IL "CASTELLUCCIO" DI GELA
I CASTELLI DELLA PROVINCIA DI CALTANISSETTA
Il CASTELLUCCIO DI GELA
UBICAZIONE
STORIA
ARCHITETTURA
RESTAURI –
REPERTI – CERAMICA DI VALENCIA
PROBLEMATICHE
LA LEGGENDA DEL “CASTELLUCCIO”
Il CASTELLUCCIO DI GELA
UBICAZIONE
STORIA
ARCHITETTURA
RESTAURI –
REPERTI – CERAMICA DI VALENCIA
PROBLEMATICHE
LA LEGGENDA
DEL “CASTELLUCCIO”
IL CASTELLUCCIO
E LA DIVISIONE LIVORNO : 10 – 11
LUGLIO 1943
UBICAZIONE
Il Castelluccio, o “Castello Svevo” si trova su una
collina gessosa, in contrada “Spadaro”, dominante la costa e a difesa del percorso interno lungo la valle del Fiume
Gela cioè del crocevia che conduceva a Piazza Armerina, Butera e Mazzarino.
Distante circa 10 km da Gela, è facilmente raggiungibile
percorrendo la Strada Statale “SS 117 bis”
STORIA
Le origini del castello, secondo alcuni documenti,
risalirebbe a prima del 1143 quando il
Conte Simone di Butera (membro della famiglia Aleramica) “donò” alcuni appezzamenti del feudo all’abate
del Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi.
In realtà già ai primi del XII secolo era presente tra
i boschi di Nicolosi un piccolo complesso costituito da: un antica chiesa
rupestre, di formazione spontanea arenosa; un ospizio per il ricovero di monaci
infermi; qualche casolare e una stalla. Il complesso era di proprietà di un
certo Letho. Alla morte del proprietario questi beni passarono in custodia del
vicino Monastero di Sam Leone del Colle “Pannacchio” situato nei pressi
dell’antica Malpasso (Belpasso) e fondato nel 1136 da Enrico Del Vasto e
distante circa 2 miglia dal ospizio di Nicolosi. Il Monastero di San
Leone nel 1205 venne unificato al
Monastero di Santa Maria di Licodia, costruito nel 1143, Il monastero di San
Nicolò l’Arena a Nicolosi venne costruito sul vecchio complesso solo a partire
dal 1359 e prese il nome di “La Rena”
per la caratteristica terra sabbiosa che ricopriva la zona.
Tutti monasteri dei monaci Benedettini di Catania.
Nicolosi – Monastero di san Nicolò La Rena
Nicolosi – Monastero di San Nicolò La Rena (oggi)
Il Monastero di San Leone in Pennacchio venne distrutto da un eruzione
dell’Etna
Dipinto del
Monastero di San Nicolò La rena - Nicolosi
http://win.lafrecciaverde.it/n111/Nicolosi/articolo.html
Il castello infatti figura in questi documenti del
tempo come il limite di un immenso feudo appartenente ad un nobile dell’epoca
che avrebbe “donato” alcune terre in comodato d’uso, per metterle a coltura, ai
monaci benedettini della città di Catania.
Terre in comodato d’uso che ad oriente confinavano con il castello. Un
contratto legato ad un atto di penitenza per remissione di alcuni suoi
peccati.
Ma chi era Simone di Butera ? Fu indicato anche con gli appellativi di
Simone del Vasto, Simone d’Altavilla, Simone di Policastro e Simone Aleramico.
Alcuni storici lo citarono come figlio legittimo di re
Ruggero I e della terza moglie Adelaide Del Vasto e altri ancora come fratello
di Ruggero II..
Il Pirri invece lo indicò come figlio di Enrico del
Vasto, figlio del Marchese Manfredi di Monferrato, Conte di Policastro, “lombardo di nazione e quindi fratello germano
di Adelaide, terza moglie del Conte Ruggero”.. Il Pirri spiegò la sua
analisi affermando che “una volta Ruggero riordinati gli affari in
Sicilia pensò di costituire a Flandrina, sua sorella, un nuovo sposo nella
persona di suo fratello cognato Enrico per la morte di Ugone, di lei marito, e
gli dotò la Signoria di Paternò, ove egli si stabilì e fece soggiorno”. Il
Pirri nella sua analisi mise in risalto la grande benevolenza di Enrico Del Vasto verso i cittadini e la sua grande
fede cristiana….” Il suo governo, pieno
di dolcezza, si segnalò nell’accrescere lo splendore delle chiese, che accrebbe
e dotò nei confini del territorio della città: edificò la chiesa di San Leone
in Pannacchio, ne costruì il monastero, che arricchì di terre, e nell’anno 1136
lo donò a F. Giovanni Malfitano, Benedettino di Santa Agata. Nello stesso anno
alla chiesa di Santa Maria de Valle Josaphat aggiunse il dono del Casale di
Massepe, ossia Hoylmelmesef, con tutte le sue pertinenze, ed altre vicine terre
di Paternò. Il Carrera lo considerò sì religioso che appianò, egli dice, alcuni
dissapori tra lui e i PP. Benedettini; a lui parve di vedere in sogno S.Agata,
che gli intimava la riconciliazione, alla quale, appena svegliato, aderì. Cessò
di vivere quale visse santamente e lasciò da Flandrina quattro figli: Simone,
che successe nella Signoria di Paternò, Ruggero, Manfredi e Corradino”.
“ Simone non fu meno grande del padre e sebbene fosse immaturo il termine
di sua vita, non fu meno generoso e devoto, onde costruì nuove chiese; alle
esistenti aumentò i redditi; nel 1156 donò al monastero di San Leone in
Pennacchio, l’ospedale di San Nicolò l’Arena con le case e le vigne, e altre
terre, un tempo vigne della Contessa Flandrina, sua madre; nel 1198 edificò la
chiesa di Santa Maria di Licodia la Vecchia, alla quale donò due feudi di
mandorli, uno detto di Scannacavoli e l’altro di S. Nicolò del Canneto, nella
terra di Butera, alcune terre nella contrada dell’Ogliastro, oggi Rotondella, e
molte altre terre nel circuito di Licodia, la chiesa del SS. Salvatore di
Cerami e quella di S. Filippo del Pantano, che è vicino al molino di
Bellacortina, la quale donazione fu fatta a Fra Geremia, Benedettino di
Catania. I vestigi di questa diruta chiesa fecero ingannare molti curiosi che
li idearono residui del tempio dei Palaci. Ivi una infranta colonnetta si vede
tuttora una iscrizione indecifrabile”.
Simone era quindi nipote di Adelaide del Vasto e del
gran conte Ruggero d’Altavilla e alla morte del padre Enrico diventò il capo
degli Aleramici di Sicilia, il conte dei Lombardi di Sicilia ed ereditò i possedimenti
del padre tra cui la Contea di Butera e quella di Paternò. A queste si aggiunse
anche la Contea di Policastro e la Signoria di Cerami.
Lo stesso luogo, indicato con il termine latino “Castellucium” fu riportato in un
diploma del 1334 e legato ad una conferma
d’uso allo steso monastero e degli stessi beni. Un privilegio emesso
dalla regina Eleonora d’Angiò, moglie di Federico III d’Aragona. Secondo altri
storici il castello risalirebbe al XIII secolo per la sua architettura sveva.
Altri storici avanzarono l’ipotesi di una possibile origine araba e
successivamente completato o ristrutturato dai normanni.
Il castello passò con il relativo feudo, per il
tradimento di Simone che si schierò contro Guglielmo il Malo, ad Anselmo da
Moach nel XIV secolo e successivamente agli Aragonesi.
Nel 1348 – 1350 il castello fu danneggiato a causa
dell’assedio di Terranova da parte degli Aragonesi.
Nel 1364 il castello con il relativo feudo fu donato
da Federico IV d’Aragona a Perollo (Pietro III ?) da Moach, milite
caltagironese e pronipote di Anselmo da Moach.
(Nel 1295 nella genealogia della famiglia è presente
un altro Perollo – Pietro II – milite, barone di Sortino, Bussello e
Rilmadali).
Si tratta di una donazione dei beni ubicati nel
territorio di “Eraclea” (Terranova – Gela) comprendenti il Castelluccio ed i
territori circostanti.
Questo documento evidenzia due aspetti fondamentali:
-
L’edificio attuale esisteva nella pianura gelese;
-
L’edificio, di proprietà del Regio Demanio, era stato
già concesso in feudo nel XIII secolo
Ramo cadetto di una famiglia Normanna scesa in Sicilia nel XII secolo e
residente a Palermo.
Nel dicembre del 1120 Ugo ed Urso de Mohac si trovano sottoscritti in un
diploma del
Conte Goffredo di Ragusa. Ugo ed
Urso sono i primi esponenti della famiglia di cui si ha notizia in
documenti ufficiali. Molto storici siciliani citarono la famiglia tra cui
il Villabianca ed il De Spuches Sammartino.
Intorno al 1130 è accertata la presenza di Gualtiero I de Mohac, forse
figlio di Ugo, in Sicilia ed è
una figura importante nella scena politica della Sicilia.
Da Gualtiero nacquero. Gualtiero II, Ansaldo, Aquino, Rainaldo e Goffredo.
Una famiglia che si mise in evidenza nella carriera militare e che nel XVI
secolo, ormai priva di feudi,
si trasferì a Monreale
“Moach” deriverebbe da Modica, famosa Contea al tempo dei Normanni.
Nell’ex feudo di Canicarao, una delle aziende era nominata “Don Pietro” e
risultava appartenuta nel
Medioevo ad un “Don Pietro da Moach
..infante..”
La mancanza di fonti non permette di studiare con
chiarezza le vicende del castello nei secoli successivi.
Nel 1404 Terranova e il Castelluccio furono assegnati a Lluis (Ludovico
?) Rajadells, uno dei cavalieri al seguito del re Martino I d’Aragona. Il
cavaliere fu uno degli organizzatori della campagna militare in Sicilia.
Rajadelli, Rayadelli o Rajatellis.
Originaria della Spagna e scesa in Sicilia con i Martini.
Si trattava di un Ludovico milite e camerlengo che ricevette i feudi
Bonvicino o
Silvestro, Pantano di Lentini, Caltavuturo e i diritti e proventi del
castello e
della Terra di Terranova, ecc.
Approfondendo con ricerch, sono venute a conoscenza della sua origine da
una
nobile famiglia Catalana.
Nella provincia di Barcellona e nel distretto giudiziario di Manresa è
presente
una città chiamata Rajadell. Probabilmente la famiglia avrà avuto origine
in
quella cittadina prendendone il nome oppure fondata dalla famiglia
a cui diede il nome.
Nel XIII secolo Un Pedro R. e Bernardo R si trovavano a Urgell (Lleida) e servirono
il re Giacomo I d’Aragona nella conquista di Valencia.
Pedro R. “ha servito nella conquista
da Valencia con persone a cavallo e ha ottenuto che
Don Jaime abbia ricompensato e sue
imprese dandogli il posto di Castellonet
che oggi appartiene al partito
giudiziario di Gandia.”
Famiglia Rajadelli che era presente nel tessuto sociale siciliano del 1400.
Nell’agosto del 1400 vennero presentati al re di Spagna (Martino I “Il
Giovane”) i capitoli
della città di Palermo. Tra i capitoli i problemi dell’annona.
Gli ambasciatori palermitani fecero presente che per l’anno in corso la
città
aveva bisogno di 15.000 salme di grano. Le 1000 salme che gli Alcamesi
avevano inviato a Palermo
erano insufficienti. Grano che proveniva dalle “masserie di cittadini palermitani, non alcamesi”.
Inoltre ..”li terri et baruni
convichini si rifiutavano di mandare lu frumentu di li terragi di li
feudi et territori di quista
chitati”. Il re
difronte a queste motivazioni dimostrò una grande disponibilità e rispose che
avrebbe provveduto “adeo quod civitas
non sustinebit”( non avrebbe sostenuto a lungo questa carestia).
Dopo un mese circa informò il senato civico che il camerlengo Ramon Xatmar
era disposto a consegnare alla città
200 salme di frumento e 200 d’orzo.
La penuria di grano continuò a tormentare la città anche sotto il regno
della regina Binaca di Navarra.
Nell’ottobre del 1412 la “pinaccia”
“San Pietro” (un imbarcazione che
presentava una lunghezza dai 20 ai 25 metri, una larghezza fra i 5 e gli 8
metri con una capacità di carico di 60 tonnellate) del catalano Giovanni Pages,
era stata
noleggiata dal “miles Aloisio
Rajadellis” per trasportare frumento da Siracusa a Barcellona.
L’imbarcazione si fermò nel porto di Palermo per un danno alle vele.
Si era spezzato, a causa del vento, un albero. I palermitani presero le
vele e costrinsero il Rajadells a scaricare
il grano nella città senza che
Pages, proprietario dell’imbarcazione, si opponesse. Alle proteste del
Rajadellis,
che voleva riparare l’albero spezzato e recuperare il frumento per
proseguire il suo viaggio verso la Spagna,
Giovanni Pages rispose realisticamente che per ..” gracia de Deu la venda de tot lo dit gra ai genovesi
Simone Gentile e
Tommaso Spinola, effettuata a Palermo dai corrados cathalans Giovanni Olzina e
Berenger Piug, era
stata assai vantaggiosa”.
Sulla fame di grano dei Palermitani speculavano,
questo accadeva spesso, i mercanti genovesi e
catalani per iquali gli affari erano sempre al di
sopra di tutto anche degli accordi economici.
Il “miles
Aloisio De Rajadellis” il 23 aprile 1398 fu rimborsato dal re per “il denaro speso per
il biscotto, il
sego ed altre cose necessarie a rifornire la sua galea” mandata a Palermo
con
l’ex arcivescovo ed altri prigionieri suoi complici.
(foto dello stemma è tratta dal sito:
È un periodo confuso per la storia del castello perché
le notizie, anche se scarse, si contrappongono alimentando incertezze storiche.
Verso la fine del XIV secolo il castello fu concesso
da re Martino I a Ruggero o Riccardo Impanella e nel 1422 a Ximena (Ximeno de Corella) coppiere regio.
Il nobile Impanella si sarebbe allontanato dal
castello “senza regia autorizzazione” e
per punizione perse il castello con l’annesso e vasto feudo che fu concesso al
“de Corella”.
Secondo un'altra fonte, probabilmente errata, Ruggero
Impanella vendette il castello con il feudo a “Simon de Carella”.
Corella – Stemma
La famiglia Corella ad esempio è di origine longobarda le sue memorie
risalirebbero al periodo
di Federico II di Svevia. Lo storico Morgia Paolo
riferì in un libro stampato
nel 1595 “Nobiltà
di Milano in sei libri” di
“essere questa una delle più nobili ed
antiche famiglie di Milano…”
Una susseguirsi quindi di notizie poco chiare perché
il castello nel 1423 si trovava in possesso dei Rajadells con “il mero e misto impero”.
Ludovico de Rajadello ebbe il castello con tre
privilegi emessi nelle città di:
-
“Agosta” (Augusta) il 17 ottobre, 13. Ind., 1404;
-
“Catania” il 3 agosto, 15 Ind., 1407
-
“Catania (?)” nel 1416.
“Possedette intanto esso di Rajadello quasi
intero il domino di quello Stato”.
Alla sua morte il castello e lo Stato passò “in potere di Giovanna ed Arnoldo de
Villademanio come di lui eredi”.
Giovanna era la figlia della sorella di Ludovico.
Il re “concedette
a costoro (Giovanna e Arnoldo) la conferma dè loro privilegi con doppj diplomi
dati in Cesaragosta nel dì 1 Marzo 1425, esecutoriati in Catania il 20 e 22
ottobre 4.Ind. 1425”.
(”Cesaragosta” dovrebbe essere il nome della città
romana di Saragozza, fondata come una colonia immune di Roma intorno al 14 a.C,
sulla città iberica di Salduie).
Arnoldo de Villademanio vendette i suoi beni a
Beatrice de Fanlo ..”alla quale costò il
prezzo di 10 mila fiorini d’Aragona, ciò rilevandosi dal contratto, che negli
atti rogati di Notaio Giovanni Majnardo di Caltagirone il 17 gennaio 11.Ind.
1432”.
Costanza, figlia di Beatrice de Fanlo portò il castello in dote a Berengario
Crujllas “suo consorte, a cui non avendo
partorito figli, dopo la sua morte tornò a succedervi la madre Beatrice”.
Beatrice de Fanlo prese l’investitura dello Stato il
20 settembre, 2 Ind. 1453 in Palermo e, rimasta vedova, si sposò quindi in seconde nozze con Giovanni
d’Aragona, barone di Avola e parente stretto dei sovrani spagnoli.
“Da questi
genitori nacque Gaspare d’Aragona che s’investì di essa Ducea in Palermo 8 Marzo,
14 Ind. 1480…(Gaspare sposò Chiara d’Aragona) cui seguì Carlo suo figliolo,
che ne ottenne la conferma dal Ser. Re Ferdinando con Real Privilegio segnato
in Napoli nell’anno 1506”.
Chiara d’Aragona rimase vedova e sposò in seconde
nozze Luigi de Requesenz, cancelliere dei re. La figlia di Carlo, Antonia
Contessa d’Aragona, ricevette l’investitura il 15 giugno, I Ind. 1513 e lo
portò in dote a Francesco Tagliavia Aragona, Conte di Castelvetrano.
Fanlo
Un antico nome di
origine Aragonese e registrato per lo più
in Catalogna,
province di Saragozza, Huesca e Barcellona
Un “miles” della famiglia è al servizio della Regina Binaca di Navarra.
Aprile – Maggio 1392, Enrico Chiaramonte, fratello di Andrea Chiaramonte,
partecipò alla
difesa di Palermo durante l’assedio aragonese. Nella rivolta ci fu anche un
preteso
complotto contro la vita del re aragonese Martino I “Il Giovane”, duca di
Montblanc..
Nella schiera dei palermitani, che non avevano aderito alla rivolta e
sostenuti dal re, c’era il
“miles Ruggero Paruta”. Il fratello di Ruggero Paruta era stato catturato dal
Conte Antonio Ventimiglia che, dopo averlo condotto nella prigione nel suo
castello di
Roccella, lo fece giustiziare facendogli tagliare il naso e le mani.
Ruggero Paruta sin dal primi momenti in cui i Martini, Il Giovane e il
Vecchio, nipote e zio, sbarcarono in
Sicilia, si mostrò fedele alla corona aragonese e fu un importante punto di
riferimento politico e
militare per i due aragonesi.
Nel 1397 gli fu affidato il castello di Monte San Giuliano e
successivamente fu mandato a Corleone
dove fu prima castellano e poi capitano. Non riuscì ad entrare nella scena
politica palermitana per l’accesa
opposizione del potente secreto Nicolò Sottile che gli fu sempre acerrimo
nemico.
Alla morte di Martino I, Il Giovane, Ruggero Paruta si schierò a fianco
della Regina Bianca
di Navarra mentre Nicolò Sottile si schierò a favore del Conte di Modica,
Bernardo Cabrera, suo amico e sostenitore da vecchia data.
Il 15 agosto la regina Bianca ordinò a Gabriele de Fanlo di consegnare a
Ruggero Paruta,
che si era recato a Taormina con la galea di Palermo, due grandi balestre
che appartenevano al defunto re Martino I e che erano conservate nel guardaroba
del castello di Taormina.
Era un momento molto delicato nella scena politica siciliana e la stessa
regina comunicò al suo
capitano (Gabriele de Fanlo), al pretore, ai giudici ed all’Universitas di
Palermo, che si apprestava
a raggiungere la città via terra con il grosso dell’esercito, mentre la sua
roba sarebbe arrivata
“per mari cum la galea”.
La documentazione archeologica si ferma verso la fine
del secolo XV. Infatti il castello fu abbandonato a causa di un incendio che
provocò anche la caduta dello spigolo settentrionale della torre est.
la Piana con coltivazione di carciofi - Un prodotto tipico della zona
https://gela.italiani.it/il-castelluccio-di-gela/
Agli inizi del XVI secolo il castello fu restaurato
con notevoli modifiche alla struttura (probabilmente in concomitanza con
analoghi lavori nel castello di Mazzarino) ad opera degli Aragona Tagliavia.
L’edificio venne ingrandito, si coprì il terrazzo e la relativa merlatura aggiungendo
un ulteriore piano che portò il fabbricato all’altezza delle torri. Si creò in definitiva un tentativo di
trasformazione del castello in Palazzo: furono sopraelevati i muri meridionale
e settentrionale e venne restaurato lo spigolo crollato della torre est e una
serie di adattamenti interni. L’intervento permise ai merli, essendo inglobati
nella nuova muratura del’ 500, si sopravvivere fino ai nostri giorni.
Poco prima della metà del XVI secolo i lavori di
ristrutturazione si fermarono probabilmente a causa del terremoto del 1542 che
colpì con violenza la zona. Il castello venne quindi abbandonato subendo
ulteriori danni,
Attraverso gli eredi sarebbe passato al patrimonio
degli Aragona di Terranova e quindi ai Pignatelli seguendo quindi le vicende
dinastiche della famiglia fino all’abolizione della feudalità nel 1812.
Gravissimi i danni legati al pesante bombardamento del
10 luglio 1943.
ARCHITETTURA
Più che un edificio militare sembra invece un
edificio-fortificato o residenziale. Due elementi spinsero gli studiosi ad
avanzare questa ipotesi: la notevole distanza dalla città “Terra Vecchia”, e
successivamente “Terra Nova”, e quindi inadatto per svolgere un azione
immediata difensiva sulla città e la sua dimensione modesta perché non era in gradi
di ospitare una guarnigione numerosa. Gli stessi storici indicarono il
Castelluccio con il termine “domus solaciorum”
(“Castello di Svago”) costruito sulla sommità di un colle.
L’Imperatore Federico II di Svevia emanò un decreto
sullo “Statum de reparatione castrorum”, la
cui prima stesura risalirebbe al 1231. Si trattava di uno Statuto che aveva
come obiettivo la riparazione dei castelli. Nello stesso Statuto erano elencati
i castelli e le “domus solaciorum” (case
di svago) alla cui riparazione erano obbligate alcune comunità e persone.
Lo Statuto operava anche una netta distinzione tra i “castra” (castelli) e le “domus”.
Il castello sorge su un affioramento di roccia gessosa
che fu opportunamente livellato per la creazione di un piano di posa omogeneo.
Fu adoperata pietra locale gessosa, calcarenite gialla del
muro greco di Caposoprano ed appena sbozzata, per i muri
perimetrali e per i cantonali (rinforzati) mentre per le cornici delle aperture
fu invece utilizzata la pietra calcarea ben squadrata.
La quota di calpestio fu in origine abbassata sul lato
meridionale e rialzata a settentrione e nella torre est con la realizzazione di
un ciottolato.
Presenta una pianta rettangolare (30,60 x 10,90)
metri. Il rettangolo di base equivale alla somma di tre quadrati, suddivisi in
sei spazi da quattro archi ad ogiva e da un muro, posto all’stremità orientale.
Una monofora a strombatura archiacuta è la caratteristica più importante del
prospetto Nord. È probabile che l’apertura facesse parte di una cappella primitiva
che fu obliterata durante i lavori di ristrutturazione e ampliamento.
Presenta due possenti torri poste ai lati. La torre
ovest, che proteggeva un ingresso inferiore, presenta ancora i resti di una
cisterna e al primo piano un vano residenziale con latrina. La torre ad est
presenta una cappella che è scavata nello spessore murario.
All’interno sono visibili i resti di un camino monumentale. Una
seconda fase vide la profonda trasformazione della parte orientale con
l'inserimento del camino con fasci di colonnine trecentesche, alla base
l'apertura di una monofora sul prospetto settentrionale e la costruzione della
torre est. A sud si rileva la presenza di una terza torre che è
ritenuta falsa perché ricostruita completamente durante i restauri del’ 90.
Probabilmente aveva più piani. Un ipotesi legata alla
presenza della doppia fila di finestrelle. Anche se ridotto a rudere si possono
ricostruire le funzioni delle varie parti. Sono presenti ancora parte degli
ambienti che erano destinati a stalle, armeria e a sala residenziale. Del piano
nobile rimangono solo le mura perimetrali.
A causa dell’assenza di fonti si fa fatica a collocare
il castello all’epoca di Federico II di Svevia. Interessante è comunque il paragone tra il “Castelluccio” e
il “Palazzo” che venne edificato presso il Castello di Milazzo, tra il mastio e
la torre di nord-ovest. Le due strutture hanno dei punti di contatto nella
pianta e nei prospetti meridionale per il “Castelluccio” e nord-ovest per il
“Palazzo” di Milazzo.
RESTAURI –
REPERTI – CERAMICA DI VALENCIA
Nel corso del tempo l’edificio ha subito danni e
perdite. Durante i lavori di restauro degli anni ’90, una porzione di parete
crollò per cedimento strutturale. Fu ricostruita con l’aggiunta di un’incastellatura
di acciaio per rendere accessibile la parte sommitale del castello. Grande fu
la soddisfazione dei tecnici quando furono rinvenuti bronzi, ferri e parti di
manufatti ceramici risalenti al XIV – XV secolo.
Gli scavi archeologici del 1987-96 svelarono
importanti notizie sul “Castelluccio” perché furono individuate le seguenti
fasi di vita:
-
XIII secolo, da collegare all’epoca di Federico II di
Svevia;
-
XIV secolo, periodo in cui sembra che il castello
abbia mantenuto la sua funzione militare a presidio dell’importante via di
comunicazione;
-
XV secolo quando alla guarnigione militare si aggiunse
nel castello la presenza di “un funzionario con famiglia” perché vennero
utilizzate “ciotole, catini e boccali in maiolica decorata in bruno e verde,
nonché maioliche decorate a lustro importate dalla Spagna”.
(Il Lustro è un
antica decorazione mediorientale che attraverso un impasto di sali metallici e
argilla diluito con aceto di vino, e una speciale cottura, produce effetti cromatici
iridescenti, di colore giallo oro, rosso rubino, argento. Il lustro si
applicava a pennello su superfici di oggetti già ultimati, smaltati e cotti, si
solito negli spazi che venivano lasciati appositamente non decorati
dall’artigiano. Una volta decorati venivano nuovamente infornati.)
Piatto dell’Ave Maria
Spagna – Manises (1420 – 1440)
Ceramica decorata a lustro metallico e blu cobalto – diametro del piatto :
35,4 cm
Madrid, Instituto Valencia de Don Juan
Furono rinvenuti anche un importante quantità di
manufatti di produzione siciliana e locale di uso quotidiano. Questa fase si
concluse con un incendio che scoppiò proprio all’ingresso del castello per poi
propagarsi all’intero edificio.
Gli
scavi del Castelluccio portarono alle luce anche 5 monete relative ai regni di
Alfonso V d’Aragona o di Giovanni d’Aragona , cioé in un periodo storico compreso tra il 1416 e il 1479.
Questi
rinvenimenti permisero di ipotizzare una
fase di vita al Castelluccio almeno fino quasi alla fine del Quattrocento e che
i frammenti ceramici siano contemporanei a questa fase di vita.
Nella
prima metà del XV secolo il castello fu oggetto di ristrutturazioni legate ad
un diversa distribuzione degli spazi interni che creò alla fine dei lavori tre
zone distinti: un’area d’ingresso con
banchine
murali, un grande salone con caratteristiche residenziali e un passaggio alla
torre est forse a cielo aperto. Queste nuove sistemazioni potrebbero essere
collegate alla reintegrazione di Terranova nel demanio ed all’insediamento di
Luis Rajadells, consigliere e camerlengo di re Martino. Nel 1397, Rajadells organizzò in Catalogna, insieme
a Ramon Xatmar, una spedizione di soccorso per il re di Sicilia e fu incaricato
nello stesso anno di rivedere i conti dell’amministrazione del vescovado di
Monreale.
Nel
1403, Rajadells finanziò parzialmente il viaggio del sovrano verso la Catalogna
e infine, nel testamento del re di Sicilia (1409), Rajadells beneficiò di
25.000 fiorini.
Negli scavi
furono riportati in luce 14 frammenti di ceramiche d’importazione spagnola e
che sarebbero da collocare tra il XIV – prima metà XV secolo, prima
dell’incendio e del periodo di abbandono rilevato dalla stratigrafia. Reperti
che sono conservati al Museo Archeologico Regionale di Gela e che, mediante
comparazione sia del corpo ceramico che della decorazione, indicherebbero una
loro provenienza dall’area di Valencia. Si è potuto stabilire anche il relativo
stile della ceramica, costituita da frammenti, classico gotico. Uno stile
datato tra la seconda metà del XIV secolo e la prima metà del XV secolo. Un
periodo in cui questo vasellame fu ampiamente prodotto e commercializzato dalla
regione valenziana. Uno stile caratterizzato da motivi vegetali: foglie di
prezzemolo, di edera e di cardo (acanto), fiori di brionia e poi stemmi, corone
animali, figure umane e motivi epigrafici cristiani che sostituirono i motivi
decorativi musulmani.
La
tecnica della maiolica decorata a lustro è di origine mediorientale e sarebbe apparsa
nel regno nazarí (l’ultima dinastia musulmana) di Granada intorno al XII secolo
(centri produttori di Murcia,
Almeria
e Malaga nell’attuale Andalusia) forse per via di artigiani iraniani e/o
egiziani.
Nel
XIII secolo giunse nell’area valenziana e si sviluppò nei centri produttori di
Paterna, Manises e Valenzia con un grande successo commerciale principalmente
nel Mediterraneo. Dal XV secolo in poi, numerosi altri centri, tra i quali
Barcellona, Muel, Siviglia, Teruel o Saragoza, copiarono le botteghe valenziane
ma con un impatto commerciale minore. Questo vasellame di prestigio era
destinato ai ceti più alti delle società tardomedievali e rinascimentali
europee e non, e le modalità di acquisto sono anche ben conosciute.
In
Sicilia, i pochi manufatti provenienti dall’Andalusia risalgono eccezionalmente
ai secoli XII-XIII. Le rare fonti documentarie e i rinvenimenti archeologici
testimonierebbero un ampio commercio verso la fine del XIV secolo e soprattutto
nel XV secolo, quando questo tipo di ceramica veniva scambiata prevalentemente con
il grano di cui la Spagna scarseggiava. Gli abbondanti reperti sono distribuiti
tra i grandi centri urbani (Palermo, Siracusa e Catania), i centri minori, tra
cui Gela e altre città costiere, ed anche nell’entroterra e nelle isole minori.
Testimonianze
archeologiche furono trovati nei castelli e negli importanti edifici di
rappresentanza.
I frammenti ceramici ritrovati al Castelluccio non
rappresenterebbero probabilmente l’intero vasellame che era presente sulla mensa
del castellano. La mancanza di altri reperti potrebbe essere spiegata con
l’abbandono del castello in seguito all’incendio e probabilmente alla
trafugazione avvenuta nel tempo.
Jaume Ferrer o Pere Teixidor – “Santa o Ultima Cena” - 1450
Tempera su legno proveniente dalla predella di una grande pala d’altare.
La figura centrale di Cristo condivide un tavolo con gli Apostoli.
Vicino al Cristo la figura della Maddalenna. Spiccano i dettagli del
servizio da tavola,
in particolare una serie di ceramiche Manines di “Ave Maria dell’area
Valenziana.
Il quadro proviene dalla Chiesa di Santa Costanca de Linya ( Navès,
Solsonès - Catalogna) ed
è conservato nel Museo Diocesano e Regionale di Solsonès.
Particolare dell’”Ultima Cena” di Ferrer
Decisamente
interessane è la ricerca sulle fonti scritte in merito alla presenza di vasellame valenziano in Sicilia. Non ci sono
riferimenti storici nel XIV secolo, a differenza del XV secolo dove gli atti
notarili citano questo tipo di ceramica che viene appellata “ Mursie de Valentia, plattelli de Mursia e
placti de Malica…”
Atti
che permettono di conoscere gli acquirenti, le forme più richieste le quantità
acquistate e anche il relativo valore pecuniario. Documenti che riguardano
Palermo mentre per Terranova (Gela), centro minore, i riferimenti sono nulli
anche in merito ad un eventuale acquisto di vasellame da parte del feudatario
di Castelluccio.
Mancano
anche gli inventari patrimoniali dei vari feudatari di Castelluccio: non si sa nulla
di Pere Planells e poco di Luis Rajadell di cui non si sa nemmeno dove morì.
Mancanza di inventari anche per i successivi feudatari fino a Beatrice di Fanlo
e il suo secondo sposo Giovanni d’Aragona.
Il
vasellame fu portato nel Caricatore di Terranova ?
Mancano
le fonti sull’attività del “Real Caricatore”. È probabile che i signori del
castello, Pere Planells, prima e Luis Rajadells, forse in maggiore misura,
portarono nel loro viaggio dalla Catalogna verso la Sicilia insieme con re
Martino I, parte del vasellame pregiato in loro possesso.
Altra
ipotesi potrebbe essere legata al commercio quando il Mediterraneo nel XV
secolo era solcato dai mercanti catalani, genovesi, pisani veneziani. Mercanti
che erano diretti nei porti di Palermo, Trapani, Siracusa, ecc. per
commerciare di tutto dalla lana ai
tessuti, pellicce pettini, dadi, spezie, cuoio, manufatti di rame e coltelli,
carta e anche ceramiche, in cambio prevalente di grano.
La
ceramica in generale, dato il costo, costituiva solo una piccola parte del
carico e veniva imbracata nel porto di Valencia che era il distributore dei
manufatti per l’esportazione. Manufatti che viaggiano in giare di terracotta e
una volta svuotate al loro arrivo, venivano riempite di grano per essere
rispedite in Spagna.
Un
documento conservato all’Archivio di Stato di Palermo, datato inizio XV secolo,
cita la presenza nella città di due mercanti: Gabriel Apparisii, valenziano, e
Francesco Guirardi, di Perpignan che “
vendono delle giare di stoviglie valenziane ad altri mercati palermitani”.
Probabilmente queste stoviglie venivano da Palermo redistribuite nell’isola verso
altri porti o caricatori, tra cui Terranova, secondo le richieste di mercato.
Rajadells
si rivolse a questi mercanti per avere le stoviglie da consegnare al
“Caricatore Reale “ di Terranova ?
Per
quanto riguarda lo scambio della merce con il grano siciliano, l’attività
legata al commercio di cereali dal caricatore di Terranova era conosciuto sin
dal periodo di Federico II di Svevia ed è un commercio molto elevato.
Re
Martino I, con un privilegio del 3 agosto 1407, confermò a Luis Rajadells il
diritto di esportare ben 500 salme di grano dal caricatore. Lo stesso privilegio venne riconfermato più volte da parte di Re
Alfonso V, nel 1417 e ben due volte nel 1425 con “tratte esonerate di tasse assegnate a Giovanna, nipote di Rajadells e
moglie di Arnaldo Villademani”.
(In
una tabella riassuntiva delle durate dei percorsi tra porti ridistributori e
caricatori, Henri Bresc cita il percorso
Palermo – Terranova in 35 giorni. Nel 1308 -09 vi furono esportate 1200
salme di grano e nell’anno successivo meno di 5000 salme).
Anche
se i quantitativi sono adesso modesti, 500 salme (circa 127 tonnellate dato che
1 salma corrisponde a 254 kg), forse perché legati a avverse condizioni
climatiche, resta importante la tesi secondo la quale il caricatore di
Terranova potrebbe essere stato usato per l‘arrivo della ceramica.
Su
un’assegnazioni di 500 tratte annuali attribuite al Rajadells, 200 e poi 300
salme di frumento furono esportate verso la Catalogna; alla fine dell’anno
circa 200 salme furono esportate su un’assegnazione dell’Università. Malgrado
l’annata (1407) di crisi il caricatore
di Terranova, nonostante fosse uno dei più importanti per il commercio del
grano, accolse solo 8 imbarcazioni tra cui 4 catalane. Nelle navi arrivate
dalla Catalogna c’erano delle giare con maiolica valenziana ?
Luis
Rajadells sembra aver il monopolio per il commercio del grano diretto anche
verso la Catalogna.. quindi “unico e solo esportatore”. Il Trasselli precisa
infatti che nell’organizzazione commerciale del Caricatoio di Terranova “… pare non vi fossero addirittura mercanti”.
La
presenza dei mercanti era fondamentale per il commercio della ceramica a lustro
tra il vasaio e i clienti. Rajadells
probabilmente si mise in contatto con mercanti catalani o forse con uno
dei sette mercanti liguri che erano insediati a Licata. Infatti nel XIV—XV secolo, la Liguria aveva
un rapporto diretto ed intenso con la Corona d’Aragona per il commercio della
maiolica a lustro attraverso la famosa compagnia di navigazione “Datini” di
Prato.
(Bibliografia : MEDIAEVAL SOPHIA 18; gennaio-dicembre 2016)
Le
piccole quantità di grano esportate dal caricatore di Teranova si potrebbero
spiegare sia con le cattive annate, sempre presenti nelle stagioni agrarie, sia
con la concorrenza dei vicini caricatori di Falconara e Pozzallo. Nel caso di Falconara
le notizie sono rare. Per Pozzallo invece il diploma d’investitura concesso da
re Martino I a Bernat Cabrera nel 1392, concedeva di esportare fino 12.000
salme di frumento e orzo essenzialmente, senza spese di dogana. Poi nella zona
c’erano anche i caricatori di Sciacca, Agrigento e Licata che esportavano
considerevoli quantità di cereali.
La
presenza della ceramica a lustro a Castelluccio rappresenta in ogni caso una
testimonianza di vita elevata e di intensa attività commerciale.
Furono trovati anche dei frammenti di alberelli che
però si riferiscono ad un periodo successivo. Alberelli che furono trovati
anche a Gela, in Piazza Santa Maria di Gesù, e nel Castello di Delia.
Presentano una morfologia cilindrica più o meno allungate e sono privi di piede.
L’alberello di Castelluccio è in maiolica decorata in bruno e verde scuro,
probabilmente di produzione locale ed è riferibile ai primi decenni del XV
secolo. Quelli di Gela e di Delia sono in maiolica bianca e risalgono al XVI
secolo. Furono trovati anche ad Ispica, Modica, Vittoria e Ragusa, sempre in
contesti abitativi. Erano destinati a contenere spezie da cucina come sale,
zucchero, cannella , pepe ecc.
Alberello di
Faenza –
Ceramica del XV
secolo
Il frammento presenta sulla testa
una corona regale in blu cobalto tracciata in
modo schematizzato e campito a
reticolo in lustro quasi svanito. Lo smalto della parete
esterna è totalmente danneggiato e
il motivo decorativo quindi scomparso. Il motivo
della corona regale in blu cobalto
con area a reticolo dorato è un motivo ben noto nel palazzo Steri di Palermo e
a Pisa. Altri contesti archeologici italiani attestano la presenza di frammenti
di forme aperte decorate col motivo “a corona” tracciato nello stesso modo, e
datate al XV secolo rinvenuti negli scavi napoletani, ferraresi, savonesi e fiorentini.
E’ presente anche nel sud-est della Francia e in aree geografiche molto estese e
a contatto diretto, sia terrestre che marittimo, con la Corona d’Aragona.
Gli scavi del Municipio di Messina
(cortile di palazzo Zanca) hanno portato alla luce, tra vari frammenti di
maioliche decorate a lustro d’importazione spagnola datate nel XV secolo, delle
ciotole decorate col motivo della corona eseguita in blu cobalto.
Su un frammento di queste ciotole,
la corona si presenta in un modo molto schematizzato con all’esterno fiori
eseguiti anche in blu cobalto.
L’apparente schematizzazione del
motivo decorativo, porta a pensare che il manufatto faccia parte di una
produzione di seconda scelta destinata ad una clientela meno esigente. Questo
motivo schematizzato, presente anche in altri rinvenimenti italiani e non,
conforta la probabilità secondo la quale la Corona d’Aragona abbia esportato con
successo tutta la sua abbondante produzione e che il mercato sia stato sufficientemente
ampio per accontentare tutti i acquirenti.
PROBLEMATICHE
Malgrado il lavoro della Sovrintendenza che ha operato
il restauro, il sito è in abbandono e all’azione dei vandali. La stessa
recinzione è stata divelta.
https://www.quotidianodigela.it/castelluccio-deturpato-con-vernice-spray-ditta-gelese-si-offre-di-ripulirlo-gratis/
LA LEGGENDA DEL “CASTELLUCCIO”
La
leggenda parla di una bella castellana dalla lunga chioma nera che con la sua
voce melodiosa incantava i contadini che lavoravano nella zona e i numerosi
viandanti che attraverso l’antico percorso s’inoltravano verso la valle del
fiume Gela. Si è tramandato che i contadini, attratti da quella voce, s’avvicinavano
al castello per poi sparire. Altri affermano di aver visto in piena notte un
cavaliere con un armatura luccicante che s’aggirava intorno al maniero per poi
sparire. Nessuno dei contadini riuscì mai ad avvicinarlo. Tutti avvenimenti che
mettevano paura ai braccianti a tal punto che nessuno voleva lavorare nella
zona adiacente al castello mentre i proprietari dei terreni si tenevano
cautamente a distanza.
Non
può mancare la notizia di un tesoro nascosto, quello che in siciliano si chiama
“a truvatura”.
La
credenza popolare cita la bella castellana alta ed esile, vestita con un manto
azzurro che nelle notti di luna luccicava intensamente. Un aspetto, a dir poco
inquietante, era legato al suo strano rossetto verde, tanto verde che alcuni
pensavano che provenisse dalla sua bile. Abitava nel castello, si occupava
della servitù ed accoglieva i cavalli in occasione delle riunioni del signorotto per discutere con gli altri
nobili di questioni militari. Gli uomini ne erano attratti ma chiunque tentasse
di avvicinarla spariva nel nulla, non faceva più ritorno. Una figura bella ma
anche crudele, severissima con i servitori ed ambigua, sfuggente.
Fatta
eccezione per le riunioni importanti d’armi, nessuna faceva visita al castello.
I nobili per discutere d’affari preferivano inviare dei messaggeri che anche
loro, purtroppo, non facevano più ritorno e strano, a dirsi, stessa sorte
facevano anche i colombi viaggiatori.
Non
si sa se questa mitica castellana sia mai esistita così come non ci sono
riferimenti, narrazioni, sul mitico tesoro. Un mitico tesoro legato forse alle
strane ombre che si aggiravano tra le mura del castello proprio per proteggere
quel tesoro. Non ci sono nei testi di riferimento sulle leggende di Gela, alcuna
citazione su queste narrazioni.
Una
cosa è certa.. l’esistenza nel castello di un tunnel sotterraneo, che nessuno
ha mai percorso, che porterebbe fino alla città di Gela ed esattamente dentro
la chiesa di San Benedetto conosciuta come “A Batia”.
IL CASTELLUCCIO E LA DIVISIONE LIVORNO – 10 – 11 LUGLIO 1943
Il
10 luglio 1943 le truppe americane, inglesi e canadesi sbarcarono in Sicilia
tra Licata e Siracusa per quella azione militare che sarà ricordata nella
storia come “operazione Husky”.
L’invasione
fu una svolta decisiva nella scenario della Seconda Guerra Mondiale e segnerà
la fine del regime fascista.
Nello
sbarco lungo la costa meridionale della Sicilia, la città di Gela sarà teatro
di aspri combattimenti e saranno tante le pagine di “storia nella storia”
dimenticate.
La
“Divisione Livorno” è una di queste
pagine che per tanto tempo fu dimenticata. Nello stesso giorno 10 sferrerà un
attacco contro gli Alleati con grande coraggio per poi ripiegare su Monte
Castelluccio. L’indomani la “Divisione
motorizzata Livorno” sferrerà un attacco alla Prima Divisione Americana e sarà
il III Battaglione del 34° Reggimento a travolgere le linee statunitensi fino
all’abitato di Gela. Poi la reazione americana,
la mancanza dei necessari rinforzi…sarà una carneficina per i valorosi
uomini della Livorno che saranno costretti a ripiegare proprio su Monte
Castelluccio, tra i ruderi silenziosi testimonianze di secoli di storia, dove
resisteranno ad oltranza per circa 24 ore…..
“L’Onore
Dimenticato” come scrive lo storico Pier Luigi Villari in un suo libro..
Nella pianura
sottostante il Castello c’è un Monumento ai Valorosi Caduti che purtroppo è
stato spesso oggetto di profanazione e vandalismo..
http://www.cicogna.info/castelluccio-19-08-2014-4/
Vicino al Castello delle “casematte” e un bunker che
testimoniano l’importanza strategica del sito perché a poca distanza c’era
l’aeroporto militare di Ponte Olivo.. la cui storia sarà descritta nella mia
prossima ricerca che farà parte del
percorso a tema “Aeroporti Militari della Sicilia” con le loro tragiche storie.
----------------------------------------------------------------------------------------
CASTELLI
PROVINCIA
DI CALTANISSETTA
(DESCRITTI
NEI POST PUBBLICATI)
Commenti
Posta un commento