MONTE PELLEGRINO (RNO) – “ Il Promontorio più bello al mondo”…..
Seconda
Parte: La Storia – Il Versante Occidentale – l’Iscrizione della Valle del Porco
–
Le Grotte e i Graffiti del
Paleolitico - Villaggio Eneolitico Giusino – Necropoli Valdesi
Il Monte Pellegrino, “Munti Piddirinu” in lingua Siciliana, è un promontorio di natura calcarea, alto circa 609 m s.l.m., che chiude a Nord il Golfo di Palermo e Sud quello di Mondello.
Indice
- Etimologia;
- Configurazione;
- Riserva Naturale Orientata (Comprende anche il Parco della Favorita);
- Storia (cenni);
- Versante Occidentale del Monte Pellegrino;
- L’Iscrizione nella “Valle del Porco” - Cenni sul Villaggio Giusino e la Necropoli Valdesi
- Le Grotte: Grotta dell’Acqua; Grotta della Speziaria; Grotticina; Grotta dei Capezzoli; Grotta della Monaca; Grotticina; Grotta del Roveto; Grotta di Giacchery; Grotta del Ferrero e il Teschio (la sua scoperta e i reperti perduti perché gettati dalla famiglia di un noto professionista; L’analisi del Teschio); Grotticina; Grotta del Ponte o del Porcospino; Antro Niscemi; Grotta Niscemi con i suoi graffiti del Paleolitico; Grotta della Diaclasi; Grotta della Civetta; Grotta del Laghetto; Fessura (Valdesi); Grotta della Finestrella; Grotta della Colonnina; Grotta del Vallone “La Montagnola” (N.B. le coordinate delle grotte sono state tratte da antichi testi e potrebbe non corrispondere a quelle di Google Maps);
- Villaggio Giusino;
- Necropoli Valdesi e gli ultimi rinvenimenti del 2017.
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1. Etimologia
Era chiamato dai Greci “Heirkte” ( “solitario “ ?) e dagli Arabi “Bel Grin” o “Gebel Grin” (“monte vicino”). I Romani chiamarono il Monte “Mons Pegregrinus” che nella letteratura classica significa “monte nemico”. Il monte era presidiato dalle truppe di Amilcare Barca ed i Romani per tre lunghissimi anni non riuscirono ad espugnarlo. “Pregrinus” era chiamato non solo lo straniero o chi soggiornava in un paese straniero ma anche il nemico.
C’è anche una leggenda a spiegare il termine “Pellegrino”.
“… in un tempo lontano viveva sul promontorio un drago con due teste,la lingua lunga due metri, sei zampe ed una coda così forte da riuscire a sradicare un albero con un piccolo movimento.. Il mostro viveva in una grotta del monte Heirkte. Naturalmente il terribile drago era il terrore della gente che era costretta non solo a vivere nella perenne paura ed angoscia ma anche condurre una vita ritirata. Anche gli animali selvatici che era riusciti a sfuggire al drago si erano allontanati dal territorio verso luoghi più sicuri. Con un selvaggina ormai scomparsa sul monte il drago andava a caccia di esseri umani. I saggi della città stanchi e impauriti decisero di mandare sul monte un gruppo di valorosi ed eroici cavalieri armati di frecce e lance. L’obiettivo era quello di uccidere l’animale. Ma tutto fu inutile. Gran parte di quei valorosi cavalieri furono uccisi e divorati dal drago. Un giorno giunse nel porto della città una nave e tra i suoi passeggero un gigante, “una specie di Polifemo” che portava con sé un tronco d’albero come se fosse un bastone. Con quel legno il gigante aveva ucciso mostri ben più pericolosi di quello che viveva sul monte Heirkte.
Naturalmente il gigante chiese un compenso per agire con il mostro che gli fu accordato. Si avviò verso il monte e appena lo vide fu costretto a fuggire… dovette ammettere ai palermitano la sua sconfitta.
Il drago diventò più cattivo ed esigente e i palermitani per paura di essere uccisi e divorati li mandavano una grande quantità di cibo e quando alla fine non ebbero più nulla da dargli, furono costretti a prendere una gravissima decisione: “gli portarono in dono un bambino della città scelto a sorte tra i tanti”.
Per fortuna il sacrificio non fu compiuto. Un uomo, che si trovava di passaggio, venne a conoscenza di quel gesto scellerato e riuscì a bloccare la popolazione che si apprestava a portare il bambino al suo triste destino.
Quell’uomo si chiamava Pellegrino, riuscì ad evitare il sacrificio del bambino e promise ai palermitani che avrebbe affrontato ed ucciso il drago che ormai da tanto tempo teneva nella paura la città. I palermitani restarono increduli ma Pellegrino rispettò la promessa. Una volta al cospetto del drago fece un gesto con il bastone, che si portava sempre con sé. Fu un attimo…. Un’immensa voragine s’apri ai piedi del drago che scomparve nelle viscere della terra.
Grande fu la felicità dei palermitani e il Pellegrino andò a vivere nella grotta dove aveva vissuto per tanto tempo il drago. I palermitani con grande riconoscenza andavano spesso a visitarlo e a portargli del cibo. Da quel santo il promontorio prese il nome di “Pellegrino”… Una leggenda forse anche legata ai monaci basiliani che sicuramente abitarono e vissero nella preghiera in alcune grotte del monte, dove nel passato si veneravano dei pagani, come testimonierebbero certi ritrovamenti archeologici.
1. 2. Configurazione
Il Monte si protende sul mar Tirreno con ripidi fianchi segnati da fratture millenarie che presentano numerose cavità.
I viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento lo visitarono e Goethe lo definì “il promontorio più bello al mondo”.
In realtà Monte Pellegrino nasconde aspetti storici e naturalistici forse sconosciuti agli stessi siciliani. Per il suo particolare aspetto sembra quasi invalicabile e ha in sé un qualcosa di magico di mistico proprio per quel contrasto tra maestosità, natura selvaggia data dalle aree brulle e assolate, e la dolcezza dei suoi siti così ricchi di antiche memorie e presenze umane. Tutti aspetti che nella cultura del Settecento e nell’età Romantica avevano una loro valenza perché apprezzati dai lettori.
Sommer Giorgio (1834-1914)
Il versante Sud, che si affaccia su Palermo, presenta disposti quasi simmetricamente le cime di Pizzo “Volo dell’Aquila” e “Primo Pizzo”. Cime che sono separate da una grande depressione detta “Scala Vecchia” dove fu creata l’antica strada medievale costituita in parte da arcate in pietra. Strada che conduce alla sommità del Monte fino al Santuario di Santa Rosalia.
Monte Pellegrino visto da Sud (da Palermo) prima della costruzione della Via Bonanno e dell’impianto di rimboschimento
Il versante Orientale, prospiciente il mare, è caratterizzato dalle pareti rocciose più alte (360 m il dislivello più alto in corrispondenza di “Pizzo Monaco) e delimitate da profonde incisioni ripide, coincidenti con le faglie, in cui il detrito fa formato dei coni che risalgono fino ad un terzo e spesso anche alla metà del dislivello totale. In questo settore le pareti rocciose si affacciano sulle borgate marinare dell’Arenella e della Vergine Maria mentre più a Nord si trova la “Scaletta della Perciata”, a nord delle Grotte dell’Addaura, che si dall’antichità consentiva l’accesso, anche s non molto agevole, alla parte sommitale del monte.
Il versante Settentrionale si affaccia sul Golfo di Mondello ed è caratterizzato dalla affilata cresta di Valdesi mentre ad est si nota il Sentiero della “Vuletta Grande” e la rampa sotto il “Pizzo Rufuliata” dove si snodano i tornanti della Via Ercta.
Monte Pellegrino visto da Nord e parte del versante orientale dalla Cresta di Valdesi
fino alla Cresta della Perciata. Si notano i tornanti della Via Ercta e i conoidi di detrito.
Il versante occidentale, che sporge sul Parco della Favorita, presenta delle pareti verticali, strapiombanti che coprono un dislivello minore rispetto al quelle poste sul versante orientale. Presentano un aspetto meno frastagliato e questo ha permesso il formarsi di un accumulo di detrito di falda secondo una fascia regolare. A Nord dello Sperone dello Schiavo è presenta una profonda incisione che ha formato la “Valle del Porco”. Un’antica via d’accesso alla sommità del monte e che si spinge fino al Pizzo della Rufuliata
Monte Pellegrino Visto da Ovest cioè dal Parco della Favorita
Monte Pellegrino presenta quindi un orografia particolarmente variegata, ricca di pianori praticabili che sono caratterizzati da evidenti fenomeni di carsismo per cui le acque non scorrono in superficie ma s’infiltrano tra le rocce per poi riapparire come ricche sorgenti.
Ha una pianta alquanto allungata e i due lati maggiori guardano uno il Mare Tirreno e l’altro la piana retrostante (Conca d’Oro). Il lato più corto è quello che guarda il Golfo di Palermo.
Il versante occidentale confina con la campagna, ormai urbanizzata, della Piana dei Colli e con la parte terminale della Conca d’oro anch’essa ormai quasi completamente urbanizzata.
Il versante settentrionale, che si affaccia su Mondello, forma uno scenografico anfiteatro naturale a ridosso del quartiere Addaura mentre il versante meridionale si affaccia sul Golfo di Palermo come a chiuderlo. Questo squarcio è quello maggiormente ripreso dai ritrattisti dell’Ottocento.
La sommità del Monte è costituita da una piattaforma rocciosa pianeggiante sulle quale si ergono picchi ed alture di cui la maggiore è la vetta del Monte con i suoi 609 m s.l.m. e che anticamente serviva come luogo di vedetta. Un importante sito strategico militare.
La configurazione del Monte Pellegrino:
i due lati più lunghi uno rivolto sul mare e l’altro sulla pianura retrostante
il lato più corto è quello che si affaccia sul Golfo di Palermo.
1. MONTE PELLEGRINO – RISERVA NATURALE ORIENTATA (RNO)
Codice: PA13
Codice EUAP (Elenco Ufficiale Aree Protette): 0839
Codice WDPA (World database On Protected Areas): 63172
Classificazione Internazionale: Categoria IUCN IV
(Area di Conservazione Habitat/Specie – Commissione Mondiale Aree Protette)
Tiplogia: R.N.O.
Zona A (in Ettari) : 783,125 ha
Zona B (In Ettari) : 233,75 ha
Totale (in Ettari) : 1016,875 ha
Ente Gestore : Rangers
Comune : Palermo
Caratterizzazione della Riserva : AB + CA (Aree Boscate + Cavità)
L’area è inserita nell’elenco dei Siti d’Interesse Comunitario: ITA020014
ZCS (Zona Speciale di Conservazione): ITA020014 ( 861 ha) con DDG di Approvazione Piano di Gestione n. 563/2010 con D.M 21/dicembre 2015 (GU, Serie generale, n. 8 del 12 gennaio 2016)
“Designazione di 118 Zone Speciali di Conservazione (ZSC) della regione biogeografica mediterranea insistenti nel territorio della Regione Siciliana. (16A00078)”
Nel 1991 l’area fu inserita nel Piano regionale dei Parchi e delle Riserve Naturali che fu approvato con Decreto Assessoriale n. 970 del 10 giugno 1991.
La Riserva fu istituita con Decreto dell’Assessorato Regionale al Territorio n. 610/44 del 6 ottobre 1995, pubblicato in G.U.R.S. n. 4 del 20 gennaio 1996, ed affidata in gestione all’Associazione Rangers Italia.
La stessa Riserva è tipologicamente “Riserva Naturale Orientata”, identificata ai sensi dell’art. 6 della Legge Regionale 14/88, istituita per la conservazione dell’ambiente naturale e per l’interesse botanico dei suoi numerosi neo-endemismi.
La sua biodiversità si manifesta in circa 7774 specie vegetali oltre alle sue 134 cavità di interesse speleologico, paleontologico e paletnologico, ed alla fauna ornitologica ed entomologica.
Con Decreto del 4 agosto 2003, pubblicato nella GURS n. 40 del 12 settembre 2003 fu approvato il “Piano di sistemazione e la nuova perimetrazione della Riserva Naturale Orientata Monte Pellegrino, ricadente nel territorio comunale di Palermo”.
La Riserva comprende l’intero massiccio del Monte Pellegrino (zona A), Bosco di Niscemi (Zona A con D.A. n. 798/44 del 13 novembre 2011) e la Real Tenuta della Favorita (Zona B o di pre-Riserva) ad esclusione delle zone sportive.
In base al D. A. n. 87 dell’11 giugno 2012 che stabiliva “le modalità d’Istituzione dei GEOSITI e istituisce il Catalogo Regionale dei Geositi della Sicilia” e al Decreto A del 29 agosto 2017 in merito a “Istituzione dei Geositi ricadenti in Aree di Riserva Naturali per motivi Geologici”, con DA del 5 ottobre 2017 n. 349, pubblicato nella G.U.R.S., Parte I n. 43, del 13 ottobre 2017, inserì due importanti Geositi che si trovano nella Riserva Naturale Orientata di Monte Pellegrino:
Geosito n. 70 – Complesso della Grotta di Monte Pellegrino – Abisso della Pietra Selvaggia –
Categoria : Areale; Elementi Costitutivi: Elementi Simili; Interesse Scientifico: Speleologico;
Grado di Interesse: Regionale; Comune: Palermo; Provincia: Palermo; Riserva Naturale: Monte Pellegrino
Geosito n.71 - Complesso delle Grotte dell’Addaura – Addaura Grande o Grotta Perciata
Categoria: Areale; Elementi Costitutivi: Elementi Simili; Interesse Scientifico: Geoarcheosito;
Grado d’Interesse: Mondiale; Comune Palermo; Provincia – Palermo; Riserva Naturale: Monte Pellegrino.
Mappa dei Geositi ed Aree Geologiche Importanti
4. STORIA
Il Monte fu menzionato da Polibio con il termine di “Ercte” o “ Eircte” perché durante la prima guerra punica, 247 a.C., Amilcare Barca vi pose l’accampamento tenendo testa ai Romani, che occupavano Palermo (Panormus), per tre anni.
Sembra che lo stesso Polibio e Diodoro Siculo lo chiamarono “Munitione” cioè “luogo forte” (come un castello).
Polibio (150 a.C.) … lo indica pure con il termine di “carcere” o “Epiercta”….” “…è un monte da tutti i lati scosceso, che dalla pianura che gli sta attorno sorge ad una ragguardevole altezza. Precipizi inaccessibili li cingono dalla parte della marina… Possiede un porto opportuno a quelli che fanno vela da Trapani, da Lilibeo verso l’Italia, e il quale è abbondantissimo di acqua. Tre sono le vie che menano a questo monte, ma tutte difficili; due da terra e una dal mare”
Plinio lo citò con il termine di “Rocca Naturale” per il suo aspetto strategico militare posto a difesa della città di Panormus.
Infatti Amicalcare Barca, padre di Annibale, lo utilizzò come base d’accampamento per assediare la città nel 246 a.C. sfidando la grande potenza e valore dei Romani che non riuscirono ad espugnarlo. Per ben tre anni i tentativi dei Romani furono inutili fino a quando Pirro, re d’Epiro, riuscì con il suo esercito a penetrare sul Monte, sfruttando gli “ingressi” della Favorita e di Mondello, riuscendo a scacciare i Cartaginesi.
I Normanni lo chiamarono ”Pellero” e in un diploma del 1184, riportato dal Mongitore, venne indicato, forse per la prima volta, con il nome di “Mons Peregrino”.
In realtà il Monte ha una sua storia ancora più antica perché le sue grotte furono abitate in epoca preistorica.
Una vasta necropoli si estende alle falde del monte dove furono rinvenute ossa di cadaveri giganteschi a sostegno della leggenda sulla presenza nell’isola di giganti, esseri antidiluviani.
Furono rinvenuti anche alcuni reperti e sotto le fondamenta di un’antica torre, alcune medaglie puniche fra cui una forse relativa a Palermo. Da un lato è raffigurata la testa di un giovane coronata d’alloro e nel rovescio una torre rotonda denotante un Cronio, cioè uno dei tanti castelli che Saturno (secondo alcuni Cam, figlio di Noè), edificò in alcuni luoghi della Sicilia Occidentale. Nella medagli la scritta “IIAN”. (Moneta e torre che vennero citati da Agostino Inveges nei suoi “Annali della Città di Palermo”)
Nel Settecento le pendici di Monte Pellegrino erano diventate confine di bellissime ville suburbane della nobiltà palermitana e siciliana. Furono istituite delle tenute di caccia mentre ad oriente, le pendici prospicienti il mare, furono colonizzate da borgate, tonnare e ville.
La parte sommitale del monte continuava ad avere il suo aspetto brullo, selvaggio rispetto alla bellissima passeggiata sul lungomare a valle.
Alla fine dell’Ottocento la borghesia urbana, copiando lo sviluppo delle grandi città del continente, cercò di dare al promontorio una diversa immagine avviando un ricco programma di rimboschimento tralasciando gli aspetti tipici della flora del sito che rispondeva alla macchia mediterranea.
Si cominciò a cercare di sfruttare il monte per fini utili secondo i progetti dell’architetto comunale Damiani Almeyda e quelli privati con la creazione di una stazione climatica d’elite per villeggianti stabili e ospiti stranieri alla ricerca della vicinanza del mare, del clima collinare, del belvedere e della vicinanza della città.
5. Versante Occidentale
5. Versante Occidentale
È
il versante più lungo, circa 6 km, da “ Primo Pizzo” fino alla “Punta Celesi” o
di “ Valdesi sul Mare”. Presenta delle grotte di modesto sviluppo perché in
massima parte d’origine marina. L’unica eccezione è la Grotta del Ferraro il
cui sviluppo comunque è sempre modesto.
La
maggiore presenza di grotte si ha nel tratto tra il “Primo Pizzo” e “Pizzo
Vuletta” che nell’ultimo conflitto fu zona della Marina Militare e quindi
ancora oggi di difficile accesso
Zona
che fu completamente devastata.. senza alcun rispetto per le sue
testimonianze….
L’importanza
del Monte Pellegrino non è solo legata alla sua sommità ma anche alla fascia
pedemontana. Sotto l’aspetto archeologico questa zona occidentale presentava un
tempo degli aspetti sicuramente interessanti. La necropoli preistorica della
media età del Bronzo nella Grotta del Ferraro, lascia intuire l’esistenza nelle
immediate vicinanze di un villaggio preistorico. La stessa presenza d’acqua in
alcune grotte (del Ferraro e dell’Acqua)
lascia intuire una certa frequentazione.
Le
grotte furono svuotate dai loro preziosi reperti sicuramente in primis dai
pastori a cui si aggiunsero gli scriteriati lavori della Marina Militare che,
non avendo altro sito migliore dove “costruire” le sue barricate, trasformò e
sconvolse il sito rendendo penso ormai impossibile ogni scoperta. Probabilmente
molti reperti saranno venuti fuori durante i lavori e chissà se non fanno bella
mostra di sé in qualche casa di addetto ai lavori……….
“Nell’alto della
forra disseminata in questa zona davvero alpestre vi sono le stesse capanne
neolitiche che, a circa cinque chilometri, ritroviamo a Valdesi, mentre in
basso verso il cancello dei Leoni, abbiamo prove sicure d’abitazioni
preistoriche…”
La
zona che è accennata è quella del Vallone della Monaca nella sua parte e alta e
bassa nella piana, vicino purtroppo al deposito militare della Marina. C’era
anche una statua di Diana… andata perduta o chissà……..(statua di cui citerò in seguito).
Superato
il piede di “Rocca dello Schiavo”, a destra si presenta la Valle dell’Ilice, si
prosegue a nord dove s’incontra prima l’antro Niscemi e poi la Grotta Niscemi.
Lungo il tragitto il prof. Mannino notò
rare schegge di selce, che per essere una roccia estranea al monte, fa quindi
pensare ad un possibile insediamento magari con l’aspetto di capanne o piccolo
villaggio.
Un
sito importante sarebbe quello del “Torrione” allo sbocco della Valle del
Porco. V. Giustolisi affermò che “ sporadici
frammenti fittili ed asce neolitiche, che si rinvengono nella prossimità della
grotta Niscemi, fanno inoltre ritenere che nella zona siano sorti dei piccoli
nuclei abitati, la cui vita si è protratta per tempi abbastanza lunghi. Ora,
uno di tali nuclei potrebbe essere esteso all’ingresso della Valle del Porco
dato che frammenti di fattura indigena si rinvengono sulla superficie del
terreno, estratti forse dalla recente opera di rimboschimento. Nella stessa
zona sono molto abbondanti invece i frammenti fittili di età ellenistica,
appartenenti per lo più a prodotti del IV – III a.C.), i quali, assieme alla
presenza di alcuni muri affioranti dal terreno e di una cisterna certamente
antica, mi fanno concludere per l’esistenza di un insediamento. Questo
estendendosi ai due lati del vallone scavato dal deflusso delle acqua piovane,
su un terreno leggermente in pendio, non presenta, in verità, caratteristiche
naturali che possono avergli conferito un ruolo militarmente importante. La sua
vita è evidente, deve essersi fondata sullo sfruttamento dell’antistante
pianura, oltre che dal pianoro superiore del monte”.
Di fatto ho
constatato l’apparente assenza di ceramica punica ed un forte affievolirsi o
addirittura un arresto della vita verso la fine del III secolo a.C.
Non è improbabile
pertanto che il luogo sia stato messo a soqquadro dai Romani durante uno dei
loro attacchi o quando Amilcare Barca lasciò il Monte Ercte (Pellegrino).
Bisogna aggiungere, inoltre, che nel caso di un assedio, il sito poteva bene
prestarsi da base da cui muovere contro lo sbarramento che, vediamo, era stato
creato dai cartaginesi allo sbocco in alto della Valle.
Un presidio
militare delle forze di Amilcare, ai piedi dell’accesso della Valle del Porco,
rientra nella logica di una efficiente difesa dell’Ercte, tuttavia per la
particolare topografia del sito già di per sé munitissimo si può anche pensare
che non si ravvisò la necessità di difendere anche le pendici”.
La
valle del Porco è in effetti un erta salita tra due ristrette ali pareti
scoscese ed anche difficilmente accessibili.
Salendo
lungo la Valle del Porco, quasi dopo
un centinaio di metri più in alto di un grosso muro di sbarramento creato per
frenare i materiali di dilavamento. In corrispondenza di un tratto della parete
destra che è leggermente aggettante a spigolo, è presente una placca rocciosa
ben in vista per chi sale sulla quale è
incisa, in maniera grossolana, un’iscrizione.
6. L’ISCRIZIONE
NELLA VALLE DEL PORCO
Cenni sul Villaggio di Giusino e sulla Necropoli di Valdesi
La freccia gialla
indica la posizione dell’iscrizione
Valle Del Porco
vista dal Parco della Favorita
Valle del Porco
vista dall’Altopiano
L’iscrizione
fu segnalata per la prima volta dall’ing. C. De Stefani che l’attribuì al
periodo “neopunico”.
Fu
quindi citata da O. Acanfora che la inserì nel “quadro delle mescolanze
greco-semitiche della Sicilia Cartaginese” e
da G. Cavallaro che classificò l’iscrizione al “minoico-lineare”.
Per
ultimo N. Bonacassa scrisse che “l’iscrizione
è indiscutibilmente cristiana”… datazione “primi decenni del VII secolo”…. con la seguente lettura…”Sii
glorificato dovunque sempre, o Dio”.
Iscrizione
scalpellata nella roccia della Valle del Porco
Lo
stesso Bonacassa scoprì un masso vicino con incisa “una croce immissa, su un
triangolo, fra le terre I e S”.
Masso
che si trova di fronte all’iscrizione, “
sotto il costone sinistro della valle, a 25 metri circa il linea retta dalla
parete iscritta, la faccia che interessa è quella rivolta a meridione”.
Croce “immissa” su
triangolo, fra le lettere
“I” e “S” – “Iesus
Salvator”
Scalpellata su un
masso della Valle del Porco
Lo
studioso ricordò anche un’altra croce posta su un masso “più in alto del primo ed a destra del sentiero, ora vandalicamente
scalpellata e distrutta. Ed è anzi
probabile che la via conducesse a qualche sacello racchiudente un icona
venerata” …. che probabilmente andrebbe ricercata
La
Valle del Porco anche se sembra accessibile, in realtà non permetteva di
attaccare l’esercito cartaginese posto sul monte così come per le altre vie
d’accesso.
La
via da seguire per i Romani era solo quella di togliere ad Amilcare la
possibilità di ricevere i rifornimenti via mare. Ma per attuare questa
strategia era necessario conquistare i presidi dell’Arenella e dell’Acquasanta.
Polibio
affermò che “Amilcare avventurandosi nel
bel mezzo del nemico riservò non di meno ai romani scontri e pericoli di non
poco conto, né usuali”…. I Romani in definitiva sembravano più preoccupati di difendere Palermo (Panormus”
piuttosto che avventurarsi in un impresa dagli esiti assai incerti come la
conquista del Monte Ercte (Monte Pellegrino).
Proseguendo
si raggiunge la località “La Pertica”. In questo punto la falesia, sempre alta
ed inaccessibile, s’abbassa lasciando aperto un varco di circa venti metri
abbastanza facile da percorrere. Un varco che permette l’accesso al monte da
due vie che sono opposte: quella di sinistra è segnata nella cartina dell’IGM,
l’altra detta “Scaletta della Pertica” è segnata sulla carta TCI.
Questi
accessi spiegano la presenza di numerosa ceramica punica e persino di frammenti
di macine di pietra lavica che potrebbero testimoniare l’esistenza anche di un
centro abitativo forse anche a difesa del passo.
Il
Mannino rilevò come il terreno a valle del passaggio presentava un aspetto altimetrico innaturale
con un terrapieno dove per il deflusso delle acque, il suo doveva essere
profondamente inciso. Lo stesso prof.
pensò ad un antica opera di sbarramento per impedire l’ingresso dei nemici e
questo anche per il rilevamento di numerosa ceramica punica. Ceramica punica
che era presente su un vasto territorio di alcune migliaia di metri quadrati.
Andando verso Nord infatti la ceramica punica sparisce per dare il posto a
frammenti ad impasto d’origine preistorica.
Il
materiale preistorico venne alla luce
all’incirca nel 1975 quando l’area, a monte del primo tratto di V.le
Regina Margherita, fu terrazzata per destinarla a coltivazione di fiori (sembra
gladioli…).
Fu
il sig. Rolando Laganà che segnalò alla Soprintendenza Archeologica un
probabile fondo di capanna sulla quale aveva raccolti dei frammenti poi donati
al Museo Archeologico.
Un
sopralluogo rilevò l’esistenza del
villaggio che non sembri superare il V.le R. Margherita. Pochi frammenti furono
raccolti e permisero di avere un’idea dell’abitato che fu collocato “verso la fine della prima metà
dell’Eneolotico”.
Orcio biansato
dell’Eneolitico (Villaggio Giusino)
Questo
villaggio fu chiamato del “Giusino”, dal nome della località, e si prosegue
sino a giungere al Canalone della Pietraia, una delle vie d’accesso al Monte.
Alla base del canalone anche qui, come nella Pertica, il terreno presenta un
aspetto altimetrico anomalo. È presente un terrapieno con non sembra avere lo
funzione di sbarramento ma di contenimento. Non si tratta di un opera antica ma
la presenza di ceramica punica lascia intuire l’esistenza di qualcosa sotto il
recente manufatto.
Proseguendo
si scorge la grotta della Civetta con il suo caratteristico ingresso alto oltre
10 m.
Sulla
sinistra di chi guarda la grotta, c’è un colossale sbancamento di terra, datato
1897-1898, che fu compiuto per colmare con quei materiali le paludi di Mondello
– Valdesi. Qui casualmente venne scoperta una necropoli e tracce di villaggio
preistorico entrati nella letteratura come “Necropoli di Valdesi”. Antonio
Salinas nella seduta del 7 febbraio 1898 alla Reale Accademia dei Lincei diede
la notizia dell’importante rinvenimento.
Nel
1907 E. Salinas, pubblicò dei cenni ed informò che la Direzione del Museo
Nazionale aveva acquistato “dagli operai
addetti ai lavori una grande quantità di fittili e d’armi, materiale
ricchissimo che, da me ordinato tre anni or sono, venne esposto al pubblico in
due armadi nella sala di Panormus”.
E.
Salinas non diede altre notizie sulla necropoli. Solo le fotografie scattate
nel 1897 all’epoca dello sbancamento permisero di fare luce sulla necropoli.
E.
Salinas scrisse che le “tombe si
trovavano nella parte superiore della sezione dello scavo alta circa m 7, di
terra rossa argillosa e precisamente in una zona di circa 2,50 m di spessore”.
È
una necropoli costituita da tombe a forno, foderate da lastre, con pozzetto
d’accesso verticale. Le tombe restituirono corredi composti da reperti ceramici
d’impasto con decorazione incisa, associati a strumenti in selce ed ossidiana,
che si ascrivono alla fase iniziale dell’Eneolitico (seconda metà del V – prima
metà del III millennio a.C.) e attribuiti alla facies detta della “Conca
d’Oro”.
Nel
Museo Archeologico di Palermo si trovano gli esemplari che E. Salinas recuperò
“in breve tempo centinaia d’asce,
scalpelli, punte di frecce ed altri manufatti di dimensioni a volte colossali e
di tipo eminentemente paleolitico”. In realtà si tratta di elementi
risalenti all’Eneolitico.
Lo
stesso studioso aggiunse che i manufatti erano “manifatturate con elementi litologici propri del Monte Pellegrino”
e fu l’unica affermazione giusta perché anche la stessa prof. Bovio Marconi non
si trovò spesso d’accordo con le classificazioni e la cronologia dei reperti
espressi dal Salinas.
Il
Salinas non rinvenne alcun pezzo per cui la provenienza del materiale sarebbe
tutto per acquisto.
Gli
sbancamenti che riportarono alla luce la “Necropoli di Valdesi” interessarono
più punti delle falde del Monte Pellegrino. Il più ampio fu praticato a circa
1,5 km a sud della Piazza di Valdesi. Questo sbancamento nel 1943 fu prolungato
con una trincea a V fino alla parete rocciosa come difesa anticarro e a quanto
sembra fino al 1985 era anche una testimonianza visiva.
Le
fotografie del 1907, che furono pubblicate dalla Soprintendenza, le tombe
furono scoperte nella parte destra di quest’area sbancata cioè verso Sud.
Altri
sbancamenti furono eseguiti verso Nord, verso Valdesi, sempre lungo le falde
del Monte. I materiali o reperti archeologici furono in realtà recuperati in
tre siti distinti e non molto lontani tra di loro:
1)
Nel
talus della Grotta del Laghetto, raggiunto dallo sbancamento, fu raccolta
dell’industria litica del Paleolitico superiore e forse anche del materiale
litico più tardo.
2)
Nel
villaggio furono raccolti, tutti o quasi tutti, i prodotti della cultura
materiale; lame di selce ed ossidiana; punteruoli d’osso, pesi, fusaiole,
materiali che sono rarissimi nelle tombe. Tutto il materiale, che doveva essere
nel villaggio, era in frantumi e non fu raccolto dagli operai perché non
commerciabile. Il villaggio doveva estendersi nella fascia pedemontana della
necropoli verso Valdesi e si pensa che sia andato distrutto dagli sbancamenti e
forse anche con la sistemazione della strada. Tracce e si leggono sul terreno
dopo le piogge a monte del Viale R. Margherita: esigui battuti con pochi
fittili molto dilavati. Si ricava l’impressione di un abitato molto esteso ma
la cui vita non fu molto lunga.
3)
Dalle
tombe devono provenire tutti i vasi perché solo cavità ipogeiche, quali appunto
erano queste tombe, avrebbero potuto conservare integro o quasi il vasellame. È
molto probabile che i vasi molto frammentati non siano stati raccolti perché
ritenuti non commerciabili. L’uso di recuperare soltanto il vasellame integro o
quasi doveva essere una consuetudine molto diffusa anche nell’ambiente
scientifico dal momento che degli antichi scavi è pervenuto solo il materiale
integro. La prof. Bovio Marconi riferì che le tombe erano simili a quelle di
Capaci cioè a forno con pozzetto d’accesso scavate nella terra. “E’ questo precisamente il punto oscuro sul
quale permangono i dubbi: non sembra possibile, che cavità abbastanza ampie e
pozzetti verticali si potessero sostenere entro un semplice terreno vegetale,
senza un qualche consolidamento litico: non sarebbero crollate le volticelle
dei fornetti, per la pressione, non dico nel volgere dei secoli, ma nelle mani
stesse dei costruttori ?”
Dalla
conoscenza del terreno e dall’esame dell’antica documentazione fotografica si
escluse l’esistenza di calcarenite come a Capaci, Carini ed in tutto il
palermitano e si ricavò che le tombe erano indubbiamente scavate in un terreno
di costituzione diversa ma non per nulla “friabile terreno vegetale”. Esso
infatti era costituito da detriti di falda e terra rossa quasi cementati da
formare breccia; la pressione della terra ne ha aumentata la compattezza ed in
un certo spessore è abbastanza resistente.
L’antica
documentazione dimostrò che le tombe non erano costruite e formate da “fosse circolari scavate nella terra e
sorrette(?) da pietrame”.
“Le poche pietre
documentate in fotografie sembrano di chiusura del portello; in ogni modo un
parametro di pietre tutt’intorno la fossa non avrebbe per nulla migliorata la
stabilità dell’ipogeo il cui punto debole rimane sempre ovviamente la volta.
L’aver trovato dopo oltre quattro millenni queste piccole cavità integre (forse
non tutte) dimostra appunto la grande resistenza del terreno”
Da
segnalare un Oletta di pessima conservazione e salvata da un attento restauro.
È interessante sia per la forma, unica a Valdesi, che per l’esistenza di una
decorazione dipinta ora quasi del tutto scomparsa e che non era stata notata in
precedenza. Porta il numero d’inventario 5073, ha il corpo carenato ( alta 8,2
cm, diametro bocca 9,7 cm), due bagne contrapposte sulla linea di massima
espansione. L’impasto è piuttosto fine di colore grigiastro; la superficie,
incamiciata d’argilla rossastra, è quasi a stralucido rosso e ricorda un poco
la ceramica di Malpasso nell’agrigentino; la decolorazione è appena percepibile
e non è possibile definire il motivo: sottile bande incrociate.
Dal
sito della necropoli di Valdesi continuando verso Nord e fino allo spigolo di
Valdesi, alla base del quale è un bunker, v’è da annotare la presenza di rari
frammenti ad impasto, assolutamente interminabili.
Oletta con tracce
di decorazione dipinta in nero.
Necropoli di
Valdesi – Museo Archeol. Reg. di Palermo
Tomba “a forno”
della Necropoli Valdesi – foto di E. Salinas, 1897
Necropoli di
Valdesi
Resti di inumato
con ciotola nel fondo di una tomba
Foto di E.
Salinas. 1897
Non
molto lontano dallo spigolo verso Nord Ovest. A circa 300 metri dalle prime
case di Valdesi, a sinistra del Viale Regina Margherita (Ovest) nel 1930,
secondo il racconto della prof.ssa Bovio Marconi, fu rinvenuta una tomba
preistorica.. ”lo scheletro era sepolto
in piena terra, solo il volto era difesa da tre piccole pietre. Attorno al corpo
erano quattro vasetti in frammenti, d’impasto scuro del solito sito”.
(L’archeologa
non descrive il materiale e dove fu custodito)
(I siti archeologici del Villaggio Giusino e della Necropoli di Valdesi verrano descritti dopo la trattazione delle Grotte).
7. Le GROTTE del Versante Occidentale di Monte Pellegrino
Grotta dell’Acqua
Dati
di Catasto
SI
PA n.44
Nome
Locale: Gruttuni
Altri
nomi: Grotta dell’Acqua
Località:
Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long. E. 0°54’10” – Lat. E. 38°08’57””
Quota:
80 m
Sviluppo:
Non Rilevato
Si
apre in un antica linea di riva e si trova entro il recinto della Polveriere
Militare, immediatamente sulla sinistra della spigolo meridionale del Primo
Pizzo.
“Del nome s’è perso il ricordo. L’antica
denominazione che fa presumere la presenza d’acqua nella cavità, ci è stata
possibile ricondurla alla grotta per una menzione di C. De Stefani, a proposito
della “Pietra dell’Imperatore” e confermata da un’altra di F. Cipolla”.
Per
quanto riguarda la “Pietra dell’Imperatore il De Stefani “erra nel ricostruire lla posizione del famoso masso già al suo tempo
scomparso, per la funzione che doveva assolvere non è possibile si trovasse
“presso la grotta dell’Acque” come egli sostiene”.
La
“Pietra dell’Imperatore” fu descritta da T. Fazello..” qui vicino altro tanto spazio di vita è il monte Pellegrino di cui feci
menzione di sopra; nel quale, nella parte volta a tramontana(nel cui angolo
meridionale), è posta una pietra grande che scopre tutta la pianura di Palermo,
il quale sasso è detto l’Imperatore, e vi fu posto da Federico II, imperatore e
re di Sicilia per questa cagione e con questa legge che dura fino al dì d’oggi,
che come l’ombra del sole che viene dalla rupe dà in questo sasso, che al tempo
della state viene a quasi 20 (ore 16), i contadini che vanno a lavorare a
giornata le possessioni de’ palermitani s’intendono aver fornita l’opera di
quel dì e non possono essere costretti né obbligati a lavorare più”.
Osservando
la carta topografica ci si rende conto che un corpo per ricevere l’ombra “che
viene dalla rupe” cioè dallo spigolo meridionale del Primo Pizzo non può
trovarsi né nella parte meridionale del pizzo né tanto meno nella parte di
tramontana del pizzo stesso, deve quindi trovarsi necessariamente nella parte
orientale rispetto lo spigolo.
La
“Pietra dell’Imperatore” doveva quindi trovarsi ad Est dello spigolo e perché
fosse visibile dai campi di Palermo doveva trovarsi ad una certa quota; quindi
a poca distanza dallo spigolo.
L’accesso
alla grotta è possibile dalla Polveriera Militare con relativa autorizzazione.
Allora
l’esplorazione della grotta non era sta ancora effettuata.
Gli
studiosi erano in possesso di vecchi appunti redatti nel corso di un rapido
sopralluogo per la programmazione di una integrale esplorazione delle grotte
poste nella polveriere. Esplorazione che non fu mai effettuata.
“Ampia cavità, la
prima a sinistra dallo spigolo meridionale del Primo Pizzo. Ingresso
triangolare, largo alla base quasi una decina di metri, alto altrettanti.
L’antro è diviso in due piani da un difficile salto di roccia alto circa 5
metri. Nella parte alta, sulla sinistra s’intravede l’inizio di un cunicolo. Il
piano di calpestio della grotta ed il
talus sono coperti di pietrisco di sfaldamento”.
“Archeologia -
Nessuna traccia di brecce e di materiale”
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Grotta Della Speziaria
Dati catasto
-
SI PA n. 45
-
Altri
nomi: Grotta dei Mussuni
-
Località
: Parco della Favorita, Zona Militare
-
Tavoletta
: F. 249 II N.E. Palermo
-
Long. E 0°54’08” –
Lat. N 38°08’58””
-
Quota:
80 metri
-
Sviluppo
: Non Rilevato
La
grotta si trova all’ingresso del Parco della Favorita, all’interno della
polveriera militare, ai piedi dello spigolo meridionale del Primo Pizzo e segue
di circa 50 m la Grotta dell’Acqua.
La
Speziera, a differenza della precedente, non è accessibile a causa di una cava
di calcare che fu aperta, in modo inopportuno, proprio ai suoi piedi. Questo ha
determinato un mutamento del pendio con la creazione di una parete verticale di
oltre venti metri d’altezza. Ciò ha provocato inoltre il franamento antropico
della grotta che gli agenti atmosferici nel tempo hanno eroso lentamente
provocandone la caduta al suolo.
La Grotta
Speziaria sulle pendici di Primo Pizzo
Le frecce indicano
la presenza di deposito antropico con
selci ed
ossidiana.
Non fu possibile
allora agli studiosi di esaminare il contenuto del deposito scivolato sul piano
della cava che avrebbe senz’altro favorito le conoscenze sull’uso della grotta.
Fu rilevata la presenza di selci ed ossidiana. La presenza soprattutto
dell’ossidiana che è assente nel palermitano, poiché da ormai tanto tempo la
fascia dei depositi in grado di contenerla si sono esauriti, lascia spesare che
in eventuali scavi si potrebbero rilevare sedimenti paleolitici integri.
Lasciata la Grotta
della Speziaria e superata una piccola grotta (SI PA n. 46) si raggiunge il
Vallone della Monaca, con scaletta in alto a sinistra, che sbocca nel Piano di
Bernardo attraversato dalla “prima scala” (Mannino 1985).
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Grotticina
Dati
di Catasto
SI PA n. 46
Località:
Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.
E. 0°54’06” – Lat. N 38°09’00”
Quota:
80 metri
Sviluppo
complessivo: 6 metri
Posizione:
ubicata a circa 50 metri a sinistra della Grotta della Speziaria, vicino il
fronte della cava.
Descrizione
– si tratta di una cavità con nessun aspetto particolare. Si sviluppa in una
diclasi allargata a cuneo dall’erosione del mare. All’inizio è alta circa 2 m e
larga 1,50 m circa.
Dopo
la Grotticina procedendo verso Nord, la falesia flette a destra, dirigendosi a
Nord Est, fino ad attestarsi al Piano di Bernardo. In prossimità della svolta
si aprono in parete due grandi nicchie tipiche dell’erosione marina. La prima a
circa 12 metri dal suolo e la seconda ad una decina di metri. Entrambe di
nessun interesse.
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Grotta dei
Capezzoli
Dati
di catasto
SI PA n. 47
Località;
Statua di Diana, Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.
E 0°53’57” – Lat. N. 38°09’07”
Quota:
50 m
Sviluppo:
Non Accertato
Su
questa grotto le notizie sono scarse. Le
uniche fonti sono trascritte su un antico foglietto che fu rinvenuto nel Museo
Nazionale di Palermo che accompagna alcune ossa fossili indeterminate ed una
selce.
Il
foglietto fu redatto dall’assistente Giosuè Meli, non è riportata la data, che
cita: “Monte Pellegrino, Grotta dei
capezzoli. Materiale raccolto nella suddetta grotta che trovasi dentro il Parco
della Favorita, dietro la Statua di Diana, la grotta è poco visibile perché
interrata, per rintracciarla bisogna che da Diana ci si sposti un poco ad Ovest
e si tira diritto sino ai piedi di una parete a picco, qui si trova un’apertura
che ha la volta piana la quale si eleva dal piano esterno appena 60 cm, la
grotta è interrata. Il materiale l’ho raccolto in un fosso che i cacciatori
hanno praticato dinanzi ad essa per prendere gli istrici”.
La
grotta oggi non dovrebbe più essere esistente perché l’area indicata fu
completamente sconvolta dai lavori per il deposito militare. Le indicazioni
oltre ad essere incomplete sono secondo il prof. Mannino errate. La statua di
Diana era posta al centro di una rotonda che si trova su disegnata su antiche
mappe ed esattamente nel prolungamento del Viale Diana e tra questo ed il
Vallone della Monaca. Non fu trovata una descrizione della scultura. Si ricorda
anche nell’edizione del 1953 della Guida Sicilia del Turing Club Italiano
quando certamente il luogo era stato messo a soqquadro.
Le
direzione Ovest indicata dal meli è errata perché si finirebbe a Piazza Leoni.
Va quindi corretta con Est nella cui direzione s’incontrano le falesie del
Monte Pellegrino.
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Grotta Della Monaca
Dati
di Catasto
SI PA n. 76
Nome
Locale: Grutta du Vadduni
Altri
nomi: Grotta della Monaca
Località
: Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long. E: 0°54’04” – Lat. N:
38°09’12”
Quota:
80 m
Sviluppo
Complessivo: 11 m
La
cavità si trova alcuni metri più in alto del piano di campagna, nello spigolo
meridionale del Pizzo Vuletta e a sinistra del Canalone della Monaca.
La
grotta si sviluppa lungo una faglia scavata a cuneo e percorribile per 11
metri. Nelle pareti e nella volta molti fori di litofagi.
(In zoologia, di animali capaci di
corrodere le rocce calcaree e di annidarvisi; tali alcuni Molluschi Bivalvi
(folade, dattero di mare), alcuni Poriferi ed Echinodermi).
“Ad una ventina di metri, a destra della grotta (quindi sulla
falesia), poco più in basso del vecchio muro di recinzione borbonico (?), c’è
un piccolo riparo largo circa 3 metri e profondo altrettanto, di nessun
interesse”.
Grotta della Monaca – Pianta e sezioni
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Grotticina
Dati
di catasto
SI
PA n. 77
Nome
Locale: Gruttignuni
Località:
Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.E:
0°54’00” – Lat. N: 38°09’13”
Quota:
90 m
Sviluppo
Complessivo: 5 m
La
piccolo cavità si apre a circa 5 m alla sinistra della grotto della Monaca.
Ha
un ingresso largo circa 4 m. sulla
parete di sinistra, a circa 2 metri dall’ingresso, sono scalpellati due disegni
incomprensibili… recenti. Non è possibile stabilire se trattasi del ricalco di
un’antica e quindi preesistente incisione.
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Grotta Del Roveto
Dati
di Catasto
SI PA n. 78
Nome
Locale: grutta i l’acqua
Altri
nomi: Grotta del Roveto
Località:
Parco della Pavorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.
E: 0°53’59” – Lat. N: 38°09’15”
Quota:
90 m
Sviluppo
Complessivo: 75 m
La
grotta si apre a circa 60 m a sinistra del Canalone della Monaca.
L’ingresso
era una volta consentito dalla polveriera militare previa autorizzazione.
L’ingresso
è stato modificato con forti interventi di ampliamento o allargamento.
Si
presenta con una sezione allungata )verso l’alto) mentre in origine doveva
essere di sezione semiellittica con
l’asse maggiore ad un paio di metri dal piano di campagna.
Una
cavità di natura marina e la cui erosione ha allargato una preesistente piccola
cavità carsica e che è stata successivamente ampliata dall’uomo. I lavori di
ampliamento furono iniziati per ricavare una galleria infatti sono presenti
tracce di fornelli di mine in tutto lo sviluppo della grotta.
L’escavazione
fu eseguita prima abbassando di quota il piano di calpestio e poi iniziando ad
allargare le anguste pareti laterali. Il lavoro non fu completato e per questo
motivo ci si può rendere conto della conformazione generale della grotta in
origine. L’ingresso doveva essere largo circa 4 metri ed alto intorno a 1,50 m.
la cavità, di modeste dimensioni, doveva essere inadatta all’uso abitativo a
causa della ridotta latezza che non doveva superare 1,50 m. dopo circa 30 m
dall’ingresso la sezione della grotta si restringeva tanto da non permettere il
passaggio dell’uomo.
Nella
parte più interna, in alcune fessure laterali o nelle anfrattuosità del
soffitto, sono presenti molte e varie
concrezioni calcaree.
“Un fenomeno molto
interessante è il riformarsi di concrezioni e soprattutto il formarsi di
concrezioni di varia foggia sulla roccia rotta dalle esplosioni delle mine”.
Archeologia: per i
motivi su esposti nessuna traccia è possibile rintracciare nel talus perché
coperto da materiali di risulta dello scavo.
Grotta del Roveto – Pianta e
Sezioni
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Grotta
Dati
di Catasto
SI PA n. 79
Località:
Parco della favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.
E: 0°53’55” – Lat. N: 38°08’18”
Quota:
90 m
Sviluppo
Complessivo: 10 – 11 m
L’ingresso è largo
un paio di metri ed alto circa 3 m, inclinato sulla sinistra.
Cavità di nessun
interesse che ha a sinistra un piccolo ambiente dal quale si diparte una breve
diramazione.
A circa due metri
dall’ingresso, sulla parete sinistra, sono presenti due disegni. Uno riproduce
una croce obliqua o una X; l’altro una
testa umana di profilo, posta su un busto triangolare, che è rivolta verso
l’interno della grotta. Si tratta di disegni recenti.
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Grotta di
Giacchery
Dati
di catasto
SI PA n. 82
Nome
locale: Gruttignuni
Altri
nomi: Grotta Giacchery
Località:
Parco della favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.
E: 0°53’54” _ Lat. N: 38°09’18”
Quota:
100 m
Sviluppo
Complessivo: 10 m
Si tratta di un
ampio riparo alto qualche metro dal piano di campagna. Nel fondo della cavità
si apre una fessura che conduce nella parte interna della Grotta del Ferraro di
cui costituisce il secondo ingresso.
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Grotta Del
Ferraro
Dati
di Catasto
SI PA n. 83
Nome
Locale: Grotta del Ferraro
Altri
nomi: Grotta Giacchery, Grotta del Fieno
Località:
Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long. E: 0°53’52” – Lat. N:
38°09’18”
Quota:
90 m
Sviluppo
Complessivo: 270 m circa
L’ingresso
ha una sezione ad arco, di circa 10 m di base e di m 6 in chiave. È ubicata nel
fondo dell’ansa che la falesia forma tra il Vallone della Monaca ed il largo
piede del Pizzo Vuletta a Nord Ovest.
Alla
sua destra, come abbiamo visto, s’apre una cavità, Grotta Giacchery, a circa 6
metri dal piano di campagna, che nella parte terminale comunica con la grotta
del Ferraro.
Le
conoscenze si limitavano solo alla prima parte della grotta che è la più ampia.
Si
tratta di una grotta ad escavazione mista: marina la prima parte e carsica la
seconda.
La
più antica descrizione è una lettera
dattiloscritta da Leopoldo La Rosa, Bayard Mc Donnel, Paolo Muster, Sigismondo
Noto, Salvatore Monastero e inviata all’Ill.mo Sig.re Prof. Fabiani Palermo in
data 29 settembre 1931: “ Durante
l’esplorazione di una grotta del Monte Pellegrino alla favorita, abbiamo
rinvenuto, dopo percorso uno strettissimo e difficilissimo passaggio, una
grande quantità di ossa e crani fossilizzati, assieme a molti resti di vasi e
recipienti di creta. Non abbiamo divulgato questa scoperta per evitare la
distruzione del materiale, che andremo a fotografare. Abbiamo consegnato, in
sua assenza, alcuni campioni all’Istituto di Zoologia. Ci riserviamo il piacere
di darle tutti i dettagli al Suo ritorno” Ci creda, Ill.mo Professore, Suoi
devotissimi”.
Dott. Lepoldo La
Rosa; B. Mc Donnel; Paolo Muster; Sigismondo Noto; Salvatore Monastero.”
Una
seconda lettera, anch’essa dattiloscritta fu indirizzata al Potestà di Palermo.
La
relazione ha il titolo: “Relazione della
scoperta archeologica nella Grotta del Ferraro – Monte Pellegrino – 27 settembre
– 4 ottobre 1931 A.IX.E.F.”
“I sottoscritti
Dott. Leopoldo La
Rosa, assistente volontario presso l’Istituto di Chimica Farmaceutica della R.
Univesità, via Rosina Muzio Salvio n. 4;
Bayard Mc Donnel,
Gloyd’a Agency, via E. Parisi n.1;
Paolo Muster, via
Magnisi, Palazzo Magnisi;
Ing. Sigismondo
Noto, via Enrico Amari n. 144;
Dott. Salvatore
Monastero aiuto di Zoologia e Anatomia Comp. R. Università, via Archirafi;
hanno l’onore di
presentare all’On Signoria Vostra l’acclusa relazione in merito alla scoperta
archeologica da essi fatta nella grotta così detta “del Ferraro” al Monte
Pellegrino, il 27 settembre e 4 ottobre 1931- IX. La relazione è integrata da:
un grafico approssimativo del percorso effettuato (allegg.1); un album con
cinque fotografie (all.2);
Con perfetta
osservanza:
Firmati: Dott.
Leopoldo La Rosa; B.MC Donnel; Paolo Mutser; L. Noto; Dott. Monastero.
Palermo 10 ottobre
1931 IX”
Allegato
“RELAZIONE SULLA SCOPERTA ARCHEOLOGICA
<GROTTA DEL FERRARO>MONTE PELLEGRINO
27 SETTEMBRE E 4 OTTOBRE 1931 a.IX.E.F.
Per l’On Podestà di Palermo
Componenti: Dott.
Leopoldo La Rosa – Bayard Mc Donnel – Paolo Muster – Ing. Sigismondo Noto; alla
spedizione del 4 ottobre ha preso parte anche il dott. Salvatore Monastero.
Attrezzaccio:
Corda da campagna – spago – picconcino – mazza – scalpelli “a punta” e “a
taglio” – bastoni sonda recipiente con fondo piombato – lampade elettriche
portatili- con rivestimento speciale anticon- batterie di ricambio, di cui
alcune specialmente adatte per resistere all’umidità – bussola – cassetta di
pronto soccorso – materiale fotografico- bombola di ossigeno compresso- coppia
telefonica collegata con un caso anticon, ed altro materiale minore.
Sviluppo: La
Grotta, così detta “del Ferraro”, che si apre nel versante S/O del Monte è ben
conosciuta da cacciatori, escursionisti, nonché dalla polizia (che vi ha
rinvenuto il cadavere di un recente delitto).
Attraverso un foro
nella viva roccia, 35 x 40 cm circa, che immette in un canale a gomito lungo
quasi 3 metri, dove esisteva una formazione a cortina che si è dovuta
abbattere, si è penetrati in un camminamento poco più ampio. Si pervenne così
in una piccola caverna cosparsa di resti di ossa fossilizzate e rottami di vasi
di argilla, che destarono subito grande interesse e spronarono a proseguire
l’esplorazione.
Proseguendo
carponi ed in fila indiana per detto camminamento, un poco meno difficoltoso
rispetto all’inizio, si vanno osservando, incastrati al suolo, dei recipienti
d’argilla quasi intatti ed ancora frammenti di ossa fossilizzate.
Superando alcuni
passaggi difficoltosi, si giunge ad un’altra caverna, situata a circa due metri
sotto il livello del cunicolo d’ingresso. Qui abbondano mucchi di ossa e si
nota, per la prima volta, la presenza di teschi umani pressoché interi, frammisti
a cocci di recipienti di argilla. A sinistra di chi entra ci è una conca
piccola con acqua, in cui si osservava immerso un grande recipiente di argilla
ricoperto da spessa concrezione di carbonato di calcio (alleg.2, foto n. 1).
Detta caverna si prolunga a gola verso S/O, presentando altri ammassi di ossa,
teschi, recipienti d’argilla quasi immersi e cocci; a sinistra a circa un metro
dal suolo, si nota un osso fortemente incastrato nella roccia.
Poco distante
dalla conca suddetta, esiste un’altra caverna, il cui suolo risulta costituito
da terriccio fangoso, ossa e frammenti di vasi. È qui che, saggiando col
l’aiuto della picozza, si è rinvenuto un frammento di arnese di bronzo.
Dopo una lunga
osservazione del materiale e del sito, qui la comitiva si è divisa in due
coppie, e mentre l’una procedeva ai rilievi fotografici, l’altra procedeva
all’esplorazione di camminamenti vicini.
Intervenne così
l’uso dell’apparecchio telefonico che ha mantenuto il collegamento costante
onde – in caso di sinistro – gli uni potessero accorrere in aiuto degli altri.
A destra della
seconda caverna si trova un secondo cunicolo che dà accesso ad un altro
camminamento piuttosto largo, seguendo il quale si notano altre ossa fossili e
dove si è rinvenuta una pietra (selce) lavorata, riconosciuta poi dal Direttore
del Museo Nazionale per una piccola accetta. La comitiva, riunitasi, procedette
verso Nord, ed incontrò una spaccatura nel suolo profonda parecchi metri,
“zubbio”, che si è potuto, malgrado l’aiuto della corda, esplorare parzialmente
soltanto, a causa del restringersi delle pareti, fino ad impedire il
proseguimento verso il basso.
Grotta
del Ferraro – Grafico approssimativo – Allegato 1
Però il
caratteristico tonfo prodotto dalle pietre bittate, indicò che lo Zubbio ‘
molto profondo.
Lungo tutto il
percorso si sono notate stalattiti, dapprima di poca importanza, ma che
assumono a mano che si procede, verso l’interno del Monte, caratteri molto
affini a quelli dell’Addaura, sempre però di più modeste dimensioni.
Notavole una
formazione a nido d’ape.
L’aria
specialmente nelle prime caverne, è pervasa da un penetrante e forte odore di
muffa, talvolta così forte da rendere faticoso il respiro. Il terreno è fangoso
e sparso di piccole pozzanghere.
Sia nella prima
che nella seconda spedizione, sono stati prelevati campioni d’ossa che,
nell’assenza del prof. Fabiani della R. Università, sono stati depositati
presso l’Istituto di Zoologia della R. Università, mentre i campioni d’argilla
sono stati depositati al Museo Nazionale.
I
componenti, lieti di avere modestamente apportato un nuovo contributo alla
conoscenza della grotta del Monte Pellegrino, sono a disposizione dell’On.
Podestà di Palermo per ogni ulteriore chiarimento.
F.ti: Dott. Leopoldo La
Rosa; B. Mc Donnel, Paolo Muster, Sigismondo Noto, Dott. Monastero”.
Grotta del Ferraro –
Conca con acqua e olla
Concrezionata
Rimase
un mistero il dopo…. Il prof. Ramiro Fabiani, presidente del gruppo
Speleologico del CAI di Palermo, una volta informato e avviate le esplorazioni
non abbia mai fatto alcuna menzione del gruppo a cui andava il merito di aver
effettuato la scoperta archeologica.
Si
voleva ignorare l’aspetto ?.... Se la risposta fosse affermativa è quel tipo di
cultura che purtroppo da tempo pervade la Sicilia… una cultura che deve essere
privilegio di pochi…..
Infatti
in un articolo dell’ing. Aspel Kirner pubblicato su “Montagne di Sicilia”,
organo della sezione di Palermo del Cai (anno I, n. 1, 1933), dal titolo “Esplorazione integrale della Grotta del
Ferraro” non si fa alcuni riferimento al gruppo del dott. La Rosa.
Grotta del Ferraro
Teschio con corredi in frantumi.
Grotta del Ferraro
Deposizioni manomesse
Grotta del Ferraro – Vasellame
La
descrizione della cavità, sia quella eseguita dal gruppo del dott. Larosa che
dal Kirner, non mette in evidenza in modo dettagliato il fenomeno carsico. Le
planimetrie del Kirner sono solo degli abbozzi senza scala che raffigurano un
breve tratto di percorso nella grotta al limite della percorribilità.
Schizzi del Kirner
Il
Kirner così descrive la grotta..”è una
grotta impervia e quanto nessun altra stretta e bassa, a cominciare dal foro
che dalla parte media conduce nella parte interna, foro ristrettissimo in
situazione in situazione talmente
nascosta da aver dato enorme filo da torcere ai soliti razziatori di grotte che
dall’inizio in qua tentavano di accedere. Si può dire che a parte del foro di
ingresso veramente massacrante, tutto il resto della grotta è pur esso talmente
malagevole e stretto che in alcun suo punto, non vi si può stare ritti. Tutta
l’esplorazione va fatta trascinandosi bocconi a carponi o in ginocchio,
incuranti fra insidiosissime asperità taglianti e pungenti, concrezioni e massi,, fra fanghi e pozzanghere”
“I due zubbi
(binati) interni, finora non visitati nelle prime esplorazioni furono esplorati
con la massima attenzione. Essi sono corrispondenti, nel senso che in basso
esiste un passaggio dell’uno all’altro. La profondità al punto della camera
comune ai due zubbi è di m 14 circa. Alcuna diramazione interessante esiste in
basso. Senonchè quasi in corrispondenza
del secondo zubbio e sfalsato di un paio di metri, esiste un canale verticale,
praticabile per circa 4 metri, ma poi ostruito da un masso che preclude ogni ulteriore
salita, sebbene dall’impraticabile apertura s’intravede in alto un nuovo
allargamento. In altri termini, al punto ove si scende nel secondo zubbio, ci
troviamo anche nel fondo di un altro zubbio che scende dall’alto”
“Dopo lo zubbio e
dopo il quadrivio a croce latina ( i due bracci trasversali finiscono entrambi
in camerette cieche che hanno solo
minimi passaggi per le acque, camerette nelle quali alla notevole
distanza di circa 150 m dall’ingresso furono trovati alcuni esemplari di
anoftalme bianco) solo il braccio in prolungamento della direzione di
provenienza ha un notevole sviluppo.
Si tratta di un
ulteriore percorso tortuoso di un centinaio di metri, dopo di che si giunge ad
un foro così ristretto da far quasi perdere ogni speranza di proseguire.
Tuttavia dopo sforzi disperati riuscimmo a passare in due: da qui col corpo
straziato da acutissime punte si può percorrere un altro percorso tratto di
circa 20 – 25 metri, lungo il quale si riscontrano appunto quei bellissimi
gruppi cristallini che ricordano in piccolo l’”Acheronte”, nome ufficiale dato
dagli scopritori alla meravigliosa parte interna dell’Addaura dalla Cappella in
poi, in contrapposto alla pietosa meschinità morale dei visitatori successivi
ultimi venuti che hanno cercato di appiccarvi i propri nomi per tentare di
creare equivoci nel pubblico… Non Commentiamo”.
Il Kirner diede una sua interpretazione storica alla
cavità rifiutando la tesi del dott. Paolino Mingazzini, direttore del regio
Museo Nazionale, che aveva definito la Grotta del Ferrari, “una necropoli preistorica”.
Kirner vagliò le diversi ipotesi e
alla fine concluse..” credo dunque di
lasciare sussistere come più probabile, l’ipotesi della segregazione forzata da
parte di terzi, di quegli individui che, però in un primo momento dovettero
essere alimentati. Forse anche individui tenuti in ostaggio, ma ad ogni modo
forzati a cacciarsi là dentro quando ancora la loro condanna a morte non era
stata pronunziata; se fossero stati già condannati fin da principio
evidentemente non sarebbero stati riforniti di vasi di creta”.
Un vero e proprio “
… giallo nella preistoria” (Rosario La Duca – 1979 in “Palermo ieri ed oggi”).
Nel 1946 la dott.ssa Ornella Acanfora, dell’Istituto
di Paleontologia di Roma, diede alcune notizie sulla scoperta…. ma negative ed
assurde …” il materiale raccolto dagli
esploratori andò in parte disperso e furono solo conservati pochi pezzi di
scarso interesse al Museo Nazionale e al Museo di Geologia dell’Università di
Palermo. In questa città ebbi occasione di esaminare, fra la collezione privata
del dott. Alfredo Salerno, un certo numero di frammenti fittili rinvenuti
precisamente nella Grotta del Ferraro insieme ad un ascia di bronzo degna di
maggiore interesse… Ed ecco infine il piccolo gruppo di oggetti conservati dal
dr. Salerno, alla cui cortesia debbo la possibilità di illustrarli. Mi limito
alla segnalazione di alcuni pezzi di ossa lunghe e di crani, che dovrebbero
essere esaminati da un antropologo, e passo all’elenco dei materiali”.
La
dottoressa non precisa il numero dei fittili esaminati, ne illustra solo 13,
cioè i più rappresentativi. Sono frammenti d’orlo e soprattutto anse a nastro
sopraelevato, una a punte acuminate. Non accenna a decorazioni (nervature)
tuttavia vede un inquadramento nello stile di Thapsos, medio Bronzo…”L’ascia è di bronzo, piatta, a lunga penna
lunata, con margini non ribattuti e lievemente arrotondati; al tallone una
leggera infossatura per manico, lunga circa 13,5 cm e larga al taglio 8,5 cm”.
Il
direttore del Museo di Geologia di Palermo, il dr. Enzo Burgio, giustamente nel
suo incarico volle conoscere i reperti che si custodivano nelle collezioni
private e nel caso del dott. Salerno, pensava ad alcuni reperti paleontologici
che il Gruppo Speleologico del CAI, di
cui era segretario, raccoglieva nelle cavità visitate. Si trattava in
particolare di reperti appartenenti all’estinta fauna quaternaria. Si recò
presso l’abitazione della famiglia Salerno, il dott. Salerno era deceduto da
poco, e fu informato dagli stessi familiari di “aver gettato tutto, qualche giorni prima… tutte cose
vecchie: ossa e
pietre”.
Purtroppo
nei Musei di Geologia e di Zoologia dell’Università di Palermo, come riporta
anche il prof. Mannino, dei reperti ricordati da Ornella Acanfora, non c’è
alcuna traccia………..
Decine
di anni fa A. Messina e L. Sineo trovarono dei reperti nella grotta del
Ferraro.
“Materiale;
il materiale scheletrico della grotta del
Ferrari è costituito da un cranio incompleto, il suo stato di conservazione è
pessimo, infatti il reperto è completamente demineralizzato e poroso; le varie
ossa (frontale, parietali ed occipitale) sono legate tra loro grazie al
sedimento carbonatico, inoltre il cranio è completamente concrezionato, ciò ne
rende difficile anche la pulitura e lo studio. La mandibola, in buono stato di
conservazione, si presenta incompleta del condilo del ramo destro e di entrambi
i processi condiloidei”.
VALUTAZIONE
DELL’ETA’ DI MORTE
Il grado di morte
si determina utilizzando il grado di obliterazione delle suture craniche e il
grado di usura dentale. Tenendo in considerazione il fatto che non si può fare
una stima esatta dell’età di morte degli adulti, perché soggetti a variazioni
dovute a fattori genetici ed ambientali, si fa riferimento alla classificazione
di Vallois che determina sei classi di età: infans I (da 0 ai 5 anni); infans
II (da 7 a 12 anni); giovanile (da 13 a 20 anni); adulto (da 24 anni a 40
anni); adulto maturo (da 41 anni a 59 anni); senile (da 60 a X).
Valutazione del
sesso
La determinazione del
sesso viene di solito effettuata attraverso la studio delle caratteristiche
morfologiche dei risultati del cranio e del bacino con una precisione
rispettivamente dell’ 80-90% e del 95%.
Le caratteristiche odontometriche vengono usate nella determinazione del
sesso in quei casi in cui le caratteristiche cranio-facciali e pelviche non
possono essere utilizzate.
Per il cranio
della grotta del Ferraro il sesso dell’individuo è stato rilevato mediante
indicatori metrici e morfologici; in particolare si è fatto uso di tutti gli
elementi di riformismo sessuale rilevabili sui denti e sulla mandibola. Le
misure sui denti permanenti sono state prese con il calibro digitale. Il
diametro medio distale (MD) è la distanza fra i suoi punti di contatto
interprossimali, parallelamente al piano occlusale, il diametro buccolinguale
(BL) è il diametro massimo della corona preso perpendicolarmente al diametro
(MD).
Dal prodotto dei
diametri ricaviamo l’indice di Robustezza del dente .
Antrometria
Le misurazioni
sono state rilevate secondo indicazioni del trattato di Martin e Saller (1959)
Risultati
Sulla calotta
cranica del Ferraro non si è potuto procedere con l’analisi metrico a causa del
pessimo stato di conservazione, vengono riportate le misure della mandibola e
dei denti, (nella tabella su esposta). Dall’analisi morfometrica del cranio e
dei denti mandibolari, integrata con i metodi che analizzano il grado di usura
dei denti, si attribuisce il cranio ad un individuo adulto, con età compresa
tra i 17 – 25 anni secondo Brothwell; tra i 16 e i 20 anni secondo Lowejoy,
appartenente ad un individuo di sesso femminile secondo le indicazioni di
Vodanovic relativamente al diametro MD del secondo premolare, al diametro BL
del terzo molare e alla robustezza sempre del terzo molare.
Discussione
La grotta del
Ferraro ha restituito all’indagine un reperto cranico praticamente
inutilizzabile a fini metrici ma indubbiamente recente per la morfologia e
spessori ossei. Il reperto studiabile è stato quindi solo la mandibola e le
caratteristiche morfologiche e dentarie che hanno permesso di stabilire che si
tratti di un individuo giovanile di sesso femminile (Messina, Sineo 2007).
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Grotticina
Dati
di catasto
SI
PA n. 84
Località:
Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N E Palermo
Lon.
E. 0°53è47” – Lat. N. 38°09è19”
Quota:
90 m
Sviluppo
Complessivo: 4 m
La cavità si trova al livello del piano di
campagna a NO dalla grotta del Ferraro.
L’ingresso ha una
forma ellittica di circa (2 x 1) m inclinata sulla destra. Non ha alcun
interesse
Speleologico.
Presenta un incisione lineare simile a quella rinvenuta nella Grotta del
Condannato.
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Grotta Del Ponte
Dati
di Catasto
SI PA n.
85
Nome
Locale: Grotta del Porcospino
Altri
Nomi: Grotta del Ponte
Località:
Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.
E: 0°53’46” – Lat. N: 38°09’22”
Quota:
90 m
Sviluppo
Complessivo: 35 m
La grotta si apre
alla base della falesia ad una quindicina di metri dal suolo.
L’ingresso ha una
forma allungata, misura circa un metro di larghezza ed il doppio d’altezza.
L’ambiente è in
parte ad una quota più bassa rispetto al piano di campagna.
Scendendo nella
cavita ci si rende conto che l’ingresso è parte più elevata, la cuspide, di un
più vasto vano chiuso da frane e detriti di falda dello spessore di circa 4 metri
che sigillavano un deposito a terra rossa in basso ed archeologico in alto.
Il deposito appare
molto povero . dalla terra rossa proviene un morale di ippopotamo che si trova
al Museo Geologico “Gemmellaro”.
Una cospicua
quantità di deposito archeologico è stata sicuramente asportata. Ai suoi tempi
il De Gregorio fu l’unico che eseguì degli scavi nel 1889 (?) nella grotta.
La frequentazione
dell’uomo è testimoniata da alcune povere brecce, con selci e carboni, presenti
nella parete sinistra a circa 3 m dall’attuale piano di calpestio ed
altrettanti metri dall’ingresso.
Alla sommità della
parete destra, a circa 5 m dal suolo, quasi dirimpetto alla breccia, entro una
cavità che si raggiunge in arrampicata,
il prof. Mannino trovò frammenti di terracotta ad impasto, attribuibili
ad età preistorica e custoditi al Museo Archeologico di Palermo.
Grotta del Porcospino – Pianta e
sezioni
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Antro Niscemi
Dati
di Catasto
SI PA
n.23
Nome
Locale: A Gruttazza
Altri
nomi: Antro Niscemi
Località:
Parco della Favorita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long. E: 0°53’36” – Lat. N: 38°09’44”
Quota:
150 m
Sviluppo
complessivo: 12 m
La grotta si apre
ai piedi della falesia del Bosco Vecchio, sulla sinistra della Scaletta dello
Schiavo.
Fu esplorata circa
quarant’anni fa. È un antro ingombro di frane molto antiche per la
caratteristica colorazione rossastra e con uno sviluppo ascendente di circa 12
m.
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Grotta Niscemi
Dati
di Catasto
SI PA n. 22
Nome
locale: A Grotta
Altri
nomi: Grotta Niscemi
Località:
Parco della favorita
Tavoletta;
249 II N.E. Palermo
Long.
E: 0°55’23” – Lat. N: 38°09’53”
Quota:
110 m
Sviluppo
Complessivo: 30 m
La
grotta si apre ai piedi della falesia del Bosco Vecchio, tra la valle del Porco
e la Roccia dello Schiavo. Il suo ingresso, di forma triangolare, è visibile
dalla strada della favorita verso Mondello dalla quale dista circa 300 metri ad
est.
La
cavità è di origine marina ed è stata chiusa con grate e cancello per tutelare
le incisioni parietali paleolitiche, da incisioni medioevali e da iscrizioni
puniche.
Furono
scoperte nel 1954 e quella più antica si deve a Giovanni Cusimano che fu
protagonista per le incisioni dell’Addaura.
Lo
stesso Cusimano raccontò, all’epoca dello scavo del deposito, deluso ed
irritato che il grande clamore suscitato
dalla “sua” scoperta dell’Addaura non gli aveva fruttato né gloria né denaro
mentre altri si erano arricchiti con articoli e fotografie, decise di porsi
alla caccia di altre figure per ricavarvi soprattutto il riconoscimento di
scopritore che non aveva mai avuto prima.
La
caccia durò oltre un anno e finalmente un giorno nella Grotta Niscemi,
prospicente il Parco della Favorita, trovò quello che con grande tenacia aveva
cercato.
Dietro
molte promesse il Cusimano cedette la notizia al giornalista Mauro De mauro che
la pubblicò sulla Gazzetta del Sud di Messina il 23 dicembre 1954.
Il
De Mauro dopo un racconto un po’ fantasioso descrisse il rinvenimento:
“Animali in corsa, forse bisonti, muniti di
un solo corno, lunghissimo, ondulato, al centro della fronte; altri animali dal
corpo meno grosso, e sforniti di corno; sembrano cavalli o asinelli, disegnati
dalla mano malsicura di un bambino; e infine il lato destro del pannello è
occupato da disegni che ci hanno dato un emozione nuova: sono imbarcazioni,
goffe, rudimentali, nelle quali l’assenza di figure umane rende difficile la
valutazione delle proporzioni. Non manca una rudimentale velatura, costituita
da un intrico di rametti e forse di giunchi, e ogni imbarcazione è dotata di
una o più insegne, sorta di tabelle rigide,
divise in sei bande verticali. Tutte le
imbarcazioni portano a prua un palo sporgente, a guisa di rostro”.
La descrizione
delle figure è aderente e da questa descrizione si evince che anche le
incisioni zoomorfe furono scoperte dal Cusimano. Una avvenimento che comunque
non fu riportato nei giornali.
Della scoperta si
occupò subito la prof. J. Bovio Marconi, allora Soprintendente alle Antichità,
la quale, dopo due saggi di scavo nel deposito esterno, pubblicò i risultati.
La studiosa
assegnò le figure zoomorfe e l’industria al Paleolitico superiore; le
imbarcazioni le ritenne disegni puerili: tre moderne ed una recente.
Le
incisioni di cui si diede notizia sono tracciate su una placca rocciosa,
levigata dal mare, sulla parete sinistra a circa 2 m dall’ingresso. Qui il
Cusimano rinvenne tre figure di bovidi, due di equidi e tre imbarcazioni; una
quarta imbarcazione è graffita sulla parete opposta; una piccola figura di
cerbiatto è incisa all’ingresso, in piena luce sullo stipite.
La Bovio Marconi descrisse le figure
zoomorfe; “ i graffiti preistorici
occupano il tratto della
parete sud a fianco dell’ingresso più grande, a 2,50 m
dal piano di calpestio odierno, per una
superficie di non più che 48 cmq.
Rappresentano due equini e tre bovini, dei quali uno
parzialmente abbozzato
nella parte anteriore. Come si vede nella figura che riproduce il
disegno
ricalcato sull’originale, i tre bovini si seguono l’uno all’altro in linea
orizzontale,
mentre i due equidi sono tracciati obliquamente. I contorni sono
incisi con solco piuttosto
largo, specialmente i bovidi, o meglio alcune parti,
poiché l’insieme varia anche nello stesso
animale. Particolari interni
scarseggiano, tuttavia se ne notano alcuni che solitamente
mancano del tutto
nell’arte parietale della Sicilia: gli occhi e le criniere negli equini, il
pelame nella coda nei bovidi.
“Lo
stile naturalistico è piuttosto evoluto, nonostante che il disegno sia alquanto
tirato via e
presenti, specie negli equini, tratti rigidi che rendono le forme
dure e stechite. Ma zampe
corna orecchie sono rappresentate in esatta
prospettiva e gli animali sono vivi nel loro
movimento. Quello stesso mezzo
animale, appena abbozzato, ha più carattere e vitalità, come
i due completi che
seguono. Da notare il disegno dei corni del terzo bovino, ambedue
tracciati con linee doppie, quello in primo piano rigonfio all’attacco che
nasce sulla linea
del profilo, però, anzicchè sul lato della fronte. Curioso è
l’aspetto dei bovini, che sembra
una contaminazione delle forme del vero e
proprio Bos e del bisonte.
Il corpo massiccio
pesa su quattro zampe cortissime, ancora più corte di quelle dei pesanti
tori
della grotta del Genovese di Levanzo; e la groppa si solleva con una forte
gibbosità,
specialmente nel secondo bovino, al di sopra della testa,
con una linea che è più del
bisonte, Ma la testa, piccola, sporge al di fuori
del petto che è rientrante, come nel Bos, privo
della pesante gibbosità e del
pellame del bisonte. Non so se si possa pensare ad una razza
particolare, dato
che tra le rappresentazioni preistoriche di bovini, in Sicilia, Levanzo e
Addaura, non vi è nulla di simile. Sembra piuttosto che la mano che tracciò gli
animali con
linea facile e scorrevole, non vi sono linee spezzate o pentimenti,
fosse adusa a disegnare
bisonti e si lasciasse fuorviare dall’abitudine, pur
volendo rappresentare un animale diverso.
Insomma vi si potrebbe vedere una
maniera stilistica. Ma
poiché finora non si sono trovate in
Sicilia né rappresentazioni, né resti di
bisonti, bisognerebbe ammettere l’intervento di un
artista estraneo alla
regione, del nord, delle regioni cioè dove abbondanti erano i bisonti e
spesso
rappresentati, ciò che allo stato delle conoscenze sarebbe troppo azzardato.
Comunque pur non trovando precisi rapporti con manifestazioni d’arte rupestre
del nord, le
affinità generiche richiamano l’arte francocantabrica. E a questa
fa pensare anche la
rappresentazione delle frecce sul corpo del terzo bovino.
Purtroppo guasti della superficie
della roccia non permettono di conoscere la
forma precisa della punta, ma la loro presenza è
decisiva per l’interpretazione
dei graffiti.
Parimenti il
disegno degli equini lascia perplessi circa l’interpretazione degli animali. Le
zampe snelle, anche troppo e le brevi orecchie fanno pensare al cavallo. Ma il
muso è tozzo,
il ventre rigonfio alle stremità vicino alle zampe posteriori, la
groppa piatta e l’incollatura
rigida senza slancio elegante, sopporta più che
ergere la testa, bassa al modo asinino. E’ un
cavallo selvaggio o un asino ? o
quell’hidrantino quaternario di cui si sono trovati i denti nel
deposito
archeologico ? o dobbiamo piuttosto attribuire ad imperizia dell’incisore
quella
testa dall’aria dimessa e dalla magra e rigida incollatura così lontana
dalla vivacità delle
splendide teste erette di cavalli di alcune grotte
francesi e spagnole ?Tuttavia questo non
direi, perché il disegno, seppure non
perfetto, ha del carattere; da notare la breve criniera a
spazzola e le
orecchie leggermente curve in avanti del primo equino. Questa testa ricorda
certi tratti di alcuni teste di equini della grotta di Niaux.
Altri graffiti,
segni figura parziale cerbiatto, si vedono sulla parete di lato all’ingresso,
in
piena luce. il cerbiatto, molto piccolo, è rappresentato in rapida corsa,
con un muso
estremamente aguzzo e le zampe dalle estremità indeterminate come
quelle degli equini”.
Nel
1978 il Mannino con il prof. Gianfranco Purpura riesplorarono le superfici
rocciose della
grotta. Il Purpura sollecitato dalla presenza delle
imbarcazioni, lo scrivente interessato alle
incisioni paleolitiche delle quali
aveva iniziato uno studio nel 1963 che lo aveva portato alla
scoperta di altri
graffiti tra i quali due figure zoomorfe.
Per
avere buoni risultati d’indagine pulirono le superfici rocciose annerite dal
fumo di fuochi
millenari e recenti nonché dallo scrostamento, nella parte
frontale e destra della cavità, di una
tinteggiatura con latte di calce
applicata durante l’ultimo conflitto quando la grotta fu
stabilmente abitata.
Alla pulitura si fece seguire
l’osservazione delle superfici, la
documentazione grafica e fotografica. Un
lavoro abbastanza lungo ed in parte monotono però
ampiamente ripagato dagli
straordinari risultati.
Le
imbarcazioni da quattro sono passate a sei… “i disegni, tracciati in maniera assai
rudimentale e con errato senso
della prospettiva, al punto che in un caso sono segnati in alto
anche i remi
del lato opposto all’osservatore, sono però ricchi di precisi particolari.
Ingenuamente gli alberi delle imbarcazioni sono sovente tracciati in prossimità
della linea
della chiglia, come se le fiancate fossero trasparenti. Si ha
l’impressione che chi li ha
tracciati, poco esperto di imbarcazioni,
rappresentasse una precisa scena alla quale aveva
assistito. Non è difficile
scorgere in essa l’inseguimento da parte di quattro galee di una nave
da carico
a vela quadrata e dalla specchio di poppa retto, forse una cocca. Le quattro
imbarcazioni in caccia, infatti, a differenza della prima, sono tutte spinte da
remi ed armate
con vele latine. Oltre alla vela sull’albero maestro un fiocco
appare sulle prime due.
Numerose bandiere dello stesso tipo a fasce verticali
sventolano sulle prime tre. L’ultima
imbarcazione, più bassa di bordo delle
altre, sembra priva di bandiere e dotata di una
copertura a traliccio del
settore poppiero, forse il baldacchino. Chiaramente marcate sulle
galee
inseguitrici sono le estremità della prua che terminano con un pronunciato
becco. Si
tratta dei caratteristici corti rostri delle galee, posti in alto
sulla linea di galleggiamento. La
prima e la terza imbarcazione si distinguono
per la curiosa prominenza della ruota di poppa.
Un grande timone centrale di
foggia arrotondata, tipico delle galere, caratterizza le prime
tre. Sull’albero
maestro della nave mercantile inseguita è mercata la coffa. Un'altra galera è
raffigurata sulla parete opposta ed appare armata con vela latina sull’albero
maestro. Una
concrezione calcarea non permette di distinguere la poppa, ma sono
evidenti le somiglianze
con l’imbarcazione al centro della scena complessa ( ad
esempio il caratteristico rostro e
l’albero maestro tracciato con tre linee
alla stessa maniera).
Intorno al XV –
XVI secolo imbarcazioni di questo tipo frequentavano le acque del vicino
golfo
di Mondello ed è suggestivo pensare che un pastore o un cacciatore, che aveva
assistito
dall’alto dei monti alla cattura di una nave da carico da parte di
alcune galee, abbia
rappresentato sulle pareti della grotta durante una veglia
notturna una scena alla quale
aveva personalmente assistito e che aveva colpito
la sua immaginazione”.
Le
due figure animali scoperte nel 1963
incise nello stipite sinistro dell’ingresso, a 2 m dal
piano di calpestio, si
trovano su una parete rocciosa colpita dai proiettili sfuggiti alle sagome
del
sottostante poligono di tiro ora abbandonato.
Fori presenti poco più in alto dell’incisione
del piccolo cerbiatto
scoperto nel 1954.
La
figura di sinistra riproduce forse un bovide con la testa rivolta a sinistra;
si conserva la
testa triangolare, il collo breve e massiccio impostato su
lunghe zampe esili.
La
seconda figura, lunga 9 cm, anche questa parziale per guasti della superficie
rocciosa, ha
pure il profilo rivolto a sinistra. La testa manca per una lacuna
molto antica e ben diversa
dalle scheggiature dei proiettili. Potrebbe essere
stata prodotta anche dallo stesso uomo
paleolitico.
In
questo caso un vero artista perché quella parte che doveva essere incisa con la
testa del
bovide fu adattata. Infatti quando la luce solare colpisce la parete
rocciosa, quel guasto che si
annerisce
per l’ombra violenta, dà effettivamente l’impressione di trovarsi in presenza
della
testa dell’animale.
L’animale
è reso con pochi tratti essenziali che riescono a dare un’immagine di un corpo
agile impuntato sulle zampe anteriori, le corna snelle appena curve ci
riportano all’immagine dell’antilope del deserto sahariano delle cui corna si
adornavano re e capi sacerdoti dell’Antico Egitto.
Altre
incisioni occupavano il vano d’ingresso, la cui superficie rocciosa è
completamente
rovinata dai proiettili. Rimangono brevi tratti rettilinei su
piccoli strati di roccia e non
facilmente interpretabili.
Le
ricerche del 1978 portarono alla scoperta di iscrizioni tracciate in nero
identiche ad altre
trovate nella grotta di Santa Rosalia, nella Montagnola di
S. Rosalia e altrove.
C’è
pure una piccola iscrizione incisa e disegni pure incisi piuttosto complessi e
che allora
non furono interpretati.
Le
iscrizioni in nero sono puniche e furono oggetto di studio da parte del rev.
Padre Rocco.
La
grotta fu completamente svuotata dal suo deposito antropozoico, in parte
affiora la roccia e
ciò che resta è rimescolato e di nessun valore
archeologico.
La
Soprintendenza per proteggere le incisioni provvide alla chiusura della
cavità con una
grata ed un cancello
nell’ingresso più ampio, interrando il piccolo ingresso sulla destra. Per
agevolare la visione delle incisioni, il piano di calpestio è stato
sollevato con pietrisco
ricoperto di
terriccio.
L’altezza
delle incisioni dal piano di calpestio è ora inferiore di 80 cm rispetto a
quella resa
nota in occasione della loro scoperta.
Lo
svuotamento della cavità è notevole, quasi uguale all’intera cubatura della
grotta. Lembi
di deposito archeologico, indubbiamente Paleolitico, si trovano
numerosi sulle pareti ad una
altezza di 1 – 1,50 m dall’attuale piano di
calpestio. Più in basso subentra la terra rossa
concrezionata, assolutamente
sterile, fino al fondo roccioso.
Alla
fine del Paleolitico il riempimento doveva raggiungere un altezza tale da
rendere molto
probabilmente la grotta inabitabile. Le incisioni dovevano essere
ricoperte ed il cunicolo
interno doveva essere inaccessibile.
In
un momento non imprecisato, del quale le
iscrizioni puniche ci forniscono in ogni caso
un’idea, il deposito venne piano
piano asportato sino a scomparire del tutto.
Così
si doveva presentare il deposito nel 1954 quando la Soprintendenza decise di
compiere
dei sondaggi, furono scelte infatti due aree esterne.
Nel
Saggio 1, fu aperta una trincea di (1 x 2,50) m davanti all’ingresso della
grotta con il lato
più lungo verso valle. Lo scavo fu fermato alla profondità
di 0,90 m per la presenza di grosse
frane. Purtroppo si ignorano i rapporti tra
il deposito e le incisioni. A memoria possiamo dire
che
la distanza tra il centro della trincea ed il pannello con le incisioni era di
circa 5 m.
Nulla
possiamo dire riguardo l’altimetria.
I
risultati furono piuttosto deludenti. Il deposito archeologico in posto si
trovò alla profondità
di 40 cm.
Lo
scavo fu eseguito con tagli di 10 cm in un terriccio sempre più consistente e
più rosso per
depositi di ossido di ferro. Si rinvennero, scrive la Bovio
Marconi, “gusci di molluschi per lo
più
terrestri, fra cui la comune Helix e la Rumina decollata, di marini solo due
“dentalis”,
ossa animali spezzate e scheggiate, denti di Equus hidrumtimus. Bos
primigenius, cervidi per
tutto il desposito, Sus scrofa sp. Solo nel IV taglio
fra cm 70 – 80, dove s’è trovato anche un
frammento di ocra rossa”.
“L’industria
litica in quarzite e selce è la solita industria del Paleolitico superiore
siciliano,
con forma poco accurate”.
Saggio
N. 2: fu aperta una trincea di (2,50 x 2,10)m tra i due ingressi della grotta e
scavata
fino ad 1 m di profondità. Lo scavo fu arrestato per la presenza di un
enorme masso sotto il
quale proseguiva però il deposito archeologico.
Saggio
N. 2bis. È un allargamento del precedente, di (1,20 x 3,50)m, fu raggiunta la
profondità di 2 m. nel rapporto la Marconi unifica i risultati dei due saggi.
Lo scavo fu
eseguito con tagli di 10 m, tranne il primo di 20 cm e l’ultimo di
50 cm.
Il
deposito si presentò sconvolto nei primi 30 cm, per la presenza di reperti
cronologicamente
lontani (punte a dorso abbattuto, ossidiana, frammenti di
terracotta ad impasto).
La
terra prima sciolta e poco scura via via diviene compatta e si scurisce; dopo
70 cm
incomincia ad arrossarsi; dopo 1,20 m è rossa, sabbiosa e molto compatta.
I
reperti animali sono così suddivisi: i molluschi terrestri iniziano alla
profondità di 1,10 m,
crescono nei tagli più alti con massimi tra 60-40 cm,
decrescono verso la superficie; i
molluschi marini compaiono alla profondità
1,40 m, raggiungono la massima quantità tra cm
90-80, poi decrescono; le ossa
di animali, in ordine di abbondanza, cervidi, equidi e bovidi,
seguono la
stessa curva dei molluschi marini con debole inizio dalla profondità di 2 m;
eguale andamento per le tracce di carbone molto abbondanti tra cm 90-80.
Alla
profondità di 1,40 m si rinvenne “un raro
elemento del mare freddo siciliano un guscio
di ciprina islandica”.
L’industria
litica, di quarzite ma soprattutto di selce, per la quantità ricalca la curva
dei
molluschi marini dei quali l’uomo preistorico si cibava largamente; inizia
a 1,30 m di
profondità
Da quanto esposto si desume che la massima
frequentazione della cavità è registrata nel
livello di 90-80 cm.
Purtroppo, per le
croniche deficienze, non furono sfruttati i carboni di un focolare rinvenuto
in
questo strato per determinare al C14 la datazione assoluta.
Il deposito in
posto nel quale è certa la presenza umana ha lo spessore di cm 90 ed è quanto
resta di un deposito di gran lunga maggiore sia Paleolitico che a ceramica.
L’industria della
Grotta Niscemi per quanto ha rilevato soprattutto il Saggio N. 2 è piuttosto
omogenea nei vari tagli, di fattura piuttosto scadente e rientra nella facies
siciliana del
paleolitico Superiore.
Si trovano lame, lamette, punte, raschiatoi,
bulini e microbulini
Grotta Niscemi –
Incisione di cerbiatto in rapida corsa
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Grotta Della Diaclasi
Dati
di Catasto
SI
PA n. 73
Località:
Viale Regina Margherita
Tavoletta:
249 II N.E. Palermo
Long.
E: 0°53’04” – Lat. N.: 38°10’42”
Quota:
70 m
Sviluppo;
11 m
Il piano di
calpestio è ingombro di frane e detriti tuttavia fra gli interstizi dei massi,
non
sempre raggiungibili con una mano, si scorgono frammenti ad impasto
preistorici molto
minuti il cui aspetto fa pensare alla seconda metà
dell’Eneolitico.
Grotta Diaclasi – Pianta e profilo
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Grotta Della Civetta
Dati
di Catasto
SI
PA n. 71
Località:
Viale Regina Margherita
Tavoletta:
249 I S.E. Mondello
Long.
E: 0°53’00” – Lat. N: 38°10’57”
Quota:
75 m
Sviluppo:
10 m
Cavità posta nella
parete della falesia a circa 10 metri dal piano di campagna, poco a Nord
del
Canalone della Pietraia.
Cavità di origine
marina riempita di rozze formazioni calcaree, di nessun interesse.
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Grotta Del Laghetto
Dati di Catasto
SI
PA n. 70
Località: Viale Regina Margherita
Tavoletta: 249 I S.E. Mondello
Long. E: 0°53’00” _ lat. N: 38°11’02”
Quota: 70 m
Sviluppo: 70 m
La cavità s’apre ai piedi della falesia.
È di origine marina e la sua morfologia ne è un tipico
esempio. Sul suolo affiora la roccia e
dunque nulla rimane d’interesse
archeologico che invece va ricercato nel “talus” della
grotta dove si
raccolgono frammenti di terracotta ad impasto di sicura età preistorica ed
utensili e frammenti di ossidiana, selce e quarzite. Quest’ultimi attribuibili
soprattutto al
Paleolitico Superiore.
Grotta del Laghetto
Pianta – Sezioni Trasversali e Longitudinale
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Fessura (Valdesi)
Dati di Catasto
SI
PA n.75
Nome Locale: Gruttignuni
Altri Nomi : Fessura
Località: Pendici Settenrionali del
Pizzo san Pantaleo
Tavoletta: 249 I S.E. Mondello
Long. E: 0°53’02” – Lat. N.:38°11’21”
Quota: 50 m
Sviluppo: 9 m
La cavità si apre quasi al centro
della parete strapiombante tra lo Spigolo di Valdesi ed il
piccolo canalone
della Montagnola.
Fessura – Pianta e sezione longitudinale
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Grotta Della Finestrella
Dati di catasto
SI
PA n. 69
Nome Locale: I Grutti
Altri Nomi: Grotta della Finestrella
Località: Pendici Settenrionali del
Piano San Pantaleo
Long.E.: 0°54’04” – Lat. N. :38°11’21”
Quota: 55 m
Sviluppo: 55 m
La grotta si apre sul fondo di una
nicchia, qualche metro sul piano di
campagna tra il piccolo
canalone della Montagnola e lo spigolo di Valdesi.
Si tratta di due cunicoli quasi dello
stesso sviluppo, privi di deposito, entrambi di natura
marina come testimoniano
serie di fori di litodomi.
Grotta della
Finestrella
Pianta e sezione
longitudinale
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Grotta della
Colonnina
Dati
di Catasto
SI PA n.68
Nome
Locale: Grutta di Ciavareddi
Altri
Nomi: Grotta della Colonnina
Località:
Pendici Settentrionali del Piano San Pantaleo
Tavoletta:
249 I. S.E. Mondello
Long.
E.: 0°53’05” – Lat. N.: 38°11’21”
Quota:
55 m
Sviluppo:
6 m
Si
apre in prossimità del piccolo canalone della Montagnola.
Nella
parete di fondo, sulla destra, resti di una breccia che testimonia un
riempimento ormai
del tutto smantellato. In essa vi raccogliemmo, una trentina
d’anni fa, una punta a “dorso
abbattuto”,
tipica del paleolitico Superiore Siciliano.
Grotta della
Colonnina
Pianta e sezione
longitudinale
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Grotta del Vallone
La Montagnola
Dati
di Catasto
SI PA n. 67
Nome
Locale: Grotta delle Pecore
Altri
nomi: Grotta del vallone la Montagnola
Località:
Pendici Settentrionali del Pizzo San Pantaleo
Tavoletta:
249 I S.E. Mondello
Long.
E: 0°53’06” – Lat. N.: 38°11’21”
Quota:
55 m
Sviluppo:
7 m
Si
apre quasi al piede sinistro del piccolo canalone della Montagnola, dunque a
destra di chi lo
guarda.
Nell’interno
della cavità affiora la roccia ed è quindi priva di deposito antropozoico che
pure
dovette riempirla come si può dedurre da alcune piccole brecce. Una
trentina d’anni fa, nel
talus, si potevano osservare frammenti di utensili di
selce e quarzite di tipo Paleolitico
Superiore e frammenti di anfore puniche.
Quest’ultime certamente legate ad una postazione
militare a difesa del passo.
Ora una copertura di materiali precipitati durante la costruzione
dei tornanti
della nuova strada per il santuario ed una fitta selva di rovi ed altra
vegetazione
precludono ogni osservazione.
Grotta del Vallone
Pianta e sezione
longitudinale
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8. VILLAGGIO
GIUSINO
L’area
pedemontana del Monte Pellegrino, la parte occidentale e cioè a Nord del Parco
della
Favorita, fu sottoposta ad interventi meccanici con la realizzazione di
terrazzamenti per la
coltivazione di garofani. Interventi che furono realizzati
nel 1950. Il sig. Ronaldo Laganà
segnalò al prof. Giovanni Mannino il
rinvenimento di frammenti fittili, in grande quantità e
sparsi nel territorio
sicuramente a causa dell’intervento dei mezzi meccanici. Il prof. Mannino
fece
un sopralluogo e rinvenne il fondo di una capanna sul quale vennero raccolti
frammenti di un
pithos.
Un
villaggio della media età del Bronzo ? opportuni scavi potrebbero portate alla
luce altre
capanne o sono andate completamente distrutte ?
Villaggio Giusino
– fondo della capanna
Pithos ricostruito
e frammenti fittili eneolitici
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9. LA
NECROPOLI VALDESI
Il
nome fu introdotto dall’archeologo Emanuele Salinas che fu il primo a dare
notizia della
scoperta dell’importante necropoli. Si trova nell’ex località
Calvello, un appellativo in uso
nello scorso secolo, tra Viale Regina
Margherita, il Parco della Favorita e Valdesi. Le tombe
vennero alla luce nel
1897 durante degli sbancamenti per prelevare terra necessaria per le
bonifiche
delle paludi Valdesi – Mondello.
Il
Salinas era un grande archeologo e si soffermò
sulla sezione del terreno, dallo spessore di
5 – 6 m, praticata dagli
sbancamenti e nell’alternanza di strati di terra con più o meno
pietrisco e
pietre.
Nelle
pietre vi riconosce “centinaia d’asce,
scalpelli, punte di freccia ed altri manufatti di
dimensioni alle volte
colossali e di tipo eminentemente paleolitico..”, sbancamenti effettuati
in
località “Valdesi” e tutt’intorno il monte.
Il
villaggio preistorico di Valdesi si estende subito a Nord della Necropoli, verso il mare,
come
confermano i pochissimi frammenti raccolti di vasellame piuttosto eroso ed un
maggior
numero pezzi di “intonaco di capanna”. Materiale custodito al Museo Archeologico
di
Palermo.
Tutti
i materiali posseduti dal Museo Archeologico provenienti dalla necropoli di
Valdesi “
sono stati acquistati dagli
operai addetti alla bonifica; si tratta, secondo l’uso del tempo, di
materiale
scelto. Sono reperti tipologicamente diversi con datazione diversa. Parte
dell’industria litica è di tipo Paleolitico, probabilmente proveniente dalla
vicina Grotta del
Laghetto. Il rimanente materiale, databile all’Eneolitico, è
distinguibile fra necropoli ed
abitato. non è facile fare valutazioni per
future ricerche, gli indizi affioranti non sono molti.
Percorrendo più volte la
fascia pedemontana ho ricevuto l’impressione di una certa
dispersione delle
capanne e queste le ritengo piuttosto profonde per il rapido accumularsi
del detrito di falda”.
“
Lo scavo verticale affiancato da ricca vegetazione è un fossato anticarro
realizzato
nel 1942. Le tombe “a forno” con pozzetto di accesso, sono
scavate nel detrito di falda a circa 2,50
Necropoli di Valdesi 1897 – foto di
Emanuele Salinas
Un
villaggio preistorico era presenta nel quartiere oggi chiamato dei “Valdesi” ?
Un
villaggio posto a nord della Via “Erecta”, in una zona pianeggiante
prospiciente il mare ed
ancora non soggetta alla presenza del Pantano di
Mondello-Partanna che gli Arabi invece
trovarono tanto da chiamare la zona con il termine di: “Marsa ‘at Tin” (Porto di fango).
trovarono tanto da chiamare la zona con il termine di: “Marsa ‘at Tin” (Porto di fango).
Il
Viale Venere è il prolungamento della Via Monte Ercta dopo l’incrocio con il
Viale Regina
Martgherita.
Nel
giugno 2016, durante la sorveglianza archeologica per le messa in opera della
rete di alta
tensione, furono rinvenute
nel Viale Venere, tra i numeri civici 9 e 11, tre tombe a cella
ipogeica che
erano procedute da un pozzetto (T1, T2, T3). Le tombe erano scavate nella
roccia tenera, sabbiosa, bianca e molto friabile. La Soprintendenza effettuò
subito uno scavo
archeologico all’interno della trincea larga 1,50 m e
realizzata per la posa dei cavi elettrici.
Localizzazione dettagliata delle
tombe rinvenute in Viale Venere
Le
celle hanno una pianta sub-circolare del diametro fra 1,5 – 2 m, con altezza di
circa 1 m e
sono ad una quota rispetto al piano stradale (Viale Venere) di
-1,70 m.
Si
tratta di deposizioni multiple i cui resti sono stati trovati in pessime
condizioni di
conservazione e che furono inviati nei laboratori per le relative
analisi radiocarboniche e
osteologiche (analisi che furono fatte nel 2016, non
so con quali risultati).
Viale Venere – Tomba n. 1
Nel
1970, in Via Marte n. 2, distante appena cento metri in linea d’area dal
ritrovamento di
Viale venere, venne individuata una tomba simile a quelle su
descritte.
Esaminando
le strutture funerarie e i relativi corredi, si potrebbe ipotizzare l’esistenza
di una
vasta necropoli databile dall’Eneolitico Antico.
Tomba
N. 1 – presenta un pozzetto d’accesso verticale a SW della cella che era stata
tagliata
da uno scavo precedente sempre per la posa di una condotta elettrica.
Il corredo che fu
rinvenuto, disposto a Se e secondo gli archeologici
attribuibile alla facies di “San Cono –
Piano Notaro”, era costituito da una
oletta a corpo ovoidale integra; un olla a corpo globulare
e orlo svasato,
mancante di qualche pezzo; due olle con orlo svasato di cui si conservano solo
alcuni frammenti; una scodella tronco-conica, mancante di alcuni pezzi; una
tazza con ansa a
nastro insellata, integra, una conchiglia (arctica Islandica?).
Nel pozzetto, fra il pietrame fu
anche rinvenuta una grossa scheggia in
quarzite con ritocco laterale destro. Secondo gli
archeologici si trattava di
uno strumento di scavo, come quelli che sono stati rinvenuti in
diverse
necropoli della Sicilia Occidentale.
Tomba 1: rilievo sezione e pianta
(rilievo di Paola Vaccarello)
Tomba 1: elementi del corredo funerario in corso di scavo
Tomba n. 1 - Apertura del pozzetto verso la cella
Tombe
N. 2 – 3
Le
tombe 2 e 3 mancano in parte dei pozzetti a causa dei lavori per l’apertura
della trincea
mentre le celle erano integre al momento della scoperta.
A
Tomba N. 2, con pozzetto d’accesso verticale a NE della cella e tangente a
quello della
Tomba N. 3. Il corredo era collocato a SE e fu anch’esso
attribuito alla facies di “San Cono -
Piano Notaro”. Era costituito da una
tazza carenata con decorazione excisa riempita di ocra
rossa e priva dell’ansa;
una tazza a corpo ovoidale priva dell’ansa; un olla globulare con orlo
leggermente svasato, integra.
Completavano
il corredo diverse conchiglie e una lastra litica utilizzata probabilmente come
poggiatesta, con tracce evidenti di ocra rossa. Alcune ossa lunghe si trovavano
collocate a
NW, nei pressi dell’imboccatura della cella e presentavano anche
loro evidenti tracce di ocra
rossa.
Tomba N. 2 – Elementi del corredo
funerario
Tomba
N. 3
Pozzetto
d’accesso a piano inclinato a W della cella, tangente a al pozzetto della Tomba
N. 2,
e chiuso da due lastre litiche, poste di taglio, una alla sommità e
l’altra alla base.
Il
corredo era collocato ad Ovest, davanti all’imboccatura della cella e
attribuito alla stessa
facies delle due precedenti tombe. Un corredo costituito
da: due olle globulari con orlo
leggermente svasato, integre. In questa tomba
si è riscontrato il peggiore stato di
conservazione dei resti umani. C’era una deposizione in giacitura supina di
cui era rimasta
l’impronta di “polvere” d’ossa e di due ossa lunghe, collocate
nei pressi dell’ingresso a Sud,
fra l’impronta dello scheletro e la parete.
Un’altra caratteristica di questa cella era la presenza
di una banchina
ricavata lungo la parete verso Nord.
In
questa zona, quindi, come abbiamo visto anche nei precedenti argomenti, oltre
alla tomba
di Via Marte, sono presenti anche le necropoli e il villaggio (?) di
Valdesi, posto nella fascia
pedemontana fra il Viale Regina Margherita, e Monte
Pellegrino, al limite del Parco della
Favorita e il villaggio del Giusino.
Tomba N. 3 – Elementi del Corredo funerario
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Monte Pellegrino (RNO) - "Il Promontorio più bello al mondo...."
Parte Prima: Il castello Utveggio - Le Postazioni Contraeree - I Serbatoi della Marina Militare (ing. Pier Luigi Nervi) - Le "Casermette"
Parte Prima: Il castello Utveggio - Le Postazioni Contraeree - I Serbatoi della Marina Militare (ing. Pier Luigi Nervi) - Le "Casermette"
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