Il Siciliano Francesco Procopio Cutò a Parigi nel 1686 - Il Primo Cafè e la Prima Gelateria al Mondo : Le Procope- Nel locale, per la prima volta nella storia, erano ammesse anche le donne,

 





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Indice:

1.      Il Gelato (cenni storici);

2.      Il Sorbetto alla Corte de’ Medici – Le Ghiacciaie di Firenze;

3.      La gara culinaria nel XV secolo alla Corte de’ Medici – La gara fu vinta da Ruggeri…  - Le nozze di Caterina De’Medici con il Re di Francia – Il Pranzo

4.      La Letteratura gastronomica nel XVI secolo – Alcune ricette: Il Pan Abbruscato o Panunto;

5.      Bernardo Buontalenti e il suo gelato a Firenze;

6.      Il Siciliano Francesco Procopio Cutò – Il suo cafè “Le Procope” a Parigi fondato nel 1686, uno dei primi d’Europa.

7.      La letteratura gastronomica italiana nel XVII secolo; La Salsa Reale Spagnola; Il Sobetto alle mele del pellegrino

8.      Lo scrittore Antonio Fiasconaro: “Intervista Impossibile a Francesco Procopio”;

9.      Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte di cucinare bene” – Il gelato al caffellatte

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In alcuni siti internet l’antenato del gelato appare nella Bibbia  quando Isacco offrì al padre Abramo una mistura di latte di capra e neve dicendogli:

“ mangia e bevi; il sole è ardente così puoi rinfrescarti”

Si tratterebbe di una fonte alquanto strana dato che nei mesi caldi in Israele è difficile trovare neve da mescolare a qualche bevanda.

A quanto sembra non esiste un passo della Bibbia in merito a questo episodio.

Alessandro Magno durante le sue campagne militari in India richiedeva di continuo un rifornimento di neve da consumare mescolata a miele e frutta.

Cleopatra offrì con successo a Cesare ed Antonio della frutta mescolata con ghiaccio.

I Romani producevano le “nivatae potiones” cioè dei dessert. Erano realizzati con la neve raccolta d’inverno e custodita nelle neviere, ampi pozzi ricoperti di paglia e sale, la cui esistenza è attestata a Pompei.

Il generale Quinto Fabio Massimo, detto il “temporeggiatore” per le sue strategie belliche, inventò una ricetta creando un primitivo sorbetto.

Lo stesso generale affermò che il primo romano ad introdurre ufficialmente nei banchetti il gelato fu l’imperatore Nerone. Nel 62 d.C. L’imperatore offrì ai suoi invitati una bevanda  costituita da frutta tritata, miele e neve.

La parola sorbetto avrebbe origine dall’arabo “scherbeth” ovvero “dolce neve o bevanda fresca” oppure “sharber” , sorbire. Passando attraverso la lingua turca il termine sarebbe diventato “chorbet”. Altri farebbero derivare la parola dal verbo latino  “sorbeo -es – sorbui” (sorbire o succhiare). Sembra comunque che il nome sorbetto venne adottato nel Medioevo come onomatopeico del suono fatto per succhiare le bevande fresche alla frutta.

“Shrb” era lo sciroppo di zucchero, base per la realizzazione dei sorbetti di frutta, erbe officinali, spezie e fiori.

Indispensabile per la realizzazione di queste ricette era la neve conservata in caverne con strati di paglia. Il poeta Simonide (V secolo a.C.) riportò che presso i Greci “la neve si seppellisce viva, perché viva si conservi e ingentilisca l’estate”.

Il romano Seneca (I secolo d.C.)  descrisse che la tecnica per refrigerare le bevande consisteva nel farle passare più volte attraverso un colatoio d’argento o un panno di lino colmi di neve. 

Fu però nel Medioevo, in Oriente, che fu realizzata la scoperta del sistema per congelare i succhi di frutta ponendoli in recipienti circondati da ghiaccio tritato.

Le prime ricette scritte riguardanti lo “shrb” furono rintracciate dalla studiosa Lucie Bolena in un manoscritto arabo (“Libro dei Sorbetti”) dell’XI secolo. Lo “shrb” era prescritto dagli speziali e consumato caldo  o “gelato”. Fu questo il progenitore del sorbetto, trasformazione attraverso il calore di una miscela (infuso) contenente zucchero e nuova alterazione mediante il raffreddamento. Il ghiaccio non era mescolato alla bevanda dato che le giare erano poste dentro il ghiaccio che veniva utilizzato per “gelarle”. Fu al tempi della dominazione araba che s’incominciò ad avere la visione del gelato. Gli ingredienti erano naturali: la neve dell’Etna; il prodigioso e profumato limone che, fruttificando anche d’estate, offriva il suo succo rinfrescante; la canna da zucchero per il dolcificante, le saline per la produzione di sale e per finire il caldo estivo che faceva nascere il desiderio di consumo. Gli Arabi scoprirono nell ’800 d.C. la tecnica "nuova" del gelato avendo scoperto l'effetto endotermico del sale sul ghiaccio (la neve compattata) che ne faceva abbassare, non di poco, la temperatura. Questo permetteva la congelazione di un liquido aromatizzato. La bibita a base di frutta  e zucchero di canna, veniva conservata in recipienti circondati da neve o ghiaccio trito.

2.      Il Sorbetto alla Corte De’ Medici – Le Ghiacciaie di Firenze

La fama di questo dolci siciliani arrivò ben presto a Firenze. Il sorbetto si otteneva facendo roteare il liquido da congelare in primitive sorbetterie immerse in mastelli di legno pieni di ghiaccio frantumato e di sale. La miscela ottenuta veniva posta in stampi di metallo, mantenuti per molto molto tempo sotto il ghiaccio. Gli stampi avevano la forma di piramidi, frutti, agnelli, colombe, ecc.  Una delle materie prime era il ghiaccio che veniva conservato in depositi (costruzioni) seminterrate  che erano presenti a Firenze in quella via, che ancora oggi, à chiamata Via delle Ghiacciaie.


Lo storico Filippo Cianfanelli nelle sue ricerche sulle ghiacciaie di Firenze riportò come nel ‘700 addossato alla Porta San Gallo c’era un muro che delimitava una piazza semicircolare dove sostavano viandanti e le merci che dovevano essere controllate dal presidio di guardia. 


In primo piano sulla destra si notano due costruzioni coniche, a forma di pagliaio, che erano adibite a ghiacciaie. Altre ghiacciaie si trovano lungo il tratto di muro esposto a Nord , da Porta  al Prato fino a Porta a Pinti. 


Lungo le mura, alcuni tratti del fossato erano adibite a ghiacciaie. Venivano riempiti di neve di e paglia e coperti con legno e terra (Tratto corrispondente all’attuale Via Matteotti). La ghiacciaie, con tetto conico, erano invece delle costruzioni in muratura e anch’esse isolate all’interno con paglia. La neve raccolta nelle colline circostanti veniva costipata nelle strutture. Il ghiaccio serviva per conservare le dettare alimentari e grazie alle ghiacciaie era quindi disponibile anche nel periodo estivo quando le stesse strutture servivano per la conservazione del vino. Anche la caratteristica costruzione a piramide delle Cascine era una ghiacciaia e simili ne esistevano anche nel giardino Boboli.


Firenze – Ghiacciaia delle Cascine


Banchetto Reale di Sanchez Coello

3. La gara culinaria nel XV secolo alla Corte De’ Medici – Fu vinta da Ruggeri… -Le nozze di Caterina De’ Medici con il Re di Francia – Il Pranzo

Nel XV secolo la Corte dei Medici bandì una gara culinaria per il piatto più singolare. Molti cuochi giunsero in Toscana per partecipare alla gara e alla fine il piatto che suscitò i maggiori consensi fu quello di un certo Ruggeri che realizzò un sorbetto. I giudici affermarono che “non avevano mai assaggiato un dolce così squisito”. Per molto tempo  il Ruggeri restò nell’ignoto… si tramandava che era un pollivendolo e dal  momento in cui vinse la gara culinaria, diventò famoso e chiamato dalla nobiltà per preparare il “Dolcetto gelato”. Caterina de’ Medici, allora quattordicenne, doveva partire per sposare il futuro re di Francia, Enrico duca d’Orleans, a Marsiglia. Per la celebrazione delle nozze portò con sé un gruppo selezionato di cuochi e pasticceri. Lo scopo era umiliare nell’arte gastronomica i cuochi francesi  per cui nel gruppo c’era anche il Ruggeri artefice della ricetta di “ghiaccio all’acqua zuccherata e profumata”. Il banchetto di nozze fu un successo e il famoso dolcetto del Ruggeri fu apprezzato da tutti gli invitati. Molti personaggi lo invitarono per la preparazione del dolce.

Matrimonio di Caterina de’ Medici e di Enrico, duca d’Orleans -  28 ottobre 1533

(Jacopo da Empoli, 1600; -Firenze – Galleria degli Uffizi)

 

Menù

Prima portata
Crostata di alici salate - Lingua di bue in fricassea -  Zeppole alla Romanesca

Seconda portata

Pasticcetti sfogliati d’animelle - Tortelletti coperti di cacio, zucchero e cannella
Torta di polpa di anguilla e spinaci

Terza portata
Pasticcio con fagiano

Quarta portata (Dolci)
Canditi di arancio e finocchio - Gelo di mela cotogna
Biscotti di marzapane, mostaccioli - Crostata di pere
Torta di frutta secca

Vini bianchi e rossi

“ ….. en âge florissant”: musiche rinascimentali per una regale festa nuziale.

Claudin de Sermisy (1490-1562): “Tant que vivray en âge florissant”
Pierre Sandrin (1490-1561): “Amour pense que je dorme”
Pierre Phalese (1510-1575): Pavane et Gaillarde Ferrareze
Thoinot Arbeau (1520-1595): “Belle qui tiens ma vie”
Pierre Certon (1510- 1572): “Je ne l’ose dire”
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Francesco Corteccia (1502-1571): “Madonna io t’aggi amato ed amo assai”
Giorgio Mainerio (1535-1582): Pass’e mezzo antico e Salterello
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Clement Jannequin (1485-1558): “Chantons, sonnons trompetes”
Pierre Phalese (1510-1575): Allemande et Salterello Poussinghe/ Branle
Pierre Attaignant (1494-1551): Tourdion

La fama che il Ruggeri raggiunse provocò l’invidia dei colleghi che lo boicottarono. Si narra che fu picchiato e derubato in un agguato. Alla fine stanco dei soprusi decise di tornare in Italia per riprendere il suo lavoro di pollivendolo. Si narra che una volta tornato in Italia mandò una lettera a Caterina de Medici con la sua ricetta del dolcetto gelato… ” con il vostro permesso ritorno ai mei polli sperando che la gente mi lasci finalmente in pace e dimenticandosi di me, si accontenti soltanto di gustare il mio candiero”.   (“candiero” era il termine toscano per indicare il “gelato”). Il suo “sorbetto” doveva essere al fior di latte. Ma chi era in realtà il Ruggeri, era un pollivendolo ?  “Ruggeri” non era un allevatore di polli ma un alchimista e famoso astrologo di nome Cosimo Ruggieri  ( non Ruggeri). Prima offrì i suoi servizi a Lorenzo de’ Medici e successivamente alla figlia Caterina. Con alterne fortune lavorò tutta la vita per la regina.

Jean Lulve -  Caterina de’ Medici e Cosimo Ruggieri

Nella vita delle corti era attribuito un importante valore di rappresentanza alla tavola. Re, principi, papi corteggiavano e si contendevano  cuochi, scalchi (servitori), trincianti (maitre) e coloro che sapevano lavorare “il gelo”.

4.    La Letteratura gastronomica nel XVI secolo – Alcune Ricette: Il Pan Abbruscato o Panunto

In questo periodo, 1550 circa, prese forma all’interno delle cucine di corte il nobile mestiere del “gelatiere” In Europa, in particolare in Italia, ci fu un gran fiorire di libri da cucina: 

“Opera”

Bartolomeo Scappi ( Dumenza, 1500; Roma, 13 aprile 1577)

Un trattato di cucina del tempo con ricette, descrizione degli strumenti di cucina e di tutto ciò che doveva conoscere un cuoco rinascimentale. Nell’opera si ha la prima raffigurazione di una forchetta, nuovi procedimenti di cottura degli alimenti e l’uso di ingredienti importati dalle Americhe. Nel trattato anche un commento sul Parmigiano che definì come il miglior formaggio al mondo. Fu stampato fino al 1643 includendo ricette di pasta, pasta ripiena, torte e altre preparazioni a base di pasta sfoglia e pasta frolla. Lo Scappi morì a Roma il 13 aprile 1577 e fu sepolto nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio alla Regola. Una chiesa che era dedicata ai cuochi ed ai fornai e che fu demolita nel 1888 per la costruzione dei muraglioni lungo il Tevere.

La chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio alla Regola -Dipinto di Achille Pinelli

La demolizione della Chiesa

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“Banchetti”

Cristoforo da Mussisburgo o Messi Sburgo (?; Ferrara, 1548)

Un trattato in cui sono elencati tutti gli elementi necessari per dare origine ad un banchetto principesco: l’arredamento, gli utensili da cucina e numerose ricette Ricette italiane ed europee come la ricetta della Torta Hebraica. Pubblicato nel 1549, contiene anche la prima citazione della preparazione del caviale di “storione cobice” ferrarese “caviaro per mangiare, fresco o per salvare”. Gli storioni erano allora abbondanti nel Po. La quantità di storione e caviale che l’autore riportò indicano la loro notevole presenza nelle acque del fiume. Usato nei diversi banchetti … “Desinare che fece il conte Federico Quaglia allo illustrissimo Duca di Chartres”. 

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“La Singolar Dottrina”

Domenico Romoli, detto “Panunto” era di Firenze. Non si hanno notizie sulla sua vita. Le uniche fonti lo citano come servitore di papa Leone X. Un suo contemporaneo lo citò come “un gentiluomo fiorentino, esperto delle cose di cucina non meno di quelle di corte, dotato di buone letture d’autori classici e moderni”. Il trattato è diviso in due parti: nella prima parte riportò i compiti dello scalco, l’attenzione ai rapporti umani con il signore e i propri dipendenti, la natura delle carni e dei pesci, il menù quotidiano e del banchetto; nella seconda parte riportò le qualità dei cibi, le diete da osservare, gli effetti che le vivande possono produrre a danno o a profitto della salute, gli esercizi fisici convenienti nelle varie stagioni dell’età. Sono anche presenti dei consigli a favore dei cibi che erano ritenuti afrodisiaci: “la senape.. accende la lussuria; i porri…commuovono il coito, i capperi.. lo fan vivace”.

Ricetta “Panunto

Quando havrete fatte le fette del pane abbruscate, mettetele a soffriggere con butiro rivolgetele una volta, distendete le fette nella padella, et mettetevi per ciascuna una fetta sottile di provatura fresca;

mettasi disopra il coperchio caldo, e come la provatura sarà risolata, spruzzivisi un poco di acqua rosa, et mettavisi disopra il zuccaro et cannella;
cavate poi, mandatele in tavola, et sopra tutto operate che si mangino calde.
P.S. Nel dizionario italiano-inglese del 1598, il Florio ci dice che la “provatura” è una specie di formaggio fresco alla panna; altrove si precisa che è fatto di latte di bufale. Per il nostro Panunto consigliamo di usare la mozzarella.

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5. Firenze - Benardo Buontalenti e il suo gelato 

Nel Cinquecento a Firenze c’erano un'altra figura decisamente importante nel tessuto sociale ed artistico della città Si trattava di Bernardo Buontalenti, il cui vero nome era Bernardo Timante Buonacorsi, architetto, scultore, pittore, ingegnere militare e scenografo italiano in attività presso la corte granducale fiorentina. Fu uno degli artisti più importanti ed influenti della seconda metà del Cinquecento legato al Rinascimento toscano. Dopo la morte del Vasari, avvenuta nel 1574, fu presente in tutte le committenze granducali occupandosi di molti ed importanti interventi urbanistici (Ville medicee, fortificazioni, chiese,  ampliamento di Livorno, il completamento degli Uffizi, il corridoio vasariano, il completamento  e la realizzazione del giardino di Boboli,  la costruzione e il restauro di molte ville medicee tra cui la Villa Medicea di Pratolino, con la famosa scultura colossale dell’Appennino del Giambilonga, il celebre parco con giochi d’acqua, che fu realizzata per Francesco I.

Giambilonga, Il gigante dell’Appennino, Villa Demidoff (già Pratolino)

Si occupò, anche se in maniera saltuario, di pittura e di miniatura. Ebbe un’attività importante nel campo dell’oreficeria, ceramica ed ebanisteria disegnando molti arredi ed oggetti preziosi per la corte de’ Medici e realizzati nelle manifatture granducali ospitate prima nel Casino mediceo e poi agli Uffizi. Anche le manifestazioni di corte rientrarono nella sua attività tanto che a lui si deve l’invenzione del gelato (in genere nel 1565) in occasione di uno dei numerosi banchetti di rappresentanza a cui fu delegato come per le nozze di Maria de’ Medici. Abitò in un palazzetto di via Maggio, dove accoglieva un circolo di amici ed intellettuali. Nonostante l'enorme successo, la sua prodigalità lo rovinò e se non fosse stato per il Granduca, che gli offrì una pensione, sarebbe morto in completa miseria.

(Firenze, 1531; Firenze, 6 giugno 1608)

Ritornando alla sua attività di corte, nel campo culinario fu incaricato nel 1565 di preparare un banchetto per la visita dell’ambasciatore di Spagna che avrebbe dovuto stupire gli ospiti. Fra le varie pietanze il Buontalenti preparò vari tipi di “dolci ghiacciati” che elaborò in modo personale. Ebbe un grande successo perché i suoi dolci furono apprezzati.  Gelati alla crema a base di zabaione e frutta che subito si diffusero in tutta Europa. Una crema aromatizzata con bergamotto, arance e limone, refrigerata con una miscela di sua invenzione. Questa ricetta del Buontalenti è stato oggetto di studio da parte di pasticceri fiorentini che avevano come obbiettivo di ricreare quell’antico gelato. Una di  queste pasticcerie fu la “Pasticceria Badiani di Firenze”  che  reinterpretò l’antica ricetta a base di latte, panna, zucchero e tuorlo d’uovo. Pochi ingredienti, rigorosamente naturali come un tempo, che avevano come obiettivo di provare il gusto autentico ed originale di quell’antico gelato.

(Panna Italiana  - Latte italiano intero, fresco e di alta qualità – zucchero – latte magro in polvere – Tuorlo d’uovo di galline allevate a terra – senza glutine) Quella su indicata doveva essere la crema originale perché in un'altra ricetta, sempre attribuita al Buontalenti, oltre al latte, lo zucchero, le uova, figuravano anche miele e vino. Secondo alcuni studiosi creò lo zabaione che una volta ghiacciato diventò la “crema fiorentina” detta anche “crema buontalenti”. La crema ottenuta veniva fatta refrigerare per mezzo di un meccanismo e di una miscela di sua invenzione. Il Buontalenti aveva fatto realizzare nei sotterranei di Palazzi Pitti degli spazi per conservare neve e ghiaccio. Realizzò una scatola con intercapedine isolante e un cilindro centrale dove mettere gli ingredienti. Delle spatole mosse da una manopola esterna amalgamavano il complesso mentre raffreddava. Crema che, congelando lentamente, si trasformava in gelato.

Facsimile della gelatiera del Buontalenti

Nella villa del Pratolino, andata distrutta, è ancora presente una “neviera” o “ghiacciaia” che fu costruita dal Buontalenti per conservare la neve. È un ampio scavo in cui venivano raccolti durante l’invero neve e ghiaccio. Il tutto veniva poi coperto con paglia e felci.

Ghiacciaia del Pratolino

Nel periodo in cui il Buontalenti dava sfogo alla sua creatività nell’arte pasticcera con la produzione di sorbetti, nel 1589 Giambattista Della Porta scoprì una tecnica di congelamento artificiale. Nel suo libro, “Magia Naturale” descrisse come l’acqua in un secchio si congelava dopo essere stata immersa in un contenitore pieno di neve e nitrato di potassio (salnitro). Alla fine, altri scienziati e cuochi scoprirono che il sale comune mescolato con ghiaccio o neve aveva lo stesso effetto. I cuochi italiani, molti dei quali  producevano per i loro padroni creme pasticcere fredde e sorbetti, iniziarono ad ottenere delle consistenze più gelate grazie al nuovo metodo di congelamento.

Ma il gelato vero e proprio partì dalla Sicilia dove era nato, sia pure in forma ancora non ben definita, con gli Arabi. Un pescatore di Acitrezza (Catania) ( secondo alcuni di Palermo), ridente centro sulla costa Jonica, Francesco Procopio Cutò, conosciuto come Francesco Procopio dei Coltelli ed in Francia come Le Procope, ereditò dal nonno uno strano macchinario costruito artigianalmente per la produzione di sorbetti che aveva dato dei risultati soddisfacenti.

6 . Il siciliano Francesco Procopio Cutò e il suo gelato a Parigi – Il sua cafè “Le Procope” a Parigi, uno dei primi d’Europa.

FRANCESCO PROCOPIO CUTO’ nacque ad Acitrezza (Catania) o a Palermo il 9 febbraio 1651 e morì a Parigi il 10 febbraio 1727.



In merito alla sua città di nascita sembra che si sia fatta piena luce sulla vicenda. Nell’archivio parrocchiale della Chiesa di Sant’Ippolito, posta nel quartiere del Capo di Palermo, fu trovato un attestato di nascita di Francesco Procopio Cutò. Il documento fu trovato dallo studioso palermitano Marcello Messina e riporta come il battesimo fu celebrato il 10 febbraio 1651, nel giorno seguente alla sua nascita. Dal certificato di battesimo emerse che il vero cognome con era “Coltelli”, come si era creduto per tanto tempo, ma Cutò, un tipico cognome siciliano. Secondo lo storico  il malinteso era facile da spiegare perché in francese la parola “Coltelli” si pronuncia proprio “Cutò”. Figlio di Onofrio Cutò e di Domenica Semarqua, la giovinezza lo vide pescatore aiutando il padre e il nonno Francesco nelle battute di pesca. Fu proprio il nonno a fornire al giovane Francesco la grande opportunità del riscatto. L’anziano pescatore, nei momenti di pausa dal lavoro, si dilettava nella costruzione di un macchinario per fare gelati.  Il suo obiettivo era quello di riuscire a creare un macchinario capace di migliorare la qualità del gelato che allora si produceva. Da epoche remote si produceva una sorta di sorbetto, utilizzando la neve dell’Etna con l’aggiunta di succhi di frutta (soprattutto limone) o di miele, che era molto apprezzato e ricercato sia dalla popolazione che dalla aristocrazia. Il macchinario fu lasciato in eredità a Francesco che lo studiò a lungo facendo delle prove e modifiche. Non sempre i risultati furono soddisfacenti  e alla fine riuscì a perfezionare il macchinario a tal punto da sentirti pronto per tentare la fortuna altrove. Sembra che abbia vissuto una prima esperienza a Palermo, capitale del Regno di Sicilia, peraltro non molto fortunata e alla fine decise nel 1673 circa di emigrare a Parigi. Prima lavorò come cuoco inserendosi nel tessuto sociale parigino.

Nel 1675, il 26 febbraio, sposò nella chiesa di Saint Sulpice (Paris VI, Paris, Ile-de-France) Marguerite Crouin (1655 – 1696) (figlia di Louis Crouin e Marguerite Feray) dalla quale ebbe otto figli/e a cui fu dato il cognome di Couteaux

(Elisabeth, 1676; Isabelle Marguerite, 1677; Marie Marguerite, 1678; Louise Marguerite, 1679; Marie,1680; Jean Baptiste, 1682-1729; Michel Procope, 1684-1753; Alexandre Procope, 1686-1753; Marie Anne, 1688)

Nel 1686 Francesco Procopio aprì il suo agognato cafè “Le Procope” (il suo nome francesizzato) in Rue du Tournon, dopo aver ottenuto la cittadinanza francese nel 1685. Il primo cafè di Parigi e secondo alcuni storici il più antico d’Europa.


Nel cafè introdusse il gelato siciliano o meglio il sorbetto e probabilmente fu a Parigi che il Procopio aggiunse alla sua ricetta il latte abbinandolo al pistacchio, mandorle, limoni, arance. Il locale diventò famoso e ben presto fu costretto a spostarsi in un ambiente più grande, al 13 di Rue de l’Ancienne Comèdie, vicino alla Comèdie Francaise, dove si trova ancora oggi.





Il cafè Procope in una foto del 1800

Fu il primo locale a Parigi dove non si serviva il vino ma caffè. Un prodotto che il quel periodo cominciava ad arrivare dallo Yemen nelle grandi città del continente Europe Non fu solo il primo locale ad introdurre il caffè a Parigi ma anche la prima gelateria al mondo. Si narra che lo stesso re Luigi XIV si sia recato nel cafè per complimentarsi per il suo gelato con il Procopio. Fu anche il primo locale a consentire l’ingresso delle donne nel cafè, un diritto che fino allora non si era visto. Nel 1689 la “Comèdie Francaise” fu aperta vicino al cafè che diventò subito un luogo d’incontro di critici letterali, drammaturghi, filosofi e scrittori. Diventò così il primo caffè letterario al mondo, un luogo di dibattito politico. Infatti le idee più rivoluzionarie si diffusero liberamente attorno al locale che diventò il punto d’incontro dei rivoluzionari Robespierre, Danton, Camille Desmoulins e Marat. Fu infatti che le caffè che fu presentato per la prima volta il cappello frigio, simbolo di libertà della Rivoluzione Francese.

Nel tempo, il Café divenne anche il punto di incontro di scrittori romantici come George Sand, Alfred de Musset e Victor Hugo, realisti come Balzac, simbolisti come Théophile Gautier o decadentisti come Verlaine e Oscar Wilde. Si dice addirittura che sia qui che nasce l'idea di creare una "Enciclopedia", in una conversazione tra Diderot e d'Alembert. Più tardi, Voltaire, Rousseau, Marmontel e lo stesso Benjamin Franklin si incontrarono al bar. Si dice infatti che proprio qui il politico americano abbia redatto il testo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. Ecco perché una targa commemorativa al politico americano è ancora conservata nel caffè.



Il café offriva: acque gelate (la famosa granita), gelati di frutta, fior d’anice, fiori di cannella, gelato al succo di limone, gelato al succo d’arancio, sorbetto di fragola. Tutto in base ad una “patente reale” (concessione) emessa da Luigi XIV con cui si dava a Procopio l’esclusiva di quei dolci. Lo stesso Procopio si recò nella reggia di Versailles per ritirare dalla mano del re Luigi XIV la sua concessione esclusiva.

Francesco Procopio Cutò


Il locale non solo è uno dei più importanti di Parigi ma, da sempre, è frequentato dalla elitè mondana e culturale francese. 
Fu frequentato da La Fontane, Voltaire, Napoleone, Honoré de Balzac, Victor Ugo, Rosseau, Franklin, Robespierre, Danton e Marat. 
Si narra che l’allora tenente Napoleone Bonaparte abbia lasciato il proprio cappello come pegno per un caffè. 


Tavolo di Voltaire

Voltaire al cafè Procope – Dipinto di Claudius Jacquand


Il poeta Paul Marie Verlaine al cafè Procope (?) - 1899



Stampa del 1800







Sorbetto, budino a cioccolato e tiramisù

Queste golosità nel 1798, gli anni dell’ascesa di Napoleone, saranno affiancate dal “cafè Napolitan” portato al successo dal napoletano Alessandro Tortoni. La tradizione continua ancora oggi nel cafè “Le Procope” diventato anche ristorante, perché vengono prodotte le stesse specialità siciliane che tanto apprezzavano i grandi personaggi del Settecento e dell’Ottocento Un siciliano artefice di uno dei più importanti cafè al mondo con le specialità siciliane. 
Nel 1696 mori la moglie Marguerite Crouin  e si risposò, il 15 luglio 1697, sempre nella chiesa di Saint Sulpice con Anne Francoise Garnier de Vaulnay (nata nel 1673 ?).
Dal matrimonio quattro figli/e: Thomas  Couteaux, 1698; Francoise Catherine, 1700 – 1771; Jean Antoine Procope, 1702; Claude, 1704 – 1716).
Nel 1717 si ritirò dall’attività e nel 1718 ebbe un figlio dalla sua terza moglie, Julie Parmentier.

7.      La Letteratura gastronomica italiana nel XVII secolo – La Salsa Reale Spagnola

 Nel 1690 in Italia la letteratura culinaria era presente con una vasta varietà di testi. L’aretino Francesco Redi, poeta, letterato, , membro dell’Accademia della Crusca, medico al servizio di Cosimo III de’ Medici, nell’”Arianna inferma”, opera incompiuta del 1687, riportò una delle prime descrizioni del sorbetto e dei suoi effetti sul “giovinetto”.

Nel 1685 lo stesso Redi nel suo “Bacco in Toscana” citava i “freddi cristalli dolci” passione per i golosi:

"oh come scricchiola tra i denti, e sgretola
quindi dall'ugola giù per l'esofago
freschetta sdrucciola fin nello stomaco"

Antonio Latini (Fabriano, 8 maggio 1642; Napoli, 1 settembre 1696) nel suo “Scalco alla moderna”  del 1692, raccolse esperienze e riflessioni sul sapere culinario dell’epoca. Fu il precursore di una tendenza che si affermerà verso la metà del Settecento: la sostituzione delle spezie orientali con le erbe officinali. Nel capitolo “Di varie sorti di sorbette e acque  agghiacciate” si trovano alcune preziose ricette a base di cioccolato.




Riportò le sue letture, riflessioni ed esperienze sui compiti dello scalco e dei suoi sottoposti, in particolare del trinciante;  l’organizzazione della cucina, la preparazione dei banchetti, su come imbandire le tavole e realizzare i trionfi, ricette di arrosti, bolliti, stufati, fritti, brodi, minestre, pasticci, salse, aceti profumati, conserve; nozioni di dietetica e  ricette anche di piatti di magro, di sciroppi e sorbetti (al limone); catalogo dei prodotti gastronomici e dei migliori vini del Regno di Napoli. Nel trattato anche la ricetta di “salsa di pomodoro alla spagnola” con “cipolla, timo, peparolo (peperoni), sale, olio e aceto». Latini fu pioniere anche nell’impiego di un altro ortaggio giunto dal Nuovo Mondo, il peperone, che utilizzava per insaporire alcune salse. I napoletani si specializzarono nella produzione di sorbetti. Antonio Latini, capocuoco al servizio del viceré Francisco de Bonaviedes, ne “Lo Scalco alla moderna”, pubblicato tra il 1692 e il 1694, scrisse «Qui in Napoli pare ch’ ogn’uno nasca col genio e con l’istinto di fabricar Sorbette».

Salsa reale

Ingredienti
Aceto – zucchero – cannella - chiodi di garofano - pepe in grani - noce moscato - scorza di limone - cedro verde
Preparazione
Far bollire l'aceto e lo zucchero a fuoco lento per dieci minuti.
Aggiungere tutte le spezie e gli aromi già spezzettati nel mortaio, e far bollire per cinque minuti.
Filtrare la salsa con il passino.
Servire la salsa tiepida o fredda con arrosti di magro, possibilmente aggiungendo un quinto del fondo di cottura della carne stessa.

 

Sorbetto del Pellegrino alle mele

Ingredienti

1 kg di mele verde - 1 limone - 80 gr di zucchero - 1 albume

Preparazione

Spremete il limone e lasciate il succo da parte. Fate uno sciroppo mettendo sul fuoco lo zucchero con 2 bicchieri d’acqua, la buccia di 1/2 limone e portate ad ebollizione lasciandolo poi bollire per 10 minuti a fuoco medio.

Tagliate le mele a pezzi (lasciandone 4 intere), togliete torsolo, semi e buccia; alle mele rimaste togliete la calotta, la polpa e mettete all’interno metà del succo di limone. Frullate la polpa di mele con la mela a pezzi, il succo di limone rimasto, lo sciroppo e mettete poi il composto ottenuto in congelatore per 2 ore mescolando di tanto in tanto.

Dopodiché montate l’albume, aggiungetelo al sorbetto mescolando bene con una frusta e rimettete nel congelatore per 1 ora. Servite poi il sorbetto nelle mele rimaste intere.


Nel 1775 il sorbetto entrò nei grandi ricettari approvato dalla medicina ufficiale.. Il medico napoletano Filippo Badini scrisse il “De’ Sorbetti” che, edito nel 1775, fu subito acquistato  esaurendo le copie.  L’autore decise di scrivere un'altra edizione nel 1784. Baldini era professore di Medicina e membro di varie Regali Accademie Italiane. Lo scrittore prese ufficialmente posizione contro quei medici che sconsigliavano il consumo di sorbetti affermando che essi sono

un prodotto della umana ragione più raffinata e formano una delle tante conseguenze della società ben ordinata, cioè, l’utile e ‘l diletto. (…) I Sorbetti adunque per lo zucchero, sale, e freddo devono infiniti buoni effetti produrre nel corpo nostro”.

Distingueva tre tipologie di sorbetto: quello subacido, alla frutta; quello aromatico, alla cannella, al cioccolato, al caffè; e quello lattiginoso, in cui era aggiunto il latte. Vincenzo Corrado (nato ad Oria nel 1736) inserì i sorbetti nel suo ricettario “Il Credenziere di buon gusto”. Era un grande credenziere e cuoco e nel suo secondo Trattato inserì la “maniera di comporre sorbetti vari”.

“Li sorbetti sono bevande nobili ghiacciate, e congelate, di molto gusto, li quali si compongono con acqua, zucchero, succhi di vegetabili, essenze di aromi, vini e latte di Animali. è necessaria molta pratica per il travaglio delli sorbetti (…). Bisogna servirsi della miglior acqua, che nel luogo si trova, dipendendo ancor da questa l’eccellenza.”

Diderot e D’Alembert, clienti affezionati del cafè “Le Procope” dedicarono al termine “glace” (e non “sorbet”) una voce nella monumentale “Encyclopèdie”.

Glace: Nome moderno che si dà a liquidi dal gusto gradevole e preparati con arte, congelati in forma di teneri ghiaccioli. Si possono congelare rapidamente tutti i liquidi ottenuti da succhi vegetali, servendosi di ghiaccio tritato e di sale, e, in mancanza di sale, con nitro o soda.

In una festa a Roma, organizzata dall’ambasciatore austriaco Giovanni Venceslao Galasso, il 28 agosto 1714, in occasione del compleanno di Elisabetta Cristina d’Austria, venne presentato un tavolo di gelati. Ai quattro angoli del tavolo c’erano conchiglie di porcellana giapponese piene di frutti gelati.  Al centro, un grande vaso di alabastro contenente un albero con foglie verdi e sui rami vi erano appesi ben 150 tipi di “frutti gelati”.

La produzione e il consumo del sorbetto e del gelato continuarono a crescere e i produttori si specializzarono facendo nascere le figure del “sorbettaro” e del “gelataro”. Il sorbettaro era un venditore ambulante che si dedicava alla preparazione di sorbetti. Conservava l’acqua ghiacciata, mescolata con succo di limone e zucchero, in una “sorbettiera”, una casseruola di rame che galleggiava in un tino colmo di ghiaccio, tenuto a temperatura costante grazie al sale giallo. Per ricavarne una granita cremosa, il venditore faceva ruotare velocemente la casseruola. In questo modo la granita si attaccava alle pareti ed era grattata via tramite un cucchiaio tondo con un lungo manico. Il “gelataro”, anche lui venditore ambulante, dopo aver grattato il ghiaccio da un grosso blocco, lo insaporiva con sciroppi alla frutta, o con caffè, cannella o cioccolato, o con il latte.

Il sorbetto è a metà strada tra la granita e il gelato, infatti ha una consistenza morbida ed è privo di cristalli di ghiaccio..

Sciogli lo zucchero nell’acqua portandola ad ebollizione per qualche minuto, dopodiché aggiungi il succo di limone. Versa il composto così ottenuto in una ciotola non troppo profonda e riponila nel congelatore. Ricorda di estrarre la scodella dal congelatore e di sgranarne il contenuto con una forchetta ogni 30 minuti circa: in questo modo si verranno a formare delle piccole pepite di ghiaccio che conferiranno alla granita la consistenza giusta. Dopo circa due ore la tua granita di limone è pronta per essere servita. Se dovessi notare che è troppo solida, basta raschiare via un po’ dello strato superiore. Un altro gusto classico è la granita al caffè. Si prepara allo stesso modo anche utilizzando il tè nero, oppure si può aromatizzare la granita con delle erbe, come il rosmarino o il basilico.

L’elemento principale per un buon sorbetto è il suo contenuto di frutta. Mentre la granita si ottiene principalmente dal ghiaccio triturato e aromatizzato con sciroppo o piccoli frutti, uno degli ingredienti principali del sorbetto è proprio la purea di frutta che, di regola, deve essere almeno il 20 percento del composto finale, soltanto per un sorbetto agli agrumi ne è ammessa una percentuale minore. Non sono ammessi né panna, né latte, ecco perché il sorbetto è più leggero del gelato, ma non è meno dolce poiché anche qui, lo zucchero non può mancare.

8.   Lo scrittore Antonio Fiasconaro: “Intervista Impossibile a Francesco Procopio “

Facendo le ricerche su Francesco Procopio Cutò ho trovato una pagina  scritta dal giornalista Antonio Fiasconaro in merito ai motivi per cui il nostro Procopio e la sua famiglia abbiano abbandonato Palermo per trasferirsi ad Acitrezza (Catania). Un abbandono, come spiega l’attento autore, frettoloso e forse legato a qualche  giudiziario. Un altro aspetto importante è che tornò a Palermo, anche se non si è certi dell’evento, per un breve periodo, peraltro non fortunato, prima d’intraprendere il suo viaggio fortunato verso Parigi. Andò via l’anno in cui don Diego La Mattina, il frate caro a Leonardo Sciascia, provocò una mezza rivoluzione uccidendo il Capo dell’Inquisizione, lo spagnolo don Juan Lopez de Cisneros. Lo scrittore Antonio Fiasconaro   riporta “L’Intervista Impossibile a Francesco Procopio” in un racconto piacevole, scorrevole che sembra proporci una figura reale, viva con le sue sfumature caratteriali tipicamente siciliane..

http://www.online-news.it/2017/07/23/le-interviste-impossibili-1-francesco-procopio-dei-coltelli-il-padre-del-gelato/#.X1ASAXkzaUk

Noi abbiamo avuto l’onore d’incontrarlo all’ingresso del suo “caffè” grazie ad un complice, Charles Louis de Secondat, barone de La Brède e di Montesquieu.
«L’accompagno – sottolinea Montesquieu – non in un locale qualunque, ma il più alla moda di Parigi. E per farle comprendere l’atmosfera di questa caffetteria posso regalarle una citazione: “C’è un caffè a Parigi, il Procope, dove la bevanda viene servita in mondo da arricchire lo spirito di chi la prende: o almeno tra gli avventori non c’è n’è uno che non esca dal locale convinto di essere quattro volte più colto di quando vi era entrato”».
Ad onor del vero questa citazione Charles Louis de Secondat l’ha inserita in una delle sue celebri “Lettere Persiane”, la trentaseiesima.

Bonjour monsieur Procopio, come sta? Vogliamo svelare le sue origini, una volta per tutte?
«Inizia bene questo incontro… Lei già vuole incastrarmi. Voglio però confidarle una cosa. Mio padre Onofrio e mia madre Domenica mi hanno messo al mondo nel 1651 e non posso ricordarmi di quel 9 febbraio. Ricordo che per i primi anni ho abitato nella zona del Capo. Poi ho deciso di trasferirmi per qualche tempo nel Catanese, a Trezza. Ho fatto mille mestieri: garzone, pescatore, agricoltore e il raccoglitore di neve presso un’antica neviera alle pendici dell’Etna».

Qualcuno sostiene invece che lei sia frettolosamente fuggito da Palermo. Era per caso ricercato?
«Vecchia storia… Sono andato via da Palermo ed è vero in maniera frettolosa e, questo lo posso ormai dire perché sto lontano. E’ vero, ero ricercato da un capitano di giustizia dell’Inquisizione. Sa una cosa? Se non mi fossi riparato a Trezza, oggi lei non sarebbe qui ad intervistarmi. Sarei stato giustiziato alla Marina».
Vuole spiegare perché oggi lei è ricordato come Francesco Procopio dei Coltelli e non Francesco Procopio Cutò?
«Semplice. All’anagrafe io mi chiamo Francesco Procopio Cutò. Il malinteso con Coltelli e presto detto. In francese il termine coltello è couteaux che si pronuncia cutò, quindi…».
E poi cosa ha fatto?
«Dopo qualche anno mi sono stancato di fare questa “malavita”. Ricordo mio che mio nonno Francesco mi regalò uno strumento per poter lavorare la neve che al tempo andavo a raccogliere in una neviera delle Madonie, nella zona di Piano Battaglia e che poi aromatizzavo con foglie di rosa e cannella».
Insomma, mi vuole fare credere che lei ha inventato il sorbetto?
«Così dicono. Fatto sta che io ho abbandonato prima Palermo e poi Trezza, tutto e tutti e mi sono trasferito armi e bagagli in Francia, a Parigi. Anche qui ho fatto tanta fatica ad inserirmi. Ho iniziato pian piano a farmi conoscere dalla gente e, grazie ad un armeno, Paxal, ho iniziato la mia attività di petit garcon presso il suo locale dove ho cominciato a preparare i primi cafè, il liquore arabo».
E poi cos’altro ha fatto per diventare celebre?
«Insomma, Fiasconaro lei vuole sapere ancora altro. Non le bastano le notizie che le ho appena fornito? Cosa dirle, quella vita mi stava stretta. Ho conosciuto un altro armeno che aveva un locale in rue des Fossés Saint-German e decisi di rilevarlo. Faccio da mangiare ed i miei clienti abituali sono intellettuali, scrittori, commediografi, poeti, rivoluzionari, politici. Non le sto qui ad elencare i nomi, potrei annoiarla. Poi ho conosciuto Marguerite (Crouin, ndr) e l’ho sposata».
Si dice che lei faccia colpo sulle donne. Riesce a conquistarle con l’aroma del buon caffè o con un delicato sorbetto alla frutta?
«Cosa vuol sapere se ho avuto altre esperienze dopo Marguerite? Si, a parte che con lei ho avuto otto figli. Ricordo che ci siamo sposati nel 1675 nella chiesa di Saint Sulpice ma a me le donne piacciono, eccome. Le parigine hanno un fascino, uno charme particolare. Non puoi immaginare com’è vellutata la loro pelle…».
Vellutata come i suoi gelati? I suoi sorbetti? Gli “spongati”?
«Fiasconaro, non mischiamo l’eros con il cibo, anche se la goduria è quasi sublime in entrambi. Vuol sapere quando ho iniziato a fare i gelati per i parigini? Subito dopo che ho aperto il caffè a rue des Fossés Saint-German, nel 1666 e l’ho chiamato Cafè Le Procope. E’ stata la mia fortuna. E’ frequentatissimo. Anche oggi».
Ma lei si è sposato altre due volte ancora…
«Minchia, ma lei è davvero incontentabile. Siete tutti così i giornalisti? Si, è vero. Ho preso moglie per altre due volte. Nel 1696 ho sposato Anne Francoise Garnier da cui ho avuto altri quattro figli e nel 1718, ho sposato Julie Parmentier che mi ha dato ancora un altro figlio. Insomma, mi sono dato da fare non solo ai fornelli, in gelateria, ma anche a letto, sotto e sopra le lenzuola. Non mi posso lamentare e senza l’ausilio di aiutini. Lei, sa a cui alludo!».
Lei ha fatto la fortuna col caffè e soprattutto con il gelato. Lo sa che il suo Cafè è il più antico del mondo?
«Non mi faccia emozionare. Sono contento per quello che dicono sul mio conto. Ma devo confessarle che ho faticato parecchio per raggiungere questo successo. Insomma, mi sono fatto un “mazzo”…».
Monsieur Procopio, sembra pure che nel suo locale sia stato coniato in detto “chiacchiere da caffé”.
«Allora lei vuole che mi arrabbi davvero. Ma quante cose sa sul mio conto? Vero anche questo. Un giorno per far familiarizzare tra loro gli avventori del locale, ebbi un’intuizione: vicino al Cafè c’era una tipografia, sulla “rive gauche” della Senna. Ogni giorno mandavo a prendere da un mio garzone due copie del “Giournal de Paris” ancora umide (la carta veniva bagnata per meglio accogliere l’inchiostro di stampa, ndr) che venivano poi asciugate sul tubo della stufa del Cafè, prima di essere offerti gratuitamente alla lettura dei frequentatori. Di loro, non tutti sapevano leggere: sicché, solitamente, c’era sempre chi si prendeva la briga di leggere ad alta voce le notizie, naturalmente sollevando i commenti spontanei dei presenti. Nacque così, nel mio Cafè e dilagò subito, l’abitudine delle chiacchiere da caffè».
E’ vero che lei sta inventando ancora altri sorbetti?
«Mio Dio! Anche questo le hanno detto? Si è vero. Sono riuscito a migliorare la consistenza del gelato adoperando lo zucchero e non più il miele. Davvero gustose le mie “acque gelate” (granite, ndr), i gelati alla frutta, alla cannella, ai fiori di anice, al succo di limone, alla fragola e all’arancia. Ho pure inventato il gelo di caffè».
Lei possiede anche una “patente” reale.
«Anche questo? Lei non mi stupisce più. Si, ho una “patente” reale. Me l’ha concessa re Luigi XIV. Con questo documento speciale mi ha consentito di vendere in esclusiva le “acque gelate”, le “francipane”».
Vuole spiegarci il mistero del “portauovo”?
«Sta scherzando? Macché. Chi le ha raccontato anche questo? Non c’è alcun mistero. E’ un bicchierino di vetro a forma di portauovo. E’ elegante, e soprattutto piace alla mia clientela. E’ raffinato e dentro gli adagio i miei sorbetti, i gelati, i geli».
Tra i suoi numerosi clienti c’è anche Francois-Marie Arouet. Che tipo è?
«Lei si riferisce a Voltaire. E’ un personaggio assai strano. Per colpa dei suoi scritti mordaci ha subito e subisce ancora spesso angherie di ogni genere, Ha eletto il mio Cafè come sua seconda dimora. Scrive critiche al vetriolo e spesso è in esilio. Ma è un grande intellettuale. Glielo posso assicurare. Sono certo che un giorno i posteri lo apprezzeranno, davvero…».
Vuole regalare ai miei lettori una sua specialità? E soprattutto spieghi come prepararla
«Volentieri, così sarò ricordato in eterno. Si tratta di un gelato, ovviamente. Ci vuole mezzo litro di panna, 25 cl di latte, un tuorlo d’uovo e 375 grammi di zucchero. Bisogna frullare tutto a mano. Far bollire a fuoco lento per 5-6 minuti. Poi far raffreddare e aromatizzare con arancia, limone, fragola. Quanto ottenuto bisogna poi versarlo in stampi, possibilmente a forma di “portauova”. Fare gelare e… buon gelato a tutti!».
Monsieur Procopio, un’ultima domanda: oggi lei ha nostalgia della sua Palermo, della città che le ha dato i natali?
«Nostalgia no, perché sono andato via giovanissimo. Forse qualcosa di mio c’è. Eccome se c’è! Tutti i gelatai che oggi operano non solo a Palermo ma anche in tutto il mondo hanno appreso l’arte dalla mia esperienza qui a Parigi. Insomma, come direste oggi, il mio gelato ha un timbro, un copyright. Parola di Francesco Procopio dei Coltelli e saluti a tutti i palermitani e siciliani, anche quelli che non mi vogliono bene… Ma, questa è un’altra storia».



9.  Pellegrino Artusi “La Scienza in cucina e l’arte di cucinare bene” – la ricetta del gelato al caffellatte

Nel libro “La scienza in cucina e l’arte di cucinare bene” di Pellegrino Artusi c’era la ricetta per il gelato al caffè-latte che con la relativa mancanza di grassi lo rendeva simile al sorbetto o al caffè freddo.



Pellegrino Artusi


Il libro fu pubblicato alla fine del XIX secolo in un periodo in cui la sorbetteria americana era stata inventata e lo stesso Artusi ne raccomandava l’uso nelle sue ricette di sorbetti e gelati.

All’epoca molti gelatai  italiani non potevano permettersi l’acquisto della sorbetteria americana e continuarono a fare gelati in un cilindro all’interno di una vasca piena di ghiaccio e sale. Molti lo faranno solo negli anni a venire. Un invenzione  che, insieme alla refrigerazione meccanica,  annunciò la fine della raccolta, lo stoccaggio e il congelamento del ghiaccio.

 

Il gelato al caffè-latte di Pellegrino Artusi

ingredienti

500 g di latte intero

250 g di caffè espresso o percolato, temperatura ambiente

Zucchero (150g

Metodo

Mettere la ciotola della gelatiera nel congelatore per dodici ore.

Unisci il latte e lo zucchero nella casseruola. Cuocere a fuoco lento fino a quando lo zucchero si è sciolto. Lasciar raffreddare fino a temperatura ambiente.

Aggiungere il caffè alla miscela di latte e zucchero.

Versare la miscela nel contenitore e conservare in frigorifero fino a quando non si raffredda.

Rimuovere la ciotola dal congelatore e assemblare la gelatiera secondo le istruzioni del produttore.

Versare lentamente il composto nella gelatiera. Agitare per 30 minuti.      ……………………………………




E  ancora dalla  Sicilia......

granita di mandorle


granita di gelsi neri........

granita al caffè con panna...

eccccc------------






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