Eleonora Alvarez de Toledo e i suoi tempi - Un periodo ricco di manifestazioni di altissima cultura ma anche di gravi atti nei confronti delle donne ..La morte di Maria de' Medici, Isabella de' Medici, Leonor Alvarez de Toledo, ecc. - Enciclopedia Delle Donne - VIII Parte






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Indice:

1.       Eleonora di Toledo;

2.       Bianca “Bia” dei Medici;

3.       Il Duca Cosimo de’ Medici ed Eleonora Alavrez di Toledo; La Famiglia Alvarez – L’Eleganza di Eleonora

4.       La vita – Le Ville Medicee – I Palazzi -  Il Figlio Antonio de’ Medici;

5.       La Figlia Maria de’ Medici – Il suo ritratto – La sua morte misteriosa: Uccisa dal padre ?

6.       La Figlia Lucrezia – La sua morte per Tubercolosi;

7.       La Morte di Eleonora di Toledo e degli altri figli: Giovanni, Garzia

La Discendenza

8.       Francesco I de’ Medici;

9.       Leonora Alvarez de Toledo, nuora e nipote di Eleonora di Toledo, fu uccisa da Pietro de’ Medici ?

10.   Isabella de’ Medici – Le sue residenze – Le Passioni: la musica, l’arte – Il Marito Paolo Giordano I Orsini, duca di Bracciano – L’amante Troilo Orsini  - Madalena Casulana, la prima compositrice e cantante donna della storia -   Video : Concerto delle Donne – I rapporti (lettere) con il marito Paolo Orsini;

11.   Giovanna d’Austria (D’Asburgo) sposa Francesco I de’ Medici – Le feste per il matrimonio;

12.   Eleonora degli Albizzi e Cosimo I de’ Medci – Un amore contrastato – L’uccisione da parte di Cosimo I di Sforza Almeni -  Il palazzo Almeni e le sue opere d’arte;

13.   La gravidanza di Giovanna d’Austria – Isabella de’ Medici e gli Speziali;

14.   Camilla Martelli e Cosimo I de’ Medici – Il quadro di Camilla Martelli (?) a Saint Louis – Camilla sposa Cosimo I – La figlia Virginia – Casa Martelli e i suoi segreti – I Bardini;

15.   La Nomina di Cosimo I de’ Medici a Granduca – I simboli del potere;

16.   La Spedizione in Oriente;

17.   Francesco I de’ Medici, Giovanna d’Austria e.... Bianca Cappello; Il Santuario di Loreto;

18.   La Congiura Pucci contro i Medici;

19.   1575, Nuova Congiura contro i Medici da parte di Orazio Pucci – Il carnevale del 1575 e i suoi canti – Video; I Canti del 1400 (Angelo Branduardi e Camerata Mediolanense) – Le Pasquinate su Isabella;

20.   Isabella nel 1574 – 1576 – I rapporti con Troilo – Troilo, condannato da Francesco I, si rifugiò in Francia – la morte della cugina di Isabella, Leonora di Toledo (uccisa dal marito ?) – Leonora di Toledo moglie di Pietro I de’ Medici; 

21.   L’uxoricidio di Leonora;

22.   Isabella dopo la morte di Leonora –  La morte di Isabella ? – Fu uccisa dal marito ? – Le ricerche -  Due dei tanti delitti “d’onore” del tempo ?

23.   L’uccisione di Troilo, raccontato dal sicario Tremazzi da Modigliana;

24.   Giovanna d’Austria – La nascita di Filippo e la tragica morte della madre per una caduta dalle scale, morì anche il bambino che aveva in grembo;

25.   Francesco I sposa Bianca Cappello – Bianca Cappello a corte – Gli orti Orcellari  - Il palazzo di Bianca Cappello e il cunicolo sotterraneo – La Magia

26.   L’Accoglienza del primo ambasciatore d’Oriente;

27.    Bianca Cappello e il suo desiderio di avere un erede;

28.   Francesco I e l’Alchimia – Uno studio condiviso dalla moglie ? – La ricerca di un antidoto contro il veleno degli scorpioni (aveva 10.000 scorpioni);

29.   La morte di Francesco I e Bianca Cappello – Furono avvelenati ? – Le ricerche tossicologiche –

 

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1.      Eleonora di Toledo

Eleonora di Toledo, Donna Leonor Alvarez de Toledo y Osorio (Alba de Tormes, 1522- Pisa, 17 dicembre 1562) era figlia secondogenita di Don Pedro Alvarez de Toledo y Zuniga, vicerè di Napoli, e di Donna Maria Osorio y Pimentel, marchesa di Villafranca del Bierzo.
La tredicenne Eleonora aveva conosciuto Cosimo I de Medici, dei duchi di Firenze, nel 1535 a Napoli.
Cosimo, allora sedicenne,  si trovava nella città partenopea per accompagnare Alessandro de Medici, primo duca delle Repubblica di Firenze dal 1532, per delle trattative diplomatiche.
Una fanciulla di rara bellezza che il giovane Cosimo I, dopo il primo incontro, non dimenticò.


Alessandro Allori - Ritratto di Eleonora di Toledo, dettaglio - 1572 –
Studiolo di Francesco I, Palazzo Vecchio, Firenze

Cosimo I de’ Medici all’età di 19 anni
(Artista: Jacopo Carucci,
noto come Jacopo da Pontormo, Jacopo Pontormo o semplicemente Pontorno
(Pontorme- Empoli, 24 maggio 1494; ?, 2 gennaio 1557)
Datazione del dipinto: 1538 circa – Pittura: Olio su tavola
Misure (100,90 x 77) cm
Collocazione: ?

Cosimo I de’ Medici
(Firenze, 12 giugno 1519; Firenze, 21 aprile 1574)
Artista: Alessandro Allori
(Firenze, 31 maggio 1535; Firenze, 22 settembre 1607)
Datazione: ? Pittura: Olio su tavola
Misure: (86 x 65) cm – Collocazione: ?


         2. Bianca “Bia” de’ Medici

Intorno al 1536 nacque Bianca, soprannominata “Bia”, figlia naturale di una relazione di Cosimo I de’ Medici con una dama fiorentina di cui non si conosce il nome. Una bambina avuta prima del matrimonio del Eleonora di Toledo.
Nella sua vita Cosimo I ebbe ben 16 figli in 55 anni: tre figli naturali, undici da Eleonora di Toledo e due dalla seconda  Camilla (o Cammilla) Martelli. Un aspetto da mettere in rilievo è legato all’amore che il padre riservò a tutti i figli a prescindere dalla loro nascita naturale o meno.
Bianca fu la primogenita di Cosimo e la sua immagine fu scoperta durante il restauro del ritratto di Maria Salviati (1499 – 1543) madre di Cosimo I.
Nell’operazione di sverniciatura del dipinto risaltò la figura di una piccola bambina.

Maria Salviati ritratta con Bianca
(secondo alcuni storici si tratterebbe di Giulia de’ Medici o
Cosimo I de’ Medici)
(Artista: Pontormo, vedi sopra
Dipinto: Olio su tavola – Datazione: 1539 circa
Misure: (8,8 x 7,13) cm
Collezione: Museo d’arte Walters – Baltimora (USA)
Acquisizione del dipinto ?

Maria Salviati tiene delicatamente con la sua mano destra la mano (destra) della bambina che la critica  storica ha spezzo identificato con un bambino.
La piccola figura è vestita da bambina ed ha un acconciatura che è tipica degli anni trenta e quaranta del 1500, con piccoli riccioli che le circondano  il viso.
La bambina poteva essere una delle nipoti della Salviati: Bia, Maria, nata nel 1540 e Isabella nata nel 1542. Le ultime due figlie nate dal matrimonio di Cosimo I con Eleonora di Toledo.
La nonna Salviati morì nel dicembre 1543 e Maria ed Isabella erano troppo giovani rispetto alla figura che appare nel quadro dato che Maria aveva solo tre anni ed Isabella un anno d’età. Esaminando la figura della piccola bambina si potrebbe proporre un’età di cinque o sei anni.
Edward S. King nel 1940 identificò la piccola figura del quadro con Cosimo I de’ Medici da bambino. Ci fu subito una critica da parte di Bernhard (Bernard) Berenson secondo il quale la figura era quella di una bambina. Il quadro apparteneva a Riccardo Riccardi e nel 1955 Herbert Keutner trovò in un inventario dei beni del Riccardi, risalente al 1612, la seguente voce:
"Un dipinto di una braccia e mezza della signora Donna Maria Medici con una bambina, per mano di Jacopo da Puntormo". 
Questa importante fonte storica, anche se non riportava una descrizione dettagliata, non fece cambiare  a Edward S. King e ad altri storici come Janet Cox-Rearich la loro tesi secondo la quale la piccola figura era quella di un bambino ed esattamente di Cosimo I.
Maria Salviati è raffigurata nel ritratto come una signora anziana e non come una giovane donna di circa 25 anni (Alla nascita del figlio Cosimo I, la donna era ventenne).
Non sarebbe stata raffigurata come una vedova poiché non ave ancora perduto il marito, Giovanni de’ Medici delle Bande Nera.
La piccola figura ha i capelli rossi, una piccola bocca con le labbra piene e imbronciate e un delicato naso rotondo. Cosimo I aveva una bocca ampia, composta da due labbra sottili e un naso aquilino con il suo profilo curvo prominente. Perché Cosimo I raffigurato con un abitino femminile ?”

Cosimo I de’ Medici

N   Nel 2006 Gabrielle Langdon identificò la bambina del quadro con Giulia de’ Medici
(Firenze, 5 novembre 1535 – Firenze, 1588 circa), figlia naturale del Duca Alessandro de’ Medici (1511 – 1537).  Nacque due anni prima della morte del padre e fu allevata prima nel monastero di san Clemente a Firenze e successivamente da Maria Salviati.
Fu legittimata dal casato dei Medici e malgrado sia stata accudita dalla Salviati, c’era un rapporto di parentela lontano per essere ricordato in un quadro.
C’è da dire che il duca Alessandro de’ Medici era figlio naturale di Lorenzo II de’ Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico (alcuni storici considerano Alessandro figlio del cardinale Giulio de’ Medici che successivamente sarebbe diventato papa Clemente VI).
Lorenzo II de’ Medici avrebbe avuto una relazione con una serva mulatta di casa Medici, identificata come Simonetta da Collevecchio (Collevecchio in Sabina), secondo altre fonti con una contadina romana.
La prima versione sembrerebbe la più accreditata dato che il duca Alessandro per la sua carnagione era soprannominato “Il Moro”.


Alessandro de’ Medici “Il Moro”
Arista: Bottega del Bronzino (1503 – 1572)
Pittura: Olio su latta – Datazione: 1565/1569
Misure (16 x 12,5) cm – Collocazione: Uffizi- Firenze

    Giulia de’ Medici ereditò dal padre i capelli neri scuri e aveva una bocca molto ampia con  un labbro superiore sottile e quello inferiore pieno.


Giulia de’ Medici

Giulia de’ Medici
Arista: Alessandro Allori
Pittura: Olio su tavola – Datazione: 1559
Misure:  - Collocazione: Uffizi – Firenze

    Sempre la storica Gabrielle Langdon  sostenne che il ritratto di Bia fosse quello eseguito da Agnolo  
     Bronzino nel 1545.


Bia secondo la storica Langdon

    La sua tesi sarebbe legata all’abito di raso bianco e alla collana di perle metafore del nome Bianca.La collana di grandi perle bianche era uno dei principali simboli del casato dei Medici fin dal 1540. Molte donne del Casato dei Medici sono infatti raffigurate nella pittura con vistose collane di perle. Secondo alcuni storici una sola metafora era usata per un nome femminile nel Medioevo e nel Rinascimento ed era quella del fiore della Margherita da cui derivata il nome di Margaret. Il fiore era infatti ricamato sugli abiti o faceva parte dei gioielli della dinastia dei Valois in Borgogna e degli Asburgo nei Paesi Bassi spagnoli. Altri esempi:

-         -  Il ginepro non aveva nessun collegamento con il nome di Ginevra. In tutto  il Medioevo e il Rinascimento l’albero di ginepro era considerato il simbolo del dolore e del lutto e fu spesso aggiunto nei ritratti delle vedove;
-       -  L’ermellino non aveva nessun collegamento con il nome “ Gallerani” ed era il simbolo della dinastia  napoletana di Aragona
     Bia era una bambina molto vivace, affettuosa ed allegra, amata da tutti anche dai funzionari di  corte. Aveva un legame molto forte con la nonna Maria Salviati che l’adorava e l’amava moltissimo.
In una delle sue lettere la stessa Maria Salviati scrisse al figlio Cosimo I, che si trovava ad Arezzo, nel luglio 1540:

"Nessuna notizia da riferire ... [L] a Lady Bia è il conforto di questa Corte". 

       Nel 1542 Cosimo I fece un nuovo viaggio ad Arezzo, città che rientrava nei possedimenti fiorentini, e volle con sé la figlia prediletta. Durante il viaggio di ritorno la bambina s’ammalò. Una febbre che si fece  via via sempre più grave, che la portò a una rapida morte. Aveva cinque anni...chiuse i suoi piccoli occhi l’uno marzo 1542 e venne sepolta nella basilica di San Lorenzo. Tutti a corte piansero la perdita di Bia 

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      3. Cosimo ed Eleonora

       Cosimo I de’ Medici era alla ricerca di una sposa in grado di riuscire a dare una discendenza al casato e nello stesso tempo in grado di rafforzare la sua posizione politica. Aveva chiesto la mano di Margherita d’Austria, vedova del duca Alessandro de’ Medici assassinato dal cugino Lorenzaccio.
Margherita d’Austria. figlia di Carlo V d’Asburgo, mostrò delle reticenze e il padre aveva per lei altri progetti matrimoniali.
L’imperatore non volle inimicarsi Cosimo I e gli propose in matrimonio una delle figlie del ricchissimo vicerè di Napoli, Don Pedro Alvarez de Toledo y Zuniga, uno dei personaggi più importanti della penisola.

Don Pedro Alvarez de Toledo
(Ritratto – Autore: Sconosciuto – Datazione: XVI secolo ?
Pittura: Olio su tela – Misure: (80 x 66) cm
Collezione: Museo Nazionale Certosa di San Martino – Napoli)

Il motto latino degli Alvarez de Toledo
Tu in ea et ego pro ea 
Tu in lei e io per lei / Dio nella patria e io per la patria


Don Pedro Alvarez de Toledo con le insegne dell’Ordine di Santiago
(Ritratto – Autore: Tiziano
Tiziano Vecellio di Gregorio conosciuto come Tiziano
Pieve di Cadore – Belluno, 1477/1490; Venezia, 27 agosto 1576)
Pittura: Olio su tela – Datato: 1542 – Misure: (139,5 x 117,5) cm
Collezione: Pittura Statale Bavarese- Monaco di Baviera - Germania

Il Palazzo/Torre di Don Pedro Alvarez e della sua famiglia a Pozzuoli (Napoli)


Achille Vianelli (1803 – 1894)
Veduta di Pozzuoli con la Torre di Don Pedro Alvarez
Matita su carta (23,3 x 34) cm – datato 27 marzo 1824
Napoli – Museo di San Martino


Achille Vianelli (1803 – 1894) - Pozzuoli
Veduta del Palazzo/Torre di Don Pedro Alvarez dal Largo della Malva
Datato: 1820 circa – Matita e inchiostro su carta (23,3 x 34) cm
Napoli – Museo di San Martino


Il vicerè operò la ricostruzione di Pozzuoli devastata dall’eruzione del Monte Nuovo.
Oltre al Palazzo Vicereale di Napoli edificò, nel Rione Terra, una edificio  che
abitava nei suoi momenti di riposo. Una costruzione che, nel tempo, ha subito
vari rimaneggiamenti a causa di crolli.

Pozzuoli - Monte Nuovo 

Napoli - Palazzo del Vicerè

      Il vicerè, informato da Carlo V, propose in moglie a Cosimo I de’ Medici la figlia primogenita Isabella Alvarez de Toledo y Osorio.  La dote richiesta dal padre di Isabella era troppo onerosa e il diplomatico mediceo Niccolini descrisse Isabella come
Brutta e notoriamente sciocca

      per cui l’idea matrimoniale svanì. La giovane Isabella si sposò quindi con Giovan Battista Spinelli, Duca di Castrovillari e Conte di Cariati.
       Il cuore e il pensiero di Cosimo I de’ Medici erano rivolti alla figlia minore di Don Pedro, Eleonora. Il suo volto, la sua dolcezza e raffinatezza erano rimasti impressi nel cuore di Cosimo durante quella fortunata visita diplomatica. Castana e con gli occhi nocciola, aveva il viso di un ovale perfetto, i lineamenti dolci e pieni di un'innata maestà, come d'altronde traspare anche dai suoi ritratti. Quattro anni dopo, il 29 marzo 1539, Eleonora allora diciassettenne, si stipulò il matrimonio per procura con la consegna dell’anello.


       Eleonora giunse a  Napoli e l’11 giugno salpò dalla città accompagnata da fratello Garcia con sette galere  al seguito. Sbarcò  a Livorno la mattina del 22 giugno 1539 con un elegante vestito nero di raso “ tutto pieno di gran punti d’oro, così in testa et col colletto”, e incontrò Cosimo I a Pisa (o vicino la città). 

Eleonora di Toledo
Ritratto del Bronzino

      Eleonora manifestava un’eleganza austera che la collocava lontano dal gusto italiano  e fiorentino  di quegli anni in cui la manifattura tessile era in crisi. Fu il grande artista Bronzino, (Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino - Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572), che l’immortalò nei suoi meravigliosi dipinti che gli valsero l’entrata come artista della Corte Medicea.


Dettaglio del ritratto del Bronzino
Nell’opera “Trinità” del pittore Alessandro Allori
(Cappella di San Luca – Basilica della SS. Annunziata – Firenze


Firenze – Basilica della SS. Annunziata

Cappella di San Luca – Basilica SS Annunziata – Firenze
Fu il frate servita e scultore Giovanni Angelo Montorsoli a suggerire a
Vincenzio Borghini e Giorgio Vasari di dare  nuova vita alla
Compagnia del Disegno, con il beneplacito di Cosimo I de’ Medici.
L’antico Capitolo del convento fu adibito a sacello e luogo di
preghiera della risorta Compagnia sotto il titolo di
Compagnia e Accademia del Disegno.
Qui vennero sepolti numerosi artisti, da Pantormo a Cellini,
dallo stesso Montorsoli ad Andrea Sansovino. L’ultimo fu
Lorenzo Bartolini nel 1848.

Il pozzetto di sepoltura

Il vecchio altare della Cappella di San Luca presenta la
tela della SS. Trinità di Alessandro Allori (1571).
Il quadro presenta, in basso, due ritratti di accademici: Pontormo, a sinistra, e
il Bronzino, a destra. L’Allori volle dedicare il quadro a questi
due grandi maestri e in particolare al Bronzino che considerava come
padre adottivo.  Questi ritratti, come gli altri affreschi, furono rovinati da
antiche scritte e graffiti

       L’eleganza di Eleonora di Toledo era lontana dal gusto italiano.   Per notare la differenza basta osservare un quadro dello stesso Bronzino che ritrae una nobildonna del tempo, Lucrezia Panciatichi, appartenente ad una nobile famiglia di Pistoia. Un ramo dei Panciàtichi o Panciatici, a partire dal Cinquecento, si stabilì a Firenze. Una famiglia ricchissima grazie alle numerose proprietà fondiarie nel pistoiese e all’attività di mercatura.

Lucrezia Panciatichi
Autore – Il Bronzino
Ritratto – Pittura: olio su tavola – datazione: 1540 circa
Misure: (102 x 85 ) cm – Collocazione: Uffizi - Firenze

Dettaglio
Donna Lucrezia è rappresentata con un sontuoso vestito rosso che è
ornato da pizzi, nella parte superiore, e da una cintura con pietre preziose.
Le maniche hanno un gonfio sbuffo arricciato nella parte superiore
mentre in quella inferiore sono aderenti e, com’era abitudine,
estraibili e tenute da lacci.
Indossa due collane ed una di queste reca la scritta:
“amour dure san fin”
Le cui parole si sviluppano in modo che possono essere lette da
una parte all’altra, senza interruzioni….. facendo assumere al motto
una sua continuità:
Dure sans fin amour.. Sans fin amour dire

   

      Dopo un breve soggiorno a Pisa, Eleonora e Cosimo  partirono per Firenze fermandosi alcuni giorni alla Villa di Poggio a Caiano.


Prato - Villa Poggio a Caiano




I     Il 29 giugno (domenica) ci fu l’ingresso solenne della duchessa Eleonora Alvarez de Toledo Firenze dalla Porta al Prato e il matrimonio ufficiale fu celebrato nella Chiesa di San Lorenzo con una  solenne celebrazione seguita da sfarzosi festeggiamenti.

Firenze - Porta al Prato
Firenze - Basilica di San Lorenzo

       Nel suo ingresso nella città indossava  un elegante vestito color cremisi ricamato a filo d’oro. Un abito che esaltava la sua carnagione colore alabastro.
Il matrimonio, malgrado la sua fredda origine politica, fu d’amore.  Una coppia molto affiatata, unita da passioni comuni ed anche equilibrata nei comportamenti.
Eleonora nella sua vita coniugale badava all’abbigliamento del marito, dei figli, dei vari dipendenti che lavoravano per i Medici, alla cura e il rinnovamento degli arredi nelle varie residenze.
Naturalmente il ricco e raffinato abbigliamento  richiedeva l’uso di stoffe di vario tipo che venivano scrupolosamente registrare dai funzionari del Guardaroba che riportavano nei registri le loro quantità,  provenienze e destinazioni. Un registro che era anche sotto il controllo di Eleonora.
Le stoffe erano la grande passione della donna e l’importante centro manufatturiero di Firenze era in grado di rispondere ai suoi desideri e domande. 
Una figura importante nella città che diede prestigio all’attività manufatturiera che aveva perduto negli anni l’antica importanza.
Dal punto di vista storico nelle varie corti, alla “donna di casa”  spettava il compito di scegliere le stoffe per l’abbigliamento della famiglia e anche della servitù. E nella grande Firenze e nel Granducato, l’eleganza era una delle tante manifestazioni di ricchezza sociale e nello stesso tempo era  un modo di pubblicizzare il benessere del commercio fiorentino.
Il guardaroba di Donna Eleonora doveva quindi rispondere alle diverse esigenze della vita politica di corte secondo le stagioni.
Le varietà e i tessuti adoperati da Donna Eleonora ?
Come testimoniano le fonti i colori preferiti era il grigio, il tanè (un marrone dorato), il bianco oltre ad altri colori che s’accompagnavano a ricami in oro e argento.
Gli abiti di colore rosso, molto vivo,  erano quelli più numerosi nel suo guardaroba.
Un abito colore rosso cremisi )o chermisi) (colore rosso vivo prodotto dalle cocciniglie), simbolo di regalità, le fu confezionato subito dopo il parto di don Garzia, nel 1547 ed usato per occasioni ufficiali e di rappresentanza.
Gli abiti nella loro foggia e colore non mostravano una ricchezza sfrenata perchè si dovevano avvicinare  all’abbigliamento  delle altre dame di corte in modo democratico, senza abusi o sopraffazioni, secondo un principio politico di avvicinamento ai nobili di corte.
Scriveva nel Cinquecento Monsignor della Casa nel suo “Galateo”:

“Et sappi che in molte città pure delle migliori non si permette per le leggi che il ricco possa gran fatto andare più splendidamente vestito che non può il povero: perciò che a’poveri pare di ricevere oltraggio quando altri, eziandio pure nel sembiante, dimostri sopra la loro maggioranza”.

Giovanni della Casa
(Monsignor Della Casa/Monsignor Dellacasa)
(Borgo San Lorenzo, 28 giugno 1503; Montepulciano, 14 novembre 1556)
Letterato, Scrittore e Arcivescovo cattolico)
(Artista: Pontormo; 1494 – 1557)
(Pittura; olio su tavola – Datazione: 1541/1544 – Misure: (78.9 x 102)cm;
Collocazione: National Gallery Art of Washington – USA)

       A Firenze vennero promulgate leggi “Suntuarie” sin dal 1546, proprio da Cosimo I.


“Rinovatione della provisione sopra la prohibitione delle perle gioie, canutiglie, e ricami, Firenze, 1602”.
Rinnovava un analogo provvedimento emesso a Firenze il 30 luglio 1593 e precedenti.

 

Le Leggi Suntuarie erano dei dispositivi legislativi che avevano lo scopo di
limitare il consumo legato all’ostentazione del lusso, in particolare alla moda
maschile e femminile. Regolava anche l’abbigliamento di determinati gruppi sociali
obbligandoli ad indossare spesso dei segni distintivi.
A Firenze sin dal 1330 furono emanate dalla Repubblica diverse leggi
Suntuarie  per giungere al 19 ottobre 1546 con la legge
“Sopra il vestire abiti et ornamento delle donne ed uomini della città di Firenze”.
Leggi che furono emanate proprio da Cosimo I de Medici per combattere
il lusso eccessivo.

       Esistevano guardie delegate al controllo delle disposizioni emanate, che a volte potevano entrare nelle case o raccogliere denunce premiando il denunciante. Le reazioni delle donne, bersaglio preferito dei legislatori, furono a volte di esplicita protesta, a volte di furbi accomodamenti, come quando nascondevano lo strascico con spille per poi scioglierlo alla prima occasione favorevole.  
         Tra le leggi più discriminanti vi erano quelle che colpivano gli ebrei, che erano obbligati a portare un cappello a punta o un contrassegno colorato sul braccio; per le prostitute era solitamente vietato lo sfoggio troppo vistoso, mentre a volte dovevano indossare abiti di determinati colori o segni distintivi. Successivamente anche a coloro che furono giudicati eretici si fece indossare un abito penitenziale, solitamente giallo.
Leggi che decaddero negli anni successivi soprattutto nel Settecento


     Le stoffe erano la grande passione di Eleonora, probabilmente anche condivisa dal marito Cosimo I, a tal punto che scommetteva su di loro. Singolare l’avvenimento in cui si misero pezzi di raso o di broccati come premio per indovinare la nascita di un futuro bambino/a.

“   Dalla Signora Duchessa una pezza di teletta d’argento con opera…disse haver guadagnata al Luccino a’mastio et femina più mesi sono…” 


      È una nota del 1555 che riporta come Donna Eleonora vinse un drappo di stoffa pregiato per aver indovinato il sesso di un nascituro/a.
Questa sua passione determinò la nascita in un laboratorio di tessitura a palazzo Vecchio di Firenze che controllava personalmente. Naturalmente c’erano degli impiegati, maestranze che avevano nella città una lunga tradizione culturale. Il laboratorio era diretto da una donna, madonna Francesca di Donato,
che fu registrata fra gli stipendiati del Palazzo come “tessitora in Palazzo”  o “la tessitora della signora Duchessa”Abitava nel palazzo, nella zona della Dogana, e dormiva accanto ai suoi due telai. Nel suo lavoro era aiutata dal genero.
Probabilmente la presenza delle leggi suntuarie impedì, per certi versi, a Donna Eleonora di vestire secondo i suoi desideri. Nella vita quotidiana, di tutti i giorni, vestiva con abiti non troppo sfarzosi mentre  alla presenza degli ambasciatori o di personalità straniere, l’abbigliamento mostrava ricche stoffe fiorentine  con colori brillanti.  Un abbigliamento che doveva dimostrare la ricchezza della famiglia e la grandezza del Granducato. Tessuti che non dovevano essere a tinta unita per cui si ricorreva a stoffe pregiate e dotate di una grande manifattura che nasceva dal laboratorio del Palazzo.
La veste indossata da Eleonora nel famoso ritratto del Bronzino è un documento unico di questo genere di ufficialità, dove la personalità di Eleonora è quasi in ombra per sottolineare il suo rango e la sua forza. Una testimonianza incredibile delle pregiatissime stoffe fiorentine, lavorate con tecniche sopraffine e realizzate nella metà del Cinquecento.

Donna Eleonora di Toledo con suo figlio Giovanni de’ Medici
(Artista: Il Bronzino - Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Ritratto datato: 1544/1545 – Olio su tavola – Misure (115 X 96) cm
Collezione: Uffizi - Firenze
Scheda della Dott.ssa Marina Minelli
Nel catalogo della mostra che nel 2010 Palazzo Strozzi ha dedicato al pittore
Bronzino – Analisi del dipinto

      L'abito appare come un velluto operato, broccato, su un fondo di raso di seta bianco, con i grandi motivi a melagrana in broccato d’oro a bouclé, uno dei quali perfettamente composto al centro del corpetto, quasi come un emblema. La melagrana, simbolo di fertilità, allude alla sua fecondità, ma è emblema anche della unione di una famiglia, così come per Isabella di Spagna, consorte dell’imperatore Carlo V.
Un ritratto ufficiale all’ennesima potenza, frutto di uno studiato disegno politico e soprattutto, un incredibile pubblicità per l’industria fiorentina della seta, in grande ripresa in quegli anni.
Ma stranamente Eleonora questo abito non lo ha mai avuto.
Il modello è un classico modello alla spagnola del suo guardaroba, con scollo squadrato, con rete dorata per le spalle e ornata di perle in abbinamento con la reticella dei capelli, Un modello realizzato da una “tessitora” spagnola, maniche con tagli per intravedere la camicia di seta bianca a sbuffi e disegni ad arabeschi. Ma la stoffa con il quale è realizzato non faceva parte del suo guardaroba, come si evince dai documenti, dove nessun broccato con pelo nero, colore non amato da lei, appare.
Con molta probabilità al Bronzino fu consegnata dalla stessa Eleonora, o dal funzionario del Guardaroba, una pezza di stoffa broccata che doveva ritrarre nel dipinto e rappresentare ufficialmente la migliore produzione cittadina
È conservato nel museo del Bargello di Firenze un drappo di velluto operato, che presenta lo stesso disegno di quello ritratto da Bronzino, a testimonianza del fatto che fosse ritenuto uno dei più bei tessuti mai realizzati a Firenze.


O  Oltre al disegno, innovativo per l’epoca, con dettagli arabescati desunti dal repertorio turco, la qualità della lavorazione era significativa delle capacità manifatturiere fiorentine, che dovevano essere evidenziate grazie alle precise pennellate del pittore. Secondo gli studi della Dott.ssa Isabella Chiappara Soria, Eleonora indossava nel quadro una sottana così ricca da fare dimenticare che il capo era nato nel primo ‘500 come abito di sotto.
Le sue maniche aderenti e staccate lo provano indiscutibilmente.




       D'altra parte a testimoniare la decisa predilezione della Duchessa per questa tipologia è la sua presenza massiccia nei "Giornali di entrata ed uscita" della Guardaroba che, redatti dal 1544, documentano esaustivamente il suo gusto. La sottana del ritratto è realizzata in un tessuto rarissimo e preziosissimo, sicuramente realizzato dalle manifatture fiorentine, e del quale forse c'è anche traccia in una nota di acquisto dello stesso Cosimo per un drappo simile il 31 gennaio 1543 per la considerevolissima somma di 296 doppioni d'oro. Si tratta di un tessuto di velluto controtagliato nero su teletta d'argento, broccato di ricci d'oro e d'argento che presenta il classico motivo della cosiddetta “melograna”. Un tessuto che era un vanto per le manifatture cittadine, le sole in grado di realizzare un lavoro così difficile e complesso, ma anche armonioso ed elegante, oltre che preziosissimo per l'altissima qualità dei materiali usati. Un vero capolavoro che la Duchessa ostenta anche in nome e per conto dei suoi sudditi, così come l'enorme diamante tagliato a tavola che le pende da una collana di impareggiabili perle di inusitata grandezza. Il diamante, come le collane di perle e la ricchissima cintura a rosario, tutti gioielli che sarebbero rimasti patrimonio famigliare, sono il primo esempio, non solo di un rinnovato gusto per il gioiello ricco e vistoso, ma anche di quel suo uso strumentale ad una immagine di apparato di Stato che ne caratterizza la presenza in tutta la ritrattistica dinastica di antico regime. Ma tutto il ritratto trasuda lusso ed ostentazione, nel quale tutto partecipa a darci un senso di alterità: dalla bellezza algida della Duchessa, a quel materiale pittorico che sembra esso stesso fatto di pietre dure, a quella levigatezza delle superfici che ancora oggi incanta chi lo ammira agli Uffizi.

Poiché sappiamo che Eleonora, per le cerimonie ufficiali, non amava indossare broccati con effetto di pelo, come quello del ritratto, possiamo una volta di più sottolineare l’interesse che la granduchessa ha avuto per incrementare ed aiutare la produzione manifatturiera fiorentina, anche in occasione di questo stupendo ritratto.
Nell’estate del 1545, con il caldo che possiamo immaginare in quel di Poggio a Caiano, fra Prato e Firenze, la granduchessa Eleonora si fece strumento politico e commerciale, diventando immagine del potere, rigidamente imprigionata in quel suntuoso abito, che era soggetto del dipinto quanto lei e suo figlio Giovanni.
Inoltre, sono da lei indossati gioielli bellissimi, realizzati da importanti artisti dell’epoca, come Benvenuto Cellini, che probabilmente elaborò la stupenda cintura d’oro decorata da una nappa di perle, come lui stesso ci narra nella sua autobiografia.
La moda era un vero “instrumentum regni”, per la capacità di comunicazione immediata, ed Eleonora seppe sempre usare questo mezzo nel migliore dei modi, riuscendo ad elevare la giovane corte fiorentina al livello delle più importanti e antiche d’Europa.


Calze di Eleonora di Toledo, 1562
Galleria del Costume – Firenze

 Le calze sono lavorate in filato di seta con una grande varietà di punti diversi, indicando il lavoro di un abile professionista. La magliaia che riforniva la corte crebbe notevolmente di numero durante la seconda metà del secolo, parallelamente alla crescente richiesta di calze a maglia, molto più comode, in termini di vestibilità ed elasticità, di quelle di tessuto. 

"Particolare della lavorazione a maglia sopra e sotto le gambe delle calze."

Allevata secondo i severi dettami della corte spagnola, fu la duchessa giusta per ricoprire un ruolo così importante per Firenze, capace di dimostrare quanto fosse saggia ed avveduta negli acquisti e nella gestione della corte.
Vigile attenzione che non veniva meno neppure nei delicati periodi del parto, che furono numerosi, come ci raccontano tanti preziosi documenti.
Fu una donna amata e stimata da suo marito, tanto che aveva durante la sua assenza, il potere di firma, ed insieme a lui fu un genitore particolarmente attaccato ai suoi figli. Un questo un aspetto strano per l’epoca dato che i cerimoniali non concedevano loro molto tempo per stare insieme.
I figli pranzavano o cenavano con loro, tutti insieme, fuori da ogni tipo di etichetta di corte.
Tutto questo amore può ben essere sintetizzato nel nomignolo che suo marito Cosimo I le diede: 

la pavoncella con i pulcini.

4. La Vita

Cosimo I de’ Medici, da poco avuto il potere, non aveva molti contatti politici e nemmeno fondi economici e il matrimonio fu per lui un sollievo perché gli permise di entrare in possesso di un immenso patrimonio e di avere importante contatti con la parentela del vicere.
Vicerè che, grazie alla sua onestà e fedeltà nei confronti di Carlo V, ottenne il rinnovo della carica viceregia fino alla sua morte avvenuta nel 1553.
La coppia fissò la residenza nel Palazzo Medici di via Larga, oggi Palazzo Medici Riccardi, e ben presto si trasferì nel Palazzo Vecchio che, grazie alla loro presenza, fu ingrandito e ristrutturato.

Firenze – Palazzo Medici Riccardi

Firenze – Palazzo Vecchio

Come già accennato, fu un grande matrimonio d’amore e i cronisti del tempo ( e le numerose lettere) diedero molto risalto al loro legame sentimentale. La loro unione fu anche fedele? Eleonora fu molto fedele e vicina la marito. Lo stesso comportamento di vita contraddistinse  Cosimo I. In una città come Firenze, una sua “scappatella” non sarebbe mai passata inosservata dato che era sempre al centro dell’attenzione. Cosimo I ebbe anche dei figli naturali ma risalivano al periodo prematrimoniale e a quello di vedovanza. Melò periodo prematrimoniale si dovrebbe collocare la figlia Bianca e al periodo seguito alla morte della moglie si devono collocare: una bambina di cui non si conosce il nome e neppure quello della madre; Giovanni avuto da Elenora degli Albizzi e Virginia da Camilla Martelli, entrambi legittimati.  Donna Eleonora era molto legata al marito a tal punto che i cronisti dell’epoca riferirono di un episodio in merito ad un viaggio del duca. Donna Eleonora non poteva accompagnarlo e alcuni cortigiani videro la donna, in preda all’ira, piangere e strapparsi i capelli. 

In merito alle lettere, quando Cosimo I era assente,  la moglie ne pretendeva almeno due al giorno…
Era l’unica persona che aveva un certo ascendente sul carattere, burrascoso, introverso e sui frequenti sbalzi d’umore del marito che accettava i suoi consigli.
Dieci anni dopo il matrimonio (1549), Eleonora aveva già partorito nove dei suoi undici figli/e (Maria, Francesco, Isabella, Giovanni, Lucrezia, Piero “Piedricco”, Garzia, Antonio, Ferdinando), fu ultimata la costruzione del palazzo Pitti che diventò la nuova residenza dei Signori Firenze e con i soldi di Donna Eleonora furono comprati i terreni vicini che entreranno a fare parte del Giardino di Boboli.

Firenze – Palazzo Pitti

Firenze – Palazzo Pitti

Giardino di Boboli


Eleonora aveva subito la perdita di troppi figli e aveva bisogno di una zona più salubre.
A quanto sembra Donna Eleonora aveva contratto la tubercolosi proprio intorno al 1549. Un ritratto eseguito dalla Bottega del Bronzino evidenziava la donna con il volto molto sciupato, scavato, segni della pericolosa malattia.
Il grande giardino di Boboli, (Oltrarno), con il suo ambiente incontaminato, era in grado di offrire i rimedi per i problemi di salute che affliggevano la sua famiglia. A quanto sembra Donna Eleonora aveva contratto la tubercolosi proprio intorno al 1549. Dei ritratti eseguiti dalla Bottega del Bronzino e da Alessandro Allori (verso il 1560) riescono ad evidenziare  la donna con il volto molto sciupato, scavato, segni della pericolosa malattia.
Gli erano morti da poco i figli:
Piero “Piedricco” (7 agosto 1546 – 9 giugno 1547  - 306 giorni)
Antonio (1548, 1548; morto alla nascita) (?)
Alcune storici  collocarono Antonio come nato nel 1548 e morto alla nascita.
Un dato è certo e cioè la data della sua morte. 
Non esistono delle fonti scritte sul bambino.   L’unica fonte su questo sfortunato bambino è legata ad un dipinto.

Quando la sorella Maria morì, nel 1557, l’ultimo ritratto del bambino fu aggiunto al suo.

Cosimo I doveva essere molto affezionato a questo bambino dal cui volto traspare un infinità dolcezza che ben sì pone vicino alla figura della sorella  dal volto ricco di sensibilità e d’infinita tristezza.
Un bambino dai capelli biondo rossicci e dalla sua piccola bocca dalle labbra carnose.
Osservando il quadro il bambino dovrebbe avere un età tra i quattro o cinque anni.


In base a questa analisi sarebbe nato  tra il 1543 o 1544.
Giovanni de’ Medici nacque nel settembre del 1543 quindi Antonio sarebbe nato nel 1544 e 11 mesi dopo nacque la sorella Lucrezia.
Antonio era, stranamente, il fratello prediletto di Francesco I forse per la sua vivacità che traspare dal suo volto.
 Francesco I chiamò Antonio l’unico figlio avuto dalla seconda moglie Bianca Cappello e di cui non si è sicuri sulla maternità.

Antonio de’ Medici da bambino
(Artista: Il Bronzino - Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Pittura: tempera su tavola – Datazione: fine 1545
Misure (58 x 45) cm
L’uccellino in mano è un Carduelis carduelis (Cardellino)
Collocazione: Uffizi – Firenze



Antonio De’ Medici (da bambino)
Artista: Bronzino
(Agnolo di Cosimo – Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503; Firenze, 23 novembre 1572
Pittura: Olio su tavola – Datazione : 1550 circa
Misure (48 x 38) cm – Collocazione: Museo del Prado, Madrid
(Il bambino tiene nella mano destra un fiore e sulla sinistra un
piccolo gioiello come amuleto)

I fiorentini non l’amavano per il suo carattere visto, in modo errato, come altezzoso anche perché non abituati all’alterigia della corte spagnola. Non girava mai a piedi per la città ma sempre a cavallo o su una lettiga che lei stessa aveva fatto decorare con raso verde all’interno e di velluto, sempre dello stesso colore, all’esterno.
Stava sempre chiusa in quella lettiga senza mai spostare le tendine  neanche per guardare l’ambiente circostante.
Eppure era molto vicina alla gente, soprattutto nei confronti degli ultimi a cui elargiva abbondanti elemosine. Aiutava le fanciulle bisognose a costituirsi una dote e. sosteneva il piccolo clero. Tutti aiuti che nascevano dal suo forte patrimonio. Amava molto gli animali e secondo le fonti aveva un cagnolino, un gatto e un pappagallo.
Mostrava un scrupolosa e assidua presenza alle funzioni religiose e a quanto sembra le piacevano il gioco, le scommesse, la passione per la corsa dei cavalli.
Aveva una grande passione per l’abbigliamento molto raffinato ed anche per i gioielli che numerosi amava indossare.





Nel 1553 nacque Anna (19 marzo 1553 – 1 agosto 1553) che morì dopo 135 giorni e nel 1554 Pietro , il 3 giugno, che riuscirà a sopravvivere malgrado la salute precaria di Donna Eleonora,  morendo il 25 aprile 1604 all’età di 49 anni.
Il 19 novembre 1557 perdeva la figlia diciasettenne Maria morta a Livorno forse a causa della malaria.

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5. Maria de’ Medici – Il suo ritratto - Il Mistero sulla sua morte

Nacque il 3 aprile 1540, nel Palazzo Medici in Via Larga, e fu battezzata all’Opera di Santa Maria del Fiore con il nome di “Maria et Lucretia”.

Firenze - Palazzo Medici – Via Larga 

Prese il nome di entrambe le nonne, Maria Salviati e Maria Pimentel y Osorio.
Per Cosimo fu il grande amore della sua vita, la sua figlia prediletta che veniva descritta come la madre Eleonora di Toledo dai contemporanei:

una "bellezza mozzafiato" o "rara bellezza”
"... era già così bella nel 1550 che il vescovo Jacopo Cortesi commentò che la natura aveva fatto di tutto per prodigarle una tale bellezza e fascino da farla sembrare un angelo ". 

Secondo Giorgio Vasari “la Signora Maria .. una ragazza grandissima e veramente bella”.  Come la sua bellissima bisnonna, la celebre Caterina Sforza (1463-1509), e suo padre. Maria era “un’amante della vita all’aria aperta”.

  

Maria da bambina
Artista: Bronzino  (Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino)
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 - Firenze, 23 novembre 1572)
Pittura: Olio su tavola – Datazione: 1545 circa
Misure (58 x 46,5) cm – Collocazione: Uffizi – Firenze

Amava molto la caccia e i suoi contemporanei riferirono nei loro scritti che non solo era bella ma anche gentile, affascinante, graziosa, decorosa, umana, elegante, colta e molto intelligente...”...” il tutore dei bambini avrebbe incaricato maria di aiutare suo fratello Francesco... quando ha lottato con il suo greco”...”aveva una bella ciocca di capelli e un viso delicato e pallido”.
Il ritratto di Maria da bambina fino alla prima metà del XX secolo gli fu correttamente attribuito,  nei due libri di GF Young sui Medici, stampati nel 1909 e nel 1930, c’era un commento su ritratto di Maria..” sua figlia maggiore (di Cosimo) Maria... il cui ritratto, all’età di circa dieci anni, del bronzino, alla Galleria degli Uffizi è ben noto”.
Verso il 1950 il ritratto di Maria de’ Medici fu  ridefinito come ritratto della sorellastra naturale Bianca (Bia).
Il responsabile di questo cambiamento nel nome del ritratto fu lo storico dell’arte Detlef Heikamps. Lo storico trovò una fonte storica risalente al 1550/51  che affermava come il “maggiore-domo di Cosimo, Pierfrancesco Rccio, chiamò il pittore di corte Agnolo Bronzino a Pisa nel dicembre 1550 per fare un ritratto del bambino di sette anno Giovanni de’ Medici,  il futuro cardinale, che dovrebbe essere inviato a papa Giulio III in dono”.
Il ritratto di Giovanni de’ Medici fu solo il primo di una serie di ritratti dei figli di Cosimo I ed Eleonora di Toledo che il Bronzino eseguì.
 Dopo aver terminato il successivo ritratto della bambina di dieci anni Maria, completato entro il 27 gennaio 1551, il Bronzino scrisse al maggiore-domo Pierfrancesco Riccio da Pisa.
Questa fonte storica del 1550/51 non riportava descrizione dei ritratti di Giovanni, Maria, Garzia e  Francesco ( sui loro costumi, sullo sfondo, ecc.) ed esprimeva soltanto  come il pittore di corte di corte dei Medici avesse eseguito i quattro ritratti dei figli di Cosimo nel 1551.. Nessuno ritratto riportava però la datazione e nel 1955 Detlef Heikamp identificò i questi ritratti sebbene nessuno fosse datato.
Identificò, come opere realizzate da Agnolo Bronzino nel 1551, i ritratti di:
-          Maria de’ Medici..in realtà raffigura  Virginia de’ Medici (1576/78)

Maria De’ Medici – Virginia de’ Medici
(3 aprile 1540 – 19 novembre 1557)
(Arista; Il Bronzino - Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Dipinto: olio su tela ? – Datazione: 1551
Misure (52,5 x 38) cm
Collocazione: Uffizi – Firenze

Detlef  Heikamp sostenne come il quadro fosse un ritratto di Maria de’ Medici mentre in realtà è quadro d’identificazione. La doppia fila avrebbe un preciso significato come figlia di un secondo matrimonio. Virginia è l’unica figlia sopravvissuta al secondo matrimonio di Cosimo I cioè con Camilla Martelli. Indossa un abito che era di moda negli anni ‘70/ ’80 del XVII secolo. A quel tempo la sorellastra Maria era già morta da almeno 13anni. Nel quadro Virginia avrebbe un’età di circa 8/10 anni e quindi il quadro fu realizzato tra il 1576 ed il 1578. Il pittore non può essere Agnolo Bronzino che morì nel 1572. Fu probabilmente uno dei suoi allievi, forse Alessandro Allori, che a differenza del suo maestro, amava decorare i suoi ritratti con simboli o oggetti dei Medici.

-          Francesco de’ Medici all’età di otto - dieci anni e quindi realizzato tra il 1549 /1551


Eleonora di Toledo con il figlio Francesco I
Artista: Bronzino
Il Bronzino - Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Datazione: 1549
Collocazione: Museo Nazionale del Palazzo reale, Pisa

- Giovanni de’ Medici (realizzato ..1570/71 circa) ... in realtà si tratta del figlio naturale di Cosimo I, Giovanni de’ Medici dai caratteristici capelli ricci. Il ritratto mostra un ragazzo di sette/otto anni


-          Garzia de’ Medici (1549/59) 


Maria morì quando aveva 17 anni e di lei c’è un quadro che la raffigura all’età di circa quindici anni.

Maria de’ Medici e suo fratello Antonio
Artista: Bronzino
-          Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
-          Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Pittura: olio su tavola     - Datazione: 1555/1558
Misure (9,95 x 7,6) cm -  Collocazione: National Gallery of Art – Washington
Provenienza:
forse al barone Achille Seillière, Parigi fino al 1873
(probabilmente per eredità a Jeanne Marquerite Seillière, Principessa di Sagan
In seguito Duchessa de Talleyrand-Perigord – Parigi, dal 1873 al 1896
Venduta nel 1905 a Peter AB Widener, Lynnewood Hall, Elkins Park, Pennsylvania
(tramite Cottier e Co. Londra e New York ?)
Eredità da Estate di Peter AB Widener per dono tramite potere di nomina di
Joseph E. Widener, Elkins Park, Pennsylvania
Regalo nel 1942  National Gallery of Art Washington

Maria de Medici
A sinistra- all’età di cinque anni
A destra – all’età di circa 15 anni

Confrontando i lineamenti del volto, dei bellissimi occhi, del suo delicato naso e soprattutto della bocca, molto  caratteristica perchè presenta il labbro superiore  più piccolo rispetto al labbro inferiore, sembrerebbe di trovarsi di fronte alla stessa persona ripresa in due momenti diversi della sua tragica vita:  da bambina e all’età di circa sedici anni.
I suoi capelli sono diventati più scuri durante l’adolescenza.
Altro aspetto importante è legato alla collana che indossa.
Una collana che indossava anche la madre Eleonora di Toledo in uno dei suo ritratti  eseguiti dal Bronzino.

Eleonora da Toledo
Artista: Bronzino – 1539


Maria de’ Medici

Nel ritratto originale Maria de’ Medici era ritratta sa sola e solo dopo la morte del fratello Antonio, deceduto all’età di quattro anni, fu aggiunto al suo ritratto.
La stessa cosa accadde nel quadro di Maria Salviati eseguito sempre dal Bronzino. Alla morte della cara nipotina Bianca avvenuta nel marzo del 1542, la piccola fu aggiunta al quadro della nonna. 

Maria Salviati da sola
Artista: Bronzino

Maria de’ Medici era stata promessa in sposa al primogenito del duca Ercole II d’Este di Ferrara, Alfonso II nel 1554. La ragazza morì di febbre il 19 novembre 1557 nel castello dei Medici di Livorno. Gli storici del tempo diedero l’immagine di un padre inconsolabile per la morte de3lla ragazza e la pianse amaramente. La sua morte fu definita come uno degli eventi più tristi della sua vita. Fino alla sua morte tenne uno dei suoi ritratti nella sua stanza..

        Spesso fissando per ore e ore l’unico quadro sul muro, un ritratto della sua amata figlia Maria

Sulla vita della principessa si sa molto poco e nella storiografia ci sono due versioni sulla sua morte all’età di 17 anni: omicidio o morte naturale ?

In un documento di Francesco Settimanni,  fiorentino e cavaliere di San Sepolcro si legge: “Addì XIX di Novembre 1557, Circa 8 ½ di notte la Sig.ra Donna Maria primogenita del Duca morì di veleno statole dato per ordine del Padre e privatamente fu sepolta nella chiesa di San Lorenzo”.
È difficile credere ad una simile storia dopo  quello che ho scritto sul felice rapporto coniugale dei genitori della ragazza.
Il duca avrebbe fatto uccidere la figlia con il veleno perché fu avvisato, da un informatore di corte, della sua relazione con un paggio figlio del marchese Jacopo Malatesta. I due ragazzi erano stati più volti in atteggiamenti amorosi nelle stanze delle damigelle.
Il padre Cosimo I s’adirò moltissimo perché la ragazza era stata già promessa in moglie ad Alfonso d’Este, duca di Ferrara. Per questo motivo diede l’ordine di somministrare il veleno che le avrebbe procurato la morte le giro di pochi giorni.
Successivamente avrebbe ordinato anche l’uccisione del paggio che scomparve in pochissimo tempo.
Il luogo della sepoltura di Maria fu sempre oggetto d’indagine fin dai tempi antichi e fu  Filippo Baldinucci (Firenze, 1624 – Firenze, 10 gennaio 1696) (storico dell’arte, politico e pittore) a raccogliere notizie importanti sui depositi della basilica di San Lorenzo.



Nelle sue ricerche nell’archivio trovò su un documento, del ventiseiesimo deposito, una strana correzione che riportava la scritta:

"1557 Sig(no)ra Ma" 

come se qualcuno avesse modificato la dicitura.
Ci sarebbero altre fonti che darebbero per certa la sepoltura di Maria in San Lorenzo.
Una fonte si trova in una pagina del “Libro Nero de’ morti” degli Ufficiali di Grazia, sulla quale compare una scritta con inchiostro nero che recita:

"Signora Maria fiola  dello ill.mo s.re Duca di Firenze rip.a in San L.zo alli 22"  la sepoltura di Maria il 22 di novembre nella basilica di san Lorenzo."

L’altra fonte si presente nello “Spoglio dei Morti 1501 – 1600” dell’Archivio di San Lorenzo:

"Ill.ma S. Vegna Maria di Messere Cosimo de Medici Duca di Firenze morì adì 19 di 9bre 1557"

" 1557 Vegna Maria del Duca Cosimo la primogenita sep.ta quì".

Ma dove si trova la sepoltura ?
Nella Basilica di San Lorenzo non c’è alcuna traccia della sepoltura di Maria così come nelle cappelle dei Principi.
 C’è anche un’altra versione sulla morte e successiva sepoltura della giovane principessa che fu riportata dallo storico e profondo conoscitore della storia della famiglia  Medici, Guglielmo Enrico Saltini....

" Intanto la corte in quaresima andossene a Pisa e poi in autunno a Livorno... e fu appunto in questa città, in sul cadere dell'ottobre, che la principessa Maria venne sorpresa da una gravissima infermità di febbri, le quali presto si scopersero petecchiali e senza cadere a rimedio alcuno, prima le tolsero miseramente la conoscenza e infine la spensero a' 19 di novembre 1557".

Proseguì nel suo racconto:

" Il duca, la duchessa e i fratelli la piansero amaramente... Cosimo in que' giorni della disgrazia, perduta quasi la sua consueta costanza, non sapendo frenare il cocentissimo affanno, si serrava talora, tutto solo, sopra un terrazzo del castello (in Livorno) sfogando con un lungo e disperato pianto la passione del cuore".......

... " Non si fecero alla principessa Maria solenni esequie, non comportandolo, secondo il cerimoniale d'allora, la sua giovanile età, ne si recò il suo cadavere alla capitale  (Firenze) per deporlo in San Lorenzo; ma venne privatamente sepolta in Livorno nell'oratorio del Castello."

Per Saltini la principessa fu quindi sepolta a Livorno e un altro studioso condivise la sua tesi.
Gaetano Pieraccini ne, suo testo del 1924, “La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo” riportò in maniera sintetica che "La Maria venne sepolta a Livorno, nell'oratorio del Castello",

e nella successiva pubblicazione del 1947 scrisse in maniera più dettagliata che.....
"La Maria Medici venne sepolta , nell'oratorio del Castello, che dopo molti anni prese il nome di Chiesa di S. Antonio. Sopra la parete della chiesa si trovava una lapide che ricordava Maria e ne segnava la sepoltura; ma nel bombardamento tedesco del 1944 la Chiesa andò distrutta e si è perduta ogni traccia dell'epigrafe e della tomba".

In realtà, secondo altre fonti, nel 1935 fu deciso di demolire la Chiesa di Sant’Antonio e i relativi lavori iniziarono nel 1942. La guerra diede il colpo di grazia perché fu completamente distrutta nei bombardamenti.
Lo storico Pieraccini rimase convinto della sua tesi, relativa alla distruzione della chiesa nel 1944, e scrisse una lettera al parroco del Duomo di Livorno invitandolo a trovare conferme per poter confermare la sua tesi. Non si sa se il parroco rispose alla sua lettera.  In un documento datato 1773 furono citate tutte le sepolture livornesi e non appare la sepoltura di Maria de’ Medici all’interno della chiesa di Sant’Antonio e nemmeno della sua lapide. Il seppellimento di una figura così importante avrebbe dovuto lasciare qualche segno. Neanche i documenti originali del tempo scritti da Andrea Pagni, segretario di Cosimo I, non svelarono il mistero.
Ci sono due lettere inviate dal segretario il 15 e il 17 novembre 1557 da Firenze a Pisa al diplomatico Bartolomeo Conticini per sapere della condizioni di salute della ragazza ma non venne citata la città dove si trovava.
Quale fu la fine della ragazza ? E’ rimasto un mistero che forse non verrà mai svelato....

..Eleonora di Toledo, il 21 aprile 1561, perdeva un’altra figlia, la sedicenne Lucrezia che si era sposata con Alfonso d’Este ed era quindi duchessa di Ferrara, Modena e Reggio. Morì di tubercolosi

Lucrezia De’ Medici
(14 febbraio 1545; 21 aprile 1561)
 Artusta: Bronzino - Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Dipinto: Olio su tavola – Datazione: 1560
Misure ?
Collocazione: North Carolina Museum of Art

6, Lucrezia De’ Medici

Nel 1557  la pace tra Ercole II d’Este e Filippo II di Spagna decideva che il principe di Ferrara, Alfonso, avrebbe dovuto sposare Maria de’ Medici primogenita di Cosimo I de’ medici e di Eleonora di Toledo. Con la morte di Maria, a causa della malaria (?),  fu deciso che il matrimonio sarebbe avvenuto con la sorella minore Lucrezia. Il principe Alfonso fece il suo ingresso solenne a Firenze il 18 maggio 1558 e il 3 luglio vennero celebrate le nozze con Lucrezia  in una cappella del Palazzo Vecchio.
Nel contratto di matrimonio era presente un importante condizione. La duchessa Eleonora di Toledo pretese di avere con sè la figlia, ancora non sessualmente matura data la sue età (tredicenne), fino a quando non sarebbe diventata donna. Tre giorni dopo le nozze  Alfonso lasciò Firenze e Lucrezia continuò a vivere con la madre  e la sorella Isabella a Firenze, isolata quasi dal resto del mondo.






Alfonso II d’Este
(Ferrara, 22 novembre 1533 – Ferrara, 27 ottobre 1597)
Artista: Girolamo da Carpi
(Ferrara, 1501 – Ferrara, 1 agosto 1556)
Pittore ed architetto
Datazione: XVI secolo
Pittura: Olio su tela – Misure ?
Collocazione: Museo del Prado - Madrid

Alla morte del duca Ercole II (3 ottobre 1559), Alfonso  diventò duca di Ferrara, Modena e Reggio con il nome di Alfonso II d’este e Lucrezia diventò quindi duchessa consorte. La giovane donna lasciò la famiglia e il 17 febbraio 1560 fece il suo ingresso trionfale a Ferrara.  Per la giovane sedicenne si preparava una vita d’isolamento e dopo  meno di un anno morì di tubercolosi. Gli ultimi due mesi furono per la ragazza terribili a causa delle sofferenze che il male le procurava. A nulla valsero le cure di un medico fiorentino che il padre Cosimo aveva inviato a Ferrara.
Morì il 21 aprile 1561  e fu sepolta nel Monastero del Corpus Domini di Ferrara.



Tomba di Lucrezia de’ Medici

In realtà sulla morte della giovane donna circolarono delle voci su un suo avvelenamento da parte del marito per sposare Barbara d’Austria, un matrimonio politicamente più prestigioso.
La coppia non aveva avuto figli e il duca si risposò altre due volte per avere un erede.
Nel 1565 sposò infatti l’arciduchessa Barbara d’Asburgo e nel 1579 Margherita Gonzaga. Non ebbe figli da nessuna moglie e la sua morte decretò la fine del dominio estense sul Ducato di Ferrara che fu inglobato dallo Stato Pontificio. Lucrezia appare nella letteratura nel monologo drammatico in versi di Robert Browing “My Last Duchess” (L’Ultima Duchessa) nella raccolta “Liriche Drammatiche” del 1842 e nel 1845 nella raccolta “Dramatic Romances and Lyrics” (Liriche e monologhi drammatici)

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 7. la morte di Eleonora di Toledo e dei suoi figli Giovanni e Garzia

Eleonora  nel 1560 era una donna molto provata  dalla malattia e dai dolori per le perdite continue dei suoi figli, eppure sempre vicina al marito con forza e coraggio.

Il ritratto della Bottega del Bronzino (1560 circa)

Eleonora di Toledo
Datazione:  1560/1562
Artista: Alessandro Allori
 (Firenze, 31 maggio 1535 – Firenze, 22 settembre 1607) 
Pittura: olio su legno di pioppo – Misure (52 x 42) cm
Collocazione: Gemaldegalerie. Berino

Eleonora di Toledo
Datazione: 1560
Artista; Bronzino
(Agnolo di Cosimo, Agnolo Bronzino o “Il Bronzino”
Monticelli di Firenze, 17 novembre  1503 – Firenze, 23 novembre 1572
Pittura: Olio su tavola – Misure (86,4 x 65,1) cm
Collocazione: National Gallery of Art. Washington
Provenienza
William Beckford [1760-1844], Fonthill Abbey, Wiltshire e Bath, Inghilterra
Alexander Hamilton, decimo duca di Hamilton [1767-1852], Hamilton Palace, Strathclyde, che sposò la figlia di Beckford, Susan Euphenia [m. 1859], probabilmente per eredità
William Alexander Anthony Archibald Douglas [1811-1863], 11 ° Duca di Hamilton, Hamilton Palace, Strathclyde, Scozia, suo figlio per eredità
William Alexander Louis Stephen Douglas-Hamilton [1845-1895], 12 ° Duca di Hamilton, Hamilton Palace, Strathclyde, Scozia, suo figlio per eredità
1893 forse l'On. Francis Barry
1906 venduto a (Colnaghi, Londra e New York) per conto congiunto con (M. Knoedler & Co., Londra e New York)
Thomas Glen Arthur [1857-1907], Ayr, Strathclyde, Scozia
1910 venduta a Victor G. Fischer, Washington, D.C.
1912 rivenduta a (Colnaghi, Londra e New York), forse per conto congiunto con (M. Knoedler & Co., Londra e New York)
1926 ceduta a (Conte Alessandro Contini-Bonacossi, Roma e Firenze)
1954: acquistato da Samuel H. Kress Foundation, New York

Nell’ottobre 1562 seguì Cosimo I in un viaggio verso la Maremma per verificare i lavori sulla bonifica che lo stesso marito aveva avviato.
Dalla Maremma  sarebbero dovuti andare in Spagna per trovare il figlio primogenito Francesco Maria che da circa un anno si trovava nel paese iberico.

Francesco Maria De’ Medici

Eleonora soffriva da tempo di emorragie polmonari e i medici le avevano consigliato di passare l’inverno in un centro costiero con un clima mite.
Eleonora e Cosimo I  si recarono in Maremma con i loro tre figli: Giovanni, Garzia e Ferdinando. Un viaggio pericoloso perché la zona era colpita dalla malaria.
Durante una sosta nel castello di Rosignano avvenne l’incredibile… il destino avverso.

Livorno - Castello di Rosignano


Durante la breve sosta nel castello di Rosignano,  Giovanni e Garzia si sentirono male e  furono colpiti da forti febbri.
Giovanni (diciannovenne)  morì dopo qualche settimana.

Giovanni De’ Medici
(28/29 settembre 1543; 20 novembre 1562)
(Cardinale di Santa Romana Chiesa,
Nominato il 31 gennaio 1560 da papa Pio IV)

Giovanni

prese il nome del nonno paterno Giovanni delle Bande Nere. Era il fratello prediletto di Isabella de’ Medici dato che avevano anche gli stessi interessi nella caccia, musica e collezionare antichità.  Amavano trascorrere  più tempo possibile insieme. Nella nobiltà del tempo era consuetudine come il figlio secondogenito fosse destinato alla carriera ecclesiastica diventò sacerdote nel 1550, cardinale nel 1560 e arcivescovo di Pisa nel 1561. I suoi contemporanei lo descrivevano come bello con begli occhi, gentile, di buon carattere, allegro, socievole, giocoso e amante del divertimento.  Ci sono almeno tre ritratti che lo raffigurano all’età di circa due anni, di sette anni e all’età di 17 o 18 anni quando era già cardinale.

Giovanni con la madre Eleonora di Toledo
Artista: Bronzino
Datazione: 1545 - Galleria degli Uffizi, Firenze

Il bambino è senza dubbio il secondogenito di Cosimo, Giovanni. La fonte storica rinvenuta dalla dott.ssa Luisa Becherucci nel 1944 gli permise di fare avanzare la tesi secondo la quale la figura di Giovanni, posto accanto alla madre, sarebbe quella del bambino ritratto nel dipinto che segue. 


In realtà il bambino, raffigurato con un cardellino in mano e disegnato dal Bronzino,
non sarebbe né Giovanni e nemmeno Garcia, ma Antonio, figlio sempre di Cosimo I ed Eleonora di Toledo. Un quadro eseguito verso il 1546.
La fonte storica sarebbe legata ad una lettera mandata da Pierfrancesco Riccio, maggiore domo di Cosimo I, a Lorenzo Pagni all’inizio di maggio 1545: Il Bronzino ha perfettamente terminato il ritratto del principe Giovanni ed è veramente realistico. Questa falsa attribuzione del bambino, con il cardellino in mano, a Giovanni fu legata anche ad un'altra fonte storica dove   un certo Cristiano Pagni, forse parente del precedente Lorenzo, scrisse al maggiore domo Pierfrancesco Riccio il 28 agosto 1545:Sono pieno di stupore e di estasi ogni volta che mi capita di contemplare il Signore Giovanni, quella sua somiglianza allegra, soave e regale, e bel volto; quindi quanto deve essere più grande il vostro piacere, signore, che così spesso può vederlo e festeggiarlo.

In nessuna delle due fonti storiche si fa menzione del cardellino in mano al bambino, magistralmente dipinto dal Bronzino, e del suo ampio sorriso che addirittura fa vedere i due dentini nella mascella inferiore. Infatti non tutti gli storici erano concordi  con l’identificare le due figure a quella di Giovanni. Negli ultimi anni s’avanzò la tesi secondo la quale il bambino, con il cardellino in mano, fosse Garzia, fratello minore di Giovanni mentre in realtà si tratta del fratello Antonio (1544 – 1548).

Cardinale Giovanni de’ Medici
Datazione: 1560/62
Firenze: Palazzo Pitti

Questo ritratto fu realizzato tra il 1560 e il 1562 quando don Giovanni era già cardinale.
Per oltre quattro secoli questo dipinto fu considerato un ritratto di Giovanni de’ Medici.
Oggi, invece,  il soggetto è erroneamente indentificato con  Camillo Pamphilj, nominato cardinale nel 1644. La nuova identificazione fu legata ad un errata attribuzione del dipinto a
Justus Suttermans, vissuto dal 1597 al 1681. L’artista nacque ben 37 anni dopo la morte del cardinale Giovanni e quindi non potè eseguire un quadro tra il 15560 ed il 1562. I numerosi ritratti dei vari cardinali eseguiti nel XVI secolo si nota come siano seduti su una sedia sempre diversa. Nessuna ha usato la sedia di un altro cardinale nel proprio ritratto, ad eccezione del cardinale Giovanni de’ Medici.
Il cugino del cardinale Giovanni de’ Medici, Cardinale Carlo de’ Medici (1596 – 1666), terzo figlio di Ferdinando I (fratello di Giovanni de’ Medici), sedeva sulla stessa sedia quando i pittori di corte dei medici lo raffigurarono.

Cardinale Carlo de’ Medici
Justus Sustermans
Datazione: 1630
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina

Lo stretto rapporto familiare tra i due cardinali sarebbe quindi legato alla presenza della stessa sedia quindi il soggetto rappresentato del dipinto sarebbe proprio Giovanni de’ Medici.
Il 20 novembre 1562 Giovanni or’ quindi di febbre malarica tra le braccia del padre Cosimo I a Livorno. Aveva solo 19 anni.
Il padre mandò una lettera al figlio maggiore Francesco I, scritta proprio nello stesso giorno della morte del figlio:
"Nella prima di queste [lettere], datato 20 ° novembre 1562, egli [Cosimo I] dice a suo figlio [Francesco] che il 15 °Giovanni era stato assalito da febbre maligna a Rosignano, che si erano prontamente trasferiti di lì a Livorno [Livorno], ma che peggiorò, ed era morto lì alla data della lettera; che anche Garzia e Ferdinando avevano la febbre, ma meno grave, e che il giorno dopo li avrebbe portati a Pisa, dove si sperava si riprendessero; e che questo tipo di febbre eccezionalmente maligno era molto grave in tutta la parte del paese che stavano attraversando”
Eleonora fu colpita da una struggente disperazione e anche lei s’ammalò e morì, dopo circa un mese, a Pisa… aveva 42 anni. I medici le avevano consigliato di stare lontana dalle zone colpite dalla malaria. Tra le patologie anche quella dovuta ad una forte carenza di calcio.
Era il 17 dicembre 1562 e in punto di morte, per non farla soffrire, le fu nascosta l’avvenuta morte del figlio Garzia (quindicenne) scomparso sei giorni prima. La duchessa fu sepolta nella cappella Medicea della Basilica di San Lorenzo.

Abito funebre di Eleonora di Toledo
 Fu rinvenuto nel 1947 quando furono aperte le tombe medicee
Per le ricerche scientifiche di Gaetano Pieraccini (?)
Un abito semplice  senza decorazioni..
Desidero dare un ulteriore immagine su  quest’ anima che s’intendeva di politica;
madre severa e molto affettuosa e soprattutto amata.
La stilistica americana in un intervista sulla moda,  disse molti secoli la morte di Eleonora:

La moda è la maniera di dire chi sei senza dover parlare.
L’abito funebre sembra corrispondere a un abito riportato nella descrizione del Guardaroba dei Medici e fu l’ultimo abito creato per Lei:
Uno con corpetto e gonna in raso bianco con fascia marrone velluto sfondato ricamato in oro e argento con sottile treccia d’oro.
Fu consegnato nell’agosto del 1562, quattro mesi circa prima della sua morte.
Non fu riportato nell’elenco dell’inventario eseguito dopo la morte di Eleonora ed
È quindi probabile che quest’abito sia stato proprio destinato  in ambito funebre.

Eleonora di Toledo –
Olio su Tavola – 1556 – Museo Bardini - Firenze
L'abito è realizzato in raso di seta bianco o giallo chiaro con velluto marrone e finiture metalliche. Il rivestimento è sopravvissuto ai secoli molto meglio della fragile seta e ha preservato le linee stilistiche del capo. Il corpetto sembra essere senza maniche in quanto non sono state trovate maniche quando l'abito è stato recuperato dalla tomba. Il corpetto, che si presenta come completamente separato dalla gonna, allaccia in due file lungo la schiena tramite occhielli originariamente rinforzati con anelli di rame (che si sono disintegrati). 

L'immagine sopra raffigura Eleonora in un abito molto simile a quello in cui fu sepolta. Così simile, essendo forse anche senza maniche, che si potrebbe mettere in dubbio la data del 1556 e  che fosse lo stesso vestito. Ovviamente non lo sapremo mai, forse ha semplicemente preferito lo stile e ha fatto realizzare diversi abiti simili.

Il disegno dell’abito realizzato da Janet Arnold 

Nel quadro che la raffigura con il figlio Francesco I, opera del grande artista Bronzino,
presenta un eleganza  lontana dall’eccesso.  Il suo abito evidenzia una raffinata ricercatezza del tessuto prezioso e accuratamente lavorato. Il tutto naturalmente accompagno da gioielli di grande fattura e da un acconciatura rigorosa che le incorniciano il suo bellissimo volto illuminato dagli splendidi occhi.


Museo Palazzo Reale – Pisa

Questo abito fu confezionato in velluto rosso tagliato unito ad un corpo in seta e si  trova nella Sala degli Arazzi di Palazzo Reale a Pisa. Il busto ha una scollatura squadrata alta che avvolge le spalle con delle bretelle sottili, la passamaneria divide lo spazio simmetricamente in due con una decorazione a fascia formata da cordoncini rossi e in oro filato che guidano lo sguardo  rapidamente, ma non distrattamente, dalla parte centrale attraverso la lunghezza della gonna, accompagnandolo al termine di questa e proseguendo in una corsa lungo tutto il diametro per poi restituire la stessa simmetria sul retro. Le lunghe maniche sagomano il naturale andamento delle braccia, larghe sulle spalle e più strette ai polsi, qui si chiudono con un bottone piccolo e un asola in cordella. L’andamento decorativo longitudinale della manica divide la superfice in quattro parti ognuna delle quali divisa nuovamente a metà da dodici piccoli tagli. La manica, così riccamente decorata, presenta piccoli anelli in passamaneria nella parte alta che “crestano” elegantemente le spalle e accompagnano le cordelle in seta che si legano alle esili spalline. La gonna è arricciata all’altezza della vita e sagomata a punta sul davanti si divide poi in quattro teli con gheroni (stoffe triangolari ai lati che servono per aumentare l’ampiezza). Questa presenta un leggero strascico che era stato ripiegato all’interno durante il periodo in cui l’abito fu utilizzato come vestimento per la statua dell’Annunziata previa donazione della duchessa Eleonora. L’indumento infatti proviene dal convento pisano di San Matteo, contiguo al palazzo in cui Cosimo e la Granduchessa soggiornavano per lunghi periodi, soprattutto d’inverno, approfittando del clima mite di Pisa.
Ma questo è veramente l’abito che Eleonora di Toledo indossava nel ritratto del Bronzino che nel 1549 la ritraeva con il figlio Francesco? (Anche questo conservato nel Museo Nazionale di Palazzo reale di Pisa)
L’abito nel ritratto è parzialmente coperto dalla classica giacca spagnola che la figlia del viceré tanto amava indossare: la zimarra, questo però non nasconde alla vista la somiglianza tra i due vestiti. Il dilemma su cui concentrarci, però, è un altro:
quest’abito è realmente appartenuto ad Eleonora di Toledo ?
La studiosa del costume Thessy Schoenholzer Nicholson ha notato una forte somiglianza con un altro vestito di Eleonora: l’abito funebre della Granduchessa. Il confronto è tra le due sottane che risultano simili nella forma, nella guarnizione del busto e nel taglio della gonna stessa. Purtroppo nei documenti che descrivono il guardaroba della moglie di Cosimo, sebbene non manchino abiti rossi cremisi, non c’è una descrizione adeguata che ci riconduca direttamente al nostro abito. Una probabilità da non sottovalutare è che questo possa essere il vestito di una delle sue tredici dame. La Granduchessa Eleonora infatti, durante i viaggi cerimoniali a Siena e a Roma, nel 1560 portò con se le sue dame abbigliate con sottane rosso cremisi. Queste vesti uscirono dalla bottega di mastro Agostino che era solito utilizzare le stesse tecniche sartoriali per tutti i capi femminili importanti di corte. Se questo abito sia stato indossato da lei in persona o da una delle sue dame poco importa, ma ciò che è realmente importante è il documento che fornisce ai contemporanei sulla moda del tempo.


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Garzia (Garcia)
Garzia nacque il 5 luglio 1547 e prese il nome da un fratello della madre Eleonora da Toledo, Garzia di Toledo (1514 – 1577).
Il bambino era il figlio prediletto di Eleonora

Garzia de’ Medici
Artista: Bronzino
Datazione: 1549/50
Collocazione:  Palazzo Mansi – Lucca

Un vecchio cronista riportò: Lo amava come i suoi occhi
Aveva un naso aquilino, una bocca piccola con labbra carnose e capelli biondo scuro da bambino, che diventarono castano scuro quando aveva circa otto-dieci anni.
Secondo una consuetudine in vigore nel XVI secolo, Garzia essendo figlio minore di Cosimo I era destinato alla carriera militare. Nell’ottobre del 1560 papa Pio IV gli conferì il titolo di Comandante della Flotta Pontificia. Garzia diventò, come suo fratello maggiore Giovanni e sua madre Eleonora di Toledo, vittima dell’epidemia di febbre malarica che imperversò in tutta Italia per l’anno l’autunno e l’inverno del 1562. 
Gli ultimi giorni di vita del giovane e sfortunato Garzia furono descritti in una lettera che il padre inviò al figlio maggiore Francesco I

Questa è seguita da una seconda lettera da Cosimo al figlio maggiore, datato 18 ° di dicembre [1562], scritto in mezzo a tutto il dolore per la morte di quel giorno di sua moglie Eleonora 62 , in cui ha racconta Francesco [Francesco] che la febbre di Garzia era aumentato dopo il loro arrivo a Pisa, che, dopo una grave malattia di ventuno giorni era morto il 12 °Dicembre, e che sua madre, stremata dai suoi sforzi per allattarlo mentre lei era anche lei malata, era morta sei giorni dopo ...

Don Giovanni e Garzia de’ Medici (?)
Artista: Giorgio Vasari
Affresco - Datazione: 1556/1558
Misure (90 x 70) cm - Comune di Firenze

Garzia de’ Medici (?)
Artista: Adriaen Haelwegh
Datazione: prima 1691
Incisione su carta vegetale – Misure (35,3 x 37,1) cm
 
Abiti Funebri di Don Garzia de’ Medici
Giubbone con Braconi

Manifattura Fiorentina
Datazione: 1562 – Museo: Palazzo Pitti, Firenze
Collezione: Museo della Moda e del Costume
Garzia venne sepolto nelle Cappelle Medicee nella basilica di S. Lorenzo.
Nel 1857 venne compiuta una prima ricognizione delle salme dei
Medici e fu quindi redatta una relazione che descriveva lo stato della di
Don Garzia:
 
“[...] Il cadavere dell’infelice giovanetto trovammo ridotto in ossa, con un berretto di velluto sul teschio. È vestito di un giubbetto di raso rosso ornato di piccole righe fatte con filo d’oro, e su quello ha una sopraveste con maniche, composta della medesima stoffa e ornata di velluto dello stesso colore. I calzoni sono fatti secondo il costume spagnolo, ma le strisce, che un dì furono legate insieme, vi pendono scucite […]”
Quanto descritto, insieme agli abiti di Cosimo ed Eleonora, giunse nel 1983 alla Galleria del Costume come un indistinto ammasso di tessuti informi e divenne oggetto di un complesso intervento di restauro.
Il giubbone in raso cremisi, con guarnizioni in cordoncino dorato e accenno d’imbottitura sull’addome, insieme ai calzoni di velluto, hanno consentito di ricostruire l’abito in forma tridimensionale. Così come l‘intervento di restauro del cappotto, 
dal collo montante con le grandi maniche aperte verso l’interno, ha permesso il recupero del prezioso tessuto in damasco. Il cappotto è guarnito da una doppia banda in velluto con tagli decorativi. L’abito era corredato anche da un berretto in velluto nero.

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Il solo Ferdinando si salvò diventando successivamente prima cardinale e poi granduca.

Ferdinando de Medici (da bambino)(?)
(Artista: Il Bronzino- 1503/1572
Pittura: Olio su latta – Datazione: 1555/1565
Misure (15 x 12) cm – Collocazione: Uffizi - Firenze

8. La Discendenza

Nel corso degli anni, gli avversari esuli fiorentini di Cosimo I De’ Medici  diffusero un racconto secondo la quale Garzia avrebbe pugnalato il fratello Giovanni durante una battuta di caccia. Il padre Cosimo, venuto a conoscenza dell’accaduto, avrebbe pugnalato ed ucciso in preda all’ira Garzia
La madre Eleonora, venuta a conoscenza del duplice e terribile omicidio, sarebbe morta dal dolore. Un dolore terribile anche per la morte, avvenuta poco prima, della figlia Lucrezia.
Molti documenti, tra cui alcune lettere private di Cosimo I al figlio Francesco Maria, provano l’avvenuta morte di Eleonora e dei suoi figli a causa della malaria.  Anche lo studio paleopatologico dei resti scheletrici di Eleonora, Garzia e Giovanni, effettuati nel corso del “Progetto Medici” nel 2004-2006 dimostrarono la morte per malaria perniciosa da “Plasmodium falciparum”.
La discendenza quindi non fu molto fortunata. Maria (1557), Giovanni (1562) e Garzia (1562), tutti giovanissimi morirono di febbri  malariche; Pedricco, Antonio ed Anna, morirono ancora in fasce. Morti misteriose invece per la figlia Lucrezia, sedicenne, anche se  le notizie  parlarono di un decesso causato dalla tubercolosi  e del figlio primogenito Francesco I.

Francesco I de’ Medici
La vita di Francesco I fu molto complessa. Il suo nome sarebbe legato ad un voto fatto da Eleonora di Toledo in occasione di un pellegrinaggio al santuario Francescano della Verna.

 

Santuario della Verna
Chiusi della Verna – Arezzo



Francesco I de’ Medici, giovinetto
(Artista: Bronzino – v.s.
Ritratto – Tempera su tavola – Datazione: 1551
Misure: (58,5 x 41,5) cm
Collezione: Uffizi – Firenze

(ariista: Bronzino)

Francesco I de Medici
Artista: Bronzino
Datazione: 1556/57
Collocazione: Uffizi  Firenze

Dal 1564 fu reggente del Granducato di Firenze al posto del padre Cosimo I.
Il 18 dicembre 1565 sposò Giovanna d’Austria (1548-1578), figlia di Ferdinando I d’Asburgo. Dopo la morte della moglie si risposò con Bianca Cappello nel 1579.
La coppia ebbe un figlio, Antonio (20 agosto 1576 – 2 maggio 1621). Secondo alcune fonti Antonio fu invece adottato dalla coppia.  Il figlio fu osteggiato da suoi familiari e venne escluso dalla successione. La granduchessa Cappello fu sempre non accettata dalla corte e anche dal fratello di Francesco I, il cardinale Ferdinando I de Medici.
L’improvvisa morte della coppia, a distanza di appena un giorno l’uno dall’altra, fece subito pensare per lungo tempo ad un possibile avvelenamento che sarebbe stato ordinato dal cardinale Ferdinando. Le cronache del tempo parlarono invece di cause legate ad una “malattia fulminante”.
Entrami morirono a Poggio a Caiano; Francesco I il 19 ottobre 1587 e Bianca Cappello il 20 ottobre 1587. Francesco I, come il padre Cosimo I, non era favorevole al dispotismo e rispetto al padre non seppe mantenere l’indipendenza del Granducato di Firenze. Agì sempre come un vassallo del suocero Ferdinando I d’Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero.
Impaurito dalla congiura di Orazio Pucci, Piero Ridolfi e di altri nobili fiorentini avvenuta nl 1575, fu spietato con i rivoltosi e anche con chi dava loro degli appoggi.
Riuscì ad architettare  l’omicidio di due donne di casa Medici che avevano rapporti col il partito antimediceo: la sorella Isabella de’ Medici e la cognata Leonora Alvarez de Toledo che furono uccise dai rispettivi mariti a  distanza di meno di una settimana l’una dall’altra e in circostanze molto simili.


Leonora Alvarez de Toledo y Colonna, detta Dianora
(Firenze, 1552; Firenze, 9 luglio 1576)
Moglie di Pietro de’ Medici, figlio di Cosimo I de’ Medici e  di Eleonora de Toledo.
Venne strangolata dal marito per gelosia.
(Ritratto – Arista. Scuola di Alessandro Allori, 1535/1607
Pittura – datazione: 1571/1576
Collezione – Museo dell’Ermitage – San Pietroburgo

Era figlia di Garcia Alvarez de Toledo y Osorio, fratello di Eleonora di Toledo, e di
Vittoria di Ascanio Colonna. Si sposò nel 1571 con Pietro de’ Medici che
era suo cugino da parte di madre. Pietro aveva un carattere violento e amava
la compagnia di donne di malaffare. Aveva avuto due figli naturali in Spagna,
da Antonia Caravajal e Maria della Ribera (?), 
dove era stato inviato come ambasciatore.


Don Pietro de’ Medici
Artista: Scuola Alessandro Allori (XVI secolo)

Trascurava spesso la moglie che finì nel trovare come confidente
Bernardo Antinori esponente di una nobile famiglia fiorentina.
Iniziò tra i due una lunga relazione ma furono traditi da alcune lettere
intercettate.  Venuto a conoscenza della storia, Pietro ebbe una violenta
reazione e decise di liberarsi della moglie che era un ostacolo alla sua
vita dissoluta e motivo di infamia. Scelse un modo brutale per uccidere
la moglie. Rimasto solo nella Villa di Cafaggiolo, in un momento lontano
da occhi indiscreti, soffocò la moglie con un “asciugatoio” come
riportano i documenti dell’epoca. La coppia aveva avuto un figlio, Cosimo,
che morì di malattia un mese dopo l’uccisione della madre, nell’agosto del 1576
aveva tre anni.
L’Antinori morì in prigione dopo essere stato arrestato con un
pretesto qualsiasi.

Villa di Cafaggiolo
Barberino di Mugello (Firenze)

Altre fonti citano che Leonor fu uccisa dal marito con numerose pugnalate e che
l’Antinori fu decapitato nel cortile del Bargello.
Dopo il delitto il cadavere della donna fu portato a Firenze e sepolto in gran
segreto nella Cappella Medicea di san Lorenzo.
Resta il dato che il fantasma di Diadora, sfortunata donna innamorata,
aleggia tra le stanze della villa, aprendo porte che prima erano chiuse,
facendo suonare campanelli a cui sono stati tagliati i fili…..

………………..

10. ISABELLA DE’ MEDICI

Isabella de’ Medici (da bambina)
Artista: Il Bronzino - Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Pittura: olio su Tavola – Datazione: ?
Misura( 44 x 36) cm – Collocazione: Museo Nazionale di Stoccolma


Isabella Romola de’ Medici
Figlia di Cosimo I de’ Medici e di Eleonora di Toledo
(Firenze, 31 agosto 1542; Cerreto Guidi, 16 luglio 1576)
(Ritratto – Artista: Alessandro Allari, 1535/1607;
Olio su tavola; Datazione: 1550 -1555
Misure: (99 x 70) cm – Collocazione: Uffizi – Firenze

La sua nascita venne accolta con grade gioia da parte di Cosimo I e di Eleonora. Terzogenita, ebbe un infanzia a Firenze  a Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti. Nel 1553, a soli undici anni, i suoi genitori stipularono per lei un contratto di nozze a Roma con Paolo Giordano I Orsini, duca di Bracciano e membro della famosa famiglia Orsini.
Una donna colta, intelligente, capace di conquistare il cuore di tutti e per questo alla morte della madre Eleonora, fu lei a sostituirla negli affari di corte con il sostegno del padre Cosimo I che riponeva in lei la massima fiducia.
Parlava correttamente diverse lingue, amava la poesia e la musica.
Nel 1556 sposò all’età di quattordici anni il quindicenne Paolo Giordano I Orsini. Un “matrimonium  o sponsalia” secondo le antiche consuetudini che vigevano prima del Concilio di Trento.
(Lo sponsalia si attuava attraverso lo “sponsio” cioè un atto formale per mezzo del quale il pater familias prometteva il proprio figlio/a in marito/moglie. Gli sponsalia si svolgevano in presenza degli amici  e dei familiari dei due fidanzati che svolgevano la funzione di testimoni dell’impegno matrimoniale. Quest'ultimo era preso secondo le forme della stipulatio, in base alla quale sia il pater della donna sia il fidanzato s'impegnavano a garantire il compimento delle nozze. Presi gli accordi giuridici, c'era la consuetudine - ma non era un atto necessario - che i due fidanzati si scambiassero un bacio casto, che non offendeva le antiche tradizioni. In tal caso la cerimonia degli sponsalia era definita “osculo interveniente”. Seguiva, quindi, lo scambio dei doni - solitamente arredi ed abbigliamento - che costituivano il "pegno" delle future nozze, dopodiché l'uomo regalava alla fidanzata un anello, l'anulus pronubus sul quale vi sono diverse testimonianze. Quest' anello, infatti, non era un semplice regalo, bensì svolgeva una funzione simbolica ben precisa. Era una sorta di "catena" simbolica attraverso cui lo sposo legava a sé la sposa, rivendicandone il pieno possesso. Di conseguenza, una volta infilato l'anulus al dito, la ragazza manifestava concretamente il suo impegno a rispettare il patto di fedeltà nei confronti del fidanzato. Non è un caso, infatti, che l'anulus fosse infilato al penultimo dito della mano sinistra, detto appunto anularius, da cui si credeva partisse una vena che giungeva dritta al cuore. Inizialmente, come ricorda anche Plinio il Vecchio, l'anulus doveva essere un semplicissimo cerchietto di ferro e solo in seguito fu realizzato in oro. Dopo aver firmato il contratto nuziale, nel quale erano stabiliti la natura e l'ammontare della dote della sposa, e fissata la data delle nozze, la cerimonia degli sponsalia giungeva al suo termine. Seguiva, quindi, un banchetto al quale partecipavano tutti i presenti.
La cerimonia solenne (solemnitas nuptiarum) fu celebrata nel 1558

Paolo Giordano I Orsini
(Artista: Autore anonimo
Olio su tela : Datazione; 1560
Collocazione (Castello Orsini – Odelaschi – Bracciano)

Castello Orsini – Bracciano (Roma)

Castello  Orsini – Sala delle Armi

Paolo Giordano  Orsini (Bracciano, 1 gennaio 1541 – Salò, 13 novembre 1585)
era figlio di Girolamo e Francesca Sforza. Era nipote di Felice della Rovere, figlia
naturale di papa Giulio I; di Gian Giordano Orsini; di Bosio Sforza e di Costanza
farnese, figlia naturale di papa Paolo III. Dopo una condanna dello zio Francesco, i beni
degli Orsini furono devoluti a Paolo Giordano I.

Nel 1558, lei quindicenne   e l’Orsini diciasettenne, si sposarono.
In realtà Isabella non lascerà mai Firenze a causa dei tanti impegni politici, delle esigenze della corte medicea, dei problemi di salute e di diversi contrattempi, legati al comportamento del marito Tutti fattori che si susseguirono negli anni.
Aveva un  carattere differente rispetto alla madre perché molto più spigliata, disinvolta e per questo comportamento fu molto “chiaccherata”.
S’era legata ad un uomo, principe di Bracciano appartenente alla grande casata degli “Orsino” (la stessa famiglia che diede i natali a Clarice Orsini moglie di Lorenzo  il Magnifico) che la critica storica definì come impulsivo,  cinico, spendaccione.
 Fu trascurata a causa delle lunghe assenze del marito legate ai viaggi e  “sorvegliata” da Troilo Orsini, cugino del marito.
A quanto sembra esiste un carteggio in cui la stessa Isabella rivelò rapporti più che affettuosi tra i due in quali non perdevano un’occasione per stare vicini.
Quando Isabella e Paolo G. Orsini si sposarono, dovettero subito  affrontare dei gravi problemi economici.
Tutte le spese associate al mantenimento di Palazzo Medici (cavalli, cani, domestici, ecc.) ricadevano sotto la responsabilità di Paolo Giordano.
Ma dove abitava la coppia dato che i de’ Medici avevano molte proprietà immobiliari sia a Firenze che fuori ?
L’Orsini trascorreva solo alcuni periodi dell’anno a Firenze e nel 1536 la coppia decise d’insediarsi in una residenza a loro riservata, separata dal resto della famiglia.
La costruzione dei nuovi Uffizi aveva reso disponibile una proprietà di grande prestigio, il Palazzo Medici di Via Larga, che aveva fino allora ospitato alcuni uffici del nuovo stabile.

Firenze – Palazzo Medici (Riccardi)
Alla seconda metà del Cinquecento Giovanni Stradano
(Bruges, 1523 – Firenze, 22 febbraio 1605) vide il palazzo riportandolo nella sua litografia. La strada si chiamava “Via Larga” ed era molto affollata da fiorentini
e forestieri per  vedere la contesa equestre della Giostra del Saracino.
Corsa che veniva ancora eseguita a Firenze attorno al 1900 nella
Piazza Santa Maria Novella. Il Palazzo nella seconda metà del Seicento
venne venduto dal Granduca Ferdinando II, che risiedeva nel  Palazzo Pitti, ad una
ricca famiglia di banchieri, i Riccardi. Famiglia che aveva reso al
granduca degli importanti servizi pubblici tanto da ricevere il titolo di marchesi.
Il fedele marchese Gabriello Riccardi acquistò per la somma di 40.000 scudi
il palazzo che prese il nome del nuovo proprietario.





Malgrado la sua presenza irregolare a Firenze, l’Orsini fu favorevole al desiderio di Isabella di stabilirsi a Palazzo Medici. Una residenza separata dai familiari avrebbe permesso all’Orsini di essere indipendente dal suocero e cercò quindi di fare il possibile per ottenere quel privilegio. Le proprietà immobiliari entro le mura erano sempre ambite a causa delle esigue dimensioni del centro cittadino.  Persino le persone importanti potevano essere costrette a condividere una stanza con altri e c’erano decine di ambasciatori, funzionari e dignitari stranieri che erano disposti a pagare a caro prezzo, anche con mezzi diversi dal denaro, per occupare il vecchio palazzo mediceo. L’Orsini sollecitò con insistenza Cosimo I che, a quanto sembra, non aveva però alcuna fretta di prendere una decisione. Deluso, si rivolse al cognato Giovanni, prima che morisse, dal quale non ebbe molto aiuto. Il cardinale Giovanni scrisse a Giannozzo Cepparello, agente che Cosimo I de’ Medici aveva incaricato di agire per conto di Paolo Orsini a Firenze:
Noi abbiamo parlato al Signor Duca nostro padre della casa vecchia
di Via Larga, che il Signor Paolo desidererebbe per alloggiamento di
sua famiglia, et parimente delle stanze in Palazzo per la persona sua.
Sua Ecc. ci ha risposto averli fatto intendere per sue lettere, quanto
occorre così nell’uno, come nell’altro caso. Però Noi abbiamo
da dirvene altro, rimettendoci a quanto Sua Ecc. possa aver ordinato”.
Giovanni non era particolarmente ansioso che il padre cedesse al cognato una residenza così ambita e destinata a diventare una base fiorentina dove la cara sorella avrebbe dovuto risiedere allontanandosi da lui.
Cosimo I finì con assecondare la richiesta dell’Orsini e permise quindi che il vecchio palazzo fosse riservato alla coppia.
All’indomani della morte del fratello Giovanni, Isabella era molto interessata alla disponibilità di disporre di una residenza privata. Prima desiderava sempre stare vicino al fratello  a cui era particolarmente affezionata.
Il Palazzo Medici diventò quindi il palazzo di Isabella soprattutto durante le lunghe assenze del marito. Affascinata dal prestigio del vecchio palazzo era per lei anche un ponte privilegiato con il passato  perchè gli permetteva di avere sempre contatti con il suo passato, con i suoi cari..

Firenze – Palazzo Medici Riccardi

La coppia prese possesso non solo del palazzo Medici ma anche  del vicino Palazzo Antinori. La famiglia Antinori era alleata ai  Medici e aveva creato la propria residenza seguendo il modello architettonico del palazzo dei vicini.
Una porzione considerevole del Palazzo Antinori fu affittata a Paolo Giordano I Orsini per permettere l’alloggio della sua servitù che regolarmente portava con sé.
Le spese, sia per il mantenimento di Palazzo de’ Medici sia per Palazzo Antinori erano coperte dall’Orsini anche quando si trovava fuori città.


La relativa contabilità veniva registrata nei “Libri di entrate ed uscite” con il sistema a partita doppia che i banchieri di famiglia avevano diffuso un secolo prima.

Simone Crisogono
“”Mercante arricchito del perfetto quaderniere,
ovvero Specio Lucidissimo, nel quale si scopre ogni questione,
che desiderar si possa per imparare perfettamente a tenere
libro doppio – 1664


Libri di contabilità 

Il compito della contabilità era affidato a Gian Battista Capponi, la cui famiglia era una sostenitrice di Isabella de’ Medici.  Nei libri vi erano riportate una miriade di spese come le migliorie alle strutture del Palazzo,  amigliorando del Palazzo Medici”,  in merito anche alla stuccatura ed all’imbiancatura delle stanze personali di Isabella che erano contigue al cortile e al giardino del palazzo.


Palazzo Medici Riccardi - Giardino






Sempre sotto la stessa voce furono riportati i pagamenti di Alberto  Fiorentino, natapharo… un esperto pulitore di pozzi che fu ingaggiato per pulire il pozzo della cucina dove era caduto un gatto.
Altre spese riguardavano la fornitura d’acqua documentate dalle botti che erano portate con regolarità dall’Arno per il bagno di Isabella.
C’è anche una spesa per Francesco della Camilla, scultore … incaricato di rimettere in funzione le fontane del giardino del Palazzo.
Quando la coppia si trasferì nel Palazzo dovettero acquistare dei mobili che furono scelti da Isabella come alcuni letti a baldacchino, delle panche per la signora (sotto la voce spese per sedie e poltrone) e quattro sedie basse tappezzate di velluto turchese.
Vennero acquistati anche dei servizi da trentadue di stoviglie.
Rappresentava un’ulteriore spesa il trasferimento dei beni, come la biancheria, sedie pieghevoli ed arazzi, quando isabella si spostava in una delle numerose ville di famiglia.
Una voce particolare era la “spesa d’arme” ovvero la protezione dell’edificio.
Una voce che comprendeva l’acquisto di balestre, archibugi, lance, spade. La struttura esterna del palazzo sembrava quasi una cassaforte ed era sicura solo se presidiata da uomini armati. Alessandro de’ Medici fu ucciso proprio in questo palazzo che era scarsamente presidiato.
La “spesa del vestire”  prevedeva gli acquisti di seta gialla per  le “vesti” di Paolo Orsini, scarpe di seta rossa o un cappello fatto di piume di pavone e pennacchi argentati, rivestito in taffettà ed acquistato presso il ricco mercante Andrea Cortesi.
Sembra che l’Orsini abbia avuto un debole per i cappelli stravaganti, come testimoniò la prostituta Camilla durante il processo. Comprava camicie dalle suore domenicane del vicino convento di Santa Caterina da Siena che era posto lungo la stessa Via Lunga.
In queste spese rientrava anche l’abbigliamento dei domestici costituito, ad esempio, da livrea per i valletti.
Sulla qualità dei tessuti non si faceva attenzione alla spesa. Numerosi metri e metri di seta e velluto rossi e gialli, taffetà rossa striata di giallo, tutti tessuti che venivano acquistati per vestire  i domestici della casa.

Enea Silvio Bartolomeo Piccolomini, papa Pio II,
incoronato poeta dall’Imperatore Federico III d’Asburgo.
(Artista: Bernardino di Betto Betti, noto come il
Pinturicchio o Pintoricchio – Perugia, 1452 circa ; Siena, 11 dicembre 1513
Il soprannome Pintoricchio (“piccolo pintor” – pittore) derivava dalla sua
corporatura minuta. Termine che adottò per firmare i suoi capolavori artistici.
Affresco – Datazione: 1502/1507 – Cattedrale di Siena
 
Vicino al trono dell'Imperatore, in primo piano, si vede un giovane paggio, il cui costume è ricco ed elegante. Porta una clamide di color giallo cangiante in
azzurrognolo nelle ombre ed è affibbiata sulla spalla destra.
Il farsetto, le cui maniche sono assai larghe superiormente, è di un rosso di lacca.
Tiene nella destra un berretto scarlatto, ornato di un bottone d'oro e sormontato da una piuma giallastra: posa la sinistra sul pomo dorato di un ricco pugnale. Veste lunghi e stretti calzoni la sua cintura è violetta, le scarpe sono rosse e terminano con una di quelle punte assai comuni nei secoli XIV. e XV.  Questi calzari aveva una lunghezza talvolta così esagerata, che per poter muovere il passo bisognava legarle al ginocchio per mezzo di una piccola catena.
Tra i numerosi paggi si notano i due posti sulla destra della scena.
 Uno ha la mano destra appoggiata ad un bastone, tiene in testa un berretto nero ornato di un nodo rosso e con bottoni dorati. Il giubbone è aperto sul petto e lascia vedere la camiciuola: il suo colore è quello delle larghe maniche che arrivano fino al gomito, è giallo; il restante del braccio fino al polso è coperto di una manica nera: i lunghi calzoni sono rossi, ed incominciando dalla cintura, ornati di liste verdi, le quali terminano sulle coscie con alcuni fiocchetti tramischiati d'oro: le scarpe sono nere. L'altro paggio ha in testa un cappello verde: porta una specie di tunica assai corta, color di piombo, ed inferiormente guernita di velluto nero ricamato in oro: il farsetto è listalo di giallo e nero: i calzoni sono gialli.

…………………

I paggi, sempre più numerosi di giorno in giorno, indossavano livree di costo velluto blu.
Erano figli adolescenti della nobiltà fiorentina, le cui famiglie facevano a gara per “piazzarli” al servizio de’ Medici. Era questo infatti il modo migliore per ottenere un’entrata a corte o un avanzamento di posizione sociale.
Per Isabella e Paolo era questo un modo per potersi assicurare la lealtà delle nuove generazioni.
Non era una spesa di poco conto sfamare e vestire questo esercito di ragazzini per non parlare della quotidiana cura dei loro ricchi abiti.
C’era una lavandaia, di nome Caterina, che era impiegata a tempio pieno a corte e che figurava nei libri contabili.
Mentre le spese per i paggi figuravano in modo regolare nei libri contabili, c’era un altro esercito di servi che restava praticamente invisibile e costituito dagli schiavi.
Altra spesa era legata alle carrozze ed anche ad un mezzo di trasporto molto solenne e non meno vistoso come “la lettiga o lettica”.
Una lettiga che Isabella aveva fatto foderare con un ricco velluto e broccato blu reale. Le lettighe era in genere usate dalle donne in stato di gravidanza o malate. Era un modo molto comodo per essere condotti in città piuttosto che montare a cavallo o ancora spostarsi in carrozza.
 Isabella, secondo i resoconti medici, tendeva sempre ad esagerare i suoi malanni fisici e a renderli noti nei minimi particolari. Le sue otiti, molto frequenti, figuravano sempre nei dispacci di corte e a quanto sembra questi fastidi non le impedivano mai di andare a caccia e  di frequentare le feste. Allora ventenne era  un modo di esprimere in pubblico la sua posizione permettendole di osservare con tranquillità il mondo circostante con le sue piccole e grandi sfumature.
Queste sono solo alcune delle spese che figuravano nei libri contabili di Casa Medici-Orsini. Altre voci, non meno importanti ed altrettanto ingenti, determinarono il sorgere di una grave e preoccupante crisi economica che avrà avuto i suoi effetti sulla vita sentimentale della coppia.

Gli schiavi ai tempi di Cosimo I de’ Medici erano presenti nel tessuto sociale  tanto che diverse storie ci furono tramandate sulle loro triste esperienze di vita..
Dalla schiava russa Ekaterina, al garzone Francesco, dalla serva Ghita alla prostituta Hysa.
Ekaterina fu resa schiava con un inganno perché venduta dal padre. Era una ragazza forte e nonostante le botte e le umiliazioni non perse mai la sua dignità. Un inno ai sogni e alla speranza di una vita migliore.
Altro esempio la disputa processuale tra Lusanna e Giovanni della Casa. Per la prima volta una donna non nobile accusò un uomo di bigamia e immoralità.   Una donna che voleva fare sapere alla Firenze del tempo che non era una cortigiana e che Giovanni della Casa l’aveva sposata. Antonio Pietrozzi, priore del convento di San Marco, si schierò in favore della donna contro l’usura e l’immoralità dei fedeli. Non si pronunciò contro quello che era un costume sociale… la schiavitù femminile. Molte fanciulle dell’Est erano rese schiave per i lavori domestici nelle case dei ricchi, nei bordelli, come balie dei bambini, nelle case degli anziani per accudirli.
 
Dai libri contabili si rilevò che le uscite superavano di gran lunga le entrate e Paolo Orsini era quasi abituato a convivere con i debiti. A quindici anni era stato obbligato a  cedere parte della sua proprietà ai Brandini, mercanti di Firenze, per fare fronte ad un debito esorbitante di ben 14.000 scudi.
Malgrado i suoi debiti s’avventurava sempre in nuovo spese.  Per la nobiltà questa pratica non era un disonore dato che le credenziali offerte dal suo nome e dalla sua moralità erano delle ottime garanzie.
Ma c’era un aspetto che lo differenziava dagli altri nobili ed era legato alla necessità di vendere porzioni delle sue proprietà, più o meno estese, per pagare i creditori. Un comportamento che non reputava vergognoso. Tante spese folli, come l’acquisto di speroni d’oro sia per sé che per tutto il suo seguito. Fu spesso costretto a monetizzare i suoi preziosi tra cui i gioielli che Benvenuto Cellini aveva disegnato per le nozze della madre.
Era pronto  a sacrificare oggetti di fattura pregiata per acquistare una miriade di oggetti di minore valore.
Un pendenti entrovi uno smeraldo, e rubino, con una perla
e un diamante a faccette
proveniente dalla sua eredità venne messo in vendita al prezzo di 12.000 scudi.
Ma la sua spesa più forte era quella sostenuta per i cavalli che per il Conte Orsini erano quasi un ossessione.
Uno dei suoi contabili romani un giorno gli disse, con grande sincerità, che le proprietà degli Orsini non sarebbero state così gravemente indebitate
se non fusse la superflua e dannosa spesa di Bracciano,
della quale la maggior parte o quasi tutta dipende da
quella benedetta stalla. Però se gli piace di restringerla a cinque o
sei cavalli…. e di dar via i cavalli spesa superflua e dannosa”.
 
Il duca Paolo trascurava  spese fondamentali come l’alimentazione dei
domestici per destinare il denaro all’acquisto di articoli stravaganti. Un domestico dell’Orsini nel dicembre del 1563 scrisse che:
qui si fa un grandissimo lavorare di mettere in ordine archi trionfali,
giostre, caccia et feste et livree… ma pe noi altri cortigiani per
 ancora non tocca niente d’amaneggiare, se non fatiche in metter
in ordine il Palazzo et similia.
 
La proprietà di Bracciano era gravata dai debiti anche per la cattiva gestione dell’azienda da parte del “fattore” Giulio Folco che fu spedito in prigione con l’accusa di appropriazione indebita. Per ragioni del tutto personali, che non si sono riusciti a chiarire, il duca Paolo Orsini insistette per il rilascio del Folco e addirittura dichiarò che il suon nome era stato ingiustamente infangato e lo riprese quindi alle sue dipendenze.
La moglie Isabella de’ Medici non si fidava del Folco e non si preoccupò di nascondere le sue idee in una delle lettere, inviate al marito, in merito ad alcuni oggetti importanti che il fattore avrebbe dovuto acquisire per suo conto:
“oggi cosa potrei, ma il vedermi da voi continuamente sarebbe cosa per il mio stomaco di troppa mala digestione però vi dicho che io non sono avezza a essere burlata et  che mi sia mostra  il biancho per il nero et son avezza a trattar con gente che sempre mi mostrano le cose chiare e non con mille bugie et strattagemmi come fate professione mostrarmi o farmi ad interder voi. Ho visto quanto scrivete a Gianozzo (Cepparello, il curatore Patrimoniale di Isabella) della provisione di Napoli a che vi dicho che mi rimettiate subito i denari et non mi diate più parole….. et non vi imaginate che io mi contenta con pocha di paroline et non essendo questa mia per altro, mi vi raccomando mandare mi
subito la copia del contratto delle poste et scrivermi dov’è il mio gioiello”.
 
Folco era stato nominato dallo zio dell’Orsini, il cardinale  Guido Ascanio Sforza, fratello della madre Francesca Sforza. La famiglia Medici aveva dei sospetti sul cardinale ritenendolo capace di essersi appropriato di ingenti risorse economiche del nipote. Grazie a queste sottrazioni, che potremo definire “indebite”, il cardinale si permise di assumere l’architetto Michelangelo per la costruzione della cappella in Santa Maria Maggiore. Quando il cardinale morì, Isabella scrisse al marito con molta franchezza:
Non dicho altro ma solo vi voglio dire le sue peccati non meritavano minor punitione. Li commenti sono infiniti….ma sopra ciò non dichi altro….. perché adesso il sonno mi assassina.
 
Isabella sapeva che il padre, a cui era molto legata, l’avrebbe aiutata coprendo i debiti. Nel febbraio e nell’aprile del 1567, Cosimo I cedette un totale di 4000 scudi da corrispondere alli creditori della S.ra Isabella de’ Medici, figliuola di Sua Ecc.III”.
Nella lista i creditori erano:
Marcho Giachini la cui doveva un totale di 70 scudi
Costanzo Gavezzeni e compagni, velettai, scudi 200 di moneta;
Giovambattista Bernardi e compagni, battilori (battere l’oro), sc. 200 di m.ta;
Maestro Vicenzo di Maestro Carlo tiraloro (lavorazione dell’oro), sc. 100 di m.ta
 
Gli ultimi due erano artigiani nella lavorazione dell’oro per creare fili da tessitura.
La lista prosegue con:
Agnolo Alessandro e compagni linaiuoli, sc. 100 di m.ta
Bartolomeo da Filichaia e compagni, setaiuoli, sc. 100 di m.ta
Seguono altri sei mercanti di sete….
Saldo del Cegia, vaiaio (pellicciaio) sc. 25;
maestro Berto Cino, pianellaio
Francesco Gaburri e compagni, rigattiere, 220 sc.
Nel Rinascimento il mercato di seconda mano  (Francesco Gaburri) nel settore dell’abbigliamento e dei tessuti preziosi era molto fiorente e non era considerato disonorevole perché un capo o abito poteva acquistare valore in base al prestigio della sua provenienza.
Isabella riceveva dal padre una rendita personale  e mensile che era spesso esaurita prima della scadenza. Era sempre molto eccitata dalla notizia  che il padre stesse per anticiparle ben 4000 scudi e confidava al marito Paolo
Mi pago li debiti et poi starò come una regina.
Malgrado la certezza che il padre l’avrebbe sempre aiutata intervenendo in suo soccorso, Isabella non rimaneva indifferente quando temeva che le sue finanze sfuggissero al controllo
Viene costà M. Gian Battista Capponi con i libri così da esaminarli personalmente.
La casa va in ruina grandissima
scriveva a Paolo nel luglio del 1566.
Non risulta invece che l’Orsini abbia mai consultato un libro contabile per tentare una stima del suo dissesto finanziario perché era più propenso a valutare quale somma di denaro la moglie Isabella potesse prestargli. Quando la moglie gli comunicò che era in arrivo la somma di 4000 scudi da parte di suo padre,  Paolo gli chiese
Se fosse possibile averne 500.
Isabella si vide quindi costretta a rivedere i suoi atteggiamenti
Sono promessi a mercanti tutti eccetto trecento scudi
fu la sua pronta e sincera risposta.
Per avere delle somme di denaro, Paolo impegnava i suoi oggetti. Si rivolgeva ad usurai come  Daniello Barocco “hebreo”, dal quale ottenne 116 scudi per tre candelieri d’argento o Gian Battista Cossetti dal quale ebbe 215 scudi per una serie di piatti e fiaschette in argento.
Impegnava anche tessuti, alcuni arazzi in seta da cui ricevette 82 scudi.
Finirono al Monte di Pietà vari oggetti tra cui un tappeto orientale; una tazza decorata e uno scaldaletto in argento.
Impegnare gli oggetti era una necessità molto frequente nella nobiltà ma in genere  era preferibile che le transazioni si svolgessero lontano dalle città d’origine o di residenza in modo da evitare il disonore.
A  diciannove anni, Isabella aveva condotto trattative a Venezia per impegnare alcuni suoi oggetti mentre Paolo preferiva contrattare a Firenze invece che a Roma, dove risiedeva.
Isabella si rivolgeva spesso al Monte di Pietà di Firenze perché l’istituzione era diventata di dominio de’ Medici e gestita da funzionari del duca.

Monte di Pietà della Città di Firenze (Fam. Dé Medici) 29/02/1645 – Pergamena


Palazzo dei Capitani di Parte Guelfa
poi diventato Monte di Pietà

La principessa offriva in garanzia gioielli per somme che arrivavano a 2000 scudi, ma essendo il monte gestito dai Medici poteva riaverli indietro più rapidamente.
Il padre Cosimo I, da buon affarista, aveva saputo sfruttare il banco dei pegni per proteggere i poveri dagli “ebrei” a beneficio della propria famiglia, offrendo prestiti a interessi contenuti come riportò la stessa Isabella:
S.E. Ill.ma  si piacerà promettere et pagare irrevocabilmente alla
Mag. Uffizia  li proveditore et ministri del Monte di Pietà di Firenze
12 mila ducati di moneta e quei più che monteranno le interessi delli detti
12000 in 3 anni a ragione di cinque per cento per l’anno dello assegnamento
datoli il Sig. Dica nostro

E’ anche vero che ricorreva ai prestiti su pegno solo in caso di strema necessità mentre Paolo era invece solito vendere lotti di terreno delle sue proprietà per soddisfare le richieste dei suoi creditori. Una condotta da parte dell’Orsini che metteva Cosimo I a disagio.
Cosimo I de’ Medici aveva favorito il matrimonio della figlia Isabella con l’Orsini per proteggere i confini meridionali del suo Granducato ma se il patrimonio del genero finiva in mano d’altri, il matrimonio stesso diventava inutile.
Per cui ancora un volta il de’ Medici decise di concedere un prestito all’Orsini costituito da una forte soma di denaro prelevato da una parte dell’eredità della moglie Eleonora di Toledo.

Il Sig. Paulo Jordan me ha ditto che S.E. gli presta 100mila scudi
per pagare li suoi debiti, dandoli  però diritti delle sue entrate
di restituirli in 5 anni
comunicò Ridolfo Conegrano ad Alfonso d’Este nel febbraio del 1563.
L’Orsini aveva esagerato dato che si trattava di un prestito di 30mila scudi e Cosimo I  si assicurò in pegno ben di più delle rendite delle proprietà.
Un anno dopo ricomprò due feudi degli Orsini, Isola e Baccano, dai Cavalcanti, mercanti fiorentini a cui l’Orsini aveva venduto i feudi per  pagare i debiti. Le terre furono in seguito trasformate giuridicamente in donazione irreversibile a favore di Isabella garantendole una rendita dalla precaria fonte maritale.
Anche questi 30.000 scudi non furono sufficienti  perché tre anni dopo Paolo  dichiarò di dover vendere delle fattorie.
Il 17 gennaio 1566 il cardinale Antonio Michele Ghislieri fu eletto papa prendendo il nome di Pio V.
Per Paolo Orsini s’apriva la nomina di governatore generale della Chiesa cattolica.
Alla notizia Isabella scriveva al marito felice  per la carica assunta e aggiungeva:
…Dio faccia che si perserveri perché voglia bene alla moglie et
che non desideri le donne d’altri che qui consiste ogni cose per pe,
et essendo la più felice donna al mondo perché (osserverè) queste due cose.
Ma lassiamo le burle ancora che a me non sono burle.
Io ho grandissimo contento delle favori di N.S. (Pio V)
 
Paolo nella lettera aveva comunicato la sua nomina a governatore della chiesa ed esponeva un problema che si presentava difficile da risolvere .
Sarebbe stato opportuno che Isabella andasse “a stare meco (a Roma)
Paolo aveva infatti bisogno del decoro che gli conferiva una moglie presente, come comunicò a Cosimo I
Scrissi (a V.E.) il desiderio haver di far venir mia moglie a Roma,
hora di nuovo supplico V. Ecc. a degnarsi a farmi tale favore acciò più
che possi servir N.S. (Pio V il quale ogni giorno mi fa
1000 favori et perciò desidero continuare tal servizio che credo si
Sia il consenso di V. Ecc.tia”
 
La situazione precipitò. Isabella non aveva alcuna intenzione di andare a Roma e lo stesso Paolo si giocò l’incarico tanto ambito ancora prima di entrare in servizio.
Il motivo della perdita della possibile nomina a Governatore della Chiesa cattolica ?
L’Orsini, da sempre, era stato attratto da tutto ciò che era lusso, fasto, lo dimostrano i debiti sempre ingenti, e aveva mostrato le insegne di governatore ancora prima della sua nomina. Lo stendardo adorno delle chiavi di San Pietro, simbolo del papa, al cospetto dell’ambasciatore francese ancora prima che Pio V avesse dato l’annuncio ufficiale della sua nomina.
Una grave infrazione di protocollo che sconcertò il Vaticano e lo stesso Pio V rimase incredulo nel percepire l’incapacità dell’Orsini di mantenere una condotta adeguata.
Il papa fu costretto a ritirare la nomina…
C’è da dire che analoghe  irregolarità in passato erano state ignorate senza gravi conseguenze. È probabile che Cosimo I abbia esercita una certa influenza sul papa per revocare la sua nomina. A questo punto non era più necessario il trasferimento a Roma di Isabella. Trasferimento che difficilmente si sarebbe realizzato anche nel caso della nomina dell’Orsini a Governatore.
Lo stesso Cosimo I era indispettito dal fatto che l’Orsini abbia cercato di fare colpo proprio sull’ambasciatore francese.  Il granduca   spesso si lasciava andare a gesti amichevoli nei confronti della Francia e a volte creava delle discordie tra i Valois e
gli Asburgo. Il suo obiettivo era quello di non farsi considerare una facile pedina dell’imperatore Asburgico sullo scacchiere europeo. Cosimo I aveva invece tracciato per l’Orsini la strada politica di fedeltà per l’impero. 
Una  strada non accettata dall’Orsini che non sopportava le imposizioni del suocero e alla base c’era anche un fatto culturale perché gli Orsini erano sempre stati sostenitori della Francia.
Francia che sperava di riportare l’Orsini dalla propria parte con approcci piuttosto lusinghieri.
Per Franceso II di Valois, il duca di Bracciano portava con sé la lealtà di altri membri del suo vasto casato, tutti potenziali soldati. Erano in corso le guerre di religione che causarono continui scontri tra la corona e gli ugonotti per non parlare delle crescenti ostilità con gli Asburgo ed era quindi importante aggiudicarsi gli uomini della famiglia Orsini.
Paolo era entusiasta della prospettiva di prendere le armi a favore della Francia ma nello stesso tempo era scontento per l’assenza di lucrosi incarichi operativi da parte della Spagna. Una Spagna comprensibilmente riluttante a concederli incarichi o posizioni che richiedevano grandi abilità d’amministrazione e strategie. Era opinione diffusa la sua incapacità di dirigere con una buona amministrazione i propri vasti feudi.
Scrisse quindi ad Isabella dicendogli di aver perduto l’incarico di governatore generale a causa delle calunnie dell’ambasciatore spagnolo e che si era messo a disposizione della Spagna solo in virtù della
Dependenza e parentato che io ho con il Duca mio signore.
Accennò anche alla grande soddisfazione di aver ricevuto a Roma l’ambasciatore francese che era disposto a formulargli una proposta concreta.
Isabella era anche una grande diplomatica dotata di una grande intuizione della realtà. Il padre la voleva sempre al suo fianco anche nelle vicende politiche e  gli comunicò quello che stava accadendo. Insieme decisero che il marito ribelle doveva essere trattato con una certa diplomazia, poiché il suo orgoglio era stato già duramente colpito dalla revoca dell’incarico pontificio. Cosimo decise di non intervenire e fu Isabella a dare una risposta al marito e nello stesso tono che il padre usava nei confronti dei sudditi rivoltosi:

A me pare cosa meglio strana che voi vogliate lassar il certo
per l’incerto et vogliate mostrar al mondo d’aver il cervello vollubile
come parrebbe se tal cosa facessi… ma voglio far conto che
l’ambasciatore (francese) venga con questa commessione, che
non lo credo, perché se così fusse il re vi avrebbe scritto una
lettera et non mandatovelo a dir a boccha semplicemente,
ma come ho detto, voglio presupporre che l’abbia l’imbasciatore tal
commissione, vi prego a pigliar esemplo dagli altri che hanno
servito Francia, che mai hanno avuto cosa di quelle che sono state
promosse loro, et so che per condurvi a tal cosa, vi
prometteranno mari et monti, et al osservarlo non sarà nulla.
Voi potere star con il Re Filippo senza obbligo nissumo
et volete suggettarvi a uno che ha più bisogno di voi;
il Re Filippo in tempo de pace vi dà di più che a nessun
altro cavaliere italiano et credo se vorrete attender, che
vi darà anchora…. Fate carezze a ognuno et fate differentia
da quelli che vi sono amici a quelli che vi sono finti
 
Isabella, riconoscendo in cuor suo di aver usato parole forti, mitigò il suo pensiero e concluse che, in fin dei conti, erano decisioni che solo il marito poteva prendere
Se voi sarete franzese et io franzese et se voi imperial,
et io imperial, et di questo statene sicuro… ma essendo voi
più savio de me lasserò fare a voi
Un Isabella nella veste di moglie remissiva anche sembra solo retorica. L’Orsini capì la lettera… i de’ Medici volevano che rimanesse fedele alla Spagna.
Isabella aveva avuto l’incarico di “manipolare” Paolo o comunque di riportarlo nella giusta ”via”.
Il rapporto coniugale s’era arricchito di gravi tensioni. In Paolo un solo pensiero: “la moglie apparteneva al padre e non a lui”.
La pretesa che lo seguisse a Roma non era affetto coniugale ma solo una dimostrazione di affermazione del proprio onore, orgoglio e virilità.
Isabella raramente seguì il marito a Roma e una sua permanenza nel castello di Bracciano (degli Orsini) fu  definito “terribile dicembre”.
Altri avvenimenti o comportamenti sarebbero alla base di una possibile crisi del rapporto coniugale.
La visita del Cardinale Farnese a Firenze..
Il cardinale Farnese è arrivato qui… Dio faccia…. satisfar allogia in
palazzo del principe e di Francesco.. et mio fratello non lo lassa mai
Il cardinale Farnese era cugino di Paolo  e suo nemico personale….
Nelle lettere tra Isabella e Paolo spesso si riscontra un fraseggio da coppia innamorata mentre il conflitto traspare da altri particolari.
Isabella dimostrava un evidente disinteresse per il nome degli Orsini perché si firmava
“Isabella Medici Orsini” e raramente aggiungeva il termine “duchessa di Bracciano”. Tutti la chiamavano semplicemente Signora Isabella”.
La sua immagine pubblica, l’influenza che esercitava e la posizione che ricopriva, dipendevano esclusivamente dal fatto che era una Medici per nascita.
Quando parlava del “duca mio signore” si riferiva sempre al padre.
L’unico motivo d’orgoglio per Paolo era il legame con un nobile casato quale i Medici.
Eppure nel passato il casato Orsini aveva esercitato un certo fascino sui de’ Medici.
Un Clarice Orsini si posò con una trisavola di Isabella senza ricevere alcuna dote. Allora I Medici erano dei mercanti.
A Paolo va il merito di aver istituito l’archivio di famiglia Medici e adesso per cercare di riportare “lustro” al suo casato, commissionò allo storico veneziano Francesco Sansovino “L’historia di casa Orsina”.


L’autore  fu compensato con la rendita dell’affitto di un macello e della relativa bottega di macellaio a Cerveteri, nei territori degli Orsini.
Nel libro pubblicato nel 1565, l’autore evidenziò le antichi origini della famiglia Orsini. Lodò le coraggiose gesta dei guerrieri Orsini e concluse  con un panegirico del committente. L’autore aveva a disposizione poco materiale, perché le imprese militari degne di nota del duca Orsini erano piuttosto scarse, e quindi lodò la ”bella, grande e ben formata statura, e il volto come si vede, fra il piacevole e il grave, e l’aspetto benigno e dimostrativo delle doti eccellenti del suo cuor generoso”.
Cosimo I ed Isabella restarono forse sorpresi leggendo le motivazioni addottate per la scelta di Paolo come genero del duca Medici:
Ma questo sia il colmo di tutte le lodi, che gli possono dare,
che havendosi guadagnato tre supremi titoli d’eccellenza, cioè di
bell’animo, di saldo giudizio, e di invitto valore…..
il signor Cosimo de’ Medici Duca di Firenze, stimato per consenso
comune di tutti i popoli, il più prudente e il più fortunato Principe,
che habbia hoggi il mondo, conoscendo con esquisito giuditio
l’occulte virtù di questo Signore…. se lo fece genero, dandoli la
Signora Isabella per moglie, donna di bontà, di cortesia, e di valore
Incomparabile, e non punto  dissimile al suo eccellente consorte.
 
Un libro pieno di falsità, sul motivo per cui l’Orsini s’imparentò con i Medici, che aveva lo scopo di fare colpo su Isabella. L’obiettivo non fu raggiunto e causò, all’indomani della pubblicazione del libro, un forte diverbio tra i coniugi.
Durante il litigio Paolo disse ad Isabella:
Infine io sono da più di Vostra Eccellenza
alludendo all’origine antichissima della propria baronale casata.
Isabella rispose subito al marito
I Medici per grandezza, magnificenza e senno sono i primi principi d’Italia,
dopo sua Santità, e voi infine non siete un feudatario di Santa Chiesa”.
Paolo non reagì verbalmente alla forte provocazione di Isabella che alludeva alla maniera con cui aveva acquisito il suo ducato e rispose con uno schiaffo che colpì la donna.  Nel processo di Camilla La Magra. la prostituta rilevò che l’Orsini l’aveva presa a spintoni. Non era quindi la prima volta che il duca alzava le mani ad una donna.
 
 Isabella s’allontanò dal marito a causa anche della violenza subita. Nel febbraio del 1565 scrisse da Pisa, dove si era ritirata, al marito Paolo che si trovava a Firenze
Sono stata per fine adesso a rispondervi perché ero et con ragione
nella medesima opinione de prima cioè di dire tutte le ingiurie da
voi ricevute al duca mio signor… ma…. mi sono adesso risoluta
per meglio nostro a non ne parlar con persona di questa cosa poiché…
è di tanto pergiuditio. Ma acciò che voi tanto maggiormente
conosciate lo error vostro ch’è grandissimo…. esser mio
marito…. comporta  l’onor mia et vostro, io sono contenta
al perdonarvi et se non fatevi intender che con voi
piglierò qualche rimedio”
Isabella non specificò le ingiurie di Paolo ma probabilmente erano sia verbali che fisiche. Un gesto violento contro la sua persona era un’offesa gravissima e nessuno poteva prendere a schiaffi una principessa Medici. Eppure dimostrò un grande amore perché volle tenere in sé quella violenza subita e non riportarla in una lettera che poteva essere letta dai suoi familiari o da estranei.
Isabella non poteva rispondere al marito con  la stessa moneta, non era nel suo carattere.
 
La principessa nutriva un grande interesse per i  quartieri posti sull’altra sponda dell’Arno dove aveva deciso di stabilirsi. C’era Villa Baroncelli e voleva acquisirla ma  la richiesta richiedeva l’appoggio del fratello Francesco che era rientrato dalla Spagna nell’autunno del 1563. Era stato per tanto tempo in Spagna e la sua personalità non aveva avuto giovamento dal soggiorno all’estero.  Francesco I che sotto la guida del padre Cosimo I fu  avviato al governo degli stati.
 Nel gennaio del 1565 Isabella avanzò al padre una speciale richiesta  che fu girata al fratello Francesco
Perché io ho da molti anni desiderato una villa appresso Fiorenza con
questa occasione ho voluto suplichar V. Ecc.  che toccandoli in la sua  parte
Baroncelli, me ne voglia fare gratia, et oltre alla comodità che sentirò della
villa riceverò ancora per singularissimo favore il presente che verrà dalle
Mani di V. Ecc.
La Villa Baroncelli, nota anche come Poggio Imperiale, è situata sul Colle di Arcetri nei pressi di Porta Romana ed era circondata da un terreno confinante con Palazzo Pitti.

Villa Baroncelli



Nel XV secolo il mercante Jacopo Baroncelli l’aveva costruita   dandole un’architettura semplice a pianta rettangolare  con una sequenza di stanze che furono concepite attorno ad una corte. Nel 1487 la famiglia finì in bancarotta e fu costretta a vendere la proprietà ad un creditore, Agnolo Pandolfini. Il Pandolfini la vendette nel 1548 al banchiere Pietro Salviati che investì una somma notevole ristrutturandola e soprattutto arricchendola di splendidi e pregiati arredi.
 Tra i più noti si ricorda una grande tavola di Andrea del Sarto, attivo a Firenze nel 1529, raffigurante “L’Assunzione della Vergine”. Un immagine di grande bellezza per i toni delicatissimi e lo sfumato leonardesco, caratterizzato da pennellature evanescenti, privi di contorni precisi. Diventò la pala d’altare della cappella adiacente alla vila ed oggi conservata  nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti.

Assunzione della Vergine
(Artista: Andrea d’Angolo di Francesco Luca
Derto: Andrea del Sarto.
(Rep. di Firenze, 16 luglio 1486 – Rep. Di Firenze, 29 settembre 1530
Dato che suo padre era un sarto diventò noto come “del Sarto” cioè
“figlio del Sarto”.
Pittura: olio su tavola – Datazione: 1522/1523
Misure: (239 x 209) cm
Collocazione: Palazzo Pitti – Firenze

Ingresso Cappella – Villa Baroncelli



Firenze – Poggio Imperiale – Educandato (1823)
Un secolo e mezzo dedicato alla formazione delle Donne d’Europa

Alla morte del banchiere Salviati, Cosimo I confiscò la villa, con  tutto ciò che conteneva, e tutte le sue proprietà sfruttando una legge che lo stesso Granduca aveva  promulgato che gli permetteva di confiscare i beni ai ribelli.
Pietro Salviati era in apparenza un suddito fedele, ma il figlio Alessandro, avuto dal matrimonio con Cassandra Salviati (?), era un convinto ribelle antimediceo. L’Alessandro nel 1554 si era unito alle truppe di Pietro Strozzi a Siena per combattere contro i fiorentini. Dopo la sconfitta fu catturato e Cosimo I, che era un Salviati per parte di madre (era figlio di Giovanni de’ Medici, detto delle Bande Nere, e di Maria Salviati), gli concesse la possibilità di pentirsi. Alessandro Salviati rifiutò e Cosimo I lo fece giustiziare nel 1555. Cosimo I dovette attendere dieci anni ed alla morte di Pietro Salviati si vendicò sul resto della famiglia confiscandogli tutte le proprietà da cui ebbe un grandissimo profitto.

Giovanni de Medici (delle Bande Nere) e Maria Salviati,
genitori di Cosimo I 

Artista: Giovanni Battista Naldini
(Firenze, 3 maggio 1535; Firenze, 18 febbraio 1591)
Dipinto: olio su tavola – Datazione: 1585
Misure (140 x 115) cm
Collocazione: Galleria degli Uffizi – Firenze

Maria Salviati, madre di Cosimo I de’ Medici, e nonna di Isabella
(Arista:  Jacopo Carucci, conosciuto come
Jacopo da Pontormo o semplicemente Pontormo
(Pontorme, 24 maggio 1494 – Firenze, 1 gennaio 1557)
Dipinto: Olio su tavola – Datazione: 1543/1545 circa
Misure (87 x 71) cm
Collocazione: Uffizi – Firenze
 
Di Maria Salviati esistono due dipinti, entrambi del Pantormo.
Uno è quello posto nella galleria degli Uffizi di Firenze dove la donna è
ritratta in tarda età e l’altro si trova nel Museo di Baltimora.
In quest’ultimo la donna è raffigurata accanto ad un bambino/a.
Alcuni critici affermano che il bambino fosse Cosimo I de’ Medici nato dal matrimonio con Giovanni delle Bande Nere e unico figlio. Altri invece sostengono che fosse una bambina ed esattamente Giulia de’ Medici, figlia naturale del Duca Alessandro de’ Medici (a cui successe  Cosimo I) e nata nel 1535.
In entrambi i dipinti Maria Salviati fu raffigurata con un abito nero vedovile, dato
che suo marito era morto per la gangrena di ferite riportate in battaglia
.

Maria Salviati ritratta con ka nipote Bianca
(Artista: Pontormo, vedi sopra
Dipinto: Olio su tavola – Datazione: 1539 circa
Misure: (8,8 x 7,13) cm
Collezione: Museo d’arte Walters – Baltimora (USA)
Acquisizione del dipinto ?
………

Cosimo I aveva assegnato al figlio Francesco I alcuni compiti tra cui quello di distribuire le terre che erano state espropriate alla famiglia Salviati per ricavare un beneficio non solo economico ma anche politico. Villa Baroncelli era la proprietà più prestigiosa dei Salviati e come Palazzo Pitti dei Medici era circondata da vasti terreni. Un vero paradiso posto ad appena un chilometro dal centro di Firenze.  Anche l’arredamento, altrettanto prestigioso, e il quadro di Andrea del Sarto, finirono ai Medici.
Erano in molti ad ambire alla villa e naturalmente Isabella aveva la forte intenzione di non lasciarsela sfuggire.
Francesco I era però con altre intenzioni….. il rapporto tra Isabella e il fratello Francesco non era molto buono. Probabilmente nel fratello c’erano delle invidie legate al bellissimo rapporto che la sorella aveva con il padre Cosimo I.
 Francesco, dopo la richiesta di Isabella di avere la disponibilità di Villa Baroncelli, le scrisse:
al desiderio di V.S. Ill.ma circa della villa di Baroncelli non posso io
corrispondere, perché non sendo liquidato le cose attinenti a quella
confiscatione, non m’è lecito il deliberarne, né ella deve dubitare in
ogni caso che le manchino ville, potendo usare le nostre come proprie sue
Una risposta da alto funzionario del demanio che lascia intravedere  una mancanza  d’affetto da parte di Francesco verso la sorella che viene tratta con un certo distacco.
Per Isabella c’era una sola possibilità ed era quella di rivolgersi al padre.
Cosimo I aveva incaricato Francesco I della confisca del patrimonio  dei Salviati ma era anche vero che l’ultima parola spettava sempre al padre Cosimo I a cui i desideri della figlia erano prioritari rispetto all’autorità conferita al figlio.
Diede quindi ordine al figlio Francesco di cedere la villa ad Isabella.
Per Francesco fu uno smacco terribile. la sua ira non aveva confini…… sua sorella l’aveva spuntata ed ora possedeva qualcosa che lui non aveva e cioè una villa, che potremo definire reale, che non avrebbe voluto dividere con nessuno.
La villa Baroncelli di Poggio Imperiale diventò quindi la Villa di Isabella che lei chiamava  
….la mia villa  … scrivendo al marito.
Subito lasciò libero sfogo ai suoi sentimenti  con interventi nella proprietà. Fece adornare le pareti con centinaia di “palle” medicee in modo da identificare facilmente la villa con il nobile nome della sua famiglia.

Poggio Imperiale (Villa Baroncelli)  in una veduta del 1700

Poi altri interventi che furono descritti da un contemporaneo
Quando fu benignamente donata la villa di Baroncelli alla sua
Casa di Serenissimi Gran Duchi,  non erano né il Palazzo né la
villa di quella bellezza, grandezza e magnificenza che sono
hoggi, perché il palazzo fu abbelito e accresciuto dalla Sig.
 Isabella, come ancora si vede delli invenzioni del suo nome in
più parti…. Ancora fatta di piante e stanze e mura dei i Giardini et
la villa ancora abbelita et migliorata con fontane, in giardini
in commodità alle case dei lavoranti, di frantoio de olio….
tutti questi sono migliorate di decine di migliaia di scudi.
 
Sui terreni coltivati, al di là dei giardini, c’era una vigna, alberi da frutto, ulivi ed una voliera. Isabella acquisì anche delle proprietà vicine, come le terre che appartenevano al pittore di corte Santi di Tito.
Grazie a questi acquisti, potè costruire una strada alternativa che permetteva di raggiungere Firenze passando dietro la chiesa di San Felice e garantendo, in questo modo, un accesso più facile alla proprietà.



Trasformò i giardini in un mondo fantastico popolato di divinità. Tra le sculture che impreziosivano il giardino c’era una statua di marmo di Dovizia, dea dell’abbondanza e simbolo molto caro alla città di Firenze, e grandi teste e vasche di marmo. Fece giungere da Roma due lastre di granito, in realtà un lungo pezzo di marmo di provenienza sepolcrale appartenente ad un antico sarcofago romano, e una testa di donna anch’essa molto antica.
Dallo scultore Vincenzo de’ Rossi, al servizio della famiglia, Isabella acquistò due sculture di gran pregio. Due grandi nudi maschili dai quali si nota l’indipendenza della padrona di casa alla cultura del tempo. Le donne della nobiltà non commissionavano sculture e le opere d’arte che acquistavano erano sempre legate a motivi religiosi o naturalistici e mai erotici.
In qualunque altro contesto sarebbe stato impossibile per una donna ordinare delle opere così erotiche come quelle del de’ Rossi.



Si trattava di un “Bacco con Satiro”, oggi conservata nel Giardino di Boboli, che  dà un’idea dell’aria magica che si respirava nel giardino
Bacco presenta un grappolo d’uva intrecciato nei riccioli dei capelli. È in piedi con le possenti gambe saldamente ancorate al piedistallo e con torso muscoloso lievemente avvitato. Il suo sguardo è proiettato in avanti come a guardare lontano. Un piccolo satiro si trova, quasi nascosto, tra le sue gambe. In origine questa statua era posizionata sul colle dove sorge la Villa. Bacco, allegoricamente, doveva guardare le vaste terre che si estendevano ai suoi pedi. Isabella volle creare, con la sua grande sensibilità, un legame tra l’ambiente circostanze e la scultura di pietra grigia riuscendo a dare a Bacco e al piccolo satiro, la sensazione di essere davanti a delle creature viventi.


La seconda scultura acquistata dal de Rossi fu un “Adone morente”.
“Il dio giace prono, lo splendido viso torturato dal dolore, mentre il cinghiale, inviato dall’adirata Diana per ucciderlo, dopo averlo ferito a morte, giace ai suoi piedi”.
Perché Isabella scelse questo soggetto ?
Probabilmente per dimostrare la sua erudizione dato che nell’antichità molte fanciulle erano dedite al culto di Adone.
Forse la motivazione va ricercata nelle vicende familiari della giovane donna.
Il fratello Giovanni, a cui era particolarmente affezionata, fu in  modo prematuro strappato alla vita da un destino crudele.
“Isabella poteva identificarsi con Venere, amante di Aidone, e fare propria la disperazione della dea. Una disperazione descritta da Ovidio nelle metamorfosi, che Isabella conosceva dato che aveva un’ottima formazione classica.
E come dall’alto intravide il corpo che in fin di vita si torceva nel suo
stesso sangue, si precipitò giù, strappandosi veste e capelli, percotendosi il petto
con le mani, come non le era costume.
Lamentandosi poi col fato disse
“No, non potrà la tua legge disporre d’ogni cosa.
Imperituro rimarrà il ricordo, Adone, del mio lutto”

Una statua che fu  prima attribuita, per la sua bellezza, a Michelangelo


Isabella commissionò al de Rossi un’altra statua per il suo giardino: “una Venere in marmo maggior del vero”, anch’essa nuda e con lo sguardo rivolto verso il basso diretto all’Adone morente.

Venere del De Rossi ?

Ercole che sorregge il Mondo
Opera di Vincenzo de Rossi e posta all’ingresso della villa

La statua di Adone ricordava quindi ad Isabella la triste fine del fratello Giovanni. I  due amavano soggiornare insieme nelle varie residenze di campagna e avevano forse progettato in futuro di condividere una proprietà.
L’avrebbero abbellita con gli oggetti antiche che entrambi, allora adolescenti, avevano cominciato a collezionare con grande passione.
 Nella villa Isabella creò il proprio mondo autonomo, a sua immagine, e adorava il clima mite che l’ambiente le offriva “il luogo più fresco nell’estate”.
Era giovane, appena ventenne, bella e senza figli, circostanze che avrebbero gettato ogni altra donna del rinascimento nella vergogna e nella disperazione.

Isabella di Cosimo de' Medici  a 16 anni
Alessandro Allori (1535-1607)-
 (Firenze, 31 maggio 1535 – Firenze, 22 settembre 1607)
Pittura: Olio su pannello ?:– Datazione: 1560
Misure (88 x 71) cm – Collezione: Privata - Inghilterra

L’assenza di figli per lei non era un problema ma un modo di consolidare la libertà che il padre le aveva concesso.
Pur avendo un ruolo importante nelle azioni politiche del padre, godeva della sua libertà e dei suoi divertimenti che erano una parte importante del suo vivere
Cerchiamo spassi o facciamo l’arte di Michelaccio
cioè l’arte dell’ozio.
È anche vero che non era indolente dato che le sue richieste erano sempre esaudite.
Vezzeggiata dal padre ?
 No… perché furono l’indole e l’intelligenza di Isabella a conquistare l’ammirazione del padre Cosimo I e questo sin da bambina favorendo in questo modo il soddisfacimento, l’esaudimento di ogni sua richiesta.
La principessa usò la sua villa per la creazione di una nuova fase di vita.
Le sue qualità legate: al potere politico che le era riconosciuto in città e non solo; alla sua influenza e all’intelligenza; all’amore per il sapere , la cultura e la vita sociale; raggiunsero alti livelli d’espressione.  Una vita che se da un lato dava grandi soddisfazioni, dall’altro aveva anche qualche rischio.

Villa Baromcelli


Isabella non cercava mai di associare la sua immagine a manifestazioni di carattere artistico religioso dato che i suoi interessi erano profani.
Aveva una grande interesse per la musica che le permetteva di esibire ruoli diversi come  autrice, esecutrice, ecc.
La musica era intesa sia come intrattenimento sia anche come accompagnamento ad altre forme artistiche.
“Isabella e i suoi contemporanei sapevano cogliere nella musica tutta una serie di sfumature, messaggi verbali o musicali che sono difficili da codificare.
Numerose allusioni di carattere sessuale, versi in apparenza  casti ma in realtà  colmi di erotismo che trasformavano l’ascolto in un’ esperienza di seduzione.
Nel mondo di Isabella, la musica di qualità non era di facile accesso e questo benchè a Firenze fossero molto attivi i “cantambanchi” agli angoli delle strade.
Ascoltare delle voci insegnate al canto ed accompagnate da strumenti musicali raffinati come quelli in possesso di Isabella era  un esperienza diversa.
Era un privilegio ascoltare “belle musiche” a casa di Isabella, in un ambiente che, con la sua architettura e arredamento, donava alle canzoni un’area sublime”.


Isabella cercava i migliori musicisti e nel seguito romano del marito Paolo Giordano c’era un cantante napoletano che era richiesto spesso da lei a corte
mi farà favore grandissimo mandarmi il Napolicello che canta
perché ci manca una parte.
 La sua  passione per la musica la portò a commissionare un quadro all’Allori intorno al 1565 dal titolo “Isabella con musica”.



È raffigurata in una posa simile a quella che la ritrae all’età di sedici anni e con abiti quasi simili.
Appare ora più magra, con lo stesso sorriso e con l’espressione del volto da persona più matura.
Un Isabella molto cambiata rispetto a quando aveva sedici anni
Non sono più una putta (bambina) et… quello non conoscho nella età
adesso lo conoscerò
con una mano stringe ancora la catena che lega lo zibellino, un talismano di fertilità e con l’altra regge la pagina di uno spartito.
Era una musicista oltre che poetessa. Una breve composizione  è riuscita a sopravvivere al tempo inesorabile che tende a cancellare tutto…
Lieta vivo et contenta
Dapoi che ‘l mio bel sole
Mi mostra chiari raggi come suole,
Ma così mi tormenta
S’io lo veggio sparire
Più tosto vorrei sempre morire
 
La presenza dello spartito nella mano di Isabella è davvero singolare e fa riflettere.
Le nobildonne generalmente venivano ritratte con un cagnolino, con un bambino o con un classico libro di preghiere.
La cortigiana invece era spesso raffigurata con uno strumento musicale o spartito che alludevano ai molteplici talenti nell’arte della seduzione. Isabella non si preoccupava di questo aspetto e riusciva quindi ad esaltare non solo la sua posizione sociale ma anche il suo amore verso la musica importante elemento di stimolo nella sua vita.
Nel suo salotto una musica madrigale (testo poetico e musica, con almeno tre diverse voci)  rivolta al romanticismo ed anche alla sensualità.
Una “bella musica” come la definì Ridolfo Conegrano, abituale frequentatore della villa Baroncelli.
L’influenza di Isabella nel campo della musica fu notevole tanto da varcare i confini di Firenze.
Maddalena Casulana, la prima compositrice  e cantante donna, cercò e ottenne la sua protezione,
 
…………………

Maddalena Casulana (1544 – 1590)? Fu una compositrice, liutista e
cantante italiana. è considerata la prima donna compositrice  ad
aver pubblicato nella storia della musica occidentale. Non si sa dove nacque perché alcuni storici la citano come originaria di Casole d’Elsa (Siena)  altri  nata a Vicenza.
Il suo primo lavoro è datato 1566, quattro madrigali in una collezione “Il Desiderio”
pubblicato a Firenze. Da questa collezione, un madrigale a 4 voci, dal titolo:
Morir non può il mio cuore
Morir non può il mio cuore:
ucciderlo vorrei, poi che vi piace.
Ma trar non si può fuore
del petto vostr’ove gran tempo giace.
Et uccidendol’io,
come desio,
so che morreste voi,
morend’anch’io.
Questo madrigale vuole mostrare al mondo l’errore vanitoso degli
uomini, i quali credono di essere i soli a possedere doti intellettuali
e ritengono impossibile che ne siano dotate anche le donne

Due anni dopo pubblicò a Venezia il suo primo vero libro di madrigali
per quartetto di  voci, “Il primo libro di madrigali”, che fu la prima
composizione musicale pubblicata da una donna. In quello stesso anno
Orlando di Lasso condusse un’opera della Casulana alla corte di
Alberto V di Baviera a Monaco, ma quella composizione non è stata trovata.
Nel 1579, 1583 e 1586 pubblicò, sempre a Venezia, altri libri
di raccolte di madrigali



In alcune delle sue opere Maddalena scrisse di quanto fosse difficile
essere una donna compositrice ai suoi tempi.

Concerto delle Donne
http://concerto-delle-donne.nl/maddalena-casulana-oeuvre/
 
https://www.youtube.com/watch?v=iDAnLolekKI&feature=emb_logo

 

……………………

Maddalena Casulana cantava da mezzosoprano accompagnandosi con il liuto. La sua vita da musicista itinerante dovette affascinare Isabella.
La musicista, allora ventottenne, dedicò ad Isabella il primo libro di madrigali, scritto per quattro voci, e dato alle stampe con una bellissima motivazione:
Conosco veramente Illustrissima et Eccellentissima Signora, che queste  mie
primitie, per la debolezza loro, non possono partorir quell’effeto,
ch’io vorrei, che sarebbe oltre il dar qualche testimonio
all’Eccellentia Vostra delle divotion mia, di mostrar anche al mondo
(per quanto mi fosse concesso in questa profession della Musica)
il vano error de gl’huomini, che de gli alti doni dell’intelletto tanto
si credono patroni, che par loro, ch’alle Donne non possono
medesimamente esser communi. Ma con tutto ciò non ho voluto
mancar di mandarle in luce, sperando che dal chiaro nome di
Vostra Eccellentia (a cui riverentemente le dedico) tanto di lume
debbano conseguire, che da quello possa accendersi qualche
altro più elevato ingegno.
Maddalena riconosceva che lei ed Isabella erano un’anomalia in quanto donne, compositrici ed esperte in una materia dominata da artisti e mecenati di sesso maschile. I madrigali raccolti nel libro hanno per protagonista Isabella,  in un modo sia velato che scoperto, ed erano eseguiti durante le riunioni, incontri e spettacoli nella sua villa.
La prima canzone del libro, che inaugurava una serata musicale nella villa Baroncelli,
era una “laude” dedicata ad Isabella, in cui si esaltano le sue doti.
Il titolo… “ Tant’alto s’erge”.. quattro voci intonavano:
Tant’alto s’erge la tua chiara luce
Donna, ch’agli occhi nostri
un nuovo sol ti mostri,
e così vaga splendi,
ch’a sublime tue lodi ogn’alma accendi;
ond’il gran nome d’Isabell’adorno
l’aria percuote alterament’intorno.
 
La canzoni che seguirono invitano l’ascoltatore in un mondo di passioni ardenti, amori imperituri e dolorosi, caratterizzati da complicati intrecci di relazione. In un’altra canzone le voci dichiaravano:
Morir non può il mio cuore,
ucciderlo vorrei,
voi che vi piace;
ma trar non si può fuore dal petto vostr’ove gran tempo giace
……………….
Sculpio ne l’alm’Amore  l’immagin vostr’e
con sì ardente face l’abbrugia ognor, che more
………………..
C’è da dire che l’erotismo legato alla musica era per certi versi lontano dalla corte di Isabella a differenza di città come Ferrara e Mantova.
È difficile pensare ad una donna nel rinascimento capace di organizzare spettacoli, come nel caso di Isabella, che sapeva mettere in scena ed interpretate dei brani in modo da inviare messaggi e formulare delle dichiarazioni sulla sua vita.
Diede incarico ad un poeta di corte, Giovan Battista Strozzi, di scrivere alcuni versi per una serie di madrigali sul tema della lontananza e di renderli noti con la dicitura che erano stati scritti “ad istantzia della Signora Isabella de’ Medici sendo il Signor Paolo suo consorte a Roma e lei a Firenze”.
Con toni simili alla canzone che compose lei stessa, i versi pregavano gli astri
Stelle, o felici, che ‘l mio ardente sole
sempre veder potete……
…. rivolgete
le belle orme al bell’Arno
ch’io non pianga ad ogn’ora, e pianga indarno
la dipartenza, che mi duol sì forte
ch’io non temo di morte.
Isabella in queste canzoni assumeva il ruolo della moglie malinconica che soffriva per l’assenza del marito. Una donna che stoicamente sopportava la separazione forzata.
Il pubblico era convocato per tenere compagnia alla donna e svolgeva un ruolo nel teatro creato dalla padrona di casa. Infatti i messaggi della canzone non restavano chiusi nei grandi saloni della villa ad un stretto auditorio ma venivano pubblicati e fatti circolare di corte in corte valicando i confini di Firenze.
 
La presenza del marito nella “mia villa” di Isabella era saltuaria e spesso  rivestiva anche il ruolo di padrone di casa.
L’8 settembre 1564
La sera S. Paulo  e Donna Isabella li fecero banchetto con una mezza
dozzina di gentildonne et si fece musica et si balla
in onore dell’ambasciatore spagnolo.
L’evento aveva un suo risvolto politico: garantire uno scambio tra Paolo Orsini e l’ambasciatore affinchè lo stesso Paolo restasse fedele alla Spagna e l’ambasciatore, a sua volta, gli rendesse rendite e onori.
Isabella durante l’assenza del marito aveva sempre degli ospiti

Io mi trovo a Firenze con molte belle donne a desinar meco

scrisse al marito nel maggio del 1566, tacendogli capire che aveva organizzato una serata per sole donne. Questi incontri, banchetti, serate di musica  e danzanti, avevano alla base una mancanza di rispetto della quiete pubblica che Isabella e il suo seguito non rispettavano. Il sorriso sorge spontaneo nello scrivere pensando che negli anni sessanta del Cinquecento molti fiorentini erano “privati del giusto riposo notturno”.

Era in detto tempo moltiplicato  in Firenze gran numero di cocchi, di maniera che tal volta era tanto il rumore che pareva rovinasse tutto Firenze; e massime la notte; che c’era la signora Isabella, figliuola del duca e moglie del signor Giovan Paolo Orsini, che spesso in sulle due ore in là, usciva di palazzo con i suoi cocchi, che erano quattro, sonando, urlando, fischiando, che parevano tanti demoni, lei come giovane, non considerando più altro, davano scandalo”. Ma chi erano questi demoni? Cortigiani al seguito di ambasciatori, giovani nobili fiorentini, cavalieri e paggi adolescenti che vivevano a casa di Isabella. Molti suoi amici e conoscenti, come lei stessa, figuravano tra i protagonisti delle “Duecento novelle” di Celio Malespini.

È un opera simile al “Decamerone” in una versione cinquecentesca con una raccolta di novelle che avevano come tema corteggiamenti, scherzi, equivoci, avvenimenti che erano legate ad episodi realmente accaduti a Firenze. Avvenimenti a cui l’autore, di origine veronese, aveva assistito o sentito parlare.
Un particolare dell’opera è che fu pubblicata quanto l’autore si trasferì a Venezia nel 1609 e si sentì al sicuro da eventuali rappresaglie. Un aspetto importante è che molti di queste novelle furono la base di molte espressioni teatrali inglesi. Un pubblico inglese che amava gli scandali avvenuti soprattutto presso le odiate corti papali.
Dalle novelle s’apprendono particolari su Elicona Tedaldi “un gentluomo amato molto, e favorito da Donna Isabella… dilettandosi anch’egli di cantare allo improvviso”.
Almeno dal 1561 Elicona faceva parte del seguito di Isabella che spesso se ne serviva come corriere, ma lo teneva in corte soprattutto come intrattenitore.
Un altro personaggio delle novelle era il ferrarese Ridolfo Conegrano che era una presenza fissa a corte di Isabella.
Aveva un ruolo particolare con il suo repertorio di canzoni sguaiate ed era anche bersaglio di continue burle.
Ridolfo a Firenze frequentava assiduamente il palazzo di Isabella ed era l’unico luogo in cui si sentiva a suo agio tanto che disse al Duca di Ferrara: Donna Isabella ha un suo loco fuori che va a Roma, dove quella signora li fece tante carezze con musicha e ballo tanto che passa… il tempo allegramente”.
Il Ridolfo non menzionò nella lettera quello che amava di più nella corte di Isabella e cioè i “belli giochi”.  Provava un gran piacere nel trovarsi a casa di Isabella et goder della sua dolcissima conservatione et me tanto grata come quelle belle musiche, belli giochi et tentamenti dolcissimi….Vera il mio sole”.
Con la scomparsa del fratello Giovanni, avvenuta alcuni anni prima, morì a Livorno il 20 novembre del 1562 (a causa della tubercolosi e della malaria), nessuno era in grado di arginare, mettere freno, ad alcune espressioni spericolate della giovane sorella.  Nel 1562 Giovanni aveva 17/19 anni mentre Isabella aveva compiuto i vent’anni.

Giovanni de’ Medici
(Firenze, 29 settembre 1543; Livorno, 20 novembre 1562)
Figlio secondogenito di Eleonora di Toledo e di Cosimo I de’ Medici, fu
nominato cardinale da papa Pio IV  nel concistoro del 31 gennaio 1560.
Alla nomina aveva diciassette anni e venne subito nominato amministratore
della arcidiocesi di Pisa. Fino alla nomina a cardinale del fratello
Fernando I de’ Medici, era il porporato italiano più giovane.
Nel 1857, durante la prima ricognizione delle salme de’ Medici, venne scritta
Una dettagliata relazione. La sua salma:
i resti della toga cardinalizia consunti per la parte anteriore, ma rimasti
aderenti alla cassa nella parte di sotto, ci resero certi che le ossa che
giacevano in una cassa scoperchiata erano quello…”
 
(Artista: Lomi Baccio
(?, 1550 – Pisa, 1595)
Olio su tela – Misure ?
Collocazione: Pisa
Giovanni era stato raffigurato più volte dal Bronzino. Questi ritratti
servirono da modelli per la creazione della figura da parte del Lomi.
Giovanni presenta la medesima impostazione, il medesimo sguardo e increspatura delle
labbra, nonchè la medesima ricaduta ondulata delle ciocche dei capelli sulla fonte.
Di rilievo è il particolare della resa materica della mantellina
cardinalizia, nel profilo del colletto e nelle maniche della camicia
finemente impunturate.
 Da non confondere con un altro Giovanni de’ Medici figlio
naturale di Cosimo I de’ Medici e di Eleonora degli Albizzi,
nato a Firenze il 13 maggio 1567

Giovanni de’ Medici (figlio naturale di Cosimo I)

Isabella aveva  come segretario il senese  Fausto Sozzini che aveva una sua formazione culturale in teologia e legge.

Fausto Sozzini o Socini/Socino
(Siena, 5 dicembre 1539; Luslawice, 3 marzo 1604)
Teologo e riformatore religioso
 
Il Sozzini faceva parte del gruppo culturale di Girolamo Bargagli, autore del manuale di giochi dedicato ad Isabella. Era nipote di Lelio Sozzini che aveva una ricca corrispondenza con Giovanni Calvino ed altri eretici del Nord.
Il segretario di Isabella, che condivideva le idee dello zio Calvino, cercò di fondare una setta  antitrinitaria i cui membri successivamente presero il nome di  “sociniani”.
Rifiutavano l’esistenza della Trinità e della verginità di Maria e consideravano San Giuseppe il padre naturale di Gesù.
Fausto Sozzini, nei suoi compiti di segretario, era obbligato al disbrigo delle numerose pratiche per conto di Isabella e del marito Paolo.
Un impegno difficile che richiedeva molto tempo e che lo distraeva dai suoi impegni teologici.
Proprio in questo periodo pubblicò il suo primo manoscritto “De sacrae scripturae autoritate” che esaltava il primato della religione cristiana sulle altre religioni e l’importanza di accompagnare questa supremazia con prove storiche.
I contenuti di questo manoscritto entrarono a fare parte del circolo culturale di Isabella. Se il fratello Giovanni, destinato a diventare papa, fosse stato vivo, certamente  la sorella sarebbe stata più attenta nella scelta di un segretario cercando di non legare il suo nome ad un personaggio con conclamate simpatie eretiche.

I giochi erano molto presenti nelle corti italiane, era un modo per
trascorrere in modo piacevole i pomeriggi e le serate. Giochi a carte,
di memoria e di cultura generale. Il primo testo di giochi apparso in Italia
fu quello di Innocenzo Ringhieri, del 1551, dedicato a Caterina de’ Medici.
Il titolo era “Cento giochi liberali et d’ingegno”  ed era un libro per  sole
Signore. Tuttavia dame e cavalieri giovano spesso in squadre contrapposte e le
Migliori giocatrici si lamentano quando gli avversari maschi le lasciavano vincere,
togliendo alle partite il piacere della competizione,
Nel 1662 Girolamo Bargagli di Siena, scrisse un nuovo testo sui giochi dal titolo
“Il Dialogo de’ giuochi che nelle vegghie sanesi si usano da fare” e fu dedicato ad
ad un’altra esponente dei Medici, Isabella.
Era un vero e proprio catalogo di giochi dal carattere molto diverso da quelli
descritti dal Ringhieri. Riuscì a censire ben centotrenta giochi che coinvolgevano
i partecipanti di entrambi i sessi. Erano adatti a tutte le feste e pensati per un
numero elevato di giocatori. Il Bargagli aveva l’obiettivo di stimolare l’interazione
piuttosto che eleggere un vincitore.





.......”giuoco del parlare all’orecchio, quando un giovane dice ad una donna in segreto
un motto, e ella senza dir parola fa qualche atto... e si comanda ad un’altro ch’indovini”..
il “giuoco del a.b.c. quando si fa pigliare a tutti una lettera, e poi si fa dire un vero, che
cominci per quella”  ....” quello della musica del Diavolo, ogn’uno facendo un
verso d’un animale”.
La maggior parte dei giochi avevano lo scopo d’incoraggiare uno scambio
malizioso tra uomini e donne.
Alcuni avevano risvolti culturali o letterari.
Il “giuoco del ritratto della vera bellezza” e il “giuoco della pittura” richiedeva che
il cavaliere elogiasse, nel primo caso, la bellezza fisica e nel secondo caso le doti
morali delle dame presenti, con un linguaggio che doveva imitare Petrarca o Ariosto.
Altri giochi avevano lo scopo di rilevare segreti del passato dei giocatori, come il
“giuoco delle disgratie in amore, dove ciascuno narra una disgrazia occorsali amando, e
il giudice discerne se quella veramente fosse disgratia, o pur colpa e difetto suo”.
C’erano anche dei giochi riservati alle ore più tarde della notte, quando i freni
inibitori si erano praticamente allentati. È facile pensare all’elite fiorentina intenta
al “giuoco delli schiavi” e al “giuoco delle serve e de’servidori” in cui si fingeva che
uomini e donne venissero comprati e venduti per essere messi al servizio di coloro
che li avevano bramati. C’era il “giuoco dello spedale de’ passi, dove si finge che tutti
quei della brigata sieno pazzi per amore, e che uno spedale sia stato fondato, dove
commodamente sieno ricevuti”; un altro era quello del “maestro di scola”  dove i
partecipanti si attribuivano nomi infantili come “Pampanella, Zuccherina, Vezzosetta,
e simili”
 e ricevevano istruzioni da un altro giocatore nelle vesti di maestro.











C’erano persino giochi che sembravano blasfemi considerando quanto fosse
presente la Chiesa nella società del tempo, in cui i giocatori fingevano di
essere monache e frati e minavano delle cerimonie religiose.


Le serate a casa di Isabella non erano delle feste organizzate da una
“matrona”.  Un aspetto delle sue feste molto gradito all’amico Conegrano
Erano i “tentamenti dolcissimi”, quasi tutti gli intrattenimenti suscitavano
il brivido del contatto tra i sessi, in gran parte di natura fisica. Sguardi e
sorrisi venivano scambiati durante gli spettacoli teatrale, dopodichè gli ospiti
sceglievano un compagno per le danze; reggere insieme la pagina di uno
spartito per cantare  offriva l’occasione di sfiorarsi con le mani. Uomini e
donne sceglievano la persona dell’altro sesso che trovavano più attraente
come compagno nei giochi proposti. Isabella aveva in queste feste un ruolo
di regista ? Amava godersi lo spettacolo dei suoi ospiti impegnati nei
giochi mantenendosi in solitudine, in trepidante attesa del marito per
“pascersi dei suoi raggi” come amava ripetere nelle sue canzoni ?
Questo  forse non lo sapremo mai.

La principessa diventò spericolata anche sotto l’aspetto del suo profilo fisico. Le donne  della nobiltà andavano a cavallo e a caccia ma il costume imponeva che fossero attente al loro corpo  per procreare dei figli. Molte di loro nel galoppo sarebbero state attente nel saltare con il cavallo un fosso più o meno profondo. Una caduta avrebbe potuto avere delle conseguenze gravissime provocando delle gravi patologie. Nell’estate del 1563 durante una delle tante battute di caccia, nei pressi della Certosa di Firenze, subì un grave incidente. 


Certosa di Firenze


Il medico di corte, Andrea Pasquali,, data la gravità dell’incidente, inviò  subito una lettera al padre Cosimo I de’ Medici
La Signora Donna Isabella nostra, a hore XII circa cascò dalla schinea a
giù per una grotta d’altezza di cinque in sei braccia et ha percosso il
capo in la parte summa dove è gran contusione, imperò non profonda
più presto per la superfice…..il petto va bene, le braccia e la gambe tutte;
imperò si duole assai, maxime nel muoversi.
E per più securtà si è cavato oncie sei di sangue dalla parte
opposita per fare diversione, oltre all’evacuazione.
Si darà da mangiare una papa e dell’acqua e si lascerà riposare.
 
Secondo un altro racconto “la chinea della Signora Isabella andò pian piano in un fosso alto circa 20 braccia”. (Circa 37 metri).
È probabile che il dottore Pasquali abbia parlato a Cosimo I di un fossato meno profondo per non allammarlo.
Un dato è comunque inequivocabile: nessuno era in grado di fermare la grande vivacità di Isabella.
Il vuoto affettivo  causato dalla morte del caro fratello Giovanni fu forse in parte colmato dalle persone che frequentavano la corte della principessa durante  il giorno.
Ma nella vita della giovane donna c’era una mancanza d’intimità e cioè la vicinanza di un coetaneo con cui dialogare e soprattutto con una sensibilità simile a quella posseduta dal fratello Giovanni.
Con nessuno degli altri fratelli, Isabella si sentiva a suo agio.
Con Francesco I c’era uno scarso affetto legato forse anche al carattere del principe troppo misantropo, severo e distaccato mentre con gli altri fratelli, Ferdinando e Pietro, c’era alla base una certa differenza d’età. Avevano sette e dodici anni in meno rispetto a lei che aveva superato i vent’anni  e quindi non potevano essere suoi confidenti.
È necessare fare attenzione a non cadere nell’errore di considerare il legame tra Giovanni ed Isabella come “particolare”. Era un legame di natura non fisica e la concezione di quell’antico rapporto, basato sul dialogo e sulla comprensione, era sufficiente a mantenerla vicina al marito Paolo Giordano Orsini.  Nella sua vita non ci sarebbe stato posto per nessun altro, da quanto si evince dalle sue lettere, e questo malgrado le stravaganze del suo vivere.
In quel periodo il marito Paolo, con l’avanzare dell’età diventava sempre meno attraente.
Raramente si formulvano dei commenti sull’aspetto fisico di un uomo se non perché rivestiva quale ruolo sociale o politico molto importante.
Paolo Giordano si faceva notare per la sua fisicità che ogni “giorno diventata sempre più ingombrante”.

Paolo Giordano I Orsini
(Autore: Ottavio Maria Leoni
Roma, 1578; Roma, 1630
Dipinto: Olio su tela ; Misure (63,4 x 50,4) cm

 

L’ambasciatore veneziano a Roma lo definì “ di estrema grandezza” pur specificando cautamente, una precisazione necessaria per non cadere in pericolose critiche, “ma con tutto questo assai forte e gagliardo”.
Per il suo aspetto fisico l’Orsini fu soprannominato in un circolo letterario con il termine “il Largo”.
Nelle sue lettere Isabella lo chiamava, con apparente affetto, “il mio grassetto” o
“il mio orso” (in quest’ultimo termine giocando sul termine Orsini).
Lo stesso Paolo era scontento del suo aspetto e frequentava le terme con lo scopo di “smagrire”.
Era obeso ?  Aveva subito un aumento di peso, aveva trent’anni e non poteva più salire a cavallo.
Probabilmente Isabella era  intristita da diverse problematiche legate al suo matrimonio: la continua lontananza del marito;  l’obesità del marito e, soprattutto, il tormento di un possibile tradimento e quindi infedeltà da parte dello stesso marito.
Malgrado fosse innamorata aveva dei forti dubbi sulla fedeltà del marito dato che l’adulterio maschile era una normalità nella società rinascimentale. Un problema molto grave tanto che era presente nella letteratura un manuale di condotta scritto da Pietro Belmonte e dal titolo “Institutione della sposa”.


Il Belmonte consigliava alla lettrice di essere tollerante con quelle che erano le “debolezze” del marito e, soprattutto, di restare casta e virtuosa.
Isabella ricordava nelle sue continue lettere al marito, di essere a conoscenza delle sue relazioni extraconiugali invitandolo a porre un definitivo freno alla sua condotta libertina.
In un’altra lettera dichiarava, in modo romantico, che l’avrebbe seguito fino in India ma subito dopo colpiva  con forza
Vorrei mi facessi gratia farmi far un vostro ritratto in uno anello,
lo stesso che quello voi dato di quella dama che lo desidero infinitamente
La dama a cui allude Isabella non fu identificata ma era certamente una delle tante donne con cui Paolo s’intratteneva in rapporti ambigui. Potevano essere delle cortigiane ma anche la “bellissima e garbatissima senese” a favore della quale Paolo aveva implorato presso Francesco i (fratello di Isabella !!!!) una deroga alle leggi suntuarie affinchè potesse indossare abiti e gioielli che erano riservati solo alle donne di maggiore rango.
Paolo, malgrado le sue infedeltà, sapeva benissimo che Isabella le sarebbe rimasta sempre fedele ma, nel dubbio, erano in gioco non solo l’onore ma anche il patrimonio del sig. Orsini.
Isabella viveva a Firenze da sola e il padre le dava un’ampia libertà.. i dubbi sorgevano spontanei nella mente dell’Orsini perché non poteva controllare la moralità della moglie e per questo motivo desiderava il suo trasferimento a Roma.
Isabella desiderava ardentemente l’affetto, avrebbe potuto cercarlo e trovarlo altrove, ma rimase fedele al suo ruolo di moglie, anche se sola e trascurata, come risalta nelle sue espressioni letterarie e musicali e dalle lettere inviate al marito
Vostra moglie, chi dorma sola nel suo letto
Oppure
Tornerò in villa (Baroncelli) alla mia vita solita solitudine
erano frasi con cui chiudeva le sue numerose lettere.
La dichiarazione più stravagante fu quella riportata in una lettera del 29 marzo 1566
Io sono solissima et molto scontenta et non mi sento
troppo  bene et stamattina mi trovo a letto col mio solito
dolor di testa ma credo nasca della grandissima solitudine et
afflitione in che hora mi trovo e troverò per molti mesi….
Io prego avermi per scusa se non vi scrivo più lungo perché il
dolor del capo non mi lassa
 
Isabella reagiva prontamente a qualsiasi insinuazione di Paolo sulla sua condotta. Nel giugno del 1566 il marito l’aveva accusata di  “far musiche con il sig. Mario”.
La donna rispose subito con una lunga lettera in cui abilmente sviava la terribile insinuazione e ricordava al marito che sapeva della sua condotta immorale malgrado i suoi falliti tentativi di nascondere ogni cosa
Io non sono tanto bestia ch’udendo i fatti io non credo vi possete immaginar
che io mancho credere alle parole… vi  pare avere una moglie di così
poco valore, come sono io…… anche se mio padre vi ha tenuto
in conto di figliuolo
 
Un commento per ricordare al marito che era, da sempre, in dipendenza economica del suocero.
In un'altra lettera  rispose alla accuse di Paolo con un grande ironia
Sto  a Baroncelli perché posso meglio passar qua le mie
miserie e non in Fiorenzo et volessi dio che le musiche che dite che fo
con il Sig. Mario fusssino spesse che mi potessi levar la
immaginatione… del pochi amor che mi portate,
perché né musica né altra cosa nissuna mi può levare quello
che mi mostrano li fatti
C’erano diversi uomini di nome Mario che frequentavano la corte di Isabella ed uno era il cugino del marito.
Uno era Mario Sforza di Santa Fiora a cui fu assegnato un incarico militare che era ambito  dallo stesso Paolo Orsini.
Un altro era un lontano cugino dell’Orsini, Mario Orsini del ramo di Monterotondo.
Mario orsini si guadagnava da vivere con le attività militari e per questo era entrato al seguito di Paolo Orsini e anche alla corte di Cosimo I de’ Medici.
Era un uomo che si trovava a suo agio nella villa di Isabella intrattenendosi in canti, musica o giochi.
Era lui il famoso sig. “Mario” verso il quale la principessa nutriva un sentimento particolare ?
Nel lontano dicembre del 1562 Mario si trovava a Pisa per portare le sue condoglianze a Cosimo I per la morte della moglie Eleonora di Toledo e dei figli. Il suo fine era entrare a far parte del nuovo ordine militare fondato dal duca: i cavalieri di Santo Stefano.
Un investitura che richiedeva denaro e Mario sperava di averlo dal fratello maggiore, Troilo.
Fu Troilo la vera ragione per cui Isabella  potè schermirsi in modo convincente delle accuse che Paolo le aveva rivolto, perché non era con Mario che, intorno al 1565, Isabella “faceva musiche” bensì con suo fratello Troilo.
Troilo Orsini  giunse a Firenze al seguito di Paolo Giordano I Orsini  ( un antico cugino) insieme ad altri familiari e furono alloggiati, a vario titolo, nel Palazzo Antinori adiacente a Palazzo Vecchio dove alloggiava lo stesso Paolo con la moglie Isabella de’ Medici. La sua venuta a Firenze fu dopo il 1558 anno del matrimonio tra Paolo ed Isabella.
Troilo Orsini  era figlio di Paolo Emilio Orsini, Consignore dei Vicariati di Monterotondo e d’Imperia, e di Imperia Orsini, dei Signori di Foglia. Dal matrimonio nacquero: Troilo, Cecilia, Paolo Emilio II.
Secondo le testimonianze storiche la famiglia Orsini risalirebbe al 333 d.C. con un capostipite di nome Orsicino, generale dell’imperatore Costante rimosso  dalla sua carica per una calunnia ed esiliato a Roma. A Roma diede origine alla casata degli Orsini che già nel 589 era celebre per le sue ricchezze e per i numerosi feudi in suo possesso.
Famiglia Orsini che era anche chiamata con l’appellativo “de  filis Ursis”.

La suddivisione del Casato degli Orsini nei vari rami avrebbe avuto origine in  Matteo Rosso Orsini, detto il Grande (1180; 12 ottobre 1246), figlio di Giovanni (Giangaetano) Orsini e di Stefania Rubea (De Rossi). 






Era signore di decine e decine di Terre, nel 1234 fu podestà di Viterbo e nominato senatore di Roma da Papa Gregorio IX nel 1241. Lo vediamo impegnato contro l’imperatore Federico II di Svevia che era giunto a Grottaferrata per impadronirsi di Roma. Nel 1246 fece testamento lasciando agli eredi il suo immenso patrimonio e vestì l’abito di terziario francescano.
Si sposò tre volte e da questi matrimoni nacque la complicata suddivisione del casato degli Orsini:
-          Primo Matrimonio con Perna Gaetani da cui nove figli/e:
Giovanni Gaetano che diventerà il futuro papa Niccolò III;
Mabilia che sposò Angelo Brancaleoni;
Giacomo, religioso;
Ruggero;
Giordano, cardinale;
Andreola;
Mariola;
Gentile, capostipite degli Orsini di Nola;
Giovannello
-          Dal secondo matrimonio con Giovanna Dell’Aquila, ebbe tre figli/e:
Rinaldo, capostipite degli Orsini di Monterotondo;
Matteo,  detto di “Monte”, uomo d’armi;
Napoleone, capostipite degli Orsini di Bracciano e Gravina.
-         
Dall’ultimo matrimonio con  Gemma di Oddone di Monticelli non nacquero figli/e.

Monterotondo (Roma) – Palazzo Orsini


A Rinaldo Orsini toccò quindi la signoria di Monterotondo. Una linea importante i cui esponenti presero parte attivamente nelle lotte nella Roma medievale. Nel 1370
la  figlia di un discendente Giacomo, Clarice sposò  Lorenzo il Magnifico, Signore di Firenze, il terzo della dinastia de’ Medici. Sul finire del XVI secolo la dinastia decadde.
Molti suoi esponenti furono coinvolti in tristi vicende e persero i feudi per confische o furono assassinati. Enrico e Francesco, gli ultimi esponenti della linea, vendettero Monterotondo alla famiglia Barberini nel 1641.
Troilo viveva quindi a Firenze a spese del cugino Paolo, cercando di entrare nella famiglia de’ Medici per rendersi disponibile ad eventuali incarichi da parte di Cosimo I.
Era quindi al servizio di Paolo ricevendo degli ordini come…” Perché V.S. conosca più chiaramente ch’io, sono desideroso che si spedisca il negotio del Pignatello (uno dei tanti feudi di Paolo Orsini), et che quanto prima se ne venchi, mando a posta Maestro mario Bartucci acciò che se ne dia fine ad ogni cosa, et perché da lui V.S. intenderà pienamente in ciò il desiderio mio”.
I parenti di Troilo, che erano rimasti a Monterotondo, s’aspettavano dallo stesso Troilo dei precisi rendiconti sull’attività di Paolo Orsini che era il “capo” del nobile casato.
 Un vero e proprio controllo sull’Orsini dato che le sue azioni avrebbero coinvolto potenzialmente tutti gli esponenti del casato comprese quindi anche i rami collaterali.
Alla fine del 1563 lo zio Giacomo riferiva al nipote Troilo la sua soddisfazione  nel sapere che
Le cose dell’Ill,mo Sig. Paolo Giordano (Orsini) siano così bene
incaminate…. Desiderando io infinitamente vedere la S.E. fuora del
travaglio che…. devono apportare tanti debiti….. perché tutti honore
et gloria di S.E. ancora alli suoi parenti, servitori et amici
farne partecipare….. sarà sufficiente…. farli havere figliuolo”.
Qualunque azione negativa subita o intrapresa da Paolo Orsini avrebbe coinvolto tutto il casato.
Tutti gli Orsini, sia quelli di Monterotondo che quelli di Bracciano ( a cui apparteneva il marito di Isabella de’ Medici), avevano dei gravissimi problemi economici.
Era naturale per gli Orsini attendere con ansia la nascita di un erede da parte di Paolo Orsini per consolidare ulteriormente il legame con la potente famiglia de’ Medici.
L’estate successiva  lo stesso zio Giordano scriveva nuovamente a Troilo con una certa preoccupazione
Prego V.S. darmi avviso certo della gravidanza della S.Ra Donna Isabella,
et di quanto tempo et esendo certa, come desidero, ricordar qualche
volta con buona occasione all’Ill.mo Paulo Giordano, che li piaccia
farla governo di sorte, che non le succeda come l’altra volta”.
Il significato di questa lettera è chiaro. Era infatti opinione diffusa che il comportamento stravagante di Isabella con i suoi continui divertimenti e le ripetute e pericolose battute di caccia a cavallo, avevano provocato in passato degli aborti spontanei.
Nella famiglia Orsini era opinione diffusa e chiara che il marito Paolo Orsini non avesse alcuna autorità sulla moglie.
Su questa presunta gravidanza dell’estate 1564 anche Ridolfo Conegrano in una lettera al Duca di Ferrara Alfonso II d’Este scriveva
Si tien certo che la S.ra Donna Isabella sia gravida ancora… lei dica non esser
vero e non voglia confessare
Il comportamento di Isabella era completamente differente da quello delle altre nobildonne che sarebbero state fin troppo ansiose di rendere nota la loro fertilità.
Troilo era autorizzato a nutrire un certo interesse verso Donna Isabella in quanto moglie del cugino che era un importante veicolo per le fortune del casato.
Poteva cantare, ballare con lei ma sempre rispettando le regole… una principessa “intoccabile” e di “proprietà” dell’ Orsini a cui era vietato accostarsi….
Isabella con il suo carattere si riteneva libera e Troilo era un uomo ambizioso ed esponente di un casato in bancarotta.  Lo stesso Troilo fece un attento studio sulla sua situazione a corte e capì che per avere un certo peso nella corte medicea non servivano i favori di Paolo Orsini ma bensì la simpatia di Isabella.
Era animato da un grande desiderio d’affermazione, che sfiorava la disperazione, e non aveva una grande simpatia per il cugino Paolo.
Il suo interesse per Isabella fu evidente nei mesi successivi alla morte di Giovanni de’ Medici, fratello della donna. Il Troilo si trovava lontano da Firenze e ricevette da un amico una lettera con una  minuziosa narrazione dell’incidente della caduta da cavallo di Isabella.  “L’Amico” conosceva benissimo l’interesse del Troilo verso la principessa a tal punto da volerlo informare dell’accaduto.
Nella sua visione della realtà,  Isabella era solo un mezzo per il raggiungimento di una posizione sociale più elevata ?
La donna era  una “stella” della corte medicea con la sua intelligenza, vivacità e fascino, e quindi oggetto di desiderio.
I sentimenti di Isabella verso Troilo ?
 I riferimenti non sono molto chiari in merito.
Troilo era un giovane bello ed affascinante, avevano pochi anni di differenza, e al contrario di Paolo Giordano Orsini aveva impugnato le armi e compiuto delle imprese coraggiose.
Nella visione di Isabella il giovane assomigliava al famoso nonno Giovanni delle Bande Nere, un personaggio  che sembrava uscito da un racconto dell’Ariosto e che animava la sua immaginazione rievocando un antico romanticismo.
È vero era cugino del marito, un aspetto che rendeva molto pericoloso la nascita di un amore, ma nello stesso tempo più eccitante.
C’era una realtà che sembrava favorire la nascita di questo amore: la sua solitudine causata dalle lunghe e ripetute assenze del marito, la libertà di cui godeva, le relazioni extraconiugali del marito che sembrava aver perduto ogni dialogo con lei malgrado la presenza di fredde lettere.
Triolo la poteva raggiungere facilmente a Palazzo de’ Medici oppure a Villa Baroncelli dove era sempre sola.
Fra Isabella e Troilo  si accese una segreta relazione tra il 1564 o il 1566.
La donna aveva numerosi contatti e nelle sue serate cantava con paggi, ambasciatori e cavalieri ma nessuno era in gradi di offrirle quello che cercava ..un contatto a livello profondo e personale.
Troilo non fu probabilmente solo un amante perché riuscì  a rivestire quel ruolo di dialogo che la donna aveva con il fratello Giovanni.
Il padre Cosimo I avrebbe potuto censurare il comportamento della figlia ma non intervenne e sembra quasi che abbia acconsentito la nascita di questo legame perché si rese conto che il matrimonio non l’appagava e Troilo giunse proprio nel momento in cui la donna aveva il bisogno di colmare un profondo vuoto sentimentale.
la loro relazione era certamente nota a molta gente ma la regola vietava di parlarne e tanto meno di farvi cenno per iscritto.
Celio (Orazio) Malespini (Malespina) , nato nel 1532 e di cui s’ignora il luogo di nascita (forse Verona), fu autore delle “Duecento Novelle” e una delle novelle riguardava il rapporto tra Troilo ed Isabella. Naturalmente non poteva farne i nomi e dipinse i protagonisti come complici di un misfatto invece che di una relazione amorosa.
Nella novella Isabella era adirata perché Ridolfo Conegrano, l’ambasciatore ferrarese che considerava suo devoto spasimante e che fingeva di ricambiare, s’era innamorato di una giovane che era amata da Troilo.
Isabella e Troilo studiano un intrigo per punire Conegrano.
Fanno in modo che l’ambasciatore inviti la giovane a cena nella propria casa.
“Trà tanto, Donna Isabella vestitati da huomo, accompagnata dall’Ursino (Orsini), e duo altri gentilhuomini suoi confidati, conducendo una schiava, che era venuta da Livorno, brutta, e sozza, come un mostro, ma però assai giovane, quale non intendeva nulla il nostro idioma (lingua)”, raggiunse la casa dell’ambasciatore.
Qui i complici avvicinano un mozzo di stalla, gli fanno giurare di tenere la bocca chiusa e gli chiedono a che punto della cena si trovasse il padrone di casa e la sua ospite.
“Quasi alla fine” risponde il famiglio.
Isabella quindi indaga la possibilità di andare “senza essere veduti da alcuno, nella camera là dove egli dorme” e il mozzo mostra la strada. Portano allora la schiava nella stanza da letto e la depositano “ignuda come nacque” nel letto dell’ambasciatore; trovandolo “morbido, e delicato... essendo... assai stanza, subito s’addormentò”.
Nel frattempo, durante la cena, la giovane si congeda e invita Conegrano a raggiungerla dopo poco nella stanza da letto di lui; invece di recarvisi però, raggiunge Troilo e Isabella nella stalla. Conegrano sale quindi nella sua stanza dove entra senza accendere le torce, intravede una figura sdraiata nel letto e l’avvicina con l’intenzione di appagare il suo desiderio. A quel punto la schiava si mette a urlare nella sua lingua: “Io non voglio, io non voglio, cane, o Dio agiutami !”; Conegrano salta fuori dal letto, chiama qualcuno che porti la luce, e rimane inorridito davanti al “sozzo, e contrafatto ceffo della brutta schiava, che credendosi ch’ella fusse la bella giovane, l’haveva baciate cotante volte così avidamente le labbia”.
Troilo ed Isabella si precipitano allora al piano superiore dove Isabella rimprovera Conegrano sperando che abbia imparato la lezione per l’incostanza dimostratale:
Io mi sono voluta vendicare, nel modo ch’io ho potuto, disturbandovi i vostri difetti, e piaceri: meritando voi però magior castigo; poiché non rispettate punto le donne altrui”.
Conegrano, ascoltando impietrito, ammette la sua vergogna: Troilo propone che la schiava possa trascorrere il resto della notte nel letto accogliente con la promessa che i servitori di Conegrano  “non la trattino così male, come hanno fatto poco innanzi”.
Conegrano accetta, accompagna gli ospiti alla porta e “il povero schermito Ambasciatore, se n’andò a dormire in un altro letto, credendo che il suo fusse tutto pieno di pidocchi”.


Nella novella la relazione tra Isabella e Troilo è platonica  ma è con Troilo che la principessa gira per Firenze travestita da uomo come facevano le cortigiane veneziane quando volevano uscire per strada.
Per un lettore del XVI secolo, questo particolare della storia, la principessa che si traveste da uomo, sarebbe scandaloso tanto quanto le imprese sessuali al centro del racconto.
Forse Isabella non dichiarò mai apertamente il suo amore per Troilo ma rese noto il suo amore con altri mezzi come la poesia e la musica.
Esistono una serie di lettere tra Isabella e Troilo dalle quali traspare una profonda malinconia che ritroviamo anche nelle poesie e nelle canzoni eseguite nella villa Baroncelli. Nelle lettere d’Isabella   i sentimenti sono espressi in maniera simile a quelli dichiarati per il marito.
Le lettere inviate al marito venivano lette da tutti mentre quelle per Troilo erano tenute nel massimo segreto e che per questo motivo assumono un significato molto profondo perché coinvolgono due persone che non possono esprimere  apertamente i loro sentimenti e non possono stare insieme ogni volta che lo desiderano.
Una situazione che probabilmente non dispiaceva alla donna  che era affascinata dall’immagine dell’eroina evocata nelle sue canzoni d’amore ed infatti scriveva
Io ho ricevuto una lettera di V.S. a me di grandissimo contento,
et più me saria stato la presenza di quella, da me tanto desiderata
più che la propria vita.
V.s. mi fa torto a dubitare che la lassi, che mai da me si darà occasione
di perdermi tanto bene e un Signore da me tanto desiderato
et a chi sono schiava et hubrigata in eterno,
et a chi se degnato per sua benignità farmi degna dell’amor suo.
V.S. stia assicurata che a me non pare esser niente e smarita e persa,
e ogni ora mi par mille, et se non fossi la grande speranza che ho
di rivederla, a quest’ora saria finita. Et  confidomi nella grande
cortesia sua, col supricharla che il ritorno sia più  presto che
Ella può, se quella punto ha cara la vita mia….
Sono numerosi i riferimenti sulle lettere inviate da Troilo ad Isabella ma una sola s’è salvata dalla distruzione del tempo.
Troilo omette il nome della destinataria ma mette il proprio nome nel firmarla.
La lettera rispondeva ad una missiva inviata da Isabella nella quale rimproverava Troilo di aver parlato troppo liberamente della loro relazione.
Un problema che viene affrontato anche in una delle sette lettere che furono attribuite ad Isabella e nella quale mette in guardia Troilo nei suoi rapporti con Francesco Spina
Guardi lei non so che homo sia da tener le segrete
Chi era Francesco Spina ?
Era il tesoriere del fratello Francesco I ed Isabella aveva dei validi motivi per desiderare che il Troilo si tenesse lontano da lui
Nell’unica lettera non perduta di Troilo, l’uomo risponde anche ad un sospetto avanzato da Isabella che la lettera, ricevuta in precedenza, non fosse scritta personalmente da lui perché dimostrava una competenza troppo raffinata della lingua toscana.
L’uomo era nato a Roma e la sua lingua era diversa da quella di Isabella che conosceva benissimo il toscano.
Il Troilo rispose
A scusarmi e a dolermi, se bene sarebbe più a proposito il parlare con voi
a bocca che scrivere, imperò io vi ho voluto scrivere questa per più una
certezza della mia servitù, la quale non credevo che Voi stimassi si leggiera
ch’io dovessi comunicare con nessuno quello che passa tra Voi e me,
avendo a cuore l’onor vostro quanto la vita propria.
Quanto poi io non abbia né composta né scritta l’altra mia
lettera, non so farne  d’altro in certificazione d’essa, che mandarvi la
presente, assicurandovi che la mia ignorantia è aiutata tanto da l’amore,
che mi farebbe fare altro che mettere insieme cinquanta parole
fiorentine, sì che, padrona mia cara, abbiatemi per vostro fedelissimo
servitore, se bene mi ha generato in me un poco di sospetto di
non essere da voi amato
Malgrado le attenzioni, i due innamorati sapevano benissimo che la loro relazione non era un segreto.
Un rappresentate dei Medici, Ciro Alidosi, scrivendo dall’Emilia Romagna, domandò al segretario di corte Antonio Serguidi di consegnare alcune lettere a Troilo e Isabella, dando per scontato che i due si trovassero insieme.
Lo stesso Troilo riceveva continue suppliche da parte di amici, familiari e conoscenti per un suo intervento presso Isabella per avere dei favori.
In merito c’è una lettera avanzata nell’agosto del 1654 da parte del nobile Sforza Aragona di Appiano
Ill.mo Cugino e Sig.mio osservandissimo. Io invio alla Signoria V.Ill.ma
una lettera della Signora mia consorte che va alla Signora  dogna Isabella che
è in risposta a una sua per causa che S. Ecc.Ill.ma si degna di fare tener di
mano a battesimo ad una bambina che in questa notte in quattro hore e mezzo
mia Signora consorte per Dio grazia partorì, et è bona sanità dell’uno et
l’altra. Però V.S.Ill.ma sarà contenta del buon recapito et procurarne risposta.
Troilo aveva altri parenti che gravitavano nella corte medicea ma la richiesta dello Sforza Aragona dimostrerebbe come fosse a conoscenza del rapporto preferenziale che il cugino aveva con la principessa. In ogni caso la principessa, a quanto sembra, battezzò la bambina.
Questa forte influenza che il Troilo aveva sulla donna, finì con il valicare i confini del vasto ducato.
Nel maggio del 1564 l’uomo ricevette una lettera da un certo Lepido Massarini che gli ricordava di essere stato al suo servizio come soldato in Francia.
Il signor Lepido era stato imprigionato in un carcere di Siena con una pena di “più anni” per aver eseguito un crimine, non specificato, che aveva causato “gravissimi danni ai  figli e moglie”.
Il prigioniero  chiedeva a Troilo di “fare una parola a S. Paolo Giordano mio signore e mandare quella sua indirizzato all Ill.mo Sig. Principe, nel quale domanda la liberatione”.
Non si sa se Paolo Giordano Orsini sia intervenuto  perché il Lepido, due anni dopo, era ancora in prigione.
Nell’aprile del 1566 il detenuto fece un altro tentativo riscrivendo al Troilo
Ill.mo mio Signore, con ogni debita reverentia humilmente le fo intendere
che essendo hormai stato mesi 37 in Siena carcerato da necessità costretto,
son stato costretto mandar a codesta felicissima Corte la mia moglie, acciò
che ella, con favore e potentissimo braccio di V.S. Ill.ma  negotii,
se possibil sarà, la mia liberatione…… Il desiderio mio sarebbe,
siccome molto meglio da mia moglie piacendole però potrà sapere,
che V.S.Ill.ma presentasse mia moglie avanti la Ill,ma et
Eccell.ma Signora Donna Isabella la quale per sua natural bontà
et a sua istanza facesse sì che si presentasse il memoriale che mia  moglie
le daria, all’Ill.mo et Ecc.mo Signor Principe suo fratello, ottenendo
V.S.Ill.ma per grazia specialissima dalla sopraddetta Eccll.ma
Signora che, presentando detto memoriale al Signor Principe,
mi mandasse in grazia.
Una lettera gravissima perché dimostrava un aspetto che per i due innamorati era pericoloso.
Il Lepido, pur essendo in prigione, aveva scoperto di avere più possibilità d’ottenimento della grazia chiedendo aiuto a Troilo nell’intercedere presso Isabella piuttosto che rivolgersi al marito di lei. Qualcuno gli aveva consigliato di mettere la moglie sotto la protezione di Troilo per fare un passo importante verso la donna.
Un povero carcerato , anonimo, sconosciuto, era riuscito a sapere quindi, nella prigione di Siena, della forte relazione esistente tra i due innamorati.
Una relazione che  era ormai nota a tutti e che andava avanti probabilmente dal 1564  e al momento della lettera di Lepido eravamo nell’aprile del 1566, 

………………….

11. Giovanna D’Austria sposa Francesco I de’ Medici

Il 18 dicembre 1565 Francesco I de’ Medici, fratello d’Isabella, sposò Giovanna d’Austria ( d’Asburgo) e la città di Firenze era a festa.
Giovanna fece il suo ingresso trionfale da Porta al Prato.

Intorno  le strade sono arricchite da archi di trionfo, statue, fontane.
La cerimonia nuziale nella Basilica di Santa Maria Novella.



Per l’occasione del matrimonio vennero realizzati  bellissimi edifici con l’intervento di artisti come il Vasari, il Borghini, il Caccini, ecc:
-          Il Corridoio Vasariano (realizzato da Giorgio Vasari, architetto, pittore e storico dell’arte – Arezzo, 30 luglio 1511; Firenze, 27 giugno 1574); un percorso sopraelevato che collega Palazzo Vecchio, residenza del Governo, a Palazzo Pitti, residenza del Granduca;



Giorgio Vasari


-          Il mercato delle carni, posto sul Ponte Vecchio, venne spostato nell’attuale Piazza della Repubblica. Uno spostamento reso necessario a causa dei cattivi odori e dello spettacolo indecoroso. Al posto del mercato sorsero  le botteghe di orafi e di gioiellieri.




-          Il cortile di Palazzo Vecchio venne decorato con stucchi e pitture (affreschi del Michelozzo) che riproducevano alcuni centri dell’impero austriaco (Vienna, Insbruck, Praga, Costanza), in onore della sposa. Un’iscrizione in latino, posta sulla parete orientale, dava il benvenuto alla principessa:
Caesaris invicti augusti pulcherrima proles”




Veduta di Granz

Giostre, tornei, mascherate coinvolgeranno la città  per molti giorni.
Feste fiorentine che furono coordinate dal monaco benedettino Vincenzo Borghini, priore dell’Istituto degli Innocenti e luogotenente di Cosimo I de’ Medici nell’Accademia del Disegno. A corte ci saranno degli spettacoli con scenografie del famoso Bernardo Buontalenti. Venne messa in scena la commedia “La Cofanaria” di Francesco D’Ambra al cui centro c’erano di intermezzi che narravano la storia di Amore e Psiche.

La Cofanaria”, in versi sdruccioli, scritta nel 1550 – 1555-
Trama: Bartolo desidera dare in moglie al proprio figlio Ippolito
la giovane Laura, creduta vedova di Claudio Fidamanti e figlia del vecchio Ilario.
Ippolito, che ama invece Marietta, cerca di evitare il matrimonio.
Alla fine si scopre che Claudio non era morto e quindi Laura non è vedova e
Marieta risulta essere figlia dello stesso Ilario.
(A seconda del tipo di parola che termina il verso si parla di verso tronco, piano o sdrucciolo.
Tronco che stermina con una parola tronca (accento sull’ultima sillaba), piano se termina con
una parola piana (accento sulla penultima sillaba) e sdrucciolo se termina con una
parola sdrucciola (accento sulla terz’ultima sillaba).
Francesco d’Ambra (Firenze, 29 luglio 1499 – Roma, 1558), commediografo






Giovanna d’Austria
(Alessandro Allori – 1535/1607
Datazione del dipinto: 1570
Collocazione: Uffizi - Firenze

Francesco I de’ Medici
Artista: Allori ?
Collocazione: Uffizi - Firenze 

Con il matrimonio stava per iniziare per Giovanna d’Austria una nuova vita ?
La risposta è negativa perché la sua vita coniugale sarà costellata da umiliazioni e continue soprusi psichici che finiranno con minare il suo fragile stato di salute già precario per le numerose patologie.
Giovanna d’Asburgo, nota come Giovanna d’Austria, (Johanna von Habsburg  o Johanna von Österreich), era nata a Praga il 24 gennaio 1547. Per nascita era Arciduchessa d’Austria perchè figlia (ultima di 15 figli) di Ferdinando I d’Asburgo (fratello di Carlo V), imperatore del Sacro Romano Impero, e di Anna Jagellone, figlia del re d’Ungheria e Boemia Ladislao II.
Per motivi dinastici fu forse messa in disparte ma non per questo non ebbe pretendenti malgrado le cronache parlino di una ragazza non molto bella.
Una ragazza sfortunata, privata dall’affetto dei suoi genitori e in preda a gravi problemi fisici.
Curva in avanti, per via d’una deformazione della colonna vertebrale; bassa; il viso appuntito, lungo; gli occhi sporgenti, no…. La pulzella  non è bella ma porta come dote un pesantissimo titolo nobiliare”.
“La povera donna aveva una colonna vertebrale orribile. Una cifosi (gobba) e una lordosi (tratto lombare molto marcato) eccessive, tanto da avere il bacino quasi orizzontale.  Per rimettere insieme le vertebre della povera donna dovettero sicuramente usare la plastilina quando normalmente una colonna vertebrale si riesce alla meglio a rimetterla insieme senza bisogno di fissanti. Immagino il dolore giornaliero… e soprattutto nel partorire!!!!” (Prof.ssa Donatella Lippi, Storia della Medicina)
I  de’ Medici avevano una grande ambizione di scalata sociale e  il matrimonio con una principessa asburgica poteva rappresentare un successo fondamentale nell’ascesa della casata.
Già nell’ottobre del 1563 Cosimo I chiese ufficialmente la mano di Giovanna ma le trattative si prolungarono fino al 1565 a causa della morte dell’imperatore Ferdinando d’Asburgo (25 luglio 1564) e dell’intervento del Duca di Ferrara Alfonso II d’Este che mirava, anche lui, alla mano della sedicenne ragazza. Nacque addirittura una questione diplomatica in merito alla precedenza della richiesta di matrimonio tra i Medici e gli Este.
All’inizio del 1565 le trattative furono concluse e nel mese d’ottobre Francesco I, che era stato già  elevato al rango di principe, si recò ad Innsbruck per conoscere la sposa, dopo aver avuto l’assenso del re Filippo II di Spagna.
Nell’occasione lo stesso Francesco I de’ Medici portò a Giovanna e al fratello l’imperatore Massimiliano II, dei ricchi doni per rafforzare il prestigio internazionale dei Medici.
Francesco I, aveva ragione la sorella Isabella de’ Medici, nel descriverlo non era per niente sincero dato che il cuore era da tempo impegnato con l’intrigante ed avvenente Bianca Cappello.  Era solo un matrimonio dettato da regole politiche. I due promessi sposi si recarono poi a Firenze per strade diverse.

Francesco I de’ Medici
Artista: Sofonisba Anguissola
(Sophonisba Angussola / Sophopnisba Anguisciola
(Cremona, 1532 circa – Palermo, 16 novembre 1625)
Pittura: olio su tela – Datazione: 1579
Misure (85,4 x 146) cm – Collezione Privata

Nel dipinto che ritrae il matrimonio di Francesco I con la regina Giovanna d’Austria, Isabella de’ Medici appare alla spalle della sposa.

Si nota Isabella de Medici  alle spalle della sposa
(Artista: Jacopo Ligozzi
Verona, 1547; Firenze, marzo 1627
Fu definito “pittore universalissimo” per i suoi molteplici temi


Isabella accompagnò Giovanna d’Austria, anche due giorni dopo le nozze, in carrozza al Duomo per una solenne messa cantata.
Dopo le nozze ci furono i festeggiamenti che durarono ben due mesi. Festeggiamenti animati con “assurde” cacce di animali selvatici, per l’occasione furono importati orsi ed altri animali esotici. Le celebrazioni ebbero il loro culmine nel carnevale che fu particolarmente sfarzoso.
Il marito di Isabella de’ Medici, Paolo Giordano non poteva mancare in quell’occasione e approntò degli addobbi straordinari pensati per primeggiare sugli artisti che si erano adoperati per abbellire le strade.
Commissionò al pittore  fiorentino Santi di Tuto, allora  giovane ed emergente, una serie di decorazioni provvisorie da disporre in Piazza San Lorenzo.
Vasari citò l’artista affermando come “ con  molto ed incredibile fatica… dipinse di chiaroscuro, in più pezzi di tele grandissimi istorie de atti di più uomini illustri di casa Orsini”.
Immagini di gran pregio che furono esposte per breve tempo e poi distrutte, ma la cui funzione era quella di associare la storia della sua famiglia all’unione dei festeggiamenti per le nozze di Federico I e di Giovanna d’Asburgo.
Fu eretto un grandissimo  palcoscenico in legno in piazza San Lorenzo per uno spettacolo in cui furono protagonisti lo stesso Paolo Giordano Orsini e il cognato Francesco I de’ Medici.  Tra gli spettatori Cosimo I de’ Medici con la fianco la figlia Isabella, vestita con un bel abito di seta bianca.
Ridolfo Conegrano, che aveva assistito allo spettacolo, riferì alla corte di Ferrara che
Si fece il torneo del Sig. Paolo e riuscì benissimo.
Il principe su una stella che viene sul nel cielo et in huomo sopra, et si fermò
nel mezzo del teatro et subito si sentì una musica de Quattro fanciulli
ch’era sul lato di una banda del teatro…. Poi finite…… con molto
rumopre et fuochi et usca il Sig. Paolo et Pirro Malvezzi vestiti d’arme
bianche gravate et di tella d’aregento et seta biancha et havevano con
loro due paggini vestiti delle medesime telleta et sei tamburi,
sei trombetti et due angeli, girati il campo si fermarono da uno capo
del teatro, poi compare la nave degli Argonauti con cinque cavalieri.
A questi spettacoli seguirono delle giostre a cui presero parte Francesco I, Paolo Orsini ed altri nobili e “poi si fece una collatione sontuosissima et al fine tre dame et tre cavaglieri armati tutti di biancho su bellissimi cavalli fecero la battaglia balletto. Fu cose meravigliose da vedere”.
Era uno spettacolo equestre e Paolo Orsini in questo era un espero data la sua grande passione per i cavalli.
Le esibizioni di cavalli danzanti era uno spettacolo fisso nei grandi intrattenimenti delle corti europee.
Naturalmente molti si domandarono il costo di un simile e grandioso evento soprattutto alla luce della grave situazione finanziaria dell’Orsini.
Molti commentatori registrarono delle cifre di spesa accompagnate da un certo stupore e il Conegrano fu abbastanza preciso nella sua dichiarazione
La spesa è stata di 15 mila scudi ma al mio giudizio è 7 o 8, perché
in vero la maggior spesa era nel teatro
Una volta conclusi i festeggiamenti Giovanna d’Asburgo si dovette adattare ad uno stile diverso da quello in cui era abituata anche se intrisa da profonde delusioni dovute alla mancanza d’affetto da parte dei genitori.
Aveva portato con sé  delle dame di compagnia che a Firenze erano chiamate le “tedesche”  e con cui conversava naturalmente nella sua lingua madre.
Nonostante il conforto delle sue dame di compagnia doveva integrarsi nella nuova famiglia. Un obiettivo non facile da raggiungere per diversi motivi.
Il suocero Cosimo I  era sempre benevolo con le donne  e a maggior ragione con la nuora, a differenza di Francesco I alla cui base c’era scarso interesse per la moglie dato che il suo cuore da sempre era rivolto alla famosa Maria Cappello.
Per Francesco I il matrimonio, a prescindere dalle sue importanti motivazioni politiche, era basato solo sulla nascita di potenziali eredi. Una grave mancanza di rispetto nei confronti della donna  sul quale era un opinione diffusa che per “per la sua statura molto piccola e magra… vi è opinione che per questo rispetto non sia atta a generare”.
L’ambasciatore veneziano  descrisse la giovane donna…”di singolare bontà, e di esemplare religione, è altrettanto bella di animo quanto le è stata la natura scarsa delle bellezze corporali, essendo piccola di statura, di faccia pallida, e di non molto vago aspetto; di ingenuo piuttosto placido e quieto, che vivo ed alto”.
Tra Giovanna ed Isabella c’era una profonda e diversa concezione di vita soprattutto per la scarsa religiosità da parte della medicea.
Eppure malgrado queste forti differenziali caratteriali, Isabella trattò sempre con affetto la cognata,  dandole quell’amore, quella comprensione e il dialogo che le mancavano da parte del marito
Nel caldo maggio del 1566, Isabella si era ritirata a Villa Baroncelli e scrisse:
Mi trovo di nova oggi a Fiorenza a visitar la principessa et desinato
in palazzo et sono stata lì tutto il giorno della notte.
 
A Giovanna piaceva molto la frutta e ogni volta che Isabella si recava lontano da Firenze, gli faceva recapitare delle ceste di deliziosi frutti che prelevava nei numerosi giardini di famiglia…”non ho manchato far subito al mio arrivo diligentia di frutta et quelle poche si sono trovate se li mandano”, le scrisse in una lettera da Pisa nel maggio del 1568.

Giovanna Garzoni
(Ascoli Piceno, 1600; Roma 10/15 febbraio 1670)
Pittrice e miniaturista


Nell’ ottobre del 1568, Isabella si trovava a Poggio  a Caiano..
Andando  per questi giardini ho trovato queste poche frutte
che con questa mia le invio,  quella accetti con il bono animo
Isabella si rivolgeva a lei, che era  sei anni più giovane, con atteggiamenti sempre gentili e rispettosi. Diceva sempre di averle voluto scrivere per
Ricordarmi a nostra altezza per quella affetionatissima serva
che li sono et sarò sempre mentre viva.
Teneva sempre ben presente l’etichetta e il protocollo che erano molto sacri presso la corte asburgica.
Giovanna, che era sempre sola e isolata dal marito, come molte moglie straniere dopo il matrimonio, non sempre erano trattate con garbo dai parenti acquisiti e quindi apprezzava molto i gesti della cognata.
La stessa Isabella fu felice quando uno dei suoi servitori, Luigi Bonsi, fu accettato dalla
Prencipessa…. Nella sua comitiva per mio amore che…. la servirò di core
Lo stesso Bonzi diventò  informatore di Isabella su quanto accadeva a Palazzo Vecchio e l’aggiornava su eventuali dicerie che la riguardavano  e che circolavano tra quelle pareti..
Inoltre fu  probabilmente grazie a Giovanna, incoraggiata da Isabella, che il suo amore Troilo Orsini ricevette un incarico particolarmente importante ed ambito da tanti.
Nel 1567 si recò in Germania con il prestigioso compito di rappresentare i Medici alle nozze del cugino di Giovanna, il duca di Baviera (Alberto V sposava Anna d’Austria), che l’aveva a sua volta scortata a Firenze appena un anno prima.
Era questo il genere di incarico che Troilo desiderava perché gli offriva la possibilità di ricevere doni, stringere rapporti e coltivare la propria immagine in un largo scenario europeo.
Isabella aveva cercato più volte di realizzare i desideri del compagno  quando si presentavano le occasioni opportune.
Nel gennaio del 1567 Troilo raggiunse Mantova, in qualità di rappresentate della duchessa Isabella, per portare una missiva indirizzata alla duchessa Eleonora d’Austria moglie del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga..
Gl’ho commesso et venga a basarli la mano in mio nome et così di
quella, come della singolari osservanza mia verso lei.
Supllico  che li presti intera evidenza
Il nuovo incarico in Germania era molto prestigioso e ci vollero numerosi stratagemmi, da  parte di Isabella, per far si che la scelta del rappresentante cadesse proprio su Troilo.
L’uomo non aveva infatti una formazione diplomatica e non era nemmeno fiorentino.
Sicuramente non fu scelto da Federico I ma piuttosto da Giovanna dietro le insistenze e le indicazioni di Isabella.
 I rapporti tra Federico I e la moglie Giovanna non erano dei migliori dato che veniva anche esclusa dalle questioni politiche. La donna aveva però la sua voce nelle questioni che riguardavano la sua terra d‘origine e probabilmente, sfruttando questa prerogativa, aveva scelto proprio Troilo.
Comiso I probabilmente sorrise sulla scelta di Troilo e capì che c’era l’influenza nell’incarico sia della nuora che della figlia assecondando la decisione.
Francesco I  invece fu molto irritato dalla scelta e fece redigere dal segretario di corte, Bartolomeo Concino, una lunga lista di istruzioni su come comportarsi ad ogni passo del viaggio, rivolgendosi a Troilo con il “tu” come a ribadire la propria posizione di superiorità su un suddito che non gli era molto simpatico.
La questione secondo il segretario Concino era la precedenza…”Avvèrtiti soprattutto che se fusse personaggio per il Duca di Ferrara, non gli cediati in modo altro né pubblico o privato….. per non pregiudicare al possesso che habbiamo della precedenza”.
Che significa ?
In tutte le corti, sia della penisola che d’Europa, c’erano dei rappresentanti fiorentini e ferraresi che  litigavano per ottenere la precedenza nelle processioni, negli incontri con i capi di Stato, oppure a tavola.
Troilo svolse in modo brillante il suo prestigioso incarico di rappresentante alle nozze tedesche del cugino di Giovanna d’Asburgo, tanto che due anni dopo gli fu affidato un incarico politicamente più delicato.
Nell’aprile del 1568, fu inviato alla corte di re Carlo IX di Francia con il preciso incarico di “congratularsi con la Sua Cristianissima Maestà per la vittoria contro il principe di Condè”.
In realtà il motivo del suo viaggio in Francia era quello di congratularsi con Carlo IX e la madre Caterina de’ Medici per la sconfitta inflitta agli ugonotti a Jamac, nell’ambito delle guerre di religione tra la corona e i protestanti rivoltosi. Tra le lettere affidate a Troilo, una era di Cosimo I nella quale il duca non si limitava alle semplici congratulazioni ma s’impegnava ad offrire un aiuto militare alla Francia
Invieremo un contingente di 2000 fanti della nostra milizia e
100 cavalieri…. così da spargere il nostro sangue, poiché v’è bisogno di
sopprimere ed estinguere quei ribelli sedizioni e nemici
Sicuramente  Cosimo I, nell’interesse dei Medici e nel suo ruolo di sovrano, capì che era opportuno mostrare in questa guerra un sostegno alla corona francese.
Qualche mese dopo gli ugonotti subirono un’altra forte sconfitta a Montcontour e Troilo fu nuovamente inviato a Parigi con il compito di portare non solo le congratulazioni per la nuova vittoria ma anche le felicitazioni per le recenti nozze di Carlo IX.
Il re francese  sposò Elisabetta, figlia dell’imperatore Massimiliano II e di Maria d’Asburgo e infanta di Spagna, nipote di Giovanna d’Asburgo. (Massimiliano II era fratello di Giovanna d’Asburgo).
Giovanna d’Asburgo richiese personalmente a Cosimo I, da parte della nipote, di inviare il suo medico Filippo Cauriano per assisterla alla corte francese.
Fu in questa missione a essere immortalata in un dipinto che fu simbolo degli antichi rapporti tra la Francia e il Casato dei Medici.

(dipinto di Anastasio (Anastagio) Fontebuoni
(Firenze, 1571; Firenze, 1626)
(Misure (188 x 233) cm
Nel quadro Caterina de’ Medici e Carlo X, il ragazzo con il bastone
(Molti indossano  abiti blu e oro, perché questi erano i colori araldici
francesi all’epoca. Anche Troilo, nella sua funzione di ambasciatore,
è vestito con armature e colori francesi.

Triolo s’inchina a Caterina de Medici, ancora sovrana di fatto, e le porge le congratulazioni per le nozze.  Il cavaliere era molto amato dalla corte francese e in particolare da Caterina e dal suo figlio prediletto Enrico, tanto che a volte i soggiorni oltralpe si prolungavano più del previsto.
Isabella era infelice nel separarsi dall’amante in queste missioni diplomatiche  ma alla fine capiva che era una necessità. In fin dei conti Troilo  stava diventando un personaggio importante nelle corti europee, più di suo marito,  e il merito era soprattutto suo.
 Dal 1564 Isabella aveva quindi una relazione clandestina con Troilo e tutti a corte ne erano a conoscenza. Malgrado questa situazione scabrosa, che avrebbe  primo o poi causato un intervento di Paolo Orsini e non si sa in che misura, la donna continuava la sua normale vita di corte con una posizione di rilievo nella scena politica del padre.
Ridolfo Conegrano, cavaliere ed ambasciatore del duca di Ferrara Alfonso II d’Este a Pisa, riportò l’accoglienza ricevuta dall’arciduca Carlo Francesco II d’Austria, fratello di Giovanna.
Un ricco cerimoniale perché l’Arciduca fu accolto da Francesco I, da alcuni nobili a cavallo e da contingenti militari. Tutti schierati alla Porta Prato di Firenze per poi proseguire per Palazzo Vecchio…..
Stava S. A. (Comiso I) aspettandolo. In una camera a terrobe con la
Sig. Donna Isabella e cinquanta gentildonne delle prime della
città, vestite tutte di drappi d’oro di seta e ricami di gioie.
S.A. vestita d’una sottana che il fondo era il velluto nero, tutto
ricamato  d’oro e argento.
Sig. onna Isabella vestita tutta di bianco et oro drappo con ricami
e gioie infinite e perle bellissime al collo, tanti riccamente vestita
e con tanta garbura che non si potea descriver più
 La famiglia de’ Medici nei suoi ricevimenti a Corte dava l’impressione di essere una famiglia unita anche per motivazioni politiche.
In realtà ognuno procedeva nel suo cammino di vita in maniera indipendente e solo il rapporto tra Isabella e il padre era un’eccezione perché tra i due c’era un grande dialogo.
Cosimo I de’ Medici aveva perso la moglie Eleonora di Toledo il 17 dicembre 1562 e da allora non si era risposto.
Le cronache  citarono  Cosimo I come un donnaiolo e certamente avrà avuto le sue fughe amorose.

12. Eleonora degli Albizzi e Cosimo I

Cosimo I nel 1565, tre anni dopo la morte della moglie, ebbe un forte legame amoroso con  una delle tante cortigiane, Eleonora degli Albizzi. Siamo nel 1565, Eleonora essendo nata nel 1543 aveva 22 anni mentre Cosimo I, nato nel 1519, aveva 46 anni. Tra i due  circa 24 anni di differenza….. mentre scrivo mi sfugge un sorriso… forse un giorno svelerò il motivo dato che mi resta poco tempo da vivere....

Un commentatore dell’epoca riferì che Eleonora degli Albizzi era allora ancora vergine e il duca la portò nelle sue stanze all’insaputa del padre di lei.
Eleonora era figlia di Luigi degli Albizi ( Albizzi) e di Mannina Soderini, due famiglie patrizie entrambe di Firenze.

Famiglia Albizzi originaria della Germania
e giunti in Toscana verso la fine del XII secolo


Firenze – Palazzo degli Albizzi
(Borgo degli Albizi, 12)



Il padre Luigi, alle prese con una grave crisi finanziaria, diede subito il suo parere favorevole alla relazione che in città “non era un segreto per nessuno”.
Eleonora, giovane e bella ragazza, si sentì molto lusingata dall’attenzioni del prestigioso signore di Firenze e certamente provò l’ebrezza del potere, subendo il ricco fascino della corte medicea e rimase abbagliata dall’eleganza e dalla raffinatezza di quel mondo inaccessibile visto anche le precarie condizioni economiche del padre.
 Un padre coscienzioso avrebbe dovuto cercare di ostacolare quella relazione ma probabilmente subentrò nell’uomo la visione di un regalo “del cielo” per i suoi problemi finanziari che avrebbero potuto essere risolti con il nascere di questa assurda parentela.
Alla base della relazione c’era anche un elemento importate legato alla vedovanza di Cosimo I e nulla quindi poteva ostacolare un possibile matrimonio con la ragazza.
Incominciarono a vivere insieme e ben presto la ragazza rimase incinta e nel 1566 nacque una bambina.
Isabella come Francesco non era entusiasta  del matrimonio del padre  tuttavia, come madre di una bambina appena nata, la madre meritava qualche riguardo.
Eleonora dopo poco tempo s’ammalò ed Isabella andò a trovarla insieme al padre e al medico di corte.
Raccontò a Francesco, che si trovava a Poggio Caiano
Arrivai qui a ore ventidua e trovai Donna Leonora che non stava troppo
bene, con febre e pondi (perdite)…
La putta stava benissimo
La salute della bambina stava a cuore ad Isabella. Nella lettera aggiunse in un post scrictum
Hora che siano a hore 12 a me pare che stia assai male con
tutto ciò poppa bene
 
Eleonora si riprese ma la bambina morì poco dopo e il suo nome non è noto.
Il duca era profondamente innamorato? Probabilmente vide nella ragazza il rifiorire di una seconda giovinezza favorita anche da un amore profondo. Infatti la nascita della bambina fece nascere nel duca un entusiasmo ancora maggiore tanto da meditare di rendere ufficiale la loro relazione, che non era un segreto per nessuno, e di sposarla.
Dopo la morte prematura della bambina il duca colmò di attenzioni e delicatezze la sua giovane amante, un amore profondo, organizzando per lei delle feste e anche delle battute di caccia per distrarla e cercare di farle tornare la serenità.
Andò oltre perchè gli garantì un vitalizio perpetuo di 1000 scudi per porla al sicuro da eventuali difficoltà,
La corte medicea, il figlio Francesco I, Ferdinando (cardinale) .. Isabella  accettarono questa relazione del padre  ?
Il figlio Francesco I, il futuro granduca, non accettò questa relazione e soprattutto l’idea di un possibile matrimonio tra i due e  Guglielmo Enrico Saltini nel suo testo “Tragedie Medicee Domestiche 1557 – 1587” scrisse che il figlio
Apertamente fece al duca rimprovero di queste sue debolezze”




Il duca scoprì che la sua relazione non era più “segreta”, difficile pensare il contrario vista l’importanza del personaggio.  Accusò Sforza Almeni, il suo fidato servitore, di aver rilevato le sue confidenze e dopo un forte confronto lo pugnalò al cuore in Palazzo Vecchio. Il duca aveva perso letteralmente la testa vivendo il suo amore per Eleonora.
Dopo la nascita della bambina, il cronista Agostino Lapini riferì..” A’ di 22 maggio 1566, in mercoledì, fu morto Sforzo perugino, che era il primo cameriere che avessi il duca Cosimo de’ Medici, et il più favorito, che fu la vigilia dell’Ascensione, dicesssi che l’ammazzò il suo patrone, per aver scoperto un non so che segreti di grand’importanza”
 Lo Sforza in realtà aveva informato Franceso I dei progetti nuziali del padre. Una rivelazione sicuramente legata al tentativo di guadagnarsi la fiducia del figlio del duca pensando al momento che sarebbe succeduto al padre. Cosimo I intuì la fonte della rivelazione e il camerlengo, venendo a conoscenza delle ire del duca, pregò lo stesso Francesco ed Isabella di intervenire in suo favore. Nessuno dei due si sentì in dovere d’intervenire per difenderlo.  Lo Sforza cercò di calmare il suo padrone con la dolcezza, ma il duca sguainò la spada e gridando “Traditore,,, Traditore” lo colpì al cuore.
Cosimo addirittura disse di essersi dispiaciuto per aver concesso allo Sforza “l’onore eccessivo di essere ucciso di propria mano”.

Firenze – Palazzo Sforza Almeni
Posto tra Via de’ Servi e Via del Castellaccio


Lo stemma dei Medici di Toledo posto all’angolo del Palazzo Sforza Almeni
(Cosimo I de’ Medici ed Eleonora di Toledo) 
È u palazzo cinquecentesco forse progettato da Bartolomeo Ammannati per
Piero d’Antonio Taddei ed eretto in un’area confinante con il tiratotio
dell’Aquila. Fu confiscato da Cosimo I alla famiglia Taddei per la sua
opposizione al regime mediceo. Fu quindi donato dal duca al suo coppiere Sforza Almeni che intervenne sulla struttura arricchendola di decorazioni pittoriche su
tutto il prospetto principale. La decorazione fu realizzata da Cristoforo Gherardi con
l’importante collaborazione di Giorgio Vasari in base ad un progetto e a dei disegni
che furono forniti dalla stesso Vasari nel 1555 circa.

Il Vasari preoccupato della possibile perdita dell’opera “per essere all’aria
e molto sottoposta ai tempi fortunosi” li riportò nella sua opera “Vite”.
Un disegno costituito da un complesso sistema iconografico che
“conteneva tutta la vita dell’uomo dalla nascita per infino alla morte”.
Giovanni Cinelli Cavoli (?) nel XVII secolo annotò, visitando il palazzo che le
pittura era in cattivo stato “ "ma questa da un certo punto in qua ha ricevuto grandissima ingiuria dall'inclemenza dell'aria, onde non più si gode come mi ricordo averla meno di 30 anni sono diligentemente osservata per esservi le sette arti liberali dipinte"…. “ nel cortile vi cono L’ORDINE  E L’INGANNO statue bellissimi i capelli
de’ quali sono fatti con grand’arte da Vincenzo Danti scultore rinomato”.
Scultura che oggi si trova nella sala di Michelangelo al Museo del Bargello.

Una  meravigliosa opera in marmo dello scultore manierista Vincenzo Danti.
Fu realizzata nel 1561 proprio per Sforza Almeni, camerlengo di Cosimo I de’ Medici.
Non si sa il motivo per cui l’Almeni abbia commissionato questo tema per la
scultura, forse per un episodio della sua vita. Non si hanno neppure rifermenti che permettano
di comprendere come le due figure rappresentino “L’Onore e l’Inganno”. Il riferimento
è legato alle notizie che il Vasari ci fornisce nel suo testo “Vite”.
Infatti il critico letterario Ferdinando Ranalli, nel suo commento alle note del Vasari
in merito alla scultura, riferì nell’Ottocento che “ "per sapere che quelle due figure sono l'Onore e l'Inganno è proprio necessario che alcun ce lo dica".
L’opera fu ricavata da un unico blocco di marmo e s’ispirava all’opera di Michelangelo,
la Vittoria, nel Palazzo Vecchio di Firenze.
La figura vincente, l’Onore, schiaccia l’Inganno con un ginocchio sottomettendolo
in segno di vittoria, così come accadeva nella scultura michelangiolesca, la cui posa è ripresa da Vincenzo Danti che però stempera notevolmente la vigoria di Michelangelo trasformandola in una più elegante "tortuosità" manierista, con il corpo dell'Onore nettamente incurvato e dalle membra più slanciate.



All’interno in una sala una volta affrescata forse dal Vasari
“Sala delle Allegorie”
 

Lo Sforza Almeni era stato al servizio del duca per ben ventiquattr’anni.
Nel 1567 Eleonora diede alla luce un bambino che fu battezzato con il nome di Giovanni. La nascita del nascituro mise in agitazione la corte medicea  perché si delineavano dei potenziali pericoli nell’assetto ereditario. Infatti Cosimo I legittimò il bambino legalizzando la sua nascita… ancora una volta riuscì ad imporre la sua volontà.
Il comportamento del duca nei confronti della sua amata cominciò a declinare probabilmente alla base c’erano forse le continue diatribe familiare sulla relazione.
La nascita del bambino, a cui non mancava l’affetto paterno,  non servì a consolidare ulteriormente l’unione di coppia perché l’interesse di Cosimo I per la donna cominciò a diminuire. La causa di questo grave mutamento sentimentale fu forse anche legato all’intervento di un personaggio decisamente importante nella scena politica del tempo: papa Pio V.
Il papa dichiarò di continuo le sue rimostranze contro questo legame che definiva “irregolare” aggiungendo la minaccia di non dare seguito alla tanto agognata nomina a Granduca tanto desiderata  dallo stesso Cosimo I.
Le nozze con Eleonora degli Albizzi svanirono e lo stesso Cosimo, senza perdere tempo, s’infatuò di una nuova giovane donna, Camilla Martelli.
La separazione da Eleonora fu sancita con un contratto  matrimoniale che garantiva a Cosimo I la massima libertà e la donna fu costretta a sposare un nobile fiorentino, Carlo Piantacichi.
La storia è veramente intricata perché il Piantacichi era  stato condannato a morte per un omicidio.  Si riuscì con l’inganno a fare cadere le accuse sul Piantacichi  e in cambio fu costretto ad accettare le nozze con Eleonora ricevendo anche una dote di 10.000 scudi.
Cosimo I donò “ come risarcimento alla sua ex amante” una cintura di rubini e perle con al centro uno zaffiro bianco.
Dal matrimonio nacquero tre figli ma per Eleonora la vita riservò ancora dei forti dolori.
Nel 1578 il marito Carlo l’accusò di adulterio e la costrinse a rinchiudersi nel monastero di Fuligno a Firenze.
( E’ l’ex convento di Sant’Onofrio detto anche delle monache di Foligno. Era chiamato di “Fuligno”  perché apparteneva alle monache francescane provenienti dall’Umbria che l’occuparono a partire dal 1419  mentre in precedenza aveva accolto le suore agostiniane. Nel convento il prezioso dipinto dell’Ultima Cena di Pietro Perugino (Città della Pieve, 1446 – Fontignano, 1523)




Ultima Cena di Pietro Perugino

Nel convento la donna subì molte prepotenze ed ingiustizie.
Nel 1616 Francesco Renzi, agente di Don Giovanni de’ Medici (figlio di Elenora e Cosimo I) a Firenze, scrisse più volte al suo padrone lamentandosi del comportamento di Carlo Piantacichi e del figlio Bartolomeo…
“huomo oggi ozioso et in parte bisognioso ma non di pensiero”
si presentò al convento obbligando la madre a pagare i suoi debiti.
Nella lettera il Renzi riportò il triste commento della donna ormai abbandonata
“non vol più sapere de fatti sua che quel poco che ha stare in questo mondo ci vuol vivere quieta”


Nei confronti della famiglia Piantacichi furono intraprese delle azioni per il recupero della dote.
Fu il figlio Giovanni de’ Medici ad aiutarla e sostenerla, denunciando anche i soprusi di cui era vittima.
In una lettera scritta a Maria Cristina di Lorena de’ Medici, sempre nel 1616, Don Giovanni scrisse
“Mia madre […] è ridotta in età quasi decrepita a esser molestata et maltrattata da chi ella ha procurato levar del fango. […] Saprà adunque V. A. S. che Bartolommeo Panciatichi, non huomo ma peggio che animale senza ragione, pretende da essa signora mille impertinenze, et dopo haverla infinite volte ingannata, con inganni vergognosissimi per ogni vilissimo plebeo aggiratore, la vuole hora, con donazioni surretizie, molestare, perchè ella non possi far…  del suo quel che gli piace”.
 
Negli anni la situazione non migliorò e il 19 ottobre 1620 il Renzi scrisse nuovamente a Don Giovanni de’ Medici ipotizzando che la madre fosse stata avvelenata
“Harivò poi il medicho di S. S. Ill.ma [Eleonora degli Albizzi] m.re Benedetto Mattonari, il quale la visitò et gli trovò una gran febbre con un polso alterato assai et domandò quello che gli era venuto; trovò che laveva vomitato et presa la febbre con il freddo. Io dubitai di veleno perchè uno male così alli in proviso mi parve cosa grande”.
Riuscì a sopravvivere al presunto avvelenamento perché Eleonora morì , nonostante i dolori provati di continuo, a Firenze il 19 marzo 1634… aveva 91 anni… nel monastero visse 56 anni…..
Il figlio di Eleonora degli Albizzi e di Cosimo I de’ Medici prese, come abbiamo visto, il nome di Giovanni  in memoria di un figlio del duca che portava lo stesso nome a cui Isabella era molto affezionata.  La donna per lasciare sempre vivo il ricordo del fratello nella sua unicità, lo chiamava Nanni. Il ragazzo rimase nella famiglia de’ Medici  e intraprese la via diplomatica.

Giovanni de’ Medici

Giovanni de’ Medici (figlio illegittimo)
Artista: Bronzino v.s.
Datazione: 1551 circa
Pittura: olio su tavola – Misure ?
Collocazione: Museo d’Arte di Toledo

Giovanni de’ Medici
(Artista: Bronzino v.s.
Datazione: 1550/1551


Giovanni de’ Medici (figlio naturale di Cosimo i)
Artista: Giorgio Vasari
Datazione: 1573-75
Collocazione: Staatliche Museen, Gemaldegalerie - Berlino

.........

13. Le Gravidanze di Giovanna d’Austria

Altre nascite  si verificarono a distanza di poco tempo nella casa de’ Medici.
Giovanna d’Asburgo moglie di Francesco I, smentendo coloro che la definivano “troppo  esile per procreare”, nel settembre del 1566 annunciò una gravidanza di tre mesi. Isabella sfruttò la notizia a suo vantaggio scrivendo al marito Paolo Giordano, che desiderava il suo trasferimento a Roma, di dover restare a Firenze per il parto della cognata che sarebbe avvenuto alla fine di marzo.
Ma nel febbraio del 1567 Giovanna mise al mondo una bambina a cui fu dato il nome di Eleonora.
Giovanna ebbe altre due figlie femmine negli anni successivi ma entrambe vissero solo qualche mese.
La figlia maggiore non stava bene e la madre era molto preoccupata.
Nel settembre del 1570 si trovava a Siena assieme al marito mentre la piccola Eleonora, di tre anni, era rimasta a Firenze con le balie.
La bambina prese la varicella e volle che fosse un parente a lei vicino a curarla.
Disse al suocero
Io ne scrivo un motto ancora alla S. ra Donna Isabella, acciò si contenti
di ricerverla in casa sua
Isabella assicurò la cognata di essere “pazza di allegrezza” alla prospettiva di prendersi cura della nipotina.
Isabella scrisse al fratello Francesco per informarlo sulle cattive condizioni della figlia ricevendo una laconica risposta che dimostrava la sua mancanza d’educazione:
el male che V.E. mi scrive esser venuta alla mia puttina, me è di quel
dispiacer che la su può imaginare. Ma poi che non è di rimedio a quello
che ordine S. Divina M.tà, bisogna che noi ci conformiano con voler suo
 
Francesco era molto adirato con Giovanna…… perché non gli aveva dato alla luce un figlio maschio…
Lo stesso Francesco non nutriva grandi sentimenti nei confronti delle figlie ma Giovanna aveva provato con ben tre gravidanze a darle un figlio maschio.
In merito ad Isabella  nel frattempo nessuna gravidanza e la mancanza di prole dal matrimonio con l’Orsini era un mistero.
La donna aveva avuto  degli aborti spontanei nel 1561 e nel 1562, ma da allora nessun nuovo segno di gravidanza.
Nel 1564 Ridolfo Conegrano riferì
Si tien certo che la S.ra Donna Isabella sia gravida ancora lei dice
 non esser vero
mi disse che non sapeva se fusse et se non fusse
in realtà Isabella non voleva restare incinta in un periodo in cui l’Orsini era a Roma e Troilo a Firenze.
C’erano delle cattive dicerie sul conto che circolavano in città e che potevano destare qualche preoccupazione…
Ella hebbe senza il marito die figliole femmine, le quali furono mandate
allo spedale degli Innocenti.
 Erano delle dicerie dato che probabilmente  alla base della mancata gravidanza di Isabella c’erano dei problemi fisici ai quali bisogna aggiungere l’intesa vita notturna e le continue cavalcate.
Se avesse voluto di proposito evitare una gravidanza avrebbe potuto adoperare quei numerosi contraccettivi a cui faceva riferimento un testo scritto dal senese Pietro Mattioli e che era stato pubblicato a Firenze nel 1547.
Il Mattioli sosteneva che l’erba ruta “fa ella anchora orinare… e caccia il vento.. e spegne le fiamme di Venere.la radice e’l seme di Lbistico (Ligustico) sono di quelle cose, che scaldano, di  modo che provocano i mestrui. L’elaterio provoca .. i mestrui… ammazza il fanciullo nel ventre della madre”.
Secondo il Mattioli un medico di sua conoscenza si era arricchito vendendolo. Tra le altre  erbe figurava il puleggio che “provoca bevuto i mestrui, il parto e le secondine”.

Pietro Andrea Mattioli
(Siena, 12 marzo 1501; Trento, 1578)
Umanista, medico e botanico
(Arista; Alessandro Bonvicino/Buonvicino
Detto il Moretto o Moretto di Brescia
1498 circa – 22 dicembre 1554
Pittura: olio su tela – Datazione; 1553
Misure (84 x 75) cm
Collocazione: Musei di Strada Nuova – Palazzo Rosso – Genova

Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de medica materia.
Venice: Vincenzo Valgrisi, 1554.



Nel 1588 papa Sisto V emise una bolla che decretava “le pene più severe per coloro che procuravano veleni per sopprimere e distruggere il feto concepito… che con veleni, pozioni e malefici inducono nelle donne la sterilità…. E la stessa pena dev’essere inflitta a coloro che offrono pozioni e veleni di sterilità alle donne e producono impedimenti al concepimento del feto e si sforzano per compiere tali atti o in alcun modo li consigliano, e per le donne stesse che volontariamente assumono tali pozioni”.
L’emanazione della bolla metteva in evidenza come le donne erano numerose nel ricorrere a questi contracettivi.
Erbe dal potere contraccettivo che erano disponibili nelle botteghe degli speziali d’allora e  Isabella era un ottima cliente.

Affresco di una farmacia (Magister Collinus, secc. XV-XVI), Castello di Issogne, Val d’Aosta 

Uno dei conti pagati dal padre Cosimo I per  la figlia Isabella ammontava a ben 200 scudi che erano destinati a “Stefano Rosselli e compagni speziali”.
Isabella sin da bambina era stata ricoperta da continue attenzioni da parte dei medici di famiglia anche per i problemi fisici più leggeri come un piede gonfio, un mal d’orecchi o di denti. I rimedi di questi malanni venivano acquistati nelle spezierie.
I suoi acquisti potevano anche comprendere però delle “pozioni” d’altro genere.
Quando Paolo Giordano Orsini ed Isabella erano fidanzati, l’uomo esortò la fidanzata a non seguire l’esempio della sorella Felice che …non sa fare se non figlie femmine”.
Più volte l’Orsini aveva intrapreso il discorso su un erede con piccole frasi….m’aspetto un piccolo corpetto nel vostro corpo” o ancora..”immagino si trattasse di un Girolamino (dal padre Girolamo) o “di un Paolino”.
Erano passati ben 10 anni dal loro matrimonio e cominciò ad essere ansioso per la mancanza di un erede.
Nell’agosto del 1569 si trovava in Toscana, presso l’abitazione di Passignano, vicino a Firenze, dove si fermava per le battute di caccia. 
 

Passignano sul Lago Trasimeno

Scrisse alla moglie invitandola a raggiungerlo anche per metterla incinta…. impresa difficile visto le numerose assenze.
Isabella rispose al marito dopo… tre giorni..
Aveva letto la sua lettera  e gli chiese
Lo prego a scrivermi più chiaro accio che le posso fare tutto quello
che potrò et saprò come servire.
Noi siamo a Cerreto et ci staremmo tre o quattro giorni secondo che dice
il duca mio signore, il quale sta bene et vi si raccomanda. Io sto bene della
mia denti ma male del animo perché sto senza la mia dognina la quale
adoro (forse la sedicenne Leonora). Si fanno assai belle cacce di starne
et lepri et il resto del tempo si gioca a picchetto (gioco a carte)
 
Cerreto Guidi era una delle mete preferite da Cosimo I che si vantava come “ le caccia di Cerreto le quali so, veramente così belle et dilettevoli che più non si può desiderare dove et con l’uccello et con li cani s’è amazzate tante starne, lepre, caprij et rufolatti (piccolo cinghiale) che ciascheduna sera si tornava a casa carichi di preda. So che quando ella… verrà da queste bande passerà il tempo forse più allegramente che in quella Campagne di Roma perché qua si gode in un tempo con la vista il salvatico et il domestico”.

Cerreto Guidi

Isabella era molto furba e finse di non capire quello che le chiedeva il marito…
Cerreto Guidi non era molto distante da dove si trovava l’Orsini e la principessa non ebbe la minima intenzione di raggiungerlo e nemmeno lo invitò ad unirsi alle loro battute di caccia. Voleva  evitare in ogni caso una gravidanza ma d’altra parte adoperava un contraccettivo naturale molto efficace e migliore di quello venduto dagli speziali….. la lontananza.

Isabella de’ Medici
Artista: Scuola di Alessandro Allori (1535-1607)
Datazione: 1570-74
Collocazione: Carnegie Museum of Art  - Pittsburg
 

14. Camilla  Martelli

Camilla Martelli
Artista: Alessandro Allori
Datazione: 1570
Collocazione: Uffizi, Firenze
Il garofano rosso sul corpetto, simbolo del matrimonio
 

Subito dopo la burrascosa separazione dalla compagna Eleonora degli Albizzi, Cosimo I de’ Medici s’innamorò di Camilla Martelli.
 Era nata a Firenze il 17 ottobre 1547 e figlia di Antonio di Domenico e della sua seconda moglie Fiammetta di Niccolò Soderini.
Anche lei, come Eleonora degli Albizzi, era molto più giovane di Cosimo I con una differenza di 26 anni.

Vurginia Martelli (?) (figlia di Camilla Martelli e di Cosimo I de' Medici)
(Artista: Alessandro Allori
Firenze, 31 maggio 1535; Firenze, 22 settembre 1607

Collocazione: Museo d’Arte di Saint Louis (USA)
Cornice a “cassetta” profilo trabeazione toscana fine XV – inizi XVI secolo;
con arabeschi dorati in fregio, pacco dorato e dipinto di nero.
 
(La cornice a “cassetta” è costituita da un telaio rettangolare piano, ai bordi del quale, sia all’interno che all’esterno, vengono applicate delle modanature. La modanatura interna, detta alla battuta, sopravanza leggermente il telaio per trattenere il dipinto, quella esterna, detta al profilo, ha soltanto una funzione decorativa e di chiusura; la parte di telaio rimasta libera prende il nome di fascia. Le modanature al profilo e alla battuta possono prevalere l’una sull’altra, così da costituire due tipi caratteristici: cornice alta al profilo e cornice alta alla battuta).
Pittura: Olio su pannello – Datazione: 1570 circa
Misure (27 x 23) cm
Lascito al Museo di Saint Louis di Mary Plant Faus

Il quadro ha una sua storia di vita ricchissima ed affasciante così come
la nobildonna che rappresenta.
Il quadro aveva un suo titolo “Ritratto di Dama”. Un dipinto risalente al 1570 circa che
esprime  la ricca espressione del manierismo fiorentino. Il Museo di Saint Louis
ricevette il quadro come lascito di Mary Plant Faust nel 1966.  Gli operatori del Museo  si dedicarono
al dipinto con restauri accompagnati da ricerche ed anche da indagini tecniche.
Attività che furono svolte nel 2012 da Claire Winfield, conservatrice di pittura e da
Winfield e Judith Mann che erano curatori dell’arte europea fino al  1800.
Durante gli interventi di restauro il dipinto rilevò delle sorprese sia sull’artista che sulla
stessa opera. Il quadro presentava dei danni causati dall’umidità che aveva creato
delle creste verticali. La “pennellata” del dipinto e i suoi colori vibranti erano stati
rovinati (“oscurati”) da una vecchia vernice sintetica che era diventata nel tempo grigia
ed opaca. La vernice fu rimossa e emersero nel dipinto nuovi dettagli.
Diverse aree, soggette a modica dell’artista, diventarono visibili. Con l’uso della
riflettografia a infrarossi furono rilevate delle modifiche. La mano destra della Dama
fu ridisegnata e spostata… perché questo spostamento ?
Per aggiungere un ricco e grosso ciondolo sulla collana.

Il restauro rilevò un’altra scoperta. La  Dama o modella, fu identificata come Camilla
Martelli de’ Medici, prima amante e poi moglie  di Cosimo I de’ Medici.
Camilla godette di uno stile di vita molto sfarzoso almeno fino alla morte del marito.
Fu descritta come vanitosa, superficiale e spesso adornata con molti gioielli.
Il prezioso ciondolo quadrato che fu aggiunto nel dipinto nacque dal desiderio dell’Allori
di ritrarre il suo soggetto non solo nei lineamenti e nel lussuoso abbigliamento ma anche
nel voler immortalare l’attenzione della donna ai beni terreni.
C’è da dire che il quadro in origine fu attribuito ad un altro pittore. Agnolo
Bronzino, anche lui manierista, e quasi contemporaneo dell’Allori (tra i due
pittori circa trent’anni di differenza dato che il Bronzino era nato a Monticelli di
Firenze nel 1503.  Fu ricercata la storia sulla proprietà del quadro e fu trovata anche una
fotografia  del ritratto, scoperta da Mann, che presentava un’annotazione nella
quale si attribuiva l’opera ad Alessandro Allori.

(Secondo il mio modesto parere si dovrebbe trattate della figlia di Camilla, Virginia)

La Provenienza del quadro
 
- 1855
Comte James Alexandre de Pourtalès-Gorgier (1776-1855), Paris, France
1865/03/27
In the sale of “Galerie Pourtalès: Tableaux Anciens et Modernes,” Paris, France
Sedelmeyer Gallery, Paris, France
By 1898 -
Rodolphe Kann, Paris, France
By 1905 - 1926/05/18
Wildenstein & Company, Paris, France; New York, NY, USA
1926/05/18 - 1996
Leicester Busch Faust (1897-1979) and Audrey Faust Wallace (1902-1991); St. Louis, MO, by regalo; Mary Plant Faust (1900-1996), St. Louis, MO, by eredità
1997 -
Saint Louis Art Museum, donazione of Mary Plant Faust
 
………………………

La famiglia di Camilla Martelli non godeva di una posizione elevata e questo malgrado la loro appartenenza a una ricca e potente casata aristocratica.


Il padre era definito  un povero o miserabile da molti biografi della donna anche se il realtà aveva ereditato nel 1559, dal fratello maggiore Girolamo, vari ed estesi feudi nel territorio pisano.
Camilla studiò presso il monastero agostiniano di Santa Monica.

Chiesa di Santa Monica
La chiesa apparteneva al monastero delle Agostiniane di Santa Monica,
dette dal popolo di “Santa Monaca”, provenienti da Castiglione Fiorentino e che
si erano dovute rifugiare a Firenze durante la guerra tra le milizie fiorentine nel XV secolo.
Il monastero fu donato da Ubertino de’ Bardi nel 1442 perché attribuì alle preghiere della
Superiora (Suor Jacopa dei Gamberini) la grazia di aver avuto figli della propria moglie.
Il de’ Bardi acquistò il terreno, “l’Albergaccio”, vicino via dei Serradi, e vi fece
costruire il monastero che fu dedicato a Santa Monica, madre di Sant’Agostino.
Nel 1447 fu iniziata la costruzione della chiesa, sotto il patrocinio della famiglia
Capponi, il cui stemma è sulla facciata con portale proprio de Quattrocento.
Nel XVI secolo l’edificio fu rimaneggiato con il rifacimento dell’altare, sovrastato
dal quadro della Deposizione di Giovanni Maria Butteri del 1583, e del coro.

Il piano rialzato con le grate dalle quali le monache di clausura seguivano la messa


Nella Basilica di Santi Spirito, di Firenze, nella cappella Bini,
è presente un quadro che raffigura Santa Monica seduta su un trono e
circondata da monache del suo ordine e da due novizie.  La scena
ha alcuni schemi stilistici tratti da Piero del Pollaiolo come il trono che
ricorda quelli delle Virtù per il Tribunale della Mercanzia.
Nella parte inferiore del quadro sono raffigurate le seguenti scene:
Matrimonio di Santa Monica;  Santa Monica che prega per la conversione del
Figlio (Sant’Agostino); Partenza di Agostino per Roma; Santa Monica
parlando con il figlio a Ostia, ha la visione del Redentore; Funerali di Santa Monica.
(Artista; Francesco Botticini
(Firenze, 1446 – Firenze, 1487 –
Datazione del dipinto:  1471 circa
 
Studiò nel convento di santa Monca per un certo periodo anche se le sue lettere scritte nel tempo, autografe nella firma, dimostrarono una scarsa capacità nello scrivere.
All’et di vent’anni circa diventò l’amante di Cosimo I de’ Medici.
Come si conobbero ?
La risposta è legata  allo strano gioco del destino. Fu la precedente amante e compagna, anche se per breve tempo, di Cosimo I, Eleonora degli Albizzi a presentargliela.
Eleonora era cugina, da parte di madre, di Camilla Martelli.
L’Albizzi, che aveva dato a Cosimo I un figlio chiamato Giovanni, fu costretta a sposare Bartolomeo Panciatichi nel settembre del 1567.  L’allontanamento della donna fu di poco posteriore all’inizio del nuovo e forte legame con Camilla da cui nacque, il 28 maggio 1568, una figlia che fu chiamata Virginia.
Quando si conobbero Cosimo I aveva circa quarant’otto anni (Camilla era ventiduenne), era vedovo da cinque anni  e si era ritirato volontariamente dal governo, lasciando gli affari di stato al figlio Francesco I (il primo maggio 1564) riservandosi il titolo ducale.
I genitori di Camilla furono contenti sulla nascita di questa relazione, infatti Cosimo I affermò
Datami con buona gratia del padre et madre
mentre decisamente scontenti furono invece i figli del duca.
In una lettera dello stesso Cosimo I al figlio Francesco apparve chiaro il disappunto del genitore
"Sono un privato e ho preso in moglie una gentildonna fiorentina, e di buona famiglia", 
Il disappunto dei figli aumentò quando nacque Virginia  che fu allontanata dalla corte e mandata in casa di Antonio Ramirez de Montalvo, primo cameriere del duca, che la fece passare per sua nipote.
Cosimo I malgrado si fosse ritirato a vita privata aveva sempre una forte ambizione politica e dinastica e, proprio in quel periodo, stava trattando con il papa Pio V per ottenere il titolo di Granduca della Toscana. (Argomento che è trattato nelle pagine successive).
Nei colloqui confidenziali che precedettero l’incoronazione, il pontefice chiese in modo chiaro al duca d’interrompere il concubinato, ovvero la relazione con Camilla, ma la risposta fu negativa. C’è da dire che un figlio del duca, Ferdinando, era cardinale a Roma.
L’unica via da percorrere per non perdere la nomina di Granduca era quella di regolarizzare la relazione con un legittimo matrimonio. Nulla impediva il negozio giuridico perché Camilla era nubile e lo stesso duca era vedovo.
Tornato a Firenze il 29 marzo 1570, fu celebrato il matrimonio in forma strettamente privata. Erano presenti i genitori di Camilla e il confessore di Cosimo I che officiò la cerimonia.
I figli del duca non erano presenti ?
A quanto sembra la risposta dovrebbe essere negativa. Fa stupore l’assenza di Isabella che in ogni caso era sempre vicina al padre a cui era legata da un profondo affetto.

Virginia de’ Medici
(Artista: Bottega di Alessandro Allori
Pittura: Olio su tavola – Datazione: XVI secolo
Misure  (66,5 x 51,5) cm
Collocazione ?


Virginia de’ medici
Artista: Anonimo
Datazione: 1583
Collocazione: Sconosciuta

Virginia de’ Medici
Artista: Lavinia Fontana (?)
Datazione: 1586
Collocazione: Uffizi, Firenze

Come per sua madre Camilla Martelli, il simbolo di un matrimonio, il garofano rosso, è stato messo nella parte superiore del corpetto del suo vestito. Sullo sfondo a destra vediamo Palazzo Pitti, come appariva negli anni '80 del Cinquecento e in cui Virginia trascorse la maggior parte dei suoi anni come Principessa Medici

Le nozze di Cammilla e Comiso
Affresco nella Casa Museo Martelli
Via Ferdinando Zannetti, 8 - Firenze
 
Il matrimonio  fu morganatico cioè aveva effetti solo religiosi. La moglie veniva esclusa dallo status del marito, dai titoli e dalle prerogative della sovranità.
La notizia del matrimonio  provocò nei figli una grande agitazione.
Particolarmente adirato fu il figlio Francesco. Il padre gli aveva inviato una lettera nella quale dichiarava di sposare Camilla per scrupolo di coscienza e che il matrimonio non avrebbe colpito i diritti patrimoniali dei figli e dei nipoti.
Francesco I, almeno come riportarono le cronache, fu preso tanto conquistato dallo sconforto che si dimenticò di avvertire i fratelli.
Questo accidente mia ha travagliato di maniera che mi sono
dimenticato di me stesso.
una frase contenuta nella lettera che inviò al fratello cardinale Ferdinando che lo rimproverava di aver appreso la notizia dal papa e non dalla sua famiglia.
Anche gli altri figli di Cosimo I, Isabella e Pietro,  criticarono il comportamento del padre e lo attribuirono ad indebolimento senile, opinione che sarebbe stata condivisa dai cortigiani.
Dopo le nozze la moglie trascorse la sua vita lontano da Palazzo Pitti che era la residenza ufficiale della famiglia granducale.

Firenze – Palazzo Pitti – Cappella

Firenze – Palazzo Pitti

 La Martelli infatti abitò nella villa di Castello, nel sobborgo settentrionale di Firenze o in quella di Poggio a Caiano.


Firenze – Villa di Castello
 
Nel periodo invernale la coppia trascorreva lunghi soggiorni a Pisa dove il clima era più mite.
La loro vita era molto semplice dato che il Granduca aveva ridotto il personale di servizio. La moglie  cominciò a concedere ai suoi parenti numerosi favori e onori.
Il padre fu creato cavaliere dell’Ordine di S. Stefano con dispensa delle “provanze” di nobiltà; il cugino Domenico Martelli chiese di essere nominato cameriere di don Pietro de’ Medici, figlio di Cosimo I, ma non riuscì ad ottenere l’incarico.
Ottenne invece la dote per la sorella maggiore Maria, vedova di Gaspare Ghinucci, che si risposò con Baldassare Suarez.
Cosimo I  concesse alla moglie una rendita personale  con la quale comprò nel dicembre 1571 la villa “Le Brache”, nel Comune di Sesto Fiorentino,  non lontana da Villa Castello. La proprietà venne ampliata negli anni successivi con l’acquisti di terre limitrofe.

Villa – Le Brache




Nella loggia degli affreschi tardogotici con storie degli
Argonauti (Giasone lotta con un drago)

Ricevette dal marito vari preziosi doni in gioielli e ornamenti ed anche un mulino nel territorio di Grosseto.
La figlia della coppia Virginia, in seguito al matrimonio fu legittimata, e visse con i genitori.
Appena due anni dopo il matrimonio, la salute di Comiso I cominciò ad avere dei problemi mentre Camilla cominciò ad avvertire degli strani momenti d’insofferenza verso il marito e i suoi disturbi.
 Questo stato di nervosismo determinò dei forti mutamenti sul suo comportamento.
Cominciò ad avere una passione sfrenata sia verso i gioielli che per agli abiti costosi ed elaborati a tal punto che i cognati l’incominciarono a vedere con sospetto e sempre con una maggiore avversione.
Francesco I temendo che la donna stesse approfittando della senescenza del marito per farsi attribuire sempre più dotazioni e regali, fece redigere alla fine di febbraio del 1574 una protesta.
Protesta che fu rogata dal notaio Francesco Giordani  in cui si affermava che
Eventuali provvedimenti del padre in favore di Camilla Martelli o
della figlia Virginia, non sarebbero stati da lui ratificati.
La stesso Francesco I fece spiare Camilla dal proprio segretario Antonio Serguidi che fu inviato a Pisa per informarlo sullo stato di salute del padre.

Palazzo Medici – Pisa

Facciata del palazzo dove sono visibili le strutture portanti medievali

Foto del 1973
Pisa – Palazzo Medici, a sinistra, e la chiesa e convento di S. Matteo
Visti dal lungarno Mediceo
 
Le lettere di Serguidi erano piene di osservazioni malevoli e di critiche per Camilla nei confronti della quale l’ostilità del segretario era incrementata  anche dal contrasto sull’assegnazione di un beneficio ecclesiastico. C’era anche un atteggiamento arrogante che la stessa donna, ritenendosi in modo ingenuo al riparo da ogni pericolo, teneva verso i segretari e gli stessi familiari.
Nel gennaio del 1753 Cosimo I fu colpito da un grave attacco apoplettico che lo paralizzò parzialmente  e gli fece perdere la capacità di parlare e sentire.
Fu portato a Firenze, Palazzo Pitti, dove accudito dalla moglie, trascorse in precarie condizioni gli ultimi mesi della sua vita.
Il Granduca morì  il 21 aprile 1574 e la sua morte determinò nella moglie un repentino mutamento della sua condizione sociale.
La vedova aveva solo ventinove anni e tutti i lasciti e benefici del marito vennero impugnati da Francesco I perché temeva che la donna si risposasse.
Poche ore dopo la morte di Cosimo I, il granduca Francesco I ordinò che la Martelli, con le dame al seguito e le donne di servizio, in totale 14 persone, fossero condotte alla volta del Monastero Benedettino delle Murate.
In questo monastero veniva osservata una stretta clausura a cui le nuove ospiti erano obbligate a conformarsi.

Firenze – Monastero delle Murate

Dalla seconda metà del Quattrocento a per tutto il Cinquecento, il monastero
ospitò le figlie delle più importanti famiglie nobiliari dell’epoca (Sforza,
Gonzaga, Este, Piccolomini, Orsini, Farnese, Da Montefeltro…) diventando
anche un importante crocevia culturale. Nel 1478 ospitò Caterina Sforza,
la madre di Giovanni de’ Medici delle Bande Nere (padre di Cosimo I), che
vi morì e fu sepolta nella chiesa.  Un’altra ospite importante fu
Caterina de’ Medici all’età d’otto anni. Era parente di papa Clemente VII
(cugino del nonno di Caterina) e la bambina si trovò in pericolo durante la
ribellione dei fiorentini contro il governo del cardinale Passerini che era
stato imposto dal papa. La ribellione culminò con l’assedio di Firenze.
La bambina venne accolta e amorevolmente protetta dalle suore dal 1527 al 1539,
quando per volere della Signoria, fu costretta a trasferirsi e tenuta in ostaggio
nel convento di Santa Lucia.  Il papa ricompensò con generosità le
suore del convento Le Murate e la stessa Caterina de’ Medici (successivamente
regina consorte del re di Francia Enrico II) rimase molto legata
al convento. Infatti con atto solenne del 14 giugno 1584 regalò alle suore
una fattoria in Valdelsa che fu detta di “Santa Maria di Lancialberti”.
Nel convento entrarono le figlie naturali di don Pietro de’ Medici, figlio di Cosimo I
e di Eleonora di Toledo, nate in Spagna.

Caterina de’ Medici

Sala delle Colonne

Nel 1557 una forte alluvione provocò una vittima tra le suore. Crollò il muro
dell’orto, la chiesa fu distrutta  furono perdute preziose suppellettili sacre,
quadri e libri. Un busto raffigurante “Maria Col Bambino”, scolpito  da
Desiderio da Settignano, fu salvato miracolosamente e collocato esternamente
sul muro di recinzione sotto un tabernacolo. In seguito gli furono attribuiti
“strepitosi miracoli che favorirono abbondanti elemosine” e consentirono la
costruzione di una nuova Chiesa.

Madonna Col Bambino
Artista: Desiderio da Settignano
Desiderio di Bartolomeo di Francesco, detto Ferro
Settignano, 1430 circa – Firenze, 16 gennaio 1464
Datazione: 1453 circa
Collocazione: Museo Nazionale del Bargello – Firenze

La vita nel monastero era difficile ed insopportabile per la Martelli. Attraverso il padre cercò di ottenere dal granduca una destinazione meno punitiva. Francesco I fu irremovibile ma fu successivamente  informato dal fatto che le suore desideravano  che la forzata convivenza con la donna avesse termine.
Con rammarico ordinò quindi il trasferimento della Martelli.
Il 10 agosto 1574  fu trasferita, con le donne del seguito, nel monastero di “Santa Monaca” dove aveva studiato nell’infanzia.
La vita in questo secondo convento era improntata a regole meno rigide: pur permanendo il divieto di uscire senza licenza speciale del granduca, le monache le permettevano di ricevere visite con una certa frequenza.
Incontrò più volte l’inviato del duca di Ferrara Alfonso II d’Este, Ercole Contile, quando si preparava il matrimonio tra la figlia Virginia e il figlio naturale del duca, Cesare d’Este. Ma l’inattività, la solitudine e le costrizioni che anche la nuova sistemazione le imponevano finirono con colpire la sua salute. Nonostante ciò il rigore non si allentò e la Martelli poté lasciare per breve tempo il monastero solo nel febbraio 1586, in occasione del matrimonio di Virginia e per speciale intercessione di Bianca Cappello, seconda moglie di Francesco I. Quest’ultimo, alcuni giorni prima, aveva preteso dalla Martelli la rinuncia a favore della figlia della villa Le Brache, che aveva acquistato in proprio, e inoltre di tutto quel che le era stato donato da Cosimo.
A maggio del 1586 Francesco I scrisse a Francesco Guerini:
 
 “R. nostro carissimo, Il Cardinale de’ Medici ottenne da Papa Gregorio senza alcuna mia partecipazione, che la signora Camilla Martelli moglie già del Gran Duca buona memoria potessi introdurre nel monasterio di santa Monaca, dove ella si trova, certa quantità di donne vedove maritate et fanciulle, con facultà di uscirne et rientrarvi a ogni sua posta, et con tante altre larghezze, di stanze, et altre comodità, che di monasterio ben stretto, e venerando, si è ridotto con questo concorso di donne, et con questi abusi, a uno scandolo pubblico della città. Onde noi che conosciamo in quanto pericolo stia non solo quella signora che pur fu moglie di nostro padre, ma anco molte fanciulle che ella tiene in sua compagnia, per evitare maggiori scandali ci siamo risoluti di supplicare Sua Santità a farci gratia non solo di revocare, et annullare tutte le gratie et brevi concessi da papa Gregorio alla signora Camilla, et ad altre donne et huomini, fuor dell’ordine della clausura, ma ancora a ordinare al cardinale di Fiorenza, che se bene questo monasterio è sotto la custodia de frati di S. Spirito, lo visiti lui stesso, et ponga remedio a tutti quelli abusi et inconvenienti, che giudicherà necessarij secondo la sua conscientia, et honore di quel monasterio, dicendo a Sua Santità che ci moviamo a domandarle questa gratia et per il zelo dell’honor di Dio, et conservatione di questo venerando luogo, ma anco per quel che con questa larghezza, potessi toccare lo scandolo della buona memoria di nostro padre”.
 
Tornata in monastero mostrò di sopportare peggio di prima la reclusione ed ebbe sempre più frequenti disturbi psichici, tanto che nell’aprile 1587 fu chiesta al papa l’autorizzazione a farla esorcizzare come indemoniata, e nel gennaio 1588 un’ebrea fu accusata di averle fatto fatture e malie. Finché visse Francesco I, tuttavia, le porte del monastero rimasero chiuse per lei. Le cose cambiarono in meglio quando, nell’ottobre 1587, successe a Francesco il fratello Ferdinando de’ Medici, già cardinale, che si era sempre mostrato nei confronti della Martelli meno intransigente del fratello e, in una sua visita nel gennaio 1588, aveva constatato che si trovava «in mal termine di sanità». Le mise pertanto a disposizione la villa medicea di Lappeggi, sulle colline meridionali di Firenze, nella quale la Martelli rimase circa un anno, fino ai primi mesi del 1589.
In questo luogo si tratteneva all’aria aperta, faceva passeggiate e riceveva le visite dei parenti e degli amici, cosa che migliorò notevolmente il suo stato fisico e mentale. Il granduca spinse la sua disponibilità fino al punto di invitarla a esprimere quali fossero i suoi bisogni, invito al quale la donna rispose chiedendo un’udienza privata (lettera del 31 genn. 1589 in Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 5926, c. 220). 

La Peggio di Giusto Utens




Sembra che la Martelli volesse confidare al granduca il desiderio di risposarsi ma egli, intuite le sue intenzioni, le negò il colloquio per questo e le ordinò di far ritorno al più presto nel monastero di S. Monica.
L’ultima uscita della donna dal suo reclusorio avvenne in occasione delle nozze di Ferdinando I de’ Medici con Cristina di Lorena, celebrate a Firenze il 25 maggio 1589, quando fu invitata per alcuni giorni a palazzo Pitti. Sembra che le venissero usate molte cortesie, ma alla fine dei festeggiamenti dovette tornare in monastero. Cadde nuovamente preda dei disturbi nervosi e della depressione, che in breve la condussero a morte.
La Martelli morì a Firenze il 30 maggio 1590 accudita solamente dalla cure delle sorelle del convento e fu sepolta, in forma privata, nella Basilica di in S. Lorenzo. Dieci mesi più tardi morì anche il padre.
“Nei matrimonj di questo genere le donne se non sono maltrattate dal marito lo sono poi da’ suoi parenti”.


Camilla Martelli
La donna è ripresa seduta, riccamente abbigliata in seta e velluto bianco
dorato secondo la moda del tempo. Porta una collana di perle a due giri e
orecchini a goccia, sempre di perle, In grembo tiene un cagnolino.

Camilla Martelli con il figlio Fagoro
(il bambino morì in tenera età)
Artista: Alessandro Allori
(Firenze, 31 maggio 1535 – Firenze, 22 settembre 1607)
Collocazione: Dallasi Museum of Art,
The karl and Esther Hoblitzelle Collection

Medaglia di Camilla Martelli
(Artista: Pastorino de' Pastorini , Pastorino da Siena,
Pastorino di Giovan Michele de'Pastorini –
Pittore, scultore
Castelnuovo Berardenga, 1508 circa – Firenze 1592
Datazione della medaglia: 1684 (?)

CASA MARTELLI  E I SUOI  SEGRETI

La nobile famiglia Martelli era giunta a Firenze dalla Val di Sieve per dimorare in via degli Spadai, vicino al Duomo.  Imparentati con gli Albizzi, si schierarono con Cosimo I de’ Medici. Un’alleanza che sarà la loro fortuna economica.
Vivendo a contatto con la corte medicea finirono con il condividerne anche le dinamiche culturali.
Il famoso scultore Donatello, il cui vero nome era Donato di Niccolò di Betto Bardi (Firenze, 1386; Firenze, 13 dicembre 1466), fu immortalato nei soffitti del palazzo mentre lavorava in bottega per il capostipite Roberto. Sue opere furono anche il famoso stemma Martelli, il sarcofago della famiglia che si trova nella Basilica di San Lorenzo e il famosissimo “David” che era destinato a dare lustro al nobile casato dei Martelli.
David che finì a Washington….
Nel Cinquecento, come abbiamo visto, Camilla Martelli sposò, con nozze morganatiche,  il Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici ma è il Seicento l’anno d’oro della famiglia con una prospera attività legata  ai commerci, alle attività bancarie e finanziarie di vario tipo.
Con il matrimonio dei cugini Marco, figlio di Francesco Martelli e Maddalena Nicolini) e Maria Martelli (figlia di Baccio Martelli Mearguerite Villeneuve dei baroni di Tornet ?) si riunirono tre gruppi di edifici che costituirono un unico e grande Palazzo. Un edificio di ben cinquemila metri quadri posto nell’importante via del Popolo di San Lorenzo.
Nel corso degli anni l’edificio fu più volte restaurato e i saloni abbelliti con pregati mobili e tappezzerie e da ricche collezioni artistiche.
Un importante punto d’incontro  culturale con la presenza anche d’antiquari e commercianti. Passarono i Romanoff, i Demidoff. Numerose opere d’arte giunsero nel palazzo   in eredità, come i paesaggi del ‘700 romano acquistati dall’abate Domenico Martelli,  o in pagamento di debiti (famoso il caso del Marchese del Carpio che andò in rovina a causa dei numerosi debiti di gioco).
Purtroppo con l’unità d’Italia la fortuna dei Martelli si sgretolò anche a causa delle nuove tasse sulle proprietà fondiarie.
La famiglia non potè continuare a prestare denaro e le opere d’arte del palazzo cominciarono ad essere messe in vendita.
Fu così che il famoso “David” di Donatello giunse a Washington, alla National Gallery insieme al San Giovanni di Rossellino, mentre un famoso Cingoli apparve alla National Gallery di Londra e un Velasquez non si sa dove sia.

San Giovanni Battista da giovane
(Arista: Antonio Rossellino
pseudonimo di Antonio  Gamberelli, detto il “Rossellino”
per il colore dei suoi capelli
(Settignano, 1427 – Firenze, 1479


Davide di Donatello
National Gallery of Art, Washington
 
Molte opere furono cedute ma, per fortuna, altre si salvarono grazie all’impegno di alcuni esponenti della famiglia.
Nel 1986 il ramo principale della casata s’estinse e donna Francesca Martelli lasciò il palazzo in eredità alla Curia Fiorentina.
Un lascito legato ad un preciso vincolo….  “la quadreria del palazzo aperta al pubblico almeno una volta alla settimana…”.
Fu una custodia mal risposta… è strano ma mi sembra di rivedere un comportamento legato ad una nobile Fondazione…… dove un amministratore un certo Antonello detto “il pelato”… aveva ben poco rispetto di strutture che risalivano al 1500…

Comunque il palazzo venne abbandonato e per ben dieci anni non fu oggetto di visite anche perché era sempre “chiuso”…. Chiuso in apparenza… dato che era aperto per altre mani… non certamente corrette e rispettose dell’ambiente,  dato che sparirono arredi, vasellame, stampe e medaglie…
Ancora una volta mi ritorna in mente quando questo fantomatico Antonello fece bruciare una bellissima poltrona che era appartenuta ad un marchese e sulla quale era posto un bollino di catalogazione della Soprintendenza………
Quanto rispetto per la cultura…..
Improvvisamente un colpo di scena…. Un quadro della quadreria del Palazzo Martelli, “Veduta di Venezia” di Van Lint, apparve sul mercato antiquario di Sotheby,s……opera che fu identificata e recuperata..



Scattò quindi immediato, sia per l’edificio storico che per l’antica quadreria, il vincolo d’insieme…. Ma il danno era ormai fatto…I trafugamenti furono sospesi……  il patrimonio culturale fu salvato.. il patrimonio doveva appartenere a tutta la città.
La situazione ci complicò perché la questione fu chiusa solo nel 1998 e collegata ad un curioso giro che fu definito “nodo Bardini”.Una situazione che potremmo definire tipicamente italiana…..
Stefano Bardini (Pieve  Santo Stefano, 13 maggio 1836 – Firenze, 12 settembre 1922) era un famoso collezionista d’arte con una fama a livello mondiale.

Il Bardini decise di creare nel suo palazzo, alla fine dell’ottocento, alcune sale per esporre innumerevoli opere d’arte.  Opere esposte per invogliare gli acquirenti, i collezionisti all’acquisto.
Per creare un ambiente adatto allo scopo, fece dipingere le pareti di un blu molto profondo che fu chiamato “blu personale”   per diventare “blu Bardini”.

Firenze – Piazza dei Mozzi- sullo sfondo il Palazzo dei Mozzi.
A sinistra Palazzo Bardini del XIII – XIV secolo


Targa che ricorda la visita di Gregorio X

Una sala del Museo di Palazzo Bardini

Museo Bardini – Sala del Crocifisso

Perché usò questo particolare colore sulle pareti ?
Usò il blu cobalto per fare risaltare le sue opere. Aveva una clientela molto elevata dal punto di vista sociale, non solo italiana ma anche mondiale, e s’era ispirato ai colori dei sontuoso palazzi di Pietroburgo e agli aristocratici russi che vivevano a Firenze, Pisa, Roma.
Aveva preso a testimonianza il magnifico palazzo blu che si trova sul lungarno di Pisa e che nel 1783 aveva ospitato il Collegio Imperiale Greco Russo.

Pisa – Collegio Imperiale

C’è da dire che il colore del Bardini fu usato anche da Nelie Jacquemart, anche lui collezionista d’arte e cliente del Bardini, per il prestigioso museo parigino che ospita le sculture rinascimentali italiane.
Firenze, allora capitale, era una città animata da un grande fermento culturale e sede di uno dei più importanti mercati d’arte anche per la presenza di una vasta nobiltà proveniente da ogni parte d’Italia.
Le trattative del Bardini riguardavano le opere di artisti importanti come il Tiziano, Botticelli, Paolo Uccello. I suoi clienti erano, tra gli altri, il Louvre, l’Hermitage i cui direttori si fermavano nel palazzo  per ammirare le opere d’arte esposte.
A lui si rivolgevano gli storici Berenson ed Home per avere notizie e i clienti collezionisti, per gli acquisti, come Acton, Vanderbilt, Rothschild.
Ogni richiesta avanzata da un cliente  poteva essere esaudita e così per statue, arazzi, dipinti, mobili, tessuti anche rinascimentali.
Un mercato che era favorito da diversi fattori come il decadimento dell’aristocrazia che vendeva le proprietà per avere liquidità, degli ordini religiosi che disperdevano le grandissime ricchezze accumulate in tanti secoli ed anche il terribile vizio del gioco che
colpiva i grandi patrimoni degli aristocratici che finivano con il mettere in gioco anche i titoli nobiliari.
Alla morte di Stefano Bardini l’immenso patrimonio costituito da ville, palazzi e opere d’arte di inestimabile valore, furono lasciate al Comune di Firenze…. Un lascito legato  come segno di gratitudine alla bellissima città rinascimentale che “tanto gli aveva dato come uomo”.
Con l’avvento del fascismo il Comune si comportò come un vero “collezionista d’arte” nei confronti dell’immenso e prestigioso patrimonio che aveva ricevuto in dono. Chiunque volesse abbellire gli uffici del potere, cominciò a saccheggiare, a trafugare a piacimento le stanze dove erano custoditi i tesori artistici.
Il figlio Ugo, una persona molto sensibile anche se le cronache lo descrissero come introverso, rimase tanto ferito dai continui trafugamenti delle opere che compilò un testamento. Morì nel 1965, senza eredi,  e nel suo testamento molto vendicativo affermava che “ha richiesto 30 anni per permettere allo stato italiano di risolverlo”.


Che significa ?
Ugo Bardini nominava  erede lo Stato Svizzero, in seconda il Vaticano e solo come terzo erede lo stato italiano e precisamente il Ministero della Pubblica Istruzione con
l’obbligo, in caso di accettazione, di destinare l’intera somma ricavata
dalla vendita di tutti i beni, alla compravendita mondiale di una o
due opere d’arte di eccezionale importanza anteriori al 1600, da destinare successivamente ai musei della città di Firenze.
 
Ma come poteva essere venduta una intera eredità che comprendeva infiniti pezzi di inestimabile valore? Come potevano essere venduti palazzi ed edifici storici e monumenti italiani? La ” beffa” pensata da Ugo Bardini forse era proprio quella, aspettarsi che lo stato italiano applicasse la legge di tutela e vincolasse l’eredità per non disperdere il patrimonio.
La strade che si presentano erano due:
-          Lasciare l’eredità inutilizzata e quindi esposta al degrado;
-          Eseguire le volontà testamentarie ed acquisire le opere richieste, valutate in circa 35 miliardi di lire, e solo dopo quest’operazione il patrimonio sarebbe diventato di proprietà dello stato.
 
Nel 1975 il giovane Antonio Paolucci catalogò l’eredità Bardini. Un giovane che amava la sua città e come studioso di storia dell’arte desiderava  impedire la perdita di quel ricco patrimonio culturale.
Nel 1995, grazie al governo tecnico di Lamberto Dini, al ruolo di ministro di Paolucci, l’appoggio di Valdo Spini, Sandra Bonsanti e Giovanni Berlinguer, e dall’allora Presidente della Commissione Cultura alla Camera, Vittorio Sgarbi, si ottenne il miracolo, con il decreto numero 120 del 6 marzo 1996, furono stanziati i soldi per acquisire le opere e districare l’eredità Bardini.
Antonio Paolucci, ministro dei beni culturali istituì una commissione composta da Cristina Acidini ( soprintendente beni artistici e storici Firenze), Evelina Borea ( ufficio centrale beni culturali ministero), Marco Chiarini ( direttore galleria Palatina Firenze), per individuare le opere da comprare sul mercato internazionale. Il tempo a disposizione non era molto, il governo Dini era un governo tecnico e come tale, temporaneo, bisognava portare a termine l’intricata situazione per il bene di tutti.
Cercare di acquistare opere per 35 miliardi di lire fece sicuramente rumore in tutto il mondo. Collezionisti internazionali si mossero sia in occidente che in oriente, proposte arrivarono da antiquari, da galleristi, da privati e mercanti pubblici.  La cifra destinata all’acquisto era di notevole entità , ma nonostante ciò trovare opere del prezzo di 15/16 miliardi l’una non era cosa semplice.
Altro nodo e altro paradosso, fu lo stemma di Donatello, facente parte della collezione Martelli che era purtroppo giunto legato con una eredità all’arcivescovado che comprendeva anche il palazzo Martelli.



Il Ministero, in rispetto delle volontà testamentarie di Ugo Bardini che, come detto imponeva l’acquisto di una o più opere d’arte, comprò lo stemma eseguito da Donatello per 17 miliardi di lire da una Curia che in cambio cedette anche il Palazzo Martelli e tutto il suo contenuto artistico.
Nel 1998 i funzionari statali entrarono a Palazzo Martelli.
Al loro arrivo non trovarono nulla,, gli armadi vuoti, nessuna porcellana, molti quadri erano a  terra ed altri spariti assieme a numerose stampe e ceramiche
 
La casa diventò come si può ammirare oggi.
Nel palazzo furono eseguiti dei lavori con il ripristino originario dei pavimenti, delle pareti e delle volte. Furono anche collocate delle lampade ottocentesche.
Smontando un controsoffitto affiorò un dipinto  “Amore tra fedeltà e temperanza” che era stato coperto per lo scandalo delle false nozze fra il nobile Marco Martelli, erede della casata a metà dell’ 800, e la bella Teresa Ristori, che fu disconosciuta dopo sette anni di matrimonio e tre figli.





Il prezioso  stemma di Donatello si trova al Museo Bargello mentre fra i salotti e quadreria si trovano i pannelli nuziali del Beccafumi, le tele di Luca Giordano, la “Congiura di Catilina” di Salvator Rosa, l’”Adorazione del Bambin Gesù” di Piero di Cosimo, ..ecc.
Nella casa si trova un passaggio nascosto, una piccola stradina tra le case per arrivare alla cappella di famiglia senza essere visti. Un percorso che collega  Casa Martelli alla Basilica di San Lorenzo e che è stato aperto al pubblico.
Fu forse usato anche da Michelangelo per sfuggire alla “prigionia” della Sacrestia Nuova per sfuggire all’ira dei Medici.



Sala da bagno




Il cortile



Il salone giallo

Una porta del Settecento

La chiave con il segreto del suo funzionamento

Matrimonio tra Camilla e Cosimo I

Roberto Martelli e Donatello

…………………………..

15. La Nomina di Cosimo I de’ Medici a Granduca

Nell’ottobre del 1569 Cosimo I de’ Medici scrisse alcune lettere ai duchi di Mantova, Ferrara e Urbino per comunicare la stessa notizia. Lettere scritte tutte con lo stesso tono e nelle quali informava “i suoi pari che in realtà non erano più tali”….

Sua S.tà del Papa (Sisto V) spontaneamente fuor d’ogni mio pensiero non chè
richiesta, m’ha decorato di titolo di Gran Duca di Toscana con le più
onorate preeminentie et dignità, ch’io stesso non havrei saputo domandare.
Sa il mondo ch’io sono stato alieno da ogni ambitione d’honori ma il
recusargli quando vengono largito… sarebbe un mostrarsene indegno.
Non ho desiderato questo splendore se bene l’ho io accettissimo…
da sì santo pontefice…. non ho altro interesse che d’amore et
d’obsequio filiale. Lo so che l’Ecc. V. ne havrà piacer per sapere
chella ch’io l’amo sinceramente

Roma - Dicembre 1569 -  Nomina di Cosimo I de’ Medici a Granduca
 
Una lettera chiaramente non sincera… Cosimo I aveva fatto di tutto per cercare di ottenere il titolo granducale che gli avrebbe permesso di avere una posizione di prestigio.
Alcuni storici ipotizzarono come il titolo granducale fu favorito dalla consegna, a tradimento, dell’eretico Pietro Carnesecchi che si era rifugiato a Firenze confidando nella protezione di Cosimo I.  Lo stesso Cosimo  avrebbe messo la sua flotta al servizio della Lega Santa che si stava formando per contrastare l’avanzata ottomana  in Oriente.

Pietro Carnesecchi
Firenze, 24 dicembre 1508; Roma, 1 ottobre 1567
Umanista e politico
Artista: Domenico di Bartolomeo Ubaldini
detto Domenico Puligo
(Firenze, primavera 1492; Firenze, settembre 1527)


Il duca aveva sempre cercato di ricevere un titolo che lo togliesse dalla condizione di feudatario dell’imperatore e che gli desse una maggiore indipendenza politica. Non trovando alcun appoggio  da parte imperiale si rivolse quindi al papato. Con il papa precedente, Paolo IV, aveva già tentato di ottenere il titolo di re o di granduca ma senza riuscirci.  Dopo molti favori e maneggi più o meno legittimi, fu proprio papa Pio V ad emanare la bolla che conferiva a Cosimo I de’ Medici il trattamento di “Altezza Serenissima” e il titolo di Granduca (Un titolo  che nella gerarchia nobiliare ha un posto intermedio tra quello di duca e  di Principe)
Il 13 dicembre1569 Cosimo I ricevette la notifica ufficiale del titolo di Granduca dal papa nell’ambito di una solenne cerimonia.
Il Ridolfo Conegrano inviò una relazione al duca di Ferrara che fu conquistato da una grande rabbia pensando che  Cosimo I, un commerciante attivista ed erede di un ramo cadetto della famiglia, potesse a buon diritto vantare una superiorità di rango
Stamano S. Duca havito da S.S.tà il titolo di Ser,mo Gran Duca di Toscano,
il Sig. Principe andò a Pitti con tutta la corte, si fece portar il duca in seggiola
accompagnato ditto Sig. Principe a piedi con ambasciatori a Palazzo nel
salotto grande dove sta sotto baldachino.
S. S.tà le mandava Sig. Michele suo nipote d’annonciar il privilegio di
Gran Duca con molte parole amorevole in lauda di S. Altezza.
Il Conegrano concluse la lettera descrivendo la parte che preferiva perché legata ai relativi festeggiamenti
Sta sera si fa uno festino in palazzo dove sono alcune gentildonne.
 
Verso la fine di gennaio 1570, Cosimo I  annunciò a corte l’intenzione di recarsi a Roma per ringraziare papa Pio V della bolla.
In realtà il suo proposito era quello di ricevere direttamente l’incoronazione formale dal papa e questo provocò le ire sia della Spagna che degli stessi austriaci.
La corona granducale era pronta per essere inviata a Firenze. Vi avevano lavorato per alcuni mesi degli orafi fiorentini che l’adornarono con il giglio, simbolo di Firenze
Si disse che valeva duecentomila scudi, per esservi dentro 75 pietre preziose,
di più sorte, tutte grosse e belle…. e di poi, di sopra, una grillanda
di bellissime e grossissime perle.
 
La corona di granduca di Toscana era diversa da quella principesca e da quella ducale. Era caratterizzata da un circolo d’oro ornato di smeraldi, rubini e perle dal quale partivano delle punte triangolari d’oro verso l’alto.
Era priva del berretto di velluto interno ed aveva la particolarità di avere al centro, nella parte anteriore, un grosso giglio bottonato.
(Il termine è utilizzato in araldica per indicare il giglio sbocciato, fiore dell’iris simile al lilium. Ha la caratteristica di essere disegnato da cinque petali superiori (tre principali e due stami più sottili e bocciolati, e dalle ramificazioni inferiori, tutte disposti in modo simmetrico).




Firenze  - Piazzale Michelangelo - Giardino dell’Iris 

Cosimo I de’ Medici con la corona granducale
(Artista: Lodovico Cardi, detto il Cigoli
Cigoli di San Miniato, 21 settembre 1559; Roma, 15 giugno 1613;
pittore, architetto e scultore
Pittura: Olio su tela: Datazione: XVI secolo
Collocazione: Palazzo Medici Riccardi – Firenze
 
………………..

I tre importanti simboli del potere di Cosimo I de’ Medici  sono stati
riprodotti, attraverso le testimonianze storiche e pittoriche, dal maestro orafo
fiorentino Paolo Penko e dovrebbero essere visibili nella
Sala delle Udienze del Museo di Palazzo Vecchio a Firenze.

Firenze – Sala delle Udienze – Palazzo Vecchio

Affresco le “Storie di Furio Camillo”
(Artista: Francesco de’ Rossi, detto “Il Salviati”  o Francesco Salviati
Firenze, 1510 – Roma, 11 novembre 1563
 
L’affresco risale all’epoca di Cosimo I de’ Medici e venne realizzato tra il
1543 e il 1545, ispirandosi alla scuola del Raffaello e avvalendosi della
collaborazione di Domenico Romano.
Raffigura le storie del generale romano Furio Camillo che, di ritorno dall’esilio,
liberò Roma dagli invasori Galli Boi nel 390 a.C.
L’affresco presenta un allusione allegorica legata alla ripresa della città di
Firenze da parte di Cosimo I dopo la morte violenta del suo predecessore
Alessandro e alla sconfitta e cacciata dei rivoltosi.
 
I tre simboli del potere di Cosimo I de’ Medici erano:
la Corona Granducale, Il Collare del Toson d’oro e lo Scettro.



Collare del Toson d’Oro

Il 3 febbraio Cosimo I  partì per Roma lasciando a Firenze Francesco I, per fare le sue veci, e il figlio minore Pietro. Isabella accompagnò il padre per condividere con lui il grande piacere dell’incoronazione.
Dopo numerose tappe in alcune città toscane, giunsero a Roma il 16 febbraio entrando da Porta del Popolo. 

Roma – Porta del Popolo
Incisione di Giuseppe Vasi da Corleone

Secondo la consuetudine , i dignitari in vista soggiornarono a Villa Giulia che era estata edificata da papa Giulio e nel quale aveva lavorato anche Giorgio Vasari, arista al servizio di Cosimo I.


Villa Giulia in un affresco del XVI secolo

Fecero quindi il loro ingresso formale a Roma e raggiunsero, con il loro seguito, il Vaticano.
Cosimo I ed Isabella incontrarono il papa Pio V nel salone delle Udienze, la Sala Regia,  e solo allora  gli emissari asburgici capirono il vero motivo della venuta a Roma del duca.

Vaticano – La Sala Regia

Papa Pio V
 
Il papa invitò Cosimo I a sedersi, un privilegio che era riservato a chi doveva essere incoronato.
Nella sala l’atmosfera si fece piuttosto tesa perché gli ambasciatori asburgici si ritirarono in segno di protesta perché ritenevano quel gesto un insulto al re e all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo.
 Isabella, essendo una donna, non potè partecipare all’evento.
Dopo qualche giorno la de’ Medici si recò a fare visita al papa
Accompagnata da molte gentildonne andò a baciar li piedi al
Papa dove fu ricevuta di sommo benevolenza e cortesia
 
Anche Eleonora di Toledo, madre d’Isabella, aveva fatto visita al papa nel corso dell’ultima sua venuta a Roma  nel 1559 circa, come rappresentante femminile del casato de’ Medici.
Una settimana dopo, il 4 marzo, Comiso I venne incoronato nella Cappella Sistina.

Vaticano – Cappella Sistina

L’Incoronazione di Cosimo I de’ Medici
Opera del Bronzino ed è conservato
All’ Art Gallery New South Wales di Sydney in Australia

Opera di un pittore fiorentino del XVI secolo
(Olio su tela – Misure: (123 x 165) cm
 
Tra i personaggi che assistono alla cerimonia si riconosce il nano di corte, il nano Morgante, che fu immortalato del Bronzino.
Il pittore anonimo seguì l’iconografia della pittura murale di Jacopo Liguzzi nel Salone del Cinquecento in Palazzo Vecchio e della stampa di Giovanni Stradano che fu eseguita nel 1582 e pubblicata nel 1583.

Incoronazione di Cosimo I de’ Medici
(Artista: Jan Van de Straet – detto: Giovanni Stradano o Stradanus
Bruges, 1523 – Firenze, novembre 1605
Pittore fiammingo attivo a Firenze

Cosimo I indossava un abito di broccato “riccio sopra riccio” e una “toga di velluto rosso chermisi, con le maniche a campana foderate di ermellini, e di sopra a detta vesta una pelle di detti ermellini per insino a mezze spalle”.
 Era accompagnato dal genero Paolo Orsini, che reggeva lo scettro, e da Marcantonio Colonna, cognato dell’Orsini e come lui importante rappresentante della nobiltà romana, che portava la corona.
Cosimo aveva in mano qualcosa e quando s’avvicinò all’altare, dove il papa in piedi lo attendeva, gli porse l’oggetto in dono:

Altare della Cappella Sistina
 
Un bellissimo calice d’oro finissimo di libre X il manco,
lavorato benissimo, con tre bellissime figure, cioè Fede. Speranza
e Carità, tutte d’oro…. quale fe’ Benvenuto Cellini.
 
Presso l’altare Pio V istruì Cosimo I a
Ricevere la corona… sapendo che siete chiamato ad essere Difensore
della Fede… obbligato a proteggere vedove e orfani e chiunque sia in
difficoltà, e che possiate essere sollecito servo e insigne
governante agli occhi di Dio.
Aveva raggiunto il suo scopo….. diventare Granduca di Toscana.
Isabella e Cosimo I lasciarono quindi Roma e intrapresero un viaggio, per la verità con molta calma, per rientrare a Firenze. Giovanna, la moglie di Francesco, gli andò incontro a circa metà della strada come riferì il Conegrano il 22 marzo
S.A. è a San Casciano con la S.ra principessa e la S.ra Isabella,
la quale è venuta da Roma con S.A-“
Il duca d’Este Alfonso II  chiese al Conegrano se Isabella si fermò a Roma lasciando partire il padre.
Infatti  molti si aspettavano che l’Orsini supplicasse il suocero di fare restare la figlia come era successo a Bracciano  nell’ultimo viaggio ornai distante nel tempo.
La verità fu che Isabella non solo non si fermò a Roma ma nemmeno soggiornò in casa del marito Orsini. Un cronista infatti dichiarò come Isabella
Andò ad alloggiare nella casa del Cardinale (Ferdinando) suo fratello
nel Palazzo Firenze a Campo Marzio.

Roma – Palazzo Firenze


Roma – Palazzo Firenze – Sala del Primaticcio

oppure fu ospite in una villa, sempre di proprietà del fratello cardinale, sul colle Pincio nota come Villa Medici. Una villa da poco acquistata e che era in fase di ampliamento e che sarebbe diventa la residenza principale del cardinale.

Roma – Villa Medici
 
Un membro della corte scrisse a Firenze riferendo che Isabella
è stata già tre giorni con qualche fastidio et dolore de’ reni, non senza
speranza di gravidanza

16. La Spedizione in Oriente

Nel 1571 ci si stava preparando per una missione contro gli ottomani e fu deciso di affidare a Paolo Orsini un imbarcazione  dove si sarebbero imbarcarti i numerosi esperti militari del suo casato. Nella lista dei militi mancava qualcuno. Alla fine del giugno del 1571 Troilo da Firenze scrisse a Paolo Orsini…” Da le acchuse del S. Honore Savello potrà V.E. vedere l’impedimento mio in poterla servire in questo viaggio dell’armata. So che tutto quello che li potessi dir di più mi potrebbe superfluo.
Li piacerà accettar il buon animo per queste volta, assicurando V.E. che non può esserne migliore in servirla. A Dio a V.E. conceda quel più felice viaggio e successo i tutti le suoi attioni…. Humilmente li baccio le mani”.
Il Troilo era ritornato da poco da una missione in Francia e i suoi “impedimenti”  nel partecipare alla missione in Oriente erano legati alla lealtà che doveva mostrare alla corte francese che non aderivano alla lega antiottomana.
Il cavaliere godeva di un ottima stima presso la corte francese e non aveva intenzione di perderla.
 Paolo Orsini partì per l’Oriente mentre il Troilo rimase a Firenze con Isabella.
Le flotte di Spagna, Venezia e Stato Pontificio si riunirono in Sicilia nel porto di Messina l’ultima settimana d’agosto del 1571 e don Giovanni d’Asburgo si presentò con ben 21.000 soldati al seguito.
La battagli di Lepanto, detta anche delle Echinadi o Curzolari, avvenne il 7 ottobre 1571, nel Golfo di Corinto tra le flotte musulmane e quelle cristiane che erano federate sotto le insegne pontefice della Lega Santa.
La metà delle galee erano della Repubblica di Venezia  e l’altra metà dalle galee dell’Impero Spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia), dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di savoia, del Granducato di Toscana, del Ducato di Urbino, della Repubblica di Lucca, del Ducato di Ferrara e del Ducato di Mantova.
La battaglia si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate guidate da Don Giovanni d’Austria su quelle ottomane guidate da Muezzinzade Alì Pascià che morì nello scontro.

La Battaglia di Lepanto
Persone Rappresentate: Vergine Maria; Marco Evangelista;
Santa Giustina di Padova; San Pietro; San Rocco
Artista: Paolo Caliari, detto il Veronese
(Verina, 1528 – Venezia, 19 aprile 1588
Datazione: 1571 – Pittura: Olio su tela
Misure (169 x 137) cm
Collocazione: Galleria dell’Accademia – Venezia

Paolo Orsini scrisse al Cosimo I..”Io sto bene, se non che ho  una frizata di poca importanza, et mi pregio che come suo servitore ho solo sodisfatto a me.. perché ho combattuto con Portù bascià”.
Era una replica all’ iniziale riluttanza di Cosimo I di assegnare a Paolo Orsini una posizione di comando nella spedizione... e per il duca di Bracciano quella mancanza di fiducia era ancora una ferita aperta.
Il successo riportato a Lepanto garantì all’Orsini incarichi di maggior rilievo nelle campagne della lega Santa che si svolsero nell’anno successivo. Filippo lo nominò generale della fanteria italiana al servizio degli spagnoli per la riconquista della fortezza di Navarino, nel Peloponneso, che era stata conquistata dai turchi ai veneziani nel 1499.

Fortezza di Navarrino

L’offensiva fu sferrata nel 1572, ad un anno esatto dalla battaglia di Lepanto,  una scelta non casuale. Paolo, che aveva voce in capitolo le processo decisionale, rilevò la sua opinione sui tempi e le modalità dell’attacco.  Fu un offensiva che venne definita “maldestra” e fu quindi oggetto di critiche. Aveva trattenuto le navi, si lamentarono i veneziani, dimostrandosi non troppo sicuro e troppo cauto. Per altri l’Orsini diventò oggetto di schermo in quanto incapace di governare la sua nave “a causa della eccessiva pinguedine” (robustezza, grasso).
Navarino fu l’ultimo atto della sua carriera militare. Ricevette una lettera dalla Spagna in cui si diceva che “è amato e gradito dal re ma... non li pare motivo questo del present’anno di incomodar un par di Vostra Eccellenza”.
Oltre agli errori commessi da Paolo Orsini nella battaglia di Navarino, ci furono anche quelli commessi dalla Lega che non seppe trovare una linea comune nella strategia militare.
Isabella aveva giudicato l’impresa come una “gita” e non sbagliò nelle sue previsioni .

17. Francesco I de’ Medici e  Giovanna d’Asburgo .....Bianca Cappello 

Nel maggio 1572 il Conegrano scrisse al duca d’Este per riferire l’ennesimo scandalo legato alle stravaganze di casa de’ Medici

Qui è ritornato il Sig. Mario Sforza il quale si partì di qua a dì passati et si
disse per esser il S. principe sdegnato et parimente con la sua consorte
(Giovanna d’Asburgo) perché lei havea detto a S.A. la principessa (Isabella) che
Il Sig. Principe faceva l’amore con la S.ra Biancha Capello Venetiana.
Non si perché S.E. non lo vedde volentieri”.

Bianca  Cappello

Bianca Cappello era nata  a Venezia nel 1548, figlia di Pellegrina Morosini e del nobile veneziano Bartolomeo Cappello.


Bianca Cappello
Artista: Alessandro Allori
Galleria degli Uffizi - Firenze

Bianca Cappello (?)
(Arista: Alessandro Allori
Firenze, 31 maggio 1535; Firenze, 22 settembre 1607
Pittura: olio su rame – Datazione: 1570/1590
Misure (37 x 27) cm – Collocazione: Uffizi - Firenze
La dama ritratta è sicuramente Bianca Cappello che fu dipinta, dallo stesso
Allori, in un affresco  che si trova esposto nella Tribuna degli Uffizi.
Su retro si trova la raffigurazione di una scena allegoria:
il sogno della vita umana o allegoria della vita umana



Bianca Cappello viveva a Venezia nel palazzo che oggi è denominato “Trevisan Cappello”.

Posto nel sito sestiere di Castello, affacciato suo Rio di Palazzo di fronte
a palazzo Patriarcale, poco distante dalla Riva degli Schiavoni e da
Piazza San Marco, al palazzo s’accede superando il  Ponte “ca’ Cappello”, privato.

Venezia – Ponte “ca’ Cappello”
È uno degli edifici più belli del rinascimento veneziano.
La sua facciata è contraddistinta da ben 37 aperture. Si sviluppa sua
quattro piani. Il piano terra presenta solo un esafora centrale e due coppie
di monofore, una per lato. Sempre al piano terra si aprono due portali ad
acqua. La faciata è movimentata sia da disegni marmorei che dalla presenza di
numerosi balconcini che presentano un differente aggetto.
Il  palazzo risale all’inizio del XVI secolo e fu commissionato dalla famiglia Trevisan
 all’architetto (ammiraglio e magistrato) Bartolomeo Bon (Venezia ? – Venezia, dicembre 1509), seguace di Mauro Codussi anche lui famoso architetto.
Successivamente  il palazzo pervenne alla famiglia Cappello e nel 1577 Bianca
Cappello ne era la proprietaria per poi donarlo al fratello Vittore nel 1578.

Bianca era “una tipica bellezza veneziana, con una folta capigliatura tizianesca, sfumata dal rosso al biondo, ben riprodotta nel suo ritratto. Con la carnagione candida e un seno florido, era l’incarnazione di una Venere o una Flora”
La sua famiglia aveva accolto addirittura Cosimo de’  Medici da bambino quando la madre lo inviò a Venezia per proteggerlo dalle truppe imperiali, dopo la morte del padre (Giovanni de’ Medici “Delle Bande Nere”), alla fine del 1526 (Cosimo I aveva allora sette anni)

Cosimo I de’ Medici all’età di 19 anni
Artista:  Jacopo Carucci, conosciuto come
Jacopo da Pontormo o semplicemente Pontormo
(Pontorme, 24 maggio 1494 – Firenze, 1 gennaio 1557)
Pittura:  tempera su tavola – Datazione: 1538 circa
Misure: (100,90 x 77) cm
Collocazione: ?


Ma non era stato il legame con i Medici a portare Bianca a Firenze. Il suo arrivo a Firenze  fu legato ad uno scaldalo che colpì la nobiltà veneziana.
All’età di dieci anni Bianca perse la madre ed il padre, impegnato nell’attività politica veneziana, si risposò con la nobildonna Lucrezia Grimani. La nobildonna era figlia del Doge Antonio Grimani e sorella del Patriarca di Aquileia Giovanni Grimani.
Le cronache citarono un rapporto non proprio felice con la matrigna e la giovane passava il suo tempo chiusa in casa guardando la città e il canale, dalla finestra.
Di fronte al palazzo di Bianca  c’era il Palazzo Camin – Tamossi dove i proprietari, i Tamossi, esercitavano la professione di banchieri.
Nel palazzo c’era una filiale del banco Salviati, famosi  banchieri fiorentini.
Dalle finestre del suo palazzo vedeva benissimo alcune finestre degli uffici del banco come narrò Bartolomeo (il padre di Bianca)  «...alquanto discosta dalla mia, dove habito al Ponte Storto, ma che facilmente però si può veder per retta linea per via del canal.»
Vedeva spesso un giovane affacciato da quelle finestre e finì con l’innamorarsi.



Le finestre del banco Salviati viste da palazzo Cappello.
Forse fu la finestra sopra il portico quella in cui Bianca Cappello
vedeva il giovane di cui s’innamorò.
 

Il giovane era Pietro Bonaventuri, un funzionario che lavorava nel banco e fece credere alla ragazza di essere un esponente della nobile e ricca famiglia Salviati.
Accecata dall’amore la giovane Bianca, allora quindicenne, credette al giovane.
Era figlio di Zenobio Bonaventuri, un fiorentino che lavorava anche lui alle dipendenze della famiglia Salviati. La ragazza non seppe leggere negli occhi del fidanzato, gli affidò i gioielli della sua dote, e decisero nella notte tra il 28 ed il 28 novembre 1563 di fuggire abbandonando la sua casa paterna.
La fuga della ragazza provocò molto clamore a Venezia a causa del rango sociale della famiglia dato che il padre, dopo essere stato membro della “Quarantia e Uditore Vecchio” , era stato nominato “Provveditore sopra i Dazi”.

La fuga di Bianca Cappello
L’ambiente è veneziano e Bianca appoggia le mani sulla
spalla di Pietro Bonaventuri. È malinconica e volge lo sguardo
verso la sua casa che non rivedrà più. In secondo piano si notano
i due barcaioli che sono pronti ad imbarcare i due giovani.
(Artista: Andrea Appiani, il Giovane
(Milano, 1817; Milano, 18 dicembre 1865
Datazione: prima del 1865
Collocazione: Musei Civili di Arte e storia – Brescia)
 
Gli Avogadori del Gran Consiglio di Venezia emanarono un bando capitale contro Pietro Bonaventuri ed i suoi complici con una taglia sopra la loro testa per chi avesse consegnato alla giustizia, vivo o morto, il seduttore.
Il padre di Bianca aggiunse alla taglia dei soldi e alcuni cronisti riportarono anche la notizia di come la banca Salviati fu bandita. Ma su questa fonte non ci sono delle conferme.
Lo stesso padre di Bianca si rivolse  con gli ambasciatori a Cosimo I de’ Medici,
la coppia era nel frattempo giunta a Firenze, per ottenere la restituzione della figlia e la relativa condanna di Pietro. I due giovani furono convocati da Cosimo I che non prese alcun provvedimento.
Probabilmente la coppia fece una buona impressione al duca e restò stupito dalla forte determinazione con cui Bianca seppe difendersi.
A Firenze i due giovani si sposarono ed andarono ad abitare in un palazzo in piazza San Marco ( al n. 21). Bianca scoprì che l’uomo sposato l’aveva ingannata  perché  non aveva alcun rapporto familiare con i Salviati e si dimostrò un donnaiolo.
Una vita piena di stenti e quindi ben lontana dalla vita brillante a cui la giovane aspirava e che il marito Pietro non era in grado di assicurarle. Nel 1564 nacque una bambina a cui diedero il nome della nonna materna, Pellegrina (nel 1576 sposerà il conte Ulisse Manzoli Bentivoglio).


La vita di Bianca  stava per cambiare perché diventò l’amante di Francesco I de’ Medici.
Quando si conobbero Francesco I e Bianca ?
Non si hanno riferimenti in merito.
Secondo alcuni storici i due si conobbero quando Cosimo I de’ Medici li convocò a corte in seguito alla denunzia nei confronti di Pietro Bonaventura da parte del padre della ragazza.
Esistono altre versioni colorite. Celio Malespini, nelle sue “Duecento Novelle” dove appare il racconto di Isabella, Troilo e la schiava intrufolata nel letto di Ridolfo Conegrano, pare avesse non poche informazioni riguardanti Bianca. Narra infatti che costei aveva inizialmente attirato l’attenzione di Francesco chinandosi sul balcone della casetta del Bonaventura, in cui viveva come una prigioniera.
Francesco passava sotto casa sua per recarsi nel laboratorio del casino adiacente alla chiesa di San Marco, dove svolgeva i suoi esperimenti alchemici e produceva porcellane e veleni.
Successivamente il principe fece in modo che Bianca fosse invitata a casa di alcuni vicini fedeli ai Medici, la famiglia spagnola dei Mondragone, per dichiararle il suo amore e corteggiarla in modo che “la gentildonna si compiacque alla fine di donare l’amor suo allo innamorato Gran Duca”.
Quale che siano le circostanze del loro incontro, un fatto è certo: Bianca Cappello fu l’unica persona che riuscì a suscitare in Francesco la stessa devozione ossessiva che il principe aveva fino ad allora riservato ai soli studi di scienza ed alchimia.
Bianca e Francesco I divennero amanti e neppure tanto segreti dato che la loro  relazione adulterina era conosciuta in tutte le corti europee. Bianca era una donna sposata….
La donna venne assunta come dama di corte ricevendo un appannaggio che le consentiva una vita più comoda ed agiata.
Nel febbraio 1564 Pietro, marito compiacente, cominciò a lavorare a palazzo nel “guardaroba”, l’ufficio responsabile di tutte le forniture di corte, percependo sei scudi al mese, uno stipendio ragionevole anche se non troppo generoso. I fiorentini chiamavano Pietro con il soprannome di “cornadoro” forse per consolarsi della moglie perduta o forse perché non aveva mai rinunciato alla sua vita sgretolata, fatta di avventure amorose…. Nel frattempo aveva intrecciato una relazione con una certa Cassandra Bongiovanni, nata Ricci.

Una mattina del 1572 venne trovato morto per strada.
Alcuni sostennero che sia stato ucciso da alcuni sicari mandati dai parenti della Ricci, desiderosi di vendicarsi e soprattutto di proteggere il cospicuo patrimonio di famiglia. Ma altri proposero anche un possibile coinvolgimento di Francesco I.
Bianca rimase vedova…Francesco I era invece sposato anche se tradiva la moglie da sempre....
 Giovanna d’Asburgo, che Francesco I aveva sposato nel 1565, era molto infelice per la situazione matrimoniale con il marito e si recò da Cosimo per protestare dello spazio concesso a Bianca ma il granduca le riservò poca attenzione e non solo perché scrisse alla nuora quasi con rimprovero..
Ogni disgusta dell’Altezza Vostra mi travaglia grandemente
Però… non bisogna credere tutto quello che venga ditto a V.A.,
conciosiachè  non manca nelle corti chi si diletti di semimanare scandali.
Io so che ìl Principe le vuole tutto il suo bene et ella a lui parimente.
Ma è necessario comportarsi l’un et l’altro in qualche cosa, et
all’età giovenile concedere il suo corso, et sopportar  con prudenza
quel che il tempo corregge poi in breve; altrimenti si accenderebbe a
poco a poco uno sdegno et odio da non lo spegner mai.
Non credo che ‘l Principe lassi mancar a V.A. cosa alcuna:
tienele continua compagnia et la contenterà sempre  di quanto ella
sapra domandare per la persona sua e della sua famiglia.
Il granduca era indispettito per il diverbio che la principessa aveva avuto con la sua giovane moglie Camilla e per il rifiuto degli Asburgo di riconoscergli lo stesso titolo di Granduca. Rimase indifferenti alle preoccupazioni della nuora che alla fine fu costretta a tollerare la presenza di Bianca e a considerare il matrimonio del Granduca con Camilla un avvenimento insignificante.
Giovanna si dedicò al problema coniugale e si convinse che i suoi problemi con il marito Francesco fossero legati alla mancanza della nascita di un erede.
 Pensò quindi di fare un pellegrinaggio a Loreto.

Santuario di Loreto (Ancona)

Basilica S. Maria di Loreto
Artista: Israel Silvestre
Nancy, 13 agosto 1621; Parigi, 11 ottobre 1691
Datazione: 1642 – Pittura: Acquaforte
Misure: (13,8 x 31) cm
Collocazione: ?

La Santa Casa di Loreto, secondo la tradizione, sarebbe parte dell’abitazione
della Vergine. Un’abitazione costituita da una grotta scavata nella roccia e da una
camera antistante.
Agli inizi di maggio del 1291, Nazareth e tutta la Palestina erano sotto il dominio
dei Mamelucchi d’Egitto. Secondo l’antica tradizione, alcuni angeli prelevarono la Santa
Casa e la portarono in volo a Tersatto (10 maggio 1291).  Furono dei boscaioli a trovare,
con grande stupore, la piccola dimora. Sul luogo sorge oggi un Santuario Mariano. In origine
fu costruita dai principi croati Frangipani una cappella e nel 1431 una chiesa
con relativo monastero francescano che nel tempo subì vari ampliamenti.

Tersatto – Comune: Fiume  - Stato: Croazia



A Tersatto i pellegrini erano spesso vittime di ladri e malfattori.
Dopo  tre anni e sette mesi (Dicembre 1294),
gli angeli sollevarono di nuovo la Casa e volarono verso le Marche depositandola nei pressi di
Ancona. Il luogo  è quello dove oggi sorge la Chiesa di Santa Maria Liberatrice di Posatora
Il nome è certamente emblematico perché il termine “Posatora” deriva da “Posa-et-ora” cioè:
“Fermati e Prega”. Fu costruita nel 1526.


Santa Maria Liberatrice di Posatora.
Liberatrice perché liberò la città di Ancona dalla peste.
 
Qui restò nove mesi, dicembre 1295, fu risollevata nuovamente dagli angeli per essere
posta nei pressi di Porto Recanati (Macerata, sempre nelle Marche), in località “Banderuola”
dove oggi sorge una piccola Chiesa.

Il termine di “Banderuola” sarebbe legato ad una bandiera segnavento posta sulla
sommità della chiesetta per il riconoscimento del luogo sacro.
L’attuale edificio fu eretto nel XX secolo e ingloba una precedente costruzione
risalente al XVI secolo di cui rimane qualche traccia nella struttura
muraria di levante.


Nella località “Banderuola” c’era un boschetto di proprietà della nobildonna  Loreta di Recanati.
I pellegrini dicevano: “Andiamo alla Madonna di Loreta”  e da questa espressione popolare
venne poi dato il nome alla città di Loreto. Il quel piccolo bosco di Loreta, come narra la
tradizione popolare, furono dei pastori a vedere una luce abbagliante che apriva le nuvole e,
dietro la luce, la Casa.
Il luogo si trovava troppo vicino al mare e quindi soggetto a incursioni saracene.
Erano anche presenti dei malviventi che incominciarono a derubare i pellegrini.
Dopo otto mesi, agosto 1295, la Casa fu nuovamente sposta dagli angeli per essere posta
su un terreno di proprietà di due fratelli, i conti Simone e Stefano Rinaldi di Antici.
Anche loro approfittarono della situazione estorcendo cospicue somme di denaro ai devoti.
Nel (9 – 10) dicembre 1295, dopo soli quattro mesi, la casa fu dagli angeli posta al centro
della strada che da Recanati conduceva la porto, in un luogo pubblico.
Un luogo che nessuno avrebbe potuto reclamare o sfruttare per fini economici,
sulla cima di una collina e cioè il Monte Pardo.
Nel 1468, per  volere del vescovo di Recanati Nicolò dall’Aste, cominciarono i lavori
Per la costruzione del grande Tempio, sia per accogliere la grande Casa che per i pellegrini.
L’edificio fu ultimato nel 1587.
La tradizione parla di angeli ma recenti indagini archeologiche e filologiche, hanno permesso di
proporre l’ipotesi che la Sanata Casa sia stata trasportata via mare sollo la protezione Divina.
Gli autori del trasporto sarebbe stata una famiglia chiamata Angeli.
Il 17 maggio 1900 Giuseppe Lapponi, archiatra pontificio di  Leone XIII,  rilevò di aver letto negli
archivi vaticani alcuni documenti che indicavano una nobile famiglia bizantina di nome Angeli,
che salvò i materiali della Casa della Madonna dalla devastazione musulmana e li
fece trasportare a Loreto.

La Santa Casa nella Basilica di Loreto


La Santa Casa è custodita all’interno di un rivestimento marmoreo ideato dal Bramante che nel 1509 ne approntò il disegno. Fu realizzato sotto la direzione di Antonio Sansovino, Ranieri Nerucci e Antonio da Sangallo il Giovane.
Fin dal secolo XVI i pellegrini erano soliti girare intono alla Santa Casa in ginocchio, dove nei secoli si formarono due profondi solchi che ancora si possono notare.
...................

Come tutte le donne ansiose di creare un figlio maschio, Giovanna andò a pregare al Santuario “che conteneva la casa dove Maria aveva concepito Cristo”.

La "Santa Casa" con il rivestimento marmoreo, in un'incisione del 1539
Artista: Francisco de Hollanda
(Lisbona, 6 settembre 1517; Lisbona, 1585)
Pittore, teorico dell’arte e miniaturista portoghese

Invitò Isabella  ad unirsi a lei “ma non s’è resoluta di voler andare, dicendo che voleva prima scrivere al Sig. Paolo a Roma” riferì il Conegrano.
Era la prima volta che Isabella chiedeva il permesso al marito di fare qualcosa e quindi è facile dedurre come la donna non avesse nessuna intenzione d’andare a Loreto con la cognata Giovanna.
Per Giovanna la cognata Isabella era l’unica persona a lei vicina  soprattutto dopo le continue umiliazioni e la sofferenza causate da Bianca.
Isabella, come tutti a corte, era a conoscenza della relazione del fratello con Bianca ,
ed era opinione diffusa come la donna avesse una certa influenza non solo sul suo compagno di vita ma anche sul fratello cardinale Ferdinando.
Lo stesso Ferdinando chiese ad Isabella, in una lettera del gennaio 1572, di fare 
le miei raccomandazioni a la S.ra Bianca”.
Isabella pur sapendo la relazione del fratello non volle informare la cognata Giovanna  malgrado i favori ricevuti sia per lei che per Troilo.
Probabilmente non voleva procurare dolore alla cognata colpita già da una condizione fisica precaria a causa delle numerose e gravi patologie.
Tra Isabella e il fratello da sempre non c’era una grande affinità caratteriale… in poche parole non si sopportavano. La donna era d’altra parte cosciente del grande potere che la ventiquattrenne Bianca aveva non solo sul  fratella ma anche a corte dato che lo stesso Comiso I aveva fatto capire che non avrebbe fatto nulla per bandirla della corte. Isabella vedeva in Bianca forse una rivale nel ruolo di prima donna fiorentina così come per Camilla moglie del padre. Solo che Camilla ebbe dal marito un ruolo non importante, defilato e quindi non costituiva un pericolo per la sua supremazia a corte e nella città.
Bianca aveva invece un carattere più aggressivo rispetto a Camilla così come aveva dimostrato con la sua falsa, ipocrita amicizia con Giovanna.
L’ossessione amorosa che il fratello Francesco I nutriva per la sua giovane amante favoriva l’ascesa  sociale della donna.
Isabella meditava come neutralizzare Bianca ma per farlo erano necessarie due basi importanti: un maggiore potere e aspettare il momento propizio per agire. Durante una serata a Villa Baroncelli due uomini , sotto i trent’anni, trovarono Isabella attraente ed erano disposti a dichiararle il loro amore..
Quando la donna scriveva al marito affermando che il suo fascino era scemato probabilmente non era sincera.
Dopo la morte di Cosimo I, la vita di Troilo si fece più intensa, ricca d’avvenimenti.
Fece un viaggio in Polonia, tra giugno e luglio, ed era stato alcune settimane alla corte di Enrico di Valois dove aveva portato la notizia della morte del Granduca avvenuta il 21 aprile 1574.
Dalla corte di Francia inviava delle lettere al granduca Francesco I con un tono di colpevole leggerezza..
Il Re con farmi un poco di scusa che non parlava italiano a bastanza e misteriosamente mostrando d’ignorare che io intendessi franzese si voltò comandando al vice-cancelliero che mi rispondesse, il quale usò di quelli termini e parole ch’io potevo desiderar più amorevoli. E la proposta e la risposta fu in tuono che li signori potevano intendere, e dalla sustanza che Vostra Altezza intenderà meglio al mio ritorno.
I rapporti tra Firenze e la Francia  stavano declinando e Troilo cercava di fare capire che non c‘erano miglioramenti. Il 24 agosto 1572, gli eretici avevano invaso Parigi per le nozze del principe borbonico Enrico di Navarra, protestante, con Margherita, figlia di Caterina de’ Medici. Gli eventi che seguirono provocarono la morte di migliaia di ugonotti per volontà della corona francese. Una rivolta diffusa sia in città che in provincia che passò alla storia con il termine di massacro della “notte di San Bartolomeo”. In seguito Caterina accusò il cugino Cosimo I di complicità con gli ugonotti anche se probabilmente si trattò solo di false accuse.
In una successiva lettera dalla Polonia Troilo suggerì a Francesco I  d’istituire una presenza diplomatica fissa nel paese
Eleggere huomo di garbo et che vi stia honoratamente, perché tutto il mondo è paese et queste genti vi pongono gran cura
Fornì inoltre una consulenza, non richiesta, sull’amicizia tra  Francesco I e Francois, duca di Montmorency, comandante delle forze armate francesi
So che non ha bisogno di consiglio; imperò, quando non si riscaldi Vostra Altezza in questo fatto a favore de Memoransi, credo sia la vera, et mi perdoni se sono troppo premuroso
Il duca aveva infatti avuto dei legami con Joseph de la Mòle, decapitato lo stesso anno per aver preso parte ad una congiura per l’ascesa al trono del duca di Alecon, figlio minore di Caterina de’ Medici.
Il tono che usò Troilo in queste lettere non era molto rispettoso nei confronti del granduca. Un tono troppo libero, familiare,  indice di una persona troppo sicura di sé fino all’arroganza. Metteva in ridicolo il destinatario della lettera molto probabilmente in compagnia della sorella Isabella.
Come Isabella anche Troilo si reputava affascinante e spesso sapeva sedurre  chi incontrava ma non aveva il dire di un diplomatico ma piuttosto di un cavaliere o di un militare.
A Cracovia dimostrò questa debolezza restando coinvolto in un diverbio con l’ambasciatore francese che aveva un incarico permanente in Polonia.
Il diverbio scoppiò poco prima di una messa reale il 9 giugno (1574?), e ruotò intorno al contenzioso sulla precedenza nelle cerimonie solenni.
L’ambasciatore ferrarese Battista Guarini non era ancora arrivato e Troilo ne aveva occupato il posto vicino al sovrano. Quando apparve il Guarini, secondo la tesi riportata da un osservatore, disse a Troilo
Questo non è vostro luogo, levatevi
Troilo rispose.. questo è il mio luogo
Enrico di Valois offrì al Guarini un altro posto, ma questi replicò..

La Maestà Vostra avvertisca di non far questo al mio Duca, che mi ha mandato ad honoravi 
in questo regno.
Allhora entrò innanzi il S. Troilo et disse che quel luogo era suo, perché il suo Duca era Gran Duca…. A questo risposeFerrara che il suo Duca già cento e cinquanta anni

A quel punto dopo deboli consultazioni
S. Maestà fece intendere per uno delli Marescialli al S. Troilo che cedesse il luoco a Ferrara, qual S. Troilo udendo la commissione, voltandosi verso Ferrara, gli porse la mano dicendo: S. Ambasciatore, vi cedo il loco, ma non come ambasciatore, et quando verrà l’Ambasciatore ordinario del mio Granduca gli darete il luoco. 

Troilo si era comportato rispettando gli ordini ricevuti perché più volte gli era stato raccomandato di non  cedere la precedenza ai ferraresi. Tuttavia questo incidente, avvenuto alla presenza di una congregazione, risultò alquanto sgradevole e lo stesso Troilo con il suo comportamento non faceva certamente onore alla città di Firenze.
Cinque giorni dopo, giunse a Cracovia la notizia della morte del re Carlo IX di Francia (morì il 30 maggio 1574) e il fratello minore Enrico di Valois poteva così rinunciare alla corona di Polonia, per la quale aveva dimostrato un certo entusiasmo, per essere incoronato re di Francia come sua madre Caterina de’ Medici aveva sempre desiderato.
La corte polacca fu smobilitata e Troilo ritornò in patria. Non sapeva ancora quale fosse il suo prossimo incarico e comunque ebbe il tempo di scrivere a Paolo Giordano Orsini in un tono molto più umile rispetto alla lettera che gli aveva mandato tre anni prima quando l’informò che non poteva partire per Lepanto.
La lettera è datata primi giorni di settembre del 1574
In essa venir a V.E.  com’è principal mio. Lo supplico a creder che nessuna cosa mia mi muoverà più…. E sempre sarà il maggior mio desiderio poter… servir V.E.
Con questa lettera Troilo cercava di ingraziarsi il cugino, marito della donna che era stata sua amante per più di dieci anni,  ma nello stesso tempo dimostrava come nel tempo non ci sarà nessuna alleanza tra i due cugini.
La relazione  amorosa tra Troilo ed Isabella era quindi finita ?
No.. la relazione era ancora viva.. dato che appena tre mesi dopo ci fu l’assassinio di Torello de’ Nobili (una figura vicino ad Isabella e sembra che sia stato ucciso da Troilo).
La presenza , dopo tanto tempo, di Troilo a Firenze suscitò in Isabella il piacere di intrattenersi con lui e questo in un momento molto delicato della vita della principessa.
……………

18. La Congiura contro Cosimo I

L’assassino di Torello de’ Nobili era collegato alla rivolta o Congiura dei Pucci avvenuta nel 1560
Pucci Pandolfo era nato a Firenze il 29 novembre 1509 era figlio di Roberto di Antonio e di Dianora di Lorenzo Lenzi.

Lo  stemma della famiglia Pucci
sulla cancellata del palazzo omonimo
sulla fascia del moro sono presenti tre martelli che
indicano l’antico mestiere della famiglia.
Martelli che furono poi sostituiti da tre “T”
 che indicavano il motto della famiglia
“tempre tempora tempera”
“Mitiga i tempi col tempo” 

Il padre era di stretta militanza filomedicea ed inserì il figlio, fin da ragazzo, nell’ambiente di 
corte dei Medici  dove entrò in confidenza con  coetanei della casata come Alessandro ed 
Ippolito.
Con il passaggio istituzionale di Firenze da repubblica a principato, avvenuto nel 1530-32, nel 
quale Roberto aveva avuto un ruolo di primo piano dato che faceva parte dei dodici 
riformatori che sotto la guida di Francesco Guicciardini avevano scritto la nuova
costituzione,  il Pandolfo diventò uno degli uomini più vicini al nuovo duca Alessandro de’ 
Medici.
Nel 1534 sposò Laudonia Guicciardini, figlia dello storico e politico Francesco.
Dal matrimonio ebbe cinque figli/e (Orazio, Roberto, Dianora, Virginia e Porzia)  e l’8 agosto 
1541 la moglie morì. Due anni dopo Pandolfo si risposò. Il 18 aprile 1543, con Cassandra di 
Pierfilippo da Gagliano e dal matrimonio nacquero altri quattro figlie/e: Emilio, Alessandro, 
Ascanio e Cassandra. A Cassandra fu dato il nome della madre perché nel darla alla luce la 
donna perse la vita (27 luglio 1557).
Dopo l’uccisione del duca Alessandro, 7 gennaio 1537, Pandolfo fu assieme al suocero 
Guicciardini uno dei maggiori sostenitori della candidatura di Cosimo I de’ Medici a nuovo 
duca di Firenze. Nei primi anni del governo di Cosimo I, il giovane occupò un posto di rilievo 
tra i dignitari di corte. L’unico neo era la sua vita disordinata  e per questo fu tenuto per 
qualche tempo nella prigione di Volterra nel 1541.
Il duca Cosimo l’aveva più volte invitato a astenersi da certi eccessi.
Ma, o sia che il vizio difficilmente soffre contradizione, o che i pubblici lamenti della gioventù 
di  Firenze reluttante alla riforma dei costumi lo movessero a ira, lui piuttosto che cedere alle 
dolci insinuazioni di Cosimo s'inasprì maggiormente».
In realtà Pandolfo nel 1541 era finito in carcere «per causa infame di vituperevole vizio».
Fu liberato grazie all’intervento del padre Roberto che, dopo la morte della moglie, diventò 
ecclesiastico e nominato cardinale e vescovo di Pistoia.
Pandolfo cominciò a nutrire dei sentimenti antimedicei fino ad aderire al partito dei Farnese, 
altra nobile famiglia, che deteneva il Ducato di Parma e Piacenza e il Ducato di Castro. I 
Farnese erano nemici dichiarati dei Medici ed il loro “capo” era papa Paolo III.
Si legò proprio ai Farnese e a Caterina dei Medici, in contrasto con Cosimo I per l’eredità del 
defunto duca Alessandro e protettrice dei fuoriusciti antimedicei che si erano rifugiati in 
Francia.  
Il giovane Pandolfo si mise quindi a capo di una cospirazione contro il duca Cosimo I. 
Cospirazione che prese dei lineamenti ben precisi nel 1551e che aveva come obbiettivo 
l’uccisione di Cosimo I.
Il giovane faceva continui viaggi a Roma e in Francia dove aveva dei ripetuti incontri con gli 
esponenti del fuoriuscito movimenti antimedicei che gli assicurarono il loro sostegno. In 
questi  incontri si studiarono i paini per colpire con successo Cosimo I.
I piani furono diversi e si protrassero per vari anni perché c’erano delle esitazioni.
In quel periodo un altro avvenimento colpì Pandolfo facendo aumentare la sua avversione per 
Cosimo I. Nel 1555, dopo la caduta di Siena, Cosimo I ordinò l’arresto di Bertoldo Corsini, 
zio  da parte di madre di Pandolfo.  Il padre Roberto cercò di salvarle la vita ma la sentenza 
era chiara e irrevocabile, decapitazione.
Malgrado la presenza di una forte e chiara idea antimedicea, il giovane forse non aveva il 
carattere e la determinazione necessarie per portare a termine  la cospirazione.
Il gruppo di cospiratori era costituito da Astoldo Calvalcanti, Lorenzo de’ Medici, Puccio 
Pucci, Bernardino Corbinelli, Ricciardo del Milanese. ecc.
Fin dal 1551 il Cardinale Farnese era stato allontanato da Roma e perseguitato da papa 
Giulio III. Aveva trovato rifugio a Firenze e confermò a Pandolfo l’esecuzione del piano 
d’uccisione di Cosimo I mentre il duca Ottavio Farnese avrebbe offerto ai cospiratori 
l’assistenza e la fornitura delle armi.

 I cospiratori avevano studiato tre piani per uccidere il duca di Firenze:
-          Mentre passeggiava per la città e con le armi procurate dal duca Farnese sparargli contri più colpi di archibugio da una finestra del palazzo Puccio Pucci che erano uno dei congiurati;
-          Pandolfo approfittando della facilità d’accesso presso la corte di Cosimo I, lo avrebbe trafitto a pugnalate;
-           Collocare della polvere da sparo nella sua residenza, facendola saltare mentre si trovava a messa.
Tante discussioni, tante riunioni ma nessuna decisione definitiva sul come agire. Probabilmente mancò il coraggio e lo stesso Pandolfo non ebbe il cuore di affrontarlo a viso aperto perché sapeva di trovarlo armato.
Cosimo I fu avvertito da alcuni amici e dal Vescovo di Arras di “guardarsi, né mai aveva potuto scoprire chi lo insidiasse”.

Il Bargello sede della magistratura criminale fiorentina, delle prigioni, delle sale degli interrogatori e della tortura, e delle esecuzioni capitali 

Dopo quattro anni d’ indagini i lineamenti della congiura furono ben chiari.  Il metodo d’indagine prevedeva un assiduo controllo e sorveglianza dei giovani patrizi fiorentini che evidenziavano un’ideologia eversiva.
Il neomagistrato Lorenzo Corboli di Montevarchi fu incaricato di procedere contro i cospiratori. Furono arrestati a Firenze, il 4 ottobre 1559,  Pandolfo, Astoldo e altri individui che risultarono estranei alla vicenda. A Pisa venne arrestato Lorenzo de’ Medici.
Pandolfo e Astoldo furono condotti nelle carceri del Bargello mentre altri come Ricciardo del Milanese e Bernardo Corbinelli riuscirono a trovare scampo rifugiandosi a Venezia e in Francia
Dopo l’arresto  dei cospiratori, Cosimo I incaricò Lorenzo Corboli, cancelliere del tribunale del tribunale criminale degli Otto di Guardia e di Balia, d’istruire subito il processo e condurre gli interrogatori.
Il Corboli propose al Pandolfo la possibilità di avere il perdono del duca purchè mettesse per scritto i particolari della congiura e i nomi dei coinvolti. Nomi dei convolti che furono rilevati da Pucci
Pandolfo «che non men forse timoroso de tormenti, che vedeva apparecchiarsi, chiese d'esser menato in un cocchio al Duca legato: la qual cosa negandoseli, gli s'offerse abilità di potere scrivere [...] Trovossi [...] che i disegni d'ammazzare il Duca erano stati varj , nella difficoltà de quali essendo stato più volte dagl'altri Congiurati esortato Pandolfo a ucciderlo, quando solo con lui in camera si trovasse, dissono, che di ciò fare si era sempre sbigottito, veggendo il Duca non men di lui sempre armato, non si rincorando poterlo dj valore superare; onde da principio si erano risoluti a far comperare una casa a Puccio Pucci di Iacopo lor consanguineo, perché essendo posta nella via de servi onde il Duca talvolta passava, pensavano quindi, o con archibuso, o con altr'armi, assaltarlo: e col rompere un muro potendosi poi nella casa di Pandolfo trapassare, pensavano per la via del cocomero ove ella riesce, facilmente salvarsi: non si diffidando Lorenzo con aiuto di cavalli e di fanti potere in quel tumulto occupare la fortezza. Ma in ultimo, come strada più stretta, e che assai più spesso era dal Duca frequentata, senza che Pandolfo mai molto vi si riscaldasse, avevano disegnato, che la casa dello stesso Puccio, posta dirimpetto al campanile di S. Maria del Fiore, dovesse al medesimo effetto servirgli di due finestre, dalle quali Puccio, che di buono imberciatoia faceva professione, e Bernardino Corbinelli si confidavano di dare a tanto fatto esecuzione».
 
L’ira di Cosimo I colpì i congiurati che furono condannati a morte con esecuzione immediata della sentenza. Sul processo rimasero molti dubbi che non furono mai chiariti e anche le stesse carte processuali furono distrutte per ordine dello stesso Cosimo I. I cronisti del tempo non furono obbiettivi e addirittura rilevarono nomi che nulla avevano a che fare con il piano delittuoso. I patti di Pucci, datati dal 7 al 15 ottobre, rappresenterebbero il documento drammatico di una vicenda non molto chiara.
Pandolfo all’inizio si dichiarò estraneo alla vicenda dichiarando la sua fedeltà a Cosimo I ma nei successivi patti rilevò la trama della congiura e i nomi delle persone compromesse.
Lo stesso Pandolfo fece anche un affermazione importante  perché il “progetto d’uccisione di Cosimo I venne accantonato dopo il trionfo dei Medici nella conquista di Siena anche se quale esponente di spicco del fuoruscitismo fiorentino, come Bartolomeo Cavalcanti, avessero cercato di convincerlo a riprendere il piano delittuoso”.
Malgrado il continuo uso della tortura, il quadro delle confessioni del Pandolfo e degli altri cospiratori non cambiò sostanzialmente.
La sentenza fu emanata dal tribunale degli Otto il 29 dicembre 1559.
Pandolfo Pucci, risultò quindi come principale “coniurante et istigante” e i suoi “adherenti et consentienti” Stoldi di Tommaso Cavacanti, Puccio di Rinaldo Pucci, Lorenzo di Iacopo de’ Medici, Guglielmo di Iacopo di Giunta, Vincenzo di Alessandro Antinori, Ricciardo di Raffaello Milanesi e Bernardino di Raffaello Corbinelli, più altri «che per degni rispetti si tacciano», vennero riconosciuti colpevoli di avere, fin dal 1553 «coniurato, cospirato et macchinato» in Firenze e fuori contro la persona del duca di Firenze, con il deliberato intento di ucciderlo. La sentenza fu di morte per i primi quattro, tutti detenuti nelle carceri del Bargello; mediante impiccagione per Pandolfo, per decapitazione per gli altri tre. Per tutti si deliberava inoltre la totale confisca dei beni. Riguardo a un altro fiorentino coinvolto, Giuliano di Raffaello Girolami, a carico del quale non era risultato un ruolo attivo nella congiura, ma la sua mancata denuncia, si stabilì la condanna alla detenzione perpetua, pena presto commutata in confino, sino al provvedimento di grazia che nel 1565 gli permise di rientrare libero a Firenze. Pandolfo fu quindi impiccato il 2 gennaio 1550 a una delle finestre del Bargello mentre Astoldo, Puccio e Lorenzo de’ Medici furono decapitati
Ricciardo del Milanese e Bernardino Corbinelli invece riuscirono a sfuggire alla cattura. I beni di Pandolfo e di Astoldo Cavalcanti furono sequestrati, come prevedeva la pena per i reati di lesa maestà, e consegnati al fisco ma il granduca volle che venissero restituiti alle rispettive famiglie che in tutta questa storia non c' entravano nulla. La casa di Puccio invece, una di quelle scelte per l'agguato e che si trovava in via della Morte (oggi via del Campanile), fu donata da Cosimo al Corboli per ricompensarlo del buon lavoro svolto.


Firenze – Bargello

 
Ciò nonostante il loro processo non fu mai reso pubblico perché il duca volle aver riguardo ai Farnese di cui non poté però occultare l'ingratitudine come scrisse di suo pugno a Filippo II …

«Sappia dunque che il Cardinale Farnese seppe tal congiura, e con essere in Firenze in quel tempo quando io aveva ricevuto, scacciato, e perseguitato da Papa Giulio, né per via diretta o indiretta me ne avvertì con fare l'amicissimo mio. Di più Vostra Maestà sappia che il Capo della congiura conferì col Duca Ottavio, al quale chiese certi archibusetti per far l'effetto, e il Duca glieli concesse, dicendo loro che non voleva esser nominato, ma che facessero l'effetto di ammazzarmi che poi non mancheria loro di ogni ajuto e favore, e Vostra Maestà noti che in quel tempo io avevo la pratica in mano di reconciliarlo con l'Imperatore, né mai staccai la pratica sin che si condusse al fine. Ma è tanta l'ingratitudine delli Uomini, che avendo l'anno avanti rilasciato il Duca Orazio suo fratello fatto prigione nel mio Stato con molte cortesie, e nel tempo stesso ricevuto il Cardinale in Firenze con tante cortesie, non ostante questo poté più l'ingratitudine, essendo vero il proverbio, che chi offende non perdona mai».

Di quella congiura rimane ancora oggi la finestra su Via de’ Servi dalla quale Puccio Pucci avrebbe dovuto sparare a Cosimo. Finestra che, per ordine del duca, fu fatta murare e murata è rimasta nel tempo.

 

La finestra del Palazzo Pucci Murata
 
………………….

19-  L’Anno 1575

L’anno 1575 fu ricco di avvenimenti sanguinosi. Alla fine di febbraio un impiegato del battiloro Ricasoli uccise l’avvocato della ditta in seguito ad una “certa lite”. Il primo di marzo Agnoletta “pubblica meritrice” fu uccisa da un cliente francese che fu trovato “il giorno stesso in camicia con un ferraiuolo  attorno, nella chiesa di San Lorenzo”.
Nel 1575 il cardinale Ferdinando scrisse al granduca Francesco rimproverandolo di non avergli dato notizia della congiura ordinata da Orazio Pucci e da altri signori di Firenze. Una congiura che aveva come obiettivo l’eliminazione dei Medici.  Il granduca veniva invitato a provvedere alla sicurezza di tutti gli esponenti nel nobile casato. Orazio Pucci meditava una vendetta nei confronti dei medici responsabili di avergli ucciso il padre nella  precedente congiura.
Il granduca si rivolse al Corboli che riuscì ad arrestare lo stesso Pucci e i 20 supposti complici.
Il Pucci fu decapitato, Pietro Ridolfi  fu impiccato  ed altri riuscirono a sfuggire alla legge.
Ci fu la relativa confisca dei beni appartenenti ai congiurati, secondo la legge “Polverina” dal nome del suo autore Iacopo Polverini, ma rispetto a Cosimo I, che con scrupolo di coscienza aveva restituìto i beni alle rispettive famiglie che nulla avevano a che vedere con la congiura, Francesco I incamerò all’erano la forte somma di 300.000 ducati.
«La severità inesorabile del granduca e l'ingordigia dei suoi ministri fiscali commossero a sdegno tutta la città, che considerando questo complotto piuttosto una leggerezza giovanile, che un atto maturamente premeditato contro la tranquillità dello stato, avrebbe desiderato nel principe maggiore equità e moderazione. Era sensibile spettacolo agli occhi di tutti il vedere le principali famiglie della città infamate, e gl'innocenti figli dei delinquenti condannati ad una perpetua miseria. Ciò accrebbe da vantaggio la diffidenza tra il principe e i suoi sudditi e rese più odioso il governo di Francesco I».
  Era un freddo inverno ed Isabella, il 3 marzo (1575), scriveva al marito
Il carnevale  va freddo al possibile di che io ho gran satisfatione essendo fora delli gusti carnevaleschi.
 Due giorni dopo  scrisse, sempre al marito Paolo, una lettera più lunga, spiegando..
Sono stata con terzana doppia (un tipo di malaria) 14 giorno poi…. tre di senza febbre adesso mi è tornato… perché come tengo la testa bassa… sono stata negligente circa il negotio.
La terzana non impedì ad Isabella di ricevere l’ambasciatore di Filippo  di Spagna.

 

Il Carnevale nella Firenze del 1400

Firenze – Chiesa di Santa Maria Novella
Andrea di Bonaiuto Affresco nel “Cappellone degli Spagnoli”
Le festività fiorentine
 

I riferimenti storici citano come il Carnevale di Firenze nacque come una festa popolare. Fu tra il XV ed il XVI secolo che proprio la famiglia Medici organizzò sfarzose celebrazioni mascherate arricchite da carri decorati che prendevano il nome di “trionfi”. I festeggiamenti erano accompagnati da balli, musiche e canti carnascialeschi.
I canti carnascialeschi furono composti per essere eseguiti con musica e in forma corale durante le feste del carnevale. Fu un genere musicale molto in voga nella Firenze del Quattrocento ed esattamente ai tempi di Lorenzo il Magnifico, uomo di grande cultura e dagli ideali umanistici, a cui venne attribuita la paternità.
Ebbero una diffusione nel Cinquecento ed oltre, come fu testimoniato dalla prima antologia scritta da Anton Francesco Gazzini nel 1559 e intitolata:
Tutti i trionfi, carri, mascherate o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico Lorenzo vecchio de’Medici; quando egli ebbero prima cominciamento per infino a questo anno presente 1559
C’è da dire che dopo la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 con le predicazioni del Savonarola i festeggiamenti carnevaleschi furono sostituiti da processioni e laudi religiose. Ma dopo la morte del Savonarola, avvenuta nel 1498, i festeggiamenti del Carnevale furono ripristinati.
I canti venivano eseguiti da gruppi di maschere che percorrevano le strade a piedi o su carri molto addobbati.
Quando i canti e le maschere rappresentavo divinità o personificazioni di virtù venivano detti “Trionfi”  mentre quando impersonavano i mestieri o l’umanità, erano detti “Carri”.
Le maschere rappresentavano i mestieri e lo scopo della rappresentazione erano molteplici.

Il primo motivo era quello di descrivere i gesti e le abitudini della categoria e il secondo di creare allusioni e riferimenti grazie ai doppi sensi legati all’amore. Numerosissimi erano i mestieri raffigurati come lo spazzacamino, il tessitore, il pittore…. Il pescatore di arringhe…
I canti erano musicati e il primo musicista che dedicò la sua attività ai canti carnascialeschi fu Heinrich Isaac che era attivo a Firenze nel 1485 dove istituì una “scuola fiorentina” che era caratterizzata da una scrittura polifonica e da modalità musicali complesse.
Molti erano i canti famosi e alcuni di questi scritti da Lorenzo il Magnifico:
-          Canto de berniquola; testo di Lorenzo il Magnifico e musica di Heinrich Isaac;
-          Il Canto dei farcitori d’olio; musica di Alexander Agricola;
-          Il Canto de’ cialdonai; di anonimo;
-          Il Canto dei poveri che accettano la carità; Lorenzo il Magnifico e musica di anonimo;
-          Il Canto di uomini allegri e goditori; di anonimo.
Ma il canto più famoso era quello proprio di Lorenzo il Magnifico dal titolo “Il Trionfo di Bacco e Arianna”. Un canto che accompagnava la sfilata dei carri mascherati di argomento mitologico (“I Trionfi”) che furono da lui ideati.
Il testo presenta una musicalità facile e ripetitiva che era quindi adatta ad un esecuzione corale ed è un esaltazione del “carpe diem” cioè “cogli l’attimo e goditi il momento senza pensare al futuro”….. “ godi pienamente le gioie della giovinezza (la bellezza, l’amore, i sensi) nella consapevolezza della loro fugacità”.
Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Il testo fu musicato da un autore ignoto e ripreso dal cantautore Angelo Branduardi nel 1994  inserendolo nel suo album “Domenica e Lunedì”.



https://www.youtube.com/watch?v=axU--HxXSe8

Nel 2013 il gruppo neoclassico “Camerata Mediolanense” creò un’altra versione musicale che fu inclusa nell’album “Campo di Marte”


https://www.youtube.com/watch?v=PSdZCnU2z6E




















Nel 1575 non fu Giovanna ad organizzare i festeggiamenti del carnevale com’era successo negli anni precedenti e per questo motivo ci fu una grande delusione.
C’era a corte una nuova “regina” del carnevale, Bianca Cappello che organizzò non solo i festeggiamenti ma anche il banchetto.
Isabella non partecipò ai festeggiamenti e apparve in pubblico nella Quaresima
La Signora Lionora, donna di Don Petrino, e la signora Isabella,
sorella del Duca e del Cardinale e di Don Pietro, andavano con cassette raccogliendo limosine per la città.
Le due cugine erano guidate da uno spirito caritatevole  e nello steso tempo cercavano di prendere le distanze dall’ostentazione  di Bianca… si volevano differenziare da lei.
Un gesto di Leonora e di Isabella che, nelle loro intenzioni, doveva avvicinarle al popolo perché  volevano fare dimenticare  la loro posizione di donne privilegiate.
In quel periodo si parlava molto in città, e non solo, sulla condotta di vita delle due cugine  e sembra che alcuni voci siano giunte a Roma. Le due donne  erano diventate facile bersagli di alcune pasquinate…..le licenziose filastrocche satiriche appuntate alla statua di Pasquino vicino a Piazza Navona.



Pasquino è la celebre statua “parlante” di Roma, famosa  tra il
XIV ed il XIX secolo. Ai piedi della statua e al collo, venivano appesi nella notte dei foglietti
che contenevano delle satire in versi. Satire che colpivano personaggi pubblici importanti.
Per questo motivo venivano chiamate “pasquinate”  ed esprimevano un diffuso malumore
nei confronti del potere  e l’avversione alla corruzione ed all’arroganza dei suoi  rappresentanti.
È un frammento di una statua ellenistica  o di un gruppo scultoreo risalente al III secolo a.C.
E attribuito all’arista Antigonos e sulla raffigurazione varie sono le ipotesi;
Menelao che sostiene Patroclo; Aiace con il corpo di Achille o Ercole in lotta con i Centauri.
 La statua infatti rappresenta forse due guerrieri che si sorreggono a vicenda.
La statua fu trovata nel 1501 e, per ironia della sorte, durante gli scavi per la
pavimentazione stradale e la ristrutturazione di Palazzo Orsini. Fu lasciata proprio nel
punto in cui fu rinvenuta. Preso si diffuse l’abitudine di appendere nella notte, al collo della
statua, dei fogli con satire in versi verso i personaggi pubblici. Le guardie ogni mattina
levavano i fogli che comunque erano stati già letti dalla popolazione.
La statua suscitò molta preoccupazione ed irritazione da parte dei personaggi colpiti dalle
satire ( i papi erano quelli presi maggiormente di mira).
Ci fu chi decise di eliminarla…..papa Adriano VI (1522 -1523) ordinò di gettare la
statua nel Tevere ma venne distolto dall’azione grazie ai cardinali della curia.
Un simile gesto avrebbe potuto avere delle gravi  conseguenze  sull’odine sociale.
Anche papa Sisto V (1585-1590) e Clemente VIII (1592-1605) tentarono invano di eliminarla e
si decise anche di presidiare il luogo con delle guardie, di giorno e di notte. I foglietti delle
satire apparvero, addirittura più numerosi,  su altre statue della città.
L’idea era stata di papa Benedetto XIII che emanò un editto che istituiva la pena di morte, la confisca
e l’infamia a chi si fosse reso colpevole di pasquinate. Nel 1566 papa PioV fece
giustiziare Niccolò Franco accusato di essere l’autore delle pasquinate e per questo motivo
condannato a morte e giustiziato sulla forca !!!!
Le pasquinate continuarono…..

Un’incisione del 1550 ad opera dell’artista francese Nicolas Beatrizet


L’origine del nome è avvolta dal mistero. Molte ipotesi ....“Pasquino” sarebbe
stato un ristoratore che conduceva la sua attività nella piccola piazza, un barbiere,
un sarto, un fabbro.  Un ipotesi, piuttosto recente, sostiene invece che sia stato il nome
di un insegnante di grammatica di un vicino liceo. Gli studenti vi avrebbero notato delle rassomiglianze fisiche e cominciarono a lasciare per goliardia i primi fogli satirici.
Un’altra ipotesi vorrebbe collegare il nome della statua a quello del protagonista di una novella del Boccaccio (Decameron, IV, 7) morto per avvelenamento da salvia, erba nota invece per le sue qualità sanifiche: il nome quindi sarebbe stato ad indicare chi viene danneggiato dalle cose che si spacciano per buone (come poteva essere, in quel contesto, il potere papale).
Più articolata e dettagliata è infine la versione che segue, tratta dalla 'Ragioni d'alcune cose' di Lodovico Castelvetro (1505-1571), che apprese dal ferrarese Antonio Tibaldi (1462-1537), detto il Tibaldeo, il quale visse a Roma gran parte della sua vita e vi morì:

«... Diceva adunque che fu in Roma, essendo egli giovinetto, un sartore assai valente di suo mestiere chiamato per nome 'maestro Pasquino', il quale teneva bottega in Parione, nella quale egli e i suoi garzoni, che molti n'aveva, facendo vestimenti a buona parte de' corteggiani, parlavano liberamente e sicuramente in biasimo de' fatti del Papa e de' cardinali e degli altri prelati della Chiesa e de' signori della Corte; delle villane parole de' quali, siccome di persone basse e materiali, non era tenuto conto niuno né a loro data pena niuna o malavoglienza portata di ciò dalla gente; anzi, se avveniva che alcun, per nobiltà o per dottrina o per altro riguardevole, raccontasse cosa non ben fatta d'alcun maggiorente, per schivare l'odio di colui che si potesse riputare offeso dalle parole sue e potesse nuocergli, si faceva scudo della persona di maestro Pasquino e de' suoi garzoni nominandoli per autori di simile novella, in tanto che in processo di tempo passò in usanza comune e quasi in proverbio vulgare l'attribuire a maestro Pasquino ciò che accadeva nell'animo, a ciascuna maniera d'uomini, di palesare in infamia de' capi ecclesiastici e secolari della Corte.
Ma poscia, morto lui, avvenne che, lastricandosi o mattonandosi la strada di Parione, una statua antica di marmo in parte tronca e spezzata, figurativa d'un gladiatore, la quale era mezza sotterrata nella via pubblica e col dorso serviva a camminanti per trapasso acciocché non si bruttassero i piedi nelle stagioni fangose, fu dirizzata in piedi per mezzo la bottega che fu di maestro Pasquino, perciocché, giacendo come faceva prima, rendeva il lastricamento o il mattonamento meno uguale e men bello; alla quale, essendosi dal popolo imposto il nome di colui che quivi vicino soleva dimorare e dinominandosi 'maestro Pasquino', gli avveduti corteggiani e cauti poeti di Roma, non si scostando dall'usanza, già invecchiata, di riprendere i difetti de' grandi uomini come divulgati da maestro Pasquino, a quella assegnarono e assegnano i sentimenti della lor mente quando vollero o vogliono significar quello che non si poteva o non si può, facendosene autori, raccontare o scrivere senza evidente pericolo, siccome avviene a chi ha ardimento di muover la lingua o la penna in disonore di coloro che possono e vogliono nuocer per cagioni ancora vie più leggiere... Cotale adunque raccontava il Tibaldeo essere stato il cominciamento di maestro Pasquino e cotale essere stato ed essere e dovere essere il soggetto e la forma de' suoi ragionamenti...»



In quei primi mesi del 1575 oltre alle “pasquinate” su Eleonora ed Isabella, ce ne fu una proprio su fratello della stessa Isabella, il cardinale Ferdinando de’ Medici che s’era preso una concubina di nome Clelia e che era figlia naturale di un altro cardinale, il cardinale Alessandro Farnese.
La pasquinata recitava;
Il medico cavalca la mula del Farnese

Probabile ritratto di Clelia Farnese
Artista: Jacopo Zucchi
(?, 1541 - ?, 1590) – Attivo a Firenze e Roma
Pittura: Olio su tavola - Datazione: 1570
Misure (49,5 x 37,8) cm
Collocazione: Galleria Nazionale d’Arte Antica – Roma

Il 2 aprile del 1575, Isabella ricevette una lettera dal marito Paolo  a cui rispose
Si duole con li scrivo
giustificandosi con varie scuse come la stanchezza, le preoccupazioni e continuava..
sto assai bene ma voglio purgarmi questa settimana poi andar in villa et far esercitio.
 La settimana successiva scrisse nuovamente al marito
Io sto assai bene ma li tempi nuovi mi travagliano a tal che domani mi vogliano
ar un poco di medicina
Aveva assunto l’incarico di ordinare camice si misura per il marito e alla fine d’aprile mandò una nuova lettera
a V.E. le camicie et fazzollete et se non sono belle come lei mereterebbe la colpa al lino che mi hanno portato
I bambini crescevano sani anche se Nora aveva lo stesso disturbo di cui aveva sofferto Isabella
Era quasi da un  orecchio assordata ma per catarro
Alla corte medicea fu pubblicata una raccolta di poesie pastorali di Felice Faciuta, di cui due erano dedicate ad Isabella; ne lodava “i modi angelici e il divino incedere” il florido petto che adorna il candido collo “oh beato il pittore dal quale cotale immagine sia ornata…. Oh felice colui che dipinge dita ebumee per le mani… Scriverò gli onorati fatti della tua vita. E finchè vivrò, dal mio petto trarrò lodi”.
È un immagine di Isabella decisamente nuova: raccogliere elemosine per i poveri;  badare ai figli di una vittima di un assassinio; dare il benvenuto ai dignitari in visita; mandare camice al marito; leggere poesie che le venivano dedicate; non partecipare alle festività del carnevale.

20. Isabella de’ Medici nel 1574 - 1576

Comunque sono queste le attività della principessa nei primi mesi del 1576.
È una Isabella tranquilla, che non evidenzia alcun disagio. Non aveva mai avuto la necessità di pianificare la sua vita dato che era cresciuta in un ambiente privilegiato e  non si era mai dovuta occupare della sua sopravvivenza anche nei momenti di maggiori difficoltà economica.
 Isabella viveva al momento, se aveva denaro lo spendeva perché era certa che il padre Cosimo I sarebbe accorso in suo aiuto. Quando l’Orsini la reclamava a Roma, fino a che il padre Cosimo era in vita, poteva rimandare la partenza e aspettare che qualche nuovo evento distogliesse  il distratto marito. Con la morte del padre, Isabella continuò ad usare la stessa strategia comportamentale giustificandosi con varie motivazioni: trattative finanziare, impegni a corte e salute cagionevole.
La donna sapeva che il nemico più temibile non era il marito ma il fratello Francesco che le era stato sempre ostile ed ora più di prima. Il motivo ?
Il motivo era legato a Troilo che fu dichiarato fuorilegge proprio dal granduca Francesco I che era a conoscenza del loro amore.
Allontanò dalla sorella il suo amante che poteva fare ben poco per proteggerla, ma che era comunque oggetto del suo amore.
Dopo l’aprile del 1574 Troilo Orsini lasciò Cracovia e raggiunse il re Enrico III a Venezia dove, con l’inviato mediceo Sigismondo De’ Rossi, rappresentò il granduca Francesco I nei festeggiamenti veneziani in onore del re.
Con la morte di Cosimo I, Troilo aveva perduto un importante appoggio perché il nuovo granduca Francesco I non aveva molto stima di lui e cercava d’impedire la nascita di un possibile rapporto di collaborazione con il fratello cardinale Ferdinando.
Francesco I accusò Trolio di proteggere un personaggio accusato di aver ucciso un suo servitore. Successivamente fu accusato di omicidio e il 15 febbraio 1576 lo condannò in contumacia sequestrandogli i beni.
Troilo s’era rifugiato in Francia dove il nuovo re Enrico III, figlio di Caterina de’ Medici, lo nominò gentiluomo di camera.
Dopo aver lasciato Firenze e stabilitosi in Francia sembra che il Troilo abbia mantenuto un contatto epistolare con Bartolomeo Concimi, segretario di Francesco I e con Ferdinando de’ Medici e con lo stesso granduca.
I rapporti tra Francesco i ed Isabella  s’erano ulteriormente inaspriti ma questo ..un comportamento ostile anche nei momenti più tristi della loro vita.
Alla morte del fratello Giovanni, Francesco I rimproverò la sorella per il forte dolore che esternava, definendola “bestiale”. Come abbiamo visto, le aveva negato l’uso della Villa Baroncelli che alla fine le fu concessa dal padre.
Isabella, a sua volta, parlava del fratello in modo irriguardoso con l’amante Troilo.
La questione fu grave quando si trottò di dividere l’eredità del padre perché Isabella mise per iscritto la sua sprezzante disapprovazione per essere stata ingannata nella divisione dei beni.
L’atteggiamento di Francesco I non era cambiato nel tempo ed anzi era peggiorato dato che al suo fianco c’era una donna, Bianca Cappello, che non voleva rivali femminili sulla scena fiorentina.
La concubina Cappello aveva sbaragliato la malinconica Giovanna ma con la presenza di Isabella, non  poteva considerarsi “superiore” perchè agli occhi dei fiorentini, in virtù anche del suo passato, era
Isabella la Signora di Firenze 

Il 13 maggio del 1576, Ercole  Cortile riferì:
La Sig. Isabella è andata cinque giorni per star a Caffagiolo e pare per quel che se dice che un'altra volta se le sia tornata a gonfiar  il corpo et se sarà come l’altra  potrebbe risanare in 9 mesi
Ercole Contini era il nuove ambasciatore del Duca d’Este e sostituì Ridolfo Conegrano. Non aveva quindi né l’esperienza e nemmeno il rispetto nei confronti della principessa che invece avevano animato il comportamento del suo predecessore, per cui la sua partenza della donna venne considerata dal Cortile come anomala  ma “non priva di precedenti”.

Villa di Cafaggiolo

Cafaggiolo  sorgeva a circa 25 km a Nord di Firenze, ai piedi degli Appennini. La proprietà s’estendeva nel cuore del Mugello, regione di cui i Medici erano originari, ed era stata acquistata da Cosimo il Vecchio nel 1443.
Quando il suo architetto, Michelozzo, intraprese i lavori di restauro del castello trecentesco, ebbe l’ordine di mettere in evidenza i tratti medievali per creare l’impressione che fosse la residenza titolare della famiglia da sempre.
Nonostante l’importanza dell’edificio, non era una residenza molto frequentata da Isabella.
Restava quindi da scoprire per quale motivo Isabella si recò proprio ora a Cafaggiolo pur avendo un'altra residenza più vicina e facile da raggiungere.
Una domanda forse banale   a cui il Cortile cercò di dare delle risposte.
La domanda arrivò quindi ad Alfonso II duca d’Este  ed anche lui  cercò d’indagare.
Isabella aveva una gravidanza indesiderata?  Troilo era partito da Firenze per la Francia alla fine di settembre del 1575 e quindi Isabella si sarebbe potuta trovare all’ottavo mese di gravidanza.Da mesi non incontrava Paolo Giordano e quando lo stesso Paolo si presentò alla fine di settembre, Isabella era a letto malata e probabilmente non era nelle condizioni di salute adatte per un rapporto sessuale.
Se fosse stata incinta nel mese di maggio 1576 sarebbe stato difficile dare credere al marito di esserne il padre.
Se la pancia non era molto vistosa e poteva ancora essere dissimilata sotto un abbigliamento comodo, è plausibile che Isabella l’avesse celata fino ad allora per partorire in segreto ?”

L’ambasciatore Cortile fu l’unico ad avanzare queste ipotesi e su Isabella scese un velo di silenzio per tutto il mese di maggio del 1576.
In questo periodo non ci furono nemmeno lettere di corrispondenza tra la donna e il marito.
Un dato fu certo dato che la sua permanenza a Cafaggiolo fu salutare per la donna perché alla ricerca di un po' di pace e riflessione.
Infatti anche se “mal contenta al solito  e più malinconica che mai”,
la sua salute migliorava e nel mese di giugno si verificarono degli episodi che la resero molto infelice.
A dispetto delle continue vittime di duelli o assassini, delle continue fughe sempre più numerose degli antimedicei, Firenze era ancora una città vitale, popolata di romantici cavalieri, tra cui Bernardino Antinori.
Bernardino e la sua nobile famiglia intratteneva da tanto tempo dei legami con la casa di Isabella e intorno al 1560 sua madre Regina aveva richiesto personalmente alla principessa di “estendere al figlio la sua protezione”.
Era un cavaliere di Santo Stefano che si era distinto nella famosa battaglia di Lepanto.
Ma c’era un piccolo problema legato al comportamento del ragazzo che nella sua città d’origine (Firenze) non era impeccabile.
Nel febbraio del 1576, dopo una partita di calcio, era venuto alle mani con un certo Francesco Ginori. Un litigio  forse legato ad una rivalità “per il cuore di Leonora” (cugina di Isabella da parte di madre).
Bernardino Antinori venne arrestato, imprigionato al Bargello e successivamente rilasciato.
La cugina Leonora (figlia di Garzia  fratello della madre di Isabella), forse in modo inconsapevole, si era cacciata nei guai per aver favorito la fuga di Pierino Ridolfi dopo la sventata congiura antimedicea dei Pucci (di Orazio Pucci nel 1575), e non esitò a difendere Bernardino..
essendo bellissino giovane per quanto è apparso  corteggiando assai al cocchio la signora Leonora Tolledo
scrisse Giuliano de’ Ricci.
Una così plateale ostentazione della loro relazione non poteva passare inosservata, nemmeno a Francesco I che aspettava il momento opportuno per agire contro la cognata (aveva sposato il fratello Pietro).
L’Antinori le aveva scritto lettere d’amore e poesie che vennero trovate “in un suo scannello”(cassettino).

Scannello Siciliano – XV/XVI secolo

Alla fine di giugno  Bernardino fece un viaggio all’isola d’Elba dove “invitato dal Conte Lionello delli Oddi a desinare, fu doppo mangiare di ordine di Sua Altezza Serenissima fatto prigione”
Il 9 luglio 1576, “fu fatto alle cinque hore strangolare” nelle carceri dell’Elba.
Quando si sparse la voce dell’arresto di Bernardino a causa della relazione con Leonora, fu chiaro a tutti che la giovane donna non aveva imparato la lezione dopo il suo coinvolgimento nella congiura dei Pucci e che si era “buttata tra le braccia di un nuovo amante”.
La donna non portava alcun rispetto verso i de’ Medici e tanto meno al marito Pietro e questo a prescindere dagli innumerevoli torti subiti.
La condotta della donna evidenziava le carenze della Firenze di Francesco I de’ Medici….se il Granduca non riusciva a tenere a bada le donne della sua famiglia, come avrebbe potuto controllare gli stati di cui era sovrano ?
La corte di Cosimo de’ Medici era altrettanto libertina, ma tutti riconoscevano in lui le capacità di un gran governatore.
Sotto il suo regno, adulterio ed anarchia non andavano insieme come sotto Francesco I che si stava dimostrando indegno successore del padre e aveva aperto la strada ad un diffuso malcontento antimediceo.
Ebbe la fortuna di sventare la congiura dei Pucci ma il pericolo restava sempre in agguato e pronto a colpire nel momento più opportuno.
Doveva agire subito e per proteggersi doveva ripristinare  quell’antica immagine d’equilibrio e ordine in seno alla famiglia de’ Medici.
La Firenze del Rinascimento era una città piccola ma molto popolata e la gente si lasciava andare a commenti pittosto audaci e irriguardosi nei confronti del Casato.

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21. L’Uxoricidio di Leonor Alvarez de Toledo



Leonora Álvarez de Toledo y Colonna, detta anche Dianora 
Artista: Alessandro Allori
Firenze, 31 maggio 1535; Firenze, 22 settembre 1607
Datazione: 1571-1576
Collocazione: Museo dell’Ermitage – San Pietroburgo

Leonora Alvarez de Toledo Y Colonna, detta anche Diadora, nacque a Firenze  nel marzo 1553, figlia terzogenita di Garcia Alvares de Toledo y Osorio Pimentel ( I duque de Fernandina e vicerè di Sicilia) e di Vittoria Colonna (figlia di Ascanio Colonna, II duca di Palliano, e di Juana de Aràgon).

La vita di Leonor è travagliata, fatta di inganni, interessi economici e politici, intrighi di corte e sofferenze.
La sua vita  diede spunto a numerose espressioni letterarie  e liriche del XIX secolo.
Dopo la morte della madre visse alla corte della zia Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’ Medici. Un infanzia vissuta a corte con i cugini e circondata dall’affetto degli zii. Eleonor aveva soprattutto un bellissimo rapporto con la cugina Lucrezia che sarà la futura signora di Ferrara.

Lucrezia di Cosimo de 'Medici, cugina di Leonor
Artista: Agnolo Bronzino
(Galleria degli Uffizi - Firenze Italia)

A soli sette anni è già colpita a un crudele destino perché gli venivano a mancare gli affetti più cari.
Lucrezia de Medici, sua antica compagna di giochi, sposata da tre anni con il duca Alfonso II d’Este, muore appena sedicenne di tubercolosi. Perde anche la zia Eleonora de Medici, sempre nel 1562, colpita dalla terribile malaria. Cosimo I vide in Leonor una figlia, aveva visto morire ben sei dei suoi figli, e l’affascinava con la sua vivacità   nell’equitazione quanto nell’interesse delle armi.
La vita di Leonor venne tragicamente scritta dal padre e dallo zio Cosimo malgrado quest’ultimo gli fosse molto affezionato.
Entrambi decisero d’avviare le trattative matrimoniali per il suo matrimonio con Pietro, figlio ultimogenito di Cosimo I e di Eleonora de Toledo, e quindi cugino  di primo grado.
Pietro non aveva un buon carattere. Era irascibile, violento, dai modi non molto cortesi, non amante della cultura, forse con qualche problema di natura psichica. Ebbe ben 6 figli naturali...... ed uno, Cosimo (?),  dalla moglie Leonor e nessuno dalla seconda moglie Beatriz de Meneses y Noronha.

Pietro de’ Medici
Artista: Santi di Tito
( Firenze ?, 5 dicembre 1536 - ?, 25 luglio 1603)
Allievo del Bronzino ?
Pittura: Olio su tela – Datazione: 1584/1586
Misure ? – Collocazione: Uffizi, Firenze

Leonor era molto bella, dai modici gentili e amabili, aveva un fascino ed un eleganza legata alla nobile famiglia.
Il contratto matrimoniale venne stipulato nel 1568, Leonor era quindicenne. Un matrimonio che avrebbe permesso ai Medici  di confermare un legame con la potente dinastia degli Alvarez e per quest’ultimi di consolidare la loro presenza in Italia.
Leonor portava una dota di ben 40.000 ducati e altri 5000 ducati in oggetti preziosi.
Data la loro età, Pietro era quattordicenne, i due giovani dovevano aspettare la maggiore età per contrarre il matrimonio e non solo.
Dato che era cugini di primo grado era necessaria la dispensa papale.
Per questo motivo Pietro venne mandato in Spagna
Si sposarono nel 1571 e sembra che il matrimonio non fu consumato fino al 1572. Data l’età giovanile di entrambi, una discendenza avrebbe garantito una solidità al contratto matrimoniale.
La coppia viveva nel Palazzo dei Medici in Via Larga, l’attuale Via Martelli.
Leonor non era felice… il marito era sempre in viaggio spinto dal suo  desiderio di conquistare posizione di prestigio. Nel 1573 fu nominato generale delle galere toscane,  con a fianco il luogotenente Simeone Rossermini, e nel 1574 fu inviato come ambasciatore in Austria.
La donna aveva due alleati: il suocero Cosimo I che da sempre nutriva per lei una grande stima e la cognata Isabella che nei confronti della cugina cominciava a dimostrare delle grandi attenzioni.
Da donna sposata seguiva il marito  e Comiso I a Pisa e nelle numerose residenze medicee.
Cosimo I, nelle sue epistole che mandava al cognato Don Garcia,  descriveva la nuora come una brava moglie, capace di adempiere ai propri doveri, già pronta a dare al marito un figlio che nascerà bel 1573 e al quale verrà dato il nome di Cosimo.


Leonor di Garcia Toledo (?)
Artista: Alessandro Allori
Datazione: 1555 circa
Misure (114,5 x 89,5) cm
Collocazione: Kunsthistoriches Museum - Vienna

Leonora continua ad essere infelice e costretta a vivere vicino ad un marito che la trascura e tra persone che le erano ostili. Uno di questi è il cugino/cognato Francesco I che sarà destinato a prendere il potere.
La donna ha molteplici interessi culturali e trova un valido appoggio nella cognata Isabella che la introduce  nella cerchia delle sue amicizie intellettuali e dai comportamenti molto raffinati.
Daranno vita all’Accademia degli Alterati che, due volte la settimana, si riuniva per discutere di poesia, di teatro e anche di problemi linguistici.
Isabella con il suo fascino e il suo modo di fare, oltre ad una spiccata intelligenza, era la stella del circolo ma Leonora non le era da meno.
La vicinanza ad Isabella diventò per Leonora un importante stimolo di vita,  per le molteplici attività culturali, e quindi quasi un rifugio per dimenticare le tristezze della sua vita.
 Pietro continuava la trascurarla, abbandonando anche gli affari di famiglia,  e sperperando il suo patrimonio.  S’abbandonava  a passioni amorose con cortigiane e donne conosciute occasionalmente… si parlò anche di pederastìa e scandalizzava la società del tempo con le sue disgraziate orge.
Francesco I metteva in cattiva luce la cognata informando il padre Don Garcia sulla condotta riprovevole della figlia che era accusata di spese eccessive e superflue. Anche la moglie morganatica di Cosimo I, Camilla Martelli, accusava Leonor di una condotta  spregiudicata a causa delle sue numerose amicizie maschili che la corteggiavano .. e si faceva corteggiare.
Leonor e Pietro erano ormai separati e la situazione della donna peggiorò alla morte del suocero Cosimo I nel 1574 perché gli venne a mancare la sua forte protezione.
La giovane donna finì con l’innamorarsi di un giovane della sua stessa età Bernardino Antinori. Non molto tempo dopo,  uno degli amici di Leonor litigò con l’Antinori assalendolo nello stretto passaggio che va lungo il lato Sud di Palazzo Strozzi. L’Antinori, nel difendersi, uccise l’assalitore.
Fu arrestato e confinato nel palazzo della sua famiglia in attesa della sentenza del granduca Francesco I.


Firenze  - Palazzo Antinori


Leonora era molto adirata e, temendo per la vita del giovane, girava attorno al Palazzo Antinori con la speranza di vederlo alla finestra e di potergli quindi parlare. Ma non ci riuscì.
Bernardino fu esiliato all’Isola d’Elba e dalla sua prigione mandò una lettera a Leonor affidandola, purtroppo, a mani non sicure.

La lettera fu consegnata a Francesco I e .. subito venne emessa la sentenza di morte per il giovane.
Fu riportato a Firenze e consegnato al Bargello e gli fu concessa solo un’ora per prepararsi alla morte che fu eseguita il 20 giugno.
L’ambasciatore ferrarese Sottile così descrisse la giovane Leonor
La più sfortunata Principessa e la più malcontenta che viva
Il giorno 11 luglio 1576 Leonor ricevette una lettera di convocazione da parte del marito Pietro per un incontro a Villa Cafaggiolo.
La donna lasciò il figlio Cosimo, di appena quattro anni, a Firenze e, temendo il peggio, abbracciò il piccolo numerose volte piangendo. Partì per Cofaggiolo in preda ad una forte angoscia e raggiunse la località nella sera.
Pietro e Leonor cenarono insieme e poi, sguainando la sua spada, la uccise.
Il corpo della donna fu sistemato in una cassa e portato la stessa notte a Firenze.
(Altre fonti citarono la sera del 9 luglio 1576 come data dell’omicidio e l’uccisione della donna con una “lazza da cane”.  La donna cercò di difendersi urlando, dimenandosi sul letto in cui venne strangolata, riuscendo a morde due dita del marito che chiese l’aiuto di due uomini per porre fine alla vita della moglie. Il corpo venne poi trasportato a Firenze l’indomani mattina in una bara che era stata preparata in precedenza).
Pietro scrisse al fratello Francesco I
“Serenissimo Signore, stanotte a sett’hore è venuto huno accidente a mia moglie et la morte, però V.A. se lo pigli in pace et mi scriva quello che io ho f[ar’] et se io ho venire costà et quello che facia no altro. Humile ser.re et fratello, don Pietro de Medici.”
 
In seguito un ambasciatore scriverà in codice al duca Alfonso II d’Este
 
" ... Donna Leonora fu strangolata nella notte di giovedì; dopo aver danzato fino alle due, ed essersi recata a dormire, fu sorpresa da Don Pietro con un guinzaglio alla gola e nonostante i molti tentativi di salvarla, infine espirò. E lo stesso Don Pietro ne riportò il segno, avendo tue dita della mano ferite per il morso della signora. E se non avesse chiamato in aiuto due disgraziati dalla Romagna, i quali sostengono di essere stati convocati con questo proposito, egli forse se la sarebbe passata molto peggio. La povera madonna, da quel che possiamo intuire, ha opposto una strenua resistenza, come si notava anche dal talamo, il quale fu trovato tutto stravolto, e grazie alle voci che udimmo dall'intera servitù. Appena morta, ella fu messa in una bara preparata per questo evento e condotta a Firenze in lettiga alle 6 del mattino da quelli della villa .... e accompagnata dai sei fratelli e da quattro preti; fu interrata come se fosse una popolana..."

Per molto tempo l’uxoricidio di Leonor fu considerato un delitto d’onore.
I documenti del tempo ricostruirono un’altra verità.
A volere la morte di Leonor fu soprattutto il cognato Francesco I che si potrebbe quindi considerare con il vero mandante dell’omicidio.
Fu uccisa per essersi legata ad amicizie troppo pericolose come quella con Piero Ridolfi, uno dei protagonisti della congiura Pucci contro la famiglia Medici.
Fu uccisa anche per non essere riuscita a nascondere la sua insoddisfazione verso il marito Pietro e neanche il suo importante cognome Alvarez Toledo riuscì a proteggerla. Agostino Lapini affermò come tutti a Firenze parlarono del suo assassinio e Bastiano Arditi ricordò come la giovane Leonor sia stata traslata a San Lorenzo, senza alcuna cerimonia.

Francesco I cercò di dissimulare tutto, dal delitto al suo concepimento.. “è un semplice attacco di cuoreaffermòMa gli Alvarez Toledo erano a conoscenza dell’azione e non potevano accettare un simile affronto. La corona spagnola pretese delle spiegazioni convincenti. Il granduca sembra che alla fine abbia dichiarato la verità. Una verità dalla quale dipendevano i fragili equilibri tra la potenza spagnola e il piccolo granducato della Toscana.
Scrisse a Filippo II
"... Nonostante nella lettera io Vi abbia informato dell'incidente di Donna Eleonora, devo nondimeno dire a Sua Maestà Cattolica che Don Pietro, nostro fratello, si prese la vita di costei a causa del tradimento che ella commise.. Noi desideriamo che Sua Maestà sia a conoscenza della verità..."

Nel 1608, durante i lavori per il nuovo mausoleo,  l’architetto a addetto ai lavori Francesco Settimanni, accanito oppositore alla famiglia Medici, scrisse nel suo diario:
“L’autore di questa relazione ha preso atto che nell’anno 1608 egli vide il corpo della suddetta Eleonora in occasione della riesumazione e della traslazione del corpo dalla nuova Sacrestia alla Cappella; e che essa era ancora bella come da viva, senza che il corpo fosse minimamente corrotto o danneggiato e appariva esattamente come se dormisse, ed era tutta vestita di candido”.
L’architetto osservò il corpo della donna ben 32 anni dopo la sua morte e non vide tracce di ferite.
Questo potrebbe far propendere per la versione, come del resto fu dichiarato al momento della sua morte, che Eleonora non fosse stata uccisa da Pietro ma che la stessa fosse morta per altre cause; forse il suo cuore  non resse all’emozione di quell’incontro. Questa incorruttibilità della salma inoltre dimostrerebbe non solo che non ci sia stata fretta nel fare il funerale ma anche la disponibilità di un  tempo sufficiente per fare l’imbalsamazione del corpo.
Il figlioletto di Eleonora, Cosimo, morì alcuni mesi dopo la sua mamma, e fu sepolto in un angolo del mausoleo. Quando nel 1857 la cassa del piccolo Cosimo fu aperta il corpo fu trovato vestito di velluto bianco ricamato con fili d’oro, e aveva sul capo una piccola cuffia di velluto nero circondato da un cerchio di fiori in oro filigranato. In una tavoletta d’argento fissata dietro il capo c’era una iscrizione che diceva:
“Cosimo figlio di Pietro, e nipote del Duca  Cosimo I, deceduto all’età di anni 4. Strappato da una grande fortuna. Venuto al mondo nel febbraio 1571. Purtroppo chiamato velocemente a lasciarlo nel settembre 1576”.
Dopo questo episodio Pietro fu mandato alla corte di Spagna e lì rimase per il resto della sua vita odiato come lo era a Firenze. Morì in Spagna nel 1604.
Il Niccolai pur trattando del fatto in maniera più succinta e, direi quasi telegrafica, disse in proposito:
“Ivi (a Cafaggiolo), Don Pietro, vile e svergognato, fattosi sicario del fratello Granduca, che l’aveva comprato per 40.000 ducati alla tutela di un falso onore, ripudiato per la vergogna di cinedi (atti contro natura) l’affabile sua sposa Eleonora di Toledo la pugnalava il dì 11 luglio 1576, di sera tarda, nella camera di lei al secondo piano della villa”.
 Come possiamo vedere anche la storia si presta a molteplici interpretazioni. Ma la verità dove sta?

Villa Cafaggiolo è Patrimonio dell’Unesco

Sulla facciata di uno dei fabbricati di Cafaggiolo si trova un reperto che è una silenziosa testimonianza di come un tempo si presentava il territorio del Mugello.
Sulla facciata di una casa cantoniera, recante l’indicazione della località, si trova sotto la grondaia e, inchiavardato orizzontalmente, un “osso di balena”... una reliquia delle mitologiche “bestie antediluviane”.

Un simile reperto appartenente a specie marine preistoriche  tra le montagne...
Si tratta di un osso di capodoglio, lungo circa 2 metri. Questo reperto era collocato in passato  sulla facciata delle scuderie (questa parte del fabbricato era detta “manica lunga”) poste a sinistra della Torre
Nella lunetta dio Giusto Utens  il reperto s’intravede su una delle porte delle scuderie.





Iustus van Utens (Giusto Utens) (Bruxelles…- Carrara, 1609) pittore fiammingo

Sul muro delle scuderie rimase fino a metà dell’ 800 quando la famiglia Borghese, acquistando la villa dai Savoia, spostò il prezioso reperto su una delle case che costituivano le pertinenze del grande complesso mediceo e dove si trova ancora oggi.
Il reperto fu sicuramente  rinvenuto durante i lavori di bonifica della zona che furono iniziati da Cosimo I de’ Medici e completanti da Lorenzo il Magnifico e da Cosimo I de’ Medici.
Il reperto risalirebbe all’era geologica in cui la zona, come buona parte della Toscana, si trovava coperta dal mare. Gli studi stratigrafici realizzati nel Mugello, Valdelsa e Montalbano, accompagnati dal rinvenimento di numerosi reperti fossili preistorici relativi a cetacei dimostrebbero la particolare situazione geologica del territorio (Lo scheletro completo di balena esposto a Scandicci, ecc.).
È anche vero che sul famoso “osso”, testimonianza di cetacei che nuotavano milioni d’anni fa in questa zona, non siano stati eseguiti degli studi anche sulla sua datazione e classificazione anche se sembra trattarsi di una costola.
 Una relazione storica del 1742,  scritta da Valentino Mannucci, Podestà di Borgo San Lorenzo e Vicchio, riportò che: 
Distante sette o
 otto braccia da questo palazzo (Palazzo Romanelli) e della stessa parte è la chiesa principale del luogo cioè la Pieve sotto il titolo et invocazione di S. Lorenzo martire, dove è un bel cimitero lungo 28 per 20 passiVi sono due porte e sopra la maggiorevi è d’antico un grand’osso di balena incatenato, del quale non seppi ritrovare per qual motivo si conservi la memoria !“.

Disegno della Pieve di San Lorenzo con l' Osso di balena sopra il portale centrale

Risulta, come si vede, che questo reperto esposto sulla facciata della Pieve di San Lorenzo a Borgo San Lorenzo nel 1742 non può essere il medesimo tutt’ oggi in bella mostra a Cafaggiolo, nei pressi del Lago di Bilancino. Sembrerebbe dunque che il ritrovamento di siffatti reperti archeologici fosse tutt’ altro che raro in Mugello, a riprova del suo passato marittimo



Giuliano Giugno, detto “Il Rosso” (?)
Medaglia di Leonora di Toledo
(Piombo dorato )

Leonora di Alvarez de Toledo y Colonna
Arista: Anonimo del XVI secolo
Collocazione: Kunsthistorisches Museum, Vienna

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22. Isabella dopo la morte della cugina Leonora

Dove si trovava Isabella quando Leonor venne uccisa il 9 – 11 luglio ?
Le ultimi notizie su Isabella risalivano all’8 luglio.
Il Cortile riferì che la donna attendeva il marito Paolo a Firenze per portarla con sé a Bracciano.
“Ma Isabella era lontana dalla città, nella villa di Cerreto Guidi, ancora più immersa nella campagna di Cafaggiolo. Isabella si era avviata a Cerreto con il marito”.
 Paolo Giordano Orsini era giunto a Firenze nel mese di luglio e mandò un breve messaggio al Duca d’Urbino Francesco Maria II Della Rovere
Hora ritrovandomi qui in Fiorenza dove non ho altro piacere di qualche caccia e ritrovandomi senza cani et uccelli prego V.E. mi voglia far grazia di  provedermi di 19 bracchi di Leonardo da Gubbio un paio di leverieri e un paio di questi schiavi.
 La richiesta sarebbe secondo gli storici molto strana e per diversi motivi.
Il duca d’Urbino non figurava mai tra i corrispondenti dell’Orsini e sembra anche alquanto strana la domanda.
Perchè chiedere proprio in questo momento dei cani e per giunta al Duca d’Urbino quando nei canili dei de’ Medici erano presenti numerosi cani da caccia ?
Era probabile che alla  partenza da Firenze l’Orsini non aveva intenzione di andare a caccia…. Oppure voleva convincere qualche interlocutore esterno di essersi recato a Firenze con lo scopo venatorio o, ancora, scrisse il messaggio su ordine di qualcuno.
Isabella, amante da sempre della caccia, non aveva motivo di rifiutare un’invito a una gita venatoria.
 L’Orsini aveva ricevuto  in quei giorni di luglio una lettera inviata dal cognato il granduca Francesco I che gli comunicava la morte di Leonor.
Rispose prontamente alla missiva
Ho sentito con quello estremo dispiacere di V.A. ragionevolmente presupone nella lettera che l’è piaciuto di scriverme lestrano accidenti giunto… dimproviso alla S.g Donna Leonora né minor discpiacere n’ha sentito la Sig. Donna Isabella et s’el dolore potesse ristorar la perdita noi saremmo così accorati… come la conditione humana ci persuade et sforza a consolarci et conformarci con la vocatione Divina.
 Isabella aveva certamente sofferto per la perdita della giovane cugina, alla quale da bambina aveva dato le monetine per praticare l’elemosina e con quale, qualche mese prima, aveva percorso le strade di Firenze raccogliendo offerte per i poveri fra lo stupore dei cittadini”.
Leonora, la più bella di Firenze, ammirata da tutti, tranne che dai fratelli Medici, aveva preso ispirazione da lei, emulato i suoi interessi culturali e il suo stile di vita.
Isabella tremava… capiva che quello stile di vita l’aveva portata alla morte.
Non era ragionevole pensare che Leonora fosse stata accidentalmente soffocata nel suo letto come aveva comunicato Francesco I al fratello Ferdinando  e sicuramente anche all’Orsini.
Isabela, da donna brillante, arguta con una precisa visione della realtà, sicuramente si chiese per quale motivo lei si trovasse a Cerreto Guidi mentre la cognata veniva uccisa nella villa di Cafaggiolo.
Le sembrava strano che il fratello Francesco I abbia scritto a suo marito e non a lei che era più affezionata a Leonora.
Un segnale che il marito aveva concordato con il cognato Francesco I ?
Il sapere della morte di Leonora  sarebbe stato un duro colpo per Isabella nonchè anche un motivo di temere per la propria vita.
Cerreto Guidi aveva la stessa distanza da Firenze e da Pisa, ma da Pisa era più facile raggiungere  il porto di Livorno dove avrebbe potuto imbarcarsi per Napoli e mettersi sotto la protezione degli zii Alvarez di Toledo che erano ancora ignari della morte di Leonor.
Ma per Francesco I sarebbe stato  un motivo di grande preoccupazione se Isabella avesse raggiunto Parigi, covo di rivoltosi antimedicei e residenza di Trolio sotto la protezione di Enrico III di Francia.
Caterina de’ Medici l’avrebbe accolta felice malgrado la sua reputazione non fosse ottima. Questa accoglienza avrebbe messo in ridicolo il granduca di Toscana trasformando una questione familiare in un scandalo internazionale con gravi conseguenze. Isabella a Parigi sarebbe riuscita a dare una spinta ulteriore alla coalizione antimedicea contro il fratello.
A sua volta Caterina de’ Medici, donna dotata di una spiccata furbizia, avrebbe potuto usare Isabella per i suoi fini politici in Toscana.
È anche vero che in passato Isabella aveva avuto degli atteggiamenti ostili nei confronti della Francia ma la prospettiva di liberarsi del marito e di congiungersi  all’amante Troilo, avrebbero cancellato di colpo tutte le idee antifrancesi.
Sembrerebbe la realizzazione di un poema cavalleresco dove l’attrice principale, Donna Isabella, avrebbe visto trionfare il suo amore dopo anni di sofferenze seguiti alla morte del padre e protettore Cosimo I.
Forse non sapremo mai se Isabella avesse in mente di recarsi in Francia.
Un viaggio o fuga che richiedeva un organizzazione ben precisa e dei lunghi preparativi.
Nel marzo del 1571, dopo alcuni aborti, Isabella aveva partorito una bambina a cui fu  il dato il nome di Francesca Eleonora (successivamente sposerà Alessandro Sforza di Santa Fiora duca di Segni) e nel settembre 1572 nacque Virginio (sposerà Flavia Peretti).
Con Isabella ci sono anche Francesca Eleonora (di cinque anni) e Virginio (di quattro anni) e scappare da Cerreto Guidi sarebbe significato abbandonarli ad un destino ignoto.


Francesca Eleonora  (Eleonora Francesca)





Isabella de’Medici con il figlio Virginio
Artista: Alessandro Allori
(Firenze, 31 maggio 1535 – Firenze, 22 settembre 1607)

Avrebbero adoperato i figli per ricattarla ? Era stato dato ordine agli stallieri di non darle un cavallo per impedirle la fuga ? Fu conquistata da tragici dubbi ?
Anche su queste domande non avremo le risposte.
Forse la  donna non sospettava quello che il destino le aveva riservato o forse si rifiutava di credere che le fosse riservata una punizione terribile  simile a quella subita dalla cugina.
Aveva sempre avuto come carattere di vita nei suoi comportamenti l’arte dell’eludere o rimandare una questione, ma ora il tempo non gli  dava più attimi per riflettere e gli si stava schierando contro.
 
Il 16 luglio, appena due giorni dopo aver inviato la lettera a Francesco I dichiarandosi dispiaciuto per la morte della giovane Leonora, Paolo riscrisse al granduca.
Francesco I rispose alla lettera con un messaggio da lui firmato e segnato anche dal suo segretario
Con quanto dispiacere io abbia sentito per lettera di V. Eccellenza la morte della Signora donna Isabella sua consorte e mia sorella. Ella stessa può giudicarlo egualmente,  sendomi quella Signora rimasta sola di quante n’erano in questa casa e da me amata sì teneramente. Credo che non le sia mancata diligenzia o remedio alcuno all’accidente che l’ha levata di vita, e che se l’Eccellenza Vostra ne avesse avuto il bisogno o fosse stata in tempo, mi rendo certo che avrebbe mandato volando per quanto io ne abbia in guardaroba. Or, poiché a Dio è piaciuto di tirarla a sé, l’esorto siccome me medesimo a tollerare in pace quello che viene dalla sua divina Maestà. Potrà farla condurre domattina o l’altra in una cassa fuori della……
 
Nella notte del 15-16 luglio Paolo Giordano I Orsini  aveva strangolato, verso mezzanotte, la moglie Isabella de’ Medici.
Il dramma avrebbe avuto molti testimoni e l’ambasciatore di Ferrara, Ercole Cortile, scrisse al Duca D’Este in modo dettagliato l’uxoricidio:
«La signora donna Isabella poi fu strangolata dal mezzo giorno havendola mandata a chiamare il signor Paolo che era, la povera signora nel letto. E così subito si levò e postasi una robba attorno, ché era in camiscia, andò alla camera di detto signor Paolo passando per una sala dove era un suo prete chiamato Elicona e certi altri suoi servitori […]. Et così se ne andò nella camera. Morgante [il nano della famiglia Medici, che era anch’egli quivi, gli tenea dietro et una sua donna, et il signor Paolo li cacciò via e serrò la porta della camera con gran furia. Era nascosto sotto il letto il cavalier Massimo […] romano, il quale aiutò a far morire detta signora: Né stette più di un terzo d’ora serrato in detta camera che il signor Paolo chiamò una sua donna chiamata madonna Leonora dicendo che portasse aceto ché alla signora era venuto svenimento. Et entrata che fu dentro la donna, dreto la quale era anche Morgante, vide la povera signora appoggiata al letto in terra et spinta dall’amore che le portava disse: “Ah! Se l’havete morta! Che bisogno havete d’aceto o d’altro?” Il signor Paolo la minacciò e disse che tacesse ché l’ammazzerebbe».
 Il cavalier Massimo di croce bianca romano”…doveva essere un amico dell’Orsini e cavaliere dell’Ordine di Malta.


Questo racconto sarebbe la versione del Cortile che è particolarmente interessante perché nominava persone che erano vicine a donna Isabella come il prete Elicona e Morgante, che era il famoso nano di corte.
Leonora e Morgante non avevano alcun potere di protestare per l’accaduto dato che erano al servizio de’ Medici e non avevano la possibilità di vivere al di fuori della corte medicea. Sia a Paolo che a Francesco non aveva nessuna importanza il sapere che qualcuno aveva quasi assistito all’omicidio. L’unica problema sarebbe stato quello di una rilevazione in via informale dell’accaduto  ma che comunque non avrebbe causato danni ai colpevoli perché nessuno avrebbe creduto ai due servitori.
La loro presenza era stata necessaria dato che Isabella aveva nutrito qualche sospetto sulla proposta di recarsi a Cerreto Guidi senza il seguito che solitamente l’accompagnava.
Il Cortile continuò nella sua interessante relazione al duca d’Este
La detta signora fu posta anche lei in una cassa quivi preparata per tale effetto et fu condotta la notte a Firenze e fu posta nella chiesa del Carmine e fu schiodata la cassa chè si vedesse e fu veduta da chi la volse vedere. Et, per quel che vien detto, non fu mai veduto il più brutto mostro. Havea una testa grossa fuor di misura, le labbra grosse et nere che parcano 2 salsicioni, gli occhi aperti, grossi come duie pugna, le pope grossissime et una tutta crepata, per difesa, dicono, del signo Paolo che se la gittò addosso per farla morire quanto più tosto
 
Il Cortile continuò dicendo che… Et putiva talmente che non vi era alcun che gli potesse stare appresso.
Il caldo del mese di luglio contribuì alla forte tumefazione del corpo. Eppure la tentazione di vedere la salma della bella principessa fu forte ed una “compatriota” del Cortile disse che la salma di Isabella era tutta nera dal mezzo in su e dal mezzo in giu bianchissima…
Lo spettacolo fu terribile e anche l’esposizione in pubblico sembrò volersi trasformare in un grave oltraggio alla figura della donna.
La versione ufficiale della morte di Isabella fu “dovuta ad un malore” ma anche un altro cronista, il Ricci, non nascose l’incertezza sulla versione ufficiale e condivise il racconto del Cortile.
Isabella sarebbe stata convocata in una stanza dal marito e da quella stanza non uscì viva.
Il marito, come riferiscono le cronache, restò a vivere nella Villa Baroncelli che Isabella aveva appellato con amore “la mia villa” insieme ad alcune prostitute.
I figli di Isabella, Eleonora e Virginio, furono presi in custodia dalla cognata duchessa Giovanna d’Asburgo, moglie di Francesco I, perché secondo la versione del Cortile
«il signor Paolo non li vuole tenendo che non sono suoi figli, però di questo non me ne ha data altra certezza». 

………………..

Per molto tempo la morte di Leonora ed Isabella furono considerati delitti d’onore. Entrambe le vittime avevano avuto delle relazioni extraconiugali e morte per mano dei rispettivi mariti in base alla cultura del tempo. Due delle tante donne dell’Italia rinascimentale di cui s’è persa ogni memoria come Vittoria Savelli, nobile romana e sposata al cugino Gian Battista che le tagliò la gola nel luglio del 1563 avendola sorpresa a letto con il fratellastro Troiano, subito pugnalato dallo scudiero di Gian Battista.
Altre pur non commettendo adulterio furono uccise come la duchessa di Amalfi che, rimasta vedova, venne accusata dal fratello, cardinale Luigi d’Aragona, di aver sposato il suo maggiordomo e avergli dato diversi figli…. infangando l’onore della famiglia con un legame ignobile.
Matteo Bandello, scrittore del Cinquecento,  riportò il tragico avvenimento nelle sue “Novelle”.
Questi giorni una figliuola d'Enrico di Ragona e sorella del cardinal Aragonese, morto il marito che era duca di Malfi, prese per marito il signor Antonio Bologna, nobile, vertuoso ed onestamente ricco, che era stato col re Federico di Ragona per maggiordomo. E perché parve che digradasse, le gridarono la crociata a dosso, e mai non cessarono fin che insieme col marito ed alcuni figliuoli l'ebbero crudelissimamente uccisa, cosa nel vero degna di grandissima pietà. Onde, non essendo ancora l'anno che il signor Antonio fu miseramente qui in Milano ammazzato
 Una tragica storia che fu raccontata dal drammaturgo inglese Jhon Webester in una opera molto celebre  del 1613 “La Duchessa di Amalfi”.




 La tragedia lasciò esterrefatti gli inglesi ma nelle corti italiane  non destò alcun commento perché le leggi prevedevano simili vendette. Per questo motivo i cronisti del tempo manifestarono per la morte delle due donne de’ Medici solo la perduta bellezza ed intelligenza ma nessun comento sui terribili uxoricidi.
Francesco I fu in grado di usare la presunta corrispondenza fra Bernardino Antinori ed Leonora per giustificare la morte della donna ed ammettere, davanti al Filippo II di Spagna, di essere stata uccisa dal fratello Pietro….
Don Pietro nostro fratello l’ha levata di vita egli stesso per il tradimento che ella gli faceva con i suoi portamenti indegni di Gentildonna.
Un comportamento che, secondo Francesco I,  celava anche l’aiuto dato alla fuga del cospiratore Pierino Ridolfo …
Noi abbiamo voluto che la Maestà sua sappia il vero… essendo  deliberati che Ella sappia sempre ogni azione di questa casa e particolarmente questa, perché se non si fosse levato questo vedo dalli occhi, non ci sarebbe parso di poter bene e onoramente servire Sua Maestà alla quale con la prima occasione se le manderà il processo /le lettere e le poesie di Antinori/, dove Ella conoscerà con questa giusta cagione il Signore Don Pietro si sia mosso.
Davanti a simili affermazioni il sovrano accettò la morte di Leonora.
Francesco I teneva informata la corte di Spagna sugli avvenimenti in casa de’ Medici. Il 7 agosto, l’ambasciatore toscano in Spagna Bartolomeo Orlandini, aveva incontrato per la prima volta Filippo per riferirgli della morte di Leonora. Alla fine dell’incontro, un altro membro della corte ( il duca d’Aba, cugino d’Isabella) chiese se erano attendibili le voci sulla morte di donna Isabella. L’ambasciatore rispose di non sapere nulla, e scrisse subito a Firenze
Vi prego di assicurarmi che non si è verificata la morte della signora Isabella.  Ci troviamo in perpetua agonia.
 La notizia della morte di Isabella fu tenuta nascosta alla corte di Spagna per un paio di giorni.
Isabella fu veramente uccisa dal marito ?
L’amorosa corrispondenza tra i coniugi e le sporadiche e a volte gravi malattie della donna sembrerebbero dimostrare come l’Orsini non uccise la moglie.
Il Ricci parlò di un prolungato malessere di Isabella e che la morte fosse avvenuta dopo aver bevuto delle bevande fredde in eccesso e dopo che Palo l’aveva chiamata in un’altra stanza.
Secondo il Cortile i  responsabili dell’uxoricidio sarebbero il marito Paolo e il cavaliere romano Massimo mentre non si avrebbero riferimenti in merito ad altri esponenti della famiglia de’ Medici coinvolti materialmente nell’assassinio.
Il primo settembre lo stesso Cortile scrisse al duca di Ferrara in merito alla suddivisione delle proprietà di Isabella, la quale, come si evince da un documento firmato da Francesco I, era morta senza fare testamento.
Hanno dato in governo alla S. Duchessa i figli della Sig. Donna Isabela dicendo che il Sig. Paolo non li viole tenendo che non sono suoi figli, però di questo non me ha data altra certezza. La Bianca ha comperato in gran parte della biancheria. Francesco ha pigliato le gioie a pagare i debiti. Si dice inoltre che tutti i suoi beni fossero stati messi in vendita, si era sparsa la voce che Isabella avesse 2500 ducati di debito ed i creditori volevano essere pagati in contanti e non in gioielli, ma Francesco aveva risposto loro con viso severo che bisogna pigliar quello che si può.
 Il Cortile proseguì il suo racconto affermando..
 Che Paolo  si era presa  Villa Baroncelli e ci si era insediato con cinque o sei prostitute che andavano e venivano sotto gli occhi di tutti servendosi della carrozza di Isabella… vi mando gli omaggi del Sig. Paolo venuto ieri da me..
 Nel circolo culturale d’Isabella c’erano esponenti di spicco come il teologo Fausto Sozzini (Socini/Socino) (Siena, 5 dicembre 1539 – Luslawice, 3 marzo 1604) che restò al suo servizio per circa dodici anni. Lasciò l’Italia nel 1575 per trasferirsi a Basilea  dove si dedicò ad uno studio attento della Bibbia.  Dopo la morte di Isabella declinò i vari tentativi di Francesco I di farlo  ritornare a Firenze. Il Granduca era a conoscenza dei motivi di dissensi  religiosi che avevano spinto il Sozzini a lasciare l’Italia e gli promise il reddito delle sue proprietà  a patto di astenersi dal pubblicare a proprio nome. Il Sozzini rifiutò la proposta e non tornò più in Italia.
Francesco I era interessato ad altri personaggi che aveva avuto forti legami con Isabella.
Il primo della lista era Troilo Orsini che si trova in Francia.
 Dopo la morte del padre Cosimo I, gli venne meno la protezione paterna.
Il nuovo Granduca; Francesco I de’ Medici, fratello di Isabella, informò Paolo Orsini della relazione extraconiugale della moglie.
L’Orsini volle vendicare il disonore e compì l’uxoricidio lontano da occhi indiscreti, nella Villa di Cerreto Guidi (Firenze).

Villa di Cerreto Guidi (Firenze) nel 1744
(Arista: Giuseppe Zocchi; Firenze, 1711; Firenze, 22 giugno 1767;
Incisore, pittore…. 


Il delitto fu commesso il 14 luglio 1576.  La povera Isabella fu uccisa per soffocamento  causato da un laccio messo alla gola dallo stesso Paolo Giordano Orsini e stretto da un sicario che era nascosto.
Nelle indagini si parlò di morte di Isabella a causa di un malore mentre si stava lavando i capelli. Isabella ebbe la forza, poco prima di morire, di “chiedere perdono dei suoi peccati”  al marito.
Le prove del delitto sono state di recente rintracciate dalla studiosa Caroline P. Murphy, nel carteggio tra Ercole Cortile, ambasciatore ferrarese e il Duca d’Este (Alfonso II). Nei documenti si cita lo strangolamento  di Isabella con l’aiuto di un Cavaliere di Malta,
amico di Paolo Orsini, appartenente alla famiglia Massimo.
La critica storica legava i due omicidi di Leonor e di Isabella, avvenuti a pochi giorni l’uno dall’altro e legati da molte coincidenze (come la vicinanza temporale, l’ambientazione in ville medicee fuori della città, ed anche le modalità dell’esecuzione dei delitti), alla grave situazione sociale. Secondo il Granduca Francesco I le due donne avevano dei rapporti con il partito antimediceo e con il loro esponente Piero Ridolfi. Fino a quanto Cosimo I de’ Medici fu in vita, le due donne furono protette ma alla sua morte furono abbandonate al loro destino. Probabilmente dopo la morte di Cosimo I  incominciarono a circolare ad arte delle voci sui tradimenti di Isabella e di Leonor nei confronti dei rispettivi mariti.
Ma un altro delitto s’era verificato poco prima dell’uccisione di Isabella.
Il famoso Troilo Orsini, presunto amante di Isabella, durante una rissa avvenuta nel 1575 uccise un agente (Lelio Torelli)  dei servizi segreti del Granduca Francesco I. venne scoperto  e accusato di essere legato ai congiurati antimedicei. Fu quindi costretto a fuggire a Parigi da Caterina de’ Medici. Qui venne raggiunto e giustiziato da un sicario di Francesco I nel 1577, un certo Ambrogio Tremazzi che ricevette come premio la somma di 300 scudi.
Paolo Giordano Orsini continuò la sua esistenza senza rimanere estraneo ad altri fattacci loschi, che ispirarono poeti e scrittori del Seicento.
Gli venne per esempio donata la villa Baroncelli, dove teneva numerose cortigiane.
I ricercatori misero in evidenza diverse tesi  sulla morte di Isabella che  vanno dal terribile uxoricidio (per gelosia  o perché d’intralcio ad una relazione extraconiugale del marito) a problemi di salute. G.F. Young nel suo libro “I Medici” descrisse Isabella de’ Medici molto innamorata del marito che in realtà aveva perso la testa per un l’altra donna, Vittoria Accoramboni. Paolo Giordano I Orsini, istigato dalla bella e ambiziosa amante, avrebbe prima ucciso Isabella e subito dopo Francesco Paretti, marito di Vittoria, ultimo intralcio al matrimonio con lei.

Vittoria Accoramboni
(Gubbio, 15 febbraio 1557; Padova, 22 dicembre 1585)
(Autore: Scipione Pulzone, detto il Gaetano o Scipione Gaetano
(Gaeta, 1540/42 circa; Roma, 1 febbraio 1598)

Secondo la dott.ssa Elisabetta Mori, Archivista  dell’Archivio Storico Capitolino di Roma, che da circa vent’anni studia la figura di Isabella de’Medici, la donna morì per una malattia delle vie urinarie.
Nel suo libro “L’onore perduto di Isabella de’ Medici”, edito da Garzanti, dichiara come la donna morì perché affetta da “oppilatione” cioè un “intasamento” delle vie biliari, ed anche urinarie ed intestinali.
La stessa scrittrice rivela nel suo libro come il marito Paolo Giordano I Orsini si dimostrò sempre innamoratissimo della moglie. Un affermazione legata a documenti originali  ed in particolare dalle lettere d’amore tra i due sposi.
“Per secoli gli storici hanno dipinto Isabella de' Medici come una donna priva di freni morali e dedita a «illecite passioni», giustificate solo dalla scarsa considerazione che il marito Paolo Giordano Orsini avrebbe avuto per lei. Tanto che alla fine lui, dopo essersi macchiato di molti altri delitti, l’avrebbe uccisa.
Quella di Isabella e Paolo Giordano, rampolli di due grandi casate italiane, sostiene Mori, è una delle più sanguinose «leggende nere» del nostro Rinascimento. La tragica morte di Isabella ha ispirato, nel corso dei secoli, scrittori, poeti e scienziati, dall’elisabettiano Webster al romantico Dumas, da Domenico Guerrazzi a Gaetano Pieraccini. Ora è finalmente possibile riscoprire la verità e restituire a Isabella l’onore cancellato da mille calunnie.
Quella di Isabella e Paolo Giordano, rampolli di due grandi casate italiane, sostiene Mori, è una delle più sanguinose «leggende nere» del nostro Rinascimento. La tragica morte di Isabella ha ispirato, nel corso dei secoli, scrittori, poeti e scienziati, dall’elisabettiano Webster al romantico Dumas, da Domenico Guerrazzi a Gaetano Pieraccini. Ora è finalmente possibile riscoprire la verità e restituire a Isabella l’onore cancellato da mille calunnie.
 
È probabile, alla luce delle ultime risultanze, che Isabella sua stata intrappolata in una fitta rete di calcoli politici ed accordi diplomatici. Si citò un grande amore tra Isabella e l’Orsini come risultò dalle lettere che i due si scambiarono nel corso degli anni.
Un epistolario che fa giustamente pensare ad un grande amore e alla mancanza di qualsiasi ostilità tra i due coniugi. 
È anche vero che nell’antichità le lettere venivano scritte essendo ben consapevoli che non sarebbero rimaste private a lungo e che, con ogni probabilità sarebbero state lette da terze persone autorizzate o meno a farlo dai diretti interessanti.
Anche la sua presunta relazione con il cugino del marito, Trolio, sembra quasi in meccanismo inserito in un ingranaggio calunnioso perché da tempo lo stesso Trolio era stato ucciso a Parigi…. Isabella fu calunniata da storici e letterati esclusivamente per esigenze politiche e strategiche.
In merito all’Orsini  rimangono i dubbi… troppe coincidenze,,, la presenza di un’amante… lasciano un dubbio che purtroppo non verrà mai svelato.. perché anche con la presenza della malattia di donna Isabella nulla avrebbe impedito  all’Orsini di eseguire il suo piano delittuoso. Un piano basato non su  un’infondata gelosia ma sullo sfrenato desiderio d’unirsi in matrimonio con la sua amante…
 

Isabella  de’ Medici - Leggenda



La leggenda narra che Isabella de' Medici, figlia prediletta di Cosimo I, fosse una seduttrice di ineguagliabile bellezza, una donna dall'aspetto sublime ma dall'animo nero. Ogni qualvolta il marito Paolo Giordano Orsini si assentava per guerre o per ragioni di stato, la sua carrozza correva al Castello Odescalchi di Bracciano, dove, nella Camera Rossa, riceveva i suoi numerosi amanti. Dopo una notte di passione, li faceva accomodare in una stanza adiacente, nella cui oscurità i poveri uomini finivano vittime di un trabocchetto: cadevano in un pozzo a rasoio e i loro corpi sparivano nella calce viva, dissolvendosi per sempre. Tuttavia, uno soltanto possedeva il suo cuore: Troilo Orsini, il cugino dell'ignaro marito.
Tra i due nacque una relazione clandestina, fino a quando, schiacciato dal peso dei sospetti, Paolo Giordano si finse un prete confessore e, nella cappella privata della famiglia, presso la Villa Medicea di Cerreto Guidi, ascoltò la verità direttamente dalla bocca della moglie. Quella sera stessa la raggiunse nella sua camera; poi, congedata la servitù, la strangolò con un nastro rosso. Fu così che morì una delle donne più sanguinarie e lussuriose che la storia ricordi. Ma questa è solo una leggenda...
 
Chiara GiacobelliScrittrice e giornalista
Cerreto Guidi, 1561 – Isabella spalancò le grandi finestre della villa e lasciò entrare l'aria fresca nei polmoni. La tenue traccia di una lacrima faceva ancora capolino all'angolo dei begli occhi penetranti. Ripeté a sé stessa ciò che aveva deciso durante quel viaggio da Firenze a Cerreto: non avrebbe più pianto, né lamenti né sogni impossibili sarebbero usciti dalle sue labbra.
Era chiaro che, dopo la morte di entrambe le sorelle, i vari aborti subiti e la malattia che ormai da qualche anno l'aveva colpita, la vita aveva in serbo per lei ben altro di una tranquillità domestica a Bracciano, di cui deteneva il titolo di Signora Consorte. Per non parlare dell'adorato padre Cosimo, forte e temibile come nessuno, più che mai determinato a raggiungere i propri scopi; eppure, in quel momento disperatamente fragile, bisognoso della sua presenza.
Poco importava se Paolo avesse fatto rimettere a nuovo il Castello di Bracciano sperando un giorno di trasferirvisi: il suo posto era lì, a Firenze, accanto alle persone che amava. Avrebbe trasformato la Villa Medicea di Cerreto Guidi nel loro rifugio di tenerezza, di conforto, di momenti ludici e piacevoli; non solo: sarebbe stata lei la donna di casa Medici a portare alto il nome della famiglia, senza mai cedere all'amarezza, brillante e persuasiva come sapeva essere. Tutto questo lo avrebbe fatto presto, ne era certa. Ora, però, aveva solo bisogno di rispettare il lutto per Lucrezia, sua carissima sorella minore, il cui dolce sorriso non avrebbe mai più rivisto.
Così fu: Isabella divenne negli anni seguenti "la stella di casa Medici". Mentre un morbo sconosciuto a poco a poco le corrodeva la bile, l'intestino, i reni e le vie urinarie, costringendola sempre più spesso a letto, impedendole il piacere delle passeggiate e condannandola a non poco dolore, questa figlia di Cosimo I de' Medici tenace, orgogliosa, bella nonostante la malattia, scelse il silenzio. Un silenzio legato però soltanto alle sue precarie condizioni fisiche, perché per tutto il resto la sua eloquenza sarebbe stata ricordata nei secoli.
Colta, intelligente, educata alla musica, alle arti, allo studio del greco e del latino, nonché alle lingue e alla poesia, Isabella Romola de' Medici era agli occhi di tutti la perfetta erede morale di suo padre: mai una donna fu stimata e rispettata quanto lei, ritenuta degna dai principi d'Europa di accoglierli al posto di Cosimo quando questi era indaffarato, e persino di seguirlo, prima in ordine di importanza, quando egli ricevette il tanto desiderato titolo di Granduca di Toscana, nel 1569.
Quel giorno, splendente nel suo abito impreziosito di perle, Isabella procedeva nel corteo fiera della sua stirpe, commossa per quel riconoscimento che sapeva essere molto caro a suo padre; mai avrebbe immaginato quale scotto lei stessa avrebbe dovuto pagare in futuro per quel momento di gloria.
Fino ad allora la sua vita era stata un saliscendi di gioie e delusioni, d'amore e d'odio, di speranza e di sconforto. Aveva conosciuto Paolo Giordano Orsini quando era appena una bambina: lui, di un anno più grande, era arrivato a Firenze in qualità di futuro genero di Cosimo, spaesato e intimorito. Sapeva che quel ragazzino timido, dallo sguardo cordiale, era il rampollo di una delle più celebri dinastie romane, grazie al cui appoggio i Medici avrebbero rinsaldato il proprio legame con lo Stato Pontificio; eppure, ricordava ancora come, in quel lontano 1553, le fosse parso soltanto un grazioso fanciullo in cerca della sua strada. Fu facile affezionarsi a lui, cosicché, quando anni dopo convolarono a nozze, Isabella era felice; non contava se erano solo adolescenti: già sapeva che lo avrebbe amato.
Quando Paolo partì per la guerra, appena qualche giorno dopo la cerimonia, per la prima volta Isabella fu posta di fronte a una dura prova, quella cioè di aspettare per ben due anni il suo consorte. Iniziò allora, per contrastare la malinconia della lontananza, un carteggio fra i due coniugi che sarebbe durato per il resto del loro matrimonio: parole di complicità, di conforto, messaggi talvolta ricchi di entusiasmo, altri intrisi di turbamento.
A lui soltanto Isabella aprì la propria anima defraudata il giorno in cui scoprì di essere gravemente malata, a lui confidò la segreta paura di non poter mai diventare madre; sempre a lui espresse l'immensa gioia per quei due figli, Francesca Eleonora e Virginio, che erano stati concessi loro, nonostante tutto.
Poggio Imperiale a Firenze e la Villa Medicea di Cerreto Guidi divennero, sotto l'esperta gestione di Isabella, dei veri e propri salotti culturali in cui si riuniva non solo l'élite toscana, ma anche personaggi illustri provenienti da lontano come la cognata Giovanna d'Austria, accolta da una corte di cinquanta nobildonne fiorentine. Così, se da una parte la linfa vitale scivolava via da Isabella giorno dopo giorno, assumendo la forma di forti febbri, collassi, operazioni chirurgiche per lenire il gonfiore che le tormentava il ventre e gli arti, dall'altra zampillava quando si trattava di organizzare balli o battute di caccia, scrivere composizioni per liuto – la più nota, "Lieta vivo e contenta", è oggi conservata presso la Biblioteca Estense Universitaria di Modena -, intessere quella rete di relazioni grazie anche alla quale suo padre Cosimo poté infine ottenere l'onore di essere chiamato Granduca. Era la fine di un'epoca, era il punto di svolta che consegnava per sempre la gloria dei Medici alla storia.
Il chiasso durante le accese corse nelle Padule di Fucecchio, che circondavano la villa di Cerreto dove Cosimo I invitava amici e alleati per divertirsi insieme nell'attività della caccia; i sussurrii rispettosi dei fedeli durante la messa nelle vicina Pieve di San Leonardo; le chiacchiere dei servi e degli staffieri a fine giornata tra le calde mura della Palazzina dei Cacciatori. Poi, la sera, il riposo nella sua camera al pianterreno, dove il letto a baldacchino color cremisi era stato trasportato a insaputa di tutti, poiché non riusciva più a fare le scale.
Negli ultimi anni spesi nel caro, intimo borgo di Cerreto Guidi nessuno, a parte i luoghi e pochissimi familiari, erano a conoscenza dell'immane sofferenza che Isabella, stoica sino alla fine, sopportava per amor dei figli, del marito, del padre Cosimo. Riuscì a vedere la morte di quest'ultimo, in meritata pace, solo grazie alle continue cure a cui si sottoponeva, ma non poté sopravvivergli più di due anni.
Quando, infine, il 16 luglio del 1576, appena trentaquattrenne, Isabella de' Medici si spense nella sua stanza, nella villa di Cerreto, tutto cambiò. Scomparvero insieme a lei la donna, la madre, la moglie devota che era stata; sparì un'intera esistenza, per secoli e secoli, oscurata da una delle leggende più sanguinarie che il Rinascimento abbia mai prodotto.
Dopo vent'anni di accurato lavoro sulla figura di Isabella, la studiosa Elisabetta Mori ha portato alla luce solo di recente la verità sulla vita e la morte di una grande donna che venne trasformata dai suoi contemporanei, per odio, invidia e vendetta, in una spietata e libidinosa assassina.
La letteratura dell'Ottocento ne fomentò la terribile fama; oggi però sappiamo, grazie al carteggio con il marito Paolo e ad altri documenti, che ciò non fu altro se non il frutto della fantasia. Isabella ebbe in realtà un matrimonio felice, due figli che adorava, ma soprattutto fu il perno attorno al quale ogni cosa ruotava nell'epoca di Cosimo I.
Si fece mecenate di molti artisti, incentivò l'autonomia delle donne, strinse accordi con le più potenti famiglie del mondo, protesse la musica e la poesia. Pertanto, è proprio così che andrebbe ricordata.
Visitare il Museo storico della caccia e del territorio, con la ricca collezione di quadri, oppure leggere il libro "L'onore perduto di Isabella de' Medici" edito da Garzanti e scritto da Elisabetta Mori, o ancora partecipare alla Notte di Isabella organizzata dal Comune di Cerreto Guidi, sono solo alcuni dei modi per combattere una radicata leggenda e far emergere la verità.
Ci vorranno anni, forse secoli, ma un giorno, ne siamo certi, "la stella di casa Medici" tornerà a brillare più luminosa che mai.
Liberamente ispirato alla vita di Isabella de' Medici.


Isabella de’ Medici
Artista: Vincenzo Petrocelli
Cervaro, 1823 – Napoli, 1896
Pittura: Olio su tela - Datazione; 1848
Misure (92,5 x 75) cm

...............................

 

23. L’Uccisione di Troilo Orsini

Il 21 luglio il Cortile scrisse al duca di Ferrara  affermando che Franceso I aveva mandato Belisario Simoncello con i suoi uomini a Parigi per uccidere Troilo.
La missione fallì e lo stesso Belisario fu arrestato.
Il 14 agosto 1576, un mese circa dopo la morte di Isabella, Trolio scrisse a Francesco I da Parigi:
Serenissimo mio Signore e padrone osservandissimo, il doloroso caso della morte delle Eccellentissime Sig. cognata et sorella di V.A. Serenissima  ha ripieno di mistizia tutti li suoi sudditi, et io particolarmente l’ho sentito come quello che per molti obblighi devo più partecipare et della contentezza et delli dispiaceri di quella….. Piaccia al Signore Iddio haverle accolte in gloria e por fine ad ogni accidente che possa pertubar l’Altezza Vostra. Dipoi che si degna tuttavia in compiacersi di quanto li scrivo, li dire ch’el Re di Francia ha avviso che ‘l Casimir con tutta la sua gente è fuora del suo regno.
 Casimiro, figlio del conte  del Reno, era un calvinista a capo di un terribile esercito mercenario che aveva aiutato gli ugonotti francesi e per lasciare la Francia pretendeva dal re Enrico III una forte somma di denaro..
Troilo aggiungeva nella lettera delle informazione sulle trattative politiche francesi.
Troilo, come abbiamo visto, era stato messo al bando da Francesco I eppure la sua lettera sembrava quella di un ambasciatore mediceo. Una vera e propria provocazione nei confronti del granduca ?
Troilo, anche se esplicitamente non lo affermava nella lettera, voleva fare capire a Francesco I di essere al sicuro in Francia sotto la protezione sia del re che della stessa Caterina de’ Medici, soprannominata “l’intrigante” perché desiderosa di sentire gli scandalosi affari dei suoi disdegnati cugini della sua nativa Firenze.
L’11 settembre 1576, l’ambasciatore fiorentino alla corte francese inviò a Francesco I la seguente lettera:
Devo riferire a Vostra Altezza quanto sta accadendo qui, devo cioè mettervi in guardia per il vostro interesse dall’invidia che si diffonde per la vostra grandezza e le altre malignità e falsissime invenzioni e calunnie contro di voi. Queste, strisciando velenose di bocca in bocca, hanno pervaso l’animo della Regina Madre… Mi è stato detto che ha preso a discorrere sulla morte di quelle signore di felice memoria, dimostrandosi propensa a credere a certe rivelazioni secondo cui la loro morte fu violenta, e si sente confermata in questa erronea opinione  perché non molto dopo si verificò la morte del Sig, Don Cosimo
 Cosimino di appena tre anni, figlio di Leonora e di Don Pietro, era l’unico erede maschio dei fratelli Medici ed era morto in agosto, forse di dissenteria, a qualche settimana dall’uccisione della madre.
Quasi contemporaneamente Bianca Cappello, l’amante di Francesco I, diede alla luce un bambino a cui fu dato il nome di Antonio. Si trattava di un neonato “intrufolato in una pentola”.

Antonio de’ Medici da ragazzo
Figlio di Francesco I e Bianca Cappello
Artista: Alessandro Allori
Datazione: c. 1588.
Collocazione: San Pietroburgo, Hermitage

L’ambasciatore continuava nella sua lettera...
Evidentemente si meraviglia di come questi strani accidenti si siano potuti accumulare in tal modo e la più grande meraviglia è che Sua Altezza non gliene abbia inviato resoconto. Avrei preferito evitare di scrivervi simili cose, rinfocolando l’infinito dolore che sono certo accompagna tale disgrazia. Nondimeno mi pare sia mio dovere sollecitare Vostra Altezza affinchè dall’alto della sua saggezza dissuada Sua Maestà da queste false impressioni.
 Gli ambasciatori medicei, presenti presso le varie corti europee, dovettero avere dei problemi piuttosto seri nel dare spiegazioni sulle morti di Leonora e di Isabella.
L’ambasciatore a Vienna riferì a Francesco I, in un modo molto conciso e dai toni forti, che nessuno credeva che
Una era morta di gocciola e l’altra del solito mal caduco
(“Morir di gocciola” era un modo di dire per indicare di esser colpiti da un attacco apoplettico, perché si credeva che provenisse dal cadere di una gocciola d’umore nel cuore –  “Mal caduco” ; attacco dell’epilessia , per il cadere a terra di chi è preso dalla convulsioni epilettiche).
A Parigi c’era Troilo che aveva sempre informazioni di “prima mano” da Firenze ed era libero di muoversi. Per  Francesco I era un grosso problema liberarsene definitivamente.
Un certo Ambrogio Tremazzi da  Modigliana ( provincia di Forlì- Cesena in Emilia Romagna)  “soldato che intendeva l’onore  a modo suo”  si recò a Firenze  e, grazie all’aiuto di Ridolfo Isolani, chiese al granduca Francesco I “se gli piacesse che Troilo Orsini fosse ammazzato”.
Il granduca accettò la proposta e gli diede 300 scudi per le spese. Il Tremazzi andò a Parigi, sotto il falso nome di Giovanni da Parma, accompagnato da un certo Ieronimo Savorano.
(nelle mie ricerche ho avuto dei riferimenti  su Isolani conte Ridolfo, figlio del conte Alamanno e marito di Costanza Alidosi dei signori di Castel del Rio. Fu senatore per nomina il 17 settembre 1574. Fu gonfaloniere nel primo bimestre del 1577).
 Il Tremazzi, giunto a Parigi, si mise in contatto con gli italiani residenti a Saint Germanin
Un giorno trovandomi vicino a casa del sig. Pietro Pavolo... et parlando con il sig. Camillo Tolomei, li dissi: “Signor Camilo, chi è quel giovane roso che non mi pare averlo più visto ?”. Mi rispose essere un soldato che tiene apreso di se il signor Troilo, et che ne aveva un altro bravo soldato,  ma che restò morto quando il signor Troilo fu ferito. “Di che luogo è questo signore ?” Mi rispose: “Romano di casa Ursino”.
 La viglia di Ognissanti, il Tremazzi si ritrovò ospite in un ricevimento organizzato da un attore di nome Claudio, di origine romagnole.
In piedi accanto alla porta, notò l’arrivo di “un gentil omo a cavallo in un curtaldo morelo scuro chon uno in gropa, ch’era quel giovane sudeto di pelo roso... Et io domandando al sudeto Claudo “Chi è questo signore?”, mi rispose “ Eli è il Sig. Troilo Ursino (Orsini)”. Et io afisandoli il sguardo, vidi che da la parte sinistra del naso vicino a l’ochio aveva un boletino nero, quanto è un quattrino”.
Il Tramezzi osservò Troilo trattenersi per un istante in conversazione, e poi avviarsi in direzione del Louvre.
Il sicario lo seguì..et così venni in cognicione de la desiderata casa” , dove viveva la vittima designata.
Ambrogio Tremazzi non riuscì ad individuarla con precisione anche se si trovava sotto tiro. Un’altra volta lo vide in casa di un attrice di nome Vittoria, in compagnia di due fiorentini, ma fu colto di sorpresa e si trovava senza l’archibugio che portava di solito con sé, persino “nel palazzo del re, e sua anticamera sì ancora per altri luoghi, con gran mio pericolo”.
Lo rivide a messa nella Cappella Reale e poi dirigersi a corte per pranzare con il re.
 Benchè si tenessero dei balli tutti i giovedì, Troilo preferiva  stare lontano dai luoghi troppo affollati per trascorrere del tempo in compagnia di Caterina de’ Medici.
Il 20 novembre, giorno di sant’Andrea, “per me molto favorevole, mi levai et andatomene a palazo, subito arrivato lo vidi”.
Lo perse e poi lo individuò nuovamente confuso tra gli spettatori a “Corte dove si giuchava alla pala dela racheta”. “Vidi che elli entrò in palazzo nelle stanze del re, et dimorato lì assai, calò a baso, et entrato nelle camere de la Regina Madre, ci si tretene ancora un peceto.... Dipoi.... entrò nelle stanze di Monsù di  Momoransi (Monsieur Montmorency) et ivi li stete che lì era l’Ave Maria”.
Dopo l’Ave Maria, Troilo lasciò il Louvre. Si era ormai fatto tardo pomeriggio, andò prima a casa, poi fece visita a Monsieur de la Chapelle. Il Tremazzi non riuscì ancora a isolare il bersaglio da colpire.
“Uscì fora di deta Casa, et per sua bona sorte non arivò al luocho dove l’aspettavo. Et io di gagliardo paso anci di galopo me li mesi dreto, ma non potei eser così a tempo che una altra volta smontò da cavalo et entrò ivi in una casa che io non so chi si li stasse”.
Trascorse qui dieci minuti, forse consapevole di essere seguito e cercando di depistare il sicario.
L’Ambrogio Tramezzi lo individuò in modo chiaro...quando li fui vicino  deti dla mia mancha alle redine et con la dritta li apogiai l’archibuso nel fiancho, et strinsi con tal forza che l’archibuso fece fuocho, che ogni modo lo gitava da cavallo, et così fra l’uno e l’altro cascò non dicendo altro che: “e,e”.
Levandosi il rumore, et io andandomi paso, paso, non so quel che seguise dopoi. Andatomi a casa, mandai il patrone per il vino, et in questo megio ricaricai l’archibuso, aciò  che Hieronimo non se ne avedese. Tornato il patrone con il vino, mangià dua bochoni, et bevi un trato, et me n’andai a leto.
In quel punto sonò sete ore al modo di Franza, al modo di Ittalia è una pra di note. Fra un ora gionse Hieromino, et mi disse (chiese) quel’era seguito ? Li disi – Niente, per averlo smarito per strada et per sentirmi un pochi indisposto.
La matina venente, ch’era la Domenicha, secondo il mio solito mi levai inanci a Hieromino, et me ne andai in Corte, et dipoi alla Chiesa di San Germano, che è lì vicina. Udito mesa, ritornai in Corte, per sentire se si diceva niente; non intesi nulla.
Venendo ora di disinare, et trovando Hieronimo che mi dise eser stato a udir messa alli Capucimi, andamo a casa. Disinato che avemo, uscemo fuora chi qua chi là; trovamoci poi nel salone dove si faceva le Comedie: et vedutolo (Hieronimo) che lì era in compagnia d’uno Piemontese, me li accostai, et sentito che eso Piemontese li diceva che li era stato amaciato uno italiano, et per questop si diceva gli era stato il Granducha di Fiorenza: udendo questo Hieromino, mi tochò un pocho con un brazo, che mi fece credere che si imaginava che io fusi stato io,  chome dipoi mi dise, et io negandoli non esser vero.
Quel medesimo giorno incontratomi in nel Cavalliero Ercole, Cavalliero di Portogallo, lo domandai: che ci è di nuovo ?
Mi disse; non altro fuorchè l’archibusata del Sig. Troilo.
Lo domandai: Ben, che ne crede V.S. ?
Mi dise che li era imposibile che campase, ma che l’haveva medichato con il suo balsami, ma che ne sperava male.
Questo Cavalero Milanese faceva del balsamo eccelentissimo si chome se n’era fatto molte esperienze, sì di archibusate come di ferite;in soma faceva miracoli, ma non già questo. Dopoi vari discorsi il giorno, vene la sera. Adamo Hieronimo et io a casa, di novo mi fece istantia che io li dicesi questo fato. Di novo io lo negai. Andato a cassa che era in camera nostra dove tenevo li panni et le mie pistole, trovò l’archibuso che io portava ch’era carico. Mi guardò in viso restando stupefato. Il lunedì mattina, secondo il mio solito andai in Corte et in casa dela Vitoria Comedianta.
Ivi si faceva vari discorsi sopra di questo fato; ma mi fu detto da un capitano Pompeo Romano che era stato a vedere il sig. Troilo e che era impossibile che campase; udito questo andai a desinare insieme con Hieronimo, dopoi disinare andamo fora di compagnia ed andamo a certe botteghe et comperamo due bacuchi da portare in testa, et un paro di calceti per uno, da portar soto li stivali.
In questo tempo incontramo un servitore del Sig. Camilo Tolomei che si chiama Lionardo et mi dise, per dir le formate parole: Sig. Giovani, perché così mi faceva chiamare, cerchava di voi per dirvi che in casa del gran Vicario si dice che siate stato voi ch’avete dato l’archibusata al Sig. Troilo, et non siate altrimenti da Parma, chome vi fate, ma che siate da Mudilliana.
Li feci grande istanza che mi dicesse chi era stato quelo che diceva tal cosa, et che si mentia per la gola.
Mi dise eser stato quel servitore di quelli Fiorentini, che è da Bagno di Romagna.
Li disi: dili da mia parte che chome lo trovo li volio dar delle bastonate.
Et così partimoci da quel servitore et andamo Hieronimo ed io in Nostra Dama, et standovi per spacio di megia ora, come comenciai a pensare al fato, et vedendo di aver eseguito quanto mi era obligato, mi risolsi di non tornare più alla stanza nostra, et così lasai in sudeta casa quatro pistole et altri nostri panni, portando meco la chiave, si chome ancora me la rtrovo....
Troilo Orsini morì due giorni dopo, l’uno dicembre 1578.
Nella lettera, indirizzata ad Antonio Serguidi che era segretario del granduca Francesco I, in cui il sicario Ambrogio Tremazzi descrisse gli avvenimenti, confessò di aver ricevuto l’incarico di uccidere l’Orsini dal conte Ridolfo Isolani e da don Pietro deì Medici.
Nel resoconto del Nunzio a Parigi Antonio Maria Salviati, l’Orsini  conosceva il nome del suo assassino ma non volle rilevarlo nemmeno in punto di morte ed anzi lo perdonò.
Fu fatto anche il nome di un Caracciolo, di origini napoletane e membro dell’Ordine dei Cavalieri di S. Stefano. Circolò anche un diffuso sospetto circa il coinvolgimento di Sinolfo Saracini, ambasciatore granducale in Francia, e del segretario ducale Curzio Picchena. I due non erano nuovi a organizzare agguati ai fuoriusciti fiorentini. L’esule fiorentino Bernardo Girolami li denunciò al re; fu perquisita la residenza dell’ambasciatore, ma le indagini non portarono a nulla.
Francesco I offrì al Tramezzi seimila ducati come premio e una provvigione perpetua ma il sicario protestò indignato e chiese soltanto “la grazia di poter baciare la mani di Sua Altezza”.
Alcuni anni dopo Caterina de’ Medici si lamentò dell’omicidio di Troilo Orsini con Andrea Albertani, inviato da Firenze per recuperare un grosso credito. Il rapporto della regina madre con i cugini non era dei migliori dato che disapprova l’eliminazione dei dissidenti antimedicei nel suo territorio. un problema che aveva messo in discussione anche la stessa sovranità di Enrico III.

24. Giovanna d’ Austria - La nascita di Filippo e la tragica morte della madre

Giovanna aveva subito l’ennesimo smacco con la nascita di Antonio, figlio naturale di Francesco I e di Bianca Cappello sua concubina da sempre. Una storia misteriosa per il piccolo bambino che secondo alcune ipotesi  era figlio di una rapporto tra lo stesso Francesco ed una serva. Una gravidanza simulata dalla Cappello per creare un grave dispiacere a Giovanna.
Per l’arciduchessa fu l’ennesimo scacco ad una vita mai felice.  Pur al potere, nella città di Firenze era vista come una straniera, non amava la città che la ripagava con la stessa moneta. Chiese aiuto al fretllo per tornare a Vienna ma non potè nulla contro l’eterna ragion di stato che la obbligava ad essere schiava del suo ruolo e della sua prigione dorata.

Palazzo Pitti 

Giovanna aveva avuto diversi figli/e e solo Eleonora e Maria riuscirono a sopravvivere:
(in rosso i sopravvissuti):
 
Eleonora (Firenze,1 marzo 1566 -  Cavriana, Mantova, 9 febbraio 1611) – Sposò il cugino Vincenzo I Gonzaga, Duca di Mantova (1582 – 1612)
Artista: Anonimo
Della Scuola di Frans Pourbus Il Giovane
(1569 – 1622) pittore fiammingo
Dipinto: Olio su tela – Datazione 1600 circa
Misure (74,2 x 55,5) cm
Collocazione: ?


Eleonora de’ Medici, Duchessa di Mantova, con il figlio Francesco IV
Figlia di Giovanna d’Austria e di Francesco I de’ Medici
Artista: Lavinia Fontana
(Bologna, 24 agosto 1552 – Roma, 11 agosto 1614)
 

Eleonora de 'Medici indossa una versione italiana della saya spagnola
Probabilmente indossa un farthingale a forma di campana, aperto sul davanti che mostra materiale di colore chiaro sotto. Indossa un colletto di stoffa bianca che emerge da sotto la gorgiera per incorniciare il suo sottocorpetto di colore chiaro.
Questo bellissimo quadro fu messo all’asta da Dorotheum
La più grande casa d'aste dell'Europa continentale (Austria  - Vienna)

Romola ( Firenze  20 novembre 1568 – Firenze ?, 2 dicembre 1568)
 Anna (Firenze, 31 dicembre 1569 – Firenze, 19 febbraio 1584) (morì quindicenne)

Anna de’ Medici
Artista: Anonimo
Datazione: XVI secolo – Collocazione ?

Isabella (Firenze ?, 30 settembre 1571 – Firenze ?, 8 agosto 1572)
Lucrezia ( Firenze ?, 7 novembre 1572 – Firenze ?, 14 agosto 1574)

Maria (Firenze, 26 aprile 1575 – Colonia, 3 luglio 1642)  - Sposò Enrico IV e diventò Regina di Francia

 

Maria de’ Medici da bambina
Artista: Anonimo
Pittura: Olio su tela  - Datazione: 1600/1610
Misure (53 x 40 ) cm - Collocazione: Palazzo Pitti - Firenze

Il cardinale di Joyeuse incorona Maria de’ Medici nel 1510
Artista : Peter Paul Rubens
Siegen, 28 giugno 1577 – Anversa, 30 maggio 1640
Pittura: Olio su tela – Datazione: 1622/1625
Misure ? – Collocazione; Museo Louvre - Parigi

Il 20 maggio 1577 Giovanna partorì per la settima volta... e fu fortunata perché era il maschio tanto desiderato come erede legittimo del Granducato a cui fu dato il nome di Filippo.
Ma la sorte è crudele perché il bambino morirà a soli quattro anni (il 29 marzo 1582).

Filippino de’ Medici
Dipinto ad olio d’autore anonimo
Scuola fiorentina del 1600

Bianca Cappello  fu sospettata dai popolani di aver avvelenato l’erede al titolo di Granduca.
La nobildonna veneziana non era ben vista dai fiorentini, allora le rivalità fra gli stati erano molto accese, e non le si perdonava di essere quindi “straniera. Ma anche un altro aspetto che potremo definire inquietante. Francesco I era dedito all’alchimia, aveva anche studiato il veleno degli scorpioni, e Bianca, a sua volta, era conosciuta per essere dedita alle arti magiche.
Solo una strega, si mormorava, poteva aver mantenuto inalterata la devozione del signore toscano Francesco I per giunta sposato con Giovanna d’Austria.
Il bambino fu veramente avvelenato da Bianca Cappello ?
La corte medicea salutò la nascita di Filippo con gioia ed  è facile immaginare la felicità della madre Giovanna d’Austria dopo tanti patemi e sofferenze.
Gli fu dato il nome di Filippo  in onore del re di Spagna Filippo II che fu suo padrino nel battesimo.

Quadro successivo alla morte di Giovanna d’Austria


Ma il destino è crudele.. Giovanna rimase nuovamente incinta e morì appena un anno dopo la nascita di Filippo, l’11 aprile 1578;a causa di una caduta dalle scale del palazzo ducale (altre fonti citano invece una caduta all’uscita della chiesa)
Darà alla luce un bambino morto.. L’ennesima dura prova di una vita che per lei fu crudele...
Fu seppellita a Firenze nella Basilica di San Lorenzo con grande fasto funebre.Filippo a corte veniva chiamato con il diminutivo di don Filippino ma aveva una salute che fin dalla nascita era cagionevole e mori il 29 marzo 1582, circa quattro anni dopo la morte della madre a cui fu risparmiato questo triste epilogo.
Fu veramente avvelenato da Bianca Cappello ?
Nel 2004 fu eseguita un autopsia sui resti del bambino che rilevarono una sofferenza fisica legata al rachitismo e d una forma di idrocefalia, non gravissima ma visibile ad occhio nudo. Queste patologie causarono la morte del bambino ?
Nel 1857 durante una prima ricognizione delle salme dei Medici, il corpo di Don Filippino fu ritrovato
“In una cassa monumentale […] corpicciuolo di un fanciullo di circa sei anni ridotto ad ossa […] le vesti discretamente conservate appariscono esser di seta rossa, secondo il costume del cinquecento, i calzoni interi di maglia di seta dello stesso colore.”


Il suo ricordo era ancora nell’aria, a pochi mesi di distanza dalla sua morte, (5 giugno ?, 1587) Francesco I si risposò con l’odiata Bianca Cappello.
Per Giovanna l’ultimo affronto, quello che comunque le importerà meno dato che si trovava in una vita migliore.

25.  Francesco I sposa Bianca Cappello

Francesco I de’ Medici
Artista: Peter Paul Rubens

La cerimonia doveva rimanere segreta, in omaggio al lutto ancora troppo recente di Francesco I, ma la Cappello si preoccupò subito di rendere  di pubblico dominio di matrimonio.
Na notizia ebbe subito delle ripercussioni a Venezia. I Diedi distrussero gli atti del processo che era stato intentato contro il Bonaventuri  e Bianca, al momento della loro fuga “amorosa” da Venezia e il Senato, si esplicita richiesta di Francesco I, dichiarava la donna “vera e particolare figliuola della Repubblica di Venetia”.
Un riconoscimento importantissimo che era stato concesso, un secolo prima, alla regina di Cipro Caterina Corner.
 Questo riconoscimento pubblico fu accompagnato dagli entusiasmi privati delle famiglia Capello e dei Morisini  che videro la possibilità di trarre enorme vantaggi economici dal matrimonio grazie alle promesse da parte del Granduca.
Le nozze furono ripetute il 12 ottobre 1579, accompagnate dall’incoronazione granducale, da festeggiamenti,  e commentate nelle corti italiane con una serie  di pettegolezzi e satire.

Raffaello Gualterotti, Feste nelle nozze del Serenissimo Don Francesco Medici Gran Duca di Toscana
et della Serenissima Sua consorte la Sig. Bianca Cappello, Firenze, 1579.
Versione ampliata del primo abbozzo dell’opera dedicata alla “Serenissima Gran Duchessa”
da Filippo e Iacopo Giunti, illustri rappresentanti della antica casa editrice fiorentina,
che inaugura la raccolta di esemplari dedicati alle feste e cerimonie medicee provenienti
dall’antica collezione Bardi della Biblioteca Umanistica.
Questo esemplare illustra il grande torneo svolto nella reggia di Palazzo Pitti, le mascherate
e il corteo di carri accompagnati da musiche che celebrarono le nozze di Bianca Cappello
con il Granduca Francesco I, figlio di Cosimo, pubblicamente celebrate nell'ottobre 1579.
L’immagine di Firenze, racchiusa entro le mura, figura al centro del frontespizio.










Bianca Cappello
Artista: Lavinia Fontana
(Bologna, 24 agosto 1564 – Roma, 11 agosto 1614)

Bianca Cappello (?)
Artista: Bronzino
Il Bronzino - Agnolo di Cosimo / Agnolo Bronzino
Monticelli di Firenze, 17 novembre 1503 ; Firenze, 23 novembre 1572
Datazione: 1575- 1585
Collocazione: National Gallery - Londra

Bianca vedeva finalmente coronare i suoi sogni ambizioni. I sogni spesso sono premonitori e Bianca seppe aspettare  vendendo sparire le donne che la potevano osteggiare nei suoi progetti... prima Isabella e poi Giovanna d’Austria.
Bianca non era ben vista dai fiorentini che la chiamavano la “puttana veneziana” e che videro la donna essere onorata dal marito con il titolo di “granduchessa”. Un riconoscimento che il padre di Francesco I, Cosimo I, non aveva fatto nei confronti della moglie Camilla Martelli.
In seguito legittimò il figlio Antonio di cui rimasero sempre dei dubbi sulla sua maternità che non furono mai svelati.
Bianca aveva delle paranoie perché voleva emulare atteggiamenti che non erano spontanei ma frutto soprattutto di invidie.
Cercò infatti di emulare la grande protagonista della storia dei Medici del tempo ovvero Isabella. Alla morte della donna si narra che s’impossessò della sua biancheria addirittura l’indomani della sua tragica scomparsa e non solo..
Sotto la sua protezione  prese i  poeti cortigiani di Isabella, tra cui Elicona Tedaldi, presente alla morte della sua cara padrona, che avrebbe composto e pubblicato sonetti in onore della nuova granduchessa Bianca.
Grazie al matrimonio la presenza della Cappello nelle vita pubblica fiorentina fu totale. Non interveniva negli affari politici ma negli aspetti secondari della vita di corte, creando o distruggendo le fortune dei cortigiani,  donando dignità ed uffici, allestendo feste e banchetti in cui assumeva il ruolo di prima donna dato che non aveva più rivali.
Intrattenimenti che avevano come teatro gli Orti Oricellari

Gli Orti Oricellari costituiscono un giardino monumentale sito
nell’omonima via vicino a Santa Maria Novella a Firenze. Era il giardino dell’antico
palazzo che oggi è chiamato  Venturi Ginori.

Fu fatto costruire nel 1498 da Bernardo Rucellai (letterato umanista)su terreni che erano stati
Acquistati dalla moglie Nannina de’ Medici. Era una zona scarsamente edificata e nel pantano di
Ripoli erano presenti gli stabilimenti lanieri dell’ordine degli Umiliati. Tra il 1483 ed il
1490 la proprietà fu ingrandita con l’acquisto di altri terreni. La zona, che era a vocazione
ortofrutticola, fu trasformata in zona residenziale con la costruzione  nel 1500 circa di
 un “casino di delizia”. Il Vasari attribuì il progetto all’architetto Leon Battista Alberti.
I quel periodo fu anche creato il giardino  e nel luogo fu ospitata l’Accademia
Neoplatonica che era stata fondata da Cosimo il Vecchio nella sua Villa di Careggi
nel XV secolo. Nel 1514 il palazzo fu ereditato dai figli Palla e Giovanni. Nel 1516
i due fratelli ricevettero il cugino, papa Leone X, in onore del quale venne rappresentata
la tragedia “Rosmunda” che era stata scritta da Giovanni. Quando i Medici nel 1527
furono espulsi da Firenze con la sommossa degli “Arrabbiati”, il palazzo fu spietatamente
saccheggiato  e molti oggetti d’arte furono distrutti o trafugati. Con il ritorno dei Medici
il circolo intellettuale fu visto con un certo sospetto perché centro di studio per congiure o
sommosse dove fu coinvolto anche Niccolò Macchiavelli.
L’Accademia venne chiusa e il palazzo con il bellissimo giardino restarono a Palla Rucellai che
Ricevette nel palazzo l’imperatore Carlo V e anche Filippo Strzzi (Politico, banchiere, condottiero).

Tabernacolo della Madonna Col Bambino
Andrea della Robbia
(Firenze, 20 ottobre 1435 – Firenze, 4 agosto 1525)
Nelle vicinanze del giardino aveva luogo anche il processo di tintura della lana attraverso
l’oricello, un lichene, e l’ammoniaca (derivata dall’urina) che aveva fatto la fortuna
della famiglia Rucellai e dei panni fiorentini tinti del tipico rosso violaceo.

Roccella fuciformis – Oricello

Grotta sotto camera da letto


Nel 1573 la proprietà, giardino e Palazzo, furono acquistati da Bianca Cappello che era stanca d’abitare nel palazzo in Via Maggio.
La donna riportò il giardino agli antichi splendori.
Bianca Cappello abitava in un palazzo, passato alla storia come “Palazzo di Bianca Cappello”, dove i due s’incontravano per i loro momenti d’amore. Un edificio posto in Via Maggio al n. 26 nel quartiere di Oltrarno a Firenze.

Francesco I fece costruire il palazzo per la sua amante affidando l’incarico all’architetto Bernardo Buontalenti e in una posizione quanto più possibile vicina alla sua residenza ducale, Palazzo Pitti. La distanza tra i due edifici  è di un solo isolato.
Dopo il matrimonio Bianca cedette il palazzo all’ Ospedale di Santa Maria Nuova e solo allora vi furono dipinte le celebri scene grottesche sulla facciata. Scene che furono dipinte da Bernardino Poccetti.
Bianca ormai diventata granduchessa risiedeva infatti con il marito a Palazzo Pitti.


Artista: Bernardino Poccetti, pseudonimo  di Bernardo Barbatelli
(Firenze, 26 agosto 1548; Firenze, 10 novembre 1612)
Un pittore specializzato negli affreschi di facciate e in decorazioni a grottesche. Per questo motivo
Fu anche chiamato come Bernardino delle Grottesche, Bernardino delle Facciate o delle Muse.
Bernardino perché di bassa statura e Poccetti perché derivava dalla sua abitudine a
“pocciare” (Succhiare) cioè bere nelle osterie.




Stemma Famiglia Cappello
Il palazzo successivamente fu ceduto a Giovanni Riccardi che lo vendette a Carlo
Lasinio, professore dell’Accademia del Disegno Fiorentina. Oggi il bellissimo palazzo
è una Residenza d’Epoca.

Il palazzo possiede un cunicolo sotterraneo che mette in comunicazione il sotterraneo dell’edificio con Palazzo Pitti. Grazie a questo cunicolo Francesco I e Bianca Cappello avevano la possibilità d’incontrarsi anche quando la povera Giovanna d’Austria era in vita. Grazie a questo cunicolo sotterraneo furono salvate molte opere che erano presenti nel Corridoio Vasariano. In quel periodo il passaggio segreto fu murato proprio per proteggere le opere dai tedeschi e ancora oggi, a quanto sembra, non è percorribile.
(Tempo fa, durante degli scavi archeologici a Palazzo Pitti, fu trovata una porta che conduce a un camminamento che costeggia decine e decine di metri di resti di mura medievali. Si tratta di ciò che resta delle antiche case che sorgevano nella zona dove ora inizia Piazza Pitti. Alcuni metri più avanti, infatti, le antiche mura cedono lo spazio a delle altrettanto antiche fogne d’epoca medievale, poste a 4 metri più in basso. Male emozioni non finiscono qui. Il tunnel dell’amore - L’ultima «scoperta», è un ulteriore camminamento, un tunnel a volta, che si dirige verso via Maggio. Stretto, ma non strettissimo. Strano in quella posizione, perché si interrompe davanti a un muro, che nessuno ha mai indagato prima. In via Maggio aveva casa Bianca Cappello, quando ancora non era Granduchessa ma si incontrava di nascosto col granduca Francesco I de’ Medici. Il passaggio  di questo tunnel autorizza a fare delle ipotesi... E se davvero si trattasse del «tunnel » segreto dei due amanti?)
 Il titolo di granduchessa non cambiò l’abitudine della Cappello. Rimase sempre estranea alla politica ma non a quella legata alla sua vita matrimoniale in quanto moglie di un granduca. I suoi uffici furono richiesti in occasione dei matrimoni principeschi come le nozze della primogenita Eleonora, avuta da Giovanna d’Austria, con Vincenzo Gonzaga e della figlia di Cosimo I e di Camilla Martelli, Virginia con  Cesare d’Este.
La Cappello era preoccupata  per le buone relazioni con il cognato Ferdinando, di cui conosceva l’ostilità nei suo confronti. Per un breve tempo riuscì a guadagnarsi la sua fiducia permettendo al granduca Francesco I di assumere un atteggiamento più condiscendente verso le continue richieste di denaro da parte del porporato (Ferdinando de’ Medici era un cardinale).
Fu obbligata a mantenere delle buone relazioni tra il marito e la Repubblica di Venezia ma ebbe scarso successo l’unica volta che s’inerì nelle relazioni diplomatiche tra i due stati. Nel 1582 la Repubblica di Venezia protestò energicamente con Firenze per la cattura di un naviglio mercantile turco compiuto dai cavalieri dell’Ordine di S. Stefano (fondato dal suocero Cosimo I) in acque di pertinenza venete.
 Era  molto impegnata nella vita di corte e soprattutto negli intrighi di corte, nelle feste e nel tavolo da gioco. Stipendiava una schiera di confidenti nelle varie corti italiane per avere di prima mano notizie su pettegolezzi e quindi si circondava di ciarlatani, parassiti e buffoni che sfruttavano, per i loro interessi,  l’atteggiamento della granduchessa.
Le sue attività erano completate dalle opere di beneficenza, il collocamento a profitto delle notevoli entrate.  Aveva una grandi abilità nelle operazioni finanziarie e per finire si dedicava anche alla protezione delle arti.
Elargì notevoli somme, per i suoi interessi, al canonico Giovan Battista Tetaldi , al villico Andreoccio delle Pomarance e anche con Torquato Tasso.
Gli dedicarono delle opere oltre al Tasso anche G.B. Strozzi il giovane,  ed altri letterati del tempo. Il pittore Allori Alessandro gli dedicò ben diciassette ritratti  e fu ritratta anche dal Pulzone, Iacopo da Bassano, Michele di Ridolfo del Ghirlandaio e Tiziano.

Bianca Cappello o Camilla Martelli ?
Opera del Tiziano ?
Galleria dell’Accademia Nazionale di San Luca, Roma

Anche i musicisti  le riservarono degli omaggi e soprattutto i fiorentini che con le loro musiche allietavano le sue feste  di corte  ( G.M. Bardi, Emilio del Cavaliere, il Galilei..ecc.).

26. L’Accoglienza del Primo Ambasciatore Orientale

Bianca Cappello, malgrado  le critiche, fu protagonista di un episodio che fece clamore nel suo tempo.
Per un attimo raggiungiamo il Giappone dove negli ambienti culturali  destò clamore il ritrovamento, avvenuto nel 2014 in Italia, di un ritratto ad olio del primo giapponese giunto in Italia.
Ito Macio, un principe del Kyushu, era il leader di una delegazione di quattro giovani nobili nipponici inviata in Europa dal Padre Visitatore gesuita Alessandro Valignano.
Un ambasciata nota in Giappone come l’Ambasciata Tenshou” dal nome dell’epoca in cui si svolse: dal 1582 al 1590.

L’Ambasciatore Ito  Sukemasu Mancio
Itò Sukemasu Mansho - 伊東 祐益 マンショ 
Tonokori, 1560 – Nahasaki, 1612
Capo della prima missione diplomatica giapponese inviata in Europa.
Artista: Domenico Robusti
(Venezia, 1560 – Venezia, 17 maggio 1635)
Figlio di Jacopo Robusti, detto il Tintoretto.
Pittura: Olio su tela  - Misura: (53 x 43) cm
 
Fu scoperto nel 2008 e raffigura un giovane dai tratti orientali vestito alla
moda spagnola del tardo Cinquecento, con abito bruno, cappello nero e
gorgiera bianca. Sul resto dell’opera la scritta:
“D. MANSIO NIPOTE DEL RE DI FIGENGA AMB[asciator]E DEL RE FRA[nces]CO BVGNOCINGVA A SUA SAN[tit]A. MCXXCV. DGH 393”
Il quadro fu commissionato a Jacopo Robusti (Il Tintoretto) dal Senato di Venezia nel 1585
in occasione del passaggio degli ambasciatori. Il quadro fu invece realizzato dal
figlio Domenico e rimase in giacenza nella bottega del maestro fino a quando il
collezionista spagnolo Gaspar Mendez de Haro, marchese del Carpio,  acquistò tutte
le opere dei due artisti. Il collezionista, a causa dei debiti, fu costretto a cedere tutto il
suo patrimonio e l’opera finì nelle mani del banchiere fiorentino
Giovanni Francesco del Rosso che, a sua volta, lo cedette alla famiglia Rinuccini di Firenze.
Nel 1831 Marianna Rinuccini sposò Giorgio Teodoro Trivulzio portando in dote nella
Collezione Trivulzio di Milano anche il prezioso ritratto di Ito Mancio.
Il quadro fu restaurato nel 2009 e fu anche esposto, con grande successo, a Tokyo, a
Nagasaki e a Miyazaki(luogo di nascita di Mancio) in occasione delle celebrazioni
del 150° anniversario dell’inizio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone nel 2016.
 
L’idea di mandare un ambasciata giapponese in Europa fu concepita dal gesuita
Alessandro Valignano e fu patrocinata dai daimyo (carica feudale) cristiani
Otomo Sorin, Omura Sumitata e Arima Harunobu. Ito Sukemasu fu posto a capo del gruppo da
Otomo,  feudatario della provincia di Bungo del Kyushu e parente stretto del padre di
Sukemasu, Ito Shurinosuke.
Il 20 febbraio 1582 Ito, che nel 1850 era stato battezzato con il nome di Macio, lasciò
Nagasaki in compagnia di altri nobili: Michele Chijiwa, Giuliano Nakaura e Martino Hara.
Furono accompagnati da due servi e dal loro tutore ed interprete Diego de Mesquita,
oltre che dallo stesso Valignano, il quale li scortò fino a Goa in India prima di  assumere
un nuovo incarico. Sulla strada per Lisbona trascorsero nove mesi tra Macao, Kochi e Goa.
Da Lisbona partirono per Roma che era la meta principale del loro viaggio.
A Roma Mancio fu nominato cittadino onorario e fregiato del titolo di
Cavaliere dello Sperone d’Oro. Durante il soggiorno in Europa il gruppo incontrò
re Filippo II di Spagna, il Granduca di Toscana Francesco I de’ Medici, papa Gregorio XIII
e il suo successore Sisto V. Gli ambasciatori fecero ritorno in Giappone il 21 luglio 1590.
Mancio entrò nell’Ordine dei Gesuiti nel 1608 e morì a causa di una malattia a
Nagasaki nel 1612, all’età di 43 anni.

La Repubblica di Venezia aveva dei dubbi sul reale status dei principi del Kyushu dato che in Europa era diffusa  la malignità che la missione, sostanzialmente celebrativa dei nuovi successi del cattolicesimo in Asia, potesse trattarsi di una montatura dei gesuiti.
Dopo le calorose accoglienze ricevute dalla delegazione in Spagna e a Roma, la Repubblica di Venezia richiese gli inviati fossero ricevuti nella città della laguna.
Gli ambasciatori  visitarono molte città italiane; Pisa, Genova, Roma, Firenze, Assisi, Bologna, Milano, ecc.
Il primo marzo 1585 la delegazione sbarcò a Livorno, dopo le tappe in Portogallo e in Spagna.
Bainco Cappello incontrò gli esotici principi orientali. Con una curiosità tutta femminile, interrogò immediatamente Ito Mancio sulla fattura dei suoi splendidi kimono indossati dai giapponesi. Il primo dialogo italo-giapponese riguardò la moda e i relativi vissuti.
Con il Granduca Bianca cappello accompagnò gli ambasciatori a visitare anche Pisa e Siena. A quando sembra furono ospiti dei granduchi di Toscana.

27. Bianca e il desiderio di dare un erede

Per lei motivo di preoccupazione, oltre al cognato cardinale Ferdinando, era anche la sua sterilità. Dare un legittimo erede al trono di Toscana, specialmente dopo la morte del piccolo don Filippino,  era un pensiero quasi ossessivo.
Si rivolse per avere un aiuto, una diagnosi, ad Andrea Cesalpino, un famoso botanico, medico e anatomista del tempo.


Andrea Cesalpino o Cisalpino
Latinizzato in Andreas Caesalpinus
(Arezzo, 6 giugno 1519 – Roma, 23 febbraio 1603)
Artista: Battista Ricci detto il Novara
(Novara, 1537 circa – Roma, 1627
Pittura: Olio su tela – Datazione: XVI secolo
Misure ? – Collocazione: Università di Pisa

Il Cesalpino le consigliò i Bagni di Lucca famosi per le loro virtù.









I consigli del Cesalpino furono vani così come quello del chirurgo  veneziano Giulio Basadonna che gli mandava dei suggerimenti addirittura in versi.
In questo momento la Capello rivolse la sua attenzione, per risolvere il grave problema, alla magia.
Cominciò a circondarsi da fatucchiere fino a quando Francesco I, adirato per quelle frequentazioni, ne uccise una a pugnalate. Era una vecchia ebrea che fu accusata dal granduca di essere “troppo assidua”.
 Francesco I non s’interessò molto di politica lasciando le questioni del Granducato nelle mani dei numerosi funzionari dei quali si fidava in modo assoluto. Si preoccupò invece di tassare, in modo pesante, i propri sudditi per avere sempre delle grandi somme a disposizione.
Fece costruire  una villa a Pratolino, con incarico al famoso architetto Buontalenti, e ricordata come una delle più belle ville medicee ed oggi perduta.
Comprò Villa La Magia e tutti i possedimenti della Villa sul Monte Montalbano.

Villa La Magia – Quarrata (Pistoia)
Bene protetto dall’UNESCO – Patrimonio dell’Umanità.


Villa La Magia – La Limonaia

Era appassionato di Alchimia e suggestionato dalle bellissime ceramiche cinesi che venivano importante in Occidente. Decise di studiare gli impasti per riprodurle e nel Casino di San Marco in Firenze, sotto la direzione del Buontalenti,  mise all’opera gli “arcanisti”.

Casino di San Marco – Firenze

“Arcanista” era un antico termine che designava chi si occupava nella manifattura delle ceramiche con la preparazione di rimpasti e vernici. Un termine che in realtà fu usato nel XVIII e nel XIX secolo in considerazione che produrre la porcellana era considerata un segreto di Sato.
Lo stesso Francesco I partecipò attivamente alle sperimentazioni con frequenti presenze nel laboratorio. I vari tentativi ebbero successo nel 1575 con la produzione delle prime opere di porcellana a pasta vitrea mai realizzate in Occidente che prese il nome di Porcellana dei Medici”.
Nel suo laboratorio chiamato “fonderia” ottenne risultati che potremo definire importanti: fusione del cristallo di rocca e conseguente lavorazione con la creazione di vasi e oggetti con la guida di importanti maestri vetrai chiamati a corte da Murano; la stessa “Porcellana dei Medici” era una creazione a metà strada tra la porcellana tenera (ottenuta con sabbia, quarzo, sale marino, polvere di alabastro e terra bianca di Vicenza) e la porcellana dura. Adoperava il cobalto blu per dare un grande risalto alla decorazione stilizzata che riproduceva fiori ed animali.






Si fece realizzare per i suoi studi uno “studiolo” da Giorgio Vasari( e da altri maestri dell’arte)
 a Palazzo Vecchio dedicato a:
"... servire per un guardaroba di cose rare et pretiose, et per valuta et per arte, come sarebbe a dire Gioie, Medaglie, Pietre intagliate, cristalli lavorati e vasi..."

Studiolo” di Francesco I – Opera di Giorgio Vasari
Palazzo Vecchio – Firenze

“Il laboratorio dell’alchimista”
L’uomo al lavoro, in basso a destra, è Francesco I de’ Medici
“Studiolo” – Palazzo Vecchio – Firenze
(Artista: Stradanus/ Johannes Stradanus/ Jan van der Straet/Giovanni Stradano
Pttore fiammingo – 1523/1605
Pittura – Ritratto – Data: 1570
Collezione: Palazzo Vecchio - Firenze

Francesco I de’ Medici
(Artista: Maso da San Friano / Tomaso D’Antonio Manzuoli – 1531/1571
Ritratto – Pittura – Olio su tavola – Datazione: 1570
Misure: (176 x 129 ) cm
Collezione: Museo Palazzo Pretorio - Prato

L’Alchimia una passione, uno studio che era condiviso anche dalla moglie Bianca ?
Visto gli atteggiamenti di Bianca, che fu accusata dai fiorentini di essere una “strega” è probabile anche se non si ha una certezza assoluta. Faceva uso di strani miscugli per combattere la sua sterilità e questo potrebbe indurci ad esprimere una risposta affermativa sul suo coinvolgimento negli esperimenti alchemici del marito.
Lo “Studiolo” di Francesco I era il suo luogo magico. Un luogo che era nato  (probabilmente tra il 1570 ed il 1575)  per i “gioielli della fonderia” e con il tempo, grazie anche all’intervento del Vasari, diventò il “rifugio” del principe.
Un luogo rischiarato solo dalla luce artificiale delle lanterne e che diventò  la cripta segreta di numerosi esperimenti.
Era così preso dai suoi studi alchemici che Francesco I si fece raffigurare nel quadro di Johannes Stradanus “Il Laboratorio dell’Alchemia”. Francesco I è il personaggio posto a destra del dipinto, è seduto ed intento a un lavoro di fonderia. Il suo sguardo è rivolto all’alambicco  che presenta del liquido verde.

Il dipinto raffigura l’ambiente, l’atmosfera di un laboratorio alchemico del tempo con i diversi personaggi intenti nelle varie  operazioni di lavoro e dai cui sguardi si nota un grande coinvolgimento negli esperimenti.



Il ragazzo biondo, al centro del dipinto, tiene una grossa ampolla contenente
un liquido e osserva i fluidi che scorrono negli alambicchi. Il liquido presente
nell’alambicco ha un colore  e potrebbe essere il succo dello stramonio.
Vivino si nota un nano che lavora con un pestello.
Il personaggio, alle spalle di Francesco I
ha degli occhiali, un cappello a triangolo e una giacca
bordata di pelliccia. Un abbigliamento che era caratteristico degli studiosi,
dei giuristi e scienziati del tempo.   L’uomo sembra coordinare la ricerca e l’esperimento e
potrebbe essere il filologo, don Vincenzo Borghini, molto legato al principe.
Sulla sinistra un uomo sta azionando una pressa
e osserva un liquido che fuoriesce mentre in altro altri personaggi sono intenti
nel versare dei liquidi negli alambicchi. Da notare due figure che sembrano sfuggire
all’osservazione dato che lo sguardo è sicuramente attratto dalla scena in
primo piano. Sullo sfondo, a sinistra, su un soppalco, c’è un uomo. Sembra
elegantemente vestito, che trascrive probabilmente i procedimenti degli
esperimenti e forse anche i materiali che dovranno essere richiesti per gli esperimenti.
Altra figura , a sinistra del ragazzo biondo, è un gatto.  La presenza dell’animale
nel quadro ha un suo significato allegorico. Gli esperimenti venivano
solitamente effettuati di notte e il gatto, animale notturno, simboleggia questo
aspetto del lavoro dell’alchimista.
Il dipinto riesce ad esprimere l’antico concetto della pietra filosofale:
Nella ricerca della pietra filosofale, simbolo della trasformazione fisica ed
energetica di ogni attività dell’uomo, l’alchimista sceglie tra due vie:
quella breve e secca in cui la separazione aveva luogo tramite il fuoco e
quella umida dove si rendevano necessarie varie distillazioni”.
 
Infatti nel dipinto sono rappresentate le due vie della ricerca alchemica.
Le due colonne, che incorniciano la scena,  presentano sugli abachi dei capitelli
dei vasi rossi e neri. I primi sono in argilla rossa e rappresentano la via breve con il fuoco,
mentre i vasi neri o vasi dell’arte la via umida, più lunga e laboriosa della precedente,
anche se entrambe hanno lo stesso obiettivo. L’obiettivo costituito dalla ricerca
dell’essenza, lo Spirito che anima tutte le cose che ci circondano. La ricerca deve compiersi
nel rispetto della Natura e influenzata dalla Natura stessa, da Astri e Pianeti, quindi c’è
un intreccio tra Astrologia e Alchimia che ne esalta la Magia.
 
Francesco I sin dal piccolo, all’età di 4 anni, s’interessava
di studi scientifici e artistici leggendo molti testi antichi.
All’età di vent’anni stava chiusa per intere giornata in “fonderia” impegnato
nei suoi studi alchemici. Il padre Cosimo I era molto preoccupato per questo comportamento del
figlio e gli scrisse:
il fatto che ci dispiace è questo che tu acquisti nome presso dell’universale d’essere persona
che sei più atto a essere governato che da governatore... tu scorgerai che non significa altro
che il non essere buono a nulla”.
Fu seguace delle esperienze e delle conoscenza esoteriche che gli furono tramandate dalla
bisnonna paterna, Caterina Sforza,  figlia naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca
di Milano, e di Lucrezia Landriani. Caterina Sforza fu signora, insieme la marito
Girolamo Riaro, di Forlì ed Imola negli ultimi decenni del XV secolo.  
La Sforza superò per fama ogni altra donna del suo tempo e si occupò di erboristeria, medicina,
cosmetica ed alchimia. Ha lasciato il libro contenente ben 500 ricette e procedimenti varie
per la reazione di vari unguenti, infusi, ecc. dal titolo
“Exsperimentiis Catherineae Sfortia”. Un libro che fu studiato da Francesco I
e probabilmente letto anche dalla moglie Bianca per mettere in atto dei
procedimenti per combattere la sua sterilità.

Caterina Sforza
Milano, 1463 circa – Firenze, 28 maggio 1509
Artista: Lorenzo di Credi
(Firenze, 145/59 – Firenze, 12 gennaio 1537
Pittore e scultore. Allievo di Andrea del Verrocchio contemporaneamente
al giovane Leonardo da Vinci
Pittura: olio su tela – Datazione: 1481 circa
Dimensioni (75 x 54) cm – Collocazione: Pinacoteca Civica di Forlì
 
Caterina Sforza
“Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo” 



una ristampa del 1894


Le fonti ci tramandano anche lo studio, fra storte, alambicchi e fornelli,  fra i tanti studi, anche quello sul veleno di 10.000 scorpioni... studiava un antidoto.
Potrebbe sembrava una favola del tempo... avere ben 10.000 scorpioni non è una cosa da poco conto.
I documenti parlano di una fornitura di cui si occupò Niccolò Sisti che era allora direttore del Casino di San Marco.

Francesco I

Francesco I nel 1576 ricevette la visita dell’ambasciatore veneziano Gussoni che rimase impressionato dall’attività sperimentale condotta dal granduca di Toscana. Una serie di esperimenti che andavano dalla fusione di cristalli di montagna alla scoperta del segreto della porcellana, dalle indagini sulle pietre dure alla creazione di preziosi gioielli.
Francesco scrisse successivamente al Gussoni.
soprattutto ho gran diletto di lavorare di lambicchi, formando molte acque, e olii sublimati atti al medicamento di molte infermità, e n’ha quasi per ognuna di esse. 
 Gli scorpioni erano utilizzati dal granduca per produrre
“un olio di eccellente virtù, che con ungersi di fuori li polsi, il cuore, e lo stomaco, e la gola e’ guarisce d’ogni sorte veleno, sana gl’appestati, e preserva i sani, è attissimo rimedio alle pestilentie, ad ogni sorte di febbre maligna”.
 Aveva condotto dei testi decisivi sull’antidoto che erano stati sperimentati sui condannati a morte.
 Il risultato, a detta delle cronache fu soddisfacente. Dopo aver bevuto il veleno, grazie al suo antidoto, li aveva perfettamente guariti.
Donò all’ambasciatore un ampollina contenente il prezioso olio.
Nel 1567 anche Cosimo I volle sperimentare il veleno inventato dal figlio Francesco.
La scelta delle cavie umane ricadde su Francesco d’Andrea da Casanova e Lazero d’Andrea, due dei condannati a morte per impiccagione. I due passarono  dalle mani del boia a quelle dei “medici” di corte che somministrarono loro un potente “sugho di nappello”.
Francesco e Lazero cominciarono a delirare, a soffrire per forti dolori ma grazie all’antidoto riuscirono a sopravvivere. Cosimo I li graziò.
Se dal punto di vista politico dimostrò delle carenze non altrettanto si potrebbe affermare per la gestione sia del suo patrimonio privato che dell’economia pubblica.
Concentrò a Livorno il monopolio commerciale delle spezie e potenziò la produzione delle sete. Realizzò anche delle importanti bonifiche e provvedimenti agricoli promuovendo l’importazione di piante dall’Africa, dall’America e piante d’arancio dalla Cina che furono in gran parte utilizzate nella creazione dell’Orto Botanico di Firenze. Diede inoltre un grande impulso alla studio della Botanica.

L’Orto Botanico di Firenze (Giardino dei Semplici) è il secondo orto botanico al mondo
nella sua collocazione originaria. Nel 1543 Luca Ghini,  descrisse il luogo:
Un Luogo Pubblico, dove... si coltivassero le piante native di climi e paesi differentissimi,
affinchè i giovani Studenti, le potessero in breve di spazio di luogo, con facilità e prestezzza
imparare a riconoscere”.
Fu Cosimo I de’ Medici a volere un orto accademico per integrare le lesioni degli studenti
della facoltà di Medicina. La data di fondazione potrebbe essere fissata
nell’1 dicembre 1545. A questa data risalirebbe il contratto d’affitto stipulato con le suore
domenicane che cedettero uno stacco di terreno in contrada “Cafaggio” vicino alle
stalle Medicee progettate dal Michelozzo.

Dalle stanze di questo laboratorio uscirono prodotti che sembravano miracolosi: "Da maestri peritissimi di continuo si stillano acque di fiori odorati, et d’erbe, et olii di drogheria, et spetierie, trahendone la quintaessentia, et untioni, et compongono lattovari, et confettioni a ristorare, liquori contra le maligne febri, et la pestilenza, et li veleni, et polveri et medicine di possenti virtù, et tostane, portandone in viaggio et nella caccia del G.D. per se e per la corte, e dandone a Prelati, Ambasciatori e Signori, et caritativamente in pronti rimedi...". Francesco fu totalmente inserito nello spirito di questi simboli e negli armadi dello Studiolo custodì devotamente i suoi quarzi, le gemme, i coralli, i minerali, le terre invetriate, le raffinate porcellane, le sostanze chimiche, le ricette medicinali, e tutte quelle meraviglie della natura entro cui l’uomo poteva, attraverso il silenzio, la conoscenza, l’azione e la volontà, ritrovare la propria origine divina e operarne l’esaltante trasformazione.
Come vedremo avanti per ironia della sorte, almeno da come raccontarono le cronache del tempo,  Francesco morì per una dose di veleno seguito, a poche ore, dalla moglie Bianca. Veleno messo dalla moglie in una torta...

29. La Morte di Francesco I de’ Medici e di Bianca Cappello

La sera dell’8 ottobre 1587 Francesco I, dopo una battuta di caccia insieme al fratello cardinale Ferdinando,  cenò con la moglie Bianca presso la Villa di Poggio a Caiano.

Subito, dopo cena, prima Francesco e poi la moglie Bianca si sentirono male e si misero a letto accusando febbre elevata e momenti di vomito, ad intermittenza. Undici giorni dopo, il 19 ottobre, entrambi morirono “senza che l’uno sapesse dell’altro”.
Furono avvelenati ?

Una leggenda narra:

“Avvenne una volta fra l’altro, che venendo a Firenze il cardinale Ferdinando de’ Medici ci bbero occasione (Francesco e la moglie Bianca) di conversare e mangiare insieme. La  male avveduta e accorta signora una mattina fece una torta con le sue proprie mani, e vi messe dentro un potentissimo veleno. Il cardinale, che già aveva questo sospetto, teneva in dito un anello, la cui pietra era di tal virtù, che quando comparivano in tavola vivande avvelenate si mutava di colore: onde egli ad ogni vivanda che compariva in tavola, rimirava la pietra del detto anello. Alla fine della mensa venne una quantità di confetture, e fra le altre la torta avvelenata della signora Bianca. Il cardinale osservò la pietra e la vide turbata; riconobbe il tradimento che gli era stato preparato, o sospettò che anche il fratello ne fosse consapevole; onde stette sempre su gli avvisi, discorrendo al suo solito con ogni affabilità e mostrando di non esserne accorto. Finalmente il granduca, dopo aver detto al fratello che sentisse i favori della signora Bianca, col pigliare una fetta di torta fatta con le sue mani, e il cardinale, trattenendosi in complimenti, con speranza di non pigliarne. Il granduca disse “Nessuno vuole essere il primo? Sarò io” e ne prese un pezzo e lo mangiò. L’inesperta signora, non volendo rilevare, presente il marito e il cardinale, il tradimento, risoluta, vedendo il granduca avvelenato, ne prese anche ella  e la mangiò; volle essere compagna al marito nella fatale tragedia di morte,  piuttosto che sopravvivere dopo aver rilevato il tradimento preparato per il cardinale.
Il granduca, innocente del fatto, seguitava i suoi discorsi, quando di lì a poco cominciarono ambedue a sentire nella pancia intensi dolori, e a ritirarsi nei loro appartamenti, andando sopra il letto, attendendo i medici e i loro rimedi, che il cardinale aveva dato da intendere che stavano arrivando. Ma non comparve nessuno; anzi per espresso comando del cardinale, pena la vita, volle che nessuno, chiunque fosse, si accostasse all’appartamento degli sventurati principi.
Ed egli medesimo, con due pistole in mano, ne faceva diligenza e guardia. Gli infelici poterono chiedere aiuto quanto volevano, ma quelli che glielo poteva dare era quello che con crudeltà gliene privata, e convenne agli infelici principi terminare così miseramente la loro vita, in quella crudele maniera. Il cardinale fece dare ai defunti onorevole sepoltura e sparse voce che non ci fosse stato rimedio alcuno per quel veleno, essendo stato potentissimo e in molta quantità”.

La Morte dei Granduchi di Toscana al termine del banchetto nella loro residenza di caccia
Artista: Amos Cassioli
Ascanio, 10 agosto 1832 – Firenze, 17 dicembre 1891
Datazione: 1812

Questa è la leggenda a cui si aggiunse anche l’ipotesi di febbre malariche contratte nelle paludi dell’Ombrone. Alle febbri malariche si aggiunse una fortissima indigestione provocata da una grande quantità di funghi mangiati dal granduca Francesco I. In Bianca invece il male ebbe e facilmente ragione di un organismo indebolito dall’abuso del bere e dall’uso di strane sostanze, forse venefiche, che solitamente ingeriva sperando di vincere la sterilità che l’affliggeva.
A Francesco I successe nel titolo di Granduca il cardinale Ferdinando che non aveva mai avuto buoni rapporti con il fratello. Nutriva d’altra parte un grande odio verso la cognata a tal punto da ordinare che il cadavere della donna non fosse sepolto nelle tombe medicee e fece cadere lo stemma del suo casato che era stato unito con quello dei Cappello.

Cardinal Ferdinand (I) de 'Medici, c. 1575.
Scipione Pulzone: - Vienna, Kunsthistorisches Museum
Un probabile assassino?
Era il decimo figlio di Cosimo I (il suo sesto figlio legittimo)
I suoi contemporanei lo definirono: pragmatico, intelligente, molto orgoglioso,
arrogante e soprattutto ambizioso. Aveva un naso dritto con una punta appuntita e
nessuna curvatura o alcuna forma di depressione al centro; capelli scuri ed una
bocca ampia con le labbra ugualmente proporzionate di media grandezza.
Il labbro superiore era leggermente sporgente
Ferdinando come suo fratello Garzia era destinato ad una carriera militare.
Con la morte dei fratelli Giovanni e Garzia, nel dicembre 1562, la situazione cambiò
perchè doveva seguire la vita del fratello Giovanni e diventare il prossimo
cardinale della famiglia de’ Medici. Il padre Cosimo I aveva già negoziato con
papa Pio IV il trasferimento del cardinalato di Giovanni a Ferdinando.

Ferdinando de’ Medici
Artista: Scipione Pulzone
Pittura: Olio su tavola – Datazione: 1590
Misure ? – Collocazione: Uffizi Firenze
Ferdinando successe al fratello Francesco I sul trono del Granducato di Toscana
nel 1587 quando aveva 38 anni.  Malgrado il titolo mantenne l’ufficio di cardinale fino
a quando, per ragioni dinastiche, dovette abbandonare la porpora per sposare
Cristina di Lorena nel 1589. Il matrimonio venne celebrato anche da alcuni
dei più grandi artisti dell’epoca con uno spettacolo conosciuto con il nome di
Intermedi della Pellegrina.


Cristina di Lorena
(Bar-le-Duc, 16 agosto 1565 – Firenze, 19 dicembre 1636)
Artista: Tiberio di Tito
Figlio di Santi di Tito
(Firenze, 1573 - ?. 1627)
Pittura: Olio su tela – Datazione: 1600/1605
Misure (174 x 137,5) cm – Collocazione: ?

Ferdinando dismise l’abito cardinalizio e dispiegò tutta l’astuzia che gli anni trascorsi nel ruolo di fratelli minore avevano lasciato intuire. Dichiarò Antonio figlio naturale di Francesco I e fece nascere il sospetto che non fosse figlio di Francesco I.
Il nuovo granduca venne descritto dal viaggiatore inglese Robert Dallington nel 1598 come un uomo “ di statura media, scuro di carnagione, corpulento di corporatura. Il suo governo fu un puro dispotismo”.
Fu Ferdinando a combinare le nozze tra Maria, figlia di Francesco, ed Enrico IV di Francia permettendo la ripresa di relazioni  diplomatiche e che si avverasse la previsione del padre Cosimo I secondo il quale Enrico di Borbone era l’uomo su cui  puntare nella scena politica internazionale.
Dove sta la verità sulla morte di Francesco I e della moglie Bianca Cappello ?
 Nel 2006 le indagini provarono l’effettivo avvelenamento per arsenico ma le successive indagini, eseguite nel 2009, dimostrarono che la morte era dovuta a malaria.
Quattro docenti dell’Università di Firenze (i tossicologi Francesco Mari, Elisabetta Bertol, Aldo Polettini e la storica della medicina Donatella Lippi) analizzarono i frammenti di fegato di Bianca Cappello e Francesco. Resti  che erano stati ritrovati pochi anni fa nella chiesa di San Francesco a Bonistallo grazie ad un documento che testimoniava come le viscere dei due sposi vi fossero stati interrati dopo l’autopsia.
Esilissime tracce di un fegato femminile e di uno maschile furono sufficienti a provare tracce di arsenico, in piccole quantità ma molto fulminante (per questo la lunga agonia). Restava solo da chiarire la paternità dei tessuti organici.
Se per Bianca Cappello il cognato Ferdinando de’ Medici negò le esequie di stato e quindi s’ignora la sepoltura, Francesco I venne invece interrato nelle Cappelle Medicee accanto alla sua prima moglie Giovanna d'Austria. Proprio dalla tomba di Francesco, oggetto di un recente sopralluogo nel 2004 all'interno di un ampio progetto di studio sulla casata medicea, furono trovati resti organici il cui DNA risultò compatibile con quello del fegato maschile, quindi permetterebbe un'attribuzione certa.
Nel 1857, durante una prima ricognizione delle salme dei Medici, così venne ritrovato il  corpo di Francesco I:
 
«[…] assai ben conservato […] ha calva la fronte, neri i capelli, nera ed incolta la barba. Le mani increspate e contratte fan ben conoscere che l’uomo a cui appartennero è morto tra gli spasimi. È vestito di ciambellotto scuro, forse un dì nero: ha simili i calzoni tagliati alla foggia spagnola, le calze di seta nera, le scarpe di pelle”.
Nella cassetta di zinco di Francesco I, riesumato dalle Cappelle Medicee nel 2004, non c'era traccia di materiali organici, ma solo resti di tessuti che avvolgevano le ossa, peraltro ampiamente manipolate dagli antropologi degli anni cinquanta. Quindi il DNA trovato e confrontato con quello di Bonistallo non è DNA originale, ma è dovuto a inquinamento. Inoltre, l'ossario di Bonistallo non è stato scavato con tecniche archeologiche. Era consuetudine comune, dopo l'autopsia, trattare i visceri asportati con composti arsenicali per conservarli. Francesco I presentava febbre elevata e intermittente, mentre l'avvelenamento da arsenico è caratterizzato da vomito senza febbre. Quindi l'avvelenamento resta soltanto una semplice ipotesi, almeno per alcuni studiosi.
La tesi formulata nel 2006 dal gruppo di studiosi delle Università di Firenze e Pavia si basa su evidenze ricavate da un'attenta analisi dei documenti storici e su accurate indagini di laboratorio. Oltre alla sintomatologia presentata da Francesco I, i riscontri dell'autopsia ed i risultati delle indagini chimico-tossicologiche espletate sui resti rinvenuti a Bonistallo concorrono nel definire un quadro compatibile con l'intossicazione letale da arsenico. Sono numerose le pubblicazioni scientifiche ed i testi di tossicologia (uno fra tutti: Curtis D. Klassen Casarett and Doull's Toxicology - The basic science of poisons) che riportano la febbre tra i sintomi dell'intossicazione arsenicale, accompagnata da episodi di vomito violento, che perdura durante tutto il decorso patologico.
È inoltre documentata, nei casi di avvelenamento, l'emissione di feci fortemente maleodoranti, difficoltà respiratorie e blocco renale presenti negli ultimi giorni di vita del Granduca. Il quadro clinico, descritto nei documenti relativi al decorso della malattia del Francesco I, mette in luce la presenza di dolori acuti, contraddistinti dall'emissione di urli e gemiti talmente forti da essere uditi in tutte le stanze della villa. Questi riscontri sono compatibili con il bruciore gastrico lacerante e l'agitazione violenta e delirante che caratterizzano anch'essi l'avvelenamento da arsenico.
Le evidenze ricavabili dall'autopsia di Francesco I danno anch'esse ragione dell'ipotesi di intossicazione. La notevolissima infiammazione gastrica, il fegato bruno, ingrossato e molto duro al taglio oltre che i polmoni iperemici ed edematosi sono più che suggestivi. La milza nella norma e l'assenza di ipertrofia (splenomegalia) escludono invece che il decesso sia avvenuto per un attacco di malaria.
Per confermare l'identità dei resti nei quali è stata rinvenuta una concentrazione di arsenico compatibile con uno stato di intossicazione acuta, il DNA rinvenuto nei reperti prelevati a Bonistallo è stato confrontato con i resti rinvenuti nel 2004 nelle Cappelle Medicee ed attribuiti con certezza a Francesco I. In particolare, durante la riesumazione del 2004 vennero rinvenuti, oltre alle ossa del Granduca, un frammento di cute con annessi dei peli. Questa matrice è stata utilizzata come termine di paragone per le indagini genetiche.
I risultati dei ricercatori fiorentini si scontrano con il dato oggettivo che gli antropologi degli anni cinquanta, e in particolare il prof. Giuseppe Genna, effettuarono il calco in gesso del cranio di Francesco I, il che comportò necessariamente la totale asportazione degli eventuali tessuti molli residui. Perciò la presenza stessa del frammento di cute, su cui si basa tutta la ricerca, è da ritenere impossibile. Inoltre i procedimenti di estrazione e di amplificazione del DNA non risultano sufficientemente documentati nel loro articolo (L. Ottini). Infine, appare molto verosimile che il risultato molecolare, ottenuto in un laboratorio non dedicato allo studio del DNA antico, sia dovuto ad inquinamento da DNA moderno. Un dibattito di rilevanza scientifico-accademica sull'argomento non può di certo prescindere dalla pubblicazione di risultati e argomentazioni su riviste riconosciute a livello internazionale e proprio per questo motivo i riscontri del team fiorentino sono stati pubblicati su una rivista di chiara fama. Ogni obiezione alla loro tesi anima comunque un dibattito di alto livello, in nome della scienza e della verità, che non può che essere positivo.
Tuttavia, l'analisi, nel 2009, effettuata con un moderno metodo immunologico da parte di ricercatori delle Università di Pisa e di Torino, e la scoperta della presenza di proteine del Plasmodium falciparum (l'agente della malaria perniciosa) nel tessuto osseo di Francesco I, conferma le fonti secondo cui il Granduca e la moglie morirono di febbre malarica e fa respingere nuovamente la già controversa ipotesi dell'avvelenamento da arsenico. La presenza di arsenico si spiega con la consuetudine dei medici del tempo di trattare i visceri asportati nell'autopsia con composti arsenicali allo scopo di favorirne la conservazione.

30. I Figli di Isabella de’ Medici
I Giudizi su Isabella nel XVII – XVIII – XIX secolo

Ferdinando non aveva prestato alcun soccorso alla sorella negli ultimi anni di vita, ma Isabella si sarebbe compiaciuta del fratello perché creò problemi sui progetti di Francesco e Bianca che aspiravano al trono granducale per il figlio Antonio. Non si sarebbe opposta all’eventuale iniziativa di avvelenare i due.
Isabella sarebbe stata orgogliosa di come crebbero i suoi figli, rimasti nella corta fiorentina.
Virginio assunse il controllo del ducato Orsini alla morte del padre, ma sempre più vicino a Firenze che a Roma. Alle fine dell’autunno del 1600  si fermò alla corte di Elisabetta d’Inghilterra dove soggiornò per lungo tempo e destò un grande interesse nella corte inglese per la sua gentilezza.
Il giorno dell’Epifania del 1601, la compagnia teatrale della regina mise in scena “La Dodicesima notte” di Shakespeare che fu composta proprio per la festa.
Uno dei personaggi principali era il duca Orsini che prese il nome dal nobile italiano seduto tra il pubblico come ospite d’onore.
Quando a Nora, coltivò gli interessi culturali della madre, e come lei, si dilettò nella composizione musicale. Rimase sposata per vent’anni al cugino Alessandro Sforza e gli diede numerosi figli. ma non fu un matrimonio felice.
Nora si dimostrò una donna decisa e nel 1621 si allontanò dal marito per ritirarsi in un convento che fu fondato da lesi stessa, una strada completamente diversa e meno rischiosa rispetto a quella intrapresa dalla madre Isabella per sfuggire all’infelicità coniugale.
Per il resto c’è da dire che Isabella scomparve dalla documentazione della corte fiorentina. In un inventario dei primi anni del XVII secolo, per descrivere un suo ritratto, si disse solo che è della madre d del signor Virginio da giovane, e addirittura non si esprime nemmeno il suo nome.
Quando il grande scultore fiorentino Giambalonga, molto attivo fra i Medici, morì a Firenze nel 1608, la sua stanza fu adornata con un ritratto di Giovanna, la virtuosa e bistrattata granduchessa, e uno di Isabella.
I drammaturghi inglesi d’epoca elisabettina, grandi amanti delle intrigate vicende italiane, non riuscirono a rendere giustizia alla figura di Isabella.. una unione di Giulietta e Rosalinda, con un tocco di Lady Macbeth, e quindi come figura un po' troppo complessa.
Nel XVIII secolo Isabella scandalizzò il curato inglese Mark Nobile, che la dichiarò come “ una delle più dissolute principesse che mai disonorarono la confessione cristiana”, nonché “patrona di Socino e, finchè fu in vita, tutti gli sforzi dell’Inquisizione di confiscare i suoi beni risultarono inefficaci”.
La realtà è che Isabella possedeva un’insolita combinazione di doti, che sarebbe anche oggi più unica che rara. Ai nostri giorni, le ragazze altolocate che fanno vita di società non si interessano di lingue, antichità astrologia o questioni teologiche nel modo in cui queste discipline furono coltivate da Isabella e informarono la sua esistenza.
Il XIX secolo,  amando le eroine tragiche, sottolineò invece il suo alto risvolto romantico.
Ferdinando non aveva prestato alcun soccorso alla sorella negli ultimi anni di vita, ma Isabella si sarebbe compiaciuta del fratello perché creò problemi sui progetti di Francesco e Bianca che aspiravano al trono granducale per il figlio Antonio. Non si sarebbe opposta all’eventuale iniziativa di avvelenare i due.
Isabella sarebbe stata orgogliosa di come crebbero i suoi figli, rimasti nella corta fiorentina.
Virginio assunse il controllo del ducato Orsini alla morte del padre, ma sempre più vicino a Firenze che a Roma. Alle fine dell’autunno del 1600  si fermò alla corte di Elisabetta d’Inghilterra dove soggiornò per lungo tempo e destò un grande interesse nella corte inglese per la sua gentilezza.
Il giorno dell’Epifania del 1601, la compagnia teatrale della regina mise in scena “La Dodicesima notte” di Shakespeare che fu composta proprio per la festa.
Uno dei personaggi principali era il duca Orsini che prese il nome dal nobile italiano seduto tra il pubblico come ospite d’onore.
Quando a Nora, coltivò gli interessi culturali della madre, e come lei, si dilettò nella composizione musicale. Rimase sposata per vent’anni al cugino Alessandro Sforza e gli diede numerosi figli. ma non fu un matrimonio felice.
Nora si dimostrò una donna decisa e nel 1621 si allontanò dal marito per ritirarsi in un convento che fu fondato da lesi stessa, una strada completamente diversa e meno rischiosa rispetto a quella intrapresa dalla madre Isabella per sfuggire all’infelicità coniugale.
Per il resto c’è da dire che Isabella scomparve dalla documentazione della corte fiorentina. In un inventario dei primi anni del XVII secolo, per descrivere un suo ritratto, si disse solo che è della madre d del signor Virginio da giovane, e addirittura non si esprime nemmeno il suo nome.
Quando il grande scultore fiorentino Giambalonga, molto attivo fra i Medici, morì a Firenze nel 1608, la sua stanza fu adornata con un ritratto di Giovanna, la virtuosa e bistrattata granduchessa, e uno di Isabella.
I drammaturghi inglesi d’epoca elisabettina, grandi amanti delle intrigate vicende italiane, non riuscirono a rendere giustizia alla figura di Isabella.. una unione di Giulietta e Rosalinda, con un tocco di Lady Macbeth, e quindi come figura un po' troppo complessa.
Nel XVIII secolo Isabella scandalizzò il curato inglese Mark Nobile, che la dichiarò come “ una delle più dissolute principesse che mai disonorarono la confessione cristiana”, nonché “patrona di Socino e, finchè fu in vita, tutti gli sforzi dell’Inquisizione di confiscare i suoi beni risultarono inefficaci”.
La realtà è che Isabella possedeva un’insolita combinazione di doti, che sarebbe anche oggi più unica che rara. Ai nostri giorni, le ragazze altolocate che fanno vita di società non si interessano di lingue, antichità astrologia o questioni teologiche nel modo in cui queste discipline furono coltivate da Isabella e informarono la sua esistenza.
Il XIX secolo,  amando le eroine tragiche, sottolineò invece il suo alto risvolto romantico.

 

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Commenti

  1. Ciao Sicilia Natura e Cultura!

    Innanzitutto la ringrazio e le porgo i miei complimenti. Questa pubblicazione mi è sembrata molto interessante e completa.

    Attualmente studio Conservazione e Restauro dei Beni Culturali presso l'Università La Laguna (Tenerife) e sto realizzando una tesi sugli artisti ufficiali della famiglia Medici, mi potrebbe facilitare la bibliografia utilizzata in questo pubblicazione? Le sarei molto grata.

    La ringrazio per la sua disponibilità.

    Un saluto dalle Isole Canarie!

    RispondiElimina
  2. Gentile Cintia Gonzales, la ringrazio per i complimenti. Mi scusi per il ritardo della mia risposta ma sono tornato da poco dalla Spagna. In merito alla bibliografia le posso mondare una serie di link da cui ho tratto le notizie sulla mia ricerca (alcuni presentano la bibliografia). Purtroppo mi sono accorto di aver perduto la bibliografia quando ho trasferito i dati dal compute, che avevo in Spagna, nel mio portabile. Comunque i link contengono una serie di testi che le saranno senz'altro utili per la sua ricerca. Il sito "Sicilia natura e cultura" è stato ideato da ma me, Antonio Barrasso, per fare conoscere le bellezze della mia Terra tanto legata alla Spagna. I link sono diversi e ci sono anche delle pubblicazioni in pdf. Posso mandarglieli su facebook (tramite messenger facebook) chiedendomi l’amicizia. Aspetto una sua riposta, sarò felice di darle il mio piccolo aiuto, e colgo l’occasione per augurarle con grande Sincerità una Buona Pasqua.
    Antonio Barrass

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