Militello in Val di Catania - Il Complesso di Santa Maria La Vetere – La Chiesa Rupestre dello Spirito Santo con i Segni dei Templari










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Indice
1.      S. MARIA LA  VETERE
a)      L’Origine della Chiesa; i Feudatari del Casale; I Primi Riferimenti della “Cappella” – Le Mura;
b)      Interventi sull’Originaria “Cappella”:
-          Blasco II Barresi;
-          Antonio Piero Barresi – La Natività di Andrea della Robbia – La Statua della Madonna della Provvidenza;
c)      Vicino alla Chiesa una Sinagoga; I Nomi dei Condannati dal Tribunale dell’’Inquisizione ( “Rilassato in Statua”/ “Rilassato in Persona”);
d)      Giovan Battista Barresi e il Portico
e)      L’Architettura e il Portico;
f)       L’incendio del 17 giugno 1618 – Le fasi dell’Incendio; Un fatto Prodigioso;
g)      La Chiesa  dopo l’incendio; Le varie Confraternite;
h)      Il Terremoto del 1693;
i)       La Chiesa dopo il Terremoto del 1693;
j)       La Fiera Franca; La Vasca Battesimale; La Statua della Madonna con il Bambino; Vari Reperti;
k)      “Il Portale ed i suoi segni..tanti interrogativi” di V. Traviglia; Contrada “Puleri o Pileri” di Scordia;
2.      Il Dongione Normanno;  La Tomba un iscrizione del VII – VI secolo a.C. ; La Torre a Presidio dell’ex Trazzera “Loddiero”; il Ponte in legno sulla Trazzera (Percorso Naturalistico – Storico)…fu bruciato:  La leggenda del Sileno Loddiero e della Ninfa Scordia;
3.      Le Ricerche Archeologiche confermano la datazione Normanna della Chiesa; Gli Scavi del 1990 e i preziosi rinvenimenti: Trabeazione, Parte di un Affresco, Capitelli; Una trabeazione simile si ritrova nei castello Normanni in Gran Bretagna e in Sicilia nella Basilica di Santa Lucia di Mendola;  Gli Scavi del 2009;
4.      La Grotta dello Spirito Santo e i Templari; L’Insediamento Rupestre ed analogie con l’insediamento di Rupe Canina; La “Cappellette”, Le Croci, la Croce Ricrociata (Templare) e le Tre Sfere (Simbolo di Goffredo di Buglione e di San Nicola); Goffredo di Buglione, le Tre Pietre del Santo Sepolcro e il Fuoco Sacro; Il Fuoco Sacro a Gerusalemme e a Firenze; Il “Signum” manuale della Croce nei documenti; Le “Seggiole”, analogie con le “seggiole” delle Grotte di Camerano ( un affascinante insediamento sotterraneo);
5.      La Grotta del Santo di Cipro;
6.      La Chiesa di Santa Sofia (distrutta);
7.      Il Complesso di Santa Maria la Vetere – Parco Archeologico – Normative di Riferimento.

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1.      S. MARIA LA VETERE








Santa Maria la Vetere ( o della Provvidenza) è  una delle chiese più antiche di Militello in Val di Catania ed è posta in una vallata all’estremità sud orientale del centro.
Un sito significativo nel territorio di Militello che per i suoi aspetti legati al pregevole tardo-barocco fu inserito nel 2003 nella World Heritage List dell’Unesco.
Il nome “La Vetere” ha una sua motivazione ben precisa. Il nome originario della Chiesa era di “Santa Maria La Stella” e il terremoto del 1693 distrusse parzialmente l’edificio con il crollo delle navate centrale e settentrionale. Rimasero in piedi la navata meridionale, la sacrestia con la torre campanaria ed il portale con il protiro.
Si decise di trasferire il culto nel nuovo edificio di Santa Maria della Stella che fu costruito  nella zona detta del “Conternatore” a partire dal 1722.
(“Conternatore” era probabilmente il nome di qualche artigiano che aveva nella zona la sua bottega di tornitore). La nuova chiesa fu costruita di fronte al palazzo dei Leoni o Casa Singarella mentre la vecchia chiesa di Santa Maria prese il nome di “La Vetere” che significa appunto  “La Vecchia”.
La chiesa di Santa Maria La Vetere fu ricostruita chiudendo tutte le arcate che separavano la navata meridionale da quella centrale e rimontando alcune cappelle.
L’edificio si trova inserito all’interno di un insediamento rupestre di grande attrazione per i suoi misteri e il suo studio ha permesso di ricostruire le più antiche fasi dell’insediamento sorto in epoca normanna.
Un insediamento che è per certi versi tipico del bacino del mediterraneo centro -occidentale ed è l’espressione della fase di “incastellamento” tipica del periodo tra il X e il XIII secolo.
Periodo che portò alla formazione di villaggi o casali con un territorio di pertinenza e sottoposti alla signoria di famiglie aristocratiche e in alcuni casi soggetti direttamente alla giurisdizione della corona.
Nel 1985/86 furono compiuti sul sito dei saggi di scavo che permisero di conoscere le varie fasi abitative e di creare una cronologia storica che comprendeva:
-          Un abitato tardo-antico, costituito da pozzi ed ipogei scavati nella roccia calcarea a cui  apparteneva la chiesa rupestre dello ”Spirito Santo” e quella del “Santo di Cipro”;
-          Un insediamento normanno come risulta da un affresco che fu rinvenuto tra le strutture murarie dell’abside; da un archivolto con motivo reticolare a stelle e un capitello con motivi vegetali; il donjon (dongione) medievale sull’estremità settentrionale del pianoro;
-          La chiesa del 1400 con un edificio a tre navate con l’abside orientata ad est ed ingresso ad ovest e piano pavimentale impostato sulla roccia calcarea.

 Sotto il pavimento  della chiesa furono rinvenute numerose tombe “a fossa”,  frammenti architettonici, monete e maioliche del 1500 – 1600.
L’edificio attuale è composto da una sola navata e parte del prospetto che si salvarono dal terremoto del 1693.


a.      L’Origine della Chiesa - I Feudatari del Casale   -  I primi riferimenti  della "Cappella" - Le Mura

L’origine della chiesa risalirebbe all’epoca normanna e legata alla politica religiosa di latinizzazione della Sicilia musulmana promossa dal Conte Ruggero I d’Altavilla.
I primi documenti confermerebbero l’esistenza, sul finire dell’XI secolo attorno al Colle del Purgatorio, di un nucleo abitato costituito da case arroccate e da grotte in cui erano presenti anche luoghi di culto.
In un diploma normanno di Ruggero II, datato 1115 /1130 è citata la sostituzione del defunto presbitero nella chiesa di “Sancta Maria de Stellis in oppido Militelli”. Il presbitero era Alfio da Messina e fu designato come nuovo “rettore” della chiesa Bertrando da Noto.

Nel documento Beltrando da Noto era nominato “rettore” della chiesa che fu ricostruita dai Normanni dopo la “demolizione da parte dei nemici di Dio”.
“Rettore” e non “parroco” perché somministrava i Sacramenti solo ai Signori della Terra e al personale del castello.

La chiesa infatti era di regio Patronato, di pertinenza del re, che nominava il Rettore e lasciava che i signori di Militello vi venissero seppelliti.
Il primo feudatario di questa Terra sarebbe stato Simone del Vasto o di Policastro, conte degli Aleramici di Sicilia e nipote del Gran Conte Ruggero il Normanno (secondo la tesi dello storico Maurici) o Alaimo da Lentini (secondo lo storico Gaudioso).
Il sovrano normanno Guglielmo II (Il Buono) emise due diplomi nei confronti della Chiesa.
Il primo datato 24 maggio 1166 con il quale si decretava il restauro della chiesa ed il secondo nel 1180 con il quale concedeva 15 once d’oro per il restauro della chiesa dopo il terremoto del 1169 che colpì Catania, Siracusa e Lentini.
Ai tempi di Guglielmo II il Malo era presente un castello ?
Era presente una torre adiacente alla Chiesa di Santa Maria “La Vetere” a protezione del casale.  Il castello vero e proprio sarebbe sorto verso la metà del XIII secolo. Una costruzione iniziata probabilmente da Bonifacio de Camerana e completata dal nipote Abbone IV Barresi (molti storici attribuiscono invece l’opera di costruzione del castello al solo Abbone Barresi).

In merito al  termine “Militellus” potrebbe fare riferimento alla concessione di terre eseguita dal conte Ruggero in favore dei membri del suo esercito come è attestato dai cronisti di corte (Goffredo Malaterra).
Il toponimo medievale “Militellus”   avrebbe infatti la sua origine in “Militum Tellus” cioè “Terra dei Soldati”.

In un privilegio del 1248 l’imperatore Federico II avrebbe concesso al milite lombardo Bonifacio de Camerana figlio di Oddone, con il titolo di baronia, “il casale e castrum di Militello” fino a quel momento tenuto dalla famiglia di Alaimo da Lentini.
In questo privilegio venne inclusa una cappella “sive ecclesia” identificata come Santa Maria.
La chiesa al tempo di Federico II di Svevia era definita ancora come “cappella” ma è dalla seconda metà del XV secolo che l’edificio fu oggetto di interventi edilizi radicali..

Durante la dominazione Angioina il casale sarebbe stato assegnato da Carlo d’Angiò ad Alaimo da Lentini nel 1266 per poi ritornare nel 1292 nella proprietà di Bonifacio di Camerana dopo la caduta degli stessi Angioni nel 1286. Lo stesso Carlo d’Angiò l’1 giugno 1273 con un diploma nominò Placido De Arabico rettore di Santa Maria.

Re Alfonso V d’Aragona nel XV secolo diffidò il Vescovo di Siracusa a “nom inquietare il rettori Antonio De Mellio, essendo tale chiesa di Regio Patronato e suffraganea della regale Cappella di Palermo”.
In questo documento lo stesso re  riferì che il suo predecessore, Re Martino, aveva “prescritto la medesima cosa”.

Nel 1303 diventò Signore di Militello il barone Abbo Barresi (Abbone IV Barresi o Barrese) che fu confermato nel feudo dal sovrano Federico III d’Aragona nel 1318. Ad Abbo Barresi viene generalmente attribuita la costruzione del castello anche se, in virtù dei precedenti diplomi,  ci potremo trovare davanti ad una sua opera di completamento del fortilizio.
Abbone IV Barresi era figlio di Giovanni Barresi III (Barone di Pietraperzia, Capisti ed Orlando) e di Maria Barresi  (figlia di Bonifacio Camerana e sorella di Giovanni Camerana che morì nel 1303  senza eredi).
Il privilegio di Federico III d’Aragona del 28 settembre 1308 confermava l’atto di dote di Maria Camerana nei confronti del marito Giovanni III Barresi, riguardante il casale di Militello con tutte le sue dipendenze inclusa la “Divae Mariae” (ancora non compare il titolo “Della Stella”)..
Le “Rationes decimarum Italiae” cioè le decime riscosse dagli enti ecclesiastici, documentano l’esistenza nel 1308 – 1310 “apud Militellum” di due chiese:
-          S. Nicolai de eodem loco
-          . S.Marie de eodem loco
Abbone nel 1318 sposò Ricca Lamertina (o La Matina), damigella di corte della Regina Eleonora d’Angiò (Moglie di Federico III d’Aragona) e ne seguì l’investitura con il quale Abbone diventò Signore di Pietraperzia e di Militello.
Lo storico Abbotto affermò che Abbone intervenne con alcuni lavori sulla chiesa di Santa Maria e con atto pubblico del 1308 nominò il rettore di S. Maria.


Il figlio Giovanni IV Barresi, (Signore di Militello dal 1330 circa al 1342)  con atto dato a Catania del 30 marzo 1337 da Pietro IV (1337 – 1342), ebbe il privilegio di circondare il mura il casale e castello di Militello “circumdare moenibus casale suum dictum Militelli situ in Valle Nethi”.

Definire il tracciato delle mura non è facile perché le furono distrutte sia dai terremoti che dall’azione umana. Le mura dovevano inglobare l’estrema propaggine sud orientale dell’attuale abitato e forse anche le abitazioni rupestri posti sulla sommità del pendio settentrionale della cava di San Vito cioè gli attuali quartieri Purgatorio, San Pietro e Santa Maria La Vetere.
I fabbricati importanti all’interno delle mura erano: il castello, la vecchia chiesa di San Nicolò (non più esistente), la Chiesa di santa Sofia sul Colle del Purgatorio; la Chiesa di San Pietro ( demolita nel 1960); la chiesa degli Angeli Custodi (o di san Michele Arcangelo) con l’Hospitalia, la Chiesa e il Monastero di San Giovanni Battista. La Chiesa di Santa Maria La Vetere, in quel tempo forse ancora una “cappella”,  probabilmente extra-moenia cioè fuori le mura della città, ed affiancata dall’antico dongione normanno.
Fuori le mura era anche il Convento di San Francesco d’Assisi dei Frati Minori.
Giovanni IV Barresi con atto del 24 luglio 1340 nominò il sac. Giovanni Pancaldo rettore di Santa Maria.
Don Pancaldo presentò il relativo documento di nomina alla corte vescovile di Siracusa il 7 agosto  dello stesso anno.
La chiesa in base a queste nomine risulta ancora nel XIV secolo di regio patronato,  di competenza del Signore della Terra, e al vescovo viene solo notificato l’atto di nomina.


A Giovanni IV seguì Blasco I Barresi (Signore di Militello dal 1342 al 1393), che nel suo testamento dell’11 agosto 1390 lasciò un legato a favore della chiesa,  e Antonio I Barresi  che fu Signore di Militello dal 1393 al 1432.

b.      Interventi sull’Originaria “Cappella” -  Blasco II Barresi - Antonio Piero Barresi - La Natività di Andrea Della Robbia - La Statua della Madonna della Provvidenza.

Fu con Blasco II Barresi, Signore di Militello dal 1432 al 1455, che ci furono i primi interventi radicali sulla Chiesa di Santa Maria.
Sposò Eleonora Speciale, figlia del Vicerè Nicolò e  intervenne sull’antica “cappella” anche con la costruzione di un campanile sul quale fece collocare il blasone del casato “Barresi/Speciale” e una lapide con la data del 3 novembre 1448.

Don Pietro Carrera  (Militello in Val di Noto, 12 luglio 1574; Messina, 18 settembre 1647), cappellano di corte del Principe Branciforte e di Donna Giovanna d’Austria), citò infatti che Blasco II Barresi ricostruì l’edificio e aggiunse un altissimo campanile sul quale fece collocare lo stemma del proprio casato Barresi – Speciale.
Il cupolino piramidale venne aggiunto nel 1616 dal principe Francesco Branciforte e darà alla chiesa un aspetto di sontuosità.
 La costruzione fu proseguita dal figlio primogenito Antonio Piero Barresi,  l’assassino di Donna Alonza Santapau, che fu Signore di Militello dal 1455 al 1500.
Antonio Barresi si preoccupò in particolare di abbellire la Chiesa di Santa Maria con opere d’arte. Commissionò per “70 fiorini larghi d’oro” al famoso ceramista di Firenze, Andrea Della Robbia, la Pala d’Altare di ceramica invetriata raffigurante la Natività di Gesù.
Un opera d’arte che fu giudicata da numerosi critici d’arte come “la ceramica più bella del mondo” e con il più alto numero di personaggi. Un opera realizzata da uno dei più grandi ceramisti di tutti i tempi.

Andrea Della Robbia – La Natività




Andrea Della Robbia
(Firenze, 20 ottobre 1435; Firenze, 4 agosto 1525)
Ritratto di Andrea del Sarto (pittore del XV secolo)

La ceramica in passato fu attribuita a Luca della Robbia, zio di Andrea; a Giovanni della Robbia, figlio di Andrea;  alla Scuola Robbiana e anche ad un “origine fiamminga” o proveniente dalla  Fiandre dove sarebbe stata acquistata dal rientro da una qualche missione militare di Giovan Battista Barresi e quindi sfalsando l’anno d’acquisto.
Grazie alla ricerche dell’ing. Salvatore Troja  si sono scoperti importanti documenti  sull’opera.
L’opera venne acquistata da Antonio Piero Barresi nel giugno del 1487 e costò per l’esattezza “101 fiorini larghi in horo” di cui 31 per la spedizione dal porto di Livorno che fu effettuata dalla Compagnia Strozzi.
In bassorilievo nella parte centrale è riportata la capanna di Betlemme con sopra una schiera di Angeli recanti un nastro con una scritta “ Nuntio vobis gaudium magnum”, un messaggio diretto ai pastori che si destano alla loro apparizione.
 Dentro la capanna è ritratta la Sacra Famiglia adorante il Bambinello e in alto altri Angeli e la scritta “Gloria in excelsis Deo” e un pastore col suo fardello.
La parte alta è dominata da una lunetta semicircolare con Dio, tenente un libro dove figurano le lettere “Alfa e Omega”, adorato da due Angeli.
Nella parte più bassa c’è raffigurato Gesù con accanto Maria e i dodici Apostoli. Tutta la pala in origine era toccata d’oro zecchino, di cui adesso si notano solo tracce annerite. Secondo taluni esperti d’arte è la ceramica più bella del Della Robbia, perché ha un numero di personaggi superiore a qualsiasi altra realizzata dallo stesso artista, compresa quella esistente nel Museo Nazionale di Sansepolcro (Arezzo).
L’opera fu trasportata successivamente nel Santuario di Santa Maria della Stella dall’antica chiesa (S. Maria La Vetere) crollata per il terremoto del 1693.
Risale infatti al 1700 una richiesta di autorizzazione alla Signora della Terra, Giulia Carafa-Branciforte, “per metterla in salvo trasportandola nella chiesa di S. Antonio Abate che ospitava la parrocchialità, nel timore di un possibile crollo dell’altra metà del campanile rimasto pericolante e sovrastante l’altare”.

Venne collocata anche una statua in pietra policromata di Maria SS, oggi chiamata della Provvidenza, che fu collocata nella cappella di Filippo Barresi e realizzata nel 1503 da Filippo La Bella.

I Signori di Militello mostrarono sempre un grande interesse nei confronti della chiesa ed in essa ‘avevano stabilito di ricevere i Sacramenti e di essere ivi sepolti’.
Dal 1506 l’edificio di culto venne aperto anche ai fedeli del vicino “vallone” e dei quartieri di S. Vito e di S. Pietro con la somministrazione dei Sacramenti.
La data che è infatti impressa sull’architrave dell’ingresso principale, secondo alcuni storici,  sarebbe legato a questo evento e non alla costruzione del portico più antico.

La chiesa ebbe lo statuto di Parrocchia ricevendolo dalla chiesa di S. Pietro e Paolo che in compenso ottenne la creazione di una Confraternita di soli sacerdoti e la solennità delle funzioni religiose da parte del clero di S. Maria nei giorni susseguenti alle principali festività di Natale, di Pasqua e di Pentecoste.
A questo periodo risalirebbe la rivalità con la Chiesa di San Nicolò.

C . Vicino alla Chiesa una Sinagoga -  I Nomi dei condannati dall'Inquisizione (Rilassato in Statua/ Rilassato in persona) -

Durante la signoria di Antonio Piero Barresi a Militello esisteva una consistente comunità d’ebrei legati probabilmente alla fiorente attività delle concerie. Secondo un’antica tradizione  proprio vicino alle concerie, in Via S. Maria La Vetere al n. 76, c’era una sinagoga ( a circa 200 m dalla chiesa di Santa Maria La Vetere). Gli ebrei avevano anche una scuola di lettere e nei pressi di una fonte c’era anche un bagno per la purificazione delle donne.





Fra’ Fazio riferì che in una lettera del vicerè, datata 7 giugno 1486, si autorizzava la costruzione in Militello di una sinagoga nella parte bassa della città, il loro ghetto, nella “pèosterna” cioè “post extrema pars”.
Ancora oggi è presente nel territorio una contrada chiamata “I Furchi” che si trova nella parte più a monte della Stazione Ferroviaria dove vennero impiccati alcuni ebrei.
Il Signore di Militello nel 1492, con l’Editto di Granada di Ferdinando di Castiglia, vide condannare degli Ebrei. Anche Militello non sfuggì alle indagini ed alle persecuzioni sulla comunità ebraica.

Editto di Granada

Il Tribunale dell’Inquisizione applicava le sue torture, le condanne al rogo, le carcerazioni per estirpare le eresie spesso inventate dal clero, apostasie e deviazioni della dottrina religiosa.
 Vittima dell’inquisizione fu un fratello diacono di Militello del Terzo ordine di S. Francesco,  Antonio Caruso la cui sentenza fu letta a Palermo il 5 luglio 1551 nella Piazza della Loggia.
Si conoscono i nomi di ben 33 persone che subirono la persecuzione e le diverse dure condanne… (Buccheri, Campisi, Parisi, Barresi, de Messina, Vitali, Pizzimenti, Russo, ecc.).
Alcuni anni prima due cittadini di Militello finirono sotto la scure dell’Inquisizione.
Pietro la Biulilla di Militello, in Val di Noto, neofito, morto, fu per sentenza a 10 dicembre 1530 rilassato in statua….
Polisena de Flore, neofita giudaizante, fu per sentenza a 6 luglio 1529 rilassata in persona…
(I “Rilassati” erano i condannati “rilasciati”, cioè consegnati, al “braccio secolare” ovvero alla giustizia civile per l’esecuzione della sentenza pronunciata dagli inquisitori.
Rilassato in statua” vuol dire bruciati in effige perché deceduti da tempo mentre i “morti rilassati” erano quelli accusati di cui si riesumavano le salme per bruciarle.
“Rilassati in persona”….  bruciati vivi).

 Il Barone Antonio s’interessò anche di due Militellesi che erano stati catturati in un azione piratesca nelle spiagge di Iaci (Acireale)  e portati come schiavi a Tunisi. I due sventurati furono riscattati grazie all’interessamento del barone che tramite un mercante genovese pagò al Raisi Agan di Biserta “cento scudi oru in horu”.
Della morte di questo barone non si sa nulla, aveva ucciso la moglie Aldonza Santapau e il suo segretario Bellopede, e a lui succedette il figlio Giovan Battista Barresi avuto da un successivo matrimonio con Damiata Moncada (Signore di Militello dal 1500 al 1524).

d . Giovan Battista Barresi e il Portico
 Fu Giovan Battista Barresi che arricchì  la chiesa di Santa Maria con la creazione dello stupendo protiro. Il portale porta la data del 1506 anche se in merito al significato della data non tutti gli storici sono concordi.
 Si adoperò anche nel miglioramento della matrice di San Nicolò, posta vicino al castello, dotandola  nel 1519 di una campana “grande di 35 cantara e della mezzana” che erano state costruite da Giorgio e Matteo Sanfilippo da Tortorici.
Nel 1521 donò anche alla chiesa di S. Maria della Stella  una campana “ grande di 40 cantara” e costruita sempre dalle stesse maestranze di Tortorici.
Nella campana venne impressa la scritta “Ave Maria Gratia Plena” con i nomi dei costruttori di Tortorici  e del Signore della Terra Don G. Battista Barresi.

Il Barresi prese parte alla congiura dei baroni siciliani contro il vicerè Ugo Moncada il 15 marzo 1516. La madre del Barresi era una Moncada e, malgrado la parentela, fu incarcerato e morì nel forte di Castellammare dove era stato rinchiuso.
Fabrizio Branciforte governò la Signoria del 1571 al 1603 e al 1574 risalirebbe un suo intervento sulla Chiesa di Santa Maria in merito alla costruzione dell’abside e degli archi maggiori.
Nel  1524 la chiesa passò sotto il patronato della Diocesi di Siracusa perdendo quella appartenenza al Regio Patronato che l’aveva contraddistinta per circa quattro secoli.
Come parroco fu nominato Don Luigi Favara. Il passaggio dal Regio Patronato alla Diocesi avvenne nel momento di crisi del casato Barresi. Giovan Battista Barresi, come abbiamo visto, era accusato di cospirare contro i sovrani e aveva pagato con la vita la sua ribellione.
I Signori di Militello continuarono però ad esercitare sulla Chiesa delle prerogative di patronato e questo malgrado la stessa chiesa  fosse di pertinenza dell’amministrazione della Diocesi di Siracusa.
Nominavano “due Procuratori scelti fra i gentiluomini e due Esattori di più bassa condizione” che erano obbligati a mostrare i rendiconti solo ai Signori di Militello.
Il vescovo non aveva questa potestà e “in occasione di una visita pastorale triennale, si limitava a far visita al SS. Scramento e agli altari”.
Mons. Giovanni Osorio Torres, vescovo di Siracusa dal 1613 al 1619, (diventerà successivamente vescovo di Catania), si lamentò con il principe Don Francesco Branciforti di “essere vescovo di tutta la Diocesi, forchè della Chiesa di Santa Maria di questo Militello”.
Infatti nella costruzione della chiesa post-terremoto (del 1693), gli appalti ed i pagamenti per i lavori di ricostruzione venivano eseguiti dagli esattori e dai procuratori laici e non dal parroco.
Alla base di questo comportamento c’era la comunità mariana che portava avanti il Regio Patronato in opposizione della parrocchia di San Nicolò che dipendeva dalla Diocesi di Siracusa. Una rivalità fra le due parrocchie che caratterizzò anche la vita futura del centro di Militello.

        e. Architettura -  Il Portico
Nella costruzione della Chiesa venne inglobato un antico pozzo “molto profondo, costruito in epoca precedente, di cui s’ignora l’utilizzo”. Un pozzo di pianta circolare con un diametro di oltre un metro e con una serie di gradini lungo le pareti. “Venne inclusa nell’edificio anche un’altra costruzione, profonda e di forma quadrata con i lati di oltre quattro metri, che era adoperata dai Baroni per la loro sepoltura.
Una costruzione che si nota vicino al luogo in cui sorgeva l’altare maggiore e vi era stato collocato il sarcofago del marchese Don Vincenzo Barresi”.
La costruzione citata dal Carrera, di pianta quadrata, era il dogione normanno.
Nel tempio vi erano nove altari.
La cappella maggiore con la metà della chiesa era tutta d’intaglio scolpito; degli altri altari esistenti, oltre a quello principale della Madonna della Stella, c’erano quelli dell’Assunta; della Natività con la Ceramica di Andrea Della Robbia; di S. Bartolomeo; del Salvatore; di S. Caterina da Siena; di S. Girolamo; di S. Michele Arcangelo e dello Spirito Santo in Grotta.
Dagli scavi eseguiti nella piazza antistante alla chiesa nell’anno 2004 dalla Soprintendenza di Catania non è emerso il cimitero, solitamente costruito davanti all’ingresso principale delle parrocchie, dato che lo ‘jus sepeliendi’, venne esercitato nella grotta limitrofa dello Spirito Santo.

Di gran valore artistico è l’armonioso protiro che protegge l’artistico portale davanti all’ingresso principale.
E’ formato da un baldacchino con due colonne e da altre due tortili a bassorilievo, tutte poggianti sul dorso di leoni che sono simili a quelli presenti nel “Palazzo dei Leoni” o “Palazzo Singarella /Palazzo  Majorana della Nicchiara” e risalenti allo stesso periodo.
Sotto il portico veniva rappresentata la Passione di Cristo in lingua siciliana per tre giorni durante la Quaresima.


Le due semicolonne tortili, che fanno da cornice al portale, terminano in alto con due guerrieri muniti di scudi.
Lo scudo del guerriero di destra porta le insegne dei Barresi mentre in quello di sinistra  lo stemma non è leggibile perché corroso dal tempo. Potrebbe essere quello dei Branciforti.
Un portale riccamente scolpito che riprende i  momenti dell’apoteosi della Vergine.
Nella lunetta, la Vergine in trono fra angeli; negli stipiti, busti di Profeti e Sibille; nei basamenti, Storie dei SS. Gioacchino e Anna; sulle guglie, un’Annunciazione; e nella cuspide, l’Incoronazione della Vergine.


Accanto ai guerrieri c’è l’Angelo da una parte e l’Annunciata dall’altra, attorniati da sei pannelli (tre per lato) raffiguranti regnanti con la barba.
Delle due lunette sopra la porta, quella più alta è a spigolo vivo ed in essa c’è Maria incoronata da Dio e sei Angeli festanti con tamburello, con violino e con strumento a corda da una parte e con le trombe dall’altra. La lunetta sottostante, con arco gotico, presenta  al centro una stella e le figure di altri sei regnanti con la barba (tre per lato), che racchiudono il pannello centrale raffigurante la Madonna in trono e il Bambino adorati da due Angeli genuflessi.



Nello spazio accanto al Bambino si scorge uno scritto con le parole iniziali appena leggibili  ‘Ave Maria’.
 Sotto i sei regnanti fanno da cornice alla porta d’ingresso, sei per lato, dodici sibille (di cui solo di qualcuna si scorge il nome), che hanno per base pannelli a bassorilievo con scene della Vergine e di S. Anna, oggi corrose dalle intemperie. Tutte le sculture in pietra tenera bianca originariamente erano colorate, date le vistose tracce di colore che tuttora si intravedono. L’architrave porta il monogramma di Cristo, che in origine era indorato, e la data ‘MCCCCCVI’; una volta vi era riportato anche ‘Magister Petrus Fagoni’.
I leoni stilofori, le colonne snelle dai capitelli corinzi e le arcate di diversa ampiezza, sul fronte e sui fianchi, rimandano ad espressioni simili come il portale della Cattedrale di Messina di Pietro Bonitate e a quello della cappella di Sant’Antonio, dei principi Ventimiglia, nella chiesa di San Francesco a Castelbuono.

Cattedrale di Messina – Portale Centrale

Cappella dei principi Ventimiglia, nella chiesa di San Francesco a Castelbuono. (Pa)


L’autore della grande espressione artistica ?
Potrebbe essere opera giovanile di Antonello Gagini uno degli esponenti culturali che operarono nell’importante centro di Militello nell’ultimo ventennio del XV secolo.
Su questa bellissima scultura in arenaria molti storici hanno espresso diverse attribuzioni.
Enzo Maganuco non ha scuso la collaborazione di Francesco Laurana (1430/1502); Gioacchino Di Marzo parlò di scultura gaginesca (Antonello Gagini, 1478-1536)  e Stefano Bottari la citò come opera del carrarese Gian Battista Mazzolo (XV secolo- 1550).

“La personalità dell’autore, comunque, appare già regolata dalla disposizione delle figure, con una concezione dell’operare artistico che ci ricorda il rigore rinascimentale. La circolarità della lunetta (esaltata dal profilo delle ali degli angeli e tendenzialmente ripetuta dalla curva dei loro corpi inginocchiati) racchiude un quadrato, entro il quale s’incastra come un triangolo l’immagine di Maria. Il bilanciamento dei volumi e dei chiaroscuri risulta preciso, anche se il panneggio è alquanto tormentato e la dolcezza del viso della Vergine propone un forte impatto emotivo. La positura frontale della figura, però, resta di sapore arcaico. Evidentemente, l’artista ha mediato tra l’acquisita arte catalana e le novità del razionalismo del centro Italia”. 
Questo impianto chiesastico precede un gravissimo episodio che colpì l'edificio.

e.       f. L’Incendio del 17 Giugno 1618 - Le fasi dell'incendio - Un fatto prodigioso...
Nella notte del 17 Giugno 1618 (taluni riportano il 12 Giugno nella dubbia interpretazione del 7 con il 2), circa 5 ore e mezza di notte (ore 1,30) dopo una solenne processione domenicale ‘con molti coppi e luminari’, la chiesa subì  “un furioso incendio, forse a causa di una poco prudente costumanza di far consumare fino alla completa estinzione le candele ricevute dai fedeli”.
Il Caruso scrisse : ‘con lacrime vedevamo che bruciava il tabernacolo del SS. Sacramento e il Crocifisso bruciando cascava e la Madonna pure vederla bruciare e noi non vi potevamo dare aiuto’.
La Natività di Della Robbia, chiamata ‘Cona’ si trovò ‘tutta intartarata’ e si dovette spendere una discreta somma per pulirla. La chiesa rimase inagibile per moltissimi anni e la parrocchialità fu ospitata nella chiesa di S. Sebastiano.
La Statua della Madonna della Stella venne rifatta.
La data del 1618 rilevabile internamente sotto la sedia può darsi sia stata apposta in epoca successiva, in quanto per il furioso terremoto del 1693 la statua andò in pezzi di nuovo sotto le macerie.
Anche i sepolcri dei Signori della Terra, subirono danni e mutilazioni, tanto che il Principe Don Francesco Branciforte li fece trasportare provvisoriamente nella chiesa di S. Francesco d’Assisi, come ‘loco depositi’, in attesa di poterli poi collocare nella chiesa di S. Benedetto, allora in costruzione, scelta come luogo di sepoltura del suo casato e dei discendenti.
Si trattava del sarcofago di Blasco II Barresi, di quello di Carlo Barresi, nonno del principe Francesco Branciforte, ritratto in ginocchio e di quello di suo figlio, Don Vincenzo Barresi, primo marchese di Militello.
Morto il principe don Francesco Branciforte, nessuno più ebbe cura di quei sepolcri, né i discendenti, che erano di un altro ramo Branciforte (e che non ebbero più dimora a Militello), e nemmeno gli abati di S. Benedetto.
Solo nel 1780 il parroco Tineo di San Benedetto li fece trasportare nella nuova chiesa di S. Maria della Stella, dove oggi si trovano.

In quel triste incendio accadde un fatto prodigioso. “Mentre infuriavano le fiamme che avvolgevano altari, quadri ed arredi senza che potessero essere salvati, il sacerdote Raffaele Medulla si inoltrò nell’interno riuscendo a mettere in salvo la pisside con l’Eucaristia, ritornando illeso”.

g. La Chiesa dopo l’Incendio - Le varie Confraternite

La figlia di Don Francesco Branciforte  e di Donna Giovanna d’Austria, Donna Margherita Branciforte,  portò avanti lentamente il progetto di ristrutturazione della chiesa con un nuovo disegno della navata centrale separata dalle laterali da pilastri in pietra che erano intagliati con decori che imitavano “le falde di damasco appese negli apparati festivi”.
Al di sopra delle arcate, è una teoria di cariatidi, alternate alle finestre a targa, a sostegno delle capriate del tetto, rifinito al di sotto delle catene da una “soffitta”, cioè da un controsoffitto a tavole piane decorate, come in quasi tutti gli edifici sacri di Militello per tutto il Seicento. Nelle navate laterali si aggiungono le fastose cappelle a portale con colonne e trabeazione riccamente intagliate. Le cappelle della natività e quella della Madonna sono opera di mastro Francesco Barone che realizza nella prima il disegno di Giambattista Baldanza junior”.

L’edificio nel 1630 era completo come dimostra un quadro di Giovan Battista Baldanza junior del 1630 dipinto per la Chiesa di San Francesco di Paola ed oggi al Museo San Nicolò.
Il quadro, che rappresenta Sant’Isidoro, raffigura la chiesa  nel suo lato di tramontana, adiacente al muro della navata settentrionale,  con un portico sostenuto da tre archi, detti “pennate”, che avevano la funzione di proteggere l’ingresso laterale.
La presenza di questi portici, oggi non più esistenti, fecero avanzare l’ipotesi che il terreno adiacente fosse pianeggiante e scomparso a causa di successivi smottamenti.


Il punto d’osservazione dell’artista è proprio nel lato di tramontana e si rilevano i tre archi del portico e il campanile posto accanto all’abside.
Si nota anche la costruzione quadrata vicino l’abside (il dongione normanno), ancora oggi sono visibili le fondamenta, che fu utilizzata dai Signori Militello per la loro sepoltura.
L’artista nel quadro raffigurò sullo sfondo  il quartiere del vallone che era sovrastato dalla fortificazione del castello. Si tratta dell’unica rappresentazione pittorica dell’antica Militello.

Nel 1648 la Confraternita dei Pecorai, dopo aver ottenuto dalla principessa Donna Margherita Branciforti, che ne aveva lo ‘jus patronatus’, la necessaria autorizzazione, fece eseguire pregevoli lavori di scultura a rilievo tutto tondo in ‘pietra pipiraci’ su disegni di G. Battista Baldanza junior nell’altare frontale della navata destra dove era stata collocata la pala in ceramica di Della Robbia.
Sebbene danneggiato dal terremoto del 1693 l’altare oggi si può ammirare nella sua ricca preziosità del barocco originale.
Al 1652 risale il Fonte Battesimale, come risulta da un atto del 12 Maggio del notaio Giacomo Magro.
In questa chiesa operavano la Congregazione del SS. Viatico, la Confraternita dei Pecorai e la Confraternita di S. Bartolomeo composta dai soli conciatori di pelle, che si estinse col venire meno di quest’attività. C’era pure una organizzazione di fedeli detta ‘Le Scave (o Schiave) della Madonna’, cioè devote di Maria SS.  che raccoglievano anche dei soldi (in un anno arrivava fino a 50 onze); un’altra ancora era quella dei ‘Manganari’ (o Manganelli, arnese per la lavorazione della seta), i cui componenti erano dodici e contribuivano con 5 onze per la festa della Madonna, così come in tempi più recenti facevano i calzolai del quartiere.



h. Il Terremoto del 1693

Militello prima del Terremoto del 9 – 11 gennaio 1693
Vittime: 3.000 su 10.000 abitanti circa
(L’Evento Sismico fece 60.000 Vittime)
Magnitudo : 7.3 – Scala Mercalli: XI – Profondità: 18 km


Il dott. teologo Don Giacomo Maria Magro nella sua cronaca sui danni del terremoto del 1693 scrisse: “Quello che in questa Basilica ci deplora con maggior senso è l’averci perduto la statua di Maria SS. ma col Bambinello Gesù, La Bara e la sede mantosa arricchite d’oro fracassarono”.
Il cronista non accennò al fatto che la testa si fosse salvata, come opinione diffusa non
avallata da documenti e come riferì il Sac. Abbotto.
Sulla nuova statua della Patrona i documenti non rilevano l’anno della realizzazione, l’autore e la ‘committenza’.

Venne distrutto anche l’organo, costruito come quello di S. Nicolò da Gabriele Messina.
Da quel momento, analogamente a quanto stava avvenendo per S. Nicolò, incominciò il peregrinare per trasportare altrove provvisoriamente l’esercizio della parrocchialità. Dapprima fu scelta la chiesa di S. Pietro, poi quella di S. Antonio di Padova in contrada le Carrubare e infine quella antichissima di S. Antonio Abate.
Primo perché i monaci Fatebenefratelli di S. Giovanni di Dio, che gestivano l’annesso Ospedale, non volevano intrusioni nelle loro mura;  secondo perché si dovette raggiungere un compromesso anche con il clero di S. Nicolò, perché S. Antonio Abate era nella sua giurisdizione.

Con il trasferimento della parrocchialità l’antica chiesa di S. Maria della Stella si chiamò con un nuovo nome: S. Maria La Vetere o Madonna della Provvidenza. In essa vengono celebrate le liturgie e ancora oggi c’è un’affluenza di devoti nel mese di Maggio. Per tradizione talune preghiere e canti sono recitati in dialetto siciliano, perchè ci danno testimonianza di come pregavano i nostri avi, degni di essere trascritti per non far perdere la memoria storica.
“Patri nuostru, stati in cielu, santificatu vuostru nomi, vieni vuostru
regnu, sia fatta vostra santa vuluntà, comu ‘ncielu cussì ‘nterra. Dacci oggi
nuostru pani cutiddianu, pirdunatini i nostri piccati, pirdunati i nostri nimici,
nun ci faciti cascari in tentazioni, ma libratici d’ogni mali. Accussì sia.”
“Salvi Maria, china di razzia, u Signuri sta cu Vui, biniditta tra donni
e binidittu u fruttu vostru senu Gesù. Santa Maria, matri di Diu, priati pi nui
piccaturi, ora e na morti. Accussì sia, Gesuzzu e Maria.”
“Gloria u Patri, u Figghiu e u Spiritu Santu, cuomu è statu accussì e
sarà l’eternità. Ludatu sempri sia u beddu Rusariu di Maria.”
“O Maria di pochi sciuri, V’affrimmu lu nostru amuri
nun su cuomu li meritati pi la Vostra maistati.
Sunu rosi sculuriti, lu me cori arriciviti
cuomu ‘nterra lu damu a Vui, cussì ‘ncielu lu dati a nui.
E mustrativi Matri vera, V’offriemmu sta priera,
ca faciemmu ancora a Vui, ca Gesuzzu è natu pi nui.”

La comunità si attivò subito per la costruzione di una nuova chiesa; fu presa la decisione di costruirla in un luogo più centrale in prossimità del Palazzo dei Leoni nella località detta Conternatore, (nome derivato da qualche artigiano che aveva nella zona la propria bottega di tornitore), e dove si stava creando il nuovo centro abitato del paese.
Finalmente il 9 Marzo 1722 poté avvenire la posa della prima pietra della nuova chiesa parrocchiale di S. Maria della Stella.

Il Santuario di Santa Maria della Stella

g   i.      La Chiesa di Santa Maria La Vetere dopo il terremoto del 1693

Crollate con il terremoto del 1693  le due navate, centrale e settentrionale, fu ripristinata solo la navata meridionale e furono rimontate alcune cappelle.




In fondo alla navata interna una statua cinquecentesca raffigurante Santa Maria con il Bambino.
Gli archi tra la navata meridionale e quella centrale furono chiusi. Esternamente si notano le bellissime cariatidi a seno nudo che incorniciano i finestroni.





Oggi s’ammira internamente il decoratissimo altare della Natività del XVII secolo  con i disegni nelle colonne, nel frontone e nella mensa e in un altro altare è presente un frammento marmoreo dell’Annunciazione risalente al XV secolo.

un'antica foto della chiesa

L’Annunciazione

La piccola cappella posta dietro l’altare maggiore è di origine quattrocentesca e presenta una volta a costoloni.

j.     La Fiera Franca – La Vasca Battesimale – La Statua della Madonna con il
             Bambino - Reperti (foto)

Il pianoro di fronte alla Chiesa era utilizzato per la “Fiera  Franca” che si svolgeva a settembre in occasione delle festività (8 settembre) in onore della Madonna della Stella sin dal 1446.
Una fiera, a quei tempi franca di dazi, che richiamava molto pubblico e ricordata anche negli atti notarili come quello del notaio Matteo Montarello del 29 aprile 1537. C’era anche un rapporto di reciprocità nella franchigia con la Fiera di Lentini…”dove i prodotti di Militello venivano venduti in quella città”.
Forse a questa attività vanno attribuite alcune tracce di fori che si notano sulla roccia adiacente alla chiesa,  per la possibile inserzione di strutture mobili in legno. Di fronte all’ingresso della chiesa si apre una vasca perfettamente circolare, poco profonda e con una croce latina del tipo pomata in fondo alla stessa.
Una vasca che aveva forse una funzione battesimale legata alla Chiesa di S. Maria  e con la cripta rupestre.




La statua cinquecentesca in pietra interamente dipinta, raffigurante Santa Maria con il Bambino giaceva nei magazzini e il suo aspetto era profondamente diverso da quello odierno. Fu ridipinta a colori vivaci da qualcuno e nessuno avrebbe mai potuto immagine che sotto quegli orrendi colori di vernici acriliche  fossero nascosti i bei colori originali.
Un sapiente lavoro di restauro ha restituito  la vera immagine della Madonna.
Statua della Madonna che, secondo il Carrera, proveniva proprio dalla Chiesa di Santa Maria La Vetere ed era collocata in origine nella Cappella della Natività per essere poi spostata nella cappella di Filippo Barresi che fu edificata nel 1509.

Scultura in pietra policroma del XVI secolo
Opera di Antonello Gagini o di Filippo La Bella ?




Capitello Normanno - Svevo


La chiesa fu colpita da un altro incendio, l’1 luglio 1845. Fu distrutta la sacrestia che fu subito ricostruita.

k. I segni del portale..tanti interrogativi  (Ricerca di V. Traviglia) - Contrada "Puleri"o  "Pileri" di Scordia (Presenza dei Templari?)
Lo storico Vincenzo Traviglia ha fatto delle ricerche sul territorio del calatino e  un importante studio ha riguardato la Chiesa di  Santa Maria La Vetere.
Ha eseguito delle fotografie sul gruppo  scultoreo che domina il portale della chiesa e che raffigura la Madonna con il Bambino.
Un opera del Gagini ? Non tutti i critici d’arte sono concordi su una tale attribuzione del bellissimo gruppo scultoreo.
Non si sa neanche se  l’opera fu commissionata con questa tema dal committente, Giovan Battista Barresi, Signore della Terra di Militello, o se fu frutto dell’espressione e dell’inventiva dell’artista.
Secondo lo storico nella chiesa sarebbe presente una simbologia di origine Templare.
Una presenza costante o frutto di un breve passaggio nel territorio ?
I Templari furono presenti, con i loro insediamenti, nel territorio di Scordia ed è quindi probabile che abbiano avuto delle sedi anche nel territorio di Militello.
Lungo la via di collegamento tra i comuni di Militello e Scordia, in contrada Pileri (detta anche “Puleri”), vi era un piccolo insediamento dei Templari.  
Un insediamento con un posto di guardia  per sorvegliare le strade percorse dai Pellegrini che si recavano in Terra Santa, uno dei tanti rami dell’antica Via Francigena.




In Contrada “Puleri o Pileri” vicino al corso del torrente Loddiero si trova un’area di
grande interesse archeologico costituita da una piccola necropoli costituita da una decina di grotte. Due di queste cavità sono dei grandi ambienti bizantini con vistosi
rimaneggiamenti e riutilizzi recenti.
Alcune tombe più vicine alla strada e lungo un affluente laterale del torrente Loddiero,
presentano all’interno graffite alcune croci mentre quelle più in alto sono
più antiche (tombe a forno) e risalenti al periodo della civiltà di Castelluccio (Noto).
Di grande importanza lungo la strada che porta a Militello,  a circa 100 m  dalla stessa
strada e a mezza costa, si trova una tomba  paleocristiana ad inumazione singola che
presenta un graffito raffigurante forse un sole.

Una delle Croci incise in contrada Puleri

Secondo lo storico Traviglia nella contrada Puleri c’era una torre dei Templari. Non so se la Sovrintendenza di Catania abbia mai fatto ricerche nella zona anche perché mi risulta che la zona fu anche oggetto di scavi clandestini.
Nella Grotta dello Spirito Santo si trova scolpita in una parete la Croce Ricrociata dei Templari. Una Croce che, secondo gli storici, apparteneva a chi aveva combattuto in Terra Santa.
Una testimonianza che potrebbe convalidare la presenza dei Templari a Militello.
Studiando il gruppo scultoreo del portico lo storico rilevo alcuni aspetti.
Parlando dell’Immagine della Madonna mise in risalto che:
1.      La Madonna tiene il Bambino sul lato destro; un iconografia particolarmente rara perché il bambino generalmente è posto sul lato sinistro della Madonna;
2.      La Madonna presenta delle strane trecce rosse ed anche questo aspetto è spesso assente nell’iconografia;
3.      La Madonna tiene invece sulla sua mano sinistra un vaso. Un aspetto che nell’iconografia rappresenta la Maddalena (il vaso con gli unguenti per il capo e i piedi del Cristo). 
L’Immagine sarebbe quindi una rappresentazione della Maddalena ed è strano che tenga un Bambino sulle ginocchia. Il bambino porta una collana di corallo e sulla stessa vi è il simbolo dei Cavalieri del Toson d’Oro.
Il Bambino poggia la mano sinistra sul pomello della parte superiore del vaso. Non si sa se questo atteggiamento è dovuto ad un caso o se è stato appositamente studiato.
Un aspetto da sottolineare riguarda i Templari che erano devotissimi al culto della Madonna.


Secondo alcuni storici la Madonna terrebbe in mano non un vaso o contenitore ma un melograno, simbolo che rappresenta la Chiesa di Cristo.
Non è quindi possibile fare  delle affermazioni categoriche sia a causa dei processi erosivi che hanno danneggiato con il tempo il bassorilievo sia per la forma.
Lo stesso discorso per la collana, accettabile che sia di corallo, indossata dal Bambino nei cui pendagli non può riscontrarsi con sicurezza il simbolo del Toson d’oro dato che assomiglia ad un tridente, probabile richiamo al Mistero della Trinità.


Nell’iconografia rinascimentale, una collana di corallo indossata da un nascituro rappresentava un simbolo apotropaico. Un simbolo di buon augurio mentre non è raro riscontare qualche rappresentazione della Madonna con capigliatura rossastra.
Nell’iconografia la Maddalena venne spesso rappresentata con i capelli “lunghi e fluenti, capelli biondi o di un color rosso-rossastro”.

Maria Maddalena – Dipinto di Andrea Solari (1524)


Il portale risalirebbe alla fine del ‘400 - inizio del ‘500 e presenta un aspetto importante che fino adesso è stato ignorato
 Le figure centrali dell’apparto scultoreo sono la Madonna con il Bambino, affiancati da due angeli, con una cornice di personaggi maschili incoronati.
Osservando la composizione si nota che tra tutte le figure che adornano la composizione una attira maggiormente l’attenzione. La figura è quella del Bambino. Ha uno sguardo rivolto in avanti e sembra suggerire allo spettatore: “guardami bene”.
Percorrendo le vie visive dell’arte, che ogni figura in qualsiasi rappresentazione artistica suggerisce, si nota che la linea curva del braccio destro  porta con lo sguardo alla manina che tiene il pendaglio della collana mentre il braccio sinistro, ben disteso, porta dritto all’altra manina che sembra afferrare il pomello di un contenitore o un frutto.
Osservando le figure della cornice si nota che i  loro sguardi sembrano direzionati su entrambi gli oggetti e non sui personaggi principali.
L’artista sembra aver voluto creare un  risalto per i due simboli indicati dal Bambino.
Se la destra tiene una collana di corallo con tridente (o altro ornamento che non sembra identificabile con un simbolo di qualsiasi ordine o gruppo cavalleresco) e la sinistra afferra un melograno per il “ciuffo” si potrebbe rimanere nell’ambito della normalità della produzione simbolica rinascimentale.
L’autore dell’opera in questo caso  ha voluto mettere in risalto gli aspetti umani e divini del Bambino forse alludendo ad una probabile nascita in casa Barresi,(a causa della presenza della collana di corallo rosso).
C’è da dire che se solo uno dei due elementi non corrisponde a quelli citati si aprirebbero nuove interpretazioni.


A sinistra del Bambino, in basso, è presente un' iscrizione

2. Dongione Normanno - La Tomba con l'iscrizione del VII - VI secolo a.C. - La Torre a presidio della trazzera Loddiero - Il Ponte in legno sul percorso naturalistico ... fu bruciato - La leggenda del Sileno Loddiero e della Ninfa Scordia



Sul fianco nord orientale della chiesa si trova una massiccia costruzione a pianta quadra.
Una torre d’avvistamento, con funzioni anche residenziali, che studi recenti hanno identificato con un donjon normanno.

Il dongione sarebbe una torre, circondata da un fossato o da mura, che al suo interno presenta gli ambienti tipici del castello: l’edificio residenziale del signore, il torrione con il tesoro e le scorte, magazzini, armeria e spesso anche la chiesa.

Le soluzioni tecniche utilizzate per edificare un dongione non sono comuni a tutto il territorio nazionale e variano notevolmente (fig. 1) in funzione del ruolo assunto dal manufatto, ma, se considerate nel complesso, presentano tra loro importanti affinità, come l'ubicazione in relazione alle difese di supporto, i materiali impiegati e la distribuzione delle destinazioni d'uso al proprio interno.
All'interno l'edificio è diviso in tre o quattro piani coperti con volte o solai lignei e comunicanti per mezzo di piccole scale, anch'esse in legno o pietra, appoggiate ai muri o ricavate nel loro spessore.
Il piano terra solitamente presenta un unico accesso, rialzato di alcuni metri rispetto al piano di campagna e raggiungibile mediante una scalinata, ed è ripartito in pochi, grandi ambienti, mentre gli altri livelli, variamente organizzati, costituiscono i cosiddetti "piani nobili", con funzione di rappresentanza e dimora permanente del signore e della sua famiglia. I piani alti sono illuminati quasi sempre mediante monofore dotate di serramenti lignei, mentre i piani bassi, meno ricchi di aperture per ragioni difensive, traggono aria e luce diretta soltanto tramite feritoie distribuite in maniera piuttosto omogenea su tutti i prospetti. Frequente è anche la presenza, all'interno, di una cappella absidata ricavata negli spessori murari ed invisibile dall'esterno. Esempi simili in Sicilia li troviamo ad Adrano, Paternò e Motta S. Anastasia mentre all’estero importante è il mastio di Canterbury.

Il dongione di Militello non era accessibile e l’accesso al primo piano era possibile grazie all’uso di una scala retrattile o per mezzo di un ponte lavatoio.
Gli accessi interni erano invece realizzati con scale in legno o ancora con scale a chiocciola che erano ricavate nello spessore dei muri.
La collocazione della torre a fianco dell’edificio religioso dimostrerebbe l’origine dell’insediamento religioso e del piccolo casale limitrofo che erano particolarmente importanti nel territorio a tal punto da creare un piccolo castrum.
A piano terra la struttura racchiude una camera scavata nella roccia e probabilmente da collegare a una tomba a camera di epoca più antica rispetto al donjon normanno.
Questa struttura a quanto sembra fu utilizzata, quando nel 1448 la chiesa fu oggetto di ristrutturazione, a cappella per la collocazione dei sarcofagi della famiglia Barresi.
Quando fu costruito il Dongione ?
L’unico castello attestato nella zona dal geografo arabo Al Idrisi nel “Libro di Ruggero”, finito nel 1154,  è quello arabo di Contrada Catalfaro che fu distrutto dai Normanni. La costruzione dovrebbe essere inquadrata  verso la metà del XII secolo per  presidiare una zona dove l’elemento arabo era ancora presente.
Il castello di Militello sarebbe sorto verso il XIV secolo grazie ad Abbone Barresi.








La torre Normanna, come già accennato, conserva delle testimonianze ancora più antiche. All’intero del grande vano posto al piano terra, probabilmente usato come prigione o magazzino, è presente una tomba a camera.
Una tomba del tipo a “grotticella artificiale” e molto diffusa nell’età del Ferro e che presenta degli aspetti monumentali.
Fu interamente ricavata nella parete calcarea ed è sormontata da un ampio padiglione rupestre ad arco a tutto sesto.. su quest’arco s’imposta direttamente la volta a botte in conci di pietra del vano al piano terreno della torre.
Presenta un elegante facciata lineare che ricorda il frontone di un tempio greco, con timpano e falso spiovente, conservato solo nel lato sinistro.
L’ingresso rettangolare, ben squadrato e profondo, presenta una risega per la collocazione del portello di chiusura ed è sormontato da una doppia cornice aggettante.

Tomba – Padiglione ad arco sotto il soffitto del vano inferiore della torre Normanna




Tomba – veduta laterale

Iscrizione
VII – VI sec. A.C.

Sulla parete sinistra del prospetto, in prossimità dell’ingresso, si trova un’iscrizione a caratteri greci che sembrano derivare da un alfabeto arcaico.
Non so se  il monumento sia stato oggetto di studi.
L’iscrizione fu segnalata per la prima volta nel 2015 e come tutte le iscrizioni è un importante documento per le conoscenze storiche del territorio.
Malgrado gli effetti dell’umidità, abrasioni e fratture, è ancora riconoscibile e secondo gli studiosi deriverebbe da un alfabeto di probabile ambito euboico-calcidese, con datazione intorno al VII – VI secolo a.C.
L’iscrizione è costituita da tredici lettere, disposte su una sola riga in “scriptio continua” e sufficientemente leggibili.
(“Scriptio continua” perché la scrittura era una sequenza ininterrotta di lettere).
Le prime due o tre lettere iniziali sembrano, sia per la diversa profondità delle incisioni che per i differenti segni dell’età,  opera recenti  e legati all’intervento “per gioco” di qualche ignorante che ha voluta lasciare il suo segno come “cultore dell’arte mafiosa” cioè di colui che non ha rispetto dell’ambiente.
L’orientamento delle lettere che procede da sinistra verso destra suggerisce di leggere il testo da sinistra.
Il testo dell’iscrizione per l’evidente presenza della desinenza maschile “-os”, e per l’aumento sillabico tipico dei tempi storici “e-“ sembra “parlare” greco, indicando così una suddivisione in due membri. Se si legge in greco antico, indicherebbe il nome di una persona al maschile e un verbo al passato, che lo storico ha interpretato, escludendo le prime tre lettere impresse da un “ignorante” come segue:

[…..] yqos egrapse  
[….]  yqos incise (la tomba)

Sarebbe quindi la firma dello scultore del sepolcro, oppure del committente che coinciderebbe, in questo caso, con lo stesso defunto che fece scavare per sé la tomba.
Considerando invece non autentiche le prime due lettere, la terza lettera potrebbe essere in parte autentica perché sarebbe una “Y”,  una “ I” (iota), o  una “Λ(lambda).
Nei primi due casi “Yyqos” o “Iyqos” sarebbe di derivazione ignota, forse sicula, mentre nel terzo caso,,”se ammettiamo qui l’uso arcaico della consonante “qoppa” al posto della “kappa” (perché davanti a vocale cupa), possiamo riconoscere nell’iscrizione il nome maschile Lykos (lupo), un nome diffuso fra i Greci e presente anche fra i personaggi della mitologia classica”.
(La lettera “qoppa” (Ϟ) era una lettera arcaica dell’alfabeto greco, in cui concorreva con  “kappa” (k) nella trascrizione del fonema “k” davanti alle vocali posteriori. In seguito la kappa si generalizzò e il segno della “qoppa” fu usato solo per indicare il numero 90).

Iscrizione
VII – VI sec. A.C.

L’iscrizione greca, come riferisce lo storico Malgioglio, ha una sua grandissima importanza nel territorio perché chiarisce molti aspetti sulla storia abitativa dell’area militellese in età antica.
Il reperto documenta la penetrazione dell’elemento ellenico nell’area geografica e mette in risalto anche un aspetto legato all’instaurarsi di un graduale processo di convivenza e d’integrazione con l’elemento siculo preesistente.
Un avvenimento degno di nota in un epoca in cui i rapporto tra i coloni greci e i Siculi non sembrano tesi.
I Greci collocavano spesso i loro sepolcri ed “heroa” (Noto Antica) lungo le vie di comunicazione e fuori le mura della città. I Sioculi avevano l’abitudine di scrivere il nome del defunto sulla porta della tomba o all’esterno affinchè i visitatori della necropoli potessero leggerlo.
(Molte necropoli della Sicilia Orientale presentano iscrizioni siculo-greche: Coste di S. Febronia (Palagonia), Cozzo Luppinaro (Lentini) e Licodia Eubea).
Il sito di Militello era una “statio” importante perché permetteva il passaggio per raggiungere la fertile piana di Lentini e il successivo sbocco a mare.
Un collegamento dalle alture che erano presidiate dai Siculi come Mineo, Monte Catalfaro, Terravecchia di Grammichele, Caratabia, ecc.
La posizione topografica di Militello ha quindi favorito l’avvio di un processo d’incontro culturale e sociale tra i popoli e questo spiega perché nel suo territorio le testimonianze della civiltà greca si fanno sempre più frequenti.
La Torre Normanna è posta dirimpetto alla vecchia mulattiera che riprende probabilmente la via più antica che attraversava la valle del fiume Loddiero e il successivo canyon del Calacarone per raggiungere Scordia e quindi la piana di Lentini.
È la vecchia trazzera “Loddiero” (oggi SP99) che è stata valorizzata, con vari interventi, come percorso naturalistico e storico  (è stato creato anche un ponte in legno che è stato oggetto di atti vandalici da parte di piccoli mafiosetti). Una posizione strategica della torre che permetteva il controllo della via d’accesso  da Scordia al paese.






Nel mese di maggio 2012 il ponte in legno fu oggetto di un grave
atto vandalico da parte di alcuni “mafiosetti”
Il ponte si trovava sulla ex trazzera “Loddiero” che, partendo da Militello.
permetteva di raggiungere Scordia su un percorso di 3 km.
Un percorso tra aspetti naturalistici, paesaggisti e storici di gran valore.
Il ponte fu bruciato nel 2012 e i suoi resti rimasero come manifestazione dell’ignoranza umana.



L’alluvione del 18 ottobre 2018 le acque del torrente Loddiero trascinaro

Via i resti del degrado che la mano umana.. mafiosa… aveva creato.
Il ponte di legno non esiste più ma nel silenzio dell’immensa valle
riecheggia la voce del Sileno Loddiero e della Ninfa Scordi secondo
un’antica leggenda…
Il mito narra che il Sileno Loddiero trascorse una vita solitaria, priva di emozioni forti come l’amore. Un giorno mentre stava disteso all’ombra vide la Ninfa Scordia che saltava sui prati spensierata. Lei era di una bellezza incantevole. Il Sileno Loddiero per la prima volta in vita sua si innamorò. Seguì la Ninfa Scordia ma questa impaurita scappò via. L’anziano Sileno con il fiato ormai corto si fermò, consapevole che mai avrebbe raggiunto quella bellezza e chiese aiuto alle divinità. Giove comprese il bisogno sincero del Sileno e cosi lo trasformò in un fiume (il Loddiero). La Ninfa stanca di correre, si voltò non vide più il Sileno ma un torrente dalle acque limpide e piene di pesci. A quel punto la splendida Ninfa si spoglió delle sue vesti e si tuffó nel torrente. Cosi facendo la Ninfa Scordia si unì all’amore del Sileno ovvero, del fiume Loddiero.

3. Le Ricerche Archeologiche - Gli scavi del 1986 confermano  la datazione normanna della chiesa - I rinvenimenti: Capitelli, Parte di un affresco, trabeazione - La trabeazione è simile a quella presente nei castelli Normanni in Gran Bretagna e in Sicilia nella Basilica di Santa Lucia di Mendola



Una campagna di scavi fu condotta fra il 1985 ed il 1986 dalla Sovrintendenza ai beni Archeologici di Siracusa sotto la direzione del dott. Umberto Spigo. Fu interessata alla scavo l’area sita ad Est del prospetto e chiusa a Sud dall’unica navata superstite della chiesa distrutta dal terremoto del 1693 e le cui arcate furono chiuse nel Settecento per l’uso liturgico.
Durante gli scavi fu recuperato un importante frammento architettonico .
Si trattava di un frammento lapideo, un concio di archivolto, cioè un elemento decorativo e strutturale di un portale o di una finestra. Il reperto presenta un interessante ed insolito rilievo geometrico a reticolo stellato

Il frammento è conservato presso il Tesoro parrocchiale
di Santa Maria La Stella.

Il reticolo è costituito da due fasce parallele, in ciascuna delle quali si distinguono sette riquadri con una stella quadriforme inscritta. Il motivo geometrico, molto elaborato e complesso, produce un particolare effetto ottico che permette di intravedere, lungo il rilievo, una successione ordinata di rombi con stella a otto punte inscritta.
In Sicilia si conoscono due rilievi architettonici simili: uno a Troina e l’altro a S. Lucia di Mendola, presso Palazzolo Acreide.

Basilica Santa Lucia di Mendola

La cornice architettonica della vecchia basilica del Monastero di
Santa Lucia di Mendola, costruita dal Conte Ruggero.
Una cornice con funzione di coronamento e decorata con archi incassati.
Il rilievo è contraddistinto da motivi geometrici uniformi, consistenti in un
apparato di stelle a cinque e sei punte, saldate all’estremità… la
decorazione stellata si ripete nello sfondo dell’arco.
(Santa Lucia di Mendola nel:
La Via Francigena della Val di Noto del 26/03/2019
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2019/03/la-via-francigena-della-val-di-noto.html


Elementi artistici importanti perché secondo… sono espressioni della scultura architettonica anglo-normanna dell’XI secolo (G. Zarnecki e A.C. Ducarel).
Lo storico don Matteo Malgioglio riporta come il motivo a reticolo stellato fu molto seguito dai normanni e una delle prime apparizioni nell’architettura fu intorno al 1070 nell’Abbazia della SS. Trinità a Caen,  capitale della Normandia.
Con l’estensione del dominio Normanno nell’Italia meridionale e in Inghilterra, il motivo architettonico geometrico si diffuse anche nei paesi conquisati e in particolare in Inghilterra. Nel 1072 si ritrova nel portale del castello di Chepstow, nella contea di Hereford.

Castello di Chepstow



Castello di Chepstow
Una delle porte più antiche d’Europa

Castello di Chepstow

In questo castello il timpano e l’archivolto evidenziano un ornamento di stelle molto vicino a quelli che si ritrovano negli archi del transetto della SS. Trinità di Caen.
Disegni simili si ritrovano anche nel portale del priorato di Goult in Normandia..


e nell’area presbiteriale della cappella circolare del castello di Ludlow,  nella Contea di Shrop in Inghilterra (1090 circa) dove il disegno geometrico raggiunge la massima perfezione.

castello di Ludlow



Castello di Ludlow

Il concio di Militello è la chiara testimonianza di una comune corrente artistica direttamente mediata dai conquistatori Normanni.
Il rinvenimento del concio normanno confermerebbe la costruzione della Chiesa di Santa Maria La Vetere nell’ultimo quarto dell’XI secolo, verso il 1091 che segna la definitiva conquista della Sicilia da parte dei Normanni con la resa di Noto, ultima roccaforte araba.
A  quegli anni corrisponde anche la fondazione della Diocesi di Catania nel 1092 e di Siracusa nel 1093 e quindi anche la costruzione della chiesa di santa Maria La Vetere nell’ottica della politica di evangelizzazione di Ruggero  della Sicilia musulmana.
Costruzione della chiesa che coincide con l’arrivo dei Normanni in un territorio che presentava delle forti radici islamiche come si nota dalla toponomastica di alcune contrade.
Nel diploma di Ruggero si cita infatti la presenza di “inimici Dei uomini”.
Una chiara testimonianza della presenza saracena nel territorio di Militello i cui confini erano piuttosto stretti tra le rocche o presidi arabi di Catalfaro (Rocca dei Topi) verso Ovest e del Casale di Bulgherano verso Est.

Nello scavo fu trovato anche un capitello “con elementi vegetali” e alcune tracce pittoriche presenti sul muro absidale relativo alla più antica fase costruttiva dell’edificio.
Il capitello presenta un motivo a foglie avvolgenti al cui interno si trovano piccoli animali. Secondo gli storici si tratterebbe di un capitello normanno ispirato ai soggetti prodotti alle scuole normanne di miniatura e potrebbe appartenere all’impianto originario dell’edificio.




L’affresco presente sul muro absidale, anche se danneggiato, presentava degli elementi sufficienti per la sua lettura.
È la porzione inferiore di una parete affrescata che era divisa in pannelli pittorici da cornici di colore rosso. Di questi pannelli ne sono rimasti due.
In quello a sinistra, sopra un cornice di colore rosso e una fascetta nera divisoria, si nota l’orlo di una veste panneggiata di colore rosso; in quello di destra, sopra una cornice rossa, si apre uno sfondo di colore ocra, su cui si staglia una calzatura nera.
Questi elementi anche se scarsi e precari, fanno avanzare l’ipotesi che tutto il muro absidale fosse affrescato. Presentava un progetto pittorico uguale presente nella Grotta del Crocifisso a Lentini, dove si vede una successione di pannelli, bordati di fasce rosse, con soggetti di tipo iconistico bizantino.

Lentini -  Grotta del Crocifisso

L’affresco era quindi costituito da almeno tre pannelli, i due  di cui rimangono alcune tracce erano quello centrale e il laterale destro,. Il pannello centrale probabilmente raffigurava l’immagine della Madonna con il Bambino. Un ipotesi legata al colore rosso del manto generalmente riservato dai canoni della pittura bizantina alla figura della Vergine.
Nel pannello laterale  le tracce del piede rimanderebbero alla rappresentazione di un santo o di un angelo.



Altre   indagini archeologiche furono condotte nel 2006 sia all’interno della chiesa che al suo esterno da parte della Soprintendenza di Catania.

Lo scavo sotto il pavimento dell’unica navata superstite permise di identificare le antiche fasi dell’edificio e dell’insediamento rupestre.
 Furono portate alla luce numerose camere ipogeiche che furono utilizzate come ossari di comunità, scavate nella roccia calcarea e riadattando precedenti scavi medievali di tipo abitativo e cultuale.
Sotto l’altare e la cappella della Natività e lungo  il lato sud della navata, sotto le cappelle laterali, furono rinvenuti due muri di fondazione che furono realizzati dopo il 1618 in seguito ai lavori eseguiti per volere di Margherita Branciforte.
Una realizzazione con sostruzioni murarie allettate con malta e impiegando materiali di risulta.
Tra i materiali di risulta un frammento di affresco policromo su roccia che raffigura la Madonna della Stella con Bambino su trono, con il volto della Madonna e i capelli delle figure ancora in sinopia cioè nel loro disegno preparatorio per la successiva colorazione.



Don Pietro Carrera nel descrivere la chiesa prima dell’incendio del 1618 citò quest’affresco descrivendo l’altare dedicato all’”Assunzione della Madonna” con il muro decorato “dall’istoria di lei dipinta nel muro”.
Un apparato decorativo che forse al momento dell’incendio non era quindi ancora ultimato. Nello spazio fra la seconda e la terza cappella fu trovata la fondazione dell’edificio costruito da Blasco II Barresi nel 1448 circa. Furono anche rinvenute tutte la camere ipogeiche scavate nella roccia ed esposte con apertura ad ovest.
Tombe che furono chiuse successivamente ricolmandole con il materiale proveniente dal crollo causato dal terremoto del 1693.
Il materiale fu quindi riversato direttamente sugli ossari sui quali venne collocato il vespaio di pietrame per la messa in opera della pavimentazione settecentesca.
Vennero alla luce anche tombe datate XVII – XVIII secolo.
Ossari che erano periodicamente svuotati e le cui ossa venivano gettate nella vicina Grotta dello Spirito Santo che era una vera e propria fossa comune all’aperto.

Solo due tombe erano accessibili da una botola posta sul pavimento e presentavano una copertura di volte a botte in pietrame e gesso incannucciato. Tombe che furono riadattate a cripte, presenti sia nella navata che nella sacrestia, e ripetutamente aperte anche durante il 1800.

Davanti all’altare fu riportata alla luce una tomba costituita da una grande camera ipogeica (2,97 x 2,11)m che fu ricavata tagliando alcune fosse che erano state scavate in precedenza nella roccia. Presentava una volta a botte in pietra e fu utilizzata come ossario.
Il pavimento nella costruzione dell’edificio, risalente al cinquecento e al seicento (Blasco II Barresi, Antonio ..ecc.), poggiava direttamente sulla volta della tomba e sul piano roccioso che era stato livellato, mentre delle lastre più ampie chiudevano gli imbocchi.


Lo scavo di queste sepolture ha evidenziato il loro uso post rinascimentale mentre non è stata trovata nessuna traccia di reperti bizantini.
Nel costruire la tomba  furono distrutte delle scalette, i cui gradini erano ricavati nel piano roccioso. Un ambiente legato ad un edificio cultuale precedente che si prolungava sotto la navata centrale esterna. In epoca normanna questo edificio cultuale preesistente fu  in parte distrutto. Era costituito da piani di roccia, a livelli differenti raggiungibili da scalette, e presentava anche dei sistemi di condutture e pozzi.

L’area esterna era occupata dalle navate centrale e settentrionale di cui restano le tracce dell’impianto.
L’area dell’altare centrale ha messo in luce una preesistente struttura rupestre decorata da pitture ed affreschi e poi in parte inglobata dalle strutture successive ed obliterata dalla costruzione di un’ampia cripta-colatoio.
Dopo l’incendio del 1618 la struttura rupestre fu livellata e lo spazio libero venne utilizzato per la costruzione di tombe che in parte sfruttavano le pareti di roccia e in parte avevano spallette in muratura.



L’altare maggiore, a destra dell’area, presenta ancora tracce della mensa.
Nell’area fu rinvenuta una fossa con un inumato. Le analisi al C14, condotte anche su un altro inumato,  hanno permesso di datarli ad un periodo compreso fra il 1150 – 1290 con un intervallo di certezza del 94,4%. La fossa venne chiusa con uno strato di malta e in parte da una soglia di pietra e malta.

Lo strato di malta è indicato con la sigla: USR128
La soglia in pietre e malta è indicata con la sigla: USM101
La soglia sulla quale fu eretto un pilastro è indicata con
la sigla: USM102


Il bellissimo portale del 1506 era in asse con la navata centrale, che all’origine era più stretta rispetto a quella del 1618 (ricostruita dopo l’incendio), e con l’altare rupestre medievale.
Un grande muro chiudeva la navata settentrionale ed aveva adiacente il portico  laterale.
In questo impianto venne inglobata la vecchia torre normanna “dojon” che fu utilizzata come mausoleo dalla famiglia Barresi.
Nella ricostruzione del 1618 vennero allargate sia la navata meridionale che la centrale e fu fortemente ridotta quella settentrionale che forse si limitò solo al portico laterale.


Nella navata settentrionale furono rinvenuti due pozzi profondi (3,18 m e 13,85 m). n
Nel terzo pozzo scaricava una canaletta costituita da tubo in terracotta.
I pozzi presentano un imbocco cilindrico e due file di cavità che ne permettevano il controllo. L’imbocco dei pozzi fu intaccato dal taglio delle tombe  risalenti al 1200 circa.


4        La grotta dello Spirito Santo e i Templari -  L’insediamento rupestre e le sue analogie con quello di Rupe Canina – Le “Cappellette” , Le Croci , la Croce Ricrociata e le Tre Sfere, simbolo di Goffredo di Buglione e di San Nicola – Le tre Pietre del San Sepolcro e il Sacro Fuoco – Il “Signum” manuale della Croce nei documenti -  Lo “scranno del Magister” analogie con lo “scranno” delle grotte di Camerano.

La grotta si apre sul fianco meridionale della piccola altura adiacente alla chiesa. Una grotta scavata nella roccia calcarea   e con una sua funzione cultuale. Venne riutilizzata per il periodico svuotamento degli ossari della Chiesa. In antico era un oratorio rupestre con un altare, nicchie e sedute di forma ogivale alle pareti.
Era decorata ad affresco, nel 1700 le raffigurazioni erano ancora presenti, e presenta lungo le pareti dei simboli che le hanno dato l’appellativo di “misteriosa”. .




Don Pietro Carrerra, cappellano di corte, citò la grotta ..” presso la Chiesa di S. Maria della Stella si trova una cappella rupestre, dedicata allo Spirito Santo, nella quale vi sono scavate molte cappellette intagliate nella viva roccia, ritenute un costume tipico dei greci”.
Una conferma che l’edificio rupestre fosse esistente ancora prima dell’edificazione da parte dei Normanni della Chiesa di santa Maria.
Lo stesso Carrera in precedenza parlando della grotta rupestre aveva rilevato che le “nicchie scavate nella roccia fossero una caratteristica dei saraceni, i quali collocati entro le nicchie i loro idoli, avevano fatto di questo luogo di culto la loro moschea”.
“Non è di lasciare addietro, che in essa Chiesa (di Santa Maria della Stella) doppo la cappella di S. Michiele vi è una grotta dedicata allo Spirito santo, nella quale si trova un piccolo altare ed intorno alle mura molte cappellette di altezza due palmi e mezzo (circa 70 cm), con proporzionata larghezza, di profondità appena due dita; lande è opinione e raggionevolmente che questa grotta sia stata Moschea di Saracini, i quali a loro Idoli cotali Cappellette avevano intagliato”.
Il Carrera in seguito abbandonò questa interpretazione che legava la grotta rupestre all’uso come moschea.
L’abate Vito Maria Amico nella metà del ‘700 visitò la grotta e vide degli affreschi di cui oggi purtroppo non c’è alcuna traccia. Oltre alle croci presenti nell’interno dell’edificio rupestre,  l’Amico citò anche altre Croci e “candelieri” che decoravano il frontespizio della grotta che crollò successivamente.



Secondo le storiche Lucia Arcifa e Laura Maniscalco, l’insediamento rupestre sarebbe nato nell’età araba, forse su preesistenze bizantine, e si sviluppò ulteriormente in età normanna.
Un insediamento in parte trogloditico dislocato su differenti terrazzamenti con soluzioni comuni per l’approvvigionamento idrico con canalette ricavate sul piano e collegate a pozzi verticali. Per la difesa  gli ambienti erano raggiungibili solo tramite corde o scale mobili. In questi  insediamenti nacquero le chiese rupestri riconducibili al processo di cristianizzazione dei sovrano normanni.


Le analisi al C14 degli inumati che furono rinvenuti  nella necropoli rupestre permisero di datare l’edificio rupestre ad un arco di tempo compreso fra la metà del XII secolo e il XIII secolo.
Un casale che presentava nella sua fase insediativa sul “Colle del Purgatorio” un sistema di scale intagliate nella roccia e una “scalinata d’accesso” dal pianoro di Santa Maria alla terrazza sovrastante. Un sistema di accorgimenti urbanistici che si evidenziano anche nella raccolta e nella distribuzione dell’acqua.
Il complesso abitativo della “Vetere” aveva anche  una sua torre-fortilizio (il dongione normanno) ed una chiesa intitolata alla Vergine. Un culto che tra i cavalieri normanni ebbe una grande diffusione ed anche una motivazione storica nella politica di Ruggero il Gran Conte per il controllo del territorio e della popolazione.
La presenza di una torre e di una chiesa costituiscono uno schema ben preciso nella cultura normanna di conquista la cui base fu caratterizzata dallo stanziamento di una colonia di “milites castri” che insieme al culto portarono modelli di organizzazione sociale e comportamentali.
Era quindi presente  un vecchio casale arabo e con la conquista normanna lo stesso casale fu cristianizzato e rinvigorito dall’arrivo di immigrati dalla penisola italica. In archeologia spesso i paragoni e i raffronti sono importanti per arrivare a delle possibili conclusioni.
Un insediamento simile è quello di Rupe Canina (Sant’Angelo di Alife – Caserta) dove si trova una torre normanna, con una cisterna al piano inferiore, e collegata al circuito murario; la chiesa monoabsidata parzialmente rupestre ed intitolata alla Madonna.
Strutture che si trovano inserite all’interno di un insediamento cioè di un villaggio rupestre caratterizzato da canalizzazioni, pozzi e cisterne collettive.
Nel Complesso di Rupe Canina è presente una seconda chiesa rupestre nelle vicinanze della chiesa dedicata a Santa Maria ed è quella di S.- Michele Arcangelo.



Rupe Canina
Grotta di San Michele Arcangelo -

Rupecanina – Cappella di Santa Lucia o della Vergine

A Militello davanti alla chiesa di S.M. La Vetere c’è un pozzo, fonte battesimale purificatorio, che presenta alla sua base una croce “bordonata” o “pomata”. Una fonte posta a pochi metri dall’ingresso dell’edificio e da mettere in relazione con l’intero complesso.

Militello - Santa Maria La Vetere - Vasca Battesimale

Anche a Rupe Canina in un angolo della grotta di S. M. Arcangelo è visibile l’orlo di una vasca circolare che è considerata una fonte battesimale.
Uno “schema” similare è stato ulteriormente indicato a Troina, dove sono documentati i resti di una torre quadrangolare, una chiesa, una cisterna e ambienti ipogeici, e ad Enna
al Castello di Lombardia in cui appare similare la disposizione interna al cortile San Martino di una torre quadrangolare, una piccola chiesa e un pozzo.


La grotta per le operazioni di scavo e di ricerca fu sottoposta ad una forte ripulitura dall’enorme accumulo d’ossa che consentirono di riportare a vista l’antico e prezioso altare ricavato dalla roccia e decorato da tre arcatelle cieche e strette.

Nella grotta si trovano delle alte nicchie circolari scavate su tre lati lungo le pareti e già visibili in precedenza e considerate in origine “cappellette”.

Militello Val di Catania - La Grotta dello Spirito Santo

Ai piedi e dentro le nicchie sulla parete occidentale sono presenti i tagli di alcune fosse e ben visibili delle croci di tipo greco con i bracci uguali.
Sono presenti anche una croce che è, rispetto alle altre, ricrociata su tutti e quattro i bracci ed infine tre semisfere, tutte incise profondamente nella morbida roccia. Le tre semisfere sembrano distinguere nettamente una nicchia a profilo ogivale che appare quasi una “seduta”, rispetto alle due, più piccole e anch’esse ogivali, ai fianchi.
Le nicchie scavate a parete sugli altri due lati sono tutte strette e lunghe, a profilo circolare, simili anch’esse più a “sedute”.
Le croci greche e ricrociate sono considerate simbolo dei Templari (Bagnoli-Costantini-Giontella 2013, 403) e  la presenza dei Templari nella zona fra Scordia, Lentini fino a Caltagirone è attestata sin dal 1131 (Cucuzza 2002-03, 19 e 309).


La Croce ricrociata era di pertinenza ai templari che avevano combattuto nelle crociate. Era una dei numerosi tipi di croci adottate dall’araldica medievale e riassumeva in sé il “Signaculum Domini”.
Si tratta di una croce nella quale le quattro estremità dei bracci sono essi stessi delle piccole croci o una croce fatta con la riunione di quattro piccole croci latine riunite nel piede.
Una croce che appare in alcuni blasoni nobiliari e fu anche impiegata come “Signaculum” mistico su alcune monete franche e su quelle del re anglo-danese Sigefredo.
Si vede scolpita su uno dei frontoni della Chiesa di Sant’Antonio a Padova ed anche in alcune chiese di Militello in Val di Catania.

Padova – Basilica di Sant’Antonio
La Croce Ricrociata sul frontone della Basilica

Le croci si ritrovano non solo nella composizione degli stemmi e degli antichi sigilli ma anche nelle scritte manuali.
Nelle scritte manuali servivano da sigla e furono usati durante tutto il Medioevo. Per i firmatari significava mettersi sotto la protezione dell’emblema delle cinque piaghe del Signore.
Le Sante Piaghe o le Cinque Sante Piaghe sono le ferite sofferte da Cristo durante la Crocifissione.
Quattro ferite corrispondono ai punti dove furono infissi i  chiodi e cioè sulle mani e sui piedi mentre la quinta ferita o piaga al costato fu causata dalla lancia di un soldato romano per controllare se Gesù fosse effettivamente morto per evitare di spezzargli le gambe per causarne il decesso.
Era un “Signum” molto riverito e consacrava religiosamente la lealtà della firma e la sua autenticità come accadeva adoperando il sigillo dell’anello accanto al nome del sigillante.
Questi segni manuali che riportano sempre alla Croce, furono poste su molti documenti d’archivio e forse sono meno conosciuti rispetto ai “Signum” ottenuti con i sigilli.
Gli Archivi della Spagna e del Portogallo presentano molti documenti reali con questi “Signum”:

Sigilli manuali dei principali sovrani di Spagna

n. 1 – il conte sovrano di Barcellona Borel, nel 954 faceva seguire il proprio nome da una croce potenziata accostata da quattro punti;
n.2 – il suo successore Raymond Borel nel 992,  sottoscriveva nello stesso modo;
n. 3 e n. 4 – il conte Berenger nel 1018 e Raymond Berenger II nel 1031 sottoscrivevano sempre nello stesso modo di cui sopra;
n. 5 – Raymond Berenger IV;
n. 6 – Il figlio cadetto, fratello di Alfonso e chiamato come su padre Raymond Berenger, non regnò su Barcellona.  La sigla presenta un “signum” molto particolare in
cui il “Signaculum Domini “ (La Croce) si congiunge con una stella.
Un buon numero di re d’Aragona, di Castiglia e di Maiorca, presero come motivo per la loro sigla l’emblema tradizionale delle Cinque Piaghe.
n. 7  -  il “Signum” di Alfonso II si compone di un rettangolo  i cui spigoli sono
rinforzati da quattro punti vuoti, cosa che fa assomigliare la firma alla pianta lineare
di alcune cinte di mura fortificate. Nel mezzo si iscrive una grande Croce.
Le sigle degli altri sovrano di Maiorca e d’Aragona sono fatte con un quadrato sollevato
su uno degli angoli, o con una losanga. Queste figure sono traversate da
due diagonali in croce, le cui estremità danno origine a quattro piccole Croci
(Il che riporta al Signaculum fatto con cinque Croci).

n. 8 – la losanga di Pietro II (1196 – 1213);
n. 9 – Giacomo I (1276 – 1311);
n. 10 – Sancho I (1311 – 1324);
n. 11 – Giacomo II (1324 – 1344), re di Maiorca;
n. 12 – Giacomo il Conquistatore (1213 – 1276);
n. 13 – Re d’Aragona e di Castiglia, Pietro IV (1395);
n. 14 – Martino (1376  - 1410);
n. 15 – Giovanni I (1458 – 1479);
n. 16 – Giovanni II (1458);
n. 17 – Ferdinando (1412 – 1416);
n. 18 – Alfonso (1416 – 1458);
n. 19 – Ferdinando il Cattolico (1474 – 1516)

Militello in Val di Catania - Grotta dello Spirito Santo

Il  posto  contraddistinto dalla Croce Ricrociata era quindi occupato da un personaggio importante e che aveva comunque partecipato alla Crociata e probabilmente un templare.
Accanto alla nicchia del “Crociato” un’altra nicchia, leggermente più grande e sovrastata superiormente da tre sfere scolpite nella roccia.
Le tre sfere non solo costituiscono lo stemma araldico di Goffredo di Buglione - che partecipò alla prima crociata (1096-1099) divenendo Protettore del Santo Sepolcro e Governatore di Gerusalemme - ma sono anche uno dei simboli di San Nicola di Myra, proprio il Santo che, insieme alla Madonna, è profondamente e anticamente venerato a Militello.

Goffredo di Buglione in un affresco del 1420 di un anonimo pittore italiano,
detto “Il Maestro del Castello della Manta “ (Salluzzo- Cuneo).
Groffredo di Buglione (Godefroy de Bouillon, Godefridus Bullionensis, nato a Baisy-Thy – Belgio, nel 1060 circa – morto a Gerusalemme, 18 luglio 1100), fu un cavaliere
Franco ed uno dei comandanti della Prima Crociata (1096- 1099).
Fu un duro scontro con I Turchi e riuscì a conquistare Nicea, Antiochia e
Gerusalemme il 5 luglio del 1099. I Crociati in questa impresa furono
aiutati dalla flotta genovese che trasportò il legname per costruire le torri necessarie
per l’assedio della città. I Turchi replicarono con forti azioni militari nei territori perduti e ci fu una sanguinosa battaglia sulla piana di Ascalona il 10 agosto 1099 dove
i musulmani furono sconfitti.
Gli fu proposto di diventare Re di Gerusalemme ma rifiutò l’investitura
“in una città in cui era morto Cristo” e preferì essere nominato
“Difensore della Chiesa del Santo Sepolcro”

Le tre sfere sarebbero lo stemma di Goffredo di Buglione in seguito ad un avvenimento che viene ricordato a Firenze ogni anno con lo “Scoppio del Carro”.
Una manifestazione popolare laico-religiosa che si svolge la domenica di Pasqua a Firenze.
Una torre pirotecnica , detta “brindellone”, viene posizionata su un carro che trainato da due coppie di buoi si ferma tra il battistero e la Cattedrale.
Al termine della cerimonia, al canto del “Gloria”, l’arcivescovo accende dall’altare del duomo un razzo a forma di colomba che, tramite un meccanismo a fune, percorre tutta la navata centrale della chiesa per raggiungere all’esterno il carro facendolo scoppiare.
Questa cerimonia ha origini antichissime risalenti alla prima crociata.
Nel 1097  al comando di Goffredo di Buglione, Duca della Bassa Lorena, i crociati partirono per la Terra Santa riuscendo dopo numerosi scontri bellici ad espugnare Gerusalemme il 15 luglio 1099.
Secondo la tradizione fu il fiorentino “Pazzino de’ Pazzi” a salire per primo sulle mura della città Santa dove pose l’insegna bianca e vermiglia. Per questo atto di valore, Goffredo di Buglione donò al “de Pazzi” tre schegge del Santo Sepolcro.
“Pazzino de’ Pazzi” rientrò a Firenze il 16 luglio 1101 e fu festeggiato ed accolto con solenni onori dalla cittadinanza. Le tre pietre del Sepolcro furono inizialmente conservate nel Palazzo de’ Pazzi e successivamente consegnate alla Chiesa di Santa Maria Sopra a Porta in Mercato Nuovo.
Chiesa che fu ampliata e rinominata come chiesa di San Biagio fino a quando nel 1785 fu soppressa.
Dal 27 maggio 1785 le sacre reliquie del Sepolcro si trovano nella vicina Chiesa dei Santi Apostoli dove sono ancora oggi conservati.

Firenze – Chiesa dei Santi Apostoli

Tabernacolo di Andrea della Robbia

Nella prima cappella a sinistra, vicino all’ingresso e all’interno di una
piccola nicchia illuminata, si trovano il prezioso “portafuoco” decorato e il
cofanetto che contiene all’interno le tre pietre che provengono dal Santo Sepolcro.
Pietre che saranno utilizzate nel Sabato Santo per l’accensione del “Sacro Fuoco”
che, a sua volta, accenderà la colombina nel giorno di Pasqua per permettere lo scoppio del carro.

Nella cappella si nota la nicchia che conserva le pietre del
Santo Sepolcro ed il portafuoco

A Gerusalemme, oggi come mille anni fa, il Patriarca ortodosso alla viglia di
Pasqua scende da solo all’interno della tomba che secondo la tradizione accolse le
spoglie del Cristo. Qui, al riparo dagli sguardi  degli altri partecipanti, accenderebbe il
cero pasquale con il fuoco sacro sprigionato dal giaciglio in cui fu deposto Geù.
Il Patriarca riappare dal sepolcro per condividere il fuoco con tutti i presenti alla cerimonia.  Metaforicamente il fuoco rappresenta la luce di Cristo risorto che
scaccia le tenebre. Si tratterebbe di un fuoco dal colore azzurro che non
provoca calore o bruciature almeno per alcuni minuti.
Alla fine del rito ognuno può portare a casa il fuoco benedetto.
I crociati nel 1100 assistettero a questo “miracolo” e ne furono colpiti.
All’interno della cripta sembra che si manifesti una pioggia di fuoco che
scende dalle pareti fino al piccolo altare. Un aspetto particolare è legato al fatto che
il fenomeno si verifica quando nella cripta officia il Patriarca ortodosso o un Vescovo da lui delegato. Altri religiosi hanno provato nel tempo a sostituire gli ortodossi ma senza ottenere alcun risultato.  Particolari conoscenze che portano ad attivare il misterioso fenomeno ?
Il rito a Gerusalemme segue una prassi accurata  che va oltre la semplice discesa del Patriarca nella cripta del Cristo.

Gerusalemme – Il Santo Sepolcro

La mattina del Sabato Santo ci svolgono degli accurati controlli  all’interno della cripta da parte della polizia israeliana al fine di escludere categoricamente la presenza di qualche oggetto in grado di produrre il “Sacro Fuoco”. Quindi la Cripta viene sigillata.
Verso sera il Patriarca ortodosso di Gerusalemme,  si toglie i paramenti sacri ad eccezione della tunica rituale. Viene perquisito dalle autorità civili ed entra nel Sepolcro, a candele spente, s’inginocchia e comincia a pregare.
A volte dopo pochi momenti oppure dopo qualche ora di preghiera, appaiono sul marmo, che ricopre la lastra della tomba, qualche scintilla di fuoco che sembrano
gocce luminose.  I pochi testimoni che hanno avuto la possibilità di assistere al fenomeno, hanno raccontato di aver udito un forte schiocco (un rumore forte)
prima dell’apparire delle scintille. Altri ancora hanno sentito forti e prolungati sibili che erano accompagnati da simultanei lampi di luce blu  e bianchi che iniziavano a
serpeggiare lungo le pareti della tomba come “flash impazziti”.
Il Patriarca raccoglie le gocce di fiamma con l’aiuto di batuffoli di cotone e con questi
accende le torce e le candele che sono poste all’interno della cripta.
Spesso le torce s’accendono da sole mentre il Patriarca è intento a pregare.
Il Patriarca esce quindi dalla Cripta e porge la fiamma  delle sue torce alle torce dei
fedeli che si distribuiscono tra di loro il “Fuoco Sacro”.
In questo momento avviene un altro prodigio.
Il fuoco arde sulle torce come una fiamma ordinaria ma non emana calore.
I fedeli passano la fiamma delle torce sul viso, sulle folte barbe e sugli abiti
senza alcun problema.  Dopo circa trenta minuti il fuoco comincia a scottare e l’emanazione di calore incomincia nel momento in cui la fiamma cambia calore diventando da azzurra a rossa.
Un altro fenomeno è la presenza, durante la cerimonia, di piccoli globi luminosi che transitano spesso sulle teste dei fedeli e che spesso sono in grado di accendere le torce che gli stessi fedeli tengono in mano.

Nel 1549 gli Armeni si sostituirono agli Ortodossi nella conduzione della
cerimonia del Fuoco Sacro corrompendo il sultano Mourat per ottenere il
permesso di recarsi nella cripta del Santo Sepolcro per presenziare alla cerimonia.
Il Patriarca ortodosso fu tenuto fuori della cripta e i dignitari Armeni presero quindi il suo posto all’interno della cripta ed iniziarono la cerimonia pasquale.
Invano gli Armeni invocavano Dio, il Fuoco non voleva discendere.
All’improvviso s’udì un rimbombo del tuono e dalla colonna di marmo, presso
la quale attendeva il Patriarca Ortodosso, apparve il “Fuoco””.
Colonna che ancora oggi si può ammirare squarciata nei pressi della Cripta.




È inutile nascondere che ancora oggi il fenomeno del Fuoco Sacro di Gerusalemme
è al centro dell’attenzione di vari ricercatori che cerano di spiegarlo da un punto di vista razionale negando ogni possibile apporto trascendente.

Ritornando a Firenze il Sacro Fuoco viene acceso strofinando fra loro le
Tre Sacre Pietre.

Il Cofanetto con le Tre Sacre Pietre e il Portafuoco al momento
dell’inizio della processione verso il Duomo dove avverrà l’accensione del Sacro Fuoco.

Ritornando alla grotta dello Spirito Santo di Militello, le tre sfere potrebbero anche rappresentare il culto di San Nicola.
Con la conquista normanna si verificò un’ampia diffusione del culto orientale di San Nicola di Myra e la correlazione tra lo stesso santo e i Templari nel XII secolo è attestata soprattutto in Puglia ed esattamente a Molfetta, a Melfi, a Venosa.
Un culto che nella diocesi di Siracusa fu legato alla conquista Normanna e in particolare a Noto e in contrada Bulgarano (Lentini) dove è attestato un casale con una chiesa detta di “San Nicolò de Templo” omonimo di un insediamento a Gioia dei Marsi in provincia di l’Aquila.

Nella grotta dello Spirito santo si è ipotizzato quindi un insediamento di epoca normanna e potrebbe essere la primitiva chiesa dedicata alla Vergine che fu censita dai collettori papali del 1308 e 1310 e che riconoscono nella stessa chiesa un edificio di culto originario bizantino a servizio dell’abitato rupestre circostante. In base ai dati archeologici si potrebbe ritenere la chiesa rupestre come il luogo espresso nelle “Rationes”.
La presenza delle “seggiole” ricavate nelle pareti ha fatto da base ad un confronto con l’insediamento di culto sotterraneo delle Grotte di Camerano (Ancona).
Una vera e propria città sotterranea che fu in uso per secoli. Nella grotta Ricotti si trova
una sala nelle cui pareti sono ricavate delle nicchie  e nella grotta Trionfi una postazione principale, lo scranno del Magister. Nicchie e postazioni che sono simili a quelle presenti nella Grotta dello Spirito Santo.

Grotta Ricotti -  Camerano (Ancona)





Camerano (Ancona) - Grotta Trionfi
Nella grotta Trionfi è presente un tempietto a pianta circolare e 10 colonne con
capitelli dorici. Sono presenti 9 nicchie all’interno delle quali è rimasto solo un sedile identificato come lo “scranno del Magister” in relazione alla tradizione che indica la sala come luogo di riunione dei membri di antichi ordini cavallereschi.

"Scranno magister"



La Grotta dello Spirito Santo fu quindi un edificio di culto edificato intorno al XII secolo dove  svolgevano il rito una comunità di “pari” (persone che condividevano gli stessi aspetti di vita)  come indicherebbe la tipologia delle sedute, a esclusione di quella principale sormontata dalle tre sfere, che potrebbe essere lo scranno del Magister. Un edificio probabilmente dedicato al culto greco-orientale di San Nicola di Myra, certamente attestato a Militello almeno dall’indicazione della chiesa di “S. Nicolai de eodem loco” nelle collettorie vaticane delle “Rationes decimarum Italiae “del 1308-1310 (Sella 1944, 98, n. 1295).
Nulla di strano la relativa vicinanza con la chiesa di Santa Maria anche se le attuali relazioni spaziali sono, ovviamente, alterate dall’edificazione della chiesa a tre navate. Nel pianoro, che era il centro della vita di questo insediamento rupestre, avrebbero benissimo potuto convivere i due culti, l’uno di origine latina, l’altro di origine greco-bizantina, entrambi portati dai cavalieri d’oltralpe.
La soppressione dell’Ordine dei Templari da parte di Papa Clemente V nel 1312 comportò anche la parziale riassegniazione dei loro beni, in Italia, all’Ordine degli Ospedalieri, ma in molti casi come in quello della Chiesa di San Clemente di Bari, non se ne ebbe più notizia. In Sicilia di alcuni beni si impadronirono anche dei laici, ecclesiastici e altri ordini religiosi.
La Chiesa templare rupestre di San Nicola a Militello avrebbe potuto cessare la sua attività subito dopo il censimento dei collettori papali e divenire area cimiteriale di pertinenza di Santa Maria. Il culto a San Nicola, comunque ormai ben radicato, si sarebbe spostato dal vallone di Santa Maria nei pressi del Castello nella zona del Purgatorio.
Le fonti documentano l’esistenza della piccola chiesa madre intestata a San Nicolò (il Vecchio) e ingrandita da Blasco I.
Lo stesso Blasco I con il suo testamento dell’11 Agosto 1390 lasciava alla Chiesa di San Nicolò tre once per il nuovo tabernacolo.
I decreti riformatori del Concilio di Trento, configurando la distinzione giuridica fra le chiese matrici e le chiese parrocchiali a partire dalla seconda metà del
XVI secolo diedero inizio a una accesa competizione sulla matricità.
Una matricità, tutta locale, campanilistica e giocata non sempre correttamente sull’interpretazione e/o interpolazione di antichi diplomi e carte d’archivio, per rivendicare una maggiore antichità nell’esercizio dei diritti matriciali dell’una chiesa piuttosto che dell’altra (Palumbo 2003; Malgioglio 2006, 16-31).
San Nicolò, andata interamente distrutta del terremoto del 1693 lasciando ricordo di sé solo nella toponomastica locale (rimane il nome nell’omonimo Largo San Nicolò il Vecchio) e fu ricostruita in un’altra sede come Santa Maria della Stella.
I culti di Santa Maria e di San Nicolò e le loro origini a Militello - al di là delle dispute fra le due “fazioni” religiose - sembrano riconducibili entrambi a epoca medievale. Entro i primi decenni del XII secolo Militello era già un centro normanno a tutti gli effetti. Indubbiamente, la continuazione delle indagini all’interno della Grotta dello Spirito Santo, in quest’ottica, potrebbe consentire ulteriori spunti e approfondimenti su una fase tanto complessa quanto a volte “oscura”.
 La vicinanza tra lo "scanno del magister" e lo scranno in cui è disegnata la Croce Ricrociata lascia presagire a scenari che purtroppo sono difficili da verificare. Probabilmente due personaggi coevi e forse reduci dalle imprese in Terra Santa ?
.
C’è da dire in merito a templari che l’ordine fu presente non solo a Militello ma anche a Scordia e soprattutto a Lentini dove avevano vaste proprietà.


           5. Grotta del Santo di Cipro
La grotta si trova a circa 50 m a ad est della grotta dello Spirito Santo ed è una cavità piuttosto ampia. Lo storico Pietro Carrera nella sua “Chorografia Militelliana” riportò la presenza di un bellissimo affresco a sinistra dell’ingresso. Un affresco ormai non più decifrabile.
Il personaggio raffigurato fu indicato dallo stesso storico come il “Santo di Cipro”…”Antrum Cypri venerabile divi”.
Ma quale santo era raffigurato ?
Perché il Carrera, ch’era un sacerdote e anche cappellano di Corte, non indicò il nome del Santo in maniera ben precisa ?
Il sacerdote e barone Francesco Paola Iatrini nel 1823 fece una traduzione in italiano dello scritto latino di Pietro Carrera e  citò  la figura dell’affresco come San Barnaba.
Successivamente ci furono altre interpretazioni sull’affresco: il sac. Matteo Malgioglio  indicò la figura in S. Ilarione e S. Anania come un “Cristo Pantocrator” bizantino.
Lo storico Abbotto accettò la tesi di padre Carrera affermando che l’ipotesi su S. Barnaba era la più plausibile.
Il santo è levita, nativo di Cipro, cugino di S. Marco e collaboratore degli Apostoli soprattutto di S. Paolo.
S. Ilarione anche se morì a Cipro era nativo di Gaza in Palestina.
La grotta fu meta di pellegrinaggi a causa della presenza di “un piccolo rivolo d’acqua che fuoriusciva dalle pareti di roccia, ritenuta miracolosa”.
La cavità franò nei secoli successivi e di essa si conserva solo un pezzo di un affresco cinquecentesco che raffigura il ”canuto santo di Cipro benedicente” che la critica storica ha spesso confuso con un Cristo Pantocratore d’età bizantina.

6.      CHIESA DI SANTA SOFIA
Di fronte all’attuale Chiesa del Purgatorio sorgeva una delle più antiche chiese di Militello dedicata a Santa Sofia.



La Chiesa del Purgatorio risale al 1613 circa

Il tempio era dedicato alla Vergine di Costantinopoli Sofia, martirizzata sul finire del II secolo (molti storici non sono concordi sull’esistenza di questo tempio e al suo tiolo). Il culto di Santa Sofia era ed è molto diffuso in diversi centri della Val di Noto (Caltagirone, Chiaramonte Gulfi, Ferla, Mazzarino, Modica, Sortino).
Il Colle del Purgatorio in antichità era chiamato “Monte Lauro” e don Pietro Carrera lasciò una piccola descrizione della chiesa definendola “chiesa maggiore” cioè “più antica come chiesa madre e parrocchia”.
Titoli che furono ceduti alla Chiesa di S. Nicolò. Era infatti costume in quei tempi che la parrocchialità potesse essere ceduta a chiese, sorte anche successivamente, e poste in luoghi più centrali dell’abitato e anche come edifici più grandi e quindi più adatti per le sacre funzioni.
Il tempio non doveva essere di grandi dimensioni e forse sarà stata la prima chiesa in muratura costruita a Militello dato che le prime erano costruite in grotte.
La chiesa fu danneggiata dal terremoto del 1693 come risulta da un atto del 1719.
Risale al 1747 un contratto, a firma dell’abate di San Benedetto don Crispino Reforgiato per lavori di riparazioni( o di ricostruzione) della chiesa che resistette fino all’inizio del 1800 quando, per il suo degrado, fu abbandonata. Di questa chiesa non si conosce nemmeno il punto esatto dove fosse ubicata probabilmente nel piazzale antistante all’attuale chiesa del Purgatorio.
Il Carrera scrisse che Don Pietro Ciccaglia, sacerdote di Militello e parroco di Santa Maria della Stella (La Vetere) dal 1574 al 1580 “ gli aveva affermato più volte, che egli essendo giovine ritrovò in una casa presso la chiesa di S. Sofia un gran pergamino scritto, nel quale si faceva memoria che il Vicario Generale di Catania concedeva alla chiesa di S. Sofia un beneficio, per lo che pare che Militello allora fosse nella Diocesi di Catania. Dalla iscrizione dell’anno, egli aveva calcolato che quella scrittura aveva antichità poco più di quattrocento anni. Il pergamino andò perduto, né fu possibile al Carrera rintracciarlo. L’illustre storico aggiunge che questa chiesa fu in tempo antico la maggiore”.
Una campana della chiesa  si trova nel Museo S. Nicolò. Porta l’immagine del SS. Salvatore e il Sacramento nonché la seguente dicitura:
A ST Societas SS/mi Sacramenti fusa anno D/ni 1070 refusa et addita aere S. Sofia
anno 1004 (?) iterum refusa ex pensis parecia anno 1830 Arcipr. Antoninus
Scirè parochus.

Campana della chiesa di S. Sofia.
Bronzo, inizio secolo XI (1004) – Prima Fusione
Rifusa nel 1830 ad opera dell’arciprete Scirè.
Sul fianco è raffigurato il SS. Salvatore e il SS. Sacramento

Campana di S. Sofia
Immagine del SS. Sacra


7.   Il Complesso di Santa Maria la Vetere – Parco Archeologico –Normativa di Riferimento

“Dichiarazione di notevole interesse pubblico di parte del Territorio del
Comune di Militello in Val di Catania “
Decreto Assessoriale – 24 Settembre 1992
G.U. Serie Generale – n. 38 del 16 Febbraio 1993

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Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
Servizio 27: Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci:
Santa Maria La Vetere in Militello Val di Catania

GURS- Parte I – n. 33 del 17 luglio 2019



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La Festa della Madonna della Stella
Sebastiano Guzzone
(Militello in Val di Catania, 13 settembre 1856; Firenze, 11 febbraio 1890)


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