La Roma di una volta - 1° . Il Ninfeo di Egeria - Galleria Virtuale

La  Roma  Di Una Volta
1° - Il Ninfeo di  "Egeria"
Galleria Virtuale


La Valle della Caffarella, posta nel “Parco Regionale dell’Appia Antica”, prende il nome dalla famiglia Caffarelli che erano gli antichi proprietari. È uno scrigno di cultura forse ancora non del tutto svelata e si respira un atmosfera animata dalle antiche genti che l’hanno popolata e vissuta.
Tra i monumenti presenti nella Valle, il Ninfeo detto erroneamente di “Egeria”.
È passato alla storia come il luogo d’incontro d’amore tra il re Numa Pompilio e la Ninfa Egeria. Ninfa che con la sua saggezza dettava o ispirava le leggi al re di Roma.
Fu costruito da Erode Attico nel II secolo d.C., probabilmente su precedenti strutture come testimonia il rinvenimento sul luogo di un antico pozzo e di alcune strutture murarie, e subì una ristrutturazione prima con Massenzio (imperatore romano tra il 306 e il 312) e poi nel Cinquecento.
Con Erode Attico il Ninfeo era un luogo di svago posto nella vasta tenuta della moglie (Anna Regilla),  e fu con Massenzio che, grazie agli interventi radicali tra cui l’approvvigionamento idrico, subì un importante valorizzazione come fontana monumentale sempre mantenendo i connotati di luogo di svago e di ozio.
Acqua che sgorgava dalla nicchia centrale, dove è posta la statua del dio Almone, il fiume che percorre la valle, e da alcune nicchie laterali.
Il luogo con la sua frescura, la sorgente, la memoria storica, la fama di antico monumento, creò i presupposti per un suo uso pressoché continuo fino a tutto il XIX secolo. A partire dal Cinquecento è tra i monumenti antichi ad essere vissuto intensamente e quindi frequentato da visitatori, antiquari, viaggiatori e anche dagli stessi romani. Il monumento diventa un luogo ricreativo per i romani legato alle feste popolani ed alle scampagnate.
L’uso del ninfeo per le feste popolari e come osteria durerà sino alla prima metà del XVIII secolo. È citato in un poemetto di Giovanni Briccio, pubblicato a Viterbo nel 1620 ed oggi quasi dimenticato.. “Lo Spasso alla Caffarella”.. una descrizione di come il popolo romano si ritrovava nel Ninfeo tra vino e cibi estivi, balli e canti, giochi popolari e anche corteggiamenti e schermaglie amorose.

 Un popolo borghese e minuto fatto di sarti, mugnai, artigiani, calzolai, rigattieri, barbieri, notai, uomini di lettere, per citare solo alcune delle categorie professionali ricordate nella canzone del Briccio, con una piccola presenza dell’aristocrazia e assenza del clero.

Già all’inizio del’ 600 il letterato, pittore, musicista, drammaturgo oltre che materassaio, Giovanni Briccio (Bricci, Brissio, Brizio )(Roma, 25 marzo 1579; Roma, 8 giugno 1645) si trovò di fronte ad una tradizione ormai consolidata da tempo che vedeva nella Valle della Caffarella un luogo di svago. Una tradizione che gli ispirò una sua operetta “ Lo Spasso alla Caffarella” dove narra “l’allegrezza, le conversazioni, i giochi che fanno quelli che vanno in quel luogo”.



Arthur John Strutt helmsford, 12 Giugno 1818; Roma, Giugno 1888)
Viandanti sull’Appia Antica
Data 1858; Olio su Tela ; (123,5 x 50 ) cm
Firma e data in basso a destra: A.J.Strett fect/1858


Oh gustosa Caffarella_,
Che di gioia, e di diletto
Ad ogn'uno ingombri il petto
Quando è la stagion nouella.
Oh gustosa Caffarella,
Questo luogo è situato
Fuora di porta Latina,
Luogo ameno, fresco, e grato.
Posto a' piè d'vna collina;
Quì di sera, e di mattina_,
Spiran l'aure fresche a gara;
Onde l'huomo si ripara,
Da la celeste facella.
Oh gustosa Caffarella,
Quà, e là vedrai piantato
Più di vn verbe arbuscello,
De' quai i piedi tien bagnato
La Marrana fiumicello:
Quiui è vn prato fresco, e bello,
Pien di vaga, e fresca herbetta,
Doue il Rosignol diletta
Con l'antica sua querella.
O gustosa Caffarella.
Vna bella fonte, e rara,
Che col prato là confina,
Di acqua fresca, dolce e chiara,
Mormorante, e cristallina;
Vna mensa marmorina
Molto grande quiui è posta,
Doue ogn'uno vi s'accosta_,
Per mangiar sopra di quella.
Oh gustosa Caffarella.
Nel venir di Maggio il mese
Ognun corre a questo luoco,
E si godono il paese,
Mentre il Sol à poco, à poco
Va scaldando col suo foco.

Hor la riua, piano, e monte,
Quelli a l'ombra del bel fonte
Calcan l'herba tenerella.
O gustosa Caffarella.
Ogni sorte di persone
Ricchi, poueri, e mezzani,
Di ogni razza, e conditione
Quiui vanno, e di artegiani,
Li sartori, e li magnani,
Calzolari, e ciauattini,
Orzaroli, con facchini,
E chi sopra basto, ò sella.
O gustosa Caffarella.
Li vi vanno muratori,
Regattieri, e giubbonari,
E barbieri, e stufaroli,
Arte bianche, con merciari,
Setaroli, e banderali,
E notari con scrittori,
Camisciari, e tessitori,
Di ogni patria, ouer loquella.
O gustosa Caffarella.
Qua vi vanno fin a gl'osti
A piantarui l'hosteria
Con buon vino, & oui tosti,
Et qualch'altra mercanzia,
E da vn lato della via
Alzan come vna trabacca
Doue i salsiccioni attacca
Con insegna di mortella.
O gustosa Caffarella.
Chi non porterà il mangiare,
Da costor sarà seruito;
Ma ben caro il fan costare,
Acciò sia più saporito;
Ma quell'huomo più fornito
Di giuditio, dentro vn cesto
Porta il pane, il vino, e il resto,
Fin al sale, e la scudella.
O gustosa Caffarella.
E si accordan tre compagni
Quattro, cinque, sette, e otto,
E in su'l prato senza scagni
Giù si buttano di botto,
Poi principio dà'l più dotto.

A cauar fuora i taglieri,
E pisciar fa ne' bicchieri
Da la loro botticella.
O gustosa Caffarella.
Vno manga presso al fonte.
Et alcuni accanto al fosso;
Altri poi à piè del monte
Di vn'agnel rodono l'osso,
E daranno più di un scosso
Alla fiasca, e al botticino,
Se si affronta esser buon vino,
Leccaran fin la cannella.
O gustosa Caffarella.
Vi è tal gente, che si porta
Fin con seco la padella,
E poi dentro de la sporta
Vna buona coratella;
Troua vn la fascinella,
Che il focil poi li da fuoco,
E da se si fanno il cuoco
La massara, e la fantella.
O gustosa Caffarella.
Poi finito di mangiare,
Vno alza sù il liuto,
E cominciano à cantare
Chi con stil graue, & acuto,
E se ad vn li manca il sputo,
Sel fa render dal boccale;
Poi ripiglia il madrigale,
O canzon, ò villanella.
O gustosa Caffarella.
Quei che poi non san cantare,
Non per questo stanno cheti;
Ma cominciano a giuocare
A la morra con i deti;
Altri poi, ma più discreti,
Vanno il luogo ríguardando,
Et il resto stan giocando
In due parti alla piastrella.
O gustosa Caffarella.
Vi sarà chi fara'l Zanni,
Et vn altro il Pantalone,
E conciati ne' suoi panni
Faran più di vn bel sermone,
Vi è poi tal, che fa il buffone,
Senza hauer punto di gratia,
Che la turba di lui satia
Con fischiare ben l' vccella.

O gustosa Caffarella.
Vno porta l'archibuso
Per far preda de gl'vccelli;
E quell'altro và in su'l fuso,
Che si perita esser de i belli;
Altri sotto li arborelli
Van leggendo il Furioso,
O l'istoria del Geloso,
O le burle del Gonnella.
O gustosa Caffarella.
A le volte è si gran caldo,
Che à più d'vn non basta l'ombra,
Nè potendo star più saldo,
Quali spinto à fuor di tromba,
Dentro l'acque il petto ingombra,
Qua, e là sempre notando,
Sù, e giù sempre sguizzando,
Fin che il Sol smonta di sella.
O gustosa Caffarella.
E vicino alle chiar'onde
Vi è tal'vno che improuisa;
Et vn'altro le risponde,
Doue ogn'vn crepa di risa;
Tal'vn canta di Marfisa,
Di Ruggiero, e Bradamante,
Chi con voce risonante,
E chi come raganella.
O gustosa Caffarella.
Per sentir maggior diletto
Viè tal'vn, che ballar suole
Donde spiccherà vn balletto,
Come si vsa nel le scuole,
Con sgambetti, e crapriole
In gagliarda, ouer Pauana,
Mattacino, e chiarenzana,
O ne l'aria del Gazzella.
O gustosa Caffarella.
Vn quell'herbe va cogliendo,
Qual'auanzano di odore,
Et a casa poi venendo,
Le appresentano al suo amore,
Chi li piace à cor il fiore
Di ogni herbetta ouer mazzocci,
Chi canci, e chi finocci,
Chi crespigni, ò pimpinella.

O gustosa Caffarella.
Ma se il sonno alcun molesta,
Fa del prato vn matarazzo,
E si pon sotto la testa
D'herbe, e frasche vn gran piumazzo;
E lì dorme come pazzo,
E poi ronfa, qual somaro,
Che nel mese a lui più caro
Vuol seguir la somarella.
O gustosa Caffarella.
Molti vanno più lontano
Per veder capo di Boue,
E con passo lento, e piano
Raccontando alcune nuoue,
Van vedendo le gran proue,
Che già fecero i Romani,
Nel valor cosi soprani,
Che ogni terra gli era ancella.
O gustosa Caffarella.
Poi à Capo Boui gionti,
Si rinouan gli Offitiali,
Si riuedono li conti
De le spese, e capitali;
Poi con ciere giouiali
Ognun prende il suo possesso,
Et ogn'vn segna con gesso
Il suo nome in la rocella.
O gustosa Caffarella.
Ma ciascuno stia in ceruello
A non far qualche insolenza;
Perche chi farà il bordello
Ne farà la penitenza:
Qui non manca la semenza
Di soldati da presura,
E color che in su le mura
Fanno ogn'hor la sentinella.
O gustosa Caffarella.
A la casa in fin si torna
Con stracchezza, & appetito,
E al cenar poco soggiorna,
Che li par ben saporito;
Poi se il sonno fa l'inuito,
Quel si caccia dentro al letto,
Doue posa fin che al tetto
Se ne vien la noua stella.
O gustosa Caffarella,
Che di gioia, e di diletto
Ad ogn'vno ingombri il petto
Quando è la stagion nouella.
O gustosa Caffarella.
Il fine della Caffarella.










L’uso è quello di trascorrere in quei luoghi l’intera giornata, portando con sé l’occorrente per mangiare. Non manca la presenza di osti occasionali.
Secondo i propri gusti si sceglieva il luogo più adatto della Valle. Alcuni vicino al Ninfeo mentre altri nel fondo valle vicino al fiume Almone.
“Ci sono quelli che fanno giochi con i compagni, chi legge, chi suona il liuto, chi canta, chi balla, chi raccoglie fiori, chi passeggiando si spinge più lontano” e chi si diletta, purtroppo a “cacciare uccellini”.
Solo al tramonto la gente torna a casa dopo una giornata trascorsa nel divertimento e nella spensieratezza.
Il passare la giornata alla Caffarella era un interesse diffuso anche tra le casse nobili, anche se presenti in misura decisamente minore, se è vero che si mandava, per avere il posto migliore nella valle, il proprio servitore fin dalla notte.
Significativa  è un'altra operetta, della fine dello stesso secolo, dedicata anch’essa a quei luoghi ed alla festa di primavera che vi si svolgeva.
L’autore dell’operetta è Giovanni Andrea Lorenzani ( Roma, 29 Novembre 1637; Roma, 2 Agosto 1712; fu anche un famoso ottonaio) che con la sua “La Caffarella o vero  la Cantarina Volubile” ambienta nella Caffarella narra delle vicende d’amorose sui verdi prati e nei dintorni della stupenda valle.
E’ il caso del  marchese Ernesto, giunto a Roma da Milano per seguire la Signora Pimpa Cantarina della quale si è innamorato dopo averla sentita cantare in una commedia.
Il marchese ordina ai suoi servi  di fare i preparativi per una giornata alla Caffarella. Sia i servitori della Canterina, sia quelli del marchese vengono inviati fin dalla sera precedente nella valle per occupare i posti migliori per la numerosa comitiva. Fanno parte della comitiva oltre a numerosi amici anche il Maestro del suono con la moglie, incaricati di intrattenere con la musica i convenuti.
I servitori a stento riescono ad avere la meglio su altri che erano a guardia di un buon posto per il giorno successivo.
Il servo del marchese è stato inviato ad occupare la tavola, ovvero quella famosa tavola di pietra che si trova nell’osteria della Caffarella cioè all’interno del Ninfeo.
Per la presenza di questi resti di pietra, tra cui anche dei capitelli o pezzi di colonna, adoperati anche come sgabelli, la valle era anche detta “Marmorea”.
Il desiderio del marchese Ernesto di Cicolano (Il Cicolano è una sub-regione del Lazio, situato nella bassa Provincia di Rieti al confine sud-est con l'Abruzzo) era di trascorrere allegramente la giornata con la sua amata… ma il desiderio naufragò miseramente.
Nel terzo atto della commedia una certa Lilla, la serva della Canterina, racconta al paggio Meuccio l’incidente occorso al maestro di musica che si recava sul posto con la moglie, gli strumenti e le carte.
Citano la zona dell’Acquataccio, ovvero dove “la via Appia incontra l’Almone  e conosciuta come infida e paludosa”.
Quando siamo stati verso Acquataccio, ch’era uno scuro che non ti dico niente, sentimo dire al cocchiero ferma ferma, de fatto s’è fermata la nostra carrozza, e quanto per quello si vedeva per il lume di certe lanterne, che al Gnor Simone il cavallo si è posto in fuga, né si è potuto riparare, è andato a precipitarsi nella acqua di Acquataccio con tutt’il calesse e chi v’era dentro, che se l’havessi veduti in quel pantano, parevano tanti rispo, basta, si sono tanto rimesticati al Gnor Simone colla moglie, fino che ne sono usciti, il cavallo con il calesse è fuggito verso la Porta (San Sebastiano), e questi così bagnati, gl’e convenuto andare a casa a piedi, e mentre il cavallo trascinava il calesse, sono caduti questi libri di musica che tu vedi tutti bagnati, che quando esce il sole bisognerà asciugarli”.
Il paggio Meuccio rispose:  “Et io non so capire come questa Cafferellata, che doveva dar spasso a tutta la conversatione venga così amareggiata da questi tiri tosti!”.


Giuseppe Vasi (Corleone – Palermo, 27 Agosto 1710; Roma, 16 Aprile 1782)
Incisore, Architetto
“Il Ninfeo di Egeria” – ( 32,5 x 21,8 ) cm



Giovan Battista Piranesi ( Magliano Veneto, 4 Ottobre 1720; Roma, 9 Novembre 1778)
Incisore, Architetto



Francesco Piranesi ( Roma, 1758/59; Parigi, 23 Gennaio 1810)
Figlio di Giovan Battista Piranesi e di Angela Pasquini, figlia del giardiniere del Principe Corsini.
Architetto, Incisore e Acquafortista




Charles Louis Clerisseau ( Parigi, 28 Agosto 1721; Quartiere di Auteuil, 9 Gennaio 1820)
Architetto e pittore
Nell’opera, datata 1760, si nota l'uso a scopo ricreativo del Ninfeo.  (I Tavoli, gli sgabelli, sono tutti elementi architettonici provenienti dall’edificio).



Charles Joseph Natoire ( Nimes, 3 Marzo 1700; Castel Gandolfo, 23 Agosto 1777)
Pittore




Peter Birmann (Basilea, 14 Dicembre 1758; Basilea, 18 Luglio 1844)
Pittore
Inchiostro su carta – (19,5 x 29 ) cm



Jacob Wilhelm Mechau ( Lipsia, 16 Gennaio 1745; Dresda, 14 Marzo 1808)
1792 – Acquaforte su carta – (24,5 x 35,5 ) cm




Jan Van Ossenbeeck (Rotterdam, 1623; Vienna, 30 Marzo 1674)
“Festeggiamenti presso le rovine della Grotta della Ninfa Egeria”
1647-55; (22,6 x 32,6) cm


Felix  Benoist ( Saumur, 15 Aprile 1818; Nantes, 1896)


James Merigot ( 1760 – 1824)
Origine francese, poi si trasferì a Londra dal 1791
Acquarello; (21 x 27,5 ) cm


Ferdinand Keller (Karlsruhe, 5 Agosto 1842; Baden-Baden, 8 Luglio 1922)
Anno 1876; Dimensioni: (11,8 x 18,8 ) cm Immagini – (15,5 x 22,5)cm Foglio
Tecnica: xilografia su legno di testa
Incisione: Adolf Closs, incisore su legno


Enrico Coleman (Roma, 25 Giugno 1846; Roma, 14 Febbraio 1911)

Figlio del noto paesaggista inglese Charles.
Enrico fu a sua volta un grande paesaggista della campagna romana prediligendo usare,
nella sua arte espressiva, l’acquarello.



Carlo Labruzzi ( Roma, 6 Novembre 1748; Perugia, 8 Dicembre 1817)

Pittore disegnatore ed incisore.


Emile Rouargue (Parigi, 7 Agosto 1796; Epone - Seine et Oise,11 Gennaio 1865)
Disegnatore ed incisore









“La Ninfa Egeria detta le Leggi di Roma a Numa Pompilio”
Ulpiano Fernandez Checa y Saiz ( Colemar de Oreia-Madrid, 3 aprile 1860 – Dax –Francia, 5 gennaio 1916)
Pittura; olio su tela; (300 x 200) cm
Un quadro realizzato per l’Accademia delle Belle Arti di Roma, dove fu esposto nel 1886
Museo del Prado - Madrid




La Ninfa Egeria
Stampa del 1872











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