LA LOTTA CONTADINA IN SICILIA - TERZA PARTE




16 Maggio 1955 – Sciara (Palermo)

Salvatore Carnevale (Turi), bracciante e fondatore della Camera del Lavoro di Sciara. Era impegnato nelle lotte contadine e operaie della zona. 






SCIARA - LA SEDE DEL SINDACATO




Nella triste vicenda dell’assassinio di Salvatore Carnevale risalta la bellissima figura di sua madre Francesca Serio . una donna coraggiosa in quella Sicilia dominata dall’omertà mafiosa e dalle stragi di Stato. Una donna che racchiude in sé lo spirito di tutte quelle donne che hanno perso in questi lunghi anni i propri cari e che non hanno avuto la forza di reagire.


SCIARA - LA CASA D'ABITAZIONE DI SALVATORE CARNEVALE

Francesca, rimasta vedova. Si trasferì da Galati Mamertino a Sciara. Per mantenere l’unico figlio lavorava nei campi..” Andavo a lavorare per campare questo figlio piccolo, poi crebbe, andò a scuola ma era ancora piccolino, così tutti i mestieri facevo per mantenerlo. Andavo a raccogliere le olive, finite le olive cominciavano i piselli, finiti i piselli cominciavano le mandorle, finite le mandorle ricominciavano le olive, e mietere, mietere l’erba perché si fa foraggio per gli animali e si usa il grano per noi, e mi toccava di zappare perché c’era il bambino e non volevo farlo patire, e non volevo che nessuno lo disprezzasse, neanche nella mia stessa famiglia. Io dovevo lavorare tutto il giorno e lasciavo il bambino a mia sorella. Padre non ne aveva, se lo prese mio cognato qualche anno a impratichirsi dei lavori di campagna». (Dal Libor di Carlo Levi. “Le Parole Sono Pietre”).
Salvatore una volta preso il diploma di quinta elementare partì soldato e al suo ritornò cominciò la sua vita politica fondando la sezione socialista. La madre raccontò un episodio che fa riflettere su quello che dovrebbe essere il vero senso della politica. Nelle elezioni del 1951 Salvatore disse alla madre di votare “Garibaldi”… era il simbolo del “Blocco del Popolo”. La madre promise…. ma nel momento di votare vide nella scheda il simbolo della Democrazia Cristiana e non si sentì di mantenere la promessa.. «Ma io quando andai a votare e vidi quel Dio benedetto di Croce, pensai: ‘Questo Dio lo conosco. Come posso tradirlo per uno che non conosco?’ E misi il segno sulla Croce» (Levi, Le parole sono pietre). I voti per i socialisti in paese sono solo sette e Salvatore diventò un «Lucifero». Francesca non gli rivelò come aveva votato. Si disperò quando il figlio diventò segretario della sezione socialista: «…la sera che firmò e si mise a capo come segretario, io feci una seratina di pianto. ‘Figlio, mi stai dando l’ultimo colpo di coltello, non ti ci mettere alla testa. Il voto daglielo, ma non ti ci mettere alla testa, lo vedi che Sciara è disgraziata, è un pugno di delinquenti, vedi che sei ridotto senza padre e dobbiamo lavorare’. Ma lui rispose che erano tanti compagni e che non avessi paura. Io non volevo; ma ormai, madre di socialista ero, che dovevo fare?».
Francesca si schierò vicino al figlio e partecipò attivamente con lui all’occupazione delle terre. Il racconto dell’occupazione delle terre nel’ 51 è veramente incredibile e fa riflettere (quel lestofante di Renzi dovrebbe leggere questa storia e capire anche il simbolo di un pezzo di “stoffa” sventolato al vento)… In quell’occasione Salvatore, che era alla guida dei contadini, fu arrestato..” «Eravamo andati alla montagna, eravamo più di trecento persone; mentre eravamo là che stavamo mangiando un poco, chi era seduto, chi passeggiava, e non c’era nessuno che danneggiasse, venne un brigadiere di Sciara con un carabiniere, dice: ‘per favore, per favore, per favore togliere la bandiera’. Perché c’erano le bandiere che tenevamo sventolate. I contadini dicono: ‘No, perché dobbiamo togliere le bandiere, per quale motivo? Non è che le bandiere fanno male. Qui non è che stiamo facendo guasti’. Ma il brigadiere dice: ‘Allora andiamo al paese’. Ce ne andammo al paese. Quando arrivammo un po’ di via lontano, vedemmo di sotto la polizia col commissario e ci fermarono: ‘In alto le mani’. Noi non avevamo né fucili né scoppette, niente. Ci fermarono e presero tutti i nomi e cognomi…».
I carabinieri si lamentarono perché “si erano sporcati scarpe e pantaloni” .. Francesca rispose: “«Ma per noi (…), per noi questa giornata è la più bella giornata del mondo: bella, tranquilla, col sole. Questo è un divertimento che noi non abbiamo preso mai. Se non ci date le terre incolte, secondo la legge (perché si devono perdere?) ne avrete da fare di queste giornate. Questa è la prima che state facendo».
Salvatore venne chiamato in municipio e credeva in un incontro di chiarimento sulla manifestazione dei contadini… ma venne arrestato insieme ad altri tre compagni. Resteranno nel carcere di Termini Imerese per dieci giorni. Saranno rinviati in giudizio e nell’estate del ’54 verranno assolti..
Uscito dal carcere si recò in Toscana per lavorare. Rimase in Toscana per due anni per poi ritornare nell’agosto del 1954. Venne assunto dalla ditta “Lambertini” di Bologna. Una ditta che stava costruendo il doppio binario ferroviario della linea Messina Palermo. La ditta per i lavori sfruttava  una cava di proprietà dei Notarbartolo.. cava che era, come tante altre cave in Sicilia (ancora oggi), sotto il controllo della mafia. Salvatore è un sindacalista e come tale non ama le ingiustizie.. reclama per gli orari di lavoro chiedendo l’applicazione della giornata lavorativa di otto ore (gli operai lavoravano undici ore).
Dopo uno sciopero, è sempre Francesca a raccontare l’episodio, il maresciallo convocò suo figlio e gli disse: «Tu sei il veleno dei lavoratori». Salvatore rispose che voleva far rispettare la legge e il mafioso Mangiafridda, che era accanto al maresciallo, gli disse: «Picca (poco) n’hai di sta malandrineria». Il “malandrino” è il sindacalista, sono lui e gli operai in lotta per l’applicazione di una legge gli eversori dell’ordine costituito, mentre il mafioso è con le forze dell’ordine: al di là delle divise e dei ruoli ufficiali, le parti sono assegnate e le forze in campo nettamente delineate. I mafiosi minacciano e tentano la carta delle promesse: se si ritira avrà “una buona somma”, ma se continua finirà male. E Salvatore con grande coraggio rispose, è sempre Francesca a raccontarlo: «Chi uccide me uccide Gesù Cristo». E ancora: «Io non sono una carne venduta, e non sono un opportunista». Il mattino del 16 maggio sulla strada per la cava Salvatore cadde sotto i colpi di mafiosi perfettamente individuabili ma rimasti impuniti.




Il dolore della madre e la sua determinazione a continuare la lotta del figlio furono espresse nel libro di Carlo Levi…”Le Parole Sono Pietre”. Francesca raccolse l’eredità del figlio e continuò la lotta. Accusò i mafiosi e denunciò la complice passività delle forze dell’ordine e della magistratura.
Accusò, con un esposto alle autorità inquirenti, della morte del figlio la mafia di Sciara che era capeggiata dall’amministratore del feudo della principessa Notarbartolo Giorgio Panzeca, dal soprastante Luigi Tradibuono, dal magazziniere Antonino Mangiafridda e dal campiere Giovanni Di Bella. Francesca fu accompagnata nel presentare la denuncia da uno dei pochi veri uomini politici della nostra Repubblica, Sandro Pertini che diventerà Presidente della Repubblica.

SANRO PERTINI RENDE OMAGGIO A SALVATORE CARNEVALE



I quattro mafiosi furono fermati e condotti in carcere. Gli alibi non riuscirono a reggere alle accuse e un testimone si lasciò sfuggire di aver visto Tardibuono sul luogo del delitto.  Il processo si svolse, per legittima suspicione, a Santa Maria Capua Vetere. Iniziò il 18 marzo 1960 e si concluse il 21 dicembre 1961. La sentenza: .. l’ergastolo per tutti e quattro gli imputati che ricorsero in Appello. Processo d’Appello che si svolse a Napoli dal 21 febbraio al 14 marzo 1963 e in quello di Cassazione. La durata del processo d’Appello dovrebbe far capire come andò il procedimento giudiziario.  Il verdetto ?  Assoluzione per tutti e quattro gli imputati per insufficienza di prove. La Madre di Salvatore disse: “avete ucciso mio figlio una seconda volta”.  Una frase che ho spesso sentito dire dalle vittime in cerca di vera giustizia….
Dopo l’assoluzione celebrò, ogni giorno, un processo davanti a tutti coloro che le rendevano visita nella sua casa poverissima… un processo vero… civile e politico… basato sulla verità e non sulle menzogne.
Scrive Carlo Levi:  “Niente altro esiste di lei e per lei se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto; il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre…”.
Scrisse con fermezza al Procuratore Generale della Repubblica e al Comandante dei Carabinieri di Palermo:  “Poiché un insieme di circostanze mi inducono a ritenere con certezza che gli autori del delitto debbano ricercarsi tra gli esponenti della mafia di Sciara e di Trabia… sono venuta nella determinazione di rivolgermi alle Signorie Loro per pregarLe di intervenire energicamente e sollecitamente nelle indagini richiamandole presso i Loro uffici. Anzitutto intendo precisare che il mio povero figlio non aveva da tempo altri rancori se non quelli che potevano derivargli dall’attività sindacale svolta in favore dei braccianti disoccupati del Paese, né ebbe mai rapporti con la giustizia, se non in occasione delle occupazioni simboliche delle terre incolte, da lui promosse ed organizzate… Nel 1952 mio figlio cominciò a riunire e ad organizzare i contadini di Sciara, e li indusse a richiedere l’applicazione delle nuove leggi sulla ripartizione dei prodotti agricoli. Preciso che tutti i terreni vicini al paese di Sciara sono di proprietà della principessa Notarbartolo… Pertanto i contadini furono indotti da mio figlio a chiedere l’integrale applicazione della legge…Io appresi nelle prime ore del mattino che un cadavere era stato trovato lungo la strada che portava alla cava e, come altre donne, mi precipitai nella via… Le pietose bugie di alcuni congiunti, che pur assicurandomi che non si trattasse di mio figlio, cercavano di dissuadermi dal recarmi sul posto, lungi dal tranquillizzarmi fecero nascere in me i primi dubbi sull’accaduto. Io mi avviai a piedi sola… e, poco dopo, da lontano, dalle scarpe, da un po’ di calze che si intravedevano sotto la stuoia che copriva il cadavere, ebbi la certezza che l’ucciso fosse mio figlio. Questi i fatti e le circostanze che hanno preceduto l’assassinio della mia creatura. Questi i motivi per i quali ritengo che sia opportuno che le indagini siano condotte direttamente dagli uffici di Palermo e sottratte all’ambiente locale, tristemente dominato dalla mafia. E’ necessario che tutti coloro che sanno vengano incoraggiati a parlare, e parleranno solo se si renderanno conto che le indagini sono affidate a buone mani, e che la loro incolumità non corre pericoli…”
Per i militanti di sinistra era “mamma Carnevale
“Essa stessa si identifica totalmente con il suo processo e ha le sue qualità: acuta, attenta, diffidente, astuta, abile, imperiosa, implacabile. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre. Parla con la durezza e la precisione di un processo verbale, con una profonda assoluta sicurezza, come chi ha raggiunto d’improvviso un punto fermo su cui può poggiare, una certezza: questa certezza che le asciuga il pianto e la fa spietata, è la Giustizia. La giustizia vera, la giustizia come realtà della propria azione, come decisione presa una volta per tutte e a cui non si torna indietro: non la giustizia dei giudici, la giustizia ufficiale. Di questa Francesca diffida, e la disprezza: questa fa parte dell’ingiustizia che è nelle cose» (Levi, Ibidem).
Pochi ricordano una protagonista di quella storia negata che è la storia delle donne di Sicilia, il loro ruolo nelle lotte popolari, dalle contadine dei Fasci ai nostri giorni.
Una grande donna.. un icona nella lotta alla mia… milito anche nel PSI ma gli ultimi suoi anni li trascorse nella solitudine… forse vivendo di tristi ricordi. Morì il 16 luglio 1992 all’età di 89 anni..
Nel piccolo cimitero di Sciara Salvatore è sepolto lontano da lei. Sotto il cognome e il nome, le date di nascita e di morte (23.9.1923 – 16.5.1955) e la scritta «una prece». Come se fosse un morto qualunque.

FRANCESCA SERIO, MADRE DI SALVATORE CARNEVALE

13 Agosto 1955 – Cattolica Eraclea (Agrigento)
Giuseppe Spagnolo, contadino e segretario della Camera del Lavoro di Cattolica Eraclea.

20 Febbraio 1956 : Comiso (Ragusa)
A Comiso, un’assemblea di braccianti che protestavano per la mancanza di lavoro fu assalita dalle forze di polizia, che uccisero Paolo Vitale e Cosimo De Luca.

5 Luglio 1960 : Licata
Una manifestazione popolare contro il carovita e la mancanza di lavoro fu caricata selvaggiamente dalla polizia. Rimase ucciso Vincenzo Napoli, mentre cercava di difendere un bambino tenuto fermo ad un muro e picchiato dai celerini.

8 Luglio 1960 : Palermo
A Palermo, il centro è presidiato fin dalle prime ore del mattino dalla Celere per disturbare lo sciopero generale proclamato dalla Cgil. Alle violente cariche i dimostranti risposero con coraggio. Rimasero uccisi Francesco Vella, organizzatore delle leghe edili, mentre soccorreva un ragazzo colpito da un lacrimogeno, Giuseppe Malleo, Rosa La Barbera e Andrea Cangitano di 18 anni, non si sa se da poliziotti o mercenari. Una manifestazione indetta alle 18 davanti al municipio,  alla questura e alla prefettura fu respinta con l'impiego di armi da fuoco. Gli scontri continuarono fino a notte, seguiti da rastrellamenti e pestaggi dei fermati. Bilancio: 300 fermi, centinaia di feriti e contusi, 40 persone medicate per ferite da armi da fuoco.

8 Luglio 1960 : Catania
A Catania, nel corso dello sciopero contro il governo Tambroni, le forze di polizia caricano i manifestanti con lancio di candelotti lacrimogeni. Un edile disoccupato, Salvatore Novembre, rimasto isolato fu massacrato a manganellate e finito a colpi di pistola. Altri 7 manifestanti rimasero feriti.

27 Settembre 1960 – Lucca Sicula (Agrigento)
Paolo Bongiorno, bracciante e segretario della Camera del Lavoro di Lucca Sicula.

2 Luglio 1962 – Bagheria (Palermo)
Giacinto Puleo, Bracciante,

24 Marzo 1966 – Tusa (Messina)
Carmelo Battaglia, sindacalista socialista e assessore comune di Tusa.


La Sicilia ha versato un contributo altissimo nell’attuazione della Riforma Agraria con decine di sindacalisti, contadini uccisi dalla mafia legata ai grandi proprietari terrieri e dallo Stato. L’elenco delle vittime è lunghissimo mi limito solo a riportare i nomi di coloro che guidarono le masse verso un domani migliore forse mai raggiunto…

Il grande poeta dialettale siciliano Ignazio Buttitta scrisse una poesia dedicata a Turiddu Carnevale; “ Lamentu ppi la morti di Turiddu Carnivali”,  che si unisce al ricordo di tutti coloro che lottarono per la gente umile bisognosa d’aiuto per un domani migliore forse mai raggiunto.

IGNAZIO BUTTITTA


È arrivato Cicciu Busacca
per farvi sentire la storia
di Turiddu Carnivali
lu sucialista che morì a Sciara
ammazzato dalla mafia
Ppi Turiddu Carnivali
chianci so' matri
e chiancinu tutti li puvureddi nella Sicilia
perché Turiddu Carnivali
murì ammazzato
ppe difendere lu pane de li puvureddi
Ed ora
sèntiri
perché c'è di sèntiri
nella storia
di Turiddu Carnivali
La storia vi dici:

Ancilu era e nun avia ali
nun era santu e miraculi facìa,
'n cielu acchianava senza cordi e scali
e senza appidamenti nni scinnia;
era l'amuri lu so' capitali
e 'sta ricchizza a tutti la spartìa:
Turiddu Carnivali nnuminatu
ca comu Cristu nni muriu ammazzatu.

Di nicu lu patruzzu nun canuscìu,
appi la matri svinturata a latu
campagna a lu duluri e a lu pinìu
ed a lu pani nivuru scuttatu;
Cristu di 'n cielu lu binidicìu
ci dissi: «Figghiu, tu mori ammazzatu,
a Sciara li patruna, armi addannati,
ammazzanu a cu voli libirtati».

Sciara
per qualcuno che non lo sa
è un piccolo paese
della provincia di Palermo
dove
ancora oggi
regna e comanda la mafia
Quindi

Turiddu avia li jorna cuntati,
ma 'ncuntrava la morti e ci ridìa
ca videva li frati cunnannati
sutta li pedi di la tirannia,
li carni di travagghiu macinati
supra lu cippu a farinni tumìa,
e suppurtari nun putìa l'abbusu
di lu baruni e di lu mafiusu.

Turiddu
s'arricugghìu li poviri, amurusu,
li dorminterra, li facci a tridenti,
li manciapicca cu' lu ciatu chiusu:
lu tribunali di li pinitenti;
e fici liga di 'sta carni e pusu
ed arma pi luttari li putenti
nni ddu paisi esiliatu e scuru
unni la storia avia truvatu un muru.

Dissi a lu jurnataru: «Tu si' nudu,
e la terra è vistuta a pompa magna,
tu la zappi e ci sudi comu un mulu
e si' all'additta comu na lasagna,
veni la cota ed a corpu sicuru
lu patroni li beni s'aggranfagna
e tu chi fusti ogni matina all'antu
grapi li manu ed arricogghi chiantu.

Ma fatti curaggiu e nun aviri scantu
ca veni jornu e scinni lu Misia,
lu sucialismu cu' l'ali di mantu
ca porta pani, paci e puisia;
veni si tu lu voi, si tu si' santu,
si si' nnimicu di la tirannia,
s'abbrazzi a chista fidi e a chista scola
ca duna amuri e all'omini cunzola.

Sì,

lu sucialismu cu' la so' parola
pigghia di 'n terra l'omini e l'acchiana,
e scurri comu acqua di cannola
ed unni passa arrifrisca e sana
e dici: ca la carni nun è sola
e mancu è farina ca si scana;
uguali tutti, travagghiu pi tutti,
tu manci pani si lu sudi e scutti».

Dissi a lu jurnateri: «'Ntra li grutti
'ntra li tani durmiti e 'ntra li staddi,
siti comu li surci di cunnutti
ca v'addubbati di fasoli e taddi;
ottùviru vi lassa a labbra asciutti
giugnettu cu' li debiti e li caddi,
di l'alivi n'aviti la ramagghia
e di la spiga la coffa e la pagghia».

Dissi: «La terra è di cu la travagghia,
pigghiati li banneri e li zappuna».
E prima ancora chi spuntassi l'arba
ficiru conchi e scavaru fussuna:
la terra addiventau una tuvagghia,
viva, di carni comu 'na pirsuna;
e sutta lu russiu di li banneri
parsi un giganti ogni jurnateri.

Curreru lesti li carrubbineri
cu' li scupetti 'n manu e li catini.
Turiddu ci gridau: «Fàtivi arreri!
cca latri nun ci nn'è, mancu assassini,
ci sunnu, cani, l'affritti jurnateri
ca mancu sangu ci hannu 'ntra li vini:
siddu circati latruna e briganti,
'n palazzu li truvati, e cu l'amanti!».

Lu marasciallu fici un passu avanti,
dissi: «Chistu la liggi un lu cunsenti».
Turiddu ci rispusi senza scanti:
«Chista è la liggi di li priputenti,
ma c'è na liggi ca nun sbagghia e menti,
ca dici: pani a li panzi vacanti,
robbi a li nudi, acqua a l'assitati,
e a cu travagghia onuri e libirtati!».

Giusto diceva Turiddu Carnivali
anche nella Bibbia
sono scritte queste parole:
«Roba ai nudi! Acqua agli assetati!
A chi lavora onore e libertà!»
Ma la mafia che cosa pensava?

La mafia pinsava a scuppittati;
'sta liggi nun garbava a li patruna,
eranu comu li cani arrabbiati
cu' li denti appizzati a li garruna;
poviri jurnateri sfurtunati
ca l'aviti di supra a muzzicuna!
Turiddu si guardava d'idd'armali
e stava all'erta si vidia sipàli.

'Na sira turnò in casa senza ali
l'occhio luntanu e lu pinseri puru:
«Mancia figghiuzzu miu, cori liali...»;
ma lu guardau e si lu vitti scuru:
«Figghiu, 'stu travagghiari ti fa mali».
e s'appujau 'na manu a lu muru.
«Matri», dissi Turiddu, e la guardau:
«Bonu mi sentu». E la testa calau.

«Figghiu, cu fui t'amminazzau?
Sugnu to' matri, un m'ammucciari nenti».
«Matri, vinni lu jornu»; e suspirau:
«a Cristu l'ammazzaru e fu 'nnucenti!».
«Figghiu, lu cori miu assincupau,
mi ci chiantasti tri spati puncenti!».
Genti ca siti ccà, faciti vuci:
dda matri si lu vitti mortu 'n cruci.

Sidici maju l'arba 'n cielu luci
e lu casteddu àutu di Sciara
che guardava lu mari chi stralluci
comu n'artaru supra di na vara;
e tra mari e casteddu na gran cruci
si vitti dda matina all'aria chiara,
sutta la cruci un mortu, e cu' l'aceddi
lu chiantu ruttu di li puvureddi.


Gridava: «Figghiu!» pi strati e vaneddi
la strangusciata matri chi curria
versu lu mortu a stramazzamareddi,
a fasciu di sarmenti, chi camìa
dintra lu furnu e ventu a li purteddi:
«Curriti tutti a chianciri cu mia!
Puvireddi, nisciti di li tani,
morsi ammazzatu pi lu vostru pani!».

Sono arrivati
i poveri
dove c'era il cadavere di Turiddu
ma
nessuno poteva passare
Nessuno poteva guardare Turiddu
per l'ultema volta
Turiddu
era circondato di carrabbineri
La madre
si inginocchia di fronte ai carrabbineri

«Carrubbineri, mi si' cristianu...
- Nun mi tuccari, levati di ddocu,
nun vidi ca su' torci li me manu
e addumu comu pruvuli a lu focu;
chiddu è me figghiu, vattinni luntanu
quantu lu chianciu e lu duluri sfogu,
quantu ci sciogghiu dda palumma bianca
c'havi dintra lu pettu a manu manca.

Carrubbineri, mi si' cristianu,
nun vidi ca ci cula sangu finu?
Fammi 'ncugnari ca ci levu chianu
dda petra ch'havi misa ppi cuscinu,
sutta la facci ci mettu li me manu
supra lu pettu 'stu cori vicinu
e cu' lu chiantu li piaghi ci sanu
primu c'agghiorna dumani matinu.

Prima c'agghiorna trovu l'assassinu
e ci scippu lu cori cu' 'sti manu,
lu portu strascinannu a lu parrinu:
e ci dicu: sunati, sacristanu!
Me figghiu avia lu sangu d'oru finu
e chistu di pisciazza di pantanu,
chiamaticci na tigri ppi bicchinu
la fossa ci la scavu cu' 'sti manu.

Figghiu, chi dicu, la testa mi sguazza,
ah, si nun fussi ppi la fidi mia,
la sucialismu chi grapi li vrazza
e mi duna la spranza e la valìa;
mi lu 'nzignasti e mi tinevi 'n brazza
ed iu supra li manu ti chiancia,
tu m'asciucavi cu lu muccaturi
iu mi sinteva moriri d'amuri.

Tu mi parravi comu un confissuri
iu ti parrava comu pinitenti,
ora disfatta pi tantu duluri
ci dugnu vuci a li cumannamenti:
vogghiu muriri cu' 'stu stissu amuri
vogghiu muriri cu' 'sti sintimenti.
Figghiu, ti l'arrubbau la bannera:
matri ti sugnu e cumpagna sincera!»






LA TRADUZIONE:
È arrivato Cicciu Busacca
per farvi sentire la storia
di Turiddu Carnivali
il socialista morto a Sciara
ammazzato dalla mafia
Per Turiddu Carnivali
piange la madre
e piangono tutti i poveri della Sicilia
perché Turiddu Carnivali
morì ammazzato
per difendere il pane dei poveri
Ed ora
sentite
perché c'è da sentire
nella storia
di Turiddu Carnivali
La storia vi dice:

Angelo era e non aveva ali
non era santo e miracoli faceva
saliva in cielo senza corde e scale
e senza sostenersi ne scendeva;
era l'amore il uso capitale,
questa ricchezza con tutti la spartiva:
Turiddu Carnevale nominato
che come Cristo morì ammazzato.

Da piccolo il padre non conobbe
ebbe la madre sventurata al fianco
compagna nel dolore e nelle pene
del pane nero a fatica sudato;
Cristo benedicendolo gli disse:
«Tu, figlio mio, morirai ammazzato;
i padroni di Sciara, quei dannati,
ammazzano chi vuole libertà».

Sciara
per qualcuno che non lo sa
è un piccolo paese
della provincia di Palermo
dove
ancora oggi
regna e comanda la mafia
Quindi

Turiddu aveva i giorni contati,
ma incontrando la morte ne rideva,
ché vedeva i fratelli condannati
sotto i piedi della tirannia,
le carni dal lavoro macinate
poste sul ceppo a farne tortura,
e sopportare non poteva l'abuso
né del barone, né del mafioso.

Turiddu

i poveri radunò con tanto amore,
i dorminterra, le facce a tridente,
i mangiapoco con il fiato chiuso:
il tribunale dei penitenti;
di questa carne fece lega e polso
ed arma per combattere i padroni
di quel paese esiliato e oscuro
dove la storia aveva trovato un muro.

Disse al giornaliero: «Tu sei nudo
e la terra è vestita in pompa magna
tu la zappi sudando come un mulo
e stai all'impiedi secco, una lasagna;
viene raccolto e a colpo sicuro
il padrone il prodotto arraffa
e tu che fosti sempre sulla terra
apri le mani e ci raccogli pianto.

Fatti coraggio, tremare non devi,
verrà il giorno che scende il Messia,
il socialismo con il manto d'ali
che porta pace pane e poesia;
vieni se tu lo vuoi, se tu sei santo,
se sei nemico della tirannia,
se abbracci questa fede e questa scuola
che amore dona e gli uomini consola.

Sì,

il socialismo con la sua parola
prende da terra gli uomini e li innalza
e scorre come acqua di fontana
e dove arriva rinfresca e sana
e dice che la carne non è cuoio
e neppure farina da impastare:
tutti uguali, lavoro per tutti,
tu mangi pane se lavori e sudi».

Disse ai giornalieri: «Nelle grotte,
nelle tane dormite e nelle stalle
siete come i topi delle fogne
vi saziate di fagioli e torsoli;
ottobre vi lascia a labbra asciutte
e giugno con i debiti ed i calli
dell'ulive ne avete le ramaglie
e delle spighe la stoppia e la paglia».

Disse: «La terra è di chi lavora,
prendete le bandiere e gli zapponi!»:
e prima ancora che spuntasse l'alba
fecero conche e scavarono fossi:
la terra sembrò tavola imbandita,
viva, di carne come una persona;
e sotto il rosso di quelle bandiere
parve un gigante ogni giornaliero.

Di corsa vennero i carabinieri
con le catene ed i fucili in mano
Gridò Turiddu: «Fatevi indietro!
Qui non ci sono ladri né assassini,
ci sono, cani, gli afflitti giornalieri
che non hanno più sangue nelle vene:
se voi cercate ladroni e briganti
li trovate nei palazzi, con le amanti».

Il maresciallo fece un passo avanti,
disse: «La legge ciò non vi consente».
Turiddu gli rispose fieramente:
«La vostra legge è quella dei prepotenti,
ma c'è una legge che non sbaglia e mente
e dice: pane per le pance vuote,
vestiti agli ignudi, acqua agli assetati
e a chi lavora onore e libertà».

Giusto diceva Turiddu Carnivali
anche nella Bibbia
sono scritte queste parole:
«Roba ai nudi! Acqua agli assetati!
A chi lavora onore e libertà!»
Ma la mafia che cosa pensava?

La mafia ragionava a fucilate;
questa legge ai padroni non garbava,
erano come cani arrabbiati
coi denti conficcati nei garretti.
Poveri giornalieri sfortunati
che addosso li tenete a morsicarvi!
Turiddu conosceva quelle bestie
e stava all'erta se vedeva siepi.

Tornò una sera in casa senza ali
gli occhi lontani ed il pensiero pure:
«Mangia, figliolo mio, cuore leale...»;
Ma più lo guarda, più lo vede scuro:
«Figlio questo lavoro ti fa male»,
e con la mano s'appoggiava al muro.
«Madre», disse Turiddu e la guardò:
«Mi sento bene». E la testa chinò.

Quella è stata l'ultima volta
che Turiddu è stato minacciato dalla mafia
Dico l'ultima volta
perché
l'avevano minacciato centinaia di volte
Tante volte magari
avevano provato a pigliarlo con le buone
offrendoci del denaro
«Turiddu stai attento
tu stai facendo una strada sbagliata
ti sei messo contro i padroni
e sai
che chi si mette contro i padroni
può fare una brutta fine
Da un giorno all'altro
ti può succedere
qualche disgrazia»
Turi a queste minacce
rispondeva sempre
con la stessa risposta:
«Sono pronto a morire
per i contadini
Anche io sono un contadino
Ho avuto la fortuna
di leggere qualche libro
e so quello che ce dovete fare ai contadini:
quello che ce spetta
E voi padroni glielo dovete dare».
«Turiddu
stai attento a quello che fai
t'abbiamo avvertito tante volte
stai attento»
Turiddu quella sera
si era ritirato a casa
con quella minaccia
ancora incisa nel cervello
e non appena arrivò a casa
la madre ce fa trovare la minestra pronta
come tutte le sere
Non appena lo vede arrivare
è contenta
«Turiddu
sei arrivato
figlio mio
La minestra è pronta
mangia».
Ma Turi
quella sera
non aveva fame
«Mamma
lascia perdere
Questa sera
ho tante cose
da pensare
Non ho fame»
La madre ha capito
che
Turiddu l'avevano minacciato
ancora una volta.

«Figlio, tu sei stato minacciato;
sono tua madre, non avere segreti!»
«Madre, il mio giorno è giunto»; e sospirando
«Cristo fu ammazzato e fu innocente!»
«Figlio, il cuore mio si è fermato:
tu ci piantasti tre spade pungenti!»
Gente che siete qui, gridate forte:
la madre vide il figlio morto in croce.

'Sta volta
i mafiosi
hanno mantenuto la promessa
L'indomani mattina
mentre Turiddu andava a lavorare
nella cava
durante la trazzera
gli hanno sparato due colpi di lupara
in faccia
che l'hanno sfigurato
Non si dimentica mai quella mattina:
sedici maggio
millenovecentocinquantacinque

Sedici maggio. l'alba in cielo splende,
e il castello alto sopra Sciara
di fronte al mare rilucente
come un altare sopra di una bara;
e tra mare e castello quel mattino
una croce si vide all'aria chiara
sotto la croce un morto, e con gli uccelli
il piangere dei poveri a dirotto.

E come si può dimenticare mai
quel sedici maggio a Sciara?
Dopo un'ora che Turi era partito da casa
la madre si sente bussare alla porta
furiosamente
(la madre ancora era a letto)
Era l'alba
«Francesca!
Donna Francesca!
Signora Francesca, aprite!
Aprite, è successa una disgrazia!
Hanno ammazzato Turiddu
Hano ammazzato vostro figghiu Turiddu
gli hanno sparato due colpi di lupara in faccia
che l'hanno sfigurato
L'hanno ammazzato
Turiddu,
l'hanno ammazzato!»
Dirlo così
è facile
Ma lo pensate
per quella povera madre
che aveva soltanto quel figlio al mondo
come si veste in fretta e in furia
e incomincia a girare
per tutte le strade del paese
gridando
invocando i poveri a seguirla
per andare a piangere
sul cadavere di suo figlio.

Gridava: «Figlio!» per strade e vicoli
la madre angosciata che correva
verso il morto a vorticoso turbine
a fascio di sarmenti che brucia
dentro il forno col vento agli sportelli:
«Correte tutti a piangere con me!
Poveri, uscite dalle vostre tane,
morì ammazzato per il vostro pane!».

Sono arrivati
i poveri
dove c'era il cadavere di Turiddu
ma
nessuno poteva passare
Nessuno poteva guardare Turiddu
per l'ultima volta
Turiddu
era circondato di carabinieri
La madre
si inginocchia di fronte ai carabinieri

«Carabiniere, se sei un cristiano...
non mi toccare, scostati di qui,
non vedi che son torce le mie mani
e accendo come polvere nel fuoco;
questo è mio figlio, vattene lontano,
lascia che il pianto ed il dolore sfoghi,
lascia che sciolga la colomba bianca
che tiene in petto nella parte manca.

Carabiniere, se sei cristiano
non vedi che sta perdendo il suo sangue fino
fammi accostare che gli levo piano
quella pietra che tiene per cuscino,
sotto la faccia gli metto le mani
sopra il suo petto il mio cuore vicino
e con il pianto le sue ferite sano
prima che faccia giorno domattina.

Prima che faccia giorno l'assassino
trovo e il cuore gli strappo con le mani
lo porto trascinandolo innanzi al prete:
suonate le campane, sagrestano!
Mio figlio aveva il sangue d'oro fino
e questo l'ha d'orina di pantano
chiamategli una tigre per becchino
la fossa gliela scavo con le mani!

Figlio, che dico? La testa mi si confonde;
oh, se non fosse per la fede mia!
Il socialismo che apre le braccia
e che mi dà speranza e coraggio;
me lo insegnasti e mi tenevi in braccio
ed io sopra le mani ti piangevo
tu mi asciugasti con il fazzoletto
io mi sentivo morire d'amore.

Tu mi parlavi some un confessore
io ti parlavo come penitente
ora disfatta per tanto dolore
la voce do a quei comandamenti:
voglio morire del tuo stesso amore
voglio morire con questi sentimenti.
Figlio, te l'ho rubata la bandiera:
madre ti sono e compagna sincera!»

La cantautrice italiana, Matilde Politi, interprete di musica tradizionale siciliana,  diede ai versi di Buttitta  una grande interpretazione sonora. https://www.youtube.com/watch?v=CnAhTOHuS8c


8 DICEMBRE 1968
Avola (Sr)

“Volevano solo trecento lire in più”
di Mauro De Mauro (Il giornalista rapito dalla mafia nel 1970 e il cui corpo non è stato trovato)



Sono morti in due. Gli hanno sparato con i mitra. Protestavano per avere una paga uguale a quella dei braccianti di un paese vicino
Avola – Al ventesimo chilometro della statale 115, quasi alle porte di Avola, non si passa più. Bisogna scendere dalla macchina e proseguire a piedi verso il grosso borgo che si intravede poco al di là della curva, quasi di fronte al mare. È difficile mantenersi in equilibrio sull’asfalto di pietre e di bossoli. È uno spettacolo desolante; si ha la precisa sensazione che qui, per diverse ore, si è svolta un’accanita battaglia. In fondo al rettilineo la strada è parzialmente ostruita dalle carcasse ancora fumanti di due automezzi della polizia dati alle fiamme.



Sull’asfalto, qua e là, delle chiazze di sangue rappreso. Anche un autotreno, messo di traverso dagli operai in sciopero per bloccare la strada, è sforacchiato dai colpi e annerito dal fuoco. Proprio come una R4 e una decina di motociclette dei braccianti sui cui serbatoi i poliziotti hanno sparato per impedirgli di andarsene.
Sono le dieci di sera di lunedì 2 dicembre. Giornalisti e fotografi, accorsi da tutta l’Italia, stanno raggiungendo un paese il cui nome resterà a lungo nella storia delle lotte sindacali italiane.
È una prospera cittadina, a pochi chilometri da Siracusa, al centro di una ricchissima zona di orti e di agrumeti. Fino a ieri era noto come il “posto delle mandorle”, le buone, dolcissime, tenere mandorle di Avola. Da oggi non si potrà più nominare senza venir colti da un senso di sgomento e di profonda amarezza.
Due chili di bossoli
Giuseppe Scibilia
, di quarantasette anni, era nato qui. 
Angelo Sigona, di ventinove, era nato a pochi chilometri di distanza, a Cassibile, il paese dove, nel settembre del ’43, il generale Castellano firmò l’armistizio per l’Italia sotto la tenda del generale Eisenhower. Ora sono tutti e due distesi nella sala mortuaria dell’ospedale civile di Siracusa. Gli hanno sparato poliziotti di ogni grado, appartenenti al battaglione mobile di Siracusa, con armi diverse: dai mitra corti in dotazione agli agenti, alle pistole calibro 9, 7.65 e 6.35 in dotazione a sottufficiali, ufficiali e funzionari di Pubblica Sicurezza. Una parte delle centinaia di bossoli raccolti poco fa sul campo di battaglia sono in possesso della Federbraccianti. Qualcuno, il deputato Antonino Piscitello, che si trovava sul posto al momento dell’eccidio, li ha anche pesati: erano più di due chili. Il piombo delle forze dell’ordine ha ridotto in fin di vita altri quattro braccianti. Uno di essi, Giorgio Garofalo, nato ad Avola trentasette anni fa, ha tredici pallottole nel ventre.
Fa freddo. La statale 115 è in parte gelata. Ma dà un senso di gelo maggiore il doversi occupare ancora, dopo venticinque anni di lotte sindacali, di braccianti caduti sotto le raffiche della polizia. Stavano scioperando per difendere diritti e interessi elementari. Il presidente della Confagricoltura, conte Alfonso Gaetani, era in viaggio alla volta di Siracusa per contendere a questi uomini il miglioramento che reclamavano, ma la battaglia del chilometro 20 ha interrotto il suo viaggio.

Tutto cominciò dieci giorni fa, quando i braccianti agricoli aderenti alle tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) decisero d’intraprendere una grande azione unitaria
. Si trattava di ottenere un aumento del 10 per cento sulle paghe, ma soprattutto il riconoscimento di un elementare diritto fino ad oggi negato: la parità di trattamento salariale tra addetti a uno stesso lavoro in due zone diverse di una stessa provincia. Questo infatti è un paese in cui si può ancora morire battendosi non per equiparare i salari di Avola a quelli di Milano, ma per ottenere che il bracciante di Avola abbia un salario non inferiore a quello del bracciante di Lentini. Perché la provincia di Siracusa è divisa in due zone: la zona A, che comprende i braccianti di Lentini, Carlentini e Francoforte, in cui la paga giornaliera è di 3480 lire; e la zona B, con Siracusa e i restanti comuni della provincia, in cui la paga è di 3110 lire.
Tutto questo, nonostante che la provincia di Siracusa sia una tra le più floride della Sicilia. Florida cioè per i proprietari terrieri, che da ogni ettaro di agrumeto riescono a trarre annualmente un reddito netto che varia tra le 600 e le 800 mila lire. In realtà, il reddito medio pro capite in provincia di Siracusa è tra i più bassi d’Italia. E se la media statistica crolla a questi valori da mondo sottosviluppato, è per le condizioni di vita del bracciantato locale. Per questo già due anni fa ci furono rivendicazioni e proteste, e a Lentini una serie di gravissimi incidenti con poliziotti e carabinieri. Anche allora si trattava di un’azione sindacale originata dal rinnovo del contratto di lavoro. Ma allora c’erano stati dei feriti. Oggi si piangono i morti.
Di fronte al rifiuto degli agrari di prendere contatto con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, il 25 novembre scorso, lunedì, 32.000 lavoratori agricoli incrociano le braccia abbandonando i “giardini” dove in questi giorni maturano gli aranci. All’azione partecipano, consapevoli dell’importanza del problema, tutti i sindaci dei paesi interessati, socialisti, democristiani, comunisti. Ma i proprietari non cedono, rifiutano l’incontro e la contrattazione, adottano ogni sorta d’espediente per prendere tempo. Così, dalle piazze dei paesi i braccianti in sciopero dilagano lungo le strade provinciali, innalzano blocchi di pietre nella speranza che le interruzioni del traffico attirino l’attenzione del governo. E infatti qualcuno si accorge delle pietre, dei blocchi delle strade, del traffico difficile: ma non del problema per il quale ci si batte. Il prefetto di Siracusa convoca il sindaco socialista di Avola e lo invita a intervenire perché i blocchi vengano rimossi e il traffico possa riprendere immediatamente. «Lei è il primo cittadino di questo paese», dice in sostanza il prefetto, «e il suo dovere è dunque quello di indossare la fascia tricolore e di raggiungere gli scioperanti per convincerli a sciogliere la manifestazione». Ma il sindaco Danaro non è affatto d’accordo. «Indosserò la fascia tricolore», risponde, «e andrò a unirmi agli scioperanti per presentarmi alla polizia e intimarle di abbandonare il paese».
Così avviene, infatti. E così, nel primo pomeriggio di lunedì, mentre un centinaio di braccianti agricoli sono intorno a uno sbarramento di pietre eretto al 20° chilometro della statale 115, poco prima del bivio per il Lido di Avola, nove camionette cariche di agenti, per complessivi novanta uomini, arrivano da Siracusa e si arrestano di fronte al blocco intimandone lo smantellamento immediato. Sono novanta uomini col mitra in mano, il tascapane pieno di bombe lacrimogene, l’elmetto d’acciaio col sottogola abbassato. È quanto basta perché i braccianti esasperati reagiscano con un primo lancio di pietre. I poliziotti sbandano. L’ufficiale che li comanda grida un ordine secco, e una prima scarica di bombe piove sul gruppo degli scioperanti sprigionando una densa nuvola di fumo bianco. Ma il gas, invece di intossicare gli operai, investe, trasportato dal vento, gli stessi poliziotti i quali vengono contemporaneamente respinti da una seconda bordata di pietre. I piani di battaglia elaborati al tavolino dai comandanti delle forze dell’ordine sono travolti dagli avvenimenti. Da uno scontro frontale la battaglia si frantuma in una serie di piccoli episodi di violenza, uomo contro uomo, e dalla strada si trasferisce nei campi circostanti.
Altri braccianti accorrono dal paese e dalle case coloniche vicine. Disseminati e privi di collegamento tra loro, i poliziotti rischiano di venire sopraffatti. Perdono la testa. Qualcuno comincia a sparare. In pochi secondi le grida che fino a quel momento avevano dominato il campo di battaglia vengono coperte da una serie di scariche frastornanti, ininterrotte, un inferno che soffoca il gemito dei primi feriti. Le file dei braccianti indietreggiano, gli uomini si danno alla fuga, la polizia rimane padrona del campo. Ma è una vittoria talmente amara e tragica, che le forze dell’ordine non se la sentono di presidiare il campo di battaglia. Dopo aver operato una diecina di fermi e aver smantellato il blocco stradale, gli agenti abbandonano la zona e lo stesso centro di Avola, consapevoli che la loro presenza potrebbe scatenare reazioni.
Adesso, alle undici di sera, Avola sembra un paese di fantasmi. Dalle due del pomeriggio la vita si è fermata, i negozi hanno abbassato le saracinesche in segno di protesta e di lutto, le due sale cinematografiche hanno chiuso. Una folla immobile e muta indugia sulla piazza principale dove poco fa il sindacalista Agosta ha tenuto un comizio a nome della Federazione dei braccianti. In giro non si vede neppure una divisa. È come se l’intero paese stesse aspettando di riprender contatto con una realtà che tuttora appare incredibile. Ma il cordoglio, come del resto la destituzione del questore di Siracusa Vincenzo Politi o le deplorazioni ufficiali, evidentemente non bastano.
Telegramma ai socialisti
Perchè in italia si spara ancora sui braccianti, sugli operai, sui contadini? Il segretario regionale del Psi, Lauricella, la Uil siciliana, i socialisti della Cgil siciliana hanno telegrafato ai loro compagni impegnati nelle trattative di governo per esigere, come condizione irrinunciabile della partecipazione socialista a una nuova coalizione di centro-sinistra, l’immediato disarmo della polizia. «In questa amara circostanza», ha detto Vito Scalia, segretario confederale della Cisl (e originario di questa zona), «sono costretto a ricordare di aver chiesto già da molto tempo, e precisamente all’indomani dei tristi fatti di Ceccano, la creazione di speciali reparti di polizia del lavoro privi di armi e dotati soltanto di normali mezzi di sfollamento. Come tutta conseguenza, venni additato a una specie di linciaggio morale da parte del paese; ma se quella proposta fosse stata accolta, oggi non si piangerebbe sulle spoglie di morti innocenti e sulle ferite di tanti lavoratori».

Fu una strage che poteva assumere aspetti ancora più terrificanti per la grande partecipazione di manifestanti. È stata definita come  “LO SCIOPERO CONTRO LE  GABBIE  SALARIALI NEL  SIRACUSANO  TRASFORMATO DALLA  POLIZIA IN  UNA CACCIA A  UOMINI DISARMATI   TRA  MANDORLETI  ED  AGRUMETI“


Un anziano agricoltore il 3 dicembre 1968 dirà all’inviato di “Lotte Agrarie” ( periodico della Federbraccianti – Cgil) : “ Che cosa è successo ? C’è stato un gran dispiacere perché non erano morte delle bestie, ma erano stati uccisi dei compagni”.

Era un momento delicato per l’Italia. Il governo “balneare” guidato dal democristiano Giovanni Leone  aveva dato le dimissioni (nel governo Franco Restivo era Ministro degli Interni). Era l’ennesima crisi politica  e dopo pochi giorni si formerà il governo di centro-sinistra guidato dal democristiano  Mariano Rumor e da Nenni. Il  presidente della Camera era Sandro Pertini che successivamente sarà Presidente della Repubblica lasciando un ricordo incancellabile nei cuori delle persone “per bene”. E’ giusto aggiungere all’artico di De Mauro delle circostanze che emersero nei giorni successivi all’eccidio. L’articolo dei De Mauro mise in evidenza che i 32.000 braccianti della prov. Di Siracusa erano in lotta da settimane per una vertenza durissima… una Vertenza difficile e in una provincia che illusoriamente era indicata ad alto reddito…  Si protestava per ottenere la giusta pianificazione salariale nelle zone agrumicole e dell’ortofrutta . Abbiamo visto come la provincia era caratterizzata da due zone con diverse in termini di contribuzione salariale e di orari di lavoro : 3.480 lire contro 3.110 lite e 7,30 ore contro 8 ore.
Ma c’era anche un altro aspetto inquietante che abbracciava tutta la provincia senza distinzione… un aspetto simile a quello che oggi investe gli immigrati (richiedenti asilo politico) anche se con aspetti più drammatici…. La fine del mercato delle braccia che aveva liberi centri di contrattazione nelle piazze di tutta la provincia e persino nel cuore della città di Siracusa ovvero in Piazza  Stesicoro.

Per quanto riguardava le commissioni paritetiche di controllo si trattava di chiedere l’attuazione dell’accordo che era stato sottoscritto  in precedenza dalle parti sociali e rimasto lettera morta per le resistenze e l’arrogante rifiuto degli agrari cioè dei proprietari terrieri.
La battaglia per il rinnovo contrattuale era iniziata a settembre 1968 e aveva raggiunto il suo apice alla metà di novembre. Il 4 novembre venne dichiarato lo sciopero generale dei lavoratori agricoli della provincia. Le trattative continuarono ma si persero nel nulla per la rigidità degli agrari. I braccianti decisero di ricorrere ai blocchi stradali come strumento di pressione.
Alle porte di Avola, lungo la strada che da Cassibile porta a Ragusa, c’è un bivio per Marina di Avola.



Il pomeriggio di venerdì 29 novembre, un centinaio di braccianti agricoli ha creato un blocco stradale. Stanno seduti sul selciato. Il sindaco socialista di Avola, Giuseppe Denaro, di deputato comunista Nino Piscitello, il pretore Cassata, il segretario della Federbraccianti di Siracusa Orazio Agosta, riuscirono a convincere gli scioperanti a rimuovere il blocco stradale dietro una promessa: “andranno noi a parlare al prefetto D’Urso perché si decida a convocare nuove immediate trattative”.. Per l’ennesima volta andranno a parlare al prefetto… i braccianti, seppure poco convinti, apprezzarono il gesto degli esponenti politici e sindacali…. Il blocco stradale, come già detto, venne rimosso.
Il prefetto, saputo dello sgombero della sede stradale decise di riconvocare le parti all’indomani…..”sono stanco” … fu la sua riposta agli esponenti politici e sindacali. L’indomani gli agrari non si presentarono… e il prefetto… un vero lestofante.. giustificherà la loro assenza prendendo per buono una scusa o pretesto impudente che fece proprio: “ che volete farci ? Questi blocchi stradali a intermittenza impediscono ai proprietari, chi viene da una parte e chi dall’atra, di riunirsi e di preparare le controproposte”…. Una risposta… un pretesto veramente ignobile.
Nuovo rinvio a martedì…ma la tensione era alta e si decise di anticipare l’incontro a domenica sera. Nell’incontro in rappresentanza degli agrari si presentò un funzionario o delegato che era privo di qualsiasi potere di trattare e tanto meno di firmare un eventuale ed improbabile accordo.
L’on. Piscitello tempestò di telefonate la presidenza della regione a Palermo e subito dopo anche i ministri del Lavoro e degli Interni a Roma.. ma la crisi politica  non permetteva di perdere tempo o prendere in considerazione le misere richieste di braccianti del Sud…. La voce di Piscitello rimase inascoltata…




L’1 dicembre lo sciopero proseguì anche per sollecitare la prefettura a una condotta più energica nei confronti dell’associazione degli agrari. Di fronte alle continue esitazioni del prefetto, che accettò di convocare un nuovo incontro per il 3 dicembre, venne proclamato ad Avola lo sciopero generale.
 Sono trascorse settimane di sciopero… gli operai agricoli hanno problemi economici perché hanno esaurito i risparmi…le arance e i limoni stanno marcendo negli agrumeti mentre anche le produzioni nelle serre stanno soffrendo per la mancanza di manodopera.
Il 2 (lunedì) dicembre è inevitabile…..viene proclamato lo sciopero generale in appoggio ai braccianti.
Ad Avola  uffici, banche, negozi, scuole, Poste, Cantieri, bar, circoli… tutti è fermo a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro.
Già all’alba al bivio di Avola per il lido omonimo, sono presenti i braccianti. Questa volta il loro numero è alto… sono almeno in cinquemila. Molti seduti in strada altri nelle campagne circostanti e altri seduti sui muri a secco che delimitano gli agrumeti e i mandorleti.
Il sindaco Giuseppe Denaro rilevò in seguito aspetti importanti di quella mattina: “Il prefetto D’Urso mi aveva telefonato alle otto di mattina. Era un preciso avvertimento, il blocco di Avola deve sparire, i braccianti devono andarsene, costi quel che costi”.
Era una manaccia aperta da parte di un funzionario arrogante che rappresentava il potere centrale e anche il potere degli agrari con cui era colluso.  La minaccia era forte… devono andarsene… “costi quel che costi”.
Il prefetto comunicò al sindaco l’imminente intervento della polizia da Catania. Alle 11 sei furgoni e alcune camionette della Celere di Catania scaricarono al bivio di Avola circa 90 agenti. Agenti che appartenevano al battaglione speciale di stanza a Catania che costituiva la forza d’urto sempre all’erta per le imprese peggiori (come quella del luglio ’60 nella città dell’Etna). Il vicequestore Campersi è pronto a dare l’ordino di sgombero tramite una carica.
Il sindaco telefonò al prefetto: “Che la polizia non faccia sciocchezze. Qui stanno arrivando anche donne e bambini”.
Il prefetto, strana figura di quest’uomo, per tutta risposta intimò al sindaco Denaro d’indossare la fascia tricolore e aggiunse  ” lei pensi piuttosto a collaborare con la polizia !”.
Gli agenti erano pronti a lanciare i lacrimogeni che erano stati innestati sulle canne dei moschetti. Il vice questore Camperisi, prevedendo una reazione dei dimostranti, decise di creare  una trincea… le forze dell’ordine misero di traverso sulla strada una betoniera. È un vero blocco… forse l’unico presente sulla strada. È un gesto provocatorio.  Alle 14 i commissari di polizia con indosso la fascia “tricolore” ordinarono la carica con tre squilli di tromba…. Iniziò la strage.
Da dietro la betoniera partono a grappoli le bombe lacrimogene…. Dieci, venti, cinquanta..
I braccianti, colti di sorpresa, fuggirono nelle campagne per ripararsi dai fumi. Avvenne qualcosa d’incredibile…come un triste gioco del destino. Il vento rispedì al mittente quei terribili gas mettendo nei guai gli agenti e rendendo nervosi sia gli ufficiali che il “vicequestore”. Un lacrimogeno espose tra i braccianti, colpendo uno di essi.
I braccianti si difendono scardinando i muretti e lanciando le pietre sulla strada per impedire i caroselli che le camionette delle forze dell’ordine facevano tra i dimostranti per creare panico. Via radio il vicequestore Camperisi chiese immediati rinforzi. Dopo circa 30 minuti da dietro un curvone, alle spalle dei braccianti, sbucano un centinaio di poliziotti.. tutti ben armati come quelli che stanno combattendo.
I braccianti si trovarono imbottigliati tra due fuochi. Su di loro pioveva piombo da un lato e alle loro spalle i colpi dei mitra Beretta, i moschetti e le pistole di almeno due calibri diversi, il 9 e il 7,65.
Centinaia di proiettili… l’indomani l’on. Piscitello porterà alla Camera circa 2,500 kg di bossoli.
Sono colpi precisi, diretti con cura “ad alzo zero”… un ufficiale, per dare l’esempio agli agenti titubanti nel dover sparare a gente disarmata, strappò di mano il moschetto ad un graduato e sparò dritto contro un gruppo di braccianti che tentava di ripararsi dietro un muro.
Paolo Caldarella alzò una mano in segno di resa: un colpo la trapasserà.
Giorgio Garofalo… una fucilata gli forò in otto punti le anse intestinali… si salverà grazie a tre operazioni.
Una fucilata spezzerà il femore ad Antonino Gianò e Sebastiano Agostino fu colpito al petto, poco lontano, da Orazio Agosta.

I moschetti e i mitra colpirono tante persone e anche i colpi di pistole ferirono gravemente Giuseppe Buscemi, Paolo Caldarella, Rosario Migneco e Orazio Di Natale.
Fu una violenza inaudita.. all’Ospedale di Siracusa un agente di polizia, ricoverato per una ferita alla testa provocata da una pietra lanciata da un dimostrante, griderà nel delirio: «Comandante! Comandante! E’ un’infamia... E’ il tiro al bersaglio... Lasci stare la pistola! Così li stiamo ammazzando!».
Due braccianti morti ma poteva essere una strage ancora più grave…
Angelo Sigona, di 25 anni da Cassibile, fu inseguito, braccato tra gli alberi dove cercava di trovare riparo, e fucilato davanti ad un muretto. Raccolto in un lago di sangue da due compagni morirà malgrado due interventi chirurgici, il primo a Noto e il secondo a Siracusa.
Giuseppe Scibilia, 47 anni di Avola, morirà quasi allo stesso modo… inseguito fino a 300 metri dal luogo degli scontri e fucilato al petto. Non si saprà mai se ad ucciderlo sia stato quell’ufficiale visto da tanti (ma da nessuno identificato) mentre gridava ai suoi uomini che gli passassero i caricatori per i suoi appuntati. Forse è proprio quest’ufficiale quel personaggio citato dall’agente in preda al delirio nell’ospedale di Siracusa anche se Orazio Agosta affermò più tardi che “tutti, ma proprio tutti sparavano”.
Scibilia, soccorso dai compagni, dirà: “Lasciatemi riposare un po’ perché sto soffocando”. Verrà trasportato in ospedale su una “500” ma non ci sarà niente da fare… morirà tra atroci sofferenze…
48 feriti è l’elenco ufficiale…. Ma sono cifre non veritiere…
I poliziotti spararono anche contro i serbatoi delle motociclette dei braccianti perché prendessero fuoco per provocare confusione.
Tutta la tragedia durò all’incirca 30 minuti…. Da un lato proiettili… dall’altro pietre..
Da un lato due braccianti uccisi e una decina di feriti gravi… dall’altro tra le forze dell’ordine quattro contusi ed un ferito  cioè quel militare in delirio all’ospedale di Siracusa.




REAZIONI
Grande imbarazzo nel governo dimissionario. La presidenza del Consiglio si lasciò andare ad un commento assurdo che fu sposato dal telegiornale della sera sulla tv di stato: “ legittima reazione di alcuni agenti che trovatisi isolati, di loro iniziativa hanno fatto uso delle armi”…in pochi parole, come sanno fare anche oggi i nostri governanti.. la colpa dell’accaduto ricadeva sui manifestanti..
Si parlò subito di “provocazione” da parte dei dimostranti.. ”Provocazione” un termine espresso dal prefetto, dalla polizia, dalla magistratura e dal governo.. Restivo nel suo discorso pose l’accento sulla “priorità assoluta del mantenimento dell’ordine pubblico”.

FRANCO RESTIVO ED ALDO MORO




I socialisti furono quelli che alzarono maggiormente la voce della protesta  c’era dietro quell’azione della polizia la volontà politica di “dare una lezione ai braccianti, di far pagare loro una lunga vertenza”.
Si chiedono le dimissioni del Ministro degli Interni Franco Restivo ma Aldo Moro è contrario… e qualche minuto dopo le 22 , sempre del 2 dicembre, un piccolo comunicato del Viminale smentisce la prima versione, data anche sul telegiornale della sera, sui fatti… salta il questore di Siracusa Politi che è rimosso da Restivo e collocato a disposizione proprio  “in relazione ai luttuosi fatti di Avola”.
Non vengono citati il vicequestore Camperisi, il prefetto D’Urso  che era un alleato degli agrari e che era stato allertato dal sindaco nell’evitare spregiudicate iniziative.
Leone e Restivo fecero seguire una nota ufficiosa, subito dopo la rimozione del questore per esprimere “il più profondo dolore per l’accaduto” e anche per manifestare “il fermo intendimento di fare piena luce sugli avvenimenti”. La  la luce…. Non verà mai fatta.
Subito dopo l’accaduto si apriprono nuovamente come per magia le trattative tra gli agrari  e i segretari confederali di Cgil, Uil e Cisl a Siracusa. Gli agrari fecero ancora resistenza… ci vollero ben 15 ore per arrivare all’accordo finale: abolizione delle differenze salariali tra le due zone, aumento delle paghe, la rinuncia al mercato delle braccia.


AVOLA - LAGHETTI


Novembre 1970 : Avola

Il giudice istruttore Dionisio Mangiacasale inviò 85 mandati di comparizione ad altrettanti braccianti, per i reati di ‘blocco stradale’, ‘resistenza a pubblico ufficiale’, ‘violenza’, a seguito della repressione poliziesca del 2 dicembre 1968


 “ I VIVI  CHIEDONO  PERDONO  AI MORTI”

“Il sonno della ragione genera mostri”. È una frase del pittore spagnolo Goya che invita ad una riflessione sulla realtà dei nostri tempi (atrocità delle guerre, fenomeni di violenza quotidiana, episodi di corruzione e d’intolleranza, mistificazioni del passato e pericolosi attentati alla memoria storica).
Conservare il valore dell’atto del ricordare non è solo un gesto morale dovuto.. come una formalità ma è un continuo richiamo al senso del rispetto e della responsabilità da parte di tutti. Un paese senza memoria è un paese destinato alla perdizione..  Chi non ricorda la storia”, si legge su un muro di Auschwitz, “è destinato a riviverla”.
Il problema, allora, è la motivazione alla memoria. Non è importante solo l’atto in sé del ricordo e quanto, scolasticamente parlando, ci si rammenta di quel determinato evento del passato, ma fondamentale è il motivo che sta alla base del processo mnemonico. Un processo che pone l’uomo davanti al suo passato in modo consapevole, facendo della storia una maestra di vita. Non è rilevante solo ciò che si ricorda o l’atto del ricordare in sé. L’aspetto fondamentale è il motivo cosciente che porta un uomo a porsi davanti al suo passato e alla storia, cercando di trarre da essa un insegnamento per la vita futura.
Oggi più che mai ricordare è divenuto un imperativo morale da intendersi come premessa per evitare di commettere i medesimi errori, di tornare a vivere nella caverna platonica che preclude la vera conoscenza e impedisce agli uomini di assumersi la responsabilità delle proprie colpe. La caverna platonica è allora, per il mondo moderno, una maschera che nasconde le responsabilità dietro il successo tecnologico ed economico, dietro il benessere materiale, dietro l’ignoranza della propria storia sociale e culturale e che troppo spesso offusca le coscienze e riconduce l’uomo alla falsa quiete dell’oblio.
Primo Levi, vittima dei campi di concentramento nazisti, per primo ci insegna e ci invita a riflettere, o meglio a meditare con la sua arte, affinché non venga dimenticato quello che è stato, perché è necessario che si acquisisca una salda consapevolezza di ciò che di atroce ed assurdo si è commesso, affinché la dignità della memoria storica, prima maestra di vita, non venga sopraffatta, irrimediabilmente, dal sonno della ragione. 
Lasciamo, allora, alla voce del poeta il senso di quest’anamnesi storica perché nessuno, più di chi ha subito le atrocità degli uomini nella propria storia personale, è degno di insegnarci il valore e la conservazione di tale memoria.
«Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tornando la sera / Il cibo caldo e / visi amici: / Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì o per un no. / Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d'inverno. / Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole ./ Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via, / Coricandovi, alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa , / La malattia vi impedisca, / I vostri nati torcano il viso da voi». (Primo Levi “Se questo è un uomo”).

La storia acquista di fatto un ruolo fondamentale nella comprensione degli avvenimenti odierni, un’importanza assolutamente fondamentale che troppo spesso tende ad essere trascurata.
Come afferma Hobsbawm nella sua opera più famosa “Il secolo breve” infatti, “la maggior parte dei giovani è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono”.
Questa totale assenza d’interesse nei confronti del passato è un grave fattore che dovrebbe far riflettere: com’è possibile pensare di costruire un futuro o semplicemente di comprendere il presente se mancano completamente le basi radicate nel passato?
L’importanza del ricordare assume un ruolo essenziale, in primo luogo per rendere omaggio alle  vittime che nel corso dei secoli hanno lottato, combattuto fino all’ultimo sangue per acquisire dei diritti o delle libertà che al mondo attuale appaiono scontate ma che invece portano dentro di sé un enorme carico di sacrificio umano.  È bene ricordare perché ciò non accada più, per non commettere gli stessi errori già fatti in passato che impedirebbero alla nostra società di progredire condannandola ad un regresso irrefrenabile.







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