BLUFI (Palermo) - UNA PICCOLA OLANDA IN SICILIA… IL PAESE DEI TULIPANI
Indice:
1.
Il
Territorio;
2.
Storia;
3.
Il
Santuario della Madonna dell’Olio – La storia del Santuario e la sua struttura;
4.
Blufi… La Piccola Olanda con i suoi Tulipani
Selvatici davanti al Santuario. Un Miracolo della Natura… a rischio d’estinzione
per colpa dell’uomo – La leggenda;
5.
La
Fonte dell’Olio Minerale vicina al Santuario e le sue antiche proprietà
medicamentose; La Medicina Popolare Siciliana di G. Pitrè;
6.
Il
Ponte “Romano”;
7.
La
Rocca Malabuto… ovvero la tomba di un importante musulmano;
8.
La
Diga di Blufi…. Incompiuta….. storia di Mafia e “La Strada sul nulla”; N. 2
Video sulla Diga: Il Buco Nero;
9.
La
Sagra del Finocchetto;
10. A spasso per
Blufi..
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1. IL
TERRITORIO
Blufi,
“Malupassu” in dialetto locale, è un
piccolo comune di 962 abitanti posto nella provincia di Palermo. Si trova sul
versante meridionale delle Madonie con un’altitudine compresa tra gli 850 e i 500 m s.l.m.
Il
territorio comunale comprende Casalgiordano, un’isola amministrativa posta tra i comuni di
Gangi ed Alimena, ed una serie di frazioni che si trovano vicino al centro
capoluogo: Alleri, Lupi e Ferrarello, che sono separate da Blufi dal torrente
Nocilla, e Calabrò, Nero e Giaia Inferiore che si trovano lungo la strada che
conduce alle Petralie (Sprana e Sottana).
Il
territorio è attraversato dal fiume Imera Meridionale e dai Torrenti Nocilla ed
Oliva.
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2. STORIA
Le fonti storiche sul centro di Blufi non sono
numerose e anche sulla denominazione non tutti gli storici sono concordi.
Il termine “Blufi”
appare per la prima volta in un documento del 1211 in cui la chiesa palermitana
concedeva a Federico II di Svevia numerose concessioni tra cui i “Proedia Buluph apud Petraliam” cioè i
possedimenti chiamati “Buluf presso
Petralia”.
Bisogna giungere al 1482 quando in un testamento
appare il termine “Morata Bufali”.
Il termine non è sempre lo stesso perchè in altri
documenti s’incontrano i toponimi “Belufi
/ Balufi / Bolufi” fino a quando in
un documento relativo al Santuario della Madonna dell’Olio appare il termine
attuale “Blufi”.
Secondo gli storici il termine Blufi sarebbe legato a
due parole greche: “Boos” (bue) e “lofos”
(colle). Termini legati ad un
leggendario “Colle del Bue” di cui si sono perse le tracce.
La storia del centro fu sempre legata a quella del
centro di Petralia Soprana di cui Blufi era frazione fino al 1972.
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3. SANTUARIO
DI SANTA MARIA
DELL’OLIO
Il
Santuario sorge a circa 3 km a sud del centro ed è posto a 660 m s.l.m. La sua
denominazione è probabilmente legata alla forte presenza di oliveti nel
territorio. Caratteristica che avrebbe dato il nome anche al torrente Oliva che
lambisce la collina del Santuario e che sfocia nel fiume Imera Meridionale in
una zona che è chiamata “Giardini d’Oliva”.
Il
termine potrebbe anche essere legato alla presenza di una caratteristica
sorgente di olio minerale che è posta a pochi metri dal Santuario.
Una vecchia foto
della fonte d’olio minerale
Dal
punto di vista storico il Santuario è citato sin dal XII secolo, con una
piccola cappella dedicata alla Madonna, e in un documento, risalente al secolo
scorso, è contenuta la sua data d’origine o di fondazione risalente all’VIII
secolo.
L’importante
manoscritto è del 1832 e contiene informazioni al governo borbonico sul Santuario
della Madonna dell’Olio e fa risalire la prima origine della cappella, come
detto, al secolo ottavo.
È
infatti riportato.. “è fuor di dubbio che
quel Santuario è soggetto al Rev.mo Arciprete di Petralia Soprana, che la
Chiesa nell’ottavo secolo fù costruita dai fedeli sparsi nell’economie di
quelle vicine campagne, e riedificata dalla pietà del clerico D. Francesco
Ferrara di detta Petralia nel 1762”.
Secondo
l’importante giudizio degli archeologi, le pietre intagliate che si trovano
all’orlo della predella dell’altare maggiore sono databili al secolo XII.
Nella
campanella, dal caratteristico dolce suono argentino, che dà il segnale
dell’inizio della Messa, è inciso, assieme a tre foglie, l’anno 1135.
Tra
la fine del 1400 e l’inizio del 1500 l’Eremo fu posto sotto l’Alto Patronato e
la Giurisdizione del Sovrano Ordine Militare Gerosolimitano di Malta. Un Ordine
con un preciso scopo ospedaliero ed assistenziale che si distinse per le
imprese militari in aiuto e sostegno dei Crociati.
La
Croce dei Cavalieri di Malta è dipinta e scolpita in diverse parti della
chiesa.
La
data del 1500 dovrebbe essere veritiera per l’assegnazione perché in quell’anno
Carlo V concesse al Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta l’isola di Malta e
altri possedimenti in Sicilia tra cui la chiesa della Madonna dell’Olio di
Blufi che allora era filiale della Chiesa Commendale e Magistrale di San
Giovanni Battista in Polizzi Generosa.
Chiesa della Commenda di Polizzi
Generosa
In
una tabella esposta in sagrestia è riportato che il papa Sisto V (in carica dal
1585 al 1590)…”concedeva l’indulgenza di
200 giorni ai fedeli che di cuore contriti recitassero le Litanie della Beata
Vergine Maria in questa chiesa”.
Un
documento importante perché tra il 1585 ed il 1590 la fama del santuario,
piccola e sperduta chiesa dell’entroterra siciliano, era giunta fino a Roma
presso il Vicario di Cristo e probabilmente per interessamento di qualche
personaggio importante o dell’Ordine di
Malta.
Altro
aspetto importante è che l’indulgenza concessa da Sisto V fu confermata
successivamente da altri papi: Benedetto XIII, Clemente XIII e Pio VI.
Fu
retto in passato prima dai monaci Basiliani e successivamente dai Preti Eremiti
Secolari, e ancora dall’Ordine dei Cavalieri di Malta e dall’inizio del
Novecento dai Cappuccini dell’Ordine Francescano.
Fra
gli eremiti è da ricordare Fra Mariano Vaccarella, originario di Blufi dove era
nato nel 1826 e morto il 25 maggio 1896.
Un
frate d’altri tempi…”capo degli Eremiti,
fece sovrabbondare di elemosine l’Eremitorio e riuscì ad ottenere il riscatto
della Chiusa, di cui s’era appropriato il Demanio Regio, per le legge iniqua e
settaria del 1866”
“Aveva una
profonda filiale devozione alla Madonna, che inculcava negli altri; e quando la
statua della Madonna, attraversando le campagne, riarse della troppa prolungata
siccità portata in commovente processione di penitenza e implorazione, per
alcuni giorni a Bompietro, egli non abbandonò mai, né giorno né notte, il sacro
simulacro. I superstiti di alcuni anni addietro ricordavano che quell’anno,
nonostante la mancanza di pioggia, fu un’annata memoranda di straordinaria
abbondanza di raccolta di grano, per grazia di Maria”.
Padre Vaccarella
Fino
al 1975 il suo ricordo era molto vivo nel paese e la sua notorietà era
circondata da innumerevoli episodi di carità. Godeva di molta stima e
considerazione presso i nobili di un tempo fra cui il Conte Ventimiglia di
Castelbuono e il principe di Trabia. Il cav. Giuseppe Villari, quando morì fra
Mariano, consigliò i familiari di far
eseguire un ritratto a sua memoria. Ritratto che fu eseguito “con molta arte espressiva” da D. Fanino
Gargano.
Il
16 giugno 1910, il Vescovo di Cefalù, Mons. Anselmo Sansoni, dell’Ordine
Francescano dei Frati Minori, con rescritto del 12 novembre 1911, affidava il
Santuario della Madonna dell’Olio, con l’uso perpetuo dei suoi beni mobili e
immobili, alla Provincia Monastica messinese dei Cappuccini che già da quattro
secoli possedeva il Santuario di Gibilmanna.
Al
piccolo Santuario all’inizio furono assegnati due sacerdoti e tre fratelli
laici, uno dei quali aveva l’incarico di questuare il grano per il Seminario
Serafico provinciale.
Come
superiore della comunità religiosa fu nominato P. Francesco da Locati.
Con
decreto del 3 maggio 1913 la Chiesa della Madonna dell’Olio venne eretta a
Vicaria Curata della competente autorità ecclesiastica del Vescovo di Cefalù.
Il
Concedente (il Vescovo di Cefalù) voleva “che
a rendere il dovuto onore alla Chiesa Madre di
Petralia Soprana in ogni anno nella festa dei Santi Apostoli Pietro e
Paolo, nuovo Vicario Curato e suoi successori con parrocchiani si recasse
processionalmente a quella Chiesa e offrisse all’altare maggiore un cereo, di
cera lavorata, del peso di 5 libbre, in segno di riconoscenza”.
“ In occasione
della solenne proclamazione della nuova Vicaria, avvenuta il 13 maggio 1913,
erano presenti alla cerimonia, nel Santuario, 16 sacerdoti, provenienti da diverse parrocchie,
anche lontane, fra gli altri l’Arcip. Costantino Stella parroco di Resuttano e
l’Arcip. Giuseppe Torre parroco di Alimena; tutti i sacerdoti apposero la loro
firma in un foglio timbrato con timbro del Santuario, che ancora si conserva”.
Il
10 dicembre 1915 la Chiesa della Madonna dell’Olio da Vicaria Curata venne
elevata e costituita economicamente in parrocchia con tutti i diritti e
privilegi parrocchiali.
Titolare
della parrocchia era sempre P. Francesco da Locati.
Padre
Francesco da Locati (Gaetano Librizzi) era nato il 20 luglio 1879 e si “formò culturalmente e spiritualmente alla scuola d’un venerando sacerdote
cappuccino, P. Antonino Fedele Bencivinni da Petralia Sottana, autore d’un
celebre pubblico orologio solare; vestì giovinetto l’abito di S. Francesco
d’Assisi”.
Fu
ordinato sacerdote dopo un anno di permanenza nella missione greca di Candia e
venne destinato successivamente come cappellano nella Chiesa della Madonna
dell’Olio, in sostituzione dell’anziano sacerdote Don Illuminato Alessi da
Petralia Soprana.
Padre
Francesco pensò subito di migliorare l’aspetto del santuario. Ottenne che la
bolla vescovile della sua nomina a Vicario Curato fosse riconosciuta anche
civilmente. Un riconoscimento ottenuto con decreto regale del 20 luglio 1915,
firmato da Tommaso di Savoia, Duca di
Genova, luogotenente del re Vittorio Emanuele III.
Nominato
primo parroco della nuova parrocchia si dedicò subito al miglioramento del santuario per il bene spirituale dei suoi
parrocchiani sparsi nelle diverse “abbandonate
borgate di Blufi, dove allora non c’era nessuna chiesa né cappelli e tutte le
funzioni religiose si svolgevano, quindi al Santuario”.
Con
il suo carattere aperto ed espansivo e con l’amore verso il suo Santuario,
riuscì a conquistare la simpatia dei parrocchiani di Blufi che con grande animo
rispondevano agli appelli d’aiuto per il bene del Santuario. Pensò d’ingrandire la Chiesa e di costruire
un nuovo convento per i religiosi.
Padre Francesco da
Locati
In una sua lettera
egli dà ampia relazione con tanti particolari del suo viaggio d’andata e di
ritorno e ringraziando elenca i nomi di tutti gli emigrati che diedero la loro
offerta”.
“Con la cospicua
somma raccolta, intraprese i lavori d’ampliamento della chiesa, che non potè
portare a due piani”.
“Ed essendo
chiuse, in quel tempo, per qualche anno, le Scuole Normali di Petralia Sottana,
egli ardì aprire nel convento una scuola privata ginnasiale, che diede qualche
buon frutto e ispirò qualche vocazione sacerdotale”.
“Ma nel campo
l’uomo nemico seminò la zizania, e principalmente per la paura dei frati..” nel 1927 i Religiosi dovettero abbandonare il
santuario con grande dispiacere dei fedeli e naturalmente di Padre Francesco.
Padre
Francesco che prima di morire ebbe la gioia, nel maggio 1941, di riprendere
l’amoroso culto mariano, anche se non in modo definitivo, nel Santuario della
Madonna dell’Olio che tanto “amò tanto
lavorò e si sacrificò e soffrì”.
“Morì nel convento
di Petralia Sottana, in cui era guardiano, il 23 ottobre 1943, compianto
specialmente da coloro, in mezzo a cui aveva prodigato le migliori energie
della sua vita”.
Petralia Sottana –
Convento dei Padri Riformati
I
fedeli di Blufi, con le loro proteste, e le autorità municipali di Petralia
Soprana, in particolare del canonico Antonio Averna, podestà del Comune, chiedevano la riapertura
del santuario con il ritorno dei religiosi. Il Vescovo di Cefalù, Mons.
Emiliano Cagnoni, il 20 settembre 1951 affidò definitivamente e in perpetuo
all’Ordine Cappuccino il Santuario e Convento della Madonna dell’Olio con una “minima porziuncola di terreno”.
La
concessione di terreno fa sorgere spontaneamente delle domande sul perché nel
1927 i religiosi dovettero abbandonare il Santuario per “paucità “ dei monaci.
Forse
i terreni erano ambiti da personaggi in odore di mafia per cui gli stessi frati
furono oggetto di reiterate minacce ? Quella frase “minima porziuncola di terreno” non può non dare adito a dei forti
dubbi.
“I Rettori che, dopo la morte del benemerito
padre Francesco da Locati, si sono avvicendati nella custodia, amministrazione
e direzione del Santuario, P.Fancesco da Petralia Soprana (1944- 1950),P.
Andrea da Castellana (1951- 1953).M.R.P. Luigi da Gangi (1960-1967), P Raffaele
da Blufi (1953-1959, 1968-1977), si sono tutti prodigati con molto impegno e
con molti sacrifici per migliorare sempre più le condizioni e le sorti del
Santuario, divenuto approdo spirituale per molte anime, centro propulsore di
spiritualità mariana e di vita cristiana”.
Il
Santuario fino al 1977 fu retto da Padre Raffaele Fucà, un monaco eremita.
Ai fedeli in pellegrinaggio al Santuario gli
eremiti offrivano Acqua ed Olio per riacquistare la salute.
Padre Raffaele
Fucà
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LA STRUTTURA DEL SANTUARIO
Il Santuario nel 1944
La
facciata del settecento presenta elementi d’artigianato locale con il suo
portale in pietra e “col suo sovrastante
terminale snello campanile, tagliato con 2 archi, con volute laterali e cuspidi
in cima”.
“Il piccolo artistico
campanile, colpito da un fulmine, era stato ricostruito nel 1889, tutto in
pietre ben intagliate e lavorate”.
“ In epoca recente
…” nella
seconda metà del 1900..”presentando
qualche lesione e pericolo, invece di ripararlo, alcuni decisero di demolirlo e
abolirlo completamente”.
Il
risultato finale ? Un campanile in
cemento armato,,,,”un nuovo ordinario
borghese campanile, addossato al lato anteriore della chiesa”. In
definitiva un campanile che stravolge l’aspetto originario del Santuario.
Sul
portale si trovava l’antico stemma gentilizio in marmo, di un alto ufficiale
dei cavalieri di Malta. Apparteneva al balì dell’Ordine dei cavalieri di Malta,
Don Pietro Marcello, di famiglia torinese, Commendatario della Commenda di
Polizzi Generosa.
Si
trovava…. Fu rubato………
Il
pavimento della chiesa fino al 1950 era costituito da mattoni in terracotta
maiolicati e colorati con bei disegni e figure…Essendo moltissimi mattoni scoloriti e consumati, nell’anno 1950 il
pavimento venne integralmente rifatto
con ordinari mattoni in scaglie di cemento….”.
Lavori
assurdi perché causarono anche la scomparsa delle tre fosse sepolcrali, “vennero riempite”, che erano chiuse da
lastre di marmo. In queste fosse venivano “deposte,
prima dell’istituzione del cimitero, le spoglie mortali e le ossa dei defunti”.
“Prima delle leggi
napoleoniche, le chiese per gli italiani erano veramente patria, casa e tomba”.
“Alcuni nobili di
Petralia Soprana, devotissimi della Madonna, nelle loro ultime volontà
espressero il desiderio di esse seppelliti in questa chiesetta . E anche dopo
la nuova pavimentazione, qualche tomba e lapide sepolcrale è rimasta nei muri
laterali della cappella della Madonna”.
Interno del
Santuario in una vecchia foto
L’interno
(la chiesa misura 20 x6 m) è decorato
con pregevoli stucchi che risalgono al 1841. Lavori artistici che sono
riportati in un iscrizione posta al centro dell’arco principale: “Oleum effusum nomen tuum 1841” (“Come olio
effuso è il tuo nome”)..
All’interno
del Santuario in più parti risulta dipinta la Croce dei Cavalieri di Malta. E
furono probabilmente loro ad indurre Papa Sisto V nel 1585 a concedere i giorni
di indulgenza a chi si recava a pregare nel santuario.
L’altare
in marmo è del 1860 e fu una donazione del barone del feudo d’Irosa, Gaetano
Pottino, come risulta da un epigrafe sullo steso altare. Successivamente
vennero sovrapposte sulla struttura dell’altare alcune figure in legno dorato
dal significato simbolico: Abramo in procinto di sacrificare a Dio l’amato
figlio Isacco che è salvato dall’apparizione improvvisa di un angelo; il
sacerdote Melchisedek che benedice Abramo che è ritornato vittorioso dalla
battaglia contro i quattro re orientali. Re che avevano vinto e depredato
alcune città portando via anche il nipote di Abramo con tutte le sue ricchezze.
Pregevole
è l’altare di san Giuseppe con fregi e gigli marmorei indorati. Presenta una
piccola immagine del Santo Patriarca con il Bambino scolpita sulla lastra
frontale della mensa dell’altare.
Di
valore un confessionale in noce dell’ottocento che fu donato al santuario dalla
parrocchia di Castellana Sicula..
La
statua di San Giuseppe, in legno di cipresso, è un opera d’arte originale
perché ritrae il santo in aspetto giovanile, forte e dignitoso.
Presenta una grande finezza nelle linee del
volto e delle mani, nei panneggiamenti classici e anche nella movenza e nel
lieve slancio della persona. Sembra in cammino tenendo per mano il Bambino che
sembra opera di un altro artista. La statua viene attribuita da qualche critico
d’arte a Girolamo Bagnasco (Palermo, 30 settembre 1759; Palermo, 1832)
San Giuseppe
La
statua lignea della Madonna si trova sull’altare maggiore. Tiene sul braccio
sinistro il Bambino Gesù che con il suo dito indica ai fedeli di rivolgersi
alla Madre tesoriera di ogni grazia divina.
Alla
base della statua sono scolpite quattro graziose testine di angioletti che
sembrano voler innalzare in trionfo la Vergine.
Nel
1947 un atto sacrilego deturpò i colori originali dell’opera (abbronzati).
Un
opera dello scultore Filippo Quattrocchi di Gangi (1734; 1818).
Per
la Madonna dell’Olio una grande venerazione non solo da parte dei cittadini di
Blufi ma anche dai centri vicini e dalle città.
Madonna dell’Olio
Nella
piccola chiesa si trovavano, prima di essere rubati, un affresco sulla volta e
due grandi quadri ad olio su tela. Una tela rappresentava la Madonna seduta con
il Bambino in braccio con ai fianchi San Giovanni Battista e una eroina
martire; l’altra raffigurava il Crocifisso con la Madonna, l’apostolo Giovanni
e la Maddalena, posti ai piedi della Croce.
“Madonna seduta
con il Bambino”…. Tela trafugata…
“Il Crocifisso”….
Tela trafugata
CONVENTO
“Le casupole del
vecchio convento, ormai inabitabili, furono costruite, con diverse aggiunte, in
diversi tempi, che non possiamo precisare”
“Ma due vani,
forse i più antichi,, conservano ancora intatta e solida la loro bella
architettonica volta regale”.
“In queste vecchie
e squallide casupole vissero allegramente, con tanti sacrifici, gli antichi
custodi del Santuario e, per più di 10 anni, i primi Cappuccini qui venuti, 2
sacerdoti e 3 fratelli laici” .
Il
nuovo convento annesso alla chiesa fu realizzato negli anni 1920-22 per
iniziativa di P. Francesco Librizzi di Locati che, come abbiamo visto, riuscì a
raccogliere i fondi finanziari necessari per la realizzazione della struttura.
Nella
costruzione del nuovo convento partecipò attivamente la comunità di Blufi con il trasporto, a dorso di muli, dal fiume
Imera di tutte le pietre necessarie per la costruzione della struttura.
Il
convento dopo circa 40 anni (1960/1970) subì alcune trasformazioni anche di una certa
consistenza. Venne abbattuto il piano superiore del convento perché lesionato.
Proprio nel piano superiore per tre anni un gruppo di giovani allievi avevano
iniziato i loro studi superiori sotto la guida di Padre Francesco da Locati. In
sostituzione del piano abbattuto venne costruite alcune celle dei monaci nel
salone posto al piano terra.
A
poca distanza dalla chiesa venne costruito nel decennio 1880 – 88 un piccolo
cimitero per i defunti delle piccole borgate di Blufi. Un piccolo cimitero che
rimase operativo fino a dicembre del 1960. La presenza di questa piccola
struttura conferisce al luogo un ulteriore senso di sacralità e di rispetto
dell’ambiente.
Il
Santuario sembra al di fuori da ogni
circuito turistico religioso. Per padre Cataldo Manzone “il
Santuario deve restare un luogo di spiritualità e non diventare un posto per
turismo di massa. Altrimenti s’entra in un circolo vizioso da cui non si più
uscire- io so di cosa parlo visto che sono stato cappellano a Lourdes. Vorrei,
invece, farlo diventare un luogo di spiritualità, un ostello per utilizzare una
terminologia umbra, per gruppi di preghiera e giovani”.
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4. BLUFI.. LA PICCOLA
OLANDA… I Tulipani selvatici
davanti al Santuario…
Un Miracolo della
Natura
A poche centinaia di metri dal Santuario della
Madonna dell’Olio, da marzo a maggio, si rinnova uno stupendo spettacolo della
natura… la fioritura di un tulipano selvatico, il Tulipa radii.
Migliaia
e migliaia di tulipani rossi fioriscono in un seminativo tra un po’ di grano,
mandorli ed ulivi.
Un
vero spettacolo della natura che ha per sfondo le montagne siciliane così
diverse per la loro orografia, ora dolci ora aspre.
Un
tulipano che non fa parte della flora locale e dedicato al botanico fiorentino,
Giuseppe Raddi, vissuto tra il ‘700 e l’800.
Tulipani
che vengono della Persia dove erano chiamati “toliban” con la chiara allusione
al turbante.
La
pianta arrivò in Europa nel 1573 con il botanico olandese Carolus Clusius che
ricevette i semi della pianta.
Giuseppe Raddi
Tulipa Raddii
I
campi colorati di un bel rosso vivo non sono rari in Sicilia perché spesso dove
fiorisce la sulla tingono di rosso le colline dell’isola così come per i
papaveri anche se quest’ultimi non sono così numerosi.
Questo
spettacolo della natura è in pericolo e rischia di sparire per sempre.
Il
motivo o la causa di questo pericolo ?
l’Uomo.
Non
è quindi colpa di un parassita e tanto meno di qualche erbivoro o dei
cambiamenti climatici.
Il
problema è causato dall’uomo, dalla sua cupidigia o sarebbe forse più giusto
dire “della sua ignoranza”. Il campo attrae numerosi visitatori che prendono
d’assalto il sito strappando i fiori fino al bulbo e addirittura calpestando il
seminativo senza alcuna pietà.
Dal
2017 al 2019 il quantitativo di fiori sbocciati si è ridotto drasticamente
tanto da fare pensare che tra qualche anno il campo in fioritura con i suoi
tulipani sarà solo un triste ricordo.
Il
terreno non è recintato e chiunque può camminare per il pendio della collina
dove sorge il santuario senza seguire un percorso preciso.
S’incontrano
persone con sacchetti e cestini atti a raccogliere, a strappare le piante con i
loro bulbi.
Un
vero delitto,,, un comportamento da selvaggi non rispettosi della natura. I
fiori appena raccolti nell’arco di poche ore perdono la loro freschezza per
afflosciarsi ed appassire finendo così…. nell’immondizia.
È
difficile comunicare il danno perché chi si comporta in questo modo non ha
alcuna sensibilità e quindi non è in grado di recepire i messaggi di rispetto.
Il
rimedio ?
Certamente
per un piccolo comune come Blufi non è facile risolvere il problema.
C’è
però un aspetto da considerare dato che il campo è entrato in un circuito
turistico diventando un centro di visite con benefici turistici anche per i
centri vicini come Petralia.
Creare
delle passerelle e recintare il campo anche con l’intervento economico dei
centri vicini sarebbe la via più giusta e facile da percorrere.
Poi
nel periodo della fioritura una presenza saltuaria del corpo di vigili urbani o
anche di volontari o ancora di anziani (pensionati) magari pagati dai vari
comuni con un servizio di sorveglianza .
Gli stessi anziani impiegati nel servizio troverebbero stimoli di vita
importanti. In ogni caso il presidio
dell’ambiente è da sempre un incentivo al rispetto e alla protezione dei siti.
La
Sicilia è anche questo… la bellezza di un campo di tulipani che si perde a
vista d’occhio, in un paesino dell’entroterra che mostra tanta pace e bellezza.
Non poteva
mancare anche la leggenda sulla
fioritura di questi tulipani.
Si narra che due giovani sposi non riuscivano ad avere
figli e andarono al Santuario della Madonna dell’Olio in un giorno di maggio
per chiedere l’intercessione della Madonna. Deposero alcuni tulipani bianchi
sull’altare che per miracolo, davanti all’immagine della Vergine, diventarono
rossi. Dopo pochi giorni la giovane donna s’accorse di essere incinta.
Nel mese di febbraio la donna partorì due gemelli e al
quarantesimo giorno dalla nascita dei due bambini i genitori si recarono
nuovamente al santuario trovandolo chiuso. Ringraziarono la Madonna dal ciglio
del portone e voltandosi videro che il campo alle loro spalle era pieno di
stupendi tulipani rossi. Gli stessi tulipani che i due giovani con amore e fede
avevano deposto sull’altare nel momento di chiedere la grazia quel giorno di
maggio.
Una bellissima leggenda ma è lecito chiedersi come mai
questi tulipani si trovino in quel campo davanti al santuario e da chi furono
piantati i semi ? Hanno resistito alle
lavorazioni agrarie del terreno, dato che i bulbi si trovano a circa 50 cm di
profondità, e nel corso dei secoli si sono moltiplicati ed adesso nel giro di
pochi anni l’uomo li sta distruggendo… …
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5. LA FONTE DELL’OLIO
Una vecchia foto della fonte dell’olio
Una caratteristica del santuario à la presenza della
vicina fonte di olio minerale. Un fenomeno che fu studiato da geologi e citato
da antichi storici. Un fonte d’olio o di petrolio misto ad altri idrocarburi.
Sembra che anche Aristotele, scienziato e filosofo della Grecia, si sia
interessato alla fonte in una delle sue opere scientifiche.
La fonte fu anche citata da Gaio Giulio Solino,
geografo e naturalista del III secolo d.C. che nella sua “raccolta di cose memorabili” così citava: “Anche lo stagno d’acqua dannosa per le serpi, ma salutare per gli
uomini, esistente nel territorio di Petra (Petralia Soprana)”.
Molti storici ritengono che l’antica città di Petra
sulle Madonie venne in seguito chiamata Petralia perché nel suo territorio
c’era questa sorgente d’olio.
Vito Amico, storiografo regno della Sicilia, scriveva
nel suo “Lexicon topograficum Siculum”, stampato a Palermo nel 1757 "Nel territorio di Petralia
Soprana c'è una fonte celeberrima d'olio galleggiante, che, raccolto di
mattina, viene conservato nei vasi. Vicino c'è la Chiesa rurale della Madre di
Dio con custodi eremiti. L'olio è indicatissimo per curare malattie cutanee,
sgorga abbondantemente e viene usato largamente nell'isola. Per questa fonte la
città viene chiamata Pietra dell'olio e volgarmente Petralia."
E’ sempre Vito
Amico nel suo Dizionario Topografico della Sicilia a parlare della città e a
indicare nel 1612 la data di assegnazione del convento di Santa Maria di Gesù
ai Frati Minori. Donna Raimonda Bonamico pose le somme e il popolo le braccia
per edificare il Monte di Pietà, il Collegio di Santa Maria e l’Ospedale,
quest’ultimo sorgeva vicino la chiesa dove c’erano due pietre nelle quali si
sedette Sant’Alberto per riposarsi , sempre su queste pietre andavano a sedersi
gli infermi perché ritenute salutari.
Naturalmente molti geologi ed anche tecnici hanno
studiato quest’ antica fonte e qualcuno anche per conto di qualche compagnia
petrolifera… purtroppo. Ricerche scientifiche in cui si è anche rilevato la
quantità approssimativa del giacimento.
Il centro sperimentale per l’industria mineraria di
Palermo (l’indimenticabile EMS (Ente Minerario Siciliano….. grandi
galantuomini…….) negli anni cinquanta fece un analisi su un campione d’olio
prelevato dalla sorgente “Madonna dell’Olio”.
Sembra assurdo ma i risultati vennero pubblicati… “"Il campione osservato a luce diretta
si presenta di colore tra l'ambra oscura ed il bruno; a luce riflessa presenta
un colore verde molto cupo. Peso specifico a 15,5 C = 0.94 corrispondente a 18
A.P.I.
Sono presenti composti solforati ( alchitifeni e tifani ) acidi naftenici
ed ossigeno proveniente dalle resine. il campione si potrebbe definire grezzo
di tipo paraffinico-naftenico. Si sono notati, in buona parte, anelli naftenici
ed asfalteni”.
Distillazione
frazionata:
Frazione fino a
200° (benzina)
|
1,92 in peso
|
Frazione da 200°
a 300° (petrolio propriamente detto)
|
33,56
|
Frazione oltre i
300°
|
29,50
|
Residuo
|
33,34
|
Perdite
|
1,68
|
La tradizione cita che l’olio di questa sorgente era
prima commestibile.
Poi qualcuno “ne
attingeva, di notte, più del necessario, venne cambiato da prezioso liquido di
condimento in liquido nero combustibile”.
Una profonda trasformazione chimica del liquido che
qualcuno ha cercato anche di spiegare.
“Dagli storici sembra risultare e dalla bocca di anziane persone s’è
appreso che la sorgente dell’olio, prima, era più vicino alla Chiesa. Tale
sorgente si esaurì nel secolo scorso e l’affioramento dell’olio riapparve
altrove, dov’è oggi a circa trecento metri dalla Chiesa. Dal cambio avvenuto
dell’ubicazione della sorgente dell’olio, avrebbe origine la leggenda della
modificazione chimica del liquido”.
Eppure, come detto prima, anche Aristotele citò la
sorgente e parlò di olio commestibile…”esiste
in Sicilia nell’agro sicanico un liquido di sorgente, di sapore salso e
acidulo, adoperato come condimento in alcune specie di vivande”.
Queste parole farebbero riferimento ad una località di
questa zona, secondo l’autore dei “Cenni Topografici e Storici di Petralia
Soprana”, editi dalla tipografia Priulla di Palermo nel 1908.
L’autore, Giuseppe Inguaggiato Collisani, citò e
commentò le parole di Aristotele: “"Nelle
vicinanze della nostra città, tovavansi sorgenti di petrolio e di asfalto, il
primo combustibile esiste presso il sud-ovest di essa, a circa km.9 di
distanza, quale contrada chiamasi Madonna dell'olio (territorio di Petralia
Soprana). Ivi esiste una chiesa con annesso conventino dedicato alla Madonna
dell'olio".
Di tale contrada si occupò Aristotele
nell'opera De Mirandis: "Est, quaedam, aqua in Sicilia Sicanico agro; ibi Nempe liquor salsi
acidique saporis gignitur, quo ut aceto in quidusdam epularum generibus
utuntur". Ager Sicanicus era il campo
dedicato a Minerva, che nominata Sica, il campo fu detto così e trovasi fra
Irosa e Avanella località vicinissime al territorio di Madonna dell'olio.
La fonte entrò nei racconti di Medicina
Popolare di Serafino Amabile Guastella, Salamone Marino e di Giuseppe Pitrè.
Gli autori era concordi nell’affermare che
in Sicilia nel popolo si erano radicate delle manifestazioni di fede medica nel
petrolio che partiva da forme di credo e di misticismo dovuto al ritrovamento
di Madonne in affioramenti di acque e petrolio e di “acque ardenti”.
Il Pitrè nel suo volume “Medicina Popolare
in Sicilia” riportò che nelle Madonie si registrava “la prescrizione la prescrizione
dell’olio della Madonna per la cura di forme reumatiche e di dolori articolari,
la parte interessata veniva unta di petrolio e fasciata con filaccie di stoffa
o tela e si riteneva più efficace la bendatura ricavata da filacci di una
camicia di maschio” e continuava “Si è proclamato efficacissimo alla guarigione
delle ferite e delle piaghe il petrolio di vari territori dell’isola”.
Un
erudito siciliano, Leanti, nel suo “Lo Stato presente in Sicilia” (edito a
Palermo nel 1761) scriveva: Dalle acque
delle Petralie si raccoglie un olio balsamico giovevole ad ogni sorta di ferite
a piaghe e ad altri vari morbi, chiamato volgarmente Petroleo “.
A Nicosia ( prov.
di Enna ) si usava strofinare il petrolio o nafta, chiamato “Ogghiu d’à Madonna
di Pitralia, nelle seguenti parti: gola, ascelle ombelico, anguinaglie, piante
dei piedi, in casi estremi il petrolio anche veniva bevuto, pel puzzo che
tramanda, esso mette in fuga i vermi e li costringe quindi ad uscire.
I
saraceni estraevano il sale dalle cave e dalle miniere delle Madonie e
frequentavano la Fonte dell’Olio di Petralia utilizzando l’olio per scopi
medicinali, quando “attorno all’anno 1000
Ruggero il Normanno Conte e Re di Sicilia, libera l’isola dall’occupazione dei
saraceni e nell’anno 1030 emana il
decreto che riconosce la denominazione delle contrade delle Petralie (dalle
pietre dell’olio)”.
In
un atto notarile del 1479 redato dal notaio Gaspare Minardo si rileva che “CERTI UOMINI LEBBROSI RICERCATI DA UN REGIO
PORTIERE (Portiere vale per Guardia) VENNERO TROVATI IN TERRA DI PETRALIA E
PRESSO LA FONTE DEL PETROLIO”.
Greci,
Romani, Saraceni, Lebbrosi per curarsi si recavano alla Fonte dell’Olio buona e
salutare per gli uomini e dannosa per le serpi.
Il
Pitrè continua nel suo racconto..” Alcuni
fanno risalire la prima chiesa della Madonna dell’Olio all’ VIII° Sec. altri
all’XI° sec., nel 1131 in una Bolla Pontificia del Sommo Pontefice Papa EUGENIO
III° viene citata la città di Pietra Heliae , nel campanile della chiesetta tutt’ora
esiste una piccola campana porta incisa la data 1135, un’altra campana più grande
oltre a portare la data 1644 reca incisa la scritta : “ SANTA MARIA OLEI “ (
Santa Maria dell’Olio ).
Un’antica
tradizione racconta : alla fine dell’XI° sec. alcuni popolani portavano in
processione ( su un carro tirato da buoi ) un quadro della Madonna per liberare
quelle contrade dal Colera, giunti in prossimità della Fonte dell’Olio , i buoi
si fermano e non c’è verso e modo di farli muovere , la Madonna si ferma alla
Fonte dell’Olio , la città si libera dal Colera , sul luogo venne eretta la
prima chiesetta .
Lo
storico prof. Sabatino di Petralia Soprana affermò che sul “luogo dell’antico ospedale costruito nel
1612, sorgeva in precedenza un ospedale dove i medici curavano forme
reumatiche, malattie della pelle, cura dei vermi con unzioni e sfregamenti di
petrolio e che per alcune malattie in detto ospedale veniva data a bere l’acqua
con il petrolio. Nel 1500 il Petrolio Medicina, veniva somministrato come cura
idropinica in questo antico ospedale di Sicilia; questa pratica del bere
l’acqua della Madonna dell’Olio veniva praticata fino a pochi anni addietro dai
fedeli che si recavano in pellegrinaggio al santuario, Padre Raffaele Fucà,
parlava e indicava i paesi del circondario dai quali provenivano i pellegrini,
egli si ricordava tante guarigioni compresa quella di un uomo di Resuttano,
guarito negli anni 60 di un tumore dall’acqua e dalla fede verso la Madonna di
Petralia. 16 Nel marzo 96 su invito di Padre R.Fucà ò bevuto l’acqua della
Madonna, un misto di acqua salata, zolfo, petrolio e gas , parecchia fatica per
ingoiarla e sentire nel respiro zolfo e petrolio”
Lo
stesso prof. Sabatino riportò nelle sue ricerche “un canto popolare del 1700
delle Petralie che esaltava le virtù dell’Olio della Madonna e la fede verso la
Vergine Maria”:
LA MATRI DI L’OGHIU LA MADRE DELL’OLIO
Evviva di l’ogghiu, la matri d’amuri lodamu tutt’uri divoti
nui ccà.
Si chiama di l’oghiu sta bedda Signura pri l’oghiu
ch’ognura scurri di ccà.
Sintiti chi dici : lu corpu ristora e l’animi ancora chist’oghiu
chi è ccà.
Di l’oghiu surgenti chist’è la funtana chi tutti ci
sana li malignità.
Chist’0ghiu divinu di l’altu calatu ad ogni malatu saluti
cci dà.
Lu vostru sant’oghiu o bedda Signura di subitu allura guariri
ni fà.
Lodati vui dunca divoti ccu mia sta bedda Maria ch’è
tutta buntà.
Lodatila spissu cu amuri ed affettu cu summu dilettu chi
pregiu nni fà.
---------------------
Evviva dell’olio la Madre d’amore lodiamo tutte le ore
devoti noi qui.
Si chiama dell’olio questa bella Signora per l’olio
che ogni ora scorre di qui.
Sentite che dice: il corpo ristora e le anime ancora
quest’olio che è qui.
Dell’Olio sorgente questa e la fontana che tutte ci
guarisce le malignità ( malattie )
Quest’olio divino dall’alto disceso ad ogni malato
salute gli dà.
Il vostro Sant’olio O Bella Signora subito all’istante
guarire cì fà.
Lodate voi dunque devoti con me questa bella Maria ch’è
è tutta bontà.
Lodatela spesso con amore ed affetto con sommo diletto
che bene cì fà.
---------------------------------------
C’è
anche un “Inno alla Madonna dell’Olio” scritto da Padre Raffaele Fucà che fu
rettore del Santuario fino al 1977:
Madonna bella, s’effonda ovunque tuo nome e splenda
fulgida stella.
Ave, Maria, Ave !
Di Nostra Vita rischiara e allieta sempre il cammino,
e madre veglia ... Ave, Maria, Ave !
Olio soave tuo dolce nome : dolor lenisca e ci consoli
Ave, Maria, Ave !
Col suo ditino a noi ti addita madre di grazie, Gesù
Bambino Ave, Maria, Ave !
O madre buona, tu nostre colpe perdona e grazie e ciel
ci dona. Ave, Maria, Ave !
----------------------------------------
Sia
il canto popolare del 1700 che l’Inno scritto da Padre Fucà non rappresentano
il folclore religioso ma la preghiera e il ringraziamento alla madonna e al suo
olio santo, che come espressione della Natura, ci è stato donato da Dio
Creatore per guarire le malignità.
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6.
IL PONTE ROMANICO
Un
antico ponte nel cuore delle Madonie che ha resistito al passare dei secoli.
Posto lungo il fiume Imera Meridionale,
a ridosso delle colline di Blufi, segna il confine tra i comuni di Petralia
Sottana e Soprana. Nella tradizione locale è conosciuto come “ponte romano” ma
in realtà le sue origini sembrano medievali probabilmente intorno al 1100.
Le
fonti storiche parlano di un ponte a tre luci anche se oggi è chiaramente
visibile la luce centrale. È circondato,
protetto, da una ricca vegetazione ripariale e, purtroppo, in parte sepolto da
detriti fluviali.
Lo
storico Francesco Maria Emanuele Gaetani, marchese di Villabianca, nel suo
libro “Ponti sui fiumi di Sicilia” , lo cataloga al numero “35” e lo
descrive..” “Ponte di
Belufi, seu di Petralia Sottana, nel territorio di detta,… Tiene di sotto un dè
rami del grande fiume Salso, volgarmente di Madonia, e che va a morire presso
le mura della città di Licata”.
Nel 2005, grazie ad una richiesta del Comune di Blufi,
la Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo finanziò ed eseguì un intervento
urgente di messa in sicurezza del ponte. Fu ricostruito il concio mancante nella
spalla sinistra, furono ripristinate la murature ed eseguiti altri lavori con
mattoni e pietrame. Con questi interventi si riuscì a ridurre le lesioni ed a
salvaguardare la pavimentazione in basole.
Un bene da proteggere e da valorizzare. In questa direzione
da tempo si muove il Comune di Blufi per chiedere un ampliamento dell’area del Parco delle Madonie che fu avanzata,
oltre che dal comune di Blufi, anche dai comuni di Bompietro, Alimena, Gangi e Lascari.
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7. LA ROCCA
DI MARABUTO
Rocca di Marabuto
Posta
a circa 3,5 km a sud di Blufi, è
probabilmente una tomba risalente alla dominazione araba. È costituita da massi
accatastati e forse destinata a sepoltura di un personaggio importante.
Non
so se la tomba sia stata oggetto di indagine archeologica ma qualche storico ha
cercato di descriverla citandola come “una
specie di seso o nuraghe, cioè un qualcosa di monumentale costruito con grossi
sassi accatastati, in cui venivano seppelliti guerrieri arabi che per valore o
saggezza erano considerati condottieri Santoni. Marabuto, situato in direzione
est ai piedi di una collinetta che lo ripara da ovest, dev’essere perciò
considerato la tomba di un condottiero arabo caduto in battaglia verosimilmente
durante l’assedio di Enna”.
La
tradizione locale cita la presenza di un fantasma che abiterebbe tra queste
pietre.
Penso
che sia importante a questo punto, anche per cercare di capire il monumento,
chiarire la definizione di “Marabuto” e in ogni caso cosa rappresenti o significhi.
Ho
trovato il termine “marabutto” dall’arabo “marbut” (asceta, marabutto) o
“murabit” (che vive nel ribat, marabutto). È un termine di ambito
islamico/africano, in particolare nella regione dell’Africa subsahariana ma
anche, in misura minore, del Nord Africa.
Qualcuno
potrebbe obbiettare che il termine della Rocca è “marabuto”. Un cambiamento
probabilmente legato alla tradizione locale e nel dizionario Treccani il
termine è considerato “non comune”.
Marabuto
sarebbe quindi legato alla pronuncia dialettale di “morabit” e si conserva
ancora oggi in alcuni cognomi tipici della Sicilia come “Morabito” e
“Murabito”.
All’inizio
il termine indicava un musulmano considerato “santo”. Da questo
significato discendono diverse accezioni
nel significato della parola “marabutto”/”marabuto”:
-
Un
santo riconosciuto a livello locale e la cui tomba è oggetto di venerazione o
culto popolare;
-
Il
termine per estensione indica anche una tomba a cupola (dall’arabo “gubba”,
“cupola, tenda, baldacchino, marabutto) in cui è sepolto e si venera il santo;
-
Il
termine si usa anche per indicare qualunque altro segno esteriore (cumulo di pietre, albero, sorgente..) la
cui religiosità popolare ha attribuito virtù simili a quelle dei “Santi” (in
questo caso i marabutti corrispondono ai berberi (aessas” cioè “custodi”);
-
Marabutto
è anche il termine con il quale si indicavano i monaci-guerrieri addestrati in
conventi-fortilizi (ribat, intorno al X –XI secolo) e che costituirono un
movimento di rinascita spirituale islamica che animò la dinastia degli
Almoravidi (al-Murabitun).
Si
tratta quindi anche di un termine qualificativo di personaggi che si diffusero
in gran parte del Nord Africa e che sostenevano di provenire dai ribat
dell’estremo occidente (tra Marocco e Mauritania). Personaggi a cui erano
attribuiti molteplici poteri. Con l’aiuto di talismani era in grado di
ristabilire la salute e soprattutto l’ordine sociale.
Ancora
oggi in Marocco, in Algeria e nel resto del Nord Africa, ogni villaggio ha il
suo marabutto cioè il santo locale che protegge e apporta benedizione ai suoi
abitanti e a coloro che vengono a visitarlo.
Già
in poca cristiana era diffusa l’abitudine di porre ogni luogo abitato sotto la
protezione di un santo. Sant’Agostino (354-430), nato a Tagaste (Algeria)
descriveva la sua “terra disseminata di
tombe dei santi”. Un’antica religiosità popolare che è sopravvissuta
all’islamizzazione e che ha finito per integrare il vecchio culto con la nuova
religiose.
In
Marocco è ancora oggi il marabutto un “
personaggio dotato di poteri più magici che religiosi, a cui si attribuiscono
poteri soprannaturali, taumaturgici e profetici”.
“Un antico
marabutto si poneva in bocca le monete che gli venivano offerte per
santificarle con la sua saliva”.
Marabutto di Sadi
Abdallah in una stampa del 1921
Nella
rocca doveva esserci una piccola camera sepolcrale, costituita da pietre, dove
era posto il corpo del marabutto. Un corpo che non doveva avere nessun contatto
con la terra che è considerata impura. Il corpo, secondo il rito islamico,
doveva essere appoggiato sul fianco destro con il capo rivolto ad Ovest ed il
voto rivolto a sud; le gambe leggermente flesse e le braccia distese lungo il
corpo. La rocca , che come detto è
costituita da massi sovrapposti e accatastati, sarà stata oggetto di
manomissioni a causa dell’intervento di tombaroli molto scrupolosi alla ricerca
di qualche reperto importante. Certo non sapevano, questi scrupolosi “studiosi”,
che i musulmani venivano sepolti per lo più senza alcun corredo.
La
contrada Marabuto è considerata area archeologica e desta molto interesse negli
archeologi anche se, a quanto sembra, almeno fino adesso non sono stati mai
avviate delle ricerche ben precise.
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8. LA DIGA DI
BLUFI E LA STRADA NEL NULLA....
Una delle incompiute della Regione Sicilia … la Diga
di Blufi. Nel progetto avrebbe dovuto fare da vaso di collegamento tra la Diga
Ancipa e la diga del Fanaco per la distribuzione delle acque nelle province di
Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Un bacino immenso con una capienza di ben 22
milioni di mc. Una cifra importante, come riferisce qualche testata
giornalistica, perché nel 2018 era disponibili circa 123 milioni di mc d’acqua
e l’isola soffriva di problemi di siccità.
Della
diga di Blufi s’iniziò a parlare nel lontano 1963 e il lavori iniziarono nel
1989 (D.A. n. 00888/6 del 30 giugno 1989).
Un
inizio non certo agevole perché contrastato dai cittadini e dalle associazioni
che erano contrarie alla costruzione della diga per il devastante impatto
ambientale che la realizzazione dell’opera avrebbe comportato.
Il Mulino “Oliva”
fu distrutto per la costruzione delle diga..
Furono
stanziate cifre importanti… 300 miliardi di lire con l’aggiunta di altri 120
miliardi stanziati per il completamento a seguito di continue varianti e
perizie suppletive.
I
lavori furono interrotti nel 1995 e coincisero con l’istituzione del Parco
delle Madonie. L’interruzione fu legata al divieto di reperimento di materiale
dalle cave che si trovavano all’interno dell’istituendo Parco.
Diga di Blufi –
Lavori iniziali
Nel
2001, presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, i lavori furono ripresi
grazie al rapporto tra l’EAS (Ente Acquedotto Siciliano che era controllato
dalla Regione)…. sempre presente… e purtroppo… e l’associazione d’imprese.
Riuscirono a superare il problema che
aveva causato l’interruzione dei lavori…. come ? Devastando altri territori con l’istituzione
di altre cave che si trovavano fuori dall’area protetta.
I
lavori furono nuovamente interrotti….perchè?
Nel fascicolo di documentazione della
costruzione della diga mancava il
documento forse più importante….la
verifica dell’impatto ambientale.
E’ strano che un ente così importante e tecnico come l’EAS non si sia accorto della mancanza del documento….
E’ strano che un ente così importante e tecnico come l’EAS non si sia accorto della mancanza del documento….
Da
allora i lavori non furono mai ripresi…
Il
costo totale dell’opera incompiuta al 2015 ammontavano a ben 260.000.000 circa
di euro… ovvero 500 miliardi delle vecchie lire.
Secondo
il Registro Italiano Dighe per il completamento dell’opera servirebbero ben 155
milioni di euro… numeri altissimi che fanno parte, per fortuna, di un miraggio.
Il
31 gennaio 2001 il Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i
beni e le Attività Culturali ….(Governo : Amato II ….- Ministro dell’Ambiente:
Willer Bordon – Ministro per i Beni e le Attività Culturali: Giovanna Melandri)
Una
triste realtà quella raccontata resa possibile da logiche di accumulazione
illecita tipiche di un sistema in cui a fare da protagonista è sempre stato
quel grande matrimonio tra politica e mafia.
Aveva
proprio ragione il compianto Paolo Borsellino quando diceva:
“Politica e mafia
sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio:
o si fanno la
guerra o si mettono d’accordo”.
L’opera in definitiva fu uno scempio
con gravi danni ambientali. I cittadini di Blufi si ribellarono ma non potevano
fare nulla sul “controllo mafioso dell’acqua e più in generale di una politica delle
opere pubbliche all’insegna dello spreco e del clientilismo”.
Le
“maestranze” di Cosa nostra erano interessante alla diga di Blufi e questo in
base alle rivelazioni di Riggio e alle lettere a Provenzano.
Nelle
rivelazioni del collaboratore di Resuttano ai magistrati è presente un aneddoto sulla diga incompiuta
di Blufi che avevano finito con l’attirare gli interessi economici dei mafiosi
: “Sono sorti dei problemi abbastanza
seri, già si parlava di guerra”.
“Le regole di Cosa
nostra sono sempre le stesse, non sono cambiate mai”. Una frase contenuta nelle rassicurazioni di Bernardo Provenzano,
scritta in un pezzino, che decretavano il da farsi a proposito della diga di
Blufi.
Malgrado
le continue interruzioni, c’era il
controllo attento della mafia per completare la diga con costosissimi lavori.
Rivelazioni
del pentito Pietro Riggio nel suo interrogatorio del 7 giugno 2018 con i
magistrati di Caltanissetta.
“I Maranto rivendicano la titolarità della
zona e quindi intendono espletare tutte quelle che sono le forniture,
calcestruzzo, inerti, anche perché la diga necessitava di tre strati di inerti
differenti, di cui sabbia, pietra, breccia. A un certo punto viene fuori un
imprenditore di Bagheria, che doveva portare sia il materiale necessario per la
diga dalle cave che lui aveva a Bagheria, sia effettuare i trasporti per quanto
riguardava questi lavori”.
“Naturalmente sono
sorti dei problemi abbastanza seri, abbastanza ardimentosi perché già si
parlava di guerra, di questo, di quell’altro”.
Guerra
tra famiglie rivali ?
“No, no. La guerra tra i Virga e i Maranto è
un’altra cosa”.
“Quella sarebbe
nata non per la diga ma per contendersi la leadership sulle Madonie. Perché i
Virga si erano appoggiati a Provenzano, mentre i Maranto si erano appoggiati,
diciamo, erano dell’altra ala e quindi erano invisi a Provenzano. Quindi poi li
fecero fuori”.
Saverio
Maranto, coinvolto nel blitz “Black Cat” di
due anni fa, è stato prima condannato a undici anni e sei mesi in primo grado e
poi, lo scorso aprile, assolto in appello. Mentre Antonio Giovanni Maranto, più
recentemente coinvolto in un’altra operazione, è finito in carcere nel 2018 e
dovrà rispondere dell’accusa di aver ricoperto il ruolo di reggente della
famiglia mafiosa del vicino paese San Mauro Castelverde.
«I lavori andavano
fatti dopo che l’opera era rimasta incompiuta dall’Astaldi. Siamo subito dopo il giugno del 2002. Io metto
carta e penna e faccio una lettera per Bernardo Provenzano che
consegno, dopo che la legge, ad Agostino Schillaci di Campofranco, che aveva il
contatto epistolare con lo Zio. Nella lettera io chiedo se le regole di
Cosa nostra sono sempre le stesse, se le regole di attribuzione dei lavori sono
sempre uguali, se dove ricadono i lavori se ne deve occupare la famiglia, salvo
il diverso avviso da parte sua e che c’avrebbe fatto sapere qualche cosa in
merito».
Cosa
che, in effetti, il padrino fa. Passa appena un mese, ed ecco arrivare
una lettera con una sua risposta. Le regole sono sempre quelle, la
mafia è mafia, non contempla stravolgimenti. Specie in materia di imposizioni e
affari illeciti.
C’è,
però, un unico monito: «Tu non devi fare
il mio nome», scrive
in calce il padrino latitante. «Testuale, diceva proprio “tu non devi fare il mio
nome”.
Allora
ho elaborato, ho pensato, ho detto - si scervella Riggio - “Non devo fare il suo nome, nel senso che questa risposta non mi
arriva da parte sua, quindi non prendere avvalli dicendo che me l’ha
detto lo Zio». Ma qualche mese dopo scopre che il senso di quella frase inviata dal
boss era piuttosto diverso.
Oltre
alla diga… un'altra incompiuta… “Un
Ponte sul Nulla”. Nessuna strada che permetta di raggiungerlo, solo
campagna e qualche casolare intorno. Una
struttura in c.a. messa in opera dal 1998. Si trova a poca distanza dalla diga.
Il perché di questo ponte ?
La
strada che lo dovrebbe attraversare dovrebbe collegare lo svincolo Irosa,
sull’autostrada Catania – Palermo, e i paesi circostanti. Ma la strada non è
stata mai realizzata.
Questa
strada partendo dallo svincolo di Irosa si sarebbe dovuta collegare con la
strada statale 290 che arriva fino al
bivio detto della “Madonnuzza”.
Un
‘opera per cui erano stati stanziati 8 miliardi delle vecchie lire ma di cui si
è realizzato solo un ponte.
Dopo
l’apertura dello svincolo di Irosa, nel 2014, si aspetta da anni la
realizzazione di questo secondo lotto (Blufi-Madonnuzza), che darebbe ulteriore
linfa vitale alla viabilità delle alte Madonie.
La mancata realizzazione della strada fu legata ad una serie di problemi: il comune, capofila, di Petralia Soprana aveva dovuto rescindere il contratto, con l’impresa che si era aggiudicata i lavori, per motivi giudiziari; la priorità nel completamento dello svincolo autostradale di Irosa e per ultimo l’Assess. Regionale al Territorio aveva rilevato che l’opera non era conforme agli strumenti urbanistici.
Mi auguro solo che una volta ripresi i lavori per la realizzazione della strada non venga stravolta l’area circonstante il Santuario della Madonna dell’Olio. Una preoccupazione spiegabile con la vicinanza del ponte all’area del Santuario.
Il 27 giugno 1996 fu istituito il Vincolo Paesaggistico sul territorio dei Comuni di Alimena, Blufi, Bompietro, Castellana Sicula, Petralia Soprana, Petralia Sottana ai sensi della legge n. 1497/39
(vincolo sulla porzione di territorio a ridosso della perimetrazione del Parco delle Madonie e ricadenti tra i fiumi Imera Meridionale Salso e comprendente i comuni di Alimena, Blufi,
Bompietro, Castellana Sicula, Petralia Sottana e Petralia Soprana)…..
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