DON PIETRO PAPE’ VANNI ALL’ESPOSIZIONE DI PARIGI DEL 1889 E DEL 1900
Pietro Papè Vanni successe alla baronia di Calatubo
come primogenito alla morte del padre Salvatore avvenuta nel 1870. Sposò il 28
gennaio 1856, a Palermo, Marianna Lanza
Filingeri (Filangeri) ed ebbero 13 figli (5 maschi ed otto femmine).
Pietro
Papè Vanni alla fine dell’Ottocento ristrutturò ed abitò il “diruto casamento di Calatubo”. Morì nel
1906 in questo castello e la salma fu trasportata con la sua carrozza a
Palermo.
Fu
riconosciuto nell’Elenco Ufficiale definitivo delle famiglie nobili e titolate
di Sicilia del 1902 come possessore dei titoli di Duca di Giampilieri, Barone
di Calattubo, Principe di Valdina e Barone di Vallelunga.
Fu
proprio Pietro che alla fine dell’ottocento stravolse l’aspetto agrario della
sua baronia cambiandone radicalmente il paesaggio. Era un esperto imprenditore
agricolo e coltivò a vigna larghe estensioni di terreno. Lanciò sul mercato
nazionale ed estero il suo vino “Castel Calattubo”. Un vino che fu subito
ricercato perchè era lavorato con particolari tecniche e veniva conservato nei
nove grandi magazzini che fece costruire nel secondo cortile inferiore del
castello “fattoria”.
Fu
premiato dal 1885 al 1902 con oltre trenta medaglie d’oro e d’argento e con
grandi Diplomi delle più importanti Esposizioni d’Europa tra cui quelle
universali di Parigi del 1889 e 1900. Ottenne anche il brevetto di fornitore
della Real Casa con facoltà di potersi fregiare dello stemma reale.
È
strano come di questo vino sia persa
ogni traccia.
Quali
vitigni adoperò don Pietro Papè Vanni nell’impianto del vigneto alle pendici
del castello “Calatubo” ?
Quale
tecniche di vinificazione e di conservazione adottava ?
Sicuramente
aveva un prodotto di gran pregio per ricevere tanti premi e menzioni all’
Esposizioni Universali di Parigi.
L’Esposizione
Universale di Parigi del 1889 si svolse dal 6 maggio al 31 ottobre nel
Campo di Marte vicino alla Senna. Una manifestazione importante perché è
ricordata per la costruzione della Torre Eiffel che fu posizionata all’entrata
della zona espositiva, dopo il Ponte di Lena.
L’Esposizione
fu inoltre l’occasione per celebrare il centenario della presa della Bastiglia
e della Rivoluzione Francese ed anche il 18mo anniversario della Terza
Repubblica.
Un
evento che fu finanziato da fondi statali e cittadini con l’aiuto anche di una
lotteria e con l’intervento della Banking House Credit of France.
La
direzione dei lavori fu affidata ad Adolphe Alphand, un ingegnere che aveva
collaborato, alle dipendenze del barone Haussmann, al riassetto urbanistico
voluto da Napoleone III e realizzato tra il 1852 ed il 1870. Consigliere dell’architettura
dell’Esposizione fu Charles Garnler, in precedenza aveva progettato l’Opera di
Parigi, mentre Charles Vigreux si occupò dei servizi meccanici ed elettrici.
Notizie
d’altri tempi ma nell’Esposizione di Parigi del 1889 fu il primo evento in cui si sperimentò su vasta
scala l’uso dell’elettricità come fonte di energia alternativa al vapore.
Il
sito espositivo copriva un’area di 0.96 chilometri quadrati e comprendeva, come
per l’edizione del 1879, il Champ-de-Mars e il Palais du Trocadero, al Qual
d’Orsay, e parte della Senna e dell’Esplanade des Ivalides (con le esposizioni
delle Colonie e del Ministero della Guerra).
Ma
c’era un grande novità nell’Esposizione…. Una grandissima novità che rese la presenza siciliana all’Esposizione un
motivo d’orgoglio dimenticato dai nostri politici lestofanti…
Ad Accogliere i visitatori e a fare da ingresso
all’esposizione fu
costruita una struttura che in seguito sarebbe
diventata il
simbolo di Parigi: la Torre Eiffel..
Una
volta superata la monumentale entrata, si accedeva al complesso espositivo con
i vari padiglioni e le diverse sezioni.
Il
più bel padiglione fu la Galerie des Machines, una struttura in vetro e ferro,
una delle più imponenti d’Europa fino alla sua demolizione avvenuta nel 1909.
La Galleria delle
Macchine era un’unica galleria coperta da un’immensa
struttura
reticolare alta 110,60 metri. Occupava quasi interamente l’area
dei Champ de Mars,
con una superficie di 48.000 mq.
Nella galleria
furono esposte macchine innovative e sensazionali per l’epoca, tra
le quali numerose
erano quelle relative alla lavorazione della carta.
Sempre nei Champ
de Mars sorgevano il Palais des Beaux-Arts e
il Palais des Arts
Liberaux, due edifici gemelli posti ai due lati della
Torre Eiffel. Nel
primo erano esposte le testimonianze dell’arte con la
scultura, il
disegno, l’incisione, disegni all’acquarello e al pastello;
il secondo invece
ospitava un esposizione teatrale a carattere
antropologico sul
lavoro, sui mezzi di trasporto e sull’insegnamento.
Erano presenti
anche spazi dedicati alla medicina ed alla chirurgia,
ai mestieri ed agli
strumenti musicali.
Il Palais de la
Guerra presentava una vasta retrospettiva a tema militare con
oggetti e ritratti
dei più importanti generali di Francia, oltre ad
uniformi e armi di
varia epoca. Di gran valore era la collezione di armi
ed armature
provenienti dal Giappone.
Tra i padiglioni
più belli vi era quello dell’Argentina progettato
dall’architetto
francese Alber Ballu. La sua realizzazione costò allora
circa 3 milioni di
franchi e fu considerato un capolavoro in ferro e vetro, di
“grande bellezza e profusamente decorato”.
Palazzo delle Belle Arti
Galleria della Guerra
Galleria Argentina
L’Esposizione
Universale di Parigi del 1889 fu ricordata per essere l’Expo della Torre
Eiffel.
Fu
costruita proprio per l’inaugurazione dell’Expo e poi sarebbe stata smontata.
Fu
realizzata nell’arco di appena due anni (tra il 1897 ed il 1889) da Gustave
Eiffel, uno dei più importanti ingegneri del XX secolo per i suoi grandi
contributi nello sviluppo delle strutture metalliche e nel campo
dell’aerodinamica.
Con
i suoi 324 metri era la struttura più alta della città e del mondo e fu
inaugurata il 31 marzo 1889 e aperta ufficialmente al pubblico il 6 maggio.
“Sembrava un faro abbandonato sulla terra da
una generazione scomparsa, da una generazione di giganti” (Edmond de Goncourt).
Per
la costruzione furono utilizzati 18.038 pezzi metallici forgiati; 2,5 milioni
di bulloni per un peso complessivo di 8.000 tonnellate.
Al
primo livello della torre erano presenti quattro ristoranti: uno russo; uno
anglo-americano; uno fiammingo (che in seguito sarebbe diventato un teatro) ed
uno francese.
Al
terzo livello, Gustavo Eiffel realizzò un appartamento privato dove riceveva
gli ospiti più illustri. Tra di essi vi fu anche Thomas Edison che
nell’Esposizione del 1889 presentò il suo fonografo.
Sotto
la balconata del primo piano della torre, Eiffel fece incidere i nomi di 72
cittadini francesi (soprattutto scienziati ed ingegneri) in segno di
riconoscimento per i loro studi. Nomi ben visibili dal suolo ed oggi disposti
18 per ciascuno lato.
La
Torre Eiffel fu quindi realizzata per testimoniare la potenza industriale
francese e dopo vent’anni sarebbe stata smantellata. La torre infatti fu
inizialmente osteggiata dalla critica e anche dai parigini. La spiegazione di
un simile comportamento era legato al materiale ferroso usato per la costruzione
della torre, un materiale poco adatto ad una città così raffinata e classica
come Parigi.
Nel
1909 fu sul punto di essere smantellata ma si salvò.. perché si accorsero che
era un utile piattaforma per le antenne televisive necessarie alla nuova
scienza della radiotelegrafia ( la torre era infatti anche un’ottima antenna
radio).
L’Esposizione
fu una grande manifestazione dove si misero in mostra i grandi progressi nei
vari settori dell’industria e anche dell’architettura.
L’uso
del vetro piano permise la realizzazione di nuove strutture architettoniche
come stazioni, supermercati, serre, ecc.
Grazie
alla nuove tecniche per la realizzazione di superfici a vetri, fu possibile
realizzare e sviluppare architetture in ferro come testimoniarono i grandi
edifici costruiti nell’Expo di Parigi del 1889.
Tra
le nuove invenzioni le macchine a vapore tra cui quella di Joseph Farcot; la
presenza dell’industria tessile con sete naturali ed artificiali e con un
grande spazio espositivo legato alla manifattura di Lione;
L’elettricità,
grazie all’industriale Hippolyte Fontaine, ebbe un ruolo importante nell’Expo,
come dimostrarono alcune attrazioni di successo, come la fontana realizzata da
Coutan con giochi d’acqua e di luci.
Tra
gli espositori anche Thomas Edison col il suo fonografo, da lui brevettato, per
la registrazione e riproduzione dei suoni.
L’Expo
fu accompagna anche da una serie di manifestazioni come quella del 14 maggio in
cui il Theatre National de l’Opera-Comique portò in scena al Theatre Lyrique,
l’opera “Esclarmonde” che fu composta per l’evento espositivo da Jules Massenet.
Ci furono anche esibizioni con musica
francese e moderna in generale. Furono tante le rappresentazioni a tal punto
che la critica definì l’evento come una specie di “enorme enciclopedia
musicale”. Suscitò molta attenzione la musica etnica proveniente dai paesi non
occidentali. Il compositore Claude Debussy ascoltò per la prima volta l’esibizione
di un orchestra gamelan, tipica dell’Indonesia e di Giava.
(
Gamelan è un'orchestra di strumenti musicali di origine indonesiana che
comprende metallofoni, xilofoni, tamburi e gong; può comprendere anche flauti
di bambù, strumenti a corda e la voce).
Rimase
affascinato da questo tipo di musica a tal punto che nelle sue composizioni
future inserì scale, melodie ritmi o tessuti musicali di gamelan. Il
compositore russo Rimskij Korsakov rimase invece colpito dalla musica algerina
che lo ispirò nella sua composizione “Miada”.
Tra
le attrattive anche due aerostati che permettevano ai visitatori di ammirare il
complesso espositivo dall’alto e la ferrovia Decauville che percorreva le Champ
de Mars e l’Esplnade des Invalides per
un percorso totale di circa 3 chilometri.
Ci
vorrebbe un trattato per descrivere
tutte le manifestazioni legate all’Expo.
Tra li espositori il
nostro Pietro Papè Vanni di Valdina con il suo vino “Castel Calattubo” .
C’è
da dire che per la prima volta nella storia delle esposizioni universali,
furono esposti prodotti alimentari ed una gigantesca botte piena di champagne
fu collocata al centro del palazzo che ospitò i vari padiglioni.
Eugène Mercier
decise di far conoscere il suo champagne presentando una
“foudre” (una
botte gigante) della capacità di circa 200.000 bottiglie (1.600 ettolitri)
La
società algerina Hamoud Boualem ricevette complimenti unanimi per la sua
limonata “La Royale” mentre la Heineken vinse il Grand Prix dell’Expo 1889.
Nel
1889 gli espositori italiani presenti a Parigi erano solo 703 e questo per
motivi politici.
Il
governo italiano, presieduto da quel “galantuomo di Crispi”, non partecipò
ufficialmente all’esposizione che celebrava tra l’altro anche il Centenario della Grande Rivoluzione.
In
assenza del contributo e della partecipazione ufficiale dello stato, fu promosso
un “Comitato Nazionale per il concorso degli Italiani alla Esposizione di
Parigi nel 1889”.
Il
promotore di questo Comitato fu Alessandro
Repetti, (giornalista democratico, tipografo editore, militare).
Il
Repetti sottopose al Crispi il progetto del Comitato proprio per supplire alla
mancata partecipazione ufficiale da parte dello stato.
Il
Comitato univa esponenti di orientamenti decisamente diversi e contrapposti. Il
Repetti che era esponente di una forte rappresentanza democratica; il Felice
Carlo Emanuele Cavallotti , di estrema sinistra, che portava in dote al
Comitato la consistente somma di 50.000 franchi per suo tramite dall’editore
Sonzogno; altri democratici di rilievo come Cairoli, Luigi Ferrari ed anche
esponenti di spicco della Destra (Sidney Sonnino e Antonio Salandra).
Il
Cavallotti fu autore di vivaci dibattici contro il Crispi che non approvava la
partecipazione dell’Italia all’Expo. Al Comitato aderivano anche altri nomi
politici e parlamentari influenti come Berti, Luigi Luzzatti, Maggiorino
Ferraris e anche diversi esponenti della nobiltà e della finanza. Al di là
delle battaglie politiche, volute dal Crispi per la sua alleanza con il Bismark
per una politica antifrancese, c’era una certa convergenza italiana per la
partecipazione all’Esposizione di Parigi
e questa senza un apparente e forte opposizione da parte del Governo.
Il
padiglione italiano fu realizzato dall’architetto Manfredo Manfredi e a quanto
pare fu anche molto discusso. Gli espositori italiani furono solo 703. Una
cifra decisamente inferiore rispetto alla precedente Esposizione del 1878
quando, sempre a Parigi, gli espositori italiani furono ben 2408.
Pietro
Papè Vanni di Valdina riuscì in una così importante manifestazione a fare
conoscere il suo vino e anche il nome di
quella sperduta contrada nell’entroterra siciliano, con il suo castello che a
distanza di 120 anni sarebbe stato dimenticato da chi invece avrebbe dovuto
valorizzarlo..
Il
31 ottobre 1889 un colpo di cannone dichiarò la chiusura dell’Esposizione
Universale di Parigi. Un bilancio decisamente positivo con ben 8 milioni di
franchi in attivo.
L’evento
vide la partecipazione di 35 paesi per un totale di 81.722 espositori e fu
visitato da 32.250.297 persone. Un edizione che verrà ricordata per aver
lasciato in eredità alla città la torre in ferro che all’inizio tutti, o quasi,
volevano smantellare e che oggi è un icona della bella città francese.
Pietro
Papè Vanni Valdina era uno degli espositori ed ottenne con la sua
professionalità un grande successo…con premi e menzioni.. uno spaccato di
Sicilia dimenticato..
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Nel 1900, inizio
del XX secolo, Parigi accoglieva ancora una volta l’Esposizione Universale in
programma dal 14 aprile al 12 novembre. Un evento che intendeva celebrare le
conquiste del secolo scorso e accelerare lo sviluppo nel prossimo secolo che si
presentava… “la filosofia del nuovo
secolo ed espresso la sintesi del secolo
precedente” secondo la filosofia degli organizzatori.
Un
Esposizione che nacque sotto la competizione fra Francia e Germania per
ospitare l’evento. Alla fine la spuntò Parigi. Berlino non mostrò rancore e
partecipò all’evento presentando nel suo padiglione un tributo alla cultura
francese.
Fu
inaugurata il 14 aprile 1900 dal presidente della Repubblica Francese Emile
Loubet. Il sito dell’esposizione si estendeva per circa 112 ettari e
comprendeva lo Champ de Mars, il Palais du Trocadero, l’Esplanade des Invalides
e la riva della Senna. C’era anche un secondo sito di Bols de Vincennes con
spazi espositivi dedicati all’agricoltura, alle ferrovie, alle fabbriche e dove
si svolgevano anche delle gare e competizioni sportive. Nello stesso anno, dal
14 maggio al 28 ottobre, Parigi ospitava i Giochi della II Olimpiade e molte
gare si svolgevano a Vincennes.
All’esposizione
parteciparono 83.000 espositori dei quali 45.000 provenienti da altri paesi. I
visitatori furono 50,8 milioni e furono ristrutturate le stazioni parigine Gare
de Lyon, Gare de l’Est e Montparnasse) e creata la stazione Gare d’Orsay. Oltre
alla nuova stazione, che oggi ospita il museo dell’arte impressionista, venne
anche completato il Pont Alexandre III il più bello della capitale. Sorsero
anche due nuovi edifici, il Petit Palais e Grand Palais, oggi adibiti a musei e
spazi espositivi.
Il
visitatore veniva accolto dalla Porta Monumentale, l’arco di trionfo in Place
de la Concorde realizzato dall’architetto Renè Binet. La struttura era composta
da una cupola a tre archi, e ospitava le 56 biglietterie. Riccamente decorata
con motivi bizantini e orientali, era sormontata dalla statua “La Parisienne”
realizzata dallo scultore Paul Moreau-Vauthier con le fattezze della grande
attrice Sarah Bernhardt.
Parigi nel 1900
Tra
gli edifici degni di nota il Gran Palais, un grande padiglione espositivo in
vetro dall’imponente facciata in pietra d’ispirazione classica che ospitava al
suo interno l’esposizione dedicata alla scultura.
Il
Petit Palais era invece ispirato all’Art Nouveau, progettato da Charles Giraud,
dove al suo interno era esposta l’arte francese suddivisa in due sezioni. (una
dedicata a opere realizzate negli ultimi 10 anni e l’altra dedicata ad una
retrospettiva dell’arte del XIX secolo).
Grand Palais - Esposizione
Altra
interessante struttura era il Palais de l’Electricitè di fronte al quale
sorgeva il Chateau-d’Eau con i suoi spettacolari giochi d’acqua e di luce.
Era
il tempo della nuova dea del XX secolo, la vera protagonista dell’Expo 1900: La
Fèe Electricitè (era chiamata la
“Fata Elettricità).
Il Palazzo
Elettricità con la statua di 6 metri che rappresentava una Fata
Il Palazzo
dell’Elettricità con il Chateau d’eau illuminato
Il
palazzo forniva elettricità a tutta l’Expo compresi i trasporti. Un energia
prodotta grazie ad un impianto che bruciava tonnellate di carbone per
trasformare in vapore centinaia di migliaia di litri d’acqua. Il vapore
azionava 35 dinamo produttrici di energia elettrica. Furono realizzati 2 camini
da 80 metri per liberare i vapori. All’interno del palazzo si celebravano le
bellissime magie della Fata con le sue applicazioni pratiche dell’elettricità
quali il telegrafo, telefono, radiografia, elettrochimica, l’accumulatore o
pila…
Nella
Galleria delle Macchine, tra ingranaggi e pistoni, fu allestita un incredibile
fiera dell’agricoltura e dell’alimentazione. Il palazzo, veramente grandioso e
simbolo della modernità, presentava un curioso contrasto con le bucoliche rappresentazioni
che ospitava. Era un campionario completo delle diverse tipologie di
architettura rurale nelle province francesi. Era possibile sostare nella piazza
di un borgo o accanto ad un mulino alimentato ad acqua…
Nella parte centrale
della galleria c’era la Sala delle Feste che ospitava cerimonie e spettacoli…
una sala che poteva ospitare ben 15.000 persone e dove venne allestita una
delle prime storiche proiezioni del cinematografo dei fratelli Lumière.
I fratelli Auguste
e Louis Lumière
L’esposizione
di Parigi offrì al nascente cinema la possibilità di un riconoscimento
ufficiale a livello internazionale. Le rappresentazioni cinematografiche dei
fratelli Lumière furono ospitate nella
Galerie des Machines ed esattamente nella Sala delle Feste. Una sala di 6.300
metri quadri dotata di uno schermo gigante su cui venivano proiettati i film.
La Sala delle
Feste nella Galleria delle Macchine
Nel
salone delle Macchine erano presenti personaggi che iniziavano a farsi
conoscere nel nascente mercato dell’auto e della bicicletta come Benz, Ford,
Renault, Peugeot. Rudolf Diesel presentò in questo salone il suo motore che
funzionava con olio di arachidi.
Erano
presenti i primi veicoli elettrici ed erano velocissimi come la
“Jamais-Contente” che era una monoposto che raggiungeva la velocità di 100 km/h
(105,88 km/h).
Le
ruote erano equipaggiate con i pneumatici dei fratelli Michelin, concepiti in
origine per le biciclette. I fratelli Michelin avevano avuto la brillante idea
di offrire, in omaggio con ogni acquisto, la prima “Guida Michelin” che fu
pubblicata proprio in occasione dell’Expo 1900.
La “Guida” conteneva la lista dei rari meccanici
presenti nel territorio, dei medici e degli ospedali, consigli per visitare i
luoghi d’interesse, ecc.
La “Jamais
Contente” (“Mai Contenta”)
Tra
i padiglioni dedicati ai paesi stranieri si segnalò il padiglione britannico il
cui stile richiamava lo stile elisabettiano. Il padiglione tedesco era
realizzato in legno e vetrate colorate richiamando il tipico Bierpalast della
Baviera e nel padiglione russo i visitatori
ebbero la possibilità di ammirare per la prima volta una matrioska che ben
presto sarebbe divenuto uno dei simboli più importanti della Russia. Presentata
all’Expo diventò subito di gran successo.
C’erano
poi i padiglioni dedicati alle colonie francesi e sezioni dedicate al Senegal,
Madagascar, ecc.
Naturalmente
c’erano anche delle attrazioni e divertimenti offerti al pubblico. Per la prima
volta fu possibile assistere alla proiezione di film sonori cioè di brevi
filmati che mostravano balletti e scene di opere liriche.. Fu presentato il
Cineorama cioè un processo di proiezione cinematografica ideato dal francese
Raoul Grimoin Sanson che ebbe un gran successo di pubblico che, a causa della
folle enorme, dovette essere interrotto dopo soli tre giorni. La proiezione avveniva
su uno schermo circolante ed era realizzata tramite l’impiego di 10 proiettori
sincronizzati.
Altra
attrazione fu il Mareorama di Hugo d’Alesi, un pittore di cartelloni
pubblicitari che aveva inventato un dispositivo che combinava dipinti
panoramici in movimento e una grande piattaforma mobile. L’attrazione era ospitata
all’interno di una grande edificio presso Champ de Mars e simulava un viaggio
in nave da Villefranche a Costantinopoli.
Non
lontano dalla Torre Eiffel sorgeva una delle icone dell’Expo, il Globe Cèleste.
Un enorme sfera di circa 50 metri di diametro all’interno della quale i
visitatori potevano ammirare l’evoluzione orbitale del sole e degli altri
pianeti. Purtroppo il 29 aprile 1900 la struttura cedette causando 9 vittime.
Grande
successo ebbe anche la Transiberiana, un grande edificio che simulava il
viaggio in treno tra Mosca e Pechino grazie al sapiente utilizzo di fondali
dipinti in movimento. La ferrovia più
lunga al mondo con i suoi 9288 km fu presentata ufficialmente al grande
pubblico.
I
visitatori potevano godere di una particolare
vista di Parigi dall’alto di una gigantesca ruota panoramica, la Gran Roue de
Paris che con i suoi 100 m d’altezza rappresentava un record. Ruota che fu
demolita nel 1920.
C’erano
poi due giganti. Un enorme telescopio rifrattore, la Grande Lunette, all’epoca
il più grande mai costruito con un diametro di 1,25 metri e un tubo ottico
lungo 60 metri.
Il supporto per il
telescopio
Il
secondo era una enorme fotocamera detta Mammouth, realizzata a Chicago per
conto della compagnia ferroviaria Chicago & Alton Railway. La compagnia
desiderava realizzare una fotografia del treno speciale Alton Limited che fosse
di enormi dimensioni e che tuttavia non fosse realizzata tramite foto-collage.
La fotocamera pesava quasi 7 quintali ed era montata su un vagone ferroviario.
Tra
i molti lavori che la città dovette affrontare per l’esposizione, ci fu la
prima linea della Metropolitana, la “Ligne 1” con lavori che iniziarono nel
1897 e terminarono in tempo per l’apertura dell’esposizione. I bellissimi ingressi
furono disegnati in stile Art Noveau da Hector Guuimard ed alcuni sono ancora
oggi visibili.
I
visitatori per spostarsi da un punto all’altro del sito potevano utilizzare
anche la Rue de l’Avenir cioè un marciapiede mobile lungo 2,5 km che costeggiava
l’Expo.
Il
grande scultore francese Augusto Rodin ebbe un padiglione interamente dedicato
a lui dove era esposto il monumentale gruppo scultoreo “La Parte d’Enfer”. Un
opera monumentale, alta 4,5 metri interamente ricoperta da bassorilievi ispirati
all’inferno dantesco. Nel gruppo sono presenti oltre 180 figure dalle
dimensioni più varie. Tra i personaggi sono riconoscibili il Conte Ugolino,
Paolo e Francesca, Admo ed Eva. Lo stesso Dante è raffigurato nelle vesti di pensatore.
Nonostante
l’affluenza record di 51 milioni di persone,
si dovrà aspettare l’Expo di Osaka del
1970 per avere lo stesso numero di visitatori, i conti dell’Expo di Parigi
andarono in rosso a causa degli elevati costi di realizzazione delle opere e dei costi di gestione. Si calcola che per
coprire il disavanzo, il prezzo del biglietto sarebbe dovuto essere di circa
600 franchi in più rispetto a quello effettivo..
IL
PADIGLIONE ITALIANO ALL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI PARIGI DEL 1900
I
23 padiglioni della Strada delle Nazioni si trovavano lungo la Senna tra il
Pont des Invalides e il Ponte de l’Alma al Quai d’Orsay.
Il
padiglione italiano era costruito in legno e ferro ed aveva uno stile che
richiamava la Cattedrale di San Marco a Venezia. Rosoni trilobati, fregi in
mosaico, basamenti in marmi colorati e la struttura era sormontata da cinque
grandi cupole di bronzo dorato.
Il
progetto fu opera dell’architetto Carlo Ceppi e l’edificio al termine della
manifestazione venne demolito come gran parte delle aree espositive.
Il
15 aprile una folla oceanica, vestita a festa, inaugurò la nuova Esposition. Una
manifestazione di matrice interamente europea ma che nel passato era
stata reinterpretata negli Stati Uniti:
a Filadelfia nel 1876 e a Chicago nel 1893.
Nell’esposizione
internazionale di Chicago l’Italia aveva partecipato in forma decisamente
ridotta a causa di una temporanea interruzione delle relazioni diplomatiche con
la nostra nazione per alcuni problemi sorti con migranti italiani nel paese.
Per
Parigi 1900, l’Italia si pose il problema di come partecipare alla mostra
parigina.
La
storia cinquantennale delle esposizioni universali imponeva ormai una presenza nazionale
che fosse al contempo riassuntiva di un passato più o meno recente e
esplicativa della più attuale contemporaneità.
Ogni
paese espositore aveva come obiettivo la trasmissione di immagini di solida
potenza agricola e industriale, ricca di cultura e di avanzate tecnologie,
dimostrando di poter stare al passo con le altre nazioni partecipanti.
L’Italia
cercò di manifestare l’anima di un paese non solo agricolo ma anche
industriale, cercando di valorizzare le neonate industrie : C’è stato un tempo in cui si diceva che l’Italia
poteva essere solo un paese agricolo...
ma noi diciamo che invece, essa può avere una sua posizione anche come paese di
industrie manifatturiere come è testimoniato dalle tante ciminiere che si elevano
vicino alle montagne della Liguria e nelle vaste pianure del Piemonte e della
Lombardia. [...] L’Italia
industriale esiste
e avanza sulla via del progresso e dello sviluppo”.
Non
potendo presentare un solido presente cercò di valorizzare il proprio passato
con un grande orgoglio nazionale abbastanza coraggioso.
Gli
espositori italiani furono accompagnati da Tommaso Villa, nominato Commissario
per l’Expo, un uomo politico che aveva avuto molti incarichi politici.
“Sono fiero ed
orgoglioso che l’Italia partecipi alla grande e feconda gara delle scienze
delle arti e delle industrie in modo degno delle sue gloriose tradizioni” esponeva in un
telegramma inviato al Commissariato e agli Espositori Italiani, Umberto, Re d’Italia,
pochi mesi prima di essere assassinato.
Il PALAZZO ITALIA che l’Italia decise di edificare si trovava
in una posizione invidiabile perché posto all’inizio della Rue de le Nations
che, sul bordo della Senna, presentava
in un continuo susseguirsi tutti i palazzi delle varie nazioni espositrici.
G. Garen, Quai de Nations, 1900.
Una veduta dell’Esposizione.
Sullo sfondo, a sinistra, il Palais d’Italie.
Era
fronteggiato, dall’altra parte della Senna, dal Pavillion de la Ville de Paris.
Il
padiglione fu progettato da Carlo Ceppi, Costantino Gilodi e Giacomo Salvadori,
utilizzando come materiali quelli propri delle esposizioni universali: il
ferro, il legno, lo stucco, su un solaio di cemento armato. Molte delle
componenti del palazzo giunsero da Torino dove nel 1898 c’era svolta l’Esposizione
Generale Italiana.
≪Prima fra le
ventitre fabbriche elevate dalle ‘potenze’ straniere sui due fronti della Strada delle nazioni che andava dal
Ponte degli Invalidi a quello dell’Alma, quella italiana occupava un’area di
circa sessantacinque metri per trenta e si elevava al vertice della cupola
maggiore sino a 45 metri:
un rettangolo, il
cui lato lungo era disposto parallelo al fiume, dal quale si poteva vedere uno
splendido colpo d’occhio su questa sorta di eclettica Ca’ d’Oro trasportata
dalla riva del Canal Grande al quai della
Senna”.
Alle
decorazioni del Palazzo dell’Italia, così simile alla Basilica di San Marco a
Venezia, lavorarono intensamente – coordinati da Debiaggi – il pittore Ernesto
Domenico Smeriglio, lo stuccatore Ernesto Visconti ed anche un giovane Carlo Carra
che si fermerà a Parigi fino al giugno del1900, collaborando anche al
Padiglione del Canada e “al grande salone delle Macchine al Campo di Marte”.
≪La preziosità
materica dei marmi venati e policromi, lo scintillio del mosaico dorato, le
sapide tonalità della
pittura del fregio decorativo (anch’esso fingente il mosaico e realizzato dal pittore Gaidano), fasciava l’intero edificio
celebrando le glorie intellettuali
di Italia≫. E particolarmente
curiosa appare la tecnica della decorazione
adottata da Smeriglio soprattutto negli interni ≪risolti
con un’ornamentazione di stile
moderno intonato con la struttura dell’ambiente; le cupole
vengono dorate ad imitazione del mosaico; le pareti, le colonne, gli architravi e le cornici sono tutte dipinte
ad imitazione del marmo,
con adatti colori, vene e screziature; i travi ed i travicelli sono tutti fatti di legno scuro ornati di oro, bianco e verde≫.
Nei tanti materiali a stampa che accompagnarono l’esposizione,
nel catalogo ufficiale, nelle guide ad uso del visitatore, il Palazzo dell’Italia è sempre
ricordato”.
Il Palazzo d’Italia
visto dall’alto nella ricostruzione in 3D
di Laurent Antoine
LeMog.
Il padiglione dell’Italia
visto dal tapis roulant montato nell’Esposizion
L’interno del padiglione aveva
l’aspetto di una grande cattedrale, con una sala che s’allarga al centro in una
vasta cupola a calotta dorata in cui i
pendentifs sono dipinti a fresco con motivi decorativi in toni chiari su fondo
blu.
Le
navate laterali sono ornate di soffitti a travi sporgenti, preziosamente
illuminati di iris e margherite. Sopra le navate corre una galleria che forma
il primo piano, che sembra appeso con velluto rosso. La campata centrale è
schiarita da vetri colorati, e le gallerie da un soffitto di vetro.
Anche ≪L’Illustrazione Italiana≫ definì il suo interno ≪un
incanto di forme graziose e di colori. Ceramiche, vetri filati, specchi,
porcellane, maioliche e bronzi, terracotta e il tutto disponibile con quell’arte
dell’esporre nella quale gli italiani sono ormai diventati maestri≫.
Tale accuratezza
costruttiva e raffinatezza di decorazione, notata anche dai tanti visitatori
che si accontentarono di ammirare i padiglioni solo dall’esterno, aveva dunque
una sua corrispondenza negli ampi ambienti interni destinati ad ospitare le
innumerevoli realizzazioni delle industrie artistiche che in questo volgere del
secolo, più che pittura e scultura, suscitavano un grande interesse per il merito
di essere “fatte in Italia”. Sono questi gli anni nei quali il nostro Ministero
di Agricoltura, Industria e Commercio, che direttamente supportava e finanziava
le Scuole Industriali, ciclicamente promuoveva concorsi per i prototipi da
proporre all’industria. ≪Modelli
riguardanti oggetti di uso comune e rispondenti alle più frequenti richieste
della vita
moderna; modelli e
disegni di cancelli, pavimenti, stoviglie, lampade, cornici, mobili, ed altri
oggetti d’uso domestico; di sostegni per il filo elettrico in tranvie e
ferrovie, di disegni per tessuti, stoffe, carte da parati, ecc.≫ – perchè – ≪il
nostro governo non vuole più rivolgersi all’estero≫. Ma se ≪L’Illustrazione
Italiana≫, riportava la
notizia che: ≪Molte notabilità
parigine e straniere, nonchè il Museo di Arti Decorative di Lipsia, hanno fatto
importanti acquisti delle nostre riuscitissime decorative in Italia≫, a criticare duramente la selezione o meglio, la non
selezione, dei manufatti e dei prodotti artistici industriali raccolti nel Palais
d’Italie.
Particolare della
decorazione del Palais d’Italie.
I pannelli del
fregio dorato del padiglione italiano conservati e esposti
alla Galleria Nazionale
d’Arte Moderna di Roma.
L’interno
dell’edificio, solenne, sembra un tempio bizantino.
Ci
furono delle critiche perché “le vetrine, i gradoni, i palchetti, gli
spartimenti e gli assiti di una
mostra artistico-industriale devono parere spostati e discordanti sotto la grande cupola e le volte maestose.
Nessun ordine, nessuna euritmia
nell’aggiustamento delle cose esposte: il bello e il brutto, il ricco e il pitocco, il grande e il piccolo,
il delicato e il grossolano stanno accanto
affastellati urtandosi, pigiandosi, danneggiandosi a vicenda. Ne nasce una varietà scomposta e fastidiosa
come dagli strumenti di un’orchestra
i quali si accordino innanzi di suonare ciascuno per conto proprio. E un pandemonio di tinte diverse e di timbri urtanti,
che fa scappar via. Strano! Al paragone
delle altre grandi Esposizioni Universali
precedenti a quest’ultima, le mostre dei paesi civili e anche dei paesi, che diciamo barbari, svelano una
maggior unita; si afferma e si svolge
un più risoluto, preciso e chiaro carattere nazionale”.
Nelle
esposizioni degli altri paesi c’era un “azione
del governo sulle singole mostre” mentre nell’esposizione italiana “ nessuna ingerenza del governo nostro”.
“Ciascuna delle
nostre sezioni (meno quella delle Belle Arti che le altre) è la somma di pochi
sforzi isolati, i quali non si
moltiplicano ne si sommano insieme, ma spesso si contrastano e si elidono.
Nessun concetto decorativo generale abbraccia gli scarsi spazi destinati agli
espositori i quali cercano di soverchiarsi l’un l’altro. Cosi, frammentariamente
e disordinatamente, noi sembriamo più miseri e più vuoti di quanto siamo in
realtà. E questo grave malanno si manifesta, ad esempio, nel Palazzo d’Italia
anche per la Ceramica la quale in tutte le altre passate Esposizioni Internazionali
e nazionali formava per l’unita dell’allogamento e dell’addobbo un gradito
richiamo. Circa
l’allestimento degli innumerevoli pezzi di vetro, ceramica, smalti,
pizzi, bronzi,
metalli battuti ed oreficerie raccolti nella grande sala al piano terra del
padiglione e sulle gallerie del primo piano occupate dall’esposizioni dei
Ministeri dell’Industria e del Commercio e dell’Istruzione pubblica, ci vengono
in aiuto le rare fotografie dell’epoca”.
Interno Palazzo Italia
Gallerie Superiori
Gli spazi dei piani
inferiori, sulle banchine della Senna, cui si accedeva scendendo una scala
esterna sul lato del fiume, sono documentate solo nell’esterno. Erano questi
altri ambienti ad uso espositivo ma soprattutto, in quel luogo, venne collocato
il salone della degustazione dei migliori vini e liquori d’Italia, che diverrà
una costante di tutte le esposizioni successive
Il padiglione d’Italia
e la banchina sottostante.
Vino
“Castel Calattubo”, premiato dal 1885 al 1902 con “più di trenta
medaglie d’oro e d’argento e Grandi Diplomi d’onore nelle più importanti
Esposizioni d’Europa, tra cui quelle Universali di Parigi del 1889 e
1900, dove ottenne il maggior premio concesso ai vini Italiani”.
Uno
spaccato di Sicilia dimenticato.. Sarebbe interessante scoprire i tipi di
vitigni coltivati da Don Pietro Papè Vanni
per aver un vino così apprezzato.
Le cronache del tempo parlarono di un “vino profumato” e anche le stesse fonti
sono rare. Era un vino bianco e quindi legato a vitigni Catarratto bianco,
nelle sue diverse varietà, Inzolia o era
un vino rosso legato all’antico vitigno
Perricone ?
Ho
trovato guardando nelle immagini di
google la foto di un documento che citava Don Pietro Papè per aver piantato dei
vitigni portati da Faro (Messina) dove
si produceva il vino, oggi DOC, “Faro” che ha un’antichissima storia.
Un
documento che purtroppo ho perso nella navigazione e non sono più riuscito a rintracciare.
Sarà vero?
Resta
in ogni caso il merito a Don Pietro Papè, in un periodo così ricco di aspetti
storici difficili, di essere riuscito a dare una bellissima immagine della Sicilia
in uno scenario mondiale così ricco di scoperte e di tecnologie di ben 120 anni
fa…..
...,,, per fare ritorno nel suo castello Catalubo dove morirà a distanza di sette anni..... un castello oggi lontano dall'aspetto di allora......
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