Melissa - (Crotone) - Viaggo nella lotta contadina - Prima Parte
Melissa non è solo un termine per indicare una pianta
ma è anche il simbolo di una lotta dura, del riscatto di masse disagiate,
sfruttate.
È l’espressione di una pagina del passato che mi
permetterà di fare un viaggio nell’Italia delle stragi, delle giuste
rivendicazioni delle masse soffocate con il sangue. Ogni mattina, ciascuno di noi preso dalla frenesia e quasi
con monotonia, si chiede che giorno sia… non avendo spesso risposte, scruta la
data.. che giorno è oggi ?
È fondamentale ricordare, fare conoscere per non
dimenticare, per proteggere la società, per combattere la mafia e le
ingiustizie sociali, per scuoterci dall’indifferenza, per sentirsi vivi…
liberi… per essere uomini e donne..
Guai a dimenticare i propri testimoni di vita, i
propri martiri che con coraggio inconsapevole o consapevole hanno perso la
propria vita per cercare di creare una comunità migliore…. una società
migliore.
Chi dimentica è condannato a subire il peso degli
errori che i testimoni del tempo volevano cancellare ad ogni costo. Il mio sarà
un viaggio lungo che partendo da Melissa si snoderà attraversando l’Italia da
Sud (la Sicilia ha pagato un duro prezzo con decine e decine di morti così come
la Puglia , la Basilicata) a Nord…un viaggio di stragi… di rivendicazioni di
umile gente che chiedeva un domani migliore mai raggiunto.
Bisogna ricordare… fa male, tanto male ripetere questo
verbo… mi costringe a subire sforzi dolorosi e non mi lascia spazio per altri
verbi che potrebbero riuscire ad esprimere azioni e situazioni dolci, piacevoli..
spensierate… serene.
Sono qui a ricordare, perché se voglio godere della
mia libertà devo avere in mente chi ha pagato il duro prezzo nel perdere la
propria vita.
Ricordo una frase detta da un personaggio politico…
uno dei tanti che calca il teatro… misero teatro della politica perché il vero
teatro è altra cosa.
“ Pugno chiuso non è essere di sinistra ma macchietta. Essere di sinistra
non significa solo rincorrere i vecchi totem del passato. Lo dico a chi pensa
di potersi definire si sinistra perché sale su un palco alza il pugno chiuso e
canta Bandiera Rossa. Sono esponenti di qualcosa che non c’è più a difendere i
deboli. È un immagine da macchietta non di politica”.
La gente del Sud andava ad occupare i terreni dei
grandi latifondisti, piantava un bandiera (bianca o rossa) o eseguiva dei
solchi con l’aratro o con la semplice zappa o ancora iniziava a spietrare il
terreno, tutto per fissarne i limiti… chiedeva a gran voce la Riforma Agraria.
Quella gente manifestava spesso con il pugno chiuso
anche non sapendo nulla dell’ideologia comunista ma semplicemente come un gesto
di riscatto… era un invocazione per chiedere un domani migliore e non vivere
più da sfruttati. Non era proprietaria di banche o di altri benefici a cui oggi
siamo tristemente abituati dalla nostra classe dirigente.
In ogni caso “il
pugno chiuso o la bandiera rossa sono emblemi di lotta, d’impegno per i diritti
dei più deboli e per la democrazia” (Enico Rossi).
Signor Renzi bisogna avere rispetto del passato…
scenda nelle strade.. ma non per regalare sorrisi farseschi da pagliaccio, ma
per andare vicino a chi soffre, per chi vive negli stenti e chi sogna un domani
migliore. Tanti e tanti secoli fa una stella cometa aveva guidato antiche coscienze
ma si è perduta nella memoria dei secoli…..
La politica di oggi è incapace di affrontare il
presente come è e non come si vorrebbe che fosse… c’è un inerzia che persuade i
politici ad accettare un cattivo presente piuttosto che un futuro incerto e poi
la sinistra ha spesso mostrato la tendenza a diventare un’élite e questo da
quando si è allontanata dai cancelli delle fabbriche , e dai vari movimenti dei
lavoratori… Oggi mi chiedo spesso: abbiamo tanti doveri ma i nostri diritti
quali sono ?
Nel Feudo Fragalà di Melissa, il giorno dopo la strage,
restarono le tracce dei lavori svolti da contadini: i rovi tagliati, qualche
piccolo stacco di terreno spietrato e qualche albero selvatico che era stato
innestato. Quella umile gente, come tanta altra del Sud, aveva creduto nella
Costituzione.. era gente che “voleva lavorare e produrre per sé e per gli
altri” ma per lo Stato erano “criminali”.
Strana la Costituzione che vuole la “Repubblica”
fondata sul lavoro !!!!!
Molti morirono in questa guerra…. Nessuno li
riconobbe come martiri o eroi. I loro nomi oggi non dicono nulla, spesso anche nelle stesse Regioni in cui
persero la vita.
Per lo Stato erano “fuorilegge”. È vero, allora in
Calabria c’erano tanti pregiudicati. A Cutro
(Crotone) nelle elezioni del 1948 non ebbero diritto al voto 272 cittadini.
Erano “pregiudicati”. La loro colpa ? Avevano raccolto la legna nel latifondo
del barone Barraco che circondava il paese.
I Barraco erano la legge e i contadini i
“delinquenti”.
Dopo i fatti di Melissa del 1949, nel girono di pochi
anni, l’esercito di contadini si trasformò in un esercito di EMIGRANTI….
Emigranti che morirono a centinaia nelle miniere del Belgio, nelle fonderie
tedesche e in altri stati. Delle rimesse spedite in Calabria dagli emigranti,
le banche drenarono ben il 90% per finanziare il “miracolo economico”.
Sono passati tanti e tanti anni. Adesso non è solo il latifondo ad essere incolto. I
rovi, le sterpaglie hanno invaso le colline e tendono a scendere veloci verso
la pianura. Gli avvenimenti legati alla Riforma Agraria danno una visione di un
popolo di braccianti senza terra, di paesi in cui la gente viveva nei tuguri ed
oggi quei centri sembrano agglomerati di case abbandonate, di paesi che si
stanno spopolando e di terre senza contadini. Franco Costabile, poeta
calabrese, (Sambiase – Catanzaro, 27 agosto 1924 – Roma, 14 aprile 1965),
lasciò la sua terra scrivendo: “ Ce ne
andiamo via/ ce ne andiamo via / dai paesi più vecchi e stanchi /ce ne andiamo
via con dieci centimetri di terra secca sotto le scarpe / con mani dure con
rabbia con niente /…..troppo / troppo tempo a starcene zitti / quando bisognava
parlare, via dai feudi, via dai baroni, o, via dai pretori, dalla polizia,
dagli uomini d’onore…..non chiamateci, non richiamateci…..Siamo beni legati ad
una vita, a una catena di montaggio degli dei…. Noi siamo /le giacche appese /
nelle baracche dei pollai d’Europa /Addio / Terra / Salutiamoci / è ora.”
Tanti contadini nel lasciare la loro terra spesso
gridavano: “Noi ci ritorneremo”.
Poveri di ieri.. poveri di oggi che i nostri politici
hanno creato con provvedimenti insensati che nulla hanno a che vedere con i
concetti di giustizia sociale (riforma pensioni, vari balzelli..ecc..). La vita
non è una regola matematica… 40 anni di contributi…. 63 anni compiuti…
aggiornamento indice di vecchiaia…ecc…ecc… Ogni essere umano ha un proprio
vissuto, spesso è stato soggetto a compromessi…….Ma tutto questo non ha
importanza per la classe dirigente politica…. Siamo stati abbandonati e
giudicati per il nostro vissuto…
In questi giorni a Palermo Frate Biagio Conte vive in
strada e digiuna da cinque giorni: “Più aiuti a chi ha perso casa e lavoro” e
aggiungerei anche la propria dignità.
Perdere la propria dignità…. È una forma di schiavitù a cui si è
soggetti da chi non fa fronte ai bisogni legittimi della collettività,
costringendoci ad accettare condizioni di estremo disagio. Dorme sotto i
portici delle Poste in via Roma, non mangia. Il suo è un gesto per richiamare
l’attenzione sul principio della solidarietà, per essere più vicini ai meno
fortunati, a coloro che hanno perso la casa e il lavoro. “Non
riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare sapendo che oggi
tante persone vivono per strada, che tante famiglie non hanno né casa né
lavoro. La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi è molto
diffuso” scrive. Infine un appello affinché si ascolti “il grido disperato di
chi ha perso il lavoro e la casa”. (Dal “Corriere del Mezzogiorno”)
Noi siamo gente del Sud e siamo stanchi di essere
additati come degli sconfitti… sconfitti dai tradimenti della classe politica….
Franco Costabile : Il Canto
dei Nuovi Emigranti
(Palermo – Frate Biagio Conte - dal “Corriere del Mezzogiorno”)
(Melissa .- Mappa )
Melissa è un piccolo centro
della Calabria circondato da
vigneti, colline ed è posto su un
costone roccioso tra il Mare Jonio e il versante Centrale della Sila Grande. Un
Borgo tipicamente feudale che si sviluppa a gradoni sui rilievi collinari dove
sono costruite le abitazioni, gli edifici e le grotte che in passato erano
utilizzate come case. Il centro storico è raggiungibile solo a piedi ed è
caratterizzato da strette vie, dalla presenza di grotte tra le case e dai resti
di una imponente cinta muraria. Una antica testimonia la presenza di queste
cavità legata ad aspetti archeologici, agricoli ed ad un antica povertà.
Lo sbocco a mare del Borgo è Torre Melissa. Qui la
presenza di una Torre Aragonese detta anche Torre Merlata o Torrazzo.
Melissa non è quini solo una pianta ma anche un bellissimo
centro della Calabria ricco di storia.
Il suo nome deriverebbe dal greco “Melissa”, come
ricorda Ovidio nelle Metamorfosi, ovvero “paese
delle api e del miele”. Altri legano il nome alla maga Melissa ,
contemporanea della Sibilla Cumana, che visse in una delle grotte del Borgo.
Maga che è raffigurata nello stemma comunale del paese. Fu sottoposta, come
tante città del meridione, al potere di vari feudatari: i De Micheli, di
origine veneziana; i Campitelli e i Pignatelli. Gli ultimi due, con il loro
comportamenti vessatori nei confronti dei contadini, spinsero le masse a
ribellarsi per il rispetto dei loro diritti.
Melissa fa parte, come tanti altri piccoli comuni
soprattutto del Meridione, di pagine di storia dimenticate. Pagine che dovrebbero
fare riflettere tanta gente. Proprio a Melissa avvenne nel 1949 una delle tanti
stragi di Stato Italiane dimenticate.
(Melissa - Panoramica)
(Melissa - Torre Aragonese)
Era il 29 ottobre 1949 … in Calabria c’era tanto fermento. La questione meridionale,
ancora oggi aperta, portava i contadini calabresi in corteo sui latifondi. Cosa
chiedevano ? E’ una domanda legittima in
uno Stato dove la giustizia sociale, ancora oggi viva con i conflitti
generazionali che gli ultimi governi hanno creato, è completamente assente. I
contadini chiedevano il rispetto dei provvedimenti emanati dal ministro
dell’Agricoltura, Fausto Gullo. Provvedimenti che riguardavano la concessione
delle terre lasciate incolte dai grandi proprietari terreni ovvero i latifondisti
o ancora meglio i feudatari…i nobili.
Per ironia della vita, sempre presente nelle vicende
umane, Fausto Gullo era un meridionale. Nato a Catanzaro il 16/06/1887 e morto
a Spezzano Piccolo il 3/09/1974.
(Fausto Gullo in un comizio)
Fu nominato, in modo “inaspettato”, Ministro dell’Agricoltura
nell’aprile del 1944 nel secondo governo di Pietro Badoglio. Ricoprì questo
ruolo fino al 13 luglio 1946 quando nel secondo governo di Alcide De Gasperi fu
sostituito al ministero dal possidente democristiano Antonio Segni. Tra
l’estate del ’44 e la primavera del’ 45 emanò alcuni decreti che avevano
l’ambizione di creare una legislazione agraria riformatrice. Essendo un
meridionale e quindi profondo conoscitore della realtà agricola nel sud, cercò
si spezzare quell’equilibrio esistente nei rapporti di classe tipici del
meridione agrario. Fu questo forse l’unico tentativo attuato dagli esponenti
governativi della sinistra nel percorrere una via delle riforme in un momento
politico tanto delicato in cui si stava costruendo l’Italia futura.
Ma quali erano gli aspetti o meglio i provvedimenti
della “Riforma Agraria” attuata da Gullo con il Decreto del 19 Ottobre 1944 N. 279 ?
Gli elementi fondamentali erano i seguenti :
1.
Riforma dei Patti Agrari, in modo da garantire ai
contadini almeno il 50% della produzione che andava divisa;
2.
Permesso di occupazione dei terreni incolti o mal
coltivati che veniva però rilasciato alle cooperative agricole di produzione;
3.
Un indennità ai contadini per incoraggiarli a
consegnare i loro prodotti ai magazzini statali che per l’occasione venero
appellati come “granai del popolo”;
4.
La proroga di tutti i patti agrari. Una giusta norma per impedire ai proprietari
, mai arresi alla perdita delle loro proprietà, di “eliminare” nell’anno
successivo i fittavoli che avevano in uso i terreni;
5.
Proibizione per legge di ogni intermediario tra
contadini e proprietari. Anche questa era una norma giusta che aveva come
obiettivo l’eliminazione di quelle figure tipiche del Meridione come i
gabellotti in Sicilia (che daranno vita alla mafia) e anche in Calabria o i
mercanti di campagna nel Lazio.
Nella riforma c’era qualche aspetto che lasciava
perplessi come quello dell’abolizione dell’intermediazione. Un problema
difficile da risolvere considerata la struttura sociale del latifondo ormai
radicata da tempo. Comunque riuscì a rincuorare i contadini che erano abituati
a lottare da tanto tempo per i loro giusti diritti. Per un volta lo Stato era
venuto incontro alle masse contadine e questo determinò il risveglio di una
certa fiducia. Altro aspetto importante era la norma che imponeva ai contadini
di associarsi. Un invito a superare l’isolamento e a cooperare tra loro per
raggiungere determinati obiettivi di produttività e di reddito.
Ma le legge rimase in gran parte sulla carta. Alcuni
punti come l’eliminazione dell’intermediazione non ebbe alcun riscontro.
L’agitazione dei contadini raggiunse l’apice nell’ottobre del 1945. La protesta
era legata ai contratti agrari, alle terre incolte, all’imponibile e al
collocamento e alla mancata attuazione del Decreto Gullo contrastata da alcuni
movimenti politici e dai grandi proprietari terrieri ovvero i nobili
latifondisti tanto presenti nel Sud.
Il 12 ottobre 1945 venne
approvata la legge n. 773 “Norme per l’applicazione della legge n. 279
del 19 ottobre 1944”.
DECRETO LEGISLATIVO
LUOGOTENENZIALE
12 ottobre 1945, n. 773
Norme per l'applicazione del decreto legislativo
Luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 279, relativo alla concessione ai contadini
delle terre incolte. (045U0773)
UMBERTO DI SAVOIA
PRINCIPE DI PIEMONTE
LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO
In virtu' dell'autorita', a Noi delegata;
Visto il decreto legislativo Luogotenenziale 19 ottobre
1944, n.
279, sulla concessione ai contadini delle terre incolte;
Visto l'art. 4 del decreto-legge Luogotenenziale 25 giugno 1944, n.
151;
Visto l'art. 2 del decreto legislativo Luogotenenziale 1° febbraio
1945, n. 58;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Ministro per l'agricoltura e per le foreste, di
concerto con i Ministri per la grazia e giustizia, per l'interno, per
le finanze, per il tesoro, per l'industria
e commercio, e
per il
lavoro e la previdenza sociale;
Abbiamo sanzionato e promulghiamo quante segue:
Art. 1.
La Commissione provinciale
istituita dall'art. 3
del decreto
legislativo Luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 279, ha sede presso
il tribunale civile ed e' assistita da un
cancelliere delegato dal
presidente del tribunale.
Il 27 ottobre 1945 fu approvato lo schema di DLL
recante “Norme per l’applicazione del DDL 19 ottobre 1944 n. 279 per la
concessione delle terre incolte ai contadini”.
Nell’ultima decade di Agosto 1946, ci fu un Decreto che apportò delle modifiche al DL n. 279 del 19 ottobre 1944. Modifiche
che furono dettate dai timori dell’allora Ministro dell’Interno, Mario
Scelba. Scelba sollecitava un veloce
disbrigo delle pratiche relative all’occupazione delle terre per ragioni di ordine pubblico. Si assicurava ai
beneficiari l’assegnazione delle terre per un tempo superiore a quattro anni.
Si garantiva un assistenza tecnica ed un
“eventuale” finanziamento da parte dello Stato agli assegnatari dei terreni
espropriati. Questi provvedimenti avevano come obiettivi: la necessità di
assicurare una maggiore produzione, l’ordine pubblico e fornire i capitali per
l’acquisto delle attrezzature necessarie per la lavorazione delle terre. Questi
provvedimenti si dimostrarono superflui ed inutili e ci fu una rapida invasione
delle terre incolte e coltivate.
Per frenare le arbitrarie occupazione dei terreni, il
Ministero dell’Interno Scelba inviò ai Prefetti, nel settembre del 1946, una
Circolare contenente severe disposizioni….”in
molti casi le occupazioni delle terre sono causate dalla lentezza delle
commissioni proposte a decidere sulle domande di concessione
presentate……Ricordo che le decisioni delle commissioni e l’eventuale successivo
decreto di concessione da parte delle Signorie Loro non devo tardare oltre il
ventesimo giorno dalla data di presentazione della domanda”.
Nelle masse contadine c’era stata una crescita
nell’organizzazione che aveva coinvolto le Camere del Lavoro, le Leghe e le
sezioni di partito. Tra il 1946 e il 1949 si erano formate ben 1187 cooperative
con un totale di circa 250 mila addetti che erano riusciti ad ottenere oltre
165mila ettari di terreno in prevalenza tra Sicilia, Calabria e Lazio. Ma era
ben poca cosa. La concessione di quei 165mila ettari era stato solo un
palliativo per addolcire il malcontento. La legge Gullo in definitiva venne
quasi accantonata e alla fine si rilevò un fallimento. Ad essere sinceri oltre
alla mancata eliminazione dell’intermediazione, c’erano stati dei problemi
sull’occupazione delle terre incolte e sulla revisione dei patti agrari. Problemi creati da chi ? Dai liberali e dai democristiani che avevano
nelle loro schiere i grandi proprietari terrieri ovvero i latifondisti
aristocratici. Quando i decreti Gullo furono esaminati per la prima volta dal
Consiglio dei Ministri, nell’autunno del 1944, il PLI e la DC imposero delle
modifiche essenziali. La più importante fu quella di affidare alle commissione
locali la decisione sulla legittimità delle occupazioni delle terre. Commissioni
locali che erano composte, sempre per volere del PLI e della DC, da un
presidente della Corte d’Appello, da un rappresentante dei proprietari (un
aristocratico) e da un contadino o rappresentante dei contadini. I magistrati
di allora non erano imparziali e soprattutto nel Meridione molti erano
aristocratici. Questo determinava nella commissione una maggioranza
precostituita contraria ai contadini. Alcuni critici storici misero in risalto
le statistiche di quel tempo relative alla Sicilia e sono dati che lasciano
riflettere:
1.
Le richieste
dei contadini accolte dalle autorità locali furono 987;
2.
Riguardavano 86 mila ettari (ben poca cosa rispetto ai
vasti latifondi sparsi nell’isola);
3.
Le richieste respinte … ben 3822
4.
Le richieste respinte riguardavano circa 820mila
ettari.
Nessun commento……….nella mancata riforma contribuì una
certa arrendevolezza della dirigenza comunista.
Arrendevolezza che il partito comunista evidenziò quando il movimento
contadino rimise in discussione la mancata attuazione del decreto Gullo perché
era in gioco la necessità di confronto con la Dc sulla politica statale.
Gullo con i suoi decreti cercò fino all’ultimo di aiutare i
contadini. Vennero creati i premi di produzione e la riduzione degli affitti in
cambio della consegna dei prodotti ai granai del popolo. Un decreto dichiarato illegale
prima dalla magistratura di Sassari, poi a ruota da altri e infine confermato
in Cassazione nel maggio del 1946, nonostante il ministero della Giustizia
fosse in mano a Togliatti, che nulla fece per epurare l'amministrazione
giudiziaria dagli elementi fascisti che la popolavano. Anche
gli stessi contadini mostrarono una certa difficoltà nel mantenere la loro
unità. Le terre concesse erano di piccola estensione e spesso poco fertili.
Poca terra per troppi membri. I contadini più poveri furono costretti a vendere
le loro quote a quelli più ricchi. I decreti di Gullo dovevano essere
accompagnati da aiuti statali ai contadini medi e poveri e anche i piccoli
proprietari terrieri avrebbero potuto in questo modo sottrarsi alla
tradizionale alleanza con i grandi proprietari aristocratici. Ma tutto questo
mancò malgrado Gullo abbia inserito
nella legislazione delle garanzie per ampie facilitazione di credito alle
cooperative… queste non furono mai liquidate !!!!!!!
Intanto nell’ Italia centrale, Umbria, Toscana e parte dell'Emilia e delle Marche, i mezzadri ingaggiarono una battaglia senza precedenti per modificare i rapporti tra proprietari e contadini. Le principali richieste erano:
Intanto nell’ Italia centrale, Umbria, Toscana e parte dell'Emilia e delle Marche, i mezzadri ingaggiarono una battaglia senza precedenti per modificare i rapporti tra proprietari e contadini. Le principali richieste erano:
1.
almeno il 60% del prodotto,
2.
il diritto di partecipare alla gestione dell'impresa,
3.
la giusta causa per la disdetta,
4.
la fine dei servizi gratuiti e delle regalie,
5.
pagamento dei danni subiti dalle case coloniche e dal
bestiame durante la guerra;
6.
saldo dei conti a scadenza annuale.
Un programma ambizioso ma realistico, che diede vita ai
consigli di fattoria. Fu un periodo di aspri scontri, minacce, e persino di
intimidazioni a colpi di pistola. Il governo Parri fallì nella mediazione tra
proprietari e contadini a differenza di De Gasperi che riuscì a mediare con un
provvedimento che diventò famoso come il “lodo” De Gasperi. Il lodo stabiliva una contribuzione del 24%
da parte dei proprietari per riparazioni post belliche, da aumentare al 34% il
successivo anno, convenendo comunque sull'impossibilità di dividere il prodotto
a metà e stabilendo lo scioglimento dei consigli di fattoria. Una soluzione di
vantaggio a breve termine per i mezzadri e di lungo termine per i proprietari,
che vinsero poi nel 1947 con Antonio Segni, il quale stabilì il 53% di
produzione ai mezzadri e un 4% annuo di accantonamenti padronali per
migliorie. Sostanzialmente un fallimento
per i contadini. (Gherardo Fabretti)
Nel 1946 il movimento contadino subì un ulteriore
delusione.
Il 12 luglio 1946 ci troviamo in presenza del secondo
Governo De Gasperi. Lo scomodo Ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo, venne
sostituito dal democristiano, possidente sardo, Antonio Segni. Per Fausto Gullo
un nuovo incarico… di comodo… Ministro della Giustizia.
Segni non perse tempo….. con le sue iniziative
legislative svuotò i decreti del suo predecessore con i Decreti del settembre
1946 e dicembre 1947. Il “buon democristiano” Segni lavorò sicuramente con
impegno per mettere in atto le sue norme. L’articolo 7 del decreto del 1946
dava ai proprietari il diritto di reclamare la terra se i contadini avessero
violato le condizioni per le quali era stata concessa. Questa clausola fu usata
dai proprietari terrieri per riprendere i loro terreni con iniziative legali
contro le cooperative contadine. Molti terreni dati ai contadini nel 1946-47,
furono poi persi nell’anno successivo.
Secondo la riforma di Segni, le terre
sarebbero dovute essere ottenute in parte “….primo, da una quotizzazione di beni
patrimoniali dello Stato, dei Comuni, suscettibili di coltura agraria; secondo
da una riduzione progressiva della proprietà privata”. Il suo criterio era legato al reddito catastale secondo il
triennio 1937/39. La quota percentuale coinvolta dalla riforma avrebbe dovuto
oscillare da un minimo di 20 ad un massimo del 50%. Tale massimo, su stessa
ammissione di Segni, avrebbe potuto riguardare “tutt’al più cento ditte e forse meno”. Strana dichiarazione quella
di Segni che sosteneva come il latifondo non fosse così radicato nell’economia
agricola di quei tempi.
I
proprietari sarebbero stati compensanti in parte in contanti e in parte con un
titolo di stato fruttifero redimibile, ma agli Enti Pubblici si chiese di
ricorrere all’enfiteusi. Un contratto che prevedeva l’usufrutto in perpetuità o
per lungo tempo di un terreno dietro pagamento di un contributo in denaro o in
natura. Era un Istituto di diritto romano, come recita uno Zingarelli di quegli
anni, e fu molto in uso nella penisola italiana nel XIV secolo. Facevano
eccezione quelle aziende per cui “eccezionalmente
attrezzate e industrializzate” ….”un amputazione sarebbe stata fatale”. Le
indicazioni del governo erano orientate verso “apposite forme associative di partecipazione ai prodotti e agli
utili”.
Fondamentale
sarebbe poi dovuta essere la scelta dei destinatari dei nuovi lotti e la loro
assistenza. Crediti, consulenze tecniche
e cooperative per l’acquisto e l’utilizzo delle macchine avrebbero dovuto
consentire la nascita di una piccola proprietà condotta con criteri moderni,
innovativi. Escluse dalla riforma si sarebbero trovate le opere di carità e i
beni ecclesiastici. Un argomento, una decisione che fu duramente criticata da
liberali e repubblicani. I socialdemocratici trovarono la riforma contraria alla Costituzione mentre i comunisti
sostenevano che il governo faceva “chiacchere..non
intendeva promuovere nessuna riforma agraria”. Un dibattito lungo che si
sarebbe portato avanti per quasi un anno. Nel frattempo la protesta nelle
campagne dilagava. Furono
stabilite le “Norme per l’Istituzione dell’Opera di Valorizzazione della Sila”
con la Legge 31 dicembre 1947 n. 1629. Una norma che creò solo un grande
baraccone e non riuscì a placare le proteste, già in atto da anni, in Calabria. Il
ricco Segni con le sue riforme agrarie riuscì ad assicurarsi i benefici o
appoggi elettorali dell’aristocrazia terriera meridionale e nelle elezioni
dell’aprile 1948 la DC recuperò gran parte dell’elettorato meridionale agricolo
che aveva perduto. Lo scenario agricolo meridionale tornava “nell’antica normalità”.
Le terre migliori restavano alle famiglie latifondiste e tanta gente non
possedeva terra. L’unico passo avanti rispetto al
passato era rappresentato dall’impiego estensivo del DDT nella disinfestazione,
attuato nel 1944 con l’aiuto degli Alleati, che aveva reso possibile la
bonifica delle zone malariche e paludose della Sardegna, Sicilia e della
Maremma Toscana.
(Federterra - Tessera)
(Congresso
della Federterra – il quarto congresso a Mantova)
(Federterra - Bollettino)
(Federeterra - Congresso Nazionale)
(Camera del Lavoro - Gravina di Puglia)
Il 15 maggio 1949
fu proclamato uno sciopero preparato e deciso ben sei mesi prima dalla
Federterra. Il Governo si pose come intermediario tra i proprietari e i
contadini ed agì con fermezza in quei punti dove lo sciopero si era trasformato
in abuso. Gli episodi di violenza andavano dai blocchi stradali alla
distruzione dei covoni e al danneggiamento delle macchine agricole.. interi
filari di viti furono tagliati; numerosi pagliai furono dati alle fiamme e
spesso chi non aderiva allo sciopero veniva malmenato. C’erano, come in ogni
protesta, episodi di violenza ingiustificabili. Un proprietario terriero fu
bastonato durante una manifestazione di 500 braccianti. La reazione del figlio
sfociò in tragedia. In questo clima di diffusa protesta fu immediata
l’approvazione di un disegno di legge sulla riforma dei contratti di mezzadria
e di affitto. Il pacchetto fu presentato alla Camera il 16 maggio. Comprendeva diversi emendamenti tra cui il
diritto di prelazione da parte dell’agricoltore sul fondo coltivato; la
richiesta di una giusta causa per la disdetta del contratto d’affitto e la
durata minima dei contratti fissata con un ciclo di rotazione colturale. Si
trattava di un primo passo verso la riforma ma i comunisti videro gli
emendamenti come “una legge nata dal
timore del peggio, ispirata più a motivi di polizia che a motivi di giustizia
sociale”.
Già nel mese di marzo del 1949 in
Calabria si erano verificate delle vaste occupazioni di terre nella bassa valle
dell’Esaro e del Crati, da Roggiano Gravina a Cassano Jonio, in provincia di
Cosenza. Nel nuovo clima politico della vittoria nazionale democristiana, le
commissioni per le terre incolte dei tribunali non avevano preso in
considerazione le nuove domande di terra, presentate dalle cooperative sin
dall’autunno del 1948. Erano state invece accolte, in modo sempre più
frequente, i ricorsi degli agrari (i nobili proprietari terrieri) per la revoca
di precedenti concessioni. Decisioni prese a maggioranza dalle commessioni col
solo voto contrario del rappresentante della “Confederterra”.
In questo clima di delusione e di
regole non rispettate la reazione contadine s’intensificarono. Furono adottate
nuove parole d’ordine: “le vecchie
concessioni si difendono conquistandone delle nuove”, “la costituzione
repubblicana deve essere applicata anche nel Mezzogiorno”. Le colonne di
contadini che marciavano verso le terre avevano come bandiera il testo della
Costituzione Repubblicana o più semplicemente quello del suo articolo 42 che
impone allo stato di determinare “i
limiti” della proprietà privata, “allo scopo di assicurare la funzione sociale
e di renderla accessibile a tutti”. Quegli articoli, imparati quasi a
memoria, venivano ripetuti ad ogni manifestazione a carabinieri e pretori.
Carabinieri e pretori che non volevano sentire ragioni ed arrestavano contadini
e sindacalisti che venivano sottoposti a processi. Centinaia di imputati e secoli di galera
complessivamente erogati. Dalle manifestazioni o lotte dell’Esaro e del Crati,
del marzo 1949, si era ottenuto ben poco. Le manifestazioni erano rimaste
isolate e la polizia aveva potuto controllare il tutto con le forze disponibili
e senza tensioni. Era necessario coordinare l’azione di lotta in modo più
incisivo coinvolgendo le due grandi province di Cosenza e Catanzaro. La
manifestazione fu indetta per il 24 ottobre 1949. All’alba di quel giorno, al
suono della “tromba garibaldina” che era il simbolo elettorale del FDP (Fronte Popolare Democratico) nelle elezioni
del 18 aprile 1948, le colonne di contadini si mossero da decine e decine di
comuni calabresi. In provincia di Cosenza dai paesi della media e bassa valle
del Crati, della valle dell’Esaro e del litorale ionico da Corigliano a
Cariati. In provincia di Catanzaro dai centri tradizionali della lotta crotonese.
La mobilitazione in Calabria era quasi generale. C’erano circa 14 mila
contadini scesi in corteo specialmente nelle province di Catanzaro e Cosenza.
Cortei di gente umile. A piedi o a dorso di mulo, donne e bambini.. tutti
muniti di attrezzi di lavoro che si
dirigevano verso le pianure. Giunti nei latifondi segnarono i confini e si
divisero le terre. Iniziarono subito i lavori per la relativa semina dei
terreni. Ci fu un grande clamore per questa pacifica “occupazione”. Dalla radio e dai
giornali governativi venne lanciata una campagna allarmistica di calunnie. Una
commissione di parlamentari democristiani si recò dalla Calabria a Roma per
chiedere al governo la repressione del “movimento comunista” e le misure
repressive non tardarono ad arrivare. Da Napoli, Bari, Taranto vennero fatti
affluire ingenti forze di polizia mentre le forze locali sin dai primi giorni
eseguirono degli arresti di dirigenti sindacali e capi contadini, nel tentativo
di decapitare il movimento. Il Ministro dell’Interno ? Mario Scelba…. di Caltagirone (Catania)… un
meridionale !!!!! seguace di Don Sturzo
!!!!!! e ……democristiano……sarà l’autore… quasi nascosto,,, di atroci misfatti….
Al
terzo giorno, mentre i contadini portavano avanti nelle campagne i lavori di
aratura e di semina dei terreni occupati, oltre ai “fermati” trattenuti nelle
caserme, vennero arrestati e trasferiti nelle carceri 83 dirigenti in provincia
di Cosenza e 67 in provincia di Catanzaro. I reparti della Celere man mano
che arrivarono in Calabria, vennero avviati nei centri ove il movimento era più
forte. I palazzi dei baroni vennero trasformati in caserme ed uno di questi
reparti, proveniente da Taranto, fu ospitato con cordialità la sera del 28
ottobre nel palazzo del barone, presso Melissa. Questo reparto della Celere
collocato a Melissa, il 29 andò sul fondo “Fragalà” e sparò sui contadini che
lavoravano nelle terre occupate per protesta. I contadini furono colpiti alle
spalle dai proiettili mentre fuggivano per mettersi in salvo …….
(La Marcia dei Contadini)
(Melissa - La Marcia dei Contadini verso il Feudo Fragalà)
Come già accennato, alcuni parlamentari calabresi
della Democrazia Cristiana si recarono a Roma per chiedere un intervento della
polizia al Ministro dell’Interno, Mario Scelba….. personaggio politico noto
anche per la strage di Portella della Ginestra di cui fu accusato, forse
ingiustamente, Giuliano.
(Scelba, a destra, con De Gasperi, al centro; e Piccardi durante una
sedute del V Governo)
(Scelba, a destra, con Giulio Andreotti)
Scelba, da buon democristiano, non cercò di mediare…
prese l’iniziativa e inviò i reparti della Celere in Calabria e uno di questi
reparti si stabilì a Melissa, in provincia di Crotone. Il reparto trovò
alloggio presso il ricco proprietario dei terreni ovvero il Marchese Pietro
Berlingeri (Na, 1904 e deceduto a Napoli nel 1981) figlio del Marchese
Annibale.
(Crotone - Palazzo Berlingieri)
(Napoli - Palazzo Berlingieri)
(Crotone - Stemma dei Berlingieri - Cattedrale)
Marchese Annibale
Berlingieri (1874 - 1947)
Il barone aveva “subito” l’occupazione dei “suoi”
terreni da parte dei contadini in rivolta..
Scelba non andò a fondo sulla questione. Quei terreni di Melissa erano
stati assegnati dalla legislazione napoleonica del 1811 per metà al Comune e la
restante parte al marchese Berlingieri.
Con il passare del tempo il Berlingieri, in modo arbitrario e senza
alcun diritto, li aveva occupati abusivamente per intero.
(Reperto della Celere - 1948)
(Sila - Difesa Salerni - Villa dei Berlingieri)
Già dai giorni
precedenti i celerini, al comando del tenente Luciani, avevano avuto dei
comportamenti provocatori nei confronti della popolazione di Melissa,
insultando e sbeffeggiando e, come
riportano le cronache, molestando le
donne. Ci furono delle perquisizioni nelle sedi dei partiti e nella sede della
“Federterra”.
La
descrizione dell’eccidio è difficile ma fa riflettere.. almeno a chi ha
coscienza….
La mattina del 29 ottobre dal palazzo del barone Berlingieri i celerini lasciarono gli automezzi alla periferia di Melissa e si avviarono verso Fragalà.
La mattina del 29 ottobre dal palazzo del barone Berlingieri i celerini lasciarono gli automezzi alla periferia di Melissa e si avviarono verso Fragalà.
Nella
stessa mattina del 29 ottobre Enrico Musacchio, segretario della locale sezione
del PCI, Giuseppe Squillace, sindaco socialista del comune e Santo Lonetti, segretari
delle Federterre, vennero convocati in caserma e trattenuti per lunghissime ore
dal commissario di P.S. dr. Rossi.
Nicodemo Mungo confermò personalmente questa circostanza: “fummo chiamati in caserma il sindaco, Giuseppe Squillace, il segretario del PCI. Il commissario di P.S., dr Rossi disse di invitare i contadini a ritirarsi da Fragalà e che tutta loro sarebbe stata la responsabilità di quanto poteva avvenire, permanendo l’occupazione. Giuseppe Squillace, capo dell’Amministrazione comunale di Melissa, rispose che per il momento bisognava lasciare stare i contadini sul feudo occupato e che un intervento in senso opposto avrebbe provocato certamente grandi reazioni tra le masse contadine. A sera, quando i contadini sarebbero ritornati da Fragalà, il discorso avrebbe potuto essere ripreso con tranquillità. Verso le ore 14 l’animata conversazione venne interrotta dalla notizia terribile, portata fino alla caserma dei carabinieri da Vincenzo Pandullo: i celerini hanno sparato, sono caduti dei contadini, non si sa quanti, ed egli stesso ha la gola squarciata da una ferita”.
Nicodemo Mungo confermò personalmente questa circostanza: “fummo chiamati in caserma il sindaco, Giuseppe Squillace, il segretario del PCI. Il commissario di P.S., dr Rossi disse di invitare i contadini a ritirarsi da Fragalà e che tutta loro sarebbe stata la responsabilità di quanto poteva avvenire, permanendo l’occupazione. Giuseppe Squillace, capo dell’Amministrazione comunale di Melissa, rispose che per il momento bisognava lasciare stare i contadini sul feudo occupato e che un intervento in senso opposto avrebbe provocato certamente grandi reazioni tra le masse contadine. A sera, quando i contadini sarebbero ritornati da Fragalà, il discorso avrebbe potuto essere ripreso con tranquillità. Verso le ore 14 l’animata conversazione venne interrotta dalla notizia terribile, portata fino alla caserma dei carabinieri da Vincenzo Pandullo: i celerini hanno sparato, sono caduti dei contadini, non si sa quanti, ed egli stesso ha la gola squarciata da una ferita”.
I
contadini furono avvisati dell’imminente arrivo dei militari ma decisero di
continuare il lavoro nei campi occupati. Nessuno pensava che i militari
avrebbero attaccato. I poliziotti arrivarono sul fondo e come già detto i
contadini li accolsero con giubilo gridando: “viva la polizia del popolo” e “Pane
e lavoro”. Lucia Cannata era una contadina che si trovava sul luogo
lavorando nei terreni e raccontò di aver udito una voce: “Abbandonate le armi, lasciate le armi, lasciate la terra”. Nessuno
si mosse. Le donne, gli uomini e i bambini, risposero “Evviva la polizia. Vogliamo pane e lavoro”. Ci fu subito un
nutrito lancio di bombe lacrimogene e poi i contadini vennero caricati dalla
polizia. Ci fu un fuggi, fuggi generale ci furono tre morti e tanti altri
feriti in modo grave: Lucia Cannata,
Domenico Bevilacqua, Luciano Iocca, Carmine Masino, Antonio Cannata,
Giuseppe Ferrari, Silvio Rosati, Vincenzo Pandullo, Francesco Drago, Francesco Bossa,
Carmine Tarlesi, Michele Drago, Carmine Sarleti.
Le
persone uccise:
-
Francesco
Nigro di 29 anni;
-
Giovanni
Zito, di 15 anni;
-
Angelina
Mauro, di 23 anni che morì successivamente per le gravi ferite riportate.
(Melissa - Locandina dell'Eccidio)
Le
persone colpite dagli spari avevano una caratteristica peculiare: tutti
presentavano ferite alle spalle. La polizia sparò su chi fuggiva e si accanì
anche su cose e animali. Sparò ai muli e agli asini, si ruppero i barili
carichi d’acqua e chi fu raggiunto nella fuga venne colpito con feroci
manganellate. I morti e i feriti giunsero a dorso di mulo in paese per essere
poi portati all’ospedale di Crotone. I braccianti avevano le 2armi” con cui
erano andati a combattere: gli attrezzi da lavoro. I poliziotti evitarono di
entrare in paese e nessuno di loro fu ferito. La situazione era tragica… il
misfatto era stato compiuto.. L’ordine del Ministro dell’Interno Scelba era
stato repentino:” bisogna stroncare il
movimento in modo particolare dove questo si dimostra più attivo”.
Si
cercò di far nascere la tesi di una rivolta e aggressione contadina alle forze
dell’ordine anche corrompendo medici e raccogliendo false testimonianze.
In
merito l’episodio del medico condotto di Cirò fu emblematico.
L’on.
Luigi Cacciatore, riferì alla Direzione Nazionale del PSI, di essere giunto a
Crotone dopo la strage e di essersi recato l’1 novembre a Crotone per avere
notizie dei morti e dei feriti. Nessun poliziotto era ricoverato. Cercò di
avere notizie più precise sugli agenti feriti e con stupore seppe che qualcuno
dei militari, urtando fra i rovi, aveva riportato dei graffi alle gambe ed un
altro era stato lievemente ferito alla testa. Quest’ultimo si era presentato al
medico di Cirò, un vecchio e stimato professionista ultrasettantenne, che dopo
avergli praticato le cure del caso, gli rilasciò il referto per ferita
lacero-contusa da corpo contundente. Il giorno seguente un maresciallo si recò
dal medico e gli mostrò il berretto del celerino macchiato di sangue. Il
berretto presentava due fori e invitò il medico a cambiare il referto perché,
secondo il maresciallo, quel berretto provava che il militare era stato ferito
da due proiettili d’arma da fuoco. Il medico fece notare al maresciallo che in
50’anni di servizio era in grado di distinguere le differenze tra una ferita da
corpo contundente e una ferita da arma da fuoco. Il maresciallo non seppe
replicare.
Alcune
ore dopo tornò dal medico in compagnia di un tenente della Celere che fece
presente al professionista “come vivere
tranquillo fosse poco conveniente porsi contro le tesi della polizia”. Il
medico ebbe paura e compilò il nuovo referto secondo le direttive del tenente.
Ma il medico, persona coscienziosa e tranquilla, fu preso dal rimorso e confidò
il tutto ad un suo collega. Al collega rilasciò per iscritto una dichiarazione
con la quale si liberò del grave peso sulla coscienza. Tale dichiarazione è
ancora oggi nelle mani del Procuratore Generale della Repubblica della Corte
d’Appello di Catanzaro…(?)
Gli
spari vennero da una parte sola ma chi fu a sparare per primo o meglio a dare
il segnale di fare fuoco?
Molti
militari “locali” avevano dei forti rancori nei confronti della popolazione di
Melissa. Tra questi il maresciallo della Caserma dei Carabinieri di Cirò Marina
un certo Brezzi.
“Cinque mesi prima dell’eccidio, la
popolazione si recò al comune per protestare contro la rimozione del collettore
comunale. In quell’occasione il maresciallo Brezzi, molto adirato, disse di
fronte a centinaia di persone: “qui mi sembra la repubblica di Caulonia, ma io
vi farò passare la notte di San Bartolomeo” (Enrico Musacchio, segretario
del PCI nel 1949).
Carmine
Sileti, uno dei partecipati all’occupazione di Fragalà e che fu ferito dai
colpi d’arma da fuoco dei celerini disse: “Subito dopo i fatti io andai dicendo dappertutto che a sparare per
primo fu il maresciallo Brezzi e che potevo testimoniarlo dovunque. Il Partito
non mi ha incoraggiato ad andare avanti in quella denuncia. Mi capitarono anche
dei guai. Fui convocato un giorno, non ricordo quale, nella casa di una guardia
municipale di Torre Melissa e lì, in presenza del vicesindaco di Melissa, fui
invitato del maresciallo Brezzi a ritirare tutto quello che avevo detto sul suo
conto. Io, invece, insistetti e mi fece fare alcuni giorni di carcere”.
Il
padre ottantenne di Francesco Nigro, una delle vittime della strage, riferì che
“quel giorno mi trovavo in paese. A
Fragalà non ero andato. Erano andati i miei figli Francesco e Giuseppe insieme
ai loro compagni. Quella terra non era stata coltivata da moltissimi anni e non
c’era da mangiare e eran andati a prenderne per fare un po’ di grano a giugno.
Non volle il destino. Arrivarono da Cirò
i carabinieri e il maresciallo che faceva il fanatico e ci chiamava straccioni
e delinquenti. Era il maresciallo Brezzi, quello che ordinò il fuoco. Mi fu
portata la notizia che avevano ammazzato mio figlio. Io ero a casa e me lo
portarono su un asino. Il governo a “marito” del morto mi regalò una tomolata
di terra”.
Angelina
Maura, altra vittima, era un giovane donna di campagna. Disse una sua amica: “Non faceva politica era povera come tutte le altre donne. A Fragalà
aveva al suo fianco mio marito. Fu ferita da colpi d’arma da fuoco ad un rene.
Giunse in paese anche lei su di un mulo Io che ero andata verso il feudo quando
la vidi ferita sentii dire rivolta a mia suocera: “Mammazì, l’avimu patuta”
(Madrezia, l’abbiamo avuto il nostro dolore)”. Morì all’ospedale di Crotone
dopo pochi giorni. Aveva 24 anni. Sua madre, una povera donna, morì dopo un
anno di crepacuore e suo padre, quasi cieco, morì dopo pochi anni. I suoi
fratelli hanno lasciato il paese… forse oggi nessuno la piange o porta fiori
sulla sua tomba.
Giovanni
Zito, aveva 15 anni. Sua madre diventò pazza per il dolore. Quel giorno si
trovava anche lui a Fragalà. Era esuberante come i giovani della sua età. La
sua famiglia era povera e viveva in una misera casa. Giovanni non possedeva
neppure una fotografia che nella cultura contadina è sinonimo di ricordi. Nel
monumento funebre dedicato ai caduti della strage, è infatti indicato con il
solo nome. Manca la sua foto che invece è presente nel perenne ricordo di
Angelina Mauro e di Francesco Nigro.
In
Italia tanto clamore ma ancora di più all’estero.
Una strage dimenticata ma che è stata ricordata dal grande Lucio Dalla in
una sua strofa del Brano “Passato, Presente” che faceva parte dell’album “Il
giorno aveva cinque teste”…
« Il passato di tanti anni fa
alla fine del quarantanove
è il massacro del feudo Fragalà
sulle terre del Barone Breviglieri
Tre braccianti stroncati
col fuoco di moschetto
in difesa della proprietà.
Sono fatti di ieri »
alla fine del quarantanove
è il massacro del feudo Fragalà
sulle terre del Barone Breviglieri
Tre braccianti stroncati
col fuoco di moschetto
in difesa della proprietà.
Sono fatti di ieri »
(Lucia Dalla…Passato Presente …
Il racconto
di un vecchietto di Melissa su quella tragica giornata:
“”Melissa era un paese povero…quella mattina del 29 ottobre 49, tutto il
paese si spopolò. Donne uomini, bambini si raccolsero a gruppi di famiglie
attorno al castello. Dove si divisero i compiti: alcune portarono i barili
dell’acqua, altre i cesti con i viveri. Gli uomini avevano solo gli attrezzi di
lavoro dei campi. Gli attrezzi della loro fatica quotidiana. Discesero nel
fondo Fragalà di proprietà del barone Berlingeri. Terreni che erano in
abbandono, incolti da moltissimi anni. A
piedi, in groppa ai muli scesero nei campi. Quella stessa mattina i poliziotti
salirono a Fragalà. I contadini lavoravano le terre fino a quel giorno incolte
e rimasero indifferenti all’arrivo della polizia. Le donne gridarono “Viva la
polizia del popolo” ed ancora “Vogliamo pane e lavoro”. I poliziotti, la
Celere, si schierarono a semicerchio e incominciarono a lanciare delle bombe
lacrimogene, poi i contadini vennero caricati. Si scappava, si udirono delle
raffiche di mitra. La terribile notizia
di quelle che era successo si sparse nel paese. Quelli che erano rimasti a casa
avevano in quei campi un marito, un figlio, un fratello… una sorella.. la
moglie.
Francesco Nigro cadde per primo a 29 anni, Giovanni Zito ad appena 15 anni
ed una giovane donna di sole 24 anni, Angelina Mauro, ferita mortalmente,
morirà qualche giorno dopo all’ospedale di Crotone. Molti altri furono seriamente
feriti. La polizia aveva puntato e sparato freddamente sui contadini che
scappavano… si accanì anche sulle cose e sugli animali… i morti giunsero in
paese a dorso di muli…”.
“Morirono” - conclude il nostro narratore - “piantando per sempre la
loro vita sul fondo di Fragalà, perché quella terra non rimanesse incolta ed il
frutto del lavoro fosse dei lavoratori…”.
I contadini di Melissa e la famiglie dei
martiri non ebbero giustizia, il caso venne ben presto chiuso con una sentenza
pilotata che oggi farebbe inorridire la giustizia stessa. Il giovane
procuratore che con grande fervore aveva raccolto i primi indizi, si scoraggiò
forse anche perché pressato dai politici. Si dimise dall’incarico dopo alcuni
giorni. Se giustizia fosse stata fatta, il tribunale di Crotone avrebbe dovuto
celebrare un processo contro gli assassini…. mai identificati. Il ministro
dell’Interno Scelba avrebbe dovuto rispondere non solo di strage ma anche di
violazione di domicilio e d’impedimento violento dell’esercizio di un legittimo
e imprescindibile diritto, com’è quello dell’uso civico. Neppure dal punto di
vista amministrativo fu fatta giustizia con l’indennità “d’esproprio”
attribuita al barone Berlingieri per una terra che non era sua. Se la giustizia
non ha condannato, la storia non ha assolto né l’usurpatore né il suo paladino.
La
protesta degli intellettuali progressisti fu vivace. Grandi pittori, come
Ernesto Treccani, si recarono a Melissa per studiare da vicino le condizioni di
quel popolo e per fissarne nelle tele l’aspirazione a un mondo migliore. Fu
proprio Treccani a realizzare il monumento funebre nell’anniversario del 1979.
(Melissa - Monumento ai Caduti)
Ernesto Treccani immortalò con le sue foto
immagini della Melissa di un tempo…. Foto scattate tra il 1950 e il 1960
(Fonte: Beni culturali Lombardia).
Immagini ricchi di sentimento che fanno riflettere.
(Melissa - Anni 1950 - 60)
(Melissa - Via di campagna)
Alla
Camera e al Senato forte e sdegnata fu la denuncia che fecero i parlamentari di
sinistra sui fatti di Melissa. Pietro Mancini, (calabrese.. di Melito, in prov.
di Cosenza, dove era nato l’8 luglio 1876 e senatore dal 15 giugno 1948) che
insieme a Gennaro Miceli, Francesco Spezzano, Silvio Messinetti, Mario Alicata
(nel 1952 sindaco di quel comune) era presente a Melissa subito dopo l’eccidio,
concluse così il suo discorso che il repubblicano Conti definì “musicale”:
“A nome (…) di tutto il Senato della Repubblica
italiana, voli a quei tumuli lacrimati l’omaggio devoto e imperituro. Il sangue
non è stato versato invano, se esso varrà a seppellire la vecchia storia ed a
foggiarne una nuova. La rinascita della Calabria sarà il loro degno monumento.
Soltanto allora potremo e sapremo onorarli”.
I
fatti di Melissa fecero scalpore… tre vite uccise…il 31 fu proclamato lo
sciopero dei lavoratori della CGIl che si schierò a fianco dei contadini. Era
necessario porre un freno alle dimostrazioni. Nel consiglio dei ministri del 15
novembre i provvedimenti per la
Calabria furono l’argomento principale.. Il 16 novembre Scelba s’incontrò con
Di Vittorio, segretario generale della CGIL e con Ilio Bossi della
Confederterra.
Il
Consiglio dei Ministri incaricò Segni, con una delibera, di presentare
d’urgenza al parlamento un disegno di legge per la distribuzione dei terreni
della Sila e delle zone vicine.
Una
manovra che dava inizia alla riforma agraria e riguardava oltre 45.000 ettari,
5000 nuove piccole proprietà e 2000 proprietà che le assegnazioni andavano ad
integrare. Lo stato si sarebbe accollato
un onere di circa 20 miliardi di lire (dell’epoca .. siamo nel 1950) di
cui solo una minima parte reperibile. L’esecuzione del programma, che
comprendeva anche un opera di trasformazione e bonifica delle terre assegnate,
avrebbe fornito impiego stabile a non meno di 20.000 contadini. Il disegno di
legge fu accolto favorevolmente.
Lo
studio della riforma risale al 15 novembre….. il 22 novembre il Presidente del
Consiglio Alcide De Gasperi inizia il suo viaggio in Calabria proprio dalla
Sila…. (la data del suo viaggio, il luogo… fanno riflettere…un sorriso ironico
mi conquista….).
Il
De Gasperi era stato in Calabria il 15 marzo 1948…più di un anno prima dei
fatti di Melissa (durante le riforme agrarie della Legge Segni)… e in un
comizio elettorale a Catanzaro.. si era vantato (un comportamento simile a
quello di gran parte dei nostri politici di oggi… Renzi…
Gentiloni….Monti….Fornero…) del “netto
incremento avutosi nell’assegnazione delle terre incolte a seguito della Legge
Segni rispetto al Provvedimento Gullo”.
Un
discorso quello del 1948 che dava, secondo il De Gasperi, l’attribuzione delle
terre al provvedimento legislativo e non alle lotte dei contadini in gran parte
del Meridione. La tracotanza o baldanza o ancora meglio arroganza, tipica anche
oggi dei nostri uomini politici, dopo i tragici fatti di Melissa causati da un
suo ministro era scomparsa.
Il
suo comizio fu a Camigliatello Silano… la folla in silenzio… non un applauso
(ma chi avrebbe avuto il coraggio di applaudire ?)…. Molti cartelli che
invocavano “TERRA E LAVORO”… Il comizio in una atmosfera quasi irreale….. Ma
sul palco… quel famoso palco che divide l’elettorato dagli ”uomini politici” ..
oltre a De Gasperi chi c’era ? Ci sarebbe dovuto essere Scelba…. ma non aveva
coraggio… per lui era facile governare seduto dietro ad una scrivania agendo
come da una sala controlli e decretando con un semplice “click” di un bottone
l’evolversi delle tragiche situazioni…..
Sul
palco c’erano i Cassiani, i Carratelli, gli Spasari… tutti personaggi che
avevano inviato numerosi telegrammi al ministro Scelba per richiedere, con
insistenza” l’invio delle forze di Polizia ovvero della sua “Celere”. Dal palco
qualcuno ebbe il coraggio di presentare De Gasperi…. Dalla folla si levarono
delle grida: “Assassino….Assassino”.
De
Gasperi, senza dubbio intimorito, cominciò a parlare della Riforma Agraria
adottata dal governo…”sarebbero stati
espropriati 45mila ettari di terreno e per questo sono stati stanziati 15
miliardi…”.
Frasi
povere… tipici di ogni politico perché inadatte al momento… si fermò nel
discorso e aggiunse: “ è necessario
distinguere nettamente tra provvedimenti contingenti per fronteggiare una
determinata situazione e riforma agraria che deve muoversi con diversi ritmi
per profondi riflessi che può avere nell’economia nazionale”.
La
Legge Sila fu approvata il 4 maggio 1950 e si dimostrò un fallimento… una vera
e propria presa in giro in un momento drammatico.. un comportamento a cui siamo
abituati oggi dai nostri uomini politici….Furono espropriati circa 700.000
ettari su una superficie di 27 milioni di ettari !!!!! i poveri assegnatari,
cioè coloro che ricevettero le terre, non ebbero alcuna assistenza, furono
abbandonati a se stessi… senza risorse… Non si dava corso neppure ad impostare
il problema delle terre demaniali. Tutte
le richieste avanzate dai contadini nelle lotte restarono solo sulla carta e
questo causò nel Mezzogiorno la fuga dalle proprie terre….”dieci milioni di suoi
figli furono cacciati…, di cui sei milioni e mezzo in modo permanente” per
volere dello Stato… (Rivista di Economia Agraria, XXXIV, 1976, pg.76). Quella
povera gente che emigrò non aveva nulla con sé.. solo una valigia spesso chiusa
con uno spago e nessun aiuto umanitario….anche questo aspetto ci deve fare
riflettere perché dietro all’assistenza dei rifugiati a richiedenti asilo dei
nostri giorni c’è tanta e tanta speculazione… ci sono tanti predicatori che io
definisco di “morte” ..perchè danno di sé un immagine che non rispecchia il
loro reale modo di essere…. Testimonianze
? Tante….anche con documenti ….docet….
(Emigranti in America)
(Emigranti al Nord Italia)
(Emigranti in Argentina)
Concludo
questa mio primo viaggio con un capolavoro del grande artista Giuseppe Pellizza
(Volpedo – Alessandria 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907) dal titolo: “Il
Quarto Stato” (prima chiamato “Il Cammino dei Lavoratrori” dipinto nel 1901.
Ritrae
un gruppo di braccianti in marcia, in segno di protesta, forse nella Piazza Malaspina di Volpedo. Un corteo
che avanza in modo lento, sicuro, un allusione ad un sensazione di vittoria. L’intenzione
dell’artista era quella di riuscire a dare vita e immagine ad «una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali
intelligenti, forti, robusti, uniti, s'avanzano come fiumana travolgente ogni
ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov'ella trova equilibrio». Celebra
l’imporsi della classe operaia, il “quarto stato” a fianco della classe borghese. Im primo
piano tre figure, due uomini ed una donna con un bambino in braccio.
( "Il Quarto Stato" - Giuseppe Pellizza)
La donna, probabilmente la moglie dell’artista, è a piedi nudi ed
invita i manifestanti, con un gesto della mano, a seguirla. Un movimento che è
evidenziato dalle pieghe del suo abito. A destra un “uomo, sui 35 anni, fiero,
intelligente, lavoratore” come definì lo stesso artista, con una mano nella
cintola dei pantaloni e l’altra che regge una giacca appoggiata sulla spalla. Una
raffigurazione che esalta la compattezza del corteo. Alla sua destra un altro
uomo che avanza in silenzio, pensoso, con la giacca fatta cadere sulla spalla
sinistra. I manifestanti rappresentano in gran parte figure di Volpedo e
rivolgono lo sguardo in più direzioni come ad avere un pieno controllo della situazione.
Volti che esprimono la consapevolezza dei propri diritti civili e che esprimono anche attraverso la
naturalità dei loro gesti fatti di quotidianità ( alcuni reggono dei bambini in
braccio, altri appoggiano la mano sugli occhi per ripararsi dal sole, ecc.). il
quadro fu mostrato per la prima volta alla Quadriennale di Torino nel 1902 ma
non ebbe alcuni riconoscimento forse per il tema trattato. Lo scrittore
Giovanni Cena all’indomani della Quadriennale scrisse sul dipinto: è una cosa che resterà e che non ha paura
del tempo, perché il tempo le gioverà”.
Il dipinto ebbe successo con la stampa socialista e fece da
cornice artistica ad un articolo di Edmondo De Amicis (“Leggetemi! Almanacco
per la Pace”). Nel 1905 diventò un simbolo della classe dei lavoratori sull’”Avanti!
della domenica” una rivista settimanale del quotidiano del Partito Socialista
Italiano. L’artista cercò invano di esporre il quadro in diverse mostre. I comitati
espositivi temevano la pericolosità del soggetto raffigurato e si rifiutarono
sempre di esporlo. Entrò a fare parte di una mostra solo nel 1907 a Roma presso
la Società promotrice di Belle Arti. Poco
dopo l’artista si suicidò, non ancora quarantenne sempre nel 1907. L’opera subì
ancora forti critiche fino a quando venne dedicata all’artista una mostra
presso la Galleria Pesaro di Milano. In quella Galleria era presente il critico
d’arte Guido Marangoni che, rimasto impressionato dall’imponenza del quadro,
decise di aprire una sottoscrizione pubblica per acquistare la tela dagli
eredi. Fu aiutato nell’indire la sottoscrizione dal consigliere comunale Fausto
Costa. Il dipinto fu acquistato per 50.000 lire e nel 1921 entrò a fare parte
della Galleria d’Arte Moderna, nel castello Sforzesco, nella Sala della Balla. L’opera
rimase visibile fino agli anni trenta quando durante il periodo fascista venne
confinato in un deposito. Nel 1980 fu spostato nella Galleria d’Arte Moderna di
Milano e dal dicembre del 2010 nel Museo del Novecento di cui costituisce la
prima opera esposta a testimonianza del suo grande pregio artistico, storico e
sociale. Nel 1976 il regista Bernardo Bertolucci, utilizzò il dipinto nel suo
film “Novecento” ove il quadro fa da sfondo ai titoli di testa.
(Fine Prima Parte….)
Reportage Fotografico:
(Castello di Policoro dei Berlingieri - La cse dei Contadini)
(Melissa - I Campi)
(Melissa)
(Giuseppe Pellizza - Autore del "Quarto Stato")
Riferimenti:
Melissa - Panopramica : https://www.melissaturismo.it/images/melissa/slide/panorama-di-melissa.jpg
Fauso Gullo- Comizio : https://www.quicosenza.it/news/in-evidenza/114805-mostra-dedicata-al-ministro-cosentino-collaboro-alla-stesura-della-costituzione-italiana
Federterra - Tessera : https://s.sbito.it/images/07/07752526917145.jpg
Federterra - Congresso Mantova : https://www.rossodiseramantova.it/wp-content/gallery/luigi-roncada/4-congresso-federterra-1952-delegati_0.jpg
Federterra Bollettino:
Questura di Pisa : http://osp.provincia.pisa.it/cds/gestione_cds/galleria_quaderni/q7_3_25b.jpg
Camera del Lavoro - Gravina di Puglia : https://www.gravinaoggi.it/images/IMMAGINEXCALIA.png
Melissa : Marcia dei Contadini: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBV-6s7inesCyVC3B8bTy2qBjty3DJSv6UQlUBPNzdbHpPdYehnGN74vWmXhy1upVwkMXBj03glUBhKU5K-9jVSIz7rQL1PzTdjwthNyqbbfPLlVoYx6_WwHckgGPmfFJO37loyivZeoxb/s320/clip_image002.jpg
Sclba con De Gasperi :
http://storia.camera.it/foto/19480501-scelba-de-gasperi-pacciardi-durante-seduta-v-governo-de-1
Scelba con Andreotti : https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/d4/Mario_Scelba_e_Giulio_Andreotti.jpg/220px-Mario_Scelba_e_Giulio_Andreotti.jpg
Barone Berlingieri : http://www.nobili-napoletani.it/Berlingieri-2.htm
Reparto della Celere : http://www.poliziadistato.it/articolo/1411/
Sila - Difesa Salerni:
Melissa - Foto di Ernestro Treccani : (Fonte : Beni
Culturali Lombardia)
Melissa - Locandina Eccidio : http://eccidiodimelissa.blogspot.com.es/
Melissa - Monumento ai caduti : http://eccidiodimelissa.blogspot.com.es/
Berlingieri - Battute di caccia : http://www.nobili-napoletani.it/images/foto/B/BERLINGIERI/policoro,%20battuta%20di%20caccia.gif
Berlingieri - Castello di Policoro : http://www.nobili-napoletani.it/images/foto/B/BERLINGIERI/policoro.gif
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