Nel Regno degli Elimi – San Giuseppe Jato e San Cipirello (Palermo) - “ U Campanaru” di Monte Arcivocalotto ....Un Preistorico Calendario Solare ?

















(Tratto della Ricerca della Dott.ssa Marisa Uberti)

Il Monte Arcivocalotto è una collina di 570 m s.l.m.  posta sulle pendici meridionali del Monte Jato.  Il sito dovrebbe essere pertinente al complesso archeologico di Pietralunga che si trova sull’importante direttrice Rocca Busambra – Monte Jato.
 Sulla sommità del monte è visibile, anche da lontano, un manufatto roccioso che localmente è chiamato “U Campanaru”. Una roccia arenaria emergente dalle argille del Flysch Numidico Oligo-miocenico, con direzione Nord-Sud.



“U Campanaru” visto da Sud

Sul monte sono stati trovati dei reperti ceramici risalenti al periodo Eneolitico (Età del Rame), all’Età del Bronzo e fu abitato anche in epoca classica, romana e medievale.
Probabilmente il villaggio esistente fu abbandonato nel 1246 quando Federico II di Svevia sconfisse la resistenza dei ribelli musulmani. Un villaggio quindi islamico collegato alla Rocca di Entella e al Monte Jato ?
La zona continuò ad essere frequentata  con i pastori, che vi portano le greggi, e con gli agricoltori che coltivano a cereali i terreni circostanti.
L’altura è sempre stata considerata come il centro egemone dei territori circostanti. Pizzo Pietralunga, posto a circa 1,5 km di distanza, dove furono rinvenuti importanti reperti preistorici, era probabilmente collegato al sito.


La sua orografia è semplice dato che non presenta punti inaccessibili , si erge solitaria e nelle vicinanze è presente una sorgente.
È una grossa roccia arenaria larga circa 4 metri ed alta circa 3 metri che presenta nella parte centrale un foro di circa 2 metri di diametro. Lo spessore al suolo è di circa 1,5 metri.
Il soprannome (il campanile) ha delle origini misteriose. La gente dice che una volta vi era appesa una campana all’interno o che lo stesso megalite sia stato il campanile di una distrutta chiesa.
La sua posizione isolata lo rende visibile anche a distanza e richiama alla mente la figura di un campanile di una chiesa posta in un villaggio e che diventa punto di riferimento sia per gli abitanti che per forestieri.
Ha una configurazione triangolare emergente sulla cima del monte ed appartiene al costone roccioso che delimita a nord il rilievo del monte. Oltre il limite del megalite c’è uno strapiombo di circa 100 metri che termina in un pianoro sottostante dove fu trovata una tomba dell’Età del Rame non violata.




“U Campanaru” nella sua parte posteriore (Nord), dove la collina strapiomba verso la Valle con un salto di un centinaio di metri

Su questo lato il monolite poggia su una piattaforma residua che sembra perfettamente lavorata dall’uomo sulla quale è incisa una quadruplice cinta. Un disegno costituito da quattro quadrati concentrici raccordati da altrettanti segmenti perpendicolari. La misura del lato del quadrato più esterno è di circa 40 cm.

La superficie della piattaforma è definita “gradino- aggetto”.
Il disegno dovrebbe appartenere alla categoria dei tavolieri incisi come gioco del “filetto” o del “mulino”. Un disegno lasciato da chi voleva semplicemente passare il tempo in un epoca imprecisata certamente non preistorica ?
Tuttavia per giocare bastano tre quadrati concentrici e gli esemplari con quattro cinte sono molto rari.



Dettaglio della base rocciosa su cui sembra appoggiarsi il monolite. La freccia indica la posizione della quadruplice cinta incisa sul “gradino-aggetto”, in posizione orizzontale




La quadruplice cinta incisa sul gradino-aggetto

La particolare disposizione a strapiombo “del gioco” potrebbe  far dubitare sul valore ludico, dato che a disposizione c’erano delle porzioni di roccia meno pericolose e più assolate.

Una posizione che fu studiata dal prof. Vito Francesco Polcaro in servizio presso l’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Roma.

Il compianto Prof. V.F. Polcaro

Lo studio ha riguardato prima l’isolamento del megalite che fu il risultato di ripetuti fenomeni di frana che minacciano ancora la sua stabilità.
In origine poteva anche non essere presente il foro ma uno strato compatto di roccia che poi è franato a valle, lasciando una sorta di breccia nella parete.
La cultura antica ha così trovato il macigno e dopo averlo lavorato e modellato, ha ricavato un foro di forma rotondeggiante e scavato anche una nicchia, nella sua parte inferiore, forse a scopi deposizionali  dato che una persona di media statura e peso vi entra comodamente.

L’autrice  della ricerca distesa nel lettuccio concavo situato nella parte inferiore del foro

Il megalite fu lavorato in modo che il lato rivolto a sud assumesse un’inclinazione di 75 gradi, rispetto all’orizzonte geografico, e quello a nord rimanesse di circa 90 gradi.
Una lavorazione eseguita nell’Età del Bronzo  ?



“U Campanaru” visto da una modesta distanza e da ovest, posizione che consente di apprezzarne l’inclinazione (sicuramente intenzionale, secondo Scuderi e Polcaro)

Alla base del monolito c’è una piattaforma rocciosa che reca due piccole fossette di esigue dimensioni e diverse altre rocce emergono sul pianoro.
 Trovarsi di fronte a un simile megalite suscita sensazioni  di mistero e immediate domande: da chi fu prodotto ? Ha una sua funzione sacra ? Quale fu il suo utilizzo ? E’ legato ad un fenomeno di erosione naturale ?
Nessuno può risolvere con certezza questi enigmi anche se negli ultimi anni sono stati condotti degli studi in merito.
Gli studi hanno messo in evidenza come il megalite fosse orientato all’alba del solstizio invernale. Lo scopo del megalite sarebbe quindi legato a un arcaico calendario astronomico a fini pratici e rituali.
Attorno vi erano dei piccoli menhir triangolari  di cui ne è visibile uno in posizione verticale.



Il dott. Alberto Scuderi (Direttore del gruppo Archeologico "Valle dello Jato" e Archeologo) ritiene che i menhir dovevano essere molto di più e  fare parte di un recinto , semicerchio che delimitava l’area sacra e che era incentrata sul megalite stesso.
A pochi metri dal monumento in direzione Sud Est si trova un altro probabile menhir che fu atterrato da un trattore ed è probabile che nella sua posizione originale potesse essere perfettamente allineato con l’asse del foro del megalite.




La forma di questo megalite ricorda in piccolo la morfologia di Pizzo Pietralunga. Quest’ultimo potrebbe essere raffigurato tra l’altro su un masso inciso ritrovato nei pressi del Campanaro.



Il 22 dicembre 2010 venne osservato per la prima volta il fenomeno solare da parte di F. Mercadante, P. Lo Cascio e A. Scuderi.
“ alle 7.22 si era constatato che la luce solare lambiva l’esterno della
parete occidentale (in corrispondenza del “gradino-aggetto”) e lentamente
si spostava all’interno del foro, culminando al centro alle 8.30 circa.
La luce solare diretta è stata visibile attraverso il centro dell’asse del foro
per pochi minuti (il sole permane per una mezz’ora in tutto, dentro
il foro, ma non centrato).
Il fenomeno è stato apprezzabile per un periodo di cinque giorni:
i due precedenti e i due seguenti il 22 dicembre (centrato sul
solstizio d’inverno).
Altre misurazioni furono condotte il 23 giugno 2011, al Solstizio estivo,
usando una bussola di precisione da rilevamento, corrette per la
declinazione magnetica locale tramite misurazioni GPS delle
coordinate geografiche (37°55’44’’N; 13°15’29’’E),
operando un raffronto con le misurazioni delle direzioni dei punti
di riferimento della cartografia IGM e immagini satellitari.
Tali analisi, condotte dall’astrofisico prof. Polcaro, hanno
dimostrato che l’asse del foro centrale del megalite ha un azimut pari a 133°
(più o meno 1°) e un’inclinazione rispetto al piano orizzontale
di 15° (più o meno 1°).
Questo orientamento dell’asse consente di osservare, dal piccolo
pianoro sottostante, il Sole al centro del foro poco dopo essere sorto
al di sopra dell’orizzonte geografico locale esattamente al Solstizio invernale
e solo in quel periodo.
È stato pure osservato che la traiettoria dei raggi solari in quell’istante
si riflette nelle acque del fiume Jato (che in quel tratto assume la denominazione
dell’areale che attraversa, cioè Pietralunga, pertanto può anche trovarsi
scritto “fiume Pietralunga” ma trattasi sempre dello Jato).
I fenomeni osservati sono documentati dai due grafici:









A questo punto è opportuno ricordare la quadruplice cinta graffita sul gradino-aggetto del megalite la quale assume un importanza rilevante secondo il prof. Polcaro:
è orientata esattamente come l’asse del megalite: è dunque connessa ad esso
ed orientata in direzione dell’alba del solstizio d’inverno.
Questo petroglifo permette quindi a chi si trova vicino al monolito di
determinare con una maggiore precisione che i raggi del Sole nascente
al solstizio d’inverno provengano effettivamente dalla direzione che
caratterizza questa data: esso può quindi essere utilizzato come uno
“strumento di misura fine” che permette di determinare con maggiore precisione il
Giorno esatto del solstizio d’inverno”.

L’uso calendariale di “U Campanaru” è da fare risalire all’Età del Bronzo ed anche la quadruplice cinta è da considerarsi coeva, tuttavia qui si pone un dilemma poiché le  incisioni geometriche di questo tipi si datano al massimo alla fine dell’Età del Ferro.
È quanto un aspetto che ancora non è stato risolto dato anche se è probabile che sia stata incisa in epoca posteriore (romana o medievale).
La questione della casualità o dell’intenzionalità dell’allineamento del megalite “U Campanaro” è stato uno dei temi affrontati nella relazione presentata nel settembre 2012 a Lubiana (Slovenia) durante il Simposio del SEAC  dal prof. Polcaro. Egli ha preso in considerazione le “linee-guida” (protocollo) tracciate da Schaefer  il quale suggerì almeno due - tre condizioni che possano soddisfare l’intenzionalità di un allineamento astronomico e che sono state ampiamente accettate dalla comunità scientifica:
-               deve essere statisticamente significativo, almeno a 3 σ sopra l'ipotesi nulla (l'orientamento casuale) ( dove  σ è la “deviazione standard”;
-          devono essere presenti prove archeologiche di intenzionalità
-          devono essere presenti evidenze etnografiche o paletnologiche del valore simbolico che quel determinato allineamento comporta

Il prof. Polcaro ritiene che “U Campanaru” soddisfi tutti questi punti. Per quanto riguarda il primo, le probabilità di trovare in un monumento un singolo allineamento con un azimut corrispondente (entro più o meno 1°) ad una delle otto direzioni solari significative e conosciute in ogni cultura (le quattro direzioni cardinali e le quattro direzioni delle albe e dei tramonti ai solstizi invernale ed estivo) è di 1/22 rispetto all’ipotesi nulla, cioè sull’orientamento casuale (2.08 σ statistiche Gaussiane). L’astrofisico aggiunge che, nel caso in oggetto, il fenomeno si verifica soltanto perché – al momento del passaggio del sole all’azimut dell’asse del monolite - il sole ha anche l’altezza (rispetto all’orizzonte) uguale a quella dell’asse stesso (la probabilità che ciò avvenga casualmente è 1/45 corrispondente, nella statistica Gaussiana, a circa 2,5 σ ). La probabilità che questi due eventi indipendenti si verifichino “per caso” è di 1/1000 (3, 25 σ, che è superiore alla soglia accettata di significatività).
In merito al secondo punto, le dimostrazioni archeologiche di intenzionalità sono molte, sostiene il prof. Polcaro, partendo dal fatto che la pietra forata sia stata lavorata per ottenere appositamente l’orientazione dell’asse del foro e fa ulteriormente notare la presenza dell’incisione a quadruplice cinta con il medesimo orientamento.
In relazione all’ultimo punto, pur essendo difficile trovare prove concrete sul valore simbolico che il megalite può avere rivestito in epoca arcaica, è significativo che i testimoni riferiscano che il luogo del Campanaru è sempre stato ritenuto sacro e magico, come dimostrano le leggende intorno al suo nome, che immaginano il megalite come il campanile di una distrutta chiesa, che suonava solo in giorni speciali, ascrivendo così al megalite stesso un ruolo mistico.
Se le condizioni sembrano essere soddisfatte nel caso in oggetto, come ritiene il prof. Polcaro, la domanda che sorge spontanea, stimolata dall’ultimo punto, è: perché una cultura preistorica (che ancora ci è ignota) ha lavorato artificialmente il megalite?

Una lettura allargata: l’attenzione verso Pizzo Pietralunga e Cozzo Perciata

Il prof. Polcaro ha osservato che nel giorno del Solstizio d’inverno, alla stessa ora in cui il Sole appare al centro del foro, l’astro ha un’altezza sull’orizzonte tale da lambire esattamente la punta del Pizzo Pietralunga, la singolare roccia isolata che si eleva per 150 metri in altezza sopra la Valle del fiume Belice Destro, che si stende ai piedi del Monte Arcivocalotto (a meridione). La roccia rivestì sicuramente un valore sacrale per le antiche popolazioni ivi stanziate, come dimostrerebbe il materiale fittile rinvenuto nell’area.





Pizzo Pietralunga








I due siti (Camapanaru e Pizzo Pietralunga)  potrebbero essere collegati dunque non solo dal punto di vista archeologico ma anche astronomico. A ciò si aggiunge la presenza, tra San Cipirello e Camporeale, di un secondo megalite forato, chiamato Cozzo Perciata (che significa roccia bucata) ma anche “U Campanaru ra Pirciata”, che si trova a circa otto chilometri di distanza da “U Campanaru”.
Pizzo Pietralunga viene così a trovarsi interposta tra i due megaliti, che sono entrambi visibili dal pinnacolo:  tre strutture si trovano sulla medesima linea retta.


Cozzo Perciata fa parte di una serie di arenarie ocracea, emergenti dalle argille del Flysch Numidico Oligo-Miocenico, con direzione Nord-Sud, che giungono ad una quota di 475 m s.l.m. nella parte sommitale. Il suo aspetto geomorfologico evidenzia una serie di piccole spianate o terrazze argillose, seguite da strati - pareti di arenaria tenera, il cui andamento ondulare può arrivare a curve accentuate, poste a ve accentuate, poste a 45° sui terrazzamenti.

Cozzo Perciata in una immagine d’epoca, quando  la “Perciata” era ancora integra


La configurazione  del sito di “Cozzo Perciata”


Identificare sulla ripresa area la base del “ U Campanaru di ra Pirciata” non
è facile. Dovrebbe trovarsi in quella zona che è stata cerchiata in giallo.



Questo secondo monolito forato si presenta sfortunatamente frantumato: non è quindi più visibile il foro centrale, essendone crollata la metà.
Un crollo a seguito del terremoto che colpì la Valle del Belice nel gennaio 1968 o, secondo altre testimonianze, a causa di un fulmine che avrebbe colpito il monolito negli anni ’70 (secondo una voce popolare).
Ma lo Scuderi con il suo team di studio ha recuperato delle vecchie immagini aeree che erano state scattate dopo il sisma del 1968 che colpì la zona del Belice (confinante con la Valle dello Jato) e, in una di esse, è stato individuato il megalite Cozzo Perciata nella sua interezza. Ciò significa che fino ad allora era integro e che solo in seguito sia  franato probabilmente a causa delle lesioni o fratture subite dai movimenti tellurici.
È quindi rimasto il basamento e i suoi resti che sono sparsi nel suolo.

Il basamento della "Perciata".

Interessante che i locali appellino Cozzo Perciata “a petra unni nasci u soli(“la pietra dove nasce il sole”) perché qualche contadino ricorda ancora che quando il sole nasceva dentro quella roccia era tempo di mietere il grano: è una buona ragione per pensare che l’orientamento del foro di quel megalite fosse al solstizio estivo (tradizionalmente connesso con il raccolto).

Per fortuna è stato possibile dare corpo a questa ipotesi poiché in situ rimane metà del megalite ed è stato così possibile misurare la direzione del foro. E’ emerso che essa punta alla cima del Pizzo Pietralunga con un azimut di 60,6° e un’altezza sopra il piano orizzontale di 1,7°.
Gli studiosi visitarono le prima volta il Cozzo Perciata in occasione del tramonto al solstizio d’inverno del 2012.  Dalla campagna sottostante, ad Est del Cozzo Perciata, il tramonto era perfettamente inquadrabile nei resti della roccia forata “il cui asse si attesta attorno ai 60° di azimuth, corrispondenti alla nascita del sole sull’orizzonte al 21 giugno”.



In occasione del  solstizio d’estate 2013, il sopralluogo fu compiuto dai dott. A. Scuderi e F. Maurici.
“Intorno alle ore 5,30 il sole appena sorto, sfiorando la sommità di Pizzo Pietralonga, era inquadrato esattamente dal basamento superstite della seconda roccia forata di Cozzo Perciata.




Alcuni minuti più tardi, dai piedi del Cozzo, era nuovamente visibili il sorgere del sole fra i resti della roccia forata, nel punto esatto in cui essa è visibile nelle foto che ne rimane”.


Nel 1997 furono rinvenute nell’area di Cozzo Perciata dei frammenti ceramici che furono attribuiti all’Eneolitico e all’Età del Bronzo iniziale, in particolare alla “facies culturale” che è definita di San Cono – Piano Notaro e di Rodì – Tindari – Vallelunga.


 Ricerche successive, eseguite sia sul crinale che sul piano a Sud-Est, permisero di recuperare delle lame di selce e di ossidiana, frammento ceramici preistorici databili dal Neolitico finale fino al Bronzo Antico e qualche frammento sporadico attribuibile all’Età del Ferro. La zona  in cui furono rinvenuti i reperti era di circa 5000 mq e buona parte dell’area aveva da tempo subito interventi per l’utilizzazione agricola del suolo.



Fu anche rinvenuto “ il frammento di un bicchiere  campaniforme e un’innumerevole quantità di frammenti appartenenti alla cultura pre-Castellucciana e Castellucciana (Contrada Castelluccio – Noto ). 




A meno di 1 km da Cozzo Perciata, presso la fattoria omonima, fu rinvenuta una cavità artificiale dalla pianta quasi emisferica ( 5 m di diametro x 3,50 m d’altezza) con un foro circolare sommitale in parte murato artificialmente. Nella cavità s’accede attraverso un corridoio  esterno tagliato nella roccia ed un vano-porta dalla pianta quasi rettangolare.





All’esterno, al di sopra della cavità, sembra essere presente un segnacolo ed una piccola coppa ricavati nella roccia.



Naturalmente gli studi sono in pieno sviluppo, e riguardano anche la presenza di quattro curiosi fori  alla base SE di Pizzo Pietralunga, che delimitano una sorta di rettangolo. Individuati da A. Scuderi, i fori hanno dimensioni di 30 x 30 cm e una profondità di circa 20 cm; essi sono esattamente esposti all'alba del Solstizio d'invero ed è solo in quel giorno che vengono illuminati senza lasciare ombra al loro interno. Il Prof Polcaro sostiene che essi furono chiaramente realizzati da mano umana come “alloggiamenti” sostenenti un pannello (costituito da materiale deperibile, completamente scomparso) che fungeva da gnomone per determinare il giorno esatto del solstizio.



Nel sito di Monte Arcivocalotto, dove è presente la roccia forata ancora in piedi, è archeologicamente attestato un insediamento dell’Età del Rame/Bronzo Antico.
Tanto da Cozzo Perciata che da Monte Arcivocalotto rimane in vista il Pizzo Pietralunga, una straordinaria emergenza geologica che caratterizza il paesaggio a Sud del Monte Jato. Alle pendici di Pizzo Pietralunga ebbe sede un insediamento dell’Eneolotico/Bronzo Antico i cui materiali, secondo il compianto prof. Sebastiano Tusa indicavano una frequentazione di carattere cultuale e/o di scambio da parte delle popolazioni dell’area.
Le tre emergenze, roccia forata di Arcivocalotto, Pizzo Pietralunga e roccia forata di Cozzo Perciata sono collocate, con poco scarto (circa 5°) lungo la stessa linea retta.



Mediatori tra Terra e Cielo
Abbiamo dunque due “pietre forate”, orientate su due diversi e fondamentali momenti dell’anno: il Solstizio invernale (“U Campanaro”) e il Solstizio estivo (“Cozzo Perciata”).
Da quanto esposto finora, il megalite “U Campanaro” segnava anche in epoca preistorica l’inizio dell’allungamento del periodo di luce, poiché pur tenendo conto del fenomeno della precessione, vi è uno “scarto” di 2° rispetto alle misurazioni attuali. quindi irrisorio negli ultimi 5.000 anni.
 
Che significato aveva tutto ciò per  la cultura indigena?
Sole, Luna, Stelle hanno sempre rappresentato il modello celeste di ordine, armonia, equilibrio che si doveva rispecchiare in terra. Il moto apparente del Sole era garanzia del ritmico scorrere del tempo, della ciclicità degli eventi (il ripetersi del giorno e della notte, delle stagioni, degli anni, cioè di un “calendario”) sui quali armonizzare le attività umane. Non è da escludere, sempre secondo i ricercatori, che ulteriori studi possano individuare una correlazione anche con alcune stelle che erano prese a riferimento da una antica civiltà contadina stanziata in loco.
Il Solstizio invernale scandiva l’inizio di una nuova stagione connessa con la semina e il megalite diventava così uno strumento “magico” in grado di indicare esattamente il fenomeno solare da cui dipendevano basilari operazioni agricole legate alla sopravvivenza. Il sole era equiparato ad una divinità, il fecondatore della Madre Terra, la Grande Dea. Il megalite di pietra diventava mediatore tra Terra e Cielo,  il punto sacro e immobile intorno al quale ruotavano tutte le occupazioni della comunità.  Una comunità che, operando in conformità con i moti celesti, si sentiva tangibilmente parte di un Tutto. Va tenuto conto, infatti, che le attività terrene dei popoli dell’antichità erano sempre connesse o interconnesse con il piano celestiale/divino.
Forse non a caso l’area dell’Arcivocalotto è stata scelta come necropoli. La Soprintendenza individua l’uso del Campanaru come tomba tardo-romana, nelle cui vicinanze si trovavano altre sepolture intagliate della stessa epoca e successivamente franate.
(Secondo gli archeologi Sebastiano Tusa e Stefano Vassallo, “U Campanaru” non sarebbe un megalite ma una tomba ad arcosolio facente parte di una necropoli tardo-romana. Il foro attuale si sarebbe formato in seguito al crollo della parete di fondo del cubicolo  a causa di una frana. Alla base del “Campanaru” si trovano delle cavità intagliate dal contorno rettangolare ed arrotondato agli angoli, cavità che dovevano alloggiare sepolture di infanti. Altre tombe simili, anch’esse intagliate nella roccia, si trovano più a nord, sul ciglio del dirupo ed è probabile che vi siano state altre sepolture limitrofe che sono state distrutte dalle frane. La formazione del foro, secondo gli studiosi sarebbe quindi successiva al momento di utilizzazione delle tombe e quindi non ascrivibile, secondo i due studiosi, ad epoca preistorica).
Secondo la studiosa Marisa Uberti l’ipotesi, dell’uso funerario, andrebbe inquadrato e integrato con le scoperte archeoastronomiche degli ultimi due anni. Però l’utilizzo funerario di epoca tardo-romana potrebbe essere stato dettato proprio dalla presenza (già in situ probabilmente da secoli) della pietra bucata, la quale doveva essere già contornata di una valenza magico-sacrale e già era nota per l’allineamento astronomico che possedeva (anche in relazione con Pizzo Pietralunga e Cozzo Perciata). Del resto le prove archeologiche attestano un continuativo insediamento sull’Arcivocalotto dalla preistoria al XIII secolo.
Agricoltura e culto funerario trovano una coincidenza nell’ottica simbolica. Il seme piantato nella terra è paragonabile al rituale della inumazione dei defunti che vengono affidati ad essa, confidando nella rinascita. Seme ed essere umano condividono dunque lo stesso destino: maturano nell’invisibile, nascono, si sviluppano, invecchiano e vanno incontro a deiscenza, tornando entrambi alla terra che li ha generati. Il momento del Solstizio invernale era promessa di vita: quella che prodigiosamente sarebbe scaturita dal seme deposto nel campo che, pur sembrando inerte, sotto terra viveva. Allo stesso modo il culto dei morti si basava sulla credenza che una parte invisibile dell’uomo (spirito) continuasse a vivere in un piano o dimensione ultraterrena.
Allegoricamente, nel sito sacro del Campanaru si potevano anche rappresentare delle morti iniziatiche, che culminavano con il risveglio simbolico del soggetto in coincidenza con l’alba del Solstizio invernale (sono ipotesi perché sappiamo davvero pochissimo sulle credenze e sui culti delle civiltà rurali).
Trovandosi dinnanzi al megalite una cosa è certa e ho potuto sperimentarla: non si può restare indifferenti e l’Anima sembra volersi coniugare con l’infinito. Perché lassù, dal Campanaru, ogni cosa sembra avere un’anima eterna (a cominciare da esso stesso): la bellezza del paesaggio, i colori, il volo degli uccelli, le montagne, i fiumi, le vallate con le cascine che paiono minuscole, i piccoli laghetti azzurri, il passaggio delle nuvole, i fiori di campo, e poi Pizzo Pietralunga, inconfondibile, quasi materna, che sembra scambiare con i due opposti megaliti segnali d’intesa muti e millenari.
Suggestioni, impressioni, emozioni: non c’è unità di misura per questo sentire interiore, bisogna provarlo.
Se tutto sembra avere un’anima eterna, perché non estenderla all’uomo? Questo potrebbero aver pensato coloro che scelsero questo luogo come dimora ultraterrena.
Personalmente ritengo possibile che nel lettuccio concavo del Campanaru si svolgesse la parte più importante di una cerimonia legata al mondo agreste, al sole e alla rinascita.  Il monolite si presenta tra l’altro, a livello propriamente visivo, come una “porta” aperta su due mondi: forse temuta, forse oltrepassabile soltanto da alcune personalità ritenute degne, forse considerata abitabile solo dagli spiriti. Oppure usata come tomba, sepoltura temporanea, dove la salma veniva “caricata” di energia indispensabile al viaggio nell’oltretomba (tramite formule magiche, ad esempio) per poi essere definitivamente inumata. Non lo sappiamo, ma dobbiamo cercare di pensare non con la mente di moderni ricercatori bensì con quella di popolazioni lontane da noi secoli o millenni, che avevano una mentalità ben diversa.
E’ dal lettuccio, tra l’altro, che è ben visibile il tramonto del Sole al Solstizio estivo, dietro il Monte della Fiera”.

In primo piano, il lettuccio concavo. Dall’apertura si ha una splendida visuale sulla Valle dello Jato e dei rilievi che si trovano di fronte al “Campanaru” a Nord dove
è ben chiaro il Monte della Fiera

Il concetto di insuperabilità di certi limiti è ancora oggi in uso presso alcune popolazioni indigene. E’ il caso dello strabiliante e celeberrimo Rainbow Bridge (Ponte Arcobaleno), sul lago Powell, nella Riserva Indiana Navajo nello stato americano dello Utah. E’ il più grande ponte naturale del mondo, decretato Monumento Nazionale dal 1910; è costituito da un arco di roccia arenaria alto più di 80 metri, che delimita una gigantesca apertura. Viene appellato "Nonnoshoshi" dal popolo Navajo, cioè  "arcobaleno trasformato in pietra”. Riveste un profondo significato spirituale per i nativi ed è molto rispettato al punto che loro vietano di camminare oltre l’area di visualizzazione. Essendo divenuto nel tempo una grande attrazione turistica, i Navajo temono che la sacralità del luogo venga compromessa dal continuo passaggio dei visitatori (il gigante forato appartiene alla loro cosmogonia, ai loro culti ancestrali ed è considerato altamente sacro).



Il Rainbow Bridge dei Navajo





A Sochi, in Russia (Regione di Krasnodar), è documentato invece un tipo di sepoltura preistorica a dolmen, scolpita in un unico pezzo di arenaria, della quale si sa poco ma si tratterebbe dell’ultimo sopravvissuto dolmen-monolito del Caucaso Si chiama "Volkonskii dolmen" in onore della duchessa Volkonskaja, che pare trascorresse molto del proprio tempo a comunicare… spiritualmente con esso. La cosa interessante è che presenta un foro nella sua parte anteriore, dietro il quale si trova la camera interna (forse funeraria). Il monolito è stato lavorato in modo tale che la sua parete anteriore affronti il solstizio d'estate ed è probabile che dal foro entrasse un raggio di sole destinato ad un punto ben preciso dell’interno (dove c’era la salma?). Nonostante le dimensioni megalitiche del reperto, la camera ha dimensioni esigue (1, 5 m x 1 m), a circa 4 metri da terra è stata modellata una sorta di pedana, o “gradino-aggetto” nella roccia, forse per scopi deposizionali. Il monolito, che secondo gli studiosi può essere stato trasformato in un santuario per meditazioni ascetiche, risalirebbe all’Età del Bronzo. Anch’esso è contornato da leggende e dalla credenza popolare che emani particolari “energie”, che si acuirebbero soprattutto guardando attraverso il foro, dal quale è possibile sbirciare nella camera interna ma non si può entrare in essa (sebbene vi siano una porta e dei gradini scavati nella pietra). Questo reperto unico corre dei pericoli perché è già stato oggetto di atti vandalici.

Il Volkonskii dolmen

“Tornando al Monte Arcivocalotto, auspichiamo che vengano eseguiti mirati scavi archeologici intorno al perimetro sud del megalite “U Campanaru” e nell’area interessata dalla presenza dei piccoli menhirs: potrebbero fornire degli importanti tasselli ai fini della comprensione del significato simbolico di questo manufatto.
Cozzo Perciata è invece, come stabilito dal prof. Polcaro, allineata con l'alba del Solstizio estivo e dunque all’operazione del raccolto. Le informazioni disponibili su questo monumento sono ancora poche per potersi sbilanciare in ipotesi interpretative. Ciò che già è noto è che anche intorno a quell’area –come a Pietralunga – si trovasse un insediamento preistorico, che non venne mantenuto nelle epoche successive (come invece avvenne per il Monte Arcivocalotto, che venne abbandonato solo nel medioevo).
Pizzo Pietralunga, “U Campanaru” e Cozzo Perciata sarebbero pertanto siti collegati dal punto di vista insediamentale e archeoastronomico. Il prof. Polcaro, in base agli standard archeoastronomici, ritenne ragionevole l’ipotesi che i due megaliti siano stati appositamente lavorati dall’uomo preistorico per impiegarli come calendari solari connessi con il ciclo delle stagioni, poiché le probabilità che essi siano “casualmente” allineati con i solstizi, di cui abbiamo appena detto, è decisamente remota”.

 Petroglifi in cerca di decifrazione 

“Nella primavera del 2012 Alberto Scuderi individuò, nei pressi del Campanaru, un masso grossolanamente trapezoidale (fig.15), oggi conservato al Museo Civico di San Cipirello, un interessante Antiquarium che fa parte del percorso di visita al Parco Archeologico Valle dello Jato. Sul masso sono presenti delle profonde incisioni su una delle facce maggiori, che destano una certa perplessità perché non consentono una adeguata lettura, di conseguenza appare al momento difficile spingersi in una loro decifrazione.
Al momento è disponibile l’interpretazione che ne ha dato l’egittologo Gunther Holbl (Università di Vienna e curatore della collezione Egitto e Vicino Oriente del Kunsthistorisches Museum), il quale vi ha scorto una possibile scena di osservazione astronomica  e sostenendo, tra l’altro, la necessità di un  esame adeguato del reperto. Interessante sarebbe  la presenza, all’estrema sinistra, di una forma fallica che potrebbe riferirsi a Pizzo Pietralunga. Sul resto le ipotesi sono aperte.






In loco, invece, cioè nel sito di “U Camapanaru”, sulla superficie di uno sperone roccioso emergente sul lato nord, è visibile un incisione.
Chiaramente suscita le classiche domande a cui per ora non c’è risposta: di cosa si tratta? Quando è stata eseguita, da chi e perché?




Non resta che seguire ulteriori sviluppi di questa affascinante ricerca, che getta nuova luce sul fenomeno del megalitismo in una regione, la Sicilia, dove la letteratura ne ha sempre trascurato, se non negato, l’esistenza. Usando la cautela che sempre si impone in chi esegue ricerca con onestà di intenti,  sento di dover appoggiare il pensiero espresso dal prof. Ferdinando Maurici (Direttore del Parco Archeologico Valle dello Jato, Medievalista e docente Universitario) il quale, riferendosi a “U Campanaru” e a Cozzo Perciata ha  espresso l’auspicio che questi due monumenti possano figurare presto nei libri di preistoria e storia dell’arte e …. di archeoastronomia.


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La Relazione suscitò un vivace ed interessante dibattito tra gli archeologi ed il Dottore Stefano Vassallo, un noto archeologo con importanti ruoli ricoperti nella Soprintendenza di Palermo,
Il Dott. Vassallo pubblicò nel “Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo”, nel numero  29/2017, un articolo

ARCHEOLOGIE INVISIBILI NELLA PROVINCIA DI PALERMO

dove esprimeva i suoi pareri sul “Calendario astronomico di Monte Arcivocalotto”.
Riporto l’articolo del Dott. Vassallo perché penso che la cultura sia anche espressioni di opinioni diverse, che confrontate ed analizzate con imparzialità, hanno l’obiettivo di condurre alla verità delle cose.
Le ricerche storiche permettono la comprensione dell’ambiente in cui si vive e sono fondamentali per la formazione del senso di cittadinanza. Conoscere il passato costituisce una delle ragioni per non sentirsi estranei al luogo in cui si vive, creando anche un protagonismo finalizzato alla realizzazione di un responsabile senso di appartenenza al territorio. che ha come risvolti sociali una rinnovata partecipazione alla vista sociale del proprio territorio.
In questa visione storica anche il dibattito sugli aspetti storici di un territorio sono di grande importanza perché lo stesso territorio continuerà a vivere continuando a comunicare il proprio passato.
         
Tra i compiti delle Soprintendenze, insieme alla ricerca, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio archeologico, vi è quello di accertare, attraverso le specifiche competenze delle proprie figure tecniche, l’autenticità, l’importanza e le eventuali misure di protezione dei beni oggetto di recuperi occasionali, di sequestri, oppure di esprimersi in merito alla validità e all’interesse di nuovi siti segnalati da cittadini. Spetta infatti ai nostri uffici garantire, nei casi in cui ne venga accertato l’interesse archeologico, la salvaguardia dei beni e la loro valorizzazione, anche sostenendo iniziative e studi volti a questo fine. In un dialogo costruttivo e improntato alla reciproca fiducia tra cittadini e istituzione sono spesso state fatte segnalazioni di siti archeologici che hanno dato avvio a nuove ricerche o a percorsi di studio, arricchendo le conoscenze del nostro patrimonio culturale. Limitatamente alla provincia di Palermo, è noto come negli ultimi decenni validi professionisti di altre discipline, con grande capacità di metodo anche nel campo storicoarcheologico, abbiano collaborato con la Soprintendenza e siano stati considerati come punti di riferimento, per taluni aspetti, sui temi da loro segnalati. Basti ricordare, ad esempio, studiosi come Franco d’Angelo, con le sue ricerche legate alla ceramica o alla storia medievale di Palermo, oppure Gianfranco Purpura, nell'ambito delle ricerche subacquee o delle anfore da trasporto e degli stabilimenti di pesce della costa siciliana. Di recente, sono però sempre più frequenti nuove “scoperte” di cui si viene a sapere attraverso i più diversi canali di comunicazione, con richieste di pareri o di prese di posizione da parte nostra, anche in relazione ad eventuali vincoli o riconoscimenti che ne possano legittimarne la veridicità e l’importanza. Sempre, la Soprintendenza si è attivata, con sopralluoghi o attraverso lo studio della documentazione messa a disposizione, per verificare quanto proposto e insieme ai responsabili concordare le vie più idonee ad una loro valorizzazione, soprattutto in ordine alla tutela. Molte volte, però, si è trattato di scoperte che alla luce di una verifica sul terreno e di studi preliminari non sono state ritenute di interesse archeologico, o almeno le ipotesi fatte non sono condivisibili alla luce delle attuali conoscenze, né hanno raccolto il consenso da parte degli specialisti della materia. Considerato che i responsabili delle segnalazioni desiderano avere risposte, ritengo che in taluni dei casi più recenti, diventati argomento di dibattito pubblico, un riscontro possa essere dato in questo Notiziario, il cui scopo è di informare sullo stato delle ricerche archeologiche nella provincia di Palermo, discutendo anche di quelle scoperte da noi non condivise nella loro interpretazione storico/archeologica, sulle quali i cittadini possono chiedersi: cosa ne pensa la Soprintendenza ? È di tutta evidenza che da parte nostra non vi sia mai stato un atteggiamento precostituito di diffidenza o ancor più di disinteresse, dal momento che, qualora alla luce di riscontri diretti e di un ampio dibattito tra specialisti fosse riconosciuta la bontà di alcune di queste scoperte, saremmo i primi a sostenerne l’interesse e ad avviare tutti gli strumenti utili per valorizzarli, farli conoscere e soprattutto intraprendere azioni di tutela misurate all’importanza del bene da salvaguardare. Per questi motivi ritengo doveroso tornare su alcune di queste segnalazioni, in primo luogo nel rispetto verso coloro che le hanno fatte, poi per non ingenerare confusione su sensazionalistici rinvenimenti, entrati ormai a far parte di itinerari turistici o divulgati senza contraddittorio sul web. Nello specifico, limitatamente ai casi più eclatanti e che hanno avuto negli ultimi anni un certo seguito nei mass media, tratterò alcune testimonianze della provincia di Palermo sulle quali, allo stato attuale delle ricerche e delle conoscenze, non sembrano condivisibili le interpretazioni proposte. È altresì auspicabile che le opinioni qui espresse possano diventare argomento di confronti e di discussioni per ulteriori valutazioni e precisazioni sui temi proposti; peraltro, gran parte dei siti e dei monumenti oggetto di queste segnalazioni sono facilmente raggiungibili e possono da tutti essere visitati per ulteriori analisi e indagini”.

I presunti calendari archeo-astronomici solari preistorici del territorio di Monreale La presenza in provincia di Palermo di pietre forate, astronomicamente orientate, interpretate come calendari astronomici preistorici, è stata segnalata da diversi autori in varie riviste e sui siti web (11) In sostanza si tratta di due pietre, una situata sul Monte Arcivocalotto, l’altra a Cozzo Perciata, in territorio di Monreale, collegate secondo un preciso sistema di segni ed eventi di tipo astronomico. A – Arcivocalotto. In questo sito, noto da decenni per l'esistenza di insediamenti in vita da età preistorica a età medievale (12), la Soprintendenza ha effettuato un attento sopralluogo tecnico per valutare l’ipotesi della presenza di una pietra forata con funzione di calendario preistorico (fig. 6). Alla luce di questo sopralluogo, dell’analisi dei dati messi a disposizione dagli scopritori e da quanto da loro pubblicato, riteniamo che la pietra forata sia interpretabile come sepoltura ipogeica di età tardo antica; alla base interna del foro sono infatti presenti due fosse rettangolari, scavate nella roccia, di cui una parzialmente conservatasi a causa del distacco di parte della roccia di fondo (fig. 7), franata a valle, che ha determinato la presenza del foro interpretato come taglio artificiale connesso alla funzione di calendario astronomico (13) (fig. 8) Osservazioni più specifiche sono state oggetto di una relazione che appare superfluo riproporre in questa sede, trasmessa dalla Soprintendenza al proprio Assessorato, proprio per dirimere la questione. Infine va sottolineato che il sito di Monte Arcivocalotto, a prescindere dal presunto calendario astronomico, è sottoposto a vincolo ai sensi del codice dei beni culturali per l’interesse paesaggistico/archeologico. B – Cozzo Perciata. Su questo modesto rilievo, situato pochi chilometri a Sud/Ovest di Arcivocalotto, sarebbe esistita un’altra pietra, simile alla prima, che avrebbe avuto analoga funzione di calendario astronomico di età preistorica (14). Tale pietra, secondo gli scopritori, è andata distrutta da decenni a causa del terremoto della valle del Belice del 1968 o di un fulmine pochi anni dopo, l’unico elemento di verifica dell’esistenza e della funzione della pietra è affidato, pertanto, al ricordo di gente del luogo e a una fotografia (15).
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11 Da ultimo, con bibliografia precedente MAURICI et alii 2017. L’interpretazione di queste pietre come calendari è riferita in tanti siti del web, soprattutto di archeo-astronomia, facilmente consultabili e articoli vari; si ricordano alcuni dei principali: MERCADANTE 2011; MAURICI et alii 2014.
12 SCUDERI et alii 1997, pp. 115-123.
13 TUSA, VASSALLO 2012.
14 L’ipotesi sull’interesse archeo-astronomico di Cozzo Perciata è segnalato in MAURICI et alii 2017, pp. 37-47.
15 MAURICI et alii 2017, pp. 27-28.
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Fig. 6 La pietra forata di Arcivocalotto, veduta da Est

Fig. 7 La pietra di Arcivocalotto: parte posteriore dov’è evidente il distacco di parte della roccia, che ha probabilmente determinato il foro nella cavità della tomba tardo-antica

Dopo un’attenta analisi della foto, non siamo persuasi che essa restituisca l’evidenza certa dell'effettiva esistenza della pietra oggi perduta, dal momento che il confronto tra la foto scattata circa 50 anni fa e un'immagine recente solleva qualche dubbio circa la data della ripresa fotografica, per la persistenza di elementi vegetali (canne, alberi e piante di fichi d'India) che appaiono immutati, il che non si verificherebbe se tra le foto vi fossero diversi decenni di distanza (fig. 9). Sembrerebbe, piuttosto, che si tratti della stessa foto, o di due
fotogrammi ripresi nello stesso lasso di tempo, e la prima sia stata in qualche modo, ritoccata. Unico elemento differente è la presenza della pietra forata, ma anch’essa offre più dubbi che certezze. Anche in questo caso, come in quello già visto per le mani della grotta preistorica di Monte Gallo, coloro che ne hanno proposto la funzione di calendario astronomico, potrebbero essere stati ingannati da qualcuno che ha ritoccato tale foto; ci teniamo comunque a precisare che le nostre perplessità devono trovare conforto nell’analisi diretta della foto ritenuta degli anni sessanta/settanta dal momento che si dispone solo dell’immagine pubblicata, e in ogni caso la dovuta prudenza e il rispetto per ogni ipotesi di ricerca invitano a sospendere il giudizio, dato che ogni dubbio sulla fotografia andrebbe valutato da un esperto fotografo. In definitiva, allo stato attuale della ricerca, e certamente non soltanto in relazione alle incertezze della fotografia, si ritiene, come per Arcivocalotto, che non vi siano sufficienti elementi per assegnare alla pietra di Cozzo Perciata, documentata in foto, il valore così specifico e peculiare di calendario astronomico di età preistorica. Collegata con i presunti calendari astronomici è stata anche pubblicata una pietra informe (fig. 10), con spigoli arrotondati, di tenera roccia locale, rinvenuta in prossimità della pietra forata di Arcivocalotto, che secondo lo scopritore16 recherebbe segni incisi con diversi significati: figura astrale raggiata, simboli falliformi relativi ad un vicino monte o, forse, segni egittizzanti o orientalizzanti. Ad un’osservazione diretta riteniamo al momento probabile che si tratti di una pietra, non lavorata, sulla quale sono rimasti impressi, su più lati, i segni d
ei vomeri o di altri strumenti agricoli che per secoli hanno lavorato il terreno. Comunque, anche in questo caso, la pietra, conservata nell’Antiquarium di Iato di case D’Alia, può essere visionata da parte di chiunque ne faccia richiesta, per nuove osservazioni.





Fig. 9 Cozzo Perciata: in basso la foto pubblicata come ripresa degli anni 60 o primi 70, con la pietra forata oggi perduta. In alto la foto recente, in cui la pietra non esiste più. (MAURICI, SCUDERI, POLCARO 2017, fig. 27-29)


Fig. 10 la pietra informe rinvenuta in prossimità di Arcivocalotto. Si notano i segni incisi che hanno dato adito a svariate interpretazioni

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Immediata fu la replica dei Dott.ri Ferdinando Maurici e Alberto Scuderi.
Una replica apparsa sul “Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo”

(Riporto integralmente l’articolo per permetterne anche la conservazione in archivio dato che  i file, per vari motivi, spesso si perdono


































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Nel   Regno   degli Elimi – San Giuseppe  Jato e San Cipirello  (Palermo) - Un mondo tutto da scoprire con  tanti misteri.....




Indice:
1.      Gli Elimi (cenni)
2.      Il Santuario (Eremo) dei Santi Cosma e Damiano ; La Storia del Convento – La Chiesa – Gli Affreschi – L’Affresco  dell’Arcangelo Raffaele e Tobia  - L’episodio dell’Arcangelo Raffaele e di Tobia nell’Antico Testamento – L’Acqua Miracolosa  - Le Citazioni – Il Degrado
3.      Il Santuario di Maria SS. Della Provvidenza (Dammusi);
4.      Il Casale del Principe; Famiglia Galletti, Firmatura, Gesuti, Beccadelli
5.      Monte della Fiera  - Mulino del Principe
6.      Casale Pietralunga – Un ex Feudo dei Gesuiti

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