Melissa - (Crotone) - Viaggo nella lotta contadina - Prima Parte

Melissa non è solo un termine per indicare una pianta ma è anche il simbolo di una lotta dura, del riscatto di masse disagiate, sfruttate.
È l’espressione di una pagina del passato che mi permetterà di fare un viaggio nell’Italia delle stragi, delle giuste rivendicazioni delle masse soffocate con il sangue. Ogni mattina,  ciascuno di noi preso dalla frenesia e quasi con monotonia, si chiede che giorno sia… non avendo spesso risposte, scruta la data.. che giorno è oggi ?
È fondamentale ricordare, fare conoscere per non dimenticare, per proteggere la società, per combattere la mafia e le ingiustizie sociali, per scuoterci dall’indifferenza, per sentirsi vivi… liberi… per essere uomini e donne..
Guai a dimenticare i propri testimoni di vita, i propri martiri che con coraggio inconsapevole o consapevole hanno perso la propria vita per cercare di creare una comunità migliore…. una società migliore.
Chi dimentica è condannato a subire il peso degli errori che i testimoni del tempo volevano cancellare ad ogni costo. Il mio sarà un viaggio lungo che partendo da Melissa si snoderà attraversando l’Italia da Sud (la Sicilia ha pagato un duro prezzo con decine e decine di morti così come la Puglia , la Basilicata) a Nord…un viaggio di stragi… di rivendicazioni di umile gente che chiedeva un domani migliore mai raggiunto.
Bisogna ricordare… fa male, tanto male ripetere questo verbo… mi costringe a subire sforzi dolorosi e non mi lascia spazio per altri verbi che potrebbero riuscire ad esprimere azioni e situazioni dolci, piacevoli.. spensierate… serene.
Sono qui a ricordare, perché se voglio godere della mia libertà devo avere in mente chi ha pagato il duro prezzo nel perdere la propria vita.
Ricordo una frase detta da un personaggio politico… uno dei tanti che calca il teatro… misero teatro della politica perché il vero teatro è altra cosa.
“ Pugno chiuso non è essere di sinistra ma macchietta. Essere di sinistra non significa solo rincorrere i vecchi totem del passato. Lo dico a chi pensa di potersi definire si sinistra perché sale su un palco alza il pugno chiuso e canta Bandiera Rossa. Sono esponenti di qualcosa che non c’è più a difendere i deboli. È un immagine da macchietta non di politica”.
La gente del Sud andava ad occupare i terreni dei grandi latifondisti, piantava un bandiera (bianca o rossa) o eseguiva dei solchi con l’aratro o con la semplice zappa o ancora iniziava a spietrare il terreno, tutto per fissarne i limiti… chiedeva a gran voce la Riforma Agraria.
Quella gente manifestava spesso con il pugno chiuso anche non sapendo nulla dell’ideologia comunista ma semplicemente come un gesto di riscatto… era un invocazione per chiedere un domani migliore e non vivere più da sfruttati. Non era proprietaria di banche o di altri benefici a cui oggi siamo tristemente abituati dalla nostra classe dirigente.
In ogni caso “il pugno chiuso o la bandiera rossa sono emblemi di lotta, d’impegno per i diritti dei più deboli e per la democrazia” (Enico Rossi).
Signor Renzi bisogna avere rispetto del passato… scenda nelle strade.. ma non per regalare sorrisi farseschi da pagliaccio, ma per andare vicino a chi soffre, per chi vive negli stenti e chi sogna un domani migliore. Tanti e tanti secoli fa una stella cometa aveva guidato antiche coscienze ma si è perduta nella memoria dei secoli…..
La politica di oggi è incapace di affrontare il presente come è e non come si vorrebbe che fosse… c’è un inerzia che persuade i politici ad accettare un cattivo presente piuttosto che un futuro incerto e poi la sinistra ha spesso mostrato la tendenza a diventare un’élite e questo da quando si è allontanata dai cancelli delle fabbriche , e dai vari movimenti dei lavoratori… Oggi mi chiedo spesso: abbiamo tanti doveri ma i nostri diritti quali sono ?

Nel Feudo Fragalà di Melissa, il giorno dopo la strage, restarono le tracce dei lavori svolti da contadini: i rovi tagliati, qualche piccolo stacco di terreno spietrato e qualche albero selvatico che era stato innestato. Quella umile gente, come tanta altra del Sud, aveva creduto nella Costituzione.. era gente che “voleva lavorare e produrre per sé e per gli altri” ma per lo Stato erano “criminali”.
Strana la Costituzione che vuole la “Repubblica” fondata sul lavoro !!!!!
 Molti  morirono in questa guerra…. Nessuno li riconobbe come martiri o eroi. I loro nomi oggi non dicono nulla,  spesso anche nelle stesse Regioni in cui persero la vita.
Per lo Stato erano “fuorilegge”. È vero, allora in Calabria c’erano tanti pregiudicati.  A Cutro (Crotone) nelle elezioni del 1948 non ebbero diritto al voto 272 cittadini. Erano “pregiudicati”. La loro colpa ? Avevano raccolto la legna nel latifondo del barone Barraco che circondava il paese.
I Barraco erano la legge e i contadini i “delinquenti”.
Dopo i fatti di Melissa del 1949, nel girono di pochi anni, l’esercito di contadini si trasformò in un esercito di EMIGRANTI…. Emigranti che morirono a centinaia nelle miniere del Belgio, nelle fonderie tedesche e in altri stati. Delle rimesse spedite in Calabria dagli emigranti, le banche drenarono ben il 90% per finanziare il “miracolo economico”.
Sono passati tanti e tanti anni. Adesso  non è solo il latifondo ad essere incolto. I rovi, le sterpaglie hanno invaso le colline e tendono a scendere veloci verso la pianura. Gli avvenimenti legati alla Riforma Agraria danno una visione di un popolo di braccianti senza terra, di paesi in cui la gente viveva nei tuguri ed oggi quei centri sembrano agglomerati di case abbandonate, di paesi che si stanno spopolando e di terre senza contadini. Franco Costabile, poeta calabrese, (Sambiase – Catanzaro, 27 agosto 1924 – Roma, 14 aprile 1965), lasciò la sua terra scrivendo: “ Ce ne andiamo via/ ce ne andiamo via / dai paesi più vecchi e stanchi /ce ne andiamo via con dieci centimetri di terra secca sotto le scarpe / con mani dure con rabbia con niente /…..troppo / troppo tempo a starcene zitti / quando bisognava parlare, via dai feudi, via dai baroni, o, via dai pretori, dalla polizia, dagli uomini d’onore…..non chiamateci, non richiamateci…..Siamo beni legati ad una vita, a una catena di montaggio degli dei…. Noi siamo /le giacche appese / nelle baracche dei pollai d’Europa /Addio / Terra / Salutiamoci / è ora.”
Tanti contadini nel lasciare la loro terra spesso gridavano: “Noi ci ritorneremo”.
Poveri di ieri.. poveri di oggi che i nostri politici hanno creato con provvedimenti insensati che nulla hanno a che vedere con i concetti di giustizia sociale (riforma pensioni, vari balzelli..ecc..). La vita non è una regola matematica… 40 anni di contributi…. 63 anni compiuti… aggiornamento indice di vecchiaia…ecc…ecc… Ogni essere umano ha un proprio vissuto, spesso è stato soggetto a compromessi…….Ma tutto questo non ha importanza per la classe dirigente politica…. Siamo stati abbandonati e giudicati per il nostro vissuto…

In questi giorni a Palermo Frate Biagio Conte vive in strada e digiuna da cinque giorni: “Più aiuti a chi ha perso casa e lavoro” e aggiungerei anche la propria dignità.  Perdere la propria dignità…. È una forma di schiavitù a cui si è soggetti da chi non fa fronte ai bisogni legittimi della collettività, costringendoci ad accettare condizioni di estremo disagio. Dorme sotto i portici delle Poste in via Roma, non mangia. Il suo è un gesto per richiamare l’attenzione sul principio della solidarietà, per essere più vicini ai meno fortunati, a coloro che hanno perso la casa e il lavoro. “Non riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare sapendo che oggi tante persone vivono per strada, che tante famiglie non hanno né casa né lavoro. La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi è molto diffuso” scrive. Infine un appello affinché si ascolti “il grido disperato di chi ha perso il lavoro e la casa”. (Dal “Corriere del Mezzogiorno”)
Noi siamo gente del Sud e siamo stanchi di essere additati come degli sconfitti… sconfitti dai tradimenti della classe politica….

Franco Costabile : Il Canto dei Nuovi Emigranti


(Palermo – Frate Biagio Conte - dal “Corriere del Mezzogiorno”)

(Melissa .- Mappa )


Melissa è un piccolo centro della Calabria  circondato da vigneti, colline  ed è posto su un costone roccioso tra il Mare Jonio e il versante Centrale della Sila Grande. Un Borgo tipicamente feudale che si sviluppa a gradoni sui rilievi collinari dove sono costruite le abitazioni, gli edifici e le grotte che in passato erano utilizzate come case. Il centro storico è raggiungibile solo a piedi ed è caratterizzato da strette vie, dalla presenza di grotte tra le case e dai resti di una imponente cinta muraria. Una antica testimonia la presenza di queste cavità legata ad aspetti archeologici, agricoli ed ad un antica povertà.
Lo sbocco a mare del Borgo è Torre Melissa. Qui la presenza di una Torre Aragonese detta anche Torre Merlata o Torrazzo.
Melissa non è quini solo una pianta ma anche un bellissimo centro della Calabria ricco di storia.
Il suo nome deriverebbe dal greco “Melissa”, come ricorda Ovidio nelle Metamorfosi, ovvero “paese delle api e del miele”. Altri legano il nome alla maga Melissa , contemporanea della Sibilla Cumana, che visse in una delle grotte del Borgo. Maga che è raffigurata nello stemma comunale del paese. Fu sottoposta, come tante città del meridione, al potere di vari feudatari: i De Micheli, di origine veneziana; i Campitelli e i Pignatelli. Gli ultimi due, con il loro comportamenti vessatori nei confronti dei contadini, spinsero le masse a ribellarsi per il rispetto dei loro diritti.
Melissa fa parte, come tanti altri piccoli comuni soprattutto del Meridione, di pagine di storia dimenticate. Pagine che dovrebbero fare riflettere tanta gente. Proprio a Melissa avvenne nel 1949 una delle tanti stragi di Stato Italiane dimenticate.

(Melissa - Panoramica)

(Melissa - Torre Aragonese)

Era  il 29 ottobre 1949 … in Calabria c’era tanto fermento. La questione meridionale, ancora oggi aperta, portava i contadini calabresi in corteo sui latifondi. Cosa chiedevano ?  E’ una domanda legittima in uno Stato dove la giustizia sociale, ancora oggi viva con i conflitti generazionali che gli ultimi governi hanno creato, è completamente assente. I contadini chiedevano il rispetto dei provvedimenti emanati dal ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo. Provvedimenti che riguardavano la concessione delle terre lasciate incolte dai grandi proprietari terreni ovvero i latifondisti o ancora meglio i feudatari…i nobili.
Per ironia della vita, sempre presente nelle vicende umane, Fausto Gullo era un meridionale. Nato a Catanzaro il 16/06/1887 e morto a Spezzano Piccolo il 3/09/1974. 

(Fausto Gullo in un comizio)

Fu nominato, in modo “inaspettato”, Ministro dell’Agricoltura nell’aprile del 1944 nel secondo governo di Pietro Badoglio. Ricoprì questo ruolo fino al 13 luglio 1946 quando nel secondo governo di Alcide De Gasperi fu sostituito al ministero dal possidente democristiano Antonio Segni. Tra l’estate del ’44 e la primavera del’ 45 emanò alcuni decreti che avevano l’ambizione di creare una legislazione agraria riformatrice. Essendo un meridionale e quindi profondo conoscitore della realtà agricola nel sud, cercò si spezzare quell’equilibrio esistente nei rapporti di classe tipici del meridione agrario. Fu questo forse l’unico tentativo attuato dagli esponenti governativi della sinistra nel percorrere una via delle riforme in un momento politico tanto delicato in cui si stava costruendo l’Italia futura.
Ma quali erano gli aspetti o meglio i provvedimenti della “Riforma Agraria” attuata da Gullo con il Decreto del 19 Ottobre 1944 N. 279 ?


Gli elementi fondamentali erano i seguenti :
1.      Riforma dei Patti Agrari, in modo da garantire ai contadini almeno il 50% della produzione che andava divisa;
2.      Permesso di occupazione dei terreni incolti o mal coltivati che veniva però rilasciato alle cooperative agricole di produzione;
3.      Un indennità ai contadini per incoraggiarli a consegnare i loro prodotti ai magazzini statali che per l’occasione venero appellati come “granai del popolo”;
4.      La proroga di tutti i patti agrari.  Una giusta norma per impedire ai proprietari , mai arresi alla perdita delle loro proprietà, di “eliminare” nell’anno successivo i fittavoli che avevano in uso i terreni;
5.      Proibizione per legge di ogni intermediario tra contadini e proprietari. Anche questa era una norma giusta che aveva come obiettivo l’eliminazione di quelle figure tipiche del Meridione come i gabellotti in Sicilia (che daranno vita alla mafia) e anche in Calabria o i mercanti di campagna nel Lazio.
Nella riforma c’era qualche aspetto che lasciava perplessi come quello dell’abolizione dell’intermediazione. Un problema difficile da risolvere considerata la struttura sociale del latifondo ormai radicata da tempo. Comunque riuscì a rincuorare i contadini che erano abituati a lottare da tanto tempo per i loro giusti diritti. Per un volta lo Stato era venuto incontro alle masse contadine e questo determinò il risveglio di una certa fiducia. Altro aspetto importante era la norma che imponeva ai contadini di associarsi. Un invito a superare l’isolamento e a cooperare tra loro per raggiungere determinati obiettivi di produttività e di reddito.

Ma le legge rimase in gran parte sulla carta. Alcuni punti come l’eliminazione dell’intermediazione non ebbe alcun riscontro. L’agitazione dei contadini raggiunse l’apice nell’ottobre del 1945. La protesta era legata ai contratti agrari, alle terre incolte, all’imponibile e al collocamento e alla mancata attuazione del Decreto Gullo contrastata da alcuni movimenti politici e dai grandi proprietari terrieri ovvero i nobili latifondisti tanto presenti nel Sud.
Il 12 ottobre 1945 venne approvata la legge n. 773 “Norme per l’applicazione della legge n. 279 del 19 ottobre 1944”.

DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 
12 ottobre 1945, n. 773
Norme per l'applicazione del decreto legislativo Luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 279, relativo alla concessione ai contadini delle terre incolte. (045U0773) 

UMBERTO DI SAVOIA
PRINCIPE DI PIEMONTE
LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO

In virtu' dell'autorita', a Noi delegata;
Visto il decreto legislativo Luogotenenziale 19  ottobre  1944,  n.
279, sulla concessione ai contadini delle terre incolte;
Visto l'art. 4 del decreto-legge Luogotenenziale 25 giugno 1944, n.
151;
Visto l'art. 2 del decreto legislativo Luogotenenziale 1°  febbraio
1945, n. 58;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Ministro per l'agricoltura e per le foreste,  di
concerto con i Ministri per la grazia e giustizia, per l'interno, per
le finanze, per il tesoro, per l'industria  e  commercio,  e  per  il
lavoro e la previdenza sociale;
Abbiamo sanzionato e promulghiamo quante segue:

Art. 1.

La  Commissione  provinciale  istituita  dall'art.  3  del  decreto
legislativo Luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 279, ha  sede  presso
il tribunale civile ed e' assistita da un  cancelliere  delegato  dal
presidente del tribunale.



Il 27 ottobre 1945 fu approvato lo schema di DLL recante “Norme per l’applicazione del DDL 19 ottobre 1944 n. 279 per la concessione delle terre incolte ai contadini”.


Nell’ultima decade di Agosto 1946, ci fu un Decreto che apportò delle modifiche al DL n. 279 del 19 ottobre 1944. Modifiche che furono dettate dai timori dell’allora Ministro dell’Interno, Mario Scelba.  Scelba sollecitava un veloce disbrigo delle pratiche relative all’occupazione delle terre per  ragioni di ordine pubblico. Si assicurava ai beneficiari l’assegnazione delle terre per un tempo superiore a quattro anni. Si garantiva un assistenza tecnica  ed un “eventuale” finanziamento da parte dello Stato agli assegnatari dei terreni espropriati. Questi provvedimenti avevano come obiettivi: la necessità di assicurare una maggiore produzione, l’ordine pubblico e fornire i capitali per l’acquisto delle attrezzature necessarie per la lavorazione delle terre. Questi provvedimenti si dimostrarono superflui ed inutili e ci fu una rapida invasione delle terre incolte e coltivate.
Per frenare le arbitrarie occupazione dei terreni, il Ministero dell’Interno Scelba inviò ai Prefetti, nel settembre del 1946, una Circolare contenente severe disposizioni….”in molti casi le occupazioni delle terre sono causate dalla lentezza delle commissioni proposte a decidere sulle domande di concessione presentate……Ricordo che le decisioni delle commissioni e l’eventuale successivo decreto di concessione da parte delle Signorie Loro non devo tardare oltre il ventesimo giorno dalla data di presentazione della domanda”.

Nelle masse contadine c’era stata una crescita nell’organizzazione che aveva coinvolto le Camere del Lavoro, le Leghe e le sezioni di partito. Tra il 1946 e il 1949 si erano formate ben 1187 cooperative con un totale di circa 250 mila addetti che erano riusciti ad ottenere oltre 165mila ettari di terreno in prevalenza tra Sicilia, Calabria e Lazio. Ma era ben poca cosa. La concessione di quei 165mila ettari era stato solo un palliativo per addolcire il malcontento. La legge Gullo in definitiva venne quasi accantonata e alla fine si rilevò un fallimento. Ad essere sinceri oltre alla mancata eliminazione dell’intermediazione, c’erano stati dei problemi sull’occupazione delle terre incolte e sulla revisione dei patti agrari.  Problemi creati da chi ?  Dai liberali e dai democristiani che avevano nelle loro schiere i grandi proprietari terrieri ovvero i latifondisti aristocratici. Quando i decreti Gullo furono esaminati per la prima volta dal Consiglio dei Ministri, nell’autunno del 1944, il PLI e la DC imposero delle modifiche essenziali. La più importante fu quella di affidare alle commissione locali la decisione sulla legittimità delle occupazioni delle terre. Commissioni locali che erano composte, sempre per volere del PLI e della DC, da un presidente della Corte d’Appello, da un rappresentante dei proprietari (un aristocratico) e da un contadino o rappresentante dei contadini. I magistrati di allora non erano imparziali e soprattutto nel Meridione molti erano aristocratici. Questo determinava nella commissione una maggioranza precostituita contraria ai contadini. Alcuni critici storici misero in risalto le statistiche di quel tempo relative alla Sicilia e sono dati che lasciano riflettere:
1.       Le richieste dei contadini accolte dalle autorità locali furono 987;
2.      Riguardavano 86 mila ettari (ben poca cosa rispetto ai vasti latifondi sparsi nell’isola);
3.      Le richieste respinte … ben 3822
4.      Le richieste respinte riguardavano circa 820mila ettari.
Nessun commento……….nella mancata riforma contribuì una certa arrendevolezza della dirigenza comunista.  Arrendevolezza che il partito comunista evidenziò quando il movimento contadino rimise in discussione la mancata attuazione del decreto Gullo perché era in gioco la necessità di confronto con la Dc sulla politica statale.

Gullo con i suoi decreti cercò fino all’ultimo di aiutare i contadini. Vennero creati i premi di produzione e la riduzione degli affitti in cambio della consegna dei prodotti ai granai del popolo. Un decreto dichiarato illegale prima dalla magistratura di Sassari, poi a ruota da altri e infine confermato in Cassazione nel maggio del 1946, nonostante il ministero della Giustizia fosse in mano a Togliatti, che nulla fece per epurare l'amministrazione giudiziaria dagli elementi fascisti che la popolavano. Anche gli stessi contadini mostrarono una certa difficoltà nel mantenere la loro unità. Le terre concesse erano di piccola estensione e spesso poco fertili. Poca terra per troppi membri. I contadini più poveri furono costretti a vendere le loro quote a quelli più ricchi. I decreti di Gullo dovevano essere accompagnati da aiuti statali ai contadini medi e poveri e anche i piccoli proprietari terrieri avrebbero potuto in questo modo sottrarsi alla tradizionale alleanza con i grandi proprietari aristocratici. Ma tutto questo mancò malgrado Gullo  abbia inserito nella legislazione delle garanzie per ampie facilitazione di credito alle cooperative… queste non furono mai liquidate !!!!!!!

Intanto nell’ Italia centrale, Umbria, Toscana e parte dell'Emilia e delle Marche, i mezzadri ingaggiarono una battaglia senza precedenti per modificare i rapporti tra proprietari e contadini. Le principali richieste erano:
1.      almeno il 60% del prodotto,
2.      il diritto di partecipare alla gestione dell'impresa,
3.      la giusta causa per la disdetta,
4.      la fine dei servizi gratuiti e delle regalie,
5.      pagamento dei danni subiti dalle case coloniche e dal bestiame durante la guerra;
6.      saldo dei conti a scadenza annuale.
Un programma ambizioso ma realistico, che diede vita ai consigli di fattoria. Fu un periodo di aspri scontri, minacce, e persino di intimidazioni a colpi di pistola. Il governo Parri fallì nella mediazione tra proprietari e contadini a differenza di De Gasperi che riuscì a mediare con un provvedimento che diventò famoso come il “lodo” De Gasperi.  Il lodo stabiliva una contribuzione del 24% da parte dei proprietari per riparazioni post belliche, da aumentare al 34% il successivo anno, convenendo comunque sull'impossibilità di dividere il prodotto a metà e stabilendo lo scioglimento dei consigli di fattoria. Una soluzione di vantaggio a breve termine per i mezzadri e di lungo termine per i proprietari, che vinsero poi nel 1947 con Antonio Segni, il quale stabilì il 53% di produzione ai mezzadri e un 4% annuo di accantonamenti padronali per migliorie.  Sostanzialmente un fallimento per i contadini. (Gherardo Fabretti)
Nel 1946 il movimento contadino subì un ulteriore delusione.

Il 12 luglio 1946 ci troviamo in presenza del secondo Governo De Gasperi. Lo scomodo Ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo, venne sostituito dal democristiano, possidente sardo, Antonio Segni. Per Fausto Gullo un nuovo incarico… di comodo… Ministro della Giustizia.
Segni non perse tempo….. con le sue iniziative legislative svuotò i decreti del suo predecessore con i Decreti del settembre 1946 e dicembre 1947. Il “buon democristiano” Segni lavorò sicuramente con impegno per mettere in atto le sue norme. L’articolo 7 del decreto del 1946 dava ai proprietari il diritto di reclamare la terra se i contadini avessero violato le condizioni per le quali era stata concessa. Questa clausola fu usata dai proprietari terrieri per riprendere i loro terreni con iniziative legali contro le cooperative contadine. Molti terreni dati ai contadini nel 1946-47, furono poi persi nell’anno successivo.
Secondo la riforma di Segni, le terre sarebbero dovute essere ottenute in parte “….primo, da una quotizzazione di beni patrimoniali dello Stato, dei Comuni, suscettibili di coltura agraria; secondo da una riduzione progressiva della proprietà privata”. Il suo criterio era legato al reddito catastale secondo il triennio 1937/39. La quota percentuale coinvolta dalla riforma avrebbe dovuto oscillare da un minimo di 20 ad un massimo del 50%. Tale massimo, su stessa ammissione di Segni, avrebbe potuto riguardare “tutt’al più cento ditte e forse meno”. Strana dichiarazione quella di Segni che sosteneva come il latifondo non fosse così radicato nell’economia agricola di quei tempi.
I proprietari sarebbero stati compensanti in parte in contanti e in parte con un titolo di stato fruttifero redimibile, ma agli Enti Pubblici si chiese di ricorrere all’enfiteusi. Un contratto che prevedeva l’usufrutto in perpetuità o per lungo tempo di un terreno dietro pagamento di un contributo in denaro o in natura. Era un Istituto di diritto romano, come recita uno Zingarelli di quegli anni, e fu molto in uso nella penisola italiana nel XIV secolo. Facevano eccezione quelle aziende per cui “eccezionalmente attrezzate e industrializzate” ….”un amputazione sarebbe stata fatale”. Le indicazioni del governo erano orientate verso “apposite forme associative di partecipazione ai prodotti e agli utili”.
Fondamentale sarebbe poi dovuta essere la scelta dei destinatari dei nuovi lotti e la loro assistenza.  Crediti, consulenze tecniche e cooperative per l’acquisto e l’utilizzo delle macchine avrebbero dovuto consentire la nascita di una piccola proprietà condotta con criteri moderni, innovativi. Escluse dalla riforma si sarebbero trovate le opere di carità e i beni ecclesiastici. Un argomento, una decisione che fu duramente criticata da liberali e repubblicani. I socialdemocratici trovarono la riforma  contraria alla Costituzione mentre i comunisti sostenevano che il governo faceva “chiacchere..non intendeva promuovere nessuna riforma agraria”. Un dibattito lungo che si sarebbe portato avanti per quasi un anno. Nel frattempo la protesta nelle campagne dilagava. Furono stabilite le “Norme per l’Istituzione dell’Opera di Valorizzazione della Sila” con la Legge 31 dicembre 1947 n. 1629. Una norma che creò solo un grande baraccone e non riuscì a placare le proteste, già in atto da anni, in Calabria. Il ricco Segni con le sue riforme agrarie riuscì ad assicurarsi i benefici o appoggi elettorali dell’aristocrazia terriera meridionale e nelle elezioni dell’aprile 1948 la DC recuperò gran parte dell’elettorato meridionale agricolo che aveva perduto. Lo scenario agricolo meridionale tornava “nell’antica normalità”. Le terre migliori restavano alle famiglie latifondiste e tanta gente non possedeva terra. L’unico passo avanti rispetto al passato era rappresentato dall’impiego estensivo del DDT nella disinfestazione, attuato nel 1944 con l’aiuto degli Alleati, che aveva reso possibile la bonifica delle zone malariche e paludose della Sardegna, Sicilia e della Maremma Toscana.
(Federterra - Tessera)

(Congresso della Federterra – il quarto congresso a Mantova)

(Federterra - Bollettino)

(Federeterra - Congresso Nazionale)



(Camera del Lavoro - Gravina di Puglia)

Il 15 maggio 1949 fu proclamato uno sciopero preparato e deciso ben sei mesi prima dalla Federterra. Il Governo si pose come intermediario tra i proprietari e i contadini ed agì con fermezza in quei punti dove lo sciopero si era trasformato in abuso. Gli episodi di violenza andavano dai blocchi stradali alla distruzione dei covoni e al danneggiamento delle macchine agricole.. interi filari di viti furono tagliati; numerosi pagliai furono dati alle fiamme e spesso chi non aderiva allo sciopero veniva malmenato. C’erano, come in ogni protesta, episodi di violenza ingiustificabili. Un proprietario terriero fu bastonato durante una manifestazione di 500 braccianti. La reazione del figlio sfociò in tragedia. In questo clima di diffusa protesta fu immediata l’approvazione di un disegno di legge sulla riforma dei contratti di mezzadria e di affitto. Il pacchetto fu presentato alla Camera il 16 maggio.  Comprendeva diversi emendamenti tra cui il diritto di prelazione da parte dell’agricoltore sul fondo coltivato; la richiesta di una giusta causa per la disdetta del contratto d’affitto e la durata minima dei contratti fissata con un ciclo di rotazione colturale. Si trattava di un primo passo verso la riforma ma i comunisti videro gli emendamenti come “una legge nata dal timore del peggio, ispirata più a motivi di polizia che a motivi di giustizia sociale”.
Già nel mese di marzo del 1949 in Calabria si erano verificate delle vaste occupazioni di terre nella bassa valle dell’Esaro e del Crati, da Roggiano Gravina a Cassano Jonio, in provincia di Cosenza. Nel nuovo clima politico della vittoria nazionale democristiana, le commissioni per le terre incolte dei tribunali non avevano preso in considerazione le nuove domande di terra, presentate dalle cooperative sin dall’autunno del 1948. Erano state invece accolte, in modo sempre più frequente, i ricorsi degli agrari (i nobili proprietari terrieri) per la revoca di precedenti concessioni. Decisioni prese a maggioranza dalle commessioni col solo voto contrario del rappresentante della “Confederterra”.
In questo clima di delusione e di regole non rispettate la reazione contadine s’intensificarono. Furono adottate nuove parole d’ordine: “le vecchie concessioni si difendono conquistandone delle nuove”, “la costituzione repubblicana deve essere applicata anche nel Mezzogiorno”. Le colonne di contadini che marciavano verso le terre avevano come bandiera il testo della Costituzione Repubblicana o più semplicemente quello del suo articolo 42 che impone allo stato di determinare “i limiti” della proprietà privata, “allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Quegli articoli, imparati quasi a memoria, venivano ripetuti ad ogni manifestazione a carabinieri e pretori. Carabinieri e pretori che non volevano sentire ragioni ed arrestavano contadini e sindacalisti che venivano sottoposti a processi. Centinaia di imputati e secoli di galera complessivamente erogati. Dalle manifestazioni o lotte dell’Esaro e del Crati, del marzo 1949, si era ottenuto ben poco. Le manifestazioni erano rimaste isolate e la polizia aveva potuto controllare il tutto con le forze disponibili e senza tensioni. Era necessario coordinare l’azione di lotta in modo più incisivo coinvolgendo le due grandi province di Cosenza e Catanzaro. La manifestazione fu indetta per il 24 ottobre 1949. All’alba di quel giorno, al suono della “tromba garibaldina” che era il simbolo elettorale del FDP  (Fronte Popolare Democratico) nelle elezioni del 18 aprile 1948, le colonne di contadini si mossero da decine e decine di comuni calabresi. In provincia di Cosenza dai paesi della media e bassa valle del Crati, della valle dell’Esaro e del litorale ionico da Corigliano a Cariati. In provincia di Catanzaro dai centri tradizionali della lotta crotonese.
La mobilitazione in Calabria era quasi generale. C’erano circa 14 mila contadini scesi in corteo specialmente nelle province di Catanzaro e Cosenza. Cortei di gente umile. A piedi o a dorso di mulo, donne e bambini.. tutti muniti di attrezzi di lavoro che  si dirigevano verso le pianure.  Giunti nei latifondi segnarono i confini e si divisero le terre. Iniziarono subito i lavori per la relativa semina dei terreni. Ci fu un grande clamore per questa pacifica “occupazione”. Dalla radio e dai giornali governativi venne lanciata una campagna allarmistica di calunnie. Una commissione di parlamentari democristiani si recò dalla Calabria a Roma per chiedere al governo la repressione del “movimento comunista” e le misure repressive non tardarono ad arrivare. Da Napoli, Bari, Taranto vennero fatti affluire ingenti forze di polizia mentre le forze locali sin dai primi giorni eseguirono degli arresti di dirigenti sindacali e capi contadini, nel tentativo di decapitare il movimento. Il Ministro dell’Interno ?  Mario Scelba…. di Caltagirone (Catania)… un meridionale !!!!!  seguace di Don Sturzo !!!!!! e ……democristiano……sarà l’autore… quasi nascosto,,, di atroci misfatti….
Al terzo giorno, mentre i contadini portavano avanti nelle campagne i lavori di aratura e di semina dei terreni occupati, oltre ai “fermati” trattenuti nelle caserme, vennero arrestati e trasferiti nelle carceri 83 dirigenti in provincia di Cosenza e 67 in provincia di Catanzaro. I reparti della Celere man mano che arrivarono in Calabria, vennero avviati nei centri ove il movimento era più forte. I palazzi dei baroni vennero trasformati in caserme ed uno di questi reparti, proveniente da Taranto, fu ospitato con cordialità la sera del 28 ottobre nel palazzo del barone, presso Melissa.  Questo reparto della Celere collocato a Melissa, il 29 andò sul fondo “Fragalà” e sparò sui contadini che lavoravano nelle terre occupate per protesta. I contadini furono colpiti alle spalle dai proiettili mentre fuggivano per mettersi in salvo …….

(La Marcia dei Contadini)


(Melissa - La Marcia dei Contadini verso il Feudo Fragalà)

Come già accennato, alcuni parlamentari calabresi della Democrazia Cristiana si recarono a Roma per chiedere un intervento della polizia al Ministro dell’Interno, Mario Scelba….. personaggio politico noto anche per la strage di Portella della Ginestra di cui fu accusato, forse ingiustamente, Giuliano.

(Scelba, a destra, con De Gasperi, al centro; e Piccardi durante una sedute del V Governo)

(Scelba, a destra, con Giulio Andreotti)

Scelba, da buon democristiano, non cercò di mediare… prese l’iniziativa e inviò i reparti della Celere in Calabria e uno di questi reparti si stabilì a Melissa, in provincia di Crotone. Il reparto trovò alloggio presso il ricco proprietario dei terreni ovvero il Marchese Pietro Berlingeri (Na, 1904 e deceduto a Napoli nel 1981) figlio del Marchese Annibale.
(Crotone - Palazzo Berlingieri)

(Napoli - Palazzo Berlingieri)

(Crotone - Stemma dei Berlingieri - Cattedrale)

Marchese Annibale Berlingieri (1874 - 1947)

Il barone aveva “subito” l’occupazione dei “suoi” terreni da parte dei contadini in rivolta..  Scelba non andò a fondo sulla questione. Quei terreni di Melissa erano stati assegnati dalla legislazione napoleonica del 1811 per metà al Comune e la restante parte al marchese Berlingieri.  Con il passare del tempo il Berlingieri, in modo arbitrario e senza alcun diritto, li aveva occupati abusivamente per intero.
(Reperto della Celere  - 1948)

(Sila - Difesa Salerni - Villa dei Berlingieri)

Già dai  giorni precedenti i celerini, al comando del tenente Luciani, avevano avuto dei comportamenti provocatori nei confronti della popolazione di Melissa, insultando e sbeffeggiando  e, come riportano le cronache,  molestando le donne. Ci furono delle perquisizioni nelle sedi dei partiti e nella sede della “Federterra”.
La descrizione dell’eccidio è difficile ma fa riflettere.. almeno a chi ha coscienza….
La mattina del 29 ottobre dal palazzo del barone Berlingieri i celerini lasciarono gli automezzi alla periferia di Melissa e si avviarono verso Fragalà.

Nella stessa mattina del 29 ottobre Enrico Musacchio, segretario della locale sezione del PCI, Giuseppe Squillace, sindaco socialista del comune e Santo Lonetti, segretari delle Federterre, vennero convocati in caserma e trattenuti per lunghissime ore dal commissario di P.S. dr. Rossi.
Nicodemo Mungo confermò personalmente questa circostanza: “fummo chiamati in caserma il sindaco, Giuseppe Squillace, il segretario del PCI. Il commissario di P.S., dr Rossi disse di invitare i contadini a ritirarsi da Fragalà e che tutta loro sarebbe stata la responsabilità di quanto poteva avvenire, permanendo l’occupazione. Giuseppe Squillace, capo dell’Amministrazione comunale di Melissa, rispose che per il momento bisognava lasciare stare i contadini sul feudo occupato e che un intervento in senso opposto avrebbe provocato certamente grandi reazioni tra le masse contadine. A sera, quando i contadini sarebbero ritornati da Fragalà, il discorso avrebbe potuto essere ripreso con tranquillità. Verso le ore 14 l’animata conversazione venne interrotta dalla notizia terribile, portata fino alla caserma dei carabinieri da Vincenzo Pandullo: i celerini hanno sparato, sono caduti dei contadini, non si sa quanti, ed egli stesso ha la gola squarciata da una ferita”.

I contadini furono avvisati dell’imminente arrivo dei militari ma decisero di continuare il lavoro nei campi occupati. Nessuno pensava che i militari avrebbero attaccato. I poliziotti arrivarono sul fondo e come già detto i contadini li accolsero con giubilo gridando: “viva la polizia del popolo” e “Pane e lavoro”. Lucia Cannata era una contadina che si trovava sul luogo lavorando nei terreni e raccontò di aver udito una voce: “Abbandonate le armi, lasciate le armi, lasciate la terra”. Nessuno si mosse. Le donne, gli uomini e i bambini, risposero “Evviva la polizia. Vogliamo pane e lavoro”. Ci fu subito un nutrito lancio di bombe lacrimogene e poi i contadini vennero caricati dalla polizia. Ci fu un fuggi, fuggi generale ci furono tre morti e tanti altri feriti in modo grave:  Lucia Cannata, Domenico Bevilacqua, Luciano Iocca, Carmine Masino, Antonio Cannata, Giuseppe Ferrari, Silvio Rosati, Vincenzo Pandullo, Francesco Drago, Francesco Bossa, Carmine Tarlesi, Michele Drago, Carmine Sarleti.
Le persone uccise:
-          Francesco Nigro di 29 anni;
-          Giovanni Zito, di 15 anni;
-          Angelina Mauro, di 23 anni che morì successivamente per le gravi ferite riportate.

(Melissa - Locandina dell'Eccidio)

Le persone colpite dagli spari avevano una caratteristica peculiare: tutti presentavano ferite alle spalle. La polizia sparò su chi fuggiva e si accanì anche su cose e animali. Sparò ai muli e agli asini, si ruppero i barili carichi d’acqua e chi fu raggiunto nella fuga venne colpito con feroci manganellate. I morti e i feriti giunsero a dorso di mulo in paese per essere poi portati all’ospedale di Crotone. I braccianti avevano le 2armi” con cui erano andati a combattere: gli attrezzi da lavoro. I poliziotti evitarono di entrare in paese e nessuno di loro fu ferito. La situazione era tragica… il misfatto era stato compiuto.. L’ordine del Ministro dell’Interno Scelba era stato repentino:” bisogna stroncare il movimento in modo particolare dove questo si dimostra più attivo”.
Si cercò di far nascere la tesi di una rivolta e aggressione contadina alle forze dell’ordine anche corrompendo medici e raccogliendo false testimonianze.
In merito l’episodio del medico condotto di Cirò fu emblematico.
L’on. Luigi Cacciatore, riferì alla Direzione Nazionale del PSI, di essere giunto a Crotone dopo la strage e di essersi recato l’1 novembre a Crotone per avere notizie dei morti e dei feriti. Nessun poliziotto era ricoverato. Cercò di avere notizie più precise sugli agenti feriti e con stupore seppe che qualcuno dei militari, urtando fra i rovi, aveva riportato dei graffi alle gambe ed un altro era stato lievemente ferito alla testa. Quest’ultimo si era presentato al medico di Cirò, un vecchio e stimato professionista ultrasettantenne, che dopo avergli praticato le cure del caso, gli rilasciò il referto per ferita lacero-contusa da corpo contundente. Il giorno seguente un maresciallo si recò dal medico e gli mostrò il berretto del celerino macchiato di sangue. Il berretto presentava due fori e invitò il medico a cambiare il referto perché, secondo il maresciallo, quel berretto provava che il militare era stato ferito da due proiettili d’arma da fuoco. Il medico fece notare al maresciallo che in 50’anni di servizio era in grado di distinguere le differenze tra una ferita da corpo contundente e una ferita da arma da fuoco. Il maresciallo non seppe replicare.
Alcune ore dopo tornò dal medico in compagnia di un tenente della Celere che fece presente al professionista “come vivere tranquillo fosse poco conveniente porsi contro le tesi della polizia”. Il medico ebbe paura e compilò il nuovo referto secondo le direttive del tenente. Ma il medico, persona coscienziosa e tranquilla, fu preso dal rimorso e confidò il tutto ad un suo collega. Al collega rilasciò per iscritto una dichiarazione con la quale si liberò del grave peso sulla coscienza. Tale dichiarazione è ancora oggi nelle mani del Procuratore Generale della Repubblica della Corte d’Appello di Catanzaro…(?)
Gli spari vennero da una parte sola ma chi fu a sparare per primo o meglio a dare il segnale di fare fuoco?
Molti militari “locali” avevano dei forti rancori nei confronti della popolazione di Melissa. Tra questi il maresciallo della Caserma dei Carabinieri di Cirò Marina un certo Brezzi.
Cinque mesi prima dell’eccidio, la popolazione si recò al comune per protestare contro la rimozione del collettore comunale. In quell’occasione il maresciallo Brezzi, molto adirato, disse di fronte a centinaia di persone: “qui mi sembra la repubblica di Caulonia, ma io vi farò passare la notte di San Bartolomeo” (Enrico Musacchio, segretario del PCI nel 1949).
Carmine Sileti, uno dei partecipati all’occupazione di Fragalà e che fu ferito dai colpi d’arma da fuoco dei celerini disse: Subito dopo i fatti io andai dicendo dappertutto che a sparare per primo fu il maresciallo Brezzi e che potevo testimoniarlo dovunque. Il Partito non mi ha incoraggiato ad andare avanti in quella denuncia. Mi capitarono anche dei guai. Fui convocato un giorno, non ricordo quale, nella casa di una guardia municipale di Torre Melissa e lì, in presenza del vicesindaco di Melissa, fui invitato del maresciallo Brezzi a ritirare tutto quello che avevo detto sul suo conto. Io, invece, insistetti e mi fece fare alcuni giorni di carcere”.
Il padre ottantenne di Francesco Nigro, una delle vittime della strage, riferì che “quel giorno mi trovavo in paese. A Fragalà non ero andato. Erano andati i miei figli Francesco e Giuseppe insieme ai loro compagni. Quella terra non era stata coltivata da moltissimi anni e non c’era da mangiare e eran andati a prenderne per fare un po’ di grano a giugno. Non volle il destino. Arrivarono da  Cirò i carabinieri e il maresciallo che faceva il fanatico e ci chiamava straccioni e delinquenti. Era il maresciallo Brezzi, quello che ordinò il fuoco. Mi fu portata la notizia che avevano ammazzato mio figlio. Io ero a casa e me lo portarono su un asino. Il governo a “marito” del morto mi regalò una tomolata di terra”.
Angelina Maura, altra vittima, era un giovane donna di campagna.  Disse una sua amica: “Non faceva politica era povera come tutte le altre donne. A Fragalà aveva al suo fianco mio marito. Fu ferita da colpi d’arma da fuoco ad un rene. Giunse in paese anche lei su di un mulo Io che ero andata verso il feudo quando la vidi ferita sentii dire rivolta a mia suocera: “Mammazì, l’avimu patuta” (Madrezia, l’abbiamo avuto il nostro dolore)”. Morì all’ospedale di Crotone dopo pochi giorni. Aveva 24 anni. Sua madre, una povera donna, morì dopo un anno di crepacuore e suo padre, quasi cieco, morì dopo pochi anni. I suoi fratelli hanno lasciato il paese… forse oggi nessuno la piange o porta fiori sulla sua tomba.
Giovanni Zito, aveva 15 anni. Sua madre diventò pazza per il dolore. Quel giorno si trovava anche lui a Fragalà. Era esuberante come i giovani della sua età. La sua famiglia era povera e viveva in una misera casa. Giovanni non possedeva neppure una fotografia che nella cultura contadina è sinonimo di ricordi. Nel monumento funebre dedicato ai caduti della strage, è infatti indicato con il solo nome. Manca la sua foto che invece è presente nel perenne ricordo di Angelina Mauro e di Francesco Nigro.
In Italia tanto clamore ma ancora di più all’estero.

Una strage dimenticata ma che è stata ricordata dal grande Lucio Dalla in una sua strofa del Brano “Passato, Presente” che faceva parte dell’album “Il giorno aveva cinque teste”…
« Il passato di tanti anni fa
alla fine del quarantanove
è il massacro del feudo Fragalà
sulle terre del Barone Breviglieri
Tre braccianti stroncati
col fuoco di moschetto
in difesa della proprietà.
Sono fatti di ieri »
(Lucia Dalla…Passato Presente …


Il racconto di un vecchietto di Melissa su quella tragica giornata:
“”Melissa era un paese povero…quella mattina del 29 ottobre 49, tutto il paese si spopolò. Donne uomini, bambini si raccolsero a gruppi di famiglie attorno al castello. Dove si divisero i compiti: alcune portarono i barili dell’acqua, altre i cesti con i viveri. Gli uomini avevano solo gli attrezzi di lavoro dei campi. Gli attrezzi della loro fatica quotidiana. Discesero nel fondo Fragalà di proprietà del barone Berlingeri. Terreni che erano in abbandono, incolti da moltissimi anni.  A piedi, in groppa ai muli scesero nei campi. Quella stessa mattina i poliziotti salirono a Fragalà. I contadini lavoravano le terre fino a quel giorno incolte e rimasero indifferenti all’arrivo della polizia. Le donne gridarono “Viva la polizia del popolo” ed ancora “Vogliamo pane e lavoro”. I poliziotti, la Celere, si schierarono a semicerchio e incominciarono a lanciare delle bombe lacrimogene, poi i contadini vennero caricati. Si scappava, si udirono delle raffiche di mitra.  La terribile notizia di quelle che era successo si sparse nel paese. Quelli che erano rimasti a casa avevano in quei campi un marito, un figlio, un fratello… una sorella.. la moglie.
Francesco Nigro cadde per primo a 29 anni, Giovanni Zito ad appena 15 anni ed una giovane donna di sole 24 anni, Angelina Mauro, ferita mortalmente, morirà qualche giorno dopo all’ospedale di Crotone. Molti altri furono seriamente feriti. La polizia aveva puntato e sparato freddamente sui contadini che scappavano… si accanì anche sulle cose e sugli animali… i morti giunsero in paese a dorso di muli…”.
 “Morirono” - conclude il nostro narratore - “piantando per sempre la loro vita sul fondo di Fragalà, perché quella terra non rimanesse incolta ed il frutto del lavoro fosse dei lavoratori…”.

 I contadini di Melissa e la famiglie dei martiri non ebbero giustizia, il caso venne ben presto chiuso con una sentenza pilotata che oggi farebbe inorridire la giustizia stessa. Il giovane procuratore che con grande fervore aveva raccolto i primi indizi, si scoraggiò forse anche perché pressato dai politici. Si dimise dall’incarico dopo alcuni giorni. Se giustizia fosse stata fatta, il tribunale di Crotone avrebbe dovuto celebrare un processo contro gli assassini…. mai identificati. Il ministro dell’Interno Scelba avrebbe dovuto rispondere non solo di strage ma anche di violazione di domicilio e d’impedimento violento dell’esercizio di un legittimo e imprescindibile diritto, com’è quello dell’uso civico. Neppure dal punto di vista amministrativo fu fatta giustizia con l’indennità “d’esproprio” attribuita al barone Berlingieri per una terra che non era sua. Se la giustizia non ha condannato, la storia non ha assolto né l’usurpatore né il suo paladino.
La protesta degli intellettuali progressisti fu vivace. Grandi pittori, come Ernesto Treccani, si recarono a Melissa per studiare da vicino le condizioni di quel popolo e per fissarne nelle tele l’aspirazione a un mondo migliore. Fu proprio Treccani a realizzare il monumento funebre nell’anniversario del 1979.

(Melissa - Monumento ai Caduti)

 Ernesto Treccani immortalò con le sue foto immagini della Melissa di un tempo…. Foto scattate tra il 1950 e il 1960 (Fonte: Beni culturali Lombardia).  Immagini ricchi di sentimento che fanno riflettere.


(Melissa - Anni 1950 - 60)

(Melissa - Via di campagna)

Alla Camera e al Senato forte e sdegnata fu la denuncia che fecero i parlamentari di sinistra sui fatti di Melissa. Pietro Mancini, (calabrese.. di Melito, in prov. di Cosenza, dove era nato l’8 luglio 1876 e senatore dal 15 giugno 1948) che insieme a Gennaro Miceli, Francesco Spezzano, Silvio Messinetti, Mario Alicata (nel 1952 sindaco di quel comune) era presente a Melissa subito dopo l’eccidio, concluse così il suo discorso che il repubblicano Conti definì “musicale”:
A nome (…) di tutto il Senato della Repubblica italiana, voli a quei tumuli lacrimati l’omaggio devoto e imperituro. Il sangue non è stato versato invano, se esso varrà a seppellire la vecchia storia ed a foggiarne una nuova. La rinascita della Calabria sarà il loro degno monumento. Soltanto allora potremo e sapremo onorarli”.

I fatti di Melissa fecero scalpore… tre vite uccise…il 31 fu proclamato lo sciopero dei lavoratori della CGIl che si schierò a fianco dei contadini. Era necessario porre un freno alle dimostrazioni. Nel consiglio dei ministri del 15 novembre   i provvedimenti per la Calabria furono l’argomento principale.. Il 16 novembre Scelba s’incontrò con Di Vittorio, segretario generale della CGIL e con Ilio Bossi della Confederterra.
Il Consiglio dei Ministri incaricò Segni, con una delibera, di presentare d’urgenza al parlamento un disegno di legge per la distribuzione dei terreni della Sila e delle zone vicine.
Una manovra che dava inizia alla riforma agraria e riguardava oltre 45.000 ettari, 5000 nuove piccole proprietà e 2000 proprietà che le assegnazioni andavano ad integrare. Lo stato si sarebbe accollato  un onere di circa 20 miliardi di lire (dell’epoca .. siamo nel 1950) di cui solo una minima parte reperibile. L’esecuzione del programma, che comprendeva anche un opera di trasformazione e bonifica delle terre assegnate, avrebbe fornito impiego stabile a non meno di 20.000 contadini. Il disegno di legge fu accolto  favorevolmente.

Lo studio della riforma risale al 15 novembre….. il 22 novembre il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi inizia il suo viaggio in Calabria proprio dalla Sila…. (la data del suo viaggio, il luogo… fanno riflettere…un sorriso ironico mi conquista….).
Il De Gasperi era stato in Calabria il 15 marzo 1948…più di un anno prima dei fatti di Melissa (durante le riforme agrarie della Legge Segni)… e in un comizio elettorale a Catanzaro.. si era vantato (un comportamento simile a quello di gran parte dei nostri politici di oggi… Renzi… Gentiloni….Monti….Fornero…) del “netto incremento avutosi nell’assegnazione delle terre incolte a seguito della Legge Segni rispetto al Provvedimento Gullo”.
Un discorso quello del 1948 che dava, secondo il De Gasperi, l’attribuzione delle terre al provvedimento legislativo e non alle lotte dei contadini in gran parte del Meridione. La tracotanza o baldanza o ancora meglio arroganza, tipica anche oggi dei nostri uomini politici, dopo i tragici fatti di Melissa causati da un suo ministro era scomparsa.
Il suo comizio fu a Camigliatello Silano… la folla in silenzio… non un applauso (ma chi avrebbe avuto il coraggio di applaudire ?)…. Molti cartelli che invocavano “TERRA E LAVORO”… Il comizio in una atmosfera quasi irreale….. Ma sul palco… quel famoso palco che divide l’elettorato dagli ”uomini politici” .. oltre a De Gasperi chi c’era ? Ci sarebbe dovuto essere Scelba…. ma non aveva coraggio… per lui era facile governare seduto dietro ad una scrivania agendo come da una sala controlli e decretando con un semplice “click” di un bottone l’evolversi delle tragiche situazioni…..
Sul palco c’erano i Cassiani, i Carratelli, gli Spasari… tutti personaggi che avevano inviato numerosi telegrammi al ministro Scelba per richiedere, con insistenza” l’invio delle forze di Polizia ovvero della sua “Celere”. Dal palco qualcuno ebbe il coraggio di presentare De Gasperi…. Dalla folla si levarono delle grida: “Assassino….Assassino”.
De Gasperi, senza dubbio intimorito, cominciò a parlare della Riforma Agraria adottata dal governo…”sarebbero stati espropriati 45mila ettari di terreno e per questo sono stati stanziati 15 miliardi…”.
Frasi povere… tipici di ogni politico perché inadatte al momento… si fermò nel discorso e aggiunse: “ è necessario distinguere nettamente tra provvedimenti contingenti per fronteggiare una determinata situazione e riforma agraria che deve muoversi con diversi ritmi per profondi riflessi che può avere nell’economia nazionale”.
La Legge Sila fu approvata il 4 maggio 1950 e si dimostrò un fallimento… una vera e propria presa in giro in un momento drammatico.. un comportamento a cui siamo abituati oggi dai nostri uomini politici….Furono espropriati circa 700.000 ettari su una superficie di 27 milioni di ettari !!!!! i poveri assegnatari, cioè coloro che ricevettero le terre, non ebbero alcuna assistenza, furono abbandonati a se stessi… senza risorse… Non si dava corso neppure ad impostare il problema delle terre demaniali.  Tutte le richieste avanzate dai contadini nelle lotte restarono solo sulla carta e questo causò nel Mezzogiorno la fuga dalle proprie terre….”dieci milioni di suoi figli furono cacciati…, di cui sei milioni e mezzo in modo permanente” per volere dello Stato… (Rivista di Economia Agraria, XXXIV, 1976, pg.76). Quella povera gente che emigrò non aveva nulla con sé.. solo una valigia spesso chiusa con uno spago e nessun aiuto umanitario….anche questo aspetto ci deve fare riflettere perché dietro all’assistenza dei rifugiati a richiedenti asilo dei nostri giorni c’è tanta e tanta speculazione… ci sono tanti predicatori che io definisco di “morte” ..perchè danno di sé un immagine che non rispecchia il loro reale modo di essere…. Testimonianze  ? Tante….anche con documenti ….docet….

(Emigranti in America)

(Emigranti al Nord Italia)

(Emigranti in Argentina)

Concludo questa mio primo viaggio con un capolavoro del grande artista Giuseppe Pellizza (Volpedo – Alessandria 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907) dal titolo: “Il Quarto Stato” (prima chiamato “Il Cammino dei Lavoratrori” dipinto nel 1901.
Ritrae un gruppo di braccianti in marcia, in segno di protesta,  forse nella Piazza Malaspina di Volpedo. Un corteo che avanza in modo lento, sicuro, un allusione ad un sensazione di vittoria. L’intenzione dell’artista era quella di riuscire a dare vita e immagine ad «una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s'avanzano come fiumana travolgente ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov'ella trova equilibrio». Celebra l’imporsi della classe operaia, il “quarto stato”  a fianco della classe borghese. Im primo piano tre figure, due uomini ed una donna con un bambino in braccio.


( "Il Quarto Stato" - Giuseppe Pellizza)

La donna, probabilmente la moglie dell’artista, è a piedi nudi ed invita i manifestanti, con un gesto della mano, a seguirla. Un movimento che è evidenziato dalle pieghe del suo abito. A destra un “uomo, sui 35 anni, fiero, intelligente, lavoratore” come definì lo stesso artista, con una mano nella cintola dei pantaloni e l’altra che regge una giacca appoggiata sulla spalla. Una raffigurazione che esalta la compattezza del corteo. Alla sua destra un altro uomo che avanza in silenzio, pensoso, con la giacca fatta cadere sulla spalla sinistra. I manifestanti rappresentano in gran parte figure di Volpedo e rivolgono lo sguardo in più direzioni come ad avere un pieno controllo della situazione. Volti che esprimono la consapevolezza dei propri diritti civili  e che esprimono anche attraverso la naturalità dei loro gesti fatti di quotidianità ( alcuni reggono dei bambini in braccio, altri appoggiano la mano sugli occhi per ripararsi dal sole, ecc.). il quadro fu mostrato per la prima volta alla Quadriennale di Torino nel 1902 ma non ebbe alcuni riconoscimento forse per il tema trattato. Lo scrittore Giovanni Cena all’indomani della Quadriennale scrisse sul dipinto: è una cosa che resterà e che non ha paura del tempo, perché il tempo le gioverà”.
Il dipinto ebbe successo con la stampa socialista e fece da cornice artistica ad un articolo di Edmondo De Amicis (“Leggetemi! Almanacco per la Pace”). Nel 1905 diventò un simbolo della classe dei lavoratori sull’”Avanti! della domenica” una rivista settimanale del quotidiano del Partito Socialista Italiano. L’artista cercò invano di esporre il quadro in diverse mostre. I comitati espositivi temevano la pericolosità del soggetto raffigurato e si rifiutarono sempre di esporlo. Entrò a fare parte di una mostra solo nel 1907 a Roma presso la Società promotrice di Belle Arti.  Poco dopo l’artista si suicidò, non ancora quarantenne sempre nel 1907. L’opera subì ancora forti critiche fino a quando venne dedicata all’artista una mostra presso la Galleria Pesaro di Milano. In quella Galleria era presente il critico d’arte Guido Marangoni che, rimasto impressionato dall’imponenza del quadro, decise di aprire una sottoscrizione pubblica per acquistare la tela dagli eredi. Fu aiutato nell’indire la sottoscrizione dal consigliere comunale Fausto Costa. Il dipinto fu acquistato per 50.000 lire e nel 1921 entrò a fare parte della Galleria d’Arte Moderna, nel castello Sforzesco, nella Sala della Balla. L’opera rimase visibile fino agli anni trenta quando durante il periodo fascista venne confinato in un deposito. Nel 1980 fu spostato nella Galleria d’Arte Moderna di Milano e dal dicembre del 2010 nel Museo del Novecento di cui costituisce la prima opera esposta a testimonianza del suo grande pregio artistico, storico e sociale. Nel 1976 il regista Bernardo Bertolucci, utilizzò il dipinto nel suo film “Novecento” ove il quadro fa da sfondo ai titoli di testa.



(Fine Prima Parte….)


Reportage Fotografico: 


(Castello di Policoro dei Berlingieri - La cse dei Contadini)



(Melissa - I Campi)


(Melissa)


(Giuseppe Pellizza - Autore del "Quarto Stato")




Riferimenti: 
Melissa - Panopramica : https://www.melissaturismo.it/images/melissa/slide/panorama-di-melissa.jpg

Federterra Bollettino:

Camera del Lavoro - Gravina di Puglia : https://www.gravinaoggi.it/images/IMMAGINEXCALIA.png
Sclba con De Gasperi : 
http://storia.camera.it/foto/19480501-scelba-de-gasperi-pacciardi-durante-seduta-v-governo-de-1


Sila - Difesa Salerni: 
Melissa - Foto di Ernestro Treccani :  (Fonte : Beni Culturali Lombardia)
Melissa - Locandina Eccidio : http://eccidiodimelissa.blogspot.com.es/
Melissa - Monumento ai caduti : http://eccidiodimelissa.blogspot.com.es/
Berlingieri - Battute di caccia : http://www.nobili-napoletani.it/images/foto/B/BERLINGIERI/policoro,%20battuta%20di%20caccia.gif
Berlingieri - Castello di Policoro : http://www.nobili-napoletani.it/images/foto/B/BERLINGIERI/policoro.gif













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