Nel Regno degli Elimi – San Giuseppe Jato e San Cipirello (Palermo) - “ U Campanaru” di Monte Arcivocalotto ....Un Preistorico Calendario Solare ?
(Tratto della Ricerca della Dott.ssa Marisa Uberti)
Il Monte Arcivocalotto è una collina di 570 m
s.l.m. posta sulle pendici meridionali
del Monte Jato. Il sito dovrebbe essere
pertinente al complesso archeologico di Pietralunga che si trova
sull’importante direttrice Rocca Busambra – Monte Jato.
Sulla sommità del monte è visibile, anche da lontano,
un manufatto roccioso che localmente è chiamato “U Campanaru”. Una roccia
arenaria emergente dalle argille del Flysch Numidico Oligo-miocenico, con
direzione Nord-Sud.
“U Campanaru” visto da Sud
Sul monte sono stati trovati dei reperti ceramici
risalenti al periodo Eneolitico (Età del Rame), all’Età del Bronzo e fu abitato
anche in epoca classica, romana e medievale.
Probabilmente il villaggio esistente fu abbandonato
nel 1246 quando Federico II di Svevia sconfisse la resistenza dei ribelli
musulmani. Un villaggio quindi islamico collegato alla Rocca di Entella e al
Monte Jato ?
La zona continuò ad essere frequentata con i pastori, che vi portano le greggi, e
con gli agricoltori che coltivano a cereali i terreni circostanti.
L’altura è sempre stata considerata come il centro
egemone dei territori circostanti. Pizzo Pietralunga, posto a circa 1,5 km di
distanza, dove furono rinvenuti importanti reperti preistorici, era
probabilmente collegato al sito.
La sua orografia è semplice dato che non presenta
punti inaccessibili , si erge solitaria e nelle vicinanze è presente una
sorgente.
È una grossa roccia arenaria larga circa 4 metri ed
alta circa 3 metri che presenta nella parte centrale un foro di circa 2 metri
di diametro. Lo spessore al suolo è di circa 1,5 metri.
Il soprannome (il campanile) ha delle origini
misteriose. La gente dice che una volta vi era appesa una campana all’interno o
che lo stesso megalite sia stato il campanile di una distrutta chiesa.
La sua posizione isolata lo rende visibile anche a
distanza e richiama alla mente la figura di un campanile di una chiesa posta in
un villaggio e che diventa punto di riferimento sia per gli abitanti che per
forestieri.
Ha una configurazione triangolare emergente sulla cima
del monte ed appartiene al costone roccioso che delimita a nord il rilievo del
monte. Oltre il limite del megalite c’è uno strapiombo di circa 100 metri che
termina in un pianoro sottostante dove fu trovata una tomba dell’Età del Rame
non violata.
“U Campanaru”
nella sua parte posteriore (Nord), dove la collina strapiomba verso
la Valle con un salto di un centinaio di metri
Su questo lato il monolite poggia su una piattaforma
residua che sembra perfettamente lavorata dall’uomo sulla quale è incisa una
quadruplice cinta. Un disegno costituito da quattro quadrati concentrici raccordati
da altrettanti segmenti perpendicolari. La misura del lato del quadrato più
esterno è di circa 40 cm.
La superficie della piattaforma è definita “gradino- aggetto”.
Il disegno dovrebbe appartenere alla categoria dei
tavolieri incisi come gioco del “filetto” o del “mulino”. Un disegno lasciato
da chi voleva semplicemente passare il tempo in un epoca imprecisata certamente
non preistorica ?
Tuttavia per giocare bastano tre quadrati concentrici
e gli esemplari con quattro cinte sono molto rari.
Dettaglio della
base rocciosa su cui sembra appoggiarsi il monolite. La freccia indica la
posizione della quadruplice cinta incisa sul “gradino-aggetto”, in posizione
orizzontale
La quadruplice cinta incisa sul gradino-aggetto
La particolare disposizione a strapiombo “del gioco” potrebbe far dubitare sul valore ludico, dato che a
disposizione c’erano delle porzioni di roccia meno pericolose e più assolate.
Una posizione che fu studiata dal prof. Vito Francesco
Polcaro in servizio presso l’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica
di Roma.
Il compianto Prof. V.F. Polcaro
Lo studio ha riguardato prima l’isolamento del
megalite che fu il risultato di ripetuti fenomeni di frana che minacciano
ancora la sua stabilità.
In origine poteva anche non essere presente il foro ma
uno strato compatto di roccia che poi è franato a valle, lasciando una sorta di
breccia nella parete.
La cultura antica ha così trovato il macigno e dopo
averlo lavorato e modellato, ha ricavato un foro di forma rotondeggiante e
scavato anche una nicchia, nella sua parte inferiore, forse a scopi
deposizionali dato che una persona di
media statura e peso vi entra comodamente.
L’autrice della ricerca distesa
nel lettuccio concavo situato nella parte inferiore del foro
Il
megalite fu lavorato in modo che il lato rivolto a sud assumesse
un’inclinazione di 75 gradi, rispetto all’orizzonte geografico, e quello a nord
rimanesse di circa 90 gradi.
Una
lavorazione eseguita nell’Età del Bronzo
?
“U Campanaru” visto da una modesta distanza e da ovest, posizione che
consente di apprezzarne l’inclinazione (sicuramente intenzionale, secondo
Scuderi e Polcaro)
Alla
base del monolito c’è una piattaforma rocciosa che reca due piccole fossette di
esigue dimensioni e diverse altre rocce emergono sul pianoro.
Trovarsi
di fronte a un simile megalite suscita sensazioni di mistero e immediate domande: da chi fu
prodotto ? Ha una sua funzione sacra ? Quale fu il suo utilizzo ? E’ legato ad
un fenomeno di erosione naturale ?
Nessuno
può risolvere con certezza questi enigmi anche se negli ultimi anni sono stati
condotti degli studi in merito.
Gli
studi hanno messo in evidenza come il megalite fosse orientato all’alba del
solstizio invernale. Lo scopo del megalite sarebbe quindi legato a un arcaico
calendario astronomico a fini pratici e rituali.
Attorno
vi erano dei piccoli menhir triangolari
di cui ne è visibile uno in posizione verticale.
Il dott. Alberto
Scuderi (Direttore del gruppo Archeologico "Valle dello Jato" e Archeologo) ritiene che i menhir dovevano essere molto di più e fare parte di un recinto , semicerchio che
delimitava l’area sacra e che era incentrata sul megalite stesso.
A
pochi metri dal monumento in direzione Sud Est si trova un altro probabile
menhir che fu atterrato da un trattore ed è probabile che nella sua posizione
originale potesse essere perfettamente allineato con l’asse del foro del
megalite.
La
forma di questo megalite ricorda in piccolo la morfologia di Pizzo Pietralunga.
Quest’ultimo potrebbe essere raffigurato tra l’altro su un masso inciso
ritrovato nei pressi del Campanaro.
Il
22 dicembre 2010 venne osservato per la prima volta il fenomeno solare da parte
di F. Mercadante, P. Lo Cascio e A. Scuderi.
“ alle 7.22 si era
constatato che la luce solare lambiva l’esterno della
parete occidentale
(in corrispondenza del “gradino-aggetto”) e lentamente
si spostava
all’interno del foro, culminando al centro alle 8.30 circa.
La luce solare
diretta è stata visibile attraverso il centro dell’asse del foro
per pochi minuti
(il sole permane per una mezz’ora in tutto, dentro
il foro, ma non
centrato).
Il fenomeno è
stato apprezzabile per un periodo di cinque giorni:
i due precedenti e
i due seguenti il 22 dicembre (centrato sul
solstizio
d’inverno).
Altre misurazioni
furono condotte il 23 giugno 2011, al Solstizio estivo,
usando una bussola
di precisione da rilevamento, corrette per la
declinazione
magnetica locale tramite misurazioni GPS delle
coordinate
geografiche (37°55’44’’N; 13°15’29’’E),
operando un
raffronto con le misurazioni delle direzioni dei punti
di riferimento
della cartografia IGM e immagini satellitari.
Tali analisi,
condotte dall’astrofisico prof. Polcaro, hanno
dimostrato che
l’asse del foro centrale del megalite ha un azimut pari a 133°
(più o meno 1°) e
un’inclinazione rispetto al piano orizzontale
di 15° (più o meno
1°).
Questo
orientamento dell’asse consente di osservare, dal piccolo
pianoro
sottostante, il Sole al centro del foro poco dopo essere sorto
al di sopra
dell’orizzonte geografico locale esattamente al Solstizio invernale
e solo in quel
periodo.
È stato pure
osservato che la traiettoria dei raggi solari in quell’istante
si riflette nelle
acque del fiume Jato (che in quel tratto assume la denominazione
dell’areale che
attraversa, cioè Pietralunga, pertanto può anche trovarsi
scritto “fiume
Pietralunga” ma trattasi sempre dello Jato).
I fenomeni
osservati sono documentati dai due grafici:
A
questo punto è opportuno ricordare la quadruplice cinta graffita sul
gradino-aggetto del megalite la quale assume un importanza rilevante secondo il
prof. Polcaro:
“ è orientata
esattamente come l’asse del megalite: è dunque connessa ad esso
ed orientata in
direzione dell’alba del solstizio d’inverno.
Questo petroglifo
permette quindi a chi si trova vicino al monolito di
determinare con
una maggiore precisione che i raggi del Sole nascente
al solstizio
d’inverno provengano effettivamente dalla direzione che
caratterizza
questa data: esso può quindi essere utilizzato come uno
“strumento di
misura fine” che permette di determinare con maggiore precisione il
Giorno esatto del
solstizio d’inverno”.
L’uso
calendariale di “U Campanaru” è da fare risalire all’Età del Bronzo ed anche la
quadruplice cinta è da considerarsi coeva, tuttavia qui si
pone un dilemma poiché le incisioni
geometriche di questo tipi si datano al massimo alla fine dell’Età del Ferro.
È quanto un aspetto che ancora non è stato risolto
dato anche se è probabile che sia stata incisa in epoca posteriore (romana o
medievale).
La questione della casualità o dell’intenzionalità
dell’allineamento del megalite “U Campanaro” è stato uno dei temi affrontati
nella relazione presentata nel settembre 2012 a Lubiana (Slovenia) durante il
Simposio del SEAC dal prof. Polcaro.
Egli ha preso in considerazione le “linee-guida” (protocollo) tracciate da
Schaefer il quale suggerì almeno due - tre
condizioni che possano soddisfare l’intenzionalità di un allineamento
astronomico e che sono state ampiamente accettate dalla comunità scientifica:
-
deve essere statisticamente
significativo, almeno a 3 σ sopra l'ipotesi nulla (l'orientamento casuale) (
dove σ è la “deviazione standard”;
-
devono essere presenti prove archeologiche di
intenzionalità
-
devono essere presenti evidenze etnografiche o
paletnologiche del valore simbolico che quel determinato allineamento comporta
Il prof. Polcaro ritiene che “U Campanaru” soddisfi
tutti questi punti. Per quanto riguarda il primo, le probabilità di trovare in
un monumento un singolo allineamento con un azimut corrispondente (entro più o
meno 1°) ad una delle otto direzioni solari significative e conosciute in ogni
cultura (le quattro direzioni cardinali e le quattro direzioni delle albe e dei
tramonti ai solstizi invernale ed estivo) è di 1/22 rispetto all’ipotesi nulla,
cioè sull’orientamento casuale (2.08 σ statistiche Gaussiane). L’astrofisico
aggiunge che, nel caso in oggetto, il fenomeno si verifica soltanto perché – al
momento del passaggio del sole all’azimut dell’asse del monolite - il sole ha
anche l’altezza (rispetto all’orizzonte) uguale a quella dell’asse stesso (la
probabilità che ciò avvenga casualmente è 1/45 corrispondente, nella statistica
Gaussiana, a circa 2,5 σ ). La probabilità che questi due eventi indipendenti
si verifichino “per caso” è di 1/1000 (3, 25 σ, che è superiore alla soglia
accettata di significatività).
In merito al secondo punto, le dimostrazioni
archeologiche di intenzionalità sono molte, sostiene il prof. Polcaro, partendo
dal fatto che la pietra forata sia stata lavorata per ottenere appositamente l’orientazione
dell’asse del foro e fa ulteriormente notare la presenza dell’incisione a
quadruplice cinta con il medesimo orientamento.
In relazione all’ultimo punto, pur essendo difficile
trovare prove concrete sul valore simbolico che il megalite può avere rivestito
in epoca arcaica, è significativo che i testimoni riferiscano che il luogo
del Campanaru è sempre stato ritenuto sacro e magico, come
dimostrano le leggende intorno al suo nome, che immaginano il megalite come il
campanile di una distrutta chiesa, che suonava solo in giorni speciali,
ascrivendo così al megalite stesso un ruolo mistico.
Se le condizioni sembrano essere soddisfatte nel caso
in oggetto, come ritiene il prof. Polcaro, la domanda che sorge spontanea,
stimolata dall’ultimo punto, è: perché una cultura preistorica (che ancora ci è
ignota) ha lavorato artificialmente il megalite?
Una
lettura allargata: l’attenzione verso Pizzo Pietralunga e Cozzo Perciata
Il prof. Polcaro ha osservato che nel giorno del
Solstizio d’inverno, alla stessa ora in cui il Sole appare al centro del foro,
l’astro ha un’altezza sull’orizzonte tale da lambire esattamente la punta del
Pizzo Pietralunga, la singolare roccia isolata che si eleva per 150 metri in
altezza sopra la Valle del fiume Belice Destro, che si stende ai piedi del
Monte Arcivocalotto (a meridione). La roccia rivestì sicuramente un valore
sacrale per le antiche popolazioni ivi stanziate, come dimostrerebbe il
materiale fittile rinvenuto nell’area.
Pizzo Pietralunga
I due siti (Camapanaru e Pizzo Pietralunga)
potrebbero essere collegati dunque non solo dal punto di vista archeologico ma
anche astronomico. A ciò si aggiunge la presenza, tra San Cipirello e
Camporeale, di un secondo megalite forato, chiamato Cozzo Perciata (che
significa roccia bucata) ma anche “U Campanaru ra Pirciata”, che si
trova a circa otto chilometri di distanza da “U Campanaru”.
Pizzo Pietralunga viene così a trovarsi interposta tra
i due megaliti, che sono entrambi visibili dal pinnacolo: tre strutture si trovano sulla medesima linea
retta.
Cozzo Perciata fa parte di una serie di arenarie
ocracea, emergenti dalle argille del Flysch Numidico Oligo-Miocenico, con
direzione Nord-Sud, che giungono ad una quota di 475 m s.l.m. nella parte
sommitale. Il suo aspetto geomorfologico evidenzia una serie di piccole
spianate o terrazze argillose, seguite da strati - pareti di arenaria tenera,
il cui andamento ondulare può arrivare a curve accentuate, poste a ve
accentuate, poste a 45° sui terrazzamenti.
Cozzo Perciata in una immagine d’epoca, quando la “Perciata” era ancora integra
La configurazione del sito di “Cozzo
Perciata”
Identificare sulla ripresa area la base del “ U Campanaru di ra Pirciata”
non
è facile. Dovrebbe trovarsi in quella zona che è stata cerchiata in giallo.
Questo secondo monolito forato si presenta
sfortunatamente frantumato: non è quindi più visibile il foro centrale,
essendone crollata la metà.
Un crollo a seguito del terremoto che colpì la Valle
del Belice nel gennaio 1968 o, secondo altre testimonianze, a causa di un
fulmine che avrebbe colpito il monolito negli anni ’70 (secondo una voce
popolare).
Ma lo Scuderi con il suo team di studio ha recuperato
delle vecchie immagini aeree che erano state scattate dopo il sisma del 1968
che colpì la zona del Belice (confinante con la Valle dello Jato) e, in una di
esse, è stato individuato il megalite Cozzo Perciata nella sua
interezza. Ciò significa che fino ad allora era integro e che solo in seguito
sia franato probabilmente a causa delle
lesioni o fratture subite dai movimenti tellurici.
È quindi rimasto il basamento e i suoi resti che sono
sparsi nel suolo.
Il basamento della "Perciata".
Interessante che i locali appellino Cozzo Perciata “a
petra unni nasci u soli” (“la pietra dove nasce il sole”) perché
qualche contadino ricorda ancora che quando il sole nasceva dentro
quella roccia era tempo di mietere il grano: è una buona ragione per
pensare che l’orientamento del foro di quel megalite fosse al solstizio estivo
(tradizionalmente connesso con il raccolto).
Per fortuna è stato possibile dare corpo a questa
ipotesi poiché in situ rimane metà del megalite ed è stato così possibile
misurare la direzione del foro. E’ emerso che essa punta alla cima del Pizzo
Pietralunga con un azimut di 60,6° e un’altezza sopra il piano orizzontale di
1,7°.
Gli studiosi visitarono le prima volta il Cozzo
Perciata in occasione del tramonto al solstizio d’inverno del 2012. Dalla campagna sottostante, ad Est del Cozzo
Perciata, il tramonto era perfettamente inquadrabile nei resti della roccia
forata “il cui asse si attesta attorno ai 60° di azimuth, corrispondenti
alla nascita del sole sull’orizzonte al 21 giugno”.
In occasione del
solstizio d’estate 2013, il sopralluogo fu compiuto dai dott. A. Scuderi
e F. Maurici.
“Intorno alle ore 5,30 il sole appena sorto, sfiorando
la sommità di Pizzo Pietralonga, era inquadrato esattamente dal basamento
superstite della seconda roccia forata di Cozzo Perciata.
Alcuni minuti più tardi, dai piedi del Cozzo, era
nuovamente visibili il sorgere del sole fra i resti della roccia forata, nel
punto esatto in cui essa è visibile nelle foto che ne rimane”.
Nel 1997 furono rinvenute nell’area di Cozzo Perciata
dei frammenti ceramici che furono attribuiti all’Eneolitico e all’Età del
Bronzo iniziale, in particolare alla “facies culturale” che è definita di San
Cono – Piano Notaro e di Rodì – Tindari – Vallelunga.
Ricerche
successive, eseguite sia sul crinale che sul piano a Sud-Est, permisero di
recuperare delle lame di selce e di ossidiana, frammento ceramici preistorici
databili dal Neolitico finale fino al Bronzo Antico e qualche frammento
sporadico attribuibile all’Età del Ferro. La zona in cui furono rinvenuti i reperti era di
circa 5000 mq e buona parte dell’area aveva da tempo subito interventi per
l’utilizzazione agricola del suolo.
Fu anche rinvenuto “ il frammento di un bicchiere campaniforme e un’innumerevole quantità di
frammenti appartenenti alla cultura pre-Castellucciana e Castellucciana
(Contrada Castelluccio – Noto ).
A meno di 1 km da Cozzo Perciata, presso la fattoria
omonima, fu rinvenuta una cavità artificiale dalla pianta quasi emisferica ( 5
m di diametro x 3,50 m d’altezza) con un foro circolare sommitale in parte
murato artificialmente. Nella cavità s’accede attraverso un corridoio esterno tagliato nella roccia ed un
vano-porta dalla pianta quasi rettangolare.
All’esterno, al di sopra della cavità, sembra essere
presente un segnacolo ed una piccola coppa ricavati nella roccia.
Naturalmente gli studi sono in pieno sviluppo, e
riguardano anche la presenza di quattro curiosi fori alla base SE di
Pizzo Pietralunga, che delimitano una sorta di rettangolo. Individuati da A. Scuderi,
i fori hanno dimensioni di 30 x 30 cm e una profondità di circa 20 cm; essi
sono esattamente esposti all'alba del Solstizio d'invero ed è solo in quel
giorno che vengono illuminati senza lasciare ombra al loro interno. Il Prof
Polcaro sostiene che essi furono chiaramente realizzati da mano umana come
“alloggiamenti” sostenenti un pannello (costituito da materiale deperibile,
completamente scomparso) che fungeva da gnomone per determinare il giorno
esatto del solstizio.
Nel sito di Monte Arcivocalotto, dove è presente la
roccia forata ancora in piedi, è archeologicamente attestato un insediamento
dell’Età del Rame/Bronzo Antico.
Tanto da Cozzo Perciata che da Monte Arcivocalotto
rimane in vista il Pizzo Pietralunga, una straordinaria emergenza geologica che
caratterizza il paesaggio a Sud del Monte Jato. Alle pendici di Pizzo
Pietralunga ebbe sede un insediamento dell’Eneolotico/Bronzo Antico i cui
materiali, secondo il compianto prof. Sebastiano Tusa indicavano una
frequentazione di carattere cultuale e/o di scambio da parte delle popolazioni
dell’area.
Le tre emergenze, roccia forata di Arcivocalotto,
Pizzo Pietralunga e roccia forata di Cozzo Perciata sono collocate, con poco
scarto (circa 5°) lungo la stessa linea retta.
Mediatori tra Terra e Cielo
Abbiamo dunque due “pietre forate”, orientate su due
diversi e fondamentali momenti dell’anno: il Solstizio invernale (“U
Campanaro”) e il Solstizio estivo (“Cozzo Perciata”).
Da quanto esposto finora, il megalite “U Campanaro” segnava
anche in epoca preistorica l’inizio dell’allungamento del periodo di luce,
poiché pur tenendo conto del fenomeno della precessione, vi è uno
“scarto” di 2° rispetto alle misurazioni attuali. quindi irrisorio negli ultimi
5.000 anni.
Che significato aveva tutto ciò per la cultura
indigena?
Sole, Luna, Stelle hanno sempre rappresentato il
modello celeste di ordine, armonia, equilibrio che si doveva rispecchiare in
terra. Il moto apparente del Sole era garanzia del ritmico scorrere del tempo,
della ciclicità degli eventi (il ripetersi del giorno e della notte, delle
stagioni, degli anni, cioè di un “calendario”) sui quali armonizzare le
attività umane. Non è da escludere, sempre secondo i ricercatori, che ulteriori
studi possano individuare una correlazione anche con alcune stelle che erano
prese a riferimento da una antica civiltà contadina stanziata in loco.
Il Solstizio invernale scandiva l’inizio di una nuova
stagione connessa con la semina e il megalite diventava così uno strumento
“magico” in grado di indicare esattamente il fenomeno solare da cui dipendevano
basilari operazioni agricole legate alla sopravvivenza. Il sole era equiparato
ad una divinità, il fecondatore della Madre Terra, la Grande Dea. Il megalite
di pietra diventava mediatore tra Terra e Cielo, il punto sacro e
immobile intorno al quale ruotavano tutte le occupazioni della comunità.
Una comunità che, operando in conformità con i moti celesti, si sentiva
tangibilmente parte di un Tutto. Va tenuto conto, infatti, che le attività terrene
dei popoli dell’antichità erano sempre connesse o interconnesse con il piano
celestiale/divino.
Forse non a caso l’area dell’Arcivocalotto è stata
scelta come necropoli. La Soprintendenza individua l’uso del Campanaru come
tomba tardo-romana, nelle cui vicinanze si trovavano altre sepolture intagliate
della stessa epoca e successivamente franate.
(Secondo gli archeologi Sebastiano Tusa e Stefano
Vassallo, “U Campanaru” non sarebbe un megalite ma una tomba ad arcosolio
facente parte di una necropoli tardo-romana. Il foro attuale si sarebbe formato
in seguito al crollo della parete di fondo del cubicolo a causa di una frana. Alla base del
“Campanaru” si trovano delle cavità intagliate dal contorno rettangolare ed
arrotondato agli angoli, cavità che dovevano alloggiare sepolture di infanti.
Altre tombe simili, anch’esse intagliate nella roccia, si trovano più a nord,
sul ciglio del dirupo ed è probabile che vi siano state altre sepolture
limitrofe che sono state distrutte dalle frane. La formazione del foro, secondo
gli studiosi sarebbe quindi successiva al momento di utilizzazione delle tombe
e quindi non ascrivibile, secondo i due studiosi, ad epoca preistorica).
Secondo la studiosa Marisa Uberti l’ipotesi,
dell’uso funerario, andrebbe inquadrato e integrato con le scoperte
archeoastronomiche degli ultimi due anni. Però l’utilizzo funerario di epoca
tardo-romana potrebbe essere stato dettato proprio dalla presenza (già in
situ probabilmente da secoli) della pietra bucata, la
quale doveva essere già contornata di una valenza magico-sacrale e già era nota
per l’allineamento astronomico che possedeva (anche in relazione con Pizzo
Pietralunga e Cozzo Perciata). Del resto le prove archeologiche attestano un
continuativo insediamento sull’Arcivocalotto dalla preistoria al XIII secolo.
Agricoltura e culto funerario trovano una coincidenza
nell’ottica simbolica. Il seme piantato nella terra è paragonabile al rituale
della inumazione dei defunti che vengono affidati ad essa, confidando nella
rinascita. Seme ed essere umano condividono dunque lo stesso destino: maturano
nell’invisibile, nascono, si sviluppano, invecchiano e vanno incontro a
deiscenza, tornando entrambi alla terra che li ha generati. Il momento del
Solstizio invernale era promessa di vita: quella che prodigiosamente sarebbe
scaturita dal seme deposto nel campo che, pur sembrando inerte, sotto terra
viveva. Allo stesso modo il culto dei morti si basava sulla credenza che una
parte invisibile dell’uomo (spirito) continuasse a vivere in un piano o dimensione
ultraterrena.
Allegoricamente, nel sito sacro del Campanaru si
potevano anche rappresentare delle morti iniziatiche, che culminavano con il
risveglio simbolico del soggetto in coincidenza con l’alba del Solstizio
invernale (sono ipotesi perché sappiamo davvero pochissimo sulle credenze e sui
culti delle civiltà rurali).
“Trovandosi dinnanzi al megalite una cosa è certa e
ho potuto sperimentarla: non si può restare indifferenti e l’Anima sembra
volersi coniugare con l’infinito. Perché lassù, dal Campanaru, ogni
cosa sembra avere un’anima eterna (a cominciare da esso stesso): la bellezza
del paesaggio, i colori, il volo degli uccelli, le montagne, i fiumi, le
vallate con le cascine che paiono minuscole, i piccoli laghetti azzurri, il
passaggio delle nuvole, i fiori di campo, e poi Pizzo Pietralunga,
inconfondibile, quasi materna, che sembra scambiare con i due opposti megaliti
segnali d’intesa muti e millenari.
Suggestioni, impressioni, emozioni: non c’è unità di
misura per questo sentire interiore, bisogna provarlo.
Se tutto sembra avere un’anima eterna, perché non
estenderla all’uomo? Questo potrebbero aver pensato coloro che scelsero questo
luogo come dimora ultraterrena.
Personalmente ritengo possibile che
nel lettuccio concavo del Campanaru si svolgesse la parte più
importante di una cerimonia legata al mondo agreste, al sole e alla
rinascita. Il monolite si presenta tra l’altro, a livello propriamente
visivo, come una “porta” aperta su due mondi: forse temuta, forse
oltrepassabile soltanto da alcune personalità ritenute degne, forse considerata
abitabile solo dagli spiriti. Oppure usata come tomba, sepoltura temporanea,
dove la salma veniva “caricata” di energia indispensabile al viaggio
nell’oltretomba (tramite formule magiche, ad esempio) per poi essere
definitivamente inumata. Non lo sappiamo, ma dobbiamo cercare di pensare non
con la mente di moderni ricercatori bensì con quella di popolazioni lontane da
noi secoli o millenni, che avevano una mentalità ben diversa.
E’ dal lettuccio, tra l’altro, che è ben visibile
il tramonto del Sole al Solstizio estivo, dietro il Monte della Fiera”.
In primo piano, il lettuccio concavo. Dall’apertura si ha una
splendida visuale sulla Valle dello Jato e dei rilievi che si trovano di fronte
al “Campanaru” a Nord dove
è ben chiaro il Monte della Fiera
Il concetto di insuperabilità di
certi limiti è ancora oggi in uso presso alcune popolazioni indigene. E’ il
caso dello strabiliante e celeberrimo Rainbow Bridge (Ponte
Arcobaleno), sul lago Powell, nella Riserva Indiana Navajo nello stato
americano dello Utah. E’ il più grande ponte naturale del mondo, decretato
Monumento Nazionale dal 1910; è costituito da un arco di roccia arenaria alto
più di 80 metri, che delimita una gigantesca apertura. Viene appellato
"Nonnoshoshi" dal popolo Navajo, cioè "arcobaleno
trasformato in pietra”. Riveste un profondo significato spirituale per i nativi
ed è molto rispettato al punto che loro vietano di camminare oltre l’area di
visualizzazione. Essendo divenuto nel tempo una grande attrazione turistica, i
Navajo temono che la sacralità del luogo venga compromessa dal continuo
passaggio dei visitatori (il gigante forato appartiene alla loro cosmogonia, ai
loro culti ancestrali ed è considerato altamente sacro).
A Sochi, in Russia (Regione di Krasnodar), è
documentato invece un tipo di sepoltura preistorica a dolmen,
scolpita in un unico pezzo di arenaria, della quale si sa poco ma si
tratterebbe dell’ultimo sopravvissuto dolmen-monolito del Caucaso Si chiama
"Volkonskii dolmen" in onore della duchessa Volkonskaja, che pare
trascorresse molto del proprio tempo a comunicare… spiritualmente con esso. La
cosa interessante è che presenta un foro nella sua parte anteriore, dietro il
quale si trova la camera interna (forse funeraria). Il monolito è stato
lavorato in modo tale che la sua parete anteriore affronti il solstizio
d'estate ed è probabile che dal foro entrasse un raggio di sole destinato ad un
punto ben preciso dell’interno (dove c’era la salma?). Nonostante le dimensioni
megalitiche del reperto, la camera ha dimensioni esigue (1, 5 m x 1 m), a circa
4 metri da terra è stata modellata una sorta di pedana, o “gradino-aggetto”
nella roccia, forse per scopi deposizionali. Il monolito, che secondo gli studiosi
può essere stato trasformato in un santuario per meditazioni ascetiche,
risalirebbe all’Età del Bronzo. Anch’esso è contornato da leggende e dalla
credenza popolare che emani particolari “energie”, che si acuirebbero
soprattutto guardando attraverso il foro, dal quale è possibile sbirciare nella
camera interna ma non si può entrare in essa (sebbene vi siano una porta e dei
gradini scavati nella pietra). Questo reperto unico corre dei pericoli perché è
già stato oggetto di atti vandalici.
Il Volkonskii dolmen
“Tornando al Monte Arcivocalotto, auspichiamo che
vengano eseguiti mirati scavi archeologici intorno al perimetro sud del
megalite “U Campanaru” e nell’area interessata dalla presenza dei
piccoli menhirs: potrebbero fornire degli importanti tasselli ai fini
della comprensione del significato simbolico di questo manufatto.
Cozzo Perciata è invece, come stabilito dal prof.
Polcaro, allineata con l'alba del Solstizio estivo e dunque all’operazione
del raccolto. Le informazioni disponibili su questo monumento sono ancora poche
per potersi sbilanciare in ipotesi interpretative. Ciò che già è noto è che
anche intorno a quell’area –come a Pietralunga – si trovasse un insediamento
preistorico, che non venne mantenuto nelle epoche successive (come invece
avvenne per il Monte Arcivocalotto, che venne abbandonato solo nel medioevo).
Pizzo Pietralunga, “U Campanaru” e Cozzo Perciata
sarebbero pertanto siti collegati dal punto di vista insediamentale e
archeoastronomico. Il prof. Polcaro, in base agli standard archeoastronomici,
ritenne ragionevole l’ipotesi che i due megaliti siano stati appositamente
lavorati dall’uomo preistorico per impiegarli come calendari solari connessi
con il ciclo delle stagioni, poiché le probabilità che essi siano “casualmente”
allineati con i solstizi, di cui abbiamo appena detto, è decisamente remota”.
Petroglifi in cerca di decifrazione
“Nella primavera del 2012 Alberto Scuderi individuò,
nei pressi del Campanaru, un masso grossolanamente trapezoidale
(fig.15), oggi conservato al Museo Civico di San Cipirello, un
interessante Antiquarium che fa parte del percorso di visita
al Parco Archeologico Valle dello Jato. Sul masso sono presenti delle
profonde incisioni su una delle facce maggiori, che destano una certa
perplessità perché non consentono una adeguata lettura, di conseguenza appare
al momento difficile spingersi in una loro decifrazione.
Al momento è disponibile l’interpretazione che ne ha
dato l’egittologo Gunther Holbl (Università di Vienna e curatore della
collezione Egitto e Vicino Oriente del Kunsthistorisches Museum), il quale vi
ha scorto una possibile scena di osservazione astronomica e sostenendo, tra l’altro, la necessità di
un esame adeguato del reperto. Interessante
sarebbe la presenza, all’estrema
sinistra, di una forma fallica che potrebbe riferirsi a Pizzo Pietralunga. Sul
resto le ipotesi sono aperte.
In loco, invece, cioè nel sito di “U Camapanaru”,
sulla superficie di uno sperone roccioso emergente sul lato nord, è visibile un
incisione.
Chiaramente suscita le classiche domande a cui per ora
non c’è risposta: di cosa si tratta? Quando è stata eseguita, da chi e perché?
Non resta che seguire ulteriori sviluppi di questa
affascinante ricerca, che getta nuova luce sul fenomeno del megalitismo in una
regione, la Sicilia, dove la letteratura ne ha sempre trascurato, se non
negato, l’esistenza. Usando la cautela che sempre si impone in chi esegue
ricerca con onestà di intenti, sento di dover appoggiare il pensiero
espresso dal prof. Ferdinando Maurici (Direttore del Parco Archeologico Valle
dello Jato, Medievalista e docente Universitario) il quale, riferendosi a “U
Campanaru” e a Cozzo Perciata ha espresso l’auspicio che questi due
monumenti possano figurare presto nei libri di preistoria e storia dell’arte e
…. di archeoastronomia.
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La Relazione suscitò un vivace ed interessante
dibattito tra gli archeologi ed il Dottore Stefano Vassallo, un noto archeologo
con importanti ruoli ricoperti nella Soprintendenza di Palermo,
Il Dott. Vassallo pubblicò nel “Notiziario
Archeologico della Soprintendenza di Palermo”, nel numero 29/2017, un articolo
ARCHEOLOGIE
INVISIBILI NELLA PROVINCIA DI PALERMO
dove esprimeva i suoi pareri sul “Calendario
astronomico di Monte Arcivocalotto”.
Riporto l’articolo del Dott. Vassallo perché penso che
la cultura sia anche espressioni di opinioni diverse, che confrontate ed
analizzate con imparzialità, hanno l’obiettivo di condurre alla verità delle
cose.
Le ricerche storiche permettono la comprensione dell’ambiente
in cui si vive e sono fondamentali per la formazione del senso di cittadinanza.
Conoscere il passato costituisce una delle ragioni per non sentirsi estranei al
luogo in cui si vive, creando anche un protagonismo finalizzato alla
realizzazione di un responsabile senso di appartenenza al territorio. che ha
come risvolti sociali una rinnovata partecipazione alla vista sociale del
proprio territorio.
In questa visione storica anche il dibattito sugli
aspetti storici di un territorio sono di grande importanza perché lo stesso
territorio continuerà a vivere continuando a comunicare il proprio passato.
Tra
i compiti delle Soprintendenze, insieme alla ricerca, alla tutela e alla
valorizzazione del patrimonio archeologico, vi è quello di accertare, attraverso
le specifiche competenze delle proprie figure tecniche, l’autenticità,
l’importanza e le eventuali misure di protezione dei beni oggetto di recuperi
occasionali, di sequestri, oppure di esprimersi in merito alla validità e
all’interesse di nuovi siti segnalati da cittadini. Spetta infatti ai nostri
uffici garantire, nei casi in cui ne venga accertato l’interesse archeologico,
la salvaguardia dei beni e la loro valorizzazione, anche sostenendo iniziative e
studi volti a questo fine. In un dialogo costruttivo e improntato alla
reciproca fiducia tra cittadini e istituzione sono spesso state fatte
segnalazioni di siti archeologici che hanno dato avvio a nuove ricerche o a
percorsi di studio, arricchendo le conoscenze del nostro patrimonio culturale.
Limitatamente alla provincia di Palermo, è noto come negli ultimi decenni
validi professionisti di altre discipline, con grande capacità di metodo anche
nel campo storicoarcheologico, abbiano collaborato con la Soprintendenza e
siano stati considerati come punti di riferimento, per taluni aspetti, sui temi
da loro segnalati. Basti ricordare, ad esempio, studiosi come Franco d’Angelo,
con le sue ricerche legate alla ceramica o alla storia medievale di Palermo,
oppure Gianfranco Purpura, nell'ambito delle ricerche subacquee o delle anfore
da trasporto e degli stabilimenti di pesce della costa siciliana. Di recente,
sono però sempre più frequenti nuove “scoperte” di cui si viene a sapere
attraverso i più diversi canali di comunicazione, con richieste di pareri o di prese
di posizione da parte nostra, anche in relazione ad eventuali vincoli o
riconoscimenti che ne possano legittimarne la veridicità e l’importanza.
Sempre, la Soprintendenza si è attivata, con sopralluoghi o attraverso lo
studio della documentazione messa a disposizione, per verificare quanto
proposto e insieme ai responsabili concordare le vie più idonee ad una loro
valorizzazione, soprattutto in ordine alla tutela. Molte volte, però, si è
trattato di scoperte che alla luce di una verifica sul terreno e di studi
preliminari non sono state ritenute di interesse archeologico, o almeno le
ipotesi fatte non sono condivisibili alla luce delle attuali conoscenze, né
hanno raccolto il consenso da parte degli specialisti della materia.
Considerato che i responsabili delle segnalazioni desiderano avere risposte,
ritengo che in taluni dei casi più recenti, diventati argomento di dibattito
pubblico, un riscontro possa essere dato in questo Notiziario, il cui scopo è
di informare sullo stato delle ricerche archeologiche nella provincia di
Palermo, discutendo anche di quelle scoperte da noi non condivise nella loro
interpretazione storico/archeologica, sulle quali i cittadini possono
chiedersi: cosa ne pensa la Soprintendenza ? È di tutta evidenza che da parte
nostra non vi sia mai stato un atteggiamento precostituito di diffidenza o
ancor più di disinteresse, dal momento che, qualora alla luce di riscontri
diretti e di un ampio dibattito tra specialisti fosse riconosciuta la bontà di
alcune di queste scoperte, saremmo i primi a sostenerne l’interesse e ad
avviare tutti gli strumenti utili per valorizzarli, farli conoscere e
soprattutto intraprendere azioni di tutela misurate all’importanza del bene da
salvaguardare. Per questi motivi ritengo doveroso tornare su alcune di queste
segnalazioni, in primo luogo nel rispetto verso coloro che le hanno fatte, poi
per non ingenerare confusione su sensazionalistici rinvenimenti, entrati ormai
a far parte di itinerari turistici o divulgati senza contraddittorio sul web.
Nello specifico, limitatamente ai casi più eclatanti e che hanno avuto negli
ultimi anni un certo seguito nei mass media, tratterò alcune testimonianze
della provincia di Palermo sulle quali, allo stato attuale delle ricerche e
delle conoscenze, non sembrano condivisibili le interpretazioni proposte. È
altresì auspicabile che le opinioni qui espresse possano diventare argomento di
confronti e di discussioni per ulteriori valutazioni e precisazioni sui temi
proposti; peraltro, gran parte dei siti e dei monumenti oggetto di queste
segnalazioni sono facilmente raggiungibili e possono da tutti essere visitati
per ulteriori analisi e indagini”.
I
presunti calendari archeo-astronomici solari preistorici del territorio di Monreale
La presenza in provincia di Palermo di pietre forate, astronomicamente
orientate, interpretate come calendari astronomici preistorici, è stata
segnalata da diversi autori in varie riviste e sui siti web (11) In sostanza si
tratta di due pietre, una situata sul Monte Arcivocalotto, l’altra a Cozzo Perciata,
in territorio di Monreale, collegate secondo un preciso sistema di segni ed
eventi di tipo astronomico. A – Arcivocalotto. In questo sito, noto da decenni
per l'esistenza di insediamenti in vita da età preistorica a età medievale (12),
la Soprintendenza ha effettuato un attento sopralluogo tecnico per valutare
l’ipotesi della presenza di una pietra forata con funzione di calendario
preistorico (fig. 6). Alla luce di questo sopralluogo, dell’analisi dei dati
messi a disposizione dagli scopritori e da quanto da loro pubblicato, riteniamo
che la pietra forata sia interpretabile come sepoltura ipogeica di età tardo
antica; alla base interna del foro sono infatti presenti due fosse
rettangolari, scavate nella roccia, di cui una parzialmente conservatasi a
causa del distacco di parte della roccia di fondo (fig. 7), franata a valle,
che ha determinato la presenza del foro interpretato come taglio artificiale
connesso alla funzione di calendario astronomico (13) (fig. 8) Osservazioni più
specifiche sono state oggetto di una relazione che appare superfluo riproporre
in questa sede, trasmessa dalla Soprintendenza al proprio Assessorato, proprio
per dirimere la questione. Infine va sottolineato che il sito di Monte
Arcivocalotto, a prescindere dal presunto calendario astronomico, è sottoposto
a vincolo ai sensi del codice dei beni culturali per l’interesse
paesaggistico/archeologico. B – Cozzo Perciata. Su questo modesto rilievo,
situato pochi chilometri a Sud/Ovest di Arcivocalotto, sarebbe esistita
un’altra pietra, simile alla prima, che avrebbe avuto analoga funzione di
calendario astronomico di età preistorica (14). Tale pietra, secondo gli
scopritori, è andata distrutta da decenni a causa del terremoto della valle del
Belice del 1968 o di un fulmine pochi anni dopo, l’unico elemento di verifica
dell’esistenza e della funzione della pietra è affidato, pertanto, al ricordo
di gente del luogo e a una fotografia (15).
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11
Da ultimo, con bibliografia precedente MAURICI et alii 2017. L’interpretazione
di queste pietre come calendari è riferita in tanti siti del web, soprattutto
di archeo-astronomia, facilmente consultabili e articoli vari; si ricordano
alcuni dei principali: MERCADANTE 2011; MAURICI et alii 2014.
12
SCUDERI et alii 1997, pp. 115-123.
13
TUSA, VASSALLO 2012.
14
L’ipotesi sull’interesse archeo-astronomico di Cozzo Perciata è segnalato in
MAURICI et alii 2017, pp. 37-47.
15
MAURICI et alii 2017, pp. 27-28.
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Fig. 6 La pietra forata di Arcivocalotto, veduta da Est
Fig. 7 La pietra
di Arcivocalotto: parte posteriore dov’è evidente il distacco di parte della
roccia, che ha probabilmente determinato il foro nella cavità della tomba tardo-antica
Dopo
un’attenta analisi della foto, non siamo persuasi che essa restituisca
l’evidenza certa dell'effettiva esistenza della pietra oggi perduta, dal
momento che il confronto tra la foto scattata circa 50 anni fa e un'immagine
recente solleva qualche dubbio circa la data della ripresa fotografica, per la
persistenza di elementi vegetali (canne, alberi e piante di fichi d'India) che
appaiono immutati, il che non si verificherebbe se tra le foto vi fossero
diversi decenni di distanza (fig. 9). Sembrerebbe, piuttosto, che si tratti
della stessa foto, o di due
fotogrammi
ripresi nello stesso lasso di tempo, e la prima sia stata in qualche modo,
ritoccata. Unico elemento differente è la presenza della pietra forata, ma
anch’essa offre più dubbi che certezze. Anche in questo caso, come in quello
già visto per le mani della grotta preistorica di Monte Gallo, coloro che ne
hanno proposto la funzione di calendario astronomico, potrebbero essere stati
ingannati da qualcuno che ha ritoccato tale foto; ci teniamo comunque a
precisare che le nostre perplessità devono trovare conforto nell’analisi
diretta della foto ritenuta degli anni sessanta/settanta dal momento che si
dispone solo dell’immagine pubblicata, e in ogni caso la dovuta prudenza e il
rispetto per ogni ipotesi di ricerca invitano a sospendere il giudizio, dato
che ogni dubbio sulla fotografia andrebbe valutato da un esperto fotografo. In
definitiva, allo stato attuale della ricerca, e certamente non soltanto in
relazione alle incertezze della fotografia, si ritiene, come per Arcivocalotto,
che non vi siano sufficienti elementi per assegnare alla pietra di Cozzo
Perciata, documentata in foto, il valore così specifico e peculiare di
calendario astronomico di età preistorica. Collegata con i presunti calendari
astronomici è stata anche pubblicata una pietra informe (fig. 10), con spigoli
arrotondati, di tenera roccia locale, rinvenuta in prossimità della pietra
forata di Arcivocalotto, che secondo lo scopritore16 recherebbe segni incisi
con diversi significati: figura astrale raggiata, simboli falliformi relativi
ad un vicino monte o, forse, segni egittizzanti o orientalizzanti. Ad
un’osservazione diretta riteniamo al momento probabile che si tratti di una
pietra, non lavorata, sulla quale sono rimasti impressi, su più lati, i segni
d
Fig. 9 Cozzo
Perciata: in basso la foto pubblicata come ripresa degli anni 60 o primi 70,
con la pietra forata oggi perduta. In alto la foto recente, in cui la pietra
non esiste più. (MAURICI, SCUDERI, POLCARO 2017, fig. 27-29)
Fig. 10 la pietra
informe rinvenuta in prossimità di Arcivocalotto. Si notano i segni incisi che
hanno dato adito a svariate interpretazioni
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Immediata
fu la replica dei Dott.ri Ferdinando Maurici e Alberto Scuderi.
Una
replica apparsa sul “Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo”
(Riporto integralmente l’articolo per permetterne anche la
conservazione in archivio dato che i
file, per vari motivi, spesso si perdono
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Nel Regno
degli Elimi – San Giuseppe Jato e
San Cipirello (Palermo) - Un mondo tutto
da scoprire con tanti misteri.....
Indice:
1.
Gli
Elimi (cenni)
2.
Il
Santuario (Eremo) dei Santi Cosma e Damiano ; La Storia del Convento – La Chiesa
– Gli Affreschi – L’Affresco dell’Arcangelo
Raffaele e Tobia - L’episodio dell’Arcangelo
Raffaele e di Tobia nell’Antico Testamento – L’Acqua Miracolosa - Le Citazioni – Il Degrado
3.
Il
Santuario di Maria SS. Della Provvidenza (Dammusi);
4.
Il
Casale del Principe; Famiglia Galletti, Firmatura, Gesuti, Beccadelli
5.
Monte
della Fiera - Mulino del Principe
6.
Casale
Pietralunga – Un ex Feudo dei Gesuiti
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