ROCCAVALDINA (MESSINA) – LA FARMACIA MEDIEVALE…Un’Altra Perla di Sicilia





Indice
1.      La Spezieria/Farmacia – I vasi  prodotti dalla Famiglia Patanazzi di Urbino –  L’attività della Spezieria
2.      1690 – La richiesta del Vicerè Juan Francisco Pacheco d’Uzeda al principe Giovanni Valdina di alcuni vasi della Spezieria;
3.      I Vasi trafugati – Le delibere del Consiglio Comunale sulla Farmacia – Alcuni vasi si trovano in altri Musei
4.      Il Museo
5.      Palermo – Mostra  “L’Aromataria” -  Mostra “I Corredi dello Speziale: XVII – XVIII secolo” a Palazzo Branciforte;
6.      La Ceramica di Messina nel XVI secolo;
7.      La Farmacopea Monastica
8.      Palermo - Chiesa di Sant’Andrea degli Amalfitani o “Aromatari”






Roccavaldina, sui Monti Peloritani a metà strada tra Messina e Milazzo, fu un atico feudo dei principi Valdina Papè, maestri notari della Regia Gran Corte di Sicilia. A Palermo, nel palazzo sul Cassaro dove abitavano, ridotto in macerie nell’ultimo conflitto, possedevano un enorme patrimonio artistico e una fornita galleria in cui erano degnamente collocate una tela del Caravaggio e un Rembrandt. Non risulta tuttavia direttamente legata alla loro fortuna la farmacia di Roccavaldina, o meglio di Rocca, come si chiamava allora il piccolo paese del loro marchesato, che vanta un autonoma risonanza ed è citata tra i luoghi notabili di Sicilia nel “Lexicon” di Vito Amico, edito nel 1757..”Commendasi una farmacia con grande eleganza adorna di vasi dipinti, siccome dicono, da Raffaello da Urbino o da altro eccellente artista”.

1. La Spezieria
1628.. un convoglio di carri e muli, carichi di casse e barili imbottiti di paglia e contenenti un bellissimo corredo di vasi, fece il suo ingresso nella piazza antistante il castello della Rocca.







Carro Siciliano

Quadro del pittore Walter Piconese

Quell’arrivo non passò inosservato alla gente del luogo ed è facile immaginare la meraviglia dei Confrati del SS Sacramento, della Chiesa Madre dedicata a San Nicolò di Bari, quando cominciarono ad aprire le casse ed i barili per estrarre i vasi fuori dalla paglia.

Chiesa Madre di Roccavaldina 

Don Gregorio Bottaro, notabile di Rocca (antico nome di Roccavaldina), aveva acquistato a Messina (in un asta pubblica ?) quei vasi che erano stati prodotti ad Urbino nella bottega dei famosi “artigiani” Patanazzi nel 1580 quasi mezzo secolo prima.
Questi vasi sono giunti sino a noi e fanno bella mostra nella farmacia medievale di Roccavaldina.. Certo dopo quasi 4 secoli molti di questi vasi si sono rotti… altri sono andati perduti o rubati ed altri ancora hanno finito con il subire delle strane vicende storiche… ma ne sono rimastri 238, in origine dovevano superare le 300 unità, che  contitribuiscono  a formare un corredo di farmacia che, inserito nel suo ambiente naturale, propone una vera e propria farmacia medievale.
La bellezza del corredo farmaceutico di Roccavaldina trova un importante confronto solo con il corredo farmaceutico del tesoro della Santa Casa di Loreto. Corredo di Loreto composto da vasi (348 pezzi) prodotti ad Urbino (nel 1570 circa) nell’ “officina” di Orazio Fontana, su commissione del Duca Guidobaldo II, per il Palazzo Ducale. Il corredo fu poi donato nel 1608 al Santuario  quale ex voto.
I due corredi, di Roccavaldina e di Loreto, s’integrano a vicenda e rappresentano un importante riferimento per la storia della ceramica italiana dell’epoca, fornendo agli studiosi importanti elementi di studio sulle “officinae” ceramistiche d’Urbino nel Cinquecento.  I Patanazzi furono infatti i continuatori della tradizione stilistica elaborata e proposta dai Fontana.

I 238 pezzi del corredo di Roccavaldina sono costituiti da: 164 albarelli di varia altezza, da cm 39,5 a cm 13; 39 fiasche o bottiglie globulari a collo lungo alte cm 30; 29 brocche da cm 25; 4 anfore ovoidali apode; 2 anfore da mostra, una con coperchio, l’altra con piede triangolare e con applicazione di anse pastiche a gottesca. (Ricognizione eseguita da G. Liverani nel 1981 in occasione del restauro dei pezzi eseguito dal Museo di Faenza).

 Sul piede di due anfore sono riportate le date 1580 – 1581 presso la bottega di Antonio Patanazzi ad Urbino….”M ANTO/NIO/PATAN/AZI/URBINI/1580”. (La stessa data è riportata entro cartelli nelle decorazioni a trofei di altri vasi del corredo).




Il Patanazzi aveva una bottega ad Urbino che era già in attività nel 1540 e le sue uniche tre opere firmate portano la data del 1580. Bisogna ricordare che l’artista morì il 24 maggio 1587 e quando firmò i vasi di Roccavaldina era già una persona anziana. 

Alcune opere di Antonio Patanazzi da Urbino

Portapenne e Calamaio
Opera di Antonio Patanazzi da Urbino – XVI secolo

Bacinella, servizio da pranzo di Alfonso II d’Este, Duca di Ferrara, 1579 circa
Museo Louvre, Parigi

Portatorce – XVI secolo – Collezione privata

Rinfrescatoio – 1570/1580 – Collezione Privata


Calamaio – “La Pietà” – 1580 –
Museo Internazionale della Ceramica – Faenza


Saliera – XVI secolo – Collezione Privata


Vaso – XVI secolo – Museo di Dresda
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La firma sui vasi non indica naturalmente che abbia dipinto tutti i vasi di Roccavaldina dato che all’epoca nella bottega erano anche presenti i suoi figli, Giovanni e Francesco. Probabilmente a mastro Antonio Patanazzi sono da attribuire solo i vasi più grandi, artistici e forse difficili anche da disegnare per la complessità delle raffigurazioni.

Su alcuni vasi è riportato il nome di “CESARE CANDIA” e su uno “CANDIA CANDIA” cioè un mercante messinese committente dei vasi prodotti ad Urbino ed operante agli inizi del Seicento.

(Alcuni studiosi ipotizzano la figura del Candia come speziale di origine ligure o veneziana. Secondo altri è un personaggio “sconosciuto” cui, per cause non ben note, la collezione dei vasi urbinati non è mai giunta).
Era operante anche nella piazza di Palermo ed oltre alla bottega di Urbino commissionò dei vasi anche a Faenza ed a Venezia tutti destinati agli speziali siciliani.
Su tutti i vasi fece apporre uno stemma araldico costituito da ““scudo troncato con banda arancione su turchino nella parte inferiore, colomba bianca e tre stelle su turchino nella parte superiore”.


In realtà lo stemma della famiglia Candia o De Candia è rappresentato da “leone d’oro in campo azzurro rivolto verso il sole e da due pini su una pianura erbosa”. 

Famiglia Candia o De Candia originario di Torre del Greco.

Il mercante fu uno dei primi importatori di maioliche in Sicilia e in base a dei vecchi documenti di contratto sembra che lo stesso mercante si riservava la facoltà di fare decorare i vasi a “suo gusto”.
Decorazioni soprattutto con scene mitologiche e facendo inserire le insegne di bottega nell’apparato decorativo dei vasi da lui commissionati. Un aspetto che collega i vasi di Roccavaldina ad altre ordinazioni operate dal Candia. Certamente una manifestazione di prestigio della sua attività che era conosciuta nel territorio.
Un aspetto che ancora oggi fa discutere è legato all’ipotesi che Cesare Candia fosse uno speziale e che i vasi furono commissionati per la sua Spezieria o Farmacia.
Lo stemma dei vasi potrebbe anche riferirsi ad un committente che aveva commissionato al Candia i vasi per la sua farmacia oppure per la credenza della propria nobile famiglia e che poi per un motivo sconosciuto non furono pagati e quindi ritirati.

Un mistero non svelato anche perché la ricercatrice Giuliana Gardelli  trovò lo “stemma Candia” anche su una brocchetta che risulta prodotta almeno un decennio prima della data riportata sull’anfora di Roccavaldina.
Il notabile di Roccavaldina Don Gregorio Bottaro non comprò i vasi dal Candia ma da un altro mercante messinese Francesco Beninato. in un asta pubblica.  ( I vasi, forse per  motivi fiscali, erano stati pignorati al mercante Beninato e quindi messi all’asta per recuperare un  cifra necessaria per pagare i debitori ?). 
Il prezzo d’acquisto fu concordato in 400 onze da pagarsi in quattro soluzioni. Don Bottaro pensò di utilizzare il corredo acquistato ai fini  dell’istituzione di un legato di dote per le ragazze povere di Rocca e solo successivamente donò i vasi alla Confraternita del SS. Sacramento della Chiesa Madre di Rocca impegnandola a distribuire gratuitamente le medicine agli ammalati poveri della cittadina.
Il Candia fu uno degli ultimi importatori di maioliche in Sicilia  e si pose come erede dei grandi mercenari e intermediari culturali del Rinascimento. Altro mercante noto fu il genovese Giovanni Brame, abitante a Palermo, talmente coinvolto nelle scene estetiche da fare segnare con il suo nome la famosa targa di collezione americana eseguita a Faenza nel 1546 con il soggetto della “Deposizione”.

Il genero Giovan Battista Castruccio, anche lui mercante e di cui resta la dettagliata descrizione dei soggetti decorativi che un maestro faentino avrebbe dovuto eseguire per il corredo vascolare della farmacia Castrogiovanni di Ciminna nel 1556, non disdegnava, come gli altri, di associare negli esemplari più rappresentativi il suo nome a quello dell’autore.
Lo stemma araldico, di cui non si conosce l’appartenenza..” “scudo troncato con banda arancione su turchino nella parte inferiore, colomba bianca e tre stelle su turchino nella parte superiore” potrebbe avere una sua spiegazione attraverso i simboli araldici:



- Il colore turchino si collega al cielo e al mare e in araldica significa devozione, fedeltà, ricchezza;
- Il colore arancio della banda sarebbe un simbolo di forza, onore e generosità;
- Le stelle indicherebbero la mente rivolta a Dio, la finezza d’animo, azioni sublimi, fama e nobiltà gloriosa;
- La colomba sarebbe quindi l’intermediaria tra l’umanità e la divinità ed è il simbolo cristiano dello Spirito Santo. In araldica rappresenta l’amore puro, l’animo buono.

Ci troviamo in un periodo dai grandi fermenti culturali e l’uomo stava spesso attento ai simbolismi e oltre alla bellezza delle decorazioni o delle manifestazioni d’arte cercava anche un significato nascosto chiuso nella stessa opera. Don Gregorio Bottaro fu certamente  colpito da questi simboli che potremo definire di cristianità e nei quali s’identificavano le virtù del donatore e anche della Confraternita che adesso era legata ad una attività missionaria dedicata ai malati poveri.

Roccavaldina – Farmacia
Alberello Grande- XVI secolo
 Ercole e Anteo – Ercole e il toro cretese
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza 37 cm – Diametro alla base 17 cm
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Roccavaldina- Farmacia
Alberello Medio – XVI secolo
“Coriolano incontra la madre”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza 29,5 cm – Diametro alla base 20 cm

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Roccavaldina – Farmacia
Brocchetta – XVI secolo
“Medaglione con busto muliebre e decorazione a trofei d’armi e strumenti musicali”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: altezza cm 25 – diametro alla base cm 11

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Nel 1587 esisteva nella Terra di Rocca, come risulta da documenti notarili conservati nell’Archivio di Stato di Messina, una “apotecas armatarie” e Don Pietro Guidara, della Terra di Rocca, s’impegnava a pagare 5 once e due tarì a “Leonardo Bottaro speciario messe[nensis] (messinese)” entro il 15 agosto 1587 ..”per prezzo di rabarbaro, zucchero, pepe, zafferano, carta e altri robbi”.
Sempre negli atti del Notaio Salvo Russo viene ancora citata la locazione di una “apotecas aromatarie …con omnia et singula stivilia scaffas bancos mortaria et alia vasa aromatarie”.
Leonardo Bottaro potrebbe essere un parente di Don Gregorio Bottaro.
Qualcuno avanzò l’ipotesi che fosse il padre di Don Gregorio. Una tesi che non viene confermata da un documento presente nell’Archivio Parrocchiale di Roccavaldina dove si riporta un soggiogatorio stipulato il 12 aprile 1576 dal notaio Antonino Passalacqua. In questo documento appare come acquirente un “Pietro Bottaros” che, dopo la sua morte, ritroviamo citato nelle carte dell’archivio Papè Valdina perché questo “capitale di bolla pervenne metà ai fratelli Gregorio e Gaspare Bottaro figli di Pietro e l’altra metà al fu Giuseppe e a Santo Bottaro (un tempo padre e figlio)”.
Non si sa se Gregorio Bottaro fosse anche uno speziale o se avesse qualche rapporto con l’ambiente medico. Doveva essere un uomo ricco se poteva permettersi di spendere una somma così forte per l’acquisto dei vasi di farmacia e disporre l’istituzione di un Legato testamentario.
Lo stesso acquisto dei vasi fu mirato e si chiuse dopo una trattativa iniziata due anni prima quando la Confraternita del Ss. Sacramento ebbe in dono degli importanti immobili. 

Nel 1626 Don Pietro Valdina donava l’immbobile utilizzata come Spezieria alla Confraternita del SS. Sacramento di Rocca e due anni dopo, con atto del 23 dicembre 1628, redatto dal notaio Antonino Micali da Rocca, il Bottaro, ampliando il suo primitivo disegno o progetto, donava alla stessa Confraternita la collezione di vasi e le attrezzature necessarie al funzionamento della Spezieria.
L’evento venne riportato nel registro della Compagna del SS. Sacramento:
Spetiaria
Tiene la compagnia del SS.mo una potega seu spetiaria / quale fu concessa e data a detta compagnia dall’Ill.mo signor / Don Petro Valdina, marchese all’hura di questa terra, appare per /li Atti di … notar Georgi Passalacqua sotto il di 16 di de-/cembre X^ indizione 1626 In folio 183. quale fu poi fatta /solerata et un'altra casa collaterale solerata quali era di Grioli buttaro
(Con altro carattere a margine è annotato)
Donazione fatta della Speziaria e suoi vasi per / Gregorio Buttaro alla Compagnia del SS.mo
per atti del qm m Antonio Micale sotto li / 23 decembre XII^ Indizione 1628.10
E ancora:
D.na Laura Valdina donò una casa nel quarterio di S. Marco in Rocca ed un tenimento di case in Palermo per atti di Notar Giuseppe maccagnone li 22 maggio XV Ind.ne 1602.
Don Pietro Valdina donò e concesse alla compagnia la speziaria o sia Botega per atti di Not. Giorgio Passalacqua li 16 Dicembre 1626 ed indi Gregorio Bottaro dichiarò la spezieria e
vasi a favore della compagnia per atti di Notar Antonino Micali li 23 Decembre XII.a 1628”.

Si rileva un importante aspetto… fu Don Pietro Valdina, Signore della Terra di Rocca, a donare
una potega seu spezieria” alla Confraternita del Santissimo Sacramento.
La spezieria era  in un fabbricato ad un solo piano alla quale fu aggiunto un altro piano..”fu poi fatta solerata”. Nello stesso luogo la Confraternita aveva anche “un'altra casa collaterale solerata” la quale era di Don Gregorio Bottaro.
Due anni dopo la donazione, a causa di una ristrutturazione, i due edifici subirono una fusione per rendere la struttura più funzionale all’uso. Era una spezieria in perfetta efficienza, sempre di proprietà della Confraternita del SS Sacramento, e contenente tutti i vasi e gli strumenti che Don Bottaro aveva donato.
Con testamento del 1692, Giovanni Valdina Vignolo, ultimo della nobile famiglia aragonese e sepolto nella Cappella San Nicola della Chiesa Madre di Roccavaldina, istituiva due fondazioni: una a Roma e l’altra a Roccavaldina. Con quest’ultima stabiliva la costruzione di un ospedale vicino alla Chiesa Madre (case Tricomi), avente “… medico, chirurgo, speziale, barberio…” e per quanto riguarda i medicamenti o medicinali “… siano obbligati i Rettori di detto futuro ospedale a pigliarli dalla Spezieria della Rocca, la quale appartiene alla Chiesa Madre di detta Terra, purchè però si contentino i Rettori di detta matrice chiesa di fare dare i detti medicamenti per servizio di detto Ospedale per i naturali di Rocca (Roccavaldina) e Maurojanni (Valdina) per la metà meno del prezzo che si sogliono vendere per contanti”.

Il testamento fu impugnato dagli eredi… il Valdina fu dichiarato “infermo di mente” e l’Ospedale non fu costruito.
Nel tempo la sua gestione fu affidata a diversi aromatari che si susseguirono nei secoli, pagando un canone annuale ai procuratori della Chiesa Madre di Rocca ai quali era affidata l’amministrazione della farmacia.
Come riferisce lo studioso mancano i registri relativi al XVII secolo ma con i registri di “Introito ed Esito” della Chiesa Madre è possibile farsi un idea di come fosse organizzata la Spezieria tra il 1715 ed il 1870. Dai registri si rileva i nomi degli aromatari che ebbero in gabella la Farmacia, il prezzo d’affitto, la durata e la modalità d’assegnazione della gabella, le spese di ordinaria amministrazione e le spese di manutenzione dell’immobile.


Dall’elenco dei vari aromatari succedutisi si nota, in alcuni casi, il passaggio  della “spezieria” da padre a figlio come ad esempio tra il 1710 e il 1718 quando si avvicendano Antonino Stracagnolo e il figlio Pietro. In altri casi lo stesso aromatario teneva l’affitto della farmacia per più anni di seguito. E’ il caso di Benedetto Raniero affittuario dal 1750 al 1757. Tra gli speziali che tennero la farmacia di Rocca si rilevano i nomi di: Biagio Foti, Antonio Ricca, Nicolò Passalacqua, Giuseppe Mastro Paulo, Ignazio Guidara, Pancrazio Stracagnolo per concludere con Vittorio Bottaro nel 1850 e Gaetano Andaloro nel 1867.
L’affitto della farmacia decorreva dal 1 gennaio al 30 dicembre di ogni anno.
Già nel novembre (un mese prima della scadenza), veniva pagato un uomo per il “bandizo della liberazione dell’Aromataria”. Il costo dell’affitto variava nel tempo tra le 5 e le 8 onze annue, ma più spesso si affittava per 6 onze annue. Poteva inoltre capitare che le spese per lavori di manutenzione fossero anticipate dall’aromatario e in questo caso gli venivano detratte dal canone totale annuo.
Dai registri della Chiesa Madre di Rocca si rileva che per il rimborso delle medicine date ai poveri, gli aromatari fornivano periodicamente agli amministratori della spezieria le ricette, consegnate loro dai poveri, sulle quali riportavano il relativo importo in denaro dei farmaci.
Tra beneficiari del legato sulle medicine ai poveri ci sono per lungo tempo i frati Cappuccini di Rocca, che usufruiranno delle medicine gratuite fino al momento della loro soppressione nel novembre 1866.
Le spese di manutenzione, riparazione e acquisto di attrezzature della Spezieria erano a carico della Confraternita e si possono rilevare dai registri della Chiesa Madre di Rocca, ove le voci di spesa variano tra piccole cose come la fattura di una vite maniglia o l’acquisto di “una scalitta per uso dell’Aromatario”, all’approvvigionamento di vasetti di vetro, “carte rosse e bianche per guarnirsi le bornie”, a spese per riparazioni più impegnative come la fusione del mortaio, la concia dello strittore o dell’alambicco.
Altre spese che ricorrono nel tempo sono quelle “Per la visita del Protomedico, stallaggio e mangia per il medesimo e suoi ministri”. Il protomedico era un funzionario pubblico che aveva l’incarico di ispezionare annualmente le spezierie e vigilare che tutto rientrasse nei parametri di igienicità previsti dalle leggi dello Stato.

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Roccavaldina – Farmacia
Alberello Medio – XVI secolo
“Dante e Virgilio”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza 30 cm – Diametro alla base 13 cm




Alberello medio decorato a raffaellesca con festoni, figure fantastiche
animali e antropomorfe, uccelli, che circoscrivono il medaglione centrale
in cui sono rappresentate due figure maschili di profilo. La figura di destra
tende il braccio verso la figura di sinistra. Le due figure presentano un vistoso
drappeggio  e l’uomo di sinistra è coronato d’alloro.
Lo sfondo è architettonico: palazzi dietro un parapetto e gradini e pilastri a sinistra.
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Molto frequenti appaiono le spese per la manutenzione dell’immobile e in particolare nel 1749 con una serie di lavori quali: concia delle portelle della Aromataria; per valuta della vitriata dell’Armatetto di essa Aromataria; per in concia dell’Aromateria.
Nel 1758 nella Farmacia si fecero grandi lavori di manutenzione e nei registri parrocchiali si susseguirono spese “per prezzo di ciappe di Draonara, e porto di sabbia, vetri diversi e concie diverse nell’Aromataria. Spese per ripararsi il muro dentro l’Aromataria e per i due portelli nuovi della porta grande dell’Aromataria; M.ro Litterio Cordaro, Legnifabbro viene pagato per avere tagliato “li legni inutili del Castagnito, concia della porta della camera della Speziaria”.
Ancora per tutto il 1760-1761 si susseguirono spese per sistemazione del pavimento per pezzette, calce, arena, cantoni, e mastria occorsa nella Casa della Aromataria e acquisto di un portello nuovo. I lavori di ammodernamento continueranno fino al luglio 1766. Nel 1770 verranno commissionati due quadri del Santissimo uno per la bottega nuova e l’altro per la Speziaria (30 settembre 1770), di essi ne resta ancora uno, mentre l’altro è andato disperso.
Si procedette quindi ad una vera e propria ristrutturazione totale degli immobili perché nei Registri della Chiesa Madre oltre a fare riferimento a spese “per concie delle case della Spezieria” fu indicato che nell’agosto 1773 vennero tolte 2 annualità di gabella allo speziale di turno “per essergli levato il laboratorio del quale si convertì nella bottega nuova”.
In merito alla collocazione urbanistica e ampiezza dei locali della farmacia si hanno dei riferimenti piuttosto precisi. Nel 1757 D. Nicolò Passalacqua, e Stefano Aromatario pagarono 6 Onze per affitto di un anno dell’Aromataria e casa congiunta. Nel 1762 è scritto che l’Aromataria è posta nel Piano della Piazza; il 23 maggio 1770 i Registri di Introito ed Esito citano “ Bottega nuovamente fatta nel piano della Piazza nel laboratorio della Spezieria”. Si tratta di un rinnovamento della struttura, in quanto il 30 giugno 1773 è riportato che l’aromatario Don Nicolò Buttaro, e Lisi devono dare 6 Onze “per un annualità di Gabbella della Nuova Aromataria liberatagli a pubblico incanto.
Quanto sopra descritto riporta all’attuale collocazione della spezieria di Roccavaldina e alle ridotte dimensioni dell’ambiente ove oggi è ubicata. In origine la Spezieria era molto più ampia e si sviluppava su vari ambienti: la bottega (per la vendita) e il laboratorio della Spezieria, più un altro edificio adiacente (dove risiedeva lo speziale?). Quindi in origine era disponibile più spazio per ospitare il monumentale equipaggiamento che era stato concepito per una più ampia aromateria di città.
Probabilmente l’ingresso principale della spezieria era originariamente affacciato direttamente sulla piazza, ma a partire dal 1770 la ristrutturazione dell’immobile spostò la “bottega nuova” dove c’era prima il laboratorio della Spezieria e qui è ospitata tuttora.
Non si sa cosa abbia spinto gli amministratori della Spezieria a spostare l’ambiente di vendita in un locale che oggi appare troppo piccolo per contenere il tipico mobilio presente in ogni spezieria del periodo rimpiazzato da semplici scansie non degne di sorreggere gli splendidi vasi “da mostra”.
Il terremoto del 4 febbraio1789 fece parecchi danni anche a Rocca e nei Registri alla data 18 febbraio si riporta l’acquisto di una trave “ per sostegno della speziaria pericolante”. Da questo momento traspare dai documenti un attenzione minore alla spezieria che ancora per quasi un secolo continuerà ad essere data in affitto e cesserà la sua attività solo con le leggi relative alla soppressione delle Corporazioni religiose tra il 1867 e il 1882.

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Roccavaldina – Farmacia
Fiasca – XVI secolo
“Romolo e Remo”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: altezza 31 cm – diametro base 13 cm

La fiasca globulare, ad alto collo, è istoriata su tutta la superficie con scena di
Romolo e Remo seduti sotto un baldacchino, con gonfaloniere e militi.

Con la legge del 1862 vennero abolite le Confraternite del SS. Sacramento ed istituite le Congregazioni di Carità. Istituiti aventi lo scopo di curare l’amministrazione dei beni destinati all’erogazione di sussidi ed altri benefici per i poveri. Il corredo vascolare della farmacia passo alla Congregazione di Carità che era affidata ad un consiglio di amministrazione eletto dal Consiglio Comunale. L’ultimo presidente fu Antonio Andaloro Anastasi.

Con la legge 3 giugno 1937 n. 847 si ebbe la soppressione delle Congregazioni di Carità e le loro competenze passarono agli ECA, Enti Comunali di Assistenza. (alcuni presidenti: Ing. Pietro Mezzasalma, l’arciprete Giuseppe Rizzo, Dott. Alfonso Duca e per ultimo il notaio Nicolino Filloramo).
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2 – 1690: La richiesta del Vicerè Don Juan Francesco Pacheco al principe Giovanni Valdina
       Vignolo di alcuni vasi della Spezieria di Roccavaldina

La storia umana attraversa fasi diverse e alterna momenti di grande attenzione al proprio patrimonio artistico a momenti nei quali la necessità pone davanti a scelte difficili. I roccesi e non solo  sono sempre stati ben coscienti di detenere un corredo di vasi da farmacia, il cui pregio artistico supera di gran lunga lo scopo funzionale per il quale sono stati concepiti.
Queste fasi hanno attraversato anche la storia della spezieria di Rocca e addirittura in due casi, tra loro distanti nel tempo, hanno “impoverito” il corredo di vasi Urbinati insinuando oggi più di un dubbio sulla provenienza di alcuni vasi facenti parte dello stesso corredo oggi presenti in collezioni museali e private di varie località del mondo.
 La prima triste vicenda risale all’estate 1690 quando il principe Giovanni Valdina Vignolo, marchese della Rocca invia da Palermo nel suo feudo una serie di missive aventi per oggetto proprio i vasi della farmacia di Rocca.
In una prima lettera, datata 24 luglio 1690 e indirizzata “Ai Procuratori della Madre Chiesa della Rocca”, il Principe scrive: “Havendo havuto il ViceRé notizia da persona che è stata in cotesta terra della qualità dei vasi, che sono in cotesta spezieria della Madre Chiesa mi ha ordinato, che ne faceste venire da quattro ò sei delli migliori. Pertanto al ricevere di questa li prenderete ponendoli in una cassa ben condizionati con paglia inviandoli qui, come meglio da D. Andrea Vaiola sentirete, non potendosi in nessun caso sfuggire di disubbidire i di lui comandamenti. E Dio vi prosperi”.
Il tenore di questa prima missiva, lascia già trasparire la preoccupazione con cui il Principe cerca di esaudire la richiesta fatta dal viceré di Sicilia, Francesco Paceco duca di Uzeda.

 Juan Francisco Pacheco Tellez-Giron (Duca di Uzeda)
Madrid, 8 giugno 1649; Vienne, 25 agosto 1718)
Nobile spagnolo e Vicerè di Sicilia (1687 – 1696)
Conte de la Puebla de Montalban sposò nel 1677 Isabel Maria de Sandoval Y Giron,
Duchessa di Uceda. Grazie al matrimonio il Pacheco acquistò il titolo di duca consorte
Capitano di Galizia nel 1682, fu nominato vicerè di Sicilia da Carlo II nel 1687.
Restò nella carica fino al 1696 quando fu inviato, come ambasciatore di Spagna, a Roma.
Si adoperò nel 1693 nella ricostruzione della Val Di Noto colpita dal disastroso terremoto
che colpì tutta la Sicilia Orientale.
Nella guerra di Successine Spagnola prima fu favorevole a Filippo V di Spagna per poi
sostenere gli Austriaci e Carlo D’Asburgo (nel 1710).
Visse gli ultimi anni della sua vita a Vienna,

L’ansia del Principe Giovanni Valdina appare ancora più evidente, in un’altra lettera, dello stesso giorno, da lui inviata a Don Andrea Vaiola, suo uomo di fiducia. Dalla lettura di questa seconda missiva, molto più dettagliata e circostanziata della prima, risalta ancor più la drammaticità e l’urgenza con il principe chiede di eseguire quanto chiedeva il viceré.
La richiesta era stata fatta al principe attraverso “un inquisitore” e ciò aveva per Don Giovanni Valdina sicuramente un peso maggiore che non se fosse venuta direttamente dal viceré. Infatti, solo pochi mesi prima il Principe Giovanni aveva avuto grossi problemi con l’Inquisizione a causa di una questione relativa al riordino dell’archivio della Regia Gran Corte e alla vendita come carta da macero dei documenti illeggibili o putridi.
Don Giovanni Valdina conosceva bene il pregio dei vasi della spezieria di Rocca e l’importanza che questa aveva per i roccesi. Quindi per incoraggiare i confrati del SS Sacramento a inviare i vasi, nella sua missiva aggiunse che il viceré “se li piglierà … tanto questi come tutti gli altri”, e prometteva che si sarebbe impegnato a sostituirli subito con altri e a questo scopo incaricava il suo soprintendente Don Andrea Vaiola di informarsi se “ve ne siano in vendita come può essere facile di quei che havea in Monforte Pietro Mondì”.
Questo gli avrebbe risparmiato il disagio “di farli arrivare da lontano.
Ai confratelli del SS Sacramento, tra i quali erano anche i notabili di Rocca, l’idea di sostituire il bel corredo della loro Spezieria non fu accolta con piacere e cercarono di prendere tempo.
Il 28 luglio 1690 Don Giovani Valdina scrisse a Don Andrea Vaiola e lamentava il ritardo con cui i suoi ordini venivano eseguiti. : “… Per via di Melazzo scrissi apprettatamente che vi dovessivo in tutta sollecitudine mandare sei vasi dei migliori che sono in codesta speziaria, richiestimi dal Sig. ViceRé per ….. con feluca di Melazzo ho mandato a Giovanni Mangano una cassa per collocarli in dentro per ricapitarli in fondachello, ed ho scritto in Messina a Vincenzo Mazza, che facesse passare da quella spiaggia una feluca, che venisse qui, ed essendo ciò apprettato giornalmente da palazzo, farete ogni possibile di eseguire ciò con tutta sollecitudine “,
Il 4 agosto, Don Andrea Vaiola, ricevette un ulteriore lettera con la quale il Principe manifestava la sua irritazione rimarcando l’impazienza del vicerè: “Questo Sig. Vicerè tutto il giorno mi fa domandare quando vengono i vasi, ed io ancora non l’ho veduto comparire e perciò v’incarisco la sollecitudine” e ancora il giorno 8 agosto 1690: - “Devo applicare che il Signore Dio Misericordioso, fra gli altri castighi, che mi dà, sia quello, di essere io assistito, e servito da tutti voi altri di cotesta Terra con niuna applicazione ed amore, come ne stò provando attualmente gli effetti e da voi precisamente, quando con tanta premura e sollecitudine vi ordinai, che dovessivo porre nella cassa che da Giovanni Mangano vi dovea essere trasmessi tutti i vasi migliori di cotesta spezieria”.

Sia il principe Valdina che i roccesi evidenziarono nelle missive un certo disagio per una richiesta così imbarazzante da parte del “collezionista” Francesco Pacheco, che tra i vicerè di Sicilia non fu sicuramente uno dei migliori.
Imperversò nell’Isola come rappresentante di Carlo II di Spagna e tanto grave fu la sua presenza che era riuscito addirittura a fare rimpiangere il lungo dominio del suo odiato predecessore (Francesco Benavides, Conte di Santo Stefano).
Durante la visita delle province siciliane, aveva dimorato a Messina per un mese. A Milazzo, per le condizioni avverse del mare che gli avevano impedito di fare rientro a Palermo, si fermò per quindici giorni. Quali “donativi” avesse nel frattempo “rastrellato” in quelle terre non si sa. Fu probabilmente in quell’occasione che pose le sue attenzioni e i suoi occhi, e “intendeva mettere anche le mani”, sui pregiati vasi della farmacia di Roccavaldina. Lo storico Giovan Battista Di Blasi riportò che “Compiva già il terzo triennio del suo Viceregnato il Duca di Uzeda; e la Corte non volendolo più lasciare in questo Governo, sull’entrare dell’anno 1696 lo richiamò e gli destinò il suo successore. Questa notizia allietò i Siciliani che erano stanchi del suo aspro governo. Oltre che partì egli carico di denari, portò con se una superba raccolta di pitture, di statue e di altre pregevoli antichità e manifatture, delle quali spogliò il Regno, che ottenne a vile prezzo o in dono mostrando piacere di averle. La sua biblioteca, seppure la portò in Sicilia, non era copiosa, ma divenne di poi rispettabile e per la qualità dei libri e in eccellenza delle edizioni”.

I roccesi, nell’incalzare delle missive del principe, coscienti che al Vicerè non si poteva dire di no, provarono ad eseguire l’ordine solo in parte. Risultato di questa tattica fu una lettera dell’11 agosto, con la quale il principe Giovanni lamentava di aver ricevuto solo quattro dei sei vasi ordinati e la giustificazione data dal traghettatore in merito alla precarietà dell’imballaggio che lo avevano costretto a rifiutare due dei vasi da portare a Palermo, era chiaramente una scusa, dettata dalla ritrosia dei roccesi a cedere i preziosi vasi. Tuttavia il peggio non era ancora passato visto che il principe ordinava ai suoi uomini di fiducia di preparare “in casse di legno o botti con paglia tutti vasi grandi senza difetto”, lasciando nella speziaria soltanto i piccoli di poca importanza e trasferirli nella villa di Fondachello in attesa che “si haverà da Palazzo la risoluzione”.
L’ultima missiva sull’argomento è del 23 agosto:“ …Questa vi sarà in comune tanto a Voi D. Andrea Vaiola che a voi Antonino Passalacqua, e vi capiterà per via di Melazzo e per mani di Patron Antonino Pellegrino, il quale con sua barca si conferisce in fundachello per caricare tutta la legname di olevo che colà si trova, e parimente le botti dentro le quali devono venire li vasi della Spezieria, Onde, incarisco si a uno quanto all’altro di far trovare puntualmente ogni cosa in detta spiaggia, soggiungendovi che solamente dovete mandare quei vasi che non hanno difetto e son grandi lasciando tutti i piccioli, stivandoli bene con paglia___… (seguono altre disposizioni).

Non si hanno altre notizie in merito a questa vicenda. Dopo l’invio dei quattro vasi non  ci furono altre spedizioni e nemmeno  altre richieste. I Vicerà non si adoperò per avere altri vasi. Il Motivo ? probabilmente o fu richiamato dalla Corte Spagnola o probabilmente rivolse le proprie attenzioni ad altre opere d’arte. Il corredo urbinate della Spezieria di Rocca era salvo. 

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Roccavaldina – Farmacia
Anfora con Coperchio – XVI secolo
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: altezza 65 cm – Diametro base 18 cm

(recto) “Cesare riceve notabili”

(verso) “Pagamento del soldo alle milizie”
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3.  Altri eventi malavitosi – Le Delibere del Consiglio Comunale – Alcuni reperti si trovano in altri
      Musei
Purtroppo la Spezieria fu colpita da altri eventi malavitosi.
La notte del 2 maggio 1871, la spezieria di Roccavaldina subì il furto di 6 vasi. Scoperto il furto vennero inviate “4 persone al sindaco e ai Carabinieri di Spadafora per sorvegliare a taluni forestieri che compravano oggetti di antichità”
Nei giorni successivi vennero inviati altri uomini a Messina, Barcellona e Milazzo, con rapporti del Sindaco, per avvertire le autorità di ogni Città del furto dei 6 vasi.
Il 4 maggio, dalla Chiesa Madre di Rocca, fu inviato un messaggero all’Arciprete di
Barcellona pregandolo di far sorvegliare alcune persone “che compravano oggetti di antichità” che in quel momento erano a Barcellona e il giorno prima del furto si trovavano a Spadafora. Furono date £. 5,00 “all’agenti che adibì detto Sig.r Arciprete per conoscere i nomi e cognomi di detti forestieri”.
Chi erano queste persone? …probabilmente si trattava dell’antiquario napoletano Raffaele Albini che il 29 aprile aveva acquistato dalla Congregazione di Carità di Monforte 17 antichi vasi farmaceutici appartenenti alla Farmacia dell’Ospedale di S. Pietro e S. Anna.
Tre messaggeri furono inviati dal Sindaco, con un dettagliato rapporto, presso il Giudice e i Carabinieri di Rometta. Due persone furono pagate per sorvegliare, per 2 notti, alcune persone sospettate del furto ma nonostante l’impegno nelle indagini non si riuscì a trovare i vasi.
Ormai avvenuto il furto fu incaricato “Mastro Domenico Cordaro di riparare la porta della Farmacia, e a Mastro Pasquale Cordaro fu dato incarico di realizzare due catinacci con segreto, uno per uso della porta della Sagrestia e l’altro per la porta della Farmacia.
(Oggi uno di questi catenacci è custodito nel Museo Farmacia di Roccavaldina ed è perfettamente funzionante grazie all’intervento del Signor Santo Antonuccio, appassionato cultore della storia locale, che comprendendone il valore storico, ha recuperato il reperto e rimesso in ordine, scoprendo anche il meccanismo segreto ideato da Mastro Pasquale Cordaro).

Lucchetto o Catenaccio


Nel 1882 si ha la visione della Spezieria di Rocca in declino. Nello stesso anno, con la soppressione delle corporazioni religiose, la Confraternita del SS. Sacramento dovette cedere la “spezieria” che restò in custodia alla Chiesa Madre di Rocca fino al 1900 quando il corredo farmaceutico fu trasferito all’Ente Comunale Assistenza, sotto la tutela della Prefettura di Messina.
Nell’Archivio Comunale di Roccavaldina si trovano alcuni atti relativi alle ultime vicissitudini della farmacia. Molto interessanti, ai fini della  ricostruzione storica, una serie di delibere del Consiglio Comunale. La prima, del 3 agosto 1897, aveva per oggetto una deliberazione d’urgenza della Giunta Municipale del precedente 31 luglio  che determinava l’acquisto di una porzione del fabbricato Cappuccini, di proprietà Visalli, per Lire 1163,00, "essendochè altri offerenti minacciavano di comprarlo”.
(Archivio Comunale di Roccavaldina: Delibera n.22 Consiglio Comunale del 3.8.1897, Pubbl.8.8.1897 OGGETTO: “Deliberazione d’urgenza della Giunta Municipale per lo acquisto del fabbricato Cappuccini”.
L’urgenza nell’acquisto era dettata dalla necessità, da parte dell’Amministrazione comunale, di avere la proprietà dell’intero edificio dell’ex Convento Cappuccini, per poterlo destinare alla costruzione di un Ospedale ed essendoci altri potenziali acquirenti si chiedeva al Consiglio comunale di approvare con urgenza la delibera di acquisto.
Il collegamento di questo acquisto con la Farmacia si rileva nello stesso documento. Infatti  “Il Consigliere Sig. Bottaro interpella il Sindaco per sapere, se dopo la visita fatta dal Professor Praticola alla farmacia del Lascito Bottaro, potrà vendersi col ricavo di essa fondarsi l’ospedale anzicennato
Il Sindaco “da assicurazione che la pratica è a buon punto” e “Che è a sperarsi una buona vendita per così venire esauditi i giusti desideri” della popolazione roccese e “invita l’adunanza di approvare la suddetta deliberazione d’urgenza.
Nella seduta del Consiglio Comunale del 20 maggio 1899 il sindaco “riferisce che da qualche tempo trovasi pendente presso la Commissione regionale di Antichità e Belle Arti la pratica relativa alla vendita di vasi antichi esistenti nella farmacia del SS Sacramento (lascito Bottaro). Che però ancora non è stato preso alcun provvedimento, nonostante questa Congregazione di Carità ne abbia mostrato urgente bisogno, onde aver luogo detta vendita e col ricavo di essa farne lo impiego per la fondazione di un ospedale”.
Il Sindaco riferì che nel “ decorso anno è stato fatto lo acquisto di una porzione del fabbricato Cappuccini allo scopo di fondarvi il detto ospedale, tanto necessario per questa popolazione”.

“Ma che però nulla è stato fatto stante la vertenza della vendita dei vasi antichi non è stata decisa. E’ dolente del ritardo che tutt’ora si frappone, anco perché parecchie offerte di antiquari son state fatte i quali hanno considerato preziosissimi e di un valore sorprendente detti vasi. Che tenerli ancora in custodia in questo Comune, è lo stesso volervi mettere il bastone nella ruota, cioè, impedire la fondazione di un ospedale di indispensabile utilità”..
Il Consiglio Comunale, in risposta,  fa voti al Prefetto della Provincia nonché alla Commissione Regionale di Antichità e Belle Arti di Palermo perché autorizzino per conto della Congregazione di Carità di questo Comune, la vendita dei vasi antichi predetti appartenenti al lascito Bottaro”. Seguì la votazione e la delibera venne approvata all’unanimità.
La proposta dell’ospedale si prolungherà nel tempo e il 18 aprile 1909 il Consiglio Comunale di Roccavaldina discusse i verbali del 5 e 9 maggio precedente a firma dei sindaci “riunitisi in Spadafora allo scopo di provvedere allo impianto ed esercizio di un Ospedale consorziale”.
La pratica svanì nel nulla e la Farmacia di Rocca fu avvolta dal silenzio fino al 1966 – 1967 quando l’intero corredo di vasi fu trasferito a Faenza.
A Faenza, con l’assistenza tecnica del Prof. Giuseppe Liverani, Direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche, e grazie all’opera degli allievi del corso di restauro dell’Istituto d’Arte “Gaetano Ballardini” in collaborazione con l’allora Soprintendenza alle Gallerie di Palermo, si è provvide al restauro della preziosa collezione. Nel 1968 i vasi tornarono all’Ente Comunale Assistenza, sotto la tutela della Soprintendenza ed oggi, il Comune di Roccavaldina li custodisce rendendo così fruibile ai visitatori, una delle rare botteghe italiane di speziale rimasta intatta per secoli.

Purtroppo come riporta la rivista “CeramicAntica” alcuni reperti della farmacia di Roccavaldina, opere della famiglia Patanazzi, si trovano nei seguenti siti:
-          Museo Internazionale di Faenza; un’anfora da mostra proveniente dalla collezione Spitzer e un albarello proveniente dalla donazione Mereghi;
-          Waddesdon Manor in Inghilterra, due alberelli;
-          Castello d’Anet, in Francia; tre albarelli;
-          Museo di Cluny, (Francia); due alberelli;
-          Museo Duca di Martina alla Villa Floridiana di Napoli; una brocca e un’anfora apoda in possesso di un privato.

Come mai sono andati perduti dalla farmacia di Roccavaldina e in quali circostanze ?
Nel 1992 altro furto..



Uno dei vasi mancanti ?
Si nota lo stemma “ colomba con tre stelle”  legato alla commissione
di Cesare Candia –
Collezione Privata
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Roccavaldina – Museo Farmacia
Vaso con coperchio e anse a grottesche lavorate a stecca
Bottega di Antonio Patanazzi (Urbino) – XVI secolo
“Fetonte chiede a  Febo di poter guidare il carro del sole”

Roccavaldina – Museo Farmacia
Vaso con coperchio e anse a grottesche lavorate a stecca
Bottega di Antonio Patanazzi (Urbino) – XVI secolo
“La disfida musicale tra Apollo e Marsia”

Roccavaldina – Museo Farmacia
Versatoio decorato a panoplie (parti di un armatura) e armi.
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino) – XVI secolo


4. MUSEO

La collezione vascolare di Roccavaldina è la seconda al mondo per numero di pezzi. La prima è la Farmacia nella Santa Casa di Nazareth di Loreto e i cui vasi furono eseguiti dalla famiglia Fontana, imparentati con i Patanazzi di Urbino, che eseguirono i prezzi per la Farmacia di Roccavaldina.
Come già  detto, la collezione si compone di 238 pezzi costituita da:
Alberelli grandi, medi, medio piccoli e piccoli;
fiasche
brocche ed anfore.
Sugli alberelli, grandi e medi, e sulle fiasche sono raffigurate delle scene bibliche, mitologiche e storiche.
Numerose immagini traggono ispirazione dai disegni di Raffaello Sanzio e dimostrano come l’artista fosse presente nella vita e nella cultura di quella città.
Sulle maioliche sono assenti le descrizioni relative alle scene raffigurate. Fa eccezione un alberello grande su cui è incisa la frase: “ COMO  GIOVE SICOVESE IN TORO E RAPI’ EUROPA” e di un altro con la dizione “ERCOLES”.
Numerose famiglie nobili del  XVI secolo commissionarono ai ceramisti di Urbino i vasi. La storiografia riporta varie  commissioni:
per la “credenza”, composta di centinaia di pezzi realizzati da Antonio Patanazzi per il matrimonio di Alfonso II d’Este con Margherita Gonzaga;
per la “credenza” per celebrare il matrimonio tra Federico II Gonzaga, duca di Mantova, e Margherita Paleologa, marchesa di Monferrato; servizio eseguito tra il 1531 ed il 1540.
È probabile che i vasi della Spezieria o Farmacia di Roccavaldina fossero stato commissionati in origine per qualche nobile famiglia dato che le maioliche destinate alle spezierie nel XVI secolo, riportavano impresso nei vasi lo specifico contenuto medicinale.
Un aspetto che ha aperto un dibattito storico dato che, secondo alcuni storici, la mancanza della dicitura del medicinale che dovevano contenere fu specificata nella commissione fatta dal mercante Cesare Candia al Patanazzi.  Forse un corredo vascolare che doveva quindi appartenere alla famiglia Candia ?
La farmacia presenta maioliche di diversa provenienza, aggiunte successivamente, di fattura Veneziana, Napoletana, Calatina, di Gerace in Calabria e due di fattura Araba.
La scaffalatura in legno di noce, probabilmente opera di un artigiano locale, presenta una parte frontale e scansie laterali superiori originali, risalenti ai primi anni del XVII secolo. Nella parte superiore e al centro della scaffalatura, si trova una tela che raffigura l’Ostensorio del SS, sacramento, stemma della Confraternita. Un quadro di autore ignoto.




Il portale d’ingresso in pietra ad arco, “arco di bottega”, è originale. Presenta un davanzale sporgente per favorire l’esposizione delle mercanzie. Il portone originario era in legno ed era diviso orizzontalmente in due parti: la parte inferiore rimaneva chiusa e solo la parte superiore veniva aperta per la consegna dei medicinali ai pazienti.






Un Vicolo del Borgo

Stele Votiva vicino alla Chiesa Madre

Alberello Grande
“RATTO D’EUROPA”
Bottega : Antonio Patanazzi di Urbino
Misure: Altezza 38 cm – Diametro alla base 17 cm
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Alberello Grande
Decorazione: Pan e Amorini su un carro trainato da tigri
Bottega: Antonio Patanazzi da Urbino
Misure: Altezza 38 cm – Diametro alla base 16 cm
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Alberello Grande
“Poseidone s’avvicina ad Afrotide… Eros è quasi nascosto vicino alla dea”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza cm 40 – Diametro alla base 16 cm
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Alberello Grande
“Processione dell’Arca Santa mentre crolla il tempio)
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza 40 cm – Diametro alla base 16 cm
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Alberello Grande
“Cesare, in trono, riceve l’omaggio dei soldati”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza 40 cm – Diametro alla base 16 cm

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Anfora a base triangolare ed anse a forma di Arpie
“Cesare riceve Seniores Captivi”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure. Altezza 51 cm – Diametro alla base 19 cm
  
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MORTAIO  IN MARMO ROSSO ALUNTINO DEL XIX SECOLO




Misure: Altezza 37 cm – base  65cm;
Basamento: Altezza  50 cm – Base 35 cm

Sul basamento poligonale s’imposta la vasca del mortaio, scolpita in
pietra d’Aluntio, che presenta in rilievo quattro teste (aquile?) sporgenti in modo
da formare un disegno cruciforme alternante allo stemma della Confraternita
del SS. Sacramento (calice ed ostia) tra volute e sormontato da un cimiero
piumato. Sotto la stemma è scolpita una testina.
Lungo il bordo superiore è presente un’iscrizione:
“ IL SANTISSIMO  LAUDATO  SIA  SACRAMENTO”.


Emblema della Spezieria
“Il SS. Sacramento”
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GIARA 
Secolo XVII – Manifattura Calatina (Caltagirone)

Misure: Altezza 60 cm – Diametro alla base 17 cm
Questo vaso fu aggiunto successivamente al corredo della farmacia con
il quale non ha nulla in comune.
Lo stile è compendiario (pittura di veloce esecuzione e quindi approssimativa), le figure e le decorazioni sono realizzate a larghe ed imprecise pennellate.
È un anfora panciuta biansata. Nel primo lato, su fondo bianco, è raffigurato un
braccio che tiene in mano un pesce verde, giallo e blu cobalto;
sull’altro lato, un pavone blu stilizzato beve da un’anfora gialla,
sul fondo decorazioni di foglie e fiori.
Sul collo, tra fasce orizzontali azzurre, foglie lanceolate; verso la base,
fasce azzurre e verdi includono una treccia.
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FIASCA – XVI Secolo
“APOLLO  E  MARSIA”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)


Misure: Altezza 31,5 cm – Diametro alla base 12,5 cm
 La scena è legata alle “Metamorfosi” di Ovidio le cui
Edizioni erano circolanti allora ad Utbino. Presenta un interpretazione
del tema vivace soprattutto nelle figure dei satiri che suonano.
La fiasca globulare, ad alto collo, è dipinta su tutta la superficie con
scene di satiro e ninfa, re Mida che giudica la gara di Apollo e Marsia,
le Muse, Pan e satiri. Sul collo è dipinto lo stemma di cui non si conosce
l’appartenenza. (colomba e tre stelle…)

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FIASCA – XVI Secolo
“EUROPA SUL TORO”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)



Misure: Altezza 30,5 cm – Diametro alla base 13 cm
Il disegno si appesantisce nei tratti del volto di Europa, rilevando una
certa differenza stilistica tra la morbidezza dei panneggi e la
caratterizzazione dei visi femminili.
La fiasca globulare è dipinta su tutta la superficie con la scena mitologica di Europa
che sale sul trono e saluta le sue compagne.
Le figure femminili sono avvolte in abiti svolazzanti e ampi panneggi e
gli animali (tre tori) sono inseriti in un paesaggio con rocce ed alberi.

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FIASCA – XVI Secolo
“IL  RITORNO  DEL  FIGLIOL  PRODIGO”
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)



Misure: altezza 30 cm – diametro alla base 13 cm
La fiasca appartiene alle serie di vasi con scene bibliche.
Da notare la gli spunti vivaci dei cani tra le gambe dei personaggi.
La fiasca globulare è dipinta su tutta la superficie con una scena biblica.
La scena centrale è caratterizzata dall’abbraccio tra il padre ed il figliol prodigo.
Ai lati assistono numerose figure umane che sono accompagnate da cani.
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Museo

Alambicco





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5.  Palermo:  Mostra “Aromataria” -  Mostra “I Corredi dello Speziale” XVII-XVIII secolo
                                                                 (Palazzo Branciforte)
L' aromatario Galeno Castrogiovanni, di Ciminna nel 1556 ordinò tramite al mercante di origine genovese, Giovanni Battista Castruccio, un corredo di vasi necessario per la propria bottega. Un ordinativo imponente di bricchi, alberelli, pilloliere, bocce e fiasche da realizzarsi nelle fabbriche di Faenza, specificando insieme alle tipologie i motivi decorativi, le sostanze da adoperare per i colori (azolo, manganese, ferraccia) e gli svariati soggetti devoti dove le figure dei santi esplicitavano gli unguenti e le pozioni per le malattie di cui erano protettori: la figura di Sant' Agata custodiva ad esempio i preparati contro i malanni del seno, quella di San Rocco per piaghe e bubboni, quella di Santa Lucia per le malattie degli occhi. Una casistica ricca e articolata, che testimonia come attraverso le rotte commerciali mediterranee nella Sicilia del Cinquecento si andassero diffondendo anche nelle arti decorative modelli compositivi e iconografici propri della tradizione rinascimentale italiana, desunti molto spesso (anche per logica compositiva) dai disegni e dalle illustrazioni che ornavano i libri a stampa.
La mostra "Aromataria", che si svolse a Palazzo Abatellis (via Alloro – Palermo) nell’ottobre 2015, mise  in evidenza un elemento della storia del gusto in cui si intrecciavano diversi fili del paesaggio culturale isolano tra Cinque e Settecento. I reperti esposti si trovavano nei depositi del museo e quelli esposti furono solo un quarto di tutto il materiale custodito. Un esposizione affascinante perché vennero proposti decine e decine di pezzi in maiolica destinati alle scansie delle botteghe dove gli aromatari pestavano le erbe medicinali ma anche le polveri di sostanze minerali e animali proprie della farmacopea del tempo, riepilogando nelle decorazioni una intera cultura figurativa che alternava storie sacre, soggetti profani e repertori ornamentali, imprese e stemmi araldici. Un allestimento scenografico di forme e colori disposti per sequenze allegoriche e narrative a celebrazione del prestigio sociale del maestro titolare della bottega.
Una mostra ordinata per centri produttori, quando nel corso del Seicento all' importazione dalle città più rinomate - Faenza, Urbino, Venezia - si affiancò la fabbricazione locale (Burgio, Palermo, Sciacca, Trapani, Caltagirone, Messina). L
La mostra (che fu ordinata da Vincenzo Abbate con i contributi di Rosario Dandone e Maria Reginella) riuscì a collegare l’esuberanza decorativa propria degli artigiani isolani ad alcuni capolavori cinquecenteschi realizzati a Faenza come i vasi opera di Francesco Mezzarisa nella sofisticata maniera tardorinascimentale, approdati in Sicilia attraverso la fitta mediazione dei mercanti delle nazioni straniere. Particolare interesse rivestirono in tal senso gli inventari, pubblicati in catalogo, della spezieria di Giovanni Alojsio Grillo, che aveva sede nel cuore della Vucciria nell' attuale via dei Coltellieri, a poca distanza dalla Chiesa dell' Ordine degli Aromatari dedicata a Sant' Andrea (e oggi in rovina), del 1591; quello di Nicola Gervasi, situata a Ballarò, e quella di pertinenza dell' Abbazia di San Martino delle Scale, confluita nel Regio Museo Nazionale ordinato da Antonio Salinas in seguito alle leggi eversive delle proprietà ecclesiastiche del 1866.


Il 27 dicembre 2017, sempre a Palermo, un’altra mostra dal tema:
“MAIOLICA, I CORREDI DELLO SPEZIALE XVII – XVIII SECOLO”
“DALLE SCANSIE DELLE ANTICHE BOTTEGHE, AGLI SCAFFALI
DELL’EX MONTE DEI PEGNI.
PREZIOSI CONTENITORI DI FARMACI A PALAZZO BRANCIFORTI”.

Una mostra dedicata alle maioliche da farmacia create nelle botteghe artigianali dei più importanti centri della Sicilia: Caltagirone, Burgio, Sciacca, Palermo, Collesano, Trapani, Messina.
Un vasto corredo di bottiglie, albarelli, bricchi, bocce diverse  per colori e disegni.  Ceramiche che decoravano le botteghe degli speziali presenti nell’isola e famosi in tutto il Mediterraneo.
Circa 172 contenitori risalenti al XVII e XVIII secolo e provenienti purtroppo anche da collezioni private. Un percorso museale secondo manifattura ed ordine cronologico sugli antichi ripiani in legno posti nei locali che furono destinati al “Monte dei Pegni di Santa Rosalia”, a Palazzo Branciforte (oggi sede museale della Fondazione “Sicilia” dopo i brillanti restauri eseguiti  dall’architetto di fama mondiale Gaue Aulenti).

Palermo - Palazzo Branciforte





Un’antica immagine che mostra l’interno del
Banco dei Pegni di Santa Rosalia nel Palazzo Branciforti.
Chi aveva bisogno di aiuto economico portava corredi e biancheria ricamata.




L’esposizione oltre ad avere il grande ed accurato sostegno da parte della Fondazione Sicilia ha ricevuto l’impegno organizzativo della BALAT (Beni Artistici per un Lavoro Attivo sul Territorio), un associazione che da anni si occupa sia della salvaguardia del patrimonio culturale SICILIANO offrendo anche opportunità di lavoro grazie al finanziamento di progetti con fondi europei.

Ceramica di Sciacca

Nei secoli scorsi hanno operato in Sicilia importanti studiosi di piante medicinali. Molti di questi studiosi sono rimasti nella storia come  Nicolò Gervasi (1632 – 1681), farmacista, chimico e botanico, con una bottega e biblioteca nei pressi di piazza Ballarò (Palermo) e autore dell’”Antidotarium Panormitanum pharmachymicum” edito nel 1670.
Già nel Cinquecento molti farmacisti avevano dei rapporti commerciali con l’Oriente per la richiesta delle spezie più rare e questo aspetto conferiva agli stessi farmacisti un ruolo sociale importante. Personaggi colti, aperti al mondo esterno e richhe da potersi permettere di ordinare fuori dalla Sicilia non solo le spezie ma anche i contenitori necessari per il loro lavoro dato che la produzione locale  non era di loro gradimento..
Gli studi hanno infatti confermato che gli speziali siciliani ordinavano attraverso i mercanti, in particolare genovesi, pisani, campani, dei vasi che venivano prodotti nelle officine artigianali di Faenza, Urbino, Venezia, Genova, Napoli, Casteldurante.
Probabilmente negli scaffali degli speziali era esposto anche qualche vaso locale siciliane ma solo alla fine del’ 500 e agli inizi del’ 600 la presenza delle ceramiche siciliane nelle speziere subì un aumento come si nota dai documenti riguardanti le citazioni inventariali.

Boccia – Manifattura  Caltagirone – XVIII secolo

Bottiglia – Manifattura Burgio – XVII Secolo

Alberello – Manifattura di Palermo – Anno 1624

Alberello con la figura di Santa Cecilia –
Manifattura di Sciacca – XVII Secolo

Questo corredo vascolare esposto nella speziera/farmacia identificava non solo il rimedio naturale che conteneva ma anche il prestigio dello speziale proprio attraverso la bellezza dei vasi.
Lo speziale assumeva un suo prestigio sociale come l’antico alchimista che operava in uno spazio suggestivo e misterioso in cui oltre ai vasi si trovavano mortai, mestoli, spatole, coltelli, strumenti di precisione, ecc.
Un ambiente unico, insieme ai luoghi di culto, a possedere, nella povertà iconografica del passato, delle immagini e in più, rispetto alle chiese, anche immagini profane”.
Nei corredi vascolari gli speziali apponevano spesso dei cartiglie che riportavano i nomi dei rimedi. Scritte in latino abbreviato  e con caratteri gotici, che rendevano impossibile ai più la comprensione del reale contenuto dei vasi. Un aspetto questo che insieme a quello del luogo, contribuiva a rendere il farmacista una persona rispettata e temuta perché gli si attribuiva la capacità di decidere della vita e della morte a mezzo di “intrugli” misteriosi.


Bottiglia (h= 25 cm)(fronte e retro)
Manifattura di Palermo – 1625 circa

Bricco (h = 20,5 cm)
Manifattura di Caltagirone – XVIII Secolo

Alberello (h 0 21 cm)
Manifattura di Palermo – Datato 1624

Le ceramiche siciliane, se si esclude il corredo vascolare da farmacia, restarono in quei secoli di gusto popolare, da cucina e questo aspetto influì sul tipo di decorazione non sempre accurata e ricercata.
Il valore decorativo delle ceramiche siciliane era carente rispetto alle decorazioni dei maggiori centri italiani operanti nello steso periodo tra il 500 ed il 700.
Lo storico Rosario Daidone ricercò i motivi di questo fenomeno nella “mancanza di committenze laiche di prestigio signorile che numerose furono invece nei centri più famosi della produzione rinascimentale italiana come Urbino, Faenza, Casteldurante, Venezia, Gubbio, etc.”.

Alberello (h = 27 cm) –
Manifattura di Collesano – metà XVII secolo

Rocchetto (h = 18 cm) – Sigla “S.P.Q.P.” – datato 1668
Manifattura di Collesano -

Bottiglia (h = 23,5 cm) – Decoro a merletto . XVIII secolo
Manifattura di Caltagirone

Bricco (h = 20,5 cm) – XVIII secolo
Manifattura di Caltagirone

Gli speziali dell’isola si opponevano all’aggiornamento stilistico dei vasi da farmacia perché molto legati alle tradizioni a tal punto da fornire spesso all’artigiano  anche i disegni delle decorazioni.
Per i farmacisti dell’isola, secondo Daidone, gli artigiani del continente producevano anche pezzi stilisticamente superati  “una bottega faentina, quella di  Virgiliotto Calamelli, alla fine del’ 500 in piena moda di imperante”compendiario”, fornisce alle nostre aromaterie maioliche decorate ancora con medaglioni e trofei: due esemplari sono simili ai palermitani che spesso i reperti in circolazione vengono confusi con quelli fabbricati in Sicilia”.
È anche vero che spesso gli artigiani siciliani, anche se condizionati dai loro committenti, riuscirono spesso ad inserire nei laro lavori alcuni elementi di novità…”piccole ma significative varianti nelle singole opere espressioni di geniali invenzioni talvolta a dispetto dei propri clienti”.
Proprio per questi aspetti la ceramica siciliana presenta una sua unicità che ancora oggi è apprezzata dai collezionisti di tutto il mondo.
Boccia (h = 29,l5 cm) – Primi anni del XVII secolo
Manifattura di Burgio




La vecchia locandina della Mostra

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6. La Ceramica di Messina nel XVI secolo
Un aspetto da rilevare è legato all’epistolario di Giovanni Valdina Papè che offre interessanti spunti anche sullo studio della ceramica siciliana per le indicazioni che emergono dai documenti d’archivio. Documenti che confermano l’esistenza nel messinese di un’area produttiva che si estendeva oltre le “fabbriche di Naso”. Area produttiva di cui gli studi non sono ancora riusciti a delineare i contorni per le lacune documentali causate dalla distruzione degli archivi nel terremoto del 1906.
Ci sono diverse notizie sul commercio delle maioliche create nella città di Messina o nella sua provincia.
Il 6 febbraio 1570 c’è un acquisto operato da Giovanni Aloisio Garillo di trenta vasi dal maestro Antonio Lopes, probabilmente decorati dal giovane pittore Paolo Brame che in quel periodo era residente nella città peloritana. Considerata la somma di 12 once che l’illustre speziale palermitano fu disposto a pagare, dovevano trattarsi di realizzazioni di non comune valore artistico.

Ancora prima, il 28 luglio 1543, il capitano genovese Giovanni Bonfanti era impegnato a trasportare con la sua nave dalla città dello Stretto “opere di terra” al commerciante palermitano Luca de Carlo; il 25 dicembre dello stesso anno il rivenditore Domenico Masullo si era fatto trasportare con la fregata di Jacopo Testa una certa quantità di “opere di Messina” per il valore di 7 once e 21 tarì; dalla stessa città il 24 marzo 1547 era partita una fregata carica di maioliche fabbricate dal maestro Leonardo per il mercante palermitano Pietro  Li Maistri; il 12 luglio del 1553 ancora Jacobo Testa aveva trasportato per conto del palermitano Giovanni Campolino numerose maioliche di vario genere.
Lo stesso anno, il giorno 11 giugno, il tranviere palermitano Bartolomeo De Lisetto aveva acquistato una certa quantità di “rugagne” di Messina da Vincenzo Canigia, figlio op fratello del noto commerciante di maioliche genovese Nicola, abitante a Palermo, documentato tra il 1548 e il 1550 come cliente delle “officine di Casteldurante; il 14 novembre del 1559 Vincenzo Greco si era procurato, tramite il mercante messinese Geronimo Pisano, un certo numero di vasi della città per il valore di 8 once e 6 tari.
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Roccavaldina – Farmacia
Anfora con Anse a Mascheroni
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza 50 cm – Diametro alla base 16 cm

(Recto) -  “Camillo libera Roma dai Galli”

(Verso) – “ Combattenti dopo il saccheggio”

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7. La Farmacopea Monastica
Durante l’Alto medioevo i monaci si dedicarono all’assistenza dei pellegrini e dei malati, basando le loro cure sulla “speranza della guarigione”, sulla misericordia di Dio e sull’azione dei “semplici”. Nacque così, dentro le mura dei conventi “l’orto dei semplici”, erbe e piante medicinali, utilizzate come rimedio per lenire i dolori e curare i mali che affliggevano le persone dell’epoca. Uno sviluppo della medicina tra religione, magia e rigore empirico. 

Il giardino dell’Abbazia di Daoulas ( Finistère)

L'immagine del giardino nei monasteri del Medio Evo non dice di una semplice ammirazione per la natura. Essa traduce una visione del mondo propria dell'universo medievale, dove Dio è al centro.

“Orto dei Semplici” annesso all’Eremo di Santa Caterina – Rio (Isola d’Elba)




Le spezierie dei monaci con gli alambicchi, qualche mortaio, pozioni, unguenti e decotti, si trasformano presto in “officine” farmaceutiche per curare anche i lebbrosi e appestati.
Annessi agli orti si sviluppano gli “armaria pigmentariorum” dove vengono seccate e conservate le diverse piante officinali. L’attività di ricerca e di studio con il passare del tempo s’intensificò e i monaci furono i primi a tramandare un patrimonio di conoscenze. Trascrissero i loro rimedi in testi di medicina e favorirono lo sviluppo della scienza farmaceutica.
Gli speziali utilizzavano tipici vasi di ceramica dalle svariate forme, pensati per contenere, conservare e prelevare facilmente sciroppi, fiori, erbe aromatiche e acque medicamentose.
La quasi totalità di questi corredi, proprio a causa della loro preziosità, sono andati dispersi facendo perdere quella magnificenza rappresentata dall’effetto d’insieme dei vari vasi.
La Collezione di Roccavaldina riuscì a sfuggire a questo triste destino ed oggi riesce ad offrire, grazie al corredo perfettamente integro e ben disposto sulle scansie di legno antico, un grande impatto scenico che affascina il visitatore.
Una vera Farmacia Medievale dove si respira un’aria di autenticità  che sembra trasportare indietro nel tempo.
Ma la sorpresa più bella che regala la “Farmacia” di Roccavaldina è che l’intera collezione d’inestimabile valore è bifronte…… basta ruotare il vasellame per scoprire un’altra farmacia….

8. Palermo - Chiesa di Sant’Andrea degli Amalfitani o “Aromatari”

Palermo – Chiesa di Sant’Andrea degli Amalfitani o “Aromatari”





La piccola Chiesa in epoca Normanna fu dedicata a Sant’Andrea Apostolo dai navigatori e
dai commercianti amalfitani che operavano a Palermo.
Risalgono al 1264 i primi documenti come luogo di culto. Nel 1346 si ebbe la fondazione della
Confraternita degli Amalfitani a cui si aggrega, l’11 gennaio 1579, la Confraternita degli Aromatari.
Un legame  che alla fine  fu oggetto di controversie. Dopo pochi anni, la Confraternita
degli Amalfitani lasciò la chiesa. Una chiesa che si trovava in precarie condizioni statiche e quindi
bisognosa di interventi edilizi che i Confrati non erano in grado di sostenere.
Decisero di cedere l’edificio, con tutte le rendite e le concessioni,
al Collegio degli Aromatari con atto del 5 ottobre 1607.
Gli Aromatari acquistarono alcuni locali adiacenti, che furono inglobati nella struttura,
per creare una canonica per il cappellano, un piccolo ospedale e una “spezieria”
per i poveri del mandamento “Castellammare” o “Loggia” in cui era ubicata la chiesa.
Alla fine i confrati decisero per una nuova ricostruzione dell’edificio di culto.
Un edificio si stile seicentesco, a croce greca, con transetto ed abside quadrati e diviso
in tre navate da due serie di quattro colonne di stile dorico e in pietra
grigia di Billiemi. Sulla facciata dell’edificio venne collocata la statua di Sant’Andrea.
Nel tempio era conservato un reliquario in argento contenente una reliquia di Sant’Andrea.
All’interno del reliquario un’iscrizione “Hic manet reliquia Santi Andrea Apostoli”.
Reliquario che è conservato presso il tesoro della cattedrale di Palermo.
Le quattro colonne del quadrilatero centrale sorreggono una falsa cupola dipinta
su tavole lignee nel XVIII secolo dall’aromatario  Giuseppe Quattrosi.
L’altare maggiore, decorato da puttini in stucco, conteneva un quadro di ottima fattura
raffigurante la “Gloria di Sant’Andrea”.
Un opera attribuita all’artista Gaspare Vazzano, detto lo “Zoppo di Gangi” del 1597 ed ora
Custodita presso l’Ordine dei Farmacisti.
Lasciti e testamenti andavano spesso a beneficio della Congregazione che manteneva il sito
sia per il culto che per i confratelli.
Nel testamento dell’aromatario Stefano D’Angelo si stabiliva che il Collegio doveva
mantenere dieci figlie di confratelli nel conservatorio dell’ospedaletto, ubicato nei
locali della chiesa. Quando si sarebbero sposate si doveva “dare loro in dote 25 onze”.
I confrati al momento della morte potevano usufruire della sepoltura all’interno
della cripta ubicata sotto il pavimento della chiesa. Una lastra marmorea chiudeva l’accesso e
recava la data del 30 settembre 1637. Sulla lastra un iscrizione che avvertiva:
“nessun farmaco ferma la morte”.
Oggi, dopo i restauri, l’ex edificio sacro è un luogo di aggregazione che ospita
mostre, concerti ed iniziative culturali.

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Roccavaldina – Farmacia
Alberello Grande – XVI secolo
Bottega: Antonio Patanazzi (Urbino)
Misure: Altezza 40 cm – Diametro base 16 m

“Nozze di Cana”

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