8 Marzo - Giornata Internazionale Della Donna - Le Donne nell'Arte, nella Cultura, nella Politica,
8
Marzo 2018
“Giornata
Internazionale Della Donna”
Un
mio piccolo pensiero rivolto alle Donne: “Un
piccolo Viaggio nell’Universo Femminile”.
Le
donne nella vita quotidiana della propria famiglia, nella cultura, nell’arte,
nella fotografia, nella politica con le prime 11 donne elette a Sindaco nel
1946… Storie dimenticate che devono inorgoglire le donne e renderle padroni della
propria vita..dei propri sogni.. delle proprie attese.. delle proprie
aspirazioni…
SIMONE DE BEAUVOIR
(
Parigi, 9 gennaio 1908 – Parigi, 14 aprile 1986) – (Scrittrice, saggista,
filosofa).
Fu
considerata una dei principali esponenti dell’esistenzialismo e del femminismo
di cui è considerata una delle maggiori esponenti anche per le generazioni
future.
Studiò
alla Sorbona di Parigi dove incontrò il compagno della sua vita, Jean Paul
Satre. In prima linea nella Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale e
nelle varie tematiche sociali: dall’aborto al ruolo della donna nella società.
Per questo suo grande impegno fu anche presidentessa della Lega dei Diritti
della Donna.
Uno
dei suoi libri più famosi fu “Il Secondo
Sesso” del 1949. Un’analisi
dettagliata dell’oppressione del patriarcato nei confronti della donna e
diventò il “manifesto” del movimento femminista. La scrittrice si battè nei
suoi testi per un aspetto fondamentale: l’integrazione della donna nella
società con gli stessi diritti e doveri dell’uomo e quindi riconoscimenti
civili, politici e giuridici che, in quel momento, erano di pertinenza degli
uomini. Un tema che ancora è aperto è invece relativo all’uguaglianza del
salario che ancora oggi non è paritario.
Si
tratta di argomenti che all’epoca erano considerati dei veri e propri tabù
(aborto, sessualità, prostituzione e maternità). Analizzò il ruolo della donna
nella società. Un ruolo che la vedeva subordinata all’uomo, inferiore in ogni
suo aspetto. L’obiettivo di Simone fu quello di mostrare alle donne del tempo
la brutale realtà della loro condizione e di fare capire alla società
l’importanza del ruolo della donna… una donna libera.. non solo madre e moglie
ma un essere umano dotato di indipendenza e di libertà di scelta che sono
aspetti fondamentali nel sesso maschile. Malgrado il legame con il grande
filosofo, Simone seppe crearsi il suo spazio e illuminarlo di luce propria per le sue scelte di vita e le sue prese di
posizione.. Atteggiamenti che la portarono ad allontanarsi dalla classe borghese
del tempo. Girò il mondo prendendo visione delle condizioni nelle donne nei vari stati e nel 1974 presiederà la Lega
dei Diritti delle Donne, ovvero un ‘associazione che s’impegnerà ad informare
le donne circa i loro diritti e che l’anno successivo porterà all’istituzione
di un tribunale internazionale dei crimini contro le donne. Nello stesso
periodo nascerà in Francia l’associazione a difesa della donne, “Choisir”,
accusate del reato di aborto. Reato che in Francia fino agli anni Venti, era
punibile con la pena capitale.
Fece
sentire la sua voce anche attraverso numerose riviste dove parlò della presenza
del sessismo in ambienti politici e giornalistici; dei diritti delle donne
nubili. Sempre in ambito matrimoniale portò avanti una delle battaglie più dure
e importanti nella storia del femminismo cioè il divorzio che era giudicato
come un reato penale tanto da essere considerato come un vero e proprio
abbandono del tetto coniugale. Una figura importante anche perché ebbe il
coraggio di alzare la voce, di farsi sentire e di porre l’accento su questioni
che in quel tempo era sgradite.
Quando
morì il suo amato compagno la Simone scrisse la “Cerimonia
degli addii” (La Cèrèmonie des adieux”).
Simone De Beauvoir con il marito Jean Paul Satre
La
scrittrice si descriveva:
« Di me
sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza,
un'eccentrica. [...] Ho abitudini dissolute; una comunista raccontava, nel
'45, che a Rouen da giovane mi aveva vista ballare nuda su delle botti; ho
praticato con assiduità tutti i vizi, la mia vita è un continuo carnevale,
ecc.
Con i tacchi bassi, i capelli tirati, somiglio ad una patronessa, ad un'istitutrice (nel senso peggiorativo che la destra dà a questa parola), ad un caposquadra dei boy-scout. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. [...] Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. [...] L'essenziale è presentarmi come un'anormale. [...] Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. È una vita che ne vale un'altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente. » |
(S. de
Beauvoir, La forza delle cose, pag. 614)
|
« La donna? è semplicissimo -
dice chi ama le formule semplici: è una matrice, un'ovaia; è una femmina: ciò
basta a definirla. In bocca all'uomo, la parola "femmina" suona come
un insulto; eppure l'uomo non si vergogna della propria animalità, anzi è
orgoglioso se si dice di lui: "È un maschio! »
LUCREZIA MARINELLI
Il
suo vero nome era Lucrezia Marinella Vacca
(Venezia
1571 – Venezia 1653) - Poetessa e scrittrice
Famosa
per le sue opere liriche in chiave mitologica, eroica (Colomba sacra, L’Enrico, Bisanzio Acquistato)
ed agiografica (Vita di Maria Vergine Imperatrice dell’Universo). La sua
celebrità fu anche legata al clamore suscitato nel rilevare la posizione della
donna nei suoi tempi.
La
sua posizione nella “La querelle des
femmes” coinvolse in aspri dibattiti i maggiori esponenti letterali europei
del tardo medioevo fino al Settecento. La sua opera, “La Nobiltà et l’eccellenza delle donne co’difetti et mancamenti de gli
uomini” fu una risposta allo scrittore Giuseppe Passi, autore “Dei donneschi difetti” pubblicato nel 1599. Il
testo fu scritto in prosa e diviso in due parti: una riservata all’elogio delle
donne e l’altra alla critica dei difetti degli uomini. Opera che fu pubblicata
a Venezia nel 1660 presso Giovanni Battista Ciotti ed ebbe due riedizioni nel
1601 e nel 1621.
PROPERZIA DE’ ROSSI
(1490
CIRCA – 1530) - Scultrice ed intagliatrice di gemme
Ritratto
di Properzia de' Rossi, dalle Vite del Vasari
Annunciazione di Properzia
de' Rossi, Museo Civico Medievale di Bologna
Figlia
di un notaio sviluppò la sua vena artistica nello studio dell’incisore
bolognese Marcantonio Raimondi. Nel 1525 eseguì dei lavori per la Basilica di
San Petronio. Il Vasari fu affascinato dalla grande vena artistica della donna
che ldefinì “femmina scultorea” inserendola
nelle sua “Vite” (Le vite dei più importanti pittori, scultori scritte dal
pittore Giorgio Vasari) nel quale le dedicò un grande elogio: "Properzia de’ Rossi da Bologna,
giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa, come l’altre, ma in
infinite scienzie, che non che le donne, ma tutti gli uomini l’ebbero
invidia."
Fu
il Vasari che riportò il dolore di Properzia per l’amore non corrisposto con Antonio
Galeazzo Malvasia, un giovane bolognese e forse collega nell’arte. Il
sentimento di rancore della fanciulla fu colmato dedicandosi all’arte con la
creazione del capolavoro scultoreo “Giuseppe e la moglie di Putifarre”.
Scrisse
il Vasari : "Ella finì, con grandissima
maraviglia di tutta Bologna, un leggiadrissimo quadro (si tratta in realtà di
un bassorilievo marmoreo), dove (perciocché in quel tempo la misera donna era
innamoratissima d'un bel giovane, il quale pareva che poco di lei si curasse)
fece la moglie del maestro di casa del Faraone, che innamoratasi di Iosep, quasi
disperata del tanto pregarlo, a l'ultimo gli toglie la veste d'attorno con una
donnesca grazia e più che mirabile. Fu questa opera da tutti riputata
bellissima et a lei di gran soddisfazione, parendole con questa figura del
Vecchio Testamento avere isfogato in parte l'ardentissima sua passione."
Presso
l’archivio criminale di Bologna è
conservato un atto processuale per
incriminazione “per turbato possesso” presentata da Francesco da Milano.
Properzia figura come concubina di Antonio Galeazzo che avrebbe agevolato,
secondo gli storici, l’inserimento della donna nel cantiere della Basilica di
San Petronio.
L’atto
processuale sarebbe datato 1520 e cita in giudizio Properzia per aver
danneggiato la proprietà di un vicino e nel 1525 altro procedimento giudiziario
per aver graffiato la faccia al pittore Vincenzo Miola. Testimone d’accusa in
quest’ultimo procedimento giudiziario era il collega Amico Aspertini. Probabilmente il Miola e l’Aspertini erano
d’accordo per stroncare la carriera della pericolosa e bella rivale. Sotto la
supervisione del Tribolo eseguì numerosi lavori artistici come il bassorilievo
del Conte Guido Pepoli, alcuni capitelli nel Palazzo Salina – Amerini e intagli nel cortile di Palazzo Grassi,
tutti a Bologna.
Morì
di peste nel 1530, alla probabile età di 39 anni e Vasari riportò la delusione
del papa Clemente VII, che trovandosi a Bologna per incoronare Carlo V, sarebbe
stato felice di incontrare la famosa scultrice e fu profondamente addolorato
della sua scomparsa.
“La scena “Giuseppe e la moglie di Putifarre”è inserita
in uno spazio angusto ma simmetrico. La moglie di
Putifarre assume il ruolo di assoluta protagonista, mentre Giuseppe viene
relegato al margine sinistro, in posizione defilata. Con una presa possente, di
stampo michelangiolesco, l’effigiata si protende verso l’amato e ne afferra la
veste: lo sguardo risoluto e le braccia muscolose tradiscono una profonda
consapevolezza di sé, la volontà di decidere in modo autonomo della propria
esistenza.
Il suo
fisico robusto stride con quello più esile, palesemente raffaellesco, di
Giuseppe, ma non per questo perde in termini di sensualità: l’impalpabile
camicia lascia scoperto con istintiva naturalezza il seno, conferendo alla
composizione una nota erotica tutt’altro che implicita. Voluttà, intraprendenza
ed impeto convivono nel suo animo così come nell’animo di Properzia”.
Julia Margaret
Cameron
(Garden Reach – Calcutta –
1815; Cylon 1879) - fotografa
Julia
Margaret Pattle nel 1938 sposò Charles Hay Cameron, un legislatore e uomo d’affari
che risiedeva spesso a Cylon. Era vent’anni più gradi di lei e vedovo. Dal
matrimonio nacquero sei figli e altrettanti ne adotteranno. Il marito era sempre
in viaggio e Julie soffriva di nostalgia, di malinconia, pur vivendo in
Inghilterra e frequentando intellettuali e scienziati del tempo. La figlia
maggiore Julia gli regalò un apparecchio fotografico per suscitare nella madre
la nascita di un hobby in grado di farle superare la malinconia. La fotografia
si stava evolvendo e si era sostituito il negativo su lastra di vetro con
emulsione al collodio. L’arte della
fotografia aveva ancora un aspetto artigianale e i fotografi erano generalmente
uomini e lavoravano su commissioni di un cliente o con la prospettiva di
proporre commercialmente i loro prodotti. (in genere ritratti, paesaggi,
popoli, anche se qualche fotografo si avventurava in riprese lontane nei campi
di guerra.
(La foto di Miss Keene - opera della Cameron)
La
Cameron fu entusiasta del regalo.. incominciò a fare fotografie… diventò una
passione senza interessi economici… fotografa per fare vedere le sue foto ai
parenti e agli amici. Ben presto creò il suo laboratorio fotografico.. un ex
pollaio.. sarà il suo Glass House.Dopo vari tentativi riuscì a realizzare la
sua prima fotografia (dalla preparazione della lastra, alla posa, allo scatto,
lo sviluppo e la stampa.. era il ritratto di Annie ovvero di una bambina.
Si
dedicò ai ritratti che erano interpretati secondo il suo modo d’essere. I suoi
soggetti preferiti erano i bambini e gli adolescenti. Su di loro adattava drappi, pose, ali,
coroncine in modo da creare un idealizzazione dell’infanzia e dell’innocenza.
Lewis Carrol, importante fotoamatore del
tempo apprezzò alcune sue foto.
Le
fanciulle della Cameron avevano un aspetto pensoso, erano avvolte da sogni
secondo un modello romantico. Ma l’aspetto che fece grande la Cameron fu la
tecnica fotografica. Le sue fotografie erano sfuocate di proposito, ombrose,
poco delineate e spesso ovali. Questi aspetti furono criticati dai fotografi
del tempo e valutati come errori tecnici dovuti alla scarsa padronanza del
mezzo anche se venne apprezzata qualche composizione.
La
Cameron rispose alle critiche con sincerità spiegando le motivazioni di quegli
scatti. Non si limitava a riprodurre il reale ma lo interpretava come appariva
al suo animo e alla sua mente. Secondo lei la fotografia doveva allontanarsi
dall’aspetto di semplice riproduzione meccanica
e il fotografo doveva avere la libertà di interpretare e creare, secondo
la sua emotività, la propria visione del mondo circostante. Nasceva con la
Cameron la ricerca artistica della foto ed è sorprendente che sia una donna
quando si pensava, a causa dei laboriosi e difficili procedimenti fotografici, che
mai una donna sarebbe stata fotografa. Le sue fotografie diventeranno ben presto
famose ed esposte nelle mostre d’arte.
Sarà la prima donna ammessa alla Royal Photographic Society e
questo le permetterà di confrontarsi con gli altri fotografi, primo tra tutti
Rejlander. Le sue opere sono oggi conservate a Dimbola Lodge nell’isola di
Wight, la tenuta in cui visse e che oggi è un museo a lei dedicato, ma anche
nelle più importanti collezioni pubbliche.
(Charles Darwin - fotografia della Cameron)
Edmonia Lewis
(Rensselaer
– New York, 4 luglio 1844; Londra, 17 settembre 1907) – Scultrice americana
Il
padre era di origini afro- haitiane mentre la madre apparteneva a uno dei più
grandi popolo nativi del Nord America, Mississauga Ojibwe, ora Canada. Rimase orfana
in giovane età e andò a vivere con le zie materne. All’età di 15 anni si
iscrisse all’Oberlin College dove fu affascinata dall’arte. I suoi studi nel
centro furono costellati da continui atti di discriminazione nonostante
l'Oberlin’ College sia stato il primo centro ad ammettere agli studi studenti
afro-americani.
Finiti
gli studi si trasferì a Boston per intraprendere la carriera artistica di
scultrice.
Dopo
la sua permanenza a Oberlin, si trasferì a Boston nel 1864, dove cercò di
intraprendere la carriera di scultore. A
Boston ulteriori dispiaceri per i numerosi rifiuti fino a quando incontrò un
grande scultore del periodo, Edward A. Brackett.Dopo aver ricevuto vari rifiuti,
incontrò Edward A. Brackett. Con Bracketti lavorò fino al 1864uno scultore i
cui clienti includevano alcuni dei più famosi abolizionisti dell'epoca. Lewis
lavorò con Brackett fino al 1864. Con il
suo lavoro rese omaggio agli eroi della Guerra Civile.
Il
successo la portò a Roma dove aprì uno studio artistico e si unì ad artisti che
erano espatriati dall’America. Iniziò a scolpire sul marmo ispirandosi al
naturalismo e con temi relativi agli afro-americani e al popolo di sua madre.
Nel 1876 partecipò alla “Centennial Exposition” di Philadelphia, creando un
pezzo scultoreo di circa 1400 kg che intitolò la “Morte di Cleopatra”.
Fu
la prima donna afro-americana a raggiungere la fama e un grande riconoscimento
interzionale come scultore nel mondo delle arti. Nel XIX secolo fu l’unica
donna che ottenne un riconoscimento nel movimento artistico degli Stati
Uniti.nel 2002 è stata collocata dal prof. Molefi Kete Asente nella lista dei
100 più importanti afroamericani. Nel
1864 Edmonia Lewis scrisse: "Non c'è nulla di così bello come la foresta libera:
prendi un pesce quando hai fame, taglia i rami di un albero, fai un fuoco per
arrostirlo e mangiarlo all'aperto, è il più grande di tutti i lussi. rinchiuso
nelle città, se non fosse per la mia passione per l'arte ".
Lina Poletti
Nata a Ravenna il 27 agosto 1885. I suoi genitori
erano degli artigiani di ceramiche , Francesco Poletti e Rosina Donati, ed
abitavano in via Rattazzi nei pressi di Piazza del Popolo. Fu una delle figure
più originali della letteratura del Novecento anche per il coraggio dimostrato
nel suo impegno culturale. Si può considerare come l’ispiratrice della
liberazione sessuale e omosessuale in Italia perché si battè a lungo per la
liberazione delle donne e per l’emancipazione dai vincoli giuridici che
relegavano le donne in una posizione subalterna.
La famosa storia d’amore con Sibilla Aleramo iniziò
durante il Congresso delle Donne che si tenne a Roma nell’arile del 1908. In
quel congresso, che segnò il riconoscimento ufficiale del movimento delle
donne, erano presenti le principali femministe italiane tra cui Anna
Kuliscioff. Il congresso fu imperniato
sulla richiesta del suffragio, sul riconoscimento della personalità della donna
nel diritto di famiglia e nei reati di violenza sessuale. Naturalmente nel congresso
erano presenti intellettuali, donne borghesi, nobildonne. Tra le donne intellettuali c’era Sibilla
Aleramo che due anni prima aveva pubblicato un romanzo che allora fece
scalpore: Una Donna (Torino, 1906). Nel romanzo il matrimonio della donna con
il suo stupratore. Un matrimonio a cui fu costretta dalla sua famiglia. Una
ricca storia d’amore vissuta con azioni e accenti appassionati da entrambe le
parti che si scontrò con l’impossibilità da parte delle due donne di vivere in
modo duraturo la relazione. Una sfida continua per un amore diverso vissuto
anche intellettualmente. Una situazione difficile per le donne che avevano
vicino a loro due uomini straordinari per ingegno, moralità e a favore del
movimento femminile: Giovanni Cena,
poeta torinese, compagno e convivente di Sibilla e Santi Muratori che nel 1911
si sposò con Lina Cordula Poletti ( solo raramente vissero insieme). Muratori
era direttore della Fondazione Biblioteca Classense fino al 1944 e morì nella
sua biblioteca sotto i bombardamenti. I rapporti tra queste quattro persone
rappresentarono il tentativo più nobile di rinnovare i rapporti uomo-donna nel
difficile contesto culturale dell’Italia di Giolitti. Con l’amica Sibilla, Lina
Cordula Poletti si rese protagonista di vaie attività suffragiste e filantropiche
tra cui quelle nelle scuole dell’Agro romano e pontino. Una esperienza
importante che portava l’istruzione nelle campagne dove abitavano contadini
guitti (persone che vivono in condizioni di miseria e cercando di superare le
difficoltà con espedienti vari e senza alcun decoro o dignità) e analfabeti.
Contadini affetti spesso dalla malaria e costretti a subire condizioni di
lavoro schiavistiche. Le due donne parteciparono anche alle iniziative di
soccorso alle popolazioni colpite dal catastrofico terremoto che colpì la
Sicilia e la Calabria nel 1908.
Il rapporto tra le due donne si concluse nel 1919
quando la Poletti incontrò Eleonora Duse. Iniziò a scrivere un lavoro “l’Arianna” che avrebbe dovuto
ricondurre la Duse al teatro. Viveva con l’attrice ad Arcetri, nella villa
Bartolini e poi a Venezia, Ca’ Frollo, dove cominciarono a frequentare grandi persone della cultura.
Nella coppia c’erano dei frequenti disaccordi. La rappresentazione dell’Arianna
non si fece e ci fu tra le due donne uno serie di procedure legali per la
restituzione dei manoscritti disprezzati.. con questi litigi giudiziari finì
amaramente la storia tra Lina Poletti ed Eleonora Duse. Dopo la fine della
relazione con la Duse scrisse diverse opere: “Poemetto della Guerra” (un’opera
epica di stile dannunziano); “La Celebrazione ravennate di Giovanni Pascoli”
saggio sulla portata innovativa del linguaggio poetico del Pascoli; due
memorabili “Lecturae dantis (“Il XXXIII Canto del Paradiso letto nella Sala di
Dante in Ravenna.. il 9 maggio 1920 ..e Stazio nella Divina Commedia- Entrambe
stampate a Ravenna nel 1934).
Un’unione più stabile e durate fu quella con Eugenia
Rasponi, sua concittadina. Si trasferì presso la Rocca di sant’Arcangelo di
Romagna, dove la Rispoli lavorava come imprenditrice. Qui scrisse una romantica
raccolta poetica “Il Cipressetto della Rocca a Sant’Arcangelo di Romagna”. La
Rispoli lavorava come disegnatrice in una fabbrica di mobili e quando la stessa
fabbrica chiuse la sua attività, la Poletti scrisse un opuscolo indignato, di
rabbia “Ancora un cero che si spegne”. La coppia si trasferì a Roma, in via
Morgagni, dove cominciarono a frequentare circoli filosofici. Queste assidua
frequentazione attirò i sospetti del regime e, come risulta dagli atti della
Polizia, la loro casa fu più volte visitata dalle autorità proposte al
controllo ed alla censura. Sembra che la Rispoli e la Poletti abbiano
organizzato dei seminari guidati dal filosofo
Jddu Krishnamurti che era noto per le sue idee antifasciste e che ebbe
il merito di divulgare per primo il buddismo in Italia.
Seguirono altre frequentazioni, frequenti viaggi in
Europa ed Oriente e le ultime riflessioni davanti alla spiaggia di Sanremo dopo
la separazione dalla sua amata compagna Rispoli che era morì due anni prima di
lei. Sembra che la Poletti negli ultimi anni della sua vita stesse lavorando su
un importantissimo libro di antropologia culturale sulle origini e fini comuni
dei popoli dell’area mediterranea. Un opera che probabilmente non fu mai portata
a termine. Morì a Sanremo il 12 dicembre 1971.
Tra i suoi ricordi una lettera che scrisse al marito
Santi: «Io non potrei che
tentare ostinatamente di persuaderti che lo scopo della vita, la ragione per
cui siamo quaggiù, non è quello d’imprigionarci dentro un bozzolo sempre più
fitto di serici fili d’illusione, sieno pure esse generose e nobili verso le
cose e gli uomini, passati, presenti e futuri. L’unica cosa che conta, o Marta
incorreggibile dalle centomila faccende, è “perdere la propria vita”: non
adoperasti proprio tu questo verbo “perduta” con ignaro rimpianto, a mio
riguardo, come se fosse stato da deplorare che non avessi anch’io fatto l’uso
che tutti fanno delle facoltà che ho sortite di natura? Io, vedi, mi struggo di
non avere ancora totalmente saputo perdere la vita, e il mio lavoro di ogni ora
non mira ad altro. Anche in Grecia sono andata a raccogliere l’enunciazione
filosofica della medesima sapienza nazarena» (Cenni, 2011, p. 222).
Sibilla Aleramo –
(Alessandria,
14 agosto 1876; Roma, 13 gennaio 1960)
Pubblicazione “Una donna”
Nel
novembre 1906, presso l’editore “Sten” di Torino, dopo il rifiuto di Treves e
di Baldini e Castoldi) uscì la
pubblicazione “Una Donna” che era stata composta tra il 1901 e il 1902.
Di
cosa trattava ? Valore sociale della maternità, legislazione più adeguata ad
una madre moderna, la dipendenza economica nel matrimonio, la prostituzione
dell’anima e del corpo, il diritto alla felicità.
Il
libro fu un grandissimo successo. Ci furono anche delle clamorose polemiche per
il suo contenuto femminista sarà recensito dai maggiori giornali italiani.
Anche Pirandello, sulla Gazzetta del Popolo esaminò la pubblicazione dando un
giudizio entusiastico. Venne in seguito tradotto e pubblicato nei paesi europei
e negli Stati Uniti. Alcuni femministe furono contrarie alla pubblicazione. Il
libro mise in evidenza la questione della felicità della donna in una società
patriarcale. In particolare in
Francia, il giudizio estremamente favorevole che ne diede Anatole France,
contribuì a rendere “Una Donna” una
sorta di “Bibbia” del femminismo, insieme a “Casa di bambola” di Ibsen.
Lina
Caico
nacque il 6 giugno 1883 a Bordighera e fu la
primogenita di Eugenio Caico e Luouise Hamilton autrice del libro “Vicende e
Costumi siciliani di Montedoro” in
Sicilia in prov. di Caltanissetta.
Montedoro - Cava di Zolfo
Lina s’inventò, nel piccolo centro della provincia di
Caltanissetta una rivista itinerante “La Lucciola”. Era una rivista scritta a mano che raggiungeva
le varie corrispondenti per l’Italia come in una lunga catena di Sant’Antonio.
Nella rivista si parlava di politica, di arte, di letteratura ma anche dei fatti
di vita quotidiana. C’erano altre riviste simili in Europa: “Firefly” in
Inghilterra. “Parva Favilla” in Germania e “Mouche volante in Francia. In
Italia erano presenti riviste che erano però a stampa come “Voci Amiche”,
“Rivista per signorine” e “Prima lux”. Riviste che erano espressioni della borghesia
femminile e che comunque ebbero una breve vita. “Lucciola” non era stampata ma
manoscritta.. la rivista partiva da Montedoro e raggiungeva le varie
corrispondenti, tutte donne nei vari luoghi d’Italia per mezzo dei treni regi e
delle carrozze. Nel giro due, tre mesi raggiungeva tante località sparse nel
territorio nazionale (Napoli, Firenze, l’Aquila, Modena, Venezia, Verona, Como
ecc…). La rivista vagherà per l’Italia dal 1908 al 1926 quando si finì la
pubblicazione. La copertina del fascicolo era lavorata a mano e il fascicolo
veniva iniziato nella sua stesura dalla direttrice del momento.. quindi
raggiungeva la varie corrispondenti che nel volgere di un paio di giorni, pena
una multa, dovevano annotare le loro osservazioni, esprimere le proprie
sensazioni, parlare dei problemi della donna o
di politica, di vita in genere. Si ponevano anche delle domande che
avrebbero avuto delle risposte nei numeri successivi (in viaggio c’erano già
altri fascicoli). Si inserivano anche delle fotografie e racconti… il fascicolo
veniva spedito al destinatario più vicino che faceva altrettanto fino a
completare il giro e tornare a Montedoro.
Così per 18 anni, questa rivista in unico esemplare
per numero e scritta a mano, vagò carico di sentimenti, di preoccupazioni, di
ansie, per le strade italiane, sfidando persino gli anni della guerra, per
giungere miracolosamente a noi per puro caso, per merito di Gina Frigerio di
Milano, l'ultima direttrice a conservare diligentemente tutta la raccolta. Le
corrispondenti, che si alternavano nella direzione della rivista, si firmavano
con uno pseudonimo, com'era uso del tempo. L'intento iniziale era che la
rivista si occupasse solo di vicende private, ma fu inevitabile che le argomentazioni
si spostassero verso la politica, la letteratura, e verso i fatti contingenti
dell'epoca, molto agitata dalla guerra del 1915 '18 e dalle conquiste
coloniali. Il fascicolo era impaginato dalla direttrice, con dipinti, disegni,
foto, copertine e frontespizi, propri o delle corrispondenti. Il contenuto
della prima parte era essenzialmente letterario, con racconti, poesie, diari,
descrizione di gite e conferenze. Oggi, nell'era del computer e di Internet,
questo reperto quasi archeologico, appare come un'eredità prodigiosa. I fili
delle esistenze di queste lucciole si annodano tra loro, e si vede la vita
scorrere pagina dopo pagina. La crescita personale s'intreccia con gli
avvenimenti collettivi in un gioco di interferenze. Così le dolorose attualità
della grande guerra traspaiono nelle cronache della rivista, con le sofferenze
delle famiglie, il dolore per i morti. Nel 1911 l'Italia parte per la conquista
della Libia, e fra le lucciole serpeggiano fermenti di entusiasmo colonialista:
Giulia cita versi di D'Annunzio, Lanternino scrive un lungo reportage sulla
visita alle tombe dei caduti di Sciara Sciat. Negli anni successivi cresce il
fermento intorno alle terre irredente di Trento e Trieste, e Pia, che è
triestina, si esprime con toni entusiastici perché fautrice dell'unione
all'Italia di quelle terre. A distanza di 80 anni, leggendo ed analizzando il
contenuto della rivista, le sorelle Lina e Letizia Caico risultano le più
colte, intraprendenti ed evolute del gruppo. L'educazione in Inghilterra e la
religione protestante (poi si convertiranno al cattolicesimo) le rendono più
libere nei giudizi, e capaci di guardare con occhio critico alle tante
convenzioni che le circondano in Italia. Lina ricorda una pagina di un
giovanissimo caduto, Manfredi Lanza di Trabia. La guerra è un'apocalisse che
annuncia la palingenesi, ma anche una malattia che, se non mortale, si risolve
con la rinnovata salute del corpo. In queste opinioni c'è il senso fatalistico
e religioso di chi cerca una visione provvidenziale anche nelle catastrofi, ma
in questo esprime la forza e l'energia della volontà di vivere. Lina era
pervasa da una serietà profonda ed un grande senso religioso della vita,
un'alta idea della dignità femminile, senza scadere nel bigottismo. E sappiano
che la sorte mise a dura prova il coraggio che si rispecchia nelle sue parole.
Lina morirà nel 1951, inferma ed in ristrettezze economiche, accudita dalla
"lucciola" Licia (Maura Mangione di Palermo), nella casa di
Montedoro. Vfs (Laura Frigerio), le manderà una carrozzina per invalidi. Finito
il sodalizio, Nunziatina scriverà nel suo congedo: «Le varie grafie erano come
altrettante voci».
Sulla straordinaria avventura di questa
rivista, Paola Azzolini e Daniela Brunelli qualche anno addietro hanno
pubblicato un ponderoso volume “Leggere le voci, storia di Lucciola rivista
manoscritta al femminile”, di cui Natalia Aspesi ha scritto una bella
recensione per “la Repubblica” del 12 gennaio 2008.
Letizia Caico, sorella di Lina, su Giannetta
Da questa recensione riporto i brani che seguono integralmente perché
riescono a dare il reale aspetto di questa importante rivista e delle sue
collaboratrici tra cui Lina Caico.. una figura sconosciuta agli stessi
siciliani:
“Lucciola viaggiava in tutta Italia,
custodita in uno scatolone e affidata alle Regie Poste, viaggiava da Irmina a
Lorelay, da Fulvetta a Sakuntala, da Rosa Sfogliata a Bluette, collegando tra
loro signorine di buona famiglia agli inizi tra i 15 e i 18 anni, che per
uscire dal silenzio domestico si occultavano dietro uno pseudonimo: era quello
il modo più spiccio e indolore che consentiva alle donne meno sfacciate di
esprimere quella cultura che in società era meglio nascondere, quello scontento
che non doveva apparire, quell' indipendenza di giudizio che si avvicinava al
peccato e alla trasgressione. Lucciola sostava a Milano e a Serravalle Scrivia,
a Torino e a Termini Imerese, a Palermo e a San Giovanni Lupatolo, a Napoli e a
Acquanegra cremonese. Sostava e doveva ripartire, entro al massimo 48 ore, pena
la multa o la cancellazione come socie. In anni invasi da riviste femminili
[…], Lucciola era una aristocratica eccezione, una nobile stravaganza, l'
esperienza di un circolo chiuso ed elitario, del resto mai più ripetuta: una
impresa giornalistica che dal 1908 al 1926, con un paio di interruzioni,
produsse un fascicolo mensile in unico prezioso esemplare di almeno 300 pagine,
per di più completamente manoscritto, cucito a mano dalla direttrice del
momento, con copertine di seta, velluto, paglia intrecciata, illustrato da
disegni, dipinti, ricami, lavori all' uncinetto, fotografie, eseguiti dalle sue
stesse lettrici-corrispondenti (e da qualche ardito collaboratore maschio, che
si dava soprannomi come Dandy, Daisy, Paggio Fernando, Lucciola Forense). […]
«L'essere manoscritto fa senso ai nostri occhi moderni, così abituati alla
stampa, ma a lungo andare ci si affeziona a vedere ogni lavoro colla scrittura
dell'autrice; le diverse scritture ci danno un pò l'impressione di sentire la
voce, di vedere l' espressione di ciascuna autrice». Così la fondatrice di
Lucciola spiegava la sua insolita se non bizzarra iniziativa: era allora, nel
1908, una ragazza di 25 anni piccina piccina, dall'aria fragile e dai grandi
occhi neri, si chiamava Lina Caico e viveva a Montedoro, uno sperduto borgo in
provincia di Caltanissetta. […] L'Italia abbondava
allora di giovani donne come le “lucciole” […] che, tra racconti, poesie,
reportage, discutevano con la loro scrittura educata e spesso febbrile, dei
temi sociali, poi anche politici, che più riguardavano la condizione femminile.
Per esempio della minorità giuridica delle donne, di pacifismo e interventismo,
di emancipazione e femminismo, del diritto al voto, del rapporto tra i sessi,
del matrimonio spesso vissuto come inevitabile schiavitù. […] Il lungo viaggio
di Lucciola dura fino al 1926, quando viene interrotto dalla politica: ci sono
le lucciole che si infiammano per il fascismo e quelle che simpatizzano per il
socialismo. Il dibattito sui temi politici si fa via via sempre più furente.
Una Lucciola, Rosa Sfogliata, nel 1922, imitando la virile retorica littoria
scrive: «Nel balenio policromo dei nostri gagliardetti riaffermiamo la nostra
incrollabile fede fascista. Da ogni lato la canea antifascista abbaia contro di
noi: Fascisti in piedi! Sia saldo l' animo e fermo il polso come fu nelle
battaglie atroci del Carso». Pacata, Lina le risponde di non essere fascista, e
neppure socialista, ma di non credere che il fascismo «possa farci fare un
passo verso un' era di prosperità vera, un' era di giustizia sociale, di pace
fra le nazioni...». La Festa del 1º Maggio è stata abolita e Lina confessa che
quella data le piaceva, «era la festa dell' avvenire, di quando non ci saranno
più ingiustizie sociali e prepotenze nazionali»”.
Il fascismo divise
non solo il Paese, ma anche le “lucciole” che, non potendo più condividere gli
stessi spazi culturali e ideali, ruppero un sodalizio giornalistico, ma
soprattutto umano, che durava da diciotto anni, e decisero di andare ciascuna
per la propria strada.
Montedoro (CL) - Museo dello Zolfo
MARGARET
FOUNTAINE
Nel 1940 un'anziana signora fu
trovata in fin di vita sul ciglio di una strada presso il monte St. Benedict,
nell'isola di Trinidad, Indie Occidentali. Aveva accanto a sé un retino.
Sembrava aver avuto un attacco di cuore e venne soccorsa che era ancora
cosciente, ma morì poco dopo. Era Margaret Fountaine, cacciatrice di farfalle.
Molti anni prima, nel 1889, la giovane Margaret aveva deciso di dedicarsi allo
studio delle farfalle, una passione nata come semplice passatempo e che era
divenuta la sua principale occupazione. Aveva anche rifiutato l'istituzione del
matrimonio, non accettando compromessi. La sua ricerca la portò in Africa, in
Australia e in Cina. Conobbe il mondo agli inizi del Novecento servendosi di
treni e piroscafi, viaggiò in bicicletta e a dorso di mulo, affrontò le febbri
tropicali, dormì in capanne di fango. Per mantenersi si ritrovò ad abbattere
alberi in una fattoria australiana, visse negli Stati Uniti e si entusiasmò per
Los Angeles e la nascente città del cinema, Hollywood. Esplorò i grandi fiumi
sudamericani, si smarrì nella giungla africana. I diari qui riuniti, rivelati
al pubblico solo nel 1978 come richiesto dalla stessa Fountaine nel suo
testamento ("cento anni dopo il giorno esatto in cui ho iniziato a
scriverli"), ci raccontano la vita avventurosa di questa donna
spregiudicata e audace, ammirata non solo dalla comunità scientifica, ma anche
dal movimento per l'emancipazione femminile, che riconobbe nelle sue gesta lo
spirito di una donna libera. Fu anche in Sicilia, a Messina, dove passò momenti
indimenticabili.
Margaret Fountaine in America
I Disegni di Margaret Fountaine
LE PRIME
DONNE SINDACO
Le donne
acquisito il diritto al voto, votorano per la prima volta nella primavera del
1946 per le elezioni comunali. I partiti si fronteggiavano sia su problemi
interni che su quesiti di estrema importanza. Uno dei problemi di maggiore
importanza era quello che fare svolgere prima le elezioni amministrative o la
votazione sulla Costituente e sul referendum. E ncora elezioni parziali o
generali ?
I pariti
decisero alla fine di mettere alla prova l’elettorato con le amministrative… il
motivo ? avere la possibilità di
giudicare il voto amministrativo ed eventualmente attuare delle contromisure
nelle importanzioni elezioni politiche e soprattutto sul referendum tra
monarchia o repubblica. Ci fu anche un aspetto importante nelle elezioni
amministrative: furono spezzettate si temevano influenze delle destre
monarchiche sulle realtà urbane del sud che potevano avere effetti psicologici
sulla scelta della forma di governo del paese
Nella
primavera del 1946, tra marzo ed aprile, si votò in cinque domeniche successive
per il rinnovo di 5.722 comuni: 10 marzo (436 comuni), 17 marzo
(1.033 comuni), 24 marzo (1.469 comuni), 31 marzo (1.560 comuni) e 7 aprile
(1.224 comuni). Altri 1.383 comuni, tra cui i più popolosi del meridione,
andarono al voto in autunno in altre otto tornate elettorali: il 6, 13, 20 e 27
ottobre ed il 3, 10, 17 e 24 novembre. Nel frattempo si era svolto il
referendum costituzionale sulla forma di governo e la repubblica aveva vinto malgrado dal Lazio alle isole la
popolazione si era espressa a favore della monarchia.
Come più volte accennato le elezioni della primavera del 1946 videro votare
per la prima volta le donne che costituivano ben il 53% dell’elettorato e
quindi una forza maggioritaria dell’elettorato. C’era una grande preoccupazione
tra i portiti politici per diversi motivi:
-
La sinistra temeva un influenza della chiesa sul voto
espresso dalle donne;
-
La Dc guardava, e questo da sempre, il voto delle
donne come una minaccia ai valori tradizionali e di unità della famiglia;
-
I partiti minori avevano paura sul voto espresso dalle
donne perché temevano scelte indirizzate verso i partiti maggiori.
Nelle elezioni singolari episodi che dovrebbero fare riflettere a distanza
di tempo . In un piccolo comune della Calabria, Zaccanopoli, oggi in provincia
di Vibo Valentia con 750 abitanti (allora ne contava circa 1.2009 si ebbe
l’astensione al voto delle donne. Il prefetto di Catanzaro scrisse che: «… le donne hanno ritenuto d’intesa con i
loro uomini, che l’esercizio del diritto di voto potesse apparire come una
manifestazione di immodestia e di esibizionismo. I Capi dei partiti locali
hanno ora promesso che per le elezioni politiche svolgeranno ogni propaganda
perché le donne acquistino la coscienza dei loro diritti politici e la
necessità di esercitarla …».
Ma la Calabria ebbe anche un primato… due donne elette sindaco tra cui Caterina Tufarelli Palumbo che a soli
24 anni fu eletta sindaco dal Consiglio Comunale di San Sosti (prima donna
sindaco eletta in Italia) e Lydia Toraldo Serra a Tropea.
Secondo ricerche ci sarebbe un’altra donna eletta
sindaco in quel periodo nel Comune di San Pietro in Amantea sempre nel marzo
del 1946: la maestra Ines Nervi in Carratelli.
Un ben primato per la bella regione Calabria dagli
aspetti storici, naturalisti, folcloristici di grande valenza. Ma la storia ha
preso purtroppo un’altra strada. Quelle donne sono da esempio e la loro storia
sì è ormai persa se non nelle popolazioni locali.. e questo è un aspetto
ulteriore di uno scollamento tra società e politica.
«Con tre sindache su undici la nostra regione diventa la prima in assoluto di questa particolare graduatoria e mostra un volto finora sconosciuto, positivo, se si considera che in quell’elenco sono assenti regioni come Toscana, Piemonte, Liguria. C’è da capire come mai nel prosieguo della vita politica della nostra regione il ruolo delle donne sia diventato così minoritario. Le vicende di queste donne tenaci, sindache in un periodo certamente tra i più difficili e drammatici della storia del Paese, testimoniano che non c’è nulla di inevitabile in ciò che accade, nei destini delle comunità. Mi auguro adesso che la Commissione pari opportunità della Regione tragga spunto da queste belle storie per valorizzarne ulteriormente il profilo storico e politico e indicarle come testimonianza di una Calabria che non ha solo il volto negativo delle emergenze».
«Con tre sindache su undici la nostra regione diventa la prima in assoluto di questa particolare graduatoria e mostra un volto finora sconosciuto, positivo, se si considera che in quell’elenco sono assenti regioni come Toscana, Piemonte, Liguria. C’è da capire come mai nel prosieguo della vita politica della nostra regione il ruolo delle donne sia diventato così minoritario. Le vicende di queste donne tenaci, sindache in un periodo certamente tra i più difficili e drammatici della storia del Paese, testimoniano che non c’è nulla di inevitabile in ciò che accade, nei destini delle comunità. Mi auguro adesso che la Commissione pari opportunità della Regione tragga spunto da queste belle storie per valorizzarne ulteriormente il profilo storico e politico e indicarle come testimonianza di una Calabria che non ha solo il volto negativo delle emergenze».
Ninetta
Bartoli fu eletta sinsaco del comune di
Borutta, a circa 30 km da Sassari, nelle elezioni amministrative del 10 marzo
1946 con un plebiscito dell’89% dell’elettorato.
Era nata a Borutta (un piccolo paese
di 600 abitanti) il 24 settembre1896. Di famiglia benestante, viene mandata in
colegio a sassari presso l’Istituto Figlie di Maria. Ninetta evidenziò subito
il suo carattere cristinao… odia lòe arti “femminili” .. vorrebbe agire fare
qualcosa e aiuita un frate missionario impegnandosi in parrocchia. Deciderà di
non sopsarsi e sarà questa la promessa della sua vita perché si dedicherà agli
altri. Dopo la guerra diventò segretario dela locale sezione della Democrazia
Cristiana. La sua candidatura a sindaco fu appoggiata in particolare dalla
famiglia Segni.
In due “consiliature” realizzò in 12
anni tutta una serie di opere importantisssime che oggi si potrebbero definire
“grandi opere”: le scuole elemtari, l’asilo infantile, il cimitero, la casa
comunale, l’acquedotto, la fognatura, una cooperativa per la raccolta del latte
e la produzione di formaggi, una casa di riposo, un fifliale cooperativa di
cedito agrario oltre ad una serie di iniziative rivolte al mondo femminile per
dare specializzazioni lavorative alle donne.
Una delle sue opere più importanti fu
la ricostruzione del monastero di San Pietro di Sorres, una delle più belle
chiese romaniche della Sardegna.
San Pietro di Sorres
Era ridotta ad un cumulo di macerie a
causa dell’abbandono, dei danni provocati dalla guerra, dei continui saccheggi.
Riuscì a restaurala facendo ricorso alle
proprie risorse economiche e al patrimonio della sua famiglia. Il suo
intervemnto nel monastero non si limitò solo alla ricostruzione ma anche
all’inserimento, sin dal 1955, di una comunità di monai benedettini che
mancavano nell’isola da tanti secoli. Ma la politica ha sempre i suoi risvolti
egoistici e nel 1956 la sua esperienza
politica finì con l’ascesa politica dei “giovani turchi”… i “giovani turchi”
costituivano la nuova gioventù democristiana che mise in minoranza i vecchi
dirigenti della democrazia cristina sassarese. Morì a Borutta nel 1978.
Svolse la propria azione amministrativa con grande
rettitudine morale, in modo appassionato ma con estremo rigore intellettuale e
con onestà non esitando, all'occorrenza, a finanziare opere e iniziative con
risorse proprie e della sua famiglia ogni volta che il finanziamento pubblico
non era possibile o sufficiente. “Credo
che possa rappresentare per quanti oggi si occupino della cosa pubblica un
modello attualissimo, o forse in tempi in cui dominano la scena politica, per
usare un eufemismo, personaggi ambigui, un modello avveniristico. Che il suo
esempio possa illuminare l'azione politico-amministrativa di quanti vengono
chiamati ad amministrare, a tutti i livelli, il proprio paese, ad iniziare da
me”. (Sindaco di Borutta)
Corteo Medievale
Ada Natali (Massa
Fermana, 5 marzo 1898 – Massa Fermana, 27 aprile 1990).
(Massa Fermana –
Fermo – Comune di 933 abitanti)
(Porta di Sant’Antonio)
Figlia
di Giuseppe Natali, sindaco socialista del paese, diplomata magistrale si
dedicò subito all’insegnamento tanto da meritare l’appellativo “Maestra Ada”.
Si iscrisse all’Università di Macerata, Facoltà di Giurisprudenza e nel 1922 il
primo grave dispiacere familiare. Le squadre fasciste picchiarono a sangue il
padre per i suoi ideali socialisti. La madre morì per lo spavento e la giovane
donna vene confinata nelle montagne di Roccafluvione. Nel 1936 chiese di essere
avvicinata a Macerata per continuare gli studi universitari. Venne trasferita
ad Apezzana di Loro Piceno, una località che in quel tempo era priva anche di
strade. La sua vita diventò un inferno perchè era controllata a vista dai
carabinieri. Tra mille sacrifici a piedi raggiungeva Paso Loro per prendere il
pullman diretto a Macerata per sostenete gli esami. Durante gli studi universitari
trovava il tempo necessario per insegnare a leggere e a scrivere sia ai suoi
scolari che ai contadini analfabeti della zona.
Riuscì
a laurearsi in Giurisprudenza. Nella lotta di liberazione fu a fianco dei
partigiani nelle battaglie . Nel 1946 fu eletta sindaco (lista PCI) e rimarrà nella carica fino al 1959. Nel 1948
venne eletta deputata nelle liste del Fronte Popolare (PCI – PSI) e come
parlamentare fece parte di un delegazione che si recò in URSS per avviare
importanti contatti istituzionali.
Nel
1953 fu inviata da Togliatti, in Sicilia per la campagna elettorale. Doveva parlare alle donne per la sua innata
capacità di rapportarsi con l’umile gente sempre con una grande senso di umanità.
Si distinguerà anche per il suo forte impegno nell’emancipazione femminile nella
sua lunga attività di sindaco con tanti successi e lotte. Sostenne la lotta
delle operaie delle fabbriche di cappelli che erano impegnate nella conquista
del primo contratto di lavoro. Le
operaie erano riunite in assemblea permanente e ordinò ai dipendenti comunali
di raccogliere la legna presso la selva per far riscaldare le operaie in
occupazione. La selva circondava il convento dei Frati Francescani e per questo
motivo fu processata.
Convento di San Francesco
Venne
difesa dall’illustre avvocato Terracini presidente dell’assemblea Costituente.
Fu assolta con formula piena.
Diede
avvio alle colonie per bambini a Massa Fermana ma era solo un pretesto per dare
una minestra ai bambini delle famiglie più povere.
Agì
sempre con fermezza e decisione. Un comportamento che dimostrò anche per salvare un opera di grande valore
artistico: la “Natività” di Vincenzo Pagani.
Un’opera
che era stata abbandonata e trascurata dalla Soprintendenza. La Natali decise
di vendere alcuni pezzi di scarso valore per poter reperire i finanziamenti
necessari per il recupero dell’opera d’arte. Fu denunziata anche per questo
motivo sempre dall’opposizione in Consiglio Comunale. Venne processata ma fu
assolta con formula piena. Gli ultimi anni della sua vita li passò nel dedicarsi
al movimento femminile e negli ultimi anni della sua vita, quasi dimenticata,
si recava a Montappine per dare da mangiare ad una colonia di gatti di cui era
diventa protettrice.
Caterina Pisani Palumbo
Tufarelli. Sindaco di San Sosti – Cosenza
Nata a Nocara il 25 febbraio 1922 e fu eletta sindaco
a soli 24 anni e nell’amministrazione del picolo comune sul Pollino mise un
gran slancio.
Di famiglia facoltosa si sposò in piena guerra,
all’età di 21 anni, con l’avv. Baldo Pisani che allora era ufficiale carrista e
che successivamente sarà presidente della provincia di Cosenza per tre
“consiliature”. Caterina prenderà la
laurea in giurisprudenza a Napoli. Eletta
nella fila della Democrazia Cristiana verrà eletta all’unianimità dal Consiglio
prima cittadina di San Sosti. Una figura
ricca di personalità ed impegnata nella politica che è anche impegno civile e
sociale date le condizioni drammatiche
del dopoguerra.
Un impegno evidenziato nella “Relazione sull’attività
svolta dell’amministrazione comunale”. Una donna moderna che nel lontano 1952
vide la responsabilità di congedare la sua esperienza amministrativa con un
resoconto in segno di rispetto politico e sociale.
San Sosti allora era un piccolo paese di appena 3.500
abitanti. Nel 1946 quando fu nominata sindaco la situazione in Italia era
drammatica. La razione giornaliera del pane è di 250 grammi e ancora nel 1947 i
cittadini italiani sono i peggio
alimentati di tutto l’occidente. In quegli anni il tasso di mortalità
infantile era di 103 ogni mille nati
vivi e per scendere sotto i 50 sarà necessario attendere il 1956 (il tesso
normale oggi è del 3 per mille).
Questi dati dovrebbero fare capire la situazione
sociale di quei tempi e le difficoltà incontrate dai sindaci nell’affrontare la
realt.
La sindaca Caterina Tufarelli affrontò la difficile
situazione con coraggio e con un azione
proiettata al futuro anche subendo delle critiche o accuse.”: «… se non tutte le aspirazioni hanno
potuto essere realizzate, non ne vada biasimo a nessuno…».
Nel
documento una vena anche di intelligente ironia parlando della mancanza di
illuminazione pubblica: “ «… A San Sosti, a tre anni dalla fine della guerra,
continuava l’oscuramento, dando in ciò esempio di disciplina… a rovescio».
Nella sua relazione di fine mandato espose le scelte amministrative; le finanze
alle opere pubbliche, all’assistenza ed
alla programmazione. Uno dei primi problemi che dovette affrontare erano i
buoni individuali, l’indennità del caropane, la distribuzione dei prodotti di
prima necessità. Ma aveva in sé l’dea di un futuro da sostenerecon forza e
volontà: l’asilo infantile difeso con
caparbietà, l’orologio pubblico che oggi farebbe sorridere (“…la cui necessità era da tutti sentita specie dai lavoratori…”),
l’acquedotto comunale, il mercato coperto, l’edificio scolastico, le case
popolari.
Insomma, una donna calabrese che meriterebbe, insieme ad altre figure, una maggiore conoscenza e valorizzazione così come quel periodo ancora caratterizzato da molte ombre documentali.
Insomma, una donna calabrese che meriterebbe, insieme ad altre figure, una maggiore conoscenza e valorizzazione così come quel periodo ancora caratterizzato da molte ombre documentali.
(San Sosti - Santuario Pettoruto)
( San Sosti – Cascata Frà Giuseppe)
Uno dei suoi primi provvedimenti fu la nomina del
comitato comunale di assistenza. Affrontò il drammatico problema della
disoccupazione, un problema prioritario in quei tempi, e che aveva risvolti
drammatici. Vennero approvati i lavori di riparazione della strada comunale al
bivio di Mottafollone. Uno dei suoi
ultimi provvedimenti fu l’assunzione di un mutuo presso la cassa deposito e prestiti
per 29 milioni.. una cifra necessaria per la costruzione dell’edificio
scolastico offrendo come garanzia sulla super imposta fondiaria e sulle imposte
di consumo.
Lydia Toraldo Serra – Sindaco di Tropea – Vivo Valentia
Nacque a Cosenza l’1 agosto 1906, figlia dell’avvocato
Nicola. Lydia seguì sempre con interesse
l’attività politica del padre che fu nominato più volte deputato e che ricoprì
la carica di sottosegretario nel Ministero della Marina Mercantile al tempo del
governo di Luigi Facta.
Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e a 23 anni
fu la prima donna calabrese a conseguire la laurea in Legge con la tesi,
“Concessione del voto alle donne” che fu discussa davanti all’illustre
costituzionalista Vittorio Emanuele Orlando. La grande e forte passione per la
politica la portò a diventare la prima donna sindaco di Tropea. Nel 1933 si
sposò con l’ing. Pasquale Toraldo, e in
seguito al matrimonio si trasferì a Tropea. L’ingegnere era un marchese e la
critica dichiarò che il titolo nobiliare del marito favorì la sua vittoria
elettorale. Ma non fu così .. la critica
fu contradetta dai risultati. La sua vittoria fu schiacciante… tra i suoi
avversari politici c’era suo cognato, Giuseppe Torado, che aveva ricoperto la
carica di sindaco su nomina del prefetto subito dopo la guerra. I provvedimenti
presi da sindaco … tanti.. rivolti ai
cittadini in difficoltà ..come vengono ben descritti, con orgoglio, dal sito “Tropea
e dintorni”. Era un periodo di crisi e
grazie alle sue conoscenze paterne riuscì a farsi ricevere dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi. Il Ministro era in visita a Catanzaro
e fu raggiunto dalla Toraldo per mezzo
di un treno merci. Grazie all’incontro la Toraldo potè reperire del grano e del
riso per i tropeani, facendo dirottare verso la città, con l’aiuto di carri e camion.,
il carico di una nave americana che era stata fatta attraccare apposta al porto
di Vibo Marina. Grazie a lei i tropeani riuscirono a superare il problema
riguardante la penuria di cibo. Negli ulteriori periodi di carestia riuscì a
convincere il padre a rivolgersi ai parenti Toscano di Cassano per avere degli
alimenti e quando la situazione si presentò drammatica non esitò ad
incoraggiare la gente a prendere il grano trasportato su di un treno che era di
passaggio per la stazione di Tropea. Un grandissimo aiuto in favore dei giovani
e delle famiglie fu fatto nel campo scolastico con l’istituzione della prima
scuola media e successivamente del Liceo Classico (sezione staccata del Liceo
Classico “Morelli” di Vibo Valentia). Gli studenti infatti finito il primo
ciclo di studi elementari erano costretti ad andare a Vibo Valentia per
frequentare le medie. Grazie alla creazione di un convitto, collegato al
ginnasio, riuscì a fare giungere a Tropea anche studenti dai paesi vicini. Negli
stessi anni pensò alla possibile istituzione di una scuola tecnica e a corsi
serali.
Provvedimenti importantissimi dal punto di vista
sociale perché in questo modo le famiglie che abitavano nei paesi della costa
poterono garantire ai propri figli un istruzione che prima era di pertinenza
solo delle persone più abbienti. I provvedimenti culturali favorirono nella
città la formazione di una classe di professionisti che causò nella struttura
sociale delle “invidie”..I rapporti fra la “sindachessa” e il ceto nobiliare, a
cui Lydia apparteneva per le sue origini, diventarono difficili. Un ceto
nobiliare che a malincuore aveva visto portare avanti dei provvedimenti anti-nobiliari
adottati dalla Toraldo e quindi dall’amministrazione comunale: reperimento di terreni da destinare
all’edificazione delle case popolari. Lydia rispose con cuore alle esigenze di
molti nuclei familiari desiderosi di avere una casa propria visto che molte
famiglie condividevano le abitazioni con parenti o vivevano in condizioni
precarie in tuguri o case malsane nei pressi del centro storico. Si preoccupò e
favorì l’edilizia pubblica. Capì
l’importanza nella costruzione del primo stabilimento balneare a Tropea…
stabilimento che fu costruito in un terreno di sua proprietà e realizzato nei
presso dello scoglio di San Leonardo. Vi creò anche una rotonda che diventò
luogo di svago e di ritrovo. Un provvedimento che vide aprire le porte del
turismo alla città e nell’intero territorio e che non fu esente da critiche. Si
impegnò per il porto che tra il 1952 e il 1956 fu dragato più volte a causa dei
continui insabbiamenti. Provvide alla bonifica e alla cura dei due percorsi d’acqua,
il Lumia e la Grazia, con costruzioni di opere di sostegno e di briglie di
trattenuta e di consolidamento.
Nel 1954 fu legittimata dalla fiducia di un elettorato
trasversale e anche senza il sostegno del suo partito riuscì a ricoprire la
carica di sindaco fino al 1959… ben 13 anni. Nella città c’era un bellissimo
dialogo tra la “sindachessa” come veniva chiamata con amore dai tropeani e la
gente umile che nutriva nei suoi confronti
un sentimento di sincera ammirazione,,, di amore filiale che durò a
lungo nel tempo tanto da farle aggiungere un altro soprannome…. “a mammicea
nostra».. Sfruttando le amicizie del padre, che nel frattempo era
morto, Lydia riuscì ad entrare in contatto con il Ministro delle Poste e delle
Telecomunicazioni, Gennaro Cassiani, anche lui calabrese di Spezzano Terme, e
grazie all’appoggio ministeriale riuscì ad aprire a Tropea un Ufficio Postale.
S’impegnò per l’ospedale civile che nel 1955 fu dotato di una nuova sala
operatoria. Una dotazione importante anche per i servizi medici a favore dei
comuni vicini. La sua politica per la famiglia e i servizi necessari al suo
vivere quotidiano furono sempre al centro delle sue attenzioni. Creò una sede
locale per la protezione della maternità e dell’infanzia (OMNI) con l’obiettivo
di dare assistenza alle madri bisognose e un aiuto ai bambini abbandonati. In
città fu pavimentato il corso principale, l’illuminazione delle vie, la stessa
sistemazione delle scale che portavano alla marina, il potenziamento
dell’acquedotto municipale e la sistemazione delle fogne, la costruzione degli
archi per il consolidamento della rupe. Provvide alla concessione gratuita allo
Stato dei suoli destinati alla costruzione di case per gli alluvionati. Gran
parte dei lavori pubblici furono realizzati attraverso i cantieri di lavoro che
offrivano una soluzione al gravissimo problema dell’occupazione. Anche lo sport
entrò nelle sue iniziative. Il campo sportivo fu acquisito dal comune e
ristrutturato. Si occupò anche della
valorizzazione delle tradizioni popolari tropeane e nella cultura organizzò dei
convegni importanti che si tennero proprio a Tropea: Il Congresso di Studi
Galluppiani nel 1946 e un convegno sui fratelli Vianeo, celebri pionieri della
rinoplastoica nel 1947.Per lei non era importante l’appartenenza ad un partito
ma il contatto diretto franco e leale con gente
Finita la sua carriera politica si dedicò alla pittura
e alla famiglia. Nel 1972 ricevette la nomina a cavaliere della Repubblica per
il suo grande. Immenso impegno politico espresso. Morì a Tropea nel luglio del
1980.
Ines Nervi in Carratelli
Quando Ines Nervi fu
eletta sindaca di San Pietro in Amantea (Cosenza) aveva 42 anni, era sposata,
già madre di due figli e svolgeva la professione di maestra elementare. Eletta,
al pari delle altre due sindache calabresi, come capolista nella democrazia
cristiana, ricoprì la carica di prima cittadina ininterrottamente fino alle
successive elezioni amministrative del 1952.
Morì all’età di 83 anni
nel suo paese a testimonianza di un legame fortissimo con la sua gente e il suo
ambiente. Ines Nervi assunse la carica di sindaca quando il paese era al
massimo della sua evoluzione demografica, con circa 1.700 abitanti. Da allora
un declino demografico inarrestabile ha portato la piccola comunità ad appena
500 residenti. Un destino apparentemente ineluttabile come quello di altre
decine e decine di piccoli comuni calabresi che invece storie di impegno e
ostinazione come quelle di Caterina, Lydia, Ines, ci insegnano che non c’è
sorte da subire passivamente.
Elsa Damiani, (Milano, 26 aprile 1899 – Pisa, 18 ottobre 1992) moglie del poeta
Giacomo Prampolini, fu invece eletta, sempre nel 1946, a Spello (Perugia).
Fu
prima cittadina per ben 16 anni, fino al 1962, e fino al 1964 sedette nel
consiglio comunale. Nel 1951 fu al centro anche di un'interrogazione
parlamentare, durante la quale venne accusata di non aver provveduto a
cancellare da alcuni muri della città dei murales su Eisenhower.
Spello - La Porta
Margherita Sanna fu eletta sindaca di Orune
in provincia di Nuoro il 7 aprile e ricoprì l’incarico per ben tre legislature.
Era democristiana ed in seguito diventò anche assessora provinciale. Nel suo
paese la chiamavano semplicemente “la signorina Sanna”. Era figlia di pastori e
si diplomò in ragioneria a Sassari. Vinse un concorso per lavorare in una banca del
capoluogo ma le fu preferito un uomo, così si trasferì a Cagliari e concluse
gli studi magistrali diventando un’insegnante. Amministrò con saggezza e
lungimiranza e si dedicò all’educazione e all’alfabetizzazione della sua gente.
Prima della Liberazione, fu accusata da parte del
governo fascista di spionaggio militare e venne anche arrestata. Il regime mal
sopportava “quella maestra che mette i grilli dell’emancipazione alle donne”. È
morta nel 1974.
L’eroismo
quotidiano.. Carlo Levi nel suo libro di viaggio “Tutto il miele è finito” la
descrive con efficacia:
"Dal municipio", siamo nel 1952, "uscì una donna dai
capelli grigi, avvolta in uno scialle da contadina: era il sindaco di
Orune". Sembra di vederla in questo camminare tipico delle donne del fare,
come se avessero addosso argento vivo. In Margherita Sanna questa idea del fare
era sorretta da una grande dimensione interiore. Tutto in lei era finalizzato
alla trasformazione, al divenire, al passaggio della sua gente da
una condizione di stasi, il tempo fermo della società barbaricina, a un'idea di
"riscatto", di inserimento del proprio paese dentro una più allargata
società contemporanea. Si temprò in anni difficili. Era sindaco del paese ma
soprattutto insegnante elementare. "Per quasi tutta la vita", ha
scritto Salvatore Bussu nell' "Ortobene" del 15 marzo 1987,
"svolse un'opera preziosissima nel campo dell'educazione, una donna che è
stata quando era vivente un punto di riferimento di tutto il paese". Fare
la maestra non fu la sua prima occupazione. Figlia di pastori, Margherita
Sanna, si diplomò ragioniera a Sassari. Vinse un concorso per entrare a
lavorare in una banca della città ma le fu preferito un uomo. Ritornata al suo
paese, lavorò per qualche tempo nella segreteria del comune. Era
molto efficiente. Tra l'altro sapeva parlare l'inglese. Non era però
quella del rendicontare la sua via. "Ho rinchiuso un altro
giorno di lavoro nelle sue carte e nei suoi numeri". Così si
legge nelle pagine di un intenso diario, ancora inedito. È il 15
dicembre del 1933, il giorno prima dell'inizio della novena, "quasi
Natale" annota Margherita Sanna. Il clima natalizio "si sente
dall'odore di pani e di dolci". Ci sono anche "gli spari a salve, le
visite, i progetti di festa". Tutto questo è come "un'altra
croce" dopo che le è venuto a noia "il gioco della quadratura dei
conti, il susseguirsi preciso delle fasi del lavoro e l'efficienza burocratica
di moduli, calcoli e cifre". Tornata a casa si domanda perché la nonna, la
madre, la sorella, debbano "dedicare tanto tempo alle faccende domestiche
che intorpidiscono il cervello se pure tengono elastici gli arti. Non riesco a
capire la forza rassegnata di generazioni di donne che sacrificano dieci ore
della propria giornata alla casa e alle sue cose". Margherita
pensa invece ai bambini, quelli a cui insegna il catechismo.
"Voglio che imparino a leggere e a scrivere. Voglio che trovino lavoro
onesto, voglio che vivano la loro vita al servizio di Cristo nel servizio della
comunità che li ospita. Maschi e femmine". A quel tempo Margherita Sanna
si era già diplomata maestra, a Cagliari, e insegnava nel suo paese,
impegnata in politica e soprattutto nell'Azione Cattolica. Per quel Natale del
1933, pensava di
presentare a Orune il nuovo catechismo. Solo che era di per sé "difficile
leggere e ripetere anche quello vecchio". La maestra conosce bene la
realtà in cui opera. Sa che occorre ancora molto più tempo del suo, pure totale
e senza riposo. "Se trovassi più tempo per loro", per i bambini e le
donne "forse riuscirei a comunicare questo bisogno di azione e di
conoscenza, questa esigenza di aprire la mente al di là delle pareti
domestiche, questa passione al sacrificio che trasforma la rassegnazione in
forza costruttiva e operante di donne capaci di muovere apatie, di
moderare esacerbazioni". Magari "con un sorriso". La scuola è
fatta di giornate cruciali. "Hanno rubato i maiali al babbo di
Francesca", annota in un'altra pagina. Francesca "ha dovuto ripetere
la storia dieci volte mano mano che un nuovo compagno arrivava". La
maestra si rende conto dell'inutilità di insistere con Mazzini e Garibaldi.
Chiede ai bambini che mettano per iscritto il racconto di
Francesca. C'è però Cosimo, ancor più eccitato perché il
loro podere è vicino a quello del padre di Francesca, che continua a
bisbigliare e a lasciare la pagina bianca. Si prende una bacchettata sulle
mani. "Devo aver picchiato forte", riflette,
tormentandosi, Margherita Sanna."Che senso ha il dolore in una
manina di bambino? Che senso ha la violenza sui deboli? Qualsiasi punizione ma
non quel colpo. Mai più colpi ai miei bambini. È la massima sconfitta del
maestro".
Nel 1939,
Margherita Sanna si iscrive al Partito Nazionale Fascista. Senza quella tessera
non avrebbe potuto più insegnare. In realtà non è per niente convinta della
politica mussoliniana che sta portando l'Italia verso la guerra e la
catastrofe. Dice il Dizionario
biografico degli antifascisti sardi che Margherita Sanna
"era stata più volte segnalata come appartenente al gruppo degli oppositori
nuoresi". Quelli che, recita un pro-memoria di Salvatore
Mannironi, "eravamo regolarmente schedati e qualificati con un nome che mi
pare fosse quello di vigilati di
frontiera". L'antifascismo di Margherita Sanna è nelle cose:
nella sua radicata fede cattolica e nella prassi politica Era dirigente
provinciale dei gruppi femminili legati prima al Partito popolare e in seguito
alla Democrazia cristiana. In questo operare, Margherita Sanna molto
attribuisce alle donne. Si potrebbe dire che fu una femminista ante litteram.
Scrive nel dicembre del 1942 che "il vescovo è preoccupato dalle notizie
della guerra. Ci ha voluto in Curia, me, Francesca Pintori e Francesca Funedda.
Ci affida la formazione delle giovani. Abbiamo fatto molto in questi anni. Le nostre
ragazze hanno imparato ad uscire di casa, a parlare e ad organizzare i gruppi
in parrocchia. Abbiamo imparato a pensare; non possiamo accettare decisioni
politiche passivamente". Nel gennaio del 1943, Margherita Sanna viene
arrestata e resterà in carcere per due mesi. Una esperienza terribile che la
segnerà molto. È accusata di fare parte del gruppo nuorese che doveva favorire
lo sbarco alleato nelle coste della Sardegna orientale, ancor prima di quello
che poi avvenne in Normandia. Anche in Sardegna, a Sarrala, nella marina di
Tortolì ci fu uno sbarco di ben più ridotte proporzioni. Venne
arrestato un agente del controspionaggio inglese che era in realtà un sardo:
Salvatore Serra. Gli fu trovato addosso un elenco di nomi
tra i quali oltre quelli di Emilio Lussu e dell'ingegnere Dino Giacobbe
c'erano quelli di Salvatore Mannironi e del veterinario
bittese-orunese Ennio Delogu. Salvatore e il fratello Cosimo Mannironi, il loro
fattore a Jacu Piu e due pescatori di Siniscola, padre e figlio, furono
arrestati. Condotti al carcere cagliaritano di Buoncammino, furono trasferiti a
Oristano dopo in bombardamenti di febbraio e marzo del '43. Da lì,
dopo aver rischiato la fucilazione, a Roma e a Isernia, in un campo
di concentramento. L'odissea proseguì dopo l'8 settembre del 1943 quando i
Mannironi e gli altri casa attraversarono l'Italia devastata dalle rovine prima
di ritornare a casa. A gennaio era stata arrestata anche Margherita Sanna.
"Non si è mai capito la ragione per la quale fosse stata coinvolta nella nostra
vicenda", scrive Salvatore Mannironi nel suo promemoria. "Può darsi
che qualche sospetto nei suoi confronti fosse perché collaborava con me
nell'Azione Cattolica, soprattutto durante il vescovado di monsignor Giuseppe
Cogoni, strenuo difensore delle libertà religiose". Forse fu coinvolta
nell'intrico senza che lei ne sapesse niente perché "aveva la sfortuna di
conoscere e di parlare l'inglese" scrive Salvatore Bussu. A guerra finita,
passati i giorni dolorosi del carcere, tanti che durante il tempo di
Mussolini l'avevano osteggiata e rifuggita come un'appestata si
avvicinarono nuovamente a Margherita Sanna. Facevano a gara nel distruggere le
tessere del partito fascista. Lei non mostrò interesse per questa
nuova furia dei trasformisti. Severa con se stessa, non coltivò odi. Amministrò con saggezza e lungimiranza. Tra le sue opere ci sono la
fondazione, insieme a dottor Ennio Delogu, della "Cooperativa pastori
orunese", una delle prime in Sardegna, l'impianto della pineta sopra il
paese e il primo lotto del caseggiato scolastico di Cuccuru ‘e Teti. Continuava
a urgerle l'educazione permanente della sua gente. Fece molte ripetizioni
gratis, a tanti. "Il sole è finalmente tramontato abbandonando il creato
al riposo", annota in una pagina di diario, il 15 ottobre 1960.
"Penserà la Provvidenza ad aprire un'altra strada. È tardi. Ora ho il
tempo di riposare".
Nel
diario ancora inedito di Margherita Sanna, ci sono pagine dal carcere molto
significative. Furono scritte nel febbraio del 1943, a Buoncammino. Sono pagine
intense, recuperate da un copione teatrale che anni fa fu messo in scena in una
scuola di un paese della nostra provincia.
"13
febbraio 1943. Compio 39 anni. La musica non si lesina per la mia festa.
L'ultimo scoppio era vicinissimo". I bombardieri inglesi e
americani gettavano dall'alto il loro carico di morte sopra
Cagliari. "Grande trambusto nei corridoi" scrive Margherita Sanna.
"Il carcere deve essere stato colpito". Nonostante la terribilità
dell'ora, si vive una situazione di quasi normalità. "Puntuale è arrivata
la razione, ma non una parola sui bombardamenti. Cerco di mangiare, anche se
non sono certa che tra un minuto sarò qui". La prigioniera dice che il
giorno prima è venuta a visitarla monsignor Cogoni. Il vescovo, trasferito dalla
diocesi di Nuoro a quella di Oristano, "fa tutto il possibile,
muove ogni forza, ma non può molto per i detenuti politici". La maestra
continua ad essere interrogata. Dice che le fanno "domande pazze".
Ritornata in cella, tra "quest'inferno di fischi e di bombe" vive
appieno l'angoscia del Getsemani. "Io non ho mai sobillato contro le
istituzioni" ripete a se stessa. "Io non ho mai istigato ai
disordini. Ho sempre fermamente voluto che ognuno sia cosciente della propria
autonomia di pensiero e sono convinta che dal confronto e dal dibattito nasca
la democrazia".
Il
fascismo fu la negazione della democrazia. "Mi accusano di aver plagiato
minori riferendosi alla mia attività in seno all'Azione Cattolica. Il logorio
continuo delle argomentazioni a mia difesa estenua la mia resistenza".
Deve essere stata molto dura per quella donna che pure proveniva da una terra
in cui la durezza era connaturata al vivere. "È già quasi un mese di
tortura. Non possiamo avere libri, niente corrispondenza, non riceviamo visite se
non dietro permesso speciale". Margherita Sanna pensa ai "miei
bambini abbandonati", alla disperazione di sua madre. "Ed io
qui". Prega "per la disperazione di non odiare", "per
paura", "ad invocare forza". Ma la preghiera non lenisce il
dolore. Non porta risposte. "Non suscita nuova forza nello spirito
sfinito". La cella del carcere è proprio come l'orto degli ulivi.
POSTATO
DA NATALINO PIRAS [13/06/2011 09:13]
http://blognew.aruba.it/blog.natalinopiras.it/L_EROISMO_QUOTIDIANO_DI_MARGHERITA_SANNA___SINDACO_DI_ORUNE_50226.shtml
Ottavia
Fontana fu
eletta sindaca a Veronella, in provincia di Verona il 24 agosto,
Pare che la sua azione
di governo fosse particolarmente improntata al rispetto dei principi del
cattolicesimo. Il suo lavoro era quello di insegnante.
Ottavia era l’ottava figlia di Domenico Antonio
Fontana e di Emilia Ruffo. Un tempo si usava anche “numerare” i figli con il
nome. Era nata il 18 giugno 1894 e la
sua famiglia aveva nel centro di Veronella, in piazza Marconi, che per ironia della
sorte era vicino al Municipio. Il padre era un contadino e Ottava fu l’unica
dei figli a continuare gli studi oltre la seconda elementare. Il parroco del paese, don Antonio Malesani,
capì subito le grandi doti d’intelligenza della ragazza e la mandò a studiare
dalle suore “Figlie di Gesù” a Verona.
Nel 1916 si diplomò all’Istituto Magistrale “Leonardi” e fu mandata
subito ad insegnare a Grezzana fino alla fine della guerra. Nell’autunno del
1919 ottenne la cattedra a Sessa, dove rimase sino al 1938. Dal 1938 fino alla
sua morte insegnò nel suo paese di Veronella. La sua carriera politica alla
fine della guerra inizio per caso anche se in passato aveva ricoperto delle
cariche nelle istituzioni cattoliche. Nelle elezioni del 24 marzo 1946 a
Veronella fu nominato sindaco l’ingegnere Francesco Bovolin. Dopo cinque mesi
il Bovolin si dimise per problemi personali. Il consiglio comunale votò
compatto la maestra Fontana come sindaco. La sua esperienza amministrativa durò
poco. Morì tre anni dopo la sua elezione a 55 anni. la sua morte fu causata,
come riportano le cronache, a un virus che la colpì in Piemonte mentre cercava
un accordo per inviare alcune mondine di Veronella a lavorare nelle risaie del
Vercellese.
Il
14 luglio 2016 a Montecitorio, la maestra-sindaco
Ottavia Fontana ha avuto l’onore di entrare in Parlamento. A lei, infatti, e a
tutte le altre nove sindaco del 1946, anno in cui le donne ottennero per la
prima volta in Italia il diritto di votare e di essere votate, la presidente
della Camera dei deputati Laura Boldrini, ha dedicato una sala nell’imponente
edificio che si affaccia su piazza del Parlamento. La foto di Ottavia
Fontana, è stata affissa alle pareti di un corridoio di Montecitorio, assieme
alle cornici con i ritratti delle altre sindaco, delle 21 deputate
dell’Assemblea Costituente, della prima donna ministro, Tina Anselmi, e della
prima presidente della Camera, Nilde Iotti
Veronella - Cucchetta del Palladio
Elena Tosetti fu eletta a Fanano in provincia di Modena il 7 aprile
e fu sindaca dal 1946 al 1950.
Nel suo paese tutti la stimavano ed appena eletta si
trovò a gestire una situazione difficilissima. Fanano era stata semidistrutta
dai bombardamenti, erano andati persi sia l’archivio che l’anagrafe, ed aveva
un bilancio dissestato. Elena iniziò ad occuparsi della ricostruzione e
contemporaneamente si dedicò a potenziare le strutture scolastiche e a
valorizzare la vocazione turistica del suo paese. Il sindaco nel 1947 avvio
delle trattative per richiedere il passaggio della ferrovia Modena – Lucca a
Fanano. Ci fu il 20 novembre 1947 un
sopralluogo dei tecnici ferroviari ma non si concretizzò nulla.
Elena Tosetti con i tecnici ferroviari
Nel 1950, a causa di una denuncia anonima, venne
sospesa dalla carica di sindaca e si ritirò dalla vita politica. Sette anni
dopo, cioè nel 1957 e a pochi giorni dalla sua morte, venne dimostrata la sua
innocenza. Nel 1947 La Domenica del Corriere pubblicava una tavola che ritraeva
Elena Tosetti che spalava la neve. Sotto l’immagine, una didascalia: “una donna dà l’esempio in un paese
dell’Appennino. Il sindaco, che è una donna, non trovando uomini che si
prestassero per poca mercede alla spalatura, scendeva per strada con gli
impiegati comunali e si metteva energicamente a lavoro”.
A lei è stata intitolata una strada a Fanano.
A lei è stata intitolata una strada a Fanano.
Fanano - La Sega Ospitale
Anna Montiroli l’8 aprile a Roccantica in provincia di Rieti
La Montiroli era stata esule a Parigi con il marito
Ugo che aveva guidato la Concentrazione antifascista in esilio. La parlamentare
comunista partecipò alla Resistenza. Fu arrestata dalle SS e venne internata ai
Aichach. Dopo la guerra incontrò a Rieti Valentin Gonzales, detto “El
Campesino” che da generale aveva combattuto a Guadalajara per la “Seconda
Repubblica” durante la guerra civile. Gonzales aveva cambiato schieramento
politico riparando in esilio. Tenne un comizio in favore della Dc testimoniando
le feroci persecuzioni subite dalla Chiesa Spagnola dal 1931 al 1933.
ALDA ARISI
Fu sindaca di Borgosatollo, piccolo centro bresciano. Insegnante, iscritta al Partita Comunista, quel 10 marzo ottenne 1487 voti. Il suo incarico, però, durò appena un anno. Nel 1947 rassegnò le dimissioni per motivi di salute.
Fu sindaca di Borgosatollo, piccolo centro bresciano. Insegnante, iscritta al Partita Comunista, quel 10 marzo ottenne 1487 voti. Il suo incarico, però, durò appena un anno. Nel 1947 rassegnò le dimissioni per motivi di salute.
E' solo l'inizio di un 'enciclopedia dedicata alle donne.
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