Sulle tracce di San Calogero…. Viaggio nelle Terme di Sicilia
1° parte : Sciacca
(Ag) - Monte Kronio (Monte San Calogero)
Indice
1.
La Vita di San
Calogero
1. La Vita di San Calogero
a)
Le Sue Spoglie
b)
La raffigurazione del Santo e La
Leggenda
2.
Monte San Calogero (Monte Kronio) –
RNI (Riserva Naturale Integrale)
3.
Monte Kronio – Etimologia
4.
Architettura Ipogeica e i Fenomeni
Termali
5.
Le Prime Esplorazioni delle Gallerie
del Monte Kronio
6.
Inizio delle Esplorazioni dal Gruppo
Speleologico CGEB (Trieste) – Dal 1942 al 1998 –
Undici Spedizioni
7. Le Amare Riflessioni di Giulio
Perotti … dopo aver dedicato cinquant’anni della sua vita al Monte Kronio – I Valorosi
Artefici delle Spedizioni del gruppo CGEB
8.
Conclusioni sulle Ricerche Compiute
dalla Commissione Grotte CGEB
9.
La Ricerca Continua… (2012 – 2017 –
2018)
10.
Nel Ventre del Monte Kronio Scoperto
il Vino più Antico del Mondo
11.
Gli Antichi Frequentatori delle
Gallerie del Monte Kronio
12.
L’Antiquarium di Monte S. Calogero
Conclusioni…. Un Sito non Valorizzato…. Le Terme sono Chiuse da anni……..
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1.
La Vita di San
Calogero
Il
nome Calogero, di origine greca, significa “bel
vecchio” cioè legato all’ideale della bellezza ma anche esteso al senso del
“giusto e buono”. Nel Vangelo di
Giovanni il “bel pastore” ha il
significato di “buon pastore”.
Gli
storici non sono concordi sull’identità del santo. In Oriente e nel Sud Italia con il termine di
Calogero veniva spesso indicato anche il monaco eremita e quindi ritengono che
non fosse questo il nome del santo ma un
appellativo con il quale era riconosciuto.
“Calogeri”
erano infatti i religiosi che seguivano con grande scrupolo la regola di San
Basilio e attuavano una vita monastica molto scrupolosa e rigorosa in termini
di penitenze e privazioni ed abitavano in luoghi isolati come grotte e monti.
Le
documentazioni sono scarse e secondo la tradizione Calogero sembra sia nato a
Calcedonia sul Bosforo nel 466 d.C. Una
zona che nel 46 d.C. diventò provincia romana per poi seguire le sorti
dell’impero bizantino. Da bambino
digiunava, pregava e studiava la Sacra Scrittura. Secondo gli atti dell’antico
“Breviario” siculo- gallicano, in uso in Sicilia dal IX secolo fino al XVI, giunse
a Roma in pellegrinaggio. Ricevuto dal papa Felice III (483-492) chiese il
permesso di vivere in solitudine in un luogo imprecisato.
Grazie
ad una ispirazione divina scelse di svolgere la sua missione di
evangelizzazione in Sicilia dove si recò con i compagni Filippo, Onofrio e
Archileone ed altri seguaci.
Sbarcato
a Lilibeo (Marsala) si recò sul monte Eurako, oggi di “San Calogero” dove
iniziò la sua opera di evangelizzazione nei territori di Terme (Termini
Imerese) e Caccamo (Palermo).
A
Termini Imerese sfruttò le antiche terme per scopi curativi dato che era anche
un esperto taumaturgo.
Calogero
si recò successivamente nelle Isole Eolie dove si fermò qualche anno predicando
sia il Vangelo sia insegnando come ricevere i benefici per le malattie
utilizzando le acque termali e le stufe vaporose. Una sorgente sulfurea nelle
Isole Eolie porta ancora il suo nome.
Grazie
ad un'altra visione lasciò Lipari per trasferirsi a “Syac” (Sciacca), che era
chiamata dai romani “Thermae” per i prestigiosi bagni termali presso il Monte
Kronio.
Qui
convertì gli abitanti e decise di cacciare gli dei pagani post sul Monte
Kronios, dal Dio greco Kronos che per i romani era il dio Saturno.
Gli
arabi chiamarono questo monte “delle Giummare” cioè dalle palme nane che
crescono ancora oggi rigogliose sui fianchi della montagna. Monte che prese successivamente
il nome di San Calogero.
Calogero
abitò in alcune grotte del monte e con le sue preghiere intimò ai demoni di
lasciare il luogo.
Gli
“Atti” citano che il monte davanti a quelle preghiere ebbe un forte sussulto,
fra venti impetuosi e grida, per poi tutto tornare improvvisamente nella calma.
Allontanati
i demoni si stabilì in una grotta adiacente a quelle vaporose a cui si accedeva
con difficoltà quasi strisciando a terra. Lo stesso santo costruì, sempre nella
grotta, anche una piccola chiesetta o angolo di preghiera.
L’attuale
basilica fu iniziata nel 1530 e ultimata nel 1644 al posto della vecchia
chiesetta. Gli ambienti dell’antico eremo, il cui ingresso è sottostante
all’attuale basilica, furono nel 1948 ristrutturati dai francescani che ancora
oggi sono presenti nel Santuario.
Nella
grotta dove si stabilì si trova, murata nella roccia, l’immagine di San
Calogero posta su un rudimentale altare che si dice costruito dallo stesso
santo.
Un
immagine risalente al 1545 e che raffigura l’eremita con la barba e che tiene
nella mano destra un libro (il libro della medicina) e un ramo-bastone. Ai suoi
piedi un infedele inginocchiato e una cerbiatta accovacciata, ferita da una
freccia.
Un
episodio importante avvenuto negli ultimi giorni della sua vita. Ormai
ultranovantenne non riusciva più a cibarsi per cui Dio gli mandò una cerva che
con il suo latte l’avrebbe alimentato. Un giorno un cacciatore di nome Siero, soprannominato
Arcario, (perché cacciava con arco e frecce) vide l’animale e lo colpi con una
freccia. La cerva ferita riuscì a trascinarsi sino alla grotta di Calogero dove
morì fra le sue braccia.
Il
cacciatore pentito e piangente chiese perdono. Riconobbe in Calogero l’uomo che
l’aveva battezzato anni prima. Il santo lo portò nella vicina grotta vaporosa e
gli diede delle precise istruzioni sulle proprietà curative di quelle acque e
vapori. Diventò suo discepolo e saliva spesso sul monte per rendergli visita ma
40 giorni dopo l’uccisione delle cerva, trovò l’eremita morto e ancora in
ginocchio davanti all’altare. Secondo la tradizione morì nella notte fra il 17
e il 18 giugno 561 ed era vissuto in quel luogo per 35 anni.
1a. Le Sue Spoglie
La
notizia si diffuse in tutte le cittadine vicine e secondo le fonti sembra che Arcario
lo abbia seppellito nella stessa grotta
e poi trasferito in una altra cavità o caverna di cui si è persa la memoria.
Successivamente trasformò la grotta in cui era vissuto San Calogero in una
piccola chiesa dove alloggiò assieme ad altri discepoli. In seguito vennero
scavate nella roccia le piccole celle che costituirono i dormitori e che furono dette “eremo” o “Quarto degli
Eremi”.
In
merito alle fonti sulle sue spoglie le notizie sono contraddittorie. Infatti a
causa dell’ invasioni saraceniche il vescovo agrigentino, per non fare disperdere
le reliquie del santo, le fece condurre presso il monastero basiliano di San
Fragalà nei pressi di Frazzanò.
A poca distanza da
Fragalà (Me) sorge l’antico convento di San Filippo dedicato a San Filippo
d’Agira.
Un antico cenobio
basiliano risalente al 495 e che fu ristrutturato dall’abate Gregorio nel 1090
grazie ai favori
concessi dai Normanni, il Conte Ruggero e la moglie, Regina Adelasia del Vasto.
Oggi
le spoglie riposano in una cassa lignea nella chiesa Madre di Frazzanò.
Frazzanò (Me) –
Chiesa Madre
La chiesa fu costruita
su un precedente edificio dedicato a Maria SS. Annunziata. Origini medievali che risalgono al periodo Normanno. Fu edificata nel
1177 dalla regina Adelasia del Vasto, moglie di Ruggero I e madre di Ruggero
II.
Fu costretta a
lasciare Gerusalemme perché ripudiata dal re Baldovino I. Una terribile
tempesta colpì la nave che fu costretta a fermarsi, dopo non poche difficoltà,
a Capo Agatirsio, oggi Capo d’Orlando.
Per ringraziare la Madonna per lo scampato
pericolo fece costruire la chiesa che fu dedicata
all’Annunziata. La
facciata, ultimata nel 1716 dallo scultore palermitano Tommaso Scudo,
è rivestita di
marmo proveniente dalle cave di S. Marco d’Alunzio.
Presenta tre
portali e in quello centrale, più ampio, è delimitato da belle colonne tortili.
L’interno è suddiviso
in tre ampie navate scandite da monumentali colonne e caratterizzate
da eleganti
cornici in stucco. Di gran valore è il maestoso altare maggiore.
Un altare in stile
barocco, datato 1756, opera dell’artista Filadelfio Allò di Mirto, alto otto
metri e scolpito
in legno. È rivestito
con sottili lamine d’oro zecchino ad opera dell’artista palermitano Sciuga
Nel
IX secolo un monaco, forse basiliano e che si firmava Sergio Cronista, abitante
nel monte Cronios o Kronios, compose in lingua greca alcuni inni in onore di
San Calogero.
Nei
suoi inni citò come San Calogero non giunse a Sciacca ma sbarcò nel Lilybeo,
cioè Marsala. Era in compagnia di Gregorio e Demetrio che furono martirizzati
da idolatri. A questo proposito due teorie intorno all’identità degli uccisori.
Parte della storiografia ritiene che il vescovo di Lilibeo fosse in realtà un
monofisista e visti gli intensi scambi commerciali tra la Sicilia e i
patriarcati di Antiochia ed Alessandria, territori dove il monofisismo era
molto radicato, e come tale abbia giustiziato i due compagni di Calogero come
eretici. Altri storici invece ritengono che siano invece caduti nelle mani dei
Vandali, fanatici ariani che in quegli anni imperversavano in Sicilia e nel
Nord Africa. Non indicava il luogo in cui era morto ma sollecitava a visitare
la grotta dove il santo era vissuto in una parte della sua vita e dove aveva
compiuto tanti miracoli e guarigioni.
Lo
storico Francesco Terrizzi sostiene che San Calogero, dopo aver perduto i
compagni martirizzati dai Vandali, si recò prima a Palermo e poi a Salemi,
Termini Imerese, Fragalà, Lipari, Lentini, Agrigento, Naro e infine a Sciacca.
Questi spostamenti spiegano il motivo per cui numerose grotte sono indicate
come dimora del santo.
Le
reliquie (tra cui il cranio), secondo un’altra tradizione, furono invece trasferite in un monastero
posto a circa 3 km dalla grotta e nel 1490 a Fragalà dal monaco basiliano
Urbano da Naso e poi nell’800 a Frazzanò (Messina) nella chiesa parrocchiale.
Qualche sua reliquia è custodita nel Santuario di San Calogero (Sciacca), posto
vicino alla sua grotta sull’omonimo monte, dal XVII secolo.
La
sua festa a Sciacca ricorre il 18 giugno.
Sciacca – Monte Kronio
- Santuario di San Calogero
Monte Kronio - Santuario
di San Calogero
Le origini del
Santuario sul Monte Kronio risalgono al 1400 quando i monaci crearono alcune
celle e un piccolo
ospedale per i
pellegrini. La statua di San Calogero, presente nel santuario, è maestosa e
sarebbe stata
commissionata ad
Antonello Gagini da parte del monaco don Antonino Bruno nel 1535. Fu firmata e
consegnata
nel 1538 da
Giacomo Gagini, a nome del padre Antonello che era deceduto nel 1536.
L’opera rimase
incompleta perché mancante dell’arciere che ferì la cerva di San Calogero come
si rileva dal
contratto di
commissione dell’opera. Un opera pregevole dove il Santo è raffigurato con il
suo
abito da eremita e
da abate basiliano, con il libro di medicina nella mano sinistra e nella destra
reca il bastone, ai suoi piedi la cerva. Le decorazioni sono in oro ed è
collocato in una custodia lignea del 1700.
1b. LA
RAFFIGURAZIONE DEL SANTO
Il
santo è raffigurato dal XVIII secolo con la pelle scura a causa dell’errore di
alcuni gesuiti del 600/700 che trascrissero le sue “Vite” cambiando il termine “chalkhidonos”,
cioè “Calcedonia” con “Karchidonos”
ovvero “cartaginese” trasformando così la sua provenienza. Un’altra ipotesi è
che il santo abbia assunto uno dei caratteri delle divinità ctonie greco-romane
in analogia con quanto previsto con le diverse Madonne Nere presenti nel mondo
che avrebbero tale colorazione perché evoluzione delle svariate raffigurazioni
delle Grandi Madri nella storia. Spesso viene raffigurato con al fianco la
cerva che il Signore gli inviò, diventando anziano, per nutrirlo con il suo
latte.
La Leggenda
È
presente nella tradizione popolare,
riportata anche dal Pitrè, una leggenda legata proprio al colore della pelle di
San Calogero.
Calogero era fratello di Sant’Angelo,
protettore di una città vicina. I due erano dediti al lavoro dei campi e
all’inizio della stagione agricola Sant’Angelo si rivolse al fratello chiedendo
cosa fare.
Calogero:
“Angelino, sai che ti dico, ancora il tempo è bello e mite; fai tu
l’aratura, che poi alla semina, quando il tempo diventa impietoso con piogge,
vento e freddo, provvederò io”.
Angelo
provvide all’aratura dei capi e una finita si rivolse nuovamente al fratello
per la semina..
Calogero:
“Angelino, sai che ti dico, tutto sommato il tempo non è ancora
tanto brutto. Fai tu la semina, che poi, quando sarà il momento di zappare, con
freddo e vento di tramontana e gelo che spacca le mani, ci penserò io”.
Arrivò il tempo di accudire le piante di grano con la relativa
zappatura per levare le erbacce.
Calogero rispose: “Angelino,
sai che ti dico,…..
Angelo capì la furbizia del fratello e non gli diede il tempo di
ultimare la frase per replicare..”però
alla seconda zappatura niente storie, te la vedi tu e basta”.
Al momento della seconda
zappatura Calogero non fu interpellato dal fratello. Calogero, forse intuendo
le idee del fratello, prese l’iniziativa e disse: “Angelino, so che dovrei andare io per la seconda zappatura,
conosco il mio dovere, ma lo faccio per te. Il tempo ormai si mette al bello;
non fa né caldo e né freddo. Nel mese di giugno invece, per la mietitura, il
caldo spacca le pietre, ciò non di meno, ti garantisco che provvederò da solo
alla mietitura”.
Fu
così che il povero Angelo si fece anche la seconda zappatura.
Giunse
il tempo della mietitura nel mese di giugno quando il caldo si fa già sentire
con forza. Calogero sembrò dimenticarsi dei suoi impegni e promesse e sembrava,
quasi a dispetto, di essere coinvolto in altre faccende aziendali.
Angelo,
questa volta un po’ adirato per il comportamento del fratello, gli disse: “Calò, il grano lo vogliamo lasciare all’impiedi ? E non mi venire
a raccontare la storiella del brutto tempo che ormai è estate sia di giorno che
di notte”.
Calogero rispose: “Angelino,
ragione hai, però durante la trebbiatura, quando le ariste ti entrano nella
carne e la polvere di paglia non ti fa respirare, non ti venire a lamentare. Io
per te lo dico, ti consiglio di provvedere tu alla mietitura, che per la
trebbiatura e tutto ciò che comporta provvederò io fino all’ultima incombenza”.
Angelo
poco convinto ma animato dalla bontà provvide alla mietitura.
Arrivò
il momento della trebbiatura.
Calogero
si rivolse al fratello: “Angelino sai che
ti dico”.
Angelo,
ancora una volta non gli lasciò finire la frase..” E no, caro Calogero, la trebbiatura te la fai tu, e non voglio sapere
più nulla”.
Calogero
rispose: “Ma io stavo parlando nel tuo interesse. Potresti pensare che io
possa approfittare e lasciarti una quota inferiore di quella che ti spetta”.
Angelo
si lasciò convincere e i due fratelli provvidero insieme ai lavori di
trebbiatura.
Al
termine dei lavori nell’aia c’era una gigantesco cumulo di paglia disposto a
mezzaluna ed il grano a mucchio posto al centro dell’aia e pronto per la
pesatura e successiva divisione.
San
Calogero, posto nel mezzo della collinetta di chicchi dorati con pala e
tridente, disse:
“Angelino ora dobbiamo
dividere. Visto che tu hai fatto tanto lavoro, hai arato, hai seminato, hai
zappato e mietuto tutto da solo, ti dò il vantaggio della scelta. O tu ti pigli
la paglia ed io il grano oppure, se non ti sta bene così, il grano me lo piglio
io e tu ti pigli la paglia. A te la scelta”.
Era una battuta di spirito da parte di Calogero ? Angelo si sentì
preso in giro e con una irrefrenabile rabbia diede fuoco alla paglia con
l’intento di bruciare tutto.. “né tu né
io, né tu né io, muore Sansone con tutti i Filistei”.
San Calogero si buttò sul fuoco, non poteva permettere che le fatiche
di suo fratello svanissero nel nulla, e riuscì a domare l’incendio.
A causa del caldo e del fumo, sebbene San Calogero si fosse lavato
più volte con sabbia ed acqua di fiume, rimase scuro per tutta la vita.
SAN CALOGERO - CAMPOFRANCO
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2 MONTE SAN
CALOGERO – ( MONTE KRONIO) - SCIACCA
Caratterizzazione
della Riserva: AT (Acque Termali)
Denominazione:
Monte San Calogero – Monte Kronio
EUAP
(Elenco Ufficiale Aree Protette) : EUAP 1104
Codice
ITA : ITA40009
Codice:
Ag5
Tipo:
R.N.I. (Riserva Naturale Integrale)
Zona
“A” (Ha) : 29,79
Zona
“B” (Ha) : 20,21
Totale
(Ha) : 50
Caratterizzazione:
“AT” (Acque Termali)
Ente
Gestore : Azienda FF.DD. (Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali)
Comuni
: Sciacca (Agrigento)
Normativa di Riferimento
-
Prima
dell’Istituzione: come da art. 7, Legge Regionale 98/91 e successive
modificazioni, con divieto assoluto di edificazione;
-
Motivazione
(contenuta nel Decreto di Istituzione): “Al fine di tutelare il complesso ipogeo costituito da
5 grotte principali, Stufe di San Calogero, Grotta del Lebbroso, Grotta di
Mastro, Grotta Cucchiara (labirinto aspirante) e Grotta di Gallo, interessato
dalla circolazione di aria e vapori legati a fenomeni termali.
Attuazione Piano:
D.A.
366/44 del 26/7/00 (Piano regionale)
G.U.R.S - N. 47 - Venerdì 20 Ottobre 2000
(Istituzione
della Riserva Naturale Monte San Calogero (Kronio), ricadente nel territorio
del comune di Sciacca ..pg 39)
Note:
Delimitazione
definitiva. Con D. Ass. Terr. e Amb. 26 luglio 2000, n. 366 è stata istituita
la riserva naturale “Monte San Calogero (Kronio)”, ricadente nel comune di
Sciacca, prov. di Agrigento, notificato all’Azienda Foreste con nota Ass. Terr.
e Amb. prot. n. 9460 del 22/08/2000. Lo stesso decreto affida la gestione della
riserva all’Azienda Foreste, contiene la convenzione di affidamento ed, in
allegato, il regolamento. Nel Piano regionale delle riserve, era prevista come
“riserva naturale orientata”. Il decreto di istituzione, invece, la individua
tipologicamente quale “riserva naturale integrale”.
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3) Monte Kronion - Mitologia
La massiccia mole di Monte S. Calogero, meglio conosciuto come Kronion, si
alza maestoso sulle coste del Canale di Sicilia con i suoi 397 m di altezza e sovrasta la
cittadina di Sciacca e i suoi fertili terreni.
Il
nome del Monte deriva dal dio greco “Kronos”.
Crono
o Kronos era una divinità pre-olimpica della mitologia greca, figlio di Urano
(cielo) e di Gea (Terra). Un figura molto complessa perché era Titano della
fertilità, del tempo e dell’agricoltura, secondo signore del mondo e padre di
Zeuss. Crono nella religione romana fu identificato con Saturno.
Urano
impediva che i figli generati con Gea venissero alla luce e cioè i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre
Centimani. Una nascita impedita a causa probabilmente del loro orrendo aspetto
simile a mostri. Gea costruì una falce dentata e invitò i figli a disfarsi del
padre. Solo l’ultimo dei Titani, Crono, rispose all’appello della madre e
riuscì ad evirare il padre con un “harpe”
cioè una specie di spada che prima della punta presentava una piccola
diramazione a forma di falce.
Giorgio Vasari
(1564)
Crono evira il
padre Urano –
Olio su Tavola -
Firenze (Palazzo Vecchio)
Con
l’evirazione del padre iniziò il dominio di Cromo, che sposatosi con la sorella
Rea, (nota anche come Cibele, nome della dea frigia chiamata “Madre degli dei”
o “Grande Madre”) generò tra gli altri Demetra, Era, Ade, Posidone, ecc. Un
oracolo aveva predetto a Crono che sarebbe stato spodestato da uno dei suoi
figli e non volendo perdere il potere, li divorava ( non poteva ucciderli
perché come divinità erano immortali).
Rea,
in preda allo sconforto, era incinta dell’ultimo figlio, Zeus.
Consigliatasi con i suoi genitori (Urano e Gea) decise di
partorire di nascosto nell’isola di Lycto
(Creta).
Partorì
in una grotta detta “Ida” e il
piccolo fu affidato alle cure delle ninfe. Consegnò a Crono un fagottino avvolto da fasce, contenete in realtà una
pietra, che Cronò divorò senza indugi.
Rea consegna a
Crono il “fagottino” che contiene la pietra anziché il figlio Zeus
Bassorilievo di un
altare romano
Zeus
riuscì a crescere con forza, saggezza ed intelligenza e dopo diverse peripezie
riuscì a sconfiggere il padre facendogli vomitare i figli che aveva divorato.
Zeuss costrinse Cromo a bere un emetico e la prima cosa che vomitò fu proprio
la pietra che Rea gli aveva consegnato al posto del figlio e successivamente i
cinque figli. Zeus diventò il re degli dei.
Sembra
che in origine Cronos fosse un dio dell’agricoltura e per questa ragione i
romani lo identificarono con Saturno, il dio italico delle seminagioni.
Secondo
la mitologia romana quando Saturno fu cacciato da Zeus si rifugiò in una
contrada in cui regnava il dio Giano. Giano divise con generosità il suo regno
con Saturno, che in cambio, insegnò alla popolazione del luogo l’arte di
lavorare i campi e la civiltà. Rese la comunità felice e prospera negli anni
del suo regno che vennero indicati come “l’età dell’oro”. Di questa età vennero
riportati dei cenni che misero in risalto certi importanti aspetti sociali: gli
uomini si consideravano tutti fratelli e avevano tutte le cose in comune. Non
c’erano invidie e gelosie, si viveva in un ambiente sereno e libero da ogni
paura. Da Saturno l’Italia prese il nome di Saturnia e i romani in riconoscenza
degli immensi benefici avuti, celebravano ogni anno, il 17 settembre e per
sette giorni consecutivi, le importanti feste chiamate “Saturnalia”.
4. L’Architettura Ipogeica e i Fenomeni Termali
Lasciata la mitologia, che ha sempre un suo fascino, c’è da mettere il
risalto come sul Monte Kronio è presente una complessa architettura ipogeica
nella quale circolano aria e vapori legati a fenomeni termali.
Un
complesso ricco di gallerie che si narra siano state costruite da Dedalo per
creare delle stufe vaporose.
Il
monte è in realtà attraversato da una rete di faglie lungo le quali si sono
manifestati dei fenomeni carsici.
Fenomeni carsici legati ad una forte circolazione di acque sotterranee e non,
che hanno favorito nel tempo la formazione di gallerie e cunicoli ad andamento orizzontale e a vari livelli,
spesso collegati tra di loro. In prossimità della vetta, su un fronte di circa
400 m, dalle cavità e dalle fessurazioni della roccia fuoriesce un forte flusso
di vapori. Vapori che sono generati dall’evaporazione delle acque di un
sottostante bacino termale, vulcanismo secondario, posto a circa 300 m di
profondità.
I
vapori risalendo attraverso le fessurazioni e il sistema ipogeico fuoriescono
all’apertura delle grotte generando quel fenomeno che viene definito come
“Stufe di San Calogero”.
I
vapori salgono lungo le insenature e gli anfratti raggiungendo la superficie ad
una temperatura di circa 40 ° Celsius.
Il fenomeno dei vapori di risalita sono quindi collegati con il sottostante bacino idrotermale di Sciacca. Un bacino che ancora oggi è oggetto di studio da parte dell’importante Commissione Grotte E. Bogean del CAI di Triste.
Il fenomeno dei vapori di risalita sono quindi collegati con il sottostante bacino idrotermale di Sciacca. Un bacino che ancora oggi è oggetto di studio da parte dell’importante Commissione Grotte E. Bogean del CAI di Triste.
Sezioni delle
gallerie del Monte Kronion
5. Le Prime
Esplorazioni Delle Gallerie Del Monte Kronio
Le
primi indagini risalgono al 1500.
1558 – il Fazello,
nella sua opera descrive la grotta: ““…un
pozzo profondissimo fatto dalla natura, dove molti si sono rischiati di
andare…portando con loro torci accesi e corde…ritrovando molti sortivi di acqua
calda, che stillavano goccia a goccia da’lati della viva rupe, e ritrovandosi
molti errori di vie, ed in molti luoghi stretti, percorsi da orrore e di paura,
non ebbero ardire di andare più innanzi per non soffogare, e prestamente
tornarono indietro.”
1669 – le cronache citano
un calzolaio di Sciacca, Francesco Bujela, che si vantava di essere riuscito da
giovane ad entrare in un cunicolo della Grotta degli Animali e riuscì ad uscire
nell’Antro di Dedalo. Parlò di aver visto ambienti con tavole di pietra,
colonne e sedili che riteneva fossero le abitazioni dei Lestrigoni (mangiatori
di loto). Il 10 aprile il Bujela, per dare prova del suo racconto, alla
presenza di numerose persone, s’infilò in un cunicolo sul lato destro della
Grotta degli Animali e non uscì più. Lo sentirono gridare chiedendo aiuto ma
nessun intervenne a causa del terrore che destava la grotta nella gente. Dopo poche ore regnava il silenzio
assoluto….il povero Bujela era morto a pochi metri dal passaggio dal quale
doveva uscire. Il corpo fu in seguito recuperato per una degna sepoltura.
Houel,
nella cronaca del suo viaggio in Sicilia, riportò l’episodio a distanza di
quasi un secolo: “Dopo un anno un altro
temerario spinto dalla curiosità, andò in quello stesso posto e trovò il morto
esattamente come era un anno prima, quando vi si era cacciato. Lo tolsero da
quel luogo. Quando venne a contatto con l’aria si trasformò in polvere. Se ne
concluse sensatamente che S.Calogero l’aveva conservato integro finchè era
rimasto in quel posto e (si aggiunse con aria ancora più seria e più
affermativa) che l’aveva abbandonato sin dal momento che ne era uscito: ciò
dimostra ad ogni cristiano che non bisogna mai abbandonare i santi, soprattutto
quando si è morti. Queste storie valgono molto denaro ai monaci.
1710 – Sanfilippo cita: “vi è un pozzo naturale profondissimo, la cui
discesa è agevole per tutto il percorso, e molti con fiaccole accese e funi
osarono esplorarlo. Ma discesi con trepidazione alcuni passi ed essendo colpiti
da numerose gocce di acqua calda che trasudavano dalla roccia viva molto
copiosamente, dapprima caduti in punti scoscesi del percorso e poi in passaggi
ristretti, distolti dall’avanzare dalla paura e dal timore, per non morire
soffocati tornarono indietro. Nel suo racconto cita anche il dramma
dell’esperienza del Bujela.
Zone calde,
percorso e luogo in cui fu trovato il corpo di Bujela
1749 – I fratelli Ignazio
e Gregorio Blandina, rispettivamente medico e sacerdote, entrami di Sciacca,
giunsero sull’orlo del pozzo. Ma non si hanno ulteriore notizie.
1760 – una comitiva di
francesi tentò l’impresa di esplorazione.
L’esplorazione ebbe breve durata perchè il flusso di calore nella strettoia
dell’Antro di Dedalo spense le loro luci.
1773 / 76 – il medico di
Sciacca, Silvestro Bellitti, esplorò i canali interni riuscendo a raggiungere
il pozzo. Con un sasso legato ad una cordicella, cercò di misurare la sua
profondità. Per primo intuì che i vapori avevano origine nella falda termale
più profonda, che il flusso era generato da un sistema di tiraggio come avviene
in un camino e che parecchie cavità del monte comunicavano tra di loro. Lasciò
una bella descrizione del monte e del fenomeno. Fu probabilmente la prima
persona che cercò di spiegare il complesso fenomeno e non per spirito
d’avventura ma perché desideroso di svelare il misterioso fenomeno.
I disegni
dell’Antro di Dedalo del Bellitti
1776 - Jean Houel nel suo viaggio in Sicilia,
passò da Sciacca e cercò subito di esplorare la grotta. L’accompagnatore lo
lasciò da solo perché preso dalla paura fuggì via.. Houel si spinse fino al
pozzo per cercare di misurare la sua profondità ma senza riuscirvi. Come per gli
altri luoghi visitati, descrisse il luogo e compilò una planimetria che è molto
veritiera. Houel s’intrattenne a lungo all’interno della grotta.. il suo
accompagnatore fuggì per fermarsi all’ingresso della cavità per
aspettarlo. Fu accusato di aver ucciso
il ricco turista Houel e fu arrestato. Venne
liberato dopo la ricomparsa di Houel… una liberazione con molte scuse.
Il pittore lasciò anche un bel disegno romantico dell’Antro di Dedalo legato
alla sua fantasia.
1790 (?) - Giuseppe
Taurommina, ”con corde sostenute al di
fuori da uomini robusti, provvisto da accesa lanterna…discendeva inerpicandosi
da rupe in rupe, retto eziandio dalle funi, tra la densa caligine d’infocato
vapore; ed udiva paritempo ad incomprensibile profondità gorgogliare, involto
fra tenebre, minaccioso l’abisso….trasudato semi-asfittico….pensò riposare in
un ciglione che protendevasi molto in avanti…staccatosi d’improvviso il grosso
macigno, lo sente con raccapriccio fuggire sotto i suoi piedi; che precipitò
con orribile rimbombo in quel caos tenebroso. Cadde allora in totale asfissia;
e sostenuto solamente dalle corde vi rimase pensile e dondolante, finchè da la
non venne ritratto semispento contuso e lacero…trasportato fuori dall’antro fu
trovato in condizioni compassionevoli…convulse le membra, gli occhi quasi
spenti, le labbra e le gote contratte, ed il volto tutto rigido e
raccapricciato d’orrore.”.
1903
- Il prof. Raffaele Di Milia spiegò il
fenomeno su basi scientifiche. Riportò dati sulle temperature e la composizione
chimica del flusso; tracciò una planimetria delle caverne superiori e un elenco
di tutti i fenomeni carsici presenti sul monto. Definì i fenomeni vaporosi come
pseudo vulcanici. Il 7 luglio esplorò i canali interni e tentò di scendere un
tratto del pozzo, che definì pseudo cratere, ma senza riuscirvi.
1908 – Il prof. Cesare
Brighenti e l’avv. Vincenzo De Stefani il 17 dicembre, legati a delle corde e
con l’aiuto di un paranco e cinque muratori, scesero nel pozzo convinti di
essere scesi a 120 metri. (Il pozzo è profondo 40 metri. In base alla loro
relazione scesero al massimo a circa 30 metri, cioè prima delle gallerie
inferiori). Esausti, stanchi, riuscirono a risalire faticosamente. I muratori,
che dovevano tirare le corde, erano di scarso aiuto, sino a che messi a letto
sono “… per due ore in preda ad un
violento cardioplasma…”. L’avvenimento è riportato in un interessante
manoscritto del prof. Brighenti.
6. Inizio Delle
Esplorazioni Del Gruppo C.G.E.B
(Trieste)
1942 – Prima Spedizione
C.G.E.B. (Commissione Grotte Eugenio
Boegan ) – Trieste
La
spedizione nacque grazie ad uno studio promosso dall’ENIT (Ente Nazionale per
il Turismo) per l’eventuale costruzione di un edificio che doveva inglobare la
grotta termale. Un edificio destinato a cure termali ed albergo. La Commissione
Boegan venne interpellata quindi per i relativi studi scientifici e per i
rilievi topografici delle zone.
Siamo
in piena guerra e gli unici speleologi disponibili erano Bruno Boegan, anziano
e quindi esentato dal servizio, e Luciano Medeot che casualmente era militare
nella zona di Trieste. Il Medeot riuscì ad ottenere una licenza e nel settembre
del 1942 i due partirono per la Sicilia.
Eseguirono
un rilievo strumentale della zona e anche dei flussi freddi e caldi rispondendo
in modo dettagliato ai quesiti che erano stati proposti.
Il
desiderio di conoscenza spinse Medeot a guardare dall’alto il misterioso pozzo dal quale risaliva l’aria
calda. Presero due spezzoni di scaletta d’acciaio e con l’aiuto del solo Boegan incominciò a
scendere. Raggiunse un ripiano, sicuramente più basso rispetto ai tentativi
precedenti fatti da altri studiosi, e non riuscì a raggiungere il fondo del
pozzo. Dovette desistere perché l’impresa
eseguita da sole due persone era impossibile.
All’interno
delle cavità la temperatura era alta, (38° - 40°)C, con il 100% di umidità. In
simili condizioni era possibile una permanenza nel sito tra i 30/40 minuti.
L’Istituto
Italiano di Speleologia commentò l’impresa: “…segnala
agli studiosi nostrani e stranieri
questa nuova
benemerenza della gloriosa Commissione Grotte, al cui attivo si aggiunge così
l’esplorazione più ardimentosa cui finora gli speleologici siano cimentati.”
Nel
1943 Giulio Perotti, anche lui
speleologo triestino, incontrò Medeot che era di turno in una batteria costiera
a Miramare. Erano coetanei ed insieme avevano iniziato ad esplorare le Grotte
del Carso con il CAI di Trieste.
I
due passarono delle ore insieme e Medeot accennò ad una misteriosa grotta calda
siciliana della quale a Trieste, benchè fosse il centro più importante della
speleologia italiana, nessuna ne aveva avuto mai notizia.
Il
Medeot la descrisse..”gestita da una
comunità di monaci e frequentata da un numero notevole di ammalati desiderosi,
non tanto di un affetto, quanto di un miracolo terapeutico. Infatti in una
vicina grotticella dedicato al Santo era piena di stampelle, bastoni ed altri
oggetti del genere, lì depositati per grazia ricevuta”.
I
due si promisero di avviare una esplorazione della grotta a guerra finita.
Si
rividero nel 1947 e incominciarono a parlare nuovamente della misteriosa grotta
siciliana.. ma il sogno di esplorarla era irrealizzabile.
Giulio
Perotti si era dimesso dalla Marina Militare ed aveva deciso di trasferirsi in
Sicilia, a Siracusa, mentre il Medeot era andato in Venezuela a cercar fortuna.
Passarono
gli anni.. nel Natale del 1956 il
Perotti ricevette a Siracusa una telefonata .. era l’amico Medeot: “Sono rientrato in Italia, ti ricordi ancora
di quella grotta calda ? Sarò a Sciacca con un gruppo d’amici l’8 gennaio,
precedimi e prepara il terreno con le Autorità”.
Il
7 gennaio il Poletti caricò la sua vecchia topolino con la sua attrezzatura..
non era solo.. lo accompagnava l’amico Tinè, anche lui speleologo di grotte
siracusane e allora precario alla Soprintendenza ( il prof. Bernabò Brea si
accorse delle sue grandi competenze archeologiche nello studio dei reperti
rinvenuti nelle grotte).
Iniziò così quell’affascinante avvenuta di
ricerca che durerà anni e anni….
1957
– Seconda
Spedizione C.G.E.B.
Da Siracusa a Sciacca…. Le strade di
allora… un viaggio massacrante..
Durante il viaggio il Tinè chiese ripetutamente
una sosta per un caffè.. il Poletti
tirava diritto.. voleva raggiungere entro la serata Sciacca.
Dopo sei ore raggiunsero Sciacca.. il
Poletti fu affascinato dalla visione della cittadina con le sue antiche mura ed
il castello sulla cima di un colle.
C’era subito un grosso problema da
affrontare… “cosa fare per farsi ricevere
dalle Autorità competenti ?”
Il Perotti aveva un amicizia nata
all’Ospedale Militare di Palermo, l’avv. Felice Alba.. Riuscì a rintracciarlo e
con l’aiuto del suo amico, dott. Arturo Politi, riuscì a farsi ricevere dal
Presidente delle Terme. Fu accolto gentilmente e spiegò il motivo della sua
visita.
Il Presidente delle Terme esclamò: “Veramente la sua richiesta è alquanto
strana, perché volete ficcarvi dentro la grotta, e per fare cosa ? Si rende
conto che io non posso essere certo che lei non sia un lestofante ?”
Il Poletti rimase scioccato dalle parole
del Presidente delle Terme e a stento riuscì ad ottenere il permesso per dare
una semplice occhiata all’Antro di Dedalo… allo stesso modo di come veniva
concessa a coloro che vi entravano per le cure.
La sera il Poletti si recò alla stazione
di Sciacca per prendere gli altri componenti della ricerca speleologica.
Venivano da una intensa settimana speleologica in Puglia e da una viaggio, di un giorno in treno, in parte a scartamento
ridotto.
Il gruppo era costituito da:
-
Medeot;
-
Coloni,
vecchio amico del Poletti. Un uomo alto 1,95 la bellissima descrizione del
Poletti: “Anche
questo personaggio fuori del normale: un metro e novantacinque di forza bruta,
faccia spigolosa e modi bruschi, da vecchio zitellone, che nascondono la sua
profonda onestà e bontà d’animo, basti dire che è adorato dai bambini piccoli e
dai cani; fuma almeno cento sigarette al giorno che confeziona in continuazione
a mano col peggior tabacco da pipa esistente, e si fa fuori circa due litri di
vino al giorno ad un bicchiere per volta senza ubriacarsi, sempre prono a
buttarsi dove ce da fare fatica”;
-
Bortolin;
-
Tommasini,
un giovane serio e riflessivo, neo diplomato;
-
Due
operai, appena ventenni ma già forti esploratori di grotte.
“Alloggiavamo in
una topaia, la doccia non esiste, ma
l’abitazione aveva una splendida vista sul mare ed annessa una locanda
validissima”.
A
cena il Perotti ordinò una sogliola… il cuoco preoccupato gli si avvicinò
sussurrandogli che costava troppo… il gruppo non faceva una bella impressione.
Già
l’indomani, giorno 8, il gruppo ebbe la
possibilità di visionare l’Antro di Dedalo con l’assoluto divieto di proseguire
oltre. Da Palermo il gruppo fu raggiunto dal prof. Carapezza, giovane geologo
dell’Università. Il Carapezza fu chiamato dall’Amministrazione delle Terme per
esprimere un parere sull’attendibilità del gruppo di speleologi… il geologo era
per fortuna a conoscenza dell’attività del gruppo e grazie al suo parere gli
speleologi ottennero il permesso di iniziare le indagini.
Il
giorno 9 iniziò la fantastica avventura.. sembrava una favola… varcata la
strettoia dalla quale proveniva il flusso d’aria calda, il gruppo rimase di stucco..
nel fango della “Caverna Fazello” una
notevole quantità di materiale classico “
che alle volte si distingue anche in superficie: lucerne, spesso intere;
frammenti di demetre e parecchie monete greche e romane ed inoltre, a pochi
centimetri di profondità anche materiale preistorico”.
Un
patrimonio archeologico di valore immenso.. il Perotti si chiese “ come mai nessuno se ne sia mai accorto”.
Lo
stesso Perotti provò una forte emozione quando vide qualcosa infilata in una
fessura della roccia… riuscì ad estrarla… era una “malridotta monetina greca”… una moneta posta in quel luogo, in
quella fessura da un antico devoto greco… ebbe quasi la sensazione di profanare
la religiosa offerta di quell’antico greco e rimise la moneta al suo posto.
Medeot
forniva l’assistenza esterna mentre gli altri, in costume, lavoravano sull’orlo
del pozzo (chiamato anche “posto di manovra”) per armare le scalette
metalliche. Riuscirono a scendere i primi 20 metri e poi, dopo un piccolo
attimo per riprendere fiato, agganciarono un altro pezzone di scala da 20
metri. Bortolin provò una discesa fermandosi su un piccolo terrazzo a circa 30
m di profondità.
Eravamo
nel 1957 e l’attrezzatura era costituita da pesanti scalette in cavo d’acciaio
e con pioli in legno, lampade a carbonio che si tenevano in mano e corde di
sicurezza in canapa. Le pareti del pozzo non erano perfettamente verticali e
questo consentiva alla scaletta di penetrare nel fango viscido rendendo
difficile l’appiglio. A tutti questi problemi
bisognava aggiungere la scarsa illuminazione e la forte sudorazione
degli speleologi che, colpendo anche gli occhi, non rendeva perfetta la
visibilità dell’ambiente.
Il
gruppo si rese subito conto delle difficoltà a cui sarebbero andati incontro e
che avrebbero dovuto superare per proseguire l’indagine.
Raggiunsero
l’aria fresca, ritornando indietro, erano ridotti a statue di fango. Ogni sera
si pesavano e si accorgevano di avere un peso di oltre due chili in meno per
perdita di sudore e sali.
La
sera nella locanda tanta acqua minerale e acciughe….. il tutto in un clima di
allegria con del favoloso vino padronale di Sciacca.
Il
mattino del giorno 10 il Candotti scese sul terrazzo del pozzo per agganciare
uno altro spezzone di scala per poi risalire esausto dopo ben 45 minuti.
“Aveva la pelle
dello stesso colore rosso dei capelli e cominciava ad ansimare profondamente”.. si resero conto
che 40 minuti di permanenza nel pozzo in fase di lavoro erano troppi.
Nel
pomeriggio scese Bortolin, riuscì a raggiungere il fondo e infilandosi in una
strettoia, scoprì una galleria con vasi e resti umani. Prima di procedere, dato
che si era staccato dalla corda di sicurezza, fissò questa ad un masso. Passò
il tempo e gli speleologi che erano sull’orlo del pozzo cominciarono ad avere
dei momenti di tensione. Era passato
tanto tempo, il Bartolin non si faceva sentire, la corda era bloccata… i dubbi
tanti ha avuto un malore? E’ rimasto incastrato tra le rocce ?
Coloni
senza perdere tempo si precipitò a corpo morto nel pozzo trattenuto solo dalla
corda di sicurezza. Corda che per il violento attrito bruciò la schiena del
Perotti sulla quale scorreva. Furono attimi .. si sentì inveire la voce di
Coloni contro il Bortolin che stava iniziando la risalita.
Il
Bortolin, ritornato sull’orlo del pozzo, esclamò: “sotto è pieno di vasi”.
Il
gruppo credeva che stesse farneticando e risposero “tranquillo stai qui seduto e vedrai che tra poco ti passa”. Nel
momento il gruppo non si accorse che il Bortolin teneva stretta un’ansa di un
vaso a dimostrazione della sua eccezionale scoperta.
Il
gruppo non ebbe il tempo di esaminarla perché Padre Arena, ispettore onorario
alle antichità e che era casualmente presente, la prese.
A
cena il gruppo discusse sulle iniziative da intraprendere in funzione
dell’eccezionale rinvenimento e nello stesso tempo decisero di non svelare
nulla agli amici saccensi. L’unico esperto di archeologia era Tinè ma non era
uno speleologo e forse non era in grado di affrontare una simile esperienza in
grotta. Con sorpresa del gruppo il Tinè disse che era pronto ad intraprendere
l’impresa di discesa. Il gruppo decise di affidarlo a Coloni.
Il
giorno 12 la scena era sempre la stessa: Medeot a collegare l’esterno con
l’interno; gli altri nudi sull’orlo del pozzo e Tinè con Coloni scesero sul fondo
del pozzo che raggiunsero senza difficoltà.
Pur
nella scarsa luce il Tinè restò meravigliato dal notevole rinvenimento.. passò
in rassegna vaso dopo vaso. Con la poca luce e con il sudore che offuscava la
vista non potè comprendere molto ed il Coloni, arrivato ad un certo punto,
giudicò la permanenza sul fondo ormai al limite e ordinò la risalita.
Coloni
lo fermò bruscamente… il Tinè era arrivato sul bordo di un infido pozzetto… se
avesse continuato nel suo cammino avrebbe fatto compagnia ad un preistorico che
vi era caduto 4000 anni prima. (Uno scheletro che fu scoperto in una successiva
spedizione).
La salita era ben diversa dalla discesa..
il Tinè esausto cominciò a incespicare e a rigirarsi sulla scaletta… Coloni lo
sbrogliò più volte e poi fu costretto a chiedere aiuto… dato il groviglio che
si era creato tra le due corde e la scaletta, al gruppo posto sull’orlo del
pozzo non rimase che tirare il tutto.
Dopo un’ora il Tinè venne portato fuori ..” ha oltre 200 pulsazioni al minuto, respiro
affannoso e stato confusionale, solo l’immediato intervento del medico delle
Terme, che in macchina ha risalito il monte con un tempo di cronoscalata,
riesce a metterlo bene o male in sesto con un’iniezione intercardiaca”.
Il Coloni venne affidato al
Perotti… dichiara di sentirsi bene.. ma era barcollante. Durante il breve
percorso verso la strettoia dell’uscita, perse i sensi… il pavimento scivoloso
permise al Perotti di portarlo fuori dove il contatto con l’aria fresca lo fece
riprendere.
Il Coloni affermò di aver trovato
un fondo di vaso contenente dell’acqua e di averla bevuta per avere la forza di trascinare fuori il
Tinè. Era chiaro per il gruppo, oltre
all’indagine archeologica, cercare di scoprire che tipo di riti si svolgevano
nel fondo del pozzo.
Il rinvenimento di una tale
quantità di vasi risalenti a 4000 anni fa, nella posizione nella quale erano
stati sistemati, era un evento eccezionale.
Il giorno 13 una cena con saluti.
Tornati a Triste si misero a punto
le esperienze di ricerca vissute.
Si scese lungo l’inghiottitoio “Medeot” e al suo termine furono esplorate le
grotte “Bellitti” e “Di Milia”.
È vero la permanenza fu di breve
durata ma si rilevò affascinante per l’inaspettato rinvenimento di materiale
archeologico.. uno straordinario deposito archeologico che a quanto sembra è
ancora sul luogo.
Si
mostrarono in tutta la loro bellezza oltre 40 grandi vasi d’età preistorica
e resti di sepolture risalenti
all’eneolitico finale. La presenza anche di ossa umane, non si sa se in
associazione con i grandi contenitori di fase malpassiana (III millennio a.C.),
suscitarono non pochi interrogativi circa quel vasto deposito forse a carattere rituale.
Naturalmente
si avanzò l’ipotesi che l’uso delle cavità era forse destinato a luoghi di
sepoltura degli antichi frequentatori
preistorici delle grotte. Un uso che finì con il nascere del fenomeno vaporoso
legato al collegamento, che in un dato momento, si verificò tra il sistema
carsico del Monte e il bacino idrotermale sottostante al monte.
I 38°C nelle grotte rendevano
inospitali gli ambienti; la presenza di umidità al 100% impediva l’evaporazione
del sudore e di conseguenza la termoregolazione cutanea. Dopo un breve periodo
di permanenza nella grotta si correva il rischio di subire un colpo di calore, i
battiti cardiaci e la respirazione aumentavano in odo preoccupante mentre la
vista cominciava a scendere e nasceva un difficile coordinamento nei movimenti
anche più semplici. Non era possibile fermarsi troppo a lungo nelle grotte per
effettuare le dovute indagini anche perché la risalita richiedeva notevoli
sforzi.
Si decise di studiare una
tuta-scafandro con la quale realizzare un ricambio d’aria proveniente
dall’esterno, non tanto per raffreddare il corpo ma per fare evaporare il
sudore.
A Triste, con la collaborazione del
nefrologo dott. Legnani, si cercò di attuare una tuta che copriva il corpo ed
il capo. Una tuta munita di tubicini che distribuiva aria aspirata dall’esterno
attraverso un tubo ad essa collegato. Fu studiata anche la possibilità di piazzare
all’interno della tuta un telefono. Il sistema sembrava perfetto.
1958
– Terza
Spedizione C.G.E.B.
Dopo la partenza da Sciacca la
gente del luogo affermava che le scoperte del gruppo speleologico erano solo
fandonie e che lo stesso gruppo nascondeva altri interessi.
Il gruppo riuscì a raccogliere la cifra
necessaria per la spedizione, così com’era successo nel 1957, ma questa volta
era più cospicua.
Fecero confezionare 4 tute,
sperimentate a Trieste, e riuscirono a farsi prestare gratuitamente un compressore
munito di tubi e raccordi.
Tra gli speleologi non c’èra Medeot
che era ripartito per il Centroamerica.
Il 31 marzo il Perotti, Tinè e
Busolini (entomologo del Museo di Venezia e grande fotografo) attendevano sulla
banchina del Porto di Palermo, l’arrivo della Motonave Vulcania da Triste con
tutto il materiale speleologico.
Scaricato il materiale, grazie alle
conoscenze del Perotti con la Capitaneria, il tutto venne caricato su un camion
fornito dalle Autorità Militari. Varcarono senza intralci la Dogana e
proseguirono per Sciacca dove stavano per giungere gli altri componenti del
gruppo.
Un gruppo formato da ben 12
partecipanti:
-
Boegan
(veterano);
-
Bortolin
(veterano);
-
Candotti
(Veterano);
-
Coloni
(Veterano)
-
Carlo
Finochiaro;
-
Dott.
Legnani;
-
Dario
Marini;
-
Giulio
Toffolini;
-
Marino
Vianello;
-
Perotti;
-
Tinè;
-
Busolini.
Sistemazione in un albergo fornito
di acqua corrente … il vitto ottimo e la compagnia locale simpaticissima.
Il giorno successivo si sistemò il
compressore e si stesero i tubi dell’aria sino in fondo al pozzo.
Il dott. Legnani eseguiva prelievo
e peso sia all’entrata che all’uscita del pozzo di ogni speleologo.
La notizia della missione
speleologica era ormai nota a livello nazionale. Il quotidiano “Il Tempo” mandò
a Sciacca un inviato speciale per raccontare l’impresa. Era Igor Man che chiese
subito al gruppo la possibilità di provare l’emozione di entrare in grotta. Una
volta provato solo per un attimo l’ambiente affermò che il “gruppo era costituito da spostati”. Resterà sempre a contatto con
il gruppo e pubblicherà alla fine tre articoli suggestivi e un po’ fantasiosi.
Ogni giorno faceva visita al gruppo
Padre Pisa, priore del Convento e parroco della Basilica di San Calogero.. “sarà il migliore, più sincero e
disinteressato amico che avremo a Sciacca”.
Due speleologi, coperti dalle tute,
scesero con la scaletta nel pozzo. Proseguirono verso la galleria dei vasi per installarvi
una tenda rifornita d’aria che costituirà un ricovero in caso di necessità.
Quattro speleologi stavano sull’orlo del pozzo e gli altri fuori di ricambio.
Gli speleologi con la tuta
incominciarono ad incontrare delle difficoltà che riuscirono a superare.
Risalirono dopo circa un’ora e
mezza, stanchi ma in buone condizioni. Con la tuta l’atmosfera ambientale non
creava alcun problema ma il muoversi nelle scalette era difficile perché le
tute avevano delle dimensioni eccessive e un tessuto pesante. Inoltre il flusso
dell’aria creava un rumore assordante, la visiera si sporcava continuamente e
gli innesti a scatto che collegavano la tuta al tubo principale, diventavano
con il fango difficili da manovrare.
Bortolin mentre stava sistemando la
tenda nella galleria dei Vasi, individuò una nicchia con un vaso rotto
contenente degli ossicini. Ne prese uno e una volta in superficie lo fece
vedere. Dibattito tra il gruppo.. umano, forse di un bambino, o ovino ?
Tinè doveva relazionare alla Soprintendenza
la situazione delle deposizioni archeologiche e doveva quindi ridiscendere. Il
gruppo, vista l’esperienza passata, rifiutò la proposta anche perché la tuta
era troppo abbondante per il suo fisico. Tinè protestò energicamente e alla
fine il gruppo si lasciò convincere
affidandolo a Finocchiaro (presidente del CAI).
I due scesero sul fondo senza
problemi e il Tinè potè vedere senza problemi il ricco materiale archeologico.
Si era stabilita una permanenza di
soli 20 minuti,,,,per le difficoltà della risalita…. Erano passati 40 minuti…Coloni
e Candotti iniziarono a scendere e proprio in quel momento sentirono la voce di
Finocchiaro che chiedeva aiuto per districare il compagno… Un’esperienza per il
Tinè vissuta l’anno precedente. S’era girato con la scaletta intrecciando a
questa corda e cavo telefonico.. il solito groviglio. Per fortuna erano in
tanti e riuscirono a recuperarli. Il Tinè e il Condotti furono fortunati perché
il tessuto delle tute fece da protezione all’urto dei loro corpi contro le
rocce. Urti che potevano procurare delle escoriazioni. I due erano stanchi ma
stavano bene. Tinè era in preda ad una irrefrenabile gioia perché aveva visto i
vasi preistorici databili attorno al 2000 a.C e le ossa umane che probabilmente
facevano parte di antiche sepolture.
Il gruppo decise che bisognava dare
un dimostrazione dell’esistenza dei vasi. Avevano in dotazione una pesante
Rolleiflex subacquea ma era impossibile manovrarla nella galleria. Busolini
decise di scendere con la sua Leica ma senza tuta per scattare in libertà. In
appoggio: Bortolin in fondo al pozzo e Marini nella Galleria dei Vasi, entrambi
con le tute.
Una raccomandazione importantissima
fu fatta al Busolini: “devi fare molto rapidamente..
sei senza tuta”.
Scese velocissimo, i primi scatti..
poi dentro la tenda a prendere aria… scatti sulle ossa… sui vasi.. alla fine
sentì che doveva ritornare indietro ma sbagliò percorso… ritrovò la strada
giusta.. s’infilò nella tenda.. sentì il polso lento e decise di riprendere il
ritorno..
A metà pozzo venne raggiunto dal
Coloni e dal Condotti che lo aiutarono a risalire nel tratto più difficile.
Era stanco, sfinito… si era fermato
nella galleria per circa 30 minuti ma era soddisfatto perché le foto erano
venute bene. …aveva ragione. Un amico le portò a Palermo… erano diapositive e a
Sciacca non erano in grado di svilupparle. Il laboratorio gli consegnò nella
stessa serata e a tarda ora arrivò Busolino con le foto che la RAI aveva già
ripreso per il telegiornale del giorno successivo. Il gruppo proiettò le foto
diverse volte e quella con Marini in tuta inginocchiato presso un vaso fu
definita la più bella tanto che fece il giro di tutti i giornali del mondo.
Il 15 maggio il giornale “Il Tempo”
pubblicò su cinque pagine un bellissimo articolo di Busolini.
Ricominciò il duro lavoro e si
doveva riportare in superficie i quintali di materiale che era rimasto nella
grotta e che era costato denaro. Operazione che fu svolta senza l’uso delle
tute.
In un cinema affollato da centinaia
di persone ci fu un incontro con la
proiezione delle diapositive. Il Perotti citò anche le cattive frasi che
avevano accompagnato la spedizione precedente ed alla fine ci fu un grandissimo
applauso.
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Passarono gli anni e il Perotti era
innamorato di Sciacca. Vi ritornava spesso per il bel mare, le pietanze di
pesce e per passeggiare sul Monte Kronio. Spesso era raggiunto dall’amico
Coloni e a volte riuscivano a svelare aspetti sconosciuti. Un giorno, infatti,
in prossimità dell’orlo del pozzo, si infilarono in un cunicolo che era stato
già notato in precedenza ma mai esplorato.
Dopo un breve tratto trovarono una
piccola caverna con una parete costituita da una grezza muratura. Da una
piccola fessura filtrava un filo di luce. Accostarono l’occhio e videro l’Antro
di Dedalo con i suoi sedili ed il suo ingresso. Il locale che il povero
calzolaio Bujela aveva visto e definito residenza dei Lestrigoni. Senza
accorgersene aveva fatto un giro attorno all’Antro per poi
cadere abbandonato al suo destino.
Nell’autunno del 1961 il Perotti
incontrò sul vaporetto che portava all’isola di Lampedusa, il Sopraintendente
di Agrigento prof. Griffo. Parlarono delle stufe di San Calogero e della
ricerca nella gallerie superiori di qualche interessante deposito. Il Perotti
disse che era possibile effettuare uno scavo archeologico sotto la guida di
Tinè.
Rientrato a Siracusa avvisò il Tinè
e subito partirono le telefonate per Trieste per il materiale, per quattro o
cinque speleologi e a Busolini per la documentazione. Fu programmata la
spedizione per l’inverno 1962.
1962
– Quarta
Spedizione C.G.E.B.
Il 14 febbraio il Perotti partì con
la sua auto per Sciacca. Con lui c’erano Tinè, Alberto Lazzarini che era un
esperto restauratore e l’operaio esperto di scavi archeologici Carmelo
Belluardo.
Per rendere fruibile la zona
oggetto di scavo fu necessario isolarla dal resto della galleria per impedire
la circolazione del flusso d’aria calda.
Furono costruite due pareti in legno e faesite in modo da obbligare il
flusso d’aria a passare dall’altro varco
esistente.
Il Perotti raccontò anche un
episodio per cui restarono bloccati da un gruppo di donne che entrarono
nell’Antro di Dedalo per sottoporsi alle cure termali. Circa 30 minuti di
litanie inneggianti alle virtù taumaturghe del Santo. Fu abbattuto il muretto
che ostruiva il Buco del Fico. Una fessura che immetteva all’interno e chiamata
in questo modo perché il vapore che filtrava permetteva ad una pianta di fico
sovrastante di vivere serenamente. Probabilmente si trattava di un opera di San
Calogero che aveva come obiettivo di convogliare il flusso caldo nell’Antro di
Dedalo.
Crearono il passaggio e riuscirono
ad entrare quasi a carponi. Il primo rinvenimento: un’anfora romana intatta
posta a chiudere il passaggio. Proseguirono con il lavoro per allargare il
passaggio. Un lavoro eseguito lentamente perché nello sterro era presente del
materiale archeologico. Il varco fu aperto e una volta entrati si resero conto
che ancora c’era caldo. Con un grosso e vecchio ventilatore riuscirono a
superare il problema. Collocarono il ventilatore all’esterno e con alcune
lamiere riuscirono a creare una condotta per convogliare il flusso d’aria
fresca nella zona isolata in cui si doveva lavorare.
La sera del 17 giunsero da Trieste:
Busolini, Coloni, Adalberto Kozel, Marini e Bruno Redivo. Il giorno successivo
con il loro aiuto si riuscirono a completare i lavori e a collocare un
verricello per l’estrazione del materiale. Tinè iniziò finalmente lo scavo
archeologico. Fino a questo momento il materiale era stato estratto senza
badare alla stratigrafia, era necessario creare il passaggio, mentre adesso l’esame
archeologico diventava più accurato. Era ancora presente nell’ambiente un po’
di caldo ma si riusciva a lavorare mentre i due operai spesso si rifiutavano di
procedere nei lavori a causa delle condizioni ambientali.
Con la terra usciva una enorme
quantità di materiale preistorico. Si organizzò una specie di catena di montaggio.
Una signora tedesca, che si trova sul luogo per le cure termali, si aggregò al
gruppo e assunse il ruolo di guida per
il lavaggio dei reperti, operato da due donne del luogo; la loro numerazione e
sistemazione, secondo le zone di scavo, in un camerone delle Terme.
Il Lazzarini cominciò subito il
restauro e da quei mucchi di cocci riuscì a ricostruire, anche interamente, i
manufatti ceramici.
Il gruppo, adoperando tute più
leggere, riuscì a rivedere e completare il rilievo topografico delle cavità.
Le nuove ricerche cominciarono a
fare notizie sui giornali e sulla RAI che intervenne due volte con dei servizi.
Un servizio riguardava il rinvenimento di due massicciate costruite dagli
abitanti delle grotte in epoche diverse, forse piovose, per soggiornare in
ambienti meno umidi con il pavimento
asciutto.
Fu portato alla luce un materiale
archeologico eccezionale con una stratigrafia completa dal mesolitico all’età
del bronzo. Utensili in pietra, ceramiche anche di tipo completamente nuovo che
fecero nascere lo “Stile del Kronio”. Fu anche trovato un bellissimo idoletto
in geadite verde che per il suo aspetto venne battezzato “il paperino”.
Si scoprì la presenza di un cranio
e di parecchie ossa umane che avevano probabilmente un legame con le impronte
notate a fianco dei vasi. Lo scavo raggiunse i 4 metri di profondità e forse
non aveva finito di dare ulteriori sorprese. Una storia rilevata di uomini
vissuti 6000 anni fa ?
L’8 marzo fu recuperato il
materiale speleologico, sistemato il materiale archeologico e il caloroso arrivederci.. Il gruppo passò 22
giorni intensi e ricchi di sorprese come la nevicata nella quale fu piacevole
per gli speleologi buttarsi con le loro tute calde.
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Le discese e salite nel pozzo,
anche con tute leggere, erano sempre difficoltose (soprattutto nel risalire).
In quelle condizioni difficilmente potrebbe essere garantita una tranquilla
permanenza nel caldo della grotta. Le scalette adoperate nel pozzo furono considerate
dal gruppo non indicate. Gli uomini preistorici probabilmente adoperarono una
serie di scale fisse e questo quando forse il calore era inferiore. Ma adesso
fissare delle scale fisse con quel materiale viscido era difficile.
Tinè negli anni seguenti continuò gli
scavi e spesso il Perotti gli faceva compagnia.
Nel 1969 il Perotti con Coloni si
recarono sul Monte Kronio per dare una mano un aiuto al Tinè impegnato nelle
ricerche archeologiche. I due fecero la
conoscenza del signor Caltanissetta, un abilissimo rabdomante, che il Perotti aveva visto già in
attività nei giorni precedenti. Su un
terreno piantato a vigna e sul quale non era presente alcun segno o indizio
archeologico, segnalò la presenza di 15 tombe preistoriche interrate. Lo scavo
successivo del Tinè ne identificò 11..
Una mattina il Perotti
affacciandosi dalla finestra della sua stanza, posta nel Convento di San
Calogero, vide il Sig. Caltanissetta muoversi con una bacchetta in mano e
tracciare sul terreno una planimetria con dei punti fissi. Affermò che una
galleria si trovava sotto quel terreno e che i punti segnavano la presenza di
vasi. Il rilievo del gruppo speleologico non presentava questa galleria che
prendeva invece un’altra direzione. Nel 1974 con un nuovo rilievo Perotti si accorse
che il signor Caltanissetta aveva
ragione.
1974
– Quinta
Spedizione C.G.E.B.
Dall’ultima spedizione del 1962, il
Perotti era spesso tornato a Sciacca per le sue puntate balneo-gastronomiche.
In una di queste visite aveva conosciuto l’avv. Pipia, nuovo ed attivo
Presidente delle Terme. I due avevano spesso parlato del grande interesse
archeologico del complesso di Monte Kronio, di quello che ancora si doveva
scoprire e soprattutto quanto fosse importante per il territorio di Sciacca una
maggiore conoscenza del sito. Discussioni importanti con una persona che aveva
a cuore le sorti del termalismo di Sciacca a differenza delle autorità
competenti che consideravano spesso l’attività degli speleologi con un senso di
fastidio e come esibizione di un gruppo che aveva tempo da perdere e soldi da
sprecare.
L’avv. Pipia chiese al Perotti un
preventivo per ulteriori ricerche e aggiunse che aveva a disposizione solo 14
milioni. Il Perotti si fece subito i conti e capì che quella cifra sarebbe
bastata appena per la progettata scala fissa, per i materiali ed il loro
trasporto.
Spinto dall’amore di ricerca pensò..”pazienza…
vorrà dire che alle nostre spese di trasferimento e mantenimento provvederemo
come al solito noi”.
A Trieste fu progettata e costruita
una scala in profilati metallici, divisa in spezzoni, e con particolari giunti
che permettevano di adattarla alla topografia del pozzo. Si crearono delle tute
simili a quelle del 1962 ma con un diverso tessuto. Le tute presentavano anche
un diverso boccaglio per respirare aria più fresca e degli attacchi meno
sofisticati rispetto a quelli a pressione.
Circa due tonnellate e mezzo di
materiale che venne spedito a Sciacca.
Il 24 ottobre il Perotti arrivò a
Sciacca con la moglie e Filipas che fu prelevato dal traghetto Catania – Malta
del quale era ufficiale marconista.
Filipas discendeva dai pirati del
Quarnero, nemici di Venezia, e girando il mondo era diventato amante di grotte
e di alpinismo. Era riuscito a scalare il Kilimangiaro, l’Aconcagua ed altri
monti. Era caduto anche nel cratere del Fuijyama per essere poi rimpatriato in
aereo con la testa rotta. Diventerà con la sua presenza uno dei più assidui
speleologi sul Monte Kronio.
La sistemazione era negli ambienti
dello stabilimento termale sul Monte Kronio, in quel periodo chiuso. Con
l’aiuto di Tortorici, l’uomo delle stufe (guardiano) che dal 1957 era stato
sempre presente nelle spedizioni, e di mia moglie si diede una pulizia agli
ambienti che furono occupati.
Due giorni dopo arrivarono Gherbaz
con la sua fresca sposa, Coloni, Quintavalle e Tinè solo per un breve contatto
con la Soprintendenza.
I lavori di ricerca iniziarono
subito.
Per portare il materiale al pozzo
si dovette passare dall’Antro di Fazzello. Oltre ai lavori necessari per installare
o piazzare la scala, fu effettuato anche un lavoro di protezione dello scavo
archeologico.
Iniziarono subito i guai.
Non era disponibile, come nelle
volte precedenti, un compressore della portata necessaria. Inoltre i tubi per
l’aria non erano quelli giusti e il tipo adatto non si trovava a Sciacca. Il
Perotti riuscì a trovare a Catania una ditta in grado di fornirgli a noleggio
un compressore adatto. La ditta assicurò che il tutto sarebbe arrivato nel giro
di qualche giorno. Questo determinava già un aggravio delle spese.
Si doveva quindi iniziare il lavoro
senz’aria e con il caldo dei flussi. Vennero assunti tre bravissimi operai:
Buscarnera, Bono e Gallotto che subito si sentirono coinvolti. Mostrarono una
grande passione ma il problema di dover lavorare senza tute causava un forte
dispendio di energie e una riduzione del lavoro svolto.
S’installò una teleferica per
portare gli spezzoni di scala all’interno; si stese una linea telefonica ed una
linea di corrente elettrica a 48V posta a metà pozzo. Coloni preso dalla foga
del lavoro s’infortunò e Filipas, con 38 di febbre, fu costretto a letto per
poi decidersi di curarsi a modo suo. Entrò nelle stufe fermandosi per 40
minuti. L’amico dott. Politi, pur dichiarandosi interessato all’esperimento, lo
aveva sconsigliato di effettuare una simile terapia. Il risultato fu eccezionale.
Rimessosi a letto la sera con 39,5 di febbre…quasi in delirio ma il mattino si
alzò perfettamente guarito e senza febbre. Il dottore fu piacevolmente sorpreso
però affermò che “mai e poi mai oserebbe
consigliare ad un suo paziente tale tipo di terapia!”.
La sera del 31 arrivò il
compressore con i tubi ed il mattino seguente fu montato il tutto. Il collaudo
della distribuzione dell’aria, delle tute.. tutto era perfetto.
Il 2 novembre arrivarono da Trieste
Marini e Gigi Venanzi con le rispettive mogli. Giunse pure il “mitico” Medeot
che era in cattive condizioni di salute. Una figura triste quella di Medeot..
il suo sogno fu quello di portare il CAI di Trieste a Sciacca e ci riuscì.
Il campo era ben organizzato.
C’erano le signore che badavano alla lavanderia, alla pulizia dei locali, alla
cucina (grazie alla moglie del Venanzi che era proprietaria di un ristorante) e
alla costante collaborazione di Padre Pisa esperto anche in idraulica.
Per il gruppo tecnico:
-
Quintavalle
alle misurazioni della portata del flusso e delle temperature interne ed
esterne;
-
Gallotto,
nella sua mansione di operaio all’esterno pronto ad approntare il materiale da
montare;
-
Bono
e Buscanera
-
Marini
e Filipas al completamento dell’impianto d’illuminazione e telefonico, ed al
rilievo strumentale con bussola da miniera(nelle gallerie) e triplometro nel
pozzo.
Per il gruppo speleologico:
-
Coloni;
-
Gherbaz;
-
Venanzi;
-
Perotti
(l’unico a conoscere anche l’uso del martello pneumatico)
Il
lavoro di montaggio della scala era spedito. Gli spezzoni di scala, accatastati
per mezzo della
teleferica
sull’orlo del pozzo, erano portati uno per uno a passamano al loro posto per
imbullonare i giunti di congiunzione. Spesso era necessario bloccarli con
catene fissate a sbarre di ferro infisse nelle pareti del pozzo. Ciò richiedeva
parecchia fatica per le quattro persone che operavano contemporaneamente su di
un breve tratto di scala: si dovevano sistemare e stringere bulloni e dadi (
molte centinaia, ogni gradino ne aveva quattro). Gallotto, facendo continuamente
la spola senza il sollievo della tuta, riforniva i “montatori della scala” di tutto quello che
si erano dimenticati all’esterno (bulloni, ecc.). Il fango faceva scivolare
tutto.. bulloni, qualche elmetto che andavano a fare compagnia al materiale
archeologico sottostante.
Lavorando
nel pozzo si accorsero della presenza di nicchie nelle pareti con la presenza
di cocci di vasi con all’interno del materiale combusto. Forse un antica fonte
di luce degli uomini preistorici durante il trasporto dei vasi. Ma le scoperte
non finirono…alla base di due tratti verticali del pozzo furono trovate le tracce di rudimentali piccole piattaforme
forse utilizzate come basi d’appoggio di primitive scale. Uomini preistorici
ben organizzati per scendere carichi pesanti e soprattutto in un ambiente caldo
anche se probabilmente con una temperatura meno elevata.
Mentre
si lavorava alla scala, Marini e Filipas procedevano con il rilievo strumentale
comunicando all’esterno i dati. Riuscirono a fissare i capisaldi trigonometrici
per poi effettuare la misurazione mediante poligonale.. una poligonale chiusa
che chiuderà con un errore inferiore al metro e solo con bussola e per giunta
in miniera.
Il
4 novembre i due giunsero in fondo al pozzo e si accorsero dell’esistenza di
un’altra galleria che si apriva sulla sinistra e che non era stata vista prima
a causa dei problemi legati alla scarsa visibilità e alla necessità di
procedere in fretta.
Nella
nuova galleria molti “bei vasi”, alcuni in posizione originaria. Era presente
anche una notevole massa di cocciame costituito da vasi rotti sul posto.
Gherbaz
tornò eccitato da una perlustrazione sul monte e raccontò di essere entrato in
un angusta fessura sulla parte e di essere quindi capitato in un intricato
sistema di gallerie dove era presente una forte circolazione d’aria, a volte
calda e a volte fredda. Per uscire passò attraverso uno strettissimo buco sul
pavimento ed era sbucato nella Grotta della Cucchiara che già il gruppo
conosceva. Si programmò di andare ad ispezionarla ma non se ne ebbe il tempo.
L’8
novembre tutto l’armamento era pronto anche se bisognava ancora stringere le
centinaia di bulloni della scala che di continuo si allentavano. Nel corso del
rilievo della galleria già nota, vennero scoperti altri vasi e resti umani
posti in alcuni anfratti laterali. In uno di questi si trovarono tre vasi ed
uno scheletro, con ossa in disordine ma completo, vicino al quale il gruppo si sistemò
un telefono.
“In piena notte il
nostro meritato riposo venne bruscamente interrotto da un insistente trillare
di quello di superficie, era sicuramente un cortocircuito dovuto all’umidità a
causarlo, ma per noi era il povero defunto che voleva punirci per averlo
disturbato dopo 4000 anni dal suo sonno eterno. Gode egualmente di tutta la
nostra simpatia per cui sarà sempre per noi il “caro estinto””.
Un
gatto probabilmente non preistorico e scappato forse dal convento fu trovato
nel fango. Quintavalle continuò a salire e scendere per misurare le portate del
flusso e le temperature interne ed esterne. Dati ancora non sufficienti ma
indicativi per dare una spiegazione del flusso.
La
portata era influenzata dalla situazione meteorica esterna ed oscillava tra i 2
e i 5,5 mc al secondo. La temperatura interna si manteneva costante sino al
fondo , 37° C con oscillazioni di qualche decimo ed aumentava sino a 38,5°C
proseguendo lungo la corrente del flusso mentre diminuiva sino a 30°/32° C
verso il termine della galleria che si avvicina alla pendice Nord del monte.
I
lavori procedevano bene e le condizioni
fisiche erano buone malgrado la presenza nelle cavità di 4/5 ore al giorno.
L’unico problema era legato alle
uscite dal pozzo quando si dovevano sbrogliare l’intrico di cavi e tubi. Per
fortuna le corde di sicurezza non erano più necessarie per la presenza delle
scale fisse. Un lavoro che richiedeva
almeno un’ora e che con la stanchezza era difficile svolgere. Il gruppo si prese un giorno di riposo.
Il giorno 10 arrivò Tinè che riuscì
in due riprese a trattenersi nelle gallerie inferiori e soddisfatto confermò
che i vasi erano tutti dello stesso periodo.
Notò che in alcuni casi pur non essendoci resti scheletrici, erano
presenti le impronte del morto. Questo rimase un grosso mistero ancora oggi non
svelato. Dove sono finite le ossa ? Perché furono rimosse e da chi ? Hanno a che fare con le ossa umane
trovate nello scavo dell’Antro del Fazello ?
Diedero un nome alle grotte
scoperte: Pozzo Medeot; la nuova galleria “Galleria Bellitti” dal nome del
primo ricercatore che fece una
descrizione del complesso e “Galleria Di Milia” dal nome del primo studioso che
trattò in modo scientifico il problema del flusso.
Fu completato il rilievo della
Galleria Bellitti. L’uso delle lampade permise di mettere in risalto un
osservazione di grande importanza. Il flusso trasportava una massa di
polverino, prodotto dall’aggressione degli acidi disciolti nel suo vapore,
sulle pareti trasformando il loro calcare in gesso. Questo polverino poi si
depositava in grossi cumuli nelle zone in cui era presente una diminuzione
della temperatura, anche minima, favorendo la condensa del vapore. Riuscirono a
comprendere perché il tessuto delle loro tute dopo appena un mese era completamente
consumato. Anche questa volta la Rai intervenne per diverse riprese sia su “Cronache Italiane” su sui TG.
Quasi ogni sera gli amici di
Sciacca portavano al convento le tipiche pietanze siciliane, per il gruppo,
dove erano presenti anche le mogli di alcuni tecnici e speleologi, era una
grande festa.
Padre Pisa una sera invitò tutto il
gruppo a cena nel refettorio del convento nel tavolo presidenziale sedevano i
due sacerdoti e a Perotti venne concesso
l’onore di sedere alla destra del Priore. C’erano poi due lunghe tavolate dove
sedevano misti speleologi maschi e femmine ed i frati. Fu offerto il famoso
risotto con i gamberi di Padre Pisa.. un piatto con un rapporto di un gambero
ogni “due grammi di riso” annaffiato con il buon vino locale.. un piatto da
favola fu il giudizio di tutti.
Il gruppo di Trieste si esibì in
canti e cori montani ricambiati poi in chiesa con un concerto d’organo suonato
da un frate barbuto.
Il 20 il lavoro era finito.
Partirono Marini, Filipas e Medeot che ripartì successivamente per Santo
Domingo. Tinè era già partito e il Perotti con altri rimase per la raccolta del
materiale e per la messa in ripristino dell’aspetto originario dell’Antro di
Fazello a cui si erano apportate delle modifiche.
Il 26 novembre si chiuse la
spedizione con l’incognita legata al proseguimento della Galleria di Milia e il
fenomeno della Grotta Cucchiara.
Planimetria con il
posizionamento dei vasi
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1978 – 6° Spedizione CGEB
Restavano
da risolvere due enigmi: individuare il proseguimento della Galleria Di Milia e
ispezionare, forse per qualcosa di nuovo, la Grotta Cucchiara che già in
precedenza era stata oggetto di studio.
Per
la Galleria di Milia era necessario la disponibilità di personale per il
montaggio dell’attrezzatura necessaria per l’indagine mentre per la Grotta Cucchiara era una
semplice visita d’ispezione.
Il
10 ottobre Perotti, Filipas e Marini si ritrovarono a Sciacca. Marini era
accompagnato da un amico, Schiavato, giornalista italiano di Fiume, alpinista, ottimo
scrittore e poeta che pubblicherà alcuni romantici scritti sulla sua
esperienza.
Coloni
li raggiunse a Sciacca.. abbastanza adirato perché il medico del CAI, dott.
Legnani, gli aveva vietato assolutamente di bere vino per problemi al fegato e dato i.. profumi
enologici presenti a Sciacca.. era per lui un grave problema…
Giunti
dinnanzi alla Grotta Cucchiara
entrarono attraverso uno strettissimo buco ovvero il “tombino” che si apriva sul soffitto
della cavernetta attraverso il quale veniva aspirato verso l’interno un
violento getto d’aria (30 km/h). Da quel tombino era uscito Gherbaz nella
spedizione del 1974. Il Perotti non riuscì ad accovacciarsi nell’angusto spazio
fra il buco e un masso sottostante, una posizione indispensabile per
proseguire. Era necessario scalpellare in parte il masso per permettergli di
entrare completamente.
Entrarono
e si ritrovarono in una piccola caverna nella quale confluivano varie piccole
gallerie. La massa d’aria fredda che arriva dal buco si univa ad altre
provenienti da due fessure sulla parete, per proseguire verso l’interno
attraverso una galleria quasi parallela ad un’altra e dalla quale proveniva
aria calda. Un ambiente particolare.. si ritrovarono con la testa al freddo e
le gambe al caldo .. la chiamarono la “cavernetta
delle Quattro Stagioni”. Continuarono ad inoltrarsi e il Perotti, con poca
luce, s’infilo carponi in un cunicolo ed improvvisamente una delle sue
mani fu nel vuoto. Davanti a lui c’era
solo buio. Chiamò gli altri.. usarono il solito scandaglio del lancio di un
sasso… ci mise un tempo enorme per rimbalzare sul fondo… saranno 100 metri o
più.
Riunirono
tutte le luci che avevano a disposizione ma non riuscirono a scorgere nulla
nemmeno la parete opposta, né il fondo,…solamente e molto male, videro la volta
una ventina di metri più in alto. Una volta in cui s’intravedeva lo sbocco di
una galleria o semplicemente un’ombra causata dalle lampade.
Marini
lo definì “il grande buco nero”.. un
buco profondo che emanava un caldo infernale, circa 39,5°C. Percorsero altre gallerie dove giunsero ad
altri affacci sul “buco nero”
(scoprirono in seguito tantissimi affacci). Chiamarono quel grande “buco nero” con il nome di “Pozzo Trieste”.
Fecero
successivamente un piccolo giro sulla parete del monte per localizzare altre
grotte che erano state segnalate e dopo due giorni ritornarono a casa con tanti progetti futuri.
Rilievo della
Grotta Cucchiara eseguito nel 1998
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1979 – 7° Spedizione CGEB
Il
Perotti incontrò causalmente a Palermo un importante personaggio politico di
Sciacca a cui rilevò le recenti scoperte. Scoperte che permettevano di avere
una migliore conoscenza sui flussi e sugli elementi che caratterizzavano ed
influenzavano il complesso fenomeno termale.
Il
Perotti espose anche i notevoli interessi economici legati al fenomeno e che
era necessario una migliore tutela del suo precario equilibrio geologico. Il
politico si rese conto del problema e invitò il Perotti ad organizzare, quanto
prima, una spedizione per proseguire l’esplorazione del “Pozzo Trieste”.
Promise altresì un totale finanziamento alla spedizione da parte della Regione.
Si
studiarono i preliminari della spedizione. Era impossibile raggiungere il fondo
del pozzo con le scalette. Gherbaz, esperto anche in meccanica, avanzò l’idea
di sistemare ad uno degli sbocchi delle gallerie una specie di trampolino a
sbalzo che avrebbe consentito di calare e recuperare una persona senza farla
strisciare lungo i centro metri o più della parete del pozzo.
L’idea
fu accettata e Gherbaz venne incaricato della realizzazione del “trampolino”.
Il resto del materiale che serviva per la spedizione era già sul posto. Fu la
spedizione più difficile e funestata da tanti incidenti.
Il
tre marzo si ritrovarono a Sciacca: Perotti, Coloni, Filipas, Gherbaz e Pino
Guidi con notevoli esperienze speleologiche.
Il
programma era ambizioso:
-
Tentare
di scoprire come proseguiva la Galleria Di Milia;
-
Scendere
ed esplorare alla base il “Pozzo Trieste;
-
Rilevare
sul monte alcune grotte soffianti o aspiranti che si ritenevano importanti per
il flusso vaporoso;
-
Misurare
durante tutto il periodo della permanenza, alla strettoia dell’Antro di Dedalo
e a quella della Cucchiara, le portate di efflusso ed aspirazione; temperature
e pressioni interne ed esterne.
Il
“trampolino” progettato da Gherbaz non era stato collaudato a Trieste per cui
lo stesso Gherbaz era impegnato ad assemblare il suo progetto che fu battezzato
“il palanchino”. Diqual con
anemometri, termometri di precisione e barografi, fu incaricato delle misure
del flusso.
In
quei giorni era presente una forte perturbazione atmosferica che permise al
gruppo di acquisire altre conoscenze sul complesso geologico e termale del monte.
C’era
una forte diminuzione della pressione atmosferica con vento da Sud di circa 100
km/h. misurarono la portata del flusso all’Antro di Dedalo.. 10mc/secondo.. la
più alta portata in base ai loro dati censiti. All’interno del sistema i
barografi registrarono delle variazioni molto più lente rispetto a quelle
esterne. Cosa indicava questa differenza
?
L’enorme
volume delle cavità comunicava con l’esterno tramite delle aperture di sezione
ridotta e questo impediva un veloce ricambio o scambio dell’aria, rallentando
il riequilibrio pressorio nell’ambiente interno.
Il
vento impetuoso che soffiava davanti all’ingresso della Grotta del Lebbroso
riuscì addirittura ad invertire il normale flusso caldo in uscita. Questa
mutazione ambientale permise a Filipas di infilarsi in un stretto cunicolo,
dove non era possibile entrare con le tute, per esplorarlo e giungere in
prossimità della famosa Grotta Di Milia.
Una
settimana di intenso lavoro: sistemare i materiali alle stufe per le
esplorazioni; Filipas e Guidi, muniti di martello pneumatico e cunei da
minatore, allargavano il passaggio che portava agli affacci sullo stupendo
“Pozzo di Trieste”. Un passaggio strettissimo e che era il più indicato per
piazzare il “Trampolino/palanchino”
di Gherbaz.
Domenica,
11 febbraio, riuscirono con una teleferica a portare “il palanchino” sino alla
grotta della Cucchiara, posta circa 100 metri più in basso, e nel pomeriggio il
gruppo montò la tubazione per l’aria.
Mentre
il gruppo lavorava giunse ..”un’orda di
giovanetti pseudospeleologi palermitani, per ragioni politiche e di ospitalità
non posso, come ne avrei desiderato, cacciarli” (Perotti).
Coloni
si distrasse, inciampò e scivolando sulla scala cadde su Guidi… entrambi
finirono sul fondo del pozzo.
Coloni
prestò i primi soccorsi al compagno collegandolo ai tubi dell’aria e con le
gambe doloranti e sanguinanti, riuscì a risalire le scale per dare l’allarme.
Gherbaz improvvisò subito una barella per portare fuori Guidi, nel frattempo
privo di sensi, per affidarlo all’autoambulanza. Un autoambulanza giunta sul posto dopo
reiterati e ripetuti solleciti.
Nel
frattempo arrivò da Trieste il secondo gruppo di speleologi, Natale Bone (detto
Bosco) e Augusto Diqual, accompagnati sul monte da Marini e Schiavato.
Lo
sfortunato Guidi fu dimesso dall’ospedale con qualche cerotto e naturalmente
messo a letto a riposare. Un episodio che avrebbe potuto avere conseguenze ben
più tragiche.
La
sera lo stesso Guidi chiese ”cosa diavolo
era successo…”.
Il
dott. Politi, amico del gruppo, rilevò che il Guidi aveva una clavicola
fratturata… in ospedale non l’avevano diagnosticata…
Il
giorno seguente ritornò all’ospedale per essere ingessato. Coloni e Guidi
resteranno fuori “combattimento” per tutta la spedizione, riducendo e di molto
la forza lavoro del gruppo.
L’attività
del gruppo si concentrò sull’indagine al “Pozzo
di Trieste” mentre per la Galleria Di Milia si cercò di fare una sommaria
ispezione al pozzetto terminale che era stato individuato nel 1957 e che era
stato chiamato il “Pozzacchione”.
Il
“Pozzacchione” venne disceso da
Filipas senz’aria…. Sul fondo un’altra sorpresa…”giace supino con le braccia aperte ed un femore fratturato, uno
scheletro intatto, la mandibola che pende atteggia quasi una smorfia di
dolore”.
Una
scena pietosa… un’uomo che 4000 anni fa si spinse troppo aventi e precipitò nel
pozzo trovando una morte solitaria. Il pensiero si spinse ai ricordi della
spedizione del 1957… se Coloni allora non avesse fermato il Tinè, proprio
sull’orlo di quel pozzo (non visto anche per la scarsa illuminazione di cui
erano dotati), sarebbe precipitato anche lui.
La
scoperta naturalmente avrebbe richiesto un ulteriore indagine ricognitiva ma
non c’era tempo e si decise di rimandare ad un’altra spedizione.
Il
gruppo concentrò i suoi studi sulla Grotta della Cucchiara.
Si
stesero i tubi dal compressore, posto sulla strada, sino al “palanchino”; fu messa in opera la linea elettrica e
telefonica, sistemata già da una settimana.
Filipas
era riuscito ad allargare le strettoie per permettere il passaggio delle attrezzature
che furono accatastate in una piccola cavernetta, posta nei pressi del pozzo e
da poco scoperta, dove faceva meno caldo.
Gherbaz
cominciò a creare la sua invenzione, il famoso trampolino/palanchino, e la
presenza della luce permise al gruppo di dare uno sguardo all’ambiente. Non si
riusciva a distinguere il fondo del pozzo a si vedeva, questa volta, la parete
opposta a circa 30 metri.
Le
frasi del Perotti furono emblematiche: “è
uno spettacolo da favola… completamente ricoperta com’è da milioni di goccioline
di condensa che brillano, altri sbocchi di gallerie sono ben visibili sulle
pareti del pozzo ed ora si distingue meglio anche la volta, saranno circa una
ventina di metri; effettivamente sembra vi sia l’imbocco di una galleria”.
Il
palanchino di Gherbaz fu piazzato nel vuoto… dalla sua estremità pendeva un
“diabolico” meccanismo di saliscendi automatico con un contrappeso che doveva
essere comandato anche dal basso.
Il
termometro elettronico sceso sul fondo del pozzo indicava una temperatura più bassa
di alcuni gradi rispetto alla sommità del pozzo (aria fresca che aspirata
dall’esterno precipita lungo le pareti).
Il
gruppo si chiese se sul fondo del pozzo potevano esserci delle esalazioni
venefiche.
Si
decise di controllare e ricorsero a un gallo… sì proprio un gallo e il Perotti
raccontò l’episodio..”ci facciamo cedere
in prestito dai frati il gallo del loro ben fornito pollaio; allontanato dal
suo beato gineceo, viene collocato in una cesta e calato sino al fondo dove è
costretto permanere per una quarantina di minuti. Recuperato, si dimostra
piuttosto seccato ma in ottimo stato di salute e tra il giubilo delle sue
galline lo riportiamo a casa. Quale segno di riconoscenza ci facciamo
promettere da Padre Pisa che al valoro speleoavicolo pennuto, non sarà
riservata la triste sorte dei suoi predecessori, ma gli sarà concesso di finire
con un onorata e serena vecchiaia nel suo amato gallinaio”.
Tutto
era pronto.. lungo le balze del Monte c’era un piccolo corteo guidato da Padre
Pisa con i paramenti sacri. Recava una statuetta di San Calogero da sistemare
sul fondo del Pozzo. Il piccolo corteo era composto dai frati con le candele
accese e anche da alcuni operatori della TV giunti per l’evento e gli
immancabili e spesso scettici curiosi.
All’ingresso
della Grotta Cucchiara c’era Gherbaz con una tuta in alluminio ed un bombolone
d’aria. Il Perotti gli disse che probabilmente gli sarebbero stati d’intralcio
dato il loro volume. Padre Pisa fece la benedizione, diede la statuetta, e
tutti entrarono nella grotta. Il solo Guidi rimase fuori dispiaciuto a causa
dell’infortunio. Padre Pisa risalì al convento per dare un aiuto al suo vice
Don Peppino e a Coloni che stavano preparando il pranzo nella cucina sistemata
alle stufe.
Perotti
con grande sentimento raccontò quei momenti: “Gherbaz, in cima al suo trabiccolo proteso nel vuoto, si aggancia ad
un capo del cavo, all’altro vi è un contrappeso per consentire una discesa
lenta, e comincia a scendere forse con troppa calma, tanto che giunto sul fondo
l’aria è già esaurita, posa la bombola scarica, la statuina in un angolo e va a
dare un’occhiata in giro.
Noi dall’alto,
stretti in uno spazio angustissimo, uno sul palanchino e due compressi
nell’angusta fessura, lo vediamo muoversi; siamo in contatto con una radiolina,
ci dice che va tutto bene”.
Il “Palanchino”
“ Sono passati 15
minuti, il tempo stabilito per la prima ricognizione per cui lo richiamiamo,
lui si aggancia al cavo di risalita e tenta di far partire il contrappeso che lo
dovrebbe riportare in alto. Quel maledetto sistema automatico non funziona, ci
dice di tentare di manovrarlo noi, ma dall’alto è impossibile. Si è verificato
quello che in condizioni normali sarebbe stato un banalissimo incidente
risolvibile con calma ma che, in quell’ambiente dove la resistenza è concessa
solo per un modesto lasso di tempo, è una tragedia. Comincia l’opera frenetica nel
vuoto di Marini e Filipas che, in precario equilibrio su quel trampolino largo
appena 30 centimetri e senza alcuna sicurezza, tentano con i più svariati
arnesi che ci capitano tra le mani di sbloccare la corda”.
Perotti
telefonò alle Stufe per chiedere di portargli attrezzi e i tubi ancora
disponibili nella speranza di poter mandare in fondo al pozzo dell’aria.
Lo
stesso Perotti nel frattempo continuò a parlare con Gherbas ..”è abbastanza tranquillo e cerca addirittura
di darci consigli sul da farsi”.
Era
trascorsa quasi un’ora e i due speleologi sul palanchino erano esausti e
saggiamente andarono a prendere aria fuori. All’interno del pozzo rimasero solo
in due: Perotti in alto a cavalcioni sul palanchino e Gherbaz in fondo al
pozzo, centro metri più in basso, continuamente rincuorato.
“Lui sa che ormai
può contare solo su di noi, ma sa anche che non l’abbandoneremo mai, ed è
questo forse che gli da la forza di resistere e mantenere la calma. Il tempo
passa inesorabile, finalmente arriva di corsa Coloni con uno stranissimo arnese,
una specie di cesoia, con questa si riesce a tranciare un moschettone
incastrato che bloccava tutto, ora possiamo tentare di farlo risalire, la
manovra è lentissima, tutti cercano di aiutare, cosa non facile in
quell’ambiente
strettissimo,
anche il personale della Rai, che ha mollata l’attrezzatura per collaborare. Finalmente,
dopo un’ora e quaranta minuti di permanenza, riappare il fortunato speleologo.
E’
esausto, me lo
carico sulle spalle e lo porto attraverso la via dei furbi al fresco sino alle
quattro
stagioni, qui si
riprende rapidamente ritornando il ridanciano Marietto di sempre. Un giorno in
confidenza mi
parlerà di tutto quello che gli è passato per la mente durante l’interminabile
attesa”.
Rientrarono
negli alloggi e si distesero esausti sui lettini e rimasero per tanto tempo in
silenzio.
Riguardo
a quella drammatica giornata al Perotti fu riferito un particolare commovente:
“quando è arrivata
la mia telefonata ai tre che stavano sbucciando patate, Coloni zoppo si è
precipitato giù per il monte con la provvidenziale cesoia, don Peppino è corso
a togliersi la
tonaca ed infilare
un paio di pantaloni per venire in aiuto, Padre Pisa invece si è inginocchiato
e sul pavimento della cucina ha pregato continuamente sino a quando non è
giunta la notizia del fortunato recupero. Riguardo don Peppino: ho ancora un
grandissimo rimorso, con i nervi a pezzi e Gherbaz sulle spalle ho avuto uno
scatto inconsulto e quando lo ho visto arrivare gli ho gridato
che poteva anche
andarsene perché non avevamo più bisogno del prete. Per anni ho continuato a
chiedergli di scusarmi”.
L’indomani
mattina il gruppo assieme ai frati del convento assistettero alla messa solenne
di ringraziamento, officiata da Padre Pisa e da Padre don Peppino, nella
suggestiva Cavernetta del Santo.
“Non avevo mai
visto una comitiva di blasfemi come la nostra, Marietto in particolare,
assistere con tanta partecipazione, e forse anche commozione, ad una funzione religiosa.
Ho sempre portato in macchina, ed ora continuo a tenere a casa, la medaglietta
di S. Calogero che Padre Pisa mi ha regalato affidandomi alla sua protezione,
sarà o non sarà, ma non vi è dubbio che da allora ho superato indenne parecchi
gravi avvenimenti”.
La
sera per cena il famoso risotto di Padre Pisa.
Il
28 marzo la partenza. Molti incidenti. Ci furono risultati importanti ma non si
riuscì a scoprire cosa nascondeva il Pozzo Trieste e se comunicava con le
Stufe.
“Per fortuna i
guai si sono risolti per il meglio”.
Sulla
spedizione, appena conclusa, l’amaro commento del Perotti.
“… il promesso
rimborso spese della regione non arriverà mai.. Ormai cominciamo ad abituarci
all’idea che ai misteri del Kronio, che tanta influenza potrebbero avere per
gli interessi termali e turistici di Sciacca,
dobbiamo pensare quasi sempre noi !!!”.
“Ci stiamo
rendendo conto che l’interesse su di noi e su quanto stavamo facendo è quasi
del tutto scomparso. Sino al’74, sarà per il risalto dato dalla RAI, come del
fatto che, approfittando della comoda scala, era stato possibile portare decine
di persone sulla sua penultima rampa ad ammirare da lontano il primo bellissimo
gruppo di vasi all’inizio della Galleria Bellitti; quando giravamo per la
spesa, venivamo simpaticamente
avvicinati con richieste sullo stato dei nostri lavori. sarà perché i nostri interlocutori ci tenevano a
mostrarsi detentori di notizie dirette nel cicaleccio cittadino oppure per loro
reale interesse, comunque la nostra opera destava notizia.
Quello che è
avvenuto quest’ultima volta è passato invece sotto il più assoluto silenzio.
Anche nei negozi i prezzi per noi sono aumentati; ormai siamo dei semplici
turisti ed il nostro lavoro non costituisce più elemento di interesse !
Anche nel
conseguito continuerà così. Vi saranno ancora, come dirò, contatti con la
Soprintendenza e l’Amministrazione delle Terme per progetti di valorizzazione
archeologica e termale turistico, che purtroppo non saranno più realizzati; due
conferenze, con scarsa affluenza di pubblico, ed alcuni servizi sulle TV
locali, ma sempre nel quasi totale disinteresse di cosa rappresenti il Kronio
per Sciacca…Noi suoi vecchi innamorati, siamo comunque decisi di proseguire, e
proseguiremo!”.
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1984 – 8° Spedizione CGEB
Passarono
5 anni dall’ultima spedizione e gli
speleologi della CGEB continuavano a
porsi delle domande sulla continuità del sistema ipogeo e soprattutto sulla
zona di provenienza e il relativo percorso dei vapori.
Nella
società molti speleologi erano andati in pensione e sostituiti da giovani,
anche bravi nel settore. Il primo impatto con
le Stufe del Monte Kronio era però sempre scioccante e l’abitudine di
operare in tranquillità poteva arrivare per un giovane solo dopo un accorto
tirocinio.
L’occasione
per un ritorno sul Kronio venne offerto dall’inaugurazione dell’”Antiquarium”
allestito dalla Soprintendenza di Agrigento nell’edificio vicino al Santuario sul Monte
Kronio. L’Occasione fu propizia per gli
speleologi per rivedere l’amico Tinè.
Il
gruppo era formato da: Perotti, Bosco, Filipas e per la prima volta, Roberto
Prelli, Spartaco Salvo, Glauco Savi.
Era
assente il buon Coloni che aveva subito una grave operazione “per il suo fumare” e si trovava a Roma
in convalescenza.
I
tre giovani neofiti eseguirono delle prove di discesa e risalita sulla scala
per abituarsi all’ambiente.
Prima
dell’inizio delle indagini si svolsero i convenevoli dell’inaugurazione. Ci fu
un incontro piuttosto freddo con il prof. Carapezza che aveva promesso il
famoso finanziamento svanito nel nulla.
Cominciarono
subito le indagini speleologiche.
Nella
Grotta del Gallo, posta un centinaio di metri sotto la Cucchiara, gli
speleologi avevano riscontrato la presenza di un aspirazione, di circa 1
mc/secondo, che si perdeva attraverso l’ostruzione del fondo. Nella speranza di trovare una via che li
avrebbe portati alla base o al di sotto del Pozzo Trieste, lavorarono con un
demolitore per aprirsi un varco. L’esito fu negativo perché il flusso dell’aria
continuava verso l’interno insinuandosi attraverso delle fessure impraticabili.
Ritornarono
nella Grotta Cucchiara con un generatore ed un faro potente da scendere nel
pozzo per avere una migliore visione del luogo.
Seppure
la presenza di una leggera nebbiolina, si riuscì a distinguere il pozzo che
scendeva per un centinaio di metri, con una sezione cilindrica per poi “scampanare verso la base che era costituita
da un piano detritico costituito da grossi massi”. Ebbero l’impressione di
una sua continuazione per Sud-Est. La visione spettacolare di quel pozzo fece
aumentare nel gruppo il desiderio di ripetere l’impresa precedente di Gherbaz.
Lanciarono
un razzo verso il fondo per illuminare maggiormente il fondo… ma il fumo
consigliò al gruppo di tornare all’aria aperta.
Filipas
rientrò per dopo aver visto una caverna caratterizzata dalla presenza di
notevoli concrezioni gessose, la “Caverna delle Croste” e scoprì una prosecuzione
della grotta in un reticolo di pozzi, gallerie, cunicoli, caldi e freddi… tutti
da esplorare. Recuperarono il tutto perché dovevano tornare a casa.. Un saluto
a Padre Pisa .. il gruppo gli donò una bellissima concrezione del Carso.
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1986 – 9° Spedizione CGEB
Nella
precedente spedizione si era discusso con Tinè della possibilità di valorizzare
turisticamente il patrimonio archeologico presente nelle gallerie e costituito
dai vasi e dagli scheletri.
La
cosa più semplice, su parere del Perotti, era quella di piazzare, in punti
opportuni, delle telecamere con brandeggio, elevazione e zoom comandati
dall’esterno. Un procedimento che con
adeguata illuminazione avrebbe consentito al visitatore di poter vedere su un
monitor lo spettacolo delle grotte con i loro aspetti.
Era
indispensabile trovare i punti in cui installare le telecamere per avere delle
buone riprese.
Per
attuare questo progetto la Soprintendenza stanziò un modesto finanziamento per
effettuare l’esperimento.
Nel
settembre 1986 gli speleologi del CGEB giunsero in undici: Perotti, Bosco,
Coloni, Davide Crevatin, Fulvio Durnik, Tullio Ferluga, Prelli, Savio, Louis
Torelli, Busolini.
La
Soprintendenza consegnò al gruppo una telecamera che fu resa stagna
sistemandola in una scatola di plexiglass ed un centinaio di metri di cavo per
congiungerla ad un videoregistratore piazzato all’esterno.
Con
questo procedimento l’operatore nella grotta, che a causa delle condizioni
ambientali vedeva male, poteva essere guidato da chi all’esterno aveva una
buona visione del luogo ripreso..
Un
lavoro difficoltoso perché la telecamera doveva essere piazzata in modo tale da
avere un ampio campo visivo e anche il posizionamento delle luci era importante
per avere delle immagini perfette.
La
telecamera riuscì a riprendere le scene
Il
Perotti che era ormai vicino alla settantina guardava con ammirazione e forse
con invidia quelle immagini… il suo desiderio era quello di essere lì nella
grotta con loro.
Ultimati
gli esperimenti per il posizionamento delle telecamere, il gruppo decise di
fare una visita allo scheletro del Pozzacchione. Non avevano cavo sufficiente
per riprendere con la telecamera e in sostituzione vennero fatte delle
fotografie
Il
poveretto non morì subito perché riuscì a trascinarsi per alcuni metri dal
punto di caduta.
Perché
i compagni non lo aiutarono o comunque
non tentarono di recuperarlo ?
Fu
prelavato un pezzo d’osso che il Tinè esaminò al C14 con la conferma che
risaliva al 4000 a.C.
Da
quel momento il poveretto ritornò nella pace più assoluta.
Si
decise di dare un’occhiata alla Grotta della Cucchiara per penetrare nella
prosecuzione della galleria delle Croste che fu intravista da Filipas nella
spedizione precedente.
Fu
scoperto un reticolo di gallerie ed in una di queste, sceso un pozzetto, finiva
in un suggestivo finestrone, alto una decina di metri, che affaccia nel vuoto…
un luogo da indagare.
Tinè
con il prof. Schneider, archeologo di Zurigo, stavano eseguendo uno scavo di saggio
alla base del muro che separava l’Antro di Dedalo dalla Stufa degli Animali.
Ad
una profondità di circa 60 cm scoprì un pavimento d’età ellenistica costituito
da grandi lastre di cotto e notò che il muro fu costruito in epoca successiva.
Il Perotti, sollevando alcune basole del pavimento, notò che i sedili
dell’Antro di Dedalo poggiavano su materiale tardo romano. Questo confermava
che le opere di adattamento risalivano al V secolo, cioè all’epoca in cui era
attestata la presenza di San Calogero.
La
pavimentazione potrebbe essere legata ad un uso forse rituale del luogo in
epoca classica. Le tracce di alcuni buchi di palo affiancanti il muro
potrebbero anche fare pensare ad una sua funzione terapeutica anteriore al
periodo di San Calogero.
Il
commento finale alla spedizione del Perotti:
“Un non difficile scavo in quella
zona potrebbe raccontare di uno sconosciuto periodo della storia di Sciacca, ma
ci sarà mai qualcuno che mosso da tale interesse se ne renda promotore?
Sinceramente lo spero.
Conclusione: tutti
assieme: archeologi e speleologi, laici e religiosi, al desco del convento dove
come al solito vi
sono gli ormai a noi ben noti, gamberi col riso e vino della messa, con mistico
concerto d’organo
ed, allegri e soddisfatti dai risultato, un abbraccio di arrivederci. Non sappiamo
che non rivedremo
mai più il nostro fraterno amico Padre Pisa.
Il materiale
ripreso dalla telecamera, che consegniamo anche alle Terme viene spesso dato
alle
TV locali per
servizi pubblicitari; queste tutte le volte ringraziano l’Amministrazione ma si
guardano bene da dire chi è stato a riprenderlo, come se fossero opera loro!”
Il «finestrone»
sboccante a metà del «Pozzo Trieste». (Foto L. Torelli)
Stufe di San Calogero, grossi pithoi nelle gallerie di fondo. (Foto L.
Torelli)
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1991 – 10° Spedizione
CGEB
Nuova
spedizione degli speleologi triestini sul Monte Kronio: Bosco, Coloni, Diego
Coslovi, Roberto Martincic, Prelli, Torelli, Perotti.
Nel
frattempo il Monte Kronio era stato affidato alla Forestale per un totale
rimboschimento e accurato controllo. Il
gruppo era all’oscuro di questa assegnazione. Mentre affrontavano le rampe del monte per
trasportare il materiale speleologico, vennero inseguiti e quindi fermati da
una pattuglia di agenti, tra cui una donna che infuriata sventola liberamente
delle manette. Dopo lunghe spiegazioni e ripetute telefonate, tutto fu
chiarito.
Il
materiale fu portato all’ingresso della grotta e nel ritorno passarono davanti
alla tomba di Padre Pisa..”un mesto
saluto al nostro amico. Rito che non mancheremo ripetere ogni qualvolta
torneremo a Sciacca”.
Si
eseguì un rilevamento tacheometrico dei punti esterni più importanti e, dove
era possibile, anche di quelli interni. Prelli con il suo gruppo rilevò ed
esplorò, per centinaia di metri, l’intrico di gallerie o pozzi che si
dipartivano dalla “Caverna delle Croste”. In queste gallerie l’atmosfera calda
si miscelava con quella fredda e ciò permetteva l’esplorazione. Venne scoperta
un apertura sottostante al “finestrone” rilevato nel 1986. Da uno di questi due
finestroni fu progettata la una spedizione da eseguire successivamente. Non venne scoperta nessuna galleria che
comunicava o sboccava all’esterno. In base a ciò il flusso caldo che usciva
alla vetta del monte era fornito da aria che filtrava attraverso le fessure
della roccia ma non da altre condotte.
Sulla
parete della cava di pietra abbandonata e posta ad Ovest, fu individuato un
piccola sistema simile a quello delle Stufe. Da una fessura bassa veniva
aspirata aria mentre da una situata più in alto usciva un leggero flusso caldo.
Una situazione che doveva essere studiata con più calma.
La
spedizione si concluse perché le finanze
erano scarse. C’erano ancora tante indagini da verificare e completare. I due
progetti che erano stati presentati, uno sullo studio del flusso e un altro
sull’Antro di Dedalo, finirono nel nulla..
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Medeot
stava per finire i suoi giorni in una casa di cura in Carnia.. il Perotti
andava a fargli visita spesso e “naturalmente
in quegli incontri, oltre a rivangare i ricordi della nostra lontanissima
gioventù, abbiamo discusso su cosa fosse da fare per l’esplorazione del Pozzo
Trieste”.
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1998 – 11° Spedizione
C.G.E.B.
Sul
Monte Kronio restava da verificare il collegamento tra le gallerie delle Stufe
ed il Pozzo Trieste. Un aspetto importante perché avrebbe dato la certezza che
il flusso vaporoso nel suo procedere percorreva quest’unica via per sboccare
all’esterno. Altro aspetto da individuare la via che dal fondo del pozzo,
seguendo a ritroso il percorso del flusso, avrebbe portato alla falda termale.
Il
primo aspetto non presentava per essere verificato un grosso problema dal punto
di vista economico-organizzativo mentre il secondo aspetto avrebbe richiesto un impegno
finanziario-organizzativo.
Serviva
una certa somma per finanziare la spedizione e la Commissione Grotte di Trieste
riuscì a mettere a disposizione del gruppo 10 milioni di lire ed il Perotti riuscì a raccoglierne
quasi una ventina.
Si
partì e questa volta non era richiesto l’uso di alcun sistema complicato. Gli
speleologi sarebbero scesi dall’alto con un verricello salpa-ancore
opportunamente modificato e continuamente gli speleologi sarebbero stati
forniti d’aria per la tuta. Il verricello funzionava a corrente continua e ciò
comportava un aumento del suo peso perché si doveva aggiungere il peso di un
trasformatore e di una batteria tampone. Venne imposto anche l’uso di un
rilevatore di gas nocivi e l’uso di ingombranti respiratori a bombola di quelli
usati negli incendi che con il peso e la scarsa visibilità davano non poco
fastidio. Era un obbligo per avere i finanziamenti.. era una spedizione ancora
più pericolosa delle precedenti.
Prelli,
che aveva anticipato il gruppo a Sciacca, riuscì a trovare una buona
sistemazione logistica, l’affitto del compressore, i cavi elettrici in prestito
ma non i tubi che si dovevano ordinare e naturalmente pagare. Trovò il tempo di
fare una visita alla Grotta della Cucchiara per visionare e confermare il posto
di manovra del verricello che era ben collaudato per aver operato in una grotta
del Carso.
Il
28 febbraio il gruppo partì da Trieste con tre macchine cariche di uomini e
materiali.
Il
gruppo era costituito da: Bosco, Crevatin, Durnik, Filipas, Guidi, Prelli,
Torelli, Perotti e i tre neofiti, Mario Cova, Massimiliano Fabi e Maurizio
Glavina.
Giunsero
alla stazione marittima di Napoli dove li attendeva Coloni per aggregarsi al
gruppo.
Sbarcarono
a Palermo e da Palermo a Sciacca.
Giunti
a Sciacca i tre anziani del gruppo, Coloni, Filipas e Perotti andarono a
trovare Padre Pisa per posare sulla sua tomba una bellissima targa di bronzo a
perenne ricordo della loro amicizia.
Il
gruppo alloggiò in un residence in cui l’ampio cortile fu invaso o occupato dal
materiale speleologico: tute, caschi, corde, moschettoni, imbracature, lampade,
sacchi, zaini, ecc. Perotti non fu più il comandante del gruppo, era
ottantenne, e fu Prelli a dirigere il gruppo mentre il Perotti ed il Coloni
davano il loro aiuto all’esterno, compresa la spesa. Alla cucina pensavano a turno i giovani.
Le
prime difficoltà. I tubi ordinati da Catania e che dovevano essere recapitati
alle Terme non erano arrivati. Telefonarono alla ditta che rispose
dell’avvenuta spedizione del materiale e , addirittura, consegnati con tanto di
firma. Interrogarono il personale delle Terme .. nessuno sapeva niente. Un
estraneo indicò al gruppo la presenza di grossi pacchi… diversi metri cubi…. posti
ad una certa distanza dalla scrivania del portiere… portiere ignaro e che
dichiarò di non sapere nulla…
Il
compressore era in manutenzione e disponibile appena in tempo.
Il
gruppo aveva presentato una domanda alla Forestale per il permesso d’accesso
alla zona protetta….. nessuna risposta.. una domanda presentata da moltissimo
tempo…
Il
Distretto Minerario… venuto a conoscenza delle intenzioni del gruppo….studio e
ricerche… il solito ente truffaldino.. in quanto tutore delle acque sotterranee
pretese un elenco dei materiali impiegati… e ancora: un curriculum di ogni
partecipante, le norme da adottarsi in base alla legge 626 (la sicurezza sul
lavoro), con l’obbligo di costante presenza di un autoambulanza con il medico
presso la base operativa esterna…..(aggiungo … si sono dimenticati di
richiedere anche il certificato antimafia !!!!).
Il
Perotti affermò..”è una spedizione
speleologica o la costruzione del Ponte sullo Stretto ?”.
“E’ incredibile
cosa riesca a combinare la burocrazia quando intende imporre ciecamente le sue
norme su argomenti dei quali non è assolutamente a conoscenza!”
“Gli amici locali
ci consigliano di procedere ugualmente, come si dice in siciliano a “umma, umma”,
espressa la loro autorevole volontà scaricandosi così da ogni responsabilità,
faremo finta di niente e così sarà”. (vergogna… uffici che avrebbero dovuto
agevolare la ricerca… la conoscenza… la valorizzazione.. cercarono in tutti i
modi di ostacolarla).
Furono
necessari quattro giorni di lavoro per portare nella grotta, al finestrone, il
materiale. Venne stabilito il posto di manovra, furono stesi i tubi, la linea
elettrica ed il citofono. Un lavoro fatto senza l’uso di tute. Bosco dovette
tornare a casa per motivi di salute.
Il
rilevatore del gas dimostrò la sua inefficienza.. all’aria aperta strillava
anche per il fumo di una sigaretta e così avverrà anche quando sarà a contatto
con l’acetilene delle lampade sul casco… una spesa inutile… Gherbaz ed il gallo
avevano resistito per tanto tempo in fondo al pozzo…
Nei
momenti di intervallo e di riposo, Guidi e Cova giravano per il monte alla
ricerca di varie cavità da rilevare aiutati dall’amico Verde di Sciacca,
conoscitore dei luoghi.
L’8
marzo, giorno della donna, alle 12,52 iniziò un silenzio colmo di tensione e
rotto solo dal sibilo dell’aria…. Torelli stava scendendo nell’enorme vuoto.
..” Con Coloni seguiamo, attaccati al citofono,
le voci ed i suoni che ci giungono dal ventre del Krtonio, duecento metri sotto
a noi; l’uomo sta scendendo ma ad un certo momento distinguiamo un “cerca di
recuperare”, sento una stretta al cuore ricordando Gerbaz ed il’79. Per fortuna
non è nulla: Torelli, avendo l’impressione di trovarsi in una nebbiolina e con
quel maledetto aggeggio che continuava segnalare gas asfissianti, ha preferito farsi
tirare su per capire di che si tratta; è solo l’inutile maschera
facciale che si
appanna ed il segnalatore è meglio lasciarlo perdere. Cambia l’ingombrante
bombola e ridiscende”.(Perotti)
Torelli
scrisse una relazione su quella terrificante discesa nel ventre del Kronio
(Pozzo Trieste)..
“…le pareti di
roccia marcia piene di croste si allontanano…dondolo lievemente nel centro
dello
stomaco nero del
Kronio, con la sinistra armeggio il faro sondando e cercando lungo quelle vaste
pareti…mi avvicino dolcemente ai primi grossi blocchi disseminati sulla collina
detritica che caratterizza il fondo del pozzo…lentamente con grande emozione
sfioro la prima pietra, mi sento uno spelo-astronauta…respiro ancora l’aria
della bombola, non sono in acqua e mi muovo goffamente tirando il tubo di
raffreddamento che mi accompagna stile palombaro. Devo sganciare l’auto
respiratore, la corda si allenta, e sono di nuovo padrone di tutto il mio peso,
e sento l’onere di muovermi, devo sganciarmi dalla corda per raggiungere il
rilevatore qualche metro più in là, la luce rossa pulsa…un sottile senso di disagio,
sono sganciato, solo senza il cordone ombelicale che mi unisce al mondo dei
miei compagni. Respiro ancora avidamente dalla bombola.
Raggiunto il
rilevatore digitale leggo 2,2, OK i valori di anidride solforosa non sono
alti…decido di togliermi la maschera. Di colpo respiro brodo tiepido. Fa caldo
e lo stress della discesa e le diverse arie respirate mi ubriacano, Barcollo
leggermente. Il fischio dell’ultimo rubinetto d’aria aperto è assordante, fisso
un tubo di prolunga e muovo i primi passi incerti tra le macerie del fondo…dopo
pochi metri mi imbatto nei resti lasciati da Gherbaz nel ’79. Non tocco nulla.
E’
passata mezz’ora,
proietto il faro verso il punto più profondo cercando tra le quinte di roccia
la prosecuzione. Torno alla corda è il momento di farsi tirare su…mi aggancio:
Lentamente mi ritrovo nel vuoto, c’era qualcosa tra il caldo ed il pulviscolo,
sono in un romanzo di” Urania”.
Tutti
con la risalita di Torelli riacquistarono la serenità si doveva accompagnare in
grotta l’amico geologo Sclafani per prelevare campioni d’atmosfera. In base
alle analisi compite dall’Università di Palermo si avrà la conferma che i
vapori del flusso erano isotopicamente compatibili con le acque della falda
termale e quindi provenivano da questa.
Il
gruppo portò da Trieste un grosso prosciutto affumicato che cucinarono in un
grande pentolone. Furono invitati alcuni amici di Sciacca. Tutti assaggiarono il
piatto tipico triestino suscitando grandi entusiasmi anche se ad alcuni non
piacque l’aggiunta della piccantissima radice di rafano grattato (il kren
triestino).
C’erano
altre due discese da compiere e questa volta in coppia.
Torelli
e Crevatin raggiunsero la base del Pozzo Trieste, 450 metri di circonferenza,
senza trovare o individuare prosecuzioni importanti. Scattarono foto; dettero
una degna collocazione alla statuetta di San Calogero, ancora imballata, che
era stata consegnata al gruppo dal bravo Padre Pisa; notarono che i materiali
metallici lasciati da Gherbaz erano in uno stato di estrema alterazione e
dell’alluminio era rimasta solo la traccia; recuperano la bussola Brizard del
Perotti (un antico cimelio); eseguirono il rilievo del sito. Non riuscirono a
notare la zona di provenienza dell’aria calda,, probabilmente proveniva da uno
dei tanti affacci sul pozzo ma non dal fondo.
Le
risorse finanziarie si stavano esaurendo.
Con fatica venne recuperato il materiale più costoso. I tubi furono
lasciati nel pozzo e gli altri portati in magazzino.
La
sera, dato che nelle Sede di Trieste si svolgevano le elezioni del Direttivo
della Commissione Grotte, crearono un seggio distribuendosi gli incarichi.
Tutti votarono. Una volta controllati i voti, vennero comunicati per telefono
alla sede di Trieste. L’ultima sera furono invitati in casa di un amico di
Sciacca per un favoloso “schitticchio”
campestre cioè uno “spuntino” a base di pizze cotte nel forno a pietra, olive,
peperoni arrostiti, caponate di melenzane e un … ettolitro di vino padronale.
Nel
gruppo rimase un po’ di “amaro in bocca” per non essere riusciti ad individuare
la prosecuzione della cavità dopo il pozzo.
“E’ il più gradito
addio che poteva darci la Sicilia. Nel primo pomeriggio l’affettuoso arrivederci,
con la malinconia di lasciare questo angolo d’Italia così bello, antico,
capriccioso ma, sotto tanti aspetti, molto distante e non solo dalle nostre
case. Con Coloni la solita fortissima stretta di mano, a pensarci ci conosciamo
da una vita ma tra noi mai un abbraccio, ignoro che lo sto vedendo per l’ultima
volta. Si spegnerà serenamente nel sonno, dopo aver letto un libro sul Timavo,
probabilmente sognando di quel nostro fiume arcano o di una della tante grotte
esplorate, ha
avuto in premio la
morte del giusto e del buono che meritava. Mi manca moltissimo.” (Perotti).
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7. Le Amare
Riflessioni di Giulio Perotti.. dopo aver dedicato cinquant’anni della sua vita
al
Monte Kronio….
Bellissime
le considerazioni che il Perotti scrisse dopo cinquant’anni di attività. Una
pagina che riporto interamente perché
ricca di tanta sensibilità …
“CONSIDERAZIONI
DOPO CINQUANT’ANNI
Ritornerò in
seguito altre volte a Sciacca per incontri e conferenze: tutte le volte: un
certo interesse
pronto a spegnersi
dopo poco. Ho vissuto per oltre trent’anni in Sicilia, a Siracusa, ma la città che
mi è rimasta nel
cuore è Sciacca, purtroppo continuo a rimanere stupito dell’ abbandono
conoscitivo e materiale, mostrato da quasi la totalità dell’opinione pubblica, verso
tesori che continuano ad essere misconosciuti. Tesori che con un migliore sfruttamento
sia turistico che termale potrebbero, tra l’altro, portare notevoli vantaggi
economici alla collettività. Da quando l’ho conosciuta la prima volta è
peggiorata parecchio, ma è ancora sempre bella. Mi auguro venga attivata una
tutela più severa dei suoi beni culturali. Ho visto costruire case sulle belle
mura spagnole, nascondere alla vista il
Castello Luna e, sul Kronio, costruire e ricostruire per almeno tre volte un
mastodontico, antiestetico albergo, come pure ricoprire col calcestruzzo i
sedili di pietra posati da S. Calogero ed intonacare il coevo muro a secco (ma
perché allora non hanno applicate addirittura policrome mattonelle?), abolire
il “buco dell’orecchio”, ed estirpare il famoso fico sempre verde grazie al
calore endogeno (questo da bravo per fortuna ha pensato di ricrescere) ambedue
ricordati nelle più antiche pubblicazioni, ed altre simili amenità.
E’ possibile che
mai nessuno, investito da poteri o semplice cittadino, se ne sia accorto ed
abbia
protestato? Ormai
sono lontano ed è meglio non mi faccia il sangue marcio a pensarci. Anche se mi
giunge saltuariamente notizia che sconsiderati sono scesi nelle gallerie dei
vasi per fare i bulli, dove già noi vi abbiamo passeggiato un po’ troppo. Là
sotto si è tenuto un rito sconosciuto di cui alcune tracce dovrebbero essersi
conservate ancora. Mi auguro che la Soprintendenza, ora che ha un ufficio in zona, sia inflessibile nel
impedire l’accesso alle gallerie basse anche agli speleologi, sino a quando una
spedizione, allo scopo attrezzata, possa finalmente portarvi gli archeologi per
lo studio, mai stato fatto, dei vasi e dei resti esistenti, per la ricerca di
altri reperti che sicuramente si trovano ancora sepolti nel fango e per tentare
di comprendere i riti che vi si sono svolti migliaia di anni fa. Ho iniziato
questo capitolo con la frase “due sono ancora i problemi irrisolti”: quello
archeologico, e non solo nelle gallerie inferiori, e quello speleo-geotermale;
sono convinto che non arriverò mai a conoscerne la soluzione. Mi sentirei felice
di avere la certezza, ora che come il dottor Faust “sto per giungere al passo
estremo della più estrema etade”, che una notte sognando, come mi auguro sia accaduto
a Coloni, mi sia dato di conoscerne la soluzione per poter dire “attimo
fuggente, fermati sei bello!”
Voglio qui di seguito ricordare i
loro nomi con il numero delle partecipazioni assieme quelli degli
amici locali che ci sono stati
vicini durante tanti anni:
+Beluardo Carmelo
1; Ferluga Tullio 1; +Quintavalle Fabio 1;; Gerlando Tortorici
+Boegan Bruno 2; Filipas Luciano 6 ; +Redivo Bruno 1; Pippo
Bono;
Bone Natale
(Bosco) 5; + Finochiaro Carlo 1; Savio Spartaco 2; Paolo Bono;
Bortolin Giorgio 2;
+ Gherbaz Mario 2; Savi Glauco 1; Nino Gallotto;
+Busolini Enzo 3; Glavina Maurizio 1; + Tinè Santo 4; Antonio Buscarnera;
Candotti Bruno 2; Guidi Pino 2; Toffolin Guido 1;
+Coloni Giorgio 9;
Kozel Adalberto 1; +Tommasini Tullio 1;
Cova Mario 1 ; +Legnani
Franco 1; Torelli Louis 3;
Crevatin Davide 1;
Marini Dario 5; Venanzi Luigi 1;
Diqual Augusto 1; Martincic Roberto 1; +Vianello Marino 1;
Durnik Fulvio 2; + Medeot Luciano 3; Prelli Roberto 4;
Fabi Massimiliano
1; + Perotti Giulio 10.
Giulio Perotti – “Il Papà del Monte Kronio”…
Una Targa ricordo
posta in una parete del Monte Kronio, all’ingresso delle stufe di
San Calogero,
dalla Commissione Grotte del CAI di Trieste per ricordare il compianto
Giulio Perotti
“comandante” delle spedizioni sul Monte.
Una espressione
per ricordare non solo Perotti ma anche tutti gli altri speleologici, molti
dei quali sono
deceduti, che con il loro amore, senza avere e pretendere nulla in cambio,
hanno scritto pagine importanti sul Monte
Kronio.
Pagine forse
dimenticate… ma rimane alta la loro voce per quel desiderio di ricerca, di
conoscenza e
che dal 1957 al
1998 hanno percorso il Ventre del Monte Kronio.
Hanno regalato ai noi Siciliani
una pagina sconosciuta del nostro vissuto….Grazie
Medeot Luciano
Saverio
Coloni Giorgio
Gherbaz Mario
Tinè Santo –
Archeologo
Torelli Louis
...e i grandi
Amici che ci sono sempre stati vicino
don. Giuseppe Pisa
dott. Arturo
Politi
avv. Felice Alba
avv. Guseppe
Puleio
dott. Alberto
Scaturro
dott.GiuseppeVerde
8. Conclusioni
sulle Ricerche Compiute dalla Commissione Grotte C.G.E.B.
Il
Gruppo Speleologico del CGEB di Trieste riuscì a compiere un indagine speleologica, archeologica
e geologica senza precedenti considerando anche le attrezzature tecniche che
nel lontano 1947 erano in dotazione agli speleologi.
Gli
importanti risultati raggiunti si possono così riassumere:
-
Scoperta
di un vero tesoro archeologico in grado di aumentare la conoscenza sulla
preistoria siciliana;
-
Reso
possibile l’inizio degli scavi archeologici nell’Antro di Fazello;
-
Aver
raccolto una documentazione fotografica importante per lo studio archeologico;
-
Chiarire,
anche se in parte, l’aspetto speleo-geotermico;
-
Evidenziare
le modifiche ambientali nelle stufe dall’epoca preistorica sino al momento
delle indagini speleologiche e l’uso, come conseguenza, dell’utilizzo delle
grotte per scopi religiosi e terapeutici;
-
L’arrivo
sino a – 200 metri al fondo del Pozzo Trieste anche se non si è riusciti a
scoprire come questo comunichi con la Grotta Di Milia (tramite passaggio o
fessurazione, ecc.);
-
Evidenziare
come il fenomeno geotermico (il flusso caldo) nella sua dinamica e
caratteristiche di temperatura e portata, sia strettamente legato alla falda
delle acque termali e al suo livello. Per quanto riguarda la portata del flusso
è strettamente legato alla situazione meteorica esterna. È probabile che la
temperatura e la portata del flusso caldo abbiano subito nel corso del
lunghissimo tempo delle variazioni legate alle modifiche delle sezioni di
efflusso. Sezioni che si trovano nelle gallerie superiori che sono state, anche se in parte,
antropizzate, mentre altre dovute a fatti occasionali (frane, , spostamenti
tellurici, ecc.). questi fenomeni hanno causato un innalzamento della base
delle caverne, in almeno 4 metri, con conseguente riduzione delle sezioni di
efflusso. L’intervento murario successivo, probabilmente nel periodo in cui San
Calogero visse nelle grotte, bloccando il livello del pavimento e quindi le stesse sezioni, ha reso stabile
fino ad oggi la temperatura del flusso. Questo spiegherebbe la facilità con cui
gli uomini preistorici portarono i vasi nelle gallerie basse dato che la temperatura
all’epoca era decisamente più bassa.
-
L’aspirazione
dell’aria dall’esterno avviene solo parzialmente attraverso le Grotte Cucchiara
e Gallo mentre la gran parte proviene attraverso le fessurazioni del massiccio
calcareo ;
-
Non
è stato possibile accertare se la Grotta Cucchiara con il Pozzo Trieste costituiscano l’unico
percorso del flusso e di conseguenza non è da escludere che siano due sistemi
separati con circolazioni dl flusso indipendenti.
-
Non
è stato possibile accertare la provenienza del flusso caldo nel Pozzo Trieste.
Una
ricerca straordinaria e con mezzi finanziari limitatissimi in gran parte avuti
dalla Commissione Grotte di Trieste e da mezzi finanziari propri…(delle proprie
tasche ) e mai dalla Regione Sicilia… anzi i suoi Enti… vedi Forestale e
Distretto Minerario cercarono di bloccare nell’ultima spedizione la ricerca…..
Un
gruppo che non mostrò mai aspetti trionfalistici… erano persone serie e il buon
Padre Pisa, da grande carmelitano, s’era accorto di questi grandi uomini che
studiavano, anche a rischio della propria vita, per il raggiungimento della
conoscenza. Gli affidò la statuetta di San Calogero che fu collocata in fondo
al Pozzo Trieste con non poche difficoltà…. e tutto questo fra l’indifferenza
generale.
“I tempi sono cambiati, oggi si ragiona con
schemi e scopi diversi, più utilitaristici e forse più pratici; mi auguro che
altri un giorno, con i mezzi adeguati a noi sempre mancati, abbiano la
possibilità di affrontare nuovamente il problema e spero lo facciano con lo
stesso nostro spirito, ma soprattutto senza la presunzione di aver compresso
sin dal primo momento tutto, allo scopo di poter avanzare subito nuove non
comprovate teorie. Si deve prima sperimentare a lungo e di persona, come noi abbiamo
sempre cercato di fare, e solo dopo osare di avanzare nuove conclusioni od
ipotesi.
Quella scala,
ormai considerata come facente parte naturale della cavità, agevolerà
certamente
di molto i loro
lavori. Chi lo sa se ricorderanno quanta testarda fatica ci è voluta ad uno
sparuto
gruppetto di
entusiasti per, progettarla prima, e montarla poi, in quell’ambiente
seminfernale; a
questi comunque
rimarrà per sempre l’orgogliosa soddisfazione dell’opera compiuta.
Ho riassunto
questi miei ricordi nella speranza possano ricordare a Sciacca, deliziosa città
ma di
corta memoria e
scarso amore ed interesse per se stessa, il dono che un gruppo di triestini,
inseguendo un sogno, in 50 anni di sudori e fatiche, senza alcun interesse materiale
e mossi solo dal fascino dell’ignoto, le hanno offerto.
Ci rimane ormai
solo la speranza che i risultati del cinquantennale lavoro non vadano perduti;
il bel sogno
romantico è finito, ma per i pochi superstiti rimarrà sempre il gratificante
ricordo di un impegno indimenticabile. Guardando le date sono veramente impressionato
dall’abisso di anni che mi separa anche dal più anziano dei compagni rimasti,
potrebbero essere tutti o miei figli o miei nipoti!
Ho ormai
novant’anni, forse è veramente giunto per me il momento di smetterla” (Giulio
Poletti).
Ultima, in ordine di tempo, spedizione a Sciacca. Da
sinistra, in piedi: l’amico di sempre, doti. A. Politi, G. Coloni, L. Filipas,
D. Marini, P. Guidi, A. Diqual, G. Perotti; a terra: G. Bono, N. D’Asaro, N.
Rane, M. Gherbaz.
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9. LA RICERCA CONTINUA….
2012 - 5/16 Dicembre – Commissione Grotte CGEB
(Eugenio Boegan) (Trieste)
Associazione Geografica “La Venta” (Treviso)
Gli
scopi della spedizione erano legati all’accompagnamento di un archeologa della
Soprintendenza di Agrigento all’interno delle stufe per visionare e fare un
sopralluogo sommario dei vasi presenti nelle cavità e continuare l’esplorazione
della cavità posta dopo il “Pozzacchione”. Una prosecuzione, che era stata
intravista nella precedente spedizione, e dal quale, era stato accertato,
proveniva un flusso caldo. Nella grotta fu allestito un set video-fotografico
per riprendere le immagini del sito e furono inoltre rilevate ulteriori
misurazioni fisico-ambientali e
geologiche con nuove e moderne strumentazioni.
Spedizione
rispetto al passato volta in collaborazione con il Comune di Sciacca, la
Soprintendenza per i Beni Archeologici e l’Azienda Autonoma delle Terme di
Sciacca.
Un
gruppo formato da 28 elementi e per
contenere le forti spese intervennero vari enti: la Atlas Copco fornì in
comodato d’uso gratuito due maxi compressori; la Cartubi di Trieste diede la
fornitura gratuita di tutti i tubi necessari al raffreddamento degli
speleologi; il Verdura Golf & Spa Resort di Sciacca ospitò gratuitamente
gli speleologi in ambienti confortevoli, in camere con vista sugli agrumeti
carichi di frutta pronta per essere raccolta.
Furono
collaudate nuove attrezzature per facilitare gli operatori a muoversi in
sicurezza nei vari ambienti.
Una
spedizione, rispetto al passato, che vide il coinvolgimento di molte università
(Torino, Trieste, Firenze, Bologna) e vari enti ed istituiti di ricerca
nazionali.
Erano
passati ben 14 anni dall’ultima esplorazione del mitico gruppo speleologico di
Trieste e lo stato di conservazione di
alcuni manufatti installati all’interno della galleria, nel lontano 1998, era
precario. In particolare la grande scala d’accesso che, percorso il Pozzo
Medeot, portava alle due gallerie dove sono conservati i vasi, era in
condizioni precarie. Una scala che doveva essere sostituita con una più moderna
per consentire un più facile procedere degli operatori anche per un normale
controllo del sito.
Le
esperienze delle precidenti spedizioni del gruppo guidato da Giulio Perotti
servirono d’aiuto perché gli speleologi decisero di adottare quei vecchi
sistemi in particolare per il raffreddamento delle tute con tubi collegati a
dei compressori esterni e l’uso,
innovativo, di raffreddatori portatili sempre collegati all’aria compressa.
Ventilatori che furono scarsamente utilizzati perché creavano una forte
escursione termica. L’utilizzo dei ventilatori si dimostrò invece utile quando
furono collocati nella piccola tenda posta dentro le stufe per creare una
temperatura intorno ai 27°C.
I
compressori erano due, da 10.500 l/minuto e collegati in coppia,, per evitare
che l’improvviso guasto di uno dei due potesse compromettere gravemente l’esito
della spedizione.
La
dott.ssa Gulli della Soprintendenza ebbe così modo di visionare da vicino i
reperti presenti nella Galleria Bellitti prendendo anche dei campioni da
analizzare. Prima di lei il compianto Tinè aveva avuto come archeologo, a rischio
della propria vita perché stava per precipitare nel vuoto se non l’avesse
fermato il compianto Coloni, la gioia di vedere quelle antiche testimonianze.
Fu accompagnata fino alla fine della Galleria Di Milia dove potè ammirare la
straordinaria quantità di vasi depositati da mani antichissime e la diversa
tipologia degli stessi vasi.
Gli
speleologi decisero di esplorare la prosecuzione della galleria Di Milia. Davanti a questa prosecuzione s’erano fermati
gli speleologi nelle precedenti spedizioni.
Adottarono
delle funi delle scalette speleo al posto delle funi per una migliore facilità
d’utilizzo. Fu risalita una china fangosa
per circa dieci metri per giungere ad un pozzo, di una ventina di metri,
anch’esso estremamente fangoso (guano semi-liquido).
La
sua discesa fu complicata dato che gli speleologi dovevano trascinarsi anche i
tubi dell’aria e la continuazione non era percorribile. Una
“finestra” posta sul camino sovrastante il pozzo dava su un cunicolo basso ed
impraticabile e a detta degli speleologi forse “ampliato artificialmente”.
La
spedizione stava per concludersi. Gli speleologi stavano recuperando i tubi
quando notarono un buco laterale. Un buco che era stato visto altro volte e che
era stato considerato come una fessura impraticabile. Si trovavano a fianco
della china detritica presente all’ingresso della Galleria Di Milia, spostarono
alcune pietre che chiudevano il passaggio e si ritrovarono in un ambiente
abbastanza agevole. Qui furono trovati una statuina in pietra, una pietra
incisa e due piccoli oggetti in terracotta. Dopo pochi metri fu rinvenuto uno
scheletro quasi totalmente immerso nel fango. Qui l’esplorazione si fermò per
la mancanza di aria fresca. Un’altra grande scoperta nel Ventre del Monte
Kronio perché l’ambiente prosegue allargandosi ed era sempre interessato dal
flusso d’aria calda.
Del
ritrovamento fu naturalmente avvisata la dott.ssa Gulli, che naturalmente
spinta dall’amore per la ricerca, chiese il recupero all’esterno dei nuovi
reperti, apponendo dei piccoli segnalini nei punti dove gli stessi reperti si
trovavano. Il materiale fu consegnato alla dott.ssa e all’arch. Meli
Soprintendente.
Testimonianza del
pozzo estremamente fangoso percorso in esplorazione (arch. prog. Kronio)
Gruppo
Speleologico CGEB: Roberto Prelli, Louis
Torelli, Lucio Comello, Riccardo Corazzi, Federico Deponte, Maurizio
Glavina, Spartaco Savio, Paolo de Curtis, Piero Gherbaz, Elisabetta Stenner,
Marino Viviani, Eugenio Dreolin, Dario Riavini.
Associazione
“La Venta”: Giovanni Badino, Tullio Bernabei, Carla Corongiu, Vittorio Crobu,
Gianni Del Maschio, Umberto Del Vecchio, Tono De Vivo, Beppe Giovine, Luca
Imperio, Francesco Lo Mastro, Luca Massa, Leonardo Piccini, Giuseppe Savino.
Ha
collaborato fattivamente inoltre l’amico Giuseppe
Bono.
(in
neretto gli Speleologi che avevano partecipato alle precedenti spedizioni fino al 1998).
Roberto
Prelli concluse con un piccolo discorso la straordinaria spedizione ricordando
i tempi passati…
“nel frenetico accavallarsi di ricerca, esplorazione, interviste e
contatti con le autorità locali non siamo riusciti a trovare il tempo per
commemorare degnamente la targa posta all’esterno delle Stufe, dedicata a chi
più di tutti noi ha profuso tempo e denaro per lo studio e la conoscenza del
fenomeno del monte Kronio: Giulio Perotti.
Sono
certo che di ciò ci perdonerà e –chissà– forse da lassù ci avrà indicato
proprio lui la nuova via.”
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2017 – 19/21 maggio
Un
team composto da membri del “Progetto Kronio” (CGEB e “La Venta), con i ragazzi
della società di “Flyability” e con la partecipazione dell’astronauta dell’ESA l’italiano
Luca Parmitano, hanno studiato la Grotta della Cucchiara sul Monte Kronio. Il gruppo ha messo in funzione un drone
dotato di “gimball” che ha urtato deliberatamente i muri del “Pozzo Trieste”
per mapparli, cioè ricercare finestre inesplorate che sono state identificate
per essere successivamente oggetto di indagine. Il drone ha avuto anche il
compito di sondare l’eventuale presenza di anomalie termiche.
Fu
creato un video trasmesso via TV a livello nazionale. La breve spedizione si
concluse con una conferenza legata all’uso delle nuove tecnologie nelle
esplorazioni sotterranee.
Gruppo
CGEB: Davide Crevatin e Max Fabi.
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2018 – 26 febbraio
Spedizione
congiunta:
CGEB:
Spartaco Savio, Marco Armocida, Tom Kravanja, Gianni Cergol
La
Venta: Luca Imperio
Il
gruppo senza l’uso dell’aria compressa giunse alla base del Pozzo Trieste.
Nel
1979 fu Mario Gherbaz a raggiungere la
base e nel 1998 Crevatin e Torelli, tutti con utilizzo d’aria compressa.
Ora
invece si è seguito un ramo laterale, che era stato parzialmente percorso nel
1986 da Savio Prelli, per raggiungere la base del Pozzo con una temperatura che
non superava i 32,5°C.
Il
progetto prevedeva altre esplorazioni nelle gallerie più alte.
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10 - Nel
Ventre Del Monte Kronio Scoperto Il Vino Più Antico Del Mondo.
Gli esami sui residui del 2012 ed ora nel settembre 2017 il
riconoscimento scientifico a livello internazionale.
Nel
2012 gli speleologi della Commissione grotte CGEB di Trieste avevano incentrato
la loro attenzione su una serie di vasi, in perfette condizioni, risalenti all’Età
del rame e posti nelle grotte o Stufe di san Calogero.
Il
liquido contenuto nei vasi fu consegnato ad un team di esperti composto da: Davide Tanasi
(dell’Università della Florida Meridionale), Enrico Greco, Valeria di Tullio,
Donatella Capitani, Domenica Gulli ed Enrico Ciliberto.
Il residuo del liquido fu sottoposto ad accurati e
sofisticati controlli con tecniche di spettrografia ad infrarossi e risonanze
magnetico-nucleare on microscopi elettronici.
Alle fine il responso: all’interno di quei vasi sono
state trovate tracce di acido tartarico e tartarato di sodio, componenti
naturali del vino.
Il più antico vino di cui si abbia traccia ad
eccezione di uno in Cina che risalirebbe ad almeno 7000 anni fa ma sul quale le
informazioni e le relative notizie sono ancora oggi molto contrastanti.
In Italia il ritrovamento più antico era riferito al
3000 a.C. ed era stato effettuato in Sardegna.
La scoperta del vino rinvenuto sul Monte Kronio fu
pubblicata nella rivista “Microchemical Journal” e dimostra che la viticoltura
e la produzione di vino in Italia non cominciarono nell’Età del bronzo, ma
almeno 2000 anni prima.
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11. Gli Antichi Frequentatori
Diodoro
Siculo cita sulle imprese di Dedalo le grotte del Kronio e l’eccezionalità del
fenomeno vaporoso che erano noto sin dall’antichità.
Gli
antichi abitanti, Sicani (?) rimasero colpiti nel vedere che da una caverna
posta in cima ad monte usciva del fumo umido e tiepido. Probabilmente
utilizzarono quel rifugio come dimora. Un rifugio protetto dai venti, posto su
un luogo dominante, esposto a mezzogiorno, vicino al mare pescoso e a campi
ricchi e fertili, un luogo tiepido in
grado di offrire un caldo tepore durante le freddi notte.
Le
tracce archeologiche trovate evidenziano una presenza umana dal primo neolitico
(3500 – 4000 a.C.), periodo in cui alcune cavità furono abitate. Verso l’età
del bronzo (2000 a.C.) gli abitanti, che ormai mostravano una gran confidenza
con le grotte esistenti, decisero di esplorare quel misterioso pozzo dal quale
proveniva quel bellissimo flusso di calore. Scoprirono delle gallerie che partivano dal fondo del pozzo e decisero
di utilizzarli per depositarvi i morti con offerte rituali. La frequentazione
cessò improvvisamente per lungo tempo. Probabilmente sia per l’arrivo dei greci
e poi per quello dei romani. Questo è provato dai numerosi reperti che
testimoniano l’uso della grotta solo come sito di culto di qualche divinità
infera.
Abbiamo
visto come Diodoro Siculo citò la grotta come opera di Dedalo, che fuggito
da
Creta, trovò ospitalità presso il re Cocalo a Guastanella ?
Successivamente
vi trovò riparo San Calogero, famoso monaco e taumaturgo, che utilizzò questi
ambienti abbandonati da tempo. Vi costruì dei muretti e concentrò il vapore in
una zona ristretta rendendola adatta per le cure termali. Fu lui ad adattare
l’Antro di Dedalo nel quale costruì una serie di sedili in pietra. L’unica
caverna superiore risultò cos’ divisa in vari ambienti: La grotta dell’Eremo,
dove si tramanda che lui dormisse; la grotta del santo, la zona di preghiera;
la stufa degli animali dove il calore era più mite e vi portavano a curarsi gli
animali; l’Antro di Dedalo per gli uomini e l’Antro di Fazello non usato e che
a quel tempo era collegato al resto solo attraverso un angusta strettoia dalla
quale proveniva il flusso caldo. Le prime due fredde e le altre calde.
Sulla
vetta sorse la basilica ed un convento mentre per le cure termali fu costruito uno stabilimento
termale..
PERCHE’ LE DEPOSIZIONE DI VASI NELLE STUFE DI SAN CALOGERO ?
Ingresso della Galleria Di Milia
Scheletro con corredo di due vasi
ed un altro sepolto nel fango
(foto di G. Perrotti)
Perché
la presenza di tanti vasi nelle gallerie più basse ?
Probabilmente,
come afferma il Perrotti, un tempo in queste gallerie la temperatura era più
bassa.
Fu
accertata nelle precedenti spedizioni la presenza di tracce d’opere lungo il
pozzo. Tracce per l’appoggio di
primitive scale e resti di primitive lucerne per l’illuminazione lungo le
pareti.
I
preistorici nell’entrare nelle grotte incontrarono grosse difficoltà sia per il
trasporto nelle gallerie inferiori delle salme e dei vasi.
Furono
individuati nelle spedizioni dal 1947 al 1998 ben 40 scheletri.. e questo
rilevamento ha una sua importanza. Ancora oggi non si è riusciti a chiarire lo
scopo della loro collocazione in simili anfratti e sui riti che certamente si
svolsero.
Galleria Di Milia,
zona mediana, vaso ancora in sito con traccia del corpo deposto Foto
(G.Perotti)
Solo
in due casi si è riscontrato la presenza di resti scheletrici completi e
precisamente: uno accostato a due vasi ed un altro totalmente sepolto nel
fango, come probabilmente lo è anche il suo corredo. Circa il gruppo di
ossicini che furono trovati in un vasetto rotto è ancora da chiarire se siano
umani o animali.
Solo
in un singolo caso si riesce ancora a distinguere l’impronta lasciata dalla
consunzione di un corpo, sempre deposto sul fianco destro ed in posizione
fetale e che, anche dopo un attento esame del luogo, non è stato possibile
accertare la pur minima presenza di residui scheletrici.
Si
possono fare solo delle ipotesi come rilevò il Perotti anche basandosi sugli
scavi archeologici che il Tinè fece nell’Antro Fazello.
Durante
l’ultimo periodo dello stanziamento umano nelle caverne alte, le gallerie basse
furono utilizzate come sepolcreto quindi
per la deposizione dei morti con i loro corredi.
Successivamente,
dopo molto tempo, i resti scheletrici potrebbero
essere stati rimossi allo scopo probabilmente di sistemarli altrove. In questo
caso anche la presenza delle ossa umane sconvolte, ritrovato nello scavo
archeologico nella caverna alta, potrebbe portare a questa ipotesi.
I
due scheletri ancora presenti, che potrebbero essere fra gli ultimi deposti,
danno quasi l’impressione di essere stati dimenticati o abbandonati forse
perché non pronti per la loro rimozione quando finì l’utilizzo delle gallerie a
sepolcreto.
Il
tutto collegato ad una repentina fruizione abitativa della caverna superiore…
abbandono forse causato da un aumento della temperatura dei flussi ?
Un’altra
ipotesi potrebbe essere legata all’utilizzo delle gallerie inferiori di offerte
rituali ad una divinità infera.
In
una grotta lavica del catanese furono trovati anni fa numerosi vasi, impronte
di deposizioni ma nessun scheletro o in ogni caso presenza di ossa umane.
Il
prof. Bernabò Brea affermava..” quello che si dice oggi può essere contraddetto non più tardi di
domani; basta aprire un nuovo scavo, magari nello stesso sito, ma con metodo
che nel frattempo si è perfezionato”….
Probabilmente opportuni ed accurati scavi,
malgrado le difficoltà, potrebbero svelare tanti misteri e nello stesso tempo
portare a conoscenza costumi e modi di vita di gente vissuta 6000 – 4000 anni
fa.
Galleria Di Milia:
zona mediana, traccia del corpo deposto con il capo tra due pietre e vaso
infilato dietro queste (Foto G.Perotti)
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12. L’Antiquarium
di Monte San Calogero
L’Antiquarium
di Monte San Calogero è un vero gioiello archeologico. Un Museo che si può
considerare come uno dei più importanti del panorama scientifico internazionale
per diversi motivi:
-
Condizione
dei rinvenimenti;
-
La
specificità dell’altura interessata dal processo termale;
-
L’ubicazione
del museo all’interno dello stesso complesso termale. Un aspetto che viene
esaltato dalla singolare presenza, proprio all’ingresso, della bocca fumante di
fuoriuscita dei vapori dall’Antro di Dedalo.
Molti
reperti del sito si trovano al Museo di Agrigento ma il breve percorso
all’interno del Museo di Monte San Calogero permette di evidenziare le varie
fasi di frequentazione del sito. È presente un plastico, uno spaccato del
Monte, che mette in risalto il sistema carsico, con il suo deposito antropico
ancora in situ e l’intricata rete di gallerie attraverso le quali è ipotizzata
la risalita dei vapori.
È
presente anche un accurato sistema didattico-documentario con la quale è
possibile osservare i complessi fenomeni di vulcanismo sottomarino che
caratterizzano il “Mare Nostrum” (Canale di Sicilia) in prossimità delle coste
di Sciacca. Fenomeni che nel lontano 1831 diedero origine all’effimera emersione dell’Isola Ferdinandea.
Segue
l’illustrazione dei fenomeni vaporosi del Monte Kronio con le ipotesi sulla
loro origine, la storia delle affascinanti esplorazioni speleologiche e quelle
delle ricerche archeologiche.
I
reperti sono esposti in due vetrine anche questa accuratamente proposte. Una è
dedicata alle fasi preistoriche mentre la seconda mostra reperti riconducibili
alla frequentazione del sito a partire dal VI secolo a.C. sino all’età
medievale ed oltre.
L’esposizione
si conclude con la sintesi della storia del termalismo a Sciacca che in età
romana fu centro di un importantissimo centro amministrativo e fiscale e che
dopo il V secolo vide in una grotta vivere il Santo taumaturgo San Calogero.
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