ALCAMO (Trapani) - IL CASTELLO DEI CONTI DI MODICA
Indice:
1.
Etimologia
e Citazioni – Il “Rollo” di Monreale;
2.
Le
Origini del Castello – I Casali di Alcamo
I Feudatari: Peralta – Chiaramonte –
Ventimiglia – Giacomo e Violante Prades –
Bernardo V Cabrera – La Controversia tra
Bernardo V e Raimondo –
La Regia Corte processò Bernardo V –
Nicolò Speciale – Anna I Cabrera e Federico Enriquez – La Chiesa e il Convento
di San Francesco a Medina de Rioseco –
La Chiesa di Santa Maria di Gesù ad Alcamo
e il Dipinto del Ruzzolone
I Capitoli Nuziali – Ricompra del Feudo di
Alcamo – Enriquez e Vittoria Colonna –
Vendita nel 1614(?) del Feudo di Alcamo a
Paolo Balsamo - Riacquisto della baronia di Alcamo e vendita alla famiglia Ajutamicristo (?) –
Famiglie Alvarez Toledo e Stuart –
1828 il castello di Alcamo acquisito dal
Comune.
3.
Struttura
Architettonica
4.
Il
Carcere o Fossa dei Re (?)
5.
Iscrizione rinvenuta in una cella
-------------------------
1. ETIMOLOGIA E CITAZIONI
Il geografo Idrisi nel XII secolo, attivo alla corte
di re Ruggero il Normanno, riportò
Alqamah come “vasto casale con terre da
seminare e ubertose… con un mercato frequentato, artigiani e manifattura”.
L’etimologia di Alcamo potrebbe derivare da “alquam” (terra fangosa) o da “Marzil Alqamah” (casale di Alqamah).
Secondo lo storico e glottologo Corrado Avolio (Siracusa, 1843- Noto,1905), il termine
potrebbe derivare dalla pianta araba Alqamah
cioè il Citrullus colocynthis.
Altra citazione del viaggiatore arabo Ibn Jubair (1145, 1217) che,
nel suo viaggio da Palermo verso Trapani, fece tappa ad Alqamah (città bassa) e
riportò “grande, opulento mercato, provvisto di moschee (Beleda), essendo tutti
musulmani gli abitatori di esso».
“Alqamah” era la città
posta sulle pendici del Monte Bonifato.
Il famoso “Rollo di Monreale” pur descrivendo la zona circostante ad
Alcamo, anche in maniera dettagliata, non fa alcuna menzione sul centro.
Nel maggio
1182 il re Guglielmo II redasse una Donazione nota come “Rollo”
(forse una
storpiatura di “Ruolo”). Un documento che rimase in uso nei secoli fino al
1846.
Un atto
solenne trascritto in greco, arabo e latino cioè le tre lingue ufficiali
dell’epoca
In questo documento
venivano precisati i confini dell’area concessa alla Diocesi di Monreale
La versione latina fu contaminata da costrutti tipici del dialetto
siciliano e anche
del francese antico.
Il documento riportò notizie di carattere topografico, agricolo, sociale,
ecc.
Furono anche riportate i paesi di provenienza delle persone che abitavano
il territorio donato:
marocchini, magrebini, andalusi, tunisini, del basso indo, del Nord Africa
ed anche ebrei, sudanesi,
latini, bizantini, genovesi, magiari.
Il territorio comprendeva:
Sagana, Pioppo, Gicalone, Piana degli Albanesi, Santa Cristina, Corleone,
Roccamena,
Camporeale, Calatafimi, Alcamo, Partinico e Borgetto… un territorio di
circa 1.000 kmq.
Diocesi di Monreale
Parte finale del Rollo, versione araba con le firme di:
Re Guglielmo II
Il Vescovo di Palermo, Gualtiero Offamiglio;
Vice Cancelliere: Matteo d’Aiello;
Eletto di Siracusa: Riccardo Palmer
L’abate Vito Maria
Amico nel suo dizionario topografico (1760) citò la città di Alcamo e il
castello sul monte e solo nel 1330 sarebbe stata edificata la nuova città ai
piedi del monte stesso (Monte Bonifato).
G.E. Massa asserì che l’attuale Alcamo sorse quando
venne distrutta la città sul monte.
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2. LE ORIGINI DEL
CASTELLO
Castello prima dei
restauri
La
data di costruzione del castello di Alcamo non è conosciuta anche se in linea
di massima si potrebbe collocare alla prima metà del trecento.
Secondo
il De Blasi e il Bambina il castello di Alcamo fu opera di Adelkamo, primo
condottiero dei Saraceni in Sicilia che nell’828 fondò sul Monte Bonifato un
grande castello del quale oggi rimane solo una torre ed una città che andò in
rovina . Una città che portava lo stesso nome di quella che oggi si trova alle
falde del monte.
Michele
Amari nel suo “Storia dei Musulmani di Sicilia” smentì i due storici alcamesi
che si erano basati su un errore involontario commesso dal canonico Schiavo
nelle sue “Memorie per servire alla storia letteraria della Sicilia” e affermò che il castello fu invece opera dei Ventimiglia.
Dopo
il 1184, durante la prima signoria di Alcamo, iniziata con la famiglia Tragna
nel 1077, l’antico casale di Alkamah, sulle pendici di Monte Bonifato, si
trasformò in borgo medievale.
Con
i Normanni e gli Svevi il centro cominciò ad espandersi verso valle, lasciando
il Monte Bonifato, e creando i quattro casali di San Vito, San Leonardo,
Sant’Ippolito e San Nicolò del Vauso (Salto ?) che verso il 1340 avevano
raggiunto una certo sviluppo urbanistico.
Casali
che erano abitati in massima parte da musulmani.
L’aspetto
urbanistico di “Alcamo” in epoca Normanna e Sveva
Le
rivolte dei saraceni, tra il 1221 ed il 1243, spinsero l’Imperatore Federico II
di Svevia ad intraprendere verso di loro una vera e propria guerra. Alla fine
anche la popolazione araba di Alcamo fu deportata nel 1243 verso Nocera
Inferiore e a Lucera (Foggia). I casali lentamente diventarono cristiani.
Il
feudo fu quindi concesso ai Ventimiglia e durante il loro dominio gli abitanti
della città, posta sul Monte Bonifato, continuarono a trasferirsi nei quattro
casali posti a valle che subirono un espansione verso nord-est.
Casali
che non erano difesi o circondati da mura
come il casale sul Monte Bonifato sul quale era presente il Castello dei
Ventimiglia.
Infatti
nel privilegio emanato da Federico III d’Aragona nel 1317, la città di Alcamo
era ancora considerata un casale (si riferiva al casale sul Monte Bonifato)
mentre in un altro diploma del 1332 si stabiliva la ricostruzione della città
alta sul Monte Bonifato.
Gli
storici Fazello, il Pirri e l’Amico studiando l’ultimo diploma ritennero più
esatto parlare di “un trasferimento della
città bassa sul Monte Bonifato”.
Giustificarono
il provvedimento con le migliori condizioni di difesa della città alta mentre
le ipotesi degli storici Luca Barberi e Di Giovanni misero in evidenza come il
provvedimento di “trasferimento”
fosse legato a favorevoli esenzioni fiscali. I due diplomi non ottennero gli
obiettivi prefissati perché nel 1398, re Martino I (Il Giovane) riconfermò e
quindi ripropose il privilegio di “trasferimento”.
Tra
il 1334 ed il 1340 il casale d’Alcamo visse un periodo di demanialità cioè
faceva parte del Regio Demanio.
Nel
1340 il re Pietro II, con un privilegio reale datato 23 agosto ed emesso a Messina,
concesse all’ammiraglio Raimondo Peralta, Conte di Caltabellotta, la “terra d’Alcamo”, il castello di Bonifato e il castello di Calatubo, mentre negò la
demanialità e le franchigie che erano state concesse dal padre Federico III a
causa “del mancato ripopolamento del
Monte Bonifato”.
Raimondo Peralta
era figlio di Filippo Saluzzo e di Sibilla Peralta, della baronia di Peralta
in Aragona, della
quale mantenne il cognome.
Secondo il De Spuches sarebbe invece figlio di un
complicato rapporto familiare:
il padre sarebbe
Filippo Perlata (fratello di Costanza di Svevia cioè moglie del re Pietro III)
e la madre Aldonza Ferandez, figlia di Eufemia d’Aragona,
primogenita
del re di Sicilia
Pietro II (figlio di Federico III d’Aragona)e regina di
Sicilia dal 1355
al 1357
La prima tesi è
quella più accettata anche perché Filippo Saluzzo ebbe
dalla moglie altre
due figlie:
Eleonora di
Salluzzo, (Marchesa di Salluzzo) e Costanza di Salluzzo.
Rimasto vedovo si
risposò con Agalbursa di Cervera
Raimondo
Peralta si sposò con Aldonza Fernandez de Castro, da cui ebbe quattro figli:
Guglielmo de Peralta, Filippo de Peralta, Raimondetto de Peralta, Berengario de
Peralta.
Rimasto
vedovo si risposò nel 1322 (?), ottenuta la dispensa pontificia dato che era
scomunicato per avere aderito al re Pietro II, con Isabella de Sicilia y
Sormella. Dal matrimonio nacquero: Giovanna Peralta, Eleonora de Peralta e
Giovanni de Perlata.
Ebbe
un altro figlio naturale, Galcerando de Peralta, con Esmeralda de Lorenzo (di Messina).
Dopo
la morte di Isabella il conte si sposò in terze nozze con Allegranza
Abbate (figlia di Enrico) (ante giugno
1344) da cui non ebbe figli.
Isabella (1297-1341 ?) era figlia naturale di Federico
III d’Aragona e di Sibilla Sormellla ( figlia di Siro de Solimella e di Ilagia
de Santa Sofia)(1273 – Catania ?) e quindi sorella di Pietro II (figlio di
Federico III d’Aragona e di Eleonora d’Angiò) re di Sicilia.
Isabella
nel 1313 sposò Ponc VI de Ampurias el Malgaulino ( nacque una figlia che fu Marchesa de Ampurias)
e, rimasta vedova, sposò nel 1322 Raimondo Peralta.
Tra
il 1340 e il 1350 il conte Peralta intraprese la costruzione del castello, come
riporta anche Gian Luca Barberi nel suo “Capibrevi”. L’edificazione del
castello favorì un ulteriore processo di urbanizzazione per la nuova città
sempre verso valle. L’edificio fu completato per opera dei nuovi feudatari
Enrico e Federico Chiaramonte, conti di Modica.
Stemma della
Famiglia Chiaramonte
La
loro presenza nel territorio, anche se di breve durata, fu importante a tal
punto che il castello ancora oggi è conosciuto con il termine di “Castello dei
Conti di Modica” a dimostrazione del
prestigio della nobile famiglia
inferiore solo alle prerogative regali.
Il
castello sorse in pieno feudalesimo quando i baroni erano in lotta tra di loro
per il controllo del territorio dal punto di vista commerciale. Le famiglie si
contendevano il florido commercio del frumento e quindi le importanti vie di
trasporto granario. Alcamo, per la sua posizione topografica, era considerato
uno scalo marittimo importante per il commercio del grano che si produceva nel
fertile territorio alcamese. Un territorio che diventò ambito dalle nobili
famiglie, prima i Peralta e poi i Chiaramonte di Modica. I feudatari si resero
conto che era necessario la costruzione di un castello per il controllo del
territorio. Un castello che, insieme ai fortilizi di Salemi e di Caltafimi,
avrebbe dato origine ad un triangolo fortificato contro le invasioni
provenienti da Mazara e dirette e Palermo.
Alcamo
verso il 1340, anno dell’inizio di
costruzione del castello, si presentava topograficamente così distribuita;
-
La
vecchia città araba di Alqamah posta sulle pendici del Monte Bonifato sul quale
si trovava il Castello dei Ventimiglia;
-
A valle quattro casali (San Vito, San
Leonardo, Sant’Ippolito e San Nicolò del Vauso).
I
Peralta e i Chiaramonte capirono che era
necessario difendere anche questa zona.
Una
zona che nel tempo aveva subito un graduale ampliamento perché la gente aveva
in gran parte lasciato le proprie case sul Monte per scendere a valle. I
Chiaramonte completarono la struttura come fortezza e anche come lussuosa
dimora.
È
questo un periodo storico molto confuso perché le fonti non sono molto chiare.
Nel
1360 la Signoria di Alcamo fu consegnata a Francesco II di Ventimiglia, Conte
di Geraci.
Nel
1378 la città di Alcamo, per cause ignote era piena di rovine e venne
riedificata rapidamente grazie all’opera degli immigrati di quel tempo e chiamati “habitatores”.
Nel
1392, capeggiati dall'arciprete Pietro De Laudes, gli alcamesi insorsero contro
Enrico Ventimiglia, figlio di Francesco II.
Alcamo
rimase in potere dei Ventimiglia fino al 1397.
Stemma della
Famiglia Ventimiglia
Fu
questo un periodo di decadenza per la città di Alcamo a causa delle lotte
associate ad interessi di natura economica per l’importanza del ruolo della città di Alcamo come “Caricatore del
Vallone”, centro di accumulo e smistamento del frumento.
A
causa di questi problemi la città ritornò al Regio Demanio dal 1398 al 1407.
Fu
ricostruita e verso la fine del XIV secolo passò dal grado di “casale” a quello di “Terra”.
Una
città che presentava un aspetto demografico alquanto complesso perché erano
anche presenti diverse centinaia di immigrati provenienti da altre zone della
Sicilia, dell’Italia (Pisa, Amalfi, Bologna, Calabria e Liguria) e anche dalla
Spagna.
Nel 1400 oltre agli addetti al custodia del
castello, al castellano, erano presenti dodici onorati compagni che prestavano
servizio dietro giuramento. Un castello piuttosto grande ed in grado di
sostenere, grazie alle munizioni e ai viveri, per un mese e mezzo ben trenta
compagnie di soldati.
Gli
alcamesi videro nel castello all’inizio un importante supporto per la difesa
del territorio e un simbolo di accresciuto prestigio, ma ben presto si
accorsero che rappresentava anche il simbolo della perduta libertà davanti al
feudatario.
Una
costruzione legata all’aristocrazia feudale che fino al 1812 condizionò assieme
al clero, gli eventi storici del centro.
Nel 1407 (Re di Sicilia era Martino I, Il Giovane) il
castello di Alcamo fu ceduto a Giaimo de Prades e la figlia lo portò in dote al marito
Giovan I Bernardo Cabrera, figlio del
famoso giustiziere conte di Modica, persecutore della regina Bianca.
Giacomo (o Giaimo)
d’Aragona e Arenòs di Prades
(…….; Perpignano,
25 agosto 1408)
Nobile, politico e
militare catalano del XIV secolo, capostipite dei Prades in Sicilia.
Figlio di Giovanni
d’Aragona e Foix, III Conte di Prades, e di
Sancha Ximènez dei signori di Arenos, di cui era figlio secondogenito.
Sancha Ximènez dei signori di Arenos, di cui era figlio secondogenito.
Nel 1392 giunse in
Sicilia al seguito di Martino I (Il Giovane), che dopo
aver conquistato
la Sicilia, lo nominò Governatore di
Catania e successivamente
Gran Contestabile
della Corona d’Aragona, Ammiraglio del Regno di Sicilia (1398),
Luogotenente nella
Val di Mazara.
Signore di Alcamo,
Caccamo, Calatafimi, Sclafani e Sortino
sposò Giovanna
Moncada Peralta, figlia di Matteo, Conte di Agosta,
da cui
nacquero: Agata, che sposò Giovanni de
Ventimiglia, e
Isabella che sposò
Francesco de Ventimiglia
Alla morte della
moglie avvenuta nel 1393,Giacomo Prades si risposò con la cugina
Elenora d’Aragona
Ximènez, figlia di Alfonso, conte di Dèmia.
Dal matrimonio
nacque Violante (1395-1471) che sposò
Giovanni I Bernardo Cabrera morto nel 1466.
Nel
1410 circa, giunsero in Sicilia gli
ambasciatori del re Ferdinando di Castiglia, mentre Bianca di Navarra, vedova
del marito re di Sicilia Martino il Giovane, attendeva dal re la conferma del
suo vicariato.
Alcamo
fu al centro di una grave sommossa fra due opposte fazioni: i fautori di Bianca
di Navarra e
le forze del castello fedeli a Violante de Prades (futura moglie del giovane Giovanni Bernardo I Cabrera, Conte di Modica).
le forze del castello fedeli a Violante de Prades (futura moglie del giovane Giovanni Bernardo I Cabrera, Conte di Modica).
Ci
fu un terribile scontro notturno tra i fedeli a Violante che, armati di
bombarde, combatterono al grido di «viva
donna Violante et la capra, et cui dichi altru mojra!». Con il nome di «capra» era indicata Timbore
(Timbor) Cabrera (o Caprera), sorella
(non figlia come riportano alcuni siti) del Conte di Modica, che guidava la
ribellione dietro le quinte.
Dopo la vittoria ottenuta sui partigiani della regina Bianca di Navarra, ci furono grandi feste e tripudi nel castello tra i Prades e i Cabrera.
Dopo la vittoria ottenuta sui partigiani della regina Bianca di Navarra, ci furono grandi feste e tripudi nel castello tra i Prades e i Cabrera.
Giovanni I Bernardo de Cabrera (nato nel 1400; morto il 14 maggio 1466 a Ragusa) sposò quindi
Violante de Prades, baronessa di Caccamo.
Dal matrimonio nacquero Joan, XIII visconte de Cabrera e Isabel de
Cabrera, (Giacomo e Bernardo). Timbor de Cabrera e Sancha Jmena de Cabrera
erano le sorelle di Giovanni I Bernardo Cabrera, in quanto figlie di Berbardo de
Cabrera e di Timbor de Prades y Aragon.
Timbor de Cabrera (1386
– 1464 (+13?)) sposò Juan “el Orador” Fernandez Hjiar, barone di Hjiar, signore
di Lecera y Vinaceite.
Bernardo Caprera (Cabrera) e de Foix
(Barcellona, 10 agosto 1350; Catania, settembre 1423)
fu uno dei primi signori della Catalogna.
Visconte di Caprera, passò in Sicilia con il re Martino e
con la carica di
ammiraglio dell’armata reale. Con Concessione del 5 giugno
1392 fu investito
della Contea di Modica che era stata posseduta da Andrea
Chiaramonte di cui
il Cabrera fu giudice e spietato carnefice.
Si sposò prima con Timbora d’Aragona-Prades e Arenòs e
successivamente
con Cecilia d’Aragona e Monferrato.
Giovanni I Bernardo Cabrera era figlio della prima moglie.
La tomba di Bernardo Cabrera a Ragusa nella Chiesa di
San Giorgio
Il Cabrera dovette attendere alcuni anni prima di ottenere il possesso
della Contea in seguito alla morte del padre Bernardo.
Il
padre lo dichiarò “erede universale” lasciandogli i feudi della Catalogna ( i
Viscontadi di Caprera e Bas, il Ducato di Osuna ed altri territori e assegnò la
Contea al figlio illegittimo (naturale) Raimondo, nato da una relazione con una
certa Filingeri, convivente, e già abilitato dal Re Alfonso “…a qualsiasi paterna successione anche di
feudi come se fosse nato da legittimo matrimonio…”, ma con la clausola “salvi i diritti dei terzi”.
Questa
piccola clausola permise al Cabrera di ottenere il permesso della Contea e
delle baronie facendo valere i suoi diritti, riconosciuti anche dalle leggi
feudali, come figlio legittimo.
L’accordo
tra Bernardo V e Raimondo venne facilitato dalla mediazione del principe
Pietro, figlio del re Ferdinando d’Aragona, luogotenente generale del Regno di
Sicilia per nomina del fratello Alfonso il Magnanimo.
Il
principe il 2 novembre 1424 a Catania, emanò il suo giudizio arbitrale
dichiarando che “ Raimondo aveva diritto
a ricevere dal “fratello” sia 45.000 fiorini d’oro d’Aragona garantiti, se non
versati subito, dalla cessione di Mazzara, Alcamo
e Calatafimi, sia parte dei beni
mobili del Conte Bernardo e la metà del frumento esistente nei magazzini della
Contea”.
Fiorino d’oro
d’Aragona (Alfonsino)
Il
18 ottobre 1425 Giovanni I e Raimondo convennero che “Giovanni I consegnava a Raimondo le città di Scicli, Giarratana e
Spaccaforno (Ispica) e garanzia della suddetta somma e fino al pagamento della
stessa, compresi gli interessi”.
Raimondo
prese però possesso della Contea subito dopo la morte del padre e, malgrado gli
accordi raggiunti con fratello, vi rimase per parecchi anni anche come signore
delle tre città che gli erano state assegnate.
Giovanni I dimorò a Modica dopo il 1431grazie al perdono di re Alfonso che gli aveva
confiscato la Contea per aver aiutato militarmente il re di Castiglia, nemico
del Magnanimo (Alfonso).
Lo
stesso re Alfonso gli mostrò successivamente la sua grande stima e gratitudine
per il contributo militare nell’assedio di Napoli del 1437-38 e nella conquista
della città nel 1442.
Questo
permise al Cabrera di ottenere il perdono per gli abusi e le appropriazioni
indebite di cui era stato accusato anche dai suoi vassalli e di ottenere la
conferma sia dei privilegi goduti dal padre sia l’assegnazione della Contea con
un nuovo atto di infeudazione del 1452.
Nel
1447 il cattivo governo e gli abusi vari commessi da Giovanni I, allora
presente nella Contea, e probabilmente anche da altri che spadroneggiavano “a suo nome”, avevano
fatto insorgere gli abitanti di Ragusa. I più scalmanati incendiarono la
Cancelleria (l’Ufficio fu completamente distrutto e ricostruito dopo vari
decenni prendendo il nome di “Corte del Patrimonio”) e uccisero il figliastro
dell’amministratore di Ragusa.
Intervenne
il vicerè di Sicilia (Lope III Ximènez de Urrea y de Bardaixi) che fece
processare, con giudici da lui nominati, sia il Conte che i vassalli.
Malgrado
le forti condanne inflitte ai facinorosi, l’insurrezione si estese in tutta la
Contea con la richiesta dei sudditi “di
cacciare Giovanni I dal feudo, di porsi
sotto la sovranità del re e di intentare un processo al Conte per le accuse di
usurpazione dei diritti demaniali, di abuso di potere, di alterazione del
privilegio originario, di infeudazione illegale della Contea dato che ancora
non aveva ricevuto l’investitura”.
La
situazione sia nella Contea che nelle baronie era drammatica.
La
Regia Corte aveva già sottoposto a regolare processo il Cabrera per accuse
simili, compreso l’arbitrario ampliamento della Contea mediante l’annessione di
altri paesi, decidendo fra l’altro il 2 maggio 1445 la sua condanna al
pagamento di 60.000 scudi per “le
appropriazioni indebite di diritti e proventi spettanti al demanio”.
Il
Conte, temendo gravi conseguenze, si rivolse direttamente al sovrano.
Re
Alfonso, sebbene fosse convinto sia delle gravi colpe di Bernardo Cabrera e del
figlio Giovanni I rilevate dalla Gran Corte durante il lungo procedimento
giudiziario nel 1435 sia della fondatezza delle accuse mosse soprattutto dai
cittadini di Modica, confermò al Conte, come in una transazione
amministrativa “tutti i privilegi, leciti
ed illeciti, fino ad allora goduti, condannando le ruberie e le usurpazioni
commesse”.
Ordinò quindi un nuovo diploma
d’investitura in sostituzione di quello del 1392 e rilasciato dal re Martino I
(Il Giovane) al Conte Cabrera poiché le “alterazioni lo rendevano di dubbio
valore”.
Mantenne
però la condanna al pagamento di 60.000 scudi al fisco già decisa dai giudici
della Gran Corte.
I
vassalli non riuscirono ad ottenere che
il territorio della Contea “divenisse
libero o demaniale” sottraendolo al dominio del Conte di cui erano state
riconosciute le colpe.
Gli
stessi vassalli ottennero d’allora in poi un governo migliore. Il Conte,
tornato a Ragusa nel suo feudo, vendette molti centri per poter ricavare i
60.000 ducati relativi alla condanna della Corte e “trasse vita divota ed ascetica,
invitando con pubblico bando i sudditi a reclamare dei torti subiti per colpa
sua o dei suoi officiali”.
Fu
costretto a vendete molti centri ed alcuni con diritto di ricompra:
-
Nel
1453 Comiso al Conte Periconio Naselli per 1320 onze;
-
Giarratana a Guglielmo ed a Nicolò Casaglia;
-
Spaccaforno
(Ispica) ad Antonio Caruso per 2800 onze;
-
Monterosso
a Ludovico Perollo ma con diritto di ricompra;
-
Alcamo e Calatafimi a Niccolò (Nicolò) Speciale ma con
diritto di ricompra.
Il Conte alla fine fu anche amato dagli
stessi vassalli attraverso le opere di beneficenze e anche per la distribuzione
di terre ad enfiteusi con la richiesta di lievi canoni.
“Si
vuole originaria di Pisa, nota, sin dal secolo XIII, in Sicilia dove, al dir
del Baronio,
ebbe
il privilegio di batter moneta.
Possedette
la ducea di Valverde già Bologna ; le baronie di Alcamo e Calatafimi,
di
Sant’Andrea, Cipolla, Ficarazzi, Mallia, San Marco, Santa Maria la Nuova,
Sant’Onofrio,
Pozzo,
Vaccarizzo, l’ufficio di regio secreto di Nicosia, ecc. ecc.;
godette
nobiltà in Messina nei secoli XIII, XIV, XV, in Palermo, in Nicosia, ecc.
Un
Ottavio fu giurato di Messina nel 1231; un Francesco, milite, di Messina è
notato nel ruolo dei feudatari sotto re Ludovico per un cavallo alforato; un
Antonio fu vice secreto di Lentini nel 1398;
un
Nicolò, milite, maestro razionale fu barone di Paternò, Spaccaforno,
Castelluzzo,
Graneri,
Cassibile, San Marco lo Celso, Monteclimito, Cipolla e fu vicerè in Sicilia
negli
anni 1423, 1429, 1432; un Pietro barone di Cipolla, di Alcamo, di Calatafimi,
ecc. fu
pretore
di Palermo negli anni 1440-41, 1461, maestro razionale del regno e vicerè di
Sicilia nel 1448;
Giovanni I Bernardo Cabrera e Aragona rimase in carica, con il titolo di Conte di
Modica, dal 1423 al 1466 e morì a Ragusa il 14 maggio 1466.
Era anche: Conte di Osona, Visconte di Bas, Barone di Montclùs e del
caricatore di grano di Pozzallo (Ragusa), Signore d’Hostalric, d’Argimon, di
Palafolls, di Caccamo (Palermo).
Il figlio Giovanni II (Juan) (1425 – Modica, 29
dicembre 1474 ) fu l’XI Conte di Modica
e sposò Giovanna Ximènez de Foix
(? – Modica 15 dicembre 1486). Trasferì la capitale della Contea da Ragusa a
Modica.
(Giovanna
Ximènes de Foix, viene indicata in alcuni testi come “de Jonna de Carmain” figlia di Jean I de Carmaing, Visconte di Caraman
e di Isabella dei Foix. La madre di Isabella era “Sancha Imena de Cabrera” (sorella di Bernardo V Giovanni Cabrera) e il padre “Archambaud de Grailly, Signore de Navailles”) (“Carmain” era forse
“Puerto del Carmine” nelle Isole Canarie ?).
La
coppia ebbe i seguenti figli/e;
-
Joan
III (1460 – 1474), XIV Visconte di Cabrera;
-
Anna I, XV
Viscontessa di Cabrera;
-
Carles
de Cabrera;
-
Isabel
de Cabrera.
Giovanni
II dalla relazione con Rafaela de Rocaberti ebbe un figlio naturale, Ioan de
Cabrera, che sposò una certa Anna de Miquel.
Anna Cabrera
Ximènez o Anna I Cabrera (Modica, 1460 – Medina de Rioseco (Chiesa di San
Francesco), 1526).
Nel
1474 morì precocemente Joan III lasciando il feudo al figlio Giannotto che
morirà nel 1477. Anna I, ancora minorenne succedette al fratello minore
Giovanni e al nipote Giannotto con la reggenza della madre Giovanna Ximenez.
I
Titoli di Anna Cabrera erano: Contessa di Modica, Viscontessa di Cabrera,
Signora di Alcamo e Osona.
Anna
Cabrera “bellissima secondo le cronache
ed immensamente ricca” diventò
l’ereditiera più contesa dei regni di Spagna ed anche la prima donna alla guida
di uno stato feudale, di una Contea.
Re
Giovanni II di Spagna, che nel 1458 era subentrato al fratello Alfonso il Magnanimo,
inviò un’ambasceria alla contessa madre Giovanna Ximènez, per chiederle di
concedere la mano della figlia Anna ad un suo nipote, Federico Enriquez,
primogenito dell’Almirante di Castiglia, nipote del re Giovanni e cugino di
primo grado di Ferdinando, che sarà re nel 1479 con il nome di Cattolico.
Stemma
Famiglia Henriquez/Enriquez
Dal
Nobiliario Siciliano
La
contessa madre propose un vero r proprio contratto di matrimonio, i “Capitoli nuziali”, in cui, fra le altre cose,
s’imponeva allo sposo di aggiungere al cognome Enriquez quello di Cabrera.
Questi
capitoli furono ratificati e giurati da Ferdinando il Cattolico e dalla
famiglia Enriquez a Toledo nel febbraio 1749 e nel dicembre dello stesso anno a
Modica dalle due contesse.
Questi
capitoli hanno anche un importanza linguistica.
“Le complesse
trattative cominciarono con i capitoli stesi da un notaio di Modica (per conto
di Anna Cabrera e di sua madre) e da uno di Toledo; un terzo notaio prese in
consegna gli atti a Barcellona. I capitoli furono infine sottoposti al re per
l’approvazione. Il notaio di Modica, Tommaso de Bagheri, scrive in siciliano e
in latino; il notaio di Toledo, che è catalano ( Gaspare Davinyo), scrive in
catalano e in latino; in castigliano sono infine le formule di approvazione da
parte del re. Ne risulta un documento quadrilingue, composto dei capitoli
redatti a Modica, e che è andato via via completandosi attraverso la loro
ratifica da parte del re a Toledo, e successive integrazioni ancora a Toledo,
quindi a Modica, Barcellona, Toledo. Nella parte finale consta di quattro
pergamene cucite insieme, ed è preceduto da una narrazione (in latino) delle
laboriose trattative”.
Fra
le tantissime norme contrattuali scritte nei capitoli ..
“ Et prometti in
dota lu carricaturi di lu Puzzallu et di Cammarana cum facultati di putiri
trahiri omni annu deli dicti carricaturi tractidudichimilia cum lu supplimentu
et lu jus luendi lu qualiteni supra Alcamu
et Calatafimi et supra la terra di Muntirussu”.
Questa
“promessa” del 1479 mette in rilievo
alcuni aspetti decisamente importanti:
-
Alcamo, Calatafimi e
Monterosso dopo la vendita di Giovanni I Bernardo Cabrera, nel 1453 non erano state ancora riscattate a distanza
di 26 anni
-
Le
12.000 salme di frumento esenti dal dazio d’esportazione continuavano a
rimanere salde nelle mani dei Conti e costituivano una voce importantissima
nell’economia dell’intera Contea;
-
Il
caricatore di Cammarana lavorava a pieno regime dimostrando in tutto il
territorio un attività produttiva e
commerciale di tutto rispetto.
Altre norme presenti nei “Capitoli”:
-
Celebrare
il matrimonio a Modica;
-
Conservare
per sé il castello di Modica e di abitarvi insieme , mentre il Segreto della
città doveva continuare a mantenervi il castellano e la compagnia d’armi.
Castello di Modica
Modica
Raggiunta
la maggiore età, nel 1481 (aveva 21
anni) nella chiesa di Santa Maria del
Gesù a Modica, sposò Federico Henriquez, con il quale governò i possedimenti
fino alla morte.
Vissero
nel castello di Modica, dove era nata, e in quello d’Alcamo quando venne
riscattato.
Il Convento dei
Frati Minori Osservanti con l’annessa Chiesa di Santa Maria di Gesù fu
realizzato extramoenia (fuori le mura della città) ed è uno dei
monumenti superstiti dell’architettura del Quattrocento/Cinquecento Siciliano.
Una struttura che non subì danni importanti nel terremoto del 1693.
Chiesa e convento
furono fondati nel 1478 circa e la costruzione fu legata ai
finanziamenti di
Anna I Cabrera e probabilmente anche di Federico Enriquez
che si sarebbero
sposati nella chiesa nel gennaio del 1481.
Al Convento venne annesso anche uno Studium (Almum Generale Gymnasium
Mothycense)
aperto non soltanto ai 40 frati che il convento ospitava ma anche ai laici.
Chiostro della Chiesa di Santa Maria di Gesù - Modica
Modica - Particolare del Chiostro della Chiesa e Convento di Santa Maria di Gesù
Nella chiesa di
Santa Maria di Gesù ad Alcamo che fu fatta costruire da Anna I Cabreara, si
trova un bellissimo dipinto che fu commissionato, dalla stessa Anna I e dal
marito
Federico Enriquez,
al pittore palermitano Pietro Ruzzolone (Rozzolone, Ruzolone,
Ruzzuluni, attivo
da 1484 al 1523 a Palermo).
Il dipinto
rappresenta la Madonna delle Grazie (Madonna greca) con il
Bambino Gesù in
braccio, ai lati San Francesco d’Assisi e San Benedetto e, in ginocchio,
tre paggi vicino
al Conte Federico Henriquez e
tre damigelle
accanto ad Anna I Cabrera.
Alcamo - Chiesa di Santa Maria di Gesù
Dipinto del Ruzzolone che ritrae Anna Cabrera e Federico Enriquez
Nel 1484 re Ferdinando II (Il
Cattolico) d’Aragona richiamò Federico
Henriquez in Spagna per affidargli
l’incarico di Almirante di Castglia. La coppia decise quindi di trasferirsi in
Aragona invalidando tutti i benefici, anche economici, che la presenza della
corte fedale produceva sia nella Contea che nei vasti possedimenti.
Fu
infatti introdotta la consuetudine dei feudi amministrati “da lontano”, che causò una progressiva diminuzione di
prosperità economica e soprattutto di prestigio.
Federico
Enriquez si preoccupò dell’amministrazione della Contea con la stesura di
“capitoli” od ordinanze con le quali prescriveva agli ufficiali addetti alla
riscossione delle gabelle, diritti e proventi vari di compilare i conti di
carico e di scarico e di presentarli al Maestro Razionale presso la Cancelleria
del Patrimonio. Emanò anche dei
“capitoli” (12 gennaio 1520), sempre rivolti ai capitani, ai giurati ed ai
magazzinieri, affinchè evitassero abusi nell’esercizio della loro carica
riscuotendo fra l’altro diritti non spettanti o commettendo illeciti come
quello di usare due tumoli… diversi: “uno
per misurare il grano che si riceveva dai fittavoli o dagli enfiteuti e l’altro
per quello che si vendeva..”
Federico
ed Anna risiedettero a Medina de Rioseco, nel Regno di Castiglia, dove fecero
anche costruire la Chiesa di San Francesco con la cappella funebre di famiglia.
Parteciparono attivamente alla vita della corte dei re cattolici, a Toledo e a
Barcellona dove era presente la figlia del re ed erede alla corona, Giovanna La
Pazza.
Medina di Rioseco
– Chiesa e Convento di San Francesco
Medina di Rioseco (Valladolid) - Chiesa e Convento di San Francesco
Nel
frattempo nel castello di Alcamo, di proprietà di Nicolò Speciale, nel 1517,
sotto il regno di Carlo V, vi trovò rifugio con i suoi figli Giovanni di Luna,
conte di Caltabellotta per avere favorito la causa del viceré Ugone Moncada,
Temendo la vendetta del popolo si ritirò nel castello.
Anna
I Cabrera morì all’età di sessantasei anni (1526), senza prole, e venne sepolta
nel convento di San Francesco.
Federico
Enriquez, prima di morire nel 1530, consegnò la baronia di Caccamo,
riacquistata dopo una precedente vendita insieme ad Alcamo, e la Contea di Modica
ai due nipoti Luigi (o Ludovico), figlio del fratello Ferdinando, e ad Anna
II Cabrera Moncada.
Anna II Cabrera
Moncada (1508/1526
- / Valladolid, Castiglia, 28 maggio 1565) era figlia di un Giovanni, definito
III, figlio naturale di una relazione che Joan II Cabrera aveva avuto prima di
morire.
Alcuni
testi indicano Giovanni III come fratellastro di Anna I e quindi figlio
naturale di Joan II, infatti Federico Enriquez citò Anna II come nipote.
Anna
II e Luis Enriquez e Giron, II duca di Medina de Rioseco, si sposarono nel 1530
e ricevettero l’investitura dai possedimenti dall’imperatore Carlo V.
Investitura che comprendeva anche la baronia di Calatafimi che sarà riscattata
nel 1551.
Nel
1534 il castello di Alcamo fu attaccato dal Barbarossa, un famigerato corsaro
esponente di quella pirateria islamica che in quel tempo conduceva una vera e
propria guerriglia contro le navi cristiane. Nelle sue azioni spesso si
addentrava nell’interno dell’isola per colpire e depredare le città e i
villaggi.
L’1
settembre 1535 nel loro castello di Alcamo vi soggiornò per tre giorni
l'imperatore Carlo V, reduce vittorio con il suo esercito da Tunisi, che definì
Alcamo «città opulenta e gioconda».
La città in
quel periodo aveva circa 8.000 abitanti
Nel 1567 il conte, stanco di molte vicissitudini soprattutto
economiche, cedette l’amministrazione dei suoi beni di Spagna al figlio
Ludovico II che aveva ricevuto alla morte della madre Anna II anche la Contea di Modica e le baronie di Alcamo, Caccamo e Calatafimi.
Ludovico
II Enriquez ricevette l’investitura della Contea e dei beni il
7 novembre 1565 e il 31 dicembre 1586 sposò Vittoria Colonna
(figlia dei Marcantonio II Colonna, Duca di Tagliacozzo e vicerè di Sicilia,
dal 1577 al 1584, e di Felicia Orsini). Un matrimonio voluto dal fratello di
Vittoria, il cardinale Ascanio, ed effettuato per procura.
Vittoria Colonna
diventò quindi Duchessa di Medina di Rioseco e Contessa di Modica e di
altri feudi e dama di compagnia della
regina alla corte di re Filippo II e del successore Filippo III.
Rimase vedova nel 1660, Ludovico III Enriquez morì all’età di
36 anni in maniera improvvisa e sospetta, con tre figli a carico, fra cui il
piccolo Giovanni Alfonso (di quattro anni). Decise di assumere a nome di
Giovanni Alfonso il governo di tutti gli stati degli Stati degli Enriquez
(comprese le baronie) adempiendo alle ultime volontà del marito che l’aveva
designata reggente dei medesimi purchè “non
si risposasse e risiedesse in Spagna”.
(La coppia ebbe sei figli di cui solo tre riuscirono a
sopravvivere:
-
Anna
(1589), sposò Francesco de la Cueva;
-
Felicia
(1594), il cui coniuge fu Francesco Gomez De Sandoval;
-
Giovanni Alfonso (1956) che
sposò Luisa, figlia del Duca di Cea (Duca di Uceda)
Vittoria dapprima ottenne da un funzionario del Regno la
ratifica e la conferma di tutrice del Conte Giovanni Alfonso ancora
minorenne e di amministratrice dei feudi lasciati dal marito; quindi
s’interessò delle baronie e della Contea di Modica la quale per la sua ampiezza
ed i suoi elevati redditi richiedeva un governo molto efficiente.
Stemma
della Famiglia Colonna
Per questo motivo la Duchessa sollecitò la collaborazione sia
del procuratore generale da lei eletto, cioè il nobile Fortunio Arrighetti, sia
del governatore Don Paolo La Restia e dei funzionari più elevati in carica ed
addetti presso la corte del Patrimonio alla gestione di tutte le entrate e le uscite del Feudo. Dovette affrontare,
con diversi espedienti, il problema legato all’elevata massa di debiti che
gravavano sulla Contea e regolare il
pagamento di quei debiti che riteneva legittimi.
Raggiunse un accordo con i numerosi debitori che minacciavano
svendite forzate o sequestri di beni e rendite. Riuscì ad ottenere di poter
rateizzare a lungo termine (in trent’anni) la liquidazione dei crediti dovuti e
dei relativi interessi. Per questo scopo utilizzò la metà dei redditi della
Contea e delle baronie, mentre adibì l’altra metà ad occorrenze varie, fra cui
quella degli “alimenti” mensili, circa
un migliaio d’onze, per il mantenimento in Ispagna di lei e dei suoi figli
secondo le esigenze di una famiglia nobile del tempo.
In secondo luogo restrinse l’entità dei debiti rifiutando di
pagare quelli che il defunto marito, Ludovico III, aveva contratto a titolo
personale.
Una donna capace di
guidare una Contea anche nel campo economico.
Il suo pensiero economico sulla Contea e sui possedimenti fu diverso
rispetto a quello dei suoi predecessori.
Pensò che la Contea avrebbe reso economicamente molto di più se
amministrata direttamente da lei invece che da estranei come gli arrendatori
genovesi Alessandro Cigala ed il suo socio. Esonerò i due genovesi dall’incarico dopo aver pagato loro
solo una parte del credito che pretendevano di vantare nei suoi confronti. Nel
1604 riconcesse la gestione del feudo ad Angelo Giorfino ed a Vicenzo
Giustiniano, ma con patti più seri e soprattutto più convenienti per la
Duchessa.
Riuscì
anche a fondare la città di Vittoria che porta in onore il suo nome.
Busto
di Vittoria Colonna a Vittoria (Ragusa)
Nel contempo utilizzando le rendite della Contea di Modica, riscattò alcune città
della Castiglia ed i feudi della Catalogna. Poi si dedicò alla sistemazione
delle due figlie e del figlio con matrimoni vantaggiosi, con personaggi
illustri.
Nel
1614 Vittoria Colonna vendette per 2000 scudi la Baronia di Alcamo a Pietro Balsamo,
principe di Roccaforita per rientrarne in possesso nel 1618.
“Nobile ed antica famiglia originaria, al dir del
Galluppi, da Costantinopoli,
e che godette nobiltà in Messina dal secolo XI al
XVIII….”
Il figlio Giovanni
Alfonso, divenuto maggiorenne assunse nel 1617 il dominio della Contea e degli
altri feudi con i relativi titoli. Vittoria Colonna si ritirò a vita privata
dedicandosi ad opere di beneficenza a favore di istituti religiosi. Favorì la
venuta dei Gesuiti a Modica dove crearono nel 1630, grazie alla donazioni ed ai
sussidi ricevuti, un collegio con scuole di ordine superiore oltre ad un corso
universitario con insegnamento delle materie del “trivio e del quadrivio” e studi per la laurea in filosofia ed in
teologia.
(Nelle Scuole del Trivio e del Quadrivio s’insegnavano le
arti liberali, cioè grammatica, dialettica, retorica, da una parte, e
aritmetica, geometria, musica ed astronomia, dall’altra).
Morì nel dicembre del 1633 e fu sepolta, come il marito ed
altri Conti Enriquez, nella cappella di famiglia nella Chiesa e Convento di San
Francesco d’Assisi a Medina de Rioseco.
Giovanni
Alfonso Enriquez ereditò tutti i feudi paterni a cui si aggiunsero quelli di
“Almirante maggiore” e di Conte di Melgar in Castiglia. Ottenne l’investitura
della Contea e delle baronie
Come
i suoi predecessori fece una vita dispendiosa a causa anche della magnificenza
di cui si circondava da uomo di corte frequentando assiduamente, mentre
dimorava a Madrid, la reggia di Filippo IV.
Risiedeva
a Madrid e la Contea di Modica era affidata al procuratore generale Fortunio
Arrighetti e ai suoi funzionari del
Feudo modicano che periodicamente ricevevano i suoi ordini.
Fu
nominato vicerè di Sicilia (dal 1641 al 1644) e successivamente fino al 1646
del Regno di Napoli.
Durante
il periodo in cui esercitò il viceregnato delegò la moglie Luisa de Sandoval a
sostituirlo nel governo della Contea. Luisa si dimostrò un abile
amministratrice emanando dei provvedimenti di grande utilità economica e
sociale.
Fu
costretto ad affrontare ingenti spese, fra cui quelle per la sua ambasceria, su
ordine del re Filippo IV, al nuovo papa Innocenzo X. Per fare fronte a queste
spese fu costretto a vendere la baronia di Caccano nel 1646 a Don Filippo Amato, principe di
Galati, per la somma di 48.000 onze di
monete siciliane,
Nello stesso anno il territorio di Ragusa subì
una tremenda
invasione di cavallette che causò una tremenda carestia. il
pane venne a mancare e fu rimpiazzato dalla crusca quando era possibile
trovarlo al "mercato nero". La gente si riversava nei campi alla
ricerca di erbe e radici commestibili e fu tanta la fame che quell'anno fu
ricordato come "a
malannata ranni" (la
grande male annata).
Dopo il periodo vicereale a Napoli, Giovanni Alfonso si ritirò definitivamente nel 1646 a Madrid dove, dove la morte lo colse, a soli 50 anni, nel febbraio del 1647, fra le braccia del re di Spagna che, durante la breve malattia, lo andò a visitare più volte. Fu sepolto come gli altri Conti del medesimo casato nella chiesa di S. Francesco a Medina dei Rio Seco.
Dopo il periodo vicereale a Napoli, Giovanni Alfonso si ritirò definitivamente nel 1646 a Madrid dove, dove la morte lo colse, a soli 50 anni, nel febbraio del 1647, fra le braccia del re di Spagna che, durante la breve malattia, lo andò a visitare più volte. Fu sepolto come gli altri Conti del medesimo casato nella chiesa di S. Francesco a Medina dei Rio Seco.
Giovanni Alfonso Enriquez De
Cabrera
Modica
Nel
1631 Alcamo venne levata dal grado
di “Terra” a quello di “Città” dal Vicerè Francesco de la
Cueva.
Gli Enriquez verso la fine del XVII secolo, con il Conte
Giovanni Gaspare, vendettero la baronia di Alcamo a Guglielmo Ajutamicristo, i
cui eredi saranno proprietari sino al 1741.
Una famiglia originaria di Pisa e
giunta a Palermo con un Guglielmo,
giurato di Palermo “negli anni 1483, 1484, 1485,
1493 e 1494, che, per gli atti
di notar Domenico Di Leo,
comprò da potere di Giovan Vincenzo la Grua il feudo e
castello di Misilmeri che ebbe confermato a 29
gennaio 1486. Avea di già comprato
la terra di Calatafimi che
trasmise, una a Misilmeri, al figlio Raineri il quale
ne fu investito a 2 settembre
1501. Fu Guglielmo giurato di Palermo negli anni 1483, 1484, 1485 e 1493 e
1494, carica tenuta anche da un Nicolò Antonio nel 1523-24 e
da un Pietro negli anni
1518-19 e 1521-22. Quest’ultimo fu anche pretore di Palermo
nell’anno 1536-37, ministro
della nobile compagnia della Carità nell’anno 1534,
e possedette lo splendido palazzo, sito nella via
che oggi porta il nome di Garibaldi, nel quale alloggiò Carlo V.
Sul
possesso della baronia di Alcamo da parte della famiglia Ajutamicristo non ci
sono molti riferimenti se non nel sito della Regione Sicilia dedicato ai
castelli.
Il
passaggio sarebbe avvenuto forse durante la guerra di successione spagnola,
all’inizio del XVIII secolo, che interessò anche la Sicilia, dominio del Regno
di Spagna, e la Contea di Modica con il suo conte Juan Tomas Enriquez de
Cabrera (succeduto al Conte Giovanni Gaspare Enriquez (1647 – 1691)
(Juan
Tomas Enriquez de Cabrera Toledo e Sandoval, VII Duca di Medina Rioseco,- nato
a Genova il 21 dicembre 1646 / morto ad Estremoz (Portogallo) il 29 giugno 1705
– figlio di Juan Gaspar Enriquez de Cabrera e Sandoval (X ammiraglio di
Castiglia, VI Duca di Medina de Rioseco, VIII Conte di Modica) e di Elvira del Toledo Osorio (Ponce de Leon
?).
Filippo
di Borbone, duca d’Angiò, fu incoronato nuovo Re di Spagna con il nome di
Filippo V come disposto per testamento dal defunto re Carlo II di Spagna, zio
di Filippo di Borbone.
L’ascesa
al trono del nuovo sovrano fu contrastata dalle monarchie europee e in
particolare dagli Asburgo che da molto tempo avanzano delle pretese sul Regno di Spagna con l’arciduca Calo
d’Austria.
Juan
Tomas Henriquez si schierò in favore delle rivendicazioni asburgiche e il
sovrano Filippo V di Spagna lo condannò a morte, per tradimento, nel 1702. Lo
stesso Enriquez ricevette anche la confisca dei beni tra cui la stessa Contea
di Modica che venne reintegrata al Regio Demanio.
Fu
in questo periodo che la baronia di Alcamo passò alla famiglia
Ajutamicristo che la mantenne fino al
1741? La baronia fu venduta agli
Ajutamicristo dagli Stessi Enriquez, prima della condanna a morte di Juan Tomas
o fu concessa dal Regio Demanio ? Domande legate sempre ad un eventuale
possesso della baronia da parte degli Ajutamicristo dato che nel nobiliario
siciliano non appare questo titolo di proprietà.
La
guerra di successione spagnola si concluse nel 1713 con il trattato di Utrecht
che tra le condizioni determinava la cessione, da parte della Spagna, del Regno
di Sicilia al Duca Vittorio Amedeo II di Savoia che diventava re di Sicilia.
La
dinastia Savoia acquisì per la prima volta il titolo di re con l’incoronazione
a Palermo.
Era
importante per i Savoia diventare “reali” e per raggiungere lo scopo, nel trattato di
Utrecht, dovettero concedere qualcosa agli spagnoli pur di avere al più presto
il Regno di Sicilia nelle loro mani ….. per farne che cosa ?
Fu
così che al punto (X) del trattato di Utrecht, i Savoia cedettero a Filippo V
il possesso della Contea di Modica e di “qualunque
altro bene la corona spagnola avesse in possesso personale in Sicilia”.
In
definitiva dal 1713 al 1720 Filippo V di Spagna fu titolare della Contea di
Modica e di altre baronie.
Una
strana decisione perché si determinò la creazione di un’enclave spagnola nel
territorio della Sicilia, purtroppo, Sabauda.
Il
re di Spagna per difendere l’autonomia e la sovranità della Contea di Modica e
delle baronie, assegnò alla città di Modica un reggimento di cavalleria ed
affiancò al Governatore, al cui comando erano 12 alabardieri, un ministro
spagnolo che aveva funzioni di controllo amministrativo.
Nel
1718 partì proprio da Modica un tentativo da parte della corona spagnola di
riconquista dell’isola. Dalla Contea partirono 500 soldati per Augusta, ma dopo
qualche primo successo, il tentativo di riconquista dell’isola svanì in seguito
alla sconfitta della flotta spagnola (comandata dall’ammiraglio Don Antonio de
Gaztaneta e dal contrammiraglio Don Ferdinando Chacon) nella battaglia di Capo
Passero (11 agosto 1718) da parte della flotta inglese comandata
dall’ammiraglio George Byng, primo Visconte di Torrington..
La battaglia
navale di Capo Passero dell'11 agosto 1718, olio su tela di Richard Paton, 1767
I
Savoia che “amavano tanto la Sicilia…..” scambiarono
l’Isola con la Sardegna e Filippo V con il trattato dell’Aja del 1720, perse la
Contea, le baronie e tutta la Sicilia che passarono all’Austria.
Dal
1720 si ha la visione del Regno di
Sicilia sotto la sovranità asburgica e nel 1722 l’imperatore Carlo VI d’Austria
riconcesse la Contea di Modica e le baronie agli Enriquez ed esattamente a Pascual
Enriquez de Cabrera Y Almansa (con investitura del 15 febbraio 1729), nipote ed
erede legittimo di Giovanni Tommaso Enriquez che era stato giustiziato, come
abbiamo visto, nel 1702 da Filippo V.
In
questo modo l’imperatore si sdebitata con gli Enriquez per l’aiuto che aveva
ricevuto da Giovanni Tommaso nella guerra di successione spagnola e che aveva
pagato con la morte.
Pascual
Henriquez, che aveva sposato Josefa Pacheco v Tèllez-Giròn dei duchi d’Uzeda,
morì nel 1740 senza prole e gli succedette per designazione testamentaria la
sorella (?) Maria (alcune testi la indicano come nipote), che ricevette
l’investitura il 18 febbraio 1740. Donna Maria fu la nona contessa di Modica
dal 1740 al 1742 e morì nubile. Si estinse quindi con la sua morte la dinastia
degli Enriquez Cabrera, Duchi di Medina de Rioseco.
Proprio in questo periodo, nel
1741, la “Città di Alcamo” sarebbe ritornata in possesso della famiglia Enriquez Cabrera .
L’eredità per testamento passò a Maria Teresa I Alvarez de Toledo de Sylva y
Mendoza (ricevette l’investitura il primo
luglio 1742), figlia di Donna
Caterina de Haro Enriquez (Duchessa d’Alba) e di Antonio Martino Alvarez.
MARIA-TERESA-ALVAREZ-DE-TOLEDO-Y-HARO
Maria Teresa I era quindi cugina di
Maria Enriquez e sposò Don Manuele
Maria Conte de Sylva Guelves y Mendoza
dei Duchi d’Infantado e Grande di Spagna. I due erano già sposati al momento
dell’eredità di Maria Enriquez.
Dal matrimonio nasceranno due
figli: Ferdinando e Maria.
Maria sposerà Fitz James Stuart,
duca di Berwich.
Nel 1775 diventò Signore della Contea di Modica Ferdinando de Sylva Alvarez de
Toledo Mendoza che ricevette l’investitura il 21 febbraio 1755. Per parte della madre (Maria
Teresa I) era anche Duca d’Alba de Tormes. Di Huescar, marchese di El Carpio
(Castiglia), Conte d’Olivares e di Montoro.
Ferdinando si sarebbe sposato con
Ana Maria Bernarda Toledo Portugal y Fermàndez de Còrboba, XII condesa de
Oropesa.
Il conte morì nel novembre del 1776 (il figlio primogenito Francesco
Paolo De Sylva y Alvarez de Toledo era premorto al padre) e i beni feudali passarono
alla figlia donna Maria del Pilar Teresa
II Gaetana che era sposata con Don Giuseppe Alvarez Toledo de Coldora, Duca
di Ferrandina.
María del Pilar
Teresa Cayetana de Silva y Álvarez de Toledo
13ma Duchessa d'Alba,ecc..
(Artista:
Francisco Goya)
Le cronache
citarono una sua relazione con il pittore Francisco Goya dopo la morte del
marito.
La relazione non
fu mai confermata ed è probabile che
tra i due ci fosse
solo una stretta relazione platonica.
(Artista: Francisco Goya)
Il Duca di Ferrandina diventò il 3°
Conte dio Modica della dinastia Toledo e ne ottenne l’investitura il 16 aprile
1777.
Il 9 giugno del 1796 Don Giuseppe
Alvarez Toledo de Coldora morì senza lasciare alcun erede. La contessa Donna
Maria del Pilar Teresa II Gaetana sopravvisse al marito fino al 1802 e a causa di mancanza d’eredi l’Erario di
Sicilia incamerò al Demanio la Contea di Modica con un decennio d’anticipo
rispetto alla definitiva abolizione della feudalità (1812), e vi rimase fino al
1816.
La famiglia
Alvarez de Toledo, originaria della Spagna, si trasferì agli inizi del
XVI secolo a Napoli
dove Pedro Alvarez de Toledo fu nominato vicerè di
Napoli il 4
settembre 1532 rimanendo in carica fino
al 22 febbraio 1553.
Giuseppe Federico
Alvarez de Toledo e de Cordova, duca di Ferrandina, marchese di Villafranca,
Grande di Spagna di 1° classe, nel 1683
si trasferì in Sicilia dove, nello stesso anno, sposò
Caterina Moncada
figlia ed erede di Ferdinando Moncada e
Moncada principe di Paternò…
Durante il possesso del Demanio Borbonico si faranno
vivi dei feudatari che reclameranno di continuo il possesso della Contea e
delle baronie anche se la stessa Contea, dopo il 1812, aveva ormai perduto il
suo carattere di Stato feudale. Il Demanio in queste condizioni assicurerà ai
legittimi eredi solo il titolo ed alcuni beni personali.
Infatti
nel 1813 il Duca di Berwich, di origini inglesi e spagnole, Don Carlos Miguel
Fitz James Stuart y Stolberg Sylva Alvarez, si presentò come legittimo
discendente della Contessa Maria Teresa I Alvarez.
Era
figlio di Jacobo Fitz-James Stuart de
Stolberg-Gedern che, il 24 gennaio 1790
a Madrid, aveva sposato Maria Teresa de Silva
figlia della Contessa di Modica Maria
Teresa I Alvarez de Toledo de Sylva y Mendoza.
Don
Carlos giustamente rivendicò ed ottenne la Contea di Modica con i rispettivi
titoli: Conte di Modica, barone di
Alcamo, di Bompietro, Calatafimi, Chiaramonte, Monterosso, Ragusa la
Vecchia, Ragusa la Nuova, Scicli e Vittoria.
La
sua azione di rivalsa non si fermò perché chiese anche i danni, per tutti gli
anni dal 1802 al 1813, che aveva subito per l’ingiusto incameramento della
Contea al fisco regio borbonico.
Ne
prese possesso solo nel 1816 cioè con il ritorno nei pieni poteri di Ferdinando di Borbone.
Carlos
Miquel Fitz – James Stuart y Silva (nato
a Madrid il 19 marzo 1794 e morto a Sion
il 7 ottobre 1835) sposò a Roma nel 1819 Rosalia Ventimiglia y Moncada principessa di Grammonte (nata a Palermo il
16 agosto 1798 e morta a Madrid il 4 marzo 1868).
Rosalia
Ventimiglia y Moncada era figlia di Luigi Ventimiglia, II principe di
Grammonte, V Conte di Prades e di Eleonora Moncada e Branciforte.
Rosalia Ventimiglia
Il
Conte Don Carlos nel giro di pochi anni sperperò l’enorme ricchezza e si trovò
con numerosi debiti e relativi interessi da pagare. Diversi tribunali imposero
al Conte di pagare i numerosi creditori con canoni o in frumento o in denaro.
Il 5 marzo 1828,
in seguito ad una sentenza del Tribunale
di Trapani, il Comune di Alcamo prese possesso del castello e nel 1870
fu trasformato in carcere.
Foto del castello
adibito a carcere
Il
25 ottobre 1828 il Tribunale di Palermo
stabilì il valore dei canoni di frumento che il Conte riceveva dai
numerosissimi enfiteuti e con detto valore li assegnava ai creditori. Nel solo
stato di Ragusa antica e nuova venne assegnato ai creditori il capitale di
circa due milioni di scudi. Nel 1832, dopo 17 anni di possesso della Contea, il
Conte Don Carlo non possedeva quasi più nulla e morì il 7 ottobre 1835 a Sion
in Svizzera.
La
coppia ebbe 7 figli (5 maschi e due femmine) e il primogenito Jacobo Luis Rafael Francisco Pablo Fitz
James Stuart y Ventimiglia Alvarez de
Toledo Beaumont y Navarra (nato a Palermo il 3 giugno 1821 e morto a Madrid
il 10 luglio 1881) aveva numerosi titoli. Oltre ad essere XV duca d’Alba de
Tormes, Grande di Spagna e deputato della Gran
Corte era anche barone di Caccamo,
Alcamo e Calatafimi, XVIII Conte di Modica.
A
titolo di cronaca Jacobo sposò a Madris il 14 febbraioo 1848 Maria Francisca
Palafox Portocarrero e KirkPatrick, XII duchessa di Penaranda e sorella
maggiore di Eugenia di Montijo, imperatrice di Francia.
Jacobo Luis Rafael Francisco Pablo Fitz James Stuart
y Ventimiglia Alvarez de Toledo Beaumont y Navarra
Maria
Francisca Palafox Portocarrero e KirkPatrick
Per la cronaca l’ultima contessa di Modica, la 21ma,
fu Dona Maria del Rosaio Cayetana Alfonsa Victoria Eugenia Francisca Fitz-James
Stuart y de Silva Falcò y Gurtubay, conosciuta solo come Dona Cayetana d’Alba o La
Duchessa d’Alba (18ma Duchessa d’Alba de Tormes). Morì a Siviglia il 20 novembre 2014 (era nata
a Madrid il 28 marzo 1926) e tra i suoi numerosi titoli c’era anche quello di
Contessa di Modica
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2. STRUTTURA ARCHITETTONICA
Foto del castello
adibito a carcere
Il
5 marzo 1828, in seguito ad una sentenza del Tribunale di Trapani, il Comune di Alcamo prese
possesso del castello e nel 1870 fu trasformato in carcere.
Un’utilizzazione
che durò fino al 1968 con gravi conseguenze
sulla struttura a causa di mancate opere di manutenzione..
La destinazione d'uso a carcere determinò la scomparsa di molte decorazioni e aspetti artistici.
Gli
ultimi restauri tra il 2000 e il 2010 portarono in parte la struttura al suo aspetto
originario ed utilizzata per ospitare il
Museo Etnografico, l’Enoteca Storica regionale, il Museo del Vino e delle
Tradizioni, un’esposizione permanente dei Pupi Siciliani.
In
seguito alla comparsa di alcune lesioni sui muri, il castello venne chiuso dal
2011 al 2013 e a dicembre del 2015 venne riaperto al pubblico anche se alcune
zone non furono riaperte per motivi di sicurezza.
All'esterno
del Castello si possono ammirare bifore e trifore di
stile gotico. Il prospetto Nord fu ingentilito da due finestre ad arco acuto
con rosone sormontate da un grande arco ogivale.
Nel prospetto principale fu aperta una finestra bifora con colonnina marmorea
bianca. La facciata Ovest risulta essere inglobata in corpi edilizi
residenziali. Tutti gli ambienti interni, nel tempo, sono stati manomessi per
via degli usi diversi a cui il Castello è stato adibito: carcere, stalla,
uffici comunali. Il pavimento è in pietra, in graniglia di marmo e in battuto
di cemento.
Il castello risale al trecento e presenta due stili architettonici visibili dalle piante delle quattro torri che si alternano: due cilindriche che corrispondono ad uno stile più antico e due a pianta quadra.
La
differenza di stile delle torri era legata a questioni di tempo, economiche e
soprattutto militari.
Per
costruire una torre cilindrica è necessaria meno pietra e soprattutto meno
tempo rispetto alla costruzione di una torre a pianta quadra. La costruzione
del castello fu avviata nel 1350 con
l’edificazione di una torre quadra e successivamente, per accelerare i tempi,
con due torri cilindriche. Il periodo di
costruzione del castello coincideva con un epoca fatta di disordini e
soprattutto di scontri fra baroni per il predominio sul territorio. Era quindi
necessario accelerare i tempo di costruzioni delle opere di difesa. Dopo le due
torri cilindriche fu costruita la quarta torre quadrata.
Il
castello non si trovava nel cuore della città.
La
prima torre quadra è la torre di Nord-Ovest posta alla fine della strada (via
barone di San Giuseppe – Via Rossotti) che collegava il mare alla terra. Si
trova di fronte all’entrata della città come presidio della strada più
importante che non era il Corso. Fu concepito soprattutto come palazzo militare
per ospitare una forte guarnigione e sporadicamente i nobili feudatari.
Il
fronte della torre quadra non è perfettamente parallelo all’odierno Corso VI
Aprile. Questo è probabilmente dovuto alla necessità di aumentare il fronte di
difesa fornendo un maggiore spazio per la disposizione di uomini pronti a difendere
il territorio. Una torre quadra che getta il suo angolo sulla via e sullo
spazio principale, permette, attraverso la sua disposizione “a cuneo” di
aumentare le capacità difensive, con un maggiore schieramento di uomini. Una scelta strategica.
Nel
castello era presente una quinta torre che è documentata nel dipinto del
Collegio risalente al secondo quarto del XVIII secolo e nella stampa di Cesare
Orlandi del 1770, e nel manoscritto di Ignazio De Blasi della fine del XVIII
secolo.
Antica mappa di
Alcamo, dipinto del 1725
Sullo sfondo il
castello dei Ventimiglia sul Monte Bonifato
Delimitava
la cittadella militare creando questo cortile interno difeso nell’area
immediatamente circostante al castello. Le mura della cittadella avevano una
forma triangolare che terminava con la quinta torre. Seguendo la teoria
dell’alternanza delle torri, rotonde e quadre, si potrebbe ipotizzare che la
quinta torre sia stata a pianta cilindrica, ma le rappresentazioni in questo
senso sono contrastanti. Le fondamenta della torre, situate in una casa
privata, fanno pensare ad una pianta rotonda. La sua antica posizione era
vicina all’attuale scalinata che conduce da via Mazzini in via Commendatore
Navarra. Il De Biasi riferisce che la torre fu abbattuta perché pericolante nel
1758.
Il castello presenta una
merlatura di tipo guelfo. Le sporgenze esterne ai merli sono delle
mensolette che servivano a tenere, con dei ganci, le ventiere.
sporgenze esterne
Le
ventiere erano delle strutture basculanti che permettevano al difensore di
lanciare oggetti verso il basso mantenendo sempre un ottima copertura
difensiva.
Guardando
dall’alto queste mensolette ancora oggi
è possibile vedere gli incavi nei quali
erano poggiati i ganci che reggevano gli sportelli. Il tutto faceva parte della
difesa piombante.
Esisteva
anche un’altra struttura, al centro delle mura sud, della quale rimangono
soltanto due sporgenze, simili a due grossi mensoloni, punto in cui, non
essendoci merlature, in realtà non avrebbero alcun significato.
Questa
è probabilmente ciò che resta di una bertesca, un sistema difensivo aggettante,
consistente in un pavimento di legno sostenuto da queste due sporgenze in
pietra e coperto sui lati, che permetteva un migliore utilizzo delle armi di
difesa su eventuali assalti da terra.
Un
altro sistema di difesa è quello delle caditoie, dalle quale si faceva uscire
olio bollente.
Infine
sono presenti le bombardiere, grossi fori situati lungo il camminamento di
ronda.
Bombardiera
Nella
corte interna del castello, angolo Nord-Est, c’è un locale sotterraneo scavato
nella roccia di travertino, di difficile interpretazione se non assimilandola
ad una fossa carceraria. Nel castello esistevano tre tipi di celle carcerarie
riservate a uomini di diversa estrazione sociale: le stanze per i nobili, i
luoghi più angusti all’interno delle torri e le fosse che erano utilizzate per
i reati più gravi, le quali potevano contenere un numero esiguo di persone.
L’ingresso di una
cella
La volta di una cella
La finestra di una
cella
In
un angolo esterno della torre quadra Nord-Ovest, su una pietra delle dimensioni
notevolmente differente da quelle circostanti, è presente un iscrizione che era
stata interpretata in passato come una scritta araba. In realtà è la somma di
due scritture diverse. Da uno studio approfondito è risultata un iscrizione riportante “Uscidi”, risalente, come si può intuire
dallo stile della scrittura al ‘ 500 e l’altra “bono” di più recente datazione ed attribuibile al nome di qualche
capomastro illetterato.
Sotto
l’arco d’ingresso interno alla torre quadra c’è un effige a forma di croce in
cui si trova la scritta “ASP 1738” e “MM”.
La
data di questa incisione è probabilmente legata a qualche avvenimento
importante avvenuto all’interno del castello.
La
sigla MM può avere diversi significati:
1. Magister
Munerum (maestro delle opere)
2. Municipes
Municipii (città del municipio)
Infine
è presente una croce polilobata che è interpretata come un “signum tabellionatus”.
Ogni
torre aveva una sua funzione specifica:
-
Torre
Sud-Est (Torre Maestra) , a pianta quadra è la più alta e qui venivano
torturati i prigionieri;
-
Torre
Nord-Ovest, a pianta quadra e la più bassa,
era riservata alle sentinelle;
-
La
Torre Nord-Est, a pianta circolare era utilizzata per ospitare persone di
riguardo;
-
La
Torre Sud-Ovest, a pianta circolare, reca in alto lo stemma di Federico II o
dei Peralta.
Sui lati del castello si notano le finestre bifore e trifore di
derivazione gotico-catalana.
Bifora del
castello prima del restauro (1967)
La finestra bifora
dopo il restauro avvenuto nel 2015
Il
castello presentava al piano terra una cappella, le stanze del cappellano, dei
servi ed una cella d’isolamento. Al primo piano erano invece presenti un salone
per ricevimenti con annessa anticamera, lo studio del conte, le camere da letto
con relativo corridoio e un’altra cella d’isolamento.
Scala d’accesso al
primo piano
Porta d’accesso al
primo piano
Cortile Interno
Il
castello in origine era cinto da mura ed era dotato di tre porte disposte sui
lati Sud, Ovest e Nord.
Porta d’ingresso
del castello sul lato Ovest
Ciascuna
porta si apriva su una piazza:
-
La
piazza a Sud era utilizzata come capitaneria delle milizie urbane a piedi e a
cavallo;
-
la
piazza a ovest era chiamata "cittadella";
-
la
terza piazza era invece situata a nord.
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3. ANTICHE FOSSE CARCERARIE DEI RE
Il castello ha sempre ispirato nella tradizione locale
delle voci sull’esistenza di antiche fosse carcerarie che sarebbero state
utilizzate tra il XIV ed il XVIII secolo per la reclusione dei re.
Nel 2014, durante dei rilievi furono trovate delle fosse
carcerarie che testimonierebbero l’uso a cui fu adibito il castello dei Conti
di Modica nelle epoche passate.
Mons. Vincenzo Regina (1910 – 2009) nel suo libro “Il
Castello di Alcamo” citò l’esistenza
delle carceri e in base alle indagini storiche dell’architetto Ignazio Longo e
speleologiche del geologo Antonio Bambina sembra confermata l’esistenza di fosse
carcerarie.
Il castello era un importante presidio militare e venne
sempre ricordato nella letteratura storica anche come carcere.
Si pensa che tra la fine del XIV secolo e il XVIII oltre
al carcere per i prigionieri c’era anche uno spazio per le cosiddette “fosse
dei re”.
"L’esplorazione
speleologica ha evidenziato un ipogeo che verso il basso si trasforma in un
vano interrato a pianta quadrata le cui pareti sono costituite di travertino
mentre nella parte sommitale l'ipogeo si chiude con una sorta di cupola sempre
in travertino, mancano completamente adduttori di acqua. E proprio l’assenza di
adduttori d’acqua e non solo - affermano Longo e Bambina- fa pensare
all’ipotesi di una fossa carceraria che se dovesse rivelarsi vera sarebbe
davvero una scoperta interessante che contribuisce a completare il quadro
d’insieme della storia passata del castello
simbolo della nostra città".
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4. L'ISCRIZIONE
Durante i lavori di restauro fu rinvenuta sulla parete di una cella un'antica scrittura probabilmente lasciata da un detenuto..
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Il castello prima dei restauri
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