8 Marzo - Giornata Internazionale Della Donna - Le Donne nell'Arte, nella Cultura, nella Politica,


8 Marzo 2018
“Giornata Internazionale Della Donna”
Un mio piccolo pensiero rivolto alle Donne: “Un piccolo Viaggio nell’Universo Femminile”.
Le donne nella vita quotidiana della propria famiglia, nella cultura, nell’arte, nella fotografia, nella politica con le prime 11 donne elette a Sindaco nel 1946… Storie dimenticate che devono inorgoglire le donne e renderle padroni della propria vita..dei propri sogni.. delle proprie attese.. delle proprie aspirazioni…

SIMONE DE BEAUVOIR
( Parigi, 9 gennaio 1908 – Parigi, 14 aprile 1986) – (Scrittrice, saggista, filosofa).
Fu considerata una dei principali esponenti dell’esistenzialismo e del femminismo di cui è considerata una delle maggiori esponenti anche per le generazioni future.
Studiò alla Sorbona di Parigi dove incontrò il compagno della sua vita, Jean Paul Satre. In prima linea nella Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale e nelle varie tematiche sociali: dall’aborto al ruolo della donna nella società. Per questo suo grande impegno fu anche presidentessa della Lega dei Diritti della Donna.


Uno dei suoi libri più famosi fu “Il Secondo Sesso” del 1949.  Un’analisi dettagliata dell’oppressione del patriarcato nei confronti della donna e diventò il “manifesto” del movimento femminista. La scrittrice si battè nei suoi testi per un aspetto fondamentale: l’integrazione della donna nella società con gli stessi diritti e doveri dell’uomo e quindi riconoscimenti civili, politici e giuridici che, in quel momento, erano di pertinenza degli uomini. Un tema che ancora è aperto è invece relativo all’uguaglianza del salario che ancora oggi non è paritario.
Si tratta di argomenti che all’epoca erano considerati dei veri e propri tabù (aborto, sessualità, prostituzione e maternità). Analizzò il ruolo della donna nella società. Un ruolo che la vedeva subordinata all’uomo, inferiore in ogni suo aspetto. L’obiettivo di Simone fu quello di mostrare alle donne del tempo la brutale realtà della loro condizione e di fare capire alla società l’importanza del ruolo della donna… una donna libera.. non solo madre e moglie ma un essere umano dotato di  indipendenza e di libertà di scelta che sono aspetti fondamentali nel sesso maschile. Malgrado il legame con il grande filosofo, Simone seppe crearsi il suo spazio e illuminarlo di luce propria  per le sue scelte di vita e le sue prese di posizione.. Atteggiamenti che la portarono ad allontanarsi dalla classe borghese del tempo. Girò il mondo prendendo visione delle condizioni nelle donne  nei vari stati e nel 1974 presiederà la Lega dei Diritti delle Donne, ovvero un ‘associazione che s’impegnerà ad informare le donne circa i loro diritti e che l’anno successivo porterà all’istituzione di un tribunale internazionale dei crimini contro le donne. Nello stesso periodo nascerà in Francia l’associazione a difesa della donne, “Choisir”, accusate del reato di aborto. Reato che in Francia fino agli anni Venti, era punibile con la pena capitale.
Fece sentire la sua voce anche attraverso numerose riviste dove parlò della presenza del sessismo in ambienti politici e giornalistici; dei diritti delle donne nubili. Sempre in ambito matrimoniale portò avanti una delle battaglie più dure e importanti nella storia del femminismo cioè il divorzio che era giudicato come un reato penale tanto da essere considerato come un vero e proprio abbandono del tetto coniugale. Una figura importante anche perché ebbe il coraggio di alzare la voce, di farsi sentire e di porre l’accento su questioni che in quel tempo era sgradite.
Quando morì il suo amato compagno la Simone  scrisse la “Cerimonia degli addii” (La Cèrèmonie des adieux”).

Simone De Beauvoir con il marito Jean Paul Satre



La scrittrice si descriveva:
« Di me sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza, un'eccentrica. [...] Ho abitudini dissolute; una comunista raccontava, nel '45, che a Rouen da giovane mi aveva vista ballare nuda su delle botti; ho praticato con assiduità tutti i vizi, la mia vita è un continuo carnevale, ecc.
Con i tacchi bassi, i capelli tirati, somiglio ad una patronessa, ad un'istitutrice (nel senso peggiorativo che la destra dà a questa parola), ad un caposquadra dei boy-scout. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. [...] Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. [...] L'essenziale è presentarmi come un'anormale. [...]
Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. È una vita che ne vale un'altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente. »
(S. de Beauvoir, La forza delle cose, pag. 614)



« La donna? è semplicissimo - dice chi ama le formule semplici: è una matrice, un'ovaia; è una femmina: ciò basta a definirla. In bocca all'uomo, la parola "femmina" suona come un insulto; eppure l'uomo non si vergogna della propria animalità, anzi è orgoglioso se si dice di lui: "È un maschio! »



LUCREZIA  MARINELLI
Il suo vero nome era Lucrezia Marinella Vacca
(Venezia 1571 – Venezia 1653) - Poetessa e scrittrice




Famosa per le sue opere liriche in chiave mitologica, eroica  (Colomba sacra, L’Enrico, Bisanzio Acquistato) ed agiografica (Vita di Maria Vergine Imperatrice dell’Universo). La sua celebrità fu anche legata al clamore suscitato nel rilevare la posizione della donna nei suoi tempi.



La sua posizione nella “La querelle des femmes” coinvolse in aspri dibattiti i maggiori esponenti letterali europei del tardo medioevo fino al Settecento. La sua opera, “La Nobiltà et l’eccellenza delle donne co’difetti et mancamenti de gli uomini” fu una risposta allo scrittore Giuseppe Passi, autore “Dei  donneschi difetti” pubblicato nel 1599. Il testo fu scritto in prosa e diviso in due parti: una riservata all’elogio delle donne e l’altra alla critica dei difetti degli uomini. Opera che fu pubblicata a Venezia nel 1660 presso Giovanni Battista Ciotti ed ebbe due riedizioni nel 1601 e nel 1621.


PROPERZIA DE’ ROSSI
(1490 CIRCA – 1530) - Scultrice ed intagliatrice di gemme

Ritratto di Properzia de' Rossi, dalle Vite del Vasari



Annunciazione di Properzia de' Rossi, Museo Civico Medievale di Bologna

Figlia di un notaio sviluppò la sua vena artistica nello studio dell’incisore bolognese Marcantonio Raimondi. Nel 1525 eseguì dei lavori per la Basilica di San Petronio. Il Vasari fu affascinato dalla grande vena artistica della donna che ldefinì “femmina scultorea” inserendola nelle sua “Vite” (Le vite dei più importanti pittori, scultori scritte dal pittore Giorgio Vasari) nel quale le dedicò un grande elogio: "Properzia de’ Rossi da Bologna, giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa, come l’altre, ma in infinite scienzie, che non che le donne, ma tutti gli uomini l’ebbero invidia."
Fu il Vasari che riportò il dolore di Properzia per l’amore non corrisposto con Antonio Galeazzo Malvasia, un giovane bolognese e forse collega nell’arte. Il sentimento di rancore della fanciulla fu colmato dedicandosi all’arte con la creazione del capolavoro scultoreo “Giuseppe e la moglie di Putifarre”.
Scrisse il Vasari :  "Ella finì, con grandissima maraviglia di tutta Bologna, un leggiadrissimo quadro (si tratta in realtà di un bassorilievo marmoreo), dove (perciocché in quel tempo la misera donna era innamoratissima d'un bel giovane, il quale pareva che poco di lei si curasse) fece la moglie del maestro di casa del Faraone, che innamoratasi di Iosep, quasi disperata del tanto pregarlo, a l'ultimo gli toglie la veste d'attorno con una donnesca grazia e più che mirabile. Fu questa opera da tutti riputata bellissima et a lei di gran soddisfazione, parendole con questa figura del Vecchio Testamento avere isfogato in parte l'ardentissima sua passione."
Presso l’archivio criminale di Bologna  è conservato un atto processuale  per incriminazione “per turbato possesso” presentata da Francesco da Milano. Properzia figura come concubina di Antonio Galeazzo che avrebbe agevolato, secondo gli storici, l’inserimento della donna nel cantiere della Basilica di San Petronio.
L’atto processuale sarebbe datato 1520 e cita in giudizio Properzia per aver danneggiato la proprietà di un vicino e nel 1525 altro procedimento giudiziario per aver graffiato la faccia al pittore Vincenzo Miola. Testimone d’accusa in quest’ultimo procedimento giudiziario era il collega Amico Aspertini.  Probabilmente il Miola e l’Aspertini erano d’accordo per stroncare la carriera della pericolosa e bella rivale. Sotto la supervisione del Tribolo eseguì numerosi lavori artistici come il bassorilievo del Conte Guido Pepoli, alcuni capitelli nel Palazzo Salina – Amerini  e intagli nel cortile di Palazzo Grassi, tutti a Bologna.
Morì di peste nel 1530, alla probabile età di 39 anni e Vasari riportò la delusione del papa Clemente VII, che trovandosi a Bologna per incoronare Carlo V, sarebbe stato felice di incontrare la famosa scultrice e fu profondamente addolorato della sua scomparsa.


La scena “Giuseppe e la moglie di Putifarre”è inserita in uno spazio angusto ma simmetrico. La moglie di Putifarre assume il ruolo di assoluta protagonista, mentre Giuseppe viene relegato al margine sinistro, in posizione defilata. Con una presa possente, di stampo michelangiolesco, l’effigiata si protende verso l’amato e ne afferra la veste: lo sguardo risoluto e le braccia muscolose tradiscono una profonda consapevolezza di sé, la volontà di decidere in modo autonomo della propria esistenza.
Il suo fisico robusto stride con quello più esile, palesemente raffaellesco, di Giuseppe, ma non per questo perde in termini di sensualità: l’impalpabile camicia lascia scoperto con istintiva naturalezza il seno, conferendo alla composizione una nota erotica tutt’altro che implicita. Voluttà, intraprendenza ed impeto convivono nel suo animo così come nell’animo di Properzia”.


Julia Margaret Cameron

(Garden Reach – Calcutta – 1815;  Cylon 1879) - fotografa


Julia Margaret Pattle nel 1938 sposò Charles Hay Cameron, un legislatore e uomo d’affari che risiedeva spesso a Cylon. Era vent’anni più gradi di lei e vedovo. Dal matrimonio nacquero sei figli e altrettanti ne adotteranno. Il marito era sempre in viaggio e Julie soffriva di nostalgia, di malinconia, pur vivendo in Inghilterra e frequentando intellettuali e scienziati del tempo. La figlia maggiore Julia gli regalò un apparecchio fotografico per suscitare nella madre la nascita di un hobby in grado di farle superare la malinconia. La fotografia si stava evolvendo e si era sostituito il negativo su lastra di vetro con emulsione al collodio.  L’arte della fotografia aveva ancora un aspetto artigianale e i fotografi erano generalmente uomini e lavoravano su commissioni di un cliente o con la prospettiva di proporre commercialmente i loro prodotti. (in genere ritratti, paesaggi, popoli, anche se qualche fotografo si avventurava in riprese lontane nei campi di guerra.

(La foto di Miss Keene - opera della Cameron)

La Cameron fu entusiasta del regalo.. incominciò a fare fotografie… diventò una passione senza interessi economici… fotografa per fare vedere le sue foto ai parenti e agli amici. Ben presto creò il suo laboratorio fotografico.. un ex pollaio.. sarà il suo Glass House.Dopo vari tentativi riuscì a realizzare la sua prima fotografia (dalla preparazione della lastra, alla posa, allo scatto, lo sviluppo e la stampa.. era il ritratto di Annie ovvero di una bambina.
Si dedicò ai ritratti che erano interpretati secondo il suo modo d’essere. I suoi soggetti preferiti erano i bambini e gli adolescenti.  Su di loro adattava drappi, pose, ali, coroncine in modo da creare un idealizzazione dell’infanzia e dell’innocenza. Lewis Carrol,  importante fotoamatore del tempo apprezzò alcune sue foto.


Le fanciulle della Cameron avevano un aspetto pensoso, erano avvolte da sogni secondo un modello romantico. Ma l’aspetto che fece grande la Cameron fu la tecnica fotografica. Le sue fotografie erano sfuocate di proposito, ombrose, poco delineate e spesso ovali. Questi aspetti furono criticati dai fotografi del tempo e valutati come errori tecnici dovuti alla scarsa padronanza del mezzo anche se venne apprezzata qualche composizione.


La Cameron rispose alle critiche con sincerità spiegando le motivazioni di quegli scatti. Non si limitava a riprodurre il reale ma lo interpretava come appariva al suo animo e alla sua mente. Secondo lei la fotografia doveva allontanarsi dall’aspetto di semplice riproduzione meccanica  e il fotografo doveva avere la libertà di interpretare e creare, secondo la sua emotività, la propria visione del mondo circostante. Nasceva con la Cameron la ricerca artistica della foto ed è sorprendente che sia una donna quando si pensava, a causa dei laboriosi e difficili procedimenti fotografici, che mai una donna sarebbe stata fotografa. Le sue fotografie diventeranno ben presto famose ed esposte nelle mostre d’arte.
Sarà la prima donna ammessa alla Royal Photographic Society e questo le permetterà di confrontarsi con gli altri fotografi, primo tra tutti Rejlander. Le sue opere sono oggi conservate a Dimbola Lodge nell’isola di Wight, la tenuta in cui visse e che oggi è un museo a lei dedicato, ma anche nelle più importanti collezioni pubbliche.

(Charles Darwin - fotografia della Cameron)

Edmonia Lewis
(Rensselaer – New York, 4 luglio 1844; Londra, 17 settembre 1907) – Scultrice americana


Il padre era di origini afro- haitiane mentre la madre apparteneva a uno dei più grandi popolo nativi del Nord America, Mississauga Ojibwe, ora Canada. Rimase orfana in giovane età e andò a vivere con le zie materne. All’età di 15 anni si iscrisse all’Oberlin College dove fu affascinata dall’arte. I suoi studi nel centro furono costellati da continui atti di discriminazione nonostante l'Oberlin’ College sia stato il primo centro ad ammettere agli studi studenti afro-americani.
Finiti gli studi si trasferì a Boston per intraprendere la carriera artistica di scultrice.
Dopo la sua permanenza a Oberlin, si trasferì a Boston nel 1864, dove cercò di intraprendere la carriera di scultore.  A Boston ulteriori dispiaceri per i numerosi rifiuti fino a quando incontrò un grande scultore del periodo, Edward A. Brackett.Dopo aver ricevuto vari rifiuti, incontrò Edward A. Brackett. Con Bracketti lavorò fino al 1864uno scultore i cui clienti includevano alcuni dei più famosi abolizionisti dell'epoca. Lewis lavorò con Brackett fino al 1864.  Con il suo lavoro rese omaggio agli eroi della Guerra Civile.
Il successo la portò a Roma dove aprì uno studio artistico e si unì ad artisti che erano espatriati dall’America. Iniziò a scolpire sul marmo ispirandosi al naturalismo e con temi relativi agli afro-americani e al popolo di sua madre. Nel 1876 partecipò alla “Centennial Exposition” di Philadelphia, creando un pezzo scultoreo di circa 1400 kg che intitolò la “Morte di Cleopatra”.


Fu la prima donna afro-americana a raggiungere la fama e un grande riconoscimento interzionale come scultore nel mondo delle arti. Nel XIX secolo fu l’unica donna che ottenne un riconoscimento nel movimento artistico degli Stati Uniti.nel 2002 è stata collocata dal prof. Molefi Kete Asente nella lista dei 100  più importanti afroamericani. Nel 1864 Edmonia Lewis scrisse:  "Non c'è nulla di così bello come la foresta libera: prendi un pesce quando hai fame, taglia i rami di un albero, fai un fuoco per arrostirlo e mangiarlo all'aperto, è il più grande di tutti i lussi. rinchiuso nelle città, se non fosse per la mia passione per l'arte ".


Lina Poletti
Nata a Ravenna il 27 agosto 1885. I suoi genitori erano degli artigiani di ceramiche , Francesco Poletti e Rosina Donati, ed abitavano in via Rattazzi nei pressi di Piazza del Popolo. Fu una delle figure più originali della letteratura del Novecento anche per il coraggio dimostrato nel suo impegno culturale. Si può considerare come l’ispiratrice della liberazione sessuale e omosessuale in Italia perché si battè a lungo per la liberazione delle donne e per l’emancipazione dai vincoli giuridici che relegavano le donne in una posizione subalterna.




 Presso l’Archivio Aleramo della Fondazione Gramsci di Roma sono conservate le lettere e i diari, che furono riuniti nelle “lettere d’Amore di Sibilla Aleramo”. In queste lettere e diari è raccontata l’appassionata relazione tra le due scrittrici, un esperienza vissuta tra il 1909 e il 1910.
La famosa storia d’amore con Sibilla Aleramo iniziò durante il Congresso delle Donne che si tenne a Roma nell’arile del 1908. In quel congresso, che segnò il riconoscimento ufficiale del movimento delle donne, erano presenti le principali femministe italiane tra cui Anna Kuliscioff.  Il congresso fu imperniato sulla richiesta del suffragio, sul riconoscimento della personalità della donna nel diritto di famiglia e nei reati di violenza sessuale. Naturalmente nel congresso erano presenti intellettuali, donne borghesi, nobildonne.  Tra le donne intellettuali c’era Sibilla Aleramo che due anni prima aveva pubblicato un romanzo che allora fece scalpore: Una Donna (Torino, 1906). Nel romanzo il matrimonio della donna con il suo stupratore. Un matrimonio a cui fu costretta dalla sua famiglia. Una ricca storia d’amore vissuta con azioni e accenti appassionati da entrambe le parti che si scontrò con l’impossibilità da parte delle due donne di vivere in modo duraturo la relazione. Una sfida continua per un amore diverso vissuto anche intellettualmente. Una situazione difficile per le donne che avevano vicino a loro due uomini straordinari per ingegno, moralità e a favore del movimento femminile:  Giovanni Cena, poeta torinese, compagno e convivente di Sibilla e Santi Muratori che nel 1911 si sposò con Lina Cordula Poletti ( solo raramente vissero insieme). Muratori era direttore della Fondazione Biblioteca Classense fino al 1944 e morì nella sua biblioteca sotto i bombardamenti. I rapporti tra queste quattro persone rappresentarono il tentativo più nobile di rinnovare i rapporti uomo-donna nel difficile contesto culturale dell’Italia di Giolitti. Con l’amica Sibilla, Lina Cordula Poletti si rese protagonista di vaie attività suffragiste e filantropiche tra cui quelle nelle scuole dell’Agro romano e pontino. Una esperienza importante che portava l’istruzione nelle campagne dove abitavano contadini guitti (persone che vivono in condizioni di miseria e cercando di superare le difficoltà con espedienti vari e senza alcun decoro o dignità) e analfabeti. Contadini affetti spesso dalla malaria e costretti a subire condizioni di lavoro schiavistiche. Le due donne parteciparono anche alle iniziative di soccorso alle popolazioni colpite dal catastrofico terremoto che colpì la Sicilia e la Calabria nel 1908.


Il rapporto tra le due donne si concluse nel 1919 quando la Poletti incontrò Eleonora Duse. Iniziò a scrivere  un lavoro “l’Arianna” che avrebbe dovuto ricondurre la Duse al teatro. Viveva con l’attrice ad Arcetri, nella villa Bartolini e poi a Venezia, Ca’ Frollo, dove cominciarono a  frequentare grandi persone della cultura. Nella coppia c’erano dei frequenti disaccordi. La rappresentazione dell’Arianna non si fece e ci fu tra le due donne uno serie di procedure legali per la restituzione dei manoscritti disprezzati.. con questi litigi giudiziari finì amaramente la storia tra Lina Poletti ed Eleonora Duse. Dopo la fine della relazione con la Duse scrisse diverse opere: “Poemetto della Guerra” (un’opera epica di stile dannunziano); “La Celebrazione ravennate di Giovanni Pascoli” saggio sulla portata innovativa del linguaggio poetico del Pascoli; due memorabili “Lecturae dantis (“Il XXXIII Canto del Paradiso letto nella Sala di Dante in Ravenna.. il 9 maggio 1920 ..e Stazio nella Divina Commedia- Entrambe stampate a Ravenna nel 1934).

Un’unione più stabile e durate fu quella con Eugenia Rasponi, sua concittadina. Si trasferì presso la Rocca di sant’Arcangelo di Romagna, dove la Rispoli lavorava come imprenditrice. Qui scrisse una romantica raccolta poetica “Il Cipressetto della Rocca a Sant’Arcangelo di Romagna”. La Rispoli lavorava come disegnatrice in una fabbrica di mobili e quando la stessa fabbrica chiuse la sua attività, la Poletti scrisse un opuscolo indignato, di rabbia “Ancora un cero che si spegne”. La coppia si trasferì a Roma, in via Morgagni, dove cominciarono a frequentare circoli filosofici. Queste assidua frequentazione attirò i sospetti del regime e, come risulta dagli atti della Polizia, la loro casa fu più volte visitata dalle autorità proposte al controllo ed alla censura. Sembra che la Rispoli e la Poletti abbiano organizzato dei seminari guidati dal filosofo  Jddu Krishnamurti che era noto per le sue idee antifasciste e che ebbe il merito di divulgare per primo il buddismo in Italia.
Seguirono altre frequentazioni, frequenti viaggi in Europa ed Oriente e le ultime riflessioni davanti alla spiaggia di Sanremo dopo la separazione dalla sua amata compagna Rispoli che era morì due anni prima di lei. Sembra che la Poletti negli ultimi anni della sua vita stesse lavorando su un importantissimo libro di antropologia culturale sulle origini e fini comuni dei popoli dell’area mediterranea. Un opera che probabilmente non fu mai portata a termine. Morì a Sanremo il 12 dicembre 1971.


Tra i suoi ricordi una lettera che scrisse al marito Santi: «Io non potrei che tentare ostinatamente di persuaderti che lo scopo della vita, la ragione per cui siamo quaggiù, non è quello d’imprigionarci dentro un bozzolo sempre più fitto di serici fili d’illusione, sieno pure esse generose e nobili verso le cose e gli uomini, passati, presenti e futuri. L’unica cosa che conta, o Marta incorreggibile dalle centomila faccende, è “perdere la propria vita”: non adoperasti proprio tu questo verbo “perduta” con ignaro rimpianto, a mio riguardo, come se fosse stato da deplorare che non avessi anch’io fatto l’uso che tutti fanno delle facoltà che ho sortite di natura? Io, vedi, mi struggo di non avere ancora totalmente saputo perdere la vita, e il mio lavoro di ogni ora non mira ad altro. Anche in Grecia sono andata a raccogliere l’enunciazione filosofica della medesima sapienza nazarena» (Cenni, 2011, p. 222).

Sibilla Aleramo
(Alessandria, 14 agosto 1876; Roma, 13 gennaio 1960)
 Pubblicazione “Una donna”


Nel novembre 1906, presso l’editore “Sten” di Torino, dopo il rifiuto di Treves e di Baldini e Castoldi) uscì  la pubblicazione “Una Donna” che era stata composta tra il 1901 e il 1902.
Di cosa trattava ? Valore sociale della maternità, legislazione più adeguata ad una madre moderna, la dipendenza economica nel matrimonio, la prostituzione dell’anima e del corpo, il diritto alla felicità.
Il libro fu un grandissimo successo. Ci furono anche delle clamorose polemiche per il suo contenuto femminista sarà recensito dai maggiori giornali italiani. Anche Pirandello, sulla Gazzetta del Popolo esaminò la pubblicazione dando un giudizio entusiastico. Venne in seguito tradotto e pubblicato nei paesi europei e negli Stati Uniti. Alcuni femministe furono contrarie alla pubblicazione. Il libro mise in evidenza la questione della felicità della donna in una società patriarcale. In particolare in Francia, il giudizio  estremamente favorevole che ne diede Anatole France, contribuì a rendere “Una Donna” una sorta di “Bibbia” del femminismo, insieme a “Casa di bambola” di Ibsen.    



Lina Caico
nacque il 6 giugno 1883 a Bordighera e fu la primogenita di Eugenio Caico e Luouise Hamilton autrice del libro “Vicende e Costumi siciliani di Montedoro”  in Sicilia in prov. di Caltanissetta.



Montedoro - Cava di Zolfo



Lina s’inventò, nel piccolo centro della provincia di Caltanissetta una rivista itinerante “La Lucciola”.  Era una rivista scritta a mano che raggiungeva le varie corrispondenti per l’Italia come in una lunga catena di Sant’Antonio. Nella rivista si parlava di politica, di arte, di letteratura ma anche dei fatti di vita quotidiana. C’erano altre riviste simili in Europa: “Firefly” in Inghilterra. “Parva Favilla” in Germania e “Mouche volante in Francia. In Italia erano presenti riviste che erano però a stampa come “Voci Amiche”, “Rivista per signorine” e “Prima lux”. Riviste  che erano espressioni della borghesia femminile e che comunque ebbero una breve vita. “Lucciola” non era stampata ma manoscritta.. la rivista partiva da Montedoro e raggiungeva le varie corrispondenti, tutte donne nei vari luoghi d’Italia per mezzo dei treni regi e delle carrozze. Nel giro due, tre mesi raggiungeva tante località sparse nel territorio nazionale (Napoli, Firenze, l’Aquila, Modena, Venezia, Verona, Como ecc…). La rivista vagherà per l’Italia dal 1908 al 1926 quando si finì la pubblicazione. La copertina del fascicolo era lavorata a mano e il fascicolo veniva iniziato nella sua stesura dalla direttrice del momento.. quindi raggiungeva la varie corrispondenti che nel volgere di un paio di giorni, pena una multa, dovevano annotare le loro osservazioni, esprimere le proprie sensazioni, parlare dei problemi della donna o  di politica, di vita in genere. Si ponevano anche delle domande che avrebbero avuto delle risposte nei numeri successivi (in viaggio c’erano già altri fascicoli). Si inserivano anche delle fotografie e racconti… il fascicolo veniva spedito al destinatario più vicino che faceva altrettanto fino a completare il giro e tornare a Montedoro.


Così per 18 anni, questa rivista in unico esemplare per numero e scritta a mano, vagò carico di sentimenti, di preoccupazioni, di ansie, per le strade italiane, sfidando persino gli anni della guerra, per giungere miracolosamente a noi per puro caso, per merito di Gina Frigerio di Milano, l'ultima direttrice a conservare diligentemente tutta la raccolta. Le corrispondenti, che si alternavano nella direzione della rivista, si firmavano con uno pseudonimo, com'era uso del tempo. L'intento iniziale era che la rivista si occupasse solo di vicende private, ma fu inevitabile che le argomentazioni si spostassero verso la politica, la letteratura, e verso i fatti contingenti dell'epoca, molto agitata dalla guerra del 1915 '18 e dalle conquiste coloniali. Il fascicolo era impaginato dalla direttrice, con dipinti, disegni, foto, copertine e frontespizi, propri o delle corrispondenti. Il contenuto della prima parte era essenzialmente letterario, con racconti, poesie, diari, descrizione di gite e conferenze. Oggi, nell'era del computer e di Internet, questo reperto quasi archeologico, appare come un'eredità prodigiosa. I fili delle esistenze di queste lucciole si annodano tra loro, e si vede la vita scorrere pagina dopo pagina. La crescita personale s'intreccia con gli avvenimenti collettivi in un gioco di interferenze. Così le dolorose attualità della grande guerra traspaiono nelle cronache della rivista, con le sofferenze delle famiglie, il dolore per i morti. Nel 1911 l'Italia parte per la conquista della Libia, e fra le lucciole serpeggiano fermenti di entusiasmo colonialista: Giulia cita versi di D'Annunzio, Lanternino scrive un lungo reportage sulla visita alle tombe dei caduti di Sciara Sciat. Negli anni successivi cresce il fermento intorno alle terre irredente di Trento e Trieste, e Pia, che è triestina, si esprime con toni entusiastici perché fautrice dell'unione all'Italia di quelle terre. A distanza di 80 anni, leggendo ed analizzando il contenuto della rivista, le sorelle Lina e Letizia Caico risultano le più colte, intraprendenti ed evolute del gruppo. L'educazione in Inghilterra e la religione protestante (poi si convertiranno al cattolicesimo) le rendono più libere nei giudizi, e capaci di guardare con occhio critico alle tante convenzioni che le circondano in Italia. Lina ricorda una pagina di un giovanissimo caduto, Manfredi Lanza di Trabia. La guerra è un'apocalisse che annuncia la palingenesi, ma anche una malattia che, se non mortale, si risolve con la rinnovata salute del corpo. In queste opinioni c'è il senso fatalistico e religioso di chi cerca una visione provvidenziale anche nelle catastrofi, ma in questo esprime la forza e l'energia della volontà di vivere. Lina era pervasa da una serietà profonda ed un grande senso religioso della vita, un'alta idea della dignità femminile, senza scadere nel bigottismo. E sappiano che la sorte mise a dura prova il coraggio che si rispecchia nelle sue parole. Lina morirà nel 1951, inferma ed in ristrettezze economiche, accudita dalla "lucciola" Licia (Maura Mangione di Palermo), nella casa di Montedoro. Vfs (Laura Frigerio), le manderà una carrozzina per invalidi. Finito il sodalizio, Nunziatina scriverà nel suo congedo: «Le varie grafie erano come altrettante voci».
Sulla straordinaria avventura di questa rivista, Paola Azzolini e Daniela Brunelli qualche anno addietro hanno pubblicato un ponderoso volume “Leggere le voci, storia di Lucciola rivista manoscritta al femminile”, di cui Natalia Aspesi ha scritto una bella recensione per “la Repubblica” del 12 gennaio 2008.
Letizia Caico, sorella di Lina, su Giannetta

Da questa recensione riporto  i brani che seguono integralmente perché riescono a dare il reale aspetto di questa importante rivista e delle sue collaboratrici tra cui Lina Caico.. una figura sconosciuta agli stessi siciliani:
“Lucciola viaggiava in tutta Italia, custodita in uno scatolone e affidata alle Regie Poste, viaggiava da Irmina a Lorelay, da Fulvetta a Sakuntala, da Rosa Sfogliata a Bluette, collegando tra loro signorine di buona famiglia agli inizi tra i 15 e i 18 anni, che per uscire dal silenzio domestico si occultavano dietro uno pseudonimo: era quello il modo più spiccio e indolore che consentiva alle donne meno sfacciate di esprimere quella cultura che in società era meglio nascondere, quello scontento che non doveva apparire, quell' indipendenza di giudizio che si avvicinava al peccato e alla trasgressione. Lucciola sostava a Milano e a Serravalle Scrivia, a Torino e a Termini Imerese, a Palermo e a San Giovanni Lupatolo, a Napoli e a Acquanegra cremonese. Sostava e doveva ripartire, entro al massimo 48 ore, pena la multa o la cancellazione come socie. In anni invasi da riviste femminili […], Lucciola era una aristocratica eccezione, una nobile stravaganza, l' esperienza di un circolo chiuso ed elitario, del resto mai più ripetuta: una impresa giornalistica che dal 1908 al 1926, con un paio di interruzioni, produsse un fascicolo mensile in unico prezioso esemplare di almeno 300 pagine, per di più completamente manoscritto, cucito a mano dalla direttrice del momento, con copertine di seta, velluto, paglia intrecciata, illustrato da disegni, dipinti, ricami, lavori all' uncinetto, fotografie, eseguiti dalle sue stesse lettrici-corrispondenti (e da qualche ardito collaboratore maschio, che si dava soprannomi come Dandy, Daisy, Paggio Fernando, Lucciola Forense). […] «L'essere manoscritto fa senso ai nostri occhi moderni, così abituati alla stampa, ma a lungo andare ci si affeziona a vedere ogni lavoro colla scrittura dell'autrice; le diverse scritture ci danno un pò l'impressione di sentire la voce, di vedere l' espressione di ciascuna autrice». Così la fondatrice di Lucciola spiegava la sua insolita se non bizzarra iniziativa: era allora, nel 1908, una ragazza di 25 anni piccina piccina, dall'aria fragile e dai grandi occhi neri, si chiamava Lina Caico e viveva a Montedoro, uno sperduto borgo in provincia di Caltanissetta. […] L'Italia abbondava allora di giovani donne come le “lucciole” […] che, tra racconti, poesie, reportage, discutevano con la loro scrittura educata e spesso febbrile, dei temi sociali, poi anche politici, che più riguardavano la condizione femminile. Per esempio della minorità giuridica delle donne, di pacifismo e interventismo, di emancipazione e femminismo, del diritto al voto, del rapporto tra i sessi, del matrimonio spesso vissuto come inevitabile schiavitù. […] Il lungo viaggio di Lucciola dura fino al 1926, quando viene interrotto dalla politica: ci sono le lucciole che si infiammano per il fascismo e quelle che simpatizzano per il socialismo. Il dibattito sui temi politici si fa via via sempre più furente. Una Lucciola, Rosa Sfogliata, nel 1922, imitando la virile retorica littoria scrive: «Nel balenio policromo dei nostri gagliardetti riaffermiamo la nostra incrollabile fede fascista. Da ogni lato la canea antifascista abbaia contro di noi: Fascisti in piedi! Sia saldo l' animo e fermo il polso come fu nelle battaglie atroci del Carso». Pacata, Lina le risponde di non essere fascista, e neppure socialista, ma di non credere che il fascismo «possa farci fare un passo verso un' era di prosperità vera, un' era di giustizia sociale, di pace fra le nazioni...». La Festa del 1º Maggio è stata abolita e Lina confessa che quella data le piaceva, «era la festa dell' avvenire, di quando non ci saranno più ingiustizie sociali e prepotenze nazionali»”.
Il fascismo divise non solo il Paese, ma anche le “lucciole” che, non potendo più condividere gli stessi spazi culturali e ideali, ruppero un sodalizio giornalistico, ma soprattutto umano, che durava da diciotto anni, e decisero di andare ciascuna per la propria strada.

Montedoro (CL) - Museo dello Zolfo

MARGARET FOUNTAINE




Nel 1940 un'anziana signora fu trovata in fin di vita sul ciglio di una strada presso il monte St. Benedict, nell'isola di Trinidad, Indie Occidentali. Aveva accanto a sé un retino. Sembrava aver avuto un attacco di cuore e venne soccorsa che era ancora cosciente, ma morì poco dopo. Era Margaret Fountaine, cacciatrice di farfalle. Molti anni prima, nel 1889, la giovane Margaret aveva deciso di dedicarsi allo studio delle farfalle, una passione nata come semplice passatempo e che era divenuta la sua principale occupazione. Aveva anche rifiutato l'istituzione del matrimonio, non accettando compromessi. La sua ricerca la portò in Africa, in Australia e in Cina. Conobbe il mondo agli inizi del Novecento servendosi di treni e piroscafi, viaggiò in bicicletta e a dorso di mulo, affrontò le febbri tropicali, dormì in capanne di fango. Per mantenersi si ritrovò ad abbattere alberi in una fattoria australiana, visse negli Stati Uniti e si entusiasmò per Los Angeles e la nascente città del cinema, Hollywood. Esplorò i grandi fiumi sudamericani, si smarrì nella giungla africana. I diari qui riuniti, rivelati al pubblico solo nel 1978 come richiesto dalla stessa Fountaine nel suo testamento ("cento anni dopo il giorno esatto in cui ho iniziato a scriverli"), ci raccontano la vita avventurosa di questa donna spregiudicata e audace, ammirata non solo dalla comunità scientifica, ma anche dal movimento per l'emancipazione femminile, che riconobbe nelle sue gesta lo spirito di una donna libera. Fu anche in Sicilia, a Messina, dove passò momenti indimenticabili.


Margaret Fountaine in America


I Disegni di Margaret Fountaine


LE PRIME DONNE SINDACO
Le donne acquisito il diritto al voto, votorano per la prima volta nella primavera del 1946 per le elezioni comunali. I partiti si fronteggiavano sia su problemi interni che su quesiti di estrema importanza. Uno dei problemi di maggiore importanza era quello che fare svolgere prima le elezioni amministrative o la votazione sulla Costituente e sul referendum. E ncora elezioni parziali o generali ?
I pariti decisero alla fine di mettere alla prova l’elettorato con le amministrative… il motivo ?   avere la possibilità di giudicare il voto amministrativo ed eventualmente attuare delle contromisure nelle importanzioni elezioni politiche e soprattutto sul referendum tra monarchia o repubblica. Ci fu anche un aspetto importante nelle elezioni amministrative: furono spezzettate si temevano influenze delle destre monarchiche sulle realtà urbane del sud che potevano avere effetti psicologici sulla scelta della forma di governo del paese
Nella primavera del 1946, tra marzo ed aprile, si votò in cinque domeniche successive per il rinnovo di 5.722 comuni: 10 marzo (436 comuni), 17 marzo (1.033 comuni), 24 marzo (1.469 comuni), 31 marzo (1.560 comuni) e 7 aprile (1.224 comuni). Altri 1.383 comuni, tra cui i più popolosi del meridione, andarono al voto in autunno in altre otto tornate elettorali: il 6, 13, 20 e 27 ottobre ed il 3, 10, 17 e 24 novembre. Nel frattempo si era svolto il referendum costituzionale sulla forma di governo e la repubblica  aveva vinto malgrado dal Lazio alle isole la popolazione si era espressa a favore della monarchia.
Come più volte accennato le elezioni della primavera del 1946 videro votare per la prima volta le donne che costituivano ben il 53% dell’elettorato e quindi una forza maggioritaria dell’elettorato. C’era una grande preoccupazione tra i portiti politici per diversi motivi:
-          La sinistra temeva un influenza della chiesa sul voto espresso dalle donne;
-          La Dc guardava, e questo da sempre, il voto delle donne come una minaccia ai valori tradizionali e di unità della famiglia;
-          I partiti minori avevano paura sul voto espresso dalle donne perché temevano scelte indirizzate verso i partiti maggiori.
Nelle elezioni singolari episodi che dovrebbero fare riflettere a distanza di tempo . In un piccolo comune della Calabria, Zaccanopoli, oggi in provincia di Vibo Valentia con 750 abitanti (allora ne contava circa 1.2009 si ebbe l’astensione al voto delle donne. Il prefetto di Catanzaro scrisse che: «… le donne hanno ritenuto d’intesa con i loro uomini, che l’esercizio del diritto di voto potesse apparire come una manifestazione di immodestia e di esibizionismo. I Capi dei partiti locali hanno ora promesso che per le elezioni politiche svolgeranno ogni propaganda perché le donne acquistino la coscienza dei loro diritti politici e la necessità di esercitarla …».
Ma la Calabria ebbe anche un primato… due donne elette sindaco  tra cui Caterina Tufarelli Palumbo che a soli 24 anni fu eletta sindaco dal Consiglio Comunale di San Sosti (prima donna sindaco eletta in Italia) e Lydia Toraldo Serra a Tropea.
Secondo ricerche ci sarebbe un’altra donna eletta sindaco in quel periodo nel Comune di San Pietro in Amantea sempre nel marzo del 1946: la maestra Ines Nervi in Carratelli.
Un ben primato per la bella regione Calabria dagli aspetti storici, naturalisti, folcloristici di grande valenza. Ma la storia ha preso purtroppo un’altra strada. Quelle donne sono da esempio e la loro storia sì è ormai persa se non nelle popolazioni locali.. e questo è un aspetto ulteriore di uno scollamento tra società e politica.
«Con tre sindache su undici la nostra regione diventa la prima in assoluto di questa particolare graduatoria e mostra un volto finora sconosciuto, positivo, se si considera che in quell’elenco sono assenti regioni come Toscana, Piemonte, Liguria. C’è da capire come mai nel prosieguo della vita politica della nostra regione il ruolo delle donne sia diventato così minoritario. Le vicende di queste donne tenaci, sindache in un periodo certamente tra i più difficili e drammatici della storia del Paese, testimoniano che non c’è nulla di inevitabile in ciò che accade, nei destini delle comunità. Mi auguro adesso che la Commissione pari opportunità della Regione tragga spunto da queste belle storie per valorizzarne ulteriormente il profilo storico e politico e indicarle come testimonianza di una Calabria che non ha solo il volto negativo delle emergenze».

Ninetta Bartoli fu eletta sinsaco del comune di Borutta, a circa 30 km da Sassari, nelle elezioni amministrative del 10 marzo 1946 con un plebiscito dell’89% dell’elettorato.


Era nata a Borutta (un piccolo paese di 600 abitanti) il 24 settembre1896. Di famiglia benestante, viene mandata in colegio a sassari presso l’Istituto Figlie di Maria. Ninetta evidenziò subito il suo carattere cristinao… odia lòe arti “femminili” .. vorrebbe agire fare qualcosa e aiuita un frate missionario impegnandosi in parrocchia. Deciderà di non sopsarsi e sarà questa la promessa della sua vita perché si dedicherà agli altri. Dopo la guerra diventò segretario dela locale sezione della Democrazia Cristiana. La sua candidatura a sindaco fu appoggiata in particolare dalla famiglia Segni. 


In due “consiliature” realizzò in 12 anni tutta una serie di opere importantisssime che oggi si potrebbero definire “grandi opere”: le scuole elemtari, l’asilo infantile, il cimitero, la casa comunale, l’acquedotto, la fognatura, una cooperativa per la raccolta del latte e la produzione di formaggi, una casa di riposo, un fifliale cooperativa di cedito agrario oltre ad una serie di iniziative rivolte al mondo femminile per dare specializzazioni lavorative alle donne.
Una delle sue opere più importanti fu la ricostruzione del monastero di San Pietro di Sorres, una delle più belle chiese romaniche della Sardegna.

San Pietro di Sorres

Era ridotta ad un cumulo di macerie a causa dell’abbandono, dei danni provocati dalla guerra, dei continui saccheggi. Riuscì a restaurala  facendo ricorso alle proprie risorse economiche e al patrimonio della sua famiglia. Il suo intervemnto nel monastero non si limitò solo alla ricostruzione ma anche all’inserimento, sin dal 1955, di una comunità di monai benedettini che mancavano nell’isola da tanti secoli. Ma la politica ha sempre i suoi risvolti egoistici e  nel 1956 la sua esperienza politica finì con l’ascesa politica dei “giovani turchi”… i “giovani turchi” costituivano la nuova gioventù democristiana che mise in minoranza i vecchi dirigenti della democrazia cristina sassarese. Morì a Borutta nel 1978.
Svolse  la propria azione amministrativa con grande rettitudine morale, in modo appassionato ma con estremo rigore intellettuale e con onestà non esitando, all'occorrenza, a finanziare opere e iniziative con risorse proprie e della sua famiglia ogni volta che il finanziamento pubblico non era possibile o sufficiente. “Credo che possa rappresentare per quanti oggi si occupino della cosa pubblica un modello attualissimo, o forse in tempi in cui dominano la scena politica, per usare un eufemismo, personaggi ambigui, un modello avveniristico. Che il suo esempio possa illuminare l'azione politico-amministrativa di quanti vengono chiamati ad amministrare, a tutti i livelli, il proprio paese, ad iniziare da me”. (Sindaco di Borutta)


Corteo Medievale

Ada Natali (Massa Fermana, 5 marzo 1898 – Massa Fermana, 27 aprile 1990).


(Massa Fermana – Fermo – Comune di 933 abitanti)
(Porta di Sant’Antonio)

Figlia di Giuseppe Natali, sindaco socialista del paese, diplomata magistrale si dedicò subito all’insegnamento tanto da meritare l’appellativo “Maestra Ada”. Si iscrisse all’Università di Macerata, Facoltà di Giurisprudenza e nel 1922 il primo grave dispiacere familiare. Le squadre fasciste picchiarono a sangue il padre per i suoi ideali socialisti. La madre morì per lo spavento e la giovane donna vene confinata nelle montagne di Roccafluvione. Nel 1936 chiese di essere avvicinata a Macerata per continuare gli studi universitari. Venne trasferita ad Apezzana di Loro Piceno, una località che in quel tempo era priva anche di strade. La sua vita diventò un inferno perchè era controllata a vista dai carabinieri. Tra mille sacrifici a piedi raggiungeva Paso Loro per prendere il pullman diretto a Macerata per sostenete gli esami. Durante gli studi universitari trovava il tempo necessario per insegnare a leggere e a scrivere sia ai suoi scolari che ai contadini analfabeti della zona.
Riuscì a laurearsi in Giurisprudenza. Nella lotta di liberazione fu a fianco dei partigiani nelle battaglie . Nel 1946 fu eletta sindaco (lista PCI)  e rimarrà nella carica fino al 1959. Nel 1948 venne eletta deputata nelle liste del Fronte Popolare (PCI – PSI) e come parlamentare fece parte di un delegazione che si recò in URSS per avviare importanti contatti istituzionali.
Nel 1953 fu inviata da Togliatti, in Sicilia per la campagna elettorale.  Doveva parlare alle donne per la sua innata capacità di rapportarsi con l’umile gente sempre con una grande senso di umanità. Si distinguerà anche per il suo forte impegno nell’emancipazione femminile nella sua lunga attività di sindaco con tanti successi e lotte. Sostenne la lotta delle operaie delle fabbriche di cappelli che erano impegnate nella conquista del primo contratto di lavoro.  Le operaie erano riunite in assemblea permanente e ordinò ai dipendenti comunali di raccogliere la legna presso la selva per far riscaldare le operaie in occupazione. La selva circondava il convento dei Frati Francescani e per questo motivo fu processata.

Convento di San Francesco 



Venne difesa dall’illustre avvocato Terracini presidente dell’assemblea Costituente. Fu assolta con formula piena.
Diede avvio alle colonie per bambini a Massa Fermana ma era solo un pretesto per dare una minestra ai bambini delle famiglie più povere.
Agì sempre con fermezza e decisione. Un comportamento che dimostrò  anche per salvare un opera di grande valore artistico:  la “Natività” di Vincenzo Pagani. 


Un’opera che era stata abbandonata e trascurata dalla Soprintendenza. La Natali decise di vendere alcuni pezzi di scarso valore per poter reperire i finanziamenti necessari per il recupero dell’opera d’arte. Fu denunziata anche per questo motivo sempre dall’opposizione in Consiglio Comunale. Venne processata ma fu assolta con formula piena. Gli ultimi anni della sua vita li passò nel dedicarsi al movimento femminile e negli ultimi anni della sua vita, quasi dimenticata, si recava a Montappine per dare da mangiare ad una colonia di gatti di cui era diventa protettrice. 


Caterina Pisani Palumbo Tufarelli. Sindaco di San Sosti – Cosenza
Nata a Nocara il 25 febbraio 1922 e fu eletta sindaco a soli 24 anni e nell’amministrazione del picolo comune sul Pollino mise un gran slancio.


Di famiglia facoltosa si sposò in piena guerra, all’età di 21 anni, con l’avv. Baldo Pisani che allora era ufficiale carrista e che successivamente sarà presidente della provincia di Cosenza per tre “consiliature”.  Caterina prenderà la laurea in giurisprudenza a Napoli.  Eletta nella fila della Democrazia Cristiana verrà eletta all’unianimità dal Consiglio prima cittadina di San Sosti.  Una figura ricca di personalità ed impegnata nella politica che è anche impegno civile e sociale date le condizioni  drammatiche del dopoguerra.

Un impegno evidenziato nella “Relazione sull’attività svolta dell’amministrazione comunale”. Una donna moderna che nel lontano 1952 vide la responsabilità di congedare la sua esperienza amministrativa con un resoconto in segno di rispetto politico e sociale.
San Sosti allora era un piccolo paese di appena 3.500 abitanti. Nel 1946 quando fu nominata sindaco la situazione in Italia era drammatica. La razione giornaliera del pane è di 250 grammi e ancora nel 1947 i  cittadini italiani sono i peggio alimentati di tutto l’occidente. In quegli anni il tasso di mortalità infantile  era di 103 ogni mille nati vivi e per scendere sotto i 50 sarà necessario attendere il 1956 (il tesso normale oggi è del 3 per mille).
Questi dati dovrebbero fare capire la situazione sociale di quei tempi e le difficoltà incontrate dai sindaci nell’affrontare la realt.
La sindaca Caterina Tufarelli affrontò la difficile situazione con coraggio  e con un azione proiettata al futuro anche subendo delle critiche o accuse.”: «… se non tutte le aspirazioni hanno potuto essere realizzate, non ne vada biasimo a nessuno…».
Nel documento una vena anche di intelligente ironia parlando della mancanza di illuminazione pubblica: “ «… A San Sosti, a tre anni dalla fine della guerra, continuava l’oscuramento, dando in ciò esempio di disciplina… a rovescio». Nella sua relazione di fine mandato espose le scelte amministrative; le finanze alle opere pubbliche,  all’assistenza ed alla programmazione. Uno dei primi problemi che dovette affrontare erano i buoni individuali, l’indennità del caropane, la distribuzione dei prodotti di prima necessità. Ma aveva in sé l’dea di un futuro da sostenerecon forza e volontà:  l’asilo infantile difeso con caparbietà, l’orologio pubblico che oggi farebbe sorridere (“…la cui necessità era da tutti sentita specie dai lavoratori…”), l’acquedotto comunale, il mercato coperto, l’edificio scolastico, le case popolari.
Insomma, una donna calabrese che meriterebbe, insieme ad altre figure, una maggiore conoscenza e valorizzazione così come quel periodo ancora caratterizzato da molte ombre documentali.







(San Sosti - Santuario Pettoruto)


( San Sosti – Cascata Frà Giuseppe)

Uno dei suoi primi provvedimenti fu la nomina del comitato comunale di assistenza. Affrontò il drammatico problema della disoccupazione, un problema prioritario in quei tempi, e che aveva risvolti drammatici. Vennero approvati i lavori di riparazione della strada comunale al bivio di  Mottafollone. Uno dei suoi ultimi provvedimenti fu l’assunzione di un mutuo presso la cassa deposito e prestiti per 29 milioni.. una cifra necessaria per la costruzione dell’edificio scolastico offrendo come garanzia sulla super imposta fondiaria e sulle imposte di consumo.

Lydia Toraldo Serra – Sindaco di Tropea – Vivo Valentia
Nacque a Cosenza l’1 agosto 1906, figlia dell’avvocato Nicola.  Lydia seguì sempre con interesse l’attività politica del padre che fu nominato più volte deputato e che ricoprì la carica di sottosegretario nel Ministero della Marina Mercantile al tempo del governo di Luigi Facta.

Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e a 23 anni fu la prima donna calabrese a conseguire la laurea in Legge con la tesi, “Concessione del voto alle donne” che fu discussa davanti all’illustre costituzionalista Vittorio Emanuele Orlando. La grande e forte passione per la politica la portò a diventare la prima donna sindaco di Tropea. Nel 1933 si sposò con l’ing. Pasquale Toraldo,  e in seguito al matrimonio si trasferì a Tropea. L’ingegnere era un marchese e la critica dichiarò che il titolo nobiliare del marito favorì la sua vittoria elettorale.  Ma non fu così .. la critica fu contradetta dai risultati. La sua vittoria fu schiacciante… tra i suoi avversari politici c’era suo cognato, Giuseppe Torado, che aveva ricoperto la carica di sindaco su nomina del prefetto subito dopo la guerra. I provvedimenti presi da sindaco … tanti..  rivolti ai cittadini in difficoltà ..come vengono ben descritti, con orgoglio, dal sito “Tropea e dintorni”.  Era un periodo di crisi e grazie alle sue conoscenze paterne riuscì a farsi ricevere dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi. Il Ministro era in visita a Catanzaro e fu raggiunto dalla Toraldo  per mezzo di un treno merci. Grazie all’incontro la Toraldo potè reperire del grano e del riso per i tropeani, facendo dirottare verso la città, con l’aiuto di carri e camion., il carico di una nave americana che era stata fatta attraccare apposta al porto di Vibo Marina. Grazie a lei i tropeani riuscirono a superare il problema riguardante la penuria di cibo. Negli ulteriori periodi di carestia riuscì a convincere il padre a rivolgersi ai parenti Toscano di Cassano per avere degli alimenti e quando la situazione si presentò drammatica non esitò ad incoraggiare la gente a prendere il grano trasportato su di un treno che era di passaggio per la stazione di Tropea. Un grandissimo aiuto in favore dei giovani e delle famiglie fu fatto nel campo scolastico con l’istituzione della prima scuola media e successivamente del Liceo Classico (sezione staccata del Liceo Classico “Morelli” di Vibo Valentia). Gli studenti infatti finito il primo ciclo di studi elementari erano costretti ad andare a Vibo Valentia per frequentare le medie. Grazie alla creazione di un convitto, collegato al ginnasio, riuscì a fare giungere a Tropea anche studenti dai paesi vicini. Negli stessi anni pensò alla possibile istituzione di una scuola tecnica e a corsi serali.


Provvedimenti importantissimi dal punto di vista sociale perché in questo modo le famiglie che abitavano nei paesi della costa poterono garantire ai propri figli un istruzione che prima era di pertinenza solo delle persone più abbienti. I provvedimenti culturali favorirono nella città la formazione di una classe di professionisti che causò nella struttura sociale delle “invidie”..I rapporti fra la “sindachessa” e il ceto nobiliare, a cui Lydia apparteneva per le sue origini, diventarono difficili. Un ceto nobiliare che a malincuore aveva visto portare avanti dei provvedimenti anti-nobiliari adottati dalla Toraldo e quindi dall’amministrazione comunale:  reperimento di terreni da destinare all’edificazione delle case popolari. Lydia rispose con cuore alle esigenze di molti nuclei familiari desiderosi di avere una casa propria visto che molte famiglie condividevano le abitazioni con parenti o vivevano in condizioni precarie in tuguri o case malsane nei pressi del centro storico. Si preoccupò e favorì l’edilizia pubblica.  Capì l’importanza nella costruzione del primo stabilimento balneare a Tropea… stabilimento che fu costruito in un terreno di sua proprietà e realizzato nei presso dello scoglio di San Leonardo. Vi creò anche una rotonda che diventò luogo di svago e di ritrovo. Un provvedimento che vide aprire le porte del turismo alla città e nell’intero territorio e che non fu esente da critiche. Si impegnò per il porto che tra il 1952 e il 1956 fu dragato più volte a causa dei continui insabbiamenti. Provvide alla bonifica e alla cura dei due percorsi d’acqua, il Lumia e la Grazia, con costruzioni di opere di sostegno e di briglie di trattenuta e di consolidamento.


Nel 1954 fu legittimata dalla fiducia di un elettorato trasversale e anche senza il sostegno del suo partito riuscì a ricoprire la carica di sindaco fino al 1959… ben 13 anni. Nella città c’era un bellissimo dialogo tra la “sindachessa” come veniva chiamata con amore dai tropeani e la gente umile che nutriva nei suoi confronti  un sentimento di sincera ammirazione,,, di amore filiale che durò a lungo nel tempo tanto da farle aggiungere un altro soprannome…. “a mammicea nostra».. Sfruttando le amicizie del padre, che nel frattempo era morto, Lydia riuscì ad entrare in contatto con il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, Gennaro Cassiani, anche lui calabrese di Spezzano Terme, e grazie all’appoggio ministeriale riuscì ad aprire a Tropea un Ufficio Postale. S’impegnò per l’ospedale civile che nel 1955 fu dotato di una nuova sala operatoria. Una dotazione importante anche per i servizi medici a favore dei comuni vicini. La sua politica per la famiglia e i servizi necessari al suo vivere quotidiano furono sempre al centro delle sue attenzioni. Creò una sede locale per la protezione della maternità e dell’infanzia (OMNI) con l’obiettivo di dare assistenza alle madri bisognose e un aiuto ai bambini abbandonati. In città fu pavimentato il corso principale, l’illuminazione delle vie, la stessa sistemazione delle scale che portavano alla marina, il potenziamento dell’acquedotto municipale e la sistemazione delle fogne, la costruzione degli archi per il consolidamento della rupe. Provvide alla concessione gratuita allo Stato dei suoli destinati alla costruzione di case per gli alluvionati. Gran parte dei lavori pubblici furono realizzati attraverso i cantieri di lavoro che offrivano una soluzione al gravissimo problema dell’occupazione. Anche lo sport entrò nelle sue iniziative. Il campo sportivo fu acquisito dal comune e ristrutturato.  Si occupò anche della valorizzazione delle tradizioni popolari tropeane e nella cultura organizzò dei convegni importanti che si tennero proprio a Tropea: Il Congresso di Studi Galluppiani nel 1946 e un convegno sui fratelli Vianeo, celebri pionieri della rinoplastoica nel 1947.Per lei non era importante l’appartenenza ad un partito ma il contatto diretto franco e leale con gente
Finita la sua carriera politica si dedicò alla pittura e alla famiglia. Nel 1972 ricevette la nomina a cavaliere della Repubblica per il suo grande. Immenso impegno politico espresso. Morì a Tropea nel luglio del 1980.



Ines Nervi in Carratelli
Quando Ines Nervi fu eletta sindaca di San Pietro in Amantea (Cosenza) aveva 42 anni, era sposata, già madre di due figli e svolgeva la professione di maestra elementare. Eletta, al pari delle altre due sindache calabresi, come capolista nella democrazia cristiana, ricoprì la carica di prima cittadina ininterrottamente fino alle successive elezioni amministrative del 1952. 


Morì all’età di 83 anni nel suo paese a testimonianza di un legame fortissimo con la sua gente e il suo ambiente. Ines Nervi assunse la carica di sindaca quando il paese era al massimo della sua evoluzione demografica, con circa 1.700 abitanti. Da allora un declino demografico inarrestabile ha portato la piccola comunità ad appena 500 residenti. Un destino apparentemente ineluttabile come quello di altre decine e decine di piccoli comuni calabresi che invece storie di impegno e ostinazione come quelle di Caterina, Lydia, Ines, ci insegnano che non c’è sorte da subire passivamente.



Elsa Damiani, (Milano, 26 aprile 1899 – Pisa, 18 ottobre 1992) moglie del poeta Giacomo Prampolini, fu invece eletta, sempre nel 1946, a Spello (Perugia).

Fu prima cittadina per ben 16 anni, fino al 1962, e fino al 1964 sedette nel consiglio comunale. Nel 1951 fu al centro anche di un'interrogazione parlamentare, durante la quale venne accusata di non aver provveduto a cancellare da alcuni muri della città dei murales su Eisenhower.


Spello - La Porta

Margherita Sanna fu eletta sindaca di Orune in provincia di Nuoro il 7 aprile e ricoprì l’incarico per ben tre legislature. Era democristiana ed in seguito diventò anche assessora provinciale. Nel suo paese la chiamavano semplicemente “la signorina Sanna”. Era figlia di pastori e si diplomò in  ragioneria a Sassari. Vinse un concorso per lavorare in una banca del capoluogo ma le fu preferito un uomo, così si trasferì a Cagliari e concluse gli studi magistrali diventando un’insegnante. Amministrò con saggezza e lungimiranza e si dedicò all’educazione e all’alfabetizzazione della sua gente.



Prima della Liberazione, fu accusata da parte del governo fascista di spionaggio militare e venne anche arrestata. Il regime mal sopportava “quella maestra che mette i grilli dell’emancipazione alle donne”. È morta nel 1974.

L’eroismo quotidiano.. Carlo Levi nel suo libro di viaggio “Tutto il miele è finito” la descrive con efficacia: 
"Dal municipio", siamo nel 1952, "uscì una donna dai capelli grigi, avvolta in uno scialle da contadina: era il sindaco di Orune". Sembra di vederla in questo camminare tipico delle donne del fare, come se avessero addosso argento vivo. In Margherita Sanna questa idea del fare era sorretta da una grande dimensione interiore. Tutto in lei era finalizzato alla trasformazione, al divenire, al  passaggio della sua gente da una condizione di stasi, il tempo fermo della società barbaricina, a un'idea di "riscatto", di inserimento del proprio paese dentro una più allargata società contemporanea. Si temprò in anni difficili. Era sindaco del paese ma soprattutto insegnante elementare. "Per quasi tutta la vita", ha scritto Salvatore Bussu nell' "Ortobene" del 15 marzo 1987, "svolse un'opera preziosissima nel campo dell'educazione, una donna che è stata quando era vivente un punto di riferimento di tutto il paese".  Fare la maestra non fu la sua prima occupazione. Figlia di pastori, Margherita Sanna, si diplomò ragioniera a Sassari. Vinse un concorso per entrare a lavorare in una banca della città ma le fu preferito un uomo. Ritornata al suo paese, lavorò per qualche tempo  nella segreteria del comune. Era molto efficiente. Tra l'altro sapeva parlare l'inglese.  Non era però quella del rendicontare  la sua via. "Ho rinchiuso un altro giorno di lavoro nelle sue carte e nei suoi numeri". Così si legge  nelle pagine di un intenso diario, ancora inedito. È il 15 dicembre del 1933, il giorno prima dell'inizio della novena, "quasi Natale" annota Margherita Sanna. Il clima natalizio "si sente dall'odore di pani e di dolci". Ci sono anche "gli spari a salve, le visite, i progetti di festa". Tutto questo è come "un'altra croce" dopo che le è venuto a noia "il gioco della quadratura dei conti, il susseguirsi preciso delle fasi del lavoro e l'efficienza burocratica di moduli, calcoli e cifre". Tornata a casa si domanda perché la nonna, la madre, la sorella, debbano "dedicare tanto tempo alle faccende domestiche che intorpidiscono il cervello se pure tengono elastici gli arti. Non riesco a capire la forza rassegnata di generazioni di donne che sacrificano dieci ore della propria giornata alla casa e alle sue cose".  Margherita pensa invece ai  bambini, quelli a cui insegna il catechismo. "Voglio che imparino a leggere e a scrivere. Voglio che trovino lavoro onesto, voglio che vivano la loro vita al servizio di Cristo nel servizio della comunità che li ospita. Maschi e femmine". A quel tempo Margherita Sanna si era già diplomata maestra,  a Cagliari, e insegnava nel suo paese, impegnata in politica e soprattutto nell'Azione Cattolica. Per quel Natale del 1933, pensava  di presentare a Orune il nuovo catechismo. Solo che era di per sé "difficile leggere e ripetere anche quello vecchio". La maestra conosce bene la realtà in cui opera. Sa che occorre ancora molto più tempo del suo, pure totale e senza riposo. "Se trovassi più tempo per loro", per i bambini e le donne "forse riuscirei a comunicare questo bisogno di azione e di conoscenza, questa esigenza di aprire la mente al di là delle pareti domestiche, questa passione al sacrificio che trasforma la rassegnazione in forza costruttiva e operante di donne  capaci di muovere apatie,  di moderare esacerbazioni". Magari "con un sorriso". La scuola è fatta di giornate cruciali. "Hanno rubato i maiali al babbo di Francesca", annota in un'altra pagina. Francesca "ha dovuto ripetere la storia dieci volte mano mano che un nuovo compagno arrivava". La maestra si rende conto dell'inutilità di insistere con Mazzini e Garibaldi. Chiede ai bambini che mettano per iscritto il racconto di Francesca.  C'è però  Cosimo, ancor più eccitato perché il loro podere è vicino a quello del padre di Francesca,  che continua a bisbigliare e a lasciare la pagina bianca. Si prende una bacchettata sulle mani. "Devo aver picchiato forte", riflette, tormentandosi,  Margherita Sanna."Che senso ha il dolore in una manina di bambino? Che senso ha la violenza sui deboli? Qualsiasi punizione ma non quel colpo. Mai più colpi ai miei bambini. È la massima sconfitta del maestro".
 Nel 1939, Margherita Sanna si iscrive al Partito Nazionale Fascista. Senza quella tessera non avrebbe potuto più insegnare. In realtà non è per niente convinta della politica mussoliniana che sta portando l'Italia verso la guerra e la catastrofe. Dice il Dizionario biografico degli antifascisti sardi che Margherita Sanna "era stata più volte segnalata come appartenente al gruppo degli oppositori nuoresi".  Quelli che, recita un pro-memoria di Salvatore Mannironi, "eravamo regolarmente schedati e qualificati con un nome che mi pare fosse quello di vigilati di frontiera". L'antifascismo di Margherita Sanna è nelle cose: nella sua radicata fede cattolica e nella prassi politica Era dirigente provinciale dei gruppi femminili legati prima al Partito popolare e in seguito alla Democrazia cristiana. In questo operare, Margherita Sanna molto attribuisce alle donne. Si potrebbe dire che fu una femminista ante litteram. Scrive nel dicembre del 1942 che "il vescovo è preoccupato dalle notizie della guerra. Ci ha voluto in Curia, me, Francesca Pintori e Francesca Funedda. Ci affida la formazione delle giovani. Abbiamo fatto molto in questi anni. Le nostre ragazze hanno imparato ad uscire di casa, a parlare e ad organizzare i gruppi in parrocchia. Abbiamo imparato a pensare; non possiamo accettare decisioni politiche passivamente". Nel gennaio del 1943, Margherita Sanna viene arrestata e resterà in carcere per due mesi. Una esperienza terribile che la segnerà molto. È accusata di fare parte del gruppo nuorese che doveva favorire lo sbarco alleato nelle coste della Sardegna orientale, ancor prima di quello che poi avvenne in Normandia. Anche in Sardegna, a Sarrala, nella marina di Tortolì ci fu uno sbarco di ben più ridotte proporzioni.  Venne arrestato un agente del controspionaggio inglese che era in realtà un sardo: Salvatore Serra.  Gli fu trovato  addosso un elenco di nomi tra i quali oltre quelli di Emilio Lussu e dell'ingegnere Dino Giacobbe c'erano  quelli di Salvatore Mannironi e del  veterinario bittese-orunese Ennio Delogu. Salvatore e il fratello Cosimo Mannironi, il loro fattore a Jacu Piu e due pescatori di Siniscola, padre e figlio, furono arrestati. Condotti al carcere cagliaritano di Buoncammino, furono trasferiti a Oristano dopo in bombardamenti di febbraio e marzo del  '43. Da lì, dopo aver rischiato la fucilazione, a Roma e a Isernia,  in un campo di concentramento. L'odissea proseguì dopo l'8 settembre del 1943 quando i Mannironi e gli altri casa attraversarono l'Italia devastata dalle rovine prima di ritornare a casa. A gennaio era stata arrestata anche Margherita Sanna. "Non si è mai capito la ragione per la quale fosse stata coinvolta nella nostra vicenda", scrive Salvatore Mannironi nel suo promemoria. "Può darsi che qualche sospetto nei suoi confronti fosse perché collaborava con me nell'Azione Cattolica, soprattutto durante il vescovado di monsignor Giuseppe Cogoni, strenuo difensore delle libertà religiose". Forse fu coinvolta nell'intrico senza che lei ne sapesse niente perché "aveva la sfortuna di conoscere e di parlare l'inglese" scrive Salvatore Bussu. A guerra finita, passati i giorni dolorosi del carcere, tanti che durante il tempo di Mussolini  l'avevano osteggiata e rifuggita come un'appestata si avvicinarono nuovamente a Margherita Sanna. Facevano a gara nel distruggere le tessere del partito fascista. Lei  non mostrò interesse per questa nuova furia dei trasformisti. Severa con se stessa, non coltivò  odi. Amministrò con saggezza e lungimiranza. Tra le sue opere ci sono la fondazione, insieme a dottor Ennio Delogu, della "Cooperativa pastori orunese", una delle prime in Sardegna, l'impianto della pineta sopra il paese e il primo lotto del caseggiato scolastico di Cuccuru ‘e Teti. Continuava a urgerle l'educazione permanente della sua gente. Fece molte ripetizioni gratis, a tanti. "Il sole è finalmente tramontato abbandonando il creato al riposo", annota in una pagina di diario, il 15 ottobre 1960. "Penserà la Provvidenza ad aprire un'altra strada. È tardi. Ora ho il tempo di riposare". 


Nel diario ancora inedito di Margherita Sanna, ci sono pagine dal carcere molto significative. Furono scritte nel febbraio del 1943, a Buoncammino. Sono pagine intense, recuperate da un copione teatrale che anni fa fu messo in scena in una scuola di un paese della nostra provincia.
"13 febbraio 1943. Compio 39 anni. La musica non si lesina per la mia festa. L'ultimo scoppio era vicinissimo". I bombardieri inglesi e americani  gettavano dall'alto il loro carico di morte sopra Cagliari. "Grande trambusto nei corridoi" scrive Margherita Sanna. "Il carcere deve essere stato colpito". Nonostante la terribilità dell'ora, si vive una situazione di quasi normalità. "Puntuale è arrivata la razione, ma non una parola sui bombardamenti. Cerco di mangiare, anche se non sono certa che tra un minuto sarò qui". La prigioniera dice che il giorno prima è venuta a visitarla monsignor Cogoni. Il vescovo, trasferito dalla diocesi di  Nuoro a quella di Oristano, "fa tutto il possibile, muove ogni forza, ma non può molto per i detenuti politici". La maestra continua ad essere interrogata. Dice che le fanno "domande pazze". Ritornata in cella, tra "quest'inferno di fischi e di bombe" vive appieno l'angoscia del Getsemani. "Io non ho mai sobillato contro le istituzioni" ripete a se stessa. "Io non ho mai istigato ai disordini. Ho sempre fermamente voluto che ognuno sia cosciente della propria autonomia di pensiero e sono convinta che dal confronto e dal dibattito nasca la democrazia".
Il fascismo fu la negazione della democrazia. "Mi accusano di aver plagiato minori riferendosi alla mia attività in seno all'Azione Cattolica. Il logorio continuo delle argomentazioni a mia difesa estenua la mia resistenza". Deve essere stata molto dura per quella donna che pure proveniva da una terra in cui la durezza era connaturata al vivere. "È già quasi un mese di tortura. Non possiamo avere libri, niente corrispondenza, non riceviamo visite se non dietro permesso speciale". Margherita Sanna pensa ai "miei bambini abbandonati", alla disperazione di sua madre. "Ed io qui". Prega "per la disperazione di non odiare", "per paura", "ad invocare forza". Ma la preghiera non lenisce il dolore. Non porta risposte. "Non suscita nuova forza nello spirito sfinito". La cella del carcere è proprio come l'orto degli ulivi.
POSTATO DA NATALINO PIRAS [13/06/2011 09:13]
http://blognew.aruba.it/blog.natalinopiras.it/L_EROISMO_QUOTIDIANO_DI_MARGHERITA_SANNA___SINDACO_DI_ORUNE_50226.shtml



Ottavia Fontana fu eletta sindaca a Veronella, in provincia di Verona il 24 agosto,  
Pare che la sua azione di governo fosse particolarmente improntata al rispetto dei principi del cattolicesimo. Il suo lavoro era quello di insegnante.



Ottavia era l’ottava figlia di Domenico Antonio Fontana e di Emilia Ruffo. Un tempo si usava anche “numerare” i figli con il nome. Era nata il 18 giugno 1894  e la sua famiglia aveva nel centro di Veronella, in piazza Marconi, che per ironia della sorte era vicino al Municipio. Il padre era un contadino e Ottava fu l’unica dei figli a continuare gli studi oltre la seconda elementare.  Il parroco del paese, don Antonio Malesani, capì subito le grandi doti d’intelligenza della ragazza e la mandò a studiare dalle suore “Figlie di Gesù” a Verona.  Nel 1916 si diplomò all’Istituto Magistrale “Leonardi” e fu mandata subito ad insegnare a Grezzana fino alla fine della guerra. Nell’autunno del 1919 ottenne la cattedra a Sessa, dove rimase sino al 1938. Dal 1938 fino alla sua morte insegnò nel suo paese di Veronella. La sua carriera politica alla fine della guerra inizio per caso anche se in passato aveva ricoperto delle cariche nelle istituzioni cattoliche. Nelle elezioni del 24 marzo 1946 a Veronella fu nominato sindaco l’ingegnere Francesco Bovolin. Dopo cinque mesi il Bovolin si dimise per problemi personali. Il consiglio comunale votò compatto la maestra Fontana come sindaco. La sua esperienza amministrativa durò poco. Morì tre anni dopo la sua elezione a 55 anni. la sua morte fu causata, come riportano le cronache, a un virus che la colpì in Piemonte mentre cercava un accordo per inviare alcune mondine di Veronella a lavorare nelle risaie del Vercellese.

Il  14 luglio 2016 a Montecitorio, la maestra-sindaco Ottavia Fontana ha avuto l’onore di entrare in Parlamento. A lei, infatti, e a tutte le altre nove sindaco del 1946, anno in cui le donne ottennero per la prima volta in Italia il diritto di votare e di essere votate, la presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, ha dedicato una sala nell’imponente edificio che si affaccia su piazza del Parlamento. La foto di Ottavia Fontana, è stata affissa alle pareti di un corridoio di Montecitorio, assieme alle cornici con i ritratti delle altre sindaco, delle 21 deputate dell’Assemblea Costituente, della prima donna ministro, Tina Anselmi, e della prima presidente della Camera, Nilde Iotti

Veronella - Cucchetta del Palladio

Elena Tosetti fu eletta a Fanano in provincia di Modena il 7 aprile e fu sindaca dal 1946 al 1950.


Nel suo paese tutti la stimavano ed appena eletta si trovò a gestire una situazione difficilissima. Fanano era stata semidistrutta dai bombardamenti, erano andati persi sia l’archivio che l’anagrafe, ed aveva un bilancio dissestato. Elena iniziò ad occuparsi della ricostruzione e contemporaneamente si dedicò a potenziare le strutture scolastiche e a valorizzare la vocazione turistica del suo paese. Il sindaco nel 1947 avvio delle trattative per richiedere il passaggio della ferrovia Modena – Lucca a Fanano. Ci fu  il 20 novembre 1947 un sopralluogo dei tecnici ferroviari ma non si concretizzò nulla.

Elena Tosetti con i tecnici ferroviari

Nel 1950, a causa di una denuncia anonima, venne sospesa dalla carica di sindaca e si ritirò dalla vita politica. Sette anni dopo, cioè nel 1957 e a pochi giorni dalla sua morte, venne dimostrata la sua innocenza. Nel 1947 La Domenica del Corriere pubblicava una tavola che ritraeva Elena Tosetti che spalava la neve. Sotto l’immagine, una didascalia: “una donna dà l’esempio in un paese dell’Appennino. Il sindaco, che è una donna, non trovando uomini che si prestassero per poca mercede alla spalatura, scendeva per strada con gli impiegati comunali e si metteva energicamente a lavoro”.
A lei è stata intitolata una strada a Fanano.


Fanano - La Sega Ospitale

Anna Montiroli l’8 aprile a Roccantica in provincia di Rieti 


La Montiroli era stata esule a Parigi con il marito Ugo che aveva guidato la Concentrazione antifascista in esilio. La parlamentare comunista partecipò alla Resistenza. Fu arrestata dalle SS e venne internata ai Aichach. Dopo la guerra incontrò a Rieti Valentin Gonzales, detto “El Campesino” che da generale aveva combattuto a Guadalajara per la “Seconda Repubblica” durante la guerra civile. Gonzales aveva cambiato schieramento politico riparando in esilio. Tenne un comizio in favore della Dc testimoniando le feroci persecuzioni subite dalla Chiesa Spagnola dal 1931 al 1933.


ALDA ARISI
Fu sindaca di 
Borgosatollo, piccolo centro bresciano. Insegnante, iscritta al Partita Comunista, quel 10 marzo ottenne 1487 voti. Il suo incarico, però, durò appena un anno. Nel 1947 rassegnò le dimissioni per motivi di salute.

E' solo l'inizio di un 'enciclopedia dedicata alle donne. 









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