Militello in Val di Catania - Il Complesso di Santa Maria La Vetere – La Chiesa Rupestre dello Spirito Santo con i Segni dei Templari
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Indice
1.
S.
MARIA LA VETERE
a)
L’Origine
della Chiesa; i Feudatari del Casale; I Primi Riferimenti della “Cappella” – Le
Mura;
b)
Interventi
sull’Originaria “Cappella”:
-
Blasco
II Barresi;
-
Antonio
Piero Barresi – La Natività di Andrea della Robbia – La Statua della Madonna
della Provvidenza;
c)
Vicino
alla Chiesa una Sinagoga; I Nomi dei Condannati dal Tribunale dell’’Inquisizione
( “Rilassato in Statua”/ “Rilassato in Persona”);
d)
Giovan
Battista Barresi e il Portico
e)
L’Architettura
e il Portico;
f)
L’incendio
del 17 giugno 1618 – Le fasi dell’Incendio; Un fatto Prodigioso;
g)
La
Chiesa dopo l’incendio; Le varie
Confraternite;
h)
Il
Terremoto del 1693;
i)
La
Chiesa dopo il Terremoto del 1693;
j)
La
Fiera Franca; La Vasca Battesimale; La Statua della Madonna con il Bambino;
Vari Reperti;
k)
“Il
Portale ed i suoi segni..tanti interrogativi” di V. Traviglia; Contrada “Puleri
o Pileri” di Scordia;
2.
Il
Dongione Normanno; La Tomba un
iscrizione del VII – VI secolo a.C. ; La Torre a Presidio dell’ex Trazzera
“Loddiero”; il Ponte in legno sulla Trazzera (Percorso Naturalistico –
Storico)…fu bruciato: La leggenda del
Sileno Loddiero e della Ninfa Scordia;
3.
Le
Ricerche Archeologiche confermano la datazione Normanna della Chiesa; Gli Scavi
del 1990 e i preziosi rinvenimenti: Trabeazione, Parte di un Affresco,
Capitelli; Una trabeazione simile si ritrova nei castello Normanni in Gran
Bretagna e in Sicilia nella Basilica di Santa Lucia di Mendola; Gli Scavi del 2009;
4.
La
Grotta dello Spirito Santo e i Templari; L’Insediamento Rupestre ed analogie
con l’insediamento di Rupe Canina; La “Cappellette”, Le Croci, la Croce
Ricrociata (Templare) e le Tre Sfere (Simbolo di Goffredo di Buglione e di San
Nicola); Goffredo di Buglione, le Tre Pietre del Santo Sepolcro e il Fuoco
Sacro; Il Fuoco Sacro a Gerusalemme e a Firenze; Il “Signum” manuale della
Croce nei documenti; Le “Seggiole”, analogie con le “seggiole” delle Grotte di
Camerano ( un affascinante insediamento sotterraneo);
5.
La
Grotta del Santo di Cipro;
6.
La
Chiesa di Santa Sofia (distrutta);
7.
Il
Complesso di Santa Maria la Vetere – Parco Archeologico – Normative di
Riferimento.
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1.
S.
MARIA LA VETERE
Santa
Maria la Vetere ( o della Provvidenza) è
una delle chiese più antiche di Militello in Val di Catania ed è posta
in una vallata all’estremità sud orientale del centro.
Un
sito significativo nel territorio di Militello che per i suoi aspetti legati al
pregevole tardo-barocco fu inserito nel 2003 nella World Heritage List
dell’Unesco.
Il
nome “La Vetere” ha una sua motivazione ben precisa. Il nome originario della
Chiesa era di “Santa Maria La Stella” e il terremoto del 1693 distrusse
parzialmente l’edificio con il crollo delle navate centrale e settentrionale.
Rimasero in piedi la navata meridionale, la sacrestia con la torre campanaria
ed il portale con il protiro.
Si
decise di trasferire il culto nel nuovo edificio di Santa Maria della Stella
che fu costruito nella zona detta del “Conternatore”
a partire dal 1722.
(“Conternatore”
era probabilmente il nome di qualche artigiano che aveva nella zona la sua
bottega di tornitore). La nuova chiesa fu costruita di fronte al palazzo dei
Leoni o Casa Singarella mentre la vecchia chiesa di Santa Maria prese il nome
di “La Vetere” che significa appunto “La
Vecchia”.
La
chiesa di Santa Maria La Vetere fu ricostruita chiudendo tutte le arcate che
separavano la navata meridionale da quella centrale e rimontando alcune
cappelle.
L’edificio
si trova inserito all’interno di un insediamento rupestre di grande attrazione
per i suoi misteri e il suo studio ha permesso di ricostruire le più antiche
fasi dell’insediamento sorto in epoca normanna.
Un
insediamento che è per certi versi tipico del bacino del mediterraneo centro
-occidentale ed è l’espressione della fase di “incastellamento” tipica del
periodo tra il X e il XIII secolo.
Periodo
che portò alla formazione di villaggi o casali con un territorio di pertinenza
e sottoposti alla signoria di famiglie aristocratiche e in alcuni casi soggetti
direttamente alla giurisdizione della corona.
Nel
1985/86 furono compiuti sul sito dei saggi di scavo che permisero di conoscere
le varie fasi abitative e di creare una cronologia storica che comprendeva:
-
Un
abitato tardo-antico, costituito da pozzi ed ipogei scavati nella roccia
calcarea a cui apparteneva la chiesa
rupestre dello ”Spirito Santo” e quella del “Santo di Cipro”;
-
Un
insediamento normanno come risulta da un affresco che fu rinvenuto tra le
strutture murarie dell’abside; da un archivolto con motivo reticolare a stelle
e un capitello con motivi vegetali; il donjon (dongione) medievale
sull’estremità settentrionale del pianoro;
-
La
chiesa del 1400 con un edificio a tre navate con l’abside orientata ad est ed
ingresso ad ovest e piano pavimentale impostato sulla roccia calcarea.
L’edificio
attuale è composto da una sola navata e parte del prospetto che si salvarono
dal terremoto del 1693.
a. L’Origine
della Chiesa - I Feudatari del Casale - I primi riferimenti della "Cappella" - Le Mura
L’origine
della chiesa risalirebbe all’epoca normanna e legata alla politica religiosa di
latinizzazione della Sicilia musulmana promossa dal Conte Ruggero I
d’Altavilla.
I
primi documenti confermerebbero l’esistenza, sul finire dell’XI secolo attorno
al Colle del Purgatorio, di un nucleo abitato costituito da case arroccate e da
grotte in cui erano presenti anche luoghi di culto.
In
un diploma normanno di Ruggero II, datato 1115 /1130 è citata la sostituzione
del defunto presbitero nella chiesa di “Sancta Maria de Stellis in oppido
Militelli”. Il presbitero era Alfio da Messina e fu designato come nuovo “rettore”
della chiesa Bertrando da Noto.
Nel
documento Beltrando da Noto era nominato “rettore” della chiesa che fu
ricostruita dai Normanni dopo la “demolizione da parte dei nemici di Dio”.
“Rettore”
e non “parroco” perché somministrava i Sacramenti solo ai Signori della Terra e
al personale del castello.
La
chiesa infatti era di regio Patronato, di pertinenza del re, che nominava il
Rettore e lasciava che i signori di Militello vi venissero seppelliti.
Il
primo feudatario di questa Terra sarebbe stato Simone del Vasto o di
Policastro, conte degli Aleramici di Sicilia e nipote del Gran Conte Ruggero il
Normanno (secondo la tesi dello storico Maurici) o Alaimo da Lentini (secondo
lo storico Gaudioso).
Il
sovrano normanno Guglielmo II (Il Buono) emise due diplomi nei confronti della
Chiesa.
Il
primo datato 24 maggio 1166 con il quale si decretava il restauro della chiesa
ed il secondo nel 1180 con il quale concedeva 15 once d’oro per il restauro
della chiesa dopo il terremoto del 1169 che colpì Catania, Siracusa e Lentini.
Ai
tempi di Guglielmo II il Malo era presente un castello ?
Era
presente una torre adiacente alla Chiesa di Santa Maria “La Vetere” a
protezione del casale. Il castello vero
e proprio sarebbe sorto verso la metà del XIII secolo. Una costruzione iniziata
probabilmente da Bonifacio de Camerana e completata dal nipote Abbone IV
Barresi (molti storici attribuiscono invece l’opera di costruzione del castello
al solo Abbone Barresi).
In
merito al termine “Militellus”
potrebbe fare riferimento alla concessione di terre eseguita dal conte Ruggero
in favore dei membri del suo esercito come è attestato dai cronisti di corte
(Goffredo Malaterra).
Il
toponimo medievale “Militellus” avrebbe infatti la sua origine in “Militum
Tellus” cioè “Terra dei Soldati”.
In
un privilegio del 1248 l’imperatore Federico II avrebbe concesso al milite
lombardo Bonifacio de Camerana figlio di Oddone, con il titolo di baronia, “il
casale e castrum di Militello” fino a quel momento tenuto dalla famiglia di
Alaimo da Lentini.
In
questo privilegio venne inclusa una cappella “sive ecclesia”
identificata come Santa Maria.
La
chiesa al tempo di Federico II di Svevia era definita ancora come “cappella” ma
è dalla seconda metà del XV secolo che l’edificio fu oggetto di interventi
edilizi radicali..
Durante
la dominazione Angioina il casale sarebbe stato assegnato da Carlo d’Angiò ad
Alaimo da Lentini nel 1266 per poi ritornare nel 1292 nella proprietà di
Bonifacio di Camerana dopo la caduta degli stessi Angioni nel 1286. Lo stesso
Carlo d’Angiò l’1 giugno 1273 con un diploma nominò Placido De Arabico rettore
di Santa Maria.
Re
Alfonso V d’Aragona nel XV secolo diffidò il Vescovo di Siracusa a “nom
inquietare il rettori Antonio De Mellio, essendo tale chiesa di Regio Patronato
e suffraganea della regale Cappella di Palermo”.
In
questo documento lo stesso re riferì che
il suo predecessore, Re Martino, aveva “prescritto la medesima cosa”.
Nel 1303 diventò
Signore di Militello il barone Abbo Barresi (Abbone IV Barresi o Barrese) che
fu confermato nel feudo dal sovrano Federico III d’Aragona nel 1318. Ad Abbo
Barresi viene generalmente attribuita la costruzione del castello anche se, in
virtù dei precedenti diplomi, ci potremo
trovare davanti ad una sua opera di completamento del fortilizio.
Abbone IV
Barresi era figlio di Giovanni Barresi III (Barone di Pietraperzia, Capisti ed
Orlando) e di Maria Barresi (figlia di
Bonifacio Camerana e sorella di Giovanni Camerana che morì nel 1303 senza eredi).
Il
privilegio di Federico III d’Aragona del 28 settembre 1308 confermava l’atto di
dote di Maria Camerana nei confronti del marito Giovanni III Barresi,
riguardante il casale di Militello con tutte le sue dipendenze inclusa la “Divae
Mariae” (ancora non compare il titolo “Della Stella”)..
Le “Rationes
decimarum Italiae” cioè le decime riscosse dagli enti ecclesiastici,
documentano l’esistenza nel 1308 – 1310 “apud Militellum” di due chiese:
-
S. Nicolai de eodem loco
-
. S.Marie de eodem loco
Abbone nel
1318 sposò Ricca Lamertina (o La Matina), damigella di corte della Regina Eleonora
d’Angiò (Moglie di Federico III d’Aragona) e ne seguì l’investitura con il
quale Abbone diventò Signore di Pietraperzia e di Militello.
Lo storico
Abbotto affermò che Abbone intervenne con alcuni lavori sulla chiesa di Santa
Maria e con atto pubblico del 1308 nominò il rettore di S. Maria.
Il figlio
Giovanni IV Barresi, (Signore di Militello dal 1330 circa al 1342) con atto dato a Catania del 30 marzo 1337 da
Pietro IV (1337 – 1342), ebbe il privilegio di circondare il mura il casale e
castello di Militello “circumdare
moenibus casale suum dictum Militelli situ in Valle Nethi”.
Definire il
tracciato delle mura non è facile perché le furono distrutte sia dai terremoti
che dall’azione umana. Le mura dovevano inglobare l’estrema propaggine sud
orientale dell’attuale abitato e forse anche le abitazioni rupestri posti sulla
sommità del pendio settentrionale della cava di San Vito cioè gli attuali
quartieri Purgatorio, San Pietro e Santa Maria La Vetere.
I fabbricati
importanti all’interno delle mura erano: il castello, la vecchia chiesa di San
Nicolò (non più esistente), la Chiesa di santa Sofia sul Colle del Purgatorio;
la Chiesa di San Pietro ( demolita nel 1960); la chiesa degli Angeli Custodi (o
di san Michele Arcangelo) con l’Hospitalia, la Chiesa e il Monastero di San
Giovanni Battista. La Chiesa di Santa Maria La Vetere, in quel tempo forse
ancora una “cappella”, probabilmente
extra-moenia cioè fuori le mura della città, ed affiancata dall’antico dongione
normanno.
Fuori le
mura era anche il Convento di San Francesco d’Assisi dei Frati Minori.
Giovanni IV
Barresi con atto del 24 luglio 1340 nominò il sac. Giovanni Pancaldo rettore di
Santa Maria.
Don Pancaldo
presentò il relativo documento di nomina alla corte vescovile di Siracusa il 7
agosto dello stesso anno.
La chiesa in base a queste nomine risulta ancora
nel XIV secolo di regio patronato, di
competenza del Signore della Terra, e al vescovo viene solo notificato l’atto
di nomina.
A Giovanni
IV seguì Blasco I Barresi (Signore di Militello dal 1342 al 1393), che nel suo
testamento dell’11 agosto 1390 lasciò un legato a favore della chiesa, e Antonio I Barresi che fu Signore di Militello dal 1393 al 1432.
b. Interventi sull’Originaria
“Cappella” - Blasco II Barresi - Antonio Piero Barresi - La Natività di Andrea Della Robbia - La Statua della Madonna della Provvidenza.
Fu con
Blasco II Barresi, Signore di Militello dal 1432 al 1455, che ci furono i primi
interventi radicali sulla Chiesa di Santa Maria.
Sposò
Eleonora Speciale, figlia del Vicerè Nicolò e intervenne sull’antica “cappella” anche con la
costruzione di un campanile sul quale fece collocare il blasone del casato “Barresi/Speciale”
e una lapide con la data del 3 novembre 1448.
Don
Pietro Carrera (Militello in Val di
Noto, 12 luglio 1574; Messina, 18 settembre 1647), cappellano di corte del
Principe Branciforte e di Donna Giovanna d’Austria), citò infatti che Blasco II
Barresi ricostruì l’edificio e aggiunse un altissimo campanile sul quale fece
collocare lo stemma del proprio casato Barresi – Speciale.
Il
cupolino piramidale venne aggiunto nel 1616 dal principe Francesco Branciforte
e darà alla chiesa un aspetto di sontuosità.
La costruzione fu proseguita dal figlio
primogenito Antonio Piero Barresi,
l’assassino di Donna Alonza Santapau, che fu Signore di Militello dal 1455
al 1500.
Antonio
Barresi si preoccupò in particolare di abbellire la Chiesa di Santa
Maria con opere d’arte. Commissionò per “70 fiorini larghi d’oro” al
famoso ceramista di Firenze, Andrea Della Robbia, la Pala d’Altare di
ceramica invetriata raffigurante la Natività di Gesù.
Un
opera d’arte che fu giudicata da numerosi critici d’arte come “la ceramica più
bella del mondo” e con il più alto numero di personaggi. Un opera realizzata da
uno dei più grandi ceramisti di tutti i tempi.
Andrea Della
Robbia – La Natività
Andrea Della
Robbia
(Firenze, 20
ottobre 1435; Firenze, 4 agosto 1525)
Ritratto di Andrea
del Sarto (pittore del XV secolo)
La
ceramica in passato fu attribuita a Luca della Robbia, zio di Andrea; a
Giovanni della Robbia, figlio di Andrea;
alla Scuola Robbiana e anche ad un “origine fiamminga” o proveniente
dalla Fiandre dove sarebbe stata
acquistata dal rientro da una qualche missione militare di Giovan Battista
Barresi e quindi sfalsando l’anno d’acquisto.
Grazie
alla ricerche dell’ing. Salvatore Troja
si sono scoperti importanti documenti
sull’opera.
L’opera
venne acquistata da Antonio Piero Barresi nel giugno del 1487 e costò per
l’esattezza “101 fiorini larghi in horo” di cui 31 per la spedizione
dal porto di Livorno che fu effettuata dalla Compagnia Strozzi.
In
bassorilievo nella parte centrale è riportata la capanna di Betlemme con sopra
una schiera di Angeli recanti un nastro con una scritta “ Nuntio vobis
gaudium magnum”,
un messaggio diretto ai pastori che si destano alla loro apparizione.
Dentro la capanna
è ritratta la Sacra Famiglia adorante il Bambinello e in alto altri Angeli e la
scritta “Gloria in excelsis Deo” e un pastore col suo fardello.
La parte alta è dominata da una
lunetta semicircolare con Dio, tenente un libro dove figurano le lettere “Alfa
e Omega”, adorato da due Angeli.
Nella parte più bassa c’è
raffigurato Gesù con accanto Maria e i dodici Apostoli. Tutta la pala in origine
era toccata d’oro zecchino, di cui adesso si notano solo tracce annerite.
Secondo taluni esperti d’arte è la ceramica più bella del Della Robbia, perché
ha un numero di personaggi superiore a qualsiasi altra realizzata dallo stesso
artista, compresa quella esistente nel Museo Nazionale di Sansepolcro (Arezzo).
L’opera fu trasportata successivamente
nel Santuario di Santa Maria della Stella dall’antica chiesa (S. Maria La
Vetere) crollata per il terremoto del 1693.
Risale infatti al 1700 una
richiesta di autorizzazione alla Signora della Terra, Giulia
Carafa-Branciforte, “per metterla in salvo trasportandola nella chiesa di S.
Antonio Abate che ospitava la parrocchialità, nel timore di un possibile crollo
dell’altra metà del campanile rimasto pericolante e sovrastante l’altare”.
Venne collocata anche una statua in
pietra policromata di Maria SS, oggi chiamata della Provvidenza, che fu
collocata nella cappella di Filippo Barresi e realizzata nel 1503 da Filippo La
Bella.
I Signori di Militello mostrarono
sempre un grande interesse nei confronti della chiesa ed in essa ‘avevano
stabilito di ricevere i Sacramenti e di essere ivi sepolti’.
Dal 1506 l’edificio di culto venne
aperto anche ai fedeli del vicino “vallone” e dei quartieri di S. Vito e di S.
Pietro con la somministrazione dei Sacramenti.
La data che è infatti impressa
sull’architrave dell’ingresso principale, secondo alcuni storici, sarebbe legato a questo evento e non alla
costruzione del portico più antico.
La chiesa ebbe lo statuto di
Parrocchia ricevendolo dalla chiesa di S. Pietro e Paolo che in compenso
ottenne la creazione di una Confraternita di soli sacerdoti e la solennità
delle funzioni religiose da parte del clero di S. Maria nei giorni susseguenti
alle principali festività di Natale, di Pasqua e di Pentecoste.
A questo periodo risalirebbe la
rivalità con la Chiesa di San Nicolò.
C . Vicino alla Chiesa una Sinagoga - I Nomi dei condannati dall'Inquisizione (Rilassato in Statua/ Rilassato in persona) -
Durante la signoria di Antonio
Piero Barresi a Militello esisteva una consistente comunità d’ebrei legati
probabilmente alla fiorente attività delle concerie. Secondo un’antica
tradizione proprio vicino alle concerie,
in Via S. Maria La Vetere al n. 76, c’era una sinagoga ( a circa 200 m dalla
chiesa di Santa Maria La Vetere). Gli ebrei avevano anche una scuola di lettere
e nei pressi di una fonte c’era anche un bagno per la purificazione delle
donne.
Fra’ Fazio riferì che in una lettera
del vicerè, datata 7 giugno 1486, si autorizzava la costruzione in Militello di
una sinagoga nella parte bassa della città, il loro ghetto, nella “pèosterna”
cioè “post extrema pars”.
Ancora oggi è presente nel
territorio una contrada chiamata “I Furchi” che si trova nella parte più
a monte della Stazione Ferroviaria dove vennero impiccati alcuni ebrei.
Il Signore di Militello nel 1492,
con l’Editto di Granada di Ferdinando di Castiglia, vide condannare degli
Ebrei. Anche Militello non sfuggì alle indagini ed alle persecuzioni sulla
comunità ebraica.
Editto
di Granada
Il Tribunale dell’Inquisizione
applicava le sue torture, le condanne al rogo, le carcerazioni per estirpare le
eresie spesso inventate dal clero, apostasie e deviazioni della dottrina
religiosa.
Vittima dell’inquisizione fu un fratello
diacono di Militello del Terzo ordine di S. Francesco, Antonio Caruso la cui sentenza fu letta a
Palermo il 5 luglio 1551 nella Piazza della Loggia.
Si conoscono i nomi di ben 33
persone che subirono la persecuzione e le diverse dure condanne… (Buccheri,
Campisi, Parisi, Barresi, de Messina, Vitali, Pizzimenti, Russo, ecc.).
Alcuni anni prima due cittadini di
Militello finirono sotto la scure dell’Inquisizione.
Pietro la Biulilla
di Militello, in Val di Noto, neofito, morto, fu per sentenza a 10 dicembre
1530 rilassato in statua….
Polisena de Flore,
neofita giudaizante, fu per sentenza a 6 luglio 1529 rilassata in persona…
(I “Rilassati”
erano i condannati “rilasciati”, cioè consegnati, al “braccio secolare” ovvero
alla giustizia civile per l’esecuzione della sentenza pronunciata dagli
inquisitori.
“Rilassato in statua” vuol
dire bruciati in effige perché deceduti da tempo mentre i “morti rilassati” erano
quelli accusati di cui si riesumavano le salme per bruciarle.
“Rilassati in
persona”…. bruciati vivi).
Il Barone Antonio s’interessò anche
di due Militellesi che erano stati catturati in un azione piratesca nelle
spiagge di Iaci (Acireale) e portati
come schiavi a Tunisi. I due sventurati furono riscattati grazie
all’interessamento del barone che tramite un mercante genovese pagò al Raisi
Agan di Biserta “cento scudi oru in horu”.
Della morte di questo barone non si
sa nulla, aveva ucciso la moglie Aldonza Santapau e il suo segretario Bellopede,
e a lui succedette il figlio Giovan Battista Barresi avuto da un successivo
matrimonio con Damiata Moncada (Signore di Militello dal 1500 al 1524).
d . Giovan
Battista Barresi e il Portico
Fu Giovan Battista Barresi che arricchì la chiesa di Santa Maria con la creazione dello
stupendo protiro. Il portale porta la data del 1506 anche se in merito al
significato della data non tutti gli storici sono concordi.
Si adoperò anche nel miglioramento della
matrice di San Nicolò, posta vicino al castello, dotandola nel 1519 di una campana “grande di 35
cantara e della mezzana” che erano state costruite da Giorgio e Matteo
Sanfilippo da Tortorici.
Nel 1521 donò anche alla chiesa di
S. Maria della Stella una campana “
grande di 40 cantara” e costruita sempre dalle stesse maestranze di
Tortorici.
Nella campana venne impressa la
scritta “Ave Maria Gratia Plena” con i nomi dei costruttori di Tortorici e del Signore della Terra Don G. Battista
Barresi.
Il Barresi prese parte alla
congiura dei baroni siciliani contro il vicerè Ugo Moncada il 15 marzo 1516. La
madre del Barresi era una Moncada e, malgrado la parentela, fu incarcerato e
morì nel forte di Castellammare dove era stato rinchiuso.
Fabrizio Branciforte governò la
Signoria del 1571 al 1603 e al 1574 risalirebbe un suo intervento sulla Chiesa
di Santa Maria in merito alla costruzione dell’abside e degli archi maggiori.
Nel 1524 la
chiesa passò sotto il patronato della Diocesi di Siracusa perdendo quella
appartenenza al Regio Patronato che l’aveva contraddistinta per circa quattro
secoli.
Come
parroco fu nominato Don Luigi Favara. Il passaggio dal Regio Patronato alla
Diocesi avvenne nel momento di crisi del casato Barresi. Giovan Battista
Barresi, come abbiamo visto, era accusato di cospirare contro i sovrani e aveva
pagato con la vita la sua ribellione.
I
Signori di Militello continuarono però ad esercitare sulla Chiesa delle
prerogative di patronato e questo malgrado la stessa chiesa fosse di pertinenza dell’amministrazione
della Diocesi di Siracusa.
Nominavano
“due Procuratori scelti fra i gentiluomini e due Esattori di più bassa
condizione” che erano obbligati a mostrare i rendiconti solo ai Signori di
Militello.
Il
vescovo non aveva questa potestà e “in occasione di una visita pastorale
triennale, si limitava a far visita al SS. Scramento e agli altari”.
Mons.
Giovanni Osorio Torres, vescovo di Siracusa dal 1613 al 1619, (diventerà
successivamente vescovo di Catania), si lamentò con il principe Don Francesco
Branciforti di “essere vescovo di tutta la Diocesi, forchè della Chiesa di
Santa Maria di questo Militello”.
Infatti
nella costruzione della chiesa post-terremoto (del 1693), gli appalti ed i
pagamenti per i lavori di ricostruzione venivano eseguiti dagli esattori e dai
procuratori laici e non dal parroco.
Alla
base di questo comportamento c’era la comunità mariana che portava avanti il
Regio Patronato in opposizione della parrocchia di San Nicolò che dipendeva
dalla Diocesi di Siracusa. Una rivalità fra le due parrocchie che caratterizzò
anche la vita futura del centro di Militello.
e. Architettura - Il Portico
Nella
costruzione della Chiesa venne inglobato un antico pozzo “molto profondo,
costruito in epoca precedente, di cui s’ignora l’utilizzo”. Un pozzo di
pianta circolare con un diametro di oltre un metro e con una serie di gradini
lungo le pareti. “Venne inclusa nell’edificio anche un’altra costruzione,
profonda e di forma quadrata con i lati di oltre quattro metri, che era
adoperata dai Baroni per la loro sepoltura.
Una
costruzione che si nota vicino al luogo in cui sorgeva l’altare maggiore e vi
era stato collocato il sarcofago del marchese Don Vincenzo Barresi”.
La costruzione citata dal Carrera, di pianta quadrata,
era il dogione normanno.
Nel
tempio vi erano nove altari.
La
cappella maggiore con la metà della chiesa era tutta d’intaglio scolpito; degli
altri altari esistenti, oltre a quello principale della Madonna della Stella,
c’erano quelli dell’Assunta; della Natività con la Ceramica di Andrea Della
Robbia; di S. Bartolomeo; del Salvatore; di S. Caterina da Siena; di S.
Girolamo; di S. Michele Arcangelo e dello Spirito Santo in Grotta.
Dagli
scavi eseguiti nella piazza antistante alla chiesa nell’anno 2004 dalla
Soprintendenza di Catania non è emerso il cimitero, solitamente costruito
davanti all’ingresso principale delle parrocchie, dato che lo ‘jus
sepeliendi’, venne esercitato nella grotta limitrofa dello Spirito Santo.
Di
gran valore artistico è l’armonioso protiro che protegge l’artistico portale
davanti all’ingresso principale.
E’
formato da un baldacchino con due colonne e da altre due tortili a
bassorilievo, tutte poggianti sul dorso di leoni che sono simili a quelli presenti
nel “Palazzo dei Leoni” o “Palazzo Singarella /Palazzo Majorana della Nicchiara” e risalenti allo
stesso periodo.
Sotto il portico veniva
rappresentata la Passione di Cristo in lingua siciliana per tre giorni durante
la Quaresima.
Le due semicolonne tortili, che
fanno da cornice al portale, terminano in alto con due guerrieri muniti di
scudi.
Lo scudo del guerriero di destra porta
le insegne dei Barresi mentre in quello di sinistra lo stemma non è leggibile perché corroso dal
tempo. Potrebbe essere quello dei Branciforti.
Un portale riccamente scolpito che
riprende i momenti dell’apoteosi della
Vergine.
Nella
lunetta, la Vergine in trono fra angeli; negli stipiti, busti di Profeti e
Sibille; nei basamenti, Storie dei SS. Gioacchino e Anna; sulle guglie,
un’Annunciazione; e nella cuspide, l’Incoronazione della Vergine.
Accanto ai guerrieri c’è l’Angelo
da una parte e l’Annunciata dall’altra, attorniati da sei pannelli (tre per
lato) raffiguranti regnanti con la barba.
Delle due lunette sopra la porta,
quella più alta è a spigolo vivo ed in essa c’è Maria incoronata da Dio e sei
Angeli festanti con tamburello, con violino e con strumento a corda da una
parte e con le trombe dall’altra. La lunetta sottostante, con arco gotico,
presenta al centro una stella e le
figure di altri sei regnanti con la barba (tre per lato), che racchiudono il
pannello centrale raffigurante la Madonna in trono e il Bambino adorati da due
Angeli genuflessi.
Nello spazio accanto al Bambino si
scorge uno scritto con le parole iniziali appena leggibili ‘Ave Maria’.
Sotto i sei regnanti fanno da cornice alla
porta d’ingresso, sei per lato, dodici sibille (di cui solo di qualcuna si scorge
il nome), che hanno per base pannelli a bassorilievo con scene della Vergine e
di S. Anna, oggi corrose dalle intemperie. Tutte le sculture in pietra tenera
bianca originariamente erano colorate, date le vistose tracce di colore che
tuttora si intravedono. L’architrave porta il monogramma di Cristo, che in
origine era indorato, e la data ‘MCCCCCVI’; una volta vi era riportato
anche ‘Magister Petrus Fagoni’.
I leoni stilofori, le colonne
snelle dai capitelli corinzi e le arcate di diversa ampiezza, sul fronte e sui
fianchi, rimandano ad espressioni simili come il portale della Cattedrale di
Messina di Pietro Bonitate e a quello della cappella di Sant’Antonio, dei
principi Ventimiglia, nella chiesa di San Francesco a Castelbuono.
Cattedrale
di Messina – Portale Centrale
Cappella
dei principi Ventimiglia, nella chiesa di San Francesco a Castelbuono. (Pa)
L’autore
della grande espressione artistica ?
Potrebbe
essere opera giovanile di Antonello Gagini uno degli esponenti culturali che operarono
nell’importante centro di Militello nell’ultimo ventennio del XV secolo.
Su questa
bellissima scultura in arenaria molti storici hanno espresso diverse
attribuzioni.
Enzo
Maganuco non ha scuso la collaborazione di Francesco Laurana (1430/1502);
Gioacchino Di Marzo parlò di scultura gaginesca (Antonello Gagini, 1478-1536) e Stefano Bottari la citò come opera del
carrarese Gian Battista Mazzolo (XV secolo- 1550).
“La personalità dell’autore, comunque,
appare già regolata dalla disposizione delle figure, con una concezione
dell’operare artistico che ci ricorda il rigore rinascimentale. La circolarità
della lunetta (esaltata dal profilo delle ali degli angeli e tendenzialmente
ripetuta dalla curva dei loro corpi inginocchiati) racchiude un quadrato, entro
il quale s’incastra come un triangolo l’immagine di Maria. Il bilanciamento dei
volumi e dei chiaroscuri risulta preciso, anche se il panneggio è alquanto
tormentato e la dolcezza del viso della Vergine propone un forte impatto
emotivo. La positura frontale della figura, però, resta di sapore arcaico.
Evidentemente, l’artista ha mediato tra l’acquisita arte catalana e le novità
del razionalismo del centro Italia”.
Questo impianto chiesastico precede un
gravissimo episodio che colpì l'edificio.
e. f. L’Incendio del 17 Giugno 1618 - Le fasi dell'incendio - Un fatto prodigioso...
Nella notte del 17 Giugno 1618
(taluni riportano il 12 Giugno nella dubbia interpretazione del 7 con il 2),
circa 5 ore e mezza di notte (ore 1,30) dopo una solenne processione domenicale
‘con molti coppi e luminari’, la chiesa subì “un furioso incendio, forse a causa di una
poco prudente costumanza di far consumare fino alla completa estinzione le
candele ricevute dai fedeli”.
Il Caruso scrisse : ‘con lacrime
vedevamo che bruciava il tabernacolo del SS. Sacramento e il Crocifisso
bruciando cascava e la Madonna pure vederla bruciare e noi non vi
potevamo dare aiuto’.
La Natività di Della Robbia,
chiamata ‘Cona’ si trovò ‘tutta intartarata’ e si dovette
spendere una discreta somma per pulirla. La chiesa rimase inagibile per
moltissimi anni e la parrocchialità fu ospitata nella chiesa di S. Sebastiano.
La Statua della Madonna della
Stella venne rifatta.
La data del 1618 rilevabile
internamente sotto la sedia può darsi sia stata apposta in epoca successiva, in
quanto per il furioso terremoto del 1693 la statua andò in pezzi di nuovo sotto
le macerie.
Anche i sepolcri dei Signori della
Terra, subirono danni e mutilazioni, tanto che il Principe Don Francesco Branciforte
li fece trasportare provvisoriamente nella chiesa di S. Francesco d’Assisi,
come ‘loco depositi’, in attesa di poterli poi collocare nella chiesa di
S. Benedetto, allora in costruzione, scelta come luogo di sepoltura del suo casato
e dei discendenti.
Si trattava del sarcofago di Blasco
II Barresi, di quello di Carlo Barresi, nonno del principe Francesco
Branciforte, ritratto in ginocchio e di quello di suo figlio, Don Vincenzo
Barresi, primo marchese di Militello.
Morto il principe don Francesco
Branciforte, nessuno più ebbe cura di quei sepolcri, né i discendenti, che
erano di un altro ramo Branciforte (e che non ebbero più dimora a Militello), e
nemmeno gli abati di S. Benedetto.
Solo nel 1780 il parroco Tineo di
San Benedetto li fece trasportare nella nuova chiesa di S. Maria della Stella,
dove oggi si trovano.
In quel triste incendio accadde un
fatto prodigioso. “Mentre infuriavano le fiamme che avvolgevano altari,
quadri ed arredi senza che potessero essere salvati, il sacerdote Raffaele
Medulla si inoltrò nell’interno riuscendo a mettere in salvo la pisside con
l’Eucaristia, ritornando illeso”.
g. La Chiesa dopo l’Incendio - Le varie Confraternite
La figlia di Don Francesco
Branciforte e di Donna Giovanna
d’Austria, Donna Margherita Branciforte, portò avanti lentamente il progetto di
ristrutturazione della chiesa con un nuovo disegno della navata centrale
separata dalle laterali da pilastri in pietra che erano intagliati con decori
che imitavano “le falde di damasco appese negli apparati festivi”.
“Al di sopra delle arcate, è una
teoria di cariatidi, alternate alle finestre a targa, a sostegno delle capriate
del tetto, rifinito al di sotto delle catene da una “soffitta”, cioè da un
controsoffitto a tavole piane decorate, come in quasi tutti gli edifici sacri
di Militello per tutto il Seicento. Nelle navate laterali si aggiungono le
fastose cappelle a portale con colonne e trabeazione riccamente intagliate. Le
cappelle della natività e quella della Madonna sono opera di mastro Francesco
Barone che realizza nella prima il disegno di Giambattista Baldanza junior”.
L’edificio
nel 1630 era completo come dimostra un quadro di Giovan Battista Baldanza junior
del 1630 dipinto per la Chiesa di San Francesco di Paola ed oggi al Museo San
Nicolò.
Il
quadro, che rappresenta Sant’Isidoro, raffigura la chiesa nel suo lato di tramontana, adiacente al muro
della navata settentrionale, con un
portico sostenuto da tre archi, detti “pennate”, che avevano la funzione di
proteggere l’ingresso laterale.
La
presenza di questi portici, oggi non più esistenti, fecero avanzare l’ipotesi
che il terreno adiacente fosse pianeggiante e scomparso a causa di successivi
smottamenti.
Il punto d’osservazione
dell’artista è proprio nel lato di tramontana e si rilevano i tre archi del
portico e il campanile posto accanto all’abside.
Si nota anche la costruzione
quadrata vicino l’abside (il dongione normanno), ancora oggi sono visibili le
fondamenta, che fu utilizzata dai Signori Militello per la loro sepoltura.
L’artista nel quadro raffigurò
sullo sfondo il quartiere del vallone
che era sovrastato dalla fortificazione del castello. Si tratta dell’unica
rappresentazione pittorica dell’antica Militello.
Nel
1648 la Confraternita dei Pecorai, dopo aver ottenuto dalla principessa Donna
Margherita Branciforti, che ne aveva lo ‘jus patronatus’, la necessaria
autorizzazione, fece eseguire pregevoli lavori di scultura a rilievo tutto tondo
in ‘pietra pipiraci’ su disegni di G. Battista Baldanza junior nell’altare
frontale della navata destra dove era stata collocata la pala in ceramica di
Della Robbia.
Sebbene danneggiato dal terremoto
del 1693 l’altare oggi si può ammirare nella sua ricca preziosità del barocco
originale.
Al 1652 risale il Fonte
Battesimale, come risulta da un atto del 12 Maggio del notaio Giacomo Magro.
In questa chiesa operavano la
Congregazione del SS. Viatico, la Confraternita dei Pecorai e la Confraternita
di S. Bartolomeo composta dai soli conciatori di pelle, che si estinse col
venire meno di quest’attività. C’era pure una organizzazione di fedeli detta ‘Le
Scave (o Schiave) della Madonna’, cioè devote di Maria SS. che raccoglievano anche dei soldi (in un
anno arrivava fino a 50 onze); un’altra ancora era quella dei ‘Manganari’
(o Manganelli, arnese per la lavorazione della seta), i cui componenti
erano dodici e contribuivano con 5 onze per la festa della Madonna, così
come in tempi più recenti facevano i calzolai del quartiere.
h. Il Terremoto del 1693
Militello
prima del Terremoto del 9 – 11 gennaio 1693
Vittime:
3.000 su 10.000 abitanti circa
(L’Evento
Sismico fece 60.000 Vittime)
Magnitudo
: 7.3 – Scala Mercalli: XI – Profondità: 18 km
Il dott. teologo Don Giacomo Maria
Magro nella sua cronaca sui danni del terremoto del 1693 scrisse: “Quello
che in questa Basilica ci deplora con maggior senso è l’averci perduto
la statua di Maria SS. ma col Bambinello Gesù, La Bara e la sede mantosa
arricchite d’oro fracassarono”.
Il cronista non accennò al fatto
che la testa si fosse salvata, come opinione diffusa non
avallata da documenti e come riferì
il Sac. Abbotto.
Sulla nuova statua della Patrona i
documenti non rilevano l’anno della realizzazione, l’autore e la ‘committenza’.
Venne distrutto anche l’organo,
costruito come quello di S. Nicolò da Gabriele Messina.
Da quel momento, analogamente a
quanto stava avvenendo per S. Nicolò, incominciò il peregrinare per trasportare
altrove provvisoriamente l’esercizio della parrocchialità. Dapprima fu scelta
la chiesa di S. Pietro, poi quella di S. Antonio di Padova in contrada le
Carrubare e infine quella antichissima di S. Antonio Abate.
Primo perché i monaci Fatebenefratelli
di S. Giovanni di Dio, che gestivano l’annesso Ospedale, non volevano
intrusioni nelle loro mura; secondo perché
si dovette raggiungere un compromesso anche con il clero di S. Nicolò, perché
S. Antonio Abate era nella sua giurisdizione.
Con il trasferimento della
parrocchialità l’antica chiesa di S. Maria della Stella si chiamò con un nuovo
nome: S. Maria La Vetere o Madonna della Provvidenza. In essa vengono celebrate
le liturgie e ancora oggi c’è un’affluenza di devoti nel mese di Maggio. Per
tradizione talune preghiere e canti sono recitati in dialetto siciliano, perchè
ci danno testimonianza di come pregavano i nostri avi, degni di essere
trascritti per non far perdere la memoria storica.
“Patri
nuostru, stati in cielu, santificatu vuostru nomi, vieni vuostru
regnu,
sia fatta vostra santa vuluntà, comu ‘ncielu cussì ‘nterra. Dacci oggi
nuostru
pani cutiddianu, pirdunatini i nostri piccati, pirdunati i nostri nimici,
nun
ci faciti cascari in tentazioni, ma libratici d’ogni mali. Accussì sia.”
“Salvi
Maria, china di razzia, u Signuri sta cu Vui, biniditta tra donni
e
binidittu u fruttu vostru senu Gesù. Santa Maria, matri di Diu, priati pi nui
piccaturi,
ora e na morti. Accussì sia, Gesuzzu e Maria.”
“Gloria
u Patri, u Figghiu e u Spiritu Santu, cuomu è statu accussì e
sarà
l’eternità. Ludatu sempri sia u beddu Rusariu di Maria.”
“O
Maria di pochi sciuri, V’affrimmu lu nostru amuri
nun
su cuomu li meritati pi la Vostra maistati.
Sunu
rosi sculuriti, lu me cori arriciviti
cuomu
‘nterra lu damu a Vui, cussì ‘ncielu lu dati a nui.
E
mustrativi Matri vera, V’offriemmu sta priera,
ca
faciemmu ancora a Vui, ca Gesuzzu è natu pi nui.”
La comunità si attivò subito per la
costruzione di una nuova chiesa; fu presa la decisione di costruirla in un
luogo più centrale in prossimità del Palazzo dei Leoni nella località detta Conternatore,
(nome derivato da qualche artigiano che aveva nella zona la propria bottega di
tornitore), e dove si stava creando il nuovo centro abitato del paese.
Finalmente il 9 Marzo 1722 poté
avvenire la posa della prima pietra della nuova chiesa parrocchiale di S. Maria
della Stella.
Il
Santuario di Santa Maria della Stella
g i. La
Chiesa di Santa Maria La Vetere dopo il terremoto del 1693
Crollate con il terremoto del 1693 le due navate, centrale e settentrionale, fu
ripristinata solo la navata meridionale e furono rimontate alcune cappelle.
In
fondo alla navata interna una statua cinquecentesca raffigurante Santa Maria
con il Bambino.
Gli
archi tra la navata meridionale e quella centrale furono chiusi. Esternamente
si notano le bellissime cariatidi a seno nudo che incorniciano i finestroni.
Oggi s’ammira internamente il decoratissimo altare
della Natività del XVII secolo con i
disegni nelle colonne, nel frontone e nella mensa e in un altro altare è
presente un frammento marmoreo dell’Annunciazione risalente al XV secolo.
un'antica foto della chiesa
L’Annunciazione
La
piccola cappella posta dietro l’altare maggiore è di origine quattrocentesca e
presenta una volta a costoloni.
j. La Fiera
Franca – La Vasca Battesimale – La Statua della Madonna con il
Bambino - Reperti (foto)
Il
pianoro di fronte alla Chiesa era utilizzato per la “Fiera Franca” che si svolgeva a settembre in
occasione delle festività (8 settembre) in onore della Madonna della Stella sin
dal 1446.
Una
fiera, a quei tempi franca di dazi, che richiamava molto pubblico e ricordata
anche negli atti notarili come quello del notaio Matteo Montarello del 29
aprile 1537. C’era anche un rapporto di reciprocità nella franchigia con la
Fiera di Lentini…”dove i prodotti di Militello venivano venduti in quella
città”.
Forse
a questa attività vanno attribuite alcune tracce di fori che si notano sulla
roccia adiacente alla chiesa, per la possibile
inserzione di strutture mobili in legno. Di fronte all’ingresso della chiesa si
apre una vasca perfettamente circolare, poco profonda e con una croce latina
del tipo pomata in fondo alla stessa.
Una
vasca che aveva forse una funzione battesimale legata alla Chiesa
di S. Maria e con la cripta rupestre.
La
statua cinquecentesca in pietra interamente dipinta, raffigurante Santa
Maria con il Bambino giaceva nei magazzini e il suo aspetto era
profondamente diverso da quello odierno. Fu ridipinta a colori vivaci da
qualcuno e nessuno avrebbe mai potuto immagine che sotto quegli orrendi colori
di vernici acriliche fossero nascosti i
bei colori originali.
Un
sapiente lavoro di restauro ha restituito
la vera immagine della Madonna.
Statua
della Madonna che, secondo il Carrera, proveniva proprio dalla Chiesa di Santa
Maria La Vetere ed era collocata in origine nella Cappella della Natività per
essere poi spostata nella cappella di Filippo Barresi che fu edificata nel
1509.
Scultura in pietra
policroma del XVI secolo
Opera di Antonello
Gagini o di Filippo La Bella ?
Capitello Normanno
- Svevo
La chiesa fu colpita da un altro
incendio, l’1 luglio 1845. Fu distrutta la sacrestia che fu subito ricostruita.
k. I segni del portale..tanti interrogativi (Ricerca di V. Traviglia) - Contrada "Puleri"o "Pileri" di Scordia (Presenza dei Templari?)
Lo
storico Vincenzo Traviglia ha fatto delle ricerche sul territorio del calatino
e un importante studio ha riguardato la
Chiesa di Santa Maria La Vetere.
Ha
eseguito delle fotografie sul gruppo
scultoreo che domina il portale della chiesa e che raffigura la Madonna
con il Bambino.
Un
opera del Gagini ? Non tutti i critici d’arte sono concordi su una tale
attribuzione del bellissimo gruppo scultoreo.
Non
si sa neanche se l’opera fu
commissionata con questa tema dal committente, Giovan Battista Barresi, Signore
della Terra di Militello, o se fu frutto dell’espressione e dell’inventiva
dell’artista.
Secondo
lo storico nella chiesa sarebbe presente una simbologia di origine Templare.
Una
presenza costante o frutto di un breve passaggio nel territorio ?
I
Templari furono presenti, con i loro insediamenti, nel territorio di Scordia ed
è quindi probabile che abbiano avuto delle sedi anche nel territorio di
Militello.
Lungo
la via di collegamento tra i comuni di Militello e Scordia, in contrada Pileri
(detta anche “Puleri”), vi era un piccolo insediamento dei Templari.
Un
insediamento con un posto di guardia per
sorvegliare le strade percorse dai Pellegrini che si recavano in Terra Santa,
uno dei tanti rami dell’antica Via Francigena.
In Contrada
“Puleri o Pileri” vicino al corso del torrente Loddiero si trova un’area di
grande interesse
archeologico costituita da una piccola necropoli costituita da una decina di
grotte. Due di queste cavità sono dei grandi ambienti bizantini con vistosi
rimaneggiamenti e
riutilizzi recenti.
Alcune tombe più
vicine alla strada e lungo un affluente laterale del torrente Loddiero,
presentano
all’interno graffite alcune croci mentre quelle più in alto sono
più antiche (tombe
a forno) e risalenti al periodo della civiltà di Castelluccio (Noto).
Di grande
importanza lungo la strada che porta a Militello, a circa 100 m
dalla stessa
strada e a mezza
costa, si trova una tomba paleocristiana
ad inumazione singola che
presenta un graffito raffigurante forse un sole.
Una delle Croci
incise in contrada Puleri
Secondo
lo storico Traviglia nella contrada Puleri c’era una torre dei Templari. Non so
se la Sovrintendenza di Catania abbia mai fatto ricerche nella zona anche
perché mi risulta che la zona fu anche oggetto di scavi clandestini.
Nella
Grotta dello Spirito Santo si trova scolpita in una parete la Croce Ricrociata
dei Templari. Una Croce che, secondo gli storici, apparteneva a chi aveva
combattuto in Terra Santa.
Una
testimonianza che potrebbe convalidare la presenza dei Templari a Militello.
Studiando
il gruppo scultoreo del portico lo storico rilevo alcuni aspetti.
Parlando
dell’Immagine della Madonna mise in risalto che:
1.
La Madonna tiene il Bambino sul lato destro; un
iconografia particolarmente rara perché il bambino generalmente è posto sul
lato sinistro della Madonna;
2.
La Madonna presenta delle strane trecce rosse ed anche
questo aspetto è spesso assente nell’iconografia;
3.
La Madonna tiene invece sulla sua mano sinistra un
vaso. Un aspetto che nell’iconografia rappresenta la Maddalena (il vaso con gli
unguenti per il capo e i piedi del Cristo).
L’Immagine sarebbe quindi una rappresentazione della
Maddalena ed è strano che tenga un Bambino sulle ginocchia. Il bambino porta
una collana di corallo e sulla stessa vi è il simbolo dei Cavalieri del Toson
d’Oro.
Il Bambino poggia la mano sinistra sul pomello della
parte superiore del vaso. Non si sa se questo atteggiamento è dovuto ad un caso
o se è stato appositamente studiato.
Un aspetto da sottolineare
riguarda i Templari che erano devotissimi al culto della Madonna.
Secondo alcuni storici la Madonna terrebbe in mano non
un vaso o contenitore ma un melograno, simbolo che rappresenta la Chiesa di
Cristo.
Non è quindi possibile fare delle affermazioni categoriche sia a causa
dei processi erosivi che hanno danneggiato con il tempo il bassorilievo sia per
la forma.
Lo stesso discorso per la collana, accettabile che sia
di corallo, indossata dal Bambino nei cui pendagli non può riscontrarsi con
sicurezza il simbolo del Toson d’oro dato che assomiglia ad un tridente,
probabile richiamo al Mistero della Trinità.
Nell’iconografia rinascimentale, una collana di
corallo indossata da un nascituro rappresentava un simbolo apotropaico. Un
simbolo di buon augurio mentre non è raro riscontare qualche rappresentazione
della Madonna con capigliatura rossastra.
Nell’iconografia la Maddalena venne spesso
rappresentata con i capelli “lunghi e fluenti, capelli biondi o di un color rosso-rossastro”.
Maria Maddalena – Dipinto di Andrea Solari (1524)
Il portale risalirebbe alla
fine del ‘400 - inizio del ‘500 e presenta un aspetto importante che fino
adesso è stato ignorato
Le figure
centrali dell’apparto scultoreo sono la Madonna con il Bambino, affiancati da
due angeli, con una cornice di personaggi maschili incoronati.
Osservando la composizione si nota che tra tutte le
figure che adornano la composizione una attira maggiormente l’attenzione. La
figura è quella del Bambino. Ha uno sguardo rivolto in avanti e sembra
suggerire allo spettatore: “guardami bene”.
Percorrendo le vie visive dell’arte, che ogni figura
in qualsiasi rappresentazione artistica suggerisce, si nota che la linea curva
del braccio destro porta con lo sguardo
alla manina che tiene il pendaglio della collana mentre il braccio sinistro,
ben disteso, porta dritto all’altra manina che sembra afferrare il pomello di
un contenitore o un frutto.
Osservando le figure della cornice si nota che i loro sguardi sembrano direzionati su entrambi
gli oggetti e non sui personaggi principali.
L’artista sembra aver voluto creare un risalto per i due simboli indicati dal Bambino.
Se la destra tiene una collana di corallo con tridente
(o altro ornamento che non sembra identificabile con un simbolo di qualsiasi
ordine o gruppo cavalleresco) e la sinistra afferra un melograno per il
“ciuffo” si potrebbe rimanere nell’ambito della normalità della produzione simbolica
rinascimentale.
L’autore dell’opera in questo caso ha voluto mettere in risalto gli aspetti
umani e divini del Bambino forse alludendo ad una probabile nascita in casa
Barresi,(a causa della presenza della collana di corallo rosso).
C’è da dire che se solo uno dei due elementi non
corrisponde a quelli citati si aprirebbero nuove interpretazioni.
A sinistra del Bambino, in basso, è presente un' iscrizione
2. Dongione Normanno - La Tomba con l'iscrizione del VII - VI secolo a.C. - La Torre a presidio della trazzera Loddiero - Il Ponte in legno sul percorso naturalistico ... fu bruciato - La leggenda del Sileno Loddiero e della Ninfa Scordia
Sul
fianco nord orientale della chiesa si trova una massiccia costruzione a pianta
quadra.
Una
torre d’avvistamento, con funzioni anche residenziali, che studi recenti hanno
identificato con un donjon normanno.
Il
dongione sarebbe una torre, circondata da un fossato o da mura, che al suo
interno presenta gli ambienti tipici del castello: l’edificio residenziale del
signore, il torrione con il tesoro e le scorte, magazzini, armeria e spesso
anche la chiesa.
Le
soluzioni tecniche utilizzate per edificare un dongione non
sono comuni a tutto il territorio nazionale e variano notevolmente (fig.
1)
in funzione del ruolo assunto dal manufatto, ma, se considerate nel complesso,
presentano tra loro importanti affinità, come l'ubicazione in relazione alle
difese di supporto, i materiali impiegati e la distribuzione delle destinazioni
d'uso al proprio interno.
All'interno
l'edificio è diviso in tre o quattro piani coperti con volte o solai lignei e
comunicanti per mezzo di piccole scale, anch'esse in legno o pietra, appoggiate
ai muri o ricavate nel loro spessore.
Il
piano terra solitamente presenta un unico accesso, rialzato di alcuni metri
rispetto al piano di campagna e raggiungibile mediante una scalinata, ed è ripartito
in pochi, grandi ambienti, mentre gli altri livelli, variamente organizzati,
costituiscono i cosiddetti "piani nobili", con funzione di
rappresentanza e dimora permanente del signore e della sua famiglia. I piani
alti sono illuminati quasi sempre mediante monofore dotate di serramenti
lignei, mentre i piani bassi, meno ricchi di aperture per ragioni difensive, traggono
aria e luce diretta soltanto tramite feritoie distribuite in maniera
piuttosto omogenea su tutti i prospetti. Frequente è anche la presenza,
all'interno, di una cappella absidata ricavata negli spessori murari ed
invisibile dall'esterno. Esempi simili in Sicilia li troviamo ad Adrano,
Paternò e Motta S. Anastasia mentre all’estero importante è il mastio di
Canterbury.
Il
dongione di Militello non era accessibile e l’accesso al primo piano era
possibile grazie all’uso di una scala retrattile o per mezzo di un ponte
lavatoio.
Gli
accessi interni erano invece realizzati con scale in legno o ancora con scale a
chiocciola che erano ricavate nello spessore dei muri.
La
collocazione della torre a fianco dell’edificio religioso dimostrerebbe
l’origine dell’insediamento religioso e del piccolo casale limitrofo che erano
particolarmente importanti nel territorio a tal punto da creare un piccolo
castrum.
A
piano terra la struttura racchiude una camera scavata nella roccia e
probabilmente da collegare a una tomba a camera di epoca più antica rispetto al
donjon normanno.
Questa
struttura a quanto sembra fu utilizzata, quando nel 1448 la chiesa fu oggetto
di ristrutturazione, a cappella per la collocazione dei sarcofagi della
famiglia Barresi.
Quando
fu costruito il Dongione ?
L’unico
castello attestato nella zona dal geografo arabo Al Idrisi nel “Libro di
Ruggero”, finito nel 1154, è quello
arabo di Contrada Catalfaro che fu distrutto dai Normanni. La costruzione
dovrebbe essere inquadrata verso la metà
del XII secolo per presidiare una zona
dove l’elemento arabo era ancora presente.
Il
castello di Militello sarebbe sorto verso il XIV secolo grazie ad Abbone
Barresi.
La
torre Normanna, come già accennato, conserva delle testimonianze ancora più antiche.
All’intero del grande vano posto al piano terra, probabilmente usato come
prigione o magazzino, è presente una tomba a camera.
Una
tomba del tipo a “grotticella artificiale” e molto diffusa nell’età del Ferro e
che presenta degli aspetti monumentali.
Fu
interamente ricavata nella parete calcarea ed è sormontata da un ampio
padiglione rupestre ad arco a tutto sesto.. su quest’arco s’imposta
direttamente la volta a botte in conci di pietra del vano al piano terreno
della torre.
Presenta
un elegante facciata lineare che ricorda il frontone di un tempio greco, con
timpano e falso spiovente, conservato solo nel lato sinistro.
L’ingresso
rettangolare, ben squadrato e profondo, presenta una risega per la
collocazione del portello di chiusura ed è sormontato da una doppia cornice
aggettante.
Tomba – Padiglione
ad arco sotto il soffitto del vano inferiore della torre Normanna
Tomba – veduta
laterale
Iscrizione
VII – VI sec. A.C.
Sulla
parete sinistra del prospetto, in prossimità dell’ingresso, si trova
un’iscrizione a caratteri greci che sembrano derivare da un alfabeto arcaico.
Non
so se il monumento sia stato oggetto di
studi.
L’iscrizione
fu segnalata per la prima volta nel 2015 e come tutte le iscrizioni è un
importante documento per le conoscenze storiche del territorio.
Malgrado
gli effetti dell’umidità, abrasioni e fratture, è ancora riconoscibile e
secondo gli studiosi deriverebbe da un alfabeto di probabile ambito
euboico-calcidese, con datazione intorno al VII – VI secolo a.C.
L’iscrizione
è costituita da tredici lettere, disposte su una sola riga in “scriptio
continua” e sufficientemente leggibili.
(“Scriptio
continua” perché la scrittura era una sequenza ininterrotta di lettere).
Le
prime due o tre lettere iniziali sembrano, sia per la diversa profondità delle
incisioni che per i differenti segni dell’età,
opera recenti e legati
all’intervento “per gioco” di qualche ignorante che ha voluta lasciare il suo
segno come “cultore dell’arte mafiosa” cioè di colui che non ha rispetto
dell’ambiente.
L’orientamento
delle lettere che procede da sinistra verso destra suggerisce di leggere il
testo da sinistra.
Il
testo dell’iscrizione per l’evidente presenza della desinenza maschile “-os”, e
per l’aumento sillabico tipico dei tempi storici “e-“ sembra “parlare” greco,
indicando così una suddivisione in due membri. Se si legge in greco antico,
indicherebbe il nome di una persona al maschile e un verbo al passato, che lo
storico ha interpretato, escludendo le prime tre lettere impresse da un
“ignorante” come segue:
[…..] yqos egrapse
[….] yqos incise (la tomba)
Sarebbe
quindi la firma dello scultore del sepolcro, oppure del committente che coinciderebbe,
in questo caso, con lo stesso defunto che fece scavare per sé la tomba.
Considerando
invece non autentiche le prime due lettere, la terza lettera potrebbe essere in
parte autentica perché sarebbe una “Y”,
una “ I” (iota), o una “Λ” (lambda).
Nei
primi due casi “Yyqos” o “Iyqos” sarebbe di derivazione ignota, forse sicula,
mentre nel terzo caso,,”se ammettiamo qui l’uso arcaico della consonante
“qoppa” al posto della “kappa” (perché davanti a vocale cupa), possiamo
riconoscere nell’iscrizione il nome maschile Lykos (lupo), un nome diffuso fra
i Greci e presente anche fra i personaggi della mitologia classica”.
(La
lettera “qoppa” (Ϟ) era una lettera arcaica dell’alfabeto greco, in cui concorreva
con “kappa” (k) nella trascrizione del fonema
“k” davanti alle vocali posteriori. In seguito la kappa si generalizzò e il
segno della “qoppa” fu usato solo per indicare il numero 90).
Iscrizione
VII – VI sec. A.C.
L’iscrizione greca, come riferisce lo storico
Malgioglio, ha una sua grandissima importanza nel territorio perché chiarisce
molti aspetti sulla storia abitativa dell’area militellese in età antica.
Il reperto documenta la penetrazione dell’elemento
ellenico nell’area geografica e mette in risalto anche un aspetto legato all’instaurarsi
di un graduale processo di convivenza e d’integrazione con l’elemento siculo
preesistente.
Un avvenimento degno di nota in un epoca in cui i rapporto
tra i coloni greci e i Siculi non sembrano tesi.
I Greci collocavano spesso i loro sepolcri ed “heroa”
(Noto Antica) lungo le vie di comunicazione e fuori le mura della città. I
Sioculi avevano l’abitudine di scrivere il nome del defunto sulla porta della
tomba o all’esterno affinchè i visitatori della necropoli potessero leggerlo.
(Molte necropoli della Sicilia Orientale presentano iscrizioni
siculo-greche: Coste di S. Febronia (Palagonia), Cozzo Luppinaro (Lentini) e
Licodia Eubea).
Il sito di Militello era una “statio” importante
perché permetteva il passaggio per raggiungere la fertile piana di Lentini e il
successivo sbocco a mare.
Un collegamento dalle alture che erano presidiate dai
Siculi come Mineo, Monte Catalfaro, Terravecchia di Grammichele, Caratabia,
ecc.
La posizione topografica di Militello ha quindi
favorito l’avvio di un processo d’incontro culturale e sociale tra i popoli e
questo spiega perché nel suo territorio le testimonianze della civiltà greca si
fanno sempre più frequenti.
La Torre Normanna è posta dirimpetto alla vecchia
mulattiera che riprende probabilmente la via più antica che attraversava la
valle del fiume Loddiero e il successivo canyon del Calacarone per raggiungere
Scordia e quindi la piana di Lentini.
È la vecchia trazzera “Loddiero” (oggi SP99) che è
stata valorizzata, con vari interventi, come percorso naturalistico e
storico (è stato creato anche un ponte
in legno che è stato oggetto di atti vandalici da parte di piccoli mafiosetti).
Una posizione strategica della torre che permetteva il controllo della via
d’accesso da Scordia al paese.
Nel mese di maggio 2012 il ponte in legno fu oggetto di un grave
atto vandalico da parte di alcuni “mafiosetti”
Il ponte si trovava sulla ex trazzera “Loddiero” che, partendo da
Militello.
permetteva di raggiungere Scordia su un percorso di 3 km.
Un percorso tra aspetti naturalistici, paesaggisti e storici di gran
valore.
Il ponte fu bruciato nel 2012 e i suoi resti rimasero come manifestazione
dell’ignoranza umana.
L’alluvione del 18 ottobre 2018 le acque del torrente Loddiero trascinaro
Via i resti del degrado che la mano umana.. mafiosa… aveva creato.
Il ponte di legno non esiste più ma nel silenzio dell’immensa valle
riecheggia la voce del Sileno Loddiero e della Ninfa Scordi secondo
un’antica leggenda…
Il mito narra che
il Sileno Loddiero trascorse una vita solitaria, priva di emozioni forti come
l’amore. Un giorno mentre stava disteso all’ombra vide la Ninfa Scordia che
saltava sui prati spensierata. Lei era di una bellezza incantevole. Il Sileno
Loddiero per la prima volta in vita sua si innamorò. Seguì la Ninfa Scordia ma
questa impaurita scappò via. L’anziano Sileno con il fiato ormai corto si
fermò, consapevole che mai avrebbe raggiunto quella bellezza e chiese aiuto
alle divinità. Giove comprese il bisogno sincero del Sileno e cosi lo trasformò
in un fiume (il Loddiero). La Ninfa stanca di correre, si voltò non vide più il
Sileno ma un torrente dalle acque limpide e piene di pesci. A quel punto la
splendida Ninfa si spoglió delle sue vesti e si tuffó nel torrente. Cosi
facendo la Ninfa Scordia si unì all’amore del Sileno ovvero, del fiume
Loddiero.
3 3. Le
Ricerche Archeologiche - Gli scavi del 1986 confermano la datazione normanna della chiesa - I rinvenimenti: Capitelli, Parte di un affresco, trabeazione - La trabeazione è simile a quella presente nei castelli Normanni in Gran Bretagna e in Sicilia nella Basilica di Santa Lucia di Mendola
Una
campagna di scavi fu condotta fra il 1985 ed il 1986 dalla Sovrintendenza ai
beni Archeologici di Siracusa sotto la direzione del dott. Umberto Spigo. Fu
interessata alla scavo l’area sita ad Est del prospetto e chiusa a Sud
dall’unica navata superstite della chiesa distrutta dal terremoto del 1693 e le
cui arcate furono chiuse nel Settecento per l’uso liturgico.
Durante
gli scavi fu recuperato un importante frammento architettonico .
Si trattava di un
frammento lapideo, un concio di archivolto, cioè un elemento decorativo e
strutturale di un portale o di una finestra. Il reperto presenta un
interessante ed insolito rilievo geometrico a reticolo stellato
Il frammento è
conservato presso il Tesoro parrocchiale
di Santa Maria La
Stella.
Il
reticolo è costituito da due fasce parallele, in ciascuna delle quali si
distinguono sette riquadri con una stella quadriforme inscritta. Il motivo
geometrico, molto elaborato e complesso, produce un particolare effetto ottico
che permette di intravedere, lungo il rilievo, una successione ordinata di
rombi con stella a otto punte inscritta.
In
Sicilia si conoscono due rilievi architettonici simili: uno a Troina e l’altro
a S. Lucia di Mendola, presso Palazzolo Acreide.
Basilica Santa
Lucia di Mendola
La cornice
architettonica della vecchia basilica del Monastero di
Santa Lucia di
Mendola, costruita dal Conte Ruggero.
Una cornice con
funzione di coronamento e decorata con archi incassati.
Il rilievo è
contraddistinto da motivi geometrici uniformi, consistenti in un
apparato di stelle
a cinque e sei punte, saldate all’estremità… la
decorazione
stellata si ripete nello sfondo dell’arco.
(Santa Lucia di
Mendola nel:
La Via Francigena
della Val di Noto del 26/03/2019
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2019/03/la-via-francigena-della-val-di-noto.htmlElementi artistici importanti perché secondo… sono espressioni della scultura architettonica anglo-normanna dell’XI secolo (G. Zarnecki e A.C. Ducarel).
Lo storico don Matteo Malgioglio riporta
come il motivo a reticolo stellato fu molto seguito dai normanni e una delle
prime apparizioni nell’architettura fu intorno al 1070 nell’Abbazia della SS.
Trinità a Caen, capitale della
Normandia.
Con l’estensione del dominio Normanno
nell’Italia meridionale e in Inghilterra, il motivo architettonico geometrico
si diffuse anche nei paesi conquisati e in particolare in Inghilterra. Nel 1072
si ritrova nel portale del castello di Chepstow, nella contea di Hereford.
Castello di
Chepstow
Castello di Chepstow
Una delle porte
più antiche d’Europa
Castello di Chepstow
In questo castello il timpano e
l’archivolto evidenziano un ornamento di stelle molto vicino a quelli che si
ritrovano negli archi del transetto della SS. Trinità di Caen.
Disegni simili si ritrovano anche nel
portale del priorato di Goult in Normandia..
e nell’area presbiteriale della cappella
circolare del castello di Ludlow, nella
Contea di Shrop in Inghilterra (1090 circa) dove il disegno geometrico
raggiunge la massima perfezione.
castello di Ludlow
Castello di Ludlow
Il
concio di Militello è la chiara testimonianza di una comune corrente artistica
direttamente mediata dai conquistatori Normanni.
Il
rinvenimento del concio normanno confermerebbe la costruzione della Chiesa di
Santa Maria La Vetere nell’ultimo quarto dell’XI secolo, verso il 1091 che
segna la definitiva conquista della Sicilia da parte dei Normanni con la resa
di Noto, ultima roccaforte araba.
A quegli anni corrisponde anche la fondazione
della Diocesi di Catania nel 1092 e di Siracusa nel 1093 e quindi anche la
costruzione della chiesa di santa Maria La Vetere nell’ottica della politica di
evangelizzazione di Ruggero della
Sicilia musulmana.
Costruzione
della chiesa che coincide con l’arrivo dei Normanni in un territorio che
presentava delle forti radici islamiche come si nota dalla toponomastica di
alcune contrade.
Nel
diploma di Ruggero si cita infatti la presenza di “inimici Dei uomini”.
Una
chiara testimonianza della presenza saracena nel territorio di Militello i cui
confini erano piuttosto stretti tra le rocche o presidi arabi di Catalfaro
(Rocca dei Topi) verso Ovest e del Casale di Bulgherano verso Est.
Nello
scavo fu trovato anche un capitello “con elementi vegetali” e alcune tracce
pittoriche presenti sul muro absidale relativo alla più antica fase costruttiva
dell’edificio.
Il
capitello presenta un motivo a foglie avvolgenti al cui interno si trovano
piccoli animali. Secondo gli storici si tratterebbe di un capitello normanno
ispirato ai soggetti prodotti alle scuole normanne di miniatura e potrebbe
appartenere all’impianto originario dell’edificio.
L’affresco
presente sul muro absidale, anche se danneggiato, presentava degli elementi
sufficienti per la sua lettura.
È
la porzione inferiore di una parete affrescata che era divisa in pannelli
pittorici da cornici di colore rosso. Di questi pannelli ne sono rimasti due.
In
quello a sinistra, sopra un cornice di colore rosso e una fascetta nera
divisoria, si nota l’orlo di una veste panneggiata di colore rosso; in quello
di destra, sopra una cornice rossa, si apre uno sfondo di colore ocra, su cui
si staglia una calzatura nera.
Questi
elementi anche se scarsi e precari, fanno avanzare l’ipotesi che tutto il muro
absidale fosse affrescato. Presentava un progetto pittorico uguale presente
nella Grotta del Crocifisso a Lentini, dove si vede una successione di
pannelli, bordati di fasce rosse, con soggetti di tipo iconistico bizantino.
Lentini - Grotta del Crocifisso
L’affresco
era quindi costituito da almeno tre pannelli, i due di cui rimangono alcune tracce erano quello
centrale e il laterale destro,. Il pannello centrale probabilmente raffigurava
l’immagine della Madonna con il Bambino. Un ipotesi legata al colore rosso del
manto generalmente riservato dai canoni della pittura bizantina alla figura
della Vergine.
Nel
pannello laterale le tracce del piede
rimanderebbero alla rappresentazione di un santo o di un angelo.
Altre
indagini archeologiche furono condotte
nel 2006 sia all’interno della chiesa che al suo esterno da parte della
Soprintendenza di Catania.
Lo
scavo sotto il pavimento dell’unica navata superstite permise di identificare
le antiche fasi dell’edificio e dell’insediamento rupestre.
Furono portate alla luce numerose camere
ipogeiche che furono utilizzate come ossari di comunità, scavate nella roccia
calcarea e riadattando precedenti scavi medievali di tipo abitativo e cultuale.
Sotto
l’altare e la cappella della Natività e lungo
il lato sud della navata, sotto le cappelle laterali, furono rinvenuti
due muri di fondazione che furono realizzati dopo il 1618 in seguito ai lavori
eseguiti per volere di Margherita Branciforte.
Una
realizzazione con sostruzioni murarie allettate con malta e impiegando
materiali di risulta.
Tra
i materiali di risulta un frammento di affresco policromo su roccia che
raffigura la Madonna della Stella con Bambino su trono, con il volto della
Madonna e i capelli delle figure ancora in sinopia cioè nel loro disegno
preparatorio per la successiva colorazione.
Don
Pietro Carrera nel descrivere la chiesa prima dell’incendio del 1618 citò
quest’affresco descrivendo l’altare dedicato all’”Assunzione della Madonna” con
il muro decorato “dall’istoria di lei dipinta nel muro”.
Un
apparato decorativo che forse al momento dell’incendio non era quindi ancora
ultimato. Nello spazio fra la seconda e la terza cappella fu trovata la fondazione
dell’edificio costruito da Blasco II Barresi nel 1448 circa. Furono anche
rinvenute tutte la camere ipogeiche scavate nella roccia ed esposte con apertura
ad ovest.
Tombe
che furono chiuse successivamente ricolmandole con il materiale proveniente dal
crollo causato dal terremoto del 1693.
Il
materiale fu quindi riversato direttamente sugli ossari sui quali venne
collocato il vespaio di pietrame per la messa in opera della pavimentazione
settecentesca.
Vennero
alla luce anche tombe datate XVII – XVIII secolo.
Ossari
che erano periodicamente svuotati e le cui ossa venivano gettate nella vicina Grotta
dello Spirito Santo che era una vera e propria fossa comune all’aperto.
Solo
due tombe erano accessibili da una botola posta sul pavimento e presentavano
una copertura di volte a botte in pietrame e gesso incannucciato. Tombe che
furono riadattate a cripte, presenti sia nella navata che nella sacrestia, e
ripetutamente aperte anche durante il 1800.
Davanti
all’altare fu riportata alla luce una tomba costituita da una grande camera
ipogeica (2,97 x 2,11)m che fu ricavata tagliando alcune fosse che erano state
scavate in precedenza nella roccia. Presentava una volta a botte in pietra e fu
utilizzata come ossario.
Il
pavimento nella costruzione dell’edificio, risalente al cinquecento e al
seicento (Blasco II Barresi, Antonio ..ecc.), poggiava direttamente sulla volta
della tomba e sul piano roccioso che era stato livellato, mentre delle lastre
più ampie chiudevano gli imbocchi.
Lo
scavo di queste sepolture ha evidenziato il loro uso post rinascimentale mentre
non è stata trovata nessuna traccia di reperti bizantini.
Nel
costruire la tomba furono distrutte
delle scalette, i cui gradini erano ricavati nel piano roccioso. Un ambiente
legato ad un edificio cultuale precedente che si prolungava sotto la navata
centrale esterna. In epoca normanna questo edificio cultuale preesistente
fu in parte distrutto. Era costituito da
piani di roccia, a livelli differenti raggiungibili da scalette, e presentava
anche dei sistemi di condutture e pozzi.
L’area
esterna era occupata dalle navate centrale e settentrionale di cui restano le
tracce dell’impianto.
L’area
dell’altare centrale ha messo in luce una preesistente struttura rupestre
decorata da pitture ed affreschi e poi in parte inglobata dalle strutture
successive ed obliterata dalla costruzione di un’ampia cripta-colatoio.
Dopo
l’incendio del 1618 la struttura rupestre fu livellata e lo spazio libero venne
utilizzato per la costruzione di tombe che in parte sfruttavano le pareti di
roccia e in parte avevano spallette in muratura.
L’altare
maggiore, a destra dell’area, presenta ancora tracce della mensa.
Nell’area
fu rinvenuta una fossa con un inumato. Le analisi al C14, condotte anche su un
altro inumato, hanno permesso di datarli
ad un periodo compreso fra il 1150 – 1290 con un intervallo di certezza del
94,4%. La fossa venne chiusa con uno strato di malta e in parte da una soglia
di pietra e malta.
Lo strato di malta
è indicato con la sigla: USR128
La soglia in
pietre e malta è indicata con la sigla: USM101
La soglia sulla
quale fu eretto un pilastro è indicata con
la sigla: USM102
Il
bellissimo portale del 1506 era in asse con la navata centrale, che all’origine
era più stretta rispetto a quella del 1618 (ricostruita dopo l’incendio), e con
l’altare rupestre medievale.
Un
grande muro chiudeva la navata settentrionale ed aveva adiacente il
portico laterale.
In
questo impianto venne inglobata la vecchia torre normanna “dojon” che fu
utilizzata come mausoleo dalla famiglia Barresi.
Nella
ricostruzione del 1618 vennero allargate sia la navata meridionale che la
centrale e fu fortemente ridotta quella settentrionale che forse si limitò solo
al portico laterale.
Nella
navata settentrionale furono rinvenuti due pozzi profondi (3,18 m e 13,85 m). n
Nel
terzo pozzo scaricava una canaletta costituita da tubo in terracotta.
I
pozzi presentano un imbocco cilindrico e due file di cavità che ne permettevano
il controllo. L’imbocco dei pozzi fu intaccato dal taglio delle tombe risalenti al 1200 circa.
4
La grotta dello Spirito Santo e i Templari - L’insediamento rupestre e le sue analogie con
quello di Rupe Canina – Le “Cappellette” , Le Croci , la Croce Ricrociata e le
Tre Sfere, simbolo di Goffredo di Buglione e di San Nicola – Le tre Pietre del
San Sepolcro e il Sacro Fuoco – Il “Signum” manuale della Croce nei documenti
- Lo “scranno del Magister” analogie con
lo “scranno” delle grotte di Camerano.
La
grotta si apre sul fianco meridionale della piccola altura adiacente alla
chiesa. Una grotta scavata nella roccia calcarea e con una sua funzione cultuale. Venne
riutilizzata per il periodico svuotamento degli ossari della Chiesa. In antico
era un oratorio rupestre con un altare, nicchie e sedute di forma ogivale alle
pareti.
Era
decorata ad affresco, nel 1700 le raffigurazioni erano ancora presenti, e
presenta lungo le pareti dei simboli che le hanno dato l’appellativo di
“misteriosa”. .
Don
Pietro Carrerra, cappellano di corte, citò la grotta ..” presso la Chiesa di
S. Maria della Stella si trova una cappella rupestre, dedicata allo Spirito
Santo, nella quale vi sono scavate molte cappellette intagliate nella viva
roccia, ritenute un costume tipico dei greci”.
Una
conferma che l’edificio rupestre fosse esistente ancora prima dell’edificazione
da parte dei Normanni della Chiesa di santa Maria.
Lo
stesso Carrera in precedenza parlando della grotta rupestre aveva rilevato che
le “nicchie scavate nella roccia fossero una caratteristica dei saraceni, i
quali collocati entro le nicchie i loro idoli, avevano fatto di questo luogo di
culto la loro moschea”.
“Non
è di lasciare addietro, che in essa Chiesa (di Santa Maria della Stella) doppo
la cappella di S. Michiele vi è una grotta dedicata allo Spirito santo, nella
quale si trova un piccolo altare ed intorno alle mura molte cappellette di
altezza due palmi e mezzo (circa 70 cm), con proporzionata larghezza, di
profondità appena due dita; lande è opinione e raggionevolmente che questa
grotta sia stata Moschea di Saracini, i quali a loro Idoli cotali Cappellette
avevano intagliato”.
Il
Carrera in seguito abbandonò questa interpretazione che legava la grotta
rupestre all’uso come moschea.
L’abate
Vito Maria Amico nella metà del ‘700 visitò la grotta e vide degli affreschi di
cui oggi purtroppo non c’è alcuna traccia. Oltre alle croci presenti
nell’interno dell’edificio rupestre,
l’Amico citò anche altre Croci e “candelieri” che decoravano il
frontespizio della grotta che crollò successivamente.
Secondo
le storiche Lucia Arcifa e Laura Maniscalco, l’insediamento rupestre sarebbe
nato nell’età araba, forse su preesistenze bizantine, e si sviluppò ulteriormente
in età normanna.
Un
insediamento in parte trogloditico dislocato su differenti terrazzamenti con
soluzioni comuni per l’approvvigionamento idrico con canalette ricavate sul
piano e collegate a pozzi verticali. Per la difesa gli ambienti erano raggiungibili solo tramite
corde o scale mobili. In questi
insediamenti nacquero le chiese rupestri riconducibili al processo di cristianizzazione
dei sovrano normanni.
Le
analisi al C14 degli inumati che furono rinvenuti nella necropoli rupestre permisero di datare
l’edificio rupestre ad un arco di tempo compreso fra la metà del XII secolo e
il XIII secolo.
Un
casale che presentava nella sua fase insediativa sul “Colle del Purgatorio” un
sistema di scale intagliate nella roccia e una “scalinata d’accesso” dal
pianoro di Santa Maria alla terrazza sovrastante. Un sistema di accorgimenti
urbanistici che si evidenziano anche nella raccolta e nella distribuzione
dell’acqua.
Il
complesso abitativo della “Vetere” aveva anche una sua torre-fortilizio (il dongione
normanno) ed una chiesa intitolata alla Vergine. Un culto che tra i cavalieri
normanni ebbe una grande diffusione ed anche una motivazione storica nella
politica di Ruggero il Gran Conte per il controllo del territorio e della
popolazione.
La
presenza di una torre e di una chiesa costituiscono uno schema ben preciso
nella cultura normanna di conquista la cui base fu caratterizzata dallo
stanziamento di una colonia di “milites castri” che insieme al culto
portarono modelli di organizzazione sociale e comportamentali.
Era
quindi presente un vecchio casale arabo
e con la conquista normanna lo stesso casale fu cristianizzato e rinvigorito
dall’arrivo di immigrati dalla penisola italica. In archeologia spesso i
paragoni e i raffronti sono importanti per arrivare a delle possibili
conclusioni.
Un
insediamento simile è quello di Rupe Canina (Sant’Angelo di Alife – Caserta)
dove si trova una torre normanna, con una cisterna al piano inferiore, e
collegata al circuito murario; la chiesa monoabsidata parzialmente rupestre ed
intitolata alla Madonna.
Strutture
che si trovano inserite all’interno di un insediamento cioè di un villaggio
rupestre caratterizzato da canalizzazioni, pozzi e cisterne collettive.
Nel
Complesso di Rupe Canina è presente una seconda chiesa rupestre nelle vicinanze
della chiesa dedicata a Santa Maria ed è quella di S.- Michele Arcangelo.
Grotta di San Michele Arcangelo -
Rupecanina –
Cappella di Santa Lucia o della Vergine
A
Militello davanti alla chiesa di S.M. La Vetere c’è un pozzo, fonte battesimale
purificatorio, che presenta alla sua base una croce “bordonata” o “pomata”. Una
fonte posta a pochi metri dall’ingresso dell’edificio e da mettere in relazione
con l’intero complesso.
Militello - Santa Maria La Vetere - Vasca Battesimale
Anche
a Rupe Canina in un angolo della grotta di S. M. Arcangelo è visibile l’orlo di
una vasca circolare che è considerata una fonte battesimale.
Uno
“schema” similare è stato ulteriormente indicato a Troina, dove sono
documentati i resti di una torre quadrangolare, una chiesa, una cisterna e ambienti
ipogeici, e ad Enna
al
Castello di Lombardia in cui appare similare la disposizione interna al cortile
San Martino di una torre quadrangolare, una piccola chiesa e un pozzo.
La
grotta per le operazioni di scavo e di ricerca fu sottoposta ad una forte
ripulitura dall’enorme accumulo d’ossa che consentirono di riportare a vista
l’antico e prezioso altare ricavato dalla roccia e decorato da tre arcatelle
cieche e strette.
Nella
grotta si trovano delle alte nicchie circolari scavate su tre lati lungo le
pareti e già visibili in precedenza e considerate in origine “cappellette”.
Militello Val di Catania - La Grotta dello Spirito Santo
Ai
piedi e dentro le nicchie sulla parete occidentale sono presenti i tagli di alcune
fosse e ben visibili delle croci di tipo greco con i bracci uguali.
Sono
presenti anche una croce che è, rispetto alle altre, ricrociata su tutti e
quattro i bracci ed infine tre semisfere, tutte incise profondamente nella
morbida roccia. Le tre semisfere sembrano distinguere nettamente una nicchia a
profilo ogivale che appare quasi una “seduta”, rispetto alle due, più piccole e
anch’esse ogivali, ai fianchi.
Le
nicchie scavate a parete sugli altri due lati sono tutte strette e lunghe, a
profilo circolare, simili anch’esse più a “sedute”.
Le
croci greche e ricrociate sono considerate simbolo dei Templari
(Bagnoli-Costantini-Giontella 2013, 403) e la presenza dei Templari nella zona fra Scordia,
Lentini fino a Caltagirone è attestata sin dal 1131 (Cucuzza 2002-03, 19 e
309).
La
Croce ricrociata era di pertinenza ai templari che avevano combattuto nelle
crociate. Era una dei numerosi tipi di croci adottate dall’araldica medievale e
riassumeva in sé il “Signaculum Domini”.
Si
tratta di una croce nella quale le quattro estremità dei bracci sono essi
stessi delle piccole croci o una croce fatta con la riunione di quattro piccole
croci latine riunite nel piede.
Una
croce che appare in alcuni blasoni nobiliari e fu anche impiegata come
“Signaculum” mistico su alcune monete franche e su quelle del re anglo-danese
Sigefredo.
Si
vede scolpita su uno dei frontoni della Chiesa di Sant’Antonio a Padova ed anche
in alcune chiese di Militello in Val di Catania.
Padova – Basilica
di Sant’Antonio
La Croce
Ricrociata sul frontone della Basilica
Le
croci si ritrovano non solo nella composizione degli stemmi e degli antichi
sigilli ma anche nelle scritte manuali.
Nelle
scritte manuali servivano da sigla e furono usati durante tutto il Medioevo.
Per i firmatari significava mettersi sotto la protezione dell’emblema delle
cinque piaghe del Signore.
Le
Sante Piaghe o le Cinque Sante Piaghe sono le ferite sofferte da Cristo durante
la Crocifissione.
Quattro
ferite corrispondono ai punti dove furono infissi i chiodi e cioè sulle mani e sui piedi mentre
la quinta ferita o piaga al costato fu causata dalla lancia di un soldato
romano per controllare se Gesù fosse effettivamente morto per evitare di
spezzargli le gambe per causarne il decesso.
Era
un “Signum” molto riverito e consacrava religiosamente la lealtà della
firma e la sua autenticità come accadeva adoperando il sigillo dell’anello
accanto al nome del sigillante.
Questi
segni manuali che riportano sempre alla Croce, furono poste su molti documenti
d’archivio e forse sono meno conosciuti rispetto ai “Signum” ottenuti con i
sigilli.
Gli
Archivi della Spagna e del Portogallo presentano molti documenti reali con
questi “Signum”:
Sigilli manuali
dei principali sovrani di Spagna
n. 1 – il conte
sovrano di Barcellona Borel, nel 954 faceva seguire il proprio nome da una
croce potenziata accostata da quattro punti;
n.2 – il suo
successore Raymond Borel nel 992,
sottoscriveva nello stesso modo;
n. 3 e n. 4 – il
conte Berenger nel 1018 e Raymond Berenger II nel 1031 sottoscrivevano sempre
nello stesso modo di cui sopra;
n. 5 – Raymond
Berenger IV;
n. 6 – Il figlio
cadetto, fratello di Alfonso e chiamato come su padre Raymond Berenger, non
regnò su Barcellona. La sigla presenta
un “signum” molto particolare in
cui il “Signaculum
Domini “ (La Croce) si congiunge con una stella.
Un buon numero di
re d’Aragona, di Castiglia e di Maiorca, presero come motivo per la loro sigla
l’emblema tradizionale delle Cinque Piaghe.
n. 7 - il
“Signum” di Alfonso II si compone di un rettangolo i cui spigoli sono
rinforzati da
quattro punti vuoti, cosa che fa assomigliare la firma alla pianta lineare
di alcune cinte di
mura fortificate. Nel mezzo si iscrive una grande Croce.
Le sigle degli
altri sovrano di Maiorca e d’Aragona sono fatte con un quadrato sollevato
su uno degli
angoli, o con una losanga. Queste figure sono traversate da
due diagonali in
croce, le cui estremità danno origine a quattro piccole Croci
(Il che riporta al
Signaculum fatto con cinque Croci).
n. 8 – la losanga
di Pietro II (1196 – 1213);
n. 9 – Giacomo I
(1276 – 1311);
n. 10 – Sancho I
(1311 – 1324);
n. 11 – Giacomo II
(1324 – 1344), re di Maiorca;
n. 12 – Giacomo il
Conquistatore (1213 – 1276);
n. 13 – Re
d’Aragona e di Castiglia, Pietro IV (1395);
n. 14 – Martino
(1376 - 1410);
n. 15 – Giovanni I
(1458 – 1479);
n. 16 – Giovanni
II (1458);
n. 17 – Ferdinando
(1412 – 1416);
n. 18 – Alfonso
(1416 – 1458);
n. 19 – Ferdinando
il Cattolico (1474 – 1516)
Militello in Val di Catania - Grotta dello Spirito Santo
Il
posto contraddistinto dalla Croce Ricrociata era
quindi occupato da un personaggio importante e che aveva comunque partecipato
alla Crociata e probabilmente un templare.
Accanto
alla nicchia del “Crociato” un’altra nicchia, leggermente più grande e
sovrastata superiormente da tre sfere scolpite nella roccia.
Le
tre sfere non solo costituiscono lo stemma araldico di Goffredo di Buglione -
che partecipò alla prima crociata (1096-1099) divenendo Protettore del Santo
Sepolcro e Governatore di Gerusalemme - ma sono anche uno dei simboli di San
Nicola di Myra, proprio il Santo che, insieme alla Madonna, è profondamente e
anticamente venerato a Militello.
Goffredo di
Buglione in un affresco del 1420 di un anonimo pittore italiano,
detto “Il Maestro
del Castello della Manta “ (Salluzzo- Cuneo).
Groffredo di
Buglione (Godefroy de Bouillon, Godefridus Bullionensis, nato a Baisy-Thy –
Belgio, nel 1060 circa – morto a Gerusalemme, 18 luglio 1100), fu un cavaliere
Franco ed uno dei
comandanti della Prima Crociata (1096- 1099).
Fu un duro scontro
con I Turchi e riuscì a conquistare Nicea, Antiochia e
Gerusalemme il 5
luglio del 1099. I Crociati in questa impresa furono
aiutati dalla flotta
genovese che trasportò il legname per costruire le torri necessarie
per l’assedio
della città. I Turchi replicarono con forti azioni militari nei territori
perduti e ci fu una sanguinosa battaglia sulla piana di Ascalona il 10 agosto 1099
dove
i musulmani furono
sconfitti.
Gli fu proposto di
diventare Re di Gerusalemme ma rifiutò l’investitura
“in una città in
cui era morto Cristo” e preferì essere nominato
“Difensore della
Chiesa del Santo Sepolcro”
Le
tre sfere sarebbero lo stemma di Goffredo di Buglione in seguito ad un
avvenimento che viene ricordato a Firenze ogni anno con lo “Scoppio del Carro”.
Una
manifestazione popolare laico-religiosa che si svolge la domenica di Pasqua a
Firenze.
Una
torre pirotecnica , detta “brindellone”, viene posizionata su un carro che
trainato da due coppie di buoi si ferma tra il battistero e la Cattedrale.
Al
termine della cerimonia, al canto del “Gloria”, l’arcivescovo accende
dall’altare del duomo un razzo a forma di colomba che, tramite un meccanismo a
fune, percorre tutta la navata centrale della chiesa per raggiungere
all’esterno il carro facendolo scoppiare.
Questa
cerimonia ha origini antichissime risalenti alla prima crociata.
Nel
1097 al comando di Goffredo di Buglione,
Duca della Bassa Lorena, i crociati partirono per la Terra Santa riuscendo dopo
numerosi scontri bellici ad espugnare Gerusalemme il 15 luglio 1099.
Secondo
la tradizione fu il fiorentino “Pazzino de’ Pazzi” a salire per primo sulle mura
della città Santa dove pose l’insegna bianca e vermiglia. Per questo atto di
valore, Goffredo di Buglione donò al “de Pazzi” tre schegge del Santo Sepolcro.
“Pazzino
de’ Pazzi” rientrò a Firenze il 16 luglio 1101 e fu festeggiato ed accolto con
solenni onori dalla cittadinanza. Le tre pietre del Sepolcro furono
inizialmente conservate nel Palazzo de’ Pazzi e successivamente consegnate alla
Chiesa di Santa Maria Sopra a Porta in Mercato Nuovo.
Chiesa
che fu ampliata e rinominata come chiesa di San Biagio fino a quando nel 1785
fu soppressa.
Dal
27 maggio 1785 le sacre reliquie del Sepolcro si trovano nella vicina Chiesa
dei Santi Apostoli dove sono ancora oggi conservati.
Firenze – Chiesa
dei Santi Apostoli
Tabernacolo di
Andrea della Robbia
Nella prima
cappella a sinistra, vicino all’ingresso e all’interno di una
piccola nicchia
illuminata, si trovano il prezioso “portafuoco” decorato e il
cofanetto che
contiene all’interno le tre pietre che provengono dal Santo Sepolcro.
Pietre che saranno
utilizzate nel Sabato Santo per l’accensione del “Sacro Fuoco”
che, a sua volta,
accenderà la colombina nel giorno di Pasqua per permettere lo scoppio del carro.
Nella cappella si
nota la nicchia che conserva le pietre del
Santo Sepolcro ed
il portafuoco
A Gerusalemme,
oggi come mille anni fa, il Patriarca ortodosso alla viglia di
Pasqua scende da
solo all’interno della tomba che secondo la tradizione accolse le
spoglie del
Cristo. Qui, al riparo dagli sguardi
degli altri partecipanti, accenderebbe il
cero pasquale con
il fuoco sacro sprigionato dal giaciglio in cui fu deposto Geù.
Il Patriarca
riappare dal sepolcro per condividere il fuoco con tutti i presenti alla
cerimonia. Metaforicamente il fuoco
rappresenta la luce di Cristo risorto che
scaccia le
tenebre. Si tratterebbe di un fuoco dal colore azzurro che non
provoca calore o
bruciature almeno per alcuni minuti.
Alla fine del rito
ognuno può portare a casa il fuoco benedetto.
I crociati nel
1100 assistettero a questo “miracolo” e ne furono colpiti.
All’interno della
cripta sembra che si manifesti una pioggia di fuoco che
scende dalle
pareti fino al piccolo altare. Un aspetto particolare è legato al fatto che
il fenomeno si
verifica quando nella cripta officia il Patriarca ortodosso o un Vescovo da lui
delegato. Altri religiosi hanno provato nel tempo a sostituire gli ortodossi ma
senza ottenere alcun risultato.
Particolari conoscenze che portano ad attivare il misterioso fenomeno ?
Il rito a
Gerusalemme segue una prassi accurata
che va oltre la semplice discesa del Patriarca nella cripta del Cristo.
Gerusalemme – Il
Santo Sepolcro
La mattina del
Sabato Santo ci svolgono degli accurati controlli all’interno della cripta da parte della
polizia israeliana al fine di escludere categoricamente la presenza di qualche
oggetto in grado di produrre il “Sacro Fuoco”. Quindi la Cripta viene sigillata.
Verso sera il
Patriarca ortodosso di Gerusalemme, si
toglie i paramenti sacri ad eccezione della tunica rituale. Viene perquisito
dalle autorità civili ed entra nel Sepolcro, a candele spente, s’inginocchia e
comincia a pregare.
A volte dopo pochi
momenti oppure dopo qualche ora di preghiera, appaiono sul marmo, che ricopre
la lastra della tomba, qualche scintilla di fuoco che sembrano
gocce
luminose. I pochi testimoni che hanno
avuto la possibilità di assistere al fenomeno, hanno raccontato di aver udito
un forte schiocco (un rumore forte)
prima
dell’apparire delle scintille. Altri ancora hanno sentito forti e prolungati
sibili che erano accompagnati da simultanei lampi di luce blu e bianchi che iniziavano a
serpeggiare lungo
le pareti della tomba come “flash impazziti”.
Il Patriarca
raccoglie le gocce di fiamma con l’aiuto di batuffoli di cotone e con questi
accende le torce e
le candele che sono poste all’interno della cripta.
Spesso le torce
s’accendono da sole mentre il Patriarca è intento a pregare.
Il Patriarca esce
quindi dalla Cripta e porge la fiamma
delle sue torce alle torce dei
fedeli che si
distribuiscono tra di loro il “Fuoco Sacro”.
In questo momento
avviene un altro prodigio.
Il fuoco arde
sulle torce come una fiamma ordinaria ma non emana calore.
I fedeli passano
la fiamma delle torce sul viso, sulle folte barbe e sugli abiti
senza alcun
problema. Dopo circa trenta minuti il
fuoco comincia a scottare e l’emanazione di calore incomincia nel momento in
cui la fiamma cambia calore diventando da azzurra a rossa.
Un altro fenomeno
è la presenza, durante la cerimonia, di piccoli globi luminosi che transitano
spesso sulle teste dei fedeli e che spesso sono in grado di accendere le torce
che gli stessi fedeli tengono in mano.
Nel 1549 gli
Armeni si sostituirono agli Ortodossi nella conduzione della
cerimonia del
Fuoco Sacro corrompendo il sultano Mourat per ottenere il
permesso di
recarsi nella cripta del Santo Sepolcro per presenziare alla cerimonia.
Il Patriarca
ortodosso fu tenuto fuori della cripta e i dignitari Armeni presero quindi il
suo posto all’interno della cripta ed iniziarono la cerimonia pasquale.
“Invano gli
Armeni invocavano Dio, il Fuoco non voleva discendere.
All’improvviso
s’udì un rimbombo del tuono e dalla colonna di marmo, presso
la quale attendeva
il Patriarca Ortodosso, apparve il “Fuoco””.
Colonna che ancora
oggi si può ammirare squarciata nei pressi della Cripta.
È inutile
nascondere che ancora oggi il fenomeno del Fuoco Sacro di Gerusalemme
è al centro
dell’attenzione di vari ricercatori che cerano di spiegarlo da un punto di
vista razionale negando ogni possibile apporto trascendente.
Ritornando a
Firenze il Sacro Fuoco viene acceso strofinando fra loro le
Tre Sacre Pietre.
Il Cofanetto con
le Tre Sacre Pietre e il Portafuoco al momento
dell’inizio della
processione verso il Duomo dove avverrà l’accensione del Sacro Fuoco.
Ritornando
alla grotta dello Spirito Santo di Militello, le tre sfere potrebbero anche
rappresentare il culto di San Nicola.
Con
la conquista normanna si verificò un’ampia diffusione del culto orientale di
San Nicola di Myra e la correlazione tra lo stesso santo e i Templari nel XII
secolo è attestata soprattutto in Puglia ed esattamente a Molfetta, a Melfi, a
Venosa.
Un
culto che nella diocesi di Siracusa fu legato alla conquista Normanna e in
particolare a Noto e in contrada Bulgarano (Lentini) dove è attestato un casale
con una chiesa detta di “San Nicolò de Templo” omonimo di un insediamento a
Gioia dei Marsi in provincia di l’Aquila.
Nella
grotta dello Spirito santo si è ipotizzato quindi un insediamento di epoca
normanna e potrebbe essere la primitiva chiesa dedicata alla Vergine che fu
censita dai collettori papali del 1308 e 1310 e che riconoscono nella stessa
chiesa un edificio di culto originario bizantino a servizio dell’abitato
rupestre circostante. In base ai dati archeologici si potrebbe ritenere la
chiesa rupestre come il luogo espresso nelle “Rationes”.
La
presenza delle “seggiole” ricavate nelle pareti ha fatto da base ad un
confronto con l’insediamento di culto sotterraneo delle Grotte di Camerano
(Ancona).
Una
vera e propria città sotterranea che fu in uso per secoli. Nella grotta Ricotti
si trova
una
sala nelle cui pareti sono ricavate delle nicchie e nella grotta Trionfi una postazione
principale, lo scranno del Magister. Nicchie e postazioni che sono simili a
quelle presenti nella Grotta dello Spirito Santo.
Grotta Ricotti - Camerano (Ancona)
Camerano (Ancona)
- Grotta Trionfi
Nella grotta
Trionfi è presente un tempietto a pianta circolare e 10 colonne con
capitelli dorici.
Sono presenti 9 nicchie all’interno delle quali è rimasto solo un sedile
identificato come lo “scranno del Magister” in relazione alla tradizione che
indica la sala come luogo di riunione dei membri di antichi ordini
cavallereschi.
"Scranno magister"
La
Grotta dello Spirito Santo fu quindi un edificio di culto edificato intorno al
XII secolo dove svolgevano il rito una
comunità di “pari” (persone che condividevano gli stessi aspetti di vita) come indicherebbe la tipologia delle sedute, a
esclusione di quella principale sormontata dalle tre sfere, che potrebbe essere
lo scranno del Magister. Un edificio probabilmente dedicato al culto
greco-orientale di San Nicola di Myra, certamente attestato a Militello almeno
dall’indicazione della chiesa di “S. Nicolai de eodem loco” nelle collettorie
vaticane delle “Rationes decimarum Italiae “del 1308-1310 (Sella 1944,
98, n. 1295).
Nulla
di strano la relativa vicinanza con la chiesa di Santa Maria anche se le
attuali relazioni spaziali sono, ovviamente, alterate dall’edificazione della
chiesa a tre navate. Nel pianoro, che era il centro della vita di questo
insediamento rupestre, avrebbero benissimo potuto convivere i due culti, l’uno di
origine latina, l’altro di origine greco-bizantina, entrambi portati dai
cavalieri d’oltralpe.
La
soppressione dell’Ordine dei Templari da parte di Papa Clemente V nel 1312
comportò anche la parziale riassegniazione dei loro beni, in Italia, all’Ordine degli
Ospedalieri, ma in molti casi come in quello della Chiesa di San Clemente di
Bari, non se ne ebbe più notizia. In Sicilia di alcuni beni si impadronirono
anche dei laici, ecclesiastici e altri ordini religiosi.
La
Chiesa templare rupestre di San Nicola a Militello avrebbe potuto cessare la
sua attività subito dopo il censimento dei collettori papali e divenire area
cimiteriale di pertinenza di Santa Maria. Il culto a San Nicola, comunque ormai
ben radicato, si sarebbe spostato dal vallone di Santa Maria nei pressi del
Castello nella zona del Purgatorio.
Le
fonti documentano l’esistenza della piccola chiesa madre intestata a San Nicolò
(il Vecchio) e ingrandita da Blasco I.
Lo
stesso Blasco I con il suo testamento dell’11 Agosto 1390 lasciava alla Chiesa
di San Nicolò tre once per il nuovo tabernacolo.
I
decreti riformatori del Concilio di Trento, configurando la distinzione
giuridica fra le chiese matrici e le chiese parrocchiali a partire dalla
seconda metà del
XVI
secolo diedero inizio a una accesa competizione sulla matricità.
Una
matricità, tutta locale, campanilistica e giocata non sempre correttamente
sull’interpretazione e/o interpolazione di antichi diplomi e carte d’archivio,
per rivendicare una maggiore antichità nell’esercizio dei diritti matriciali
dell’una chiesa piuttosto che dell’altra (Palumbo 2003; Malgioglio 2006, 16-31).
San
Nicolò, andata interamente distrutta del terremoto del 1693 lasciando ricordo
di sé solo nella toponomastica locale (rimane il nome nell’omonimo Largo San
Nicolò il Vecchio) e fu ricostruita in un’altra sede come Santa Maria della
Stella.
I
culti di Santa Maria e di San Nicolò e le loro origini a Militello - al di là
delle dispute fra le due “fazioni” religiose - sembrano riconducibili entrambi a
epoca medievale. Entro i primi decenni del XII secolo Militello era già un
centro normanno a tutti gli effetti. Indubbiamente, la continuazione delle
indagini all’interno della Grotta dello Spirito Santo, in quest’ottica,
potrebbe consentire ulteriori spunti e approfondimenti su una fase tanto
complessa quanto a volte “oscura”.
La vicinanza tra lo "scanno del magister" e lo scranno in cui è disegnata la Croce Ricrociata lascia presagire a scenari che purtroppo sono difficili da verificare. Probabilmente due personaggi coevi e forse reduci dalle imprese in Terra Santa ?
.
C’è
da dire in merito a templari che l’ordine fu presente non solo a Militello ma
anche a Scordia e soprattutto a Lentini dove avevano vaste proprietà.
5. Grotta del Santo di Cipro
La grotta si trova a circa 50 m a
ad est della grotta dello Spirito Santo ed è una cavità piuttosto ampia. Lo
storico Pietro Carrera nella sua “Chorografia Militelliana” riportò la
presenza di un bellissimo affresco a sinistra dell’ingresso. Un affresco ormai
non più decifrabile.
Il personaggio raffigurato fu
indicato dallo stesso storico come il “Santo di Cipro”…”Antrum Cypri
venerabile divi”.
Ma quale santo era raffigurato ?
Perché il Carrera, ch’era un
sacerdote e anche cappellano di Corte, non indicò il nome del Santo in maniera
ben precisa ?
Il sacerdote e barone Francesco
Paola Iatrini nel 1823 fece una traduzione in italiano dello scritto latino di
Pietro Carrera e citò la figura dell’affresco come San Barnaba.
Successivamente ci furono altre
interpretazioni sull’affresco: il sac. Matteo Malgioglio indicò la figura in S. Ilarione e S. Anania
come un “Cristo Pantocrator” bizantino.
Lo storico Abbotto accettò la tesi
di padre Carrera affermando che l’ipotesi su S. Barnaba era la più plausibile.
Il santo è levita, nativo di Cipro,
cugino di S. Marco e collaboratore degli Apostoli soprattutto di S. Paolo.
S. Ilarione anche se morì a Cipro
era nativo di Gaza in Palestina.
La
grotta fu meta di pellegrinaggi a causa della presenza di “un piccolo rivolo
d’acqua che fuoriusciva dalle pareti di roccia, ritenuta miracolosa”.
La
cavità franò nei secoli successivi e di essa si conserva solo un pezzo di un
affresco cinquecentesco che raffigura il ”canuto santo di Cipro benedicente”
che la critica storica ha spesso confuso con un Cristo Pantocratore d’età
bizantina.
6.
CHIESA DI SANTA SOFIA
Di
fronte all’attuale Chiesa del Purgatorio sorgeva una delle più antiche chiese
di Militello dedicata a Santa Sofia.
La Chiesa del Purgatorio risale al 1613 circa
Il
tempio era dedicato alla Vergine di Costantinopoli Sofia, martirizzata sul
finire del II secolo (molti storici non sono concordi sull’esistenza di questo
tempio e al suo tiolo). Il culto di Santa Sofia era ed è molto diffuso in
diversi centri della Val di Noto (Caltagirone, Chiaramonte Gulfi, Ferla,
Mazzarino, Modica, Sortino).
Il
Colle del Purgatorio in antichità era chiamato “Monte Lauro” e don Pietro
Carrera lasciò una piccola descrizione della chiesa definendola “chiesa
maggiore” cioè “più antica come chiesa madre e parrocchia”.
Titoli
che furono ceduti alla Chiesa di S. Nicolò. Era infatti costume in quei tempi
che la parrocchialità potesse essere ceduta a chiese, sorte anche
successivamente, e poste in luoghi più centrali dell’abitato e anche come
edifici più grandi e quindi più adatti per le sacre funzioni.
Il
tempio non doveva essere di grandi dimensioni e forse sarà stata la prima
chiesa in muratura costruita a Militello dato che le prime erano costruite in
grotte.
La
chiesa fu danneggiata dal terremoto del 1693 come risulta da un atto del 1719.
Risale
al 1747 un contratto, a firma dell’abate di San Benedetto don Crispino
Reforgiato per lavori di riparazioni( o di ricostruzione) della chiesa che
resistette fino all’inizio del 1800 quando, per il suo degrado, fu abbandonata.
Di questa chiesa non si conosce nemmeno il punto esatto dove fosse ubicata
probabilmente nel piazzale antistante all’attuale chiesa del Purgatorio.
Il
Carrera scrisse che Don Pietro Ciccaglia, sacerdote di Militello e parroco di
Santa Maria della Stella (La Vetere) dal 1574 al 1580 “ gli aveva affermato
più volte, che egli essendo giovine ritrovò in una casa presso la chiesa di S.
Sofia un gran pergamino scritto, nel quale si faceva memoria che il Vicario
Generale di Catania concedeva alla chiesa di S. Sofia un beneficio, per lo che
pare che Militello allora fosse nella Diocesi di Catania. Dalla iscrizione
dell’anno, egli aveva calcolato che quella scrittura aveva antichità poco più
di quattrocento anni. Il pergamino andò perduto, né fu possibile al Carrera
rintracciarlo. L’illustre storico aggiunge che questa chiesa fu in tempo antico
la maggiore”.
Una campana della chiesa si trova nel Museo S. Nicolò. Porta
l’immagine del SS. Salvatore e il Sacramento nonché la seguente dicitura:
A
ST
Societas SS/mi Sacramenti fusa anno D/ni 1070 refusa et addita aere S. Sofia
anno
1004 (?) iterum refusa ex pensis parecia anno 1830 Arcipr. Antoninus
Scirè
parochus.
Campana
della chiesa di S. Sofia.
Bronzo,
inizio secolo XI (1004) – Prima Fusione
Rifusa
nel 1830 ad opera dell’arciprete Scirè.
Sul fianco è raffigurato
il SS. Salvatore e il SS. Sacramento
Campana
di S. Sofia
Immagine del SS.
Sacra
7. Il Complesso di Santa Maria la Vetere – Parco
Archeologico –Normativa
di Riferimento
“Dichiarazione di notevole interesse
pubblico di parte del Territorio del
Comune di Militello in Val di Catania “
Decreto Assessoriale – 24 Settembre 1992
G.U. Serie Generale – n. 38 del 16
Febbraio 1993
-------------
Assessorato regionale dei Beni Culturali e
dell’Identità Siciliana
Servizio 27: Parco Archeologico e
Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci:
Santa Maria La Vetere in Militello Val di
Catania
GURS- Parte I – n. 33 del 17 luglio 2019
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La
Festa della Madonna della Stella
Sebastiano
Guzzone
(Militello in Val di Catania,
13 settembre 1856; Firenze, 11 febbraio 1890)
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