Sulle tracce di San Calogero…. Viaggio nelle Terme di Sicilia



1° parte : Sciacca (Ag) -  Monte   Kronio  (Monte San Calogero)





Indice

1.      La Vita di San Calogero
1.       La Vita di San Calogero
a)      Le Sue Spoglie
b)     La raffigurazione del Santo e La Leggenda
2.       Monte San Calogero (Monte Kronio) – RNI (Riserva Naturale Integrale)
3.       Monte Kronio – Etimologia
4.       Architettura Ipogeica e i Fenomeni Termali
5.       Le Prime Esplorazioni delle Gallerie del Monte Kronio
6.       Inizio delle Esplorazioni dal Gruppo Speleologico CGEB (Trieste) – Dal 1942 al 1998 –
       Undici Spedizioni
7.     Le Amare Riflessioni di Giulio Perotti … dopo aver dedicato cinquant’anni della sua vita al Monte Kronio – I Valorosi Artefici delle Spedizioni del gruppo CGEB
8.       Conclusioni sulle Ricerche Compiute dalla Commissione Grotte CGEB
9.       La Ricerca Continua… (2012 – 2017 – 2018)
10.   Nel Ventre del Monte Kronio Scoperto il Vino più Antico del Mondo
11.   Gli Antichi Frequentatori delle Gallerie del Monte Kronio
12.   L’Antiquarium di Monte S. Calogero

Conclusioni…. Un Sito non Valorizzato…. Le Terme sono Chiuse da anni……..

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1.      La Vita di San Calogero

Il nome Calogero, di origine greca, significa “bel vecchio” cioè legato all’ideale della bellezza ma anche esteso al senso del “giusto e buono”. Nel Vangelo di Giovanni il “bel pastore” ha il significato di  “buon pastore”.


Gli storici non sono concordi sull’identità del santo.  In Oriente e nel Sud Italia con il termine di Calogero veniva spesso indicato anche il monaco eremita e quindi ritengono che non fosse questo il nome del santo  ma un appellativo con il quale era riconosciuto.

“Calogeri” erano infatti i religiosi che seguivano con grande scrupolo la regola di San Basilio e attuavano una vita monastica molto scrupolosa e rigorosa in termini di penitenze e privazioni ed abitavano in luoghi isolati come  grotte e monti.
 Le documentazioni sono scarse e secondo la tradizione Calogero sembra sia nato a Calcedonia sul Bosforo  nel 466 d.C. Una zona che nel 46 d.C. diventò provincia romana per poi seguire le sorti dell’impero bizantino.  Da bambino digiunava, pregava e studiava la Sacra Scrittura. Secondo gli atti dell’antico “Breviario” siculo- gallicano, in uso in Sicilia dal IX secolo fino al XVI, giunse a Roma in pellegrinaggio. Ricevuto dal papa Felice III (483-492) chiese il permesso di vivere in solitudine in un luogo imprecisato.
Grazie ad una ispirazione divina scelse di svolgere la sua missione di evangelizzazione in Sicilia dove si recò con i compagni Filippo, Onofrio e Archileone ed altri seguaci.
Sbarcato a Lilibeo (Marsala) si recò sul monte Eurako, oggi di “San Calogero” dove iniziò la sua opera di evangelizzazione nei territori di Terme (Termini Imerese) e Caccamo (Palermo).
A Termini Imerese sfruttò le antiche terme per scopi curativi dato che era anche un esperto taumaturgo.

Calogero si recò successivamente nelle Isole Eolie dove si fermò qualche anno predicando sia il Vangelo sia insegnando come ricevere i benefici per le malattie utilizzando le acque termali e le stufe vaporose. Una sorgente sulfurea nelle Isole Eolie porta ancora il suo nome.


Grazie ad un'altra visione lasciò Lipari per trasferirsi a “Syac” (Sciacca), che era chiamata dai romani “Thermae” per i prestigiosi bagni termali presso il Monte Kronio.
Qui convertì gli abitanti e decise di cacciare gli dei pagani post sul Monte Kronios, dal Dio greco Kronos che per i romani era il dio Saturno.
Gli arabi chiamarono questo monte “delle Giummare” cioè dalle palme nane che crescono ancora oggi rigogliose sui fianchi della montagna. Monte che prese successivamente il nome di San Calogero.
Calogero abitò in alcune grotte del monte e con le sue preghiere intimò ai demoni di lasciare il luogo.
Gli “Atti” citano che il monte davanti a quelle preghiere ebbe un forte sussulto, fra venti impetuosi e grida, per poi tutto tornare improvvisamente nella calma.
Allontanati i demoni si stabilì in una grotta adiacente a quelle vaporose a cui si accedeva con difficoltà quasi strisciando a terra. Lo stesso santo costruì, sempre nella grotta, anche una piccola chiesetta o angolo di preghiera.



L’attuale basilica fu iniziata nel 1530 e ultimata nel 1644 al posto della vecchia chiesetta. Gli ambienti dell’antico eremo, il cui ingresso è sottostante all’attuale basilica, furono nel 1948 ristrutturati dai francescani che ancora oggi sono presenti nel Santuario.
Nella grotta dove si stabilì si trova, murata nella roccia, l’immagine di San Calogero posta su un rudimentale altare che si dice costruito dallo stesso santo.








Un immagine risalente al 1545 e che raffigura l’eremita con la barba e che tiene nella mano destra un libro (il libro della medicina) e un ramo-bastone. Ai suoi piedi un infedele inginocchiato e una cerbiatta accovacciata, ferita da una freccia.
Un episodio importante avvenuto negli ultimi giorni della sua vita. Ormai ultranovantenne non riusciva più a cibarsi per cui Dio gli mandò una cerva che con il suo latte l’avrebbe alimentato. Un giorno un cacciatore di nome Siero, soprannominato Arcario, (perché cacciava con arco e frecce) vide l’animale e lo colpi con una freccia. La cerva ferita riuscì a trascinarsi sino alla grotta di Calogero dove morì fra le sue braccia.
Il cacciatore pentito e piangente chiese perdono. Riconobbe in Calogero l’uomo che l’aveva battezzato anni prima. Il santo lo portò nella vicina grotta vaporosa e gli diede delle precise istruzioni sulle proprietà curative di quelle acque e vapori. Diventò suo discepolo e saliva spesso sul monte per rendergli visita ma 40 giorni dopo l’uccisione delle cerva, trovò l’eremita morto e ancora in ginocchio davanti all’altare. Secondo la tradizione morì nella notte fra il 17 e il 18 giugno 561 ed era vissuto in quel luogo per 35 anni.


1a. Le Sue  Spoglie
La notizia si diffuse in tutte le cittadine vicine e secondo le fonti sembra che Arcario lo abbia  seppellito nella stessa grotta e poi trasferito in una altra cavità o caverna di cui si è persa la memoria. Successivamente trasformò la grotta in cui era vissuto San Calogero in una piccola chiesa dove alloggiò assieme ad altri discepoli. In seguito vennero scavate nella roccia le piccole celle che costituirono i dormitori e  che furono dette “eremo” o “Quarto degli Eremi”.
In merito alle fonti sulle sue spoglie le notizie sono contraddittorie. Infatti a causa dell’ invasioni saraceniche il vescovo agrigentino, per non fare disperdere le reliquie del santo, le fece condurre presso il monastero basiliano di San Fragalà nei pressi di Frazzanò. 

A poca distanza da Fragalà (Me) sorge l’antico convento di San Filippo dedicato a San Filippo d’Agira.
Un antico cenobio basiliano risalente al 495 e che fu ristrutturato dall’abate Gregorio nel 1090
grazie ai favori concessi dai Normanni, il Conte Ruggero e la moglie, Regina Adelasia del Vasto.



Oggi le spoglie riposano in una cassa lignea nella chiesa Madre di Frazzanò.


Frazzanò (Me) – Chiesa Madre
La chiesa fu costruita su un precedente edificio dedicato a Maria SS. Annunziata.  Origini medievali che risalgono al periodo Normanno. Fu edificata nel 1177 dalla regina Adelasia del Vasto, moglie di Ruggero I e madre di Ruggero II.
Fu costretta a lasciare Gerusalemme perché ripudiata dal re Baldovino I. Una terribile tempesta colpì la nave che fu costretta a fermarsi, dopo non poche difficoltà, a Capo Agatirsio, oggi Capo d’Orlando.
 Per ringraziare la Madonna per lo scampato pericolo fece costruire la chiesa che fu dedicata
all’Annunziata. La facciata, ultimata nel 1716 dallo scultore palermitano Tommaso Scudo,
è rivestita di marmo proveniente dalle cave di S. Marco d’Alunzio.
Presenta tre portali e in quello centrale, più ampio, è delimitato da belle colonne tortili.
L’interno è suddiviso in tre ampie navate scandite da monumentali colonne e caratterizzate
da eleganti cornici in stucco. Di gran valore è il maestoso altare maggiore.
Un altare in stile barocco, datato 1756, opera dell’artista Filadelfio Allò di Mirto, alto otto metri e scolpito
in legno. È rivestito con sottili lamine d’oro zecchino ad opera dell’artista palermitano Sciuga


Nel IX secolo un monaco, forse basiliano e che si firmava Sergio Cronista, abitante nel monte Cronios o Kronios, compose in lingua greca alcuni inni in onore di San Calogero.
Nei suoi inni citò come San Calogero non giunse a Sciacca ma sbarcò nel Lilybeo, cioè Marsala. Era in compagnia di Gregorio e Demetrio che furono martirizzati da idolatri. A questo proposito due teorie intorno all’identità degli uccisori. Parte della storiografia ritiene che il vescovo di Lilibeo fosse in realtà un monofisista e visti gli intensi scambi commerciali tra la Sicilia e i patriarcati di Antiochia ed Alessandria, territori dove il monofisismo era molto radicato, e come tale abbia giustiziato i due compagni di Calogero come eretici. Altri storici invece ritengono che siano invece caduti nelle mani dei Vandali, fanatici ariani che in quegli anni imperversavano in Sicilia e nel Nord Africa. Non indicava il luogo in cui era morto ma sollecitava a visitare la grotta dove il santo era vissuto in una parte della sua vita e dove aveva compiuto tanti miracoli e guarigioni.
Lo storico Francesco Terrizzi sostiene che San Calogero, dopo aver perduto i compagni martirizzati dai Vandali, si recò prima a Palermo e poi a Salemi, Termini Imerese, Fragalà, Lipari, Lentini, Agrigento, Naro e infine a Sciacca. Questi spostamenti spiegano il motivo per cui numerose grotte sono indicate come dimora del santo.
Le reliquie (tra cui il cranio), secondo un’altra tradizione,  furono invece trasferite in un monastero posto a circa 3 km dalla grotta e nel 1490 a Fragalà dal monaco basiliano Urbano da Naso e poi nell’800 a Frazzanò (Messina) nella chiesa parrocchiale. Qualche sua reliquia è custodita nel Santuario di San Calogero (Sciacca), posto vicino alla sua grotta sull’omonimo monte, dal XVII secolo.
La sua festa a Sciacca ricorre il 18 giugno.

Sciacca – Monte Kronio - Santuario di San Calogero




Monte Kronio - Santuario di San Calogero



Le origini del Santuario sul Monte Kronio risalgono al 1400 quando i monaci crearono alcune celle e un piccolo
ospedale per i pellegrini. La statua di San Calogero, presente nel santuario, è maestosa e sarebbe stata
commissionata ad Antonello Gagini da parte del monaco don Antonino Bruno nel 1535. Fu firmata e consegnata
nel 1538 da Giacomo Gagini, a nome del padre Antonello che era deceduto nel 1536.
L’opera rimase incompleta perché mancante dell’arciere che ferì la cerva di San Calogero come si rileva dal
contratto di commissione dell’opera. Un opera pregevole dove il Santo è raffigurato con il suo
abito da eremita e da abate basiliano, con il libro di medicina nella mano sinistra e nella destra reca il bastone, ai suoi piedi la cerva. Le decorazioni sono in oro ed è collocato in una custodia lignea del 1700.


1b. LA RAFFIGURAZIONE  DEL  SANTO

Il santo è raffigurato dal XVIII secolo con la pelle scura a causa dell’errore di alcuni gesuiti del 600/700 che trascrissero le sue “Vite” cambiando il termine “chalkhidonos”, cioè “Calcedonia” con “Karchidonos” ovvero “cartaginese” trasformando così la sua provenienza. Un’altra ipotesi è che il santo abbia assunto uno dei caratteri delle divinità ctonie greco-romane in analogia con quanto previsto con le diverse Madonne Nere presenti nel mondo che avrebbero tale colorazione perché evoluzione delle svariate raffigurazioni delle Grandi Madri nella storia. Spesso viene raffigurato con al fianco la cerva che il Signore gli inviò, diventando anziano, per nutrirlo con il suo latte.

La Leggenda
È  presente nella tradizione popolare, riportata anche dal Pitrè, una leggenda legata proprio al colore della pelle di San Calogero.
Calogero era fratello di Sant’Angelo, protettore di una città vicina. I due erano dediti al lavoro dei campi e all’inizio della stagione agricola Sant’Angelo si rivolse al fratello chiedendo cosa fare.
Calogero: “Angelino, sai che ti dico, ancora il tempo è bello e mite; fai tu l’aratura, che poi alla semina, quando il tempo diventa impietoso con piogge, vento e freddo, provvederò io”.
Angelo provvide all’aratura dei capi e una finita si rivolse nuovamente al fratello per la semina..
Calogero: “Angelino, sai che ti dico, tutto sommato il tempo non è ancora tanto brutto. Fai tu la semina, che poi, quando sarà il momento di zappare, con freddo e vento di tramontana e gelo che spacca le mani, ci penserò io”.
Arrivò il tempo di accudire le piante di grano con la relativa zappatura per levare le erbacce.
Calogero rispose: “Angelino, sai che ti dico,…..
Angelo capì la furbizia del fratello e non gli diede il tempo di ultimare la frase per replicare..”però alla seconda zappatura niente storie, te la vedi tu e basta”.
 Al momento della seconda zappatura Calogero non fu interpellato dal fratello. Calogero, forse intuendo le idee del fratello, prese l’iniziativa e disse: “Angelino, so che dovrei andare io per la seconda zappatura, conosco il mio dovere, ma lo faccio per te. Il tempo ormai si mette al bello; non fa né caldo e né freddo. Nel mese di giugno invece, per la mietitura, il caldo spacca le pietre, ciò non di meno, ti garantisco che provvederò da solo alla mietitura”.
Fu così che il povero Angelo si fece anche la seconda zappatura.
Giunse il tempo della mietitura nel mese di giugno quando il caldo si fa già sentire con forza. Calogero sembrò dimenticarsi dei suoi impegni e promesse e sembrava, quasi a dispetto, di essere coinvolto in altre faccende aziendali.
Angelo, questa volta un po’ adirato per il comportamento del fratello, gli disse: “Calò, il grano lo vogliamo lasciare all’impiedi ? E non mi venire a raccontare la storiella del brutto tempo che ormai è estate sia di giorno che di notte”.
Calogero rispose: “Angelino, ragione hai, però durante la trebbiatura, quando le ariste ti entrano nella carne e la polvere di paglia non ti fa respirare, non ti venire a lamentare. Io per te lo dico, ti consiglio di provvedere tu alla mietitura, che per la trebbiatura e tutto ciò che comporta provvederò io fino all’ultima incombenza”.
Angelo poco convinto ma animato dalla bontà provvide alla mietitura.
Arrivò il momento della trebbiatura.
Calogero si rivolse al fratello: “Angelino sai che ti dico”.
Angelo, ancora una volta non gli lasciò finire la frase..” E no, caro Calogero, la trebbiatura te la fai tu, e non voglio sapere più nulla”.
Calogero rispose: “Ma io stavo parlando nel tuo interesse. Potresti pensare che io possa approfittare e lasciarti una quota inferiore di quella che ti spetta”.
Angelo si lasciò convincere e i due fratelli provvidero insieme ai lavori di trebbiatura.
Al termine dei lavori nell’aia c’era una gigantesco cumulo di paglia disposto a mezzaluna ed il grano a mucchio posto al centro dell’aia e pronto per la pesatura e  successiva divisione.
San Calogero, posto nel mezzo della collinetta di chicchi dorati con pala e tridente, disse:
“Angelino ora dobbiamo dividere. Visto che tu hai fatto tanto lavoro, hai arato, hai seminato, hai zappato e mietuto tutto da solo, ti dò il vantaggio della scelta. O tu ti pigli la paglia ed io il grano oppure, se non ti sta bene così, il grano me lo piglio io e tu ti pigli la paglia. A te la scelta”.
Era una battuta di spirito da parte di Calogero ? Angelo si sentì preso in giro e con una irrefrenabile rabbia diede fuoco alla paglia con l’intento di bruciare tutto.. “né tu né io, né tu né io, muore Sansone con tutti i Filistei”.
San Calogero si buttò sul fuoco, non poteva permettere che le fatiche di suo fratello svanissero nel nulla, e riuscì a domare l’incendio.
A causa del caldo e del fumo, sebbene San Calogero si fosse lavato più volte con sabbia ed acqua di fiume, rimase scuro per tutta la vita.

SAN  CALOGERO - CAMPOFRANCO



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2 MONTE SAN CALOGERO –  ( MONTE KRONIO) - SCIACCA





Caratterizzazione della Riserva: AT (Acque Termali)
Denominazione: Monte San Calogero – Monte Kronio
EUAP (Elenco Ufficiale Aree Protette) : EUAP 1104
Codice ITA : ITA40009
Codice: Ag5
Tipo: R.N.I. (Riserva Naturale Integrale)
Zona “A” (Ha) : 29,79
Zona “B” (Ha) : 20,21
Totale (Ha)  : 50
Caratterizzazione: “AT” (Acque Termali)
Ente Gestore : Azienda FF.DD. (Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali)
Comuni : Sciacca (Agrigento)
Normativa di Riferimento
-          Prima dell’Istituzione: come da art. 7, Legge Regionale 98/91 e successive modificazioni, con divieto assoluto di edificazione;
-          Motivazione (contenuta nel Decreto di Istituzione):Al fine di tutelare il complesso ipogeo costituito da 5 grotte principali, Stufe di San Calogero, Grotta del Lebbroso, Grotta di Mastro, Grotta Cucchiara (labirinto aspirante) e Grotta di Gallo, interessato dalla circolazione di aria e vapori legati a fenomeni termali.
Attuazione Piano:
D.A. 366/44 del 26/7/00 (Piano regionale)
G.U.R.S  - N. 47 - Venerdì 20 Ottobre 2000
(Istituzione della Riserva Naturale Monte San Calogero (Kronio), ricadente nel territorio del comune di Sciacca ..pg 39)


Note:
Delimitazione definitiva. Con D. Ass. Terr. e Amb. 26 luglio 2000, n. 366 è stata istituita la riserva naturale “Monte San Calogero (Kronio)”, ricadente nel comune di Sciacca, prov. di Agrigento, notificato all’Azienda Foreste con nota Ass. Terr. e Amb. prot. n. 9460 del 22/08/2000. Lo stesso decreto affida la gestione della riserva all’Azienda Foreste, contiene la convenzione di affidamento ed, in allegato, il regolamento. Nel Piano regionale delle riserve, era prevista come “riserva naturale orientata”. Il decreto di istituzione, invece, la individua tipologicamente quale “riserva naturale integrale”.



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3) Monte  Kronion - Mitologia



La massiccia mole di Monte S. Calogero, meglio conosciuto come Kronion, si alza maestoso sulle coste del Canale di Sicilia con i suoi 397 m di altezza e sovrasta la cittadina di Sciacca e i suoi fertili terreni.
Il nome del Monte deriva dal dio greco  Kronos”.
Crono o Kronos era una divinità pre-olimpica della mitologia greca, figlio di Urano (cielo) e di Gea (Terra). Un figura molto complessa perché era Titano della fertilità, del tempo e dell’agricoltura, secondo signore del mondo e padre di Zeuss. Crono nella religione romana fu identificato con Saturno.
Urano impediva che i figli generati con Gea venissero alla luce  e cioè i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani. Una nascita impedita a causa probabilmente del loro orrendo aspetto simile a mostri. Gea costruì una falce dentata e invitò i figli a disfarsi del padre. Solo l’ultimo dei Titani, Crono, rispose all’appello della madre e riuscì ad evirare il padre con un “harpe” cioè una specie di spada che prima della punta presentava una piccola diramazione a forma di falce.

Giorgio Vasari (1564)

Crono evira il padre Urano –
Olio su Tavola - Firenze (Palazzo Vecchio)

Con l’evirazione del padre iniziò il dominio di Cromo, che sposatosi con la sorella Rea, (nota anche come Cibele, nome della dea frigia chiamata “Madre degli dei” o “Grande Madre”) generò tra gli altri Demetra, Era, Ade, Posidone, ecc. Un oracolo aveva predetto a Crono che sarebbe stato spodestato da uno dei suoi figli e non volendo perdere il potere, li divorava ( non poteva ucciderli perché come divinità erano immortali).
Rea, in preda allo sconforto, era incinta dell’ultimo figlio, Zeus. Consigliatasi  con  i suoi genitori (Urano e Gea) decise di partorire di nascosto nell’isola di Lycto  (Creta). 
Partorì in una grotta detta “Ida” e il piccolo fu affidato alle cure delle ninfe. Consegnò a Crono un fagottino  avvolto da fasce, contenete in realtà una pietra, che Cronò divorò senza indugi.

Rea consegna a Crono il “fagottino” che contiene la pietra anziché il figlio Zeus

Bassorilievo di un altare romano

Zeus riuscì a crescere con forza, saggezza ed intelligenza e dopo diverse peripezie riuscì a sconfiggere il padre facendogli vomitare i figli che aveva divorato. Zeuss costrinse Cromo a bere un emetico e la prima cosa che vomitò fu proprio la pietra che Rea gli aveva consegnato al posto del figlio e successivamente i cinque figli. Zeus diventò il re degli dei.
Sembra che in origine Cronos fosse un dio dell’agricoltura e per questa ragione i romani lo identificarono con Saturno, il dio italico delle seminagioni.

Secondo la mitologia romana quando Saturno fu cacciato da Zeus si rifugiò in una contrada in cui regnava il dio Giano. Giano divise con generosità il suo regno con Saturno, che in cambio, insegnò alla popolazione del luogo l’arte di lavorare i campi e la civiltà. Rese la comunità felice e prospera negli anni del suo regno che vennero indicati come “l’età dell’oro”. Di questa età vennero riportati dei cenni che misero in risalto certi importanti aspetti sociali: gli uomini si consideravano tutti fratelli e avevano tutte le cose in comune. Non c’erano invidie e gelosie, si viveva in un ambiente sereno e libero da ogni paura. Da Saturno l’Italia prese il nome di Saturnia e i romani in riconoscenza degli immensi benefici avuti, celebravano ogni anno, il 17 settembre e per sette giorni consecutivi, le importanti feste chiamate “Saturnalia”.

4.  L’Architettura Ipogeica e i Fenomeni Termali

Lasciata la mitologia, che ha sempre un suo fascino, c’è da mettere il risalto come sul Monte Kronio è presente una complessa architettura ipogeica nella quale circolano aria e vapori legati a fenomeni termali.


Un complesso ricco di gallerie che si narra siano state costruite da Dedalo per creare delle stufe vaporose.
Il monte è in realtà attraversato da una rete di faglie lungo le quali si sono manifestati  dei fenomeni carsici. Fenomeni carsici legati ad una forte circolazione di acque sotterranee e non, che hanno favorito nel tempo la formazione di gallerie e cunicoli  ad andamento orizzontale e a vari livelli, spesso collegati tra di loro. In prossimità della vetta, su un fronte di circa 400 m, dalle cavità e dalle fessurazioni della roccia fuoriesce un forte flusso di vapori. Vapori che sono generati dall’evaporazione delle acque di un sottostante bacino termale, vulcanismo secondario, posto a circa 300 m di profondità.
I vapori risalendo attraverso le fessurazioni e il sistema ipogeico fuoriescono all’apertura delle grotte generando quel fenomeno che viene definito come “Stufe di San Calogero”.
I vapori salgono lungo le insenature e gli anfratti raggiungendo la superficie ad una temperatura di circa 40 ° Celsius.
Il fenomeno dei vapori di risalita sono quindi collegati con il sottostante bacino idrotermale di Sciacca. Un bacino che ancora oggi è oggetto di studio da parte dell’importante Commissione Grotte E. Bogean del CAI di Triste.


Sezioni delle gallerie del Monte Kronion


5. Le Prime Esplorazioni Delle Gallerie Del Monte Kronio
Le primi indagini risalgono al 1500.


1558 – il Fazello, nella sua opera descrive la grotta: ““…un pozzo profondissimo fatto dalla natura, dove molti si sono rischiati di andare…portando con loro torci accesi e corde…ritrovando molti sortivi di acqua calda, che stillavano goccia a goccia da’lati della viva rupe, e ritrovandosi molti errori di vie, ed in molti luoghi stretti, percorsi da orrore e di paura, non ebbero ardire di andare più innanzi per non soffogare, e prestamente tornarono indietro.”

1669 – le cronache citano un calzolaio di Sciacca, Francesco Bujela, che si vantava di essere riuscito da giovane ad entrare in un cunicolo della Grotta degli Animali e riuscì ad uscire nell’Antro di Dedalo. Parlò di aver visto ambienti con tavole di pietra, colonne e sedili che riteneva fossero le abitazioni dei Lestrigoni (mangiatori di loto). Il 10 aprile il Bujela, per dare prova del suo racconto, alla presenza di numerose persone, s’infilò in un cunicolo sul lato destro della Grotta degli Animali e non uscì più. Lo sentirono gridare chiedendo aiuto ma nessun intervenne a causa del terrore che destava la grotta nella gente.  Dopo poche ore regnava il silenzio assoluto….il povero Bujela era morto a pochi metri dal passaggio dal quale doveva uscire. Il corpo fu in seguito recuperato per una degna sepoltura. 
Houel, nella cronaca del suo viaggio in Sicilia, riportò l’episodio a distanza di quasi un secolo: “Dopo un anno un altro temerario spinto dalla curiosità, andò in quello stesso posto e trovò il morto esattamente come era un anno prima, quando vi si era cacciato. Lo tolsero da quel luogo. Quando venne a contatto con l’aria si trasformò in polvere. Se ne concluse sensatamente che S.Calogero l’aveva conservato integro finchè era rimasto in quel posto e (si aggiunse con aria ancora più seria e più affermativa) che l’aveva abbandonato sin dal momento che ne era uscito: ciò dimostra ad ogni cristiano che non bisogna mai abbandonare i santi, soprattutto quando si è morti. Queste storie valgono molto denaro ai monaci.

1710 – Sanfilippo cita: “vi è un pozzo naturale profondissimo, la cui discesa è agevole per tutto il percorso, e molti con fiaccole accese e funi osarono esplorarlo. Ma discesi con trepidazione alcuni passi ed essendo colpiti da numerose gocce di acqua calda che trasudavano dalla roccia viva molto copiosamente, dapprima caduti in punti scoscesi del percorso e poi in passaggi ristretti, distolti dall’avanzare dalla paura e dal timore, per non morire soffocati tornarono indietro. Nel suo racconto cita anche il dramma dell’esperienza del Bujela.


Zone calde, percorso e luogo in cui fu trovato il corpo di Bujela

1749 – I fratelli Ignazio e Gregorio Blandina, rispettivamente medico e sacerdote, entrami di Sciacca, giunsero sull’orlo del pozzo. Ma non si hanno ulteriore notizie.

1760 – una comitiva di francesi tentò l’impresa di esplorazione.  L’esplorazione ebbe breve durata perchè il flusso di calore nella strettoia dell’Antro di Dedalo spense le loro luci.

1773 / 76 – il medico di Sciacca, Silvestro Bellitti, esplorò i canali interni riuscendo a raggiungere il pozzo. Con un sasso legato ad una cordicella, cercò di misurare la sua profondità. Per primo intuì che i vapori avevano origine nella falda termale più profonda, che il flusso era generato da un sistema di tiraggio come avviene in un camino e che parecchie cavità del monte comunicavano tra di loro. Lasciò una bella descrizione del monte e del fenomeno. Fu probabilmente la prima persona che cercò di spiegare il complesso fenomeno e non per spirito d’avventura ma perché desideroso di svelare il misterioso fenomeno.

I disegni dell’Antro di Dedalo del Bellitti

1776 -  Jean Houel nel suo viaggio in Sicilia, passò da Sciacca e cercò subito di esplorare la grotta. L’accompagnatore lo lasciò da solo perché preso dalla paura fuggì via.. Houel si spinse fino al pozzo per cercare di misurare la sua profondità ma senza riuscirvi. Come per gli altri luoghi visitati, descrisse il luogo e compilò una planimetria che è molto veritiera. Houel s’intrattenne a lungo all’interno della grotta.. il suo accompagnatore fuggì per fermarsi all’ingresso della cavità per aspettarlo.  Fu accusato di aver ucciso il ricco turista Houel e fu arrestato. Venne  liberato dopo la ricomparsa di Houel… una liberazione con molte scuse. Il pittore lasciò anche un bel disegno romantico dell’Antro di Dedalo legato alla sua fantasia.




1790 (?)  - Giuseppe Taurommina, ”con corde sostenute al di fuori da uomini robusti, provvisto da accesa lanterna…discendeva inerpicandosi da rupe in rupe, retto eziandio dalle funi, tra la densa caligine d’infocato vapore; ed udiva paritempo ad incomprensibile profondità gorgogliare, involto fra tenebre, minaccioso l’abisso….trasudato semi-asfittico….pensò riposare in un ciglione che protendevasi molto in avanti…staccatosi d’improvviso il grosso macigno, lo sente con raccapriccio fuggire sotto i suoi piedi; che precipitò con orribile rimbombo in quel caos tenebroso. Cadde allora in totale asfissia; e sostenuto solamente dalle corde vi rimase pensile e dondolante, finchè da la non venne ritratto semispento contuso e lacero…trasportato fuori dall’antro fu trovato in condizioni compassionevoli…convulse le membra, gli occhi quasi spenti, le labbra e le gote contratte, ed il volto tutto rigido e raccapricciato d’orrore.”.

1903Il prof. Raffaele Di Milia spiegò il fenomeno su basi scientifiche. Riportò dati sulle temperature e la composizione chimica del flusso; tracciò una planimetria delle caverne superiori e un elenco di tutti i fenomeni carsici presenti sul monto. Definì i fenomeni vaporosi come pseudo vulcanici. Il 7 luglio esplorò i canali interni e tentò di scendere un tratto del pozzo, che definì pseudo cratere, ma senza riuscirvi.


1908 – Il prof. Cesare Brighenti e l’avv. Vincenzo De Stefani il 17 dicembre, legati a delle corde e con l’aiuto di un paranco e cinque muratori, scesero nel pozzo convinti di essere scesi a 120 metri. (Il pozzo è profondo 40 metri. In base alla loro relazione scesero al massimo a circa 30 metri, cioè prima delle gallerie inferiori). Esausti, stanchi, riuscirono a risalire faticosamente. I muratori, che dovevano tirare le corde, erano di scarso aiuto, sino a che messi a letto sono “… per due ore in preda ad un violento cardioplasma…”. L’avvenimento è riportato in un interessante manoscritto del prof. Brighenti.





6. Inizio  Delle  Esplorazioni  Del Gruppo C.G.E.B (Trieste)

1942 – Prima Spedizione C.G.E.B. (Commissione Grotte Eugenio Boegan ) – Trieste

La spedizione nacque grazie ad uno studio promosso dall’ENIT (Ente Nazionale per il Turismo) per l’eventuale costruzione di un edificio che doveva inglobare la grotta termale. Un edificio destinato a cure termali ed albergo. La Commissione Boegan venne interpellata quindi per i relativi studi scientifici e per i rilievi topografici delle zone.
Siamo in piena guerra e gli unici speleologi disponibili erano Bruno Boegan, anziano e quindi esentato dal servizio, e Luciano Medeot che casualmente era militare nella zona di Trieste. Il Medeot riuscì ad ottenere una licenza e nel settembre del 1942 i due partirono per la Sicilia.
Eseguirono un rilievo strumentale della zona e anche dei flussi freddi e caldi rispondendo in modo dettagliato ai quesiti che erano stati proposti.
Il desiderio di conoscenza spinse Medeot a guardare dall’alto  il misterioso pozzo dal quale risaliva l’aria calda. Presero due spezzoni di scaletta d’acciaio  e con l’aiuto del solo Boegan incominciò a scendere. Raggiunse un ripiano, sicuramente più basso rispetto ai tentativi precedenti fatti da altri studiosi, e non riuscì a raggiungere il fondo del pozzo. Dovette desistere perché l’impresa  eseguita da sole due persone era impossibile.
All’interno delle cavità la temperatura era alta, (38° - 40°)C, con il 100% di umidità. In simili condizioni era possibile una permanenza nel sito tra i 30/40 minuti.

L’Istituto Italiano di Speleologia commentò l’impresa: “…segnala agli studiosi nostrani e stranieri
questa nuova benemerenza della gloriosa Commissione Grotte, al cui attivo si aggiunge così l’esplorazione più ardimentosa cui finora gli speleologici siano cimentati.”

Nel 1943 Giulio Perotti, anche lui speleologo triestino, incontrò Medeot che era di turno in una batteria costiera a Miramare. Erano coetanei ed insieme avevano iniziato ad esplorare le Grotte del Carso con il CAI di Trieste.
I due passarono delle ore insieme e Medeot accennò ad una misteriosa grotta calda siciliana della quale a Trieste, benchè fosse il centro più importante della speleologia italiana, nessuna ne aveva avuto mai notizia.
Il Medeot la descrisse..”gestita da una comunità di monaci e frequentata da un numero notevole di ammalati desiderosi, non tanto di un affetto, quanto di un miracolo terapeutico. Infatti in una vicina grotticella dedicato al Santo era piena di stampelle, bastoni ed altri oggetti del genere, lì depositati per grazia ricevuta”.
I due si promisero di avviare una esplorazione della grotta a guerra finita.
Si rividero nel 1947 e incominciarono a parlare nuovamente della misteriosa grotta siciliana.. ma il sogno di esplorarla era irrealizzabile.
Giulio Perotti si era dimesso dalla Marina Militare ed aveva deciso di trasferirsi in Sicilia, a Siracusa, mentre il Medeot era andato in Venezuela a cercar fortuna.
Passarono gli anni.. nel Natale del 1956 il Perotti ricevette a Siracusa una telefonata .. era l’amico Medeot: “Sono rientrato in Italia, ti ricordi ancora di quella grotta calda ? Sarò a Sciacca con un gruppo d’amici l’8 gennaio, precedimi e prepara il terreno con le Autorità”.
Il 7 gennaio il Poletti caricò la sua vecchia topolino con la sua attrezzatura.. non era solo.. lo accompagnava l’amico Tinè, anche lui speleologo di grotte siracusane e allora precario alla Soprintendenza ( il prof. Bernabò Brea si accorse delle sue grandi competenze archeologiche nello studio dei reperti rinvenuti nelle grotte).
Iniziò così quell’affascinante avvenuta di ricerca che durerà anni e anni…. 

1957 – Seconda Spedizione C.G.E.B.
Da Siracusa a Sciacca…. Le strade di allora… un viaggio massacrante..
Durante il viaggio il Tinè chiese ripetutamente una sosta per un caffè.. il Poletti  tirava diritto.. voleva raggiungere entro la serata Sciacca.
Dopo sei ore raggiunsero Sciacca.. il Poletti fu affascinato dalla visione della cittadina con le sue antiche mura ed il castello sulla cima di un colle.
C’era subito un grosso problema da affrontare… “cosa fare per farsi ricevere dalle Autorità competenti ?”
Il Perotti aveva un amicizia nata all’Ospedale Militare di Palermo, l’avv. Felice Alba.. Riuscì a rintracciarlo e con l’aiuto del suo amico, dott. Arturo Politi, riuscì a farsi ricevere dal Presidente delle Terme. Fu accolto gentilmente e spiegò il motivo della sua visita.
Il Presidente delle Terme esclamò: “Veramente la sua richiesta è alquanto strana, perché volete ficcarvi dentro la grotta, e per fare cosa ? Si rende conto che io non posso essere certo che lei non sia un lestofante ?”
Il Poletti rimase scioccato dalle parole del Presidente delle Terme e a stento riuscì ad ottenere il permesso per dare una semplice occhiata all’Antro di Dedalo… allo stesso modo di come veniva concessa a coloro che vi entravano per le cure.

La sera il Poletti si recò alla stazione di Sciacca per prendere gli altri componenti della ricerca speleologica. Venivano da una intensa settimana speleologica in Puglia e da una viaggio,  di un giorno in treno, in parte a scartamento ridotto.
Il gruppo era costituito da:
-          Medeot;
-          Coloni, vecchio amico del Poletti. Un uomo alto 1,95 la bellissima descrizione del Poletti: Anche questo personaggio fuori del normale: un metro e novantacinque di forza bruta, faccia spigolosa e modi bruschi, da vecchio zitellone, che nascondono la sua profonda onestà e bontà d’animo, basti dire che è adorato dai bambini piccoli e dai cani; fuma almeno cento sigarette al giorno che confeziona in continuazione a mano col peggior tabacco da pipa esistente, e si fa fuori circa due litri di vino al giorno ad un bicchiere per volta senza ubriacarsi, sempre prono a buttarsi dove ce da fare fatica”;
-          Bortolin;
-          Tommasini, un giovane serio e riflessivo, neo diplomato;
-          Due operai, appena ventenni ma già forti esploratori di grotte.

“Alloggiavamo in una topaia,  la doccia non esiste, ma l’abitazione aveva una splendida vista sul mare ed annessa una locanda validissima”.


A cena il Perotti ordinò una sogliola… il cuoco preoccupato gli si avvicinò sussurrandogli che costava troppo… il gruppo non faceva una bella impressione.
Già l’indomani, giorno 8,  il gruppo ebbe la possibilità di visionare l’Antro di Dedalo con l’assoluto divieto di proseguire oltre. Da Palermo il gruppo fu raggiunto dal prof. Carapezza, giovane geologo dell’Università. Il Carapezza fu chiamato dall’Amministrazione delle Terme per esprimere un parere sull’attendibilità del gruppo di speleologi… il geologo era per fortuna a conoscenza dell’attività del gruppo e grazie al suo parere gli speleologi ottennero il permesso di iniziare le indagini.
Il giorno 9 iniziò la fantastica avventura.. sembrava una favola… varcata la strettoia dalla quale proveniva il flusso d’aria calda, il gruppo rimase di stucco.. nel fango della “Caverna Fazello” una notevole quantità di materiale classico “ che alle volte si distingue anche in superficie: lucerne, spesso intere; frammenti di demetre e parecchie monete greche e romane ed inoltre, a pochi centimetri di profondità anche materiale preistorico”.
Un patrimonio archeologico di valore immenso.. il Perotti si chiese “ come mai nessuno se ne sia mai accorto”.
Lo stesso Perotti provò una forte emozione quando vide qualcosa infilata in una fessura della roccia… riuscì ad estrarla… era una “malridotta monetina greca”… una moneta posta in quel luogo, in quella fessura da un antico devoto greco… ebbe quasi la sensazione di profanare la religiosa offerta di quell’antico greco e rimise la moneta al suo posto.

Medeot forniva l’assistenza esterna mentre gli altri, in costume, lavoravano sull’orlo del pozzo (chiamato anche “posto di manovra”) per armare le scalette metalliche. Riuscirono a scendere i primi 20 metri e poi, dopo un piccolo attimo per riprendere fiato, agganciarono un altro pezzone di scala da 20 metri. Bortolin provò una discesa fermandosi su un piccolo terrazzo a circa 30 m di profondità.
Eravamo nel 1957 e l’attrezzatura era costituita da pesanti scalette in cavo d’acciaio e con pioli in legno, lampade a carbonio che si tenevano in mano e corde di sicurezza in canapa. Le pareti del pozzo non erano perfettamente verticali e questo consentiva alla scaletta di penetrare nel fango viscido rendendo difficile l’appiglio. A tutti questi problemi  bisognava aggiungere la scarsa illuminazione e la forte sudorazione degli speleologi che, colpendo anche gli occhi, non rendeva perfetta la visibilità dell’ambiente.
Il gruppo si rese subito conto delle difficoltà a cui sarebbero andati incontro e che avrebbero dovuto superare per proseguire l’indagine.
Raggiunsero l’aria fresca, ritornando indietro, erano ridotti a statue di fango. Ogni sera si pesavano e si accorgevano di avere un peso di oltre due chili in meno per perdita di sudore e sali.
La sera nella locanda tanta acqua minerale e acciughe….. il tutto in un clima di allegria con del favoloso vino padronale di Sciacca.
Il mattino del giorno 10 il Candotti scese sul terrazzo del pozzo per agganciare uno altro spezzone di scala per poi risalire esausto dopo ben 45 minuti.
“Aveva la pelle dello stesso colore rosso dei capelli e cominciava ad ansimare profondamente”.. si resero conto che 40 minuti di permanenza nel pozzo in fase di lavoro erano troppi.
Nel pomeriggio scese Bortolin, riuscì a raggiungere il fondo e infilandosi in una strettoia, scoprì una galleria con vasi e resti umani. Prima di procedere, dato che si era staccato dalla corda di sicurezza, fissò questa ad un masso. Passò il tempo e gli speleologi che erano sull’orlo del pozzo cominciarono ad avere dei momenti di tensione.  Era passato tanto tempo, il Bartolin non si faceva sentire, la corda era bloccata… i dubbi tanti ha avuto un malore? E’ rimasto incastrato tra le rocce ?
Coloni senza perdere tempo si precipitò a corpo morto nel pozzo trattenuto solo dalla corda di sicurezza. Corda che per il violento attrito bruciò la schiena del Perotti sulla quale scorreva. Furono attimi .. si sentì inveire la voce di Coloni contro il Bortolin che stava iniziando la risalita.
Il Bortolin, ritornato sull’orlo del pozzo, esclamò: “sotto è pieno di vasi”.
Il gruppo credeva che stesse farneticando e risposero “tranquillo stai qui seduto e vedrai che tra poco ti passa”. Nel momento il gruppo non si accorse che il Bortolin teneva stretta un’ansa di un vaso a dimostrazione della sua eccezionale scoperta.
Il gruppo non ebbe il tempo di esaminarla perché Padre Arena, ispettore onorario alle antichità e che era casualmente presente, la prese.


A cena il gruppo discusse sulle iniziative da intraprendere in funzione dell’eccezionale rinvenimento e nello stesso tempo decisero di non svelare nulla agli amici saccensi. L’unico esperto di archeologia era Tinè ma non era uno speleologo e forse non era in grado di affrontare una simile esperienza in grotta. Con sorpresa del gruppo il Tinè disse che era pronto ad intraprendere l’impresa di discesa. Il gruppo decise di affidarlo a Coloni.
Il giorno 12 la scena era sempre la stessa: Medeot a collegare l’esterno con l’interno; gli altri nudi sull’orlo del pozzo e Tinè con Coloni scesero sul fondo del pozzo che raggiunsero senza difficoltà.
Pur nella scarsa luce il Tinè restò meravigliato dal notevole rinvenimento.. passò in rassegna vaso dopo vaso. Con la poca luce e con il sudore che offuscava la vista non potè comprendere molto ed il Coloni, arrivato ad un certo punto, giudicò la permanenza sul fondo ormai al limite e ordinò la risalita.
Coloni lo fermò bruscamente… il Tinè era arrivato sul bordo di un infido pozzetto… se avesse continuato nel suo cammino avrebbe fatto compagnia ad un preistorico che vi era caduto 4000 anni prima. (Uno scheletro che fu scoperto in una successiva spedizione).
La salita era ben diversa dalla discesa.. il Tinè esausto cominciò a incespicare e a rigirarsi sulla scaletta… Coloni lo sbrogliò più volte e poi fu costretto a chiedere aiuto… dato il groviglio che si era creato tra le due corde e la scaletta, al gruppo posto sull’orlo del pozzo non rimase che tirare il tutto.
Dopo un’ora il Tinè venne portato fuori ..” ha oltre 200 pulsazioni al minuto, respiro affannoso e stato confusionale, solo l’immediato intervento del medico delle Terme, che in macchina ha risalito il monte con un tempo di cronoscalata, riesce a metterlo bene o male in sesto con un’iniezione intercardiaca”.
Il Coloni venne affidato al Perotti… dichiara di sentirsi bene.. ma era barcollante. Durante il breve percorso verso la strettoia dell’uscita, perse i sensi… il pavimento scivoloso permise al Perotti di portarlo fuori dove il contatto con l’aria fresca lo fece riprendere.
Il Coloni affermò di aver trovato un fondo di vaso contenente dell’acqua e di averla bevuta  per avere la forza di trascinare fuori il Tinè.  Era chiaro per il gruppo, oltre all’indagine archeologica, cercare di scoprire che tipo di riti si svolgevano nel fondo del pozzo.
Il rinvenimento di una tale quantità di vasi risalenti a 4000 anni fa, nella posizione nella quale erano stati sistemati, era un evento eccezionale. 


Il giorno 13 una cena con saluti.


Tornati a Triste si misero a punto le esperienze di ricerca vissute.
Si scese lungo l’inghiottitoio  “Medeot” e al suo termine furono esplorate le grotte “Bellitti” e “Di Milia”.
È vero la permanenza fu di breve durata ma si rilevò affascinante per l’inaspettato rinvenimento di materiale archeologico.. uno straordinario deposito archeologico che a quanto sembra è ancora sul luogo.
Si mostrarono in tutta la loro bellezza oltre 40 grandi vasi d’età preistorica e  resti di sepolture risalenti all’eneolitico finale. La presenza anche di ossa umane, non si sa se in associazione con i grandi contenitori di fase malpassiana (III millennio a.C.), suscitarono non pochi interrogativi circa quel vasto deposito  forse a carattere rituale.
Naturalmente si avanzò l’ipotesi che l’uso delle cavità era forse destinato a luoghi di sepoltura degli antichi  frequentatori preistorici delle grotte. Un uso che finì con il nascere del fenomeno vaporoso legato al collegamento, che in un dato momento, si verificò tra il sistema carsico del Monte e il bacino idrotermale sottostante al monte.

I 38°C nelle grotte rendevano inospitali gli ambienti; la presenza di umidità al 100% impediva l’evaporazione del sudore e di conseguenza la termoregolazione cutanea. Dopo un breve periodo di permanenza nella grotta si correva il rischio di subire un colpo di calore, i battiti cardiaci e la respirazione aumentavano in odo preoccupante mentre la vista cominciava a scendere e nasceva un difficile coordinamento nei movimenti anche più semplici. Non era possibile fermarsi troppo a lungo nelle grotte per effettuare le dovute indagini anche perché la risalita richiedeva notevoli sforzi.
Si decise di studiare una tuta-scafandro con la quale realizzare un ricambio d’aria proveniente dall’esterno, non tanto per raffreddare il corpo ma per fare evaporare il sudore.
A Triste, con la collaborazione del nefrologo dott. Legnani, si cercò di attuare una tuta che copriva il corpo ed il capo. Una tuta munita di tubicini che distribuiva aria aspirata dall’esterno attraverso un tubo ad essa collegato. Fu studiata anche la possibilità di piazzare all’interno della tuta un telefono. Il sistema sembrava perfetto.

1958 – Terza Spedizione C.G.E.B.

Dopo la partenza da Sciacca la gente del luogo affermava che le scoperte del gruppo speleologico erano solo fandonie e che lo stesso gruppo nascondeva altri interessi.
Il gruppo riuscì a raccogliere la cifra necessaria per la spedizione, così com’era successo nel 1957, ma questa volta era più cospicua.
Fecero confezionare 4 tute, sperimentate a Trieste, e riuscirono a farsi prestare gratuitamente un compressore munito di tubi e raccordi.
Tra gli speleologi non c’èra Medeot che era ripartito per il Centroamerica.
Il 31 marzo il Perotti, Tinè e Busolini (entomologo del Museo di Venezia e grande fotografo) attendevano sulla banchina del Porto di Palermo, l’arrivo della Motonave Vulcania da Triste con tutto il materiale speleologico.
Scaricato il materiale, grazie alle conoscenze del Perotti con la Capitaneria, il tutto venne caricato su un camion fornito dalle Autorità Militari. Varcarono senza intralci la Dogana e proseguirono per Sciacca dove stavano per giungere gli altri componenti del gruppo.
Un gruppo formato da ben 12 partecipanti:
-          Boegan (veterano);
-          Bortolin (veterano);
-          Candotti (Veterano);
-          Coloni (Veterano)
-          Carlo Finochiaro;
-          Dott. Legnani;
-          Dario Marini;
-          Giulio Toffolini;
-          Marino Vianello;
-          Perotti;
-          Tinè;
-          Busolini.
Sistemazione in un albergo fornito di acqua corrente … il vitto ottimo e la compagnia locale simpaticissima.

Il giorno successivo si sistemò il compressore e si stesero i tubi dell’aria sino in fondo al pozzo.
Il dott. Legnani eseguiva prelievo e peso sia all’entrata che all’uscita del pozzo di ogni speleologo.
La notizia della missione speleologica era ormai nota a livello nazionale. Il quotidiano “Il Tempo” mandò a Sciacca un inviato speciale per raccontare l’impresa. Era Igor Man che chiese subito al gruppo la possibilità di provare l’emozione di entrare in grotta. Una volta provato solo per un attimo l’ambiente affermò che il “gruppo era costituito da spostati”. Resterà sempre a contatto con il gruppo e pubblicherà alla fine tre articoli suggestivi e un po’ fantasiosi.
Ogni giorno faceva visita al gruppo Padre Pisa, priore del Convento e parroco della Basilica di San Calogero.. “sarà il migliore, più sincero e disinteressato amico che avremo a Sciacca”.
Due speleologi, coperti dalle tute, scesero con la scaletta nel pozzo. Proseguirono verso la galleria dei vasi per installarvi una tenda rifornita d’aria che costituirà un ricovero in caso di necessità. Quattro speleologi stavano sull’orlo del pozzo e gli altri fuori di ricambio.
Gli speleologi con la tuta incominciarono ad incontrare delle difficoltà che riuscirono a superare.
Risalirono dopo circa un’ora e mezza, stanchi ma in buone condizioni. Con la tuta l’atmosfera ambientale non creava alcun problema ma il muoversi nelle scalette era difficile perché le tute avevano delle dimensioni eccessive e un tessuto pesante. Inoltre il flusso dell’aria creava un rumore assordante, la visiera si sporcava continuamente e gli innesti a scatto che collegavano la tuta al tubo principale, diventavano con il fango difficili da manovrare.
Bortolin mentre stava sistemando la tenda nella galleria dei Vasi, individuò una nicchia con un vaso rotto contenente degli ossicini. Ne prese uno e una volta in superficie lo fece vedere. Dibattito tra il gruppo.. umano, forse di un bambino, o ovino ?
Tinè doveva relazionare alla Soprintendenza la situazione delle deposizioni archeologiche e doveva quindi ridiscendere. Il gruppo, vista l’esperienza passata, rifiutò la proposta anche perché la tuta era troppo abbondante per il suo fisico. Tinè protestò energicamente e alla fine il gruppo si lasciò convincere  affidandolo a Finocchiaro (presidente del CAI).
I due scesero sul fondo senza problemi e il Tinè potè vedere senza problemi il ricco materiale archeologico.
Si era stabilita una permanenza di soli 20 minuti,,,,per le difficoltà della risalita…. Erano passati 40 minuti…Coloni e Candotti iniziarono a scendere e proprio in quel momento sentirono la voce di Finocchiaro che chiedeva aiuto per districare il compagno… Un’esperienza per il Tinè vissuta l’anno precedente. S’era girato con la scaletta intrecciando a questa corda e cavo telefonico.. il solito groviglio. Per fortuna erano in tanti e riuscirono a recuperarli. Il Tinè e il Condotti furono fortunati perché il tessuto delle tute fece da protezione all’urto dei loro corpi contro le rocce. Urti che potevano procurare delle escoriazioni. I due erano stanchi ma stavano bene. Tinè era in preda ad una irrefrenabile gioia perché aveva visto i vasi preistorici databili attorno al 2000 a.C e le ossa umane che probabilmente facevano parte di antiche sepolture.
Il gruppo decise che bisognava dare un dimostrazione dell’esistenza dei vasi. Avevano in dotazione una pesante Rolleiflex subacquea ma era impossibile manovrarla nella galleria. Busolini decise di scendere con la sua Leica ma senza tuta per scattare in libertà. In appoggio: Bortolin in fondo al pozzo e Marini nella Galleria dei Vasi, entrambi con le tute.
Una raccomandazione importantissima fu fatta al Busolini: “devi fare molto rapidamente.. sei senza tuta”.
Scese velocissimo, i primi scatti.. poi dentro la tenda a prendere aria… scatti sulle ossa… sui vasi.. alla fine sentì che doveva ritornare indietro ma sbagliò percorso… ritrovò la strada giusta.. s’infilò nella tenda.. sentì il polso lento e decise di riprendere il ritorno..
A metà pozzo venne raggiunto dal Coloni e dal Condotti che lo aiutarono a risalire nel tratto più difficile.
Era stanco, sfinito… si era fermato nella galleria per circa 30 minuti ma era soddisfatto perché le foto erano venute bene. …aveva ragione. Un amico le portò a Palermo… erano diapositive e a Sciacca non erano in grado di svilupparle. Il laboratorio gli consegnò nella stessa serata e a tarda ora arrivò Busolino con le foto che la RAI aveva già ripreso per il telegiornale del giorno successivo. Il gruppo proiettò le foto diverse volte e quella con Marini in tuta inginocchiato presso un vaso fu definita la più bella tanto che fece il giro di tutti i giornali del mondo.



Il 15 maggio il giornale “Il Tempo” pubblicò su cinque pagine un bellissimo articolo di Busolini.




Ricominciò il duro lavoro e si doveva riportare in superficie i quintali di materiale che era rimasto nella grotta e che era costato denaro. Operazione che fu svolta senza l’uso delle tute.

In un cinema affollato da centinaia di persone ci fu un incontro  con la proiezione delle diapositive. Il Perotti citò anche le cattive frasi che avevano accompagnato la spedizione precedente ed alla fine ci fu un grandissimo applauso.
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Passarono gli anni e il Perotti era innamorato di Sciacca. Vi ritornava spesso per il bel mare, le pietanze di pesce e per passeggiare sul Monte Kronio. Spesso era raggiunto dall’amico Coloni e a volte riuscivano a svelare aspetti sconosciuti. Un giorno, infatti, in prossimità dell’orlo del pozzo, si infilarono in un cunicolo che era stato già notato in precedenza ma mai esplorato.

Dopo un breve tratto trovarono una piccola caverna con una parete costituita da una grezza muratura. Da una piccola fessura filtrava un filo di luce. Accostarono l’occhio e videro l’Antro di Dedalo con i suoi sedili ed il suo ingresso. Il locale che il povero calzolaio Bujela aveva visto e definito residenza dei Lestrigoni. Senza accorgersene aveva fatto un giro attorno all’Antro per poi
cadere abbandonato al suo destino.


Nell’autunno del 1961 il Perotti incontrò sul vaporetto che portava all’isola di Lampedusa, il Sopraintendente di Agrigento prof. Griffo. Parlarono delle stufe di San Calogero e della ricerca nella gallerie superiori di qualche interessante deposito. Il Perotti disse che era possibile effettuare uno scavo archeologico sotto la guida di Tinè.

Rientrato a Siracusa avvisò il Tinè e subito partirono le telefonate per Trieste per il materiale, per quattro o cinque speleologi e a Busolini per la documentazione. Fu programmata la spedizione per l’inverno 1962.

1962 – Quarta Spedizione C.G.E.B.
Il 14 febbraio il Perotti partì con la sua auto per Sciacca. Con lui c’erano Tinè, Alberto Lazzarini che era un esperto restauratore e l’operaio esperto di scavi archeologici Carmelo Belluardo.
Per rendere fruibile la zona oggetto di scavo fu necessario isolarla dal resto della galleria per impedire la circolazione del flusso d’aria calda.  Furono costruite due pareti in legno e faesite in modo da obbligare il flusso d’aria  a passare dall’altro varco esistente.
Il Perotti raccontò anche un episodio per cui restarono bloccati da un gruppo di donne che entrarono nell’Antro di Dedalo per sottoporsi alle cure termali. Circa 30 minuti di litanie inneggianti alle virtù taumaturghe del Santo. Fu abbattuto il muretto che ostruiva il Buco del Fico. Una fessura che immetteva all’interno e chiamata in questo modo perché il vapore che filtrava permetteva ad una pianta di fico sovrastante di vivere serenamente. Probabilmente si trattava di un opera di San Calogero che aveva come obiettivo di convogliare il flusso caldo nell’Antro di Dedalo.
Crearono il passaggio e riuscirono ad entrare quasi a carponi. Il primo rinvenimento: un’anfora romana intatta posta a chiudere il passaggio. Proseguirono con il lavoro per allargare il passaggio. Un lavoro eseguito lentamente perché nello sterro era presente del materiale archeologico. Il varco fu aperto e una volta entrati si resero conto che ancora c’era caldo. Con un grosso e vecchio ventilatore riuscirono a superare il problema. Collocarono il ventilatore all’esterno e con alcune lamiere riuscirono a creare una condotta per convogliare il flusso d’aria fresca nella zona isolata in cui si doveva lavorare.
La sera del 17 giunsero da Trieste: Busolini, Coloni, Adalberto Kozel, Marini e Bruno Redivo. Il giorno successivo con il loro aiuto si riuscirono a completare i lavori e a collocare un verricello per l’estrazione del materiale. Tinè iniziò finalmente lo scavo archeologico. Fino a questo momento il materiale era stato estratto senza badare alla stratigrafia, era necessario creare il passaggio, mentre adesso l’esame archeologico diventava più accurato. Era ancora presente nell’ambiente un po’ di caldo ma si riusciva a lavorare mentre i due operai spesso si rifiutavano di procedere nei lavori a causa delle condizioni ambientali.
Con la terra usciva una enorme quantità di materiale preistorico. Si organizzò una specie di catena di montaggio. Una signora tedesca, che si trova sul luogo per le cure termali, si aggregò al gruppo e assunse il ruolo di guida  per il lavaggio dei reperti, operato da due donne del luogo; la loro numerazione e sistemazione, secondo le zone di scavo, in un camerone delle Terme.
Il Lazzarini cominciò subito il restauro e da quei mucchi di cocci riuscì a ricostruire, anche interamente, i manufatti ceramici.





Il gruppo, adoperando tute più leggere, riuscì a rivedere e completare il rilievo topografico delle cavità.
Le nuove ricerche cominciarono a fare notizie sui giornali e sulla RAI che intervenne due volte con dei servizi. Un servizio riguardava il rinvenimento di due massicciate costruite dagli abitanti delle grotte in epoche diverse, forse piovose, per soggiornare in ambienti meno umidi  con il pavimento asciutto.
Fu portato alla luce un materiale archeologico eccezionale con una stratigrafia completa dal mesolitico all’età del bronzo. Utensili in pietra, ceramiche anche di tipo completamente nuovo che fecero nascere lo “Stile del Kronio”. Fu anche trovato un bellissimo idoletto in geadite verde che per il suo aspetto venne battezzato “il paperino”.


Si scoprì la presenza di un cranio e di parecchie ossa umane che avevano probabilmente un legame con le impronte notate a fianco dei vasi. Lo scavo raggiunse i 4 metri di profondità e forse non aveva finito di dare ulteriori sorprese. Una storia rilevata di uomini vissuti 6000 anni fa ?
L’8 marzo fu recuperato il materiale speleologico, sistemato il materiale archeologico e  il caloroso arrivederci.. Il gruppo passò 22 giorni intensi e ricchi di sorprese come la nevicata nella quale fu piacevole per gli speleologi buttarsi con le loro tute calde.





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Le discese e salite nel pozzo, anche con tute leggere, erano sempre difficoltose (soprattutto nel risalire). In quelle condizioni difficilmente potrebbe essere garantita una tranquilla permanenza nel caldo della grotta. Le scalette adoperate nel pozzo furono considerate dal gruppo non indicate. Gli uomini preistorici probabilmente adoperarono una serie di scale fisse e questo quando forse il calore era inferiore. Ma adesso fissare delle scale fisse con quel materiale viscido era difficile.
Tinè negli anni seguenti continuò  gli scavi e spesso il Perotti gli faceva compagnia.
Nel 1969 il Perotti con Coloni si recarono sul Monte Kronio per dare una mano un aiuto al Tinè impegnato nelle ricerche archeologiche. I due  fecero la conoscenza del signor Caltanissetta, un abilissimo  rabdomante, che il Perotti aveva visto già in attività nei giorni precedenti.  Su un terreno piantato a vigna e sul quale non era presente alcun segno o indizio archeologico, segnalò la presenza di 15 tombe preistoriche interrate. Lo scavo successivo del Tinè ne identificò 11..
Una mattina il Perotti affacciandosi dalla finestra della sua stanza, posta nel Convento di San Calogero, vide il Sig. Caltanissetta muoversi con una bacchetta in mano e tracciare sul terreno una planimetria con dei punti fissi. Affermò che una galleria si trovava sotto quel terreno e che i punti segnavano la presenza di vasi. Il rilievo del gruppo speleologico non presentava questa galleria che prendeva invece un’altra direzione. Nel 1974 con un nuovo rilievo Perotti si accorse che  il signor Caltanissetta aveva ragione.



1974 – Quinta Spedizione C.G.E.B.
Dall’ultima spedizione del 1962, il Perotti era spesso tornato a Sciacca per le sue puntate balneo-gastronomiche. In una di queste visite aveva conosciuto l’avv. Pipia,  nuovo ed attivo Presidente delle Terme. I due avevano spesso parlato del grande interesse archeologico del complesso di Monte Kronio, di quello che ancora si doveva scoprire e soprattutto quanto fosse importante per il territorio di Sciacca una maggiore conoscenza del sito. Discussioni importanti con una persona che aveva a cuore le sorti del termalismo di Sciacca a differenza delle autorità competenti che consideravano spesso l’attività degli speleologi con un senso di fastidio e come esibizione di un gruppo che aveva tempo da perdere e soldi da sprecare.
L’avv. Pipia chiese al Perotti un preventivo per ulteriori ricerche e aggiunse che aveva a disposizione solo 14 milioni. Il Perotti si fece subito i conti e capì che quella cifra sarebbe bastata appena per la progettata scala fissa, per i materiali ed il loro trasporto.
Spinto dall’amore di ricerca  pensò..”pazienza… vorrà dire che alle nostre spese di trasferimento e mantenimento provvederemo come al solito noi”.
A Trieste fu progettata e costruita una scala in profilati metallici, divisa in spezzoni, e con particolari giunti che permettevano di adattarla alla topografia del pozzo. Si crearono delle tute simili a quelle del 1962 ma con un diverso tessuto. Le tute presentavano anche un diverso boccaglio per respirare aria più fresca e degli attacchi meno sofisticati rispetto a quelli a pressione.
Circa due tonnellate e mezzo di materiale che venne spedito a Sciacca.
Il 24 ottobre il Perotti arrivò a Sciacca con la moglie e Filipas che fu prelevato dal traghetto Catania – Malta del quale era ufficiale marconista.
Filipas discendeva dai pirati del Quarnero, nemici di Venezia, e girando il mondo era diventato amante di grotte e di alpinismo. Era riuscito a scalare il Kilimangiaro, l’Aconcagua ed altri monti. Era caduto anche nel cratere del Fuijyama per essere poi rimpatriato in aereo con la testa rotta. Diventerà con la sua presenza uno dei più assidui speleologi sul Monte Kronio.
La sistemazione era negli ambienti dello stabilimento termale sul Monte Kronio, in quel periodo chiuso. Con l’aiuto di Tortorici, l’uomo delle stufe (guardiano) che dal 1957 era stato sempre presente nelle spedizioni, e di mia moglie si diede una pulizia agli ambienti che furono occupati.
Due giorni dopo arrivarono Gherbaz con la sua fresca sposa, Coloni, Quintavalle e Tinè solo per un breve contatto con la Soprintendenza.
I lavori di ricerca iniziarono subito.
Per portare il materiale al pozzo si dovette passare dall’Antro di Fazzello. Oltre ai lavori necessari per installare o piazzare la scala, fu effettuato anche un lavoro di protezione dello scavo archeologico.
Iniziarono subito i guai.
Non era disponibile, come nelle volte precedenti, un compressore della portata necessaria. Inoltre i tubi per l’aria non erano quelli giusti e il tipo adatto non si trovava a Sciacca. Il Perotti riuscì a trovare a Catania una ditta in grado di fornirgli a noleggio un compressore adatto. La ditta assicurò che il tutto sarebbe arrivato nel giro di qualche giorno. Questo determinava già un aggravio delle spese.
Si doveva quindi iniziare il lavoro senz’aria e con il caldo dei flussi. Vennero assunti tre bravissimi operai: Buscarnera, Bono e Gallotto che subito si sentirono coinvolti. Mostrarono una grande passione ma il problema di dover lavorare senza tute causava un forte dispendio di energie e una riduzione del lavoro svolto.
S’installò una teleferica per portare gli spezzoni di scala all’interno; si stese una linea telefonica ed una linea di corrente elettrica a 48V posta a metà pozzo. Coloni preso dalla foga del lavoro s’infortunò e Filipas, con 38 di febbre, fu costretto a letto per poi decidersi di curarsi a modo suo. Entrò nelle stufe fermandosi per 40 minuti. L’amico dott. Politi, pur dichiarandosi interessato all’esperimento, lo aveva sconsigliato di effettuare una simile terapia. Il risultato fu eccezionale. Rimessosi a letto la sera con 39,5 di febbre…quasi in delirio ma il mattino si alzò perfettamente guarito e senza febbre. Il dottore fu piacevolmente sorpreso però affermò che “mai e poi mai oserebbe consigliare ad un suo paziente tale tipo di terapia!”.
La sera del 31 arrivò il compressore con i tubi ed il mattino seguente fu montato il tutto. Il collaudo della distribuzione dell’aria, delle tute.. tutto era perfetto.
Il 2 novembre arrivarono da Trieste Marini e Gigi Venanzi con le rispettive mogli. Giunse pure il “mitico” Medeot che era in cattive condizioni di salute. Una figura triste quella di Medeot.. il suo sogno fu quello di portare il CAI di Trieste a Sciacca e ci riuscì.
Il campo era ben organizzato. C’erano le signore che badavano alla lavanderia, alla pulizia dei locali, alla cucina (grazie alla moglie del Venanzi che era proprietaria di un ristorante) e alla costante collaborazione di Padre Pisa esperto anche in idraulica.
Per il gruppo tecnico:
-          Quintavalle alle misurazioni della portata del flusso e delle temperature interne ed esterne;
-          Gallotto, nella sua mansione di operaio all’esterno pronto ad approntare il materiale da montare;
-          Bono e Buscanera
-          Marini e Filipas al completamento dell’impianto d’illuminazione e telefonico, ed al rilievo strumentale con bussola da miniera(nelle gallerie) e triplometro nel pozzo.
Per il gruppo speleologico:
-          Coloni;
-          Gherbaz;
-          Venanzi;
-          Perotti (l’unico a conoscere anche l’uso del martello pneumatico)

Il lavoro di montaggio della scala era spedito. Gli spezzoni di scala, accatastati per mezzo della
teleferica sull’orlo del pozzo, erano portati uno per uno a passamano al loro posto per imbullonare i giunti di congiunzione. Spesso era necessario bloccarli con catene fissate a sbarre di ferro infisse nelle pareti del pozzo. Ciò richiedeva parecchia fatica per le quattro persone che operavano contemporaneamente su di un breve tratto di scala: si dovevano sistemare e stringere bulloni e dadi ( molte centinaia, ogni gradino ne aveva quattro). Gallotto, facendo continuamente la spola senza il sollievo della tuta, riforniva  i “montatori della scala” di tutto quello che si erano dimenticati all’esterno (bulloni, ecc.). Il fango faceva scivolare tutto.. bulloni, qualche elmetto che andavano a fare compagnia al materiale archeologico sottostante.
Lavorando nel pozzo si accorsero della presenza di nicchie nelle pareti con la presenza di cocci di vasi con all’interno del materiale combusto. Forse un antica fonte di luce degli uomini preistorici durante il trasporto dei vasi. Ma le scoperte non finirono…alla base di due tratti verticali del pozzo furono trovate  le tracce di rudimentali piccole piattaforme forse utilizzate come basi d’appoggio di primitive scale. Uomini preistorici ben organizzati per scendere carichi pesanti e soprattutto in un ambiente caldo anche se probabilmente con una temperatura meno elevata.
Mentre si lavorava alla scala, Marini e Filipas procedevano con il rilievo strumentale comunicando all’esterno i dati. Riuscirono a fissare i capisaldi trigonometrici per poi effettuare la misurazione mediante poligonale.. una poligonale chiusa che chiuderà con un errore inferiore al metro e solo con bussola e per giunta in miniera.
Il 4 novembre i due giunsero in fondo al pozzo e si accorsero dell’esistenza di un’altra galleria che si apriva sulla sinistra e che non era stata vista prima a causa dei problemi legati alla scarsa visibilità e alla necessità di procedere in fretta.
Nella nuova galleria molti “bei vasi”, alcuni in posizione originaria. Era presente anche una notevole massa di cocciame costituito da vasi rotti sul posto.
Gherbaz tornò eccitato da una perlustrazione sul monte e raccontò di essere entrato in un angusta fessura sulla parte e di essere quindi capitato in un intricato sistema di gallerie dove era presente una forte circolazione d’aria, a volte calda e a volte fredda. Per uscire passò attraverso uno strettissimo buco sul pavimento ed era sbucato nella Grotta della Cucchiara che già il gruppo conosceva. Si programmò di andare ad ispezionarla ma non se ne ebbe il tempo.
L’8 novembre tutto l’armamento era pronto anche se bisognava ancora stringere le centinaia di bulloni della scala che di continuo si allentavano. Nel corso del rilievo della galleria già nota, vennero scoperti altri vasi e resti umani posti in alcuni anfratti laterali. In uno di questi si trovarono tre vasi ed uno scheletro, con ossa in disordine ma completo, vicino al quale il gruppo si sistemò un telefono.
“In piena notte il nostro meritato riposo venne bruscamente interrotto da un insistente trillare di quello di superficie, era sicuramente un cortocircuito dovuto all’umidità a causarlo, ma per noi era il povero defunto che voleva punirci per averlo disturbato dopo 4000 anni dal suo sonno eterno. Gode egualmente di tutta la nostra simpatia per cui sarà sempre per noi il “caro estinto””.
Un gatto probabilmente non preistorico e scappato forse dal convento fu trovato nel fango. Quintavalle continuò a salire e scendere per misurare le portate del flusso e le temperature interne ed esterne. Dati ancora non sufficienti ma indicativi per dare una spiegazione del flusso.
La portata era influenzata dalla situazione meteorica esterna ed oscillava tra i 2 e i 5,5 mc al secondo. La temperatura interna si manteneva costante sino al fondo , 37° C con oscillazioni di qualche decimo ed aumentava sino a 38,5°C proseguendo lungo la corrente del flusso mentre diminuiva sino a 30°/32° C verso il termine della galleria che si avvicina alla pendice Nord del monte.
I lavori procedevano bene  e le condizioni fisiche erano buone malgrado la presenza nelle cavità di 4/5 ore al giorno.
L’unico problema era legato alle uscite dal pozzo quando si dovevano sbrogliare l’intrico di cavi e tubi. Per fortuna le corde di sicurezza non erano più necessarie per la presenza delle scale fisse. Un  lavoro che richiedeva almeno un’ora e che con la stanchezza era difficile svolgere.  Il gruppo si prese un giorno di riposo.
Il giorno 10 arrivò Tinè che riuscì in due riprese a trattenersi nelle gallerie inferiori e soddisfatto confermò che i vasi erano tutti dello stesso periodo.  Notò che in alcuni casi pur non essendoci resti scheletrici, erano presenti le impronte del morto. Questo rimase un grosso mistero ancora oggi non svelato. Dove sono finite le ossa ? Perché furono rimosse  e da chi ? Hanno a che fare con le ossa umane trovate nello scavo dell’Antro del Fazello ?


Diedero un nome alle grotte scoperte: Pozzo Medeot; la nuova galleria “Galleria Bellitti” dal nome del primo ricercatore che  fece una descrizione del complesso e “Galleria Di Milia” dal nome del primo studioso che trattò in modo scientifico il problema del flusso.
Fu completato il rilievo della Galleria Bellitti. L’uso delle lampade permise di mettere in risalto un osservazione di grande importanza. Il flusso trasportava una massa di polverino, prodotto dall’aggressione degli acidi disciolti nel suo vapore, sulle pareti trasformando il loro calcare in gesso. Questo polverino poi si depositava in grossi cumuli nelle zone in cui era presente una diminuzione della temperatura, anche minima, favorendo la condensa del vapore. Riuscirono a comprendere perché il tessuto delle loro tute dopo appena un mese era completamente consumato. Anche questa volta la Rai intervenne per diverse riprese sia su “Cronache Italiane” su sui TG.
Quasi ogni sera gli amici di Sciacca portavano al convento le tipiche pietanze siciliane, per il gruppo, dove erano presenti anche le mogli di alcuni tecnici e speleologi, era una grande festa.
Padre Pisa una sera invitò tutto il gruppo a cena nel refettorio del convento nel tavolo presidenziale sedevano i due sacerdoti  e a Perotti venne concesso l’onore di sedere alla destra del Priore. C’erano poi due lunghe tavolate dove sedevano misti speleologi maschi e femmine ed i frati. Fu offerto il famoso risotto con i gamberi di Padre Pisa.. un piatto con un rapporto di un gambero ogni “due grammi di riso” annaffiato con il buon vino locale.. un piatto da favola fu il giudizio di tutti.
Il gruppo di Trieste si esibì in canti e cori montani ricambiati poi in chiesa con un concerto d’organo suonato da un frate barbuto.
Il 20 il lavoro era finito. Partirono Marini, Filipas e Medeot che ripartì successivamente per Santo Domingo. Tinè era già partito e il Perotti con altri rimase per la raccolta del materiale e per la messa in ripristino dell’aspetto originario dell’Antro di Fazello a cui si erano apportate delle modifiche.
Il 26 novembre si chiuse la spedizione con l’incognita legata al proseguimento della Galleria di Milia e il fenomeno della Grotta Cucchiara.




Planimetria con il posizionamento dei vasi


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1978 – 6° Spedizione CGEB
Restavano da risolvere due enigmi: individuare il proseguimento della Galleria Di Milia e ispezionare, forse per qualcosa di nuovo, la Grotta Cucchiara che già in precedenza era stata oggetto di studio.
Per la Galleria di Milia era necessario la disponibilità di personale per il montaggio dell’attrezzatura necessaria per l’indagine  mentre per la Grotta Cucchiara era una semplice visita d’ispezione.
Il 10 ottobre Perotti, Filipas e Marini si ritrovarono a Sciacca. Marini era accompagnato da un amico, Schiavato, giornalista italiano di Fiume, alpinista, ottimo scrittore e poeta che pubblicherà alcuni romantici scritti sulla sua esperienza.
Coloni li raggiunse a Sciacca.. abbastanza adirato perché il medico del CAI, dott. Legnani, gli aveva vietato assolutamente di bere vino  per problemi al fegato e dato i.. profumi enologici presenti a Sciacca.. era per lui un grave problema…
Giunti dinnanzi alla Grotta Cucchiara   entrarono attraverso uno strettissimo buco  ovvero il “tombino” che si apriva sul soffitto della cavernetta attraverso il quale veniva aspirato verso l’interno un violento getto d’aria (30 km/h). Da quel tombino era uscito Gherbaz nella spedizione del 1974. Il Perotti non riuscì ad accovacciarsi nell’angusto spazio fra il buco e un masso sottostante, una posizione indispensabile per proseguire. Era necessario scalpellare in parte il masso per permettergli di entrare completamente.
Entrarono e si ritrovarono in una piccola caverna nella quale confluivano varie piccole gallerie. La massa d’aria fredda che arriva dal buco si univa ad altre provenienti da due fessure sulla parete, per proseguire verso l’interno attraverso una galleria quasi parallela ad un’altra e dalla quale proveniva aria calda. Un ambiente particolare.. si ritrovarono con la testa al freddo e le gambe al caldo .. la chiamarono la “cavernetta delle Quattro Stagioni”. Continuarono ad inoltrarsi e il Perotti, con poca luce, s’infilo carponi in un cunicolo ed improvvisamente una delle sue mani  fu nel vuoto. Davanti a lui c’era solo buio. Chiamò gli altri.. usarono il solito scandaglio del lancio di un sasso… ci mise un tempo enorme per rimbalzare sul fondo… saranno 100 metri o più.
Riunirono tutte le luci che avevano a disposizione ma non riuscirono a scorgere nulla nemmeno la parete opposta, né il fondo,…solamente e molto male, videro la volta una ventina di metri più in alto. Una volta in cui s’intravedeva lo sbocco di una galleria o semplicemente un’ombra causata dalle lampade.
Marini lo definì “il grande buco nero”.. un buco profondo che emanava un caldo infernale, circa 39,5°C.  Percorsero altre gallerie dove giunsero ad altri affacci sul “buco nero” (scoprirono in seguito tantissimi affacci). Chiamarono quel grande “buco nero”  con il nome di “Pozzo Trieste”.
Fecero successivamente un piccolo giro sulla parete del monte per localizzare altre grotte che erano state segnalate e dopo due giorni  ritornarono a casa con tanti progetti futuri.



Rilievo della Grotta Cucchiara eseguito nel 1998

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1979 – 7° Spedizione CGEB
Il Perotti incontrò causalmente a Palermo un importante personaggio politico di Sciacca a cui rilevò le recenti scoperte. Scoperte che permettevano di avere una migliore conoscenza sui flussi e sugli elementi che caratterizzavano ed influenzavano il complesso fenomeno termale.
Il Perotti espose anche i notevoli interessi economici legati al fenomeno e che era necessario una migliore tutela del suo precario equilibrio geologico. Il politico si rese conto del problema e invitò il Perotti ad organizzare, quanto prima, una spedizione per proseguire l’esplorazione del “Pozzo Trieste”. Promise altresì un totale finanziamento alla spedizione da parte della Regione.
Si studiarono i preliminari della spedizione. Era impossibile raggiungere il fondo del pozzo con le scalette. Gherbaz, esperto anche in meccanica, avanzò l’idea di sistemare ad uno degli sbocchi delle gallerie una specie di trampolino a sbalzo che avrebbe consentito di calare e recuperare una persona senza farla strisciare lungo i centro metri o più della parete del pozzo.
L’idea fu accettata e Gherbaz venne incaricato della realizzazione del “trampolino”. Il resto del materiale che serviva per la spedizione era già sul posto. Fu la spedizione più difficile e funestata da tanti incidenti.
Il tre marzo si ritrovarono a Sciacca: Perotti, Coloni, Filipas, Gherbaz e Pino Guidi con notevoli esperienze speleologiche.
Il programma era ambizioso:
-          Tentare di scoprire come proseguiva la Galleria Di Milia;
-          Scendere ed esplorare alla base il “Pozzo Trieste;
-          Rilevare sul monte alcune grotte soffianti o aspiranti che si ritenevano importanti per il flusso vaporoso;
-          Misurare durante tutto il periodo della permanenza, alla strettoia dell’Antro di Dedalo e a quella della Cucchiara, le portate di efflusso ed aspirazione; temperature e pressioni interne ed esterne.
Il “trampolino” progettato da Gherbaz non era stato collaudato a Trieste per cui lo stesso Gherbaz era impegnato ad assemblare il suo progetto che fu battezzato “il palanchino”. Diqual con anemometri, termometri di precisione e barografi, fu incaricato delle misure del flusso.
In quei giorni era presente una forte perturbazione atmosferica che permise al gruppo di acquisire altre conoscenze sul complesso geologico  e termale del monte.
C’era una forte diminuzione della pressione atmosferica con vento da Sud di circa 100 km/h. misurarono la portata del flusso all’Antro di Dedalo.. 10mc/secondo.. la più alta portata in base ai loro dati censiti. All’interno del sistema i barografi registrarono delle variazioni molto più lente rispetto a quelle esterne.  Cosa indicava questa differenza ?
L’enorme volume delle cavità comunicava con l’esterno tramite delle aperture di sezione ridotta e questo impediva un veloce ricambio o scambio dell’aria, rallentando il riequilibrio pressorio nell’ambiente interno.
Il vento impetuoso che soffiava davanti all’ingresso della Grotta del Lebbroso riuscì addirittura ad invertire il normale flusso caldo in uscita. Questa mutazione ambientale permise a Filipas di infilarsi in un stretto cunicolo, dove non era possibile entrare con le tute, per esplorarlo e giungere in prossimità della famosa Grotta Di Milia.
Una settimana di intenso lavoro: sistemare i materiali alle stufe per le esplorazioni; Filipas e Guidi, muniti di martello pneumatico e cunei da minatore, allargavano il passaggio che portava agli affacci sullo stupendo “Pozzo di Trieste”. Un passaggio strettissimo e che era il più indicato per piazzare il “Trampolino/palanchino” di Gherbaz.
Domenica, 11 febbraio, riuscirono con una teleferica a portare “il palanchino” sino alla grotta della Cucchiara, posta circa 100 metri più in basso, e nel pomeriggio il gruppo montò la tubazione per l’aria.
Mentre il gruppo lavorava giunse ..”un’orda di giovanetti pseudospeleologi palermitani, per ragioni politiche e di ospitalità non posso, come ne avrei desiderato, cacciarli” (Perotti).
Coloni si distrasse, inciampò e scivolando sulla scala cadde su Guidi… entrambi finirono sul fondo del pozzo.
Coloni prestò i primi soccorsi al compagno collegandolo ai tubi dell’aria e con le gambe doloranti e sanguinanti, riuscì a risalire le scale per dare l’allarme. Gherbaz improvvisò subito una barella per portare fuori Guidi, nel frattempo privo di sensi, per affidarlo all’autoambulanza.  Un autoambulanza giunta sul posto dopo reiterati e ripetuti solleciti.
Nel frattempo arrivò da Trieste il secondo gruppo di speleologi, Natale Bone (detto Bosco) e Augusto Diqual, accompagnati sul monte da Marini e Schiavato.
Lo sfortunato Guidi fu dimesso dall’ospedale con qualche cerotto e naturalmente messo a letto a riposare. Un episodio che avrebbe potuto avere conseguenze ben più tragiche.
La sera lo stesso Guidi chiese ”cosa diavolo era successo…”.
Il dott. Politi, amico del gruppo, rilevò che il Guidi aveva una clavicola fratturata… in ospedale non l’avevano diagnosticata…
Il giorno seguente ritornò all’ospedale per essere ingessato. Coloni e Guidi resteranno fuori “combattimento” per tutta la spedizione, riducendo e di molto la forza lavoro del gruppo.


L’attività del gruppo si concentrò sull’indagine al “Pozzo di Trieste” mentre per la Galleria Di Milia si cercò di fare una sommaria ispezione al pozzetto terminale che era stato individuato nel 1957 e che era stato chiamato il “Pozzacchione”.
Il “Pozzacchione” venne disceso da Filipas senz’aria…. Sul fondo un’altra sorpresa…”giace supino con le braccia aperte ed un femore fratturato, uno scheletro intatto, la mandibola che pende atteggia quasi una smorfia di dolore”.
Una scena pietosa… un’uomo che 4000 anni fa si spinse troppo aventi e precipitò nel pozzo trovando una morte solitaria. Il pensiero si spinse ai ricordi della spedizione del 1957… se Coloni allora non avesse fermato il Tinè, proprio sull’orlo di quel pozzo (non visto anche per la scarsa illuminazione di cui erano dotati), sarebbe precipitato anche lui.
La scoperta naturalmente avrebbe richiesto un ulteriore indagine ricognitiva ma non c’era tempo e si decise di rimandare ad un’altra spedizione.


Il gruppo concentrò i suoi studi sulla Grotta della Cucchiara.
Si stesero i tubi dal compressore, posto sulla strada, sino al “palanchino”;  fu messa in opera la linea elettrica e telefonica, sistemata già da una settimana.
Filipas era riuscito ad allargare le strettoie per permettere il passaggio delle attrezzature che furono accatastate in una piccola cavernetta, posta nei pressi del pozzo e da poco scoperta, dove faceva meno caldo.
Gherbaz cominciò a creare la sua invenzione, il famoso trampolino/palanchino, e la presenza della luce permise al gruppo di dare uno sguardo all’ambiente. Non si riusciva a distinguere il fondo del pozzo a si vedeva, questa volta, la parete opposta a circa 30 metri.
Le frasi del Perotti furono emblematiche: “è uno spettacolo da favola… completamente ricoperta com’è da milioni di goccioline di condensa che brillano, altri sbocchi di gallerie sono ben visibili sulle pareti del pozzo ed ora si distingue meglio anche la volta, saranno circa una ventina di metri; effettivamente sembra vi sia l’imbocco di una galleria”.
Il palanchino di Gherbaz fu piazzato nel vuoto… dalla sua estremità pendeva un “diabolico” meccanismo di saliscendi automatico con un contrappeso che doveva essere comandato anche dal basso.
Il termometro elettronico sceso sul fondo del pozzo indicava una temperatura più bassa di alcuni gradi rispetto alla sommità del pozzo (aria fresca che aspirata dall’esterno precipita lungo le pareti).
Il gruppo si chiese se sul fondo del pozzo potevano esserci delle esalazioni venefiche.
Si decise di controllare e ricorsero a un gallo… sì proprio un gallo e il Perotti raccontò l’episodio..”ci facciamo cedere in prestito dai frati il gallo del loro ben fornito pollaio; allontanato dal suo beato gineceo, viene collocato in una cesta e calato sino al fondo dove è costretto permanere per una quarantina di minuti. Recuperato, si dimostra piuttosto seccato ma in ottimo stato di salute e tra il giubilo delle sue galline lo riportiamo a casa. Quale segno di riconoscenza ci facciamo promettere da Padre Pisa che al valoro speleoavicolo pennuto, non sarà riservata la triste sorte dei suoi predecessori, ma gli sarà concesso di finire con un onorata e serena vecchiaia nel suo amato gallinaio”.


Tutto era pronto.. lungo le balze del Monte c’era un piccolo corteo guidato da Padre Pisa con i paramenti sacri. Recava una statuetta di San Calogero da sistemare sul fondo del Pozzo. Il piccolo corteo era composto dai frati con le candele accese e anche da alcuni operatori della TV giunti per l’evento e gli immancabili e spesso scettici curiosi.
All’ingresso della Grotta Cucchiara c’era Gherbaz con una tuta in alluminio ed un bombolone d’aria. Il Perotti gli disse che probabilmente gli sarebbero stati d’intralcio dato il loro volume. Padre Pisa fece la benedizione, diede la statuetta, e tutti entrarono nella grotta. Il solo Guidi rimase fuori dispiaciuto a causa dell’infortunio. Padre Pisa risalì al convento per dare un aiuto al suo vice Don Peppino e a Coloni che stavano preparando il pranzo nella cucina sistemata alle stufe.
Perotti con grande sentimento raccontò quei momenti: “Gherbaz, in cima al suo trabiccolo proteso nel vuoto, si aggancia ad un capo del cavo, all’altro vi è un contrappeso per consentire una discesa lenta, e comincia a scendere forse con troppa calma, tanto che giunto sul fondo l’aria è già esaurita, posa la bombola scarica, la statuina in un angolo e va a dare un’occhiata in giro.
Noi dall’alto, stretti in uno spazio angustissimo, uno sul palanchino e due compressi nell’angusta fessura, lo vediamo muoversi; siamo in contatto con una radiolina, ci dice che va tutto bene”.


Il “Palanchino”

“ Sono passati 15 minuti, il tempo stabilito per la prima ricognizione per cui lo richiamiamo, lui si aggancia al cavo di risalita e tenta di far partire il contrappeso che lo dovrebbe riportare in alto. Quel maledetto sistema automatico non funziona, ci dice di tentare di manovrarlo noi, ma dall’alto è impossibile. Si è verificato quello che in condizioni normali sarebbe stato un banalissimo incidente risolvibile con calma ma che, in quell’ambiente dove la resistenza è concessa solo per un modesto lasso di tempo, è una tragedia. Comincia l’opera frenetica nel vuoto di Marini e Filipas che, in precario equilibrio su quel trampolino largo appena 30 centimetri e senza alcuna sicurezza, tentano con i più svariati arnesi che ci capitano tra le mani di sbloccare la corda”.
Perotti telefonò alle Stufe per chiedere di portargli attrezzi e i tubi ancora disponibili nella speranza di poter mandare in fondo al pozzo dell’aria.
Lo stesso Perotti nel frattempo continuò a parlare con Gherbas ..”è abbastanza tranquillo e cerca addirittura di darci consigli sul da farsi”.
Era trascorsa quasi un’ora e i due speleologi sul palanchino erano esausti e saggiamente andarono a prendere aria fuori. All’interno del pozzo rimasero solo in due: Perotti in alto a cavalcioni sul palanchino e Gherbaz in fondo al pozzo, centro metri più in basso, continuamente rincuorato.
“Lui sa che ormai può contare solo su di noi, ma sa anche che non l’abbandoneremo mai, ed è questo forse che gli da la forza di resistere e mantenere la calma. Il tempo passa inesorabile, finalmente arriva di corsa Coloni con uno stranissimo arnese, una specie di cesoia, con questa si riesce a tranciare un moschettone incastrato che bloccava tutto, ora possiamo tentare di farlo risalire, la manovra è lentissima, tutti cercano di aiutare, cosa non facile in quell’ambiente
strettissimo, anche il personale della Rai, che ha mollata l’attrezzatura per collaborare. Finalmente, dopo un’ora e quaranta minuti di permanenza, riappare il fortunato speleologo. E’
esausto, me lo carico sulle spalle e lo porto attraverso la via dei furbi al fresco sino alle quattro
stagioni, qui si riprende rapidamente ritornando il ridanciano Marietto di sempre. Un giorno in
confidenza mi parlerà di tutto quello che gli è passato per la mente durante l’interminabile attesa”.

Rientrarono negli alloggi e si distesero esausti sui lettini e rimasero per tanto tempo in silenzio.
Riguardo a quella drammatica giornata al Perotti fu riferito un particolare commovente:
“quando è arrivata la mia telefonata ai tre che stavano sbucciando patate, Coloni zoppo si è precipitato giù per il monte con la provvidenziale cesoia, don Peppino è corso a togliersi la
tonaca ed infilare un paio di pantaloni per venire in aiuto, Padre Pisa invece si è inginocchiato e sul pavimento della cucina ha pregato continuamente sino a quando non è giunta la notizia del fortunato recupero. Riguardo don Peppino: ho ancora un grandissimo rimorso, con i nervi a pezzi e Gherbaz sulle spalle ho avuto uno scatto inconsulto e quando lo ho visto arrivare gli ho gridato
che poteva anche andarsene perché non avevamo più bisogno del prete. Per anni ho continuato a chiedergli di scusarmi”.
L’indomani mattina il gruppo assieme ai frati del convento assistettero alla messa solenne di ringraziamento, officiata da Padre Pisa e da Padre don Peppino, nella suggestiva Cavernetta del Santo.
“Non avevo mai visto una comitiva di blasfemi come la nostra, Marietto in particolare, assistere con tanta partecipazione, e forse anche commozione, ad una funzione religiosa. Ho sempre portato in macchina, ed ora continuo a tenere a casa, la medaglietta di S. Calogero che Padre Pisa mi ha regalato affidandomi alla sua protezione, sarà o non sarà, ma non vi è dubbio che da allora ho superato indenne parecchi gravi avvenimenti”.



La sera per cena il famoso risotto di Padre Pisa.


Il 28 marzo la partenza. Molti incidenti. Ci furono risultati importanti ma non si riuscì a scoprire cosa nascondeva il Pozzo Trieste e se comunicava con le Stufe.
“Per fortuna i guai si sono risolti per il meglio”.

Sulla spedizione, appena conclusa, l’amaro commento del Perotti.
“… il promesso rimborso spese della regione non arriverà mai.. Ormai cominciamo ad abituarci all’idea che ai misteri del Kronio, che tanta influenza potrebbero avere per gli interessi termali e turistici di Sciacca,  dobbiamo pensare quasi sempre noi !!!”.
“Ci stiamo rendendo conto che l’interesse su di noi e su quanto stavamo facendo è quasi del tutto scomparso. Sino al’74, sarà per il risalto dato dalla RAI, come del fatto che, approfittando della comoda scala, era stato possibile portare decine di persone sulla sua penultima rampa ad ammirare da lontano il primo bellissimo gruppo di vasi all’inizio della Galleria Bellitti; quando giravamo per la spesa, venivamo simpaticamente  avvicinati con richieste sullo stato dei nostri lavori. sarà  perché i nostri interlocutori ci tenevano a mostrarsi detentori di notizie dirette nel cicaleccio cittadino oppure per loro reale interesse, comunque la nostra opera destava notizia.
Quello che è avvenuto quest’ultima volta è passato invece sotto il più assoluto silenzio. Anche nei negozi i prezzi per noi sono aumentati; ormai siamo dei semplici turisti ed il nostro lavoro non costituisce più elemento di interesse !
Anche nel conseguito continuerà così. Vi saranno ancora, come dirò, contatti con la Soprintendenza e l’Amministrazione delle Terme per progetti di valorizzazione archeologica e termale turistico, che purtroppo non saranno più realizzati; due conferenze, con scarsa affluenza di pubblico, ed alcuni servizi sulle TV locali, ma sempre nel quasi totale disinteresse di cosa rappresenti il Kronio per Sciacca…Noi suoi vecchi innamorati, siamo comunque decisi di proseguire, e proseguiremo!”.


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1984 – 8° Spedizione CGEB

Passarono 5 anni dall’ultima spedizione e  gli speleologi  della CGEB continuavano a porsi delle domande sulla continuità del sistema ipogeo e soprattutto sulla zona di provenienza e il relativo percorso dei vapori.
Nella società molti speleologi erano andati in pensione e sostituiti da giovani, anche bravi nel settore. Il primo impatto con  le Stufe del Monte Kronio era però sempre scioccante e l’abitudine di operare in tranquillità poteva arrivare per un giovane solo dopo un accorto tirocinio.
L’occasione per un ritorno sul Kronio venne offerto dall’inaugurazione dell’”Antiquarium” allestito dalla Soprintendenza di Agrigento  nell’edificio vicino al Santuario sul Monte Kronio. L’Occasione fu  propizia per gli speleologi per rivedere l’amico Tinè.
Il gruppo era formato da: Perotti, Bosco, Filipas e per la prima volta, Roberto Prelli, Spartaco Salvo, Glauco Savi.
Era assente il buon Coloni che aveva subito una grave operazione “per il suo fumare” e si trovava a Roma in convalescenza.
I tre giovani neofiti eseguirono delle prove di discesa e risalita sulla scala per abituarsi all’ambiente.
Prima dell’inizio delle indagini si svolsero i convenevoli dell’inaugurazione. Ci fu un incontro piuttosto freddo con il prof. Carapezza che aveva promesso il famoso finanziamento svanito nel nulla.
Cominciarono subito le indagini speleologiche.
Nella Grotta del Gallo, posta un centinaio di metri sotto la Cucchiara, gli speleologi avevano riscontrato la presenza di un aspirazione, di circa 1 mc/secondo, che si perdeva attraverso l’ostruzione del fondo.  Nella speranza di trovare una via che li avrebbe portati alla base o al di sotto del Pozzo Trieste, lavorarono con un demolitore per aprirsi un varco. L’esito fu negativo perché il flusso dell’aria continuava verso l’interno insinuandosi attraverso delle fessure impraticabili.
Ritornarono nella Grotta Cucchiara con un generatore ed un faro potente da scendere nel pozzo per avere una migliore visione del luogo.
Seppure la presenza di una leggera nebbiolina, si riuscì a distinguere il pozzo che scendeva per un centinaio di metri, con una sezione cilindrica per poi “scampanare verso la base che era costituita da un piano detritico costituito da grossi massi”. Ebbero l’impressione di una sua continuazione per Sud-Est. La visione spettacolare di quel pozzo fece aumentare nel gruppo il desiderio di ripetere l’impresa precedente di Gherbaz.
Lanciarono un razzo verso il fondo per illuminare maggiormente il fondo… ma il fumo consigliò al gruppo di tornare all’aria aperta.
Filipas rientrò per dopo aver visto una caverna caratterizzata dalla presenza di notevoli concrezioni gessose, la “Caverna delle Croste” e scoprì una prosecuzione della grotta in un reticolo di pozzi, gallerie, cunicoli, caldi e freddi… tutti da esplorare. Recuperarono il tutto perché dovevano tornare a casa.. Un saluto a Padre Pisa .. il gruppo gli donò una bellissima concrezione del Carso.



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1986 – 9° Spedizione CGEB
Nella precedente spedizione si era discusso con Tinè della possibilità di valorizzare turisticamente il patrimonio archeologico presente nelle gallerie e costituito dai vasi e dagli scheletri.
La cosa più semplice, su parere del Perotti, era quella di piazzare, in punti opportuni, delle telecamere con brandeggio, elevazione e zoom comandati dall’esterno.  Un procedimento che con adeguata illuminazione avrebbe consentito al visitatore di poter vedere su un monitor lo spettacolo delle grotte con i loro aspetti.
Era indispensabile trovare i punti in cui installare le telecamere per avere delle buone riprese.
Per attuare questo progetto la Soprintendenza stanziò un modesto finanziamento per effettuare l’esperimento.

Nel settembre 1986 gli speleologi del CGEB giunsero in undici: Perotti, Bosco, Coloni, Davide Crevatin, Fulvio Durnik, Tullio Ferluga, Prelli, Savio, Louis Torelli, Busolini.
La Soprintendenza consegnò al gruppo una telecamera che fu resa stagna sistemandola in una scatola di plexiglass ed un centinaio di metri di cavo per congiungerla ad un videoregistratore piazzato all’esterno.
Con questo procedimento l’operatore nella grotta, che a causa delle condizioni ambientali vedeva male, poteva essere guidato da chi all’esterno aveva una buona visione del luogo ripreso..
Un lavoro difficoltoso perché la telecamera doveva essere piazzata in modo tale da avere un ampio campo visivo e anche il posizionamento delle luci era importante per avere delle immagini perfette.
La telecamera riuscì a riprendere le scene
Il Perotti che era ormai vicino alla settantina guardava con ammirazione e forse con invidia quelle immagini… il suo desiderio era quello di essere lì nella grotta con loro.
Ultimati gli esperimenti per il posizionamento delle telecamere, il gruppo decise di fare una visita allo scheletro del Pozzacchione. Non avevano cavo sufficiente per riprendere con la telecamera e in sostituzione vennero fatte delle fotografie
Il poveretto non morì subito perché riuscì a trascinarsi per alcuni metri dal punto di caduta.
Perché i compagni non lo aiutarono  o comunque non tentarono di recuperarlo ?
Fu prelavato un pezzo d’osso che il Tinè esaminò al C14 con la conferma che risaliva al 4000 a.C.
Da quel momento il poveretto ritornò nella pace più assoluta.
Si decise di dare un’occhiata alla Grotta della Cucchiara per penetrare nella prosecuzione della galleria delle Croste che fu intravista da Filipas nella spedizione precedente.
Fu scoperto un reticolo di gallerie ed in una di queste, sceso un pozzetto, finiva in un suggestivo finestrone, alto una decina di metri, che affaccia nel vuoto… un luogo da indagare.
Tinè con il prof. Schneider, archeologo di Zurigo, stavano eseguendo uno scavo di saggio alla base del muro che separava l’Antro di Dedalo dalla Stufa degli Animali.
Ad una profondità di circa 60 cm scoprì un pavimento d’età ellenistica costituito da grandi lastre di cotto e notò che il muro fu costruito in epoca successiva. Il Perotti, sollevando alcune basole del pavimento, notò che i sedili dell’Antro di Dedalo poggiavano su materiale tardo romano. Questo confermava che le opere di adattamento risalivano al V secolo, cioè all’epoca in cui era attestata la presenza di San Calogero.
La pavimentazione potrebbe essere legata ad un uso forse rituale del luogo in epoca classica. Le tracce di alcuni buchi di palo affiancanti il muro potrebbero anche fare pensare ad una sua funzione terapeutica anteriore al periodo di San Calogero.
Il commento finale alla spedizione del Perotti:  “Un non difficile scavo in quella zona potrebbe raccontare di uno sconosciuto periodo della storia di Sciacca, ma ci sarà mai qualcuno che mosso da tale interesse se ne renda promotore? Sinceramente lo spero.
Conclusione: tutti assieme: archeologi e speleologi, laici e religiosi, al desco del convento dove
come al solito vi sono gli ormai a noi ben noti, gamberi col riso e vino della messa, con mistico
concerto d’organo ed, allegri e soddisfatti dai risultato, un abbraccio di arrivederci. Non sappiamo
che non rivedremo mai più il nostro fraterno amico Padre Pisa.
Il materiale ripreso dalla telecamera, che consegniamo anche alle Terme viene spesso dato alle
TV locali per servizi pubblicitari; queste tutte le volte ringraziano l’Amministrazione ma si guardano bene da dire chi è stato a riprenderlo, come se fossero opera loro!”


Il «finestrone» sboccante a metà del «Pozzo Trieste». (Foto L. Torelli)

Stufe di San Calogero, grossi pithoi nelle gallerie di fondo. (Foto L. Torelli)




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1991 – 10° Spedizione CGEB
Nuova spedizione degli speleologi triestini sul Monte Kronio: Bosco, Coloni, Diego Coslovi, Roberto Martincic, Prelli, Torelli, Perotti.
Nel frattempo il Monte Kronio era stato affidato alla Forestale per un totale rimboschimento e accurato controllo. Il  gruppo era all’oscuro di questa assegnazione. Mentre  affrontavano le rampe del monte per trasportare il materiale speleologico, vennero inseguiti e quindi fermati da una pattuglia di agenti, tra cui una donna che infuriata sventola liberamente delle manette. Dopo lunghe spiegazioni e ripetute telefonate, tutto fu chiarito.
Il materiale fu portato all’ingresso della grotta e nel ritorno passarono davanti alla tomba di Padre Pisa..”un mesto saluto al nostro amico. Rito che non mancheremo ripetere ogni qualvolta torneremo a Sciacca”.
Si eseguì un rilevamento tacheometrico dei punti esterni più importanti e, dove era possibile, anche di quelli interni. Prelli con il suo gruppo rilevò ed esplorò, per centinaia di metri, l’intrico di gallerie o pozzi che si dipartivano dalla “Caverna delle Croste”. In queste gallerie l’atmosfera calda si miscelava con quella fredda e ciò permetteva l’esplorazione. Venne scoperta un apertura sottostante al “finestrone” rilevato nel 1986. Da uno di questi due finestroni fu progettata la una spedizione da eseguire successivamente.  Non venne scoperta nessuna galleria che comunicava o sboccava all’esterno. In base a ciò il flusso caldo che usciva alla vetta del monte era fornito da aria che filtrava attraverso le fessure della roccia ma non da altre condotte.
Sulla parete della cava di pietra abbandonata e posta ad Ovest, fu individuato un piccola sistema simile a quello delle Stufe. Da una fessura bassa veniva aspirata aria mentre da una situata più in alto usciva un leggero flusso caldo. Una situazione che doveva essere studiata con più calma.
La spedizione si concluse  perché le finanze erano scarse. C’erano ancora tante indagini da verificare e completare. I due progetti che erano stati presentati, uno sullo studio del flusso e un altro sull’Antro di Dedalo, finirono nel nulla..



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Medeot stava per finire i suoi giorni in una casa di cura in Carnia.. il Perotti andava a fargli visita spesso e “naturalmente in quegli incontri, oltre a rivangare i ricordi della nostra lontanissima gioventù, abbiamo discusso su cosa fosse da fare per l’esplorazione del Pozzo Trieste”.

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1998 – 11° Spedizione C.G.E.B.
Sul Monte Kronio restava da verificare il collegamento tra le gallerie delle Stufe ed il Pozzo Trieste. Un aspetto importante perché avrebbe dato la certezza che il flusso vaporoso nel suo procedere percorreva quest’unica via per sboccare all’esterno. Altro aspetto da individuare la via che dal fondo del pozzo, seguendo a ritroso il percorso del flusso, avrebbe portato alla falda termale.
Il primo aspetto non presentava per essere verificato un grosso problema dal punto di vista economico-organizzativo mentre il secondo  aspetto avrebbe richiesto un impegno finanziario-organizzativo.
Serviva una certa somma per finanziare la spedizione e la Commissione Grotte di Trieste riuscì a mettere a disposizione del gruppo 10 milioni  di lire ed il Perotti riuscì a raccoglierne quasi una ventina.
Si partì e questa volta non era richiesto l’uso di alcun sistema complicato. Gli speleologi sarebbero scesi dall’alto con un verricello salpa-ancore opportunamente modificato e continuamente gli speleologi sarebbero stati forniti d’aria per la tuta. Il verricello funzionava a corrente continua e ciò comportava un aumento del suo peso perché si doveva aggiungere il peso di un trasformatore e di una batteria tampone. Venne imposto anche l’uso di un rilevatore di gas nocivi e l’uso di ingombranti respiratori a bombola di quelli usati negli incendi che con il peso e la scarsa visibilità davano non poco fastidio. Era un obbligo per avere i finanziamenti.. era una spedizione ancora più pericolosa delle precedenti.
Prelli, che aveva anticipato il gruppo a Sciacca, riuscì a trovare una buona sistemazione logistica, l’affitto del compressore, i cavi elettrici in prestito ma non i tubi che si dovevano ordinare e naturalmente pagare. Trovò il tempo di fare una visita alla Grotta della Cucchiara per visionare e confermare il posto di manovra del verricello che era ben collaudato per aver operato in una grotta del Carso.
Il 28 febbraio il gruppo partì da Trieste con tre macchine cariche di uomini e materiali.
Il gruppo era costituito da: Bosco, Crevatin, Durnik, Filipas, Guidi, Prelli, Torelli, Perotti e i tre neofiti, Mario Cova, Massimiliano Fabi e Maurizio Glavina.
Giunsero alla stazione marittima di Napoli dove li attendeva Coloni per aggregarsi al gruppo.
Sbarcarono a Palermo e da Palermo a Sciacca.
Giunti a Sciacca i tre anziani del gruppo, Coloni, Filipas e Perotti andarono a trovare Padre Pisa per posare sulla sua tomba una bellissima targa di bronzo a perenne ricordo della loro amicizia.
Il gruppo alloggiò in un residence in cui l’ampio cortile fu invaso o occupato dal materiale speleologico: tute, caschi, corde, moschettoni, imbracature, lampade, sacchi, zaini, ecc. Perotti non fu più il comandante del gruppo, era ottantenne, e fu Prelli a dirigere il gruppo mentre il Perotti ed il Coloni davano il loro aiuto all’esterno, compresa la spesa. Alla cucina pensavano  a turno i giovani.
Le prime difficoltà. I tubi ordinati da Catania e che dovevano essere recapitati alle Terme non erano arrivati. Telefonarono alla ditta che rispose dell’avvenuta spedizione del materiale e , addirittura, consegnati con tanto di firma. Interrogarono il personale delle Terme .. nessuno sapeva niente. Un estraneo indicò al gruppo la presenza di grossi pacchi… diversi metri cubi…. posti ad una certa distanza dalla scrivania del portiere… portiere ignaro e che dichiarò di non sapere nulla…
Il compressore era in manutenzione e disponibile appena in tempo.
Il gruppo aveva presentato una domanda alla Forestale per il permesso d’accesso alla zona protetta….. nessuna risposta.. una domanda presentata da moltissimo tempo…
Il Distretto Minerario… venuto a conoscenza delle intenzioni del gruppo….studio e ricerche… il solito ente truffaldino.. in quanto tutore delle acque sotterranee pretese un elenco dei materiali impiegati… e ancora: un curriculum di ogni partecipante, le norme da adottarsi in base alla legge 626 (la sicurezza sul lavoro), con l’obbligo di costante presenza di un autoambulanza con il medico presso la base operativa esterna…..(aggiungo … si sono dimenticati di richiedere anche il certificato antimafia !!!!).
Il Perotti affermò..”è una spedizione speleologica o la costruzione del Ponte sullo Stretto ?”.
“E’ incredibile cosa riesca a combinare la burocrazia quando intende imporre ciecamente le sue norme su argomenti dei quali non è assolutamente a conoscenza!”
“Gli amici locali ci consigliano di procedere ugualmente, come si dice in siciliano a “umma, umma”, espressa la loro autorevole volontà scaricandosi così da ogni responsabilità, faremo finta di niente e così sarà”. (vergogna… uffici che avrebbero dovuto agevolare la ricerca… la conoscenza… la valorizzazione.. cercarono in tutti i modi di ostacolarla).
Furono necessari quattro giorni di lavoro per portare nella grotta, al finestrone, il materiale. Venne stabilito il posto di manovra, furono stesi i tubi, la linea elettrica ed il citofono. Un lavoro fatto senza l’uso di tute. Bosco dovette tornare a casa per motivi di salute.
Il rilevatore del gas dimostrò la sua inefficienza.. all’aria aperta strillava anche per il fumo di una sigaretta e così avverrà anche quando sarà a contatto con l’acetilene delle lampade sul casco… una spesa inutile… Gherbaz ed il gallo avevano resistito per tanto tempo in fondo al pozzo…
Nei momenti di intervallo e di riposo, Guidi e Cova giravano per il monte alla ricerca di varie cavità da rilevare aiutati dall’amico Verde di Sciacca, conoscitore dei luoghi.
L’8 marzo, giorno della donna, alle 12,52 iniziò un silenzio colmo di tensione e rotto solo dal sibilo dell’aria…. Torelli stava scendendo nell’enorme vuoto. ..” Con Coloni seguiamo, attaccati al citofono, le voci ed i suoni che ci giungono dal ventre del Krtonio, duecento metri sotto a noi; l’uomo sta scendendo ma ad un certo momento distinguiamo un “cerca di recuperare”, sento una stretta al cuore ricordando Gerbaz ed il’79. Per fortuna non è nulla: Torelli, avendo l’impressione di trovarsi in una nebbiolina e con quel maledetto aggeggio che continuava segnalare gas asfissianti, ha preferito farsi tirare su per capire di che si tratta; è solo l’inutile maschera
facciale che si appanna ed il segnalatore è meglio lasciarlo perdere. Cambia l’ingombrante bombola e ridiscende”.(Perotti)
Torelli scrisse una relazione su quella terrificante discesa nel ventre del Kronio (Pozzo Trieste)..
“…le pareti di roccia marcia piene di croste si allontanano…dondolo lievemente nel centro dello
stomaco nero del Kronio, con la sinistra armeggio il faro sondando e cercando lungo quelle vaste pareti…mi avvicino dolcemente ai primi grossi blocchi disseminati sulla collina detritica che caratterizza il fondo del pozzo…lentamente con grande emozione sfioro la prima pietra, mi sento uno spelo-astronauta…respiro ancora l’aria della bombola, non sono in acqua e mi muovo goffamente tirando il tubo di raffreddamento che mi accompagna stile palombaro. Devo sganciare l’auto respiratore, la corda si allenta, e sono di nuovo padrone di tutto il mio peso, e sento l’onere di muovermi, devo sganciarmi dalla corda per raggiungere il rilevatore qualche metro più in là, la luce rossa pulsa…un sottile senso di disagio, sono sganciato, solo senza il cordone ombelicale che mi unisce al mondo dei miei compagni. Respiro ancora avidamente dalla bombola.
Raggiunto il rilevatore digitale leggo 2,2, OK i valori di anidride solforosa non sono alti…decido di togliermi la maschera. Di colpo respiro brodo tiepido. Fa caldo e lo stress della discesa e le diverse arie respirate mi ubriacano, Barcollo leggermente. Il fischio dell’ultimo rubinetto d’aria aperto è assordante, fisso un tubo di prolunga e muovo i primi passi incerti tra le macerie del fondo…dopo pochi metri mi imbatto nei resti lasciati da Gherbaz nel ’79. Non tocco nulla. E’
passata mezz’ora, proietto il faro verso il punto più profondo cercando tra le quinte di roccia la prosecuzione. Torno alla corda è il momento di farsi tirare su…mi aggancio: Lentamente mi ritrovo nel vuoto, c’era qualcosa tra il caldo ed il pulviscolo, sono in un romanzo di” Urania”.

Tutti con la risalita di Torelli riacquistarono la serenità si doveva accompagnare in grotta l’amico geologo Sclafani per prelevare campioni d’atmosfera. In base alle analisi compite dall’Università di Palermo si avrà la conferma che i vapori del flusso erano isotopicamente compatibili con le acque della falda termale e quindi provenivano da questa.
Il gruppo portò da Trieste un grosso prosciutto affumicato che cucinarono in un grande pentolone. Furono invitati alcuni amici di Sciacca. Tutti assaggiarono il piatto tipico triestino suscitando grandi entusiasmi anche se ad alcuni non piacque l’aggiunta della piccantissima radice di rafano grattato (il kren triestino).

C’erano altre due discese da compiere e questa volta in coppia.
Torelli e Crevatin raggiunsero la base del Pozzo Trieste, 450 metri di circonferenza, senza trovare o individuare prosecuzioni importanti. Scattarono foto; dettero una degna collocazione alla statuetta di San Calogero, ancora imballata, che era stata consegnata al gruppo dal bravo Padre Pisa; notarono che i materiali metallici lasciati da Gherbaz erano in uno stato di estrema alterazione e dell’alluminio era rimasta solo la traccia; recuperano la bussola Brizard del Perotti (un antico cimelio); eseguirono il rilievo del sito. Non riuscirono a notare la zona di provenienza dell’aria calda,, probabilmente proveniva da uno dei tanti affacci sul pozzo ma non dal fondo.
Le risorse finanziarie si stavano esaurendo.  Con fatica venne recuperato il materiale più costoso. I tubi furono lasciati nel pozzo e gli altri portati in magazzino.
La sera, dato che nelle Sede di Trieste si svolgevano le elezioni del Direttivo della Commissione Grotte, crearono un seggio distribuendosi gli incarichi. Tutti votarono. Una volta controllati i voti, vennero comunicati per telefono alla sede di Trieste. L’ultima sera furono invitati in casa di un amico di Sciacca per un favoloso “schitticchio” campestre cioè uno “spuntino” a base di pizze cotte nel forno a pietra, olive, peperoni arrostiti, caponate di melenzane e un … ettolitro di vino padronale.
Nel gruppo rimase un po’ di “amaro in bocca” per non essere riusciti ad individuare la prosecuzione della cavità dopo il pozzo.
“E’ il più gradito addio che poteva darci la Sicilia. Nel primo pomeriggio l’affettuoso arrivederci, con la malinconia di lasciare questo angolo d’Italia così bello, antico, capriccioso ma, sotto tanti aspetti, molto distante e non solo dalle nostre case. Con Coloni la solita fortissima stretta di mano, a pensarci ci conosciamo da una vita ma tra noi mai un abbraccio, ignoro che lo sto vedendo per l’ultima volta. Si spegnerà serenamente nel sonno, dopo aver letto un libro sul Timavo, probabilmente sognando di quel nostro fiume arcano o di una della tante grotte esplorate, ha
avuto in premio la morte del giusto e del buono che meritava. Mi manca moltissimo.” (Perotti).

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7. Le Amare Riflessioni di Giulio Perotti.. dopo aver dedicato cinquant’anni della sua vita al
     Monte Kronio….

Bellissime le considerazioni che il Perotti scrisse dopo cinquant’anni di attività. Una pagina che riporto interamente  perché ricca di tanta sensibilità …
“CONSIDERAZIONI DOPO CINQUANT’ANNI
Ritornerò in seguito altre volte a Sciacca per incontri e conferenze: tutte le volte: un certo interesse
pronto a spegnersi dopo poco. Ho vissuto per oltre trent’anni in Sicilia, a Siracusa, ma la città che
mi è rimasta nel cuore è Sciacca, purtroppo continuo a rimanere stupito dell’ abbandono conoscitivo e materiale, mostrato da quasi la totalità dell’opinione pubblica, verso tesori che continuano ad essere misconosciuti. Tesori che con un migliore sfruttamento sia turistico che termale potrebbero, tra l’altro, portare notevoli vantaggi economici alla collettività. Da quando l’ho conosciuta la prima volta è peggiorata parecchio, ma è ancora sempre bella. Mi auguro venga attivata una tutela più severa dei suoi beni culturali. Ho visto costruire case sulle belle mura spagnole, nascondere alla vista il Castello Luna e, sul Kronio, costruire e ricostruire per almeno tre volte un mastodontico, antiestetico albergo, come pure ricoprire col calcestruzzo i sedili di pietra posati da S. Calogero ed intonacare il coevo muro a secco (ma perché allora non hanno applicate addirittura policrome mattonelle?), abolire il “buco dell’orecchio”, ed estirpare il famoso fico sempre verde grazie al calore endogeno (questo da bravo per fortuna ha pensato di ricrescere) ambedue ricordati nelle più antiche pubblicazioni, ed altre simili amenità.
E’ possibile che mai nessuno, investito da poteri o semplice cittadino, se ne sia accorto ed abbia
protestato? Ormai sono lontano ed è meglio non mi faccia il sangue marcio a pensarci. Anche se mi giunge saltuariamente notizia che sconsiderati sono scesi nelle gallerie dei vasi per fare i bulli, dove già noi vi abbiamo passeggiato un po’ troppo. Là sotto si è tenuto un rito sconosciuto di cui alcune tracce dovrebbero essersi conservate ancora. Mi auguro che la Soprintendenza, ora che ha un  ufficio in zona, sia inflessibile nel impedire l’accesso alle gallerie basse anche agli speleologi, sino a quando una spedizione, allo scopo attrezzata, possa finalmente portarvi gli archeologi per lo studio, mai stato fatto, dei vasi e dei resti esistenti, per la ricerca di altri reperti che sicuramente si trovano ancora sepolti nel fango e per tentare di comprendere i riti che vi si sono svolti migliaia di anni fa. Ho iniziato questo capitolo con la frase “due sono ancora i problemi irrisolti”: quello archeologico, e non solo nelle gallerie inferiori, e quello speleo-geotermale; sono convinto che non arriverò mai a conoscerne la soluzione. Mi sentirei felice di avere la certezza, ora che come il dottor Faust “sto per giungere al passo estremo della più estrema etade”, che una notte sognando, come mi auguro sia accaduto a Coloni, mi sia dato di conoscerne la soluzione per poter dire “attimo fuggente, fermati sei bello!”

Voglio qui di seguito ricordare i loro nomi con il numero delle partecipazioni assieme quelli degli
amici locali che ci sono stati vicini durante tanti anni:


+Beluardo Carmelo 1;  Ferluga Tullio 1;  +Quintavalle Fabio 1;; Gerlando Tortorici
+Boegan Bruno 2;  Filipas Luciano 6 ; +Redivo Bruno 1; Pippo Bono;
Bone Natale (Bosco) 5;  + Finochiaro Carlo 1;  Savio Spartaco 2; Paolo Bono;
Bortolin Giorgio 2; + Gherbaz Mario 2; Savi Glauco 1; Nino Gallotto;
+Busolini Enzo 3;  Glavina Maurizio 1; + Tinè Santo 4;  Antonio Buscarnera;
Candotti Bruno 2;  Guidi Pino 2;  Toffolin Guido 1;
+Coloni Giorgio 9;  Kozel Adalberto 1;  +Tommasini Tullio 1;
Cova Mario 1 ; +Legnani Franco 1;  Torelli Louis 3;
Crevatin Davide 1;  Marini Dario 5;  Venanzi Luigi 1;
Diqual Augusto 1;  Martincic Roberto 1;  +Vianello Marino 1;
Durnik Fulvio 2;  + Medeot Luciano 3;  Prelli Roberto 4;
Fabi Massimiliano 1; + Perotti Giulio 10.



Giulio Perotti – “Il Papà del Monte Kronio”…


Una Targa ricordo posta in una parete del Monte Kronio, all’ingresso delle stufe di
San Calogero, dalla Commissione Grotte del CAI di Trieste per ricordare il compianto
Giulio Perotti “comandante” delle spedizioni sul Monte.
Una espressione per ricordare non solo Perotti ma anche tutti gli altri speleologici, molti
dei quali sono deceduti, che con il loro amore, senza avere e pretendere nulla in cambio,
 hanno scritto pagine importanti sul Monte Kronio.
Pagine forse dimenticate… ma rimane alta la loro voce per quel desiderio di ricerca, di conoscenza e
che dal 1957 al 1998 hanno percorso il Ventre del Monte Kronio.
               Hanno regalato ai noi Siciliani una pagina sconosciuta del nostro vissuto….Grazie

Medeot Luciano Saverio

Coloni Giorgio

Gherbaz Mario

Tinè Santo – Archeologo

Torelli Louis

...e i grandi Amici che ci sono sempre stati vicino
don. Giuseppe Pisa
dott. Arturo Politi
avv. Felice Alba
avv. Guseppe Puleio
dott. Alberto Scaturro
dott.GiuseppeVerde

8. Conclusioni sulle Ricerche Compiute dalla Commissione Grotte C.G.E.B.

Il Gruppo Speleologico del CGEB di Trieste riuscì a  compiere un indagine speleologica, archeologica e geologica senza precedenti considerando anche le attrezzature tecniche che nel lontano 1947 erano in dotazione agli speleologi.
Gli importanti risultati raggiunti si possono così riassumere:
-          Scoperta di un vero tesoro archeologico in grado di aumentare la conoscenza sulla preistoria siciliana;
-          Reso possibile l’inizio degli scavi archeologici nell’Antro di Fazello;
-          Aver raccolto una documentazione fotografica importante per lo studio archeologico;
-          Chiarire, anche se in parte, l’aspetto speleo-geotermico;
-          Evidenziare le modifiche ambientali nelle stufe dall’epoca preistorica sino al momento delle indagini speleologiche e l’uso, come conseguenza, dell’utilizzo delle grotte per scopi religiosi e terapeutici;
-          L’arrivo sino a – 200 metri al fondo del Pozzo Trieste anche se non si è riusciti a scoprire come questo comunichi con la Grotta Di Milia (tramite passaggio o fessurazione, ecc.);
-          Evidenziare come il fenomeno geotermico (il flusso caldo) nella sua dinamica e caratteristiche di temperatura e portata, sia strettamente legato alla falda delle acque termali e al suo livello. Per quanto riguarda la portata del flusso è strettamente legato alla situazione meteorica esterna. È probabile che la temperatura e la portata del flusso caldo abbiano subito nel corso del lunghissimo tempo delle variazioni legate alle modifiche delle sezioni di efflusso. Sezioni che si trovano nelle gallerie superiori  che sono state, anche se in parte, antropizzate, mentre altre dovute a fatti occasionali (frane, , spostamenti tellurici, ecc.). questi fenomeni hanno causato un innalzamento della base delle caverne, in almeno 4 metri, con conseguente riduzione delle sezioni di efflusso. L’intervento murario successivo, probabilmente nel periodo in cui San Calogero visse nelle grotte, bloccando il livello del pavimento  e quindi le stesse sezioni, ha reso stabile fino ad oggi la temperatura del flusso. Questo spiegherebbe la facilità con cui gli uomini preistorici portarono i vasi nelle gallerie basse dato che la temperatura all’epoca era decisamente più bassa.
-          L’aspirazione dell’aria dall’esterno avviene solo parzialmente attraverso le Grotte Cucchiara e Gallo mentre la gran parte proviene attraverso le fessurazioni del massiccio calcareo ;
-          Non è stato possibile accertare se la Grotta Cucchiara  con il Pozzo Trieste costituiscano l’unico percorso del flusso e di conseguenza non è da escludere che siano due sistemi separati con circolazioni dl flusso indipendenti.
-          Non è stato possibile accertare la provenienza del flusso caldo nel Pozzo Trieste.

Una ricerca straordinaria e con mezzi finanziari limitatissimi in gran parte avuti dalla Commissione Grotte di Trieste e da mezzi finanziari propri…(delle proprie tasche ) e mai dalla Regione Sicilia… anzi i suoi Enti… vedi Forestale e Distretto Minerario cercarono di bloccare nell’ultima spedizione la ricerca…..
Un gruppo che non mostrò mai aspetti trionfalistici… erano persone serie e il buon Padre Pisa, da grande carmelitano, s’era accorto di questi grandi uomini che studiavano, anche a rischio della propria vita, per il raggiungimento della conoscenza. Gli affidò la statuetta di San Calogero che fu collocata in fondo al Pozzo Trieste con non poche difficoltà…. e tutto questo fra l’indifferenza generale.


I tempi sono cambiati, oggi si ragiona con schemi e scopi diversi, più utilitaristici e forse più pratici; mi auguro che altri un giorno, con i mezzi adeguati a noi sempre mancati, abbiano la possibilità di affrontare nuovamente il problema e spero lo facciano con lo stesso nostro spirito, ma soprattutto senza la presunzione di aver compresso sin dal primo momento tutto, allo scopo di poter avanzare subito nuove non comprovate teorie. Si deve prima sperimentare a lungo e di persona, come noi abbiamo sempre cercato di fare, e solo dopo osare di avanzare nuove conclusioni od ipotesi.
Quella scala, ormai considerata come facente parte naturale della cavità, agevolerà certamente
di molto i loro lavori. Chi lo sa se ricorderanno quanta testarda fatica ci è voluta ad uno sparuto
gruppetto di entusiasti per, progettarla prima, e montarla poi, in quell’ambiente seminfernale; a
questi comunque rimarrà per sempre l’orgogliosa soddisfazione dell’opera compiuta.
Ho riassunto questi miei ricordi nella speranza possano ricordare a Sciacca, deliziosa città ma di
corta memoria e scarso amore ed interesse per se stessa, il dono che un gruppo di triestini, inseguendo un sogno, in 50 anni di sudori e fatiche, senza alcun interesse materiale e mossi solo dal fascino dell’ignoto, le hanno offerto.
Ci rimane ormai solo la speranza che i risultati del cinquantennale lavoro non vadano perduti;
il bel sogno romantico è finito, ma per i pochi superstiti rimarrà sempre il gratificante ricordo di un impegno indimenticabile. Guardando le date sono veramente impressionato dall’abisso di anni che mi separa anche dal più anziano dei compagni rimasti, potrebbero essere tutti o miei figli o miei nipoti!
Ho ormai novant’anni, forse è veramente giunto per me il momento di smetterla” (Giulio Poletti).

Ultima, in ordine di tempo, spedizione a Sciacca. Da sinistra, in piedi: l’amico di sempre, doti. A. Politi, G. Coloni, L. Filipas, D. Marini, P. Guidi, A. Diqual, G. Perotti; a terra: G. Bono, N. D’Asaro, N. Rane, M. Gherbaz.

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9. LA RICERCA  CONTINUA….

2012  - 5/16 Dicembre – Commissione Grotte CGEB (Eugenio Boegan)  (Trieste)
                                         Associazione Geografica “La Venta” (Treviso)
Gli scopi della spedizione erano legati all’accompagnamento di un archeologa della Soprintendenza di Agrigento all’interno delle stufe per visionare e fare un sopralluogo sommario dei vasi presenti nelle cavità e continuare l’esplorazione della cavità posta dopo il “Pozzacchione”. Una prosecuzione, che era stata intravista nella precedente spedizione, e dal quale, era stato accertato, proveniva un flusso caldo. Nella grotta fu allestito un set video-fotografico per riprendere le immagini del sito e furono inoltre rilevate ulteriori misurazioni fisico-ambientali e  geologiche con nuove e moderne strumentazioni.
Spedizione rispetto al passato volta in collaborazione con il Comune di Sciacca, la Soprintendenza per i Beni Archeologici e l’Azienda Autonoma delle Terme di Sciacca.
Un gruppo formato da 28 elementi  e per contenere le forti spese intervennero vari enti: la Atlas Copco fornì in comodato d’uso gratuito due maxi compressori; la Cartubi di Trieste diede la fornitura gratuita di tutti i tubi necessari al raffreddamento degli speleologi; il Verdura Golf & Spa Resort di Sciacca ospitò gratuitamente gli speleologi in ambienti confortevoli, in camere con vista sugli agrumeti carichi di frutta pronta per essere raccolta.
Furono collaudate nuove attrezzature per facilitare gli operatori a muoversi in sicurezza nei vari ambienti.
Una spedizione, rispetto al passato, che vide il coinvolgimento di molte università (Torino, Trieste, Firenze, Bologna) e vari enti ed istituiti di ricerca nazionali.
Erano passati ben 14 anni dall’ultima esplorazione del mitico gruppo speleologico di Trieste  e lo stato di conservazione di alcuni manufatti installati all’interno della galleria, nel lontano 1998, era precario. In particolare la grande scala d’accesso che, percorso il Pozzo Medeot, portava alle due gallerie dove sono conservati i vasi, era in condizioni precarie. Una scala che doveva essere sostituita con una più moderna per consentire un più facile procedere degli operatori anche per un normale controllo del sito.
Le esperienze delle precidenti spedizioni del gruppo guidato da Giulio Perotti servirono d’aiuto perché gli speleologi decisero di adottare quei vecchi sistemi in particolare per il raffreddamento delle tute con tubi collegati a dei compressori esterni e  l’uso, innovativo, di raffreddatori portatili sempre collegati all’aria compressa. Ventilatori che furono scarsamente utilizzati perché creavano una forte escursione termica. L’utilizzo dei ventilatori si dimostrò invece utile quando furono collocati nella piccola tenda posta dentro le stufe per creare una temperatura intorno ai 27°C.
I compressori erano due, da 10.500 l/minuto e collegati in coppia,, per evitare che l’improvviso guasto di uno dei due potesse compromettere gravemente l’esito della spedizione.


La dott.ssa Gulli della Soprintendenza ebbe così modo di visionare da vicino i reperti presenti nella Galleria Bellitti prendendo anche dei campioni da analizzare. Prima di lei il compianto Tinè aveva avuto come archeologo, a rischio della propria vita perché stava per precipitare nel vuoto se non l’avesse fermato il compianto Coloni, la gioia di vedere quelle antiche testimonianze. Fu accompagnata fino alla fine della Galleria Di Milia dove potè ammirare la straordinaria quantità di vasi depositati da mani antichissime e la diversa tipologia degli stessi vasi.
Gli speleologi decisero di esplorare la prosecuzione della galleria Di Milia.  Davanti a questa prosecuzione s’erano fermati gli speleologi nelle precedenti spedizioni.
Adottarono delle funi delle scalette speleo al posto delle funi per una migliore facilità d’utilizzo. Fu risalita una china fangosa  per circa dieci metri per giungere ad un pozzo, di una ventina di metri, anch’esso estremamente fangoso (guano semi-liquido).
La sua discesa fu complicata dato che gli speleologi dovevano trascinarsi anche i tubi dell’aria  e  la continuazione non era percorribile. Una “finestra” posta sul camino sovrastante il pozzo dava su un cunicolo basso ed impraticabile e a detta degli speleologi forse “ampliato artificialmente”.
La spedizione stava per concludersi. Gli speleologi stavano recuperando i tubi quando notarono un buco laterale. Un buco che era stato visto altro volte e che era stato considerato come una fessura impraticabile. Si trovavano a fianco della china detritica presente all’ingresso della Galleria Di Milia, spostarono alcune pietre che chiudevano il passaggio e si ritrovarono in un ambiente abbastanza agevole. Qui furono trovati una statuina in pietra, una pietra incisa e due piccoli oggetti in terracotta. Dopo pochi metri fu rinvenuto uno scheletro quasi totalmente immerso nel fango. Qui l’esplorazione si fermò per la mancanza di aria fresca. Un’altra grande scoperta nel Ventre del Monte Kronio perché l’ambiente prosegue allargandosi ed era sempre interessato dal flusso d’aria calda.
Del ritrovamento fu naturalmente avvisata la dott.ssa Gulli, che naturalmente spinta dall’amore per la ricerca, chiese il recupero all’esterno dei nuovi reperti, apponendo dei piccoli segnalini nei punti dove gli stessi reperti si trovavano. Il materiale fu consegnato alla dott.ssa e all’arch. Meli Soprintendente.

Testimonianza del pozzo estremamente fangoso percorso in esplorazione (arch. prog. Kronio)

Gruppo Speleologico CGEB: Roberto Prelli, Louis Torelli, Lucio Comello, Riccardo Corazzi, Federico Deponte, Maurizio Glavina, Spartaco Savio, Paolo de Curtis, Piero Gherbaz, Elisabetta Stenner, Marino Viviani, Eugenio Dreolin, Dario Riavini.

Associazione “La Venta”: Giovanni Badino, Tullio Bernabei, Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Gianni Del Maschio, Umberto Del Vecchio, Tono De Vivo, Beppe Giovine, Luca Imperio, Francesco Lo Mastro, Luca Massa, Leonardo Piccini, Giuseppe Savino.

Ha collaborato fattivamente inoltre l’amico Giuseppe Bono.
(in neretto gli Speleologi che avevano partecipato alle precedenti spedizioni  fino al 1998).
Roberto Prelli concluse con un piccolo discorso la straordinaria spedizione ricordando i tempi passati…
nel frenetico accavallarsi di ricerca, esplorazione, interviste e contatti con le autorità locali non siamo riusciti a trovare il tempo per commemorare degnamente la targa posta all’esterno delle Stufe, dedicata a chi più di tutti noi ha profuso tempo e denaro per lo studio e la conoscenza del fenomeno del monte Kronio: Giulio Perotti.
Sono certo che di ciò ci perdonerà e –chissà– forse da lassù ci avrà indicato proprio lui la nuova via.”

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2017 – 19/21 maggio
Un team composto da membri del “Progetto Kronio” (CGEB e “La Venta), con i ragazzi della società di “Flyability” e con la partecipazione dell’astronauta dell’ESA l’italiano Luca Parmitano, hanno studiato la Grotta della Cucchiara sul Monte Kronio.  Il gruppo ha messo in funzione un drone dotato di “gimball” che ha urtato deliberatamente i muri del “Pozzo Trieste” per mapparli, cioè ricercare finestre inesplorate che sono state identificate per essere successivamente oggetto di indagine. Il drone ha avuto anche il compito di sondare l’eventuale presenza di anomalie termiche.
Fu creato un video trasmesso via TV a livello nazionale. La breve spedizione si concluse con una conferenza legata all’uso delle nuove tecnologie nelle esplorazioni sotterranee.
Gruppo CGEB: Davide Crevatin e Max Fabi.

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2018 – 26 febbraio
Spedizione congiunta:
CGEB: Spartaco Savio, Marco Armocida, Tom Kravanja, Gianni Cergol
La Venta: Luca Imperio

Il gruppo senza l’uso dell’aria compressa giunse alla base del Pozzo Trieste.
Nel 1979 fu Mario Gherbaz  a raggiungere la base e nel 1998 Crevatin e Torelli, tutti con utilizzo d’aria compressa.
Ora invece si è seguito un ramo laterale, che era stato parzialmente percorso nel 1986 da Savio Prelli, per raggiungere la base del Pozzo con una temperatura che non superava i 32,5°C.
Il progetto prevedeva altre esplorazioni nelle gallerie più alte.

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10 - Nel Ventre Del Monte Kronio Scoperto Il Vino Più Antico Del Mondo.
Gli esami sui residui del 2012 ed ora nel settembre 2017 il riconoscimento scientifico a livello internazionale.

Nel 2012 gli speleologi della Commissione grotte CGEB di Trieste avevano incentrato la loro attenzione su una serie di vasi, in perfette condizioni, risalenti all’Età del rame e posti nelle grotte o Stufe di san Calogero.
Il liquido contenuto nei vasi fu consegnato ad un team di esperti composto da: Davide Tanasi (dell’Università della Florida Meridionale), Enrico Greco, Valeria di Tullio, Donatella Capitani, Domenica Gulli ed Enrico Ciliberto.
Il residuo del liquido fu sottoposto ad accurati e sofisticati controlli con tecniche di spettrografia ad infrarossi e risonanze magnetico-nucleare on microscopi elettronici.
Alle fine il responso: all’interno di quei vasi sono state trovate tracce di acido tartarico e tartarato di sodio, componenti naturali del vino.
Il più antico vino di cui si abbia traccia ad eccezione di uno in Cina che risalirebbe ad almeno 7000 anni fa ma sul quale le informazioni e le relative notizie sono ancora oggi molto contrastanti.
In Italia il ritrovamento più antico era riferito al 3000 a.C. ed era stato effettuato in Sardegna.
La scoperta del vino rinvenuto sul Monte Kronio fu pubblicata nella rivista “Microchemical Journal” e dimostra che la viticoltura e la produzione di vino in Italia non cominciarono nell’Età del bronzo, ma almeno 2000 anni prima.






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11. Gli Antichi Frequentatori
Diodoro Siculo cita sulle imprese di Dedalo le grotte del Kronio e l’eccezionalità del fenomeno vaporoso che erano noto sin dall’antichità.

Gli antichi abitanti, Sicani (?) rimasero colpiti nel vedere che da una caverna posta in cima ad monte usciva del fumo umido e tiepido. Probabilmente utilizzarono quel rifugio come dimora. Un rifugio protetto dai venti, posto su un luogo dominante, esposto a mezzogiorno, vicino al mare pescoso e a campi ricchi e fertili, un luogo tiepido  in grado di offrire un caldo tepore durante le freddi notte.
Le tracce archeologiche trovate evidenziano una presenza umana dal primo neolitico (3500 – 4000 a.C.), periodo in cui alcune cavità furono abitate. Verso l’età del bronzo (2000 a.C.) gli abitanti, che ormai mostravano una gran confidenza con le grotte esistenti, decisero di esplorare quel misterioso pozzo dal quale proveniva quel bellissimo flusso di calore. Scoprirono delle gallerie  che partivano dal fondo del pozzo e decisero di utilizzarli per depositarvi i morti con offerte rituali. La frequentazione cessò improvvisamente per lungo tempo. Probabilmente sia per l’arrivo dei greci e poi per quello dei romani. Questo è provato dai numerosi reperti che testimoniano l’uso della grotta solo come sito di culto di qualche divinità infera.
Abbiamo visto come Diodoro Siculo citò la grotta come opera di Dedalo, che fuggito
da Creta, trovò ospitalità presso il re Cocalo a Guastanella ?
Successivamente vi trovò riparo San Calogero, famoso monaco e taumaturgo, che utilizzò questi ambienti abbandonati da tempo. Vi costruì dei muretti e concentrò il vapore in una zona ristretta rendendola adatta per le cure termali. Fu lui ad adattare l’Antro di Dedalo nel quale costruì una serie di sedili in pietra. L’unica caverna superiore risultò cos’ divisa in vari ambienti: La grotta dell’Eremo, dove si tramanda che lui dormisse; la grotta del santo, la zona di preghiera; la stufa degli animali dove il calore era più mite e vi portavano a curarsi gli animali; l’Antro di Dedalo per gli uomini e l’Antro di Fazello non usato e che a quel tempo era collegato al resto solo attraverso un angusta strettoia dalla quale proveniva il flusso caldo. Le prime due fredde e le altre calde.
Sulla vetta sorse la basilica ed un convento mentre per  le cure termali fu costruito uno stabilimento termale..

PERCHE’ LE DEPOSIZIONE DI VASI NELLE  STUFE DI SAN CALOGERO ?

Ingresso della Galleria Di Milia
Scheletro con corredo di due vasi ed un altro sepolto nel fango
(foto di G. Perrotti)

Perché la presenza di tanti vasi nelle gallerie più basse ?
Probabilmente, come afferma il Perrotti, un tempo in queste gallerie la temperatura era più bassa.
Fu accertata nelle precedenti spedizioni la presenza di tracce d’opere lungo il pozzo. Tracce  per l’appoggio di primitive scale e resti di primitive lucerne per l’illuminazione lungo le pareti.
I preistorici nell’entrare nelle grotte  incontrarono grosse difficoltà sia per il trasporto nelle gallerie inferiori delle salme e dei vasi.
Furono individuati nelle spedizioni dal 1947 al 1998 ben 40 scheletri.. e questo rilevamento ha una sua importanza. Ancora oggi non si è riusciti a chiarire lo scopo della loro collocazione in simili anfratti e sui riti che certamente si svolsero.

Galleria Di Milia, zona mediana, vaso ancora in sito con traccia del corpo deposto Foto (G.Perotti)

Solo in due casi si è riscontrato la presenza di resti scheletrici completi e precisamente: uno accostato a due vasi ed un altro totalmente sepolto nel fango, come probabilmente lo è anche il suo corredo. Circa il gruppo di ossicini che furono trovati in un vasetto rotto è ancora da chiarire se siano umani o animali.
Solo in un singolo caso si riesce ancora a distinguere l’impronta lasciata dalla consunzione di un corpo, sempre deposto sul fianco destro ed in posizione fetale e che, anche dopo un attento esame del luogo, non è stato possibile accertare la pur minima presenza di residui scheletrici.
Si possono fare solo delle ipotesi come rilevò il Perotti anche basandosi sugli scavi archeologici che il Tinè fece nell’Antro Fazello.
Durante l’ultimo periodo dello stanziamento umano nelle caverne alte, le gallerie basse furono utilizzate come sepolcreto  quindi per la deposizione dei morti con i loro corredi.
Successivamente, dopo molto tempo,  i resti scheletrici potrebbero essere stati rimossi allo scopo probabilmente di sistemarli altrove. In questo caso anche la presenza delle ossa umane sconvolte, ritrovato nello scavo archeologico nella caverna alta, potrebbe portare a questa ipotesi.
I due scheletri ancora presenti, che potrebbero essere fra gli ultimi deposti, danno quasi l’impressione di essere stati dimenticati o abbandonati forse perché non pronti per la loro rimozione quando finì l’utilizzo delle gallerie a sepolcreto.
Il tutto collegato ad una repentina fruizione abitativa della caverna superiore… abbandono forse causato da un aumento della temperatura dei flussi ?
 Un’altra ipotesi potrebbe essere legata all’utilizzo delle gallerie inferiori di offerte rituali ad una divinità infera.
In una grotta lavica del catanese furono trovati anni fa numerosi vasi, impronte di deposizioni ma nessun scheletro o in ogni caso presenza di ossa umane.
Il prof. Bernabò Brea affermava..” quello che si dice oggi può essere contraddetto non più tardi di domani; basta aprire un nuovo scavo, magari nello stesso sito, ma con metodo che nel frattempo si è perfezionato”….

Probabilmente opportuni ed accurati scavi, malgrado le difficoltà, potrebbero svelare tanti misteri e nello stesso tempo portare a conoscenza costumi e modi di vita di gente vissuta 6000 – 4000 anni fa.



Galleria Di Milia: zona mediana, traccia del corpo deposto con il capo tra due pietre e vaso infilato dietro queste (Foto G.Perotti)
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12. L’Antiquarium di Monte San Calogero

L’Antiquarium di Monte San Calogero è un vero gioiello archeologico. Un Museo che si può considerare come uno dei più importanti del panorama scientifico internazionale per diversi motivi:
-          Condizione dei rinvenimenti;
-          La specificità dell’altura interessata dal processo termale;
-          L’ubicazione del museo all’interno dello stesso complesso termale. Un aspetto che viene esaltato dalla singolare presenza, proprio all’ingresso, della bocca fumante di fuoriuscita dei vapori dall’Antro di Dedalo.
Molti reperti del sito si trovano al Museo di Agrigento ma il breve percorso all’interno del Museo di Monte San Calogero permette di evidenziare le varie fasi di frequentazione del sito. È presente un plastico, uno spaccato del Monte, che mette in risalto il sistema carsico, con il suo deposito antropico ancora in situ e l’intricata rete di gallerie attraverso le quali è ipotizzata la risalita dei vapori.
È presente anche un accurato sistema didattico-documentario con la quale è possibile osservare i complessi fenomeni di vulcanismo sottomarino che caratterizzano il “Mare Nostrum” (Canale di Sicilia) in prossimità delle coste di Sciacca. Fenomeni che nel lontano 1831 diedero origine all’effimera  emersione dell’Isola Ferdinandea.
Segue l’illustrazione dei fenomeni vaporosi del Monte Kronio con le ipotesi sulla loro origine, la storia delle affascinanti esplorazioni speleologiche e quelle delle ricerche archeologiche.
I reperti sono esposti in due vetrine anche questa accuratamente proposte. Una è dedicata alle fasi preistoriche mentre la seconda mostra reperti riconducibili alla frequentazione del sito a partire dal VI secolo a.C. sino all’età medievale ed oltre.
L’esposizione si conclude con la sintesi della storia del termalismo a Sciacca che in età romana fu centro di un importantissimo centro amministrativo e fiscale e che dopo il V secolo vide in una grotta vivere il Santo taumaturgo San Calogero.


























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