I CASTELLI DI BUTERA
IL
CASTELLO DI BUTERA
Il
Castello di Butera (prov. di Caltanissetta) fu uno dei più importanti della
Sicilia e per la sua importanza
strategia fu sempre oggetto di conquista da parte dei dominatori dell’isola.
La
struttura era in origine costituita da una vasta cinta muraria provvista di
quattro o cinque torri.
Cinta
muraria che oggi è inglobata negli edifici costruiti in epoche successive.
Una
rocca inespugnabile anche per la sua posizione su scoscese pareti di una
collina alta 400 m s.l.m. da cui si ammira un ampio panorama che spazia sul
Mare di Gela, i Monti Erei, l’Etna…ecc.
Nella
piana sottostante tra la fine dell’845 e l’inizio dell’846 le truppe musulmane
comandate da Abu l-Aghlab al-‘Abbas ibn
al-Fadl ibn Ya’qub e un battaglione di più di diecimila soldati
bizantini si scontrarono.
Nell’827
i musulmani conquistarono Mazara e nell’831 fu la volta di Palermo che diventò
la loro capitale. Successivamente i musulmani si scontrarono più volte con i
dominatori bizantini che riuscivano validamente a difendere la parte orientale
dell’isola. Nell’842 morì l’imperatore
bizantino Teofilo, un accesso iconoclasta, e salì al potere la reggente Teodora
che era invece favorevole al culto delle immagini. In questo contesto i
siciliani si mostrarono favorevoli al governo bizantino e l’impero decise di
sfruttare l’appoggio popolare per colpire energicamente l’avanzata militare dei
musulmani nella Sicilia orientale. In
quello stesso anno era infatti caduta sotto il giogo musulmano la città di
Messina. Nell’845 i bizantini mandarono
nell’isola un fortissimo contingente militare composto da circa diecimila
soldati provenienti dal tema Kharsiano, nome di una città dell’Asia Minore, a
cui si aggregarono dei soldati locali.
Lo
scontro si ebbe nella pianura sottostante Butera e gli storici citarono il
massacro subito dai bizantini ….da 9.000 a 10.000 morti…”non combattendo ma fuggendo ed i Musulmani confermano che solo tre
credenti incontrarono la morte… il luogo di questa battaglia, assegnato da
Ibn-Al-Atir è Butirah”.
(L’esito
della battaglia aprì nuovi scenari militari ai musulmani che in breve tempo
riuscirono a conquistare Modica nell’845, Lentini nell’847 e Ragusa nell’848).
La
città di Butera, arroccata e ben difesa, riuscì a resistere ancora per qualche
anno fino all’853.
“Sembra che alle prime scorrerie dei
Musulmani a Noto, quei villici più volte si fossero rifugiati in quella rocca e
nell’anno 853, Al-Abbas, vedendoli affollati al solito covile (città), pensò di
prenderli in rete. Assediò strettamente Butera per oltre cinque mesi, infine
pattuì con i terrazzani che gli consegnassero cinque – sei mila capi (uomini),
scrive la cronaca, come se fossero capi d’armento (animali), e l’esercito,
portandosi dietro tanta torma di schiavi, se ne tornò a Palermo”.
“Nell’855 Abbas
inviava una lettera a Mulci-Mahammed-DerrAbn-el- Abbas, ove fra tutte le altre
cose sommariamente diceva: “arrivammo ad un quarto d’ora di cammino lontano da
Butera, feci riposare la gente e diedi loro da mangiare, e dopo aver dato
ordine di non risparmiare a nessuno la morte, c’incamminammo, e giunti a
mezzogiorno abbiamo dato l’assalto a quella città che è assai grande. Un’ora
prima di calare il sole eravamo padroni del castello, mi hanno regalato 600
monete d’argento e 100 d’oro, 100 buoi e 50 montoni da ammazzare e dare da
mangiare agli uomini, e dopo aver fatto accomodare le rovine del Castello e
lasciati 2.000 uomini di guarnigione, per poterli difendere, mi partii”.
La
grande e popolosa Butera cadeva definitivamente sotto il dominio degli arabi
fino a quando non fu liberata da Ruggero il Normanno.
“Ritornato (Ruggero I) allora all’assedio di Butera tanto
gagliardamente la strinse, che le fu forza arrendersi. I più potenti fra què
Saracini furono al conquistare mandati a stanziare in Calabria. ma la letizia
di lui (la felicità per la conquista della città) fu allora amareggiata dalla morte della sua prima moglie. Né passò gran
tempo che sposò Adelaide, nipote di Bonifazio marchese di Monferrato, che il
Malaterra chiama marchese d’Italia”.
“Lo Sposalizio tra
Ruggero I e Giuditta”
Castello de Pirou
– Nomandia
Giuditta d’Evreux (1050 – 1076),
nobildonna normanna, era figlia
primogenita di Guglielmo d’Evreux e della moglie, Adevisa (Hadvige)
figlia secondogenita di Giroie, Signore d’Echauffour e di Montreuile.
Il Matrimonio si celebrò
nel Natale del 1061 a San Martino in Val di Saline (frazione di Taurianova –
Reggio Calabria)
Probabilmente
in origine era presente un forte bizantino che gli arabi ripristinarono dopo
con la conquista della città. Butera, in arabo Butirah, fu conquistata da
Ruggero il Normanno nell’aprile del 1089 (alcune fonti indicano nel 1088) e fu
una delle ultime città ad essere liberata dai musulmani. Fu una conquista
difficile e il Gran Conte trovò immane difficoltà nel conquistare la rocca che
era inespugnabile. Un assedio lungo ben 26 anni prima della conquista. Nel
castello risiedeva l’emiro Alaba che era “Signore di Butirah”. “Butirah” in
arabo significa “Luogo scosceso”. Una volta conquistata la città l’aristocrazia
musulmana del luogo fu deportata in Calabria.
Nel
1150 il geografo Idrisi, alla Corte Normanna di Ruggero II, descriveva Butera
come “rocca valida assai” e sempre
con i Normanni diventò la sede di una Contea in mano alla più potente famiglia
lombarda, Aleramici, venuta al seguito della terza moglie del Conte Ruggero,
Adelasia del Vasto (Cenni sulla famiglia Alemara, nella nota (Il Castello di
Falconara).
Come
abbiamo visto, subito dopo la morte della moglie Giuditta d’Evreux, all’età di
26 anni, Ruggero I sposò Adelasia del Vasto nel 1087 nel Castello di Mileto.
“Le due sorelle
minori della nuova contessa (Adelasia) furono al tempo stesso maritate ai due
figliuoli del Conte (Ruggero I), Giordano e Goffredo, comecchè quest’ultimo
fosse ancor fanciullo; né quel matrimonio potè mai esser consumato; per esser
lo sposo morto prima di giungere alla pubertà”.
Sarcofago della
Regina Adelasia
Cattedrale di San
Bartolomeo – Patti (Me)
La
Contea di Butera fu uno dei centri più importanti per la Sicilia Normanna. Gli
Aleramici del Vasto la mantennero fino al XII secolo favorendo l’inserimento
nel territorio di consistenti unità di coloni provenienti dall’Italia Settentrionale
che fecero di Butera una delle Terre Lombarde di Sicilia.
Stemma di
Bonifacio Del Vasto
Il
Conte Ruggero assegnò il Castello al cognato-genero
Enrico Del Vasto Aleramico che in quello stesso anno (1089) aveva sposato
Flandina d’Altavilla figlia di Ruggero I e di Giuditta d’Evreux..
Dai
Del Vasto passò ai normanni Bartolomeo De Luci e Guglielmo Malconvenant.
Sotto
il re normanno Guglielmo I il castello sembra in possesso del Conte Simone di
Policastro e successivamente del figlio illegittimo Ruggero Sclavo. Il castello
fu teatro dell’epilogo della rivolta baronale contro Guglielmo I “Il Malo” nel
1161 quando Tancredi, Ruggero Sclavo e Bartolomeo de Grassuliato, si asserragliarono
per fronteggiare l’esercito reale. Alle fine il re normanno riuscì a soffocare
la rivolta e il castello venne parzialmente distrutto ( gli avvenimenti sono
narrati nella ricerca: I Castelli di Mazzarino/ Castello di Grassuliato).
Il
castello fu ripristinato da Guglielmo II (Palermo, dicembre 1153 – Palermo, 18
novembre 1189). Era figlio di Guglielmo I “Il Malo” e di Margherita di Navarra.
Regnò dal 1166 sino alla sua morte e fu considerato come uno del monarchi
normanni, discendente degli Altavilla, che ottenne il maggiore consenso popolare.
Un consenso che lo farà ricordare con l’appellativo di “Il Buono”.
Venne
ricordato, proprio per il suo animo caritatevole, nel Paradiso (Canto XX,
61-66) di Dante Alighieri.
“E quel che vedi ne l'arco declivo,
Guglielmo fu, cui quella terra plora
che piagne Carlo e Federigo vivo:
ora conosce come s'innamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
del suo fulgore il fa vedere ancora”
Guglielmo fu, cui quella terra plora
che piagne Carlo e Federigo vivo:
ora conosce come s'innamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
del suo fulgore il fa vedere ancora”
Guglielmo II Il
Buono
Duomo di Monreale
Fra le opere
avviate da Guglielmo I c’è lo stupendo Duomo di Monreale. Una costruzione
Iniziata con il
beneplacito di papa Lucio III.
Duomo di Monreale
Guglielmo II
incoronato dal Cristo (XII secolo)
Duomo di Monreale
Guglielmo II
dedica la Cattedrale di Monreale alla Vergine
Funerali di
Guglielmo II
Liber in honorem Augusti
Duomo di Monreale
Il Sarcofago Rinascimentale
di Guglielmo II
Lo storico Michele Amari mise in
evidenza nei suoi scritti l’atmosfera nel Regno di Guglielmo II
non turbata da odio interreligioso:
«E pur l'universale della popolazione non
aborriva per anco i Musulmani ...; la voce del muezzin non facea ribrezzo nelle
grandi città ... onde gli eunuchi, gaiti o paggi che dir si vogliano,
esercitavano gli ufficii di corte sotto quel velo sottilissimo d'ipocrisia che
li facea apparire cristiani...; Guglielmo accogliea con onore i Musulmani stranieri,
medici e astrologhi e largìa denaro a' poeti ...; i Musulmani soggiornavano in
alcuni sobborghi senza compagnia di Cristiani; un qâdî amministrava la loro
giustizia; frequentavan essi le moschee e ciascuna era anco scuola: fiorivano i
loro mercati”. La sua inusitata tolleranza verso i suoi sudditi musulmani (che tanto scandalizzava i
cristiani benpensanti ed esasperava il Papa) viene attestata anche dal noto
viaggiatore Ibn Jubayr che, nella sua Rihla (Viaggio), ricorda come nel terremoto del
1169, egli s'aggirasse nella reggia affermando ai
suoi diversi servitori: «Che ciascuno preghi il Dio ch'egli adora! Chi avrà
fede nel suo Dio, sentirà la pace in cuore».
Quando
il sovrano morì si fece seppellire ai piedi dell’altare maggiore. In questo
modo l’officiante doveva inginocchiarsi sulla tomba ogni volta che diceva la
messa. Il suo corpo venne poi traslato nel sarcofago rinascimentale su
riportato e deposto accanto alla tomba del padre Guglielmo I “Il Malo”.
Guglielmo
II non solo ricostruì il castello di Butera ma insignì la città del titolo di “Universitas
Invictissimae Civitatis Buterae”
In
epoca Sveva nel 1219 la Contea fu acquistata da Bernardo d’Ocrea e nel 1252
passò al figlio Gualtieri. Dopo pochi anni il feudo era in possesso di Galvano
Lancia , forse imparentato con Bianca Lancia ovvero l’ultima moglie di Federico
II di Svevia.
Alla
morte di Galvano Lancia avvenuta nel 1286 a seguito della cattura e
decapitazione di Corradino di Svevia, a cui il Lancia era molto fedele, il territorio
di Butera passò al Regio Demanio.
Nel
1320 il re Federico III d’Aragona vendette il feudo di Butera per 100 onze ad
un militare del Regno e successivamente fu elevata nuovamente a Contea sotto
gli Alagona.
Nel
1355 Butera venne descritta come “Terra
et castrum”.
Gli
Alagona ne mantennero il possesso fino
al 1392 quando, essendo ostili a Re Martino I e sconfitti da quest’ultimo,
venne confiscata e ceduta insieme alla Torre di Falconara al principe catalano,
vassallo del re, Ugo di Santapau con diploma del 18 ottobre a Castrogiovanni..”per i suoi servigi alla corona aragonese
contro i ribelli”. (Cenni sulla Famiglia “Santapau” nella Nota: IL Castello
di Falconara)
Il
Santapau trasformò la Contea in terra baronale e nel 1563 diventò la prima
terra ad essere eretta in principato. Nel 1580 il principato passò ai
Branciforti. Branciforti che la tennero fino al principio del secolo XIX quando
si estinsero nei Lanza.
Altri
testi indicano il passaggio per via ereditaria dai Santapau alla famiglia Branciforti
avvenuto nell’anno 1540:
-
1580
; La sorella di Antonio Santapau si sposò con Girolamo Barresi, Marchese di
Pietraperzia, da cui nacque Dorotea Barresi e Santapau, la quale fu “ Governatrice dell’Infante Filippo
d’Austria Terzo Re delle Spagne” e “fu l’erede del principato di Butera”. “Quale stato trasmesse alla famiglia
Branciforte” grazie al matrimonio avvenuto nel 1580 con Giovanni
Branciforte, Conte di Mazzarino e Grassuliato. Dorotea rimase vedova e “accoppiassi essa ancora con Vincenzo
Barrese e Branciforte, Marchese di Militello Val di Noto e la terza volta sposò
Giovanni Zunica e Requens, figlio del Conte di Castiglia, e Maggiordomo
maggiore dell’Infante Filippo II. Ambasciatore a Roma, vicerè e Capitan
Generale del Regno di Napoli”. Dorotea ebbe dei figli solo dal secondo
marito, Branciforte, da cui “ebbe l’unico
maschio Fabrizio Branciforte e Barrese, Tagliavia e Santapau, Conte del
Mazzarino che successe allo zio Francesco di Butera, giurando nella investitura
a 8 dicembre 1591”. (“Della Sicilia Nobile – Opera di Francesco Maria Emanuele
e Gaetani- Marchese di Villa Bianca, Signore del Castello di Mazara e della
Baronia della Merca – Parte Seconda – Nella quale si ha la storia del
Baronaggio di Questo Regno di Sicilia……)
-
1540
; (La discendenza in linea diretta è ancora Santapau per la presenza di eredi
maschi). Ugone di Santapau, investito di Licodia nel 1507, primo marchese sotto
Re Ferdinando il Cattolico, si sposò con Antonina Filingeri. Dal matrimonio
nacque Ponzio Santapau Filingeri, quarto di questo nome, e secondo Marchese di
questo stato (Licodia), come si deduce dall’investitura del 30 agosto 1511, “sul quale Stato ottenne egli il mero e
misto impero per privilegio concessogli dall’Imperatore Carlo Quinto sotto il 3
gennaio 1523. Fu diputato di questo Regno, di cui fu altresì due volte
presidente, e Capitan Generale, trascelto la prima volta nel 1516 dal comun di
voto del partito di quei Baroni, che cacciarono da Sicilia il vicerè D. Ugo
Moncada per motivo delle di lui ingiustizie e molto più per aversi imbrattato
le mani di uno dei più illustri, e principali Baroni di questo Regno, voglio
dire dell’infelice sopravissuto Marchese Ugo di Santapu, genitore del presente
Marchese Ponzio. Quindi fu egli nominato Presidente Generale per la seconda volta
dal vicerè Ferdinando Gonzaga nel 1540 quando ebbe egli a passare in Africa con
l’armata”. Sposò Isabella Branciforte, figlia del Conte di Mazzarino. Dal
matrimonio nacquero Ambrogio Santapau e Branciforte e Francesco Santapau e
Branciforte. Ambrogio fu investito dello stato di Licodia nel 1542 e fu anche
il primo Principe di Butera…”non lasciò
alcuna prole”. Il fratello Francesco Santapau e Branciforte fu il secondo
principe “degli Stati di Butera
investitura nel 1565 e nel suo testamento del 5 dicembre 1590 lasciò la terra
di Palazzolo, che aveva comprato da Artale Alagona, e con essa anche il
presenta Stato, e il Marchesato di Licodia con li feudi di Alfano, Molisino e
Bambiseuro a Camilla di Santapau, sia figliuola
naturale, poi legitiminata per privilegio reale dato in Palermo a 24
dicembre 1576. Morto il principe, e rimasta essendo eredera dè su ruferiti
Stati di Palazzolo e Licodia la figlia Camilla; questa festeggiò le sue nozze
con Pietro Velasquaez; morto il quale leggesi altra volta in maritaggio con
Muzio Ruffo e Benavides, a cui recò in dote il ricco retaggio del presente
vassallaggio, accrescendolo insieme dell’inclita prole di Vincenzo Ruffo e Santapau….”
Il
principe di Butera, Ambrogio Santapau Branciforte forse nacque a Licodia
intorno al 1518, come abbiamo visto dal matrimonio tra Ponzio Santapau e
Isabella Branciforte.
Di
origini Catalane, “ancora ben giovane”come
riporta il Vicerè Ferrante Gonzaga, fu coinvolto in un gravissimo “fatto di sangue”.
“Con il padre,
Ponzio Santapau, e lo zio, Francesco Santapau, appoggiò il marchese di
Pietraperzia in una contesa con il vecchio padre, che alla fine fu ucciso. Il
Gonzaga avrebbe voluto punire duramente il Marchese di Pietraperzia, anche per
dare un esempio alla nobiltà siciliana, ma il tempestivo intervento della corte
glielo impedì. I Santapau riuscirono per giunta ad instaurare di Licodia per le
necessità finanziarie del Regno”.buoni rapporti con lo stesso vicerè, che fece
più volte ricorso alla ricca borsa del vecchio marchese
Il
16 agosto 1540 ricevette l’investitura per la Terra di Butera con il titolo
baronale, per donazione del padre, e nel 1541 il sovrano lo nominò stratigoto e
capitano delle armi della città di Messina per gli anni 1542-43. Fortificò
Messina e nel giugno del 1543 fu al centro di un importante azione militare
dando prova delle sue abilità governative.
Il
15 giugno venne avvistata nelle acque dello stretto una forte e numerosa flotta
turca comandata da Khair ad-din, detto il “Barbarossa”, che il giorno dopo
attaccò Reggio riuscendo ad espugnare il suo castello. Diede fiamme ad una
parte della città dopo aver trafugato ogni cosa e preso molti prigionieri.
Lasciata Reggio, il Barbarossa tentò uno sbarco nella zona del Faro, a nord di
Messina, ma venne respinto con forza dagli abitanti del villaggio. Davanti alla
reale minaccia di un forte attacco turco, Ambrogio Santapau chiamò alle armi
tutti i cittadini validi e fece convergere sulla città anche i contadini dei
villaggi vicini e ben ottocento archibugieri dai presidi militari circostanti.
La pronta reazione dei cittadini e la strategia militare adottata dal Santapau
fecero sì che l’avversario turco rinunciasse ad altri possibili attacchi e il
19 giugno il pericolo era cessato.
L’11
maggio 1546 fu nominato presidente del Regno ma con una provvedimento non
conforme alla prassi. Il vicerè Ferrante Gonzaga aveva ricevuto la notizia del
nuovo incarico del Santapau, un incarico che lo portava fuori dall’Isola. Il
provvedimento non era stato comunicato con un dispaccio diretto del sovrano ma
per mezzo di un messaggero speciale, accreditato presso di lui da una lettera
del cardinale di Granvelle. Lo stesso messaggero aveva precisato che “Sua Maestà rimetteva a Sua Eccellenza di
far et lasciar Presidente in questo regno chi pareva a lei e che non se li
mandava di ciò la potestà in scripto atteso che Sua Maestà non voleva palesar
di qualche giorno detta eleccione de li carrichi diLombardia per alcuni
respetti”.
In
realtà. Alcuni giorni prima, cioè il primo maggio, il vicerè aveva convocato il
Sacro Regio Consiglio per consultarlo sulla possibilità di procedere alla
nomina di un presidente anche in mancanza di un esplicito mandato scritto
dell’imperatore. Il Consiglio dopo una lunga discussione, attesa l’assoluta
attendibilità del messaggero, espresse parere favorevole e il vicerè il giorno
11 procedette alla nomina con la riserva "quousque per Suam Cesaream Maiestateni fuerit aliter provisum".
Prima che il Gonzaga rendesse pubblica la sua decisione, il 29 aprile, il
marchese di Terranova inviò una lettera al sovrano per rilevare che la nomina
doveva considerarsi ileggittima perché in contrasto con le prammatiche del
Regno. Il Santapau, quindi “per essere
giovane et non di quella esperienza che ricercaria l’importanza del carico”,
doveva essere sostituito al più presto dal nuovo vicerè. A dispetto di queste
resistenze il 16 maggio il Santapau assunse l’alto ufficio e prestò il
giuramento di rito nella Cattedrale di Palermo, e alla fine del mese si
trasferì a Messina. Il 10 giugno Carlo V, con un dispaccio datata da Ratisbona,
gli confermò la nomina che riconobbe esplicitamente valida e legittima.
Appena giunto a Messina Ambrogio Santapau dovette sanare un grave dissidio
tra le file senatoriali. I rappresentanti della nobiltà erano stati accusati da
alcuni senatori di aver monopolizzato il governo della città. Nello stesso
tempo destituì alcuni funzionari che erano preposti alla Zecca per le gravi
manchevolezze che avevano compiuto.
Nell’ottobre sempre del 1546 dovette affrontare l’opposizione del Senato
cittadino che si rifiutava di riconoscere la nomina a stratigoto di Antonio Branciforte, barone di Mirto. La
motivazione era legata ad un antico privilegio in cui “non poteva essere chiamato a ricoprire quella carica un cittadino
messinese”. Il santapau superò abilmente il contrasto riuscendo a
convincere i senatori nell’inoltrare una supplica a Carlo V affinchè “in deroga ad ogni privilegio, chiamasse
all’alto ufficio un messinese”. Una manovra legata al desiderio di favorire
il barone di Mirto a cui il Santapau, per parte di madre, era legato da
parentela.
Grande energia dimostrò nella lotta
al banditismo, da sempre una grave piaga dell’isola, e nei provvedimenti
annonari adottati per fronteggiare la carestia. Rifornì di vivere la
guarnigione della Goletta e riuscì a mandare avanti la costruzione di numerose
fortificazioni dell’isola.
La sua azione politica e sociale fu sempre contrastata dal Marchese di
Terranova (Gela) che con tenacia fece sempre segnalare a corte il vizio di
forma della nomina (a Presidente del Regno) e successivamente con altri
attacchi verbali con l’accusa di scarsa tempestività nell’invio dei soccorsi
alla Goletta e di incapacità di sfruttare la situazione di mercato creata dalla
carestia.
Secondo il marchese di Terranova dalla carestia l’erario avrebbe potuto
trarre notevoli guadagno con una forte imposta sul commercio del grano, che il
Santapau si oppose invece di portare a livelli superiori ai 10 tarì.
Le accuse del marchese di Terranova erano appoggiate anche dal consultore
del Regno, Andrea Arduino. Accuse che non diedero alcun risultato perché
l’imperatore Carlo V lascio il Santapau alla Presidenza del regno per un intero
anno fino alla fine di maggio del 1547 quando giunse in Sicilia il nuovo
vicerè. Con cedola reale del 10 luglio
1549 gli fu assegnato l’ufficio di maestro giustiziere che lo poneva, a vita,
al vertice della magistratura dell’Isola. Un incarico che gli assicurava una
posizione di assoluto prestigio e un “stipendio” annuo fra i più alti pagati
dall’erario a ufficiali del Regno.
Il 21 maggio 1552 il nuovo vicerè, Juan de Vega, lo nominò vicario generale
e capitano d’armi per la Val di Mazara. Un incarico che aveva come obiettivo i
controllo militare della costa da possibili attacchi turchi. La situazione era
tanto grave da indurre il sovrano ad autorizzare vendite ed alienazioni del
regio per la disponibilità di forti somme di denaro per la difesa del Regno.
Il Santapau versò per suo conto alle casse dello Stato circa 15.000 scudi.
Con tale somma acquistava, con patto di retrovendita che veniva posto in atto
nel settembre del 1556, le secrezie di Lentini e Carlentini.
Nel 1555 il vicerè de Vega propose a corte di aumentare il numero dei
componenti del Regio Consiglio per migliorane la funzionalità e fece il nome di
Ambrogio Santapau come quello di un uomo “"que
tien esperiencia y ha governado con todo amor y buena diligencias”.
La
proposta del vicerè non ebbe alcun seguito. Al Santapau non mancarono altri
importanti e gratificanti riconoscimenti: il 5 marzo 1563, primo fra i nobili
siciliani, gli fu concesso il titolo di Principe sul feudo di Butera. Nel
privilegio di concessione, reso esecutorio il 4 aprile 1564, veniva anche
ricordato il valido aiuto dato al sovrano nella spedizione di Algeri. Il primo
maggio 1564, davanti alle minacce della flotta turca, il vicerè incaricò il
Santapau di organizzare le difese della Val di Noto come vicario generale e
capitano d’armi. Nel mese di luglio ci furono i primi avvistamenti di navi
turche lungo le coste della Sicilia. Avvistamenti che si fecero sempre più
frequenti tanto che il 2 agosto il vicerè ordinò al Santapau di concentrare “un buon nerbo di armati in Lentini”.
Verso la metà del mese di agosto il Santapau morì improvvisamente.
Non
lasciò eredi diretti perché dalle nozze celebrate con Antonia del Balzo e
Caraffa, figlia di Giacomo, Conte di Ugento e Castro, non erano nati figli. Il
titolo di principe di Butera passò al fratello Francesco che ne ricevette
l’investitura l’8 luglio 1565.
STRUTTURA
ARCHITETTONICA
L’ampia
corte che era racchiusa tra le mura del castello è oggi adibita a pubblica
piazza. In recenti scavi sono stati individuati tre ampie cisterne con
rinvenimenti ceramici di età medievale. Dell’antico e prestigioso castello rimane
solo una delle torri con sale coperte da
volte a crociera. Sale che sono ricche di sculture fra cui un’aquila a due
teste, con catena e spada sguainata, stemma dei signori dell’epoca (forse dei
Santapau ?).
Nella
torre è visibile l’unica bifora esistente sul prospetto di Piazza Vittoria. Con
gli ultimi restauri è stata recuperata la scala esterna d’accesso al secondo
livello della torre, oltre al consolidamento delle murature e alla
ricostruzione degli ambienti superstiti rispettando con cura i volumi
originari. Sul lato nord della torre, al terzo livello, è stato ripristinato il
livello mancante con una struttura in ferro e vetro. Livello che è coperto da
una bellissima volta a crociera costolonata che presenta una stemma gentilizio.
All’interno
della fortezza erano presenti magazzini, armerie, stalle. Tutti ambienti molto
spaziosi.
L’antica
struttura fu restaurata dal Patricolo nel 1897 e fu interessata da pericolosi
crolli nel 1904 e nel 1924. Nel 1935 furono eseguiti altri lavori di
ricostruzione e a partire dal 1985 da
lavori di restauro che furono ultimati nel 1997.
La
fantasia popolare parla di un sotterraneo che collegava il castello di Butera a
quello di Falconara. Castelli che hanno in comune un importante capitolo di
storia quando entrambi furono concessi da re Martino I al fedelissimo Ugone
Santapau. Castello di Falconara che fece parte per un certo periodo della
Contea di Butera.
La proprietà attuale è PUBBLICA.
Uno storico del
tempo ci ha lasciato un attenta descrizione della rocca:
Sorge
Butera in Val di Noto, in un giogo di un alto monte, faticoso alla salita e da
ogni parte ricinto di scoscesi scogli, talché può solamente salirsi per una via
verso aquilone. Stendesi tuttavolta in ineguale pianura e sembra presentare la
figura di una falce. Una rocca fabbricata in un poggio, alla porta meridionale
del paese, con una porta rivolta a settentrione, mostrasi in ogni modo antica;
ne sono fortissime e solide le muraglie di pietra quadrata di 18 palmi di
larghezza, e sorgono a tanta altezza che sostengono cinque ordini di volte,
anch'esse ai lati di pietra quadrata. Vi è un cortile ed un amplissimo spazio,
conserve di orzo e di frumento, riposti di armi e stalle per cavalli e profonde
e spaziose fosse. Una insigne spaziosa cisterna sovra ogni altro, supera ogni
aspettazione, è di forma ovale con grande artifizio compatta, solamente dalla
parte esterna acuminata appoggia al suolo, dagli altri lati sta da sé sola, e
sembra del tutto opera di un solo masso. Le fronti esterne della rocca sono inaccessibili
da ogni parte ed i soli angoli si presentano agli oppugnatori e minutissimi. Il
paese, una volta cinto di mura e di torri, apre due porte dèlle quali una detta
di San Pietro è rivolta a Settentrione, l'altra Regale a Greco.
Sembra che in questa rocca si ebbe
l’Ospizio dei soppressi cavalieri templari che poi fu sede dell’Imperatore
Federico II di Svevia con la conferma dei Casali di Ardane e Maltane e il
Casale di Iudeca, contrada di Butera come si rileva da un diploma di Papa
Alessandro III dell’anno 1169”.
Butera:
Una rara cisti dolmenica (sepoltura)
Castello di Grassuliato – Butera : 23,8 km
- 5h 13 m
Butera – Castello di Falconara : 21,1
km – 4h 22 m
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