il cui autore fu lo stesso Bartolomeo della Scala.
Un prospetto che era caratterizzato da tre ordini architettonici: dorico, ionico e corinzio che erano separati da fasce marcapiano e sormontati da un coronamento aggettante.

Ricostruzione virtuale della Chiesa

Ricostruzione virtuale del Palazzo Senatorio

Ricostruzione virtuale della fontana del Laooconte


Dalla Piazza Maggiore parte la strada che conduce all’Eremo di Santa Maria della Provvidenza

3.c - Eremo di Santa Maria della Provvidenza
         Il quadro trafugato (?) della Madonna con il Bambino, opera di Costantino Carasi






L’eremo fu costruito nel 1723, in stile barocco,  quindi sulle rovine di un precedente convento distrutto dal terremoto. Fu abitato dalle Suore Carmelitane fino al 1800 quando la struttura venne abbandonata forse a causa anche del suo isolamento. La struttura sembra in degrado rispetto a quando nel 2000 la visitai. La chiesa, che presentava stucchi e dipinti, e il convento sono oggetto di vandalismi

La sua edificazione fu legata al ricordo delle vittime del terremoto. Attorno all’eremo  numerosi caseggiati, stalle, a testimonianza di una vita non solo religiosa.
Nel convento e nella chiesa erano custoditi dei quadri di notevole valore che purtroppo sono stati trafugati da ignoti. Un quadro, in particolare, attribuito al pittore neatino del’ 700, Costantino Carasi, autore delle famose tele della Cappella Landolina del SS. Crocifisso, sparì nel nulla.  Era di pregevole fattura e vecchio di almeno due secoli. Il dipinto raffigurava la Madonna della Provvidenza con in braccio il Bambino. Una tela che in origine era ubicata nella chiesa annessa al convento dei Frati Minori e posta sull’altare centrale. Nel 1748 il padre, Pier Paolo Riva, fece collocare sull’altare dell’Eremo il prezioso dipinto.

Il quadro trafugato (?)






Dalla Piazza Maggiore si può scendere attraverso un sentiero a Cava Carosello, una gola profonda tipica dell’ambiente ibleo.


3d. CAVA CAROSELLO ( Concerie, Mulini, Chiesa Rupestre di San Giuliano..Laghetti)

Cava Carosello

Per visitare la Cava Carosello è opportuno prendere contatto con le guide del luogo il tutto per affrontare una visita in assoluta sicurezza.


Dalla Piazza Maggiore parte il sentiero che conduce alla “Porta di Santa Margherita”, una delle nove porte inserite nella fortificazione dell’antica Noto, e che costituisce uno dei principali ingressi alla cava. Una mulattiera scavata nella roccia permette di raggiungere la Cava dove erano ubicate le numerose concerie e i mulini.
La porta era costituita da un arco di cui restano pochi ruderi e da un robusto portale di ferro oggi scomparso. A fianco della porta si trova un piccolo ambiente, una garitta, nel quale prestavano servizio gli addetti al pagamento del dazio d’ingresso delle merci provenienti dalle concerie. Il nome della porta, “Santa Margherita” era probabilmente legato ai resti di una piccola chiesa che era già in rovina prima del terremoto del 1693.

La Mulattiera che conduce alla cava


Postazione per il dazio




Porta Margherita – Resti dell’arco

Mentre si scende la mulattiera si possono notare i vari canyons che confluiscono nella cava (San Calogero, San Giuseppe, Pisciatura) e che insieme formano il fiume Asinaro. I corsi fluviali sono il risultato finale di un azione erosiva nata dalla tettonica Pleistocenica che ha causato un costante ringiovanimento del corso fluviale e la cui portata d’acqua varia sensibilmente nel corso delle stagioni. Un corso d’acqua che ha alimentato nel tempo numerosi mulini e concerie rupestri.
Il territorio aveva una sua importanza proprio per la presenza di questi impianti artigianali e aveva anche una sua posizione strategica legata ad una orografia della zona praticamente inespugnabile. Le materie prime non mancavano nella cava: acqua, pascoli, piante spontanee, legname e selvaggina. Tutti fonti indispensabili per la vita della Noto Antica. Naturalmente l’economia neatina riuscì a trarre da questi aspetti naturalistici indiscussi benefici.
La presenza degli impianti artigianali è attestata in epoca araba a cui si deve una organizzazione amministrativa esemplare anche se i documenti che attestano le attività artigianali risalgono al 1500 attraverso i Riveli del 1584.
Lo studioso Bruno Ragonese visitò il sito negli anni ’70 del Novecento ed indagò quelle grotte che erano scavate nella parete rocciosa sotto le mura di ponente. Riuscì con la sua opera attenta e ricca di spunti a censire circa 30 concerie, tre mulini ed una grande serie di opere idrauliche necessarie per le varie attività come prese d’acqua, condotte, canalette. La presenza umana lasciò anche qualche edificio extra artigianale come la chiesetta rupestre di San Giuliano che era legata al culto degli artigiani che lavoravano nella cava. Le concerie furono realizzate intorno all’anno 1000. Avevano una struttura a pianta semplice cioè costituite da un grande ambiente scavato nella roccia che presentava un solo ingresso costituito da stipiti e battenti; un corridoio di servizio; vasche di raccolta di dimensione varie; canalette e pareti divisorie. La diversa forma delle vasche era legata ad una diversificazione della funzione produttiva che svolgevano durante la fase di lavorazione delle pelli.
Il geografo arabo El Edrisi  testimoniò la presenza di un certo numero di mulini a Noto nel 1154. I mulini presenti nella Cava del Carosello sono del tipo a ruota orizzontale riconducibili al modello di Vitruvio. La maggior parte, da 16 a 20 a secondo dei periodi, si trovavano vicino alla Fontana Grande. Uno di questi mulini, il meglio conservato, è detto della Grotta, per il suo ambiente ricavato in una cavità. Un ambiente semplice di cui rimane la testimonianza di una tramoggia e di una macina di pietra bianca. La sua attività era molto importante tanto che si creò la “Via dei Saccari” cioè una vita che permetteva il transito degli animali da tiro carichi di sacchi di frumento all’andata e di farina al ritorno.

Nella Cava erano presenti anche altre attività artigianali legati ai “liamari”, ai “satariddari” e ai “craunari”.
I “liamari” raccoglievano l’ampelodesma, la “liama”, da cui tramite essiccazione e immersione in acqua, si riusciva a produrre le corde usate nelle tonnare e nelle attività agricole; i “satariddari”, raccoglievano il timo che, raccolta in grossi fasci, veniva  trasportato assieme alla liama, negli stabilimenti per l’essiccazione; i “craunari” cioè i carbonari che producevano il carbone utilizzando la legna di roverelle e di leccio molto presenti nella cava.
Dei palmenti rupestri sono presenti per la produzione di vino.
Da tempo sono state avviate delle politiche per la tutela della Cava del Carosello grazie all’Azienda Foreste Demaniali. Il sito è un immenso patrimonio dal punto di vista archeologico, geologico, storico e paesaggistico. Sono stati ripristinati diversi sentieri e creati una serie di ingressi tra cui quello che si trova percorrendo la SS 287 Noto – Palazzolo Acreide.
Passeggiando lungo le sponde del fiume si potranno vedere le trote, i granchi di fiume e il merlo acquaiolo. La natura offre un aspetto affascinante con in suoi laghetti. La prima conceria che s’incontra è proprio al termine della discesa da Porta Santa Margherita, ricavata in un ambiente che prima era una chiesa rupestre. Qui il fiume forma un bellissimo laghetto.
Partendo dalla zona in cui il sentiero di partenza arriva al fiume e lasciando le  concerie alla propria destra si prosegue in piano e dopo una mezzoretta si arriva a uno spettacolare  laghetto pensile. Una piscina naturale a strapiombo sulla cava.
Risalendo il fiume si possono incontrare altre concerie, i ruderi dei mulini ad acqua per poi giungere, risalendo il fiume, alla Porta  della Montagna, l’antico ingresso della città.

Conceria – Grotta Burritta


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CHIESA RUPESTRE DI SAN GIULIANO

La chiesa rupestre, sita nella Cava San Calogero, è costituita da tre ambienti. Due sono comunicanti tra loro, la chiesa e la relativa sagrestia mentre il terzo ambiente, non comunicante con gli altri due, provvisto di due piccole nicchie,  era probabilmente la dimora dell’officiante.


Ingresso dalla chiesa

La chiesa presenta due altari. Quello principale e l’altro secondario, posto lateralmente e confinante con la sagrestia.
Nell’altare maggiore è presente una grande nicchia rettangolare. Sul fondo di questo nicchione sono presenti quattro fori quadrati disposti sull’estremità che probabilmente erano utilizzati per permettere la collocazione o l’incasso di una croce o di un dipinto di grandi dimensioni posto su un supporto ligneo.

Interno e altare principale


L’altare secondario era affrescato così come la parete superiore con la raffigurazione di un probabile santo o scena biblica.
Un aspetto particolare di questa chiesa rupestre è legata alla somiglianza con la chiesa rupestre di san Febronia a Palagonia. Nella stretta parete, a destra dell’ingresso, è raffigurato un santo barbuto con nimbo . a distanza di tempo  e malgrado l’abbandono sembra di vedere in quell’immagine la rappresentazione di San Giuliano o di S. Nicola.
La parte ad ovest dell’ingresso è completamente intonacata e sicuramente dovrebbe avere degli affreschi che sono coperti da una spessa fuliggine nera. Fuliggine nera legata all’uso della cavità come rifugio di pastori nel corso dei secoli.

Altare secondario e sagrestia

Affresco altare secondario

Affresco vicino all’ingresso

Secondo ambiente e nicchie

Uno dei tanti affreschi rovinati

(N. B….. le foto risalgono a dicembre 2009…).
Un vero peccato per gli affreschi che si sono perduti ………
L’origine di questa chiesa ?
Mancano dati legati a indagini archeologiche. Non so se la Sovrintendenza abbia mai effettuato delle ricerche o degli scavi in questa chiesa rupestre.
Lo studioso Bruno ragonese, esplorò la cava negli anni ’70 del Novecento e fece quasi un censimento di tutte le cavità poste sotto le mura di ponente dell’antica Noto. Censì ben 30 concerie, tre mulini, un infinità di opere idriche come prese d’acqua, condotte, canalette ed altri ambienti tra cui la chiesa rupestre di San Giuliano legata alla fede degli artigiani che operavano nelle varie cave.

Le concerie furono realizzate dagli Arabi intorno all’anno 1000.. La chiesa rupestre era già esistente forse perché legata ad una comunità di bizantini presenti in un luogo particolarmente fertile oppure è di origine tardo medievale ?



Cartina dell'IGM ...Scala 1:25.000 (1 cm = 250 m)



Da Piazza Maggiore si prosegue verso nord, sempre sulla strada sterrata.
Si raggiungeranno, sulla sinistra, i resti del Palazzo Landolina di Belludia.





3e. Palazzo Landolina di Belludia

Palazzo Landolina di Belludia – ruderi


La famiglia Landolina giunse a Noto Antica nel 1091 al seguito di Ruggero il Normanno.
Il palazzo era una delle dimori nobiliari più prestigiose della città. Fu costruito agli inizi del seicento ma il terremoto lo rase totalmente al suolo. Durante gli scavi, anche se saltuari e preceduti da altrettanti scavi clandestini, riportarono alla luce importanti resti archeologici. I ruderi delle scalinate, gli archi e i corridoi, fanno intuire il grande valore architettonico dell’edificio che doveva anche essere molto sontuoso.

Dal  lato opposto la Chiesa dei Gesuiti.

3.f - La Chiesa dei  Gesuiti

Ruderi della Chiesa dei Gesuiti


A Noto antica era presente un collegio dei Gesuiti sin dal 1605 presso la Chiesa di San Pietro. Successivamente fu dato incarico a Natale Masuccio (Messina 1561/1568; ?, 1619), uno dei più famosi architetti nella Sicilia del Seicento, di costruire un nuovo collegio.  Il collegio fu costruito ed ultimato in tempi brevi mentre la chiesa subì delle modifiche costruttive per diversi decenni.
I documenti del tempo riportano le pressioni dei nobili, che risiedevano nei pressi del cantiere, affinchè la chiesa venisse ricostruita sul lato opposto del collegio cioè più vicina alla Piazza Maggiore.
Una controversia che ritardò la costruzione della stessa chiesa e che costrinsero i Gesuiti a predisporre una cappella, per le loro funzioni religiose, all’interno del Collegio. L’unica porzione di muro visibile nella parte anteriore del sito, appartiene alla cappella di cui è stata ritrovata anche parte dell’ingresso. La nuova chiesa venne alla fine edificata demolendo addirittura un’ala del cortile nord del collegio che aveva due ampi cortili.
L’imponente costruzione non venne mai completa a causa del sopraggiungere del terremoto.
I resti, soprattutto nei pilastri della crociera e dell’ingresso, danno un idea di quella che doveva essere la sua imponenza simile alla chiesa di Gesù di Casa Professa a Palermo. La pianta a croce latina era caratterizzata da un'unica navata con cappelle laterali che erano comunicanti tra di loro; tamburo e cupola a coprire l’incrocio fra transetto e navata, secondo i canoni delle chiese tipiche della Compagnia.











Alle spalle del Collegio dei Gesuiti è presente l’antico Ginnasio Greco.

3.g - "Ginnasio  Greco"
Per giungere al Ginnasio è consigliabile prendere il sentiero posto sulla sinistra della stradella che conduce alla Chiesa del Carmine. Percorrendo il sentiero si vedono nel costone rocciose escavazioni di epoca medievale e tombe a grotticella di epoca preistorica. Giunti alla fine del sentiero, alla sua destra, si notano dei resti di fortificazioni di epoca greca. Riguardo al Ginnasio si tratta di pochi ruderi posti all’interno di una fitta vegetazione e anche non facilmente raggiungibili  perché si deve scavalcare un muretto a secco. Ci sono dei resti di grottoni di epoca greca ed una grande architrave con un’iscrizione in lettere greche. Si tratta di una copia dato che l’originale è stato rimosso. Gli archeologici trovarono in questo luogo delle epigrafi che si riferivano ad una associazione sportiva di atletica in onore del re siracusano Ierone. Da questi rinvenimenti venne dato il nome di  Ginnasio.



Dal caseggiato accanto alla Chiesa del Carmine parte un sentiero che permette di raggiungere le vestigia più antiche di Noto cioè gli “Heros greci” detto anche “Heroa greci”.
Il sentiero scende lungo la vallata,  non è particolarmente difficile , ma era privo di indicazioni quando visitai il sito. Indicazioni che sono state più volte collocate e rimosse da qualcuno a cui danno fastidio. Senza una guida, profonda conoscitrice dei luoghi, non è facile individuarli anche per la presenza di una fitta vegetazione e  per la loro posizione.

3.h - "Heros greci" 
Dell’antica storia di Noto, non si sa molto. Ha avuto una fase greca e poi romana e andando più indietro nel tempo, molti hanno individuato in Noto l’antica città di Ducezio, il famoso e valoroso re dei Siculi del V secolo a.C.
Scendendo lungo il sentiero si incontreranno due grandi grotte che  presentano le pareti lisce e una pianta quasi rettangolare. Il grande archeologo Paolo Orsi agli inizi del Novecento identificò questi luoghi come gli “heroa” greci. Cioè dei luoghi che erano dedicati al culto degli antenati defunti.
Probabilmente, come dice  anche l’appellativo del luogo, non si trattava di defunti comuni. Era un santuario dedicato al culto degli eroi e quindi alla venerazione di personaggi illustri. Le pareti delle due grotte, che sono comunicanti tra di loro, sono riempite da decine e decine di nicchie di forma rettangolare e dette “pinakes”. In queste nicchie venivano collocati dei quadretti votivi di terracotta, legno o pietra che ricordavano il defunto. Con l’uso di lampade è possibile notare anche qualche piccola decorazione pittorica sbiadita dal tempo, delle lettere incise e qualche bassorilievo, magistralmente inseriti nelle piccole nicchie. Alcune di queste nicchie presentano fori per battenti di legno e timpani scolpiti nella roccia. Un luogo che fu riutilizzato in epoche successive.
Sono quattro Santuari “heroa” cioè un esempio, peraltro raro, di venerazione che si presentano ben conservati nonostante i duemila anni. Solo l’Heroon “4” risulta incompleto ed è comunque un importante reperto perché evidenzia la tecnica costruttiva.
L’ambiente di destra è preceduto da una sorta di pronao ed è munito di un bancone lungo le pareti.
Qualche necropoli sicula fu riutilizzata in epoca cristiana e tra queste va inserita una piccola catacomba giudaica riconoscibile dalla rappresentazione di due candelabri a sette braccia scolpiti in cavo ai lati di un arcosolio.

Heroa – Pinax affrescato

HEROON2

Heroon2 – Incisione

HEROON 3- 4 ; Ingressi

Heroon 1 – Ingresso

Heroon 4 – Interno

Heroon 1 – altare

Il territorio di Noto Antica è interessato dalla presenza di un gran numero di tombe e catacombe.
Nei dirupi, tra profonde vallate, sono visibili numerose tombe a grotticella di epoca preistorica risalenti alla civiltà sicula. Sul torrente “Salitello” è visibile una bellissima necropoli sicula (730-650 a.C.) caratterizzata proprio da tombe a cameretta scavate nella roccia.
Poco distante dall’ingresso nord di Noto Antica, nei pressi della Porta della Montagna, è presente una bellissima catacomba bizantina chiamata “Grotta delle Cento Bocche”  per la presenza dei resti di una “tomba a baldacchino” che fanno somigliare le sporgenze del tetto a delle ugole, da cui il nome. Una catacomba che nel corso del tempo fu utilizzata addirittura come ovile e anche come bunker nella Seconda Guerra Mondiale per la sua posizione strategica a guardia della vallata del torrente Salitello.

3.i - "Grotta dalle Cento Bocche" e "Grotta del Carciofo" con segni ebraici.



Grotta delle Cento Bocche

La Grotta del Carciofo è invece una catacomba giudaica per la presenza nell’arcosolio di due rappresentazioni della menorah giudaica, cioè di due candelabri a sette braccia. I contadini del luogo scambiarono quelle raffigurazioni per dei carciofi da cui il nome della grotta. La presenza di questa catacomba è la testimonianza dell’esistenza di una comunità ebraica nella Noto Antica prima del terremoto.
Sia la Grotta del Carciofo che quella delle Cento Bocche fino a pochi anni fa erano recintate e la zona quindi chiusa al pubblico.

Grotta del Carciofo
Dai ruderi della Chiesa dei Gesuiti, procedendo verso Nord, s’incontrano i resti dell’ospedale  con la Chiesa di Santa Maria di Loreto e, poco distante la Chiesa del SS. Crocifisso.


3.j -  Hospitalia con Chiesa di Santa Maria di Loreto
L’Ospedale venne realizzato nel XVI secolo in sostituzione di un ospedale preesistente, forse anche un ospizio per pellegrini dove sembra che vi abbia soggiornato per poco tempo San Corrado, e intitolato a San Martino. Era affidato ai Padri Fatebenefratelli di San Giovanni di Dio ed aveva annessa una piccola chiesa dedicata alla Madonna di Loreto. (in parte scavata nella roccia e probabile oratorio). Il Santo Patrono di Noto, Corrado Confalonieri, un eremita che aveva poteri taumaturgici, si recava presso l’antico ospedale per assistere e curare gli infermi.

3.k - Chiesa del SS. Crocifisso e Quartiere delle celle del Crocifisso
La seconda chiesa per importanza di Noto Antica era quella del SS. Crocifisso, un tempo dedicata a S. Maria del Castello.  La tradizione riporta che fu fondata da Giordano nello stesso periodo in cui fu costruito il castello. La chiesa con il passare del tempo andò in rovina e fu restaurata dalla nobile famiglia Landolina. Un sforzo finanziario non indifferente e per dimostrare ciò fecero dipingere il proprio stemma sulla volta della chiesa.


La Chiesa conteneva una vasta serie di opere d’arte di gran valore che fortunosamente furono salvate e oggi si trovano nella nuova Chiesa del SS. Crocifisso di Noto.
C’era un bellissimo dipinto del Crocifisso, di cui oggi rimane solo il volto, che secondo l’antica tradizione fu dipinto da San Luca. Si narra che fu portato dal Conte Ruggero e regalato ai Landolina affinchè costruissero una chiesa. L’immagine del Crocifisso, come riporta il Pirri, fu posta sotto la cupola della chiesa e poi trasferita il 27 marzo 1514 in un apposita cappella.
Sopra questa cappella s’ammirava, oltre ad un ponte, la superba mole della torre campanaria che “su di essa gravava con ardita soluzione architettonica”,…un’altra lapide:”perché ricordare gli antichi colossi dell’Asia? La provvida Noto ha di che stupire i Siculi”.
Oggi di quell’antica immagine rimane solo il volto del Cristo che è custodito in una teca su uno splendido Crocifisso dorato opera, nel 1746 di Vincenzo Rotondo su disegno di Rosario Gagliardi, nella nuova chiesa di Noto.
Nella chiesa si venerava la teca in oro in cui è custodita la Santa Spina (oggi anch’essa nella nuova chiesa del SS. Crocifisso) così come la bellissima statua della Madonna Bianca, datata 1471, attribuita a Francesco Laurana. Altra pregevole opera scultorea è il busto ligneo dell’Ecce Homo, del ‘500, di autore sconosciuto.
Dalla Chiesa del SS. Crocifisso si prende il sentiero che conduce al Quartiere delle Celle del Crocifisso. Una denominazione per indicare le piccole abitazioni, scavate nella roccia, abitate dagli eremiti nel basso medioevo. Un sentiero circondato da una fitta vegetazione lungo il quale è possibile ammirare gli ambienti che qualche anno fa furono ripuliti da volontari. Due cavità sono state transennate per le condizioni statiche precarie delle pareti rocciose.
Una di queste  grotte fu abitata dal 1331 al 1333, secondo una tradizione non confermata da fonti storiche, da San Corrado quando giunse a Noto. Qui visse assieme ad altri eremiti e impiantò anche un piccolo orto che curava amorevolmente.
Un ambiente è definito la “Grotta Grande” per le sue vaste proporzioni in cui sono evidenti le tracce di una frequentazione greca e cristiana fino all’utilizzo in epoca recenti per attività agricole.

La Madonna Bianca

La Madonna Bianca
Francesco Laurana (Vrana, 1430: Avignone, 1502)



3.l - IL  CASTELLO - La Cappella  e  le Carceri (le iscrizioni dei prigionieri)





L’edificio fu costruito su uno sperone roccioso e con una visuale  che giunge fino alla costa, domina le vallate circostante e controllava la strada d’accesso verso Nord.
L’impianto planimetrico è costituito da una torre “mastra” affiancata da un muro di cortina entro una fortificazione quadrilatera. Il latto settentrionale è incompleto ed irregolare perché si attesta in parte al ciglio roccioso. Vi sono tre torri di cui due angolari ed una centrale.
Oltrepassata la Porta della Montagna sulla destra s’incontreranno l’ampia sala d’Armi e le scuderie adiacenti alle mura. La torre principale risale al 1431 e nell’antica prigione sono visibili moltissimi graffiti e bassorilievi lasciati  dai galeotti. Molti di questi graffiti riportano il nome della persona e raffigurano le imbarcazioni dell’ epoca. Sono anche presenti anche, sempre scolpiti nella pietra, dei giochi che si effettuavano con le pedine.
La struttura venne edificata nel 1091 dal Duca Giordano d’Altavilla, figlio di Ruggero. Nel 1430 il duca Pietro d’Aragona fece eseguire importanti lavori d’ampliamento e nel 1600 vennero inserite nelle mura le bocche di fuoco, visibili nei pressi dell’ingresso della Porta della Montagna.  Il terremoto distrusse l’importante castello Reale anche se diverse parti della struttura sono ancora oggi in discreto stato di conservazione e meriterebbero un ulteriore salvaguardia per liberarli dalla vegetazione infestante che con le sue radici pregiudica la perfetta conservazione dei reperti.





Carcere di Noto Antica

Nel corridoio della torre

Raffigurazione di San Sebastiano (?) lasciata da un galeotto

Una imbarcazione….

Graffito di un gioco



Noto fu conquistata dagli arabi grazie al tradimento di un concittadino che “mostrò la via di penetrar nella fortezza” (Michele Amari). Noto era stata l’unica città della Sicilia a resistere “mentre tutte le altre erano state espugnate o arrese” alla conquista normanna avvenuta nel 1091.
Nel libro di Re Ruggero, il geografo El Edrisi riportò la fortezza di Noto come “rocca delle più forti ed elevate”. Furono i Normanni, che su preesistenze arabe, fortificarono il castello soprattutto nel suo punto forse più debole, cioè nell’accesso della città a Nord e per questo motivo Ruggero “diede Noto al figlio Giordano ordinandogli di costruire nella parte più alta della città il castello, quanto mai opportuno, tuttora esistente, fortissimo baluardo contro le sollevazioni di ribelli, se ne fossero stati. Esistono ancora la munitissima fila di bastioni e torri che, all’interno del castello, la chiesa dedicata a San Michele, costruita con arte mirabile con enormi massi e colonne…” (Littara).
Anche Rocco Pirri nel suo testo di storiografia ecclesiastica citò la Chiesa di San Michele del castello di Noto come “regio beneficio perduto e che Federico III la concesse a Giacomo Landolina, canonico siracusano”.
Sempre a Noto era stata già avviata la costruzione della Chiesa Madre di San Nicolò, per opera di Ruggero il Normanno. Al tempo di Giordano risalirebbero invece la costruzione della Chiesa di Santa Maria del castello, detta poi del SS. Crocifisso, per merito della famiglia Landolina e la Chiesa di Santa Lucia de Montaneis (contrada Mendola) dove sembra si trovava anche una fortezza.
La costruzione della chiesa di Santa Lucia fu iniziata dal Ruggero il Normanno e poi continuata dal figlio Giordano.

La cappella di San Michele




Porta della Montagna

Dalla Porta della Montagna, sempre sulla SP 64, si raggiunge il Santuario di Santa Maria della Scala del Paradiso

3.m - Santuario Santa Maria della Scala del Paradiso




Da Noto Antica si può raggiungere l’Eremo di San Corrado in fuori.

3.n - Eremo di San Corrado fuori le mura



Eremo San Corrado in Fuori - Stazione di Noto

3.o  - Le Mandorle della Val di Noto 




Torrone siciliano

3.p - L'Infiorata



A 4 km dalla stazione di Noto s’incontra la fermata di Falconara Iblea

4  -  Le Stazioni/Fermate di : Falconara Iblea - Noto Marina - Noto Bagni



Stazione di Falconara Iblea


Dalla fermata di Falconara Iblea, la linea punta verso il mare in direzione di Calabernardo per raggiungere la stazione di Noto Marina.






Stazione di Noto Marina


Anno  1926...

….. subito dopo la fermata di Noto Bagni che funzionava solo nel periodo estivo.


Noto Bagni - Fermata


La linea prosegue verso Eloro…. Si oltrepassava il fiume Tellaro, con un viadotto in ferro, per raggiungere la stazione di Roveto- Bimmisca, nei pressi del Pantano Grande.



Prima di giungere al viadotto sul fiume Tellaro una breve escursione sui resti archeologici dell’antica Eloro e sulle bellissime  spiagge.

5 - ELORO 
     La Pizzuta - L'Antica Heloro  (Un tempio al dio Asclepio, ecc)  -  Le Spiagge


La Colonna Pizzuta
Saint-Non : Voyage Pittoresque.. Nouvelle Edition Paris, Dufour.. 1829
Tecnica: Acquaforte – Misura: (25 x 20) cm





“La Pizzuta”, sorge su una piattaforma di roccia livellata, al di sopra della quale è un podio con quattro gradini. Presenta un diametro inferiore di 3,80 m ed una altezza, conservata, di 10,50 m
Prospicente alla spiaggia il sito archeologico di Eloro.
Si credeva che la colonna fosse un monumento commemorativo della battaglia dell’Asinaro tra Ateniesi e Siracusani del 413 a.C.
Nel 1899 furono effettuati nell’area degli scavi che portarono alla scoperta di un sottostante ipogeo di epoca ellenistica. Un ipogeo scavato nella roccia e al quale si accedeva grazie ad una scalinata.
Il monumento à quindi una tomba monumentale, destinata ad un personaggio importante di cui purtroppo s’ignora il nome.

Il Sito Archeologico della greca Heloros


La più antica menzione del sito è nelle Nemee di Pindaro. Erodoto riferisce che Ippocrate di Gela nel 493 sconfisse i Siracusani nei pressi di Eloro e Tucidide ricorda più volte la “Via Elorina” che collegava la città con Siracusa. Gli scavi hanno comunque riportato alla luce della ceramica dell’VIII secolo a.C..  Rinvenimenti che dimostrano come la città sia stata probabilmente la prima colonia di Siracusa prima di intraprendere la sua espansione verso il centro dell’isola.
Eloro è citatata nelle Verrine di Cicerone perché sarebbe stata svuotata completamente delle sue opere d’arte da Verre (II,3, 103) e  presso di essa si sarebbe svolto il combattimento navale che si concluse nel 71 a.C. con la distruzione della flotta provinciale da parte dei pirati.




Una città fiorente anche in epoca bizantina per essere distrutta con l’arrivo degli Arabi.
A partire dalla seconda metà del IV secolo a.C.  tutta l’area fu interessata da un rinnovamento urbanistico con la costruzione di grandi edifici pubblici. Tra questi edifici un piccolo tempio dedicato ad Asclepio costituito da un cortile circondato da portici dove gli ammalati sostavano e dormivano in attesa della visita in sogno del dio che li avrebbe portato, secondo la loro credenza, alla guarigione. Nei pressi sorgeva un piccolo “thesauròs” cioè un piccolo tempio in antis (un tempio caratterizzato dalla presenza sulla facciata di due colonne tra due ali di muro che prolungano in avanti la pareti laterali della cella). In questo edificio venivano depositate le offerte votive destinate al dio Asclepio e risale anch’esso alla seconda metà del IV secolo a.C.
Non  si è sicuri della dedica del tempio al dio Asclepio, ovvero il dio della medicina. 
Un culto che sembra abbia avuto in Sicilia la sua importanza nei centri di
Siracusa, Scornavacche ed Eloro. La maggior parte delle testimonianze
archeologiche legate al culto di Asclepio provengono dalle città della Sicilia
sud-orientale : Catania, Lentini, Mineo, Floridia e verso ovest con Morgantina, Gela, Camerina, Sampieri. La presenza del culto ad Asclepio  nella piccola città di Eloro non dovrebbe
meravigliare dato che la città fu fondata da Siracusa. Proprio da Siracusa proviene
la più antica attestazione del culto ad Asclepio.
Le fonti storiche sono chiare  e Cicerone, Valerio massimo, Arnobio e Lattanzio citano il furto
compiuto da parte di Dionisio il Vecchio della barba d’oro di una statua di Asclepio che
si trovava in un tempio dedicato al dio. Polieno racconta che Dionisio I mise in vendita
le offerte d’oro e d’argento che si trovavano nel tempio di Asclepio e Ateneo ricorda
l’atto sacrilego del tiranno che rubò una trapeza d’oro dal tempio sempre di Asclepio.
Questi avvenimenti lasciano presupporre l’esistenza a Siracusa di un tempio dedicato
ad Asclepio nella prima metà del IV secolo a.C. e anche dei rapporti intensi con il Tempio di Epidauro in Grecia. Infatti Cicerone nel raccontare l’episodio sul furto della barba d’oro del
dio lo appella “Epidaurio” proprio per evocare una dipendenza iconografica della
statua di culto siracusana con quella venerata in Grecia nell’Argolide.
Lo stesso Cicerone afferma inoltre che Verre fu accusato di aver rubato
una statua di Apollo dal tempio di Asclepio che, in età repubblicana, era
ancora un importante centro di culto.
Il tempio di Asclepio, facendo riferimento ai ritrovamenti archeologici, doveva
trovarsi vicino al tempio di Apollo ad Ortigia, in un stretto rapporto non solo
topografico ma anche culturale con la divinità padre, circostanza riscontrabile in
moltissime località della Grecia. Il luogo di culto doveva trovarsi tra
piazza Pancali e via del Littorio, adiacente quindi al “temenos” di Apollo, dove
furono rinvenute due statue di età romana. Una delle due statue raffigurava
Igea ovvero la figlia di Asclepio. Fu rinvenuta anche un’importante iscrizione
greca in esametri del II secolo d.C. dedicata alla città da un medico.
Un iscrizione che era probabilmente esposta nell’area sacra al dio della medicina.

Siracusa 
Statua Romana di Asclepio rinvenuta nel Ginnasio Romano

Busto di Asclepio rinvenuto nei pressi del Castello Maniace di Siracusa

Siracusa - Igea, Figlia di Asclepio.

  Nel rinnovamento urbanistico della città c’è da inserire anche il tempio dedicato a Demetra come si ricava dall’iscrizione su un’arula di terracotta e dal tipo degli ex-voto che rappresentano la dea con una fiaccola e che furono trovati in due piccoli ambienti a nord-ovest del tempio.
Nel II secolo a.C. questo tempio subì ulteriori ampliamenti assumendo un aspetto monumentale. È considerato uno dei più notevoli edifici dell’età tardoellenistica conosciuto in Sicilia che riprendeva i modelli dell’architettura contemporanea dell’Asia Minore.




L'area in cui doveva sorgeva il tempio al dio Asclepio

Eloro – Il piccolo teatro greco



A sud-est una torre medievale detta Torre Stampace venne costruita nel 1353 da Blasco Alagona, agli ordini di Pietro d'Aragona, per la difesa della costa: la torre poggia sui resti di una fortezza, citata da Plinio il Vecchio.


Dal 2015 molte associazioni si battono per tutelare e promuovere l’area “Eloro – Pizzuta” chiedendo il suo inserimento nella Riserva di Vendicari. Fu presentata anche la relativa documentazione di studio per legittimare la proposta…. ma ancora nulla e l’area continua ad essere minacciata da speculazioni edilizie…

….. Le spiagge…per la loro descrizione mi affido alle recensioni che si trovano su internet.. sono le valutazioni, le impressioni espresse da chi ha visitato i luoghi ….. Le recensioni nel settore turistico sono molto importanti. È  fondamentale sapere l’impressione percepita dal turista nel visitare un luogo per intervenire ed eliminare eventuali difetti.  Ma oggi è solo “aria fritta” come diceva don G. B.…. un grande imprenditore turistico del ragusano…..



Spiaggia della Pizzuta




“Decisamente una bella spiaggia, molto grande e spaziosa. Nel periodo estivo però è estremamente affollata.
Per quanto sia bella consiglio di andare nelle spiagge vicine, più belle e generalmente meno affollate.
I fondali in prossimità degli scogli sono assolutamente da vedere, molto particolari e belli”
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“Bellissima spiaggia con poca gente. Per raggiungerla bisogna fare un percorso di 10 minuti a piedi, con i bimbi piccoli bisogna attrezzarsi di zaino o marsupio. Non ci sono servizi, ma è una bellissima spiaggia
Bellissima spiaggia con un mare stupendo, si accede tramite un piccolo percorso naturalistico, dotarsi di calzature comode. La spiaggia è grande ed anche nei periodi di maggior affluenza si trova sempre un po di spazio”.
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“Spiaggia spaziosa con un mare stupendo, ti fà sentire immerso nella natura anche se in realtà ti trovi
a qualche centinaio di metri dalla spiaggia di Eloro di fianco al lido di Noto.
Volendo si può raggiungere a piedi partendo dal Lido di Noto e proseguire fino
alle spiagge successive tutte suggestive e che ti immergono nella vegetazione mediterranea”.

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Spiaggia di Eloro
Posta a nord della foce del fiume Tellaro





“Ampia spiaggia di sabbia gialla, mare trasparente e pulito. Le auto vengono parcheggiate in una stretta stradina sterrata, che dista circa 200 metri e che potrebbe costituire un problema nei giorni di agosto per gli angusti spazi a disposizione. Suggestivi i fiumi chiusi, per scarsità d'acqua, a pochi metri dal mare!”
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Spiaggia Marinelli
Posta a sud della foce del fiume Tellaro








“Veramente un luogo dove vale la pena andare. Mare pulitissimo, tranquillità e tanti pesci! Peccato perché spiaggia anche di nudisti e con un bambino non è proprio indicato poterla frequentare quotidianamente. È però tutto indicato quindi anche per noi non è stata una sorpresa”.

“Spiaggia di sabbia gialla, acqua pulita e trasparente, bassa fino a oltre 100 metri dalla riva perciò molto adatta ai bambini. Il parcheggio dista circa 700 m dalla spiaggia, è molto ampio e ha un costo di 4,50 €, che possono essere recuperati con consumazioni all'agriturismo adiacente. Spiaggia affollata e frequentata da nudisti, pur non essendo segnalata in nessun modo come spiaggia per nudisti!”
“a mattina presto la spiaggia è deserta. Un po'impegnativa da raggiungere ma sicuramente lo sforzo è ripagato da un'acqua cristallina e da un silenzio quasi surreale. Fantastica, tra le più belle della zona. È una spiaggia segnalata come meta dei naturisti!”






Viadotto in ferro sul Fiume Tellaro

Dopo aver attraversato il Tellaro sulla destra la “Villa Romana”..

6 - Villa Romana del Tellaro


La villa è posta a circa 2,5 km, in linea d’aria a ovest di Eloro, su una piccola altura a destra

del Tellaro.  I resti della villa romana, risalente alla seconda metà del IV secolo d.C.,
 furono rinvenuti nel 1971. Si trovano in un fertile comprensorio agricolo e
sotto una masseria sette-ottocentesca. Si tratta quindi di un complesso più tardo rispetto ai
complessi analoghi di Piazza Armerina e di Patti.
Particolarmente interessanti sono i mosaici pavimentali tra cui spicca la scena della
“Pesatura del Corpo di Ettore”


La scena della “Riscatto del Corpo di Ettore” presenta uno schema iconografico del tutto nuovo.
A sinistra sono Ulisse, Achille e Diomede (i nomi sono scritti in greco); al centro il corpo di
Ettore è pesato su una grande stadera, sull’altro piatto della stessa stadera è posto
l’equivalente del suo peso in oro. A destra sono i Troiani e Priamo, di cui la figura è andata perduta.
Un episodio che non è ricordato e che comunque non appare in questa forma nell’Iliade di
Omero. Questa rappresentazione potrebbe derivare da una tragedia perduta di Eschilo, “I Frigi”. 






Il pavimento del secondo ambiente presenta una scena di caccia. Una scena particolare perché presenta anche un banchetto all’aria all’aperta tra gli alberi. Una figura femminile è probabilmente da identificare con l’Africa. I mosaici sembrerebbero espressioni di maestranze africane e realizzati dopo la metà del IV secolo d.C.

Lasciata la Villa del Tellaro si riprende la ferrovia per Pachino per giungere alla stazione di Roveto – Bimmisca.








Dalla stazione di Roveto si possono raggiungere, sfruttando le strade di penetrazione agricola, le Latomie di Vendicari e la Spiaggia di  Calamosche.

7 - VENDICARI - OASI FAUNISTICA
      Le Latomie - Spiaggia di Calamosche - Torre Aragonese - La Tonnara  - Le  Saline - 
      Le vasche per i pesci (Greche, IV sec. a.C.) - I Pantani - La Trigona Bizantina 
      La Cittadella dei Maccari  - L'Isola di Vendicari

Le Latomie di Vendicari


Le latomie di Vendicari, sono delle cave di pietra poco distanti dalla spiaggia di Marianelli. Queste cave furono utilizzate nel V secolo a.C. per la costruzione degli edifici civili, monumenti e templi, della vicina Eloro.





Spiaggia di Calamosche
La spiaggia si trova tra i resti archeologici di Eloro e l’Oasi Faunistica di Vendicari. Il suo fascino è legato sia alla sua particolare ubicazione, tra due promontori rocciosi, che alla presenza di una vegetazione e di una variegata geologia. Un piccolo angolo di costa lungo circa 200 m e arricchito da grotte che si trovano nei promontori che costeggiano la spiaggia.
I locali citano la spiaggia con l’appellativo di “Funn’i Musca” e si trova nella zona di Pre-riserva dell’Oasi di Vendicari. Nel 2005 fu insignita dalla “Guida Blu di Legambiente” del titolo di “Spiaggia più bella d’Italia”.
Anche in questo caso le recensioni sono il miglior metodo per esaltare la bellezza di questo angolo di spiaggia:

“Un’incantevole piscina naturale ideale per fare snorkeling. Nuotando verso la scogliera ai lati del golfetto, dove il fondale è più profondo, grotte, cavità e anfratti ospitano una variegata fauna marina.”

L’accesso diretto a questa spiaggia è garantito da un ingresso dedicato, raggiungibile dalla SP19. Una volta arrivati al parcheggio attrezzato, bisogna imboccare un sentiero di circa un chilometro. Un piccolo sacrificio ampiamente ricompensato una volta arrivati, quando vi si aprirà davanti ai nostri occhi un luogo incantevole, un vero paradiso naturale!

Sarò conciso ma chiaro! E' una cala che non si può perdere per niente al mondo, un paradiso terrestre. Ampissima, poca gente (ai primi di luglio!), mare meraviglioso, avventure e foto nelle grotte... Un sogno. L'unica cosa è che bisogna portarsi dietro un pò tutto, ombrellone, ecc.






Dalla Stazione di Roveto – Bimmisca si prosegue per la fermata di San Lorenzo Lo Vecchio…















La Tonnara

Torre Aragonese



il fabbricato nelle vecchie saline

Le saline (Pantano Piccolo – Oasi Faunistica)

Vasche Ellenistiche per il pesce




la spiaggia di Vendicari




Stazione di San Lorenzo Lo Vecchio


Il Pantano Grande – Oasi Faunistica



Fenicotteri rosa con i piccoli




Catacomba - Cittadella dei Maccari


La Trigona Bizantina


Interno della Trigona Bizantina


le saline al tramonto

Isola di Vendicari

Dalla stazione di San Lorenzo il Vecchio si prosegue per la stazione di Marzamemi..








la linea tra San Lorenzo lo Vecchio e  Marzamemi





Stazione di Marzamemi con magazzino 




interno deposito vino vicino la stazione




Accanto alla Stazione la cantina del Feudo Ramaddini.


E' nel cuore della Sicilia, nelle terre di Noto e di Pachino, da sempre vocate alla coltivazione di vitigni (quali il Nero d'Avola e il Moscato) che nasce nel 2003 Feudo Ramaddini. In questa patria di secolari vigneti e di un conoscere atavico ma in continua maturazione, all'interno delle mura di palmenti antichi, intere generazioni di agricoltori hanno imparato la magia e i segreti della nobile arte della vinificazione. I vigneti di Feudo Ramaddini si snodano dolcemente dall'altopiano di Noto verso il mare di Marzamemi, nell'angolo estremo a sud-est della Sicilia meridionale. La vicinanza dei due mari, il canale di Sicilia a Sud e lo Ionio a Est, conferiscono particolare benevolenza al clima, che risulta essere temperato arido, tipico del mediterraneo, caratterizzato da lunghe estati calde e secche ed inverni miti, con scarsa frequenza di gelate invernali-primaverili. Il costante apporto della luce solare e la fertilità del terreno, principalmente, creano le condizioni ideali alla prosperità di alcuni particolari vitigni che in questo territorio sono stati selezionati e migliorati nel corso di secoli.


8 - MARZAMEMI (Siracusa)

Marzamemi – La Tonnara

Il termine Marzamemi avrebbe origine dalle parole “ marza” e “memi” cioè “piccolo porto” mentre secondo altri storici dall’arabo ”marsà al hamam” cioè “baia delle tortore” per la presenza delle tortore durante il volo di migrazione verso i luoghi più caldi.
Il fascino del Sud e dei suoi estremi, da sempre  elemento di richiamo di turisti e viaggiatori di ogni epoca, ha nel piccolo borgo della provincia di Siracusa un insieme di armonia, dove il centro storico è rimasto quasi intatto con le casette dei pescatori in parte abbandonate e in parte recuperate per fini turistici legati all’accoglienza e al ristoro. Il tutto protetto e guardato a vista dal Mare Jonio.
Mare Jonio che da sempre è stato il fulcro di ogni attività del piccolo centro. Il borgo nacque attorno all’approdo, poi diventato porto da pesca, e si è sviluppato grazie all’attività di pesca, molto sviluppata anche oggi, e dotandosi di una tonnara che fu una delle più importanti della Sicilia.
La tonnara risale alla dominazione araba e nel 1630 venne venduta  dal proprietario al Principe di Villadorata di Noto (Pietro  Nicolaci ?).  Altre fonti mettono in evidenza la concessione in gabella di varie tonnare e di altri beni alla famiglia Nicolaci nelle persone di Pietro, Giacomo, di Eleonora (vedova di Giacomo) e successivamente del figlio Corradino.
Comunque i principi di Villadorata potenziarono i fabbricati della tonnara di Marzamemi portando nel piccolo centro gli abili carpentieri di Avola e di Siracusa che vi si stabilirono.
Nel 1752 costruirono il palazzo, la chiesa della tonnara, dedicata a San Francesco di Paola, e le piccole case dei pescatori.

Palazzo del principe di Villadorata


La Piazza Regina Margherita è il luogo centrale di Marzamemi da cui partono dei vicoli che portano, da ogni lato, sempre al mare. La sua pianta è quadrangolare ed è circondata  dalle antiche case dei pescatori. Alcune di queste case presentano in comune il caratteristico “cortile arabo”.
Molte delle casette dei pescatori sono state trasformate in negozi e locali di ritrovo dove si possono gustare i prodotti tipici del luogo come il ciliegino di Pachino, il Nero d’Avola, il tonno.
Nel centro sono presenti due piccoli porto, La Fossa e la Balata, un tempo espressione dei fiorenti commerci del vino diretto in tutti i porti della penisola.
I suoi fondali sono ricchi di testimonianza storiche, reperti che si trovavano sulle navi affondate durante le mareggiate in varie epoche: greco, romana e anche bizantina.  Su un imbarcazione è possibile effettuare un escursione alle Colonne Romane grazie ad una battello che permette una perfetta visione subacquea stando comodamente seduti.
All’inizio del Novecento fu costruito uno stabilimento per la lavorazione del tonno salato e successivamente del tonno sott’olio. Un industria legata proprio alla pesca del tonno che fu abbondante fino al dopoguerra per poi entrare in crisi.

Il Borgo dei Pescatori







Cortile Arabo


Alcune di queste casette sopno disabitate. Sono costruite con blocchi di pietra, dalla piccola pianta quadra e con tetto a spiovente. Caratteristica era la cosiddetta “casa del forno” perché al suo interno c’era un grande forno. Una casetta che era contraddistinta dal numero civico 7.
Il palazzo del principe presenta un bel portale d’ingresso sul cui arco è presente lo stemma della famiglia. All’interno del fabbricao un ampio cortile con una scala di pietra a due rampe che porta all’appartamento del principe. Da questo appartamento si accede alla terrazza dove erano presenti dei sedili in pietra. Sulle mura del terranno erano presenti le feritoie che permettevano di fare sparare contro i pirati. Sempre dall’appartamento del principe, ma dalla parte opposta del terrazzo, si accede ad un balconcino, dal quale il principe di affacciava per controllare i lavori dei pescatori nel sottostante magazzino. Un magazzino detto “camperia” che presente delle arcate su cui erano poste delle immagini sacre e delle ciotole, destinati alle offerte per la festa del patrono. All’interno del magazzino si trovano la barche usate per la pesca dei tonni, lo “scieri” e le “chatte”, gli uncini e le reti.
Superato l’arco che unisce il palazzo del principe alla vecchia chiesa, si giunge alla balata. Cioè una piccola piazza, limitata in parte da case e in parte dal mare, lastricata con calcare compatto, dove si trovano due fabbricati la vecchia fabbrica e la Casa Cappuccio. L’altro porto, quello della Fossa, è ogi sede dello yacht club locale.

Marzamemi – La Tonnra. I borgo dei pescatori e il porto la “balata” in una foto del 1960
La Ciminiera, in origine erano due, della fabbrica del tonno dei primi anni del 1900.

La tonnara per molti anni fu una delle  più importanti della Sicilia sud orientale.
Attività fruttifera quella della pesca che portò alla costruzione nel 1912 di un grande stabilimento destinato alla produzione di tonno salato e tonno sott’olio. Solo recentemente è stata recuperata l’area di rimessaggio delle barche  adesso trasformata in location per eventi.


Il rimessaggio in tonnara dello “scieri” , la tradizionale imbarcazione costruita dai “calafatari”.
(Foto degli anni ’60 - Fam. Consiglio)

La tonnara

La festa della cuccagna in occasione dei festeggiamenti del Santo patrono. Ben visibile la Balata, la tonnara (prima del crollo di uno dei comignoli) e la “casa cappuccio”.

Marzamemi – Isolotto Brancati


Dalla stazione di Marzamemi si prosegue per Pachino..







Stazione di Pachino


9 - PACHINO.... TRA  STORIA  E  PRODOTTI  TIPICI

Pachino – Zona Archeologica Cugni

Grotta Corruggi (Paleolitico)

Grotta Calafarina (Neolitico)


Castello Belmonte Tafuri e Tonnara

Castello Belmonte Tafuri 



Tonnara Belmonte Tafuri




castello Belmonte Tafuri


Torre Scibini

Torre Fano

A Pachino degustazioni di prodotti tipici:

CANTALUPO DI PACHINO
Prodotto IGP




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L’IGP “Pomodoro di Pachino” classifica e tutela ben quattro diverse tipologie di pomodoro, ognuna con aspetti e caratteristiche diverse e destinati a diversi settori o segmenti di mercato.
In termini tecnici si è soliti dire di tipologie di pomodoro legate da un elevato grado “brix”, da una straordinaria resistenza post raccolta e dal caratteristico colore quasi brillante.

Il pomodoro Ciliegino di Pachino IGP  identifica il prodotto in tutto il mondo nella tipologia ciliegino.



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Il Pomodoro Costoluto , IGP “Pomodoro di Pachino”, è un frutto di grandi dimensioni e di colore verde scuro, brillante.


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Il pomodoro Tondo Liscio di Pachino, anch’esso IGP, perchè è una delle tipologie del marchio IGP del Pomodoro di Pachino.




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Il pomodoro Datterino si differenzia dalle altre tipologie di pomodoro, per le dimensioni ridotte e per la tipica forma allungata a "dattero". Rispetto alle altre varietà di pomodoro, presenta un grado zuccherino più elevato che può raggiungere i 12° Brix, la buccia si presenta estremamente sottile e di un intenso colore rosso brillante.




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ALLEVAMENTO SPIGOLE ED  ORATE



MUSEO DEL VINO



Museo feudo Ramaddini

Vitigno Nero d’Avola

Eloro – Vitigno Frappato



Vitigno Inzolia

Vitigno Albanella Bianca


Da Pachino si può raggiungere Portopalo di Capo Passero con l'omonima Isola.



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CONCLUSIONI
La linea ha una su importanza culturale, naturalistica ed anche economica.
Per parlare di ogni sito attraversato dalla linea si dovrebbero scrivere dei veri e propri trattati perché ogni centro ha una sua storia ed unicità nei suoi vari aspetti.
Noto, capitale del barocco siciliano e sito Unesco e non solo. Noto con le rovine dell’antica Netum distrutta dal terremoto del 1693 ha la particolarità di offrire anche degli importanti aspetti archeologici sia di civiltà antiche.. siculi e  del medioevo oltre naturalmente ai suoi prodotti tipici come le mandorle.
Il sito archeologico di  Eloro (l’antica Helorus greca e la villa Romana del Tellaro con i suoi importanti mosaici); l’Oasi Faunistica di Vendicari con i suoi aspetti naturalistici ed anche archeologici, storici ed industriali; il piccolo centro di Marzamemi con il suo borgo di pescatori e sede annuale della rassegna cinematografica “Cinema di frontiera” per giungere a Pachino con i suoi aspetti archeologici, industriali storici e produttivi.
Ripristinare la linea ?
È un argomento difficile… è ancora armata anche se in qualche tratto è stata occupata abusivamente… ma questo non deve meravigliare..
Secondo stime ufficiali la stima della popolazione servita dovrebbe essere di oltre 50.000 residenti mentre per i turisti solo cifra riferita a Vendicari parla di circa 80.000.
Sulla linea ci sono dei vincoli della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio in merito al ponte sulla SP 34 e fiume Noto, in perfette condizioni; il ponte a sagoma limitata del Lido di Noto.
La tratta non presenta gallerie, è quindi tutta a giorno. In gran parte in trincea e presenta delle opere d’arte interessanti e ben conservate come diversi ponti di attraversamento; il ponte in ferro tralicciato sul fiume Tellaro, visibile dalla SP 34, risalente al 1985 che rimase “non armato” a causa della chiusura della stessa linea che avvenne dopo qualche mese. Di valore sono i paramenti in pietra che costeggiano la linea in trincea costituiti da pietra calcarea bocciordata.
La linea è ancora armata (armamento Fonderie Sesto San Giovanni, 36 kg/m), 1934) e le traversine in legno presentano ancora infissi i grossi chiodi in ferro con la data di messa in opera segnata sulla testa del chiodo. I fabbricati, circa 10, sono in pessime condizioni e dovrebbero essere restaurati
La zona presenta molti agriturismi di fascia media-alta, alberghi, molti BeB; buona la ristorazione.
Le produzioni agroalimentari sono ottimi una  serie di prodotti IGL come le mandorle, i pomodori di Pachino, il melone cantalupo; i vini che da sempre vantano una buona posizione e valutazione nella produzione enologica siciliana e anche il pesce con l’allevamento in mare di orate e spigole.

Molte associazioni e comitati si stanno da tempo battendo per la riapertura della linea. Sono stati presentati dei progetti anche sfruttando le leggi nazionali che prevedono in merito il ripristino delle linee abbandonate per fini turistici.
Naturalmente questi progetti sono accompagnati da una stima potenziale di frequentazione turistica se la linea fosse riattivata: 100.000 turisti/anno e 40.000 passeggeri/anno.
Le località balneari avrebbero un gran vantaggio dal ripristino della linea dato che la viabilità attuale è assicurata solo dalla SP 39, in precarie condizioni, e che nel periodo di massima produzione agricola è trafficata da un ingente numero di Tir, circa 100. Una linea che a Noto si collega con la Siracusa – Ragusa – Gela e naturalmente con la linea Siracusa – Catania /Palermo – Messina. Importante sarebbe il collegamento anche con aeroporto di Comiso
Fu anche presa in considerazione il suo utilizzo come pista ciclabile ma presenta vari punti con difficoltà perché posti in trincea ed altre difficoltà.
In Sicilia le linee ferroviarie dismesse…. I binari dimenticati, … potrebbero costituire un tesoro se opportunamente valorizzati.
Solo gli esponenti della regione Sicilia sembrano non accorgersi dell’immenso tesoro che hanno a disposizione.
Nel mese di novembre del lontano 2016, si svolse a Rimini la presentazione di un dossier da parte delle Ferrovie della Stato sulle linee dismesse.
In quel convegno l’amministratore delegato delle Ferrovie fece un importante appunto: “In Sicilia un terzo del totale delle linee dismesse italiane, un enorme risorsa” (costituita da stazioni, caselli, depositi… tutto da riutilizzare anche se spesso in precarie condizioni statiche).
Molte linee sono ancora armate, cioè complete di binari e relativi segnali, altri sono invece sterrati e da alcuni amministrazioni virtuose trasformate in piste ciclabili. In Italia sono  circa 1500 km di ferrovie dismesse e censite dalle Ferrovie dello Stato che ne è ancora proprietaria attraverso le Fs Spa e Rfi Spa.
 Il dossier fu presentato a Rimini alla Fiera Ecomondo dall’amministratore delegato di Ferrovie il dott. Renato Mazzoncini e aveva come obiettivo di lanciare un appello ad amministrazioni regionali e locali, ma anche a privati ed associazioni, per acquistarle e valorizzarle. Un invito che fu accolto da molte amministrazioni virtuose ma con scarsi esiti al sud.
La Regione Sicilia ha circa 444 km di binari dismessi…”solo in quest’isola esiste un terzo del patrimonio italiano di linee dismesse. Immaginiamo cosa potrebbe essere il turismo se queste linee fossero trasformate in piste ciclabili, le vecchie stazioni in ostelli e ristoranti o centri di vendita di prodotti tipici. Arte, archeologia, artigianato e turismo sarebbero messi a sistema creando occupazione e facendo emergere le eccellenze della Sicilia".


Sono ben 24 le linee siciliane inserite in elenco. Dai quasi ottanta chilometri della Dittaino-Caltagirone ai 400 metri della Palermo Centrale-Porto. Tracciati disseminati di svariati tipi di costruzioni, dai caselli a stazioni e depositi e poi ponti, viadotti e gallerie. Venti case cantoniere e cinque stazioni nei 24,2 chilometri della Terme Vigliatore-Messina Scalo, sei stazioni e venti case cantoniere nei 28,5 chilometri della Catania Ognina vecchia-Fiumefreddo. E poi l'Alcantara-Randazzo (37,5 chilometri con sette stazioni, 10 magazzini, due rimesse per locomotive, 18 case cantoniere), la Regalbuto-Santa Maria di Locodia (35,1 chilometri con cinque stazioni), la Leonforte-Caltagirone (71,2 chilometri con 20 stazioni e 39 case cvantoniere), la Noto-Pachino (27,5 chilometri, otto stazioni e 14 case cantoniere) e la Agrigento Bassa-Licata (60,8 chilometri, sette stazioni, nove magazzini merci e trenta case cantoniere). In molte di queste linee ormai non ci sono neanche i binari ma tutte le infrastrutture ideali per trasformarle in greenway, percorsi ciclabili o di trekking nei quali gli edifici recuperati possono ospitare varie tipologie di attività legate al turismo. In alcuni casi la trasformazione è già avvenuta ma sono ancora poche esempi virtuosi.


Fra le linee censite anche la Magazzolo-Lercara Bassa e la Palazzo Adriano-Filaga e i 123 chilometri della Castelvetrano-Porto Empedocle con le sue 21 stazioni e ben 69 case cantoniere, la Salaparuta-Castelvetrano, la Salemi-Santa Ninfa e altre tratte più brevi, da uno a 5 chilometri, abbandonate per velocizzazioni di tracciato: Trabia-Buonfornello, Pollina-Tusa, Fiumetorto-Cerda, Carini-Punta Raisi, Palermo Centrale-Porto, Trapani-Trapani Porto, Targia-Siracusa, Siracusa Centrale-Siracusa Marittima, Lentini Diramazione-Gela, Licata-Licata Porto, Mazara del Vallo-Mazara del Vallo Porto. Linee urbane in alcuni casi retaggio di un trasporto merci su ferro e nave che evidentemente era più efficiente in passato ma che potrebbero anche essere inserite nei piani di mobilità delle cittadine siciliane interessate. Ma la scommessa principale rimane la valorizzazione di questo patrimonio nel settore turistico.
Il problema è la manza di fondi e naturalmente Ferrovie non è disposta a regalare i suoi binari dismessi magari cedendoli a prezzo ragionevole per permettere alle regioni, province, Comuni di acquisire  il patrimonio industriale.  I fondi europei dovrebbero aiutare in quest’ottica anche perchè c’è un certo interesse da parte del Ministero ai beni Culturali nel proposito di fare rivivere queste linee per scopi turistici
.

Ci sono diverse riferimenti legislativi in merito tra la cui la Legge 8 agosto 2017 n. 128.. ma deve esserci l’interesse e la visione lungimirante degli organismi regionali che dovrebbero avere in primis la consapevolezza dell’azione rivolta alla valorizzazione turistica del proprio territorio con conseguenti benefici sociali ed economici in particolare occupazionali.

molte associazioni si battono per il suo ripristino anche perchè la linea è stata inserita nella normativa nazionale come una delle linee storiche da salvaguardare.


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