MONTE PELLEGRINO (RNO) (Palermo): “Il Promontorio più bello al mondo…”
Parte
Terza:
La
Palazzina Cinese – Le Statue del Parco
della Favorita (Parte integrante della Riserva di Monte Pellegrino) – Museo Etnografico
Giuseppe Pitrè - Le Scuderie Reali – Nella
Palazzina Cinese c’è l’anima della Regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena
(Enciclopedia delle Donne).
Indice:
-
Palazzina Cinese : la Storia; La Struttura; Gli ambienti; La Tavola “meccanica”;
Le Decorazioni – Gli Autoritratti della
Regina; Il Coffe House; La Cappella Privata;
I Restauri della
Sovrintendenza;
-
Le Statue del
Parco della Favorita: La Fontana D’Ercole; La Statua di Diana…scomparsa
? La Statua della dea Pomona… scomparsa ?
-
Museo Etnografico Giuseppe Pitrè: La Storia del Museo;
Spariti 235 oggetti del Museo…..
-
Le Scuderie Reali
-
Enciclopedia delle Donne: Nella Palazzina Cinese c’è l’anima
della Regina Maria Carolina d’Aburgo-Lorena
Nel 1799 il principe di Aci, don Giuseppe Riggio, con
una delega del Re Ferdinando I di Borbone (re di Napoli con il nome di
Ferdinando IV e re di Sicilia con il nome di Ferdinando III di Sicilia ..
successivamente con l’appellativo di Ferdinando I delle Due Sicilie), chiese ai Lombardo, baroni della Scala, la
concessione di una “casina” detta “Casina delle Campanelle” sita nella
Piana dei Colli.
Lo stesso principe di Aci diede anche incarico al
regio architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia di stimare il fabbricato per
determinare “il giusto censo annuale”.
Giuseppe Venanzio Marvuglia
(Palermo, 6 febbraio 1729; Palermo, 19 dicembre 1814)
Dipinto di Gioacchino Martora (1735 – 1779)
Re Ferdinando comprò la palazzina e il parco che si
estendeva sino alle paludi di Mondello che furono bonificate negli anni ’20 e
’30. Mondello diventò un rinomato centro
balneare e il suo aspetto urbanistico s’arricchì con la costruzione di ville
Liberty.
Ferdinando creò
così la sua Riserva di caccia ed anche i giardini che per lui erano dei veri e
propri laboratori naturali in cui si dilettava in studi botanici.
La “casina dei Colli”
aveva incantato la coppia reale (Ferdinando I di Borbone e la moglie Maria
Carolina d’Austria Lorena) per la sua posizione topografica, nel Parco della
Favorita, e per il suo stile orientale voluto dal proprietario il Barone
Benedetto Lombardo della Scala. La
struttura in ogni caso non era adatta ad ospitare una coppia reale anche perché
Ferdinando I di Borbone dal dicembre 1798 si era ormai stabilito a Palermo a
causa dell’occupazione napoleonica. I
Borbone decisero quindi di fare ristrutturare la “casina” imponendo all’architetto
di mantenere il suo originario stile orientale.
I lavori furono affidati all’architetto Venanzio
Marvuglia che era stato il progettista della palazzina su incarico degli
antichi proprietari baroni Lombardo della Scala. Il risultato finale fu la
realizzazione di una delle costruzioni più originali e raffinate della Sicilia.
Il
prospetto della palazzina sul giardino
posteriore.
La struttura originaria, come detto in stile
orientale, si presentava costruita in muratura con ballatoi lignei in due
ordini, delle ringhiere dipinte e coperta da tetti a padiglione.
Il progetto
del Marvuglia
L’architetto intervenne nella struttura fino al 1802 e
successivamente il figlio, Alessandro Emanuele, ultimò l’opera.
Furono modificate le coperture sostituendo i tetti
laterali con due terrazze simmetriche che presentano delle colonne portanti su
cui poggiano delle architravi lignee
traforate. Nella parte centrale venne eretta una costruzione, con una grande
copertura a padiglione posta su un tamburo ottagonale e sormontata da un
pinnacolo a doppio calice rovesciato, detta “Specola
o Stanza dei Venti”.
La “Stanza dei Venti”
Nei prospetti Nord e Sud venne aggiunto un portico, sorretto
da sei colonne in marmo disposte a
semicerchio, coperto da un tetto a pagoda. Ai lati della struttura, su progetto
di Giuseppe Patricolo, vennero inserite due torrette con scale elicoidali
collegate attraverso passaggi aerei ai ballatoi del piano rialzato e del piano
nobile.
Una delle due torrette con scala elicoidale
Il risultato finale fu un edificio che riuscì a
mantenere il suo stile orientale ma con l’inserimento di alcuni aspetti di
stile neoclassico che erano un espressione del gusto ecclettico del tempo. Le colorazioni policrome con ocre gialle,
rosse e grigie riuscirono a conferire alla palazzina una sua grande originalità
estetica di grande bellezza.
Descrivere gli interni
non è facile perché si dovrebbe scrivere un vero e proprio trattato in merito
alla suddivisione degli ambienti e alle loro decorazioni.
La palazzina di compone di ben cinque livelli:
-
Il seminterrato composto: da una grande sala da ballo
in stile Luigi XVI; alcuni disimpegni: i bagni; una sala da “buffet” chiamata
sala delle “codine” con delle
magnifiche decorazioni; l’ambiente che contiene il meccanismo originario della “Tavola Matematica” progettata dallo
stesso Marvuglia.
sia
rovinato per la presenza di muffa con conseguente danneggiamento degli
affreschi.
Il realtà
non è proprio così… il decoro originale della stanza fu voluto in questo modo.
La “Sala della
codine” era detta anche “sala della musica”
La cucina, che potremo definire
“superaccessoriata” per il tempo in esame, si trova in un locale attiguo dove
erano presenti anche le stalle. Ferdinando I amava cacciare e pescare e
desiderava che tuttò ciò venisse cucinato nel migliori dei modi, spesso sotto
la sua stessa supervisione.
La Cucina
- Al piano rialzato: il salone di rappresentanza; Sala delle
Udienze che presenta tante scritte in lingua
e scene di vita orientale.
Sala delle udienze
A fianco della sala delle udienze si trova la Sala da
Pranzo con la famosa “Tavola Matematica”.
Un sistema ligneo meccanico che grazie ad un sistema di pulegge
permetteva di fare salire i pasti dal basso, dal locale in cui arrivano i pasti
preparati nelle cucine. Il quadrante centrale ed i fori laterali potevano infatti
scendere fino al locale sottostante dove venivano caricati di bevande e pasti e
quindi mandati al piano superiore. Una tecnica che in quei tempi era di moda
soprattutto nei castelli della Baviera di re Ludwing. Al re infatti non amava mangiare sotto lo
sguardo della servitù e degli estranei, era un modo di preservare la sua
privacy. “Tavola” che fu progettata dal Marvuglia
e costruita a Napoli.
Nel lato opposto si trova l’appartamento reale con
ambienti lussuosi e arredati con mobilio e suppellettili di valore (sala da
gioco, camera da letto, sala da bagno).
La “sala da bagno” era una sala occupata, quasi per
intero, da una vasca da bagno circolare e interrata. Ferdinando fece aprire in questo ambiente una
porticina che dava direttamente sul giardino… il motivo è facile da intuirsi..
Il bagno
Vasca del Re
Sala da gioco
Nella camera da letto il tetto fu affrescato dal
palermitano Velasco o Velasquez, come amava farsi chiamare. Qui si trovava il
letto munito di ruote, con cui il re si faceva trasportare in giardino nei
periodi di malattia. Il piano rialzato a quanto sembra era probabilmente di
pertinenza del re.
-
Al primo piano, gli alloggi per i cavalieri e le dame
di compagnia, e i mezzanini (piccoli ambienti) per il personale di servizio.
-
Secondo piano, era invece di pertinenza della regina
Maria Carolina. Si trovano le stanze più belle con il “salotto turco”, la
saletta “ercolana” in stile impero e
la camera da letto con alcova in stile neoclassico con il magnifico bagno
chiamato “gabinetto delle pietre dure”.
Al secondo piano si susseguono quindi ambienti di stile Orientale, Neoclassico
ed Impero. Nel “Salone alla Turca” sono presenti numerose colonne espresse nei toni dell’azzurro mentre nel
“bagno” sono presenti specchi, mosaici e
lavorazioni in paste vetrose lucide.
salone alla turca
Le pareti sono
arricchite da miniature dipinte dalla stessa Maria Carolina tra cui spicca un
autoritratto intitolato “Me stesso”.
Ritratto dei figli ..” Immagini di Mia Tenerezza”
Autoritratto della
Regina…”Me Stesso”
Ritratto, sempre eseguito dalla Regina, del Re Ferdinando I di Borbone...”Il Mio Sostegno”
Sala “Ercolana”
Bagno della Regina
Stanza da letto della Regina
- L’ultimo livello, a cui si accede attraverso quattro
scale a chiocciola in ferro e poste sulle terrazze laterali, è costituito dalla
“Stanza dei venti”. È la parte finale
della costruzione ed era destinata ad osservatorio.
Stanza dei Venti
LE DECORAZIONI
Un apparato
pittorico molto ecclettico nato dalla creatività artistica dei maggiori pittori
palermitani e napoletani del periodo: Giuseppe Velasco, Elia Interguglielmi,
Vincenzo Riolo, Rosario Silvestri, Raimondo Gioia, Giuseppe Platania e Benedetto
Cotardi, di origini napoletane e molto attivo a Palermo del Settecento. Gli
arredi s’ispirano alla maniera cinese, una moda che aveva contagiato la nobiltà
tanto che nelle ville c’era sempre un angolo dedicato alla cultura cinese.
Altri arredi s’ispirano al gusto per la classicità legato agli scavi
archeologici di Ercolano e Pompei avviati dal sovrano.
La palazzina nel corso degli anni è stata oggetto di
restauri. Nel 2008 in particolare furono recuperati gli elementi architettonici
della struttura e soprattutto gli elementi decorativi (tappezzerie, affreschi e
pavimenti).
Nella palazzina c’è anche la cappella che i sovrani
avevano adornato di presepi in terracotta, ancora oggi presenti, fatti giungere
da Napoli.
La coppia reale si fermò a Palermo solo qualche anno
per poi tornare a Napoli quando si placò l’insurrezione.
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È strano ma la palazzina fu voluta, progettata e
vissuta da chi in Cina non si recò mai. Al suo interno per un breve periodo si
svolsero balli, incontri, liti, intrighi politici ed anche amorosi..
Sul retro della palazzina si trova il giardino
all’Italiana. Uno spazio di verde molto curato con siepi a labirinto,
suggestive fontane di gusto neoclassico e alberi secolari.
Nelle dipendenze della palazzina, antiche sedi delle
cucine e delle stalle, si trova oggi il Museo
Etnografico Pitrè dedicato alle arti ed alle tradizioni siciliane. Un Museo
fondato nel 1909 dal prof. Giuseppe Pitrè.
Nel settecento si ebbe una grande concentrazione di
ville lungo la piana dei Colli e legate, in teoria, ad un miglioramento
fondiario di zone che allora erano incolte. Una vasta area compresa fra i Monti
Billiemi, Gallo e Pellegrino. La prima
villa ad essere edificata fu quella della marchesa di Geraci che realizzò la “Casena Grande” nella borgata Resuttana
e diede il via ad una grande opera di bonifica della zona nel 1683.
Agli inizi del XVIII secolo le ville, tutte della
nobiltà, erano come delle piccole isole feudali dove vigevano gerarchie e
consuetudini di un mondo che “altrove era
ormai tramontato”.
Il giardino continuava infatti a mantenere un aspetto
o carattere medievale, chiuso e cinto da alte mura totalmente precluso
all’ambiente circostante.
I primi giardini ornamentali, romantici, videro la
luce agli inizi del XIX secolo con la realizzazione della Real tenuta della Favorita
voluta, come abbiamo visto, da Ferdinando I di Borbone e anche dalla moglie. A
questa tenuta s’ispirano molti esponenti dell’aristocrazia palermitana.
La famosa Villa o Palazzina Cinese, in origine “Villa
delle Campanelle” dei Lombardo della Scala fu un esempio seguito da altri
nobili. Nello stesso periodo in cui l’architetto Venanzio Marvuglia avviò i
lavori di ristrutturazione della palazzina, nel 1799, con incluso la realizzazione
del parco che si sviluppava nelle zone antistanti e retrostanti alla palazzina,
si occupò anche della sistemazione della
Villa Belmonte all’Acquasanta del principe Giuseppe Emanuele Ventimiglia forse
affidati successivamente al figlio Alessandro Emanuele.
Vicino alla casina Cinese c’era anche un Coffee House
che fu costruito proprio dal figlio del Marvuglia.
Di questo Coffee House non rimane oggi nulla se non il
sedime sopra cui venne costruita una montagnola artificiale di pertinenza della
Città dei Ragazzi.
Era un edificio a pianta ottagonale, in legno, secondo
lo stile del tempo e delle magione che i reali vollero mantenere per
affiancarsi al resto degli stupendi giardini europei del tempo. Dell’edificio
rimangono le testimonianze iconografiche come il dipinto del Martorana e qualche disegno.
Disegno per il “cafeaos” con copertura a pagoda da riferire
probabilmente alla Favorita (Palermo, Archivio Palazzotto)
Incisione del Martorana risalente agli inizi del XIX secolo.
Raffigura il Coffee House nei pressi della Casina Cinese (di fronte al
prospetto Sud).
LA CAPPELLA PRIVATA
In
stile neoclassico fu costruita tra il 1803 ed il 1804 da Alessandro Emanuele
Marvuglia.
All’esterno
presenta una pianta quadra mentre all’interno è a pianta circolare con una
fascia anulare e con otto colonne poste lungo la circonferenza che delimitano delle
nicchie.
Attraverso
dei cunicoli la famiglia reale dalla palazzina cinese giungeva nella cappella
privata per assistere alle funzione dalla galleria superiore.
Le otto colonne
sostengono l’architrave circolare che a sua volta sostiene la cupola a sesto
depresso. Una cappella semplice e anche l’esterno non presenza espressioni artistiche particolari.
Un cubo, forma geometrica pura, dove è evidenziato l’asse principale dato dalla
porta e dalla sovrastante finestrella. La cupola emerge grazie alla presenza di
un anello gradonato e al centro della cupola s’innalza un pinnacolo costituito
da otto ombrellini in rame.
Cunicoli
sotterranei
La galleria
superiore da dove la famiglia reale assisteva alla funzione religiosa
Nella sagrestia sono presenti dei dipinti dell’800 che
raffigurano la Sacra Famiglia e una statua del XVI secolo, raffigurante San
Francesco di Paola, di Vincenzo Gagini.
Nel locale attiguo alla “Real
Casina Cinese”, anch’esso di stile orientale, Ferdinando I trasferì l’amministrazione,
la cucina e in altri locali la scuderia, la stalla, i quartini dove alloggiava
la servitù, qualche bottega artigiana. C’è poi il cortile detto della
“strigliata” ed infine la Cappella.
Interessante l’aspetto della cucina che destò ammirazione
nei vari visitatori.
Il collegamento della cucina con la palazzina cinese
era assicurato da un corridoio sotterraneo per raggiungere l’ambiente dove la
“Tavola Matermatica” veniva apparecchiata per poi salire meccanicamente al
piano superiore.
Un meccanismo simile a quello del “Trianon di Maria
Antonietta.
Questo collegamento esisteva nella sala da pranzo al
tempo dei precedenti proprietari Lombardo della Scala.
In merito importanti sono gli appunti di un ospite
della casa che fu invitato dal giudice Lombardo
a cena, Leon Dufourny. Il Dufourny riportò nei suoi appunti un’accurata
descrizione della casa e dei suoi servizi non tralasciando la cucina…”Eia esterefatto dall’eccezionale idea
distributiva della cucina “segregata” dall’edificio residenziale. Il
collegamento nacque per evitare la circolazione di cuochi e sguattere, nelle
stanze nobiliari…”
Nella
Palazzina Cinese la Soprintendenza di
Palermo ha eseguito importanti restauri riuscendo a ridare alla struttura
il suo antico fascino. Un intervento accurato anche nell’arredamento come ad
esempio per i vari lampadari, in bronzo e in cristallo, provenienti da
Schonbrunn che illuminavano i vasti saloni. C’erano poi quelli il legno e in
tessuto che sono stati ricollocati nelle stanze del re Ferdinando I di Borbone
e quelli in alabastro, perle e bronzo dorato nelle stanze della regina Maria
Carolina d’Austria.
Lampadari
che si trovavano dagli anni Novanta nei depositi. Si trovavano in cattive
condizioni anche perché smontati nelle loro strutture in legni, alabastro ma
per fortuna esistevano le descrizioni d’archivio ed è stato possibile
ricomporre i vari pezzi originali. Un lavoro di grande professionalità
coordinato dalla dott.ssa Maddalena De Luca.
Gli
arredi arrivarono al porto di Palermo tra il 1806 ed il 1807 contenuti in 174
casse. Casse che contenevano gli arredi di pregio per la Casina Cinese della Favorita, per la Casina della Ficuzza e
per il Casino di Solanto.
Uno
scrigno di tavolini intarsiati, sete, vasi cinesi e anche gli straordinari
lampadari di grande fattura artistica, estremamente pregiati e che si erano
degradati con il passare del tempo.
“Per i lampadari in bronzo e cristallo che
troneggiano nel salone da ballo sono stati messi in sicurezza i sistemi di
aggancio e le catene di sostegno, puliti e integrati i cristalli, per
quelli in legno e tessuto “cosiddetti cinesi” della “stanza alla turca” è stato
necessario lavorare per recuperare i materiali originari, come le sete
stracciate, e ripulire i cristalli di quelli in alabastro e perle delle stanze
private della regina, dove ora, col sistema dell’illuminazione a led, è tornato
visibile anche lo studiolo privato in marmi policromi.”
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Le Statue Del Parco Della Favorita
La Fontana d’Ercole - La Statua di
Diana .. è andata perduta ? La statua
della dea della frutta e degli alberi, Pomona. È andata anch’essa perduta ?
Giungendo
a Palermo come esule volontario per l’occupazione francese dei territori reali
del napoletano nel 1798, Ferdinando IV di Borbone, dopo l’acquisto di Villa
delle Campanelle, diede inizio alla realizzazione di un nuovo sito reale, che
comprendeva oltre ampi territori destinate alle coltivazioni ed a nuovi sistemi
di irrigazioni anche un vasto territorio riservato alla caccia ed a elaborati
giardini fruttiferi e dilettevoli
Tutto
ebbe inizio con l’esproprio dei territori compresi tra Mondello e la Palazzine
Cinese appartenenti a diverse famiglie nobili palermitane. Un esproprio voluto
dal sovrano per dare vita a quello che sarebbe diventato il Real sito della
Favorita.
A
ridosso delle falde di monte Pellegrino vennero tracciati ampi ed articolati viali
destinati alla caccia contestualmente ai quali vennero realizzate le scuderie reali
e le due torri neogotiche di pianta dodecagonale poste ai lati delle scuderie
utilizzate come spazi di appostamento e di ristoro durante le battute di caccia
ed aventi una terrazza belvedere alla loro sommità.
Oggi
il sito è di competenza dell’amministrazione comunale che ne ha fatto la sede
di Casa Natura ove si organizzano manifestazioni di carattere naturalistico.
Prima
di giungere alla Palazzina Cinese, sul prolungamento del Viale D’Ercole sulla
destra del percorso evidenziato sulla planimetria, si trova la Fontana D’Ercole
in stile neoclassico e risalente al 1800.
Al
centro della fontana, molto suggestiva quanto è in funzione, è posta una
colonna dorica sulla cui sommità si trova la statua, recentemente restaurata,
di Ercole. Si tratta di una copia
dell’Ercole Farnese che è conservata al Museo Archeologico di Napoli.
Stampa del 1892
Il
Parco era un susseguirsi di viali alberati, esedre, spiazzi, fontane e
fabbricati rurali (frantoi e cantine). Una fitta boscaglia di lecci,
lentisco e ancora olivi, noci, frassini
e sommacco, ricche di selvaggina come pernici, beccacce, conigli e addirittura
fagiani.
Furono
creati i viali dedicati alle figure mitologiche come , Viale d’Ercole, Viale
Diana … la dea della caccia, e anche un viale forse dedicato alla dea Pomona
cioè la dea della frutta.
Non
era quindi presente nel Parco solo la Statua d’Ercole.
Dentro
il sito della Zona Militare della Marina…”nel prolungamento verso Nord Est del viale
di Diana, poco a Valle del Vallone della Monaca, sulla carta del T.C.I. è
tracciata una rotonda con l’indicazione “Statua
di Diana”.
(T.C.I.,
Carta 1:50.000, Palermo e la Conca d’Oro, I.G.M. F° 249 II N.E. (Palermo),
edizione 1912).
“Sospettando che
il nome avesse potuto tramandare la presenza di testimonianze storiche ormai
scomparse, abbiamo svolto delle ricerche che ci hanno portato a constatare
l’integrale trasformazione dell’antica morfologia prodotta da grandi
sbancamenti e spostamenti di masse di terra”.
(la Zona in
questione è la parte Occidentale di Monte Pellegrino, ai piedi di primo Pizzo,
del Vallone della Monaca dove erano presenti antiche testimonianze storiche.
Una zona stravolta per la creazione di Depositi Militari di Munizione della
Marina (tra l’altro anche sei serbatoi di carburante)……. Durante gli
sbancamenti chissà quanto materiale archeologico fu trovato… e forse
distrutto…. Un patrimonio culturale immenso andato perduto per sempre tra
l’indifferenza generale….).
Continua
la relazione del Prof. Mannino…” la
rotonda esiste ancora in parte; al centro vi abbiamo trovato un torrioncino di
costruzione molto trascurata, recente, entro il quale su un rocco di colonna
liscia è sistemata una statua di marmo a grandezza naturale ridotta piuttosto
ai minimi termini.
Superata la
sorpresa iniziale, e dissipato il dubbio che la scultura potesse essere opera
settecentesca, abbiamo fotografato il monumento e poi comunicato il
rinvenimento alla Soprintendenza Archeologica di Palermo: trattasi di una
statua, panneggiata, di età imperiale romana, riproducente Diana Cacciatrice”.
Statua di Diana di età imperiale, Parco della Favorita
Il
racconti conclude: “Ci auguriamo che la
scoperta, al di là della pura e semplice acquisizione di un nuovo monumento.
Possa ispirare accurate ricerche archeologiche che sono ancora possibili più a
valle dove il terreno non sembra sconvolto…”.
Una
domanda che fine ha fatto l’importante reperto romano…..? Si trova nella zona
che fu sconvolta dalla Marina ? e gli
eventuali reperti trovati durante le opere di sbancamento che fine hanno fatto
?
Una
statua dedicata alla dea della frutta e degli alberi, Pomona, doveva trovarsi
nel Parco della Favorita. Esiste infatti il Viale Pomona che taglia i due viali
d’Ercole e di Diana collegati alla presenza di due statue. Che fine fece la
statua della dea Pomona sempre che sia esistita e di cui non ho ritrovato alcun
riferimento storico.. ?
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MUSEO ANTROPOLOGICO “GIUSEPPE PITRE’”
Nel 1927 la Casina Cinese e le
sue dipendenze, il Parco della Favorita; su concessione dello Stato furono
restituiti al Comune di Palermo.
"La storia degli umili, dei dimenticati, la storia del vero popolo;
storia politica, letteraria, naturale, religiosa, sempre assistita accanto a
quella ufficiale, ma mai degnata, fino ad allora, di considerazione. " ...Così scrisse Giuseppe Pitrè,
[...Giuseppe Pitrè, nato a Palermo nel 1841 e morto
nel 1916, medico studioso di tradizioni
popolari, dedicò tutta la sua vita alla ricerca della cultura e tradizione
siciliana...]
Nel 1910 Giuseppe Pitrè aveva raccolto numerose testimonianze culturali del popolo
siciliano, in cinquat’anni di attività, e fondò nell’edificio scolastico di via
Maqueda il primo Museo Etnografico Siciliano.
Pitrè era famoso a livello internazionale non solo per
i suoi studi di cultura siciliana ma anche per aver partecipato a varie
manifestazioni . Nel 1881, per l’Esposizione Industriale di Milano, organizzò
una mostra con costumi ed utensili siciliani che costituiranno il primo nucleo
del Museo Etnografico.
Nel 1891-1892 in occasione dell'Esposizione Nazionale
Italiana tenuta a Palermo, G. Pitrè espose oggetti relativi ai costumi e agli
usi comuni del popolo siciliano. Molti di questi oggetti, furono nuovamente
esposti nel 1902 in occasione dell'Esposizione Agricola, tenutasi a Palermo.
Per una facile lettura degli oggetti esposti
nell'Esposizione Nazionale Italiana, G. Pitrè scrisse " Mostra Etnografica Siciliana", un
catalogo articolato da nove capitoli che accompagnava e illustrava la mostra.
La descrizione degli oggetti era supportata da dei disegni ed i nove capitoli
rappresentati e illustrati erano: “Costumi;
Oggetti d'uso domestico; Pastorizia, agricoltura, caccia; Veicoli; Alimenti;
Spettacoli e feste; Amuleti, ex voto, oggetti di devozione; Giocattoli e
balocchi fanciulleschi; Libri e libretti che il popolino siciliano legge o si
fa leggere”.
Il Museo Etnografico Siciliano situato in quei pochi
locali di Via Maqueda, ben poco si prestava ai 4.000 "oggetti" che G.
Pitrè aveva minuziosamente trovato, curato e catalogato; poiché, oltre agli
oggetti, aveva raccolto innumerevoli libri, presepi e cartelloni disegnati
dell'Opera dei Pupi dove le gesta dell'Orlando Furioso, e altre storie,
attraverso la vivacità dei disegni e dei colori venivano raccontate.
G. Pitrè, infatti, poté solo aumentare la sua ricerca
introducendo sempre più oggetti che man mano andava trovando e che in qualche
modo raccontassero la civiltà siciliana, ma non riuscì mai a dar loro una
giusta sistemazione per essere così ammirati nel loro giusto splendore.
Il desiderio del Pitrè, era quello di poter avere un
luogo naturale dove gli oggetti da lui raccolti potessero ancora
"vivere". Infatti, egli, immaginava il Museo Etnografico in un
ambiente speciale, possibilmente immerso nella natura, in modo tale che gli
"oggetti" al contatto di essa, potessero prendere vita, cioè
rinascere, ricrescere e nuovamente morire nei ricordi di ogni osservatore. In
questo modo si creava un ciclo continuo, dove gli elementi della vita, si
univano con quelli della cultura assumendo così nel tempo, un alto valore
storico.
Il Pitrè morì nel 1916 e il Museo Etnografico fino al
1933 fu abbandonato perché privo del grande interesse del suo ideatore.
Nel 1934 il Comune di Palermo diede incarico a Giuseppe Cocchiara (1904 – 1945), allievo del
Pitrè di riordinare la collezione affidandogli la Direzione del Museo.
Il Cocchiara cercò di trovare una sede più idonea e
vasta per esporre le pregiate collezioni.
Dopo tanto
cercare capì che la sede più idonea ad ospitare il Museo era la Palazzina
Cinese e le sue dipendenze che a quel tempo erano abbandonate.
Nel gennaio 1935 il Ministro cedeva al Comune di
Palermo la Casina cinese e le sue dipendenze.
Proprio nella dipendenza fu allestito il Museo
Etnografico Siciliano che naturalmente prese il nome del suo grande ideatore e
fondatore “Giuseppe Pitrè”.
Un Museo che è collegato al Monte Pellegrino e a tutto
l’ambiente naturale siciliano e che Giuseppe Cocchiara valorizzò con grande
impegno scrivendo…”La vita e l’arte del popolo siciliano nel Museo Pietrè….L’idea di
sistemate il Museo Pitrè in queste depandance, sorse primo fra tutti il
desiderio del mio maestro, poi la particolare ubicazione delle suddette in un
parco immenso e suggestivo, qual è quello della Favorita. Un Museo Etnografico,
che non è un Museo Archeologico o una Galleria d’Arte, deve vivere in ambienti
speciali che sorgano, possibilmente, in aperta campagna, ove più splende la
bellezza del natura, ove più immediato è il contatto con la vita delle piante.
Un Museo Archeologico accoglie oggetti “morti”. Vivi e palpitanti di vita sono
gli oggetti che accoglie un Museo Etnografico…”.
Le dipendenze della Casina Cinese è il Parco della
Favorita diventavano luoghi di cultura e d’indagine, luogo di cultura pubblica
che l’uomo poteva adoperare per le sue esigenze spirituali.
Collezioni che sono così proposte:
Carretti, carrozze e portantine; nonché le bardature;
Casa e Pagliaio, Filatura Tessitura, arredi e Corredi
(prima, seconda e terza sala);
( Nella prima sala alcuni archetipi di costruzioni che mostrano l’evoluzione
delle abitazioni dal pagliaio alle recenti costruzioni, attraverso le varie
dominazioni. Nella seconda e terza sala sono raccolti attrezzi di artigianato
per la tessitura e il ricamo: fusi, arcolai, tipi di tessuto…)
Quarta Sala: Costumi popolari, costumi albanesi
(abiti da lavoro, per la festa patronale, per le
cerimonie nuziali. Gli abiti femminili presentano dei merletti e ricami. Il costume tradizionale di Piana degli
Albanesi del XIX secolo costituito da una gonna rossa ricamata a bande con fili
d’oro, camicia di pizzo bianco, busto in velluto nero, mantellina di seta color
celeste con grossa filettatura ricamata con fili d’oro; la cintura in rame
argentato dove al centro si trova uno scudo con impresso San Giorgio che uccide
il drago;
Ceramica popolare, grezza o arte figulina (quinta,
sesta, settima e ottava sala)
Angolo della cucina;
Magia e Religione, (decima sala); oggetti del sacro e
profano;
ex voto (undicesima sala), oggetti creati da artigiani
siciliani che con poco riuscivano a creare delle grandi opere artistiche;
Pani e dolci festivi (dodicesima sala).
“carrozza”
siciliana
Il 12 marzo 2018 una notizia assurda….
Spariti 235 oggetti arte da
Museo Pitrè
Mancano antichi merletti
bambole, mantelli, pugnali, balocchi
(ANSA) - PALERMO, 12 MAR - Al museo Pitrè di Palermo
mancano all'appello 253 oggetti da una collezione artistica. La scoperta l'ha
fatta l'ex dirigente Filippo Guttuso che, prima di lasciare l'incarico ad
inizio del 2017, ha informato la nuova responsabile del sito, Eliana Calandra,
e ha presentato una denuncia ai carabinieri del Nucleo Patrimonio artistico.
Un'indagine ancora aperta sulla quale c'è il massimo riserbo.
"Stiamo per ora indagando", dice Luigi Mancuso, comandante del nucleo. Sono "scomparsi" antichi merletti, pizzi, bambole, mantelli, pugnali, balocchi, bilance, chiavistelli, attrezzi di lavoro, reliquiari, acquarelli, statuette, crocifissi, pitture su vetro, vecchie stampe, finimenti per cavalli, piatti. E poi documenti, servizi da caffè, calici, personaggi di presepe in terracotta, porcellane. E persino un cilicio. Guttuso dispose, non appena insediato, l'anno scorso, una ricognizione degli oggetti. "Vidi lo stato di assoluto disordine nel quale versavano i depositi", racconta.
Un'indagine ancora aperta sulla quale c'è il massimo riserbo.
"Stiamo per ora indagando", dice Luigi Mancuso, comandante del nucleo. Sono "scomparsi" antichi merletti, pizzi, bambole, mantelli, pugnali, balocchi, bilance, chiavistelli, attrezzi di lavoro, reliquiari, acquarelli, statuette, crocifissi, pitture su vetro, vecchie stampe, finimenti per cavalli, piatti. E poi documenti, servizi da caffè, calici, personaggi di presepe in terracotta, porcellane. E persino un cilicio. Guttuso dispose, non appena insediato, l'anno scorso, una ricognizione degli oggetti. "Vidi lo stato di assoluto disordine nel quale versavano i depositi", racconta.
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Le Scuderie
Reali
Alle
falde occidentali dell’altopiano di Monte Pellegrino si trovano le scuderie
reali borboniche che furono restaurate e dal giugno 2002 adibite a Museo
dell’Agricoltura del Comune di Palermo.
Il
Museo è un esposizione di cultura materiale contadina siciliana che fu ideata
dall’esperto d’arte Francesco Buffa che curò il restauro della facciata e la
raccolta degli strumenti agricoli dell’Ottocento e dei primi del Novecento.
Strumenti che in particolare furono donati da
Francesco Caldaronello primo capo
ripartizione del Settore Verde e Giardini del Comune di Palermo.
alle spalle delle Scuderie Reali, la Valle del Porco
L’edificio
era destinato a deposito di sommacco. Una pianta che cresceva e cresce
rigogliosa nell’altopiano e che una vola sfalciata veniva lasciata seccare
nell’aia. Una volta seccata veniva raccolta e messa nei sacchi per prendere la via del nord dove veniva utilizzata come colorante e per la
concia delle pelli.
L’edificio
fu adibito a scuderie per volere di Maria Carolina d’Asburgo Lorena moglie di
Ferdinando I Borbone.
Vicino
alle scuderie ci sono due torri separate
dall’edificio e poste su lati contrapposti e soprannominati “Sparatori” . sono
due edifici di piccole dimensioni, di pianta dodecagonale e realizzati in stile
neogotico nel 1811, ad opera dell’architetto Alessandro Emanuele Marvuglia, e
costruiti, come detto prima, ai due lati delle ex scuderie reali. A circa 30
metri di stanza dall’edificio principale. In epoca borbonica erano adibite a
deposito di povere da sparo e bello stesso tempo proteggevano le scuderie reali
da eventuali incursioni ostili. In definitiva proteggevano il percorso di
caccia che era strettamente riservato a Ferdinando IV e ai suoi ospiti. Una
riserva di caccia che si estendeva dal Parco della favorita e giungeva sino
alle paludi di Mondello.
Scuderie Reali –
Torre
carro nelle Scuderie Reali
Sommacco – Rhus Typhina
Mulino per la macina del sommacco – Palermo
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Enciclopedia delle Donne:
Nella Palazzina Cinese e nel Parco della favorita…l’anima della regina
Maria Carolina d’Asburgo Lorena
Maria
Carolina Luisa Giuseppa Giovanna Antonia d’Asburgo – Lorena
Vienna, 13
agosto 1752; Vienna, 8 settembre 1814
Nella Palazzina Cinese
c’è l’anima di Maria Carolina, arciduchessa d’Austria, e diventata
regina di Napoli e di Sicilia ad appena sedici anni grazie al matrimonio con
Ferdinando I di Borbone.
Non tutti sanno che Maria Carolina era sorella di
Maria Antonietta di Francia, la regina austriaca che fu ghigliottinata durante
la Rivoluzione Francese. Un esperienza che segnerà profondamente l’animo della
giovane ragazza.
Nel 1806 per la seconda volta si rifugiò con il marito
in Sicilia a causa dell’esercito francese che era giunto a Napoli. È una donna che ancora una volta è paurosa del
mondo e dei suoi mutamenti così repentini.
Eppure aveva reagito alle sue disavventure dedicandosi alla cultura e circondandosi di
illuministi.
Al secondo piano della Palazzina Cinese nelle sue
stanze si ha la visione di una donna che si logora tra dolori pubblici e
privati.. malinconica pensando ai novi figli morti e nello stesso tempo pronta a programmare la
sua vendetta sui rivoltosi.
Eppure era stata una progressista, figlia
dell’Imperatrice d’Austria Maria Teresa d’Asburgo e dell’Imperatore Francesco I
di Lorena. Aveva sposato a sedici anni, per uno strano destino della vita
Ferdinando I di Borbone.
Aveva sostituito nel matrimonio la prima sorella
designata per le nozze, Maria Giuseppina, vittima di vaiolo, e che aveva a sua
volta sostituito, sempre per lo stesso matrimonio, la sorella Giovanna
Gabriella, morta per la stessa malattia…..
A Palermo decise
di reagire ma la Sicilia è un isola al centro del Mediterraneo che è
attraversato da flotte in guerra, Francia ed Inghilterra.
Lei non si rassegna. Fu istruita a Vienna nel
governare e crede nella sua opera. Aveva dei grandi progetti prima della
Rivoluzione francese.
Era una progressista per la sua politica di
rinnovamento volta a promuovere lo Statuto della Real Colonia di San Leucio;
una raccolta di leggi rivolte all’emancipazione femminile grazie alle quali le
donne avevano vissuto da eguali con gli stessi compensi e stessi diritti. Ma la
rivoluzione francese aveva cancellato tutto
Per le due potenze Maria Carolina è la loro nemica.
Quando si rifugiano a Palermo la regina diventò un comodo capo espiatorio.
Napoleone la insultò pubblicamente, gli inglesi la guardavano con infinito
sospetto, sembrava la responsabile di
ogni avvenimento.
La regina era stanca, aveva ormai cinquant’anni e dato
alla luce ben 17 figli, molti dei quali erano morti.. qualche cronista del
tempo la definì ironicamente.. “un
elegante rovina”.
Temeva gli “alleati” inglesi “, che secondo le sue
idee, e non a torto, ambivano alla Sicilia e progettava di continuo il ritorno
a Napoli. Carolina è quindi diffidente verso gli Inglesi che si dimostrano come
dei veri carcerieri. L’Europa fece la pace con un Napoleone trionfante… un
altro dispiacere … Napoleone prese in moglie Maria Luisa d’Austria, figlia
dell’imperatore, nipote di Maria Carolina che chiese, ancora una volta di
tornare a Napoli.
Napoleone sembrò disponibile a trattare ma pretendeva
che gli Inglesi fossero allontanati dalla Sicilia.
Non era facile trovare una soluzione. Maria Carolina
era circondata da spie che facevano il doppio gioco.. si accorse che attorno a lei c’era il vuoto
più assoluto.
Alla Sicilia, trasformata in una base militare, servivano
due basi fondamentali: soldi ed una costituzione.
I baroni
siciliani non s’identificavano con il Regno Siciliano ed assumendo un
atteggiamento vittimistico, incominciarono ad invocare l’Inghilterra.
L’Inghilterra si trovò davanti a due soluzioni: scegliere
una monarchia poco armata oppure i baroni che rappresentavano la “nazione”.
Scelse i baroni. A chiedere la costituzione furono gli inglesi che in
contrapposizione alla Francia esprimevano in questo modo un mascherato aspetto
di libertà.
Il 28 luglio 1811 sbarcò a Palermo lord William
Bentinck che con le sue forti idee dimostrò subito di appoggiare i nemici della corte ed a chiedere una
costituzione.
La regina reagì…Napoleone malgrado le sue invettive
aveva una grande considerazione di Maria Carolina che definiva come “l’unico uomo alla corte di Palermo”.
La regina chiamò le guardie ed incitò il popolo.
La reazione di Bentinck non si fece attendere… dispose
che una divisione di 14.000 soldati si trasferisse da Messina a Palermo.
Sospese ogni sussidio, minacciò di rendere pubbliche alcune lettere
imbarazzanti sull’ultima congiura scoperta.
I sovrani borbonici vennero divisi: re Ferdinando I fu
trasferito alla reggia della Ficuzza mentre la regina Maria Carolina venne
trasferita vicino Monreale.
La costituzione venne varata, anche se successivamente
verrà cancellata, e sembrò il prezzo da pagare per il ritorno dei sovrani a
Napoli.
In gran segreto la regina si recò alla reggia della
Ficuzza per convincere il marito a riprendere il suo posto di sovrano e il 9
marzo 1813 Ferdinando I di Borbone tornò a Palermo.
L’esercito inglese reagì a queste avvenimenti… i
cannoni percorsero via Toledo e via Maqueda… il palazzo reale fu circondato. Il
re si trovava alla Favorita e le truppe inglesi circondarono la Palazzina
Cinese… il popolo accorse “curioso dello strano
spettacolo della prigionia del re”. Riportò il marchese di Raddusa.
L’assedio continuò fino al 17 marzo.. poi la resa di Ferdinando che offrì al
lord inglese la partenza della regina Maria Carolina.
La regina non riconobbe al governo inglese il diritto
di allontanarla..si ritirò a Castelvetrano dove fu raggiunta da un gruppo
d’artiglieria inglese..alla fine si arrese.
Ha lottato e rimase sempre la “moglie di Ferdinando” a
tal punto che gli inglesi concordarono la sua partenza con quella di Ferdinando.
Per mare evita di finire in preda ai francesi.. era lei la regina di Sicilia
anche se una figura malinconica che continuò a reclamare il diritto
all’autonomia del suo regno anche quando giunse a Vienna con un Napoleone ormai sconfitto.
In definitiva era una regina antipatica sia ai
vincitori che ai vinti e considerata per le sue idee fuori dai suoi tempi. Morì
da sola, senza neanche rivedere il marito, nel settembre del 1814 per un colpo
apoplettico e molti provarono un grande sollievo nella sua scomparsa anche lo
stesso marito Ferdinando I di Borbone che dopo poche settimane a Palermo si
risposò con Lucia Migliaccio, 12ma duchessa di Floridia, vedova del principe
Benedetto Grifeo di Partanna
Trascorse nella Palazzina Cinese cinque anni della sua
vita un momento in cui l’Europa era divisa tra idee conservatrice monarchiche
ed idee rivoluzionarie. Maria Carolina si affacciava dagli ampi terrazzi a
scrutare il meraviglioso paesaggio e il grande altopiano… vagava nelle stanze
tra un alternarsi di decorazioni cinesi e neoclassiche e di colori… si dedicava
alla pittura disegnando i suoi
famigliari che accompagna con frasi sibilline…Amore Mio, Me Stesso, Il Mio
Sostegno, Mia Speranza, Mia Cara Figlia… Immagini di grande tenerezza con una
presentazione spesso curiosamente al maschile come il suo autoritratto . Me
Stesso.
Era molto legata alla sorella Maria Antonietta che
come regina di Francia fu ghigliottinata nella Rivoluzione Francese.
Maria
Antonietta in un dipinto di Elisabeth Vigie le Brun del 1785
(Collezione
privata)
Una figura quella di Maria Carolina d’Austria che fu immortalata nel
film “Ferdinando e Carolina” di Lina Wertmuller
Maria Carolina
Monte Pelllegrino (RNO); "Promontorio più bello al mondo":
Parte prima: Il castello Utveggio - Le Batterie Contraeree - I Serbatoi della Marina Militare ..
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Parte Seconda: Storia - Il Versante Occidentale del Monte Pellegrino - Le Grotte con i graffiti e il rinvenimento di teschi - L'Iscrizione nella Valle del Porco - Il Villaggio Giusino - La Necropoli Valdesi
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