ROCCAVALDINA (Messina) - Il Castello dei Valdina - Il Testamento del Principe Valdina: ..”Dichiaro erede universale la mia anima…..”





Indice:
1.      Storia
Epoca Romana (Cenni) – Periodo Medievale – I Vari Feudatari: Rocca, Di Tarento, Castagna, Pollicino, Valdina, Papè;

2.   I Valdina – Giovanni Valdina Vignolo e il suo testamento – Gli Attuali Proprietari:                     Nastasi – De Spuches

3.      La Struttura

Il castello di Roccavaldina si trova tra Messina e Milazzo e sovrasta il Golfo di Milazzo.
In lontananza non si nota perché posto nell’antico abitato. Pur avendo una posizione strategica,  con un ampio panorama che spazia anche sulla piana di Milazzo, non si trova sulla parte più alta del centro che è occupata dalla grande torre della Matrice del Cinquecento.






La Torre della Matrice

Il suo aspetto militare è evidenziato dal prospetto che dà sulla piazza principale, mentre spostandosi verso la via che costeggia il fianco nord-est si evidenzia un corpo aggiunto di nobile architettura, con caratteristiche di palazzo baronale, ricco di arte che raramente si incontra nelle maggiori città.
La differenza artistica fra i due fabbricati e corpi del castello è radicale.
E' una differenza che risiede più nella funzionalità piuttosto che nello stile.
Nel primo corpo si evidenzia la rozzezza di una postazione militare, mentre nell'altro corpo si evidenzia una precisa volontà artistica.
Entrambi potrebbero appartenere allo stesso secolo (500).



1.      STORIA
Nel 260 a.C. si svolse a Milazzo, nel corso della Prima Guerra Punica, un’importante battaglia navale tra la flotta Romana e l’esperta flotta Cartaginese. La battaglia, che vide da parte dei Romani l’introduzione come armamento di importanti tecnologie, fu vinta dai Romani.
Il territorio circostante Roccavaldina fu affidato ad un Tribuno romano e chiamato “Lavinia”. Un termine legato alla presenza di un fiume dalle acque freschissime. Il territorio fu comunque bonificato e disboscato dai romani utilizzando gli schiavi e fu costruito un nucleo di casolari, di paglia e fango, vicino all’odierna Roccavaldina e chiamato “Pagus Lavinia”.
L’antica città fortificata di “Pyxus”, l’odierna Rometta, era piuttosto lontana e per questo motivo il tribuno romano decise di creare il borgo di “Pagus Lavinia”.

Fu anche costruito nel nuovo borgo un tempio pagano a cui apparteneva una fonte battesimale che oggi si trova nel Duomo di Roccavaldina.


Il borgo acquisì una sua importanza, ampliando il suo nucleo abitativo, perché diventò un importante “stazione di posta”, destinata anche al cambio dei cavalli, per la sua posizione a metà strada fra gli importanti centri di “Mylae” (Milazzo) e “Pyxus” (Rometta).
Con i Barbari, l’Impero Romano venne diviso e il centro di “Pagus Lavina” fu assegnato all’Impero Romano d’Oriente.
Abbiamo scarse notizie in merito al periodo e le uniche fonti sono legate agli scritti dello storico Francesco Maria Emanuele Gaetani.
Nel 476 d.C. i Goti e gli Ostrogoti invasero la Sicilia.  Il condottiero Belisario, mandato dai bizantini in Sicilia, riuscì a sconfiggere gli invasori in una cruenta battaglia vicino “Pyxus”. Il territorio fu quindi affidato ad un tribuno romano e il “Pagus Lavina” prese il nome di “Casale del Conte” perché il tribuno era un “Conte di Palazzo” e successivamente si separò da “Pyxus”.
Sembra che durante il dominio Bizantino fu costruita una roccaforte per contrastare le incursioni arabe.
Dominazione bizantina che finì con l’invasione araba nell’840.
Il “Casale del Conte”, com’era consuetudine nelle manifestazioni di conquista araba, fu raso al suolo. Gli arabi non riuscirono a conquistare la roccaforte della vicina Pyxus che fu l’ultimo baluardo cristiano a resistere alla conquista musulmana  fino al 967 d.C.
Il “Casale del Conte” fu ricostruito dagli arabi e prese il nome di “Raakal Elmerum” (“Campo di Rifornimento”) e diventò il campo base dei saraceni che assediavano Pyxus.
Con la conquista Normanna della Sicilia, il casale di “Raakal Elmerum” fu distrutto e il re Guglielmo il Buono, donò il casale al Monastero della Valle (“Badiazza”) di Messina.

 Messina - Santa Maria della Valle - (La Badiazza)

Erano presenti al tempo dei Normanni i resti della vecchia fortezza prima Bizantina e poi araba ?
La prima notizia storica si può rilevare dai Diplomi Pontifici  in cui si legge:
L’Arcivescovo di Messina fin dalla istituzione della Diocesi (epoca della conquista Normanna), elevò Rometta ad arcipretura con i vicini casali di Roccae (Roccavadina), Maurojannis (Valdina), San Martino, Rappani, Saponariae,l Bovosae,….” (1090).
La Terra Baronale  era distinta in:
“Castro Monfortis;
Castro Saponariae;
Casali Roccae, Casali, Bovosae, Casali Calvarasuae, Casali Rappano, Casali Maurojannis, Casali Sancti Petri”( Francesco Maria Emanuele Gaetani).

La storia del feudo di Rocca è documentata nei passaggi di investitura dal tempo degli Aragonesi.
L’abate Amico riferisce che nei censi fatti sotto Federico II d'Aragona (1300), si trova un certo Giovanni Rocca, nobile cavaliere pisano, fondatore della nuova terra (dal 1296).
Nei documenti fin qui esaminati non si fa alcuna menzione alla presenza di un castello nel territorio di “Roccae” che viene citato con il termine di “casali” a differenza di “Monfortis” e “Saponariae” che figurano con il termine “castro” (castello).

Secondo alcuni storici la famiglia Rocca sarebbe originaria di Pisa mentre altri
legano la sua origine alla Catalogna. Quest’ultima tesi sarebbe collegata ad un
certo Bartolomeo Rocca, catalano, che nel 1398 aveva la cittadinanza Palermitana.
Secondo lo storico Inveges, la famiglia..”di origine pisana, godette nobiltà in
Messina dal secolo XIII al XVIII; possedette il principato di Alcontres, la ducea di
San Lorenzo, il marchesato di Roccalumera, le baronie Caule de Lorba o di Lerba, Caule di Legna,
Piani di lu Puti, Colla soprana e sottana, Finocchiara, Fondaco del Re o di Bitonto.
San Giuseppe, Lalia, Lando, Maeggio, Militello,Raccuja, Serradi-falco, Placabajana
i diritti della corte capitaniale di Piazza, Racarciofali, Scarpello, ecc.;
Un Guglielmo fu, nell’ordine di Malta priore del Gran Priorato di Messina nel 1294;
un Ampollonio possedeva sotto re Federico II alcune terre in Scicli;
un Guccio fu vice secreto di Noto nel 1398;
un Giovanni fu senatore di Catania negli anni 1414-15, 1420-21,
1443-44, 1448-49, 1454-55;

Nell’epoca Aragonese la Terra Baronale della Val Demone, dove ricade Roccavaldina, era soggetta al “Mero e Misto Impero”.
Nel 1360 ne era investito il Protonotario del Regno Perrone (o Perroni) Gioieni (Il Seniore) di Termini per concessione di Federico IV di Sicilia, detto il Semplice.
Successive investiture a Bartolomeo Gioieni, Regio Cancelliere del Regno e a Perrone Gioeni (Juniore)
Perrone Gioieni (Juniore) nel 1397 vendette la “Terra” al Giudice della Regia Corte, Giovanni di Tarento (Taranto),  per 169 onze con privilegio del re Martino il Giovane

Anastasio e Gregorio di Taranto, padre e figlio, “per alcuni gravi disgusti avuti nella
loro patria Taranto, Città nobilissima della Puglia, con uccisione di genti potenti nel
mezzo, se ne passarono con tutte le loro ricchezze pecuniarie  nobilmente in Sicilia,
e amorevolmente ricevuti dal re Federico terzo (Federico IV d’Aragona, il Semplice)”.
Però un altro scrittore dice che “Anastasio e Gregorio  predetti erano della famiglia
Crescentio de Taranto, nobilissima, e vennero in Sicilia con la Regina Antonia (Del Balzo),
nipote della Regina Giovanna di Napoli, maritata al Re Federico terzo
(Federico IV d’Aragona, il Semplice), l’uno con incarico di Maggiordomo, e l’altro di
Cammariero, e per la loro patria furono chiamati di Taranto; hebbe da quel Re, molti
Effetti allodiali, e molti se ne comprarono con le loro ricchezze che seco portati
Aveano, giache poscia Guglielmo figlio di Gregorio cognominato di Taranto,
commorando in Catania acquistò da Re Marino li tratti del feudo del Mojo nel 1396, il
cui figlio Giovanni comprò il feudo di Roccavandina……”

Giovanni di Tarento nel 1399, quindi ad appena due anni dall’acquisto, permutò le “Terre di Rocca e Maurojanni”  (Roccavaldina e Valdina) cedendole al Tesoriere della Real Camera, Niccolò Castagna, nuovo signore delle vicina Monforte e Vicerè, che le trasmise integralmente, per tutto il 1400, alla sua famiglia con diverse successioni femminili.

Le transizioni, di per sè regolari in base al capitolo "Volentes" di Federico III d'Aragona che permetteva il commercio dei feudi, erano in quel periodo assai frequenti. I due Martini,  “Il Giovane” e “Il Vecchio”(nipote e zio) non ancora sicuri del possesso del Regno di Sicilia, erano piuttosto larghi nelle deleghe di pertinenza della Corona pur di ingrossare il loro partito nell'isola.
Risalgono a questo periodo (1400) alcune investiture nelle quali si derogava dalla successione "More Francorum" (maschi primogeniti) e si dava al feudatario la potestà di designare il suo successore con la formula "heredes" non seguito dal "legitinos et naturales" che stava ad indicare più propriamente la condizione del discendente per sangue e matrimonio dell'erede.
Molte furono poi le liti con la corona derivate da questo tipo di investitura. La corona spagnola, all’inizio del cinquecento, tentò di porvi rimedio con i famosi “Capibrevi” di Luca Barbieri.

Stemma della famiglia Castagna

La famiglia sarebbe originaria della Liguria e scese in Sicilia prima del XV secolo.
Il primo esponente fu Niccolò, Tesoriere Generale del regno, che in data 16 gennaio 1397
ebbe concessa la terra di Saponara. Nel 1399 ebbe confermati i casali di
Bavuso, Calvaruso, Mauro-giovanni e S’Andrea ed il 10 gennaio 1401 il feudo di Graniti
e Mangiavacche, ecc.
Un Giovanni possedette il feudo di Cutò, nel quale gli succedette la figlia Granata, moglie di
Arnaldo Spatafora.

Il Castagna era un uomo potente ed inattaccabile, il quale, come riportò l'Anzalone, salì sotto i Martini tutti i gradi dell'amministrazione; da Maestro Razionale a Stratega di Messina ed infine nel 1421 a Vicere'.
“Rocca e Maurojanni”, come si chiamavano allora i due casali di Roccavaldina e Valdina, facevano parte di un vero e proprio stato riunito dal Castagna nei Peloritani.
Nel ruolo militare di re Martino, D. Nicolaus Castanea è iscritto "pro Castro Montisfortis, Castro Saponariae, Casali Roccae, Casali Bavosae, Casali Calvarusae, Casale Rappani, Casali Maurojannis, et Casali Sancti Petri".
Questo documento dimostra che lo stato del Castagna si estendeva da San Pietro Spatafora, alle spalle di Milazzo, fino a Bauso, con una linea che saliva nell'interno lungo Valdina, Rocca, Monforte S. Giorgio.



Dal ruolo si può desumere che il Castello di Rocca non esisteva ancora, infatti gli unici siti fortificati erano quelli di Monforte e di Saponara, il cui castello va probabilmente identificato con quello di Bauso.
Niccolò Castagna fu citato nei seguenti feudi “nel servigio militare del Re Martino 1408…Nicolaus Castagna pro Castro Montis Fortis, castro Saponarie, Casali Rocca, Casali Bavosa, Casali Calvaruse, Casali Rappano, Casali Maurojannis, Casali Sancti Petri…. Essere stato egli Magister Rationalis Regni, ac etiam Messane Strategotus e vicerè di Sicilia nel 1412”.


Lo stato formato da Nicolò Castagna si trasmise integro nel quattrocento attraverso diverse successioni femminili.
Nel 1424 Niccolò Castagna donò Rocca e Maurojanni alla pronipote Pina Di Nicolò. Pina si sposò e dal matrimonio nacque Perna che, giovanissima, sposò Federico Ventimiglia. Dal matrimonio nacque Margherita che ereditò la Rocca e Maurojanni. Sposò Gilberto La Grua Talamanca, signore di molti feudi, fra cui Bauso, Saponariae ed altri. Dal matrimonio nacquero Gaspare e Gilberto Pollicino. Gaspare ereditò, con regolare investitura nel 1489, le due Terre di Rocca e Maurojanni.
“Negli antichi testi non appare il nome della pronipote. Si sa soltanto che sposò Matteo di Bonifacio (Testamento celebrato negli atti di Notar Filippo Gruino di Messina a 6 Febbrajo 3. Ind. 1424).
Dal loro matrimonio nacque Margherita che sposò Federico Ventimiglia”, “… col quale ella non fece figli, e perciò alla di lui morte, passò a secondo matrimonio con Giliberto la Grua, la di cui figlia Eusalia (Eulalia) investissi di Bavuso nell’anno 1453, ed accompagnossi (si sposò) con Federico Pollicino e Castagna, da cui si riconobbe (nacque) Gaspare, che prese sua investitura, per essa Baronia nel 1489, come donatario di Eulalia sua madre testè cennata, in virtù di due atti di donazione l’uno a titolo di propter nuptiu nel 1465, autorizzato da Re Ferdinando II, con suo real privilegio in detto anno, e l’altro a titolo grazioso negli atti di Notar Giordano de Scolario di Messina a dì 11 Maggio7. Ind. 1489., colla quale scrittura esclude egli dall’acquisto, e possedimento di essa Terra Bernardo Marullo suo fratello cognato, che per ragione di dote constituitali dal barone Federico suo padre pretendea in tutti i modi averne la Signoria”.
Il cognome Pollicino sarebbe quindi legato al secondo matrimonio della figlia di Margherita, Eusalia con Federico Pollicino.
Gaspare frazionò lo stato e nel 1505 vendette il castello di Bauso e le terre di Rocca e Maurojanni al fratello Gilberto, fratello germano, con il consenso del Vicerè..”come costa dall’investitura che se ne prese esso Giliberto a dì 29 Luglio 9. Ind. 1505….”

Stemma della Famiglia Pollicino
Si vuole originaria di Genova,  godette nobiltà in Messina dal secolo XIII al secolo XVI;
possedette le terre di Bavuso, Calvaruso, Saponara, Camastra, Tortorici ecc.
Un Ruggero, signore di Tortorici, fu strategoto di Messina nel 1400;
un Giovan Martino, un Pietro, barone di Camastrà
ed un Fabrizio sono annotati nella mastra nobile del Mollica.



Nel 1509 Giliberto Pollicino vendeva “Rocca e Maurojanni” ad Andrea Valdina, facendo così aprire per le due terre e per il castello un nuovo periodo storico.
Furono i Pollicino o Andrea Valdina a costruire il primo nucleo del castello forse su preesistenti ruderi normanni ?

2. I Valdina – Giovanni Valdina Vignolo e il suo testamento – Gli Attuali Proprietari: Nastasi – De Spuches

Stemma dei Valdina

“Questa nobilissima famiglia, originaria di Spagna, si vuole derivata dai principi goti
e dello stesso stipite della famiglia de Whart, che cambiò nel secolo XI l’antico suo nome
in quello di Valdina da una terra posseduta nel regno di Aragona”.
In effetti il termine Valdina presenta chiare assonanze con un cognome di famiglie “Vadlin”
 trovato in gran densità nella Västergötland e nella Östergötland,
terre della Norvegia e della Svezia, terre da cui si presuppone siano provenuti i Goti.
Si trasferirono con i propri sovrani nel napoletano ma, a causa di una vita turbolenta,
 furono costretti ad abbandonare Napoli.
“ Godette della nobiltà in Messina ed in Palermo. Possedette il principato di Valdina,
i marchesati della Rocca e di Valdina, le baronie della Rocca, Raccuia, Maurojanni
o Maurogiovanni, ecc. nonché l’ufficio di Maestro Notaro del tribunale della Gran Corte del Regno.
Un Andrea, che fu il primo a portarla in Sicilia, verso il 1470 fu reggente l’ufficio di
maestro notaro della regia gran Corte, pare che abbia avuto il governo della
camera reginale nell’anno 1499, la carica di capitan d’armi e vicario generale del Val di Noto e,
con privilegio dato a 23 gennaio 1501 esecutoriato a 24 luglio 1507, ottenne la concessione
del titolo di regio cavaliere e fu barone di Raccuia, della Rocca e di Maurojanni.
per brevità, notiamo soltanto un Andrea, barone della Rocca, che ottenne la concessione
del titolo di Nobile col Don con privilegio dato a 19 aprile 1558 esecutoriato a 22 maggio 1559…”.

Andrea Valdina fu apprezzato presso la Corte Aragonese di re Giovanni e fu ricompensato con la nomina a Maestro Notaro della Regia Gran Corte di Sicilia per due generazioni, e pertanto s'era trasferito nell'isola (probabilmente intorno al 1470).
Importanti le sue riforme amministrative e militari spagnole, volte a fronteggiare la minaccia turca nel Mediterraneo.
Governatore della camera regionale nel 1499, scelto dal Vicere' quale capitano d'arme e vicario generale della Val di Noto contro i Turchi nel 1505.
Anche le lodi consuete nella patente di nomina ci mostrano un uomo efficiente che veniva scelto:
"per reparar y empedir con diligencils nemiga fuerza y potencia de los Barbaros nemogos de Dios yde su Santafe'" del quale si riassumono i talenti militari:
" y teniendo consideracion de vuestra antigua nobleza en los experinentados valores y prudencia en la militar disciplina, y en todos o tros mixteriosos adumbramientos asi' de guerra come es estade y demuestran los guerras de napoles contra los Franceses, adonde per vuestro valor y favor fue' cobrada a la devocion de nuestro Rey, contra la fuerca nemiga la ciudad de catanzario ..."
e sembra quasi di vedere in questo don Andres uno di quei hidalgos della Aragona e Extremadura, nobili, ma poveri, che inquadrando appiedati le fanterie spagnole furono alla base della reputazione militare iberica.
Alla fortuna della armi dovette corrispondere una discreta ascesa patrimoniale, tanto che ancora prima di acquistare Rocca e Maurojanni dal Pollicino, il Valdina aveva comprato nel 1507 da Pietro Orioles la Baronia di Raccuja.
Morì nel 1515, ponendo le basi di una nuova famiglia baronale nell'isola, lanciata alla conquista dei privilegi della corona.
Nel corso del cinquecento le successioni fra i Valdina furono rapide a causa delle morti precoci, qualcosa dovette pur essere alienata, come la baronia di Raccuja, venduta ai Bofiglio o Bonfiglio.

In Compenso Andrea II acquistava nel 1549 per se' e per i suoi discendenti l'ufficio di maestro notaro ed archiviatario della Regia Gran Corte che il nonno Andrea aveva ottenuto da re Giovanni soltanto per due anni (il diritto si era infatti estinto con la morte di suo figlio Franceschiello).
Anche se la carica acquistata tratteneva sovente Andrea II lontano da Rocca è probabile che proprio in questo periodo il castello assunse sul fronte l'attuale aspetto del'500, con l'apertura del balcone sopra il portale e delle quattro finestre.
Rocca era ormai una baronia parlamentare e il Valdina  occupava il XX posto nel parlamento del Regno, per cui i suoi diritti feudali dovevano contemplare i doveri edilizi di un fondatore di una nuova terra.
Ai suoi tempi fu pure ripristinata la matrice dedicata a San Nicolò, Vescovo di Mira, ch'era rimasta danneggiata da terremoti nei primi anni del cinquecento e fu anche eretta la gran torre campanaria.
La torre reca, infatti, la data del 1572 nel portale d'accesso al tempio.
Ad Andrea il Vecchio successe nei titoli di Rocca e Maurojanni e nella carica di Mastro Notaro, il nipote Andrea III detto il Giovane ed a questi nel 1589 il figlio Maurizio che però morirà appena ventiduenne nella capitale.

A questi succedeva il fratello Pietro, uomo di eccezionali talenti militari ed amministrativi, con la quale la potenza della sua famiglia toccò l'apice.
In ricordo della morte prematura del figlio Maurizio, la madre, Laura Ventimiglia, diede incarico allo scultore fiorentino Camillo Camilliani un monumento funebre per il figlio Maurizio, consegnato nel 1603, che è ancora oggi presente nella Matrice di Rocca.

Sepolcro di Maurizio Valdina (Chiesa Madre di Roccavaldina)

E' probabile che lo stesso Camilliani sia stato l'artefice del palazzo baronale che forma il corpo posteriore del castello.
Questa fabbrica, tardo cinquecento, accostata al preesistente castello, pone in evidenza i due settori del maniero; uno militare, l'altro baronale.
La generazione di Pietro Valdina portò la famiglia all'apice della potenza attraverso il mestiere delle armi, che si andava facendo sempre più raro nell'isola.
Il Barone Pietro fu maestro di campo del I reggimento delle fanterie siciliane nella guerra franco-spagnola per la successione nel ducato di Mantova (1627-31), ottenendo un notevole successo nella difesa del ponte di Carignano da un assalto francese.
Nel 1623 Pietro Valdina fu nominato Marchese della Rocca ottenendo anche la facoltà di aggiungere il suo nome a quello del feudo che comincerà quindi a chiamarsi “Roccavaldina”. Dal 1637 al 1640 ottenne la carica di Pretore di Palermo.
Nel 1642 trasformò il feudo di Maurojanni in principato cambiando il nome in Valdina.
Una vita dedita al servizio della corona ed impegnato a reprimere tutte le sommosse che il regno di Sicilia subì nella prima metà del’ 600. Infatti nel 1647 fu inviato a reprimere i tumulti nella zona dell’Etna dovuti alla tremenda carestia di quell'anno, con la carica di Vicario Generale.
A Taormina adoperò le maniere forti per reprimere appunto la rivolta nata dalla mancanza di cereali.
Come si legge nel Caruso:
"stentò non poco a quietare il popolo di Bronte di già tumultuante, e a condurre all'obbedienza l'altro di Randazzo, che continuava il moto insurrezionale nonostante il castigo e la morte di più sedizioni" e di questa sua devozione al governo si ricordò, pochi mesi dopo, l'Alesi nella rivolta di Palermo.
Secondo lo scritto del Collurasi:
" ..... l'Alesi arrivato alla casa del principe di Valdina fermò il cavallo, e comandò, che se le attaccasse fuoco, e questo per motivo di essere stato il succennato Principe di Valdina molto affettuoso nel servigio del Re".

Il fratello Carlo, Balì di Malta, prestò in due riprese a Filippo IV, indebitato per le guerre di egemonia con la Francia e la rivolta dei Paesi Bassi, ben 15.000 onze garantite dalle città di S. Lucia del Mela e di Rometta. Insoddisfatto alla scadenza mosse on il fratello Pietro mosse contro la città di Rometta ed i romettesi si opposero all’occupazione accollandosi l’insolvenza della corona.

Carlo riportò anche delle vittorie navali sui Turchi, e l'altro fratello Federico si mise in evidenza come capitano della fanteria spagnola.
A questi successi militari corrisposero onorificenze ed una certa ascesa economica.
Il Barone Pietro partecipò infatti alle promozioni di grado nobiliare (non gratuito) che la nobiltà siciliana ottenne sotto Filippo IV.
Anche il fratello Carlo, balì di Santo Stefano, mostrò una notevole efficienza amministrativa a favore delle proprie finanze e a quelle del re.
Nel 1641 Carlo prestava alla corona altre 32.500 onze che gli venivano rimborsate con la vendita di un diritto di grano 35;5 per l'estrazione di tutti i frumenti della Sicilia.
Ed anche per le scelte matrimoniali dei propri figli, il principe Pietro, la moglie era Anna Bosco Velasquez dalla quale ebbe diversi figli, era stato guardingo facendo sposare il proprio primogenito Andrea con Paola Vignolo, “erede di un ricco mercante Genovese, insediatosi a Palermo il quale trasmise di Genova, Venezia e Roma”, e un credito di 70.000 scudi "contro il Serenissimo Duca di Mantova, e sopra le cittadelle di Casale e Stato di Monferrato, specialmente obbligati a detto debito di scudi settantamila circa".
Nel 1660 i beni Valdina, tra cui il Complesso Valdina che comprendeva il Palazzo di Montecitorio a Roma,  pervennero al figlio di Andrea IV, Giovanni Valdina Vignolo.


Il Complesso Valdina fu acquistato nel 1960 dalla Camera dei Deputati.
L’edificio sorse in epoca altomedievale come piccolo convento di suore raccolte
attorno all’Oratorio di S. Gregorio Nazianzeno. Nei secoli ha subito profonde modifiche ed oggi
è costituito dall’ex convento delle monache benedettine
di S. Maria in Campo Marzio, dell’annessa chiesa dedicata a Sn Gregorio Nazianzeno, da
un campanile romanico, da un frammento di saletta capitolare duecentesca, da
un chiostro cinquecentesco con al centro una fontana e dagli ampliamenti successivi
eseguiti attorno alle piccole celle del convento.

Era questo il complesso citato nel testamento ?

Complesso Valdina - Roma


A Roma c’è il Palazzo Capilupi, un edificio storico con
ingresso in Via dei Prefetti (Campo Marzio) e delimitato da Vicolo Rosini ad Est
e dal Vicolo Valdina a Sud.
Il palazzo presenta una sua particolarità perché è indicato anche con il termine
di Palazzo “Valdina Cremona”.


Famiglia Capilupi di Mantova e le cui origini risalivano al XII secolo.
.. diversi personaggi di questa famiglia rivestirono la carica di console
e di consigliere della repubblica, fino oltre la metà del XII secolo… In questa
epoca si stabilirono a Mantova, durante la dominazione dei Gonzaga e  cioì
dal 1328 al 1707, parecchi furono ambasciatori e segretari di Stato presso
corti straniere, due furono governatori di Casale.. due presidenti del Magistrato
di Mantova, uno fu ministro ed uno podestà di Viadana….”


Palazzo Capilupi detto “Valdina Cremona”

La Famiglia Cremona proveniva dalla città di Cremona..”da cui il nome, la Casata
si fermò a Pavia da dove si trasferì a Modena…. Aveva possessi in territorio
di Modena fin dal principio del secolo XIII…”

Nel Nobiliario Siciliano la famiglia Cremona è solo accennata in poche righe..
“godette di molta nobiltà nella Città di Messina.
Nella mastra nobile del Mollica troviamo notato un fra Giulio (anno 1597)
Arma/Stemma ?”


Nel Libro “Legati e Governatori dello Stato Pontificio”
Prosografia  - Cottlerius”
Si trova citato un Cremona Valdina Marcello
“Mons. Marcello era stato nominato ad una prelatura di famiglia,
fondata dal principe Giovanni Valdina siciliano, come risulta da una istanza
di Ludovico Cremona Valdina – (verosimilmente nipote di Marcello)
(Ludovico Antonio Cremona Valdina che fu vescovo di Hermopoli, (29 giugno 1729).”


Come mai il palazzo Capilupi  è anche chiamato “Valdina Cremona “ ?
I Valdina erano imparentati con i Cremona ?
In seguito a quale matrimonio ?
Tanti interrogativi a cui non sono riuscito a dare una risposta per mancanza di fonti
che  non sono riuscito a trovare.


Giovanni Valdina Vignolo morì senza figli nel 1692, lasciando un singolare testamento pubblicato a stampa a cura degli esecutori testamentari, due anni dopo. Nel testamento, parlando del castello di Roccavaldina ricorda: “…per miglioramenti di fabbrica fatti da me e dalla buona memoria di mio padre e per i quadri ivi esistenti ..”
Il testamento…
" ...... Dichiaro, istituisco e nomino per mia erede universale, l'Anima mia, per doversi in sufragio, et beneficio di essa impiegare et erogare tutti i suddetti miei beni in diverse opere pie come appresso si esprimerà".
Le preoccupazioni per l'anima dei principe Giovanni hanno in verità larga parte nel testamento, dove dispone a più riprese 6.000 messe;
"subito dopo la mia morte e senza interposizione di dimora alcuna".
Disponeva inoltre:
"due messe quotidiane perpetue nella Matrice di Rocca, altre nella Cattedrale di Messina e nella chiesa dell'Arciconfraternita della Madonna del Suffragio in Roma, sempre in perpetuo, e con particolare solennità nella ricorrenza del suo anniversario".
Seguono poi due fondazioni descritte meticolosamente negli organi e nello statuto.
Una fondazione è rappresentata dall'ospedale di Rocca, l'altra in una prelatura a Roma dotata di arredi, palazzo residenziale e 2.000 scudi romani di rendita.
In queste disposizioni il principe Giovanni si dimostra accorto conoscitore di uomini e cose.
L'ospedale "sia provveduto di tutto il necessario tanto di Barberio, ..... ed in quanto ai medicamenti siano obbligati i Rettori di detto futuro ospedale a pigliarli nella Speziaria della Rocca, la quale appartiene alla chiesa di detta terra, purchè però si contentino i Rettori di detta Matrice chiesa di fare i detti medicamento per servigio di detto ospedale per la metà del prezzo che si sogliano vendere per contanti" ed ancora " .... di più voglio, che sia disposta la fabbrica di detto ospedale con la totale divisione per le Donne dagli Uomini e che sia edificato  in luogo comodo un altare da potervi celebrare la Messa a vista de gl'Infermi; disponendo ciò di maniera che possano vedere la Santa Messa, tanto gli huomini che le Donne; ma con la avvertenza di chiudersi immediatamente la porta, che haverà comunicazione fra la stanza, dove a vista di detto altare staranno gli huomini, da quella delle Donne".
Non si sa con quale ironia il testatore dispose che il suo credito (chiaramente inesigibile) di 70.000 scudi verso il Duca di Mantova passasse al suo Signore e Sovrano, il Serenissimo Re di Spagna.
Non doveva essere felice questo Valdina.
Il testamento ci dimostra come sia assillato dalla sorte della sua erede universale (l'anima), dal desiderio delle cerimonie di lutto.
Il suo busto marmoreo sopra il sepolcro nella cappella di San Nicola, nella Matrice di Rocca, ci appare in abito del seicento, grasso dall'aspetto stanco.




I beni facenti parte del fidecommesso, (testamento con cui parte dei beni venivano trasferiti ad altre persone) di famiglia, Roccavaldina, Valdina e la carica di Maestro Notaro passarono dopo annose liti con gli esecutori testamentari al cugino più prossimo in grado, Francesco, che ne fu investito nel 1703.
Giovanni nel suo testamento ricordò "i miglioramenti di fabbriche fatti da me a dalla buona memoria di mio padre ed  i quadri ivi esistenti”. Miglioramenti edilizi legati alla realizzazione della grande terrazza a nord-ovest che è indubbiamente un'appendice posteriore sul retro dell'originario palazzo cinquecentesco.

Francesco fu costretto a vendere nel 1706 per 100 onze il titolo di Principe di Valdina al Duca di Giampilieri Giuseppe Papè e Montaperto, di Ugo. (Protonotaro del Regno e conferma del titolo d’investitura come principe di Valdina il 21 luglio 1706).


Stemma Famiglia Papè

La famiglia Papè  è probabilmente di origine fiamminga e portata in
Sicilia da  un Adriano Papè nobile di Anversa.
Ha posseduto in Sicilia le baronie di Calatubo, Santaninfa e Vallelunga,
il marchesato di Scaletta, i ducati di Giampilieri,  di Pratoameno e di Rebuttone
ed il principato di Valdina.
Gian Tommaso, “regio milite dell’imperatore Carlo V dal quale ottenne la
Conferma del suo stemma gentilizio con l’aggiunta dell’aquila imperiale”.
Gli esponenti della famiglia furono Protonotari del Regno, deputati
e senatori, importanti incarichi militari, ecc

La decadenza continuò inarrestabile e nelle varie vendite di titoli fatti dai successori di Francesco, si nota come la famiglia si era impoverita.
Il figlio di Francesco, Giovanni Valdina Vhart (i Varth erano mitici antenati spagnoli-goti dei Valdina secondo la geneologia del Mugnos) fu costretto a trasferire il titolo di Marchese della Rocca al giurista Camillo di Gregorio nel 1764, e rimasto semplice barone, commerciò anche le baronie di Rocca e Maurojanni con bizzarre investiture a vita, vendite a persone da nominare, costituzioni di doti per le figlie.
I feudi di Valdina venivano quindi assorbiti dalla nuova borghesia ed infatti alla fine del secolo XVIII i Valdina avevano perduto il palazzo di Palermo e vivevano ritirati nel castello di Rocca. Il castello venne parzialmente rinnovato alla fine del secolo con delle volte affrescate di sapore  paesano. Nessuna opera edilizia sulla struttura per evidenziare l’antica  qualifica feudale della famiglia.
Al contrario piuttosto ricca doveva essere la borghesia di Rocca, se giungevano all'Università continue ingiunzioni dal senato di Messina di astenersi  dall'estrazione fraudolenta delle sete (1740-41, 1786).
Quanto al castello passò dei periodi di crisi economica nelle mani dei discendenti per via femminile di Giovanni Valdina Vhart ai quali apparteneva fino a pochi anni fa.

Nei primi dell'ottocento il castello è ricordato come carcere e si raccomanda che "i carcerati non perissero di fame, come pare avveniva".
 Castello che rimase nelle mani dei discendenti per via femminile di Giovanni Valdina ai quali appartiene ancora oggi con la Famiglia Nastasi.
 La figlia di Giovanni Whart, Vittoria, sposò Giuseppe Martino. A Vittoria successe il figlio Tommaso Martino Valdina ed a questi i suoi due figli, Salvatore e Casimira.
Casimira sposò Luigi Atanasio e la loro figlia Giovanna può considerarsi ultima erede della famiglia.

Giovanna Atanasio Martino Valdina sposò Francesco Paolo De Spucches e, mancando eredi diretti, il titolo e la proprietà vennero ereditati dalla sorella di Francesco Paolo, Gaetana De Spucches, non senza una naturale controversia con Donna Giovanna, moglie di Francesco Paolo De Spucches.
Donna Gaetana De Spucches sposò nel 1868 l’avvocato Giovambattista Nastasi che assunse il titolo di Barone di Roccavaldina. Dal matrimonio nacque Don Vincenzo Nastasi De Spucches, padre di Vittorio.
Quest’ultimo sposò Lucia De Brango ed i suoi due figli, Vincenzo e Francesca Nastasi, sono gli attuali proprietari del Castello.


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STRUTTURA
Il castello presenta due aspetti distinti: una più antica, primi anni del 1500 (forse su una preesistente e piccola struttura normanna) contraddistinta da due torri fortificate e con merlature guelfe e l’altra, risalente al tardo cinquecento e caratterizzata dal palazzo baronale.
Palazzo baronale che fu progettato dall’architetto fiorentino Camillo Camilliani, esperto anche in fortificazioni militari, allievo di Michelangelo, ed uno dei maggiori esponenti dell’architettura siciliana durante la dominazione spagnola.
Sembra che anche un altro architetto sia intervenuto nella struttura, Iacopo Del Duca, anche lui allievo di Michelangelo.
La sua posizione altimetrica, su una collina, ne fa un importante punto di osservazione sulla piana di Milazzo cioè su quello che una volta era il vasto feudo dei Valdina.
Nel suo complesso la struttura è il risultato di una attenta fusione di stili diversi che convergono nell’espressione dello stile fiorentino nell’isola.
Schematicamente la struttura si potrebbe ricondurre a tre parti principali:

Il fortilizio - Una struttura che probabilmente in origine presentava agli angoli le quattro torri che erano collegate tra loro da forti e robuste merlature. Il piano terra non presentava aperture mentre al piano superiore si trovavano delle finestre piccole e strette. Coronava la struttura la merlatura guelfa. Della struttura originaria rimangono le due torri e il bel portale, a sesto acuto, di stile gotico che si trova al centro della facciata con due robusti battenti in legno guarniti di puntate borchie in ferro. Una fortificazione che era dotata di ponte levatoio e che con le sue torri difendeva le terre e persone dalle frequenti incursioni piratesche.

Il fianco sinistro presenta delle cellette carcerarie mentre quello destro la sala d’armi e gli alloggiamenti militari. Forse le due torri angolari furono addossate alla preesistente struttura in epoca successiva.


Attribuire una data certa alla parte antica non è facile a causa della mancanza di fonti storiche ( forse da attribuire al Pollicino nel 1500 ?).
Intorno al Cinquecento il barone Andrea Valdina accentuò l’aspetto militare della fortezza con la creazione di cunicoli, sotterranei, strette finestre.

All’illustre Pietro Valdina, tra la fine del 1550 e gli inizi del 1600, si deve la costruzione più recente della struttura con il Palazzo Baronale, progettato dall’architetto fiorentino Camillo Camilliani che aveva la sua “bottega” a Palermo e che nello stesso periodo aveva realizzato il monumento funebre di Maurizio Valdina nella Chiesa Madre, che diventerà il simbolo della potenza economica e politica della famiglia Valdina

Il Loggiato, una volta varcato l’austero ingresso principale della struttura militare ci si trova nell’ampio ed elegante cortile in cui si affaccia il prezioso ed elegante loggiato rinascimentale.  Un loggiato a sei arcate progettato dal Camilliani con un monumentale scalone d’accesso in marmo di Billiemi. Il loggiato in definitiva è il collegamento architettonico tra la struttura più antica e quella più moderna. In altre termini il collegamento tra il mondo antico militare e quello baronale cioè della residenza del barone.
La loggia è tipica della villa toscana e in tutti l’edificio si nota un influsso michelangiolesco che è mascherato da aspetti tipicamente siciliani.

















Il Palazzo Baronale nel suo aspetto presenta uno stile da collegare tra il rinascimento ed il barocco.
Si notano elementi decorativi, tipici dell’arte barocca, inseriti in una struttura più antica come le conchiglie e le pigne nei timpani o le mensole del balcone angolare che seguono a raggiera l’edificio.








Durante il 1600 il castello venne abbellito con notevoli opere d’arte tra i quali un quadro, raffigurante un Cristo Crocifisso (?), del Caravaggio e un quadro anche del Rembrandt. Entrambi i quadri sembra che siano stati successivamente portati a Palermo nel Palazzo Valdina di Palermo dove andarono perduti.

Nell’interno un magnifico salone con volte a croce e colonne sempre di marmo di Billiemi e con due sale annesse. Si conclude con il vasto e panoramico terrazzo sul golfo di Milazzo e le Isole Eolie da un lato e i Peloritani dall’altro.
Al piano terra due grandi gallerie che fungevano da magazzini e stalle per i cavalli.
Aspetti siciliani riscontrabili nel balcone angolare che sono il simbolo della dignità e della destinazione nobiliare dell’edificio, simbolo di dominio sul paese sottostante.

Singolari ed in un certo senso misteriosi sono i due diversi tipi di merlature; guelfo sul fronte e ghibellino sul lato di nord-est.
Questa particolare distinzione tra le merlature non è tanto legata ad una particolare strategia di parte, ma ad una anarchia artistica e stilistica dell'architettura siciliana.
Colpito dal terremoto di Messina del 1908  subì gravi danni sull'ala nord-est del castello che venne restaurata per residenza dei proprietari rispettando la planimetria antica, ma alterando per sempre i paramenti murari originari.
Nel 1960 altro intervento di restauro da parte del Dott. Vittorio Nastasi de Spuches che restaurò il magnifico cortile, l’ala sud e le parti pericolanti. Altro intervento nel primo decennio degli anni 2000 per merito della Sig.ra Francesca Nastasi de Spuches e del fratello Dott. Vincenzo.

Il castello è di proprietà privata, della famiglia Nastasi De Spuches  ed è adibito a riunioni, convegni, matrimoni ed eventi privati.












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