IL CASTELLO DI GELA

I  CASTELLI  DELLA  PROVINCIA  DI CALTANISSETTA

I  Duchi/sse di Terranova erano anche Marchese/a della Valle di Oaxaca (Messico) perchè parenti del
"conquistadores" spagnolo Hermàn Cortes.


CASTELLO DI "TERRANOVA"
Gela – Caltanissetta
Ubicazione: Piazza Calvario – Centro Urbano
Castello della Val di Noto




NOTIZIE STORICHE

Nella prima metà del XIII secolo, durante la reggenza di Federico II di Svevia, si ha la fondazione di “Terra Nova”, in contrapposizione alla “Terra Vecchia abitata nei periodi precedenti e costruita sulle rovine dell’antica e prestigiosa Gela greca. Per molto tempo il nuovo sito venne identificato con quello della città di Eraclea e per questo motivo la nuova città fu chiamata all’origine Heraclea. Alla fine prevalse l’appellativo di Terranova, cioè “Città Nuova” che durò fino a quando in epoca fascista la città riacquistò l’antico nome di Gela.
La fondazione di Terranova fu un avvenimento importante per l’area geografica in cui sorse il centro. Un centro che fu presidiato da fortificazioni e successivamente dotato anche di  un approdo, il Reale Caricatoio, per il commercio dei prodotti. Dopo poco tempo Terranova diventò il secondo centro più popoloso della Sicilia Orientale. Era preceduta da Messina e seguita da Catania, Caltagirone e Siracusa. Dopo la fine della dinastia Sveva, la città seguì il destino e le vicende degli altri centri dell’isola. Partecipò attivamente alle giornate del Vespro nel 1282, nella lotta tra Aragonesi ed Angioini.

Fasi Storiche
Nella seconda metà del XIII secolo si avrebbe, secondo “Dufour, Nigrelli 1997”, la costruzione di una “torre maestra” come probabile primo nucleo del castello e nel XIV secolo delle strutture di legno vennero addossate alla torre per rafforzare la sua funzione militare.
Nel 1355 la città fu  indicata. come.”Eraclia alias vocata Terra Nova” (Librino 1928) ed era città Demaniale
Nel 1369, Terranova fu data in feudo da Federico IV (III - Il Semplice) d’Aragona prima a Manfredi di Chiaramonte, VII Conte di Modica, e poi in feudo e baronia a Johannes de Ferula.
Johannes de Ferula partecipò alla congiura dei baroni contro Martino I e quindi dichiarato “fellone” perse il feudo.




La famiglia “La Ferla” o “Ferla” è di origine normanna (Ferlè o Ferlay, come risulta dai documenti medievali
conservati nell’Abbazia di Saint Aubin d’Angers). Scese in Italia al seguito degli
Altavilla nell’XI secolo.
Nel 1282, all’epoca del Vespro la nobiltà normanna aveva perduto molto potere ad esclusione delle famiglie:
Caltagirone, Abbate, Barresi Mazzarino, Sclafani e Ferla.(Henri Bresc, storico medievale).
"La nobiltà francese partecipa poco al potere sugli uomini, ma notiamo che la nobiltà siciliana del ceppo normanno è stata quasi completamente eliminata da questa funzione di mediazione: restano solo Caltagirone Butera, Abbate Ciminna, Barresi Pietraperzia e Naro, il Mazzarino, lo Sclafani, il Ferla; la loro autorità è esercitata su pochi insediamenti permanenti e fortificati ".
Il nobile “miles Iohannes de Ferula” nel suo testamento del 1292, ritrovato tra le pergamene della Casa
dei Principi Moncada, cita la potenza della famiglia attraverso i legami e le alleanze con altre casate di Sicilia:
i de Rocca, Pescatore, Moncada, Lancia, Alagona, Chiaramonte, ecc.
Il figlio di Iohannes, Lando de Ferula (o La Ferla), ricevette il 10 gennaio 1345 dalla cugina, Donna Lukina (Pescatore e de Rocca di nascita, e moglie del Conte Guglielmo Raimondo Moncada de Montecateno), la donazione dei beni esistenti nella terra di Ragusa. Un altro Lando, barone di Morbano cioè di un feudo nel territorio di Vizzini, nel 1375 ottenne da Re Federico IV (III) d’Aragona la concessione di “poter acquistare alcuni feudi posseduti dal nobile Chaula”. Nello stesso anno andò in aiuto del Re Federico IV partecipando alla repressione della rivolta di Avola.
Un personaggio ambiguo perché nel 1393 si ribellò al re Martino I. Per questo motivo gli furono
confiscati tutti i beni compreso l’importante feudo di Morbano che fu assegnato a Giacomo Serra con atto
dell’8 ottobre 1393.  Un altro Lando, anche lui ribelle al re Martino fu spogliato di tutte le
concessioni feudali tra cui le terre e il castello di Ferla. Terre e castello di Ferla che furono concessi a
Ruggero Planellis. Nella famiglia non poteva mancare Iohannes de Ferula, dal nome dell’antico avo, dichiarato “fellone” sempre dal re Marino che subì la confisca delle saline, del Caricatore Reale, delle Terre e del
Castello di Eraclea (Terranova) in data 2 maggio 1392 e concessi successivamente al catalano
Pietro De Planellis (o de Planell).
Lo stemma della famiglia è costituito dalla ferula e da due leoni rampanti. La ferula rappresenta il potere
temporale e spirituale dei Papi mentre i leoni rampanti rappresentano la forza e il coraggio della
famiglia nel sostenere il potere dei Papi.

Con un diploma del 13 marzo 1396 Re Martino I reintegrò la città di Terranova nel Regio Demanio. Con lo stesso diploma ricompensò la città  per i suoi servizi resi alla corona in tempo di guerra. I ricavati delle gabelle dell’erbaggi  furono donati alla città per riparare le mura necessarie per la difesa dalle continue scorrerie dei pirati.

La città venne affidata a Pietro de Planellis (o Planell).

Il “Nobiliario Siciliano” non cita le origine della famiglia, probabilmente catalane.
“Raimondo, con privilegio del 19 maggio 1392, ottenne concessione in feudo di
onze 300 annue sul porto di Terranova. Un Pietro, milite, ottenne da Re Martino concessione
“durante vita” della terra e castello di Terranova.
Tornata questa al Regio Demanio, Ruggero familiare regio e figlio di Pietro, ottenne con privilegio del
15 febbraio 1400, concessione di una salina nel territorio di Terranova ed altri diritti.
Salina che era stata concessa in precedenza a Giovanni ed Antonio la Ferla, padre e figlio (i precedenti feudatari del castello (famiglia: De Ferula), dichiarati ribelli.
Lo stemma su sfondo rosso presenta “ lupa passante d’oro, addestrata da un giglio dello stesso (d’oro) e
sinistrata da una rosa d’argento

Nei libri di Araldica Spagnola ci sono diverse case Planell. Una casata molto importante
e conosciuta. Non tutti le discendenze di questo cognome hanno un origine comune.

Presentano diversi scudi attraverso i quali manifestavano gli elementi differenziali del casato


Gli smalti dell’arma del Planells proclamano i seguenti valori:
l’Azzurro corrisponde al simbolo dell’acqua, della continuità della vita. È un colore di nobiltà, bellezza,
castità e fedeltà, in aggiunta altre virtù hanno caratterizzato la famiglia, come ricchezza,
perseveranza, fama e desiderio di vittoria…
Nel 1401 lo stesso Martino I, abolì con un diploma tutte le concessioni donate alla città e dichiarò Demaniale tutto il territorio di Terranova. Con lo stesso diploma confermò la moratoria dei debiti per 8 anni a chiunque si fosse trasferito nella città.
1425, il castello e la terra passarono a Giovanna Villademani erede di Lluis Rayadeli, feudatario del re;
1438 – Terranova fu definita Terra e Castrum dalla Regia Cancelleria (2830, c 257 – E Maurici)

1453 – Beatrice Cruylles e il marito Giovanni D’Aragona sono i nuovi feudatari di Terranova.
Malgrado il provvedimento di Martino I la popolazione non aumentò e questo forse per la presenza endemica nel territorio della malaria e sia per le pestilenze del 1455 e 1456.

All’origine  il castello era quindi costituito da una torre. Si può parlare di vero e proprio castello solo a partire dal XVI secolo quando attorno alla torre vennero costruite altre strutture.

Infatti proprio nel XVI secolo il castello era completo ed era costituito da un quadrilatero, con lati disuguali, delle torri angolari e una grande corte interna.
Agli inizi del XVI secolo, dopo diversi trasferimenti, il castello con il suo feudo passò alla famiglia Tagliavia Aragona
Terranova con le altre terre feudali (Buscemi, Montalbano, Monreale)  partecipò ai moti del  7 marzo 1516 contro il viceré Moncada e si ribellarono ai propri signori. Infatti dopo la morte di Ferdinando I, i terranovesi si rifiutarono di prestare obbedienza e di dare il possesso della terra e di tutto il suo stato a Donna Antonina Contessa d’Aragona. I rivoltosi, capeggiati dal Capitano d’Armi Giovanni Antonino Puglio, chiusero le porte della città resistendo anche agli ordino reali. Dopo quattro mesi di aspre lotte, i giurati di Terranova, temendo il peggio per la propria città in virtù della forte resistenza al potere regio, si riunirono il 22 luglio 1516 nella Chiesa di Santa Maria dé Platea.


Chiesa Madre – fine Ottocento
La Chiesa Madre sorge sul luogo della trecentesca chiesa di Santa Maria dè Platea.
Il termine Santa Maria dè Platea deriva dall’archivio dei documenti di proprietà dei beni e delle
Persone, tra cui schiavi e servi, che erano conservato nella chiesa e detto “platea”.
L’antica chiesa era in rovina a causa del terremoto del 1693 e nel 1766 iniziarono i
lavori per la costruzione del nuovo edificio sacro che fu completato nella prima metà dell’Ottocento.
La Chiesa Madre è dedicata alla Vergine Assunta, Madre di Dio. Al suo interno pregevoli opere d’arte tra cui un dipinto su tavola, con fondo, in oro, raffigurante Maria SS. dell’Alemanna (o della Manna), patrona di Gela.

Gela – Chiesa Madre

Icona , Maria SS. dell’Alemanna (o della Manna)
Le tradizioni sull’origine dell’Icona sono diverse. Una fonte cita che fu portata da alcuni viandanti ebrei che transitando nel territorio ricevettero ospitalità. Per ringraziamento donarono alla città la preziosa icona. Un icona legata
al viaggio degli israeliti durante l’attraversamento del deserto e che ricevettero del cibo inviato miracolosamente
dal cielo da Dio. Per questo motivo la chiamarono “Madonna della Manna”.
Più veritiera è invece l’altra fonte storica che rileva l’Immagine portata dall’ordine religioso dei
Teutonici di Santa Maria de Alemanna (Ordo domus Sanctae Mariae Teutonicorum). Ordine che fu
fondato nel 1190 a San Giovanni d’Acri (cittadina dell’Israele), abitata da cittadini di Lubecca e Brema. Ordine che nel 1198 fu trasformato in ordine cavalleresco. Secondo l’abate Rocco Pirri il culto a Maria SS. dell’Alemanna si deve proprio ai cavalieri Teutonici che fondarono a Terranova un tempio ed una casa, dipendenti
dalla Magione di Palermo.. Una casa destinata ai pellegrini, come “hospistale”, che si recavano a Gerusalemme
in pellegrinaggio. Un analoga fondazione fu fatta, dagli stessi cavalieri Teutonici, a Messina con una
chiesa dedicata a Maria SS. D’Alemanna.

L’icona era custodita in origine nel Santuario della “Madonna SS. Dell’Alemanna”.

Santuario della “Maria SS. dell’Alemanna”
L’antica chiesa fu edificata nel XII secolo, nel 1242 era forse presente una cappella, e retta
dall’Ordine Teutonico. Nel 1540 fu abbandonata
dall’Ordine e affidata dal pontefice Paolo III, su istanza del marchese Don Giovanni Aragona e Tagliavia, al
patronato degli abitanti di Heraclea-Terranova.
Un Santuario che subì diverse ricostruzioni. Nel 1540 ricostruito tranne l’abside; nel 1700 demolito e
ricostruito; nel 1860 era in rovina per cui fu demolito e nel 1865 ricostruito. Nel 1911-12 era adibito a lazzaretto durante l’epidemia di colera e nel luglio 1943 fu saccheggiato durante lo sbarco alleato. Nel dopoguerra ospitava
delle povere famiglie e nel 1969 venne chiuso al culto perché pericolante. Nel 1973 fu demolito e nel 1984 ricostruito con riapertura al culto nel 1985. La sacra Icona è oggi custodita nella Chiesa Madre. Nel Santuario si trova
la buca dove venne miracolosamente trovata l’icona da un contadino, mentre arava il suo terreno.


I Gelesi recitano:
All’unnici ‘i jnnaru a vintun’ura
Si vitti e nun si vitti Terranova;
S’unn’era ppì Maria, Nostra Signura,
Sutta li petri fussi Terranova.”


Nella Chiesa Madre, Vergine Assunta e Madre di Dio, durante i lavori di ripavimentazione,

eseguiti tra il 2007 e il 2013, vennero alla luce delle cripte con numerose sepolture gentilizie risalenti al Settecento. Fu rinvenuta anche ceramica greca e la base di un tempio greco.


Chiesa Madre – Cripta della navata sud
http://www.gelabeniculturali.it/CHIESE-CHIESA%20MADRE.htm

Si raggiunse un accordo che fece però ricadere Terranova nello stato di vassallaggio.
Verso la fine del 1500 la città fu ampliata verso Ovest e fu ricostruita o comunque ristrutturata la cinta muraria che fu completata nel 1593.

Un castello che subì diversi ampliamenti perché risale alla fine del XVI secolo l’aggiunta di un corpo di fabbrica allungato, destinato a magazzini e baglio antistante, i cui lavori finiranno nei primi anni del XVII  secolo con la creazione di un recinto perimetrale del baglio. 

Nel 1639 il possesso della città passò dagli Aragona Tagliavia a Ettore Pignatelli  che la mantenne fino all’abolizione della feudalità nel 1812.
Il castello in questo periodo era adibito dai Duchi di Terranova a magazzino e a prigione.
Una relazione redatta dal Negro e risalente al XVII secolo, riportò lo stato “Fortificazioni di Terranova” (mura e castello). Il Negro giudicò il castello privo di strutture difensive se ad esclusione dei “ torrionelli negli angoli che non sono atti a reggere artiglieria se non pezzotti piccoli”.
Con il terribile terremoto dell’11 gennaio 1693, il castello subì notevoli danni. Una relazione d’epoca citò il fabbisogno di “almeno 751 onze per i ripari del castello, il quale aveva subito danni maggiori alla torre di Ponente”.
Nella prima metà del XVIII secolo, il castello era semidistrutto e quindi in abbandono. Un anonima relazione consegnata al Duca di Terranova sullo stato della città citò anche il castello.. “vi è in detta un palazzo seu casa quale si chiama il castello… e per essere assai antico si vede rovinato” (Scuto, 1995);
Nel 1787 Terranova ebbe la possibilità di affrancarsi dal vassallaggio inviando una notevole somma di denaro al “Banco del Real Patrimonio”.
1789 – Terranova, dopo circa 300 anni di signoria degli Aragona, tornò al Regio Demanio.
Terranova tra il 1789 ed il 1799, periodo compreso tra lo scoppio della Rvoluzione Francese e l’instaurazione della Repubblica Partenopea, fu al centro di avvenimenti legati ai privilegi e ai soprusi perpetrati a danno del popolo. Gli avvenimenti sono un esempio di come anche nella lontana Sicilia l’illuminismo e il giacobinismo si diffusero sia pure a fatica e quasi sottovoce.
Il 3 febbraio 1799 ci fu la sanguinosa rivolta del “Ribello”.
Il duca Ettore Pignatelli Aragona Tagliavia Cortéz non intende rispettare l’ingiunzione del Real Patrimonio di Palermo di restituire al Regio Demanio il feudo di Terranova ed Avola dietro il già stabilito compenso di 3.300 onze. Il duca risiede a Palermo, conducendo un esistenza tra l’aria spagnola e l’oblomovismo, si serve della mano occulta del terranovese notaio Gino Lipardi, il notaio dovrebbe fare pressione sui membri più importanti e progressisti del Consiglio Civico di Terranova affinchè non venga deliberata la raccolta della somma da versare al duca.  Con l’approvazione della delibera avrebbe avuto fine il “mosto e mero impero “ feudale” che aveva avuto inizio con l’acquisto del diritto da parte di Carlo D’Aragona.
Nel 1788 la somma venne però depositata. Il duca e il notaio, che nel frattempo era stato nominato Capitano del Popolo, decisero congiuntamente di ricorrere alle maniere forti. Avanzarono dei cavilli giudiziari per ritardare l’esecuzione dell’ordine di restituzione del feudo. Ma la cosa più grave fu la diffusione nella città di un clima d’intimidazione e di terrore.

Nel carnevale del 1799 si scatenerà il sanguinoso “ribello” alla cui base c’era il contrasto tra i notabili cittadini e le idee giacobine. Sei avversari “riformisti” verranno uccisi dalla gente aizzata o fomentata dal notaio. Tre giovani esecutori materiali della strage saranno impiccati mentre il “duca il notaio e un prete “assistono compiaciuti al trionfo della loro giustizia.
Nel 1994 si ebbe il restauro dei magazzini “Pignatelli”. Sono le uniche strutture superstiti dell’antico castello.




STRUTTURE ARCHIETTONICHE

Stabilire o descrivere lo stato di consistenza del castello non è facile perché le varie parti sono state in parte inglobate in strutture successive e altre distrutte.
L’antico impianto planimetrico doveva essere costituito da un nucleo principale, di pianta quadrangolare, con torri angolari. Successivamente alla struttura venne affiancato un corpo rettangolare con baglio o ampio cortile.
Il castello aveva una posizione marginale rispetto alla città voluta da Federico II di Svevia e questo suo aspetto non consentiva alcun tipo di controllo militare. L’unico controllo militare era legato alla visione di un tratto di costa antistante  e della foce dell’antico fiume di Gela.
Probabilmente era anche esterno al tracciato medievale delle mura e fu inglobato al loro interno quando furono effettuati gli ampliamenti. Grazie a questi ampliamenti, che si sono verificati nel corso dei secoli, il castello entrò a fare parte integrante  del sistema difensivo senza però mai raggiungere il ruolo  carismatico di estremo e forte baluardo difensivo.
Come già su accennato, il nucleo originario era di ridotte dimensioni e cioè un quadrilatero irregolare con cortile centrale e torre agli angoli.
La necessita di avere a disposizione dei locali da adibire a magazzini ducali per la conservazione degli alimenti portò alla messa in opera di un blocco rettangolare costruito in aderenza al fronte sud-ovest. Il nuovo corpo era costituito da una bassa cortina muraria della quale uno dei lati era occupato, per l’intero fronte, da una costruzione ad una sola elevazione.
La tesi su descritta è stata redatta attraverso l’esame della cartografia secentesca ed in particolare attraverso i disegni del Negri. 

https://www.mondimedievali.net/castelli/Sicilia/caltanissetta/provincia000.htm

Il nucleo principale del castello, in questi disegni, è costituito da una costruzione a due piani, con due torri a pianta quadra e due a pianta semicircolare. Al castello si accedeva attraverso un ingresso posto sulla cortina settentrionale e che apriva su un vasto cortile interno. In questo cortile si sviluppava una scala d’accesso ai livelli superiori. Quando furono aggiunti i magazzini venne realizzata una grande apertura sul prospetto settentrionale che immetteva sul corso principale.

Oggi restano dell’antico castello i magazzini con grandi granai interrati che sono stati restaurati in tempi moderni.
Parti delle torri e delle cortine murarie sono state inglobate in edifici di epoca successiva.

Proprietà attuale : Comune
Uso attuale: i magazzini ducali vengono utilizzati per attività culturali.


https://www.tripadvisor.it/ShowUserReviews-g1096054-d6698298-r208835140-Palazzo_Ducale-Gela_Province_of_Caltanissetta_Sicily.html


http://www.gelabeniculturali.it/Piana%20del%201600.jpg


TERRANOVA – LE MURA DI FEDERICO II DI SVEVIA
Rimane ben poco delle antiche mura  che sembrano quasi nascosti confondendosi con le costruzioni successive. Gela ha una patrimonio archeologico e storico notevole e il suo Museo Archeologico è uno dei più importanti d’Italia per i reperti custoditi.

Con il cessare della minaccia barbaresca nel Mediterraneo, la solida e spessa cinta muraria medievale della città, a cominciare dal Settecento, incominciò ad essere smantellata dalla popolazione per ricavare materiale da costruzione. Si narra che furono oltre 150 le usurpazioni sulla cinta muraria.
L’antica cinta si potrebbe dividere in due sezioni. Il primo perimetro è compreso tra Piazza Calvario e Via Porta Vittoria ad est e via Giacomo Navarra Bresmes ad ovest. Si tratta di un area di circa duecentomila metri quadrati (20 Ettari).
Il secondo perimetro, con circa la stessa superficie, giunge sino a Via Matteotti.
Le mura erano munite di quattro porte e di una postierla:
-          Porta Penestrina o Porta Vittoria, ad est, che fu demolita nel 1878;
-          Porta Caltagirone, a nord, che fu diroccata nel 1859;
-          Porta Licata o Porta del Salvatore, ad ovest, abbattuta nel 1860;
-          Porta Marina, a sud, demolita negli anni Sessanta.
La Postierla denominata “Pertugio della Graticola” (“u purtusu”), odierna Via Istria, fu eliminata nel 1892.
Nelle immediate vicinanze di Porta Marina, durante il restauro dell’attiguo Bastione, venne alla luce un ‘altra porta. Una porta più antica con arco a sesto acuto e risalente alla fondazione della città.
Porta Vittoria e Porta Licata si trovavano sulla direttrice dell’attuale Corso Vittorio Emanuele mentre Porta Marina risultava non in linea, sfalsata, rispetto a Porta Caltagirone.
In origine la cerchia muraria era divisa, lungo l’attuale via Giacomo Navarra Bresmes, in due parti da un muro trasversale che separava la “Terra Vecchia” (ad ovest) dalla “Terra Nuova”. Su questo muro alla fine del XVI secolo si aprì la “Porta de’ Carri”.


Della Porta Marina rimangono solamente i muri laterali con relativi imposte e piedritti. Negli anni Sessanta subì una parziale demolizione. I conci degli archi furono numerati e conservati per essere successivamente ricollocati … ma ciò non avvenne perchè si persero.
Adiacente alla Porta Marina un torrione quadrangolare, risalente alla seconda metà del XVII secolo, caratterizzato dalla presenza di un elegante cornicione. Un cornicione costituito da grossi ed eleganti cantonali in pietra arenaria e da pietre informi che costituiscono il resto della costruzione.


Porta Marina una Volta…

Il Bastione adiacente a Porta Marina


I conci di Porta Marina, numerati e poi scomparsi….


Gli orti sotto Porta Marina
http://www.gelacittadimare.it/cartoline1.html

Porta Marina – oggi..


Porta Marina – Il Bastione…. Oggi

Partendo da Porta Marina, che è posta a sud di Via Marconi e percorrendo verso est sulla Via Mediterraneo, s’incontra un primo tratto delle mura di cinta e un imponente torre, dalla pianta semisferica, risalente probabilmente al XIV secolo. La parte basale del muro è formata da diversi file di blocchi regolari di pietra arenaria mentre la torre è formata da pietre informi di diverso taglio o misura. Le case sono costruite nello spessore delle stesse mura di cinta.



Dopo circa trenta metri s’incontra un'altra torre, sempre di pianta semisferica che, purtroppo, è inclusa quasi totalmente nelle costruzioni successive. Procedendo s’intuisce che la linea originaria delle mura sia spostata di un paio di metri verso l’interno del prospetto degli edifici che si susseguono.
In una rientranza si nota una caratteristica scala ripida a diverse rampe. Una scala che da tempi memorabili è adoperata come piccola scorciatoia che permette di raggiungere la sovrastante Via Cocchiara.


Giunti al termine di Via Mediterraneo, prima di iniziare la salita verso Piazza Calvario. Si osserva una torre angolare risalente probabilmente al XIII secolo che individua il limite di sud-est della cinta muraria medievale.




Dopo aver percorso la salita si giunge in Piazza Calvario.

Piazza Calvario

Di fronte alle Croci si possono osservare i resti delle mura di cinta del XIII secolo e che furono ristrutturati nelle poche successive. Resti che sono da attribuire al castello di Federico II. Del castello rimane solo una delle quattro torri angolari, quella di sud-est. I resti di questa torre, due finestre con arco acuto e strombature e in mezzo un apertura a doppio arco, si possono osservare entrando nei locali degli ex granai del Palazzo Ducale. La famiglia Pignatelli Aragona Cortes, proprietaria del castello, nel Settecento  fece dei lavori per trasformare il complesso difensivo in magazzini per derrate alimentari.

<a href="https://www.tripadvisor.it/LocationPhotoDirectLink-g1096054-d6698298-i100385101-Palazzo_Ducale-Gela_Province_of_Caltanissetta_Sicily.html#100385101"><img alt="" src="https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/05/fb/c1/ed/palazzo-ducale.jpg"/></a><br/>Questa foto di Palazzo Ducale è offerta da TripAdvisor.



Il cortile del Palazzo Ducale  fu interessato da una serie di scavi archeologici che portarono alla luce interessanti strutture della Gela Greca e Medievale.

La zona del Calvario, in seguito agli scavi operati da Paolo Orsi e successivamente da Orlandini e
Adamesteanu, è considerata l’area sacra dell’antica città greca. Furono portati alla luce dei resti
di sacelli, decorazioni fittili e terrecotte architettoniche. Nel cortile del castello furono rinvenuti materiali e
strutture del periodo medievale, alcune cisterne ed un muro largo 2 m  e lungo 25 m. Nella parte settentrione, dello stesso cortile, furono identificate due fasi riferibili ai periodi arcaico e classico. I rinvenimenti del periodo arcaico, due  muri di un edificio con zoccoli in pietrame misto a ciottoli di fiume, un phitos e molti frammenti di ceramica, si
fanno risalire al VII – VI secolo a.C. Rinvenimenti forse da collegare al periodo di fondazione della città da parte
dei coloni di Rodi e di Creata condotti rispettivamente da Antifemo e da Entimo. Una fondazione che avvenne 45 anni dopo la fondazione di Siracusa. Al periodo classico si attribuiscono diversi frammenti di antefisse sileniche e gorgoniche, oltre ad un tratto di strada costruita con ciottoli di fiume, larga 2 m e con orientamento nord-sud.


Piazza Calvario con la torre e il muro dei magazzini del Castello

la Torre e i magazzini del castello







Scendendo verso Via Porta Vittoria, dopo aver superato l’incrocio col Corso, ci dovremmo trovare in corrispondenza delle linee est e nord delle mura. Della prima linea rimangono solo pochissime tracce mentre nella seconda linea sono ancora presenti una scalinata e i resti di due torri, distanti tra loro circa centro metri. Continuando verso Ovest si arriva all’ex Mercato, oggi Piazza Enrico Mattei,  all’incrocio con Via Giacomo Navarra Bresmes, nei pressi del luogo dove fino al 1859 esisteva Porta Caltagirone.



Superato l’incrocio si passa sulla Via Verga dove insiste la seconda parte della cinta muraria che fu ricostruita nella seconda metà del 1500. Di questa cinta rimane qualcosa nei muri dell’ex chiesa e convento di Santa Maria di Gesù e dell’ex Carcere mandamentale, ubicato all’angolo delle vie Verga e Matteotti (già Via Bastione). Su via Matteotti si snoda la parte ovest delle mura di cinta. Sono presenti quattro grandi arcate, una torre di pietra e gesso e una serie di contrafforti che arrivano fino all’incrocio di Corso Vittorio Emanuele. Superato tale incrocio si scende fino al Bastione, o meglio quel che rimane di esso e continuando sulla Via Istria inizia il lato sud delle mura. In questo tratto di mura le uniche vestigia sono riferibili ad una serie di contrafforti e ad una torre quadrangolare. Torre posta nelle immediate vicinanze dell’imbocco di via Filippo Morello, cioè in quella zona dove anticamente sorgeva la Postierla della Graticola.


l'ex macello

i contrafforti delle mura



foto dal sito:



Come riporta il sito, http://www.gelabeniculturali.it/PORTA%20MARINA.htm, si sono verificate tante barbarie al patrimonio cittadino forse perché legate ad un concetto sbagliato di antichità perché i resti archeologici si sono ben protetti e anche valorizzati.
La chiesa rinascimentale di San Antonio, la trecentesca chiesa di San Giacomo e quelle del Settecento di Santa Lucia, San Nicola di Bari, numerosi basolati antichi e i vicoli del centro spariti, palazzi del centro storico, e come abbiamo visto anche le antiche mura sono svaniti nel nulla.
Porta Marina e l’adiacente Bastione corsero il rischio di sparire, di essere diroccati come era avvenuto qualche anni prima con il convento cinquecentesco dei PP Conventuali abbattuto su volere di Salvatore Aldisio sotto l’obiettivo di un” rinascimento architettonico della città”
Se la Porta non fu abbattuta lo si deve a Padre Luigi Aliotta grande cultore di storia patria.
Anche la casa di Antonio Scibona, primo contestatore delle istituzioni, fu salvata. Lo stesso Scibona, insieme all’anziana madre, dopo aver ricevuto lo sfratto dal Comune, prese il letto e lo sistemò a ridosso dell’ingresso sud della Chiesa Madre. Un avvenimento che suscitò tanto scalpore nell’opinione pubblica a tal punto che il sindaco dell’epoca fu costretto a revocare quel provvedimento di sfratto. I due rimasero nella loro casa fino alla morte.
Della Porta Marina, come abbiamo visto, sono spariti gli antichi conci.. andati perduti… dove ?
L’usura del tempo e delle piogge hanno logorato la consistenza dell’unica parte rimasta di Porta Marina a tal punto che nell’Ottobre 2000 ci fu un rovinoso crollo per fortuna senza vittime o feriti.




I DUCHI  DI TERRANOVA
I Tagliavia erano probabilmente dei commercianti di Amalfi. Secondo la leggenda il loro nome deriverebbe dall’impresa di un “Manfredo di Svevia”  che prese i nome di “Tagliavia” per aver sbarrato la strada all’esercito nemico.
Il primo Tagliavia a scendere in Sicilia fu Guido, al servizio dell’imperatore Enrico IV di Svevia (1165 – 1197). Durante le reggenza di Federico II di Svevia, ebbero il feudo di Castelvetrano (18 gennaio 1199)
 Importante nella casata fu Bartolomeo Tagliavia a cui si deve probabilmente il sorgere della fortuna famigliare. Bartolomeo visse alla corte di Palermo perché la madre era dama di compagnia di Costanza di Hoenstaufen, figlia di Manfredi re di Sicilia, e futura sposa del re Pietro d’Aragona.
I Tagliavia mantennero e forse incrementarono un elevata posizione sociale e politica sotto gli Angioini e con Carlo I D’Angiò. All’arrivo degli Aragona, che riuscirono a scacciare gli Angioni, Bartolomeo ottenne delle importanti cariche  a differenza del fratello maggiore Nicolò. Pietro III d’Aragona gli affidò l’organizzazione delle difese della Sicilia che furono concentrate nella regione di Randazzo. La regina Costanza gli affidò la gestione della reggia palermitana con l’incarico di “maggiordomo di Palazzo”. Nel 1288 fu anche nominato tesoriere della “curia regis” e castellano del “castello a mare di Palermo”. Presiedeva alla gestione delle fortificazioni a mare della città dove si trovavano importanti depositi di munizioni e materiale bellico oltre alle prigioni.
Con Federico III d’Aragona, nominato re della Sicilia il 25 marzo 1296 nella Cattedrale di Palermo Bartolomeo fu nominato cavaliere con altri trecento uomini che avevano appoggiato il nuovo re nella disputa contro il fratello Giacomo II e Carlo II d’Angiò. La nomina si svolse sempre nella Cattedrale durante l’incoronazione.
Nell’agosto del 1296 Bartolomeo ottenne a Rossano la conferma del feudo della Gazzella (Calabria) che era stato concesso in precedenza al nonno materno e il 18 gennaio 1299 la baronia di Castelvetrano.
Numerose le unioni che nel corso degli anni videro i Tagliavia imparentarsi con le più nobili famigile.
 Nel 1491 Giovan Vincenzo Tagliavia (1° Conte di Castelvetrano e barone di Avola) si sposò con Beatrice d’Aragona e Cruyllas, baronessa di Terranova.
Da questo matrimonio si ha l’unione delle due casate. Gli Aragona erano infatti baroni di Avola e Terranova ed avevano importanti cariche nel Regno come gran Contestabili e Gran Ammiragli.
Il figlio Gasparo(e) Federico d’Aragona, barone di Avola e Terranova, si sposò con Chiara d’Aragona. Dal matrimonio i seguenti figli:
Carlo d’Aragona, marchese d’Avola;
Beatrice d’Aragona e Cruyllas
Il fratello di Beatrice, Carlo d’Aragona (morto nel 1460), non aveva avuto figli maschi e nel 1512 la sua unica figlia ed erede, Antonia contessa d’Aragona, (marchesa di Avola e Terranova), sposò all’età di 14 anni il cugino Francesco Tagliavia. La morte prematura del giovane sposo, avvenuta nel 1515 (dopo tre anni di matrimonio) costrinse la giovane donna ad intraprendere la via di un secondo matrimonio. Nel 1516 sposò il fratello minore del suo ex marito, Giovanni Tagliavia (1505 – 1548). Un matrimonio che si celebrò dopo aver ottenuto la dispensa papale, Giovanni aveva dodici anni, e con l’accordo che i figli avrebbero portato per primo il cognome Aragona.
 Con il matrimonio Giovanni dispone di un immenso patrimonio economico e del prestigio della casata Aragona. Fedele alla corona spagnola si distinse per varie imprese. Nel 1530  mandò la sua cavalleria a Napoli in appoggio dell’imperatore Carlo V.  Nel 1535 allestì due navi da guerra e una da rifornimento che si unirono alla flotta spagnola per la spedizione di Tunisi.  Un impresa coronata dal successo con la conquista della città, la sconfitta dell’ammiraglio turco Khair-ad-Din e  la cancellazione del tratto di alleanza nel Mediterraneo tra Francesco I di Francia e il Sultano ottomano.
Per riconoscenza l’imperatore Carlo V investì nel 1539 e nel 1544-45, Giovanni Tagliavia della carica importante di Presidente del Regno.

Giovanni Tagliavia e Antonia d’Aragona ebbero un figlio, Carlo d’Aragona Tagliavia (1530 -1600) che fu quindi il primo esponente a portare i due cognomi. Carlo  aveva seguito spesso il padre Giovanni nelle campagne militari e nel 1542 Carlo V lo nominò marchese di Avola e cinque anni dopo, consigliere del Regno. Tra le spedizioni militari partecipò anche alla nuova spedizione di Carlo V contro Algeri. Una spedizione che finì tragicamente, dato che una terribile tempesta distrusse ben 150 navi della flotta imperiale e che segnerà il fallimento nel dicembre del 1541.
Nel 1561 Filippo II di Spagna concederà a Carlo d’Aragona Tagliavia anche il titolo di Duca di Terranova con il quale venne spesso indicato nella storiografia e nel 1564 anche quello di Principe di Castelvetrano. Anche lui ottenne numerosi incarichi e titoli tra cui oltre a quello di Presidente del Regno per diversi anni, anche quello di Vicerè di Catalogna (1580), governatore del ducato di Milano (1582). Ottenne anche il feudo di Gela e il titolo di Conte di Borgetto e, sempre da Filippo II di Spagna, capitano di Giustizia in Palermo nel 1545-46, deputato del Regno, grande di Spagna, cavaliere dell’Ordine del Topson d’Oro nel 1585. A Madrid diventò membro del Consiglio di Stato e Guerra e presidente del Consiglio d’Italia.
Don Carlo, Duca di Terranova, fu una figura importante nella diplomazia del XVI secolo similare a quella dei dogi di Venezia e a quella dei papi del tempo. Come Capitano di Giustizia di Palermo ordinò la raccolta delle “Prammatiche del Regno e dei Capitoli”. Furono stampate a Venezia nel 1574 e consentirono la stesura di un Primo Codice delle Leggi del Regno Siciliano. Fu ricordato dai palermitani con la coniazione di medaglie in cui era riportata la dicitura “magnus siculus”.



http://www.chiesasandomenico.it/storia/gli-aragona-tagliavia/

Don Carlo e Donna Antonia ebbero 13 figli, otto maschi e cinque femmine.  Sfruttò le leggi in vigore e la sua posizione giuridica di cittadino parlemitano utilizzando la norma, che esentava dal pagamento dei dazi civici dall’Università di Palermo, per chi aveva almeno 12 figli.
Il figlio maggiore, Giovanni II Aragona Tagliavia si distinse nella carriera militare, partecipò tra l’altro alla battaglia di Lepanto nel 1571, e contrastò efficacemenete lo sbarco di pirati mori e turchi nella zona di Avola. I suoi fratelli Simone Aragona Tagliavia che completò gli studi in Spagna all’Università Complutense e venne eletto cardinale nel 1583 da Gregorio XIII ed Ottavio anche lui un uomo importante d’armi
Il titolo di secondo Duca di Terranova e secondo principe di Castelvetrano, passò a Carlo, figlio di Giovanni  e di Maria de Marinis, marchesa di Favara. Fu deputato del Regno nel 1599  e morì nel 1604.
Carlo Tagliavia d’Aragona sposò Giovanna Pignatelli e Colonna, marchesa della Favara. Dal loro matrimonio: Giovanni, Diego, Isabella e Margherita.
Giovanni d’Aragona Tagliavia (1585 – 18 gennaio 1624) fu il III Duca di Terranova e III Principe di Castelvetrano, marchese di Avola e di Favara, conte di Borghetto e cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro.


Giovanni sposò nel 1607 Zenobia Gonzaga, figlia di Ferrante II Gonzaga, terzo conte di Guastalla, e di Vittoria Doria cioè la figlia del celebre ammiraglio genovese Andrea Doria. Non ebbero figli e alla morte della moglie, avvenuta nel 1618, si risposò con Giovanna Mendoza (Juana de La Cueva), dama alla corte del re di Spagna (Filippo III). Anche da questo matrimonio non ebbero figli e il titolo di Duca di Terranova passò al fratello Diego.
Diego Tagliavia Aragona (1596 – 1663) fu quindi IV Duca di Terranova e IV principe di Castelvetrano oltre agli altri titoli posseduti dal fratello.


Era fedelissimo al re di Spagna Filippo IV e  fu un personaggio di primo piano nella storia della politica spagnola nella prima metà del 600. Don Diego sposò Estefania (Stefania) Carrillo de Mendoza Cortèz (1595 – 1653)  abiatica (nipote del nonno) del conquistatore spagnolo Hernán Cortés Monroy Pizarro Altamirano e quindi erede di una ricchezza smisurata. (Notizie sul Cortèz e sul suo comportamento nei confronti degli Aztechi, alla fine della ricerca).
Don Diego e Donna Estefania ebbero una sola figlia, Giovanna Tagliava Aragona Cortèz (1619 – 1692).

Collezione Famiglia Pignatelli
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La famiglia si estinse nel XVII secolo con il matrimonio di Giovanna Aragona Tagliavia e Cortes,  principessa di Castelvetrano nel 1654, duchessa di Terranova ed Avola con Ettore Pignatelli, duca di Montelone che assunse in questo modo i cognomi e i titoli della moglie.





Stemma  Famiglia Tagliavia

Stemma Famiglia Aragona





Castelvetrano (Tp) – Fontana della Ninfa
Costruita da Giovanni Tagliavia , III Principe di Castelvetrano, nel 1615 durante la reggenza di Filippo III di Spagna
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Menfi (Ag) – Palazzo Tagliavia Aragona
Nel 1638 Diego Tagliavia Aragona fonda Menfi
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Castelvetrano (Tp) – Chiesa di San Domenico
Mausoleo della Famiglia Tagliavia d’Aragona
La chiesa fu edificata nel 1470 e all’interno presenta pregevolissime opere d’arte
tanto da essere definita “La Cappella Sistina della Sicilia”.


Castelvetrano (Tp) - Chiesa di San Domenico – La Navata del Presbiterio
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Castelvetrano (Tp) – Chiesa di San Domenico
Mausoleo della Famiglia Tagliavia d’Aragona
“L’Albero di Iesse”

Una grandiosa opera in stucco che presenta un tema iconografico presente dall’XI secolo.
Un tema legato alla profezia di Isaia:
“ Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” (Is. 11,1-2).
Sanza la profezia di Isaia, Iesse, discendente di Booz e padre di Davide, sarebbe rimasto uno
punto non chiaro negli agnelli della catena degli antenati di Cristo.
Tertulliano diede un’interpretazione alla profezia di Isaia che fu largamente accolta e mai modificata:
la virga nata da Iesse era la Vergine e il suo fiore il Cristo.
Si tratta di un vero e proprio albero genealogico che finisce con la Beata Vergine Maria,
rappresentata al sommo dell’albero, coronata da angeli, e con il Bambino sul ginocchio sinistro.
Nel mistero dell’Incarnazione Jesse è raffigurato sdraiato e con il braccio sinistro sorregge
il tronco ramificato di un albero sui cui rami sono presenti i dodici re della tribù di Giuda:
-          Sui rami inferiori sono presenti Davide ed Asa a sinistra; Salomone e Roboamo a destra. Davide è riconoscibile per l’arpa mentre le altre figure sono rappresentate con in mano uno scettro e un cartiglio che reca il proprio nome;
-          Sui rami medi sono raffigurati Iosafat e Ioram a sinistra, Ozia e Ioatam a destra;
-          Sui rami superiori Achaz a sinistra, Manasse a destra;
-          Sulla sommità chiude la chioma la figura di Maria e Gesù.
Sotto la figura di Jesse si trovano due iscrizioni:
-          "VIRGA IESSE FLORUIT – VIRGO DEUM ET NOMINE GENUIT – PACEM DEUS REDDITI".
-          "ET EGREDIETUR VIRGA DE RADICE IESSE ET FLOS E RADICE EIUS ASCENDETE ET REQUIESCET SUPER EUM SPIRITUS DOMINI ET PERCUTIET TERRAM VIRGA ORIS"
Iscrizioni tratte dall’Antico Estamento, Isaia, Capitolo XI





I Pignatelli erano una nobile famiglia napoletana, pugliese, siciliana e calabrese con una ramo spagnolo un tempo fra le più importanti nel panorama araldico. Un papa, cardinali, vicerè di Sicilia e anche un Santo, Giuseppe Pignatelli di Fuentes (1737 -1811) che fu canonizzato nel 1954 da Pio XII. La famiglia nel tempo unì la propria genealogia con quella di altre tre grandi famiglie europee. Alla fine portarono tutti e quattro i cognomi: Pignatelli, Aragona, Tagliavia, Cortès.
Stemma Famiglia Pignatelli

https://www.maremagnum.com/stampe/pignatelli-aragona-cortes-dei-duchi-di-monteleone-e/130410930

Alcuni storici attribuirono alla famiglia un origine longobarda e le prime testimonianze sulla famiglia risalirebbero al 1102 con Lucio Pignatiello, Contestabile di Napoli.
L’origine del Cognome è collegato al comportamento di un certo Landolfo, ufficiale del re Ruggero che nei combattimenti al palazzo imperiale di Costantinopoli, dopo un ennesimo assalto, tornò con un bottino costituito da tre pignatte o tre grandi vasi d’argento.
Nel XV secolo la famiglia si divise in due rami:
-          Una linea proveniente da Stefano Pignatelli diede origine ai rami dei marchesi di Casalnovo, dei principi di Monteroduni e della Leonessa, dei duchi di Montecalvo;
-          Un'altra linea discendente da Palamede, diede origine ai seguenti rami:
a)      Principi Pignatelli Aragona Tagliavia  Cortes, duchi di Terranova, principi di Noia;
b)      Pignatelli principi di Strongoli;
c)      Principi Pignatelli Aragona, linea di Fuentes;
d)     Principi Pignatelli di Cerchiara.

Il ramo che interessa la storia di Terranova è “Pignatelli, Aragona, Tagliavia, Cortes”
Ettore IV (1620 – 1674), IV principe di Nola e conte di Borrello, primogenito del V Duca di Monteleone, fu un personaggio di grandissima importanza politica per le sue cariche di vicerè del Regno d’Aragona e Grande del Regno di Castiglia, ambasciatore spagnolo dell’Imperatore nello Stato Pontificio. Nel 1649 ebbe l’incarico di accompagnare l’arciduchessa Marianna d’Asburgo alle nozze con il re Filippo IV di Spagna.

Fu proprio con Ettore IV che avvenne l’unione con gli Aragona Tagliavia. Infatti, come già detto, sposò il 16 giugno 1637, Donna Giovanna Aragona Tagliavia Cortès, principessa di Castelvetrano e V duchessa di Terranova, marchesa d’Avola e marchesa della Valle d’Oaxaca (Messico). Ettore diventò uno degli uomini più potenti d’Italia e tra i più influenti d’Europa.

Ettore IV Pignatelli nacque a Senise (Basilicata) il 4 giugno 1620, Figlio di Fabrizio, principe di Noia e marchese di Cerchiara, e di Gerolama Pignatelli, duchessa di Monteleone.
Gerolama era stata designata dal padre Ettore come erede del patrimonio familiare  perché “maritata all’interno del lignaggio” a danno della primogenita Anna che si era sposata contro la volontà del padre con Francesco Maria Carafa.
Fabrizio nel 1625 non diede al figlio Ettore i beni che appartenevano al suo casato e che erano costituiti da una vasta e compatta area della Calabria “Ulteriore”. Gli assegnò invece i possedimenti, decisamente più importanti, costituiti dal Ducato di Monteleone, della Contea di Borello, delle baronie di Mesiano e Rosarno, delle terre di Filocastro e di Feroleto.
Ettore ottenne dalla madre, Gerolama Pignatelli, il “grandato di Spagna” in quanto ereditario della famiglia, e altri titoli. Utilizzò quelli di duca di Borrello e di marchese di Caronia e, solo dopo la morte del padre, anche quello di Monteleone che adoperò per tutta la vita.
Dopo il matrimonio con la ricchissima ereditiera Giovanna Tagliavia d’Aragona, figlia di Diego, principe di Castelvetrano e duca di Terranova, e di Stefania Carrillo Mendoza Cortès, discendente del conquistatore del Messico e intestataria di quel Marchesato, concesso dall’imperatore Carlo V al suo antenato, e  corrispondente all’ampio e ricco territorio della Valle di Oaxaca.
I “capitoli matrimoniali”  furono stipulati il 18 ottobre 1638 dal notaio Pietro Graffeo di Palermo. Oltre a fissare in “Aragona Pignatelli Cortès” il nome di famiglia, si indicò  l’enorme patrimonio economico che nel tempo sarebbe entrato in possesso della coppia e costituito dai possedimenti:
-          Della casa di Monteleone;
-          Dei principi di Noia, ubicati tra Basilicata e Calabria;
-          Del Marchesato delle Indie Occidentali.
I su citati possedimenti erano di pertinenza di Ettore Pignatelli mentre Giovanna Tagliavia Aragona avrebbe portato in dote i possedimenti:
-          Posti tra la Val di Noto e la Val di Mazara;
-          Il principato di Castelvetrano;
-          Il Ducato di Terranova;
-          Il marchesato di Avola;
-          Il marchesato di Favara;
-          La Contea di Borgetto.
Il matrimonio fu officiato a Palermo dal cardinale, arcivescovo di Palermo e viceré di Sicilia, Giannettino Doria il 16 giugno1639.
Ci furono dei fastosi festeggiamenti con grande partecipazione di popolo e con una massiccia partecipazione dell’aristocrazia siciliana. In riferimenti agli impegni assunti nella sottoscrizione del “capitolo matrimoniale”, la coppia rimase a vivere presso i duchi di Terranova e nell’isola misero al mondo i loro figli. I Pignatelli erano già inseriti nell’élite spagnola, vicini alla corona reale spagnola e continuarono a sostenere la “Monarquìa” anche durante la grave crisi politica del primo Seicento. Crisi politica  e sociale causata dalla insistente domanda di Madrid sulla fornitura di uomini e denaro per sostenere gli eventi bellici che perduravano ormai da tanto tempo.
Il duca di Monteleone aveva già in passato reclutato a proprio spese fanti e cavalieri da inviare sui campi di battaglia lombardi e tedeschi. All’inizio degli anni Trenta fu incaricato di provvedere ad un nuovo arruolamento militare, insieme al conte di Conversano e al marchese del Vasto. Una richiesta di Madrid legata ai vincoli di autorità e deferenza che legavano i su citati nobili alle popolazioni soprattutto calabresi.

Il duca Fabrizio e il marchese Ettore si distinsero nella repressione della rivolta antispagnola di metà secolo come risulta dai diari e resoconti dell’epoca. In Sicilia Ettore si distinse per aver sedato con grande tempestività e determinazione la rivolta che scoppiò a Castelvetrano. Un successo legato al prezioso aiuto dei suoi vassalli che gli erano fedeli. I rivoltosi furono poi severamente puniti.
Pignatelli continuò a vivere in Sicilia fruendo di privilegi ed immunità che erano legati al possesso della cittadinanza siciliana e godendo di grande prestigio e visibilità sulla scena pubblica palermitana. La sua carriera fu anche favorita dal suocero, illustre esponente dell’antico baronaggio.  Pignatelli fu quindi un forte sostenitore del suocero e di conseguenza dello schieramento filonobiliare presente nel parlamento siciliano. Fu eletto ripetutamente membro della Deputazione del Regno, ovvero la massima istituzione rappresentativa della Nazione Siciliana ed entrò a fare parte del Consiglio di Stato di Sicilia.
Quando Diego Tagliavia trasmise alla figlia tutti i suoi beni e titoli, riservandosi solo quello di Duca di Terranova, Pignatelli subentrò al suocero negli uffici di Gran Almirante e Gran Contestabile del Regno di Sicilia (titoli ereditari della famiglia). A questi titoli si aggiunse nel 1666 la carica di gran camerario del Regno di Napoli. Ottenne anche il titolo di principe del Sacro Romano Impero che nel 1648 fu concesso da Ferdinando III al duca di Terranova con “diritto di trasmissione ai discendenti di ambo i sessi”.
Quando Diego Tagliavia si recò in Spagna, come capitano generale dell’esercito siciliano, per prestare aiuto militare a Filippo IV, impegnato nella sua perenne lotta contro i nemici interni ed esterni alla Corona, il Pignatelli fu nominato maestro di campo e seguì il suocero con tutta la sua famiglia. Riuscì con grande merito ad inserirsi nella vita politica e sociale spagnola a tal punto da diventare gentiluomo di camera del re. Alcuni suoi figli conclusero prestigiosi matrimoni con esponenti dell’alta aristocrazia spagnola. Partecipò al forte processo d’integrazione delle aristocrazie dei diversi “Reinos” che aveva il suo punto di forza proprio nel ricorso a pratiche endogamiche.
Ettore IV Pignatelli e Giovanna vissero a Palermo nel Palazzo Monteleone, oggi scomparso, di Piazza San Domenico
L’erede Andrea Fabrizio sposò nel 1665 Teresa Pimentel e Benavides, figlia del conte di Benavente.
Le figlie Stefania e Maria Anna sposarono rispettivamente, Fernando de Zuniga, duca di Penaranda e Jaime da Silva e Fernandez de Hìjar, duca di Hìjar.
Nel 1667-68 Pignatelli diventò viceré d’Aragona. Una carica che aveva già ricoperto suo padre e che nella seconda metà del XVII secolo era sempre stata affidata a personaggi nobili italiani, tutti membri dell’aristocrazia sociale e politica che gravitavano attorno alla “Monarquìa. Personaggi spesso investiti del rango di grandi di Spagna e anche decorati del Toson d’Oro. Un’onorificenza che i  due Pignatelli, padre e figlio, avevano ottenuto nel 1659 e nel 1670.
Non tornò più in Sicilia perché morì a Madrid l’8 marzo 1674 e le sue spoglie furono portate ad Alcalà per essere deposte nella chiesa delle Cappuccine.


Ettore Pignatelli – IV Principe di Noia – V Duca di Monteleone –
(Senise, 17 giugno 1620 – Madrid, 8 marzo 1674)
Figlio di : Fabrizio Pignatelli – III Principe di Noia
Girolama Pignatelli
Sposato con : Giavanna Tagliavia d’Aragona Cortez
                            Principessa di Castelvetrano – V Duchessa di Terranova – Marchesa di Oaxaca (Messico) e di Avola, ecc

Figli/e   
-          Andrea Fabrizio Pignatelli d’Aragona ( VI Duca di Monteleone – VI Duca di Terranova,ecc.)
-          Geronima Pignatelli  Aragona Tagliavia (Palermo, 5 marzo 1644 – Napoli, 16 novembre 1711) – Sposata con : Francesco Marino Caracciolo, IV Principe di Avellino -  figli/e: Francesca Caracciolo – Marino Francesco, V Principe di Avellino; Giovanna Caracciolo.

-          Giovanna Pignatelli        “                “( nata 1645 circa - ?); Sposata con : Francesco IV Rodrigo Ventimiglia, V Principe di Castelbuono; Figli/e: Stefania Pignatelli Ventimiglia, Giovanna Ventimiglia, II Signora di Nissoria; Felice Ventimiglia Pignatelli Aragona.

-          Marianna Pignatelli       “                 “ (nata tra il 1625 e il 1671 - ?); Sposata con: Jaime Francisco de Silva y Fernandez de Hijar, dunque (duca) de Hijar e VIII conde (conte) de Belchite. – figli/e: Dona Juana Petronilla Fernandez de Hijar, VI duquesa de Hijar; Isabel Margarita de Silva e Hijar, dama de la Reyna.



Marianna Pignatelli
Juan Baptista Martinez del Mazo (1660)
Real Academia de Bellas Artes de San Fernando - Madrid

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-          Estefania  de Aragon y Pignatelli (nata tra il 1625 e il 1667); Sposata con: Fernando de Zuniga Avellaneda y Enriquez de Acevedo, IX conde de Miranda e V duque de Penaranda  - figli/e: Ana de Zuniga Avellaneda y Pignatelli, VIII Marquesa de la Baneza.

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Andrea Fabrizio Pignatelli d’Aragona
(VIII Marchese di Oaxaca, VI Duca di Monteleone, VI duca di Terranova, Grande di Spagna, Gran Cimabellano alla Corte di Napoli)
(Castelvetrano – Tp, 25 gennaio 1640; Girona, 27 luglio 1677)
Sposato con: Teresa Antonia Pimentel y Benavides, figlia  di D. Antonio Alfonso de Oruinones, XI conte di Benevento e di Donna Elisabetta Francesca di Benavides, IIImarchesa di Javalquinto e di Villa Reale.

Figli/e
-          Giovanna Pignatelli de Aragon, VII Duchessa di Terranova;
-          Rosalia Maria de Aragon y Pignatelli (15 luglio 1672; 10 settembre 1736) – Sposata con: Inigo de La Cruz Manrique de Lara, XI conde di Aguilar; figli/e: Maria Nicolasa Valbanera Manrique de Avellano

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Giovanna Pignatelli de Aragon Pimentel Carillo de Mendoza Cortés
VII Duchessa di Terranova
E
VII duchessa di Monteleone, Principessa di Castelvetrano, Marchesa di Avola e Favara; IX marchesa della Valle di Oaxaca (Messico); Contessa di Borgetto, Baronessa di: Birribaida, di Belice, di Pietra Belice, di sant’Angelo di Muxiario, di Baccarasi, di Casteltermini e Guastanella; Signora di Montedoro, Grande di Spagna




(Madrid, 6 novembre 1666; Madrid22 giugno 1723) –
Sposata con: Nicolò Pignatelli,  dei principi di Noia e Cerchiara, VIII duca di Monteleone, Cavaliere del Teson d’Oro, Vice Re di Sardegna e di sicilia
Figli/e:
-          Maria Thersia de Aragon y Pignatelli ( Mdrid, 1 dicembre 1683; 2 Agosto 1728)- Sposata con: Jean Philippe Eugéne de Mérode, marquis de Westerloo – Figli/e: Isabella Johanna de Mérode, contessa de Mérode

-          Stefania Pignatelli Aragona;(Madrid, 1 dicembre 1683; 2 agosto 1728) – Sposata con: Giuseppe Sanseverino, X principe di Bisignano – figli/e: Luigi Sanseverino, XI principe di Bisignano; Giovanna Sanseverino

-          Diego Pignatelli d’Aragona Cortez, VII principe di Noia e VIII Duca di Monteleone e VIII duca di Terranova


-          Fernando Pignatelli, VII principe di Strongoli;(Sardegna, 13 marzo 1689; Napoli, 22 ottobre 1767) – sposato con: Lucrezia Pignatelli, IV Principessa di Strongoli; Figli/e: Salvatore Pignatelli, V Principe di Strongoli; Francesco Pignatelli, Vincenzo Pignatelli
-          José Pignatelli de Aragon;(nascita stimata tra il 1671 – 1719).
-          Rosalia Pignatelli de Aragon;
-          Fabricio Pignatelli de Aragon;
-          Maria Rosa Pignatelli Aragona Cortez;
-          Caterina Pignatelli;
-          Antonio Pignatelli de Aragon
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Diego Pignatelli d’Aragona Cortez,
(Madrid, 21 gennaio 1687; Palermo, 28 novembre 1750),
VII principe di Noia e VIII Duca di Monteleone e VIII duca di Terranova
E
       Principe di Castelvetrano, Marchese di Avola e Favara; X marchese della Valle di Oaxaca (Messico); Conte di Borgetto, Barone di: Birribaida, di Belice, di Pietra Belice, di Sant’Angelo di Muxiario, di Baccarasi, di Casteltermini e Guastanella; Signore di Montedoro, Grande Ammiraglio, Grande di Spagna, Toson d’Oro

 Sposato con: Margherita Pignatelli, V Duchessa di Bellosguardo e Anna Maria Caracciolo;
figli/e:
-          Fabrizio Matteo Pignatelli d’Aragona e Cortez, VIII principe di Noia e IX duca di Monteleone e IX Duca di Terranova;
-          Francesca Pignatelli Tagliavia d’Aragona; (29 giugno 1721; 28 maggio 1788); sposata con Girolamo Pignatelli, III Principe di Marsiconovo – figli/e: Giovanni Battista Pignatelli d’Aragona Cortez, IV Principe di Marsiconovo;
-          Maria Anna Pignatelli Tagliavia d’Aragona Cortez; (1703/1753)- sposata con: Salvatore Branciforte, IX principe di Butera – figli/e:  Caterina Branciforte e Pignatelli; Ercole Michele Branciforte e Pignatelli, Principe di Butera e Radali; Teresa Branciforte Pignatelli;
-          Stefania Pignatelli d’Aragona Cortez.(16 febbraio 1732; 9 aprile 1804)- sposata con: Girolamo Francesco Caracciolo, XI duca di Martina – figli/e: Maria Isabella Caracciolo.

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Fabrizio Matteo Pignatelli d’Aragona e Cortez,
(24 febbraio 1718 – 28 settembre 1763)
VIII principe di Noia e IX duca di Monteleone e IX Duca di Terranova

E
"Principe di Castelvetrano", "Marchese di Ávola e Favara", "XI Marqués del Valle de Oaxaca", "Conte di Borghetto", "Barone di Birribaida", "di Belice", "di Petra Belice", "di Sant'Angelo di Muxiario", "di Baccarasi", "di Casteltermini e di Guastanella", "Signore di Montedoro", Grande di Spagna

– Sposato con: Costanza dè Medici dei Principi di Ottajano
Figli/e
-          Ettore Pignatelli, IX principe di Noia, X duca di Monteleone e X Duca di Terranova;
-          Margherita Pignatelli d’Aragona Cortez; ( 1723-1771) – sposata con : Riccardo Carafa, XIV duca d’Andria – figli/e: Don Francesco Carafa, XIV duca d’Andria, Giuseppe di Sangro; Donna Maria Luisa Carafa.

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Ettore Mattia Pignatelli, d’Aragona, Tagliavia Cortés
(Monteleone, Foggia, 8 settembre 1742; Barra – Napoli, 28 febbraio 1800)
IX principe di Noia, X duca di Monteleone e X Duca di Terranova;
E

"Principe di Castelvetrano", "VII Duca di Bellosguardo", "Marchese di Ávola e Favara", "XII Marqués del Valle de Oaxaca", "Conte di Borghetto", "Barone di Birribaida", "di Belice", "di Petra Belice", "di Sant'Angelo di Muxiario", "di Baccarasi", "di Casteltermini e di Guastanella", Grande di Spagna

Sposato con: Anna Maria Piccolomini d’Aragona, dei duchi di Amalfi, VI principessa di Valle e Maida

Figli/e:
-          Giovanna Pignatelli Tagliavia d’Aragona; (Napoli, 19 Marzo 1769; “6 Febbraio 1821) – Sposata con: Antonio Pignatelli, VIII Principe di Belmonte;
-          Fabrizio Pignatelli d’Aragona Cortés;(Napoli, 12 Febbraio 1773; Napoli, 3 Luglio 1779);
-          Diego Maria Pignatelli d’Aragona Cortés, X principe di Noia, XI duca di Monteleone; XI Duca di Terranova);
-          Margherita Pingatelli d’Aragona Cortés;(8 Agosto 1783; 11 Agosto 1830)- Sposata con: Niccolò Filingeri, VII principe di Cutò – figli/e: Alessandro Filingeri, VIII principe di Cutò;
-          Anna Maria Francisca Pignatelli Tagliavia d’Aragona;(Casale di Barra, 2 Settembre 1784; Palermo, 21 Aprile 1837) – Sposata con: Antonio Lucchese-Palli, VII principe di Campofranco e III duque della Grazia – figli/e: Donna Bianca Lucchesi-Palli; Emanuele Lucchese-Palli, VIII principe di Campofranco e duque della Grazia; Conte Don Ettore Carlo Lucchese-Palli, IV duca della Grazia e IX principe di Campofranco;
-          Costanza Pignatelli d’Aragona Cortés; (11 Novembre 1787; Palermo, 17 Novembre 1830)

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Diego Maria Pignatelli d’Aragona Cortés,
X principe di Noia, XI duca di Monteleone; XI Duca di Terranova);
(Napoli, 12 Gennaio 1774; 14 Gennaio 1818)
Sposato con: Maria Carmela Caracciolo
Figli/e:
-          Giuseppe Pignatelli d’Aragona Cortés, XI principe di Noia, XI duca di Monteleone, X1 Duca di Terranova

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Giuseppe Pignatelli d’Aragona Cortés,
XI principe di Noia, XI duca di Monteleone, XI Duca di Terranova e XIV erede del Marchesato di Oaxaca
E
Principe di Castelvetrano", "IX Duca di Bellosguardo", "Marchese di Ávola e Favara", "XIV Marqués del Valle de Oaxaca", "Conte di Borghetto", "Barone di Birribaida", "di Belice", "di Petra Belice", "di Sant'Angelo di Muxiario", "di Baccarasi", "di Casteltermini e di Guastanella"

(Napoli, 10 Novembre 1795; Palermo, 25 Settembre 1859)
Sposato con: Donna Bianca Lucchese-Palli
Figlie/e:
-          Donna Maria Carmela Pignatelli d’Aragona;(1821; 1889)- sposata con Carlo Avarna, duca di Gualtieri – figli/e: Giuseppe Avarna, duca di Gualtieri;
-          Diego Pignatelli d’Aragona Cortés, XII principe di Noia, XV duca di Monteleone, XI Duca di Terranova;
-          Don Antonio Pignatelli, XIII principe di Noia, XVI duca di Monteleone e XII duca di Terranova

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Diego Pignatelli d’Aragona Cortés,
XII principe di Noia, X duca di Monteleone, X Duca di Terranova
E
“Principe di Castelvetrano”, “X Duca di Bellosguardo”, “Marchese di Ávola e Favara”, “Conte di Borghetto”, “Barone di Birribaida”, “di Belice”, “di Petra Belice”, “di Sant’Angelo di Muxiario”, “di Baccarasi”, “di Casteltermini e di Guastanella”
Nato tra il 1823 – 1880
Sposato nel 1845 con: Giulia Cattaneo di Sannicandro

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Don Antonio Pignatelli,
(1 Aprile 1827 – 3 Giugno 1881)
XIII principe di Noia, XI duca di Monteleone e (XI duca di Terranova ?), Principe di Castellaneta
E
"Principe di Castelvetrano", "XI Duca di Bellosguardo", "Marchese di Ávola e Favara", "Conte di Borghetto", "Barone di Birribaida", "di Belice", "di Petra Belice", "di Sant'Angelo di Muxiario", "di Baccarasi", "di Casteltermini e di Guastanella"
Sposato nel 1859: Marianna Fardella o Falvella

Figli/e:
-          Giuseppe Pignatelli d’Aragona Cortés, XIV principe di Noia, XII duca di Monteleone, XII duca di Terranova;
-          Diego Pignatelli d’Aragona Cortés, Principe del Sacro Romano Impero; ( Palermo, 1 marzo 1862; Napoli, 11 giugno 1930) – Sposò nel 1886 : Donna Rosa Fici  (1869 – 1955), dei duchi di Amalfi, ricevuta il 30/12/1909 nel S.M.O. di Malta, dama di Palazzo di S.M. la Regona d’Italia – figli/e: Principessa Donna Ludovica Pignatelli, Antonio Pignatelli Aragona Cortés;
-          Federico Pignatelli d’Aragona Cortes, (28 Marzo 1864; 21 Luglio 1947) – Principe del Sacro Romano Impero – Sposò nel 1890: Eleonora Lanza Branciforte e, in seconde nozze, Isabella Mastrilli dei duchi di Marigliano – figli/e: Fabbrizio Pignatelli Aragona Cortés, Principe del Sacro Romano Impero.

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Giuseppe Pignatelli d’Aragona Cortés,;
(Palermo, 28 Agosto 1860; Roma, 8 Marzo 1938)
XIV principe di Noia, XII duca di Monteleone, XII duca di Terranova, Principe di Castellaneta e Principe del Sacro Romano Impero
E
"Principe di Castelvetrano", "XII Duca di Bellosguardo", "Marchese di Ávola e Favara", "XV Marqués del Valle de Oaxaca", "Conte di Borghetto", "Barone di Birribaida", "di Belice", "di Petra Belice", "di Sant'Angelo di Muxiario", "di Baccarasi", "di Casteltermini e di Guastanella"

– Sposato con: Rosa de La Gàndara y Plazaola
Figli/e: Antonio Pignatelli Aragona  Cortes, XIII Duca di Terranova,?

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Antonio Pignatelli Aragona  Cortes,
(18 Dicembre 1892; 3 Dicembre 1958)
 XIII Duca di Terranova ?
E
"Principe di Castelvetrano", "XIII Duca di Bellosguardo", "Marchese di Ávola e Favara", "Conte di Borghetto", "Barone di Birribaida", "di Belice", "di Petra Belice", "di Sant'Angelo di Muxiario", "di Baccarasi", "di Casteltermini e di Guastanella"
– sposato con : Beatrice Molvneux – figli/e: Maria Gloria (Lolita) Pignatelli Aragona Cortés.

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In merito a Giovanna Tagliavia d’Aragona Cortez,Principessa di Castelvetrano – V Duchessa di Terranova – Marchesa di Oaxaca (Messico) e di Avola, ecc, che sposò Ettore IV Pignatelli,
la sua genealogia era la seguente

Da “Memorie sul Messico”
“Don Fernando Cortez Conquistatore e Governatore e Capitan Generale del Messico, primo Marchese della Valle di Oaxaca, sposò in seconde nozze D. Geronima Ramirez di Arrellano e Zanega, figlia di D. Carlo Ramirez di Arrellano, 2° Conte di Aguilar, e di D. Geronima di Zuniga figlia del conte di Benares, primogenito del Duca di Bejar D. Alvaro di Zuniga.
Da questo matrimonio nacque:
D. Martino Cortez Ramirez d’Arrellano, 2° marchese della Valle d’Oaxaca, il quale sposò sua nipote Donna Anna Ramirez d’Arrellano, e con questa ebbe la seguente prole:
1)      D. Fernando Cortez Ramirez d’Arellano, 3° marchese di Oaxaca, ammogliato con Donna Mencia Fernandez de Cabrera e Mendoza, figlia di D. Pedro Fernandez Cabrera e Bobadilla, 2° conte di Chinchoo, e di Donna Maria di Mendoza e Cerda, sorella del principe di Melito;
2)      D. Pedro Cortez Ramirez d’Arrellano, 4° marchese di Oaxaca, che succedette a suo fratello D. Fernando morto senza prole. Egli si ammogliò con Donna Anna Pacheco della Cerda, sorella del 2° conte di Montalbano. Morì anche questo senza prole e gli succedette sua sorella;
Donna Geronina Cortez Ramirez d’Arrellano, 5° marchesa di Oaxaca, la quale si maritò con D. Pedro Carillo de Mendoza, 9° conte di Priego, Capitan Generale di Siviglia e Ciambellano della Regina Margherita d’Austria. Da questo matrimonio nacque: Donna Stefania Carillo de Mendoza e Cortez, 6° marchesa di Oaxaca, che fu moglie di D. Diego d’Aragona Tagliavia, 4° Duca di Terranova, Principe di Castelvetrano, Vice Re di Sardegna e Cavaliere del Toson d’Oro..
Fu grazie al matrimonio di Stefania (Estefania) Carillo de Mendoza, nipote del conquistatore Don Fernando Cortez,  con Diego d’Aragona (1590 -1654), IV duca di Terranova, che il cognome Cortez si aggiunse a quello degli Aragona Tagliavia. La stessa Stefania era VI marchesa di Oaxaca, una stupenda valle del Messico ricca di preziose testimonianze archeologiche.

Prole di questo matrimonio fu l’unica figlia Donna Giovanna d’Aragona, Carillo de Mendoza e Cortez, 7° marchesa di Oaxaca, 5° duchessa di Terranova, Cameriera della Regina Luisa d’Orleans, ed in seguito della Regina Marianna d’Austria. Essa sposò Ettore Pignatelli, 5° duca di Monteleone, principe di Noia, marchese di Cerchiara, conte di Borello, Catalogna e Santangelo, Grande di Spagna.






La Valle dell’Oaxaca si trova nello Stato di Oaxaca nel Messico Merdionale.
Una zona che ha numerosissime testimonianze archeologiche legate alla civiltà Zapoteca e alla successiva Mixteca.
Uno dei siti archeologici più importanti è Mont Albàn, Mitla, ecc. La capitale dello Stato è Oaxaca de Juàrez.
Gli Zapotechi e gli Mixetechi, che abitavano la Valle, furono sottomessi, tra il 1497 ed il 1502, dagli Aztechi e la Valle di Oaxaca entrò a fare parte dell’impero azteco. L’impero Azteco andò in rovina quando la capitale Tenochtitlàn fu conquistata dagli spagnoli nell’agosto del 1521. Nel novembre del 1521, Don Francisco de Oruzco, giunse nella Valle di Oaxaca per reclamarla in nome del “conquistatore Herman Cortez” a cui era stata donata dalla corona spagnola come premio per le sue conquiste in “Nuova Spagna”.

Mont Albàn
foto di  DavidConFran


Hernán Cortés Monroy Pizarro Altamirano
(Medellìn-Estremadura, 1485- Castilleia de la Cuesta – Andalusia, 2 dicembre 1547)
(Dipinto del XVIII secolo - olio su tela – Arista: Sconosciuto
Misura: (58 x 49 cm) – Real Accademia de Bellos Artes de San Farnando – Madrid)

Lo stesso Cortès usò il nome di “Hermando”  o “Fernando”, con il quale spesso firmava.


Copia dell'autografo di Hernan Cortes, dalla raccolta di manoscritti Prescott
http://www.pterodactilo.com/blog/esta-firma-es-la-original/

Gli spagnoli sbarcarono in Messico nel 1518, nello Yucatàn, dove entrarono in contatto con i Maya.
Dagli stessi Maya gli spagnoli appresero l’esistenza del meraviglioso Impero Azteco.
L’esistenza di questo ricco impero fece scalpore e il governatore di Cuba, Diego Velàzques de Cuèllar, organizzò una spedizione il cui comando fu affidato a Herman Cortès.
Cortès partì da Cubail 18 febbraio 1519 con una flotta composta da:
11 navi, 100 marinai e 508 soldati. Nella spedizione c’erano anche 17 cavalli, cani da combattimento e armi da fuoco tra cui 10 cannoni..
Non era una spedizione pacifica…..
Sorsero subito dei contrasti tra il governatore di Cuba e Cortes tanto che la spedizione per il Messico fu annullata.
Cortes partì ugualmente  e una volta giunti in Messico diede ordine di “smontare i brigantini e conservare solo le vele e le gomene”.. con questo comando si proteggeva da eventuali e possibili diserzioni.
Sbarcarono il 22 aprile, nei pressi dell’odierna Veracuz, e furono accolti con cordialità dalle popolazioni e dall’imperatore Montezuma II che mando subito delle ambasciate.
L’accoglienza degli atzechi era legata a segno interpretati come premonitori di un evento e quindi
gli spagnoli furono considerati come gli emissari della divinità atzeca Quetzalcoatl.
Cortes sfruttò abilmente la situazione , favorito anche dalla naturale indecisione di Montezuna nel
trovarsi di fronte ad un avvenimento imprevisto e dalla ribellione di alcune popolazioni mai pienamente sottomesse all’Impero Atzeco.
Cortès  era affiancato da due interpreti, Gerònimo de Aquilar, uno spagnolo la cui nave era naufragata in quelle coste e che sapeva parlare la lingua Maya, e da La Malinche (Dona Marina) che era la figlia di un caicco Azteco.
Cortès con grande diplomazia riuscì a stringere rapporti di alleanza con le popolazioni sottomesse dagli Aztechi sempre in stato di ribellione. Un comportamento legato agli esosi tributi ed alla richiesta di vittime sacrificali.
Cortès agiva come “riparatore di torti in missione per conto dell’imperatore Carlo V e del Cattolicesimo”.
Una battaglia tra Aztechi e Spagnoli erano improponibile perché dall’esito scontato a favore dei secondi.
Gli aztechi seguivano un vero e proprio rituale in battaglia: indossavano un abito per l’occasione, sceglievano il luogo della battaglia in base a segni divini, urlavano prima dell’attacco e cercavano di catturare vivo l’avversario per sacrificarlo agli dei. Attaccavano l’avversario uno alla vota perché prendere un prigioniero vivo per sacrificarlo era un grande onore. Un modo di comportarsi che avrebbe persone agli spagnoli di prevedere le loro azioni. Gli spagnoli invece battagliavano all’europea colpendo con la spada chiunque si trovasse innanzi a loro e questo causava molti morti.
L’8 novembre 1519 Cortès entro a Tenochtitlan, con un esercito di circa 3000 indios, fu accolto
con onori da Montezuma che fu accusato di tradimento per la morte di alcuni spagnoli in una città vicina.
Cortès si fece consegnare Quauhpopoca, figlio di Montezuma, e altre 15 persone che furono bruciate vive.
Gli spagnoli si accorsero, dopo diversi giorni, che la situazione nella capitale era molto tesa… gli Aztechi si stavano preparando al massacro.
Alcuni giorni prima una falange azteca aveva ucciso a Vera Cruz molti spagnoli.
Gli spagnoli decisero di arrestare Montezuma che saggiamente, per evitare una sommossa popolare, disse ai suoi sudditi che si stava recando a casa di suo padre dove alloggiavano gli spagnoli.
Montezuma dialogò a lungo con Cortès fino a stringere un rapporto di “pace” dove Montezuma
poneva fine ai sacrifici umani. Cortès a sua volta lasciò libero Montezuma di governare l’impero e
cercò di convertirlo al Cattolicesimo.
Ma la situazione precipitò e Cortès radunò i suoi alleati e marciò sulla capitale azteca. Il 13 agosto 1521, dopo due mesi di assedio, Tenochtitlan fu espugnata.
La cronaca di quei giorni:
“Diede (Cortèz) un nuovo assalto il 31 luglio, fece offrire all’Imperatore (“Cuauthìmoc, il Principe Bellissimo,”, per gli spagnoli Guatimozin di capitolare; il 3 agosto, e sul suo rifiuto, fece ricominciare l’attacco il 6.
Al dire di Cortèz stesso, le strade e le piazze pubbliche erano ingombre di cadaveri, e l’acqua dè canali e delle fosse rosseggiava di sangue. L’infezione, che si sparse dopo tale strage, costrinse gli Spagnuoli ad abbandonare la parte della città ch’era in loro potere; ma vi rientrarono il 13, e presero d’assalto il quartiere Tlatelolco che ancora resisteva”.
“perirono durante l’assedio, che continuò 75 giorni, circa 100 Spagnuoli, parte morti sul campo
di battaglia e parte sacrificati nei templi. Cuauthimoc fu applicato alla tortura dagli Spagnuoli, per
costringerlo ad indicare il luogo dov’egli aveva nascosto i suoi tesori; e fu impiccato al principio dell’anno 1525 per ordine di Cortèz. Così crollò quella monarchia, 196 anni dopo la fondazione di Messico per opera degli Aztecas e 169 anni dopo l’elezione del primo Re”.

Nel giro di un paio d’anni gli spagnoli presero il controllo dell’intero paese.
Il Messico diventò una colonia spagnola con il nome di “Nuova Spagna” e Carlo V nominò Cortès governatore.
Cortèz si recò in Spagna nel 1528 e ricevette l’8 luglio 1529, da Carlo V, il titolo di Marchese della “Vallata di Guaxaco” (Oaxaca) e il grado di Capitano Generale della "Nuova Spagna"  ed anche i titoli di ammiraglio e di governatore di tutti il Continete.
Cortèz fece un “dono” a Carlo V….”oltre le opere preziose d’oro e d’argento, che si spedirono
A Carlo V, l’oro fuso proveniente dalla presa di Messico fu calcolato del peso di 19,200 once, ossia
1.658,880 franchi”.
Cuauthimoc è l’eroe nazionale del Messico.



La resa di Cuauthemoc
https://es.historia.com/magazine/13-agosto-1521-cuauhtemoc-se-rinde-ante-hernan-cortes/



https://www.zonaturistica.com/que-hacer-en-el-lugar-turistico/248/bosque-cuauhtemoc-morelia.html


Il successo dell’impresa fu anche favorita da diversi circostanze come un sistema primitivo di dominio sulle popolazione sottomesse e , un elemento forse ancora più importante, le epidemie che sconvolsero il paese. Gli abitanti non erano mai stati colpiti da quelle malattie infettive che gli spagnoli portarono dall’Europa come vaiolo, tifo, scarlattina. Il sistema immunitario di quelle popolazioni non era in grado di proteggere quelle popolazioni.

Cortèz mirava soprattutto ai tesori  che gli Aztechi difendono perché essenzialmente oggetti.
Lo spagnolo li esige, difronte ai rifiuti non trova di meglio, con tante giustificazioni di carattere religioso, che sterminarli oltre a distruggere le vestigia del loro passato. I conquistadores spagnoli guidati da Cortès,
un uomo che aveva doti militari e politiche non comuni, distrusse l’Impero Azteco perseguendo due
obiettivi principali: trovare l’oro e convertire al Cristianesimo le popolazioni pagane del Nuovo Mondo.
Trovarono poco oro ma moltissimo argento. Le miniere del Messico fino a metà dell’800 producevano 1/3 dell’argento di tutta l’America. Trovarono moltissimi uomini da evangelizzare anche perché agli “infedeli” non erano date altre alternative e quindi il compito non era difficile….
Nel 1525 Carlo V con un decreto trasferiva ad un governo locale, Udienza Reale,
i poteri amministrativi e giudiziari. I nuovi funzionari spagnoli che per incarico dell’Imperatore
sbarcarono nel Nuovo Mondo usarono anche loro metodi sbrigativi… brutali ed efficaci.. per avere
risultati immediati: cancellazione di ogni memoria spirituale e materiale della civiltà azteca con demolizione di templi e palazzi; conversione delle popolazioni e sottomissione totale degli Indios.
La Chiesa e la Corona agirono insieme in perfetta armonia. Riuscirono a creare uno sfruttamento
sistematico e brutale che durò ben 3 secoli.
La popolazione agli inizi dell’800 si divideva in:
-          Creoli, di origine spagnola e nata in Messico, minoritaria e per lo più classe dirigente;
-          Gachupines, nati in Spagna e giunti in Messico per assumere cariche pubbliche.
e due classi inferiori:
-          Mestitoz, circa un milione di individui, nati da matrimoni di spagnoli con donne Indie;
-          Indios, circa 4 milioni.

Gli Indios vivevano in condizioni di servitù quasi assoluta, relegati da leggi discrminatorie e da severe norme di polizia. il lavoro impiego come braccianti agricoli o come servitori era l'unica possibilità per sopravvivere. vi erano anche circa 10.000 schiavi negri, ma la tratta degli schiavi non fu mai praticata in Messico perchè era più facile ridurre in schiavitù gli Indios. Sottopagati e costretti anche a pagare i regolari tributi al governo ed alla Chiesa. era praticamente impossibile per un Indios migliorare la propria misera condizione sociale.





Mont Albàm - Valle dell'Oaxaca

Mont Albàm - Valle dell'Oaxaca


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Torre di Manfria - Gela

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I  CASTELLI DELLA PROVINCIA DI CALTANISSETTA
TRATTATI  NELLE PRECEDENTI NOTE



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