IL "CASTELLUCCIO" DI GELA

I  CASTELLI  DELLA  PROVINCIA  DI  CALTANISSETTA
Il  CASTELLUCCIO  DI  GELA





UBICAZIONE. 2
STORIA.. 4
ARCHITETTURA.. 12
RESTAURI – REPERTI – CERAMICA DI VALENCIA.. 15
PROBLEMATICHE.. 23
LA LEGGENDA DEL “CASTELLUCCIO”. 23

IL CASTELLUCCIO E LA  DIVISIONE LIVORNO : 10 – 11 LUGLIO  1943  25

UBICAZIONE

Il Castelluccio, o “Castello Svevo” si trova su una collina gessosa, in contrada “Spadaro”, dominante la costa  e a difesa  del percorso interno lungo la valle del Fiume Gela cioè del crocevia che conduceva a Piazza Armerina, Butera e Mazzarino.
Distante circa 10 km da Gela, è facilmente raggiungibile percorrendo la Strada Statale “SS 117 bis”










STORIA

Le origini del castello, secondo alcuni documenti, risalirebbe a  prima del 1143 quando il Conte Simone di Butera (membro della famiglia Aleramica)  “donò” alcuni appezzamenti del feudo all’abate del Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi.
In realtà già ai primi del XII secolo era presente tra i boschi di Nicolosi un piccolo complesso costituito da: un antica chiesa rupestre, di formazione spontanea arenosa; un ospizio per il ricovero di monaci infermi; qualche casolare e una stalla. Il complesso era di proprietà di un certo Letho. Alla morte del proprietario questi beni passarono in custodia del vicino Monastero di Sam Leone del Colle “Pannacchio” situato nei pressi dell’antica Malpasso (Belpasso) e fondato nel 1136 da Enrico Del Vasto e distante circa 2 miglia dal ospizio di Nicolosi. Il Monastero di San Leone  nel 1205 venne unificato al Monastero di Santa Maria di Licodia, costruito nel 1143, Il monastero di San Nicolò l’Arena a Nicolosi venne costruito sul vecchio complesso solo a partire dal 1359 e prese il nome di  “La Rena” per la caratteristica terra sabbiosa che ricopriva la zona.
Tutti monasteri  dei monaci Benedettini di Catania.

Nicolosi – Monastero di san Nicolò La Rena

Nicolosi – Monastero di San Nicolò La Rena (oggi)
Il Monastero di San Leone in Pennacchio venne distrutto da un eruzione dell’Etna

Dipinto del Monastero di San Nicolò La rena - Nicolosi
http://win.lafrecciaverde.it/n111/Nicolosi/articolo.html


Il castello infatti figura in questi documenti del tempo come il limite di un immenso feudo appartenente ad un nobile dell’epoca che avrebbe “donato” alcune terre in comodato d’uso, per metterle a coltura, ai monaci benedettini della città di Catania.  Terre in comodato d’uso che ad oriente confinavano con il castello. Un contratto legato ad un atto di penitenza per remissione di alcuni suoi peccati. 

Ma chi era Simone di Butera ?  Fu indicato anche con gli appellativi di Simone del Vasto, Simone d’Altavilla, Simone di Policastro e Simone Aleramico.
Alcuni storici lo citarono come figlio legittimo di re Ruggero I e della terza moglie Adelaide Del Vasto e altri ancora come fratello di Ruggero II..

Il Pirri invece lo indicò come figlio di Enrico del Vasto, figlio del Marchese Manfredi di Monferrato, Conte di Policastro, “lombardo di nazione e quindi fratello germano di Adelaide, terza moglie del Conte Ruggero”.. Il Pirri spiegò la sua analisi affermando  che “una volta Ruggero riordinati gli affari in Sicilia pensò di costituire a Flandrina, sua sorella, un nuovo sposo nella persona di suo fratello cognato Enrico per la morte di Ugone, di lei marito, e gli dotò la Signoria di Paternò, ove egli si stabilì e fece soggiorno”. Il Pirri nella sua analisi mise in risalto la grande benevolenza di Enrico  Del Vasto verso i cittadini e la sua grande fede cristiana….” Il suo governo, pieno di dolcezza, si segnalò nell’accrescere lo splendore delle chiese, che accrebbe e dotò nei confini del territorio della città: edificò la chiesa di San Leone in Pannacchio, ne costruì il monastero, che arricchì di terre, e nell’anno 1136 lo donò a F. Giovanni Malfitano, Benedettino di Santa Agata. Nello stesso anno alla chiesa di Santa Maria de Valle Josaphat aggiunse il dono del Casale di Massepe, ossia Hoylmelmesef, con tutte le sue pertinenze, ed altre vicine terre di Paternò. Il Carrera lo considerò sì religioso che appianò, egli dice, alcuni dissapori tra lui e i PP. Benedettini; a lui parve di vedere in sogno S.Agata, che gli intimava la riconciliazione, alla quale, appena svegliato, aderì. Cessò di vivere quale visse santamente e lasciò da Flandrina quattro figli: Simone, che successe nella Signoria di Paternò, Ruggero, Manfredi e Corradino”.
“ Simone non fu meno grande del padre e sebbene fosse immaturo il termine di sua vita, non fu meno generoso e devoto, onde costruì nuove chiese; alle esistenti aumentò i redditi; nel 1156 donò al monastero di San Leone in Pennacchio, l’ospedale di San Nicolò l’Arena con le case e le vigne, e altre terre, un tempo vigne della Contessa Flandrina, sua madre; nel 1198 edificò la chiesa di Santa Maria di Licodia la Vecchia, alla quale donò due feudi di mandorli, uno detto di Scannacavoli e l’altro di S. Nicolò del Canneto, nella terra di Butera, alcune terre nella contrada dell’Ogliastro, oggi Rotondella, e molte altre terre nel circuito di Licodia, la chiesa del SS. Salvatore di Cerami e quella di S. Filippo del Pantano, che è vicino al molino di Bellacortina, la quale donazione fu fatta a Fra Geremia, Benedettino di Catania. I vestigi di questa diruta chiesa fecero ingannare molti curiosi che li idearono residui del tempio dei Palaci. Ivi una infranta colonnetta si vede tuttora una iscrizione indecifrabile”.
Simone era quindi nipote di Adelaide del Vasto e del gran conte Ruggero d’Altavilla e alla morte del padre Enrico diventò il capo degli Aleramici di Sicilia, il conte dei Lombardi di Sicilia ed ereditò i possedimenti del padre tra cui la Contea di Butera e quella di Paternò. A queste si aggiunse anche la Contea di Policastro e la Signoria di Cerami.
Lo stesso luogo, indicato con il termine latino “Castellucium” fu riportato in un diploma del 1334 e legato ad una conferma  d’uso allo steso monastero e degli stessi beni. Un privilegio emesso dalla regina Eleonora d’Angiò, moglie di Federico III d’Aragona. Secondo altri storici il castello risalirebbe al XIII secolo per la sua architettura sveva. Altri storici avanzarono l’ipotesi di una possibile origine araba e successivamente completato o ristrutturato dai normanni.




Il castello passò con il relativo feudo, per il tradimento di Simone che si schierò contro Guglielmo il Malo, ad Anselmo da Moach nel XIV secolo e successivamente agli Aragonesi.
Nel 1348 – 1350 il castello fu danneggiato a causa dell’assedio di Terranova da parte degli Aragonesi.
Nel 1364 il castello con il relativo feudo fu donato da Federico IV d’Aragona a Perollo (Pietro III ?) da Moach, milite caltagironese e pronipote di Anselmo da Moach.
(Nel 1295 nella genealogia della famiglia è presente un altro Perollo – Pietro II – milite, barone di Sortino, Bussello e Rilmadali).
Si tratta di una donazione dei beni ubicati nel territorio di “Eraclea” (Terranova – Gela) comprendenti il Castelluccio ed i territori circostanti.
Questo documento evidenzia due aspetti fondamentali:
-          L’edificio attuale esisteva nella pianura gelese;
-          L’edificio, di proprietà del Regio Demanio, era stato già concesso in feudo nel XIII secolo

Ramo cadetto di una famiglia Normanna scesa in Sicilia nel XII secolo e residente a Palermo.
Nel dicembre del 1120 Ugo ed Urso de Mohac si trovano sottoscritti in un diploma del
Conte Goffredo di Ragusa.  Ugo ed Urso sono i primi esponenti della famiglia di cui si ha notizia in
documenti ufficiali. Molto storici siciliani citarono la famiglia tra cui il Villabianca ed il De Spuches Sammartino.
Intorno al 1130 è accertata la presenza di Gualtiero I de Mohac, forse figlio di Ugo, in Sicilia ed è
una figura importante nella scena politica della Sicilia.
Da Gualtiero nacquero. Gualtiero II, Ansaldo, Aquino, Rainaldo e Goffredo.
Una famiglia che si mise in evidenza nella carriera militare e che nel XVI secolo, ormai priva di feudi,
si trasferì a Monreale
“Moach” deriverebbe da Modica, famosa Contea al tempo dei Normanni.
Nell’ex feudo di Canicarao, una delle aziende era nominata “Don Pietro” e risultava  appartenuta nel
Medioevo ad un “Don Pietro da Moach ..infante..”

La mancanza di fonti non permette di studiare con chiarezza le vicende del castello nei secoli successivi.
Nel 1404 Terranova e il Castelluccio furono assegnati a Lluis (Ludovico ?) Rajadells, uno dei cavalieri al seguito del re Martino I d’Aragona. Il cavaliere fu uno degli organizzatori della campagna militare in Sicilia.


 Rajadelli, Rayadelli o Rajatellis.
Originaria della Spagna e scesa in Sicilia con i Martini.
Si trattava di un Ludovico milite e camerlengo che ricevette i feudi Bonvicino o
Silvestro, Pantano di Lentini, Caltavuturo e i diritti e proventi del castello e
della Terra di Terranova, ecc.
Approfondendo con ricerch, sono venute a conoscenza della sua origine da una
nobile famiglia Catalana.
Nella provincia di Barcellona e nel distretto giudiziario di Manresa è presente
una città chiamata Rajadell. Probabilmente la famiglia avrà avuto origine in
quella cittadina prendendone il nome oppure fondata dalla famiglia
a cui diede il nome.
Nel XIII secolo Un Pedro R. e Bernardo R si trovavano  a Urgell (Lleida) e servirono
il re Giacomo I d’Aragona nella conquista di Valencia.
Pedro R. “ha servito nella conquista da Valencia con persone a cavallo e ha ottenuto che
Don Jaime abbia ricompensato e sue imprese dandogli il posto di Castellonet
che oggi appartiene al partito giudiziario di Gandia.”

Famiglia Rajadelli che era presente nel tessuto sociale siciliano del 1400.
Nell’agosto del 1400 vennero presentati al re di Spagna (Martino I “Il Giovane”) i  capitoli
della città di Palermo. Tra i capitoli i problemi dell’annona.
Gli ambasciatori palermitani fecero presente che per l’anno in corso la città
aveva bisogno di 15.000 salme di grano. Le 1000 salme che gli Alcamesi avevano inviato a Palermo
erano insufficienti. Grano che proveniva dalle “masserie di cittadini palermitani, non alcamesi”.
Inoltre ..”li terri et baruni convichini si rifiutavano di mandare lu frumentu di li terragi di li
feudi et territori di quista chitati”. Il re difronte a queste motivazioni dimostrò una grande disponibilità e rispose che
avrebbe provveduto “adeo quod civitas non sustinebit”( non avrebbe sostenuto a lungo questa carestia).
Dopo un mese circa informò il senato civico che il camerlengo Ramon Xatmar era disposto a consegnare alla città
200 salme di frumento e 200 d’orzo.
La penuria di grano continuò a tormentare la città anche sotto il regno della regina Binaca di Navarra.
Nell’ottobre del 1412 la “pinaccia” “San Pietro” (un imbarcazione  che presentava una lunghezza dai 20 ai 25 metri, una larghezza fra i 5 e gli 8 metri con una capacità di carico di 60 tonnellate) del catalano Giovanni Pages, era stata
noleggiata dal “miles Aloisio Rajadellis” per trasportare frumento da Siracusa a Barcellona.
L’imbarcazione si fermò nel porto di Palermo per un danno alle vele.
Si era spezzato, a causa del vento, un albero. I palermitani presero le vele e costrinsero il Rajadells a scaricare
 il grano nella città senza che Pages, proprietario dell’imbarcazione, si opponesse. Alle proteste del Rajadellis,
che voleva riparare l’albero spezzato e recuperare il frumento per proseguire il suo viaggio verso la Spagna, 
Giovanni Pages rispose realisticamente che per ..” gracia de Deu la venda de tot lo dit gra ai genovesi
Simone Gentile e Tommaso Spinola, effettuata a Palermo dai corrados cathalans Giovanni Olzina e
Berenger Piug, era stata assai vantaggiosa”.
Sulla fame di grano dei Palermitani speculavano, questo accadeva spesso, i mercanti genovesi e
catalani per iquali gli affari erano sempre al di sopra di tutto anche degli accordi economici.
Il “miles Aloisio De Rajadellis” il 23 aprile 1398 fu rimborsato dal re per “il denaro speso per
il biscotto, il sego ed altre cose necessarie a rifornire la sua galea” mandata a Palermo con
l’ex arcivescovo ed altri prigionieri suoi complici.

(foto dello stemma è tratta dal sito:



È un periodo confuso per la storia del castello perché le notizie, anche se scarse, si contrappongono alimentando incertezze storiche.
Verso la fine del XIV secolo il castello fu concesso da re Martino I a Ruggero o Riccardo Impanella e nel 1422  a Ximena (Ximeno de Corella) coppiere regio.
Il nobile Impanella si sarebbe allontanato dal castello “senza regia autorizzazione” e per punizione perse il castello con l’annesso e vasto feudo che fu concesso al “de Corella”.
Secondo un'altra fonte, probabilmente errata, Ruggero Impanella vendette il castello con il feudo a “Simon de Carella”.

Corella – Stemma
La famiglia Corella ad esempio è di origine longobarda le sue memorie risalirebbero al periodo
 di Federico II di Svevia. Lo storico Morgia Paolo riferì in un libro stampato 
nel 1595 “Nobiltà di Milano in sei libri”  di 
“essere questa una delle più nobili ed antiche famiglie di Milano…”

Una susseguirsi quindi di notizie poco chiare perché il castello nel 1423 si trovava in possesso dei Rajadells con “il mero e misto impero”.
Ludovico de Rajadello ebbe il castello con tre privilegi emessi nelle città di:
-          “Agosta” (Augusta) il 17 ottobre, 13. Ind., 1404;
-          “Catania” il 3 agosto, 15 Ind., 1407
-          “Catania (?)” nel 1416.
 “Possedette intanto esso di Rajadello quasi intero il domino di quello Stato”.
Alla sua morte il castello e lo Stato passò “in potere di Giovanna ed Arnoldo de Villademanio come di lui eredi”.
Giovanna era la figlia della sorella di Ludovico.
Il re “concedette a costoro (Giovanna e Arnoldo) la conferma dè loro privilegi con doppj diplomi dati in Cesaragosta nel dì 1 Marzo 1425, esecutoriati in Catania il 20 e 22 ottobre 4.Ind. 1425”.
(”Cesaragosta” dovrebbe essere il nome della città romana di Saragozza, fondata come una colonia immune di Roma intorno al 14 a.C, sulla città iberica di Salduie).
Arnoldo de Villademanio vendette i suoi beni a Beatrice de Fanlo ..”alla quale costò il prezzo di 10 mila fiorini d’Aragona, ciò rilevandosi dal contratto, che negli atti rogati di Notaio Giovanni Majnardo di Caltagirone il 17 gennaio 11.Ind. 1432”.
Costanza, figlia di Beatrice de Fanlo  portò il castello in dote a Berengario Crujllas “suo consorte, a cui non avendo partorito figli, dopo la sua morte tornò a succedervi la madre Beatrice”.
Beatrice de Fanlo prese l’investitura dello Stato il 20 settembre, 2 Ind. 1453 in Palermo e, rimasta vedova,  si sposò quindi in seconde nozze con Giovanni d’Aragona, barone di Avola e parente stretto dei sovrani spagnoli.
Da questi genitori nacque Gaspare d’Aragona che s’investì di essa Ducea in Palermo 8 Marzo, 14 Ind. 1480…(Gaspare sposò Chiara d’Aragona)  cui seguì Carlo suo figliolo, che ne ottenne la conferma dal Ser. Re Ferdinando con Real Privilegio segnato in Napoli nell’anno 1506”.
Chiara d’Aragona rimase vedova e sposò in seconde nozze Luigi de Requesenz, cancelliere dei re. La figlia di Carlo, Antonia Contessa d’Aragona, ricevette l’investitura il 15 giugno, I Ind. 1513 e lo portò in dote a Francesco Tagliavia Aragona, Conte di Castelvetrano.


Fanlo
Un antico nome di origine Aragonese e registrato per lo più
in Catalogna, province di Saragozza, Huesca e Barcellona

Un “miles” della famiglia è al servizio della Regina Binaca di Navarra.
Aprile – Maggio 1392, Enrico Chiaramonte, fratello di Andrea Chiaramonte, partecipò alla
difesa di Palermo durante l’assedio aragonese. Nella rivolta ci fu anche un preteso
complotto contro la vita del re aragonese Martino I “Il Giovane”, duca di Montblanc..
Nella schiera dei palermitani, che non avevano aderito alla rivolta e sostenuti dal re, c’era il
“miles Ruggero Paruta”. Il fratello di Ruggero Paruta era stato catturato dal
Conte Antonio Ventimiglia che, dopo averlo condotto nella prigione nel suo castello di
Roccella, lo fece giustiziare facendogli tagliare il naso e le mani.
Ruggero Paruta sin dal primi momenti in cui i Martini, Il Giovane e il Vecchio, nipote e zio, sbarcarono in
Sicilia, si mostrò fedele alla corona aragonese e fu un importante punto di riferimento politico e
militare per i due aragonesi.
Nel 1397 gli fu affidato il castello di Monte San Giuliano e successivamente fu mandato a Corleone
dove fu prima castellano e poi capitano. Non riuscì ad entrare nella scena politica palermitana per l’accesa
opposizione del potente secreto Nicolò Sottile che gli fu sempre acerrimo nemico.
Alla morte di Martino I, Il Giovane, Ruggero Paruta si schierò a fianco della Regina Bianca
di Navarra mentre Nicolò Sottile si schierò a favore del Conte di Modica,
Bernardo Cabrera, suo amico e sostenitore da vecchia data.
Il 15 agosto la regina Bianca ordinò a Gabriele de Fanlo di consegnare a Ruggero Paruta,
che si era recato a Taormina con la galea di Palermo, due grandi balestre che appartenevano al defunto re Martino I e che erano conservate nel guardaroba del castello di Taormina.
Era un momento molto delicato nella scena politica siciliana e la stessa regina comunicò al suo
capitano (Gabriele de Fanlo), al pretore, ai giudici ed all’Universitas di Palermo, che si apprestava
a raggiungere la città via terra con il grosso dell’esercito, mentre la sua roba sarebbe arrivata
“per mari cum la galea”.


La documentazione archeologica si ferma verso la fine del secolo XV. Infatti il castello fu abbandonato a causa di un incendio che provocò anche la caduta dello spigolo settentrionale della torre est.


la Piana con coltivazione di carciofi - Un prodotto tipico della zona

https://gela.italiani.it/il-castelluccio-di-gela/
Agli inizi del XVI secolo il castello fu restaurato con notevoli modifiche alla struttura (probabilmente in concomitanza con analoghi lavori nel castello di Mazzarino) ad opera degli Aragona Tagliavia. L’edificio venne ingrandito, si coprì il terrazzo e la relativa merlatura aggiungendo un ulteriore piano che portò il fabbricato all’altezza delle torri.  Si creò in definitiva un tentativo di trasformazione del castello in Palazzo: furono sopraelevati i muri meridionale e settentrionale e venne restaurato lo spigolo crollato della torre est e una serie di adattamenti interni. L’intervento permise ai merli, essendo inglobati nella nuova muratura del’ 500, si sopravvivere fino ai nostri giorni.
Poco prima della metà del XVI secolo i lavori di ristrutturazione si fermarono probabilmente a causa del terremoto del 1542 che colpì con violenza la zona. Il castello venne quindi abbandonato subendo ulteriori danni,
Attraverso gli eredi sarebbe passato al patrimonio degli Aragona di Terranova e quindi ai Pignatelli seguendo quindi le vicende dinastiche della famiglia fino all’abolizione della feudalità nel 1812.
Gravissimi i danni legati al pesante bombardamento del 10 luglio 1943.





ARCHITETTURA


Più che un edificio militare sembra invece un edificio-fortificato o residenziale. Due elementi spinsero gli studiosi ad avanzare questa ipotesi: la notevole distanza dalla città “Terra Vecchia”, e successivamente “Terra Nova”, e quindi inadatto per svolgere un azione immediata difensiva sulla città e la sua dimensione modesta perché non era in gradi di ospitare una guarnigione numerosa. Gli stessi storici indicarono il Castelluccio con il termine “domus solaciorum” (“Castello di Svago”) costruito sulla sommità di un colle.
L’Imperatore Federico II di Svevia emanò un decreto sullo “Statum de reparatione castrorum”, la cui prima stesura risalirebbe al 1231. Si trattava di uno Statuto che aveva come obiettivo la riparazione dei castelli. Nello stesso Statuto erano elencati i castelli e le “domus solaciorum” (case di svago) alla cui riparazione erano obbligate alcune comunità e persone. Lo Statuto operava anche una netta distinzione tra i “castra” (castelli) e le “domus”.

Il castello sorge su un affioramento di roccia gessosa che fu opportunamente livellato per la creazione di un piano di posa omogeneo. Fu adoperata pietra locale gessosa, calcarenite gialla del muro greco di Caposoprano ed appena sbozzata, per i muri perimetrali e per i cantonali (rinforzati) mentre per le cornici delle aperture fu invece utilizzata la pietra calcarea ben squadrata.
La quota di calpestio fu in origine abbassata sul lato meridionale e rialzata a settentrione e nella torre est con la realizzazione di un ciottolato.

Presenta una pianta rettangolare (30,60 x 10,90) metri. Il rettangolo di base equivale alla somma di tre quadrati, suddivisi in sei spazi da quattro archi ad ogiva e da un muro, posto all’stremità orientale. Una monofora a strombatura archiacuta è la caratteristica più importante del prospetto Nord. È probabile che l’apertura facesse parte di una cappella primitiva che fu obliterata durante i lavori di ristrutturazione e ampliamento.
Presenta due possenti torri poste ai lati. La torre ovest, che proteggeva un ingresso inferiore, presenta ancora i resti di una cisterna e al primo piano un vano residenziale con latrina. La torre ad est presenta una cappella che è scavata nello spessore murario.


All’interno sono visibili i resti di un camino monumentale. Una seconda fase vide la profonda trasformazione della parte orientale con l'inserimento del camino con fasci di colonnine trecentesche, alla base l'apertura di una monofora sul prospetto settentrionale e la costruzione della torre est. A sud si rileva la presenza di una terza torre che è ritenuta falsa perché ricostruita completamente durante i restauri del’ 90.


Probabilmente aveva più piani. Un ipotesi legata alla presenza della doppia fila di finestrelle. Anche se ridotto a rudere si possono ricostruire le funzioni delle varie parti. Sono presenti ancora parte degli ambienti che erano destinati a stalle, armeria e a sala residenziale. Del piano nobile rimangono solo le mura perimetrali.
A causa dell’assenza di fonti si fa fatica a collocare il castello all’epoca di Federico II di Svevia. Interessante è  comunque il paragone tra il “Castelluccio” e il “Palazzo” che venne edificato presso il Castello di Milazzo, tra il mastio e la torre di nord-ovest. Le due strutture hanno dei punti di contatto nella pianta e nei prospetti meridionale per il “Castelluccio” e nord-ovest per il “Palazzo” di Milazzo.



RESTAURI – REPERTI – CERAMICA DI VALENCIA



Nel corso del tempo l’edificio ha subito danni e perdite. Durante i lavori di restauro degli anni ’90, una porzione di parete crollò per cedimento strutturale. Fu ricostruita con l’aggiunta di un’incastellatura di acciaio per rendere accessibile la parte sommitale del castello. Grande fu la soddisfazione dei tecnici quando furono rinvenuti bronzi, ferri e parti di manufatti ceramici risalenti al XIV – XV secolo.
Gli scavi archeologici del 1987-96 svelarono importanti notizie sul “Castelluccio” perché furono individuate le seguenti fasi di vita:
-          XIII secolo, da collegare all’epoca di Federico II di Svevia;
-          XIV secolo, periodo in cui sembra che il castello abbia mantenuto la sua funzione militare a presidio dell’importante via di comunicazione;
-          XV secolo quando alla guarnigione militare si aggiunse nel castello la presenza di “un funzionario con famiglia” perché vennero utilizzate “ciotole, catini e boccali in maiolica decorata in bruno e verde, nonché maioliche decorate a lustro importate dalla Spagna”.
(Il Lustro è un antica decorazione mediorientale che attraverso un impasto di sali metallici e argilla diluito con aceto di vino, e una speciale cottura, produce effetti cromatici iridescenti, di colore giallo oro, rosso rubino, argento. Il lustro si applicava a pennello su superfici di oggetti già ultimati, smaltati e cotti, si solito negli spazi che venivano lasciati appositamente non decorati dall’artigiano. Una volta decorati venivano nuovamente infornati.)

Piatto dell’Ave Maria
Spagna – Manises (1420 – 1440)
Ceramica decorata a lustro metallico e blu cobalto – diametro del piatto : 35,4 cm
Madrid, Instituto Valencia de Don Juan

Furono rinvenuti anche un importante quantità di manufatti di produzione siciliana e locale di uso quotidiano. Questa fase si concluse con un incendio che scoppiò proprio all’ingresso del castello per poi propagarsi all’intero edificio.
Gli scavi del Castelluccio portarono alle luce anche 5 monete relative ai regni di Alfonso V d’Aragona o di Giovanni d’Aragona , cioé in un periodo storico compreso tra il 1416 e il 1479.
Questi rinvenimenti permisero di  ipotizzare una fase di vita al Castelluccio almeno fino quasi alla fine del Quattrocento e che i frammenti ceramici siano contemporanei a questa fase di vita.
Nella prima metà del XV secolo il castello fu oggetto di ristrutturazioni legate ad un diversa distribuzione degli spazi interni che creò alla fine dei lavori tre zone distinti: un’area d’ingresso con
banchine murali, un grande salone con caratteristiche residenziali e un passaggio alla torre est forse a cielo aperto. Queste nuove sistemazioni potrebbero essere collegate alla reintegrazione di Terranova nel demanio ed all’insediamento di Luis Rajadells, consigliere e camerlengo di re Martino.  Nel 1397, Rajadells organizzò in Catalogna, insieme a Ramon Xatmar, una spedizione di soccorso per il re di Sicilia e fu incaricato nello stesso anno di rivedere i conti dell’amministrazione del vescovado di Monreale.

Nel 1403, Rajadells finanziò parzialmente il viaggio del sovrano verso la Catalogna e infine, nel testamento del re di Sicilia (1409), Rajadells beneficiò di 25.000 fiorini.

 Negli scavi furono riportati in luce 14 frammenti di ceramiche d’importazione spagnola e che sarebbero da collocare tra il XIV – prima metà XV secolo, prima dell’incendio e del periodo di abbandono rilevato dalla stratigrafia. Reperti che sono conservati al Museo Archeologico Regionale di Gela e che, mediante comparazione sia del corpo ceramico che della decorazione, indicherebbero una loro provenienza dall’area di Valencia. Si è potuto stabilire anche il relativo stile della ceramica, costituita da frammenti, classico gotico. Uno stile datato tra la seconda metà del XIV secolo e la prima metà del XV secolo. Un periodo in cui questo vasellame fu ampiamente prodotto e commercializzato dalla regione valenziana. Uno stile caratterizzato da motivi vegetali: foglie di prezzemolo, di edera e di cardo (acanto), fiori di brionia e poi stemmi, corone animali, figure umane e motivi epigrafici cristiani che sostituirono i motivi decorativi musulmani.

La tecnica della maiolica decorata a lustro è di origine mediorientale e sarebbe apparsa nel regno nazarí (l’ultima dinastia musulmana) di Granada intorno al XII secolo (centri produttori di Murcia,
Almeria e Malaga nell’attuale Andalusia) forse per via di artigiani iraniani e/o egiziani.
Nel XIII secolo giunse nell’area valenziana e si sviluppò nei centri produttori di Paterna, Manises e Valenzia con un grande successo commerciale principalmente nel Mediterraneo. Dal XV secolo in poi, numerosi altri centri, tra i quali Barcellona, Muel, Siviglia, Teruel o Saragoza, copiarono le botteghe valenziane ma con un impatto commerciale minore. Questo vasellame di prestigio era destinato ai ceti più alti delle società tardomedievali e rinascimentali europee e non, e le modalità di acquisto sono anche ben conosciute.
In Sicilia, i pochi manufatti provenienti dall’Andalusia risalgono eccezionalmente ai secoli XII-XIII. Le rare fonti documentarie e i rinvenimenti archeologici testimonierebbero un ampio commercio verso la fine del XIV secolo e soprattutto nel XV secolo, quando questo tipo di ceramica veniva scambiata prevalentemente con il grano di cui la Spagna scarseggiava. Gli abbondanti reperti sono distribuiti tra i grandi centri urbani (Palermo, Siracusa e Catania), i centri minori, tra cui Gela e altre città costiere, ed anche nell’entroterra e nelle isole minori.
Testimonianze archeologiche furono trovati nei castelli e negli importanti edifici di rappresentanza.
I frammenti ceramici ritrovati al Castelluccio non rappresenterebbero probabilmente l’intero vasellame che era presente sulla mensa del castellano. La mancanza di altri reperti potrebbe essere spiegata con l’abbandono del castello in seguito all’incendio e probabilmente alla trafugazione avvenuta nel tempo.

Jaume Ferrer o Pere Teixidor – “Santa o Ultima Cena” -  1450
Tempera su legno proveniente dalla predella di una grande pala d’altare.
La figura centrale di Cristo condivide un tavolo con gli Apostoli.
Vicino al Cristo la figura della Maddalenna. Spiccano i dettagli del servizio da tavola,
in particolare una serie di ceramiche Manines di “Ave Maria dell’area Valenziana.
Il quadro proviene dalla Chiesa di Santa Costanca de Linya ( Navès, Solsonès - Catalogna) ed
è conservato nel Museo Diocesano e Regionale di Solsonès.


Particolare dell’”Ultima Cena” di Ferrer

Decisamente interessane è la ricerca sulle fonti scritte in merito alla presenza di  vasellame valenziano in Sicilia. Non ci sono riferimenti storici nel XIV secolo, a differenza del XV secolo dove gli atti notarili citano questo tipo di ceramica che viene appellata “ Mursie de Valentia, plattelli de Mursia e placti de Malica…”
Atti che permettono di conoscere gli acquirenti, le forme più richieste le quantità acquistate e anche il relativo valore pecuniario. Documenti che riguardano Palermo mentre per Terranova (Gela), centro minore, i riferimenti sono nulli anche in merito ad un eventuale acquisto di vasellame da parte del feudatario di Castelluccio.
Mancano anche gli inventari patrimoniali dei vari feudatari di Castelluccio: non si sa nulla di Pere Planells e poco di Luis Rajadell di cui non si sa nemmeno dove morì. Mancanza di inventari anche per i successivi feudatari fino a Beatrice di Fanlo e il suo secondo sposo Giovanni d’Aragona.

Il vasellame fu portato nel Caricatore di Terranova ?
Mancano le fonti sull’attività del “Real Caricatore”. È probabile che i signori del castello, Pere Planells, prima e Luis Rajadells, forse in maggiore misura, portarono nel loro viaggio dalla Catalogna verso la Sicilia insieme con re Martino I, parte del vasellame pregiato in loro possesso.
Altra ipotesi potrebbe essere legata al commercio quando il Mediterraneo nel XV secolo era solcato dai mercanti catalani, genovesi, pisani veneziani. Mercanti che erano diretti nei porti di Palermo, Trapani, Siracusa, ecc. per commerciare  di tutto dalla lana ai tessuti, pellicce pettini, dadi, spezie, cuoio, manufatti di rame e coltelli, carta e anche ceramiche, in cambio prevalente di grano.
La ceramica in generale, dato il costo, costituiva solo una piccola parte del carico e veniva imbracata nel porto di Valencia che era il distributore dei manufatti per l’esportazione. Manufatti che viaggiano in giare di terracotta e una volta svuotate al loro arrivo, venivano riempite di grano per essere rispedite in Spagna.
Un documento conservato all’Archivio di Stato di Palermo, datato inizio XV secolo, cita la presenza nella città di due mercanti: Gabriel Apparisii, valenziano, e Francesco Guirardi, di Perpignan che “ vendono delle giare di stoviglie valenziane ad altri mercati palermitani”. Probabilmente queste stoviglie venivano da Palermo redistribuite nell’isola verso altri porti o caricatori, tra cui Terranova, secondo le richieste di mercato.
Rajadells si rivolse a questi mercanti per avere le stoviglie da consegnare al “Caricatore Reale “ di Terranova ?
Per quanto riguarda lo scambio della merce con il grano siciliano, l’attività legata al commercio di cereali dal caricatore di Terranova era conosciuto sin dal periodo di Federico II di Svevia ed è un commercio molto elevato.
Re Martino I, con un privilegio del 3 agosto 1407, confermò a Luis Rajadells il diritto di esportare ben 500 salme di grano dal caricatore.  Lo stesso privilegio venne riconfermato più volte da parte di Re Alfonso V, nel 1417 e ben due volte nel 1425 con “tratte esonerate di tasse assegnate a Giovanna, nipote di Rajadells e moglie di Arnaldo Villademani”.
(In una tabella riassuntiva delle durate dei percorsi tra porti ridistributori e caricatori, Henri Bresc cita il percorso  Palermo – Terranova in 35 giorni. Nel 1308 -09 vi furono esportate 1200 salme di grano e nell’anno successivo meno di 5000 salme).
Anche se i quantitativi sono adesso modesti, 500 salme (circa 127 tonnellate dato che 1 salma corrisponde a 254 kg), forse perché legati a avverse condizioni climatiche, resta importante la tesi secondo la quale il caricatore di Terranova potrebbe essere stato usato per l‘arrivo della ceramica.
Su un’assegnazioni di 500 tratte annuali attribuite al Rajadells, 200 e poi 300 salme di frumento furono esportate verso la Catalogna; alla fine dell’anno circa 200 salme furono esportate su un’assegnazione dell’Università. Malgrado l’annata (1407) di crisi   il caricatore di Terranova, nonostante fosse uno dei più importanti per il commercio del grano, accolse solo 8 imbarcazioni tra cui 4 catalane. Nelle navi arrivate dalla Catalogna c’erano delle giare con maiolica valenziana ?
Luis Rajadells sembra aver il monopolio per il commercio del grano diretto anche verso la Catalogna.. quindi “unico e solo esportatore”. Il Trasselli precisa infatti che nell’organizzazione commerciale del Caricatoio di Terranova “… pare non vi fossero addirittura mercanti”.
La presenza dei mercanti era fondamentale per il commercio della ceramica a lustro tra il vasaio e i clienti. Rajadells  probabilmente si mise in contatto con mercanti catalani o forse con uno dei sette mercanti liguri che erano insediati a Licata.  Infatti nel XIV—XV secolo, la Liguria aveva un rapporto diretto ed intenso con la Corona d’Aragona per il commercio della maiolica a lustro attraverso la famosa compagnia di navigazione “Datini” di Prato.
(Bibliografia : MEDIAEVAL SOPHIA 18; gennaio-dicembre 2016)


Le piccole quantità di grano esportate dal caricatore di Teranova si potrebbero spiegare sia con le cattive annate, sempre presenti nelle stagioni agrarie, sia con la concorrenza dei vicini caricatori di Falconara e Pozzallo. Nel caso di Falconara le notizie sono rare. Per Pozzallo invece il diploma d’investitura concesso da re Martino I a Bernat Cabrera nel 1392, concedeva di esportare fino 12.000 salme di frumento e orzo essenzialmente, senza spese di dogana. Poi nella zona c’erano anche i caricatori di Sciacca, Agrigento e Licata che esportavano considerevoli quantità di cereali.
La presenza della ceramica a lustro a Castelluccio rappresenta in ogni caso una testimonianza di vita elevata e di intensa attività commerciale.

Furono trovati anche dei frammenti di alberelli che però si riferiscono ad un periodo successivo. Alberelli che furono trovati anche a Gela, in Piazza Santa Maria di Gesù, e nel Castello di Delia. Presentano una morfologia cilindrica più o meno allungate e sono privi di piede. L’alberello di Castelluccio è in maiolica decorata in bruno e verde scuro, probabilmente di produzione locale ed è riferibile ai primi decenni del XV secolo. Quelli di Gela e di Delia sono in maiolica bianca e risalgono al XVI secolo. Furono trovati anche ad Ispica, Modica, Vittoria e Ragusa, sempre in contesti abitativi. Erano destinati a contenere spezie da cucina come sale, zucchero, cannella , pepe ecc.


Alberello di Faenza –
Ceramica del XV secolo


Il frammento presenta sulla testa una corona regale in blu cobalto tracciata in
modo schematizzato e campito a reticolo in lustro quasi svanito. Lo smalto della parete
esterna è totalmente danneggiato e il motivo decorativo quindi scomparso. Il motivo
della corona regale in blu cobalto con area a reticolo dorato è un motivo ben noto nel palazzo Steri di Palermo e a Pisa. Altri contesti archeologici italiani attestano la presenza di frammenti di forme aperte decorate col motivo “a corona” tracciato nello stesso modo, e datate al XV secolo rinvenuti negli scavi napoletani, ferraresi, savonesi e fiorentini. E’ presente anche nel sud-est della Francia e in aree geografiche molto estese e a contatto diretto, sia terrestre che marittimo, con la Corona d’Aragona.
Gli scavi del Municipio di Messina (cortile di palazzo Zanca) hanno portato alla luce, tra vari frammenti di maioliche decorate a lustro d’importazione spagnola datate nel XV secolo, delle ciotole decorate col motivo della corona eseguita in blu cobalto.
Su un frammento di queste ciotole, la corona si presenta in un modo molto schematizzato con all’esterno fiori eseguiti anche in blu cobalto.
L’apparente schematizzazione del motivo decorativo, porta a pensare che il manufatto faccia parte di una produzione di seconda scelta destinata ad una clientela meno esigente. Questo motivo schematizzato, presente anche in altri rinvenimenti italiani e non, conforta la probabilità secondo la quale la Corona d’Aragona abbia esportato con successo tutta la sua abbondante produzione e che il mercato sia stato sufficientemente ampio per accontentare tutti i acquirenti.

PROBLEMATICHE
Malgrado il lavoro della Sovrintendenza che ha operato il restauro, il sito è in abbandono e all’azione dei vandali. La stessa recinzione è stata divelta.

https://www.quotidianodigela.it/castelluccio-deturpato-con-vernice-spray-ditta-gelese-si-offre-di-ripulirlo-gratis/

LA LEGGENDA DEL “CASTELLUCCIO”

La leggenda parla di una bella castellana dalla lunga chioma nera che con la sua voce melodiosa incantava i contadini che lavoravano nella zona e i numerosi viandanti che attraverso l’antico percorso s’inoltravano verso la valle del fiume Gela. Si è tramandato che i contadini, attratti da quella voce, s’avvicinavano al castello per poi sparire. Altri affermano di aver visto in piena notte un cavaliere con un armatura luccicante che s’aggirava intorno al maniero per poi sparire. Nessuno dei contadini riuscì mai ad avvicinarlo. Tutti avvenimenti che mettevano paura ai braccianti a tal punto che nessuno voleva lavorare nella zona adiacente al castello mentre i proprietari dei terreni si tenevano cautamente a distanza.
Non può mancare la notizia di un tesoro nascosto, quello che in siciliano si chiama “a truvatura”.
La credenza popolare cita la bella castellana alta ed esile, vestita con un manto azzurro che nelle notti di luna luccicava intensamente. Un aspetto, a dir poco inquietante, era legato al suo strano rossetto verde, tanto verde che alcuni pensavano che provenisse dalla sua bile. Abitava nel castello, si occupava della servitù ed accoglieva i cavalli in occasione delle riunioni  del signorotto per discutere con gli altri nobili di questioni militari. Gli uomini ne erano attratti ma chiunque tentasse di avvicinarla spariva nel nulla, non faceva più ritorno. Una figura bella ma anche crudele, severissima con i servitori ed ambigua, sfuggente.
Fatta eccezione per le riunioni importanti d’armi, nessuna faceva visita al castello. I nobili per discutere d’affari preferivano inviare dei messaggeri che anche loro, purtroppo, non facevano più ritorno e strano, a dirsi, stessa sorte facevano anche i colombi viaggiatori.
Non si sa se questa mitica castellana sia mai esistita così come non ci sono riferimenti, narrazioni, sul mitico tesoro. Un mitico tesoro legato forse alle strane ombre che si aggiravano tra le mura del castello proprio per proteggere quel tesoro. Non ci sono nei testi di riferimento sulle leggende di Gela, alcuna citazione su queste narrazioni.
Una cosa è certa.. l’esistenza nel castello di un tunnel sotterraneo, che nessuno ha mai percorso, che porterebbe fino alla città di Gela ed esattamente dentro la chiesa di San Benedetto conosciuta come “A Batia”.





IL CASTELLUCCIO E LA  DIVISIONE LIVORNO – 10 – 11 LUGLIO  1943

Il 10 luglio 1943 le truppe americane, inglesi e canadesi sbarcarono in Sicilia tra Licata e Siracusa per quella azione militare che sarà ricordata nella storia come “operazione Husky”.
L’invasione fu una svolta decisiva nella scenario della Seconda Guerra Mondiale e segnerà la fine del regime fascista.
Nello sbarco lungo la costa meridionale della Sicilia, la città di Gela sarà teatro di aspri combattimenti e saranno tante le pagine di “storia nella storia” dimenticate.
La “Divisione Livorno”  è una di queste pagine che per tanto tempo fu dimenticata. Nello stesso giorno 10 sferrerà un attacco contro gli Alleati con grande coraggio per poi ripiegare su Monte Castelluccio. L’indomani  la “Divisione motorizzata Livorno” sferrerà un attacco alla Prima Divisione Americana e sarà il III Battaglione del 34° Reggimento a travolgere le linee statunitensi fino all’abitato di Gela. Poi la reazione americana,  la mancanza dei necessari rinforzi…sarà una carneficina per i valorosi uomini della Livorno che saranno costretti a ripiegare proprio su Monte Castelluccio, tra i ruderi silenziosi testimonianze di secoli di storia, dove resisteranno ad oltranza per circa 24 ore…..
“L’Onore Dimenticato” come scrive lo storico Pier Luigi Villari in un suo libro..


Nella pianura sottostante il Castello c’è un Monumento ai Valorosi Caduti che purtroppo è stato spesso oggetto di profanazione e vandalismo..





http://www.cicogna.info/castelluccio-19-08-2014-4/

Vicino al Castello delle “casematte” e un bunker che testimoniano l’importanza strategica del sito perché a poca distanza c’era l’aeroporto militare di Ponte Olivo.. la cui storia sarà descritta nella mia prossima ricerca  che farà parte del percorso a tema “Aeroporti Militari della Sicilia” con le loro tragiche storie.





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CASTELLI 
PROVINCIA DI  CALTANISSETTA
(DESCRITTI NEI POST  PUBBLICATI)



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