BLUFI (Palermo) - UNA PICCOLA OLANDA IN SICILIA… IL PAESE DEI TULIPANI











Indice:
1.      Il Territorio;
2.      Storia;
3.      Il Santuario della Madonna dell’Olio – La storia del Santuario e la sua struttura;
4.       Blufi… La Piccola Olanda con i suoi Tulipani Selvatici davanti al Santuario. Un Miracolo della Natura… a rischio d’estinzione per colpa dell’uomo – La leggenda;
5.      La Fonte dell’Olio Minerale vicina al Santuario e le sue antiche proprietà medicamentose; La Medicina Popolare Siciliana di G. Pitrè;
6.      Il Ponte “Romano”;
7.      La Rocca Malabuto… ovvero la tomba di un importante musulmano;
8.      La Diga di Blufi…. Incompiuta….. storia di Mafia e “La Strada sul nulla”; N. 2 Video sulla Diga: Il Buco Nero;
9.      La Sagra del Finocchetto;
10.  A spasso per Blufi..

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        1.  IL TERRITORIO

Blufi, “Malupassu” in dialetto locale, è un piccolo comune di 962 abitanti posto nella provincia di Palermo. Si trova sul versante meridionale delle Madonie con un’altitudine  compresa tra gli 850 e i 500 m s.l.m.
Il territorio comunale comprende Casalgiordano,  un’isola amministrativa posta tra i comuni di Gangi ed Alimena, ed una serie di frazioni che si trovano vicino al centro capoluogo: Alleri, Lupi e Ferrarello, che sono separate da Blufi dal torrente Nocilla, e Calabrò, Nero e Giaia Inferiore che si trovano lungo la strada che conduce alle Petralie (Sprana e Sottana).
Il territorio è attraversato dal fiume Imera Meridionale e dai Torrenti Nocilla ed Oliva.









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2. STORIA
Le fonti storiche sul centro di Blufi non sono numerose e anche sulla denominazione non tutti gli storici sono concordi.
Il termine “Blufi” appare per la prima volta in un documento del 1211 in cui la chiesa palermitana concedeva a Federico II di Svevia numerose concessioni tra cui i “Proedia Buluph apud Petraliam” cioè i possedimenti chiamati “Buluf presso Petralia”.
Bisogna giungere al 1482 quando in un testamento appare il termine “Morata Bufali”.
Il termine non è sempre lo stesso perchè in altri documenti s’incontrano i toponimi “Belufi / Balufi / Bolufi”  fino a quando in un documento relativo al Santuario della Madonna dell’Olio appare il termine attuale “Blufi”.
Secondo gli storici il termine Blufi sarebbe legato a due parole greche: “Boos” (bue) e “lofos” (colle).  Termini legati ad un leggendario “Colle del Bue” di cui si sono perse le tracce.

La storia del centro fu sempre legata a quella del centro di Petralia Soprana di cui Blufi era frazione fino al 1972.

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3. SANTUARIO  DI  SANTA  MARIA  DELL’OLIO








Il Santuario sorge a circa 3 km a sud del centro ed è posto a 660 m s.l.m. La sua denominazione è probabilmente legata alla forte presenza di oliveti nel territorio. Caratteristica che avrebbe dato il nome anche al torrente Oliva che lambisce la collina del Santuario e che sfocia nel fiume Imera Meridionale in una zona che è chiamata “Giardini d’Oliva”.
Il termine potrebbe anche essere legato alla presenza di una caratteristica sorgente di olio minerale che è posta a pochi metri dal Santuario.


Una vecchia foto della fonte d’olio minerale

Dal punto di vista storico il Santuario è citato sin dal XII secolo, con una piccola cappella dedicata alla Madonna, e in un documento, risalente al secolo scorso, è contenuta la sua data d’origine o di fondazione risalente all’VIII secolo.
L’importante manoscritto è del 1832 e contiene informazioni al governo borbonico sul Santuario della Madonna dell’Olio e fa risalire la prima origine della cappella, come detto, al secolo ottavo.
È infatti riportato.. “è fuor di dubbio che quel Santuario è soggetto al Rev.mo Arciprete di Petralia Soprana, che la Chiesa nell’ottavo secolo fù costruita dai fedeli sparsi nell’economie di quelle vicine campagne, e riedificata dalla pietà del clerico D. Francesco Ferrara di detta Petralia nel 1762”.
Secondo l’importante giudizio degli archeologi, le pietre intagliate che si trovano all’orlo della predella dell’altare maggiore sono databili al secolo XII.
Nella campanella, dal caratteristico dolce suono argentino, che dà il segnale dell’inizio della Messa, è inciso, assieme a tre foglie, l’anno 1135.
Tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 l’Eremo fu posto sotto l’Alto Patronato e la Giurisdizione del Sovrano Ordine Militare Gerosolimitano di Malta. Un Ordine con un preciso scopo ospedaliero ed assistenziale che si distinse per le imprese militari in aiuto e sostegno dei Crociati.
La Croce dei Cavalieri di Malta è dipinta e scolpita in diverse parti della chiesa.
La data del 1500 dovrebbe essere veritiera per l’assegnazione perché in quell’anno Carlo V concesse al Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta l’isola di Malta e altri possedimenti in Sicilia tra cui la chiesa della Madonna dell’Olio di Blufi che allora era filiale della Chiesa Commendale e Magistrale di San Giovanni Battista in Polizzi Generosa.

Chiesa della Commenda  di Polizzi Generosa

In una tabella esposta in sagrestia è riportato che il papa Sisto V (in carica dal 1585 al 1590)…”concedeva l’indulgenza di 200 giorni ai fedeli che di cuore contriti recitassero le Litanie della Beata Vergine Maria in questa chiesa”.
Un documento importante perché tra il 1585 ed il 1590 la fama del santuario, piccola e sperduta chiesa dell’entroterra siciliano, era giunta fino a Roma presso il Vicario di Cristo e probabilmente per interessamento di qualche personaggio importante  o dell’Ordine di Malta.
Altro aspetto importante è che l’indulgenza concessa da Sisto V fu confermata successivamente da altri papi: Benedetto XIII, Clemente XIII e Pio VI.
Fu retto in passato prima dai monaci Basiliani e successivamente dai Preti Eremiti Secolari, e ancora dall’Ordine dei Cavalieri di Malta e dall’inizio del Novecento dai Cappuccini dell’Ordine Francescano.

Fra gli eremiti è da ricordare Fra Mariano Vaccarella, originario di Blufi dove era nato nel 1826 e morto il 25 maggio 1896.
Un frate d’altri tempi…”capo degli Eremiti, fece sovrabbondare di elemosine l’Eremitorio e riuscì ad ottenere il riscatto della Chiusa, di cui s’era appropriato il Demanio Regio, per le legge iniqua e settaria del 1866”
“Aveva una profonda filiale devozione alla Madonna, che inculcava negli altri; e quando la statua della Madonna, attraversando le campagne, riarse della troppa prolungata siccità portata in commovente processione di penitenza e implorazione, per alcuni giorni a Bompietro, egli non abbandonò mai, né giorno né notte, il sacro simulacro. I superstiti di alcuni anni addietro ricordavano che quell’anno, nonostante la mancanza di pioggia, fu un’annata memoranda di straordinaria abbondanza di raccolta di grano, per grazia di Maria”.

Padre Vaccarella

Fino al 1975 il suo ricordo era molto vivo nel paese e la sua notorietà era circondata da innumerevoli episodi di carità. Godeva di molta stima e considerazione presso i nobili di un tempo fra cui il Conte Ventimiglia di Castelbuono e il principe di Trabia. Il cav. Giuseppe Villari, quando morì fra Mariano, consigliò i familiari  di far eseguire un ritratto a sua memoria. Ritratto che fu eseguito “con molta arte espressiva” da D. Fanino Gargano.

Il 16 giugno 1910, il Vescovo di Cefalù, Mons. Anselmo Sansoni, dell’Ordine Francescano dei Frati Minori, con rescritto del 12 novembre 1911, affidava il Santuario della Madonna dell’Olio, con l’uso perpetuo dei suoi beni mobili e immobili, alla Provincia Monastica messinese dei Cappuccini che già da quattro secoli possedeva il Santuario di Gibilmanna.
Al piccolo Santuario all’inizio furono assegnati due sacerdoti e tre fratelli laici, uno dei quali aveva l’incarico di questuare il grano per il Seminario Serafico provinciale.
Come superiore della comunità religiosa fu nominato P. Francesco da Locati.
Con decreto del 3 maggio 1913 la Chiesa della Madonna dell’Olio venne eretta a Vicaria Curata della competente autorità ecclesiastica del Vescovo di Cefalù.
Il Concedente (il Vescovo di Cefalù) voleva “che a rendere il dovuto onore alla Chiesa Madre di  Petralia Soprana in ogni anno nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nuovo Vicario Curato e suoi successori con parrocchiani si recasse processionalmente a quella Chiesa e offrisse all’altare maggiore un cereo, di cera lavorata, del peso di 5 libbre, in segno di riconoscenza”.
“ In occasione della solenne proclamazione della nuova Vicaria, avvenuta il 13 maggio 1913, erano presenti alla cerimonia, nel Santuario, 16  sacerdoti, provenienti da diverse parrocchie, anche lontane, fra gli altri l’Arcip. Costantino Stella parroco di Resuttano e l’Arcip. Giuseppe Torre parroco di Alimena; tutti i sacerdoti apposero la loro firma in un foglio timbrato con timbro del Santuario, che ancora si conserva”.
Il 10 dicembre 1915 la Chiesa della Madonna dell’Olio da Vicaria Curata venne elevata e costituita economicamente in parrocchia con tutti i diritti e privilegi parrocchiali.
Titolare della parrocchia era sempre P. Francesco da Locati.
Padre Francesco da Locati (Gaetano Librizzi) era nato il 20 luglio 1879 e si “formò culturalmente e spiritualmente  alla scuola d’un venerando sacerdote cappuccino, P. Antonino Fedele Bencivinni da Petralia Sottana, autore d’un celebre pubblico orologio solare; vestì giovinetto l’abito di S. Francesco d’Assisi”.
Fu ordinato sacerdote dopo un anno di permanenza nella missione greca di Candia e venne destinato successivamente come cappellano nella Chiesa della Madonna dell’Olio, in sostituzione dell’anziano sacerdote Don Illuminato Alessi da Petralia Soprana.
Padre Francesco pensò subito di migliorare l’aspetto del santuario. Ottenne che la bolla vescovile della sua nomina a Vicario Curato fosse riconosciuta anche civilmente. Un riconoscimento ottenuto con decreto regale del 20 luglio 1915, firmato da Tommaso di Savoia, Duca di  Genova, luogotenente del re Vittorio Emanuele III.
Nominato primo parroco della nuova parrocchia si dedicò subito al miglioramento  del santuario per il bene spirituale dei suoi parrocchiani sparsi nelle diverse “abbandonate borgate di Blufi, dove allora non c’era nessuna chiesa né cappelli e tutte le funzioni religiose si svolgevano, quindi al Santuario”.
Con il suo carattere aperto ed espansivo e con l’amore verso il suo Santuario, riuscì a conquistare la simpatia dei parrocchiani di Blufi che con grande animo rispondevano agli appelli d’aiuto per il bene del Santuario.  Pensò d’ingrandire la Chiesa e di costruire un nuovo convento per i religiosi.

Padre Francesco da Locati

Grandi progetti difficile da realizzare in una piccola comunità come quella di Blufi ma padre Francesco non si perse d’animo. Per avere a disposizione  i necessari sostegni economici pensò di recarsi nell’America del Nord dove avrebbe visitato parenti e conoscenti emigrati per ottenere delle offerte per il  Santuario. Dopo aver ottenuto la necessaria licenza, nel 1919, dai suoi Superiori maggiori partì pieno di speranze nel maggio 1920. Si  fermò in America dal 22 maggio al 19 settembre 1920.
In una sua lettera egli dà ampia relazione con tanti particolari del suo viaggio d’andata e di ritorno e ringraziando elenca i nomi di tutti gli emigrati che diedero la loro offerta”.
“Con la cospicua somma raccolta, intraprese i lavori d’ampliamento della chiesa, che non potè portare a due piani”.
“Ed essendo chiuse, in quel tempo, per qualche anno, le Scuole Normali di Petralia Sottana, egli ardì aprire nel convento una scuola privata ginnasiale, che diede qualche buon frutto e ispirò qualche vocazione sacerdotale”.
“Ma nel campo l’uomo nemico seminò la zizania, e principalmente per la paura dei frati..”  nel 1927 i Religiosi dovettero abbandonare il santuario con grande dispiacere dei fedeli e naturalmente di Padre Francesco.
Padre Francesco che prima di morire ebbe la gioia, nel maggio 1941, di riprendere l’amoroso culto mariano, anche se non in modo definitivo, nel Santuario della Madonna dell’Olio che tanto “amò tanto lavorò e si sacrificò e soffrì”.

“Morì nel convento di Petralia Sottana, in cui era guardiano, il 23 ottobre 1943, compianto specialmente da coloro, in mezzo a cui aveva prodigato le migliori energie della sua vita”.

Petralia Sottana – Convento dei Padri Riformati

I fedeli di Blufi, con le loro proteste, e le autorità municipali di Petralia Soprana, in particolare del canonico Antonio Averna,  podestà del Comune, chiedevano la riapertura del santuario con il ritorno dei religiosi. Il Vescovo di Cefalù, Mons. Emiliano Cagnoni, il 20 settembre 1951 affidò definitivamente e in perpetuo all’Ordine Cappuccino il Santuario e Convento della Madonna dell’Olio con una “minima porziuncola di terreno”.
La concessione di terreno fa sorgere spontaneamente delle domande sul perché nel 1927 i religiosi dovettero abbandonare il Santuario per “paucità “ dei monaci.
Forse i terreni erano ambiti da personaggi in odore di mafia per cui gli stessi frati furono oggetto di reiterate minacce ? Quella frase “minima porziuncola di terreno” non può non dare adito a dei forti dubbi.
I Rettori che, dopo la morte del benemerito padre Francesco da Locati, si sono avvicendati nella custodia, amministrazione e direzione del Santuario, P.Fancesco da Petralia Soprana (1944- 1950),P. Andrea da Castellana (1951- 1953).M.R.P. Luigi da Gangi (1960-1967), P Raffaele da Blufi (1953-1959, 1968-1977), si sono tutti prodigati con molto impegno e con molti sacrifici per migliorare sempre più le condizioni e le sorti del Santuario, divenuto approdo spirituale per molte anime, centro propulsore di spiritualità mariana e di vita cristiana”.
Il Santuario fino al 1977 fu retto da Padre Raffaele Fucà, un monaco eremita.
Ai  fedeli in pellegrinaggio al Santuario gli eremiti offrivano Acqua ed Olio per riacquistare la salute.

Padre Raffaele Fucà

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LA  STRUTTURA DEL  SANTUARIO


Il Santuario nel 1944

La facciata del settecento presenta elementi d’artigianato locale con il suo portale in pietra e “col suo sovrastante terminale snello campanile, tagliato con 2 archi, con volute laterali e cuspidi in cima”.
“Il piccolo artistico campanile, colpito da un fulmine, era stato ricostruito nel 1889, tutto in pietre ben intagliate e lavorate”.
“ In epoca recente …” nella seconda metà del 1900..”presentando qualche lesione e pericolo, invece di ripararlo, alcuni decisero di demolirlo e abolirlo completamente”.
Il risultato finale ?  Un campanile in cemento armato,,,,”un nuovo ordinario borghese campanile, addossato al lato anteriore della chiesa”. In definitiva un campanile che stravolge l’aspetto originario del Santuario.


Sul portale si trovava l’antico stemma gentilizio in marmo, di un alto ufficiale dei cavalieri di Malta. Apparteneva al balì dell’Ordine dei cavalieri di Malta, Don Pietro Marcello, di famiglia torinese, Commendatario della Commenda di Polizzi Generosa.
Si trovava…. Fu rubato………



Il pavimento della chiesa fino al 1950 era costituito da mattoni in terracotta maiolicati e colorati con bei disegni e figure…Essendo moltissimi mattoni scoloriti e consumati, nell’anno 1950 il pavimento venne integralmente  rifatto con ordinari mattoni in scaglie di cemento….”.
Lavori assurdi perché causarono anche la scomparsa delle tre fosse sepolcrali, “vennero riempite”, che erano chiuse da lastre di marmo. In queste fosse venivano “deposte, prima dell’istituzione del cimitero, le spoglie mortali e le ossa dei defunti”.
“Prima delle leggi napoleoniche, le chiese per gli italiani erano veramente patria, casa e tomba”.
“Alcuni nobili di Petralia Soprana, devotissimi della Madonna, nelle loro ultime volontà espressero il desiderio di esse seppelliti in questa chiesetta . E anche dopo la nuova pavimentazione, qualche tomba e lapide sepolcrale è rimasta nei muri laterali della cappella della Madonna”.

Interno del Santuario in una vecchia foto


L’interno (la chiesa  misura 20 x6 m) è decorato con pregevoli stucchi che risalgono al 1841. Lavori artistici che sono riportati in un iscrizione posta al centro dell’arco principale: “Oleum effusum nomen tuum 1841” (“Come olio effuso è il tuo nome”)..


 Gli stucchi

All’interno del Santuario in più parti risulta dipinta la Croce dei Cavalieri di Malta. E furono probabilmente loro ad indurre Papa Sisto V nel 1585 a concedere i giorni di indulgenza a chi si recava a pregare nel santuario.

 L’altare in marmo è del 1860 e fu una donazione del barone del feudo d’Irosa, Gaetano Pottino, come risulta da un epigrafe sullo steso altare. Successivamente vennero sovrapposte sulla struttura dell’altare alcune figure in legno dorato dal significato simbolico: Abramo in procinto di sacrificare a Dio l’amato figlio Isacco che è salvato dall’apparizione improvvisa di un angelo; il sacerdote Melchisedek che benedice Abramo che è ritornato vittorioso dalla battaglia contro i quattro re orientali. Re che avevano vinto e depredato alcune città portando via anche il nipote di Abramo con tutte le sue ricchezze.
Pregevole è l’altare di san Giuseppe con fregi e gigli marmorei indorati. Presenta una piccola immagine del Santo Patriarca con il Bambino scolpita sulla lastra frontale della mensa dell’altare.
Di valore un confessionale in noce dell’ottocento che fu donato al santuario dalla parrocchia di Castellana Sicula..
La statua di San Giuseppe, in legno di cipresso, è un opera d’arte originale perché ritrae il santo in aspetto giovanile, forte e dignitoso.
 Presenta una grande finezza nelle linee del volto e delle mani, nei panneggiamenti classici e anche nella movenza e nel lieve slancio della persona. Sembra in cammino tenendo per mano il Bambino che sembra opera di un altro artista. La statua viene attribuita da qualche critico d’arte a Girolamo Bagnasco (Palermo, 30 settembre 1759; Palermo, 1832)

San Giuseppe

La statua lignea della Madonna si trova sull’altare maggiore. Tiene sul braccio sinistro il Bambino Gesù che con il suo dito indica ai fedeli di rivolgersi alla Madre tesoriera di ogni grazia divina.
Alla base della statua sono scolpite quattro graziose testine di angioletti che sembrano voler innalzare in trionfo la Vergine.
Nel 1947 un atto sacrilego deturpò i colori originali dell’opera (abbronzati).
Un opera dello scultore Filippo Quattrocchi di Gangi (1734; 1818).
Per la Madonna dell’Olio una grande venerazione non solo da parte dei cittadini di Blufi ma anche dai centri vicini e dalle città.
Madonna dell’Olio


Nella piccola chiesa si trovavano, prima di essere rubati, un affresco sulla volta e due grandi quadri ad olio su tela. Una tela rappresentava la Madonna seduta con il Bambino in braccio con ai fianchi San Giovanni Battista e una eroina martire; l’altra raffigurava il Crocifisso con la Madonna, l’apostolo Giovanni e la Maddalena, posti ai piedi della Croce.

“Madonna seduta con il Bambino”…. Tela trafugata…

“Il Crocifisso”…. Tela trafugata

CONVENTO

“Le casupole del vecchio convento, ormai inabitabili, furono costruite, con diverse aggiunte, in diversi tempi, che non possiamo precisare”
“Ma due vani, forse i più antichi,, conservano ancora intatta e solida la loro bella architettonica volta regale”.
“In queste vecchie e squallide casupole vissero allegramente, con tanti sacrifici, gli antichi custodi del Santuario e, per più di 10 anni, i primi Cappuccini qui venuti, 2 sacerdoti e 3 fratelli laici” .
Il nuovo convento annesso alla chiesa fu realizzato negli anni 1920-22 per iniziativa di P. Francesco Librizzi di Locati che, come abbiamo visto, riuscì a raccogliere i fondi finanziari necessari per la realizzazione della struttura.



Nella costruzione del nuovo convento partecipò attivamente la comunità di Blufi  con il trasporto, a dorso di muli, dal fiume Imera di tutte le pietre necessarie per la costruzione della struttura.

Il convento dopo circa 40 anni (1960/1970)  subì alcune trasformazioni anche di una certa consistenza. Venne abbattuto il piano superiore del convento perché lesionato. Proprio nel piano superiore per tre anni un gruppo di giovani allievi avevano iniziato i loro studi superiori sotto la guida di Padre Francesco da Locati. In sostituzione del piano abbattuto venne costruite alcune celle dei monaci nel salone posto al piano terra.

A poca distanza dalla chiesa venne costruito nel decennio 1880 – 88 un piccolo cimitero per i defunti delle piccole borgate di Blufi. Un piccolo cimitero che rimase operativo fino a dicembre del 1960. La presenza di questa piccola struttura conferisce al luogo un ulteriore senso di sacralità e di rispetto dell’ambiente.


Il Santuario  sembra al di fuori da ogni circuito turistico religioso. Per padre Cataldo Manzone  “il Santuario deve restare un luogo di spiritualità e non diventare un posto per turismo di massa. Altrimenti s’entra in un circolo vizioso da cui non si più uscire- io so di cosa parlo visto che sono stato cappellano a Lourdes. Vorrei, invece, farlo diventare un luogo di spiritualità, un ostello per utilizzare una terminologia umbra, per gruppi di preghiera e giovani”.

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4. BLUFI.. LA  PICCOLA  OLANDA… I  Tulipani selvatici davanti al  Santuario…
                      Un Miracolo  della  Natura


 A poche centinaia di metri dal Santuario della Madonna dell’Olio, da marzo a maggio, si rinnova uno stupendo spettacolo della natura… la fioritura di un tulipano selvatico, il Tulipa radii.
Migliaia e migliaia di tulipani rossi fioriscono in un seminativo tra un po’ di grano, mandorli ed ulivi.
Un vero spettacolo della natura che ha per sfondo le montagne siciliane così diverse per la loro orografia, ora dolci ora aspre.
Un tulipano che non fa parte della flora locale e dedicato al botanico fiorentino, Giuseppe Raddi, vissuto tra il ‘700 e l’800.
Tulipani che vengono della Persia dove erano chiamati “toliban” con la chiara allusione al turbante.
La pianta arrivò in Europa nel 1573 con il botanico olandese Carolus Clusius che ricevette i semi della pianta.

Giuseppe Raddi

Tulipa Raddii




I campi colorati di un bel rosso vivo non sono rari in Sicilia perché spesso dove fiorisce la sulla tingono di rosso le colline dell’isola così come per i papaveri anche se quest’ultimi non sono così numerosi.
Questo spettacolo della natura è in pericolo e rischia di sparire per sempre.
Il motivo o la causa di questo pericolo ?  l’Uomo.
Non è quindi colpa di un parassita e tanto meno di qualche erbivoro o dei cambiamenti climatici.
Il problema è causato dall’uomo, dalla sua cupidigia o sarebbe forse più giusto dire “della sua ignoranza”. Il campo attrae numerosi visitatori che prendono d’assalto il sito strappando i fiori fino al bulbo e addirittura calpestando il seminativo senza alcuna pietà.
Dal 2017 al 2019 il quantitativo di fiori sbocciati si è ridotto drasticamente tanto da fare pensare che tra qualche anno il campo in fioritura con i suoi tulipani sarà solo un triste ricordo.
Il terreno non è recintato e chiunque può camminare per il pendio della collina dove sorge il santuario senza seguire un percorso preciso.
S’incontrano persone con sacchetti e cestini atti a raccogliere, a strappare le piante con i loro bulbi.
Un vero delitto,,, un comportamento da selvaggi non rispettosi della natura. I fiori appena raccolti nell’arco di poche ore perdono la loro freschezza per afflosciarsi ed appassire finendo così…. nell’immondizia.






È difficile comunicare il danno perché chi si comporta in questo modo non ha alcuna sensibilità e quindi non è in grado di recepire i messaggi di rispetto.
Il rimedio ?
Certamente per un piccolo comune come Blufi non è facile risolvere il problema.
C’è però un aspetto da considerare dato che il campo è entrato in un circuito turistico diventando un centro di visite con benefici turistici anche per i centri vicini come Petralia.
Creare delle passerelle e recintare il campo anche con l’intervento economico dei centri vicini sarebbe la via più giusta e facile da percorrere.
Poi nel periodo della fioritura una presenza saltuaria del corpo di vigili urbani o anche di volontari o ancora di anziani (pensionati) magari pagati dai vari comuni con un servizio di sorveglianza .  Gli stessi anziani impiegati nel servizio troverebbero stimoli di vita importanti. In ogni caso  il presidio dell’ambiente è da sempre un incentivo al rispetto e alla protezione dei siti.
La Sicilia è anche questo… la bellezza di un campo di tulipani che si perde a vista d’occhio, in un paesino dell’entroterra che mostra tanta pace e bellezza.
Non poteva mancare anche la leggenda sulla fioritura di questi tulipani.
Si narra che due giovani sposi non riuscivano ad avere figli e andarono al Santuario della Madonna dell’Olio in un giorno di maggio per chiedere l’intercessione della Madonna. Deposero alcuni tulipani bianchi sull’altare che per miracolo, davanti all’immagine della Vergine, diventarono rossi. Dopo pochi giorni la giovane donna s’accorse di essere incinta.
Nel mese di febbraio la donna partorì due gemelli e al quarantesimo giorno dalla nascita dei due bambini i genitori si recarono nuovamente al santuario trovandolo chiuso. Ringraziarono la Madonna dal ciglio del portone e voltandosi videro che il campo alle loro spalle era pieno di stupendi tulipani rossi. Gli stessi tulipani che i due giovani con amore e fede avevano deposto sull’altare nel momento di chiedere la grazia quel giorno di maggio.
Una bellissima leggenda ma è lecito chiedersi come mai questi tulipani si trovino in quel campo davanti al santuario e da chi furono piantati i semi ?  Hanno resistito alle lavorazioni agrarie del terreno, dato che i bulbi si trovano a circa 50 cm di profondità, e nel corso dei secoli si sono moltiplicati ed adesso nel giro di pochi anni l’uomo li sta distruggendo… …




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5. LA FONTE DELL’OLIO

Una vecchia foto della fonte dell’olio


Una caratteristica del santuario à la presenza della vicina fonte di olio minerale. Un fenomeno che fu studiato da geologi e citato da antichi storici. Un fonte d’olio o di petrolio misto ad altri idrocarburi. Sembra che anche Aristotele, scienziato e filosofo della Grecia, si sia interessato alla fonte in una delle sue opere scientifiche.

La fonte fu anche citata da Gaio Giulio Solino, geografo e naturalista del III secolo d.C. che nella sua “raccolta di cose memorabili” così citava: “Anche lo stagno d’acqua dannosa per le serpi, ma salutare per gli uomini, esistente nel territorio di Petra (Petralia Soprana)”.
Molti storici ritengono che l’antica città di Petra sulle Madonie venne in seguito chiamata Petralia perché nel suo territorio c’era questa sorgente d’olio.
Vito Amico, storiografo regno della Sicilia, scriveva nel suo “Lexicon topograficum Siculum”, stampato a Palermo nel 1757  "Nel territorio di Petralia Soprana c'è una fonte celeberrima d'olio galleggiante, che, raccolto di mattina, viene conservato nei vasi. Vicino c'è la Chiesa rurale della Madre di Dio con custodi eremiti. L'olio è indicatissimo per curare malattie cutanee, sgorga abbondantemente e viene usato largamente nell'isola. Per questa fonte la città viene chiamata Pietra dell'olio e volgarmente Petralia."
E’ sempre Vito Amico nel suo Dizionario Topografico della Sicilia a parlare della città e a indicare nel 1612 la data di assegnazione del convento di Santa Maria di Gesù ai Frati Minori. Donna Raimonda Bonamico pose le somme e il popolo le braccia per edificare il Monte di Pietà, il Collegio di Santa Maria e l’Ospedale, quest’ultimo sorgeva vicino la chiesa dove c’erano due pietre nelle quali si sedette Sant’Alberto per riposarsi , sempre su queste pietre andavano a sedersi gli infermi perché ritenute salutari.

Naturalmente molti geologi ed anche tecnici hanno studiato quest’ antica fonte e qualcuno anche per conto di qualche compagnia petrolifera… purtroppo. Ricerche scientifiche in cui si è anche rilevato la quantità approssimativa del giacimento.
Il centro sperimentale per l’industria mineraria di Palermo (l’indimenticabile EMS (Ente Minerario Siciliano….. grandi galantuomini…….) negli anni cinquanta fece un analisi su un campione d’olio prelevato dalla sorgente “Madonna dell’Olio”.
Sembra assurdo ma i risultati vennero pubblicati… “"Il campione osservato a luce diretta si presenta di colore tra l'ambra oscura ed il bruno; a luce riflessa presenta un colore verde molto cupo. Peso specifico a 15,5 C = 0.94 corrispondente a 18 A.P.I.
Sono presenti composti solforati ( alchitifeni e tifani ) acidi naftenici ed ossigeno proveniente dalle resine. il campione si potrebbe definire grezzo di tipo paraffinico-naftenico. Si sono notati, in buona parte, anelli naftenici ed asfalteni”.


Distillazione frazionata:
Frazione fino a 200° (benzina)
1,92 in peso
Frazione da 200° a 300° (petrolio propriamente detto)
33,56
Frazione oltre i 300°
29,50
Residuo
33,34
Perdite
1,68

La tradizione cita che l’olio di questa sorgente era prima commestibile.
Poi qualcuno “ne attingeva, di notte, più del necessario, venne cambiato da prezioso liquido di condimento in liquido nero combustibile”.
Una profonda trasformazione chimica del liquido che qualcuno ha cercato anche di spiegare.
“Dagli storici sembra risultare e dalla bocca di anziane persone s’è appreso che la sorgente dell’olio, prima, era più vicino alla Chiesa. Tale sorgente si esaurì nel secolo scorso e l’affioramento dell’olio riapparve altrove, dov’è oggi a circa trecento metri dalla Chiesa. Dal cambio avvenuto dell’ubicazione della sorgente dell’olio, avrebbe origine la leggenda della modificazione chimica del liquido”.
Eppure, come detto prima, anche Aristotele citò la sorgente e parlò di olio commestibile…”esiste in Sicilia nell’agro sicanico un liquido di sorgente, di sapore salso e acidulo, adoperato come condimento in alcune specie di vivande”.
Queste parole farebbero riferimento ad una località di questa zona, secondo l’autore dei “Cenni Topografici e Storici di Petralia Soprana”, editi dalla tipografia Priulla di Palermo nel 1908.
L’autore, Giuseppe Inguaggiato Collisani, citò e commentò le parole di Aristotele: “"Nelle vicinanze della nostra città, tovavansi sorgenti di petrolio e di asfalto, il primo combustibile esiste presso il sud-ovest di essa, a circa km.9 di distanza, quale contrada chiamasi Madonna dell'olio (territorio di Petralia Soprana). Ivi esiste una chiesa con annesso conventino dedicato alla Madonna dell'olio".
Di tale contrada si occupò Aristotele nell'opera De Mirandis: "Est, quaedam, aqua in Sicilia Sicanico agro; ibi Nempe liquor salsi acidique saporis gignitur, quo ut aceto in quidusdam epularum generibus utuntur". Ager Sicanicus era il campo dedicato a Minerva, che nominata Sica, il campo fu detto così e trovasi fra Irosa e Avanella località vicinissime al territorio di Madonna dell'olio.


La fonte entrò nei racconti di Medicina Popolare di Serafino Amabile Guastella, Salamone Marino e di Giuseppe Pitrè.
Gli autori era concordi nell’affermare che in Sicilia nel popolo si erano radicate delle manifestazioni di fede medica nel petrolio che partiva da forme di credo e di misticismo dovuto al ritrovamento di Madonne in affioramenti di acque e petrolio e di “acque ardenti”.
Il Pitrè nel suo volume “Medicina Popolare in Sicilia” riportò che nelle Madonie si registrava “la prescrizione la prescrizione dell’olio della Madonna per la cura di forme reumatiche e di dolori articolari, la parte interessata veniva unta di petrolio e fasciata con filaccie di stoffa o tela e si riteneva più efficace la bendatura ricavata da filacci di una camicia di maschio” e continuava “Si è proclamato efficacissimo alla guarigione delle ferite e delle piaghe il petrolio di vari territori dell’isola”.
Un erudito siciliano, Leanti, nel suo “Lo Stato presente in Sicilia” (edito a Palermo nel 1761) scriveva: Dalle acque delle Petralie si raccoglie un olio balsamico giovevole ad ogni sorta di ferite a piaghe e ad altri vari morbi, chiamato volgarmente Petroleo “.
A Nicosia ( prov. di Enna ) si usava strofinare il petrolio o nafta, chiamato “Ogghiu d’à Madonna di Pitralia, nelle seguenti parti: gola, ascelle ombelico, anguinaglie, piante dei piedi, in casi estremi il petrolio anche veniva bevuto, pel puzzo che tramanda, esso mette in fuga i vermi e li costringe quindi ad uscire.


I saraceni estraevano il sale dalle cave e dalle miniere delle Madonie e frequentavano la Fonte dell’Olio di Petralia utilizzando l’olio per scopi medicinali, quando “attorno all’anno 1000 Ruggero il Normanno Conte e Re di Sicilia, libera l’isola dall’occupazione dei saraceni e nell’anno 1030  emana il decreto che riconosce la denominazione delle contrade delle Petralie (dalle pietre dell’olio)”.
In un atto notarile del 1479 redato dal notaio Gaspare Minardo si rileva che “CERTI UOMINI LEBBROSI RICERCATI DA UN REGIO PORTIERE (Portiere vale per Guardia) VENNERO TROVATI IN TERRA DI PETRALIA E PRESSO LA FONTE DEL PETROLIO”.
Greci, Romani, Saraceni, Lebbrosi per curarsi si recavano alla Fonte dell’Olio buona e salutare per gli uomini e dannosa per le serpi.
Il Pitrè continua nel suo racconto..” Alcuni fanno risalire la prima chiesa della Madonna dell’Olio all’ VIII° Sec. altri all’XI° sec., nel 1131 in una Bolla Pontificia del Sommo Pontefice Papa EUGENIO III° viene citata la città di Pietra Heliae , nel campanile della chiesetta tutt’ora esiste una piccola campana porta incisa la data 1135, un’altra campana più grande oltre a portare la data 1644 reca incisa la scritta : “ SANTA MARIA OLEI “ ( Santa Maria dell’Olio ).
Un’antica tradizione racconta : alla fine dell’XI° sec. alcuni popolani portavano in processione ( su un carro tirato da buoi ) un quadro della Madonna per liberare quelle contrade dal Colera, giunti in prossimità della Fonte dell’Olio , i buoi si fermano e non c’è verso e modo di farli muovere , la Madonna si ferma alla Fonte dell’Olio , la città si libera dal Colera , sul luogo venne eretta la prima chiesetta .



Lo storico prof. Sabatino di Petralia Soprana affermò che sul “luogo dell’antico ospedale costruito nel 1612, sorgeva in precedenza un ospedale dove i medici curavano forme reumatiche, malattie della pelle, cura dei vermi con unzioni e sfregamenti di petrolio e che per alcune malattie in detto ospedale veniva data a bere l’acqua con il petrolio. Nel 1500 il Petrolio Medicina, veniva somministrato come cura idropinica in questo antico ospedale di Sicilia; questa pratica del bere l’acqua della Madonna dell’Olio veniva praticata fino a pochi anni addietro dai fedeli che si recavano in pellegrinaggio al santuario, Padre Raffaele Fucà, parlava e indicava i paesi del circondario dai quali provenivano i pellegrini, egli si ricordava tante guarigioni compresa quella di un uomo di Resuttano, guarito negli anni 60 di un tumore dall’acqua e dalla fede verso la Madonna di Petralia. 16 Nel marzo 96 su invito di Padre R.Fucà ò bevuto l’acqua della Madonna, un misto di acqua salata, zolfo, petrolio e gas , parecchia fatica per ingoiarla e sentire nel respiro zolfo e petrolio”
Lo stesso prof. Sabatino riportò nelle sue ricerche un canto popolare del 1700 delle Petralie che esaltava le virtù dell’Olio della Madonna e la fede verso la Vergine Maria”:


LA MATRI DI L’OGHIU LA MADRE DELL’OLIO
Evviva di l’ogghiu, la matri d’amuri lodamu tutt’uri divoti nui ccà.
Si chiama di l’oghiu sta bedda Signura pri l’oghiu ch’ognura scurri di ccà.
Sintiti chi dici : lu corpu ristora e l’animi ancora chist’oghiu chi è ccà.
Di l’oghiu surgenti chist’è la funtana chi tutti ci sana li malignità.
Chist’0ghiu divinu di l’altu calatu ad ogni malatu saluti cci dà.
Lu vostru sant’oghiu o bedda Signura di subitu allura guariri ni fà.
Lodati vui dunca divoti ccu mia sta bedda Maria ch’è tutta buntà.
Lodatila spissu cu amuri ed affettu cu summu dilettu chi pregiu nni fà.
---------------------

Evviva dell’olio la Madre d’amore lodiamo tutte le ore devoti noi qui.
Si chiama dell’olio questa bella Signora per l’olio che ogni ora scorre di qui.
Sentite che dice: il corpo ristora e le anime ancora quest’olio che è qui.
Dell’Olio sorgente questa e la fontana che tutte ci guarisce le malignità ( malattie )
Quest’olio divino dall’alto disceso ad ogni malato salute gli dà.
Il vostro Sant’olio O Bella Signora subito all’istante guarire cì fà.
Lodate voi dunque devoti con me questa bella Maria ch’è è tutta bontà.
Lodatela spesso con amore ed affetto con sommo diletto che bene cì fà.
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C’è anche un  “Inno alla Madonna dell’Olio” scritto da Padre Raffaele Fucà che fu rettore del Santuario fino al 1977:

Madonna bella, s’effonda ovunque tuo nome e splenda fulgida stella.
Ave, Maria, Ave !
Di Nostra Vita rischiara e allieta sempre il cammino, e madre veglia ... Ave, Maria, Ave !
Olio soave tuo dolce nome : dolor lenisca e ci consoli Ave, Maria, Ave !
Col suo ditino a noi ti addita madre di grazie, Gesù Bambino Ave, Maria, Ave !
O madre buona, tu nostre colpe perdona e grazie e ciel ci dona. Ave, Maria, Ave !

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 Sia il canto popolare del 1700 che l’Inno scritto da Padre Fucà non rappresentano il folclore religioso ma la preghiera e il ringraziamento alla madonna e al suo olio santo, che come espressione della Natura, ci è stato donato da Dio Creatore per guarire le malignità.





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6. IL PONTE ROMANICO









Un antico ponte nel cuore delle Madonie che ha resistito al passare dei secoli. Posto lungo il fiume Imera  Meridionale, a ridosso delle colline di Blufi, segna il confine tra i comuni di Petralia Sottana e Soprana. Nella tradizione locale è conosciuto come “ponte romano” ma in realtà le sue origini sembrano medievali probabilmente intorno al 1100.
Le fonti storiche parlano di un ponte a tre luci anche se oggi è chiaramente visibile la luce centrale. È  circondato, protetto, da una ricca vegetazione ripariale e, purtroppo, in parte sepolto da detriti fluviali.
Lo storico Francesco Maria Emanuele Gaetani, marchese di Villabianca, nel suo libro “Ponti sui fiumi di Sicilia” , lo cataloga al numero “35” e lo descrive..” “Ponte di Belufi, seu di Petralia Sottana, nel territorio di detta,… Tiene di sotto un dè rami del grande fiume Salso, volgarmente di Madonia, e che va a morire presso le mura della città di Licata”.
Nel 2005, grazie ad una richiesta del Comune di Blufi, la Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo finanziò ed eseguì un intervento urgente di messa in sicurezza del ponte. Fu ricostruito il concio mancante nella spalla sinistra, furono ripristinate la murature ed eseguiti altri lavori con mattoni e pietrame. Con questi interventi si riuscì a ridurre le lesioni ed a salvaguardare la pavimentazione in basole.
Un bene da proteggere e da valorizzare. In questa direzione da tempo si muove il Comune di Blufi per chiedere un ampliamento  dell’area del Parco delle Madonie che fu avanzata, oltre che dal comune di Blufi, anche dai comuni di  Bompietro, Alimena, Gangi e Lascari.








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7. LA  ROCCA  DI MARABUTO








Rocca di Marabuto

Posta a circa 3,5 km a sud di Blufi,  è probabilmente una tomba risalente alla dominazione araba. È costituita da massi accatastati e forse destinata a sepoltura di un personaggio importante.
Non so se la tomba sia stata oggetto di indagine archeologica ma qualche storico ha cercato di descriverla citandola come “una specie di seso o nuraghe, cioè un qualcosa di monumentale costruito con grossi sassi accatastati, in cui venivano seppelliti guerrieri arabi che per valore o saggezza erano considerati condottieri Santoni. Marabuto, situato in direzione est ai piedi di una collinetta che lo ripara da ovest, dev’essere perciò considerato la tomba di un condottiero arabo caduto in battaglia verosimilmente durante l’assedio di Enna”.
La tradizione locale cita la presenza di un fantasma che abiterebbe tra queste pietre.

Penso che sia importante a questo punto, anche per cercare di capire il monumento, chiarire la definizione di “Marabuto” e in ogni caso cosa rappresenti  o significhi.
Ho trovato il termine “marabutto” dall’arabo “marbut” (asceta, marabutto) o “murabit” (che vive nel ribat, marabutto). È un termine di ambito islamico/africano, in particolare nella regione dell’Africa subsahariana ma anche, in misura minore, del Nord Africa.
Qualcuno potrebbe obbiettare che il termine della Rocca è “marabuto”. Un cambiamento probabilmente legato alla tradizione locale e nel dizionario Treccani il termine è considerato “non comune”.
Marabuto sarebbe quindi legato alla pronuncia dialettale di “morabit” e si conserva ancora oggi in alcuni cognomi tipici della Sicilia come “Morabito” e “Murabito”.

All’inizio il termine indicava un musulmano considerato “santo”. Da questo significato  discendono diverse accezioni nel significato della parola “marabutto”/”marabuto”:
-          Un santo riconosciuto a livello locale e la cui tomba è oggetto di venerazione o culto popolare;
-          Il termine per estensione indica anche una tomba a cupola (dall’arabo “gubba”, “cupola, tenda, baldacchino, marabutto) in cui è sepolto e si venera il santo;
-          Il termine si usa anche per indicare qualunque altro segno esteriore (cumulo di pietre, albero, sorgente..) la cui religiosità popolare ha attribuito virtù simili a quelle dei “Santi” (in questo caso i marabutti corrispondono ai berberi (aessas” cioè “custodi”);
-          Marabutto è anche il termine con il quale si indicavano i monaci-guerrieri addestrati in conventi-fortilizi (ribat, intorno al X –XI secolo) e che costituirono un movimento di rinascita spirituale islamica che animò la dinastia degli Almoravidi (al-Murabitun).
Si tratta quindi anche di un termine qualificativo di personaggi che si diffusero in gran parte del Nord Africa e che sostenevano di provenire dai ribat dell’estremo occidente (tra Marocco e Mauritania). Personaggi a cui erano attribuiti molteplici poteri. Con l’aiuto di talismani era in grado di ristabilire la salute e soprattutto l’ordine sociale.
Ancora oggi in Marocco, in Algeria e nel resto del Nord Africa, ogni villaggio ha il suo marabutto cioè il santo locale che protegge e apporta benedizione ai suoi abitanti e a coloro che vengono a visitarlo.
Già in poca cristiana era diffusa l’abitudine di porre ogni luogo abitato sotto la protezione di un santo. Sant’Agostino (354-430), nato a Tagaste (Algeria) descriveva la sua “terra disseminata di tombe dei santi”. Un’antica religiosità popolare che è sopravvissuta all’islamizzazione e che ha finito per integrare il vecchio culto con la nuova religiose.
In Marocco è ancora oggi il marabutto un “ personaggio dotato di poteri più magici che religiosi, a cui si attribuiscono poteri soprannaturali, taumaturgici e profetici”.
“Un antico marabutto si poneva in bocca le monete che gli venivano offerte per santificarle con la sua saliva”.



Marabutto di Sadi Abdallah in una stampa del 1921








Nella rocca doveva esserci una piccola camera sepolcrale, costituita da pietre, dove era posto il corpo del marabutto. Un corpo che non doveva avere nessun contatto con la terra che è considerata impura. Il corpo, secondo il rito islamico, doveva essere appoggiato sul fianco destro con il capo rivolto ad Ovest ed il voto rivolto a sud; le gambe leggermente flesse e le braccia distese lungo il corpo.  La rocca , che come detto è costituita da massi sovrapposti e accatastati, sarà stata oggetto di manomissioni a causa dell’intervento di tombaroli molto scrupolosi alla ricerca di qualche reperto importante. Certo non sapevano, questi scrupolosi “studiosi”, che i musulmani venivano sepolti per lo più senza alcun corredo.
La contrada Marabuto è considerata area archeologica e desta molto interesse negli archeologi anche se, a quanto sembra, almeno fino adesso non sono stati mai avviate delle ricerche ben precise.
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8. LA DIGA DI BLUFI  E  LA STRADA  NEL NULLA....







Una delle incompiute della Regione Sicilia … la Diga di Blufi. Nel progetto avrebbe dovuto fare da vaso di collegamento tra la Diga Ancipa e la diga del Fanaco per la distribuzione delle acque nelle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Un bacino immenso con una capienza di ben 22 milioni di mc. Una cifra importante, come riferisce qualche testata giornalistica, perché nel 2018 era disponibili circa 123 milioni di mc d’acqua e l’isola soffriva di problemi di siccità.




Della diga di Blufi s’iniziò a parlare nel lontano 1963 e il lavori iniziarono nel 1989 (D.A. n. 00888/6 del 30 giugno 1989).
Un inizio non certo agevole perché contrastato dai cittadini e dalle associazioni che erano contrarie alla costruzione della diga per il devastante impatto ambientale che la realizzazione dell’opera avrebbe comportato.


 Il Mulino “Oliva” fu distrutto per la costruzione delle diga..

Furono stanziate cifre importanti… 300 miliardi di lire con l’aggiunta di altri 120 miliardi stanziati per il completamento a seguito di continue varianti e perizie suppletive.
I lavori furono interrotti nel 1995 e coincisero con l’istituzione del Parco delle Madonie. L’interruzione fu legata al divieto di reperimento di materiale dalle cave che si trovavano all’interno dell’istituendo Parco.

Diga di Blufi – Lavori iniziali

Nel 2001, presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, i lavori furono ripresi grazie al rapporto tra l’EAS (Ente Acquedotto Siciliano che era controllato dalla Regione)…. sempre presente… e purtroppo… e l’associazione d’imprese. Riuscirono a superare  il problema che aveva causato l’interruzione dei lavori…. come ?  Devastando altri territori con l’istituzione di altre cave che si trovavano fuori dall’area protetta.
I lavori furono nuovamente interrotti….perchè?
 Nel fascicolo di documentazione della costruzione della diga mancava il documento forse più importante….la verifica dell’impatto ambientale.
E’ strano che un ente così importante e tecnico come l’EAS non si sia accorto della mancanza del documento….
Da allora i lavori non furono mai ripresi…
Il costo totale dell’opera incompiuta al 2015 ammontavano a ben 260.000.000 circa di euro… ovvero 500 miliardi delle vecchie lire.
Secondo il Registro Italiano Dighe per il completamento dell’opera servirebbero ben 155 milioni di euro… numeri altissimi che fanno parte, per fortuna, di un miraggio.



Il 31 gennaio 2001 il Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i beni e le Attività Culturali ….(Governo : Amato II ….- Ministro dell’Ambiente: Willer Bordon – Ministro per i Beni e le Attività Culturali: Giovanna  Melandri)







Una triste realtà quella raccontata resa possibile da logiche di accumulazione illecita tipiche di un sistema in cui a fare da protagonista è sempre stato quel grande matrimonio tra politica e mafia.
Aveva proprio ragione il compianto Paolo Borsellino quando diceva:

“Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio:
o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.


L’opera in definitiva fu uno scempio con gravi danni ambientali. I cittadini di Blufi si ribellarono ma non potevano fare nulla sul “controllo mafioso dell’acqua e più in generale di una politica delle opere pubbliche all’insegna dello spreco e del clientilismo”.


Le “maestranze” di Cosa nostra erano interessante alla diga di Blufi e questo in base alle rivelazioni di Riggio e alle lettere a Provenzano.
Nelle rivelazioni del collaboratore di Resuttano ai magistrati  è presente un aneddoto sulla diga incompiuta di Blufi che avevano finito con l’attirare gli interessi economici dei mafiosi : “Sono sorti dei problemi abbastanza seri, già si parlava di guerra”.
“Le regole di Cosa nostra sono sempre le stesse, non sono cambiate mai”.  Una frase contenuta  nelle rassicurazioni di Bernardo Provenzano, scritta in un pezzino, che decretavano il da farsi a proposito della diga di Blufi.
Malgrado le continue interruzioni, c’era  il controllo attento della mafia per completare la diga con costosissimi lavori.
Rivelazioni del pentito Pietro Riggio nel suo interrogatorio del 7 giugno 2018 con i magistrati di Caltanissetta.
I Maranto rivendicano la titolarità della zona e quindi intendono espletare tutte quelle che sono le forniture, calcestruzzo, inerti, anche perché la diga necessitava di tre strati di inerti differenti, di cui sabbia, pietra, breccia. A un certo punto viene fuori un imprenditore di Bagheria, che doveva portare sia il materiale necessario per la diga dalle cave che lui aveva a Bagheria, sia effettuare i trasporti per quanto riguardava questi lavori”.
“Naturalmente sono sorti dei problemi abbastanza seri, abbastanza ardimentosi perché già si parlava di guerra, di questo, di quell’altro”.
Guerra tra famiglie rivali ?
No, no. La guerra tra i Virga e i Maranto è un’altra cosa”.
“Quella sarebbe nata non per la diga ma per contendersi la leadership sulle Madonie. Perché i Virga si erano appoggiati a Provenzano, mentre i Maranto si erano appoggiati, diciamo, erano dell’altra ala e quindi erano invisi a Provenzano. Quindi poi li fecero fuori”.
Saverio Maranto, coinvolto nel blitz “Black Cat” di due anni fa, è stato prima condannato a undici anni e sei mesi in primo grado e poi, lo scorso aprile, assolto in appello. Mentre Antonio Giovanni Maranto, più recentemente coinvolto in un’altra operazione, è finito in carcere nel 2018 e dovrà rispondere dell’accusa di aver ricoperto il ruolo di reggente della famiglia mafiosa del vicino paese San Mauro Castelverde.
«I lavori andavano fatti dopo che l’opera era rimasta incompiuta dall’Astaldi. Siamo subito dopo il giugno del 2002. Io metto carta e penna e faccio una lettera per Bernardo Provenzano che consegno, dopo che la legge, ad Agostino Schillaci di Campofranco, che aveva il contatto epistolare con lo Zio. Nella lettera io chiedo se le regole di Cosa nostra sono sempre le stesse, se le regole di attribuzione dei lavori sono sempre uguali, se dove ricadono i lavori se ne deve occupare la famiglia, salvo il diverso avviso da parte sua e che c’avrebbe fatto sapere qualche cosa in merito».
Cosa che, in effetti, il padrino fa. Passa appena un mese, ed ecco arrivare una lettera con una sua risposta. Le regole sono sempre quelle, la mafia è mafia, non contempla stravolgimenti. Specie in materia di imposizioni e affari illeciti.
C’è, però, un unico monito: «Tu non devi fare il mio nome», scrive in calce il padrino latitante. «Testuale, diceva proprio “tu non devi fare il mio nome”.
Allora ho elaborato, ho pensato, ho detto - si scervella Riggio - “Non devo fare il suo nome, nel senso che questa risposta non mi arriva da parte sua, quindi non prendere avvalli dicendo che me l’ha detto lo Zio». Ma qualche mese dopo scopre che il senso di quella frase inviata dal boss era piuttosto diverso.










Oltre alla diga… un'altra incompiuta… “Un Ponte sul Nulla”. Nessuna strada che permetta di raggiungerlo, solo campagna e qualche casolare intorno.  Una struttura in c.a. messa in opera dal 1998. Si trova a poca distanza dalla diga. Il perché di questo ponte ?
La strada che lo dovrebbe attraversare dovrebbe collegare lo svincolo Irosa, sull’autostrada Catania – Palermo, e i paesi circostanti. Ma la strada non è stata mai realizzata.


Questa strada partendo dallo svincolo di Irosa si sarebbe dovuta collegare con la strada statale 290  che arriva fino al bivio detto della “Madonnuzza”.

Un ‘opera per cui erano stati stanziati 8 miliardi delle vecchie lire ma di cui si è realizzato solo un ponte.
Dopo l’apertura dello svincolo di Irosa, nel 2014, si aspetta da anni la realizzazione di questo secondo lotto (Blufi-Madonnuzza), che darebbe ulteriore linfa vitale alla viabilità delle alte Madonie.


La mancata realizzazione della strada fu legata ad una serie di problemi: il comune, capofila, di Petralia Soprana aveva dovuto rescindere il contratto, con l’impresa che si era aggiudicata i lavori, per motivi giudiziari; la priorità nel completamento dello svincolo autostradale di Irosa e per ultimo l’Assess. Regionale al Territorio aveva rilevato che l’opera non era conforme agli strumenti urbanistici.
Mi auguro solo che una volta ripresi i lavori per la realizzazione della strada non venga stravolta l’area circonstante il Santuario della Madonna dell’Olio. Una preoccupazione spiegabile con la vicinanza del ponte all’area del Santuario.
Il 27 giugno 1996 fu istituito il Vincolo Paesaggistico sul territorio dei Comuni di Alimena, Blufi, Bompietro, Castellana Sicula, Petralia Soprana, Petralia Sottana ai sensi della legge n. 1497/39
(vincolo  sulla porzione  di territorio a  ridosso della perimetrazione del Parco delle Madonie  e ricadenti tra i fiumi Imera Meridionale  Salso  e  comprendente   i  comuni  di  Alimena,  Blufi,
Bompietro, Castellana Sicula, Petralia Sottana e Petralia Soprana)…..





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9. La Sagra del Finocchietto Selvatico










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1.      A  SPASSO  PER BLUFI






















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PRESEPE ARTISTICO MECCANICO


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