I CASTELLI DI BUTERA


IL CASTELLO DI BUTERA





Il Castello di Butera (prov. di Caltanissetta) fu uno dei più importanti della Sicilia  e per la sua importanza strategia fu sempre oggetto di conquista da parte dei dominatori dell’isola.

La struttura era in origine costituita da una vasta cinta muraria provvista di quattro o cinque torri.
Cinta muraria che oggi è inglobata negli edifici costruiti in epoche successive.
Una rocca inespugnabile anche per la sua posizione su scoscese pareti di una collina alta 400 m s.l.m. da cui si ammira un ampio panorama che spazia sul Mare di Gela, i Monti Erei, l’Etna…ecc.
Nella piana sottostante tra la fine dell’845 e l’inizio dell’846 le truppe musulmane comandate da Abu l-Aghlab al-‘Abbas ibn  al-Fadl ibn Ya’qub e un battaglione di più di diecimila soldati bizantini si scontrarono.
Nell’827 i musulmani conquistarono Mazara e nell’831 fu la volta di Palermo che diventò la loro capitale. Successivamente i musulmani si scontrarono più volte con i dominatori bizantini che riuscivano validamente a difendere la parte orientale dell’isola.  Nell’842 morì l’imperatore bizantino Teofilo, un accesso iconoclasta, e salì al potere la reggente Teodora che era invece favorevole al culto delle immagini. In questo contesto i siciliani si mostrarono favorevoli al governo bizantino e l’impero decise di sfruttare l’appoggio popolare per  colpire energicamente l’avanzata militare dei musulmani nella Sicilia orientale.  In quello stesso anno era infatti caduta sotto il giogo musulmano la città di Messina.  Nell’845 i bizantini mandarono nell’isola un fortissimo contingente militare composto da circa diecimila soldati provenienti dal tema Kharsiano, nome di una città dell’Asia Minore, a cui si aggregarono dei soldati locali.
Lo scontro si ebbe nella pianura sottostante Butera e gli storici citarono il massacro subito dai bizantini ….da 9.000 a 10.000 morti…”non combattendo ma fuggendo ed i Musulmani confermano che solo tre credenti incontrarono la morte… il luogo di questa battaglia, assegnato da Ibn-Al-Atir è Butirah”.
(L’esito della battaglia aprì nuovi scenari militari ai musulmani che in breve tempo riuscirono a conquistare Modica nell’845, Lentini nell’847 e Ragusa nell’848).
La città di Butera, arroccata e ben difesa, riuscì a resistere ancora per qualche anno fino all’853.
Sembra che alle prime scorrerie dei Musulmani a Noto, quei villici più volte si fossero rifugiati in quella rocca e nell’anno 853, Al-Abbas, vedendoli affollati al solito covile (città), pensò di prenderli in rete. Assediò strettamente Butera per oltre cinque mesi, infine pattuì con i terrazzani che gli consegnassero cinque – sei mila capi (uomini), scrive la cronaca, come se fossero capi d’armento (animali), e l’esercito, portandosi dietro tanta torma di schiavi, se ne tornò a Palermo”.
“Nell’855 Abbas inviava una lettera a Mulci-Mahammed-DerrAbn-el- Abbas, ove fra tutte le altre cose sommariamente diceva: “arrivammo ad un quarto d’ora di cammino lontano da Butera, feci riposare la gente e diedi loro da mangiare, e dopo aver dato ordine di non risparmiare a nessuno la morte, c’incamminammo, e giunti a mezzogiorno abbiamo dato l’assalto a quella città che è assai grande. Un’ora prima di calare il sole eravamo padroni del castello, mi hanno regalato 600 monete d’argento e 100 d’oro, 100 buoi e 50 montoni da ammazzare e dare da mangiare agli uomini, e dopo aver fatto accomodare le rovine del Castello e lasciati 2.000 uomini di guarnigione, per poterli difendere, mi partii”.
La grande e popolosa Butera cadeva definitivamente sotto il dominio degli arabi fino a quando non fu liberata da Ruggero il Normanno.

“Ritornato (Ruggero I)  allora all’assedio di Butera tanto gagliardamente la strinse, che le fu forza arrendersi. I più potenti fra què Saracini furono al conquistare mandati a stanziare in Calabria. ma la letizia di lui (la felicità per la conquista della città) fu allora amareggiata dalla morte della sua prima moglie. Né passò gran tempo che sposò Adelaide, nipote di Bonifazio marchese di Monferrato, che il Malaterra chiama marchese d’Italia”.

“Lo Sposalizio tra Ruggero I e Giuditta”
Castello de Pirou – Nomandia

Giuditta d’Evreux (1050 – 1076), nobildonna normanna, era figlia  primogenita di Guglielmo d’Evreux e della moglie, Adevisa (Hadvige) figlia secondogenita di Giroie, Signore d’Echauffour e di Montreuile.
Il Matrimonio si celebrò nel Natale del 1061 a San Martino in Val di Saline (frazione di Taurianova – Reggio Calabria)

Probabilmente in origine era presente un forte bizantino che gli arabi ripristinarono dopo con la conquista della città. Butera, in arabo Butirah, fu conquistata da Ruggero il Normanno nell’aprile del 1089 (alcune fonti indicano nel 1088) e fu una delle ultime città ad essere liberata dai musulmani. Fu una conquista difficile e il Gran Conte trovò immane difficoltà nel conquistare la rocca che era inespugnabile. Un assedio lungo ben 26 anni prima della conquista. Nel castello risiedeva l’emiro Alaba che era “Signore di Butirah”. “Butirah” in arabo significa “Luogo scosceso”. Una volta conquistata la città l’aristocrazia musulmana del luogo fu deportata in Calabria.

Nel 1150 il geografo Idrisi, alla Corte Normanna di Ruggero II, descriveva Butera come “rocca valida assai” e sempre con i Normanni diventò la sede di una Contea in mano alla più potente famiglia lombarda, Aleramici, venuta al seguito della terza moglie del Conte Ruggero, Adelasia del Vasto (Cenni sulla famiglia Alemara, nella nota (Il Castello di Falconara).
Come abbiamo visto, subito dopo la morte della moglie Giuditta d’Evreux, all’età di 26 anni, Ruggero I sposò Adelasia del Vasto nel 1087 nel Castello di Mileto.
“Le due sorelle minori della nuova contessa (Adelasia) furono al tempo stesso maritate ai due figliuoli del Conte (Ruggero I), Giordano e Goffredo, comecchè quest’ultimo fosse ancor fanciullo; né quel matrimonio potè mai esser consumato; per esser lo sposo morto prima di giungere alla pubertà”.

Sarcofago della Regina Adelasia
Cattedrale di San Bartolomeo – Patti (Me)

La Contea di Butera fu uno dei centri più importanti per la Sicilia Normanna. Gli Aleramici del Vasto la mantennero fino al XII secolo favorendo l’inserimento nel territorio di consistenti unità di coloni provenienti dall’Italia Settentrionale che fecero di Butera una delle Terre Lombarde di Sicilia.

Stemma di Bonifacio Del Vasto

Il Conte Ruggero assegnò il Castello al  cognato-genero Enrico Del Vasto Aleramico che in quello stesso anno (1089) aveva sposato Flandina d’Altavilla figlia di Ruggero I e di Giuditta d’Evreux..
Dai Del Vasto passò ai normanni Bartolomeo De Luci e Guglielmo Malconvenant.
Sotto il re normanno Guglielmo I il castello sembra in possesso del Conte Simone di Policastro e successivamente del figlio illegittimo Ruggero Sclavo. Il castello fu teatro dell’epilogo della rivolta baronale contro Guglielmo I “Il Malo” nel 1161 quando Tancredi, Ruggero Sclavo e Bartolomeo de Grassuliato, si asserragliarono per fronteggiare l’esercito reale. Alle fine il re normanno riuscì a soffocare la rivolta e il castello venne parzialmente distrutto ( gli avvenimenti sono narrati nella ricerca: I Castelli di Mazzarino/ Castello di Grassuliato).
Il castello fu ripristinato da Guglielmo II (Palermo, dicembre 1153 – Palermo, 18 novembre 1189). Era figlio di Guglielmo I “Il Malo” e di Margherita di Navarra. Regnò dal 1166 sino alla sua morte e fu considerato come uno del monarchi normanni, discendente degli Altavilla, che ottenne il maggiore consenso popolare. Un consenso che lo farà ricordare con l’appellativo di “Il Buono”.
Venne ricordato, proprio per il suo animo caritatevole, nel Paradiso (Canto XX, 61-66) di Dante Alighieri.

E quel che vedi ne l'arco declivo,
Guglielmo fu, cui quella terra plora
che piagne Carlo e Federigo vivo:
ora conosce come s'innamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
del suo fulgore il fa vedere ancora”




Guglielmo II Il Buono


Duomo di Monreale
Fra le opere avviate da Guglielmo I c’è lo stupendo Duomo di Monreale. Una costruzione
Iniziata con il beneplacito di papa Lucio III.




Duomo di Monreale
Guglielmo II incoronato dal Cristo (XII secolo)


Duomo di Monreale
Guglielmo II dedica la Cattedrale di Monreale alla Vergine

Funerali di Guglielmo II
Liber in honorem Augusti


Duomo di Monreale
Il Sarcofago Rinascimentale di Guglielmo II
Lo storico Michele Amari mise in evidenza nei suoi scritti l’atmosfera nel Regno di Guglielmo II
non turbata da odio interreligioso:
«E pur l'universale della popolazione non aborriva per anco i Musulmani ...; la voce del muezzin non facea ribrezzo nelle grandi città ... onde gli eunuchi, gaiti o paggi che dir si vogliano, esercitavano gli ufficii di corte sotto quel velo sottilissimo d'ipocrisia che li facea apparire cristiani...; Guglielmo accogliea con onore i Musulmani stranieri, medici e astrologhi e largìa denaro a' poeti ...; i Musulmani soggiornavano in alcuni sobborghi senza compagnia di Cristiani; un qâdî amministrava la loro giustizia; frequentavan essi le moschee e ciascuna era anco scuola: fiorivano i loro mercati”. La sua inusitata tolleranza verso i suoi sudditi musulmani (che tanto scandalizzava i cristiani benpensanti ed esasperava il Papa) viene attestata anche dal noto viaggiatore Ibn Jubayr che, nella sua Rihla (Viaggio), ricorda come nel terremoto del 1169, egli s'aggirasse nella reggia affermando ai suoi diversi servitori: «Che ciascuno preghi il Dio ch'egli adora! Chi avrà fede nel suo Dio, sentirà la pace in cuore».
Quando il sovrano morì si fece seppellire ai piedi dell’altare maggiore. In questo modo l’officiante doveva inginocchiarsi sulla tomba ogni volta che diceva la messa. Il suo corpo venne poi traslato nel sarcofago rinascimentale su riportato e deposto accanto alla tomba del padre Guglielmo I “Il Malo”.

Guglielmo II non solo ricostruì il castello di Butera ma insignì la città del titolo di “Universitas Invictissimae Civitatis Buterae”
In epoca Sveva nel 1219 la Contea fu acquistata da Bernardo d’Ocrea e nel 1252 passò al figlio Gualtieri. Dopo pochi anni il feudo era in possesso di Galvano Lancia , forse imparentato con Bianca Lancia ovvero l’ultima moglie di Federico II di Svevia.
Alla morte di Galvano Lancia avvenuta nel 1286 a seguito della cattura e decapitazione di Corradino di Svevia, a cui il Lancia era molto fedele, il territorio di Butera  passò al Regio Demanio.
Nel 1320 il re Federico III d’Aragona vendette il feudo di Butera per 100 onze ad un militare del Regno e successivamente fu elevata nuovamente a Contea sotto gli Alagona.
Nel 1355 Butera venne descritta come “Terra et castrum”.
Gli Alagona  ne mantennero il possesso fino al 1392 quando, essendo ostili a Re Martino I e sconfitti da quest’ultimo, venne confiscata e ceduta insieme alla Torre di Falconara al principe catalano, vassallo del re, Ugo di Santapau con diploma del 18 ottobre a Castrogiovanni..”per i suoi servigi alla corona aragonese contro i ribelli”. (Cenni sulla Famiglia “Santapau” nella Nota: IL Castello di Falconara)
Il Santapau trasformò la Contea in terra baronale e nel 1563 diventò la prima terra ad essere eretta in principato. Nel 1580 il principato passò ai Branciforti. Branciforti che la tennero fino al principio del secolo XIX quando si estinsero nei Lanza.
Altri testi indicano il passaggio per via ereditaria dai Santapau alla famiglia Branciforti avvenuto nell’anno 1540:

-          1580 ; La sorella di Antonio Santapau si sposò con Girolamo Barresi, Marchese di Pietraperzia, da cui nacque Dorotea Barresi e Santapau, la quale fu “ Governatrice dell’Infante Filippo d’Austria Terzo Re delle Spagne” e “fu l’erede del principato di Butera”. “Quale stato trasmesse alla famiglia Branciforte” grazie al matrimonio avvenuto nel 1580 con Giovanni Branciforte, Conte di Mazzarino e Grassuliato. Dorotea rimase vedova e “accoppiassi essa ancora con Vincenzo Barrese e Branciforte, Marchese di Militello Val di Noto e la terza volta sposò Giovanni Zunica e Requens, figlio del Conte di Castiglia, e Maggiordomo maggiore dell’Infante Filippo II. Ambasciatore a Roma, vicerè e Capitan Generale del Regno di Napoli”. Dorotea ebbe dei figli solo dal secondo marito, Branciforte, da cui “ebbe l’unico maschio Fabrizio Branciforte e Barrese, Tagliavia e Santapau, Conte del Mazzarino che successe allo zio Francesco di Butera, giurando nella investitura a 8 dicembre 1591”. (“Della Sicilia Nobile – Opera di Francesco Maria Emanuele e Gaetani- Marchese di Villa Bianca, Signore del Castello di Mazara e della Baronia della Merca – Parte Seconda – Nella quale si ha la storia del Baronaggio di Questo Regno di Sicilia……)
-          1540 ; (La discendenza in linea diretta è ancora Santapau per la presenza di eredi maschi). Ugone di Santapau, investito di Licodia nel 1507, primo marchese sotto Re Ferdinando il Cattolico, si sposò con Antonina Filingeri. Dal matrimonio nacque Ponzio Santapau Filingeri, quarto di questo nome, e secondo Marchese di questo stato (Licodia), come si deduce dall’investitura del 30 agosto 1511, “sul quale Stato ottenne egli il mero e misto impero per privilegio concessogli dall’Imperatore Carlo Quinto sotto il 3 gennaio 1523. Fu diputato di questo Regno, di cui fu altresì due volte presidente, e Capitan Generale, trascelto la prima volta nel 1516 dal comun di voto del partito di quei Baroni, che cacciarono da Sicilia il vicerè D. Ugo Moncada per motivo delle di lui ingiustizie e molto più per aversi imbrattato le mani di uno dei più illustri, e principali Baroni di questo Regno, voglio dire dell’infelice sopravissuto Marchese Ugo di Santapu, genitore del presente Marchese Ponzio. Quindi fu egli nominato Presidente Generale per la seconda volta dal vicerè Ferdinando Gonzaga nel 1540 quando ebbe egli a passare in Africa con l’armata”. Sposò Isabella Branciforte, figlia del Conte di Mazzarino. Dal matrimonio nacquero Ambrogio Santapau e Branciforte e Francesco Santapau e Branciforte. Ambrogio fu investito dello stato di Licodia nel 1542 e fu anche il primo Principe di Butera…”non lasciò alcuna prole”. Il fratello Francesco Santapau e Branciforte fu il secondo principe “degli Stati di Butera investitura nel 1565 e nel suo testamento del 5 dicembre 1590 lasciò la terra di Palazzolo, che aveva comprato da Artale Alagona, e con essa anche il presenta Stato, e il Marchesato di Licodia con li feudi di Alfano, Molisino e Bambiseuro a Camilla di Santapau, sia figliuola  naturale, poi legitiminata per privilegio reale dato in Palermo a 24 dicembre 1576. Morto il principe, e rimasta essendo eredera dè su ruferiti Stati di Palazzolo e Licodia la figlia Camilla; questa festeggiò le sue nozze con Pietro Velasquaez; morto il quale leggesi altra volta in maritaggio con Muzio Ruffo e Benavides, a cui recò in dote il ricco retaggio del presente vassallaggio, accrescendolo insieme dell’inclita prole di  Vincenzo Ruffo e Santapau….”

Il principe di Butera, Ambrogio Santapau Branciforte forse nacque a Licodia intorno al 1518, come abbiamo visto dal matrimonio tra Ponzio Santapau e Isabella Branciforte.
Di origini Catalane, “ancora ben giovane”come riporta il Vicerè Ferrante Gonzaga, fu coinvolto in un gravissimo “fatto di sangue”.
“Con il padre, Ponzio Santapau, e lo zio, Francesco Santapau, appoggiò il marchese di Pietraperzia in una contesa con il vecchio padre, che alla fine fu ucciso. Il Gonzaga avrebbe voluto punire duramente il Marchese di Pietraperzia, anche per dare un esempio alla nobiltà siciliana, ma il tempestivo intervento della corte glielo impedì. I Santapau riuscirono per giunta ad instaurare di Licodia per le necessità finanziarie del Regno”.buoni rapporti con lo stesso vicerè, che fece più volte ricorso alla ricca borsa del vecchio marchese
Il 16 agosto 1540 ricevette l’investitura per la Terra di Butera con il titolo baronale, per donazione del padre, e nel 1541 il sovrano lo nominò stratigoto e capitano delle armi della città di Messina per gli anni 1542-43. Fortificò Messina e nel giugno del 1543 fu al centro di un importante azione militare dando prova delle sue abilità governative.
Il 15 giugno venne avvistata nelle acque dello stretto una forte e numerosa flotta turca comandata da Khair ad-din, detto il “Barbarossa”, che il giorno dopo attaccò Reggio riuscendo ad espugnare il suo castello. Diede fiamme ad una parte della città dopo aver trafugato ogni cosa e preso molti prigionieri. Lasciata Reggio, il Barbarossa tentò uno sbarco nella zona del Faro, a nord di Messina, ma venne respinto con forza dagli abitanti del villaggio. Davanti alla reale minaccia di un forte attacco turco, Ambrogio Santapau chiamò alle armi tutti i cittadini validi e fece convergere sulla città anche i contadini dei villaggi vicini e ben ottocento archibugieri dai presidi militari circostanti. La pronta reazione dei cittadini e la strategia militare adottata dal Santapau fecero sì che l’avversario turco rinunciasse ad altri possibili attacchi e il 19 giugno il pericolo era cessato.
L’11 maggio 1546 fu nominato presidente del Regno ma con una provvedimento non conforme alla prassi. Il vicerè Ferrante Gonzaga aveva ricevuto la notizia del nuovo incarico del Santapau, un incarico che lo portava fuori dall’Isola. Il provvedimento non era stato comunicato con un dispaccio diretto del sovrano ma per mezzo di un messaggero speciale, accreditato presso di lui da una lettera del cardinale di Granvelle. Lo stesso messaggero aveva precisato che “Sua Maestà rimetteva a Sua Eccellenza di far et lasciar Presidente in questo regno chi pareva a lei e che non se li mandava di ciò la potestà in scripto atteso che Sua Maestà non voleva palesar di qualche giorno detta eleccione de li carrichi diLombardia per alcuni respetti”.
In realtà. Alcuni giorni prima, cioè il primo maggio, il vicerè aveva convocato il Sacro Regio Consiglio per consultarlo sulla possibilità di procedere alla nomina di un presidente anche in mancanza di un esplicito mandato scritto dell’imperatore. Il Consiglio dopo una lunga discussione, attesa l’assoluta attendibilità del messaggero, espresse parere favorevole e il vicerè il giorno 11 procedette alla nomina con la riserva "quousque per Suam Cesaream Maiestateni fuerit aliter provisum".
Prima che il Gonzaga rendesse pubblica la sua decisione, il 29 aprile, il marchese di Terranova inviò una lettera al sovrano per rilevare che la nomina doveva considerarsi ileggittima perché in contrasto con le prammatiche del Regno. Il Santapau, quindi “per essere giovane et non di quella esperienza che ricercaria l’importanza del carico”, doveva essere sostituito al più presto dal nuovo vicerè. A dispetto di queste resistenze il 16 maggio il Santapau assunse l’alto ufficio e prestò il giuramento di rito nella Cattedrale di Palermo, e alla fine del mese si trasferì a Messina. Il 10 giugno Carlo V, con un dispaccio datata da Ratisbona, gli confermò la nomina che riconobbe esplicitamente valida e legittima.
Appena giunto a Messina Ambrogio Santapau dovette sanare un grave dissidio tra le file senatoriali. I rappresentanti della nobiltà erano stati accusati da alcuni senatori di aver monopolizzato il governo della città. Nello stesso tempo destituì alcuni funzionari che erano preposti alla Zecca per le gravi manchevolezze che avevano compiuto.
Nell’ottobre sempre del 1546 dovette affrontare l’opposizione del Senato cittadino che si rifiutava di riconoscere la nomina a stratigoto  di Antonio Branciforte, barone di Mirto. La motivazione era legata ad un antico privilegio in cui “non poteva essere chiamato a ricoprire quella carica un cittadino messinese”. Il santapau superò abilmente il contrasto riuscendo a convincere i senatori nell’inoltrare una supplica a Carlo V affinchè “in deroga ad ogni privilegio, chiamasse all’alto ufficio un messinese”. Una manovra legata al desiderio di favorire il barone di Mirto a cui il Santapau, per parte di madre, era legato da parentela.
 Grande energia dimostrò nella lotta al banditismo, da sempre una grave piaga dell’isola, e nei provvedimenti annonari adottati per fronteggiare la carestia. Rifornì di vivere la guarnigione della Goletta e riuscì a mandare avanti la costruzione di numerose fortificazioni dell’isola.
La sua azione politica e sociale fu sempre contrastata dal Marchese di Terranova (Gela) che con tenacia fece sempre segnalare a corte il vizio di forma della nomina (a Presidente del Regno) e successivamente con altri attacchi verbali con l’accusa di scarsa tempestività nell’invio dei soccorsi alla Goletta e di incapacità di sfruttare la situazione di mercato creata dalla carestia.
Secondo il marchese di Terranova dalla carestia l’erario avrebbe potuto trarre notevoli guadagno con una forte imposta sul commercio del grano, che il Santapau si oppose invece di portare a livelli superiori ai 10 tarì.
Le accuse del marchese di Terranova erano appoggiate anche dal consultore del Regno, Andrea Arduino. Accuse che non diedero alcun risultato perché l’imperatore Carlo V lascio il Santapau alla Presidenza del regno per un intero anno fino alla fine di maggio del 1547 quando giunse in Sicilia il nuovo vicerè.  Con cedola reale del 10 luglio 1549 gli fu assegnato l’ufficio di maestro giustiziere che lo poneva, a vita, al vertice della magistratura dell’Isola. Un incarico che gli assicurava una posizione di assoluto prestigio e un “stipendio” annuo fra i più alti pagati dall’erario a ufficiali del Regno.
Il 21 maggio 1552 il nuovo vicerè, Juan de Vega, lo nominò vicario generale e capitano d’armi per la Val di Mazara. Un incarico che aveva come obiettivo i controllo militare della costa da possibili attacchi turchi. La situazione era tanto grave da indurre il sovrano ad autorizzare vendite ed alienazioni del regio per la disponibilità di forti somme di denaro per la difesa del Regno.
Il Santapau versò per suo conto alle casse dello Stato circa 15.000 scudi. Con tale somma acquistava, con patto di retrovendita che veniva posto in atto nel settembre del 1556, le secrezie di Lentini e Carlentini.
Nel 1555 il vicerè de Vega propose a corte di aumentare il numero dei componenti del Regio Consiglio per migliorane la funzionalità e fece il nome di Ambrogio Santapau come quello di un uomo “"que tien esperiencia y ha governado con todo amor y buena diligencias”.
La proposta del vicerè non ebbe alcun seguito. Al Santapau non mancarono altri importanti e gratificanti riconoscimenti: il 5 marzo 1563, primo fra i nobili siciliani, gli fu concesso il titolo di Principe sul feudo di Butera. Nel privilegio di concessione, reso esecutorio il 4 aprile 1564, veniva anche ricordato il valido aiuto dato al sovrano nella spedizione di Algeri. Il primo maggio 1564, davanti alle minacce della flotta turca, il vicerè incaricò il Santapau di organizzare le difese della Val di Noto come vicario generale e capitano d’armi. Nel mese di luglio ci furono i primi avvistamenti di navi turche lungo le coste della Sicilia. Avvistamenti che si fecero sempre più frequenti tanto che il 2 agosto il vicerè ordinò al Santapau di concentrare “un buon nerbo di armati in Lentini”. Verso la metà del mese di agosto il Santapau morì improvvisamente.
Non lasciò eredi diretti perché dalle nozze celebrate con Antonia del Balzo e Caraffa, figlia di Giacomo, Conte di Ugento e Castro, non erano nati figli. Il titolo di principe di Butera passò al fratello Francesco che ne ricevette l’investitura l’8 luglio 1565.



STRUTTURA ARCHITETTONICA
L’ampia corte che era racchiusa tra le mura del castello è oggi adibita a pubblica piazza. In recenti scavi sono stati individuati tre ampie cisterne con rinvenimenti ceramici di età medievale. Dell’antico e prestigioso castello rimane solo una delle torri  con sale coperte da volte a crociera. Sale che sono ricche di sculture fra cui un’aquila a due teste, con catena e spada sguainata, stemma dei signori dell’epoca (forse dei Santapau ?).
Nella torre è visibile l’unica bifora esistente sul prospetto di Piazza Vittoria. Con gli ultimi restauri è stata recuperata la scala esterna d’accesso al secondo livello della torre, oltre al consolidamento delle murature e alla ricostruzione degli ambienti superstiti rispettando con cura i volumi originari. Sul lato nord della torre, al terzo livello, è stato ripristinato il livello mancante con una struttura in ferro e vetro. Livello che è coperto da una bellissima volta a crociera costolonata che presenta una stemma gentilizio.
All’interno della fortezza erano presenti magazzini, armerie, stalle. Tutti ambienti molto spaziosi.
L’antica struttura fu restaurata dal Patricolo nel 1897 e fu interessata da pericolosi crolli nel 1904 e nel 1924. Nel 1935 furono eseguiti altri lavori di ricostruzione  e a partire dal 1985 da lavori di restauro che furono ultimati nel 1997.


La fantasia popolare parla di un sotterraneo che collegava il castello di Butera a quello di Falconara. Castelli che hanno in comune un importante capitolo di storia quando entrambi furono concessi da re Martino I al fedelissimo Ugone Santapau. Castello di Falconara che fece parte per un certo periodo della Contea di Butera.

La  proprietà attuale è PUBBLICA.

Uno storico del tempo ci ha lasciato un attenta descrizione della rocca:
Sorge Butera in Val di Noto, in un giogo di un alto monte, faticoso alla salita e da ogni parte ricinto di scoscesi scogli, talché può solamente salirsi per una via verso aquilone. Stendesi tuttavolta in ineguale pianura e sembra presentare la figura di una falce. Una rocca fabbricata in un poggio, alla porta meridionale del paese, con una porta rivolta a settentrione, mostrasi in ogni modo antica; ne sono fortissime e solide le muraglie di pietra quadrata di 18 palmi di larghezza, e sorgono a tanta altezza che sostengono cinque ordini di volte, anch'esse ai lati di pietra quadrata. Vi è un cortile ed un amplissimo spazio, conserve di orzo e di frumento, riposti di armi e stalle per cavalli e profonde e spaziose fosse. Una insigne spaziosa cisterna sovra ogni altro, supera ogni aspettazione, è di forma ovale con grande artifizio compatta, solamente dalla parte esterna acuminata appoggia al suolo, dagli altri lati sta da sé sola, e sembra del tutto opera di un solo masso. Le fronti esterne della rocca sono inaccessibili da ogni parte ed i soli angoli si presentano agli oppugnatori e minutissimi. Il paese, una volta cinto di mura e di torri, apre due porte dèlle quali una detta di San Pietro è rivolta a Settentrione, l'altra Regale a Greco.

Sembra che in questa rocca si ebbe l’Ospizio dei soppressi cavalieri templari che poi fu sede dell’Imperatore Federico II di Svevia con la conferma dei Casali di Ardane e Maltane e il Casale di Iudeca, contrada di Butera come si rileva da un diploma di Papa Alessandro III dell’anno 1169”.



Butera: Una rara cisti dolmenica (sepoltura)


Castello di Grassuliato – Butera  : 23,8 km  - 5h 13 m

Butera – Castello di Falconara : 21,1 km – 4h 22 m











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