LA SICILIA  NEL  CINEMA – 3° PARTE – CATANIA -  VIAGRANDE – CIMINNA – PALERMO




Indice
1-      STORIA DI UNA CAPINERA
2-      IL  GATTOPARDO

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1 - STORIA DI UNA  CAPINERA



(Paese di Produzione : Italia – Anno: 1993 – Durata: 1h 40m – Genere. Sentimentale, Drammatico –
Regia: Franco Zeffirelli – Soggetto: Romanzo di Giovanni Verga – Sceneggiatura: Franco Zeffirelli e Allan Baker – Produttore: Mario e Vittorio Cecchi Gori – Musiche: Claudio Capponi –
Montaggio: Richard Marden – Effetti Speciali: Franco Ragusa – Scenografia: Giantito Burchiellaro –
Costumi: Piero Tosi)
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Interpreti e Personaggi
Angela Bettis: Maria Vizzini – Johnathon Schaech: Nino Valentini – John Castle: Giuseppe –
Valentina Cortese: Madre Superiora – Sinèad Cisack: Matilde – Mia Fothergill: Giuditta –
Sara Jane Alexander: Annetta; Andrea Cassar:
Gigi – Frank Finlay: Padre Nunzio – Pat Heywood: Suor Teresa – Janet Maw : Tecla – Denis Quilley: Barone Cesarò – Vanessa Redgrave: Suor Agata – Annabel  Ryan: Filomena)


Trama
Catania nella metà dell’Ottocento è colpita da una grave epidemia di colera. La giovane novizia Maria fè costretta ad abbandonare il convento e a tornare a casa dal padre che vive con la matrigna Matilde. 

Maria (Angela Maria Bettis nata ad Austin in Texas )
https://www.davinotti.com/index.php?forum=50017063

Catania - Il Collegio dei Gesuti – Via Crociferi

Ex Collegio dei Gesuiti
https://etnaportal.it/public/upload/foto/sfondi/1548_20a5647b4032708d0a502014051416485550104b345d835c26b82df308.jpg



Maria con la sua famiglia si trasferisce, per proteggersi dall’epidemia, nella Villa “Di Bella” in Via Giuseppe Garibaldi (298) a Viagrande, un centro sulle falde dell’Etna, in provincia di Catania.



https://i.pinimg.com/originals/47/fc/69/47fc69fefdf685bbee26b6fb833dd18f.jpg

Appare spesso nel film un ampio cortile dove dei contadini lavano una carrozza, per scongiurare la diffusione del colera,  adoperapata da Maria e dalla sua famiglia. Si tratta di un ampio spazio che si trova all’esterno del Borgo “Vallefame”, (Traversa Vallefame) di Palazzolo Acreide (Siracusa).


Borgo "Vallefame"



Palazzolo Acreide – Chiesa dell’Annunziata

Palazzolo Acreide – Il Parco  Archeologico
http://www.viaggioasudest.it/wp-content/uploads/2014/12/2045-12-57-04-5912.jpg



La giovane ragazza che sin da piccola conosce la vita solo del monastero, si ritrova improvvisamente immersa in una realtà diversa a tal punto da rimanerne affascinata. Conosce in questo momento ricco di sensazioni nuove un giovane, Nino, studente e di buona famiglia del quale s’innamora.
Il giovane sembra mostrare un grande interesse nei confronti della ragazza.. l’invita a ballare durante una festa e si lascia andare a corteggiamenti.




Naturalmente Maria è indecisa.. sogna una vita di coppia con Nino ma nello stesso tempo pensa alla sua vita da novizia.. al suo destino forse segnato di diventare suora come la sua matrigna aveva stabilito.. forse per liberarsi della figliastra.

Accade l’imprevidibile quello che la vita ci riserva con le sue tranezze nei momenti forse non sperati…. Nino gli rileva il suo amore.. una dichiarazione che aumenta i tormenti della fanciulla che sente in sè la vita segnata dal dovere nei conftonti di Dio. Alla fine proprio questo grande senso del dovere la spinge a rifiutare la dichiarazione d’amore di Nino e fa ritorno in convento.
Nel convento è ancora assalita dai tormenti… ha paura di aver preso una decisione sbagliata.
Pensa ai momenti passati con sincerità con Nino e alla fine si confessa con suor Agata.


Una suora che l’autore definisce “pazza” ma che in realtà ha in sè gli stessi tormenti di Maria causati da un sentimento d’amore per un uomo conosciuto diversi anni prima. Agata è diventata suora, come Maria, per errore.

Durante una cerimonia di matrimonio nella Chiesa di San Benedetto, posta sulla stessa via e a poca distanza dal convento, Maria intravede lo sposo… è Nino….sta sposando la sorella di Maria…Giuditta.

Catania - Chiesa di San Benedetto

Catania - Chiesa di San Benedetto


Dopo che Maria era tornata in convento, Nino aveva chiesto alla famiglia la mano della sorella Giuditta.. Maria cade in una forte depressione… la delusione è grande.
Da suo padre viene a sapere che gli sposi sono andati a vivere in una casa che si trova proprio davanti al convento.

Il palazzo dove vivono Nino e Giuditta è “Palazzo Asmundo Francica-Nava, posto in piazza Asmundo

https://www.alain-collet.com/Italie/Volcans/Photo_big/012.jpg

Maria osserva di continuo, da una finestra del convento, la terrazza del palazzo dove vive la coppia.

La terrazza del palazzo che Maria osserva dal convento appartiene, invece, al palazzo dei Trigona, Marchesi di

Caniacarao e di Noto. Si trova a Noto in Via C.B. Conte di Cavour n. 95

Una sera Maria lascia il convento e si reca a casa da Nino.
Viene accolta da Nino e Giuditta e capisce.. guardando nei loro occhi che non c’è nulla da fare perché la coppia è adesso ancora più unita… Giuditta aspetta un bambino.
In preda alla disperazione si lascia andare ad una terribile confessione rilevando a Nino di essere sempre stata innamorato di lui. Nino risponde rilevandogli ancora una volta l’amore che provava per lei.. una volta ritornata nel convento aveva sofferto e, preso coraggio, ha cercato di rifarsi una vita cercando di dimenticarla. Alla fine i due si danno un bacio e Maria ritorna in convento rassegnata.. diventa suora e serve con amore Dio e la Chiesa.


Catania - Chiostro del Monastero dei Benedettini





Giovanni Verga
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2        - Il GATTOPARDO


Anno: 1963 – Paese di Produzione: Italia, Francia – Durata: 187 min. – Genere: Storico –
Regista: Luchino Visconti - Soggetto: Giuseppe Tomasi di Lampedusa -  
Casa di Produzione:Titanus, S.N.Pathè Cinema, S.G.C. - Distribuzione (Italia) : Titanus –
Musiche: Nino Rota – Scenografia: Mario Garbuglia – Costumi: Pietro Tosi.

Interpreti e Personaggi
Burt Lancaster: Principe Don Fabrizio di Salina – Claudia Cardinale: Angelica Sedara/Donna Bastiana
Alain Delon: Tancredi di Falconieri – Paolo Stoppa: Don Calogero Sedara – Lucia Morlacchi: Concetta -
Rina Morelli: Principessa Maria Stella di Salina – Romolo Valli: Padre Pirrone – Mario Girotti: Conte Cavriaghi
Pierre Clémenti: Francesco Paolo di Salina – Serge Reggiani: Don Ciccio Tumeo – Ottavia Piccolo: Caterina
Giualiano Gemma: Generale di Garibaldi – Ivo Garrani: Colonnello Pallavicino – Leslie Franch: Cavaliere Chevalley –
Pino Caruso e Tuccio Musumeci: giovani patrioti – ecc.


Un film storico colossal tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Fu vincitore della Palma d’Oro come miglior film al 16° Festival di Cannes.
La figura del protagonista s’ispira a quella del bisnonno dell’autore del libro, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, un importante astronomo che nella finzione letteraria diventa Principe Fabrizio di Salina e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910 in Sicilia (a Palermo, Ciminna, Palma di Montechiaro e Santa Margherita Belice).

Palermo - Villa Lampedusa fu costruita come residenza suburbana da Ferdinando IV di Borbone.
Gli ultimi proprietari furono i Tomasi di Lampedusa. La villa era nota come “Osservatorio ai Colli del principe di Lampedusa”, dall’attività prediletta dell’allora proprietario, Giulio Fabrizio Tomasi, nonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il grande scrittore siciliano si ispirò al nonno Giulio Fabrizio per tratteggiare l’indimenticabile Principe Fabrizio Salina, protagonista del suo romanzo. Romanzo che ebbe anche una straordinaria trasposizione cinematografica a cura di Luchino Visconti.
La villa sembra che da tempo sia in completo abbandono e quindi in rovina….

Noi fummo i gattopardi, i leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra







TRAMA

Nel maggio 1860, dopo lo sbarco a Marsala di Garibaldi in Sicilia, Don Fabrizio assiste con distacco e con malinconia alla fine dell'aristocrazia. La classe dei nobili capisce che ormai è prossima la fine della loro superiorità, infatti gli amministratori e i latifondisti della nuova classe sociale in ascesa approfittano della nuova situazione politica.
Don Fabrizio appartiene a una famiglia di antica nobiltà e viene rassicurato dal nipote prediletto Tancredi che, pur combattendo nelle file garibaldine, cerca di far volgere gli eventi a proprio vantaggio e cita la famosa frase: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Specchio della realtà siciliana, questa frase simboleggia la capacità di adattamento che i siciliani, sottoposti nel corso della storia all'amministrazione di molti governanti stranieri, hanno dovuto per forza sviluppare. E anche la risposta di Don Fabrizio è emblematica: "...E dopo sarà diverso, ma peggiore."
Quando, come tutti gli anni, il principe con tutta la famiglia si reca nella residenza estiva di Donnafugata, trova come nuovo sindaco del paese Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito e ha fatto carriera in campo politico. Tancredi, che in precedenza aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la figlia maggiore del principe, s'innamora di Angelica, figlia di don Calogero, che infine sposerà, sicuramente attratto dal suo notevole patrimonio.
Episodio significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia. Il principe però rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo siciliano, citando come risposta al cavaliere la frase: "In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'".



Il discorso di Don Fabrizio al Ministro Chevalley…
“Ma allora, principe, perché non accettare?” “Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi Siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai viceré spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto ‘adesione’ non ‘partecipazione’. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o
bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il ‘la’ 1; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.”[…] “Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera2 o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana”.

Il connubio tra la nuova borghesia e la declinante aristocrazia è un cambiamento ormai inconfutabile: Don Fabrizio ne avrà la conferma durante un grandioso ballo, al termine del quale inizierà a meditare sul significato dei nuovi eventi e a fare un sofferto bilancio della sua vita.
Inizialmente il regista Luchino Visconti voleva utilizzare il borgo medievale di Palma di Montechiaro per rappresentare il castello di “Donnafugata”, la casa del principe di Salina, ma la situazione della villa e la mancanza di una strada accessibile creò dei problemi. Si doveva costruire ma “degli uomini con occhiali scuri chiesero il loro prezzo d’azione”.
Il regista fu quindi costretto a scegliere un altro luogo per la produzione e la scelta cadde sul piccolo centro di Ciminna, a circa 30 km a sud di Palermo.
La piazza di “Donnafugata” è la piazza di Ciminna ed è in questa piazza che fu costruita magistralmente la facciata del palazzo dei Salina.
Nelle scene iniziali si scelse la villa Boscogrande, nei pressi di Mondello, dato che il Palazzo dei Salina, come abbiamo visto, non era nelle condizioni adatte per essere utilizzato nelle riprese.

Mondello (Pa) - Villa di Boscogrande






Villa Boscogrande risale al settecento ed è posta nel sobborgo Cardillo di Palermo. Una delle ville della “Piana dei Colli” ovvero un area di villeggiatura della nobiltà palermitana e siciliana.

Venne costruita da Giovanni Maria Sammartino di Ramondetto, primo duca di Montalto con investitura di re Filippo V, su un preesistente “baglio” di proprietà della famiglia Sammartino... La villa fu ultimata nel 1770 e realizzata in stile Luigi XVI.  L’immobile fu costruito ispirandosi alla reggia di Versailles.
La pianta della villa  ha una caratteristica forma a “T” ed è preceduta da un piccolo viale inserito in un giardino che risale all’Ottocento.
Infatti il doppio scalone si ferma su un pianerottolo che non immette direttamente nella casa. Si accede in un vestibolo e successivamente al prospetto vero e proprio dell’edificio. Prospetto che è sormontato da un fastigio, a semiluna che mostra protomi antropomorfi e fasci, con al centro lo stemma del casato.
Le decorazioni e gli affreschi sono quelli originari che non hanno perso nel tempo la loro bellezza. I pavimenti anch’essi originali furono realizzati con mattoni in argilla smaltata con disegni geometrici. Le terrazze danno sul giardino, anche se nel tempo ridimensionato che non ha perso il suo fascino per la presenza di alberi secolari. Un tempo era giardino-frutteto e al suo interno si conservano ancora quattro antiche formelle rettangolari e in stucco che rappresentano le stagioni.
La residenza si chiamava “Villa Moltaltto” e il nome fu modificato in “Villa Boscorotondo” in seguito alle nozze di Felicia Montalto con un giovane esponente della famiglia Boscogrande. Una famiglia di mecenati che spesso diedero aiuto ai giovani artisti dell’epoca. Il grande Vincenzo Bellini fu aiutato dalla famiglia Boscorotondo e per sdebitarsi dedicò alla duchessa Beatrice una sua opera ovvero la “Beatrice di Tenda”.



la famiglia San Martino o Sammartino, secondo gli storici, è originaria della Catalogna, dalla nobilissima
Famiglia dei “Sancto Martino della Catalogna” dalla famiglia del duca Oddone di Guascogna (la famiglia
San Martino “ab Eudone Vasconiae Duce nostris proaribus consanguineo originem traxit”.
Il suo capostipite, Raimondo Sammartino, signore di Miger e Tupers, che
dall’Imperatore Federico II di Svevia, per i suoi atti eroici in Terrasanta, ottenne il privilegio (1235)
di “alzare nelle proprie armi l’aquila imperiale che tiene lo stendardo con le armi gerosolimitane in ambo gli artigli”.
“fu il primo che salito sulle mura della santa città vi piantò lo stendardo”

La famiglia scese in Sicilia con Guglielmo, ai tempi di re Pietro. Possedette il principato di
Pardo; le ducee di Fabrica, Montalto e San Martino; le baronie di Campobello, Gimia, Gisira, Morbano,
Priolo, Tuzia, ecc.
I suoi discendenti ricoprirono cariche importanti e il nostro Giovanni Maria, con un privilegio dato in
Madrid il 7 marzo 1710, reso esecutivo in Messina il 22 marzo 1713, ottenne il titolo di
Duca di Montalto. Fu deputato del regno negli anni1732, 1741, 1746, 1748,
maestro razionale del tribunale del Real Patrimonio nel 1743,
pretore di Palermo negli anni 1741-42, 1752-53, 1754-55-56, cavaliere di Malta,
gentiluomo di camera, intendente generale degli eserciti in Sicilia, tesoriere generale della
Santissima Crociata, prefetto della deputazione delle strade di Palermo nell’anno 1744, ecc.; 

Nel romanzo la residenza estiva dei principi Salina è il Castello di Donnafugata. Spesso sorge una confusione perché con il termine di castello di Donnafugata s’intende il castello sito in provincia di Ragusa. Il realtà il termine “Donnafugata” nel romanzo è il toponimo usato per indicare il centro di Palma di Montechiaro.
Fu lo stesso autore, Giuseppe Tomasi, in una lettera a svelare il mistero: “Donnafugata come paese è Palma; come palazzo è Santa Margherita”.
Palma di Montechiaro un luogo caro all’autore dove trascorse molto tempo della sua infanzia.
Un centro che per le sue testimonianze archeologiche, architettoniche, storiche, religiose, gastronomiche è un’altra delle infinite perle di questa nostra Isola così dimenticata da chi ci governa.

Palma di Montechiaro (Ag) - Chiesa Madre

Palma di Montechiaro - Monastero delle Benedettine


Palazzo Ducale


Soffitto ligneo del Palazzo Ducale





A Santa Margherita Belice  c’era il palazzo che nel romanzo era la residenza estiva dei principi Salina. In questo palazzo, l’autore trascorse gran parte della sua infanzia. Palazzo che era di proprietà dei Filangeri di Cutò, residenza di parte materna, e che fu il modello nel romanzo del “Castello di Donnafgata”. Oggi il Palazzo è sede del municipio.
Accanto al palazzo ci sono i giardini con gli alberi secolari così come li descrive l’autore: ““Il giardino, come tanti altri in Sicilia, era disegnato su un piano più basso della casa, credo affinché potesse usufruire di una sorgente che lì sgorgava…” 



https://www.tripadvisor.it/LocationPhotoDirectLink-g1795305-d5570059-i115412372-Palazzo_Filangeri_Cuto-Santa_Margherita_di_Belice_Province_of_Agrigento.html

A causa delle condizioni degli ambienti o delle dimore sia di Palma di Montechiaro che di S. Margherita Belice, Luchino Visconti non girò in questi centri storici del romanzo nessuna scena.

Scelse per le riprese Ciminna, un piccolo centro distante circa 40 km a sud di Palermo.
Perché fu scelto il centro di Ciminna ?
Il regista Visconti s’innamorò della Chiesa Madre di Ciminna e del paesaggio circostante.

Ciminna (Pa)

Serre di Ciminna



Serre di Ciminna – Riserva Naturale Orientata

Ciminna - Chiesa Madre







La chiesa a tre navate, ricca di opere d’arte, con uno splendido pavimento in maiolica e ancora: l’abside decorato con pregevoli stucchi che rappresentano gli apostoli e angeli, opera di Scipione Li Volsi nel 1622; gli scrinni lignei del 1619 mirabilmente intagliati con motivi grotteschi e particolarmente adatti ad accogliere le scene della famiglia Salina in occasione del Te Deum… era il luogo adatto.






Davanti alla chiesa una larga piazza.. tutto era adatto per accogliere le riprese del soggiorno della famiglia del principe nella sua residenza estiva. Ma mancava un aspetto che potremmo dire importante… mancava il palazzo del principe….
In 45 giorni davanti ai piccoli palazzi della piazza fi messa in opera una facciata disegnata da Marvuglia. L’intera pavimentazione della piazza fu rifatta eliminando l’asfalto e rimpiazzandolo con ciottoli e lastre.

http://www.giornalecittadinopress.it/wp-content/uploads/2014/08/Gattopardo_-costruzione_Palazzo_principe.jpg


A Ciminna, nel palazzo la famiglia del principe aspetterà la fine degli scontri tra l’esercito borbonico e i garibaldini. Le riprese esterne furono fatte in massima parte proprio a Ciminna.

Le riprese interne, oltre a quelle iniziali della villa di Boscogrande, furono girate nel palazzo Valguarnera Gangi a Palermo e a Palazzo Chigi di Ariccia, vicino Roma.
Nel palazzo Valguarnera Gangi, in Piazza Croce dei Vespri, furono girate le scene del grande ballo in casa Ponteleone.

Palermo - Palazzo Valguarnera Gangi
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Palazzo Valguarnera Gangi

https://www.lasiciliainrete.it/wordpress/wp-content/uploads/2016/09/Palazzo-Valguarnera-Gangi-Palermo-.jpg











Il film registrò un discreto successo nel 1962/63 con oltre due milioni di spettatori.  Il mercato americano rifiutò il film a causa del suo montaggio realizzato senza l’autorizzazione del regista.
Ci fu anche una forte critica che molti non conosceranno… Il Partico Comunista (PCI), a cui il regista Visconti era legato, criticò duramente il film  definendolo..” espressione di un’ideologia reazionaria…. Politicamente conservatore… un film antistoricismo” !!!!!!!!!!!!
Il Visconti era così legato al Partito che creò addirittura una versione alternativa del film che includeva delle scene completamente estranee al romanzo originale ma conformi alla lotta di classe, alla rivolta contadina in ossequio alla sua fede marxista. Scene che furono poi tagliate quando la pellicola fu presentata al Festival di Cannes.
Il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa aprì un dibattito sul “risorgimento” definendolo “rivoluzione senza rivoluzione”.. esprimeva l’atmosfera di immobilismo legata ad un “contratto” tra una vecchia aristocrazia, fedele ai suoi “primati” e una classe emergente borghese che si faceva strada a “colpi di pugni e compromessi”.
Il principe di Salina osserva attentamente i cambiamenti del suo tempo…”nessuna forza positiva della storia… si profila come alternativa all’epos della decadenza cantato con struggente nostalgia”.
Il ballo finale che occupa quasi un terzo del film  è vissuto dal principe, a differenza degli altri invitati, come il presagio conclusivo della morte. La morte fisica, il Principe che si sofferma davanti al dipinto, capolavoro di Greuze, “La Morte del Giusto” e la morte di una classe sociale ovvero di un mondo di “leoni e gattopardi” che viene sostituito da un mondo di “sciacalli e iene” (che si cibano soprattutto di carogne di animali).
Il principe si guarda attorno e vede personaggi mediocri, avidi di denaro, veri millantatori e approfittatori del tempo e soprattutto delle incertezze.
Persone anche ciniche come il nipote Tancredi (Alan Delon) che ha combattuto valorosamente con i garibaldini e che non esita, dopo la vergona dell’Aspromonte, pagina dimenticata di storia, a schierarsi con i vincitori ed approvare la fucilazione dei suoi fratelli siciliani….. a questo punto il principe è perplesso e scende ulteriormente nel suo cuore una profonda nostalgia..” è la fine degli ideali morali ed estetici del suo mondo”.


Il film fu rivalutato giustamente dalla critica storica, almeno quella imparziale e Martin Scorzese l’ha inserito fra i dodici film preferiti di tutti i tempi e selezionato tra i 100 film italiani da salvare.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Giuseppe Tomasi di Lampedusa con la moglie
https://www.historytoday.com/alexander-lee/portrait-author-historian-giuseppe-tomasi-di-lampedusa



O stella, o fedele stella, quando ti deciderai a darmi un appuntamento meno effimero, lontano da tutto, nella tua regione di perenne certezza?






El Gatopardo (Luchino Visconti, 1963)



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