MONTE PELLEGRINO (RNO)(Palermo) – “Il Promontorio più bello al mondo” – IV Parte – il Versante Nord
Indice
Il
Versante Nord
1.
Punta
Praiola – Problematiche Ambientali - Il
“Cristo degli Abissi” ;
2.
Addaura
– Il fallito attentato al Giudice Giovanni Falcone da parte della mafia e dello
Stato;
3.
Le
Grotte:
a)
Grotta
Perciata;
b)
Grotta
Addaura Caprara : I Resti di un Leone; Le Concrezioni Calcaree; I Rifiuti;
c) Grotta dei Bovidi;
d) Grotta dell'Eremita;
e)
La
Grotticina;
f)
La
Grotticina del Cantiere dell’Addaura;
g)
Grotticina
di Celesi;
h)
Grotta
delle Incisioni : Monte Pellegrino (RNO)
– La Grotta delle Incisioni
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2019/08/monte-pellegrino-rnopa-la-grotta-delle.html
4.
La Montagnola
Le Grotte – Necropoli Rupestre – Lo Zubbio
della Montagnola
Il
versante settentrionale del Monte Pellegrino è il terzo per estensione. Lungo
circa 3 km si estende dalla Punta dei Valdesi ad ovest fino alla Punta Priola
ad est ed occupa tutta la Contrada Addaura.
Fino
agli anni ’50 era uno scenario ambientale di insuperabile bellezza purtroppo
cancellato dall’anarchia edilizia.
1.
Punta
Praiola
Problematiche Ambientali – Il “Cristo
degli Abissi” -
Mondello – Punta
Valdesi – Punta Priola
La
zona di Punta Priola fu colpita da una forte speculazione edilizia con la
costruzione di numerosi edifici abusivi.
Solo
dopo tantissime lotte e proteste delle varie Associazioni Ambientaliste e
Civiche, i fabbricati furono demoliti. L’Area fu consegnata dal Demanio al
Comune di Palermo per la realizzazione di piste ciclabili e aree a verde.
Ma
c’era un altro aspetto inquietante che deturpava Punta Priola….la discarica.. Un
enorme quantitativo di rifiuti d’ogni genere tanto che fu necessario avviare un
progetto che prese il nome di “Riqualificazione
di Punta Priola”. Moltissime associazioni si riunirono per pulire uno dei
punti panoramici più belli della Costa di Palermo.
Nel
2017 fu avviata una pulizia dell’ambiente ma a distanza di quasi un anno il
luogo per la presenza di rifiuti era completamente in degrado.
Ad
agosto 2018 quindi un nuovo intervento promosso sempre dalle Associazioni
Ambientalistiche e Civiche. Una vasta tipologia di rifiuti.. vetro, plastica,
carta e anche rifiuti ingombranti come materassi, copertoni, pannelli e
contenitori di latta. Fu anche individuata una discarica abusiva di mangimi per
animali… assurdo. Una pulizia che ha visto anche la partecipazioni di numerosi
volontari tutti spinti da un unico obiettivo: “restituire la zona di elevato interesse naturalistico alla sua
naturale funzione, garantendone un autentica fruibilità per la cittadinanza”.
“Il Cristo degli
Abissi”
Il
25 Maggio 2014 fu collocato in fondo al mare di Punta Priola, il “ Cristo degli
Abissi”.
La statua, un bellissimo Cristo con le braccia
aperte in segno d’invocazione, fu donata dal “Rotary Club Terra del Sole” di
Palermo alla città. Fu posta dai
sommozzatori dei Vigili del Fuoco ad una profondità di 30 metri al largo di
Punta Priola, nelle acque antistanti l’Addaura dopo essere stata benedetta da
S. E. il Cardinale Paolo Romeo.
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Prima di parlare degli aspetti geologici ed
archeologici dell’Addaura è necessario ricordare il sito perché legato ad un
fallito attentato al Giudice Giovanni Falcone. Attentato che precederà la
terribile strage in cui lo stesso giudice, la moglie e gli agenti della scorta
perirono per mano della mafia e dello Stato.
2. Addaura
Il
fallito attentato al Giudice Giovanni Falcone da parte della mafia e dello
Stato
Palermo..
21 giugno 1989, Lungomare Cristoforo Colombo n. 2731 di Mondello, in una villa
sul mare presa in affitto dal Giudice Giovanni Falcone.
Il
Giudice ha due ospiti cioè due magistrati svizzeri, Carla Del Ponte e Claudio
Lehmann. Una riunione investigativa legata al riciclaggio di denaro sporco….
“Pizza Connection”… un lavoro investigativo difficile dove in precedenza la
magistratura di Palermo aveva collaborato con FBI.
Le
indagini sono concentrate sulla figura di Oliviero Tognoli, il riciclatore che
per prima aveva confermato l’implicazione di Bruno Contrada, alto funzionario
del SISDE. Il Contrada fu in seguito condanno ed è oggi un uomo libero dopo
aver scontato la sua pena per “concorso esterno in associazione mafiosa”.
Durante una ricognizione nella villa, gli agenti di scorta del giudice Falcone (Lore, Di Maria, Lo Piccolo e
Lindiri) rinvennero una muta subacquea, un paio di pinne, una maschera tipo
“Solana” ed una borsa sportiva contenente una cassetta metallica con numerosi
candelotti di esplosivo innescato da due detonatori elettrici collegati ad un
congegno elettro-meccanico comandato da un apparecchiatura radio-ricevente.
Sul
luogo del rinvenimento dell’esplosivo fu chiamato, per un suo intervento,
l’artificiere dei carabinieri Francesco Tumino. Per impedire l’esplosione della
carica radiocomandata, fece esplodere una microcarica per disarticolare il
collegamento tra la sostanza esplosiva ed il meccanismo d’innesco prima di
aprire la cassetta metallica in cui era stato poi rinvenuto l’esplosivo. I frammenti furono successivamente recuperati
anche attraverso l’impiego di sommozzatori nello specchio di mare antistante la
villetta, La particolare collocazione della carica
esplosiva
non poneva dubbi.. era diretta alla realizzazione di un attentato nei confronti
del magistrato impegnato contro la criminalità organizzata e contro “Cosa
Nostra”, quale esponente di punta del “Pool Antimafia”.
L’artificiere
Francesco Tumino distrusse con il suo intervento una delle parti più importanti
per le investigazioni e, secondo come riportarono le cronache, fece sparire il
timer. Fu condannato nel 1993 per la distruzione delle prove.. incolpò altri
colleghi della sparizione, “non sapendo
di una telecamera della villa che lo riprendeva mentre occultava l’oggetto”.
Non
si sa per quale motivo l’attentato fallì. Per coincidenze, un telecomando
caduto in mare o un malfunzionamento del detonatore, oppure come più probabile
l’intervento di agenti della Polizia.
Non si sa neanche quale siano stati i gruppi mafiosi che in quel
giorni operarono o stazionarono vicino
alla villa.
Il
borsone conteneva 58 cartucce di Brixia B5, una combinazione di esplosivi
costituita da Semtex H e da candelotti di dinamite pulverulenta
nitroglicerinata. Esplosivo che è usato per le estrazioni e che fu utilizzato
per la strage al Rapido 904 ed anche nella strage di Via D’Amelio.
La
perla dello Stato Italiano fu che il Giudice Falcone fu accusato a più livelli
di aver progettato e realizzato il suo mancato attentato. Il Giudice con grande rispetto e con la sua
profonda conoscenza del mondo giudiziario e politico in cui operava affermò ““Ci
troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni
della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra
e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia
questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che
hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”.
Gerardo
Chiaramonte, allora presidente della Commissione Antimafia, riporterà, in
riferimento al fallito attentato, le voci che circolavano nei giorni successivi
negli ambienti della DC e del PCI a Palermo:
“ i seguaci di Orlando sostennero che era stato lo
stesso falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità” !!!!!!!!!
Il
giornalista Attilio Bolzoni in un articolo datato 7 maggio 2010 e apparso sul quotidiano “La Repubblica”
rilevò
come vent’anni dopo il fallito attentato ci siano tanti lati oscuri e forse
un’altra verità legata all’ipotesi di un “mandante di Stato”.
Innanzitutto la borsa con l’esplosivo fu collocata sugli
scogli il 20 giugno del 1989 nella mattinata ed in base alle indagini sulla
scena della villa erano presenti due gruppi: uno “a terra” e l’altro “in mare”.
Il gruppo “a terra” era formato da mafiosi della famiglia dell’Acquasanta e da
uomini dei servizi segreti. L’altro gruppo “in mare” su un canotto (giallo o
color arancio” con due uomini a bordo in funzione di sommozzatori).
I
due sommozzatori non erano d’appoggio al primo gruppo. Si trovavano sul luogo
per evitare che l’esplosivo potesse esplodere.
Lo stesso giornalista affermò che non c’era la certezza sull’identità
dei sue sommozzatori ma in base ai sospetti si tratterebbe di Antonino Agostino
ed Emanuele Piazza.
Il
sig. Agostino era ufficialmente un agente del commissariato San Lorenzo ma in
realtà un “cacciatore di latitanti”. Fu ucciso insieme alla moglie Ida
Castellucci il 5 agosto del 1989, circa
due mesi dopo il fallito attentato all’Addaura. Gli assassini non furono mai
scoperti e si dice che anche lo stesso Totò Reina avviò un indagine per sapere
chi fossero gli assassini. “Anche lui non riuscì a sapere a nulla” rilevò un
pentito, Giavambattista Ferrante. Interessante fu invece la rivelazione del
collaboratore di giustizia Oreste Pagano che rilevò il motivo per cui fu ucciso
assieme alla moglie: “è stato ucciso
perché voleva rilevare i legami mafiosi con alcuni della questura di Palermo.
Anche sua moglie sapeva: per questo hanno ucciso anche lei”.
Le
indagini si rilevarono subito difficili e per tanto tempo la Questura di
Palermo sembra che abbia seguito una “pista passionale”.
I magistrati di Palermo ascoltarono anche un testimone - un funzionario di polizia - che aveva raccontato di avere ricevuto una confidenza proprio dal giudice Falcone, andato a trovarlo una sera nel suo commissariato: "Questo omicidio l'hanno fatto contro di me e contro di lei". Parlava dell'agente Antonino Agostino.
I magistrati di Palermo ascoltarono anche un testimone - un funzionario di polizia - che aveva raccontato di avere ricevuto una confidenza proprio dal giudice Falcone, andato a trovarlo una sera nel suo commissariato: "Questo omicidio l'hanno fatto contro di me e contro di lei". Parlava dell'agente Antonino Agostino.
Il
secondo sommozzatore, il sig. Piazza, era un ex agente di Polizia che aveva
cominciato a collaborare con il servizi segreti (SISDE) sempre nella ricerca di
latitanti.
Emanuele
Piazza fu ucciso il 15 marzo 1990.
Sembra
che una “talpa” abbia avvisato i mafiosi che il sig. Piazza stava collaborando
con i servizi segreti e per questo motivo fu strangolato. Anche in questo caso
la Questura di Palermo avviò delle indagini su una “fuga della vittima in
Tunisia, in compagnia di una misteriosa donna”.
Due
omicidi… due depistaggi,, per quale motivo
e da parte di chi ? Il Piazza e l’Agostino si trovavano effettivamente
sul gommone la mattina del fallito attentato a Falcone ?
Lo scenario è complesso ed anche preoccupante
perché sembra di trovarsi in presenza di una parte dello Stato che voleva il
Giudice Falcone morto per motivi di potere ed anche economici ed un’altra parte
vivo.
Forse
ancora oggi si cercano i due misteriosi sommozzatori i cui identikit furono ricostruiti attraverso
le indicazioni dei bagnanti che il 20 giugno 1989 erano nella zona di mare vicino
alla villa del giudice Falcone. Identikit che si dovrebbero trovare tra le
pagine del fascicolo “Addaura” e che furono riportati dai quotidiani e dalle
agenzie di stampa. Identikit che forse non arrivarono mai sul tavolo della
magistratura.
Le
indagini vere e proprie sembra che siano partite con oltre vent’anni di
ritardo… ma non solo…. Sono spariti… uccisi… tanti testimoni dell’Addaura. Uccisi da chi ?
Paolo
Gaeta, un piccolo esponente della borgata dell’Acquasanta che il giorno del
fallito attentato aveva casualmente assistito alle manovre militari intorno
alla villa del giudice. Fu ucciso poco dopo a colpi di pistola e il caso fu
archiviato come regolamento di conti tra spacciatori.
Il
mafioso Luigi Ilardo, era un informatore del colonnello dei carabinieri Michele
Riccio e all’ufficiale aveva confidato che “noi
sapevamo che a Palermo c'era un agente che faceva cose strane e si trovava
sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che
era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto
Agostino".
Luigi
Ilardo fu assassinato qualche giorno prima di mettere a verbale le sue
confessioni.
Nel
2010 ci fu una spietata caccia all’uomo con la faccia da mostro. Qualcuno
diceva che si era vicino ad un riconoscimento; altri dicevano che non si
sarebbe mai trovato perché morto da anni. Fu aperta una caccia ad altri “agenti
dei servizi” legati al boss di Corleone. Uno, in particolare si faceva
chiamare spesso come “Carlo” o “Signor
Franco”… un uomo degli apparati che per una ventina d’anni fu a fianco dell’ex
sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino ( Trattativa con lui e con Totò
Reina nell’estate del 1992).
Gli
apparati di sicurezza all’ombra delle stragi: i servizi sospettati di aver
trattato con la mafia e di aver avuto un ruolo attivo negli attentati”.
Un
indagine complessa.. con dei condannati, che non vale la pena nemmeno di
citare, nella
Sentenza della
Corte di Cassazione sul processo per l’attentato dell’Addaura
del 6 Maggio 2004
(quindici anni dopo l’attentato); nel sito
Il
23 maggio 1992, sabato alle ore 17,56,
lungo l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi con Palermo,
all’altezza dello svincolo di Capaci, 572 chili di esplosivo vengono attivati a
distanza.
Un
disastro..un progetto allucinante e realizzato con grande fermezza… le tre auto
su cui viaggiano il Giudice Giovanni Falcone con la moglie, e i tre agenti di
scorta, saltano in aria.
Perdono
la vita: il Magistrato; la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta:
Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Riescono
a sopravvivere all’attentato gli agenti: Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare
Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Si
realizzava una delle pagine più cruente e sanguinose della storia italiana.
Nella strada colpita dall’attentato tanti crateri con dentro le
macchine e le povere vittime. Crateri o buchi come quelli lasciate dalle indagini con tante
ombre e depistaggi. In quei crateri, come disse una giornalista, ci siamo anche noi,
quei siciliani onesti e retti, che mai avrebbero fatto saltare in aria dei
servitori della Legalità, mariti, moglie, padri di famiglia.
Falcone non fu
ucciso soltanto quel giorno, lo uccisero anche gli attacchi, i silenzi, le
delegittimazioni perpetrati negli anni.
Fu ucciso quando
venne accusato di minare l’indipendenza della magistratura, quando fu accusato
di nascondere nei cassetti “documenti su personaggi scomodi, in particolare
politici”.
Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che
tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di
collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno
altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se
si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi
------------------------------------------
1.
Le Grotte
In
questo versante non sono numerose le grotte ma si trovano quelle che hanno
sempre destato interesse negli storici e negli studiosi sia per la loro
bellezza che per l’immenso valore archeologico legato alla preistoria ( la
Grotta Addaura Caprara in particolare).
Ad
eccezione della grotta Celesi, che occupa l’omonima Punta e che è posta al
piede orientale della Montagnola, le altre grotte si trovano nella parte
orientale fra la “Scaletta della Perciata” e la Crestina di Priola che sovrasta
l’omonima punta. Grotte che sono divise in gruppi con la numerazione che inizia
da sinistra:
Gruppo
I – Grotta dell’Addaura Grande o Grotta Perciata; un vasto antro o riparo con
cavità interne;
Gruppo
II – La Gortta Addaura Caprara che è un vasto riparo nel quale si aprono il “Pirtusu
di sciusciu” ed il “pirtusu di cani”. Sono comunicanti tra di loro e costituiscono
una grotta carsica che comunemente è detta Addaura.
Sul prolungamento della parete destra del riparo si aprono la Grotta dei
Bovidi e la Grotta dell’Eremita.
Gruppo
III - Si tratta di cavità basse e contrassegnate da un “bel solco del
battente”, nel quale si apre anche la più famosa delle Addaure sulle cui pareti
sono incise figure antropomorfe e zoomorfe di età paleolitica.
Sotto
l’aspetto archeologico l’Addaura è una zona poco conosciuta perché le
costruzioni intensive e i conseguenti movimenti di terra hanno cancellato,
ormai da tempo, le tracce degli antichi insediamenti che ancora non erano stati
censiti.
È
consuetudine che chi costruisce, anche senza licenza, scavando nel terreno e trovando dei reperti o
tracce di antichi insediamenti, si guarda bene dal denunziare la cosa… acquisisce i reperti che vende ai “mercanti”
d’antiquariato e subito fa sparire o coprire le antiche tracce murarie. Molta
gente ha costruito senza le dovute licenze e tantissime importanti tracce del
passato sono scomparse per sempre.
Una
delle poche testimonianze fu raccolta da V. Giustolisi e consisteva in “tracce di antichi muri e il solito
cocciame”. Reperti che furono mesi in luce circa trent’anni fa nel taglio
della nuova strada “Valdesi – Monte Pellegrino” poco dopo la curva a gomito che
da Valdesi immette nella contrada Addaura in corrispondenza dell’attacco o
inizio della “Scaletta di Valdesi”.
È
andata perduta una bellissima linea di riva tirreniana alla quota di 20 -25 m,
perforata da nicchie e da piccole grotte, che era ancora visibile circa
trent’anni fa sotto la Montagnola verso Nord-Ovest od immediatamente a Monte
della Colonia Marina.
a) Grotta Perciata
Dati
di Catasto
SI
PA n. 86
Nome
Locale: Grotta Perciata
Altri
Nomi: Addaura Grande, Addaura I, Grotta
Nanni Notarbartolo
Località:
Contrada Addaura
Tavoletta:
249 I S.E. Mondello
Long. E; 0°54’06” – Lat. N.:
38°11’10”
Quota:
160 m
Sviluppo:
37 m
La
cavità si apre sulla parte orientale della Contrada Addaura, il cui fianco
destro si prolunga nella parete occidentale della Crestina Priola. È un riparo
di ampiezza eccezionale, alto quasi un centinaio di metri, nella cui volta è un
camino che sbocca alla sommità del monte, nella Costa Finocchiaro, col nome di
“Zubbio della Perciata”.
Il
riparo è diviso in due parti da un possente diaframma roccioso. Nella parte
sinistra, la più ampia, si aprono due cavità. Nell’angolo sinistro in parete,
alla base di un camino, si apre la grotta Notarbartolo. È una lunga faglia i
cui lembi sono appena distanziati mediamente un metro che si sviluppa in
direzione Nord Sud per circa 60 m con altezze mediamente di quasi 10 m.
La
grotta fu esplorata nell’ottobre del 1981 dallo Speleo Gruppo Hercte che eseguì
il rilievo e che dedicò la grotta all’ing. Nanni Notarbartolo, probabilmente
primo esploratore della cavità nel 1931.
A
destra, a pochi metri dal piano di calpestio, si apre un’altra cavità con uno
sviluppo di circa 10 m.
Nella
parete destra del riparo, più pianeggiante della prima ed a una quota di poco
più bassa, si sviluppa una stretta fessura con andamento a zig zag lunga circa
30 m.
“La presenza di
notevoli massi e detriti di crollo rende ogni ricerca praticamente impossibile
tuttavia, insistendo nelle aree protette da grosse frane, si riuscì ad
individuare la presenza di frammenti di terracotta ad impasto, certamente
preistorici, ma di età non determinabile. Soltanto un frammento dell’apice di
un’ansa sopraelevata appartenente molto probabilmente ad una tazza attingitoio
si può inquadrare nella medita età del Bronzo (1450 – 1250 a.C.). Fu rinvenuta
anche una piccola ascia, molto appiattita ricavata da un ciottolo”. (Prof.
Mannino)
Grotta Addaura
Perciata
Apice di un’ansa
sopraelevata e piccola ascia ricavata da un ciottolo.
Museo Archeologico
di Palermo
Scaletta della
Perciata
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b) Grotta Addaura
Caprara
Dati
di Catasto
SI PA n. 87
Nome
Locale: Grotta Addaura Caprara che
comprende “u pirtusu di cani” e “u purtusu du sciusciu”
Altri
Nomi: Grotta Addaura, Roiparo Addaura, Addaura II (o Addaura III)
Località:
Contrada Addaura
Tavoletta:
249 I S.E. Monreale
Long.E.: 0°54’00” – Lat. N.;38°11’08”
Quota:
90 m
Sviluppo
complessivo: 2000 m circa (2 km…..)
Ramo Principale: 700 m – Diramazioni: 1300
m
Delle grotte dell’Addaura è la seconda da
sinistra dopo l’Addaura I o Perciata, e pure seconda per ampiezza del riparo.
L’interesse
archeologico del deposito del riparo, che ha richiamato studiosi da tutto il
mondo, è noto dal 1867.
La
grotta carsica venne scoperta nel 1931 e manca una relazione in merito alla
scoperta da parte degli esperti.
Nel
Giornale di Sicilia del 6 settembre 1951, un articolista anonimo, informato
probabilmente dal dott. Salerno (esponente del CAI di Palermo) scriveva:
“Dirigeva
tecnicamente la spedizione l’ing. Kirner,… Erano tra gli audaci
esploratori il valoroso alpinista del settentrione il dr. Alemanni, i dottori La Rosa, Santalucia, giovani
scienziati, i Sigg. Stonner, Moser, Macdonnel, Grazzi, alcune colte signorine,
non alle prime armi per grotte, certamente. Presenziava l’interessante battuta
il dr Salerno, il quale aveva studiato con i suoi amici tutti i particolari e
rappresentava la presidenza del gruppo e del C.A.I.”.
Un
lungo articolo in cui è opportuno rilevare i sottotitoli che erano abbastanza
eloquenti: “Misteri dell’abisso”; “Oltre
la leggenda”; “L’audace spedizione”; ”Una nuova Postumia”; “Narrano gli
esploratori”; “Verso l’ignoto”; “Le meraviglie viste”.
Sullo
stesso quotidiano l’8 settembre del 1931 con il titolo “Continuano le indagini nella grotta di Monte Pellegrino” ancora un articolista anonimo concludeva le
notizie con “il lavoro esplorativo si è
protratto per nove ore consecutive non consentendo le asperità incontrate una
più lunga osservazione che avrebbe reso la fatica più improba addirittura
insopportabile”.
In
calce all’articolo si leggeva: “Il dottor
Salerno il quale gentilmente ebbe a fornirci le notizie da noi pubblicate
nell’edizione di sabato ci scrive la seguente lettera che volentieri
pubblichiamo”.
“ Ill.mo Sig.
Direttore, per la verità e perché non si intenda malevolenza ciò che avrà
potuto essere omissione involontaria confermo che i primi a dare notizia del
cunicolo di accesso al resto delle gallerie sono stati i signori Notarbartolo
Emanuele e Leopoldo, Campolattaro Già e Fulvio, D’Alì Pietro, Grassi Luciano,
Vivaldi Tini, Rubleo Bruno, Messina Gaspare. Vi sono penetrati prima di noi
percorrendo un buono tratto. Ringraziando prof. Salerno Segretario del gruppo”.
Da
questa precisazione pubblica si deve dedurre la scoperta della grotta da
attribuire ai su menzionati.
Signori
che dopo di allora rimasero sconosciuti ed ignorati mentre il merito
dell’esplorazione andò invece agli “audaci esploratori” del 1951.
La
frenesia di pubblicare la scoperta e le imprese di quel gruppo Speleologico,
che nella sua brevissima vita non riuscì ad operare nel contesto di un accurata
attività scientifica, per fortuna poi attuata, richiamarono nella grotta orde
di vandali che produssero danni considerevoli.
Alle
debolezze di alcuni uomini del direttivo, per maggiore sventura, si aggiunsero
le frenesie del regime che non furono elencate dal ricercatore, e fu
emblematico al riguardo un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia del 10
settembre 1931.
Il
Di Salvo che prese parte ad alcune esplorazioni riferì che: “Ai due lati del triangolo di
base(dell’antro), quasi a fior di terra, erano noti due buchi, quello di
sinistra, guardando all’interno, dai pastori prendeva il nome di “pirtuso di
cani” (buco dei cani); l’altro a destra “pirtuso du sciusciu” (buco del
soffio); per via di una corrente d’aria che in determinate ore è possibile
avvertire”.
“Da questo buco,
seguito da angusto cunicolo, un gruppo di animosi penetrò un giorno, nei primi
dell’estate del 1931, e addentrandosi ancora per uno stretto dedalo di luoghi e
tortuosi e faticosi passaggi a budello, perveniva in una prima sala, e poi in
una seconda, tutte ricche di stalattiti e stalagmiti, quanto mai belle e
delicate”.
“Specialmente da
notare le singolari stalattiti, sottili, traslucide, ammirabili per le forme e
la fattura, direi quasi aeree, dirette in tutti i versi nello spazio e che
hanno imbarazzato ed imbarazzano ancora un po’ sulla loro genesi, chi le guarda
e pensa come mai sia siano formate nella loro giacitura contrastante alle leggi
di gravità di una goccia d’acqua liberamente cadente”.
Successive
esplorazioni alla primissima, destarono ancora di più l’entusiasmo dei pionieri
esploratori, accrebbero le nostre conoscenze attorno allo sviluppo interno
della grotta, mostrarono nuove meraviglie di concrezioni, suscitarono dibattiti
e l’interesse del pubblico”.
“Una vera e
propria esplorazione sistematica però non è stata ancora fatta…”.
Qualche
tempo dopo, vicino al “pirtuso di cani” venne praticato uno scavo; non si sa
bene se per saggiare il deposito paleontologico della grotta al quale era
interessato il Fabiani o per rendere più accessibile il nuovo passaggio.
Il
Di Salvo si limitò a dire..” fu poi
trovata una nuova via d’accesso più facile a fianco del “buco dei cani” e per
decisione dell’Autorità municipale vi fu sistemato un cancello di ferro che
permetterà, fino a un certo punto un comodo passaggio”.
La
grande pubblicità sulla grotta, come già detto, attirò un gran numero di
vandali.
“Il
piano dei diamanti”, un piccolo ambiente nella parte terminale rivestito di cristalli, richiamò nella grotta
centinai di ricercatori di quei preziosi cristalli. Avvennero scempi
incredibili.. come riferì l’ing Aspe Kirner maledicendo il giorno in cui fu
pubblicizzata la scoperta della cavità. I vandali non si fermarono davanti al
cancello ma furono arrestati da un servizio di guardie municipali volute, con
insistenza sul podestà, dal prof. Ramiro Fabiani, Direttore dell’Istituto di
Geologia dell’Università di Palermo.
Ritirate
le guardie, distrutto il cancello… iniziò la fine di quel meraviglioso
monumento.
Il
prof. Mannino visitò la grotta per la prima volta, nell’autunno del 1947.
Ancora esisteva qualcosa di bello nei cunicoli laterali che erano di difficile
accesso. Alcuni cunicoli ancora inviolati che riuscirono a scoprire dopo ore e
giorni di duro lavoro di allargamento con mazzuolo e scalpello, rilevarono
formazioni concrezionarie veramente eccezionali per le quali le espressioni del Di Salvo e del Kirner, che
erano sembrate retoriche e roboanti, erano invece perfettamente pertinenti.
Esagerate
furono invece le distanze fornite dal Kirner relative al percorso, circa
quadruple se non più di quelle reali e pure esagerate le difficoltà attribuite.
L’articolo
del Kirner risentì molto delle emozioni della scoperta e delle bellezze
riscontrate nella grotta; emozioni che nel caso in questione si potrebbero
anche giustificare.
“Ovunque si mostrano formazioni stalattitiche
di fattura così fine, meravigliosamente delicata, aventi spesso anche grandi
dimensioni, che per i loro dettagli e la trasparenza, non hanno riscontro in
nessun’altra grotta del mondo; autentiche meraviglie che strappano grida
d’entusiasmo all’esploratore di caverne
il più incontentabile e difficile. Abbondano le stalattiti arborescenti, vetrose; le stalattiti spinose
e ramificate; quelle a filamento e quelle..; le cortine trasparenti, i pizzi
cristallini, le colonne stalagmitiche più varie, le “cascate”, i drappi chiusi,
tubolari, in una gamma cromatica che dall’avorio và talora al rosa e, più verso
l’interno, volge al bianco assoluto”.
Pianta del ramo
principale e sezioni trasversali
Il
Mannino riferì che uno studio della genesi della grotta non fu mai fatto perché
mancava sempre il rilievo.
Il
primo rilievo fu iniziato alla fine degli anni ’50 ma rimase fermo alla sola
poligonale del ramo principale; tuttavia fu di grande utilità per tentare di
spiegare la presenza di uno scheletro completo di un leone delle caverne nella
parte terminale della grotta.
Il
dr. Enzo Burgio, conservatore del Museo di Geologia dell’Università di Palermo,
scoprì delle tavole di una vecchia tesi di laurea tra le quali era presente una
pianta di una buona parte del “ramo principale”. Una planimetria eseguita ad
“occhio” ma ben fatta. La parte riprodotta
era indicata in 2.200 metri con un’esagerazione quadrupla perché la
misura reale era invece di 550 m.
Nei
primi anni ’80 il gruppo Speleologico di Palermo eseguì la planimetria di quasi
tutto il “ramo principale” e di una delle più interessanti diramazioni
rimandando il rilievo altimetrico ad altra data.
Il
prof. Giovanni Mannino integrò il
rilievo con alcune sezioni e indico nella sua relazione che “ il fenomeno Addaura era completamente
degradato”.
Nella
sua relazione affermò anche che “ per la
documentazione abbiamo scelto vecchie fotografie ed abbiamo rinunziato a farne
di nuove perché con queste avremmo soltanto documentato scempi: fili guida di
ogni tipo, frecce varie per colore e direzione, scritte stupide quanto i loro
autori, immondizie varie”. (questo nell’anno 1985)
“ per quest’ultime
ci corre l’obbligo segnalare l’opera meritoria del giovane Speleoclub Palermo
che nell’inverno dello scorso anno (1984) si è prodigato in una ripulitura
dell’Addaura”.
I RESTI DI UN
LEONE
Nel
1960 Lucia Pagano, Tibor Kirner e Pippo Morina “scoprivano in una angusta fessura dell’Addaura Caprara dei resti
scheletrici animali e subito, cortesemente, ci informavano, accompagnandoci nel
luogo del rinvenimento. È superfluo dire che pur conoscendo abbastanza bene la
cavità quei resti ci erano sfuggiti”.
Mannino
pubblicò la scoperta l’anno successivo sul primo numero della rivista “La
Speleologia” sorta sulle ceneri della più interessante e bella “Studia
Speleologica” dell’amico prof. Pietro Partezan
“Poiché nulla di nuovo è sopraggiunto da allora
riportiamo integralmente la vecchia notizia”
Grotta Addaura Caprara
Cranio di Felix Leo Spelaea – Foto di G. Mannino
“La Grotta Addaura Caprara, scavata dal mare
entro le strapiombanti pareti settentrionali del Monte Pellegrino a circa una
dozzina di chilometri da Palermo, costituisce uno dei fenomeni carsici più
interessanti d’Italia e, prima che dei vandali ne iniziassero il sistematico saccheggio, fu sede di
spettacolari fenomeni concrezionari, che senza tema di esagerare possiamo
definire unici al mondo. In questa grotta alla notevole distanza di 700 m
dall’ingresso, sono stati rinvenuti di recente i resti di un leone delle
caverne”.
“La scoperta si
deve ai soci del Gruppo Speleologico
della Sezione di Palermo del C.A.I., Lucia Pagano, Tibor Kirner e Pippo
Morina. Per quanto ci risulta non era stata mai effettuata una scoperta simile
in analoghe condizioni. Sarà necessario inquadrare meglio l’enigmatica scoperta
avere un idea dello sviluppo della grotta”.
“La grotta è
composta di una miriade di cunicoli e budelli divisi da strozzature e piccole
sale. In questo labirinto, scavato da un fiume sotterraneo oggi completamente
asciutto, è possibile distinguere un “ramo principale” dal quale si dipartono,
specialmente dal lato destro, qualche centinaio di cunicoli, alcuni dei quali,
per il loro sviluppo e per il fatto che da essi si dipartono a sua volta altri
cunicoli e budelli, taluni intercomunicanti ed altri ciechi, costituiscono dei
“rami secondari””.
“Al momento
attuale, come dicevamo, non esiste un rilievo completo. Da una poligonale
rilevata con squadro e rollina lungo il “ ramo principale” possiamo precisare
che questo ramo si sviluppa con andamento complessivo da nord a sud per 634
metri. La distanza tra l’ingresso e la fine del ramo, in linea d’aria, è di
circa 500 metri. Non conosciamo (per non averlo ancora completamento misurato)
lo sviluppo dei restanti rami e cunicoli, ma abbiamo motivo di ritenere che lo
sviluppo complessivo della grotta sorpasserà i due chilometri. Con ciò crediamo
abbastanza giustificata la nostra affermazione che questa grotta costituisce
uno dei più interessanti fenomeni carsici d’Italia.
“Non potendo allegare una planimetria del
“ramo principale”(ramo che per questa indagine ci riguarda), senza la quale una
descrizione risulterebbe non soltanto difficile ma poco comprensibile, ci
limiteremo a dare dei rapidi ma esaurienti cenni.
Questo ramo è una
continua sequenza, come abbiamo detto, di fessure, cunicoli, salette, piccoli
salti e strettoie. La sua conformazione è tale da rendere il percorso molto
fatico e da non permettere l’accesso alle persone corpulente. Un uomo di
statura normale, del peso di un centinaio di chili, per la sua mole è
nell’impossibilità di percorrere l’intero ramo, anche se capace di qualsiasi
contorsionismo. Riuscirebbe a precorrere molto faticosamente un breve tratto, e
sarebbe costretto inesorabilmente a fermarsi al passaggio della “Colonna” a
metri 246 dall’ingresso.
A mano a mano che
ci si inoltra le strettoie aumentano ed il percorso si fa sempre più faticoso
anche per la presenza di diversi salti. Al “Laghetto”, che segna quasi il
termine del ramo, si perviene dopo un’ora di continuo cammino, in verità più
che di cammino si deve parlare di contorsioni, di tratti percorsi a ventre a
terra, di passaggi nei quali è necessario contenere il respiro. Solo un quarto
del tempo impiegato a percorrere il ramo si compie in posizione eretta ma non
sempre comoda. A questi disagi va aggiunta la graduale rarefazione dell’aria la
quale nella parte terminale è sensibile
e facilmente rilevabile.
I resti sono stati
rinvenuti al termine di una diramazione, parte della quale di recente scoperta.
La parte nota è di 27 m e la parte nuova è di circa 40 m. La distanza
complessiva dall’ingresso all’estrema punta di questo ramo è dunque di 700 m.
Ci asteniamo per
il momento dal fornire altri particolari circa l’ubicazione dei resti per due
motivi.
In primo luogo
perché quel breve tratto di recente scoperta racchiude in qualche punto
concrezioni eccentriche veramente eccezionali e non vorremmo che anch’esse
subissero la misera fine di milioni di altre concrezioni. Secondariamente, per
il fatto che ancora oggi non è stato possibile recuperare tutti i resti per via
della loro posizione e del loro precario stato di conservazione.
A ancora una
conoscenza è necessaria per terminare di inquadrare il fenomeno; ed è la
posizione che presenta il punto, nel quale sono stati rinvenuti i resti,
rispetto al monte che lo circonda. Posizione necessari a conoscersi per
avanzare, con una certa fondatezza l’ipotesi che l’animale abbia potuto
percorrere una via diversa dall’attuale.
L’enigma del
rinvenimento dei resti in quel determinato punto non sarà svelato perché per
noi è inverosimile che l’animale per raggiungere il luogo in cui morì, abbia
potuto percorrere vivo o morto il “ramo principale” o altra ipotetica galleria
di rilevante sviluppo e di simile conformazione. Si noti comunque che il ramo
principale presentando sin dall’ingresso una pendenza positiva, potè essere
percorso dall’animale soltanto da vivo. Non abbiamo trovato dunque la
soluzione. Escludiamo decisamente come probabile via di penetrazione il “ramo
principale”.
Alla luce di
quanto esposto sembra più probabile l’ipotesi della penetrazione per una via
verticale o semiverticale, via oggi inesistente ma che una volta, alcune decine
di millenni di anni fa, poteva benissimo esistere. Ricordiamo che sulla sommità
del Monte alla quota di 370 m è la dolina denominata “Gorgo Rosso” oggi chiusa
ma ove una volta si riversavano, come mostrano le levigature delle rocce
prossime al centro della dolina, le acque dei piccoli rilievi creando
presumibilmente attraverso il lento lavoro di erosione e corrosione la nostra
grotta. La distanza tra il Gorgo ed il punto X è di circa 700 m con un
dislivello di 250 m.
Il problema più
arduo è quello di tentare di capire come l’animale abbia potuto penetrare
nell’abitacolo nel quale è stato rinvenuto.
La diramazione, al
termine della quale è l’abitacolo, lunga come abbiamo detto circa 70 m, è
strettissima e bassa tanto da doversi percorrere in massima parte coricati
eseguendo delle contorsioni in passaggi completamente rocciosi. Per comprendere
meglio la disagevolezza del percorso basti pensare che il tempo necessario a
percorrerlo è di oltre 20 minuti. Nella parte terminale, ove l’aria è
sensibilmente rarefatta, il percorso termina con due fessure parallele. La
prima è lunga circa 6 m, alta circa 1,50 m e con una larghezza variabile da 50
cm a circa 1 m. La seconda fessura è lunga poco più di 2 m, è alta circa 1 –
1,20 m ed ha una larghezza variabile da 30 cm alla base a 70 cm. L’unico
accesso a questa fessura è un passaggio di forma semicircolare del diametro di
circa 50 – 60 cm che si diparte dal pavimento sulla destra al termine della
precedente fessura.
Per le
modestissime dimensioni della fessura, nonché, principalmente, per la posizione
del passaggio rispetto alle due fessure, le possibilità di penetrazione sono
limitatissime ed in ogni caso precluse a qualsiasi persona di corporatura e
statura normali. Possono penetrare nella fessura soltanto persone di
corporatura piuttosto minuta e di bassa statura. La maggior parte di noi, di
statura normale, prossima a 1,70 m, pur allenati ai più spinti contorsionismi,
non è riuscita a vedere nemmeno l’interno della fessura. Soltanto Pagano e
Marina sono riusciti, scalzi, uno per volta, a penetrare. Pel rimanente, i più
fortunati tra noi hanno avuto soltanto
la possibilità di penetrare, a causa delle lunghezze delle tibie, per due terzi
soltanto. Ad ogni modo, supportando gli inevitabili crampi alle gambe, abbiamo
avuto egualmente modo di osservare il luogo.
La fessura è
completamente chiusa (se ne togliamo due trascurabili buchi che si collegano
comunque con la precedente fessura). Non esistono in pratica concrezioni. Le
pareti sono di roccia molto decalcificata (tanto che la fanghiglia di
decalcificazione si presenta come un intonaco). Il pavimento è orizzontale nel
primo tratto, poi termina in una buca profonda circa 1,50 m entro la quale si
trovano ed ancora in parte i resti del felino. Altri resti: vertebre sacrali,
coccige, un femore, sono stati rinvenuti sul pavimento in prossimità della
buca. Il cranio è stato rinvenuto completamente intatto, con l’epitrofeo
vicinissimo all’atlante; incastrato nella fessura, sopra la buca, ad altezza di
metri 0,90 -1,10.
Questi elementi
escludono l’ipotesi che l’animale sia stato trasportato in pezzi dall’acqua e
convalidano l’ipotesi che l’animale sia morto dentro la fessura o che vi sia
stato trasportato morto, ma, con tutti i tessuti muscolari integri, il che
impedì la dispersione e la levigazione delle ossa e che infine permise il
ritrovamento dei resti in posizione relativamente composta. Depone a favore di
quest’ultima ipotesi anche il fatto che se il felino ha varcato il passaggio
per entrare nella fessura, non potè attraversarlo mentre era in vita, ma potè
compiere quest’ultimo passo o in resti (e abbiamo scartato l’ipotesi) o morto,
ancora con i suoi tessuti muscolari, spinto da forti correnti d’acqua. Quest’
acqua probabilmente trovava una via d’uscita nella buca già accennata. Forse un
nostro rilievo, altre osservazioni più accurate, ci metteranno in grado di
esprimerci in forma meno dubitativa”.
GLI SCAVI NELLA
GROTTA DELL’ADDAURA CAPARARA
Il
primo scavo risale agli anni ’60 ad opera di
Gaetano Giorgio Gemmellaro che dei risultati non diede alcuna notizia.
Qualche cenno lo riportò la relazione di
Minà Palumbo..”il Prof. Gemmellaro nel
mese di marzo 1869 mi faceva un cenno di due grotte da lui ritrovate. Una
trovasi sul Monte Pellegrino, chiamata Grotta Grande dell’Addaura, dove
rinvenne ossa di cervi, di bove, di cavallo, carboni, e armi in selce o in
pietra; certamente stazione dell’epoca preistorica”.
Il
Barone Anca riportò il rinvenimento di un molare inferiore sinistro di Elephas
(Euel) armeniacus. Falc., trovato nel 1866 dal Gemmellaro nella Grotta Grande
dell’Addaura.
Il
von Adrian, parecchi anni dopo, nel deposito distinse due strati: uno superiore
con industria paleolitica, patelle, carboni e resti di ruminanti; l’altro
inferiore di terra rossa con resti di elefante. Si può dedurre che già allora
il deposito di ceramica era stato smantellato.
Ancora
sullo scavo Gemmellaro si soffermarono Schweinfurth ed il Vaufrey. Quest’ultimo
concluse le sue ricerche osservando: “Se
Gemmellaro non ha pubblicato le sue ricerche nelle grotte del Monte Pellegrino
e del Monte Gallo ciò è forse dovuto al fatto che esse non confermano la
stratigrafia che egli aveva creduto di potere stabilire a Carburangeli”.
Il
Gemmellaro pubblicando lo scavo nelle Grotta di Carburangeli di Carini diede
una stratigrafia tipo delle grotte che non aveva mai avuto riscontro, fin oggi,
nella realtà. In sostanza egli affermò
la contemporaneità dell’uomo con l’elefante.
Un
altro scavo fu compiuto nel 1931 ma con lo scopo di creare un accesso più
agevole alla grotta carsica da poco scoperta oltre “u purtusu de cani” nel vasto riparo dell’Addaura Caparara.
Allo
scavo era presente Di Salvo che diede qualche notizia..” nel giacimento in parte sconvolto, furono rinvenuti: un frammento di
molare di Elephas melitensis falconesi, zooteropodi marini, varie ossa di
mammiferi ed industria litica”.
Il
prof. Mannino…”i successivi scavi, gli
ultimi compiuti fino ad oggi, risalgono all’ormai lontano maggio 1946; ne
riferisce in una relazione preliminare, la Bovio Marconi che li esegue con la
collaborazione del Prof. Luigi Bernabò Brea. Nell’autunno del 1947 venne
ultimato lo scavo di una trincea interrotto l’anno prima per mancanza di
disponibilità finanziaria”.
“furono praticati
diversi sondaggi; solo di tre si ha una descrizione.
Saggio 1 – fu
aperta una trincea di (2,60 x 1,60) m davanti la Grotta dei Bovidi nella quale
venne raggiunta la profondità di 2,48 m -
Lo scavo venne condotto con tagli di 10 – 15 cm, setacciando il
deposito. In fase di studio i tagli omogenei furono fusi così risultarono
quattro strati:
strato 1. 0,40 m di profondità, si presentò sconvolto
per la presenza di materiali cronologicamente lontani: frammenti ceramici
attuali e preistorici ed industria litica del paleolitico Superiore.
Strato II. 40-72
cm di profondità, perfettamente in posto, restituì abbondante industria litica
del Paleolitico Superiore e resti di pasti costituiti da molluschi marini ed
ossa di cervo, cavallo, etc e qualche dente dello scomparso Equus asinus
hidruntinos.
Strato III. 72-120
cm di profondità, si presentò quasi sterile. Fino alla profondità di cm 92
qualche raro frammento di selce lavorata, carboni e patelle, attestarono ancora
la presenza dell’uomo nella grotta,
Strato IV
1,20-2,40 m di profondità, non restituì alcuna testimonianza della presenza
dell’uomo ma soltanto qualche elemento dell’estinta fauna quaternaria: un dente
di ippopotamo (Hippopotamus amphibius Pentlandi Mayer) e due molari di elefante
nano (Elephas melitensis falconeri).
Saggio 2 – fu
aperta una grande trincea sotto la parete sinistra del grande riparo
dell’Addaura Caprara a 18-20 m dall’ingresso della nota grotta carsica e fu
raggiunta la profondità di 4,10 m.
Gli scavatori
procedettero allo scavo già con la convinzione di non poter trovare il deposito
in posto, per recuperare materiale d’indubbio interesse tipologico. Era stato
osservato che il deposito preistorico del riparo mancava del tutto, asportato
dai mandriani a poco a poco pulendo il vasto ovile, ma che qualcosa rimaneva
ancora scivolata in sacche createsi tra la parete rocciosa del riparo ed il
deposito a terra rossa. Furono recuperate grandi quantità di molluschi marini,
patelle ferruginee8soprattutto) e cerulee, trochus, ecc. ossa di bovidi,
cervidi, equidi tra i quali quelli di equus asinus hidrantinus, ovidi, cinghiale, ecc. in parte
combusti; abbondantissimo materiale litico in quarzite e soprattutto in selce,
ciotole di selce e pezzi semilavorati che testimoniano le lavorazioni in posto
degli utensili.
SAGGIO 3 – fu aperta una trincea tra la grotta n. 90 e n.
91 (Addaura II e I) di circa (3 x 2 ) m. lo scavo iniziato nel 1946 fu
approfondito fino a 1,50 m; fu proseguito l’anno successivo ma non ci conosce
la profondità raggiunta. La Bovio Marconi riferisce che il deposito si presentò
sconvolto
fino alla
profondità di circa un metro ove si rinvennero elementi recenti ed un frammento
romano. La studiosa osserva giustamente che la porzione di deposito sconvolto
proveniva dallo svuotamento delle due grotte vicine. Il sottostante deposito di
terra rossastra era piuttosto povero, restituì molluschi marini, ossa animali e
scarsa industria su selce.
Nessun scavo
risulta condotto nell’Addaura Grande o Perciata qualche volta confusa con la
grotta Addaura Caprara e più spesso con la Grotta Perciata di Monte Gallo.
Solo Di Salvo accenna a ritrovamenti di resti
preistorici in tempi diversi lasciando intendere ad industrie del paleolitico
Superiore.
Anche questo
vastissimo riparo fu certamente abitato dall’uomo preistorico per lunghi
millenni pure se dimore preferenziali dovettero essere le cavità più basse
dell’Addaura perché più accoglienti, più vicine al mare ed agli accessi al
Monte Pellegrino: la scaletta della Perciata e quella della Valetta.
Sulla base delle
ricerche fin oggi svolte non si può avere per nulla un’idea della vita che in
queste grotte dovette addirittura pullulare nell’arco di circa otto millenni.
Siamo piuttosto scettici sull’esito di future ricerche perché gran parte dei
depositi sono andati perduti per sempre.
Nel solo riparo
dell’Addaura Caprara il deposito del paleolitico Superiore, a giudicare dalle
brecce ancora attaccate alle pareti, doveva superare l’altezza di un metro
misura mediamente riscontrata in tutti i giacimenti paleolitici della Sicilia
Occidentale.
Mancano almeno
1000 mc di deposito del paleolitico, a questi va aggiunta una quantità almeno
doppia che riguardava gli strati a ceramica; di quest’ultimi non resta più
nulla.
Nella Camera dei
Bovidi, che alla fine del paleolitico Superiore dovette rimanere chiusa per
l’accumularsi del deposito, oggi vi si sta perfettamente in piedi e vi affiora
il deposito a terra rossa notoriamente sterile d’industria umana.
Immane rovina
certamente, incredibile per chi non ha conoscenza diretta dei luoghi dalla
quale si sono salvati soltanto piccole parti degli strati più profondi che
costituiscono la testimonianza dei primi stanziamenti umani in queste grotte.
Al lume delle
nostre conoscenze qualche prospettiva per ricerche future le offrono i
brandelli di deposito davanti la Grotta dei Bovidi, e l’Addaura Grande o
Perciata nel lato destro”.
RESTI DI NERINEE INVERTEBRATI
Popeye (particolare)
Eccentricità –
particolare
Anemone
Fiammella concrezionata
Concrezioni
filiformi
Passaggio nei rami
laterali
UN AMBIENTE DA TUTELARE DAI VANDALI MAFIOSETTI
INCISIONI AL
CARBURO
CONCREZIONI
SPEZZATE
batterie .......
Confezioni di merendine
i vandali sono arrivati fin qui..... il vetro
L'immancabile scritta di qualcuno dotato di una grande cultura.......
Vergogna......
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c) Grotta Dei Bovidi
Dati
di Catasto
SI PA n. 89
Nome
Locale: Grotta dei capretti
Altri
Nomi: Grotta dell’Antro Nero; Grotticina “B” dell’Addaura; Grotta dei Bovidi
Località:
Addaura; Riparo dell’Addaura Caprara
Tavoletta:
249 I S.E. Mondello
Long. E.; 0°53’58” – Lat. N.;
38°11’09”
Quota:
85 m
Sviluppo:
35 m
La
cavità si trova sulla destra del riparo Addaura Caprara da cui resta
indipendente.
L’ingresso
ha una forma semiellittica con l’asse maggiore rivolto verso il basso, di circa
12 m di lunghezza per un altezza di un paio di metri; “è ingombro del crollo di un muro che una volta chiudeva la grotta”.
Tutta
la grotta è di origine marina, scarse le concrezioni calcaree; il piano di
calpestio è costituito in prevalenza di “terra
rossa”.
La
cavità si sviluppa con pareti molto articolate per m 35 con riempimento di
terra rossa, un tempo sommerso dal mare, che vi ha lasciato perforazioni di
organismi litofagi. Nel più vasto ambiente interno una sorpresa: una pittura
realizzata con la fumosa fiamma di una lampada a carburo con data e sigla
dell’autore.
Notevole
l’interesse della parete frontale del primo ambiente costituita da deposito
antropico, che una volta riempiva la grotta, tenacemente cementato e
contenente: ossa di mammiferi, gasteropodi terrestri e marini, selci, quarziti,
paleomesolitici.
Grotta dei Bovidi,
in basso. La freccia indica il saggio n. 1
L’interesse
archeologico per la grotta è legato al primo ambiente della cavità che è
perfettamente in luce. “Nell’interno
invece l’uomo preistorico non vi penetrò mai”.
In
questo ambiente, sulla parete di destra al limitare col soffitto, sono presenti
due graffiti di bovidi profondamente alterati da atti di vandalismo.
“Fu abitata, e si direbbe intensamente,
soltanto nel paleolitico Superiore come dimostra una possente breccia dello
spessore di circa 1,50 m cementata nella parete di fondo che ogni anno si
assottiglia per i continui prelievi di utensili litici, patelle, ecc. La breccia raggiunge la volta e perciò doveva
intasare l’ambiente rendendolo inabitabile nelle età successive. Oggi
l’ambiente è completamente svuotato del deposito archeologico e sul suolo
affiora la “terra rossa”, anche questa parzialmente asportata, oggetto di
continui scavi clandestini. Nel lato destro, al limite tra la parete ed il
soffitto, annerito dal fumo di fuochi antichi e recenti, sono incise due figure
zoomorfe che ripetutamente sono state “ripassate” per approfondire il solco. Tale
criminale lavoro ha portato alla distruzione delle due opere d’arte. Giudicando
dal calco, esposto al Museo Regionale di Palermo che fu eseguito quando le
incisioni erano integre e dalle fotografie eseguite dopo la scoperta ci si
rende conto subito dell’originalità delle due figure sulla quale è pesata la
cattiva sorte di essere state scoperte poco dopo e nei pressi delle famose
incisioni dell’Addaura, sulle quali, soltanto, s’è polarizzata l’attenzione di
tutti gli studiosi.
Riconosciamo anche
l’attrazione quasi magnetica di quelle figure dalle quali è difficile sottrarsi
anche per chi le ha viste e riviste decine di volte. Le figure della Grotta dei
bovidi riproducono due bovidi entrambi con testa aguzza, triangolare, corpi
massicci e schematizzati col profilo del dorso gibboso, corna a raggiera
protese in avanti.
Grotta dei Bovidi
Pianta e profilo
longitudinale
“Delle corna s’è parlato più di ogni altro
particolare anatomico. L’artista paleolitico le ha rappresentate in entrambe le
figure con tre segmenti radiali che partono dalla fronte dell’animale, come
accade anche nelle incisioni dell’Addaura e non piuttosto dalla testa come
avviene generalmente. L’elemento che le distingue da altre figure sta
proprio nei tre segmenti perché altrove
le corna sono rappresentate con due semplici linee o con due coppie di linee,
più o meno ricurve in avanti. Non ci sembra però che questa particolarità
meriti molte discussioni soprattutto tenendo presente una certa imperizia
dell’artista Paleolitico che si palesa nel disegno dell’animale. La
schematizzazione delle figure pare infatti di poterla attribuire ad incapacità
e non allo stile cosa che invece non si potrebbe sostenere per le figure
dell’Addaura nelle quali schematismo e naturalismo sono senza dubbio voluti e
magistralmente ottenuti.
Per la terza linea
delle corna è stata avanzata l’ipotesi che possa rappresentare un’arma infissa
nella testa dell’animale, particolare più volte presente nel vasto repertorio
dell’arte franco-cantabrica, come si può pensare pure per il bovide su pietra
della grotta del genovese di Levanzo, ora al Museo Archeologico regionale di
Palermo.
Grotta dei Bovidi
(in basso) e Grotta dell’Eremita (in alto)– Foto Soprintendenza del 1946
Atto di
Vandalismo……
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d) Grotta
Dell’Eremita
Dati
di Catasto
SI PA n. 88
Nome
Locale: Grotta dell’Eremita
Altri
Nomi: Grotta del Muretto
Località:
Addaura, Riparo dell’Addaura Caprara
Tavoletta:
249 I S.E. Mondello
Long. E. : 0°53’58 – Lat. N.:
38°11’09”
Quota:
93 m
Sviluppo:
25 – 30 m
La
cavità è posta a circa 15 metri dal piano di campagna, nella parete destra del
grande riparo dell’Addaura Caprara, immediatamente sopra la grotta dei Bovidi.
“L’abbiamo
raggiunta solo una volta, una trentina d’anni fa, con una breve ma impegnativa
arrampicata”.
“La cavità
d’origine marina. L’erosione, alla sommità della parte, nella quale si apre la
grotta, ha tagliato una sorta di ballatoio; alle spalle di questo si sviluppa
una fessura lunga una trentina di metri, a sezione triangolare sempre più
rastremata fino ad essere impercorribile. Sulla destra del ballatoio un
passaggio immette in un ingrottato che si affaccia sullo strapiombo.
Ballatoio ed
ingrottato un tempo erano chiusi da un parapetto di conci di calcarenite murati
con malta. Ora dei due muretti resta ben poca cosa perché quasi del tutto
demoliti da alcuni imbecilli che hanno raggiunto la grotta non in arrampicata
ma legando insieme tronchi di eucaliptus (selvaggiamente tagliato).
Quando verso gli
anni ’50 salimmo nella grotta incuriositi più dalla presenza del muretto che
non dalla fessura che s’intravede dal basso,
l’inesperienza della giovane età fece sì che non pensassimo neppure a
cercare possibili testimonianze con le quali spiegare l’enigma della presenza
del muretto. Ora è troppo tardi per noi ritornarvi in arrampicata per cercare
nella poca terra e pietrisco, che costituisce il piano di calpestio, qualche
frammento di terracotta o sulle pareti
qualche segno inciso od a carbone che potrebbero illuminare del tempo in cui, forse, qualche eremita
eclettico si ritirò nella grotta a meditare e a pregare”.
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e) Grotticina
Dati
di Catasto
SI PA n. 91
Località:
Contrada Addaura
Tavoletta:
240 I S.E. Mondello
Long.
E.: 0°53’53” – Lat. N.: 38°11’09”
Quota:
80 m
Sviluppo:
6 m
È
posta a qualche metro alla destra della Grotta delle Incisioni
“La Cavità appare del tutto svuotata del suo
deposito antropozoico. Nella parte più alta del talus (pendio, scarpata),
portato alla luce da scavi clandestini, si osservano talora resti di pasto
(molluschi marini ed ossa di mammiferi) ed utensili di quarzite e di selce
attribuibili al Paleolitico Superiore.
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f) Grotticina Del
Cantiere Dell’Addaura
Dati di Catasto
SI PA n. 92
Nome
Locale : Gruttignuni
Altri
Nomi: Grota del Cantiere dell’Addaura; Grotta del Piano Addaura
Località:
Contrada Addaura
Tavoletta:
240 I S.E. Mondello
Long. E.: 0°53’46” – Lat. N.:
38°11’20”
Quota:
10 m
Sviluppo: 8 m
Si
apre in una linea di riva (Tirreniana) fra l’ex cantiere navale e la rotabile:
fu distrutta o interrata dalla selvaggia espansione edilizia.
“I nostri lontani
ricordi della fine degli anni quaranta, di resti di pasto (ossa di bovidi,
cervidi, equidi, molluschi marini, ecc.) ed utensili di quarzite e di selce
sparsi nell’interno del cunicolo e davanti l’ingresso per breve raggio, sono
confortati da una breve notizia di Antonio De Gregorio…”si trovano abbondanti
resti preistorici perfettamente sincroni a quelli della Grotta dell’Addaura che
è ben nota”.
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g) Grotticina Di Celesi
Dati
di Catasto
SI PA n. 93
Località:
Contrada Addaura
Tavoletta:
249 I.S.E. Mondello
Long.
E.: 0°53’14” – Lat. N.: 38°11’20”
Quota:
90 m
Sviluppo:
12 m
Si
apre a Nord dell’imbocco della galleria della rotabile per il Santuario di S. Rosalia,
ai piedi della “Scaletta di Valdesi”
Breve budello di
escavazione marina; quasi una tana; di nessuno interesse”.
Pianta, sezioni e
profilo
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h) Grotta Delle Incisioni
file :
Monte Pellegrino (RNO) (Palermo) – Grotta delle Incisioni
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4. LA MONTAGNOLA
E’
l’estrema propaggine settentrionale del Monte Pellegrino al cui piede corre la
rotabile per Ercte.
La
parete destra è esposta a nord e presenta in alto una cavità di difficile
accesso e sembra, nel 2017, ancora non catastata. E’ ritenuta erroneamente
priva di alcun interesse archeologico e speleologico. Ai piedi si aprono quattro piccole cavità che
furono svuotate dal deposito antropico.
La
presenza di piccoli lembi di paleosuoli e soprattutto reperti di ogni età
dispersi all’esterno, dimostra una continuità di vita di millenni, addirittura
di un villaggio che si sarebbe sviluppato sopra le grotte n. 67 – 68, 69, 75.
Il
prof. Vittorio Giustolisi non indagò su queste grotte, limitandosi solo a
qualche accenno, e rivolgendo invece le sue attenzioni alla presenza di
ceramica punica e romana.
L’altra
parete è esposta ad occidente. È una placca rossastra, alta da nord a sud da 50
a 80 metri, in cui si notano un gran numero di grotte, quasi anfratti, a circa
metà della sua altezza (mezza dozzina di cavità). Anche queste grotte, data la
loro altezza e considerate di nessuna importanza archeologica, non furono
esplorate nel passato.
Nell’aprile
del 1983 Roby Manfrè, esperto arrampicatore del CAI, comunicò al prof. Mannino
di aver scoperto alcuni vasi in una piccola grotta ubicata nel versante occidentale della Montagnola.
Il
soprintendente, l’illustre prof. Vincenzo Tusa, venuto a conoscenza del rinvenimento diede al prof. Mannino
l’incarico di recuperare il materiale e di provvedere all’esplorazione della
grotta. L’esplorazione fu eseguita il 14 maggio 1983. Il prof. Mannino, per
motivi di salute non salì nella grotta e in sua vece eseguì l’indagine Totò
Sammataro presidente del CAI con l’aiuto dei soci: Marcello Panzica, Paolo
Madonia, Fortunata Prinzivalle e Vito Buffa.
Per
evitare qualsiasi danno ai quattro vasi recuperati (uno integro, uno lesionato,
gli altri due lesionati e mancanti di qualche parte), venne impiantata un
teleferica.
All’esplorazione
integrale della necropoli rupestre della Montagnola parteciparono con il prof.
Mannino: Vito Buffa, Roberto Cusimano, Marcello Scurria, Rosario Cinquemani,
Piergiovanni Matranga, Agostino
Ingrassia, dell’Associazione Speleoarcheologica di cui il prof. Mannino era
socio fondatore.
Riporto
integralmente il racconto del prof. Mannino sulla difficile spedizione per
raggiungere le grotte.
“Per raggiungere
le grotte, poiché nessuno dei partecipanti possedeva le capacità tecniche di
Roby Manfrè, scelsi di raggiungere le grotte con una iniziale discesa
dall’alto, come certamente avevano fatto tutti coloro che ci avevano, (aggiungo
purtroppo), preceduto. Due partecipanti,
A e B con due corde a e b, salendo il piccolo canalone, si portano sulla
verticale della grotta A, dall’orlo della falesia discende sulla corda a fino
alla grotta, B con la corda b provvede alla sicurezza di A fin quando non venne
raggiunta la grotta, recupera quindi le due corde e manda i capi di a e di b
alla base della parete dove frattanto è ritornato B che aggancia alla corda a
una scaletta che A recupera dando la possibilità a B e ad altri C di eseguire
una facile salita con sicurezza di A con corda b. Finita l’esplorazione la
discesa verrà effettuata con discensore a corda doppia, fissata ad un chiodo,
una protuberanza della roccia, una colonna”.
Tra il 1984 ed il
1985 con il gruppo ho potuto esplorare sette cavità.
La Montagnola (lato Occidentale) –
Necropoli Rupestre
Grotta n. 1
È
una piccola cavità molto frequentata perché si trova lungo una “via di roccia”.
Lo stesso prof. Mannino affermò di aver percorso quella “strada” circa
cinquant’anni fa e di aver trovato frammenti di terracotta incollati al suolo
roccioso. “a posteriori li interpretò
come tracce di corredi”.
Grotta n. 2
È una fessura
molto allungata, larga circa 1 m e lunga circa 10 m. Roby Manfrè la raggiunse
in arrampicata attraversandola, durante la salita, in “camino”; è un passaggio
obbligatorio che chi vuole raggiungere in arrampicata la grotta successiva. Il
giovane scalatore vi rinvenne alcuni frammenti (andati perduti) ed una grossa
ansa a “maniglia” (Fase di Castelluccio ?). la cavità non è abitabile. La
presenza di frammenti mi indusse a pensare alla rottura di un vaso in transito
destinato alla cavità più in alto (la grotta n. 3)”.
GROTTA n. 3
“ è la cavità
scoperta dal Manfrè. L’ingresso è di forma ellittica, verticale, di 7,50 m di
altezza, larga 1 m alla base e 3 m alla sommità. Si apre a circa 30 m dal piano
di campagna. Nella parte più alta della cavità si sviluppa un piccolo ambiente
che è simile alla cella di un’ampia tomba ipogea. Il piano di calpestio
dell’intera cavità è in ripida risalita, ricoperto di pietrisco e terra
formatasi anche dal guano di predatori e
dai loro scheletri. Manfrè vi trovò: un anfora frammentata, alta 29 cm (a); una grande olla, alta cm 36(b); un
anfora alta cm 28(c); porzione della vasca di una coppa, alta cm 16(d)”.
La Montagnola
(Monte Pellegrino) – Parete Occidentale
Grotta n. 3 – Pianta,
sezioni e sezione longitudinale
Disposizione dei
reperti al momento del ritrovamento
GROTTA n. 4
“La grotta ha un
ingresso di forma ellittica, lunga 5 m ed alta 4 m. lo sviluppo complessivo è
di 22,50 m. il primo tratto è imbutiforme e termina a 6 m con una strozzatura alta un metro e larga
0,80 m. in questo tratto fu raccolto un coltello di bronzo privo d’impugnatura
lungo 9,4 cm, largo 1,8 cm e con spessore di 0,9 cm. Segue un budello di una
quindicina di metri con un terriccio polverulento dal quale affioravano in più
punti frammenti fittili. Per raccoglierli fu necessario spostare il terriccio e
ci rendemmo conto che non si trattava in nessun caso di forme ricomponibili ma
di una sorta di campionario di frammenti appartenenti ad una trentina di forme
diverse e di diversa età.
La Montagnola –
Grotta n. 4 – Pianta e Sezioni
La Montagnola –
Grotta n. 4 –
Due lame di selce
– Un coltello di Bronzo
GROTTA n. 5
“ Ha l’ingresso di
forma molto allungata, largo 8 m e alto 2 m., si apre ad una decina di metri
dalla precedente cavità. Consta di un solo ambiente di forma irregolare, con
stalagmiti e una colonna. Si sviluppa per una decina di metri con altezza media di 1,70 m. sul suolo roccioso
si rinvennero in quattro punti equidistanti gruppi di frammenti che lasciano
pensare ad altrettante deposizioni”.
Grotta n 4 – 5;
Frammenti rinvenuti
Grotta n. 4 – 5;
Frammenti Rivenuti
Il Reperto 5b10 è
il fondo di un anfora punica
Grotta n. 5 –
Reperti: profili di olle
Grotta n. 5 –
reperto: fondo di un olla con decorazione stile Vecchiuzzo
Grotta n. 6
“si apre circa 35
m a destra, alla stessa quota della grotta n. 5, subito dopo un ingrottato
largo circa 5 m ed alto 7 m.
L’ingresso è una
fessura larga 0,50 m, alta 1,80 m, dà luogo a un solo ambiente di forma
irregolare, con una colonna di roccia, e ha uno sviluppo di 14 m e un’altezza
media di circa un metro. Nessuna traccia d’interesse archeologico.
La Montagnola –
Grotta n. 6 – Pianta e Sezioni
Grotta n. 7
“La cavità ha due
ingressi continui, il sinistro è di circa 4 m di base per 3 m in altezza,
simile il destro. Ha uno sviluppo parallelo alla parete di circa 30 m. il
pavimento è coperto interamente di
terriccio dello spessore di circa 30 cm; non ha restituito nulla d’interesse
archeologico”.
La Montagnola – Grotta
n. 7 – Pianta e Sezioni.
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Lo Zubbio
della Montagnola
(Zubbio: cavità a
prevalente sviluppo verticale).
“La scoperta dello
zubbio fu casuale e risale al 1968. Si tratta di una fessura orientata Nord
Sud, parallela alla linea di cresta; è stretta in alto, mediamente meno di un
metro, e si allarga progressivamente in basso. Non mi fu difficile raggiungere
il fondo, otto metri, arrampicandomi in “camino”. Alla base del pozzo si trova
un piccolo ambiente con un’apertura che guarda la valle dell’Addaura; fuori da
ogni previsione vi rinvenni parecchi frammenti di terracotta abbandonati al
suolo. Ne raccolsi un paio per sottoporli alla prof. Jole Bovio Marconi, che li
“definì “preistorici”. Dopo i ritrovamenti nelle grotte-necropoli, è
ragionevole supporre che anche i frammenti provenienti dallo zubbio facciano parte
di una deposizione.
Vittorio
Giustolisi nelle sue ricerche sul Monte Pellegrino esplorò anche la Montagnola
e le assegnò la funzione di sentinella, in riferimento all’Eircte, per la
presenza di ceramica sia tutt’intorno il rilievo che sull’altura e, presso la
punta, anche di una cisterna.
La topografia
della sommità della Montagnola non appare del tutto naturale e, inoltre, è
possibile raccogliere ovunque frammenti romani, punici e preistorici. La
maggiore concentrazione di fittili preistorici si trova in una fascia
rimboschita sul lato occidentale, certamente portati alla luce dagli scavi per
la messa a dimora delle piante del boschetto.”
Montagnola –
Zubbio della Montagnola
Pianta e sezioni
La Montagnola –
Zubbio della Montagnola
Parete di una coppa
decorata con nervatura
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