San Leucio (Caserta) -- Ferdinando I di Borbone e la sua Repubblica Socialista... La prima Colonia Socialista dell'era moderna con un primato mondiale nella fabbricazione della seta


 



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Indice

1-      Il Feudo di San Leucio dai Principi Acquaviva ai Caetani, ai Borbone. La Fabbrica della seta a San Carlo alle Mortelle;
2-      San Leucio Riserva di caccia;
3-      Carlo III di Borbone e Ferdinando I di Borbone (IV di Napoli e III delle Due Sicilie)  - Costruzione della “casina” di caccia –  La morte di Carlo Tito di Borbone  le medaglie in onore di Carlo Tito;
4-     La Costruzione dell’Ospizio del Belvedere, dell’Opificio e di altri edifici;
5-     Il Codice Leuciano
6-      6 Gli interventi eseguiti da Ferdinando I di Borbone dalla Fondazione della Colonia al 1799 – Il Giardiniere Andrew Graefier  - La fuga di Ferdinando nel 1798 a Palermo -  Il vascello inglese Vanguard – La morte durante la navigazione del piccolo Albero di Borbone di 6 anni – Il trattato di Amiens e il ritorno del Borbone a Napoli –  Il giardiniere Grafier diventò ufficiale giudiziReaario dell’Ammiraglio Nelson a Bronte;
7-      Altre operazioni eseguite per ordine del Re Ferdinando I di Borbone dal 1800 al 1806 –Fondazione della Chiesa di S. Maria delle Grazie alla Vaccheria – I Francesi di Napoleone occupano Napoli – La fuga di Ferdinando I a bordo dell’Archimede per Palermo -La colonia di San Leucio durante la reggenza di Murat – La fuga di Murat – La prigionia di e la fucilazione di Murat a Pizzo Calabro – Il Mistero della sepoltura di Murat (Video)  - Il ritorno di Ferdinando I a Napoli –
8-      Operazioni eseguite nella Colonia di San Leucio nel decennio dell’occupazione Militare;
9-      Il 7 giugno 1818 Ferdinando I ritornò a Napoli –  Interventi a San Leucio dal 1815 sino alla sua morte;
10-   3 gennaio 1825 muore Ferdinando I di Borbone – Francesco I di Borbone
11-  Gli aspetti tecnici della produzione – Gli amministratori di San Leucio – il tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione francese  e nel periodo della restaurazione Borbonica ; 1829, l’affitto a cav. Raffaele Sava – le condizioni di lavoro –  la fabbrica occupata dai garibaldini e gravi atti di vandalismo gratuito - 1861, la fabbrica di San Leucio all’Esposizione delle Industrie Nazionali a Firenze –  La fabbrica espropriata nell’Unità d’italia – Il problema giuridico della Colonia e la ribellione dei Leuciani – La colonia trasformata in Comune –  I setifici De Negri, Alois, Il Consorzio  con il suo marchio “San Leucio Silk”  (Il Disciplinare di produzione  nella Nota);
 I Fabbricati
12 – Antico Casino di San Leucio;
13 – Torretta  sul Monte San Leucio
14 – L’Arco Borbonico
15  - Descrizione del Real Casino di Belvedere (tra cui il bagno di Maria Carolina
        d’Asburgo) e degli edifici annessi
a)      Real Casino;
a.a. pianterreno e chiesa
a.b Piano Superiore e piano Reale
a.c. Ultimo piano
B) Edifici adiacenti al Real Casino
C) Reali Scuderie
D)Edifici addetti alla fabbrica delle stoffe – Filanda Grande detta dei Cipressi e
    Coculliera
16 – Il Quartiere Vaccheria
      a)      Fabbrica de’ Cotoni
b)      Casamento addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone
c)      Officina addetta al biancheggio de’ cotoni
d)      Lungo casamento -  un tempo antica “canetteria (I cani e i cavalli di Ferdinando I di Borbone, Il cavallo Persano, Il puledro nato nel Real Sito di Carditello  dopo circa un secolo di abbandono del centro... si chiama “Ionia” – il nome dei canettieri di Ferdinando I di Borbone)
e)      La Chiesa della Madonna delle Grazie della Vaccheria 
17-  Casa Incontro al Dosello
18 – cancello detto di Cappuccio con la case annesse
19 – l’edificio della Trattoria
20 – Piccoli edifici stabiliti per la custodia del Real Sito
a.       Casetta della cascata
b.      Guardiola alla Salita dell’Arco
c.       Casa del retaiolo all’Arco
d.      Casamento detto della “Mazzolina” – Il marzolino formaggio tipico toscano
21 L’Ospedale dei Leuciani
22 Real Casino di San Silvestro
Nota N. 1 – Il Disciplinare del Marcio Collettivo “San Leucio Silk”
Nota N.2 – Il Codice Leuciano  di Ferdinando I di Borbone

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Tante volte abbiamo visitato la bellissima Reggia di Caserta  ma nelle vicinanze c’è un altro gioiello di architettura per certi versi contrastante ed opposto alla Reggia per il suo alto valore intrinseco..
Un ambiente espressione di un ritmo armonioso nelle sue sequenze compositive, nei profili delicati delle case e delle strade... tutte espressioni di un’inventiva piena di sogno e bellezza.
Un sogno in parte realizzato di Ferdinando  I di Borbone... (IV di Napoli e III di Sicilia... I delle Due Sicilie) con la fondazione di quella che potremo definire come il  “primo esempio di repubblica socialista della storia contemporanea”.
Il suo nome .. San Leucio .. il nome del martire si addice perfettamente a questo ambiente che sprigiona nell’anima immagini di antica nobiltà, di fierezza, di gentilezza, e di profonda e discreta umanità. Sono le parole dette dal Vescovo di Caserta  che riescono a delineare il profondo significato dell’esistenza di questo antico “borgo”, che potremo in realtà definire “Colonia Reale”.   Qui le opere e i giorni dell’uomo s’incontrano con i colori e le fatiche del tempo che scorre e dove la terra, le forme e le tradizioni sembrano scrivere la storia di un poema che si legge con emozione..
Sembra strano ma la storiografia ha spesso criticato questo  piccolo centro, creato da Ferdinando I di Borbone, che sin dalla sua nascita ha mantenuto un bellissimo rapporto, quasi divino, fra uomo e ambiente racchiuso come in un reliquario di fede e di cultura.
La nascita di questo Borgo fu voluto da Ferdiando I, in seguito ad un grave lutto famigliare come racconterò nella mia ricerca, per dare assistenza agli ultimi, agli abbandonati con la prospettiva di un  domani migliore legato ad un lavoro dignitoso che farà di San Leucio un centro mondiale famoso per la produzione di seta.
Stipulò un codice, il Codice Leuciano, che tanto scalpore fece in tutta Europa per le sue idee sociali, che univa tutti  gli abitanti della Colonia come in una grande famiglia  dove la persona, con il suo essere, era al primo posto.
Il 25 giugno 1789 a San Leucio, nel Belvedere restaurato dal Sovrano, venne eseguita per la prima volta la

Nina Pazza per Amore”

di Giovanni Paisiello
uno dei più gradi compositori del Classicismo

Giovanni Paisiello al clavicordo
(Taranto, 9 maggio 1740 – Napoli, 5 giugno 1816)
Artista: Elisabeth Louise Vigèè Le Brun
(Parigi, 16 aprile 1755 – Louveciennes, 30 marzo 1842)
Pittura: olio su tela – Datazione: 1791
Misure (130,8 x 98,3) cm – Collocazione: Palazzo di Versailles


Manoscritto musicale. Partitura. Completo. Due volumi (ogni volume contiene un atto dell’opera). Pagine non numerate. Manoscritto a inchiostro seppia su carta pentagrammata a mano (10 pentagrammi). Nella partitura è intercalato il libretto della commedia per musica. Al verso della prima carta i nomi degli attori. Legature in mezza pelle con angoli un poco allentate. Dorsi con mancanze. Piatti in carta marmorizzata.
Tagli rossi. Le carte in più che buono stato. Fine XVIII secolo

Ancora viva è l’eco dei sospiri della Nina  colpita dalla perdita dell’amore e resa successivamente serena dalle parole del ritrovato fidanzato. Voci che rivivono nei cortili del setificio e che, una rilettura  più attenta del libretto, hanno ambientato tra gli antichi filatoi del borgo. Un testo dai contenuti romantici  che emanava messaggi educativi   con l’intento di formare ai buoni sentimenti la popolazione di San Leucio che era destinata, per amore di Ferdinando I, a costruire una comunità di uomini utili alla società e rispettati secondo regole etiche. 
Ferdinando I volle l’evento  a San Leucio e non nella Reggia di Caserta per celebrare proprio la presentazione del Codice Leuciano.

La vita del piccolo Borgo,  un agglomerato urbano con al centro una comunità di artigiani, contadini e allevatori, in cui la vita sociale era scandita dal regolamento leuciano che era impostato su principi di uguaglianza, diritto ai frutti del proprio lavoro ed assistenza ai deboli. Era un diritto alla felicità alla vita conviviale, arricchita da feste e da momenti di divertimento.
La festa di Santa Maria delle Grazie , a cui Ferdinando I era molto devoto, era uno di questi momenti con intrattenimenti colti o popolari.
Il  Corteo Storico che oggi  si svolge nel piccolo centro è l’emblema di un ricordo del passato legato  proprio alle celebrazioni della Madonna delle Grazie che fu elevata a patrona dal Sovrano e a cui dedicò un magnifico Santuario così particolare nella sua architettura perché connubio tra gotico e barocco.






In questo contesto festoso  si svolgeva il “palium” ovvero il palio dove al vincitore della corsa a cavallo si dava una stoffa pregiata di seta... una gara a cui il Sovrano assisteva fermandosi in un umile casa di un agricoltore nel piccolo quartiere del Dosello.

Nel 1805 Ferdinando I di Borbone – Delle Due Sicilie istituì una corsa di cavalli da disputarsi il 2 luglio di ogni anno in onore di Maria SS. Delle Grazie con

“palli e cavalcanti in giacchetta, calzabraca e fazzoletto”
Il programma della festa, ancora nel 1867 prevedeva secondo un’antica consuetudine:
“.... alle ore 9 vi sarà Messa Solenne, con Panegirico,
e sparo di mortaretti. Terminata così la funzione della mattina,
si passerà a seguenti leciti divertimenti dalle ore quattro, alle ore 6 p,m.:
cioè  Corsa di Giumente col premio al Vincitore di un Pallio di  Stoffa in seta, ed una somma di L. 10,
Immediatamente dopo la corsa delle giumente vi sarà la Benedizione
in Chiesa, colla esposizione del Santissimo.
La Giunta Municipale, d’accordo con La Guardia Nazionale
invigileranno  a che tutto proceda con ordine e la tranquillità
pubblica non sia turbata”.



Altra voce  che riecheggia è quella dell’architetto Francesco Collecini, formatosi alla scuola di Luigi Vanvitelli, che con la sua opera riuscì a creare qualcosa di eccezionale come sospeso tra cielo e terra, senza grandi espressioni e riuscendo ad integrare in modo perfetto le costruzioni all’ambiente circostante, un ambiente di umili contadini ed artigiani.
Una pagina di storia , una delle tante dimenticate forse per presunzione, perché mette in risalto l’ardire di pensare ad un mondo di eguali, di progettare un futuro per le giovani generazioni utilizzando programmi e tecniche d’avanguardia. Il tutto ideato alla grande.
Re Ferdinando I di Borbone fu  assegnato ad un ruolo di  vanitoso la cui attività aveva come obiettivo la creazione, attraverso l’erario pubblico, di un suo mondo ricco di capricci... Eppure quel suo mondo è stato dichiarato dalla Comunità Europea  Patrimonio dell’Umanità, Patrimonio dell’Unesco ed ha investito miliardi per il suo giusto recupero.
Bisogna dare un grande merito all’Università della Pennsylvania e al Politecnico di Milano che riuscirono con un grande lavoro di ricerca, svolto nel 1978, a ricostruire la storia del centro.  Il riconoscimento del complesso di San Leucio come Patrimonio dell’Umanità, insieme alla Reggia di Caserta e all’acquedotto Carolino, risale al 1999 quando vennero ultimati i lavori di restauro che permisero l’apertura al pubblico dello storico setificio.
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1.      Il Feudo di San Leucio
San Leucio è una frazione del comune di Caserta, da cui dista circa 3,5 km a Nord-Ovest dal
capoluogo, ed insieme alla Reggia di Caserta  fu riconosciuto come
PATRIMONIO DELL’UMANITA’ dall’UNESCO.
Antico feudo degli Acquaviva di Caserta con il Palazzo del Belvedere o “Palagio Imperiale” che fu 
descritto nel 1667 da Celestino Guicciardini. Vicino al palazzo c’era una vecchia “casina” di caccia 
che fu ai tempi restaurata.
Nel 1750 i possedimenti  degli Acquaviva, divenuti Caetani, passarono ai Borboni di Napoli e il 
sito diventò luogo di svago dei reali.
Il passaggio del feudo e di altri titoli dagli Acquaviva ai Caetani avvenne il 3 dicembre 1612 
quando Francesco IV Caetani (figlio di Filippo Caetani, VII duca di Sermoneta, e di Camilla 
Caetani d’Aragona, dei duchi di Traetto) sposò la principessa Anna Acquaviva d’Aragona (figlia ed 
unica erede del principe di Caserta Andrea Matteo IV e della contessa Isabella Caracciolo).
I titoli al Caetani pervennero quindi “ex uxore” (dalla moglie) ed i discendenti governarono lo stato 
di Caserta fino al 1750.
Michelangelo Caetani nel 1750 cedette il feudo a Carlo III di Borbone, che stava progettando la 
costruzione della Reggia di Caserta, ottenendo in cambio il titolo di principe di Teano.
Carlo III  si trovò di fronte ad una collina disabitata, non ho riferimenti in merito alle condizioni del 
palazzo che vi era presente, e decise di creare una residenza da utilizzare per la caccia e lo svago.
Il sovrano era un grande estimatore delle stoffe francesi e nei suoi progetti c’era forse l’istituzione 
nel nuovo feudo di una fabbrica di seta. Un industria che aveva aperto a San Carlo alle Mortelle, 
diretta dal francese Monsieur Trouillier e dal piemontese Giovanni  Gallan.
Si trattava della Manifattura di San Carlo alle Mortelle che produceva arazzi, opere in pietre dure e 
in marmi, porcellane e ceramiche. Nell’apertura della manifattura, avvenuta nel 1738, furono 
invitati a  Napoli grandi maestri come Domenico del Rosso e Giovan Francesco Pieri, tagliatori di 
pietre dure molti famosi in Firenze; degli arazzieri che erano attivi nell’arazzeria dei Medici. Il 
settore che era dedicato alla lavorazione della seta fu chiuso ma questo non cancellò l’interesse dei 
reali per la seta.
Nel 1757 Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo III di Borbone, introdusse a Caserta 
l’allevamento dei bachi da seta.
Nel “tenimento di Caserta” la regina aveva impianto un’estesa piantagione di gelsi nel 1757 e 
l’anno successivo aveva fatto venire da Bologna il seme per l’allevamento del baco che fu iniziato 
in un villino dell’antico Boschetto.

Maria Amalia di Sassonia
(Dresda, 24 novembre 1724 – Madrid, 27 settembre 1760)
Artista: Giuseppe Bonito
(Napoli, 11 gennaio 1707 – Napoli, 9 maggio 1789)
Pittura: olio su tela – Datazione: 1745 circa
Misure: (1,25 x 1,05) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid
La regina  fu raffigurata con un abito di seta.

2. San Leucio, Riserva di caccia
Il re Carlo III   decise alla fine di fare realizzare a San Leucio la riserva di caccia più prossima alla
Reggia di Caserta.

La Reggia di Caserta

Il progetto fu affidato all’architetto Luigi Vanvitelli che segnò un tracciato di viali rettilinei per 
congiungere la reggia con l’antico edificio di San Leucio detto il “Belvedere”. L’edificio era 
collocato al centro della tenuta di San Leucio ed era il vecchio castello appartenuto agli Acquaviva 
ed ai Caetani e risalente al XVI secolo.

3. Carlo III di Borbone, Re di Spagna – Ferdinando I di Borbone (IV di Napoli,..)
Carlo III di Borbone fu chiamato al trono di Spagna e suo figlio Ferdinando I (Ferdinando IV di 
Napoli) diede inizio alla formazione vera e propria del borgo di San Leucio.

Abdicazione di Carlo III in favore del figlio Ferdinando IV
Artista: Gennaro Maldarelli
Secolo XIX – Reggia di Caserta

Partenza di Carlo III di Borbone per la Spagna (vista dal mare)
Artista: Antonio Joli
Modena, 12 marzo 1700 – Napoli, 29 aprile 1777
Pittura: Olio su tela – Datazione 1759
Misure (1,27 x 2,05) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid

Partenza di Carlo III di Borbone per la Spagna (vista da terra)
Artista: Antonio Joli
Modena, 12 marzo 1700 – Napoli, 29 aprile 1777
Pittura: Olio su tela – Datazione 1759
Misure (1,27 x 2,05) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid

Ferdinando IV di Borbone all’età di nove anni
(Palazzo Reale di Napoli, 12 gennaio 1751 – Napoli, 4 gennaio 1825)
Artista: Anton Raphael Mengs
Usti nad Labem-Bohemia, 12/22 marzo 1728 – Roma 29 giugno 1779
Pittura: olio su tela – Datazione 1760
Misure: (1,79 x 1,30) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid


Ferdinando IV di Borbone, all’età di circa vent’anni
Artista: Francesco Liani
Borgo San Domenico, 1712 circa – Napoli, 1780
Pittura: olio su tela – Datazione 1760 circa
Misure (73 x 61) cm – Collocazione: ?

Il ventiduenne Ferdinando IV diede ordine di continuare i lavori iniziati da Carlo III nel recintare 
l’intera tenuta. Fece costruire un piccolo edificio adibito a “casina” di caccia che successivamente 
fu ampliato. Questo edificio finì con l’ospitare l’intera famiglia reale per  lunghi periodi.
Infatti quando salì al trono( 6 ottobre 1759), Ferdinando IV di Borbone, fu animato dal  desiderio di 
avere un luogo  solitario, lontano dalla corte di Caserta, dove poter passare dei momenti spensierati.
Era il 1773 e il sovrano scelse come ritiro solitario le colline  che fiancheggiano il Parco della 
Reggia di Caserta dove sorgeva il rudere di una cappella dedicata a San Leucio, martire e vescovo 
di Brindisi, che diede il nome al sito.

«Le delizie di Caserta e la magnifica abitazione incominciata dal mio augusto Padre – scriveva 
Ferdinando – formano un’altra Città in mezzo alla Campagna, con le stesse idee del lusso, e della 
magnificenza della Capitale. Pensai dunque nella Villa medesima di scegliere un luogo più separato, che fosse quasi un romitorio, e trovai il più opportuno essere il sito di S. Leucio"

Il “Casino” di caccia


L’eremo comprendeva una vigna ed un boschetto ed era frequentato dal re per brevi periodi. In sua 
assenza era custodito da alcuni guardiani di stanza che vi abitavano con le proprie famiglie.
La riserva di caccia cominciò a trasformarsi perché la presenza del sovrano incoraggiò molta gente 
a stabilirsi intorno alla residenza reale. Sorsero così i primi impianti zootecnici e alcune famiglie si 
stabilirono nel luogo aggiungendosi a quelle dei guardiani. Molte famiglie non riuscirono a  trovare 
una sufficiente occupazione nel lavoro dei campi ed iniziarono spontaneamente ad avviare la 
produzione della seta nelle loro piccole case adottando la “trattura alla paesana” cioè dal baco al 
filo sericeo. Piccolo borgo che prese il nome di "Vaccheria" da un grande locale adibito a stalla.
Il 17 dicembre 1778 la famiglia reale dei Borboni fu colpita da un gravissimo lutto.
Il figlio primogenito ed erede al trono, di Ferdinando IV di Borbone e della moglie Maria Carolina 
d’Austria, Carlo Tito morì di vaiolo all’età di tre anni nel “Casino” di caccia della Vaccheria di 
San Leucio.

Carlo Tito Francesco Giuseppe di Borbone
(Caserta, 4 gennaio 1775 – Vaccheria di San Leucio, 17 dicembre 1778)
(Artista: Non identificato
Miniatura del XVIII secolo – Collocazione Palazzo Hotburg (Austria)

Il 4 Gennaio 1775 la Regina delle Due Sicilie Maria Carolina verso le 6 del mattino aveva avvertito i dolori del parto ed alle 9 dava alla luce un bambino il Principe Ereditario. Furono scelti per il neonato questi nomi: Carlo, Francesco, Gennaro, Giovan Battista, Giuseppe, Tito, Antonio, Ferdinando, Gaetano, Pasquale, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre: ma negli scritti contemporanei è indicato o come D.Carlo Francesco o più spesso come D.Carlo Tito… Con dispaccio reale del 4 Gennaio fu comandato, per celebrare la nascita di Carlo Tito, che la corte si fosse vestita di gala per tre giorni e che si fossero fatte illuminazioni per tre notti consecutive nel Palazzo Reale, nella Città e nei castelli e per il giorno della pubblica uscita della Regina e del figliuolo. Si stabilì che il Sabato 11 Febbraio il neonato sarebbe stato solennemente battezzato nella del Real palazzo di Caserta dal Nunzio Apostolico Arcivescovo di Tarso… La Regina il 19 Agosto 1777 aveva avuto la gioia di mettere al mondo un altro Principino che prese il nome di Francesco, ma sul finire del 1778 fu colpita dal dolore di perdere il rimogenito Carlo Tito. Riferisco testualmente le parole della citata cronaca: “Era questo un elegante bambino, spiritoso e di gran talento di anni 4 meno giorni 13 così ben educato che passeggiando per Napoli nella carrozza faceva piacevoli riverenze a chiunque de’napolitani ma con dispiacimento universale se ne morì a’ 17 di Dicembre in Caserta, fu portato il piccolo cadavere in Napoli, e dopo imbalsamato, fu esposto, vestito di lastra di argento, nel Reale Palazzo fino alle ore 23 circa de’ 20 detto Domenica, d’onde fu portato nella Chiesa di Santa Chiara nella quale erasi preparata pomposa castellana con ornamento di numerosi ceri di circa 3000 libbre… La Regina sua madre ne rimase quasi inconsolabile, per essere un bambino bellissimo e che dava grandissime speranze di se: ma per giusto giudizio del Signore fu scelto per la gloria del Paradiso…”

Carlo Tito di Borbone, principe delle Due Sicilie e Duca di Calabria
Il titolo di Duca di Calabria era assegnato all’erede al trono.
Il precedente a portare detto titolo era lo zio paterno Filippo, 
escluso dalla successione per demenza.
La sua nascita, primogenito maschio della coppia reale, permise alla madre, 
Maria Carolina d'Asburgo-Lorena un seggio nel Consiglio di Stato, centro della politica statale, 
come prescritto dal contratto nuziale.
Carlo Tito avrebbe dovuto sposare, (se non fosse morto), sua cugina Maria Antonia di Parma, infatti Maria Antonia aveva solo un anno in più di Carlo Tito, ma la morte prematura di Carlo Tito fece sfumare il progetto.
La sua morte fu quindi causata dal terribile vaiolo, esattamente come poi sarebbe accaduto ai fratelli Maria Cristina e Giuseppe. Con il resto della famiglia è sepolto nella 
Basilica di Santa Chiara. 
I sovrani in occasioni di momenti felici della loro vita erano soliti coniare
delle monete commemorative. Una consuetudine che fu rispettata  anche per la
nascita di Carlo Tito. 

Medaglia (1775) – Diametro: 58 mm
Coniata a Napoli per la nascita di Carlo Tito
Dritto
FERDIN. IV. SICILIAR ET. HIER. REX. ET. MARIA. CAR. REG.
Busti affiancati a destra, del Re con la parrucca e la corazza e della regina in abito regale.
All’esergo: B. PERGER. F.
Rovescio
SPES  ALTERA
(sottointeso REGNI. L’altra speranza del Regno)
In primo piano la Speranza che sparge fiori, sul fondo veduta del Vesuvio e navi nel golfo.
All’esergo: B. PERGER. F.
 
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Medaglia (1775). Bronzo fuso. Diametro: 83 mm. Maestranze della zecca di Napoli. 
Per la nascita di Carlo Tito.
Al Dritto
 HINC (da questo luogo).
Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano sinistra, sullo sfondo un edificio.
All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.
Al Rovescio
/ CAROLVS / TITVS / PRID. NON. IAN / CASERTAE.
Scritta nel campo su quattro righe (Carlo Tito nato a Caserta il giorno prima delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio).
Questa piccola opera non venne prodotta nella zecca partenopea, bensì dallo scultore Tommaso Solari. Un artista molto attivo in quel periodo nel cantiere della Reggia di Caserta e particolarmente apprezzato dall’architetto Luigi Vanvitelli in persona. Lo stile e la firma dello scultore all’esergo sono elementi che lasciano intendere verosimilmente che si trattò di un omaggio medaglistico (ed artistico) personale dedicato al neonato Principe ereditario. I Borbone commissionarono numerosi lavori al Solari (cfr. documenti Archivio della Reggia di Caserta) e sicuramente quest’ultimo ritenne opportuno dimostrare la sua riconoscenza alla famiglia Reale attraverso una medaglia dedicata al loro nascituro. Nell’archivio della Reggia di Caserta si trovano dei documenti che attestano già a partire dal 1759 l’instancabile ruolo del Solari nel cantiere, di seguito è riportato un documento datato 1759 e firmato dal Vanvitelli estrapolato dal volume 18 del suddetto archivio: “…
Essendo stata terminata dal sig. Tommaso Solari la statua dell’Antinoo, d’appresso l’antico, scolpita in marmo di Carrara, alta fuori del zoccolo dai piedi alla testa palmi 9 in circa ed avendola veduta ed esaminata, la considero ed apprezzo in Ducati cinquecento di Napoli il suo giusto e doveroso prezzo ed avendone ricevuto in dieci pagamenti ducati quattrocentoventi, in saldo finale pagheranno di questa quota altri duc. 80. Dico … 80. Luigi Vanvitelli. Caserta 23 Marzo 1759…”.
La presenza al dritto della parola HINC (da questo luogo), sarebbe un chiaro riferimento all’edificio (Reggia di Caserta?) alle spalle della donna turrita e luogo di nascita del Principe Ereditario.
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Medaglia (1775). Bronzo fuso. Diametro: 83 mm. 
Per la nascita di Carlo Tito.
Al Dritto
HINC (da questo luogo).
Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano sinistra,
sullo sfondo un edificio.
All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.
Al Rovescio
PRID. NON. IAN / CASERTAE. 
 Scritta nel campo su due righe
(Caserta, il giorno prima delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio).
 
La medaglia illustrata nell’immagine fu presentata nell’asta NAC 47 del Giugno 2008 (un’asta indimenticabile dove venne dispersa una collezione di medaglie del Regno delle Due Sicilie) ed è una variante della moneta precedente. Ciò che contraddistingue la differenza tra le due, è la mancanza del nome del protagonista Carlo Tito al rovescio e la differenza di stile dei caratteri. Al dritto, ed in particolar modo nell’espressione della donna turrita i sono delle forti differenze.
Nella medaglia precedente la donna ha un volto di maggiori dimensioni e il naso meno accentuato, un volto decisamente più delicato. Anche nei caratteri preseti nei due dritti ci sono delle differenze nella dicitura HING che nella medagli precedente è stilizzata e più elegante.

Altro particolare molto interessante al rovescio, è la presenza del punto di interpunzione a forma di triangolo rispetto alla medaglia precedente che presenta invece un punto Il triangolo è un simbolo di interpunzione davvero insolito per gli artisti napoletani dell’epoca in quanto presente nella maggior parte dei casi, su molte medaglie di epoca barocca ed in particolare del Soldani


Maria Carolina con il figlio Carlo Tito

4. La Costruzione dell’Ospizio di Belvedere
Il re fu scosso dalla grave tragedia familiare e decise di erigere un ospizio, trasformando il vecchio 
edificio del “Belvedere”, per i poveri della provincia..  proprio a San Leucio  determinando il 
destino della colonia.
Vicino all’ospizio fece costruire un opificio per non tenere in ozio i poveri ospitati e per avviare 
l’attività fece giungere dal Nord Italia delle imprese tra cui la Brunetti di Torino famosa nella 
produzione di seta.
La colonia subì subito un aumento  e si decise di costruire altri edifici per migliorare la funzionalità 
del borgo. Tra gli edifici fu costruita anche una parrocchia, gli alloggi per gli educatori e dei grandi 
padiglioni per la collocazione dei macchinari.
Una vera e propria trasformazione urbanistica perché oltre alla residenza reale avrebbe raccolto
«tutto il lavorio e le manifatture che erano sparse nelle diverse abitazioni e tutta quella Gioventù sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco».
 Lo schema urbanistico generale comprendeva:
-           una zona quasi totalmente destinata all'attività agricola sorta intorno al primitivo nucleo detto «la Vaccheria»;
-          una zona destinata all'attività manifatturiera intorno all’antico edificio del Belvedere;
-          una  terza, nei pressi dell’ingresso della cittadella, avente un  carattere solamente residenziale.


La composizione urbanistica fu curata dall'architetto Francesco Collecini, al quale si deve l'intera 
opera di S. Leucio, e fu legata alla più rigida concezione assiale. Strade, viali, edifici, presi 
isolatamente e nei loro rapporti reciproci, presentano un chiaro e preciso ordine simmetrico. Fanno 
eccezione le due file di case dei coloni, che, prospicienti il Belvedere, si stendono ad oriente e ad 
occidente di esso. Le due file non sono tra loro allineate, ma formano una lieve angolazione quasi a 
seguire una curva di livello del monte, in realtà corrispondente all'andamento del muro di 
recinzione della tenuta di caccia, divenuto poi confine della comunità manifatturiera.

Il centro della colonia era l’antico casino Belvedere che fu ristrutturato nel 1778.
II nucleo principale dell'edificio si svolge intorno ad un grande cortile rettangolare chiuso. Sul lato 
orientale di questa fabbrica si snoda un altro cortile aperto verso mezzogiorno e circondato da corpi 
di fabbrica destinati quasi esclusivamente ad opifici. Questo secondo cortile doveva costituire la 
parte centrale dell'intero complesso leuciano secondo il piano che prevedeva di ripetere 
simmetricamente sul lato ad est un volume edilizio pari a quello del Belvedere situato sul lato 
ovest. 

Il complesso edificio del Belvedere conteneva la chiesa, la scuola, la dimora reale, quella dei 
principali cittadini, i depositi; unitamente alla filanda, ai filatoi e alle altre attrezzature dell'opificio.
In ogni costruzione di San Leucio si nota un perfetto legame tra la ricerca di uno stile monumentale 
e quello rustico, rurale.
Questi aspetti sono evidenti nell’avancorpo principale contenente la chiesa, la scuola, gli alloggi e  
nel cortile della fabbrica.

Il prospetto a sud con le sue lesene giganti, l’alto timpano e il particolare disegno delle aperture (di 
notevole interesse quelle strombate che si aprono nelle testate) testimonia quel gusto neoclassico 
che traeva origine dall’opera di Vanvitelli; opera ben nota al Collecini che ne fu allievo e suo 
collaboratore nei lavori della reggia di Caserta.
Il cortile interno del Belvedere oppone al monumentale prospetto, un suo carattere rustico e severo. 
Qui la plastica architettonica minore cede il posto alla consistenza volumetrica dei corpi di 
fabbrica, al ritmo delle arcate, al disegno del robusto tetto di copertura su cui sono disposte in 
bell’ordine le ciminiere della fabbrica.
L’architetto Collecini disegnò l’intero complesso secondo il volere del re Ferdinando IV di 
Borbone..
una casa di campagna avente il tono di una reggia e al tempo stesso una residenza reale con la schiettezza di un rustico podere.
Una grande importanza edilizia, ed anche storica, hanno le case dei coloni che furono iniziate nel 
1786 (?). 
Nella futura compilazione dello statuto della comunità, lo stesso Ferdinando IV scriveva che:
«Si stanno anche edificando delle nuove case per comodo di quei giovani, che vadano giungendo all’età di potersi unire in matrimonio, e per quegli artefici forestieri, che si fissino nel luogo
e nello scrivere le norme relative ai matrimoni nella comunità
«ed allora in premio della loro buona riuscita si concederà da Me ad essi una delle nuove case che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario per i comodi della vita, e i due mestieri [cioè due telai], co’ quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento».

L’assegnazione di questi alloggi rientrava così nella dote matrimoniale che Ferdinando aboliva se 
concessa dalla famiglia della sposa, ma alla quale provvedeva personalmente per evitare la 
disuguaglianza tra le famiglie nascenti dei giovani coloni. 
Le case sono disposte in due file che prendono rispettivamente nome di quartiere S. Ferdinando Re 
nel lato a destra del portale d’ingresso alla colonia e S. Carlo nel lato a sinistra. Così come sono 
stati realizzati, i quartieri S. Ferdinando e S. Carlo altro non sono che due file di case a schiera con 
alloggi su due piani.


La foto è ruotata.
Il Quartiere San Ferdinando è a sinistra e quello di San Carlo a destra

In pianta ciascuna cellula presenta due vani al pianterreno e due o tre vani al piano superiore uniti 
da una scala interna generalmente formata da un solo rampante. L'altezza limitata dei vani, la 
ripetizione pressocché costante dello schema planimetrico rendono i due complessi di case a 
schiera assai simili ai più moderni esempi della stessa tipologia edilizia. All'esterno si rinnova la 
coesistenza di un classico rigore architettonico con un semplice carattere di edilizia rurale.
Le case hanno anche altri aspetti particolari.

La fila di case  poste nel quartiere “San Ferdinando”, sorgono su un solo piano.

Le case del quartiere “San Carlo” furono influenzate dall’esistenza del declivio di Monte San 
Leucio. C’era un dislivello per cui le case furono accostate con un andamento a scalare. Gli 
sfalsamenti risultanti trovano corrispondenza in ogni elemento della composizione architettonica e 
particolarmente nei cornicioni che, per evitare bruschi salti o soluzioni di continuità, proseguono 
nei punti di dislivello con dei tratti in verticale. Cosicché' il coronamento della lunga fila di alloggi 
risulta composto da una lunga gradinata di cornici in stucco.

Si nota lo sfalsamento dei cornicioni – Case del quartiere San Carlo

È ancora degna di rilievo la copertura a tetto inclinato delle case di esperto disegno ed esecuzione. 
Le case, la cui vista principale era quella dall’alto, sembrano conservare nella copertura il loro 
aspetto più nobile.  

.................

5. Il Codice Leuciano
L’istruzione degli ospiti era affidata ad un Direttore dei Mestieri ciascuno con la sua 
specializzazione. Un vero e proprio percorso formativo.
Ferdinando IV di Borbone, su consiglio del ministro Bernardo Tanucci, pensò d’inviare i giovani in 
Francia per apprendere l’arte della tessitura e successivamente da impiegare negli stabilimenti reali.
Quando il Tanucci fu esonerato dal suo incarico, il nuovo ministro Domenico Caracciolo diede un 
ulteriore sviluppo alla colonia. Fu costituita, su progetto anche dell’architetto Francesco Collecini, 
una comunità nota con il nome di “Real Colonia di San Leucio” e che fu basata su norme proprie.
Infatti nel 1789 il sovrano  firmò un trattato che conteneva i principi su cui si basava la comunità di 
San Leucio:
Origine della popolazione di San Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa di Ferdinando IV Re delle Sicilie 
conosciuti anche come
Statuti di San Leucio.
 
Si tramanda che questo codice fu voluto dalla moglie del sovrano, Maria Carolina d’Asburgo – 
Lorena e fu scritto dal massone  Antonio Planelli su ispirazione di Mario Pagano (giurista, filosofo, 
politico drammaturgo) e di altri illuministi. Fu pubblicato dalla “Stamperia Reale del Regno di 
Napoli” in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e ventidue paragrafi, rispecchiava le 
aspirazioni del dispotismo illuminato dell'epoca ad interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed 
economica e poneva grande attenzione al ruolo della donna.
Alle maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e 
messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici di cui usufruivano gli operai 
delle seterie.
Ai lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all'interno della colonia, ed era, inoltre, 
prevista per i figli l'istruzione gratuita potendo beneficiare, difatti, della prima scuola dell'obbligo 
d'Italia che iniziava fin da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, 
la letteratura, il catechismo, la geografia, l'economia domestica per le donne e gli esercizi ginnici 
per i maschi. I figli erano ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario 
ridotto rispetto al resto d'Europa. Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole 
urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel tempo (abitate tuttora) e fin dall'inizio furono 
dotate di acqua corrente e servizi igienici.
Per contrarre matrimonio gli uomini e le donne, compiuti rispettivamente almeno 20 e 16 anni, 
dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al merito” concesso dai Direttori 
dei Mestieri. I matrimoni si svolgevano il giorno di Pentecoste con una celebrazione particolare: a 
ogni coppia era assegnato un mazzo di rose, bianche per gli uomini e rosa per le donne, fuori la 
chiesa li aspettavano gli anziani del villaggio, di fronte ai quali le coppie si scambiavano i mazzi di 
fiori come promessa di matrimonio. Ciascuno era libero di lasciare la colonia quando voleva, ma, 
data la natura produttiva del luogo, si cercava di inibire tali eventualità, ad es., facendo divieto di 
ritorno in colonia oppure riducendo al minimo le liquidazioni.
La produttività era garantita da un bonus in danaro che gli operai ricevevano in base al livello di 
perizia che avevano raggiunto. La proprietà privata era tutelata, ma erano abolite le doti e i 
testamenti. I beni del marito deceduto passavano alla vedova e da questa al “Monte degli orfani”, 
cioè la cassa comune gestita da un prelato che serviva al mantenimento dei meno fortunati. Le 
questioni personali erano giudicate dall'Assise degli Anziani, cd. seniores, che avevano raggiunto i 
massimi livelli di benemerenza ed erano di nomina elettiva. I seniores monitoravano anche la 
qualità igienica delle abitazioni e potevano deliberare sanzioni disciplinari nonché espulsioni dalla 
colonia.
Per contrastare la concorrenza straniera, i leuciani si aprirono al mercato dell'abbigliamento con la 
produzione di maglie, calze, broccati e velluti. Così, seguendo la moda francese, si passò 
dai pekins ai tulle, dai chines ai reps. La fortuna delle produzioni leuciane è ampiamente 
documentata fino alla prima metà dell’ 800 quando l'impianto ebbe l'esclusiva sullo straordinario 
tessuto “fili di vetro” scoperto da Gio. U. Ruforf
Ferdinando IV, che morirà nel gennaio 1825, aveva in progetto di allargare la colonia per le nuove 
esigenze industriali legate all’introduzione della “trattura” (quindi la prima fase di lavorazione con 
l’immersione dei bozzoli in acqua calda e presa del filo sericeo da introdurre poi nei torcitoi) e 
della manifattura dei veli. L’obiettivo era la costruzione di una città da chiamare “Ferdinandopoli” 
concepita su una pianta completamente circolare con un sistema stradale radiale e una piazza al 
centro per farne anche una sede reale. Non vi riuscì,
Diverse opportunità erano offerte anche agli invalidi del lavoro che potevano rimanere in loco dopo 
l'infortunio; per questi fu progettato un ospizio apposito, la “Casa degli infermi”, che però non fu 
possibile portare a compimento a causa della discesa di Napoleone Buonaparte in Italia e della 
nascita della Repubblica Partenopea nel 1799. Pertanto, gli invalidi continuarono a sopravvivere 
grazie a delle donazioni spontanee dei lavoratori diplomati al merito, raccolti in un'apposita cassa 
dai seniores. Gli operai addetti alla coltivazione dei campi, invece, potevano vendere una parte del
raccolto al mercato in base ai prezzi stabiliti dal sovrano.
Nel 1789 Lady Elisabeth Craven, moglie di Lord Craven, magravio di Anspanich, soggiornò per
qualche settimana a Caserta scrivendo le sue memorie nel Portrait du Roi Ferdinand che fu 
pubblicato a Londra nel 1826: 
«mi fornì spiegazioni non pure su tutte le regole dello stabilimento ma fin più intricati congegni meccanismi che rendevano quel lavoro più agevole». 
Tra il 1790 e il 1796 anche Giuseppe Galanti, allievo di Antonio Genovesi, si soffermo sul posto:
«il più lodevole in questa costituzione è che nulla si fa per forza. L'onore ed altri piccioli problemi debbono bastare a far osservare le leggi».
Ma vediamo più in dettaglio quelle norme emanate da Ferdinando IV di Borbone che 
regolavano la comunità.


Trovare esperienze sociali simili non è facile considerando i tempi.
Tralasciando le esperienze dei gesuiti, che ebbero dei connotati sociali e religiosi decisamente 
superiori al contesto di San Leucio, per annotare esperienze simili dovremo guardare in Europa 
dove erano presenti le teorie:
-          del  francese Claude Nicolas Ledoux, in merito alla progettazione delle saline Reali di Choux;
-         dell’inglese Rober Owen per la struttura socio economica applicata alle filande scozzesi di New Lanark;
-          di Charles Fourier, in merito al progetto del Falansterio ed alla sua concreta realizzazione nel Familisterio di Godin.
Tutte esperienze che avevano una base imperniata su un incondizionata fiducia nei valori della 
fratellanza e della solidarietà sociale e tendenti alla definizione di un nuovo modello di convivenza 
che potesse risolvere i problemi della comunità industriale. 
Lo statuto traeva anche origine da quel movimento promosso dall’illuminismo e che trovò nella 
Napoli del Settecento un ambiente adatto alla sua diffusione
Valga per tutte l'opera del Filangieri, che con la sua Scienza della Legislazione forniva, tra l'altro, il 
prototipo del codice leuciano, e la politica del ministro Tanucci rivolta, nel settore didattico, alla 
qualificazione professionale delle giovani maestranze, attuata mediante numerosi centri di arte 
applicata, ai quali si collegava direttamente quello di San Leucio.
Il codice sanciva il diritto e il dovere al lavoro e la parità dei coloni rispetto alla intera comunità. 
              Essendo voi tutti Artisti, la legge che io v'impongo, è quella di una perfetta eguaglianza»
scriveva Ferdinando IV di Borbone.
Da questo importante principio nascevano tutta una serie di leggi, qualcuna dal carattere 
esteriore mentre altre più determinanti:
-          La retribuzione del lavoro veniva effettuata con un crescente compenso fino ad una cifra corrispondente all'opera di maestri più qualificati.
-          Per il sistema mutualistico d’assistenza, oltre alla “casa degli infermi”, che rientrava nelle dirette cure del re, esisteva un fondo assistenziale detto “Cassa di Carità” per il sostentamento degli inabili e degli anziani;
-          gli abitanti dovevano vestire tutti allo stesso modo, senza nessun segno di distinzione, e la pulizia veniva imposta come condizione necessaria alla salute;
-          Il servile appellativo di Don era riservato ai preti, e soltanto in segno di rispetto;
-          I funerali dovevano essere semplici; il lutto era bandito, eccetto i bracciali neri per gli uomini e le sciarpe nere per le donne, per due mesi al massimo;
-          Il giorno di San Leucio, si dovevano eleggere a scrutinio segreto cinque anziani, scelti tra i membri della comunità più vecchi, più saggi, e di maggiore esperienza; insieme al parroco essi dovevano conciliare le controversie, sorvegliare il commercio locale, l'igiene, e la morale pubblica;
-          Ogni matrimonio doveva essere preceduto da un fidanzamento con scambio di fiori a Pentecoste nella chiesa della Colonia.
-          La sposa doveva avere almeno sedici anni, e lo sposo venti;
-          le doti erano proibite; i testamenti furono aboliti; i bambini ereditavano dai genitori per diritto di natura;
-          L'eccellenza nel lavoro sarebbe stata premiata con medaglie d'oro e di argento e un posto in chiesa nel banco detto del Merito;
-          Gli anziani ed il parroco amministravano una cassa di carità per mantenere i malati e gli infermi e per impedire la mendicità, «la condizione più infame e detestabile del mondo”: Una Cassa di Carità che anticipava fondi senza la corresponsione di interessi! Inoltre la Cassa, attraverso un prelievo forzoso sullo stipendio di 85 centesimi di lira aurea, aveva creato il primo esempio di trattamento pensionistico al mondo;
-          Tra i regolamenti di igiene era obbligatoria l’inoculazione del vaiolo;
-           Il lavoro era garantito a tutti, e i forestieri potevano venire «naturalizzati» soltanto dopo un anno di prova.
-          Le sanzioni penali consistevano in ammende per i reati minori, ed in espulsione per i reati contro la morale. Esisteva un carcere con un sovraintendente ed una volta vi finì un abitante della Comunità al quale fu recapitato in cella un telaio affinchè continuasse con le attività lavorative, non oziando ma garantendo il sostentamento per l’intera famiglia;
-          Il codice terminava con una definizione dei doveri del Cristiano ed un particolareggiato orario.

Cortile ingresso palazzo del Belvedere

Statua di Ferdinando IV

Iscrizione del monsignor Vincenzo Lupoli posta sotto la statua di Ferdinando IV

La pubblicazione dello Statuto destò molta “meraviglia” nel mondo e soprattutto “contentezza” nei 
napoletani che guardarono con stupore alla creazione della comunità ed anche con la speranza di 
vedere quella istituzione  in altre parti del Regno.
La critica storica  non fu molto concorde nell’esprimere i giudizi nei confronti dello Statuto.
 Alcuni storici infatti affermarono come lo statuto fosse una parvenza di governo popolare che era 
invalidato dalla frequente presenza del re a San Leucio nonchè dai poteri dell’intendente. Carica 
d’intendente che fu ricoperta per molto tempo dal cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo (dei duchi di 
Bagnara e Baranello) e che sarà successivamente a capo della restaurazione borbonica.
Lo storico Federico Stefani collegò la colonia alle utopie sociali di Rétif de la Bretonne, nelle quali 
principi rivoluzionari coesistevano quasi sempre col vecchio ordinamento religioso e monarchico. 
Aggiunse che la stessa Maria Carolina seguiva con vivo interesse l'opera di Rétif de la Bretonne e, 
collegò il  carattere della regina ,  progressivo e paternalistico, al codice di S. Leucio.
Altri storici furono molto critici sull’iniziativa del Borbone perché  giudicarono la Colonia quale 
bizzarro e capriccioso trastullo del re o, in maniera analoga, malcelata attestazione del suo innato 
dispotismo (Benedetto Croce e addirittura  Giosuè Carducci).
Lo scrittore, storico e collezionista d’arte, Sir Harold Mario Acton 
«I suoi nemici lo accusarono di averla fondata per la soddisfazione delle sue brame, dato che aveva un debole per le robuste ragazzotte di campagna. Ma quello fu il suo primo ed unico esperimento sociale. Accadde che dopo un viaggio nell’Italia Settentrionale, nel 1785, dove il suo più progredito cognato lo aveva infarcito di discorsi morali, si era deciso ad imbarcarsi in un’impresa creata da lui stesso»

Quartiere San Ferdinando

Quartiere San Carlo

pensiline in Art Nouveau


Nella critica anche giudizi positivi...
Era il 20 Novembre 1789 quando a San Leucio si sperimentò il primo esempio di repubblica 
socialista della storia moderna, e di realistica attuazione di quella tipica Utopia idealistico – 
razionalista dell’Illuminismo dell’epoca.
Una repubblica specchio di tutte le più famose teorie utopistiche da Platone alla “Città del Sole” 
del calabrese Tommaso Campanella, a Tommaso Moro..... con la istituzione di una Colonia, ad 
opera del re delle Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove, a dispetto 
delle mistificazioni diffuse dalla vulgata, insieme alla rinascita dell’industria della seta era fiorito 
l’Illuminismo del ‘700 napoletano, grande fucina del pensiero politico meridionale e 
dell’Illuminismo italiano, con i contributi di grandi personaggi come Gian Battista Vico, teorico 
della storia e della vita delle nazioni, Pietro Giannone fondatore dello stato laico, Antonio Genovei 
grande teorico dei canoni fondamentali dell’economia pubblica fino ai grandi giuristi e pensatori 
come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Galiani, e Pagano.
“ E’ curioso che l’esempio luminoso di questa utopia si debba a un despota illuminato, quando un 
altro despota illuminato, il re del Portogallo Giuseppe I, nello stesso periodo, aveva invece 
stroncato nelle colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, 
le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti”.

Il Codice Leuciano, come detto, nel gennaio del 1789   fu pubblicato in soli 150 esemplari, su carta 
imperiale d’Olanda per le Leggi e carta reale per i Doveri,  con un volume il cui titolo era: 
«L’origine della popolazione di S. Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle Leggi 
corrispondenti al buon Governo di Essa» che comprendeva anche i «Doveri verso Dio, verso sé, 
verso gli Altri, verso il Re, verso lo Stato, per uso delle Scuole normali di S. Leucio» ed un «Orario 
per il tempo della Preghiera, Messa ed Esposizione del Santissimo per gli individui della 
popolazione di S. Leucio», opera meglio nota come il Codice di San Leucio.
Il codice fu subito tradotto in greco, tedesco e francese ( da parte dell’Abate Louis Antoine 
Clémaron de S. Maurice, Gradué dans l’Université de Paris, regolarmente autorizzata per il tramite 
di Mons. Capecelatro, allora Vescovo di Taranto).
La traduzione più importante  fu fatta, alcuni mesi dopo la pubblicazione del codice, dall’abate 
Vincenzo Lupoli  teologo dell’Ecc.ma Città di Napoli (Frattamaggiore), professore di Diritto 
Ecclesiastico nella R. Università e membro di diverse Accademie. 
La stampa dell’epoca diede particolare risalto alla traduzione.
La GAZZETTA CIVICA NAPOLETANA Num. 32 Sabato 7 agosto 1790..riportò “ Con Sovrana previa approvazione, ed indi con sommo gradimento è stata presentata alle MM.LL., e Regal Famiglia, la Regal Opera della Legislazione di S. Leucio, tradotta in Latino ed arricchita di dotte, ed erudite Note dall’Abate Vincenzo Lupoli, Professore di Leggi, Teologo di questa Eccellentissima Città, e Membro di diverse Accademie, ben noto alla Repubblica delle Lettere per le molte sue egregie produzioni legali. La detta opera va tutta divisa alternativamente in due pagine, Italiana l’una, e l’altra Latina, inclusavi ben anche la stessa Dedica a S.M., e la elegantissima iscrizione, che al Re padre in nome della Colonia vi si aggiunge nella fine. Fa ella onore al Traduttore per la sua erudizione, ed eleganza di scrivere.
NOTIZIE DEL MONDO Num. 79 Venerdì 1 ottobre 1790 (Foglio di Firenze che suol ristamparsi in Napoli e darsi nel Regno agli associati). Il Ch. Autore, ben noto per il suo terso scriver Latino, e molto più per le condizioni del vero sapere, l’ha corredata di molte e dotte Note Latino-Italiane, rischiarando, e confermando con le massime della saggia antichità, quanto dall’Augusto Ferdinando viene qui economicamente stabilito, in alcune ancor delle quali è interessata la Sovranità, difesa contro al fanatismo del secolo filosofico, e le quali, sebbene staccate fra loro, considerate nel suo tutto, formano un bel pezzo, o saggio di diritto di natura; quale peraltro Opera sotto il titolo Iuris Naturalis, o Revelati Prelectiones sta dando più diffusamente alla luce l’illustre Autore, e la cita in alcune Note della presente Legislazione. In fine poi di questa havvi una di più, una tenera ed elegante Iscrizione, ancor Latino-Italiana, in nome della Colonia al Re Padre, esprimente i più vivi sentimenti di gratitudine al Sovrano Benefattore. Tutta l’Opera, di bei caratteri oltracciò, e ben corretta, è circa 150 pagine, vendibile presso il suo stampatore Michele Migliaccio.
CONTINUAZIONE DELLE NOVELLE LETTERARIE Num. 49 Firenze 3 Dicembre 1790. Legislazione di S. Leucio, in Latino con delle Note. Napoli 1789, nella Stamp. Reale, in 8°, di pp. 328, non compresa la Lettera Dedicatoria a S. M. Siciliana. Autore del Libro, e l’indice de’ capitoli. Noi torniamo per la terza volta a, parlar con piacere delle leggi, che l’Augusto Monarca delle Due Sicilie si è degnato dettare di propria bocca e far pubblicare a benefizio speciale della nuova Colonia da esso fondata sul selvoso Monte di S. Leucio, nelle vicinanze di Caserta. Dopo che queste, fattesi note a tutta Europa, sono state analizzate da un recente Autore anonimo, e tradotte da altri in Greco, in Francese, e Tedesco; restava adesso, che fossero trasportate in lingua Latina, più delle altre comune a tutti i Dotti, ed è stato di fatto eseguito ciò dal celebre Sig. Ab. Vincenzo Lupoli, Professore di Giurisprudenza, e Teologo Napoletano. L’eleganza dello stile, e l’elocuzione puntuale, e precisa non lascian distinguere quale delle due lingue sia l’originale, e quale la versione. Le Note poi, che il medesimo Sig. Lupoli ha fatto succedere all’Opera Regia, e che fanno quasi due terzi di tutto il Libro, compariscono istruttive, sugose, e di mano maestra. Talune rilevano la beneficenza, e l’amor paterno di quel Sovrano, tali altre l’ardente impegno per l’avanzamento della gioventù nel viver Cristiano, nelle arti, e nell’economia, e tale la saviezza delle regole date a quella Colonia, la munificenza, la dirittura delle vedute. Vi campeggia dappertutto un fino giudizio dello Scrittore, il quale ora da sensato Giureconsulto, or da erudito Filologo, or da Storico illuminato, or da Teologo sperimentato, ed or anco da Filosofo, a seconda delle Regali massime, e dei precetti dati a quella Colonia, dichiara, estende, conferma, loda, e vorrebbe che dall’alto Monte di S. Leucio, dove l’ottimo Re Ferdinando ha piantato come un bel tronco di scelta pianta, si estendesse l’ombra di lei nel restante del Regno, e dippiù nelle altre Popolazioni e Città, come si può, e quanto si può il meglio; ed in certi particolari punti ne propone ancor agevolmente i mezzi pel bene della Società. Troppo si converrebbe dire, se tutto volessimo tirar fuori lo spirito di quelle Note, le quali insomma son degne del nome dell’Autore, e della reputazione, che si è acquistata con molte altre sue produzioni. In fine leggesi una Iscrizione Latina dello stesso Sig. Ab. Lupoli, degna di esser posta in caratteri d’oro davanti a quella fortunata Colonia, per eternare insieme la beneficenza del Re e la riconoscenza di tanto beneficata Popolazione nascente. Ci facciamo un pregio di chiuder questo articolo con essa, non tanto per mostrare la dettatura precisa, ed affettuosa; quanto ancora per far sempre più conoscere la storia, la natura, e l’epoca di sì degno Stabilimento.
In seguito la GAZZETTA DI VENEZIA ‘Notizie del Mondo’, num. 104. Mercoledì 29 Decembre, portò lo stesso elogio della detta Traduzione. Tuttogiorno vantaggiosi dettagli ne fanno ancora altri Fogli periodici; insigni Personaggi, e Letterati non cessano per via di lettere di commendare la munificenza del Sapientissimo Sovrano per la novella Legislazione, e la versione Latina, e le note del Traduttore, che tutto qui si tralascia.
GAZZETTA UNIVERSALE (di Firenze) Num. 102. 14 Decembr. 1790. S.M. sebbene lontana ha avuta presente la sua nuova Colonia di S. Leuce, avendo richiesto per ben due volte al Principe di Tarsia, che subito spedisse a Vienna alcune copie della novella Legislazione di S. Leuce medesima, tradotta in elegante Idioma Latino dal nostro Letterato, l’Abate Don Vincenzo Lupoli, Teologo di questa Città, corredata di dotte Annotazioni Latino-Italiane, la quale Opera gli presentò prima della partenza per la Germania, con una Dedica alla M.S. e con un’analoga Iscrizione in fine in nome della Colonia. Il contenuto della materia fa ammirare la magnanimità del Sovrano Legislatore, e l’erudizione del soggetto, che vi ha apposte le annotazioni. La traduzione, a fronte del testo italiano, era corredata da note, ugualmente in latino, di vasta erudizione giuridica e filosofica, non insolita nei letterati di quel secolo. La forma latina è curata e la lingua è estremamente forbita. Comprensibile, ovviamente, lo spirito cortigiano che anima l’opera: dopo aver collocato Ferdinando al di sopra dei più famosi legislatori dell’antichità, l’Abate Lupoli fa alla fine un’esaltazione del re e della famiglia reale, concludendo con l’elegante epigrafe latina che ancora si può leggere alla base della statua di Ferdinando I eretta nel Belvedere di S. Leucio, incisa nel 1824 ad opera del Cav. Antonio Sancio, Amministratore, in quel tempo, del Real Sito di S. Leucio e del Sito Reale di Caserta. La traduzione della Legislazione in latino, oltre a costituire un fatto di cultura, contribuì, a diffondere all’estero, specie nei paesi dove si conosceva molto più la lingua di Cicerone che quella di Dante, il Codice leuciano. Ferdinando IV ne ebbe prova diretta quando l’anno dopo, recatosi in Austria e Germania per presenziare alla cerimonia del fidanzamento del figlio Francesco con l’Arciduchessa Maria Clementina e per l’incoronazione a Imperatore del cognato Leopoldo II, dovette espressamente richiederne a Napoli varie copie, come si ricava dal seguente carteggio dell’epoca: Lettera di officio di S.E. il Sig. Principe di Tarsia, Soprintendente alla Regal Colonia di S. Leucio, all’Ab. Lupoli, in nome di S.M. che si degnò richieder da Vienna alcune copie di detta Traduzione. Il commento analitico in latino ai vari capi della Legislatura era corredato da richiami alla Bibbia, al diritto e ai filosofi greci e romani, i riferimenti agli Enciclopedisti francesi, a Voltaire, al Pudendorf e al Grozio, a Montesquieu e a Rousseau espressi nelle Note, condotte su antiche edizioni dei testi. Molto Illustre e Rev. Signore. Avendomi S.M. richiesto da Vienna dieci in dodici copie del libro di V.S. fatto in Latino, ed Italiano per la Legislazione di S. Leucio, siccome io non me ne ritrovo altra, che quell’una copia, che Ella mi favorì, così sono a pregarla ad aver la bontà di farmi pervenire dodici altre copie del detto libro, per poterle inviare prontamente alla M.S. ed in tale attenzione resto colla solita stima confermandomi di V.S. Napoli, 27 settembre 1790. Affezionatissimo per servirla Il Principe di Tarsia Sig. D. Vincenzo Lupoli - Napoli Per il gradimento che detta Opera incontrava nella Germania, si degnò S.M. di nuovo scrivere a S.E. il Signor Principe di Tarsia, richiedendone altre copie 24 che furon subito spedite a Francofort, dove S.M. ritrovavasi per l’incoronazione in Imperatore dell’Augusto Cognato Leopoldo II. * * * * *
La traduzione latina dell’Abate Vincenzo Lupoli contribuì a far conoscere la Legislazione di S. Leucio negli ambienti culturali europei più di quanto la diffusione dei prodotti della manifattura della seta avesse fatto conoscere la Real Colonia e richiamò l’attenzione sulla organizzazione etico-amministrativa di una comunità a struttura sociale basata sul principio dell’uguaglianza sia sotto il profilo giuridico che economico, garantita da una regolamentazione che riguardava tutte le manifestazioni della vita individuale e collettiva. Una regolamentazione che disciplinava i tempi e i modi del lavoro, che fissava i criteri dell’istruzione da impartire agli adolescenti, che si preoccupava di tutti gli aspetti della mutua assistenza e che alla base del vivere civile poneva l’osservanza delle pratiche religiose, considerando la religione il cardine spirituale intorno al quale ruotava la vita stessa della collettività. S. Leucio apparve come una specie di isola sotto la protezione di un Re, illuminato e paterno, pensoso della "felicità" del popolo, secondo i più puri canoni delle utopie settecentesche. E se il piccolo Codice si inserisce proprio nella storia della più pura utopia che parte da quella di Tommaso Moro, la traduzione latina lo introduce nella storia della cultura, sulle note di una lingua universale, da millenni veicolo insostituibile alla circolazione delle idee. E ciò per merito dell’Abate Vincenzo Lupoli, cittadino illustre di Frattamaggiore e vescovo di Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti.

6

Interventi eseguiti da Re Ferdinando I
dalla Fondazione della Colonia sino al 1799
(descritti da un ministro dell’epoca)

L’Amenità del sito di S. Leucio e la bellezza del bosco incominciarono ben presto a destare 
piacevoli sensazioni nell’animo del Re Ferdinando ancor giovinetto, il quale provava già in quel 
luogo tutto il ristoro che si ottiene dalla solitudine e dalla quiete.
Poiche gli acquisti e la reintegra di tante terre davano latitudine a qualunque disegno, immaginò 
il Sovrano,  util cosa fosse di circoscrivere  con un muro le sue Reali proprietà, isolandole e 
liberandole dal facile accesso del pubblico. In tal modo rendevasi agevole la custodia della 
caccia, e si evitavano i danni, che gli animali selvaggi recar potevano ai fondi de’ particolari.
Benche la esecuzione di questo progetto fosse alquanto ardua per l’ampiezza del sito, pure venne 
con rapidità eseguita, e nel corso dell’anno 1773 il lavoro fu interamente terminato.
Or questo muro, prendendo capo dall’angolo di quello antico, che rinchiudeva il Casino e le 
terre di Belvedere, salire a dritta per il tenimento denominato di Carpineto, e s’inoltrava sino 
all’Arco, seguendo sempre l’andamento dell’antica strada di Morrone.
Rivoltando indi verso oriente e settentrione, e costeggiando il vallome, giungeva sino al 
Terminone. Passava in seguito per il luogo delle Fontanelle, e faceva angolo verso la masseria di 
Amico nella pianura di Sarzano, discendere indi per Gradillo,  cingendo il bosco in quei 
precipizj, e giungeva fino ai Cappucci, ove si stabilì un novello portone con  cancello. 
Costeggiando finalmente e rinchiudendo le terre acquistate dal Rosario di Briano, e da altri, 
terminare riunendosi all’angolo dell’antico muro a sinistra del portone di Belvedere

Cancello detto di “Cappucci”.

Era questo un primo passo che annunziava già altre idee, ed altri progetti, ai quali senza 
interruzione si pose mano Trovando il Sovrano assai opportuna quella eminenza, che vi è nella 
parte occidentale del bosco, e che forma quasi una collina, da cui si guardavano le sottoposte 
pianure dette di Sarzano, intersecate dal fiume Volturno, comandò che fosse ivi eretto un piccolo 
edificio capace di servire a semplice riposo durante il divertimento della caccia.


Piana di Sarzana

Perfezionato appena questo piccolo edificio nel corso degli anni 1773 e 1774, incominciò a 
ricevere già breve tempo diverse notabili ampliazioni, che gli fecero cambiare figura e destino: 
sicche divenne un casino circondato da tutti quelli accessorj che convenir potevano al diporto de’ 
Sovrani.
Non è da tacersi, che nell’interno del medesimo venne istabilita una piccola cappella, che 
ancora esiste, dedicata a S. Leucio, quasi Patrono della montagna. E questo è precisamente 
quell’edificio che attualmente chiamiamo antico Casino di S. Leucio.

Perche nulla mancasse a quegli agi, che la campagna può offrire, volle il Sovrano, che fosse 
fabbricato nella pianura  messa nel declivio della falda del monte verso mezzogiorno un edificio 
per vaccheria. Esso venne formato in un modo assai acconcio e con tutte le regole dell’arte fu 
ultimato nel corso degli anni 1774 e 1775, così furono messe le vacche di Sardegna, giacche per 
quelle Svizzere eravi già in Caserta un altro sito edificato fin dal tempo de Re Carlo.

Questa vaccheria, che coll’andare degli anni fu convertita in officina per calze, ed oggi è 
divenuta fabrica di cotonerie, diede nome a quel quartiere  che ora dicesi della Vaccheria.
Mentre si costruivano siffatti edificj si vide la necessità di proveder meglio al bisogno di coloro 
ch’erano incaricati della custodia del bosco e della caccia: quindi il Sovrano fece riattare 
un’antica casetta messa a piccola distanza da Belvedere, e quivi fece situare diversi individui 
impiegati al servizio.
Il Casino di Belvedere fu in questo riscontro egualmente riattato e venne destinato per 
abitazione di alcuni impiegati.
Intanto perche non mancasse alla gente radunata in questi diversi siti tutti gli aiuti spirituali, 
volle il piissimo Principe, che il salone di un tal Casino fosse converito in Chiesa Madre, 
dedicata a S. Leucio ed a S. Ferdinando.
Tutto questo fu sollecitamente eseguito: la Chiesa fu eretta in Parrocchia. E già nel 1776 era la 
medesima aperta al pubblico commodo. Benche le montagne dette Montebriano, S. Silvestro e 
Montemajolo fossero divenute già di Real pertinenza, per effetto dello acquisto delle terre; delle 
quali erano composte, pur tuttavia non vennero incluse per la prima volta nel muro di chiusura 
di S. Leucio, forse perche s’intercedeva la pubblica via, che conduceva a Morrone e Cajazzo.
Fu allora, e precisamente negli anni 1774 e 1775 che il Re Ferdinando  ordinò che costruite vi 
fossero due strada per dare accesso agli indicati luoghi, una per la discesa  precipitosa di 
Gradillo, e l’altra per la vicinanza di  Puccianello.
La prima di queste strade è stata col tratto di tempo ampliata e migliorata, ed è quella per la 
quale si va a Piedimonte; la seconda è conosciuta sotto il nome di strada di Morrone.
Essendosi in cotal modo supplito al maggior comodo del pubblico, venne nel corso del 1775
cinto Montebiano, S. Silvestro e Montemaiuolo con quel muro che ora si vede, e con ciò 
fu rinchiusa nel sito Reale l’antica strada detta di Morrone. Per effetto di questo novello muro di 
cinta, essendo divenuto molto frequentato al  passaggio pel cancello del  Quercione, così detto a 
causa di un antichissima quercia ch’esisteva, e di cui si vede tuttavia una parte del tronco,  fu 
necessario di stabilire in diverse abitazioni per alloggiarvi i Custodi, e qualche Guardacaccia; e 
il si fece nel corso dell’anno 1775.
Nel mentre che tali cose disponevasi e con rapidità somma si eseguivano, la morte del principe 
Carlo Tito, figlio primogenito de’ Sovrani, accaduta nel Casino di S. Leucio rese questo luogo di 
trista rimembranza e determinò gli Augusti genitori ad abbandonarlo. Fu questo abbandono così 
costante che le mire ed il genio del Re si rivolsero verso Belvedere.  Ne avvenne quindi che il 
Casino di S. Leucio che da qui innanzi distingueremo col titolo di antico, fu  interamente 
riservato ad uso di caccia.
Altronde si eran già formate nelle sue vicinanze le Canetterie, e tutti gli altri comodi necessarj 
per la caccia ai cinghiali. Vi vogliamo  omettere di fu anno, che erano pur cinto di mura un 
vasto territorio al di sopra della Vaccheria, affine di rinchiudere i lepri: divertimento, che fui di 
là a poco dismesso, perche le razze di difficili animali non potevano ivi prosperare.
La denominazione di Lepreria che ancor ritiene quel sito, indica il luogo ove era stata stabilita.
Determinando il Re Ferdinando a fermarsi in Belvedere, semprecche le circostanze gli 
permettevano di recarvisi, prescrisse che in quel Casino, in cui si scorgeranno ancora i ruderi 
del fasto degli antichi Baroni, si eseguissero i miglioramenti, che corrispondevano al nobile 
oggetto, cui andava destinato, senza però portarsi nessuna novità nel locale, ch’era divenuto 
Chiesa. 

1776
Primi lavori al Palazzo Belvedere di San Leucio:
-          Trasformazione del salone in chiesa o meglio una parte del salone
viene occupato dalla cappella:
Al piano superiore: sistemazione di un quartino per la sosta del sovrano


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1778 

Rifacimento dei prospetti del Belvedere



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1780

Inizio dei lavori di sbancamento  della collina alle spalle del Belvedere


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Si dè gradatamente principio a diversi travagli, che con gran pena e dispendio si videro  condotti 
a perfezione nell’anno 1786.
Ed in vero, trovandosi l’edificio ed i giardini nelle falde di un monte, fu forza di combattere colla 
dura selice per farsi quel cortile, i spiazzi, e tutte quelle opere che attualmente si vedono.
Il lavori furono ardui, e vi occorse per essi ingente somma, che quasi tutta sortì dalla borsa 
particolare del Re.
Mentre Belvedere andava a divenire il sito più pregiato delle delizie Reali, reputò necessario il 
Sovrano di porlo in comunicazione col boschetto di Caserta, affin di aver l’agio di  recarvisi per 
mezzo di cammini interni.
A tal uopo fece costruire lo stradone, che dalla cascata conduce a Belvedere: opera di non lieve 
importanza a cagione de grandi massi, ch’ebbero ad appianarsi sulla costa della Montagna, per 
rendere il camino così agevole, come presentemente si scorge.
Questa opera fu compiuta prima del 1780.
Essendosi già formati gli elementi di una popolazione ne’ luoghi, volle il provvido Sovrano, che 
niente mancasse di ciò che poteva rendere più comoda la sussistenza. Ordinò quindi, che 
stabilito si fosse un molino nel piano sottoposto alla Cascata, che fosse animato dalle  acque 
della medesima, e volle pure, che nel luogo istesso si fosse pure piantato un trappeto per 
macinare gli ulivi.

Reggia di Caserta – Fontana di Diana e Attenone




Queste opere furono compiute nel corso del 1781 e 1782.

Le frequenti dimore del Re in questi luoghi, che aveva cotanto ingentiliti, gli avean dato 
occasione di porre sovente l’occhio su di una piccola industria di seti, che facevasi da un 
Guardacaccia denominato Giovanni Miele nativo di Rocca Rainola nelle vicinanze di Nola.
Faceva tirare costui a proprio conto nella opportuna stagione qualche quantità di seta all’uso di 
Sorrento.
Prese diletto il Sovrano a guardare queste manovre, ed a colpo d’occhio fu penetrato dall’idea 
dell’util grande, che avrebbe ricavato lo Stato, facendosi più nobile impiego della seta, e 
portandone la trattura al metodo del Piemonte, che, mercè i suoi saggi provvedimenti, 
incominciare già a conoscersi tra noi.
Erano allora in uso i veli, e questa nuova generalmente sparsa faceva sortir dal Regno ingenti 
somme.
Pensò dunque il saggio Principe d’introdurre in S. Leucio questa manifattura, affine di 
occupare in un travaglio così delicato e proficuo gli individui di quelle famiglie, che per ragion 
d’impiego eran situate in S. Leucio.
A realizzare questa idea, che ha poi avuto risultati tanto utili fece il Re venire dall’Estero abili 
Direttori, i quali piantaron tosto la manifattura nelle sale dell’antico Casino di S. Lucio, con un 
successo forse superiore all’aspettativa.
La industria de veli portava seco la necessità dello stabilimento della trattura delle seti 
all’organzino, e quindi dopo varii saggi eseguiti in diversi luoghi del Real Sito, venne a piantarsi 
una sala regolare per filande nel cortile del Real Casino di Belvedere. Quest’opera assai degna 
di ricordanza, venne eseguita nell’anno 1783.
Il racconto in questi fatti ci conduce inevitabilmente alla storia della Real fabrica di S. Leucio e 
della popolazione, che ne sostiene con tanto plauso la industria.
Ma questi oggetti, che aggiungono della lode ai fatti illustri del Re Ferdinando, è che mostrano 
il suo efficace genio per le arti e manifatture, non possono qui esser da noi trattati, senza 
distrarci dallo scopo, cui il presente lavoro è scritto.
Impegnati a descrivere ciò che forma la parte materiale di S. Leucio, dobbiamo semplicemente 
limitarci a quanto riguarda gli edificj, e le opere che si veggono, ed agli elementi che formano la 
dote del Sito Reale, riserbandoci di trattar altrove, e
separatamente gli articoli che hanno rapporto alla manifattura delle sete.
Proseguendo dunque nella nostra narrazione osserviamo, che aumentandosi nel Sovrano 
l’ardore di portare alla perfezione la industria delle seterie, che qui si era estesa alla 
fabricazione de’ più nobili tessuti, istabilì nell’anno 1789 i filatoj, che or si veggono nel cortile, 
facendoli animare dalle acque del condotto Carolino che provenivano dalla Cascata.
Nell’anno istesso furono stabilite le altre officine sussidiarie della seta, e si diede pure  sollecito 
prosieguo agli edificj piantati sulle due strade laterali del portone di Belvedere: edifici che 
presero il nome di quartieri, intitolati di S. Ferdinando uno, e di S. Carlo l’altro.

1786/1789

Inizio della costruzione dei Quartieri “San Carlo” e “San Ferdinando”




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1787/1789

Costruzione dei filatoi e delle officine sussidiarie


costruzione filatoi

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1789

Termine della prima fase di ampliamento del Belvedere

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La popolazione, fornita di vantaggi che il principe offriva, e delle comodità che l’arte procurava, 
andava ogni dì aumentando, ed era pure necessario, che dietro lo stabilimento di tante officine 
in Belvedere si fosse quivi fermata la parte maggiore della popolazione.
Nell’anno 1788 proseguirono i lavori per aggiungere nuovi stabilimenti al casino di Belvedere, e 
per migliorare le officine della seteria.
In quest’anno appunto veggendo il Principe, ch’erano già formati gli elementi di una prospera 
popolazione, volle dichiararla Colonia, ed applicassi ad istabilire per la sua interna 
organizzazione quelle leggi, che si  resero bentosto note a quasi tutti i paesi stranieri.

1789

Promulgazione del Codice delle Leggi per S. Lucio e nascita ufficiale della Colonia

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Divenuta la popolazione di S. Leucio una Colonia governativa paternamente da un Sovrano sì 
saggio e pio, fece quei progressi, che meglio sperar potevansi, e si diede campo a progetti più 
ampj, che furon poi troncati dalle dolorose vicende, che posero in soqquadro l’Europa.
Per non cancellare cosa alcuna di ciò che ha riguardo alle opere fatte dal Re Ferdinando in 
questi siti, dobbiamo ricordare la costruzione a sue proprie spese, di due cimiteri uno per la Valla 
di Briano e l’altro per quello di Sala.
Siffatti edificj vennero fabricati nell’anno 1788 in  campagna con buonissima architettura ed 
esistono tuttavia offrendo memoria della magnificenza del Principe.
(Altro simile ne fu poi costruito a spese del Sovrano in Puccianello).

9 luglio 1789

Inizio della Rivoluzione Francese


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Dall’anno 1790 al 1796  attese il Sovrano a buon meglio la manifattura delle sete ed a renderne 
l’esercizio tanto perfetto quanto attender potevasi de’ migliori Artifici della Francia. Ed in 
questo intervallo, mentre aggiunse alle altre officine quella cuculliera, che ancor sussiste nel 
Real Casino di Belvedere. Diede principio all’edificio della gran filanda, che venne poi 
perfezionata in quel modo che diremo appresso.
A tutti questi elementi di prosperità, che andavano a svilupparsi col progresso delle arti, era 
d’uopo di aggiungere mezzi solidi di dotazione per assicurare il sostentamento della Parrocchia e 
del nuovo Clero, e l’esercizio di quelle pie opere inseparabili dal religioso genio del Sovrano.
Questi comandò che riunita si fosse alla Amministrazione del Real Sito la Badia di S. Pietro ad 
Montes, che  portava seco un corredo di circa quattrocento moggia di ottimi terreni. 
(1.354.944,00 mq   = 135 ha).
Siffatta riunione ebbe il suo effetto nell’anno 1795.
L’amena situazione di S. Silvestro non era stata fino a questo punto abbastanza curata. 
Valutando il Sovrano tutto ciò che di pregevole  presentava quel sito, incominciò a fare abbellire 
punti più deliziosi, e migliorare quel giardino superiore nel quale vennero  situati dei trillaggi 
ed altri corrispondenti ornamenti.
Tutto ciò fu eseguito nel 1797, ed in questo riscontro  concepì il Sovrano la idea di fare edificare 
nel sito più acconcio di quella montagna un picciolo Casino circondato da vigne e giardini.
Questa idea ebbe il suo incominciamento, ma le generali disavventure, da lì a poco accadute, ne 
fecero per allora sospendere il prosieguo.
Due anni prima e precisamente nel 1795 erasi dato principio alla fabrica di quel palazzo 
ch’esiste nel lato sinistro del portone d’ingresso di Belvedere, e che chiamiamo Trattoria perché 
fu espressamente dedicata a questo uso per favore di coloro che recavansi o per affari o per 
curiosità nel Real Sito.
Il medesimo con tutti e suoi accessorj  venne interamente terminato nel 1798. 

1795

Inizio della costruzione della “Trattoria”.


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Intento sempre il Re Ferdinando a   condurre in S. Leucio quelle manifatture
di modello, che potevano dar  lume ad esempio ai suoi sudditi, volle nell’anno 1798  creare una 
fabrica per la concia delle pelli ad uso di Francia.
In questa stabilita nella Vaccheria, e precisamente nel sito, ove trovavanzi le Canetterrie, delle 
quali abbiamo parlato.  Si ottennero da questi tentativi ottimi risultati, che vennero poi distrutte 
dagli avvenimenti del 1799.
I presentimenti di una vicina guerra, ed i grandi apparecchi, che si facevano, non isgomentava 
punto la costanza del Re per lo ingrandimento della novella Colonia, ch’Egli divisava di portare 
allo stato di grandiosa Città.
Fino al mese di gennaio del 1799 continuaronsi con ardore le fabriche del Quartiere detto di S. 
Ferdinando e si diede compimento della sala, nella quale dovevan situarsi i telai per le stoffe.
Era, come abbiamo accennato, deciso proponimento del Re di fare divenire S. Leucio una Città, 
che doveva essere l’emporio della manifatture più distinte.
Eransi già firmati i disegni degli edificj e delle strade: una Chiesa magnifica come doversi la 
prima a fabricarsi, e si era tutto disposto per la solennità della fondazione della prima pietra.
Di fatti ne’ conti del 1799 si vedono erogate delle spese per il padiglione, nel quale dovea 
eseguirsi la cerimonia. Ma la Provvidenza dispose altamente gli affari, a pare che avesse  
riservato ad altro tempo un opera così lodevole.
Sopravvenuta l’epoca disgraziata della invasione di Francia la Popolazione di S Leucio, salda 
sempre nei principj di fedeltà verso il suo Sovrano e Benefattore, si diè in fuga, e non ritornò 
nelle proprie abitazioni se non quando fu ristabilito il buon ordine.
Non è superfluo di aggiungere, che, pria della Rivoluzione, invitati gli uomini della Popolazione, 
ch’erano alle armi, a seguire il Principe negli accampamenti di Sora nell’anno 1798, furono 
pronti a dar prova di quell’attaccamento, da cui eran sinceramente animati. 

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3/18 aprile 1786
Ferdinando IV fece giungere dall’Inghilterra il giardiniere John Andrew Graeffer
per collaborare con l’architetto Carlo Vanvitelli nella progettazione e realizzazione del
Giardino Inglese del Parco della Reggia di Caserta.
È probabile che sia anche intervenuto nella creazione degli spazi a verde nel
Belvedere di San Leucio.

Una piccola immagine del bellissimo Giardino Inglese della Reggia di Caserta

Uno dei Giardini del Belvedere di San Leucio

Giardino della Torretta – Belvedere

John Graefer o Johann Andreas Graeffer 
(Helmstedt,1 gennaio 1746 -Bronte, 7 agosto 1802) era un vivaista botanico tedesco.

Per la creazione dei giardini della Reggia di Caserta la regina Maria Carolina
fu consigliata da Sir William Hamilton (inviato straordinario di sua Maestà Britannica) che si rivolse a Lord Joseph Banks, botanico d’eccellenza e Presidente della Royal Society, la più importante Accademia Scientifica d’Europa.
Sir Joseph Banks indirizzò  la regina verso il brillante giardiniere Tedesco, proveniente dal Chelsea Physic Garden di Londra, famoso in Inghilterra per aver importato
numerose piante esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
Una lettera dell’Hamilton spedita a Sir Banks da Caserta il
22 aprile 1794 riportò che
sarebbe un costante rimprovero a questo paese l’aver avuto per tua bontà un uomo come Graeffer per più di dieci anni senza aver avuto il minimo profitto dai suoi ben noti talenti “
La lettera dimostrerebbe come l’operare del giardiniere non sia stato molto apprezzato.
Un visitatore, entomologo e botanico, Sir James Edward Smith, fondatore della
Linnean Society e quindi un esperto del settore, lasciò un resoconto in cui mise
in risalto il fallito tentativo d’introdurre nel giardino della Reggia il gusto inglese:
Il signor Graeffer, un giardiniere molto ingegnoso raccomandato alla regina di Napoli da sir Joseph Banks, fu allora impiegato nella costruzione di un giardino per sua maestà nel gusto inglese, al quale scopo fu assegnata una porzione di terreno né lontano dal palazzo; ma sfortunatamente in piena vista di uno stupendo muro di mattoni, costruito con fatica erculeo allo scopo di mantenere al suo posto la suddetta cascata. Nessuna piantagione potrebbe nascondere questo muro abbagliante da nessuna parte del giardino; né una pianta rampicante poteva avvicinarsi alla sua sommità. Il terreno era inoltre occupato da miserabili ulivi, con appena un albero pittoresco di cui rendersi conto. Tuttavia il signor Graeffer era riuscito, pensavamo, a meraviglia. Aveva formato dei prati molto piacevoli, intervallati da ciuffi di mirto e altri arbusti, e il tutto aveva un aspetto molto promettente. Ma sfortunatamente nessuno dei napoletani poteva vedere alcun tipo di bellezza nelle sue esibizioni, e si lamentavano che avesse introdotto una cosa così volgare come il mirto! La regina era molto disposta a essere soddisfatta, ma non poteva arginare la marea di opinioni; né il re approvava la spesa: così il tutto fu abbandonato qualche tempo dopo.
Il 3 aprile  1786 John Andrew Graefer, da poco vedovo, era giunto a Napoli con
i suoi tre figli per assumere la direzione botanica del lavori per la
realizzazione dei giardini. Furono spesi 27.000 ducati per l’acquisto
dei terreni (1 ducato = 31.028,90 lire = 16,03 Euro), impiegati 500 operai
per l’esecuzione delle opere murarie e agricole e 80 giardinieri per la
messa a dimora delle nuove specie. Furono prelevate piante autoctone prelevate
da Capri, Ischia e dintorni di Napoli (fino a Salerno e Vietri) mentre le piante
esotiche, come Camelie e Gardenie, provenivano dalla Cina e dal Giappone.
Furono introdotte delle essenze provenienti dall’Australia e Nuova Zelanda ed
i magnifici esemplari di Cinnamomun Camphora, Taxus Baccata e Cedrus
Libani che ancora oggi si ammirano.

Il botanico Graefer abitava in una elegante palazzina, in stile inglese, che era stata
da Carlo Vanvitelli, figlio dell’architetto Luigi. Una bella palazzina che s’affacciava
su un cortile ricco di aiuole e piante, con una grande fontana al centro ed una piccola
grotta per i divertimenti dei bambini.

In questa casa il Graefer vivrà per ben 12 anni con i suoi primi tre figli, con la nuova
moglie Elisabeth Dodsworth ed i due figli nati dal nuovo matrimonio.
Il giardino messo in opera da Graefer era più che un semplice “giardino”.
Si puù considerare come uno dei primi giardini botanici del mondo, il primo in
Italia. Un giardino voluto dalla Regina Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando IV, allo scopo di emulare il Petit Trianon di Versailles, fatto realizzare dalla sorella Maria Antonietta Regina di Francia.

Lascerà la Reggia di Caserta ed il suo importante incarico il 23 dicembre 1798.
Una data  importante nella cronaca storica. Quel giorno s’imbarcherà sulla nave
dell’ammiraglio Horatio Nelson insieme alla famiglia Reale in fuga per
l’arrivo dei francesi.
Nei giorni precedenti la partenza tra il panico dei monarchi e l’incredulità dei popolani ciò avveniva: “Notte dopo notte andò in scena sui vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria. Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante del Regno, si prepararono a prendere la via per Palermo. Ben presto notizia dell’imminente fuga del re si sparse fra il popolo in fermento.” (Sani).
“ Furono imbarcati nei legni inglesi e portoghesi i mobili più preziosi de’ palazzi di Caserta e di Napoli e le rarità più pregevoli dei musei di Portici e di Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni o forse più di moneta e metalli preziosi non ancora coniati, spoglio di una nazione che rimaneva nella miseria.” ( Cuoco).
Il 21 dicembre 1798, Ferdinando e Carolina s’imbarcarono alla volta di Palermo sul Vascello inglese Vanguard, ma a causa di una forte tempesta, le navi di Nelson, di scorta ai Borbone, poterono prendere il largo solo nella mattinata di due giorni dopo.
Napoli fu abbandonata a se stessa, il Vicario del re, Pignatelli, accusato dall’ira popolare, giorni dopo, dovette raggiungere Palermo.

L’ammiraglia Inglese “Vanguard”
Acquaforte del marzo 1799
(Artista: Grimaldi ?)
Musei Reali di Greenwic

Pianta che mostra la pianta del corpo, le linee a strapiombo e la mezza larghezza longitudinale per “Arrogant” (1761), un Terzo Tasso da 74 cannoni, a due piani. Questo piano fu proposto (e approvato) come base per la costruzione di “Edgar” (1779) a Woolwich Dockyard, e “Goliath” (1781) e successivamente “Vanguard” (1787) a Deptford Dockyard.
Firmato da John Williams (Surveyor of the Navy, 1769-1784) e Edward Hunt (Surveyor of the Navy, 1778-1784) – scala: 1:48

La flotta giunse a Palermo il 26 dicembre
Durante la navigazione morì a bordo della Vanguard il piccolo Alberto di Borbone,
figlio di Ferdinando IV e di Maria Carolina, proprio nel giorno di Natale.
Aveva sei anni e fu sepolto a Palermo.

Alberto Lodovico Maria Filippo Gaetano di Borbone
Napoli, 2 maggio 1792 – 25 dicembre 1798
Il Principe di Napoli e di Sicilia
Artista: ignoto
Pittura: olio su tela – Datazione: fine del XVIII secolo
Misure: ? – Collocazione Palazzo Holfburg – Vienna

11 gennaio – 13 giugno 1799
11 gennaio 1799 – Instaurazione della Repubblica Napoletana che durerà solo fino al 13 giugno dello stesso anno.


Il Sanfedismo per la riconquista del Regno
.......................

La Repubblica Partenopea  crollò nel giugno del 1799 ma

Ferdinando IV, con la sua famiglia, restò a Palermo per tre anni

(dal dicembre 1798 al giugno 1802) tornando a Napoli dopo la

Pace di  Amiens (25 marzo 1802).


Una delle pagine del trattato con le firme dei firmatari:
-          Giuseppe Bonaparte per la Francia;
-          Rutger Jan Schimmelpenninck per la Repubblica Batava (Paesi Bassi)
-          Charles Cornwallis, per il Regno Unito
-          Josè Nicolàs de Azara per il Regno di Spagna

Il giardino continuerà ad essere curato dai figli del Graefer che, durante l’occupazione francese, lo prenderanno in fitto dal Direttorio Francese di Napoli, salvandolo dalla rovina. In merito al botanico Graefer, nel 1799 su suggerimento di Sir William Hamilton, diventò ufficiale giudiziario della tenuta dell’ammiraglio

Horatio Nelson a Bronte in Sicilia dove, lo stesso

botanico, avrebbe riorganizzato l’agricoltura seguendo le linee progressiste inglesi.

Le sue idee stravaganti colpivano le entrate economiche che Nelson s’aspettava dalla

vasta Ducea. L’ammiraglio scrisse a Lay Hamilton dicendo che:

“Spero che Graeffer stia andando così a Bronté; sono sicuro di non prendere nulla da quella tenuta”.

Graeffer morì a Bronte nel 1802.

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1799
 
Raddoppio del Belvedere

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Nella pace di Amiens, stipulata nel 1802 dalle potenze europee, Napoli e la Sicilia
furono provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.
Con il tratto, come abbiamo visto, la Corte Borbonica lasciò Palermo per
tornare ufficialmente a Napoli. 

7

Altre operazioni eseguite

per ordine del Re Ferdinando I  dal  1800  fino  al 1806

fondazione della Chiesa di S.Maria delle  Grzie alla  Vaccheria

Ritornato il Re Ferdinando nel suo Regno non tardò guari (molto tempo) a rivolgersi a 
S. Leucio e, costante nella sua inclinazione per quel sito, mentre ebbe cura di ristabilire i 
moltissimi danni, che la Rivoluzione avea prodotti, ordinò che si dasse opera a quei nuovi 
lavori, de’ quali verremo a parlare.
Riandando i fatti degli anni precedenti è d’uopo il ricordare che circa l’anno 1790  il 
successo felice delle prime arti seriche introdotte in S. Leucio avea dato sicurezza al 
Sovrano, che avrebbero potuto agevolmente eseguirsi quei difficili lavori, che gli Esteri 
cedevano di loro privativa. Entravano allora nella classe di questi lavori i tulli, i filosci 
(balza, velo) e le calze semplici ed a traforo di finissimo calibro.
Ottimi maestri e macchine perfette si richiedevano per riuscire in tale disegno.
Nulla fu risparmiato dal Re per quell’oggetto. Egli fece venire a grandi spese molti telai 
ed insieme agli artisti chiamò pure i costruttori delle macchine.
In breve si vide in S. Leucio una manifattura fortissima di questo genere.
Una siffatta fabrica fu istabilita ne’ locali ch’eran serviti per le vacche di Sardegna, ma 
industria delle quali erasi da più tempo dimora, e gl’Individui  applicati alle calze  
vennero situati nelle case, che si trovavano ivi edificate nel luogo della Vaccheria per i 
diversi usi che abbiano accennati.
Popolato dunque il Quartiere della Vaccheria da qualche centinajo d’Individui, erano 
essi obbligati di compiere i doveri della Religione  o nella Parrocchia di Belvedere oppure 
nella piccola Cappella dell’antico Casio di S. Leucio, ciocchè rendeva loro malagevole 
l’esercizio delle pratiche divote.
Questa idea penetrò in siffatto modo la mente del Religiosissimo Principe, che lo fece 
determinare ad erigere dalle fondamenta  nella Vaccheria una Chiesa coadiutrice della 
Parrocchia di Belvedere, dedicata alla Santissima Vergine delle Grazie, alla quale 
professava singolare divozione- or a questo tempo comandò che si fosse posto mano 
senza indugio.
Incominciarono i lavori nel  1807 e nello spazio di tre anni  furono compiuti con quella 
eleganza e professione che attualmente veggiamo.
Questa Chiesa venne generosamente fornita di quanto abbisognasse et al di lei servizio 
furono destinate dai Reali beni dipendenti sotto la dipendenza del Parroco di Belvedere.
Ricredè pure necessario di accordare alla Chiesa medesima una dote, ed a tal’uopo 
vennero con Rescritto del dì 3 giugno 1805 annessate alla stessa le Badie di Regio 
Patronato sotto il titolo di Santa Maria ad Fontes di Langro, Acquaformosa e e Sansosti; 
ma questa provvida disposizione rimase priva di effetto. 
Mentre ergevasi la  Chiesa alla Vaccheria volle il Sovrano, che compiute si fossero  tutte 
le altre opere, ch’erano state abbozzate prima del 1799 in S. Silvestro e ch’eran destinate 
a rendere veramente delizioso quel sito. Fu dunque ultimato il Casino di S. Silvestro con 
tutti i suoi accessorj e vennero eseguiti tutti quegli abbellimenti, che veggiamo in  
Montemajulo e ne’ suoi dintorni.
Altri edificj furono pure incominciati in continuità del Real Casino di Belvedere ma altri 
avvenimenti lagrimevoli, che allontanarono da noi un Sovrano si caro colla sua 
Augustissima Famiglia, vennero a distruggere per la seconda volta la tante grandiose 
idee ch’eransi concepite per la prosperità di S. Leucio.
Ben s’intende, che siamo giunti all’epoca della occupazione Militare.
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La pace non riuscì a mantenere un equilibrio  politico nel Mezzogiorno d’Italia. Infatti 
nel 1805 i Francesi tornarono ad occupare la parte continentale del regno creando in 
Puglia un forte presidio militare. La situazione politica stava nuovamente 
precipitando. Il Regno borbonico di Napoli l’11 settembre 1805 era entrato nella terza 
coalizione antifrancese (Gran Bretagna, Impero Austriaco, Impero Russo, Regno di 
Napoli, Regno di Sicilia  e Svezia) chiaramente ostile a Napoleone (imperatore dei 
francesi, Napoleon I, dal 2 dicembre 1804). 
Dopo la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805 (contro la Russia e il Sacro Romano 
Impero), Napoleone Bonaparte colpì il Ragno di Napoli con un proclama, emesso il 
2 dicembre 1805, nel quale dichiarava decaduta la dinastia borbonica e che
            “Ferdinando aveva perso il suo regno e che il più bello dei paesi è sollevato 
                                      dal giogo del più infedele degli uomini”.
Lo stesso Napoleone proclamò il 31 dicembre 1805 il fratello Giuseppe  “Re di Napoli”.

Giuseppe Bonaparte
Artista: Jean Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio 1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione: Palazzo di Versailles

Ai primi di febbraio del 1806 le truppe francesi, al comando di Andrea Massena,
invasero il Regno di Napoli.
Re Ferdinando IV di Borbone il 23  gennaio s’era già imbarcato con la corte sulla nave
Archimede” per fare ritorno a Palermo.


La regina del Regno delle Due Sicilie Maria Carolina ritornò da Vienna via Trieste a 
Napoli a bordo del vascello di due ponti Archimede nel 1802
Solo  l’1l/14 febbraio 1806 i francesi entrarono a Napoli e Giuseppe Bonaparte 
ricevette gli onori dalle autorità cittadine e di governo.
Il 30 marzo fu proclamato Re delle Due Sicilie, regnando dal 1806 al 1808 quando 
ricevette il titolo di re di Spagna.
Al Bonaparte successe Gioacchino Murat, incoronato da Napoleone l’uno luglio 1808
con il nome di :
Gioacchino Napoleone, Re delle Due Sicilie  par la grace de Dieu et par 
                                       la Constitution de l’Etat 
in base allo Statuto di Baiona che fu concesso al Regno di Napoli da Giuseppe Bonaparte

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«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno dell’anno corrente:
1.      Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia dal 1º agosto 1808.
2.      La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e loro discendenti.
3.      Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al trono.
4.      Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi, o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due Sicilie.
5.      Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione stabilito dal presente Statuto.»
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Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière. 25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815) 
Artista: Francois Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?

Il sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una serie di 
opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte della Sanità, via 
Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e l’illuminazione pubblica a 
Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari, l’istituzione dell’Ospedale San 
Carlo di Potenza.
Interventi anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne 
dell’Abruzzo e promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regno
l’uno gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, 
consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando 
polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino l’Isola di 
Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso il soppresso convento 
dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi da Giuseppe Bonaparte).
Ma i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo con
il trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse intuendo 
quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben quattordici 
capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati dai
soldati francesi.  Non so se le fonti sia vere ma sono veramente drammatiche.
Dei 1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della collezione
Farnese e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinati
alla Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.
Diverse opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste un
Catalogo del Canova che riportò le opere perdute 
Il Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio 
nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo Sterminatore dei 
Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e nell’Abruzzo, anche queste debellate con 
atrocità.
Nell’estate del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di unirla 
politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò fino al 5 luglio 
quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna Villa San Giovanni) 
dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre cariche militari.
Il 26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......
si presentava difficile, ardua la conquista della Sicilia
Dopo alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicino
le ostilità degli inglesi  e del nuovo profilo di Luigi XVIII, re di Francia.
Prese contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un 
accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.
Murat dichiarò guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che Napoleone
Bonaparte entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerra
Austro-napoletana con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.
Lo stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei popoli 
italiani.



Dopo una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815 ed il 
28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di Borbone, che si 
trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di Napoli e di Sicilia che fu 
successivamente ratificata dal Congresso di Vienna nel giugno 1815.
Murat, dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il trattato di 
Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20 maggio 1815 dai 
generali austriaci e murattiani:
il Regno di Napoli tornava alla Corona Borbonica
Ferdinando I (IV di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.
Per la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un azione 
disperata... già segnata..Una spedizione navale  dalla Corsica...
Il  Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano 
prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la flotta verso la 
Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.
Uno sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un 
sommario processo, fucilato il 13 ottobre.



La sentenza di condanna a morte di Murat 
Il Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA






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8

Operazioni eseguite nel Decennio

Della Occupazione militare

“La venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale fu urla 
del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle loro abitazioni, e le 
antiche leggi vennero messe in non cale (da non tenere in considerazione). Solo per 
politica si mantenuta la  fabrica delle seterie, la quale verso gli ultimi tempi fu data in 
affitto, e molte altre cose si fecero in genere di abellimenti.
Lungo sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real 
Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin dal 1799 
erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che cingeva il bosco nella parte 
superiore, e precisamente sulla strada detta del formale (?); furono pure ribassate le altre 
mura, che fiancheggiavano la strada della Cascata, e vennero in varj luoghi aperte 
diverse altre strade e stradine.
In quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi addetto ad 
uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne proseguito quel 
fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne ugualmente proseguita, e 
portata ad un certo termine la grande filanda de’ cipressi, alla quale erasi dato principio, 
come abbiamo detto prima del 1799. Ma tutto questo non fu perfezionato.
Incerti i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale non 
avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse opportuno 
di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.
Per realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto di terre 
nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare contante, 
barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla Badia di S. Pietro ad 
Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e riceverono in permuta quelle tenute 
montuose, che si veggono sulla parte settentrionale delle montagne del Sommacco, e che 
stanno rimpetto al Monte di S. Leucio. 

Queste sconsigliate permute, concliuse tutte nell’interesse di diversi proprietarj, danno 
appena alla reale Amministrazione un risultato dell’uno per cento; mentre per l’opposto 
riuscirono vantaggiosissime ai proprietarj medesimi. 

Abbazia di San Pietro in Montes
Piedimonte di Casolla, Caserta


Abbazia di San Pietro in Montes

È questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S. Pietro, e si 
trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità ne’ spreggevole.
In un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di siffatte 
permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle terre divenute di 
proprietà della Reale Amministrazione.
Deve pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di Terra 
di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale che veniva 
diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio), di aggregare alle Amministrazioni 
riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente di ottimi territorj. Di tal natura 
specialmente erano i  fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri Conventi di Capua. 
Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere, Macedonio di ottenere in 
permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel tenimento del Sommacco, la 
masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre terre, le quali tutte vennero 
incorporate all’azienda di S. Leucio, la quale  attualmente  n’e’ la posseditrice.
Similmente in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. 
Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo di 
Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale Amministrazione.

Santa Croce di Caiazzo

In questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso 
Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni beni di S. 
Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel 1877 siffatto 
Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di S. Leucio, venne 
richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un compenso in altri terreni 
demaniali siti in  S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.

Ischia – Villa Bonocore

Le idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non ebbero 
alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo finalmente lasciare 
ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali abbiamo fatto menzione, e che 
non erano stati disposti per oggetti di permute, ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni 
demaniali, e vennero tolte dalle Aziende della Real Casa. 

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Dal 7 Giugno 1815

Ferdinando I di Borbone ritornò a Napoli

Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando I (IV di Napoli )

Dal 1815 sino alla sua morte

Il ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla Colonia di 
S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli Agenti della Reale 
Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le regole, che prima vigevano.
Messo sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render frequenti 
le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a compimento perfetto i due 
belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè quello ove vi è attualmente la officina 
dell’incannatojo delle sete cotte colla Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe 
con la tintoria. Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua 
cuculliera (dove venivano conservati i bozzoli).

Tuttociò venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di tutto 
perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.
I fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere immaginate 
dal Sovrano:  ma nell’anno 1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di 
essere menzionato in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe 
l’accrescimento di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È 
soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al gran 
macchinario per pezzo di un rotore, spinto
 dalle acque, che si fecero qui calare dal 
formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.
A quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno per 
mercede agli uomini,  che con tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della 
filanda, si aggiunse il comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della 
grande filanda, e che fu immaginato per farne una  cuculliera.



Furono compiuti questi edifici nel 1823.
La collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a quest’epoca, che 
un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che fosse ridotta a delizia, e tosto 
fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la 
denominazione di montagna delle Sallotte (?).
Erano ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra ed in 
contiguità del Real Casino, e  molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. 
Comandò il Sovrano che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe 
in armonia cogli ornati del Real Casino.
 Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed in questa occasione consentì pure il 
Sancio (?), che vi fosse nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse 
una iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della 
Colonia.
La statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella formata da 
Solaro per  la Città del Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da 
Monsignor Lupole Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. 
Leucio da lui data alla luce nel 1789.
Mentre tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica idea già 
da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani infermi. Fu scelto 
all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte in Caserta, che si prese a censo 
dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu accordato allo Stabilimento per dote un 
territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51 ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e 
che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati.
Dava allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.
A questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.
Il disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava da più 
tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di moltiplicare le 
abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più opportuno di stabilirle nella 
parte esterna, ed a tale effetto divisò di edificare un palazzo dalla parte destra del portone 
di Belvedere, rimpetto precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello 
Palazzo contenere dovesse venti abitazioni.
Incominciaronsi gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle 
fondamenta,  il tristo e penoso accidente della subitanea morte del Sovrano paralizzò 
l’andamento di quest’opera.


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3 gennaio 1825

Muore Ferdinando I di Borbone – Delle Due Sicilie

Dal 1825 al 1830

Canto di ciò che si è incominciato a praticare da

S. M. il Re  Francesco I di Borbone

Il dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il Benefattore 
piucche (più che) il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, 
della di lui liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del suo  
Augusto Padre.
Nel Confermare tutto ciò  che di grazioso praticavasi dal defundo Re Ferdinando, 
applicossi il novello Sovrano a stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad  aggiungere 
ornamenti e delizie al Real Sito.
Una distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima 
opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e 1826.

Francesco I di Borbone
(Francesco Gennaro Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto 1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent Lòpez Portana
(Valencia, 19 settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid

Si pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo stato. In 
parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.
Fu rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione de’ vini. 
Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve castagnali, e con 
ispezialità quelle messe nella parte settentrionale delle  Montagne della Rocca. Vennero 
rese carrozzabili le strade interne del bosco. Furono  rinovati e ristorati i muri di circuito, 
e finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di 
Belvedere si giuge  comodamente sino al bosco, mettendo capo nell’altra detta del 
formale.
Tutti questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere,  han messo il Real Sito in uno 
stato lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.
Altri divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar  coll’arte un maggior rilievo alle 
bellezze naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la coltivazione 
delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.

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11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori di San Leucio –
       Il Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta  
            durante l’occupazione francese.

In merito agli aspetti tecnici della produzione di San Leucio , nel 1790 Giuseppe Maria
Galanti (economista) scrisse che..
«Non veniva risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».

Rossella Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che
«L'aggiornamento delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, 
comunque, gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito 
alla possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già adottati 
con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello del cavalletto alla 
piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano per la trattura di San Leucio, 
mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno seguente. I primi impianti all'interno del 
Belvedere furono, invece, realizzati a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si 
decise di stabilire nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai 
per le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al processo 
produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di manodopera sempre 
più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da frequenti inviti ad insigni maestri 
stranieri affinché offrissero il proprio prezioso contributo nella direzione e nel 
coordinamento dei diversi settori della produzione»

La stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio
«come un secolo prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della 
trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie all'introduzione del 
telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto straordinaria, messa a punto dal 
francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con estrema rapidità, di eseguire i più 
complessi tessuti operati, senza le consuete complicanze di licci e pedali […]. La 
rivoluzionaria tecnica di filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, 
persuadendo dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno 
di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai jacquard per 
il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la realizzazione di tappeti»

La fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei 
suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri.  Avevano due botteghe: una 
accanto alla fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente 
trasferita in Via Toledo.
La storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:
-          Dal 1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di stoffe per abbigliamento;
-          Dal 1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;
-          Dal 1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della tessitura jacquard, ma anche ai cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del XIX secolo
La crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed aggravarsi in 
rapporto alle vicende politiche successive.
Nel 1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una manifattura di 
pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu un’iniziativa  che mise 
addirittura a rischio la sopravvivenza della stessa colonia.
Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 
all’8 novembre 1830), l’aveva concessa per dodici anni all’impresario de Welz che 
abbandonò l’impegno per il disinteresse completo della corona.
Nel 1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle 
Due Sicilie) decise di costituire una società insieme a dei privati  ( Luigi Wallin e Pietro 
Maranda) che la gestirono per anni fino all’Unità d’Italia.
La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per 
la rinascita della colonia di San Leucio  creando anche un nuovo Statuto. La sovrana 
fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua carità mostrata 
verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina nel 1836, all’età di 24 
anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi sulla colonia tanto che il sovrano 
la diede in affitto.

Il matrimonio di Maria Cristina di Savoia e Ferdinando II di Borbone
Nel Santuario di Nostra Signora dell’Acquasanta - Genova

Santuario di Nostra Signora dell’ Acquasanta – Genova 

Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota

La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.

(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, 
nei suoi diari, che Ferdinando I  usava la manifattura per appagare i suoi appetiti 
sessuali. Il re aveva raccolto a San Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle 
ragazze del territorio, e queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro 
riconoscenza per l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di 
piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri figli decretando che i 
maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e le donne avrebbero avuto una 
dote di cinquecento franchi.....
Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il sovrano era Ferdinando II e 
non Ferdinando I come riporta la citazione).

Fli  Amministratori di  S. Leucio

Né primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non ebbe un 
Intendente, ossia un Amministratore.
Don Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da 
Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli ordini del 
Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle nuove opere, che ivi si 
eseguivano. I favori accordati a questo Individuo furono un chiaro segno del zelo che 
poneva nel servizio.
Incominciata in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re 
Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni particolari, fu 
d’uopo destinare un particolare Amministratore; e  fu questi il Principe di Tarsia 
(Gennaro Spinelli ?), a cui si diede il titolo di Soprintendente.
Spiacevoli circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte 
aveva meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo  fu serrogato (surrogato, 
sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria di Casa Reale, 
uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle manifatture.
 (il Principe Spinelli dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di 
ambasciatore  e destituito forse per  le sue idee politiche. Infatti successivamente  
troveremo un Gennaro Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della 
Repubblica Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe 
Bonaparte. Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie  nel 1810).
Questo accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli 
affari,  basò il setificio sopra il migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con 
una esatta contabilità, e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.
Molto severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che 
operarono la sua rovina.
Egli fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del Re, 
verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.
(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera precedente la loro entrata 
in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del Volturno. In quel frangente accadde 
qualcosa di strano. Sembra che il Sovrintendente della  Colonia, Domenico Cosmi, 
abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali  francesi per la consegna della stessa 
Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione 
borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere della Trattoria.
Gli accusatori del Cosmi,  che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, 
considerarono il suo gesto come un alto tradimento.
Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente, affermando di aver voluto 
evitare un terribile spargimento di sangue vista l’inutilità di uno scontro armato per la 
grande disparità delle forze militari.
I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non trovarono che qualche 
calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via dagli stessi cittadini che si 
erano dati alla fuga già da diversi giorni.
Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione davanti ad un notaio e 
firmata da 139 persone e una firma era con il segno della Croce.
Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a queste accuse e la 
conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi collaboratori che naturalmente 
persero tutti gli importanti incarichi..... incarichi che, guarda caso, passarono nelle 
mani degli accusatori.....
Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri giorni  dato quello che 
avviene nella scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle 
leggi pur non avendo un grande seguito...



Successe a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei 
principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo di 
Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta  la gestione di 
quest’illustre Personaggio dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso 
incarico, che sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente 
del Real Sito di Capodimonte.
Le molte opere inenate (innate, naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca 
di Miranda appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re.
Sembrando, che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse 
dar luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817 di 
affidare al Cavaler Ugolino Ganucci  Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra 
Amministrazione di S. Leucio.
Regolò quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 
ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione,  probità di cui era onorato.
La decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e diversi altri 
motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi, determinarono il Re a  
disgiungere queste due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a 
Ganucci quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al Cavalier 
Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.
......................

Il volume, comunemente chiamato Platea di Sancio, redatto nel 1826 dall’amministratore dei siti reali di Caserta e San Leucio, Antonio Sancio.

In definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica per 
San Leucio.
Oltre a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture grazie 
all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e le stoffe 
furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.
Vennero adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota dal
decreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:
il locale del monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addetto
alla Real fabbrica di seterie e cotoni di S. Leucio.

Caserta – Santuario di Sant’Antonio Teano
Il Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita 
di San Leucio, e decise di creare un sito analogo  a Ficuzza, popolata da cinghiali e 
torelli ed in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 
artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.

Ficuzza (Palermo)

Il Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e fece
ristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società composta da 13 
soci.
Accordò alla fabbrica di San Leucio un privilegio
“su trarre la seta”
con un decreto del 27 maggio 1817 n. 724, in cui stabilì anche le condizioni annesse
“allo esercizio del detto mestiere”
“Privilegio accordato alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,
per la Grazia di Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.
Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.
Principe ereditario di Toscana, etc.
Sulla proposizione de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli
affari interni, abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:
Art. 1 – E’ permesso a qualunque industriale, ed in qualunque parte de’
nostri reali domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodo
che gli piacerà, cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle girelle.
Art.2 – La nostra Real fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustrata
l’opinione delle nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tutta
l’arte coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,
conserverà il privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in vendita
prima di cominciare il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenza
de’ suoi bisogni, e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre i
bozzoli propri, e non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore della
Real fabbrica di San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:
San Leucio, Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.
Art. 3 – Non si potrà a alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopo
l’esame che ne avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne ha
chiesta la spedizione.
Art.4 -  la patente suddetta non potrò essere rivocata che nel caso in cui l’individuo
che l’ha ottenuto, sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’esercizio
del suo mestiere;
Art. 5 – Non avranno bisogno di questa patente le trattrici, o trattori delle
filande all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbiano
meno di 20 manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari delle
filande madri, intendenti della trattura, ed interessanti a farla riuscire
della miglior qualità per lo proprio vantaggio;
Art. 6 – la seta grezza che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri reali
domini al dia qua del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelle
tariffe, sarà soggetta al pagamento di un grano e mezzo per
ciascheduna libbra,
Art. 7 – di quanto sia per ritrovarsi da questa imposizione di grano uno
e mezzo, sarò tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandoci
a impiegarne una parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,
e di destinare il rimanente in opere di beneficenza.
Art. 8 – I nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,
sono incaricati, ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.
Firmato: Ferdinando
Pubblicato in Napoli nel dì 31 di maggio 1817.

In seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette 
affrontare un momento di grave crisi.
Il lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che migravano 
minacciavano di emigrare.
Un ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real Sito 
Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.
Il nuovo amministratore diede  nuova vita alla fabbrica con una serie di iniziative 
come la creazione della manifattura di tele di canapa per dare lavoro alle donne  prive 
di mantenimento.
Malgrado  il suo impegno non si riuscì ad eliminare  le continue perdite di capitale 
legate alla struttura dell’azienda.
Nel 1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in affitto lo 
stabilimento e di formare una società per lo sviluppo dell’industria.
La società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843. Gli 
accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il progresso 
dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre all’amministrazione 
della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e sull’andamento dell’industria, la 
contabilità e la tenuta della cassa sociale.
La Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico 
cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili che erano 
legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848.
Il lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle testimonianze 
legate a delle lettere del 1848.
 In una di queste lettere fu citato un certo artiere
Ferdinando Alissieri fu Giovanni che
Per aver staccato palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliava
fu licenziato ed allontano dalla fabbrica
“essendo la mancata commessa una frode che meriterebbe una pena
maggiore consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto castigo

Durante i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed 
evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delle
Disposizioni riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.
Una lettera del 2 maggio 1849 riportò:
“... A tutelare gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturna
della divisione militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’
filatori ed incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di
notte si avvicini a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro la
pernottano. Di più che uno della ronda resti fino all’alba di guardia
in que’ siti finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatori
D. Raffaele Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.
Avvertire poi che crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda un
inconveniente ne sarà chiamato responsabile colui che a’
destinato alla sorveglianza”.

La vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava sempre 
con  professionalità e passione. Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava 
nella fabbrica
Scoprì un nuovo mezzo per la trattura della seta
come riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si 
preoccupava di scortare le donzelle le quali lavorano dello Incannatoio della Real 
Fabbrica di San Leucio... fino alle rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito 
reale
 Nel 1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere il 
minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando di
Averne assunto l’impegno in un momento di buone speranze.
Lo stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.
Malgrado i problemi dichiarati dal Sava,  la società, con scritture private del 1852, 
1855, 1856, fu prorogata fino al 31 maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia 
a tutto il 31 maggio 1862.
Malgrado le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo 
nel Regno ma in tutto il mondo.
Nel 1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie 
Nazionali tenutasi in Firenze.



Una serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale Rossi, socio 
rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono abbastanza chiare 
nel descrivere l’esperienza fieristica.
Una lettera del 22 ottobre 1861 riportò:
Il Sig. Cesare Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale 
di recarsi in Firenze per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la  Real 
Fabbrica fa mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativa
alle spese di viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. 
Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti, giusta gli 
Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta nota, ammonta in uno 
a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati 393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, 
purchè passatigli, insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti 
per gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso mento. Non 
tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della Mostra Generale resterà 
esclusivamente di proprietà dell’Artista che l’a’ costruita, come stabilito e si epura della 
fattura.

Durante i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno
a Nord di Capua,
i naturali di San Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitanti
delle borgate vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo
di schioppo dalle boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.
come riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente generale di 
Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea di stanza a Gaeta
“.....Percorso un miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto la
mia avanguardia formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemico
uscito dal bosco di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attacco
si moltiplicò...”
Molti furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,
direttore della Filanda che incaricato
De’ Filatoi della R. fabbrica di seterie in S. Leucio:
“ Prometto e giuro innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza a
Francesco Secondo Re del Regno delle Due Sicilie
ed esatta obbedienza a’ suoi ordini:
Prometto e giuro di compiere col massimo zelo e con la massima probità
ed onoratezza le funzioni a me affidate;
Prometto e giuro di osservare e fare osservare la
Costituzione del 10 di febbraio 1848 richiamata in vigore da
Sua Maestà il Re N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;
Prometto e giuro di osservare e fare osservare le leggi, i decreti ed i
regolamenti attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati e
pubblicati in avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;
Prometto e giuro di non volere appartenere ora né mai a qualsivoglia
associazione segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.

Durante l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio diventò 
anche luogo  di sosta delle truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. 
Una serie di documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 
1860 che fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore 
generale dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27 dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia le
Truppe garibaldine ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopra
Torino, che si apparteneva a questa Fabbrica....
 
In altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di risarcimento:
.. mi osservo a dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalle
Truppe Garibaldine in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loro
permanenza in questo sito...
in un’altra lettera
nell’inviarle un elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filanda
dovrebbe praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgente
anno nonché per riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
 
Molti edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12 settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni nazionali d’Italia.
La fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860, all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni cosa ivi trovavasi.
 Il cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società che  avvenne alla fine di maggio del 1862 quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo la distruzione della forte economia del Sud.
La colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa situazione.

Tessuto della fabbrica di San Leucio

In un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto 
precedente e ciò fu espresso nella
deliberazione del 19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione della colona al vicino Comune di Caserta.
La deliberazione si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del 1789.
Per quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che aveva 
dichiarato di pertinenza della corona
i palazzi di Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le delizie reali e col diritto dell’acqua”
e stabilito il passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il condotto Carolino
ed ogni altra terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona
Una vera e propria distruzione di un grandissimo patrimonio....
 Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista” della 
esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo diritto al lavoro in 
quel Sito.

Il regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con l’applicazione 
dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle provincie meridionali il 4 
settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!
I Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva 
petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento Nazionale 
di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando che
Lo stabilimento e gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionale
La petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo pochi 
mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia veniva trasformata 
in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità:
 
Regio Decreto con cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome
è elevata a Comune
Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia
Vista la Legge Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865
Visti i voti emessi dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18 luglio 1865;
Vista la deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;
Sulla proposizione del Nostro Ministro dell’Interno;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art.1 – la così detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;
Art.2 – Il Nostro Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti i
provvedimenti necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comune
secondo la vigente Legge Comunale e Provinciale.
Ordiniamo che il presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, sia
inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del
Regno d’Italia mandando a chiunque spetti di osservarlo e di
farlo osservare.
Dato a Firenze, addì 27 maggio 1866
 
Ma la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino dell’opificio.
In seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio serico al 
Comune stesso.
Venne varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano 
trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, lo
Stabilimento serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,
i giardini, le piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive e
passive, che su tali proprietà abbia il demanio”.
 
Legge che autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quello
Stabilimento serico.
Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia
Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato;
Noi abbiamo sanzionato e promulgato quanto segue:
Art 1 – Il  Governo del Re è autorizzato a cedere, senza veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento serico con tutti gli accessori,
le macchine, le case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,
ragioni di servitù attive e passive, che su tali proprietà abbia il Demanio
Art 2 – Il Comune suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighi
derivanti  sia dallo statuto della già Colonia si S. Leucio rispetto alle
famiglie abitanti nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel
23 maggio 1865 col signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affitto
dell’opificio da lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anche
in quanto riflette la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ogni
caso esente il Demanio da ogni responsabilità.
Ordiniamo che la presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inserita
nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,
mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come
Legge dello Stato.
Dato a Torino, addì 26 agosto 1868

.........................

Tabelle riassuntive che mostrano l’attività dell’opificio di San Leucio dal 1789 
al 1862 anche se mancanti di alcuni rilevamenti in merito al lavoro maschile e 
femminile impiegato in alcuni anni.



All’inizio nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero 
impiegati artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.
Tra il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I 
erano veli, nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre 
d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento, scialli, 
fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni, berrettini e borse a 
maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a cui si aggiunsero, a seguito 
del decennio francese e dell'influenza della moda parigina, rasini, levantine, reps, 
mille punti, zeffiri, Virginie, pekin velluté, batiste.
Uno dei  periodo più ricchi per  la Reale Manifattura fu quello iniziale, affidato 
alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della Real 
Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante l'introduzione di 
innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage) ed i contratti di 
concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord (Wallin e Maranda, De Welz, 
Baracco) non riuscirono a portare in attivo la manifattura borbonica.
La Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 
1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era 
composta da:
-          N. 634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;
-          224 individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:
-          N. 77 “forestieri” che abitavano entro in recinto
Per un totale di n. 936 individui.
 Il censimento, molto particolareggiato da parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza;
-          N. 172 “accasati”, vedovi e  soltieri (solitari o non coniugati senza famiglia);
-          N. 177 donne con la stessa condizione sociale;
-           N. 257, maschi , figli di famiglia;
-          N. 248 donne nelle condizioni simili
A questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti alla 
Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento di 
“Stoffaioli” e “Villutari.”
In merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione 
all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei singoli. La 
Real Colona manifestava un status ben definito;
1)      Dirigenti, tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze, dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. 
VI appartengono: Soprintendente generale, Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale, Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri,  Sovrastante alla filanda, Guardaroba, Direttore dei Filatoi, Assortitore,  Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi, Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri, Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo, Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.
2)      Personale addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera, Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia, Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade;
3)      Appartenenti alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti, varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo, Piffaro, ecc.
4)      Religiosi e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore, Organista;
5)      Professionisti: Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra delle ragazze
6)      Commercianti, Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro, Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro, Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto
Il Sovrano dettò con il suo “Codice Leuciano” un regolamento interno che fissava i 
doveri di tutti quelli che vi operavano, dalla mansione più umile a quella più 
elevata di Soprintendente generale. Forniva anche un indicazione su quella che 
doveva essere l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti 
con il mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine 
gli incentivi di produzione ed anche le pene.
Realizzò  una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma 
anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San 
Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei 
cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, 
Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,  e di provenienza di altre regioni come 
Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari, Bruetti, Scotti.
 Ferdinando I credeva molto nella creazione di questa Colonia e riuscì a mostrarla 
al resto d’Europa come uno degli esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti 
storici del tempo definirono San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei 
Borboni di Francia e come il segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione 
industriale.

Il Grande Trianon in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 – Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione: Palazzo di Versailles

Ferdinando mise la sua anima nella compilazione dello Statuto  e credeva 
fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura 
sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:
nel 1773 feci cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Caserta
detto appunto bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..
Ma vista la favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendo
conto che tanti fanciulli e fanciulle che aumentavano alla giornata, per
mancanza di educazione, potessero diventare e formare, un giorno, una
pericolosa società di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa di
educazione per i figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi per
collocarveli, del mio casino, ed incominciai a formare le regole”.
 
L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non finisce di stupire... fece di San 
Leucio il primo esempio di scuola obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante 
dato che in Italia la scuola d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta.
 Il Re nelle sue memorie continuava a scrivere..
Ma poi pensai che tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tutta
questa gioventù, benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,
sarebbe stata costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.
Pensai allora di rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:
utile allo Stato, introducendo una manifattura di sete grezze, operando in
seguito, in modo da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter col
tempo servire di modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandole
dai pesi che ora soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da non
poter piangere miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lusso
con l’uguaglianza e semplicità nel vestire”.
 
Il suo grande sogno si tramutò in una stupenda realtà. Fece venire da lontano i 
maggiori specialisti nell’arte della seta, per insegnare ai Leuciani le procedure 
di lavorazione,  per costruire la macchine (la spoletta volante nasceva in 
Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida applicazione) e gestire, 
per i primi tempi, la relativa produzione.
Incentivò la coltivazione del gelso, necessaria per l’allevamento dei bachi, e la 
conseguente bachicoltura prosperò a tal punto da permettere l’instaurarsi di 
un  ciclo produttivo completo, chiuso.
La scelta produttiva della seta aveva d’altra parte una forte motivazione sociale 
perché permetteva d’impiegare nella produzione maestranze sia femminili che 
maschili.
Le  primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò un’officina 
per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua sistemazione nel Casino 
del Real Belvedere nel 1783.
 
La parola organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench
(Konya – Urgench), nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta. 

Urgench 

Il filato era fatto da due o più fili di seta con torsione destra, accoppiati e
torti con torsione a sinistra con quattro giri al centimetro.

È oggi in genere usato come filato per catena nei tessuti di seta.
 
Nel 1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che 
costituivano i filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che  
permettevano di consacrare la produzione delle stoffe seriche.
I disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo 
stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e francesi.
Il tessuto spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che viene
lavorato aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “trame
d’effetto”. Il termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).
Un termine legato alla presenza delle broccature sul diritto della superficie
del tessuto e cioè di decorazioni in rilievo che si ottengono con fili
avvolti in piccole “navette” dette “spolini”.


Navette

Il damasco è invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama. L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda



Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la produzione di 
stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio 100 telai per le calze e 80 
per le stoffe.
Con queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa per 
essere apprezzati dalle numerose corti.
 Con l’Unità d’Italia  il governo affidò nel 1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso 
– Pascal (quest’ultimo d’origine francese).
Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento dell’unità d’Italia nella Colonia di San 
Leucio erano presenti dei piccoli nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano 
ancora in vita la prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad 
affitti governativi  non molto fortunati.
Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.
Nel 1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San Leucio 
fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.
Nel 1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De Negri 
amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove avevano un setificio.



Setificio De Negri






Setificio Giuseppe De Negri & C. Giuseppe De Negri & C. S.r.l.
(Via Ponte – Sala)





Le date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare l’attività 
produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune fonti, l’Antico Opificio 
Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal genovese Leopoldo De Negri.
I prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.
Leopoldo De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro 
tessile di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio di 
Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie.  A marzo 2015 l'opificio è stato chiuso a 
causa della vendita dei locali ad un imprenditore edile.
A dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione centenaria dei 
De Negri continua.


Nel 1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio 
posto nel Belvedere.
Nello scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia Alois 
che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua apparizione  nel 
tessuto sociale di Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini 
Reali, con Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa Aldifreda
e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere di San Leucio.


Villa Adifreda


La Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio militare. Si 
tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di circa due secoli.
La sua ubicazione nella “Starza grande”,  territorio descritto da Antonio Sancio, su dei 
terreni campestri che erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.
I lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile 1751. Infatti 
documenti, datati dal settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un 
susseguirsi di contabilità per la costruzione della Vaccheria con misure ed  stime 
firmati da Franco Dominici ed approvati da Neroni.
Nel mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle stalle  
oltre al montaggio di 100 lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi 
furono messe in opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per 
salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari  posti sulle mensole.
Nell’ottobre 1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la 
vaccheria con il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche  agli edifici che 
erano stati già costruiti con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano 
l’inserimento di altri edifici per concludere lo spazio  funzionale e cioè la creazione di 
un emiciclo ad un solo livello articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione 
della facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni per i 
lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso. Quest’ultima sarà 
sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico all’interno, la cui funzione di 
“Coffeaus per bevere il latte” era stata richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe 
mediato i due corpi architettonici con due ingressi simmetrici.


Nel periodo francese l’intero complesso fu adibito a fabbrica di cotoni e fu aggiunto un 
edificio adiacente per il biancheggio.


Con il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come vaccheria 
limitando la spazio della cotoneria .
Nel 1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La parte ad 
emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788 letti nell’attesa che 
si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi proporzioni, che si stava 
costruendo in Casagiove.
Fu anche costruito  il tempietto ottagonale che doveva servire “per far ascoltare la 
messa ai malati”.
Un acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta l’utilizzazione 
dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della città di Caserta levata 
nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo” dove sarebbe riportata  la scritta 
“Quartiere di Aldifreda”.

Alla fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della Scuola 
della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.

Un documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato al 
Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco Emanuele 
Pinto  y Mendoza principe di Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo 
Corsi:
Eccellenza mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele..... che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D. Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.

Planimetria dell’ing. De Carlo


Prospetto interno verso l’emiciclo
 
La famiglia Alois lasciò quindi la Vaccheria di Aldifreda e nel 1865 fondarono una 
fabbrica a Briano con Francesco Alois.

Francesco Alois
(1825 – 1869)

La fabbrica passò al figlio Raffaele nel 1887

Raffaele Alois
(1861 – 1937).

I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera impresa, che copriva l’intero ciclo 
produttivo, dalla bachicoltura alla tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele 
(1922), figlio di Antonio (a lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la 
fabbrica; l’opera si completò con la nascita della Passamanerie Casertane, 
specializzata in articoli complementari.

La Ditta “Alois” di Briano  (Caserta) in via Quercione n.46


Tessitura Alois – 1965

 Sulla strada percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina,  diedero vita 
nel 1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto 
riporta il sito internet: 
L’Asa era  l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie 
avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione tra tessuti 
e passamanerie, diventò  una realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove 
prospettive  commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.
Oggi, Edda e Bernardo, figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta 
generazione impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda 
Alois così ricca d’arte:

Il settore economico cambia con il progredire inesorabile del tempo perché sono 
necessari aggiornamenti,  conversione di capitali e i piccoli artigiani finirono con il 
sospendere le proprie umili attività.
Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano presenti altre realtà manufatturiere 
come il Setificio di Luigi Di Giacomo con un eccellente produzione di damaschi che 
furono richiesti dall’amministrazione Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le 
tappezzerie della Casa Bianca.

Setificio Di Giacomo-Bologna, S. Leucio 1960 ca.

Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita ad un Consorzio “San Leucio Seta”.
La produzione di seta  di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo 
nel mondo arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli 
sceicchi per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.
Prima della grave crisi globale c’erano una decina di imprese con oltre mille 
dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e  di numero   (sette ?) con non più di 
150 addetti (dati del 2017).  Nel 2004 ogni impresa vantava in media portafogli ordini 
quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era sceso a soli 20 giorni. Un 
declino preoccupante.
Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel settore. Gli ordini erano in ripresa 
tanto che i produttori parlavano di un incremento del 15% nel mese di settembre 2017 
rispetto allo stesso periodo del 2016.  Schematizzare i dati economici non è facile. 
Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti di produzione, 
commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi sul tavolo degli 
imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario per ogni attività 
industriale. 

Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta della zona collinare di Caserta  e  
nel giugno 2016  creò la nascita di un marchio di tutela “San Lucio Silk”.
È inutile nasconderlo ma il settore risente delle problematiche sociali  ed è in crisi dal 
2013.
Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un regolamento a cui i produttori si 
attengono per fare parte del Consorzio e fregiarsi del marchio che è riconoscibile in 
tutto il mondo.

Il marchio garantisce qualità  ed anche etica di produzione, richiamandosi alla 
Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e in 
particolare le donne impiegate nella produzione.  Il disciplinare di produzione  è  
rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un corretto 
smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto  della tradizione, dell’ambiente, 
del territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre nel 
rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a 
fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina, l’India e 
la Corea del Sud.
Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato un campionario in cui non 
figurano più le singole case produttrici ma “San Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli 
smista ai vari produttori.

La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto veniva affidato ad 
editori, oggi viene veicolato da designer, studi di architettura o a grossisti qualificati. Il 
marchio ha già avuto i primi successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini 
a Vienna e per le sale dell’hotel Ritz di Parigi.
Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel 2019 erano (probabilmente oggi 
saranno aumentate ma non ho riferimenti in merito):
ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – Italy
BOCCIA - Manifattura Tessile
BOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San Leucio
DE NEGRI & ZAMA - Manifattura Tessile
PIAZZA DELLA SETA - Home Collection
REAL SETA - Italian Silk Fabrics
SILK & BEYOND - San Leucio Seta Italy
UNINDUSTRIA CASERTA

Ma al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna riconoscere a 
Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII secolo, ad una 
tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente. Verso la fine del XIX 
secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa maturata nella seteria ex-borbonica, 
un certo numero di operai particolarmente intraprendenti diede vita a piccole aziende 
familiari, alcune delle quali (Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 
1895) esistono ancora oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La 
caratteristica delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad 
un processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della 
dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella 
lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa particolare 
produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato destinata ad un 
segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili), caratterizzata da un elevato 
valore aggiunto e da un trend positivo di crescita nonostante la flessione del comparto 
serico.
 C’è da dire che la seta di san Leucio la troviamo non solo al Quirinale  ma anche in 
siti decisamente più importanti come al Vativano,  nello Studio Ovale della Casa 
Bianca. Le bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create 
proprio con seta di San Leucio.

Bomboniera – Portatovaglioli in seta di San Leucio

Seta baricco

Vestiti tipici di San Leucio

In tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno sentire il 
suono del battere dei telai.  Telai, che potremo definire antichi, mossi  non solo da una 
finalità manufatturiere, e quindi economica, ma anche da una finalità etica 
profondamente nuova attraverso regole di comportamento e creando forme sia di 
difesa che di incentivazione. Un utopia che potremo definire unica in Europa.
Davanti ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali del 
Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia di San 
Leucio sembra
Come il luccichio di una gemma preziosa che serba a tutt’oggi
il fascino della sua origine quasi magica”
E questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San Leucio da 
cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli interessi privati ..
Le pagine di storia non hanno insegnato nulla  e nell’ignoranza si continua a 
commettere errori come quello di affidare un incarico importante a chi ha ricoperto 
ruoli nell’alta finanza Europea  favorendo le grandi banche che tanti disastri hanno 
causato nell’economia mondiale creando  forti  aspetti di povertàche hanno finito con 
il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe essere 
escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al mancato 
rispetto delle regole etico sociali.
 

Ferdinando I di Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
 nello “ Statuto Leuciano” inserì una frase  che deve far riflettere:
“ La virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”

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Gli  Edifici


Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della “Vaccheria” che sorse nel 1773 per
volere del re Ferdinando IV di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di 
caccia del sovrano. Un fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e 
anni fa deturpato da un ristorante che sorse a fianco dell’edificio

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Antico Casino  di San  Leucio

(Quartiere  “Vaccheria”)



L’edificio serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che 
accennano (la morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).
Attualmente trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; 
ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro ammezzato.
Al pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste la scala, 
che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze, oltre di un corridojo 
interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e di una cucina sporgente in fuori 
verso il lato di mezzogiorno.
Il piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella.
Il piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.
Nei lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto al livello 
del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze al di sotto nella sola 
parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di una scaletta di fabbrica scoverta, 
nel di cui lato sinistro vedesi una casetta ad uso di pagliera.
A fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con piccole 
scuderie sottoposte. Sotto le rampe che  conducono a questo casino si molte stanze, che 
servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per altri usi. Queste stanze ultimamente 
riattate sono nel numero di..., ed in esse vi abitano attualmente Individui della Colonia.

Real Casino di Caccia – sotto la piazzuola ci sono le scuderie.....occupate ????????

Panorama dal Real Casino di Caccia

Real Casino – Facciata a Nord

Foto, tratte dall’interessante sito:
furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio sembrerebbe ancora in abbandono 
dato che non ho trovato notizie in merito ad un suo ripristino conservativo e di 
valorizzazione.












Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni 
floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli mattonellati e caratteristici dell’epoca 
borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli, e simili a quelli presenti nella Reggia di 
Caserta... tutto è nell’assoluto degrado.
Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua famiglia ma
l’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del vaiolo.

La strada di accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui 
spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola: una 
maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti.

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Torretta

dejnominata

Posta del Re o Castelluccio  ( sul Monte  San Leucio)

Sulla vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La scaletta di 
questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia dalla parete di 
mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi  in due braccia, le quali, 
cingendo la torre medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al 
secondo piano. Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se 
valeva ogni qualvolta  piaceagli di ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta 
del Re.
Poiche il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non essendovi 
che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti impetuoso che 
dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare la covertura  istessa,




In cima al Monte San Leucio si trovano i resti di una torretta Borbonica,
denominata “sedia del Re”. Crollò nell’inverno 2014 a causa dei
forti venti che colpirono Caserta
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L’Arco  Borbonico

L’arco borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di 
San Leucio.
Risale al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi 
Acquaviva, signori di Caserta.
Per volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini. Sulla 
sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo stemma 
borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.

L’arco è alto quasi 13 metri, largo 9 metri ed è costituito da un unico fornice  (vano) e 
le pareti sono a bugnato.




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15  Descrizione del

Real Casino di Belvedere e degli Edifici annessi


a Real Casino 

Dalle falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, 
ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e vasto 
orizzonte, che una parte della Campania gli offre.
Nella introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva 
fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto Re 
Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real dimora, e per 
le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a descriverlo con quella 
maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei complicati dettagli, che debbono 
indicarsi...
Entrando dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per 
una spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da alberi, si 
rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più lese, per la quale si 
ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia, ornata di ringhiere di ferro.
Nel fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha in 
questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.
La figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a mezzogiorno e 
settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile, circondato per metà da un 
portico.
L’avancorpo, di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, 
ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi  nel piano dell’edificio, che si 
osservano nei lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra dell’avancorpo 
istesso.
Ogni spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di marmo 
con tre getti d’acqua.

Di questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto quadrato 
che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo fondo la statua in 
istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il secondo poi messo ad occidente 
non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla sua estremità da’ luogo ad un passaggio non 
angusto, che accompagna il lato occidentale del Casino, ed immette quindi nel 
settentrionale.


Due ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, 
danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.
Il lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio dell’ampiezza 
di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, 
nel piano superiore poi di questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in 
comunicazione del Real Casino, al di cui comodo  doveva inservire.
Lasciando per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad 
oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono siffatto quadrato 
da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real Casino, il quale ha ivi la sua 
porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re 
Ferdinando coll’analoga incisione, è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina 
Reale, ed i due piani superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e 
forma quasi una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il 
terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse officine della Real 
Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in guisa che potrebbe servir di lato 
ad un altro rettangolo simmetrico a quello che forma il Real Casino, in tal modo lo 
spazio, ove si vede la statua, potrebbe divenire  il centro di due eguali rettangoli, al quale 
centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e magnifica scalinata. La esecuzione 
però di questa idea  costerebbe una spesa esorbitante, e distruggerebbe l’ordine attuale 
delle cose.

Or, tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che sorte a 
mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi corridoi menano nel 
cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente, come già abbiamo visto, ove vi è 
un portone munito di elegante cancello di ferro, mentre poi averne un altro di egual 
forma e nella stessa direzione nella parte occidentale.


Tutti i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due piani 
superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è che un solo piano 
superiore. Nello avancorpo poi,  messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo piano, 
esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato,  mentre forma la parte 
sotterranea degli altri lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e 
per deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta cantina 
da sei (vani) compresi tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto ?) per 
ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma  luminose, una verso 
oriente, ov’è stato riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far 
fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due camerini che 
precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e l’altro per fruttiera e conserva 
di olio fino. E tutti questi locali nell’atto che sono uniti fra loro,  possono pure essere 
divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo piano 
all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si trovano accordati 
al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze superiori, dalle quali si ha la discesa 
per una scaletta interna.


a.a ) Pianterreno

Al di sopra della cantina, e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno 
scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla 
medesima per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in 
cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella medesima tre 
altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San Ferdinando, ed è chiuso da 
una balaustra anche di marmo col corrispondente pavimento.
Il secondo a dritta è dedicato a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di 
mediocre autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che 
precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi è una stanza 
per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che mena a vari piani del Real 
Casino.


prospetto della chiesa dal cortile

L’antica chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla 
di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.
La Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui l’arcivescovo 
Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo Casertano” 
confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e ai suoi 
successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della Diocesi ed indicava 
anche il numero delle chiese presenti, ben 133.
Tra la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere, eretta da 
Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco Guerra (1636) 
riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato per servizi), con quattro 
torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale recintato, aperto da un portale 
bugnato.
Un palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due piani. 
Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco, forse dovute alle 
stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel coevo palazzo al Boschetto, 
altra dependance della corte Acquaviva in Caserta. Giardini meravigliosi con
<.. [ri]quadri guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>
attorniavano la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un 
portico a tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio 
Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti affrescati.
Una cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano superiore 
al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani (1659), fu 
acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con tutto il feudo di 
Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento sul sito noto come 
Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel quale sorse la cappella di S. 
Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede delle truppe (la cappella era nell’attuale 
abside), fu definitivamente adattato (Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.
Un luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico Casino del 
Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè Ferdinando II delle Due 
Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie, noto come “Re bomba” 
sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8 novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il 
Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio
“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle mura che la chiudono”.
Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad opera di Francesco Collecini, allievo 
del Vanvitelli, completata in due anni e consacrata il 30 giugno 1803 insieme 
all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea di arte sacra”. All'occasione il papa 
concesse al devotissimo re uno speciale Giubileo di otto giorni per ciascun anno in 
perpetuo nella ricorrenza della festività della Santissima Vergine delle Grazie. I 
materiali da costruzione sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo 
di Mondragone e legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli 
arredi e le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, 
Raffaele Mattioli e Pietro Saja.
In base al su citato Rescritto, il parroco non dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal 
Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto i suoi parroci avevano un grosso potere, ma 
non sempre lo esercitarono con umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.
Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai 
deputati al Parlamento nazionale, lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la 
chiusura degli opifici, erano 
“angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato governo!”
Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté con tutte le sue forze contro il 
decreto della Curia Vescovile di Caserta che ridimensionava i limiti della spirituale 
giurisdizione della Reale parrocchia di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. 
La disputa fu in effetti l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai 
privilegi goduti dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva 
raggiungere questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881)
l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.
E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali che questi
se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di forza, non mai per 
ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere difeso e sostenuto, cesserà il 
possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi ritorneranno a loro Padrone di dritto”.
Una piccola chicca per i cultori e non della Matematica è la definizione che il parroco 
di Briano (frazione di Caserta) ed il De Maria diedero della circonferenza cercando di 
piegare la Geometria alle rispettive tesi. Asserì il primo:
Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il cerchio”;
rispose il secondo:
Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna […]”.
 In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre ad influenzare il tessuto sociale 
del centro. Negli anni sessanta/settanta la parrocchia era chiusa durante la settimana 
ma facendo una richiesta , anche per motivi di studio il parroco concedeva l’apertura 
per ammirare i bellissimi arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli 
dell’annessa filanda.

I Paramenti Sacri creati dalla filanda Borbonica di San Leucio


Raffinato tessuto a telaio "San Leucio" damascato rosso bordeaux stile luigi XVI - XX secolo

La cappella occupa una parte della preesistente stanza di rappresentanza del principe 
Andrea Acquaviva. Due rampanti di scale convergenti conducono all’ingresso della 
cappella, attraverso un vestibolo  sulla cui sinistra è posta l’artistica e pregevole 
Coppa Battesimale.


Dal vestibolo si devono attraversare tre vani per accedere alla cappella, tra e balconate 
del coro grade. Sono presenti tre pitture ad olio che rappresentano l’Umiltà, la Carità 
la Clemenza che adornano le tre volte a padiglione dei rispettivi vani in cui è diviso il 
coro grande.


La cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura una 
stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a riflesso delle 
quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a padiglione, segnato da 
fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari che poggiano sul rettangolo di 
pianta. All’ovale di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con 
la “Gloria dello Spirito Santo”.

Gloria dello Spirito Santo

L’altare di sinistra è dedicato a San Leucio  (con il quadro che raffigura San Leucio 
che riceve l’apparizione della Vergine) mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. 
Si tratta di due tele ovali che sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.
Le pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si trovano 
altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la Religione e la Verità. 
Sculture eseguite da Angelo Brunelli.

Le Fede

La Speranza

La Religione


La Verità

La parete di fondo è divisa in tre scomparti. Quelli laterali contengono tele di Carlo 
Brunelli (sinistra. S. Leucio che battezza; destra. S. Leucio che predica).

San Leucio che battezza

San Leucio che predica

Lo scomparto di centro è aperto sull’abside con l’altare maggiore con tela di 
Carlo Brunelli (1778) che raffigura San Ferdinando Re.


La Cappella


altare laterale sinistro di S. Leucio


altare laterale destro di S.Carlo

San Carlo Borromeo

Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge 
una mostra d'artigianato di arredi sacri.


Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il giro orientale, il fabbricato 
ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed oriente evvi un quartino di una stanza 
grande e di due gabinetti destinato per l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre 
grandi ed una piccola per Parroco. Una delle porte minori, che sporgono  sul cortile, 
precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola normale, e la seconda 
dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita di bello stiglio. Lungo il lato 
orientale trovasi una stanza grande, e tre camerini tutti destinati per ufficio di riposto per 
le LL.M.M. fornito di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. 
(?) in seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale consistente 
in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande, che mena al Reale 
appartamento. Accanto a detta scala,  pigliando il lato settentrionale verso l’interno del 
cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),




per uso di salseria (salse artigianali),  indi un lungo ed alto stanzone ad uso di filanda 
contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua perenne, e corrispondenti 
mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove si assortisce (di diversi colori ?) la 
seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj di seta medesima, che prendon 
moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.
Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda che queste machine di 
filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato nel sotterraneo corrispondente 
ai menzionati filatoj.
Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a varj piani del casino, cui in 
eguito daremo il nome di scala del cilindro per essere posta quivi vicino quindi trovasi 
una camera con camerino corrispondente fra settentrione ed occidente con una bella 
macchina di cilindro; il pavimento di questa stanza è tutto di legno, e la macchina 
anzidetta prende moto mediante il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.


Percorrendo il lato occidentale del casino s’incontrano prima quattro stanze, due grandi, 
che contengono la macchina di ferro per preparare e stirare le stoffe, prima e dopo di 
cilindrarsi, e due piccole. Queste hanno l’aspetto verso il cortile, e son divise dalle prime 
con un corridojo. 

Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria coll’altro portone già 
menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed un camerino destinato per 
abitazione alla maestra delle ragazze della Real Colonia, e due picciole coll’aspetto 
puranche verso il cortile.
È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide queste stanze a somiglianza delle 
preedenti. Accanto all’abitazione della maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra 
piccola porta del prospetto di mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino 
ad arrivare alla Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro 
camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di seta.

Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi un corpo quasi isolato, 
sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli edificj adiacenti che nella parte 
superiore hanno tra loro communicazione; ma non  potrebbe ciò farsi senza indurre 
confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale del 
Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito verremo a parlare 
degli edificj accessorj.
....................................


a.b) Piano Superiore , ossia  Piano Reale

 Questo piano comprende sessantadue camere di diverse dimensione.
Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha guari per comondamenti 
Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono destinate per Reali appartamento, 
e vi si ascende per pezzo di due scale, una principale, messa alla dritta del portone grande 
ad oriente; e l’altra posta alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle 
della Chiesa.
Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia, uno per Sua Maestà il Re 
esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà la Regina. Corrispondono fra 
loro e per mezzo del coretto della Chiesa, di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo 
corridojo, che gira al di dietro della parte meridionale ed occidentale del Casino.
Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S. M. il Re, occupa una parte 
del prospetto meridionale, e parte del lato occidentale del fabbricato del Casino. 
Comprende nove stanze tra grandi e piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria 
per udienza, anticamera, guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere 
grandi, ove la M. S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con 
piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il bagno, 
che il retret (retrete), bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale 
per bagno si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj.
Questa parte dell’appartamento  ha l’ingresso pubblico non solo per la scala in mezzo al 
cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo corridojo nel suo fondo 
mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale del cortile. Nel centro di questa 
loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad acqua perenne, a sinistra della quale vi è 
commodo  di uso per le persone di Real seguito anche ad acqua.
Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la S.M la Regina si compone di 
numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa l’altra metà del prospetto di 
mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real fabbricato.
Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e comprende sale, anticamere, 
galleria, bigliardo,  dietrostanze,  camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, 
retret (retrete) con bidè e lavamano ad acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e 
mozze di camera, e guardaroba.
In fondo di questo braccio di appartamento sul lato orientale, propriamente accantoalla  
prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una stanza e due camerini 
destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di Salerno, ed in questi stanzini viè 
comodo di retret (retrete) ad acqua perenne.
(Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo Giovanni Giuseppe 
Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo 1851) principe delle Due 
Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il sedicesimo) del re Ferdinando I e di 
Maria Carolina d’Austria che non si legl a nessuna casa reale europea e condusse una 
vita tranquilla nella città di Napoli).

Leolpoldo di Borbone
Artista: Louis Renè Letronne
Parigi, 15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura – Datazione: 1816
 Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna

Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un passaggio coverto mena ai 
Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino esiste un grandioso bagno capace di 
contenere settantadue botte di acqua. Ha il pavimento di marmo, e dipinture ad encausto 
sulle pareti all’Ercolana. Da un lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e 
vestirsi, e dall’altro vi è un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini 
coi noti meccanismi di caldaje,  strte, e chiavi, onde portar l’acqua alla temperatura che 
si vuole. Questo bagno magnifico è fornito di tutti gli accessorj  costruiti colla maggiore 
delicatezza, siche si rende veramente singolare.
Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione a’ due bracci del 
Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad undici altre stanze, delle quali, 
numero sette da un lato sono destinate per i Cavalieri de Real seguito, e quattro 
dall’altro, che sporgono al cortile si occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario 
particolare di S.M.
In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già descritta, e quindi un camerone, che 
ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è 
situato l’incannatojo di seta cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.
S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che comprende due piani, e viene 
poscia un quartino di tre stanze per le persone del Real sequito: si entra a queste stanze 
per mezzo di una porta messa a dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento.
 
Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi aspetti artistici è la sala da bagno di 
Maria Carolina d’Asburgo moglie di Ferdinando di Borbone  (Ferdinando IV delle 
Due Sicilie).

La sala si trova al secondo piano dell’edificio del belvedere. È un ambiente di grande 
dimensioni con una vasca centrale ovale, di sette metri e con tre gradoni che si 
sviluppano lungo le sue pareti interne, in marmo grigio di Mondragone.


L’impianto della vasca era costituito da un impianto idraulico  che permetteva di 
disporre di acqua corrente mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante 
una stufa che era posto nel vano sottostante.
Le parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che nel 
1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi pompeiani.
Sono dodici figure femminili danzanti (baccanti)  e disegni geometrici – floreali (steli 
floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine Settecento per gli 
scavi che si stavano effettuando a Pompei).
La volta è affrescata con amorini e ghirlande.




La volta della sala da bagno

L’artista tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.
Agli inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi apportati 
agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della ringhiera che circondava la 
vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo dorato e l’apertura della porta di 
collegamento tra il bagno e la scala per un comunicazione diretta dell’appartamento 
reale con il retrostante Giardino delle Delizie.
Nel 1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore 
figurista Carlo Patturelli, utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa 
pittorica delle figure nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa 
dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per l’umidità 
presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il restauro dei dipinti, 
questa volta individuando le cause reali del degrado delle pitture nell’umidità 
proveniente dal terrapieno del giardino.
Alla sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.


Nel 1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla decorazione dell’ambiente, ma 
purtroppo dopo solo pochi anni le pitture cominciarono a soffrire dei guasti dovuti 
all’umidità e alla stessa tecnica sperimentale applicata dall’Hackert.
La vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera 
probabilmente quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della 
seta.
Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze del tutto fortuite, ritrovarono la 
vasca, che risultava appunto coperta da un pavimento.


Il pittore prussiano Jacob Philipp Hackert  (Prenzlau, 1737 – San Pietro di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria, dove nello stesso anno 1793 dipinse La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri, che in un disegno preparatorio veniva descritta come  “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”Il pittore operò presso la corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata di Anitrella.


Arenella – cartolina del’ 900

Nel gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del 28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! 

(L’encausto (o incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno, terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)

Prezioso quadro settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per oggetto la cascata verticale di Isola del Liri ha avuto a suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente. In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri, eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del Museo Marmottan.
Detto quadro, grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto l’aggettivo: storico, eccezionale. Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia sui media, fu consegnata a mano una lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri: nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici, quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari, ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette, saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un soggetto perfino fondamentale nell’ambito della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne è nemmeno una presso le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato: si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia (140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e di un’opera rarissima intitolata dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81 cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni, l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato: occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli

Dopo questa piccola divagazione ritorniamo alla descrizione di alcune stanze del 
Belvedere di San Leucio.
La Sala da pranzo  utilizzata fino a metà Ottocento anche per i balli di corte (poi fu 
allestito a questo scopo un altro ambiente sul lato opposto dell'appartamento).

Sala da pranzo


Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di colui che ha realizzato la 
decorazione dell'ambiente (1776/1778).
L'affresco del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il ritorno del dio 
dall'Oriente (da Ovidio).
Quest'opera fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.

L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)

Nei quattro tondi che affiancano l’affresco centrale sono raffigurati
Episodi della vita di Bacco


Nascita di Bacco


Bacco con satiri e ninfe

decorazione monocroma delle pareti con protagonista Bacco








Si attraversano poi alcune sale dai colori tenui e con pochi arredi, che 
facevano parte dell'Appartamento dei Piccoli Principi sul lato ovest del palazzo.





Stanza di compagnia della Regina



Stanza di toletta della Regina inizialmente dedicata anche al Re.



Camera da letto del Re e della Regina.



La volta “l'Aurora” fu affrescata da Giuseppe Cammarano nel 1816.

Aurora (Giuseppe Cammarano - 1816)


Gli arredi originali in stile neoclassico, con le parti in legno dorate e con tappezzerie in 
cui predominava il colore verde, non sono oggi più presenti.


Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da lavoro della Regina e il 
cosiddetto Bagno personale della Regina.
Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia, un 
gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu proprio la Regina Maria 
Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia alla Reggia di Caserta.
Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.

lavamano consolle (XIX sec.)

L'ambiente successivo, chiamato "Coretto", collegava l'Appartamento della Regina con 
l'Appartamento del Re.
Carlo Brunelli ha dipinto nella volta i tre ovali con putti allegorici che simboleggiano 
l'Umiltà, la Speranza e la Carità.

Putti allegorici (Carlo Brunelli)

Putti allegorici (Carlo Brunelli)

Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni era il 
verde e l'arredamento era in legno dorato.
Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa di S.Ferdinando Re e da qui i 
sovrani potevano assistere alla Messa che si svolgeva nella sottostante chiesa.
La visita degli Appartamenti Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo 
che prima era adibito ad Appartamento dei cavalieri.
Faceva parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.




a.c ) Ultimo Piano

L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini,  componenti numero ventidue 
camere; divise fra loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi 
quartini son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba dell’appartamento 
Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato sopra all’incannatojo, ed alla 
filanda del cortile si ha un lungo camerone per uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi 
da seta.
 Filamente esiste una stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il 
cortile, e né ... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di S. 
M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua, che dal bagno 
succennato si trasmette.
 
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b. ) Edifici  adiacenti  al  Real Casino


Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è messo dirimpetto al lato 
settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha la seguente destinazione.
Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj delle sete crude, e vi esistono otto 
rotoni animate ad acqua, mediante un moto trasversale prodotto dalla macchina 
sotterranea. Passando più oltre vi è una stanza per un deposito di legna, e per bottega del 
falegname, che giornalmente lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra 
stanza con  scala privata che introduce nel luogo ove sono le fornaci colle caldaji per 
bagno grande di S.M.
Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con pilastri nel mezzo sottoposto al 
menzionato bagno, da cui si passa in una stanza addetta al Capo della cucina.

Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo alla superiore.
Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al cilindro,. Evvi in primo luogo 
un quartino composto  da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate  per alloggio 
delle persone del Real seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove 
sono riposte l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo 
addoppiamento.
Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si tiene chiusa, la quale dà la 
sortita ad una leggetta che comunica al Reale appartamento.
Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito da cancello di legname 
da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente; in cui abbiamo detto che vi 
esistono tre fabbricati. Non occorre ragionare del primo che presenta la facciata del Real 
Casino ad oriente, perché le abbiamo già descritte.
Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re Ferdinando, vien composto di tre 
piani, uno terreno e due superiori. Il pianterreno è formato da un grande stanzone che 
resta appunto nel mezzo dello spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real 
cucina. È questo ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità 
d’ogni maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello di 
ferro.
Il primo piano superiore poi vien composto da una grande stanza tanto lunga quanto 
l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj, e per gli incannatoj di sete colorate.
Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota verticale che prendeva moto 
dal passeggiar che facevano in essa due femmine: oggi a questo rotore sonovissi sostituite 
altre macchine più semplici ed utile.
Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il secondo piano superiore, che è 
una specie di ammezzato, vien composto da’ una stanza grande, e da un’altra meno 
ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della Real fabrica, e per linage(?) necessario per le 
macchine alla Jaccard.
Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una porta messa nell’angolo a 
sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si monta a’ piani superiori.

Il Belvedere a sinsitra – La Real cucina al centro e il terzo edificio a destra

Statua di Ferdinando I di Borbone


Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad occidente, e che chiude i tre lati del 
quadrato, viene composto da un pianterreno, e da un altro superiore.
Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati, ne’ quali si conservano 
diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure una tromba ad acqua per usarne in 
caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un portone opposto e simmetrico a quello orientale 
del Casino. A questo portico segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, 
finalmente due camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del 
Tintore. Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ 
Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono piazzati 
simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di ogni sorta di lavorio, 
ed in questo locale trattano soltanto uomini.

Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla sinistra dell’edificio, e per mezzo 
della scala istessa, che s’inoltra al piano superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa 
per i bozzoli, e quindi si entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera 
adiacente alla filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.
Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel Real Casino e negli edificj che si 
sono descritti, oltre ai locali destinati per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, 
vi esistono.


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C.  Reali   Scuderie

Sottoposte al  Real  Casino

Di prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di 
Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta scalinata,  
c’è un androne, precedono siffatta entrata.
Questo locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real 
Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono la sua 
volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i diversi prodotti de’ 
territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno a bella posta costruiti, non 
escluso l’olio, pel quale furono incavati nel suolo due acconci recipienti quadrilateri 
foderati di pietre di Genova.
Poscia nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si 
vede, capace a contenere N. 44 cavalli.

A sinistra della scala, che conduce al Belvedere, sono presenti le stalle

La scuderia


A destra, dopo il viale, si notano le stalle reali.

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D. Edifici  addetti  alla  Fabbrica delle  stoffe

Filanda Grande –

detta de’ Cipressi  e Coculliera superiore

Nel lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il fabbricato per 
uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte piante di cipressi, fu 
nominata de’ cipressi.
Questo fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si ascende 
per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno, ove evvi una 
fontana con una elegante conchiglia di marmo.
Fu costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’ mangani 
delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di braccia.
Posteriormente per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota 
verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere, da cui venisse 
comunicato il moto ai mangani anzidetti.
Questa ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di allungare 
fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.
Simmetrici vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale 
contiene un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto 
da sodi impiedi di legno.
Alle spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto dopo, un 
locale spazioso di forma rettangolare.
Esso ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore sodezza: 
finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo per cuculliera.
Vi si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi delineato 
sulla corrispondente pianta alla Tav.....


Pianta della Filanda e della vicina Cucuclliera

In primo piano la grande filanda “de’ cipressi” e alle spale la coculliera



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16.   “Quartiere  “Vaccheria “


a.          Fabbrica  de’  Cotoni

Trovasi altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio, e de’ 
verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.
Da principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese il nome di 
Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui pianta si ravvisa nella Tav. 
(?) è di croce latina, ed è situato in un falso piano a poca distanza dal Tempio della 
Madonna delle Grazie.
Si compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una comoda 
scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il pianterreno comprende 
un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto stanze, quattro per ciascuno lato 
della croce.
Il piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e di nove 
stanze.
L fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri componenti accessorj di 
questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo tutto quanto questo locale era 
destinato a contenere una fabbrica di calze da seta; al presente ne’ due cameroni si 
ravvisa una fabbrica di cotoni con bella disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta 
distinzione, che nel pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le 
donne.
Le stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per 
abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.


a sinistra l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”
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b.Casamento addetto  alla cilindratura

e spanditura delle  stoffe  di cotone          

questo fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’ cotoni 
nella Vaccheria.
Si compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche 
differenza ne’ livelli de’ pavimenti,  ma eziandio d’un piano superiore.
Fu costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo da 
cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse nel piano 
superiore.
È da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto formato 
di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.
Rimane siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri 
accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri usi.



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c.Officina addetta al biancheggio de’ cotoni

Perche non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli anni 
1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento esistente nella 
Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.
Vi esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da canalette, 
ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi estivean pure delle fontane 
capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che si desiderava.
In questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un vasto 
spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il biancheggio, ma anche una 
tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non solo le vasche, ma anche le fornaci, 
e quanto altro conveniva all’uopo.
Questo locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi inoperoso 
per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure può servire sempre al 
bisogno.
Abbiamo stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, 
dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del 
presente volume.
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d.          Lungo  Casamento

del Quartiere della Madonna delle  Grazie

alla Vaccheria

Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola (?) è posto nel lato sinistro 
di chi guarda la Chiesa della Madonna delle Grazie.
La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di questo medesimo quartiere.
Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile con ingresso per un portone 
posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla parte settenrtionale sino al portone 
comprende il pianterreno, ed un piano superiore.
Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione, che prende il suolo, oltre a 
questi due piani ve né è un altro sottoposto, in guisa che il piano superiore di quest’altra 
porzione corrisponde al pianterreno della prima.
Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto il pianterreno destinato per 
canetteria, ed il piano superiore per abitazione dè canettieri, del Guardiamaggiore, del 
primo fagianaro Tedesco, e de’ Guardacaccia.
Posteriormente, allorche  fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica 
delle seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di calze di seta.
Nel 1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di oriente 
mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia avendo a bella 
posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di fabbricanti pellajoli da 
Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si ritirarono tutti alla di loro patria. Al 
presente trovasi utilizzato il menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto 
di n. 4 stanze per biancheggio de’ cotoni per  la fabbrica non ha guari istallata in questo 
quartiere della Real Colonia Leuciana, restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè 
il pianterreno in n. 43 stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto 
detta testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per abitazioni 
degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai


“ Lungo Casamento” – L’angolo Sud-Est del fabbricato (in alto a sinistra)

Questo fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche l’addestramento,  del guardiacaccia, probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze  del Re:
-          Cacciatore maggiore o Montiere;
-          Balestriere;
-          Primo Canettiere o canettiere di camera;
-          Canettiere;
-          Mozzo;
-          Scaccioni o Menatori;
-         
Fagianari.
-          Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti, oltre
a cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli  utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di  Poira.

Cane corso italiano

Levriero moscovita

Il Podenco spagnolo

Reggia di Carditello

Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore (Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per l’ippoturismo.  Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese:  Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.

I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte

Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.

il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte, proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100 anni.

In merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano prodotte
da Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte da
Manuel Estevan, per i volatili.
Re Ferdinando I usava scoppietti e  mojane ( coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di cacciagione.


Sono giunti fino a noi anche i nomi dei canettieri del Re Ferdinando I di Borbone – Due Sicilie grazie a dei dipinti dell’artista Martin Ferdinand Quadal (pittore, incisore e docente austriaco; Mohelnice, 28 ottobre 1736 – San Pietroburgo, 10 gennaio 1811).

Ritratto di Domenico Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784, Reggia di Caserta
Pittura: Olio su tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M. F. Quadal Pinx 1784
Collocazione: Reggia di Caserta
Provenienza: Real Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).

Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e cinghiali (1784) del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione: Reggia di Caserta
Provenienza: Real Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792 risultavano esposte nella Stanza della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
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e. Quartiere Vaccheria

Chiesa  della  Madonna delle Grazie alla Vaccheria

Quartiere “La Vaccheria” – La Chiesa di Santa Maria delle Grazie.

All’Occidente di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È 
formato in una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma 
rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.
Fu costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che 
abitavano in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re 
Ferdinando alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata 
nell’altare maggiore, era una copia  curata dal Professore  Saja da un piccolo 
quadro di ottimo autore, che S. M.  conservava presso di se con singolare 
divozione.
Questo Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne 
situato in mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo 
ripiano, cinto di ringhiere di ferro.
Vi si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.
Nell’atto che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è 
assai ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’  secoli posteriori
È fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il 
primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla Vergine 
Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che rappresenta 
un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione della Beatissima 
Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis (?). il terzo quadro 
rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da D. Carlo Brunelli.
In più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole 
scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano di  
coretti, il primo de’ quali è destinato per orchesta.  Queste stesse scalette portano 
ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due campanili.
Ai fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello posto in 
Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta a lumaca, che 
porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali, entrambi simmetrici 
ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.
Dai rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella 
Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed acconcio 
stiglio di noce.
Nel menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto 
destinato per le LL.M.M.
Questo coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro 
coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano sopra 
alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un tempo per 
dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di trattenimento alle 
Reali Persone, ed anche per retret (retrete).

Vaccheria – La Chiesa della Madonna delle Grazie





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17. Casa  Incontro al  Dosello

La piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, 
ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.
Dirimpetto d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando 
guardava la corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle 
Grazie. Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento 
massarizio denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.
Eseguita la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e  data ad 
un Guardacaccia per sua dimora e per custodia del Bosco, come attualmente si 
ritrova. Si compone di tre stanze, un passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e 
di una stanza al piano superiore, alla quale si monte per interna scalinata.

La casa nel quartiere “Dosello” dove si fermava il Re
Ferdinando I di Borbone per assistere alla corca dei cavalli in occasione della
festa della  Madonna delle Grazie di Vaccheria


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18. Cancello  detto  di  Cappuccio

Colle annesse  casette



..... l’ingresso principale un cancello di ferro, per mezzo del quale si entra nel Real Sito dalla banda della vaccheria. Contigue a questo cancello vi sono alcune casette destinate fin da principio a guardie, come al presente si vede. Questo ingresso, dal pocanzi descritto Casamento, fu chiamato di Cappuccio. La fabbrica annessa al cancello comprende una stanza terrena, ed un’altra superiore, alla quale vi è communicazione per una scaletta esteriore. La casetta che dista dalla suddetta per poco spazio, e che trovasi sull’alto sulla strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, si forma del solo pianterreno composto di due stanze ed un camerino. Per lo passato questa seconda casetta guardava una chiusura di ferro, ch’erano nell’anzidetta strada; ora forma la dimora di un Individuo Leuciano.

Cancello di “Cappuccio”, sulla destra le casette della fabbrica

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19. Casamento

Al  di  fuori  del  Portone di Belvedere  detto Trattoria

Colle  Nuove  Scuderie


Nel sito dove giù esisteva un antica casetta destinata per abitazione degli schiavi battezzati, che 
erano addetti al Real servizio in Belvedere, e per rustica bettola, fu poscia costrutto questo 
abbastanza ampio fabbricato,  la cui pianta per la posizione del luogo venne di figura 
trapezoidale.
Si compone di tre rettangoli uniti fra loro pe’ lati minori, che racchiudevano uno spazioso cortile.
La sua faccia principale, ov’è il portone, riguarda Levante, e fiancheggi la strada, che mena allo 
ingresso maggiore della Colonia Leuciana, da cui dista per pochi passi.
Il lato sud-ovest distendevi a fianco dell’altra strada, che porta a Gradillo, e quindi a Caiazzo.
Finalmente dalla parete di settentrione confina col muro, e co’ casamenti della menzionata Real 
Colonia.
Fu edificato per ordione del provvido Re Ferdinando, allorqando dimorava egli lungamente in 
Belvedere, per dare agio di trattenersi e ristorarsi alle persone, che continuamente erano 
obbligate recarsi alla Reale udienza, o dalla Capitale, o da altri luoghi distanti.
Per la qual cosa prese il nome di Trattoria, che tuttora ritiene.
Si osserva in questo edificio una comoda distribuzione di stante tutte ricacciate giudiziosamente 
squadro ne’ piani superiori, in modo molto acconcio all’uso cui fu destinato, e parecchie 
botteghe verso la strada di Caiazzo.
In tempo dell’occupazione militare tutto quanto questo locale fu addetto a contenere le varie 
specie di macchine per lo lavorio delle sete, che prima erano sul Real Casino. Posteriormente nel 
felice ritorno del Re Ferdinando le macchine anzidette presero il loro antico posto, e l’edificio di 
cui si tratta, ne’ soli piani superiori fu ridotto ad uso di abitazioni, come in seguito verrà narrato.
Siccomè l’ineguaglianza del suolo, ove fu costruito siffatto fabbricato, ha portato una diversità 
nei piani, così a migliore intendimento del leggitore siadotterà nella descrizione il seguente 
metodo. Descriversi in primo la parte di questo edificio ov’è il portone; indi il lungo lato posto 
sulla strada, che mena a Cajazzo; ed in fine il casamento, che  attacca colle abitazioni della 
Colonia.

Lato  del  Portone

Il suo spazioso portone con lungo portico dà ingresso a questa parte del Casamento. Comprende 
alla destra del sudetto portone un pianterreno, ed un sol piano superiore, ed alla sinistra il 
pianterreno e due piani superiori; il primo de’ quali corrisponde al pianterreno dell’altro braccio.
All’entrata del portone due scalette poste una incontro all’altra, sporgono in due corridoj, e 
quindi a numero dieci stanze, quattro da un lato e sei dall’altro.
Le quattro stanno a destra del portone, e son destinate  ad abitazione del Direttore de’ telai da 
calze; delle sei poi, che trovansi alla sinistra, tre sono occupate per magazzini delle sete, e tre 
altre con un corridojo formano porzione della casa del custode del Casino Reale.
Il pianterreno di questo braccio, che sulla sua prima costruzione serviva tutto per le officine di 
cucina e  riposto della trattoria, comprende cinque stanze ed un lungo corridojo.
Due di queste stanze al presente sono abitate; una grande si ritiene dal suddetto custode per 
dispensa, un camerino verso la strada è bottega del calzolaio, e l’altra stanza è destinata per 
Cancelleria della Real Colonia.
In questo stesso lato evvi una bella scala a lumaca, che porta al piano superiore, che si compone 
di numero nove stanze; un corridojo, ed una spaziosa cucina, quale piano serve di abitazione in 
parte all’Amministratore, ed in parte al Comandante la Divisione militare della Colonia 
Leuciana.
Braccio  posto sulla  Strada di  Cajazzo

Il lungo Casamento, che costeggia la strada di Cajazzo, è composto di stanze foderate con 
picciola diversità ne’ loro piani.
L’aspetto, che è verso la suddetta strada, si forma del pianterreno, e di un piano superiore, il 
quale va a livello al primo piano della parte d’edificio già descritta.
Il pianterreno costa di numero nove stanze, tutte addette ai venditori di varj commestibili  
principali, per uso della colonia medesima,  non esclusa un osteria che è posta alla fine del 
Casamento fornita di molte comodità.
E il piano superiore di altre nove stanze, le prime tre che stanno in continuazione, e che formano 
parte dell’abitazione del Custode testè nominato, e le rimanenti sei che servono anche per uso di 
abitazioni ad altri coloni Leuciani.
La parte poi, che guarda il cortile si compone di  numero otto vuoti di cantina, ciascuno 
corrispondente, ed annesso alle corrispondenti botteghe.
Il locale, che sovrasta a queste cantine, era un tempo in forma di un lungo porticato addetto a 
riporre carrozze; ma fu poscia diviso in sei locali, uno più spazioso, ove è ora un teatro, e cinque 
stanze destinate per abitazioni.
Non ha guari per comandamenti Sovrani è stata principiata una fabbrica alla fine di questa 
parte di trattoria, fino a guardare il muro di cinta di S. Leucio, sull’idea di formare un 
rettangolo con portone d’ingresso nel mezzo, per uso di Real Cavallerizza, onde poter riporre 
cavalli e carrozze di Real pertinenza, non che dar ricetto a tutti i Palafreni, cocchieri e staffieri 
col loro Capo ogni qualvolta si reca S. M. /D.S./ nel Real Sito di Belvedere.
È per altro tuttavia incompleta, e di ciò ch’è fatto internamente, parte è aggregato alla bettola, e 
parte è addetto ad uso di macello

Lato contiguo ai  Casamenti della Colonia

Finalmente il Casamento posto nel cortile, che attacca dalla parte di settentrione con 
muro di cinta e colle abitazione del Quartiere S. Carlo della Real Colonia, costa del pianterreno 
di di un sol piano superiore. Il pianterreno dapprima altro non era che un lungo locale ad uso 
di stalla: fu posteriormente deviso in sei locali  fra grandio e piccioli addetti a tintoria di color 
nero, magazzini e rimesse. Il piano superiore poi p ripartito in sei stanze destinato ad abitazioni.










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20. Piccoli edifici stabiliti per la custodia del Real  Sito


a.          Casetta  alla  Cascata

Il piccolo edificio, segnato con N. nella tavola (?), altro non è che una casetta destinata per 
abitazione del Custode del cancello, per mezzo del qual cancello dal punto della cascata delle 
acque si entra nel recinto del Real Sito di S. Leucio. Questa casetta è di recente costruzione e 
consiste in una sola stanza a pianterreno con alcuni annessi camerini.

Sito della Casetta della Cascata (?)


b.  Guardiola alla salita così detta Dell’Arco

La Casetta... presenta una guardiola per contiguo cancello di ferro alla salita denominata 
dell’Arco. Fu costrutta contemporaneamente alla murazione di Montebriano, costa di una sola 
stanza a pianterreno, ed una cucinetta con sottoposta cantina.

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c.Casa  del  Retajolo  all’Arco

La fabbrica... è posta a qualche distanza dalla testè nominata guardiola, andando sopra, in un 
luogo per antica tradizione denominato l’Arco.
Il Re Ferdinando I volle edificarla per dimora del Retajolo addetto alla caccia de’ tordi in 
quell’acconcio sito. Si compone di due sole stanze, ed alcuni annessi camerini, oltre di un lungo 
sottoposto corridojo per tingere e conservare le sete.

Casa del retaiolo all’Arco (?)

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d.Casamento che s’incontra in seguito della descritta casetta detto della Mazzolina

L’altra fabbrica, ...., trovasi a poca distanza dalla testè nominata lungo la strada che conduce a 
Belvedere, nella sua origine era parimenti locale destinato a guardia di un cancello di ferro, che 
l’era vicino, prima di porvi il già riferito alla Cascata.
Posteriormente fu destinata per abitazione di una manipolatrice di latticini all’uso di Firenze, 
detti mazzolini, per cui vi è commodo d’acqua perenne.
Presentemente è addetta a ricettare un Guardiacaccia. Tuttoche presenta un  sol pianterreno alla 
faccia della strada di tre stanze ed una cucinella; per l’ineguaglianza del terreno, nella parte 
interna vi è il piano sottoposto di altre due stanze, al quale si pratica per esterna scaletta.





Il "Marzolino"

Il Marzolino è un formaggio ovino a pasta tenera e dal sapore dolce.
Un prodotto toscano di pregio e dalle antiche origini. Risale al tempo degli Etruschi e fu oggetto di fiorente commercio già in epoca romana, come riferito da Plinio il Vecchio. Il suo nome deriva dal mese in cui viene prodotto.
La zona di produzione del Marzolino è il territorio compreso tra le province di Firenze e Siena, solcato dalle alti valli del Greve, del Pesa e dell’Arbia.
Un formaggio a base di puro latte ovino proveniente da animali alimentati solo con erbe dei pascoli della zona in cui viene prodotto. Per questo motivo il suo sapore è unico e caratteristico. La pasta del formaggio Marzolino, di colore bianco e struttura compatta, ha un aroma fragrante e una sottile crosta bianca che tende al rosso con il protrarsi della stagionatura e per il trattamento a cui viene sottoposto. Viene infatti cosparsa di concentrato di pomodoro ed olio evo. La forma tradizionale è ovale e schiacciata, ma si può trovare anche di forma tonda o cilindrica a seconda della zona di produzione. Le forme variano dai cinquecento grammi di peso fino a raggiungere anche il chilo e mezzo. Nella sua lavorazione In origine si utilizzava per la produzione del Marzolino il latte lavorato utilizzando il cagliofiore, prodotto ricavato dal fiore del carciofo selvatico. Oggi sono rari i produttori che seguono questo procedimento antico, e il cagliofiore è stato sostituito dal caglio di vitello. In genere il Marzolino viene lavorato partendo da latte ovino crudo che, rispetto al latte pastorizzato, preserva inalterati gli aromi volatili conferendo al prodotto finale un gusto e un profumo più intenso. Dopo la mungitura serale il latte scremato viene unito al latte intero della mungitura del mattino per esser pronto alla lavorazione. La lavorazione di questo formaggio prevede che il latte venga portato a 30-32°C, non di più, per mantenere inalterata la flora batterica. Al raggiungimento di questa temperatura viene aggiunto caglio liquido di vitello per ottenere in venti minuti la coagulazione. Una volta raggiunta la giusta consistenza viene rotta la cagliata in piccoli granuli e posta in forme concave per far scolare il siero. Segue la pressatura e la salatura che in genere è fatta a secco aggiungendo direttamente il sale. Le forme ottenute vengono avvolte in un panno e appese per l'asciugatura in un ambiente a temperatura costante per circa due giorni con una rotazione manuale delle forme ogni otto ore. A questo punto inizia la fase di maturazione. Le forme vengono adagiate su lastre di legno e riposte in cantina per almeno sette giorni. A seguire la stagionatura per un minimo di tre e un massimo di sei mesi. La sua stagionatura può durare da pochi giorni fino a circa sei mesi.
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21. Ospedale  de’  Leuciani

nel  Soppresso  Convento  di San  Francesco di Paola   di Caserta

La chiesa con il convento e il chiostro
A fianco l’Ospedale militare costruito successivamente

(Quando) venne stabilita la Real Colonia di S. Leucio, il Re Ferdinando di felice ricordanza, 
vide la necessità di corroarla di un’ospedale non solo per apprestare alla popolazione i mezzi 
delle cure gratuite, ma ancora per allontanare dal Real Sito il germe di qualunque malattia 
contagiosa, e specialmente delle tesicia, e delle febbri di maligno carattere. Questo saggio 
divisamento, nutrito per tanti anni, ebbe finalmente il suo effetto nell’anno 1822.
Convien premettere, che trovandosi disponibili nella Città di Caserta  i due Monasteri detti del 
Carmine, ossia di S. Antonio, e l’altro di SS. Minimi dell’Ordine di S. Francesco di Paola, 
comandò S.M. fin da’ 30 Settembre 1810, che si fossero presi a censo dal patrimonio Regolare, a 
cui appartenevano, per uso e servigio della Popolazione di S. Leucio.
Conosciutosi in seguito la necessità di riunire a queste fabbriche i rispettivi giardini, venne 
Sovranamente ordinato, che nella  cessazione istessa si fossero compresi i giardini medesii, 
stabilendosi per il locale e giardino di S. Antonio annui ducati cento ventitre, e per quello di S. 
Francesco di Paola annui ducati trantacinque, cioè ducati dieci per lo monistero e ducati 
venticinque pel giardino.
Di fatti nel dì 17 Maggio dell’anno 1820 per mano di Notar Pezzella  si  divenne al 
corrispondente istrumento di cessazione di cui inseriamo la copia nel volume delle cautele N.
Il locale di S. Antonio fu destinato per farci abitare individui della Popolazione di S. Leucio, i 
quali per l’angustia di quel fabricato non potevano ivi rimanere.
Ma essendosi in Caserta istabilita una Casa di Padri della Congregazione del Redentore (Padri 
Liguorini ?), fu ceduto ad essi il locale, coll’obbligo di dover pagare il canone, come dalla 
Sovrana Risoluzione del dì 17 Maggio 1824, di cui si osserverà la copia nel volime delle cautele 
fol.... ( e Decreto Regio del 30 luglio 1823 ?).
Il locale de’ Padri Paolotti, essendo stato giudicato opportunissimo per ospedale, spezialmente 
per l’amena e salubre situazione, venne a questo uso convertito esclusivamente per i Leuciani. 
Indi fu dotato di generoso equipaggio, e fu messo nello stato di accogliere gli infermi dell’uno e 
dell’altro sesso che potevano pervenire dalla popolazione di S. Leucio.
La desrizione topografica dio questo locale è la seguente.
Si entra per un androne con vano arcato colla serranda di legname di castagna formata a telaro, 
con le corrispondenti ferrature, il catenaccio, lucchetto a colpo e battello al portellino.
A dritta del vano arcato vi è un vano di porta, che dè l’ingresso ad un piccolo basso, ed in seguito 
si ha l’ingresso nel Chiostro, formato da corridojo intorno con pilastri di fabrica e vani arcati.
Nel primo corridojo di questo chiostro, dopo il vano arcato dell’androne verso settentrione a 
dritta, vi è un vano di porta, che immette in altro basso con varo arcato.
In seguito del medesimo,  rivolta il corridojo ad occidente, si ritrova la scala di fabrica, che 
impiana  nel piano superiore,  formata con tre tese, due ballatoi, e N. 30 scalini di puro d’astrico.
Dopo la scala in detto pianterreno vi è un altro vano di porta, che dà l’ingresso alla cantna, ed in 
seguito si ritrova l’antica cucina con scaletta di fabbrica, che impiana  similmente al piano 
superiore.
Dopo la cucina rivolta il corridojo a mezzogiorno, si ritrova altro vano di porta, che dà l’ingresso 
a due altri bassi, nel primo de’ quali vi è la porta che immette nel giardino.
In seguito di detto corridojo si ritrova altra porta con vano arcato, che dà l’ingresso al giardino, 
ed in seguito vi è la sagrestia.
Ed in fine a destra del primo corridojo descritto verso settentrione, si ritrova altro basso: quindi 
tutto il pianterreno è formato di cinque bassi, una cucina, e l’ingresso della cantina e sagrestia.
Il piano superiore poi viene composto ancora di tre corridoi,  uno verso settentrione, altro ad 
occidente ed il terzo a mezzogiorno.
Nel primo corridojo descritto vi sono sono numero cinque stanze, ed il coro della Chiesa; in 
seguito verso occidente vi sono numero sei stanze, ed un coretto; e sul lato in confine della 
Chiesa altre cinque stanze, che in unop sono stanze ventidue, un retret e due cori.
Fondiaria
Non si paga fondiaria, trovandosi questo locale non compreso nei ruoli passati a questa Reale 
Amministrazione.
Nell’art. 197 si fa menzione della Chiesa, sottoposta ad un imponibile di annui D. 2.60; ma evvi 
una nota, nella quale dicesi, che con Dispaccio del dì 22 Settembre 1821 ne fosse ordinato il 
disgravio.

Chiesa e Convento di San Francesco di Paola

La chiesa di San Francesco di Paola si trova nelle vicinanze della reggia di Caserta (precisamente nell'omonima via, al confine con Casagiove) ed è ritenuta a ragione il luogo di sepoltura dell'architetto Luigi Vanvitelli, progettista della famosa Reggia di Caserta. La chiesa e il convento furono fondati nel 1606 da parte dei Padri dell'ordine dei Minimi, grazie alla generosità del principe Andrea Matteo Acquaviva che concesse terreni e rendite. L'importanza del convento accrebbe in occasione della visita di Papa Benedetto XIII nell'anno 1729, quando il Pontefice soggiornò in quel luogo per due giorni. L'altro episodio che conferì notorietà al luogo in questione fu la sepoltura dell'insigne architetto nel 1773, ma solo nel 1879, grazie all'iniziativa del Presidente del Collegio degli Ingegneri, fu apposta una lapide che ricordasse l'evento. Dal 1813 al 1816 i locali del convento furono utilizzati come sede di Gendarmeria, nel 1821 Ferdinando I decise di utilizzarlo come ospedale per gli abitanti della vicina colonia di San Leucio, nel 1830 però il Re cedette completamente l'ospedale ai gendarmi. Nel 1835 quel luogo divenne sede dei Lancieri e di una fabbrica di scialli di lana, questa destinazione fu mantenuta sino al 1840. In quell'anno ci fu un nuovo ed ultimo riutilizzo, come Ospedale militare per conto del Ramo di Guerra.






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Real Casino di San Silvestro





La costruzione del Casino Reale di San Silvestro ebbe inizio negli anni novanta del Settecento 
e fu completata nel 1801, su disegni del Giovanni Patturelli, collaboratore di Francesco 
Collecini (1723-1804). Circondato da vigneti e giardini, il Casino si sviluppa intorno ad una 
corte rettangolare, priva del lato verso mezzogiorno. Comprendeva dodici vani al 
pianterreno, sei destinati alla cantina ed alla vinificazione e sei ad uso di stalle, pollai ed 
ambienti destinati alla produzione di latticini. Al primo piano tre sole stanze servivano per il 
“trattenimento” del re. La struttura ha subito nel corso del tempo diverse trasformazioni. Le 
sale destinate un tempo ad accogliere derrate alimentari, oggi ospitano il Centro di 
Educazione Ambientale Provinciale. L’ala est del piano terra che accoglieva, invece, 
l’abitazione del "vaccaro" e gli ambienti destinati alla lavorazione dei latticini, ospita un 
piccolo museo WWF ed il Centro Recupero Animali Selvatici.

Oasi WWF del Bosco di San Silvestro

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22 -Real Casino di San Silvestro






La costruzione del Casino Reale di San Silvestro ebbe inizio negli anni novanta del Settecento 
e fu completata nel 1801, su disegni del Giovanni Patturelli, collaboratore di Francesco 
Collecini (1723-1804). Circondato da vigneti e giardini, il Casino si sviluppa intorno ad una 
corte rettangolare, priva del lato verso mezzogiorno. Comprendeva dodici vani al 
pianterreno, sei destinati alla cantina ed alla vinificazione e sei ad uso di stalle, pollai ed 
ambienti destinati alla produzione di latticini. Al primo piano tre sole stanze servivano per il 
“trattenimento” del re.
La descrizione risalente al 1820 ..
In una amena collinetta, che forma parte di Montebriano e precisamente nel tenimento 
denominato Parito, evvi la fabbrica del Casinetto denominato di S. Silvestro. Questo fabbricato 
abbraccia tre lati di un rettangolo, e il quarto lato, che guarda a mezzogiorno è scoverto e sporge 
su i pensili giardini che gli sono annessi.
La sua posizione è veramente gaja per lo contrapposto de’ monti, che lo circondano e 
meritatamente è stato uno de’ siti prediletti del Re Ferdinando da lui destinato per semplice 
ricreazione.
Fu terminato al principio del secolo corrente. Tre sole stanze formano il piano superiore, una 
grande ad uso di galleria nel mezzo, che sorge sull’androne, e due picciole laterali, e tutto il 
resto del Casamento è formato del solo pianterreno diviso in dodici stanze tra grandi e piccole.
Sei di queste sono parte sulla dritta di chi entra nel portone oltre la scaletta per ascendere alle 
stanze superiori, ove’ un passaggio, la cucina Reale,  il Real Riposto, lo spazioso cellajo(?) 
fornito di calpestatojo di fabbrica per le uve, tinacci, torchio e sottoposta ampia cantina, stanza 
per riporre le derrate e stanza di trattenimento.
Altre sei poi si trovano alla sinistra di chi entra nello stesso portone, cioè stanza e cucina per 
abitazione del Vaccaro, altra simile per riporre e conservare i latticinj con corredo di fontana ad 
acqua perenne, stanza per manipolare il latte, e due stalle una contigua all’altra per tenere le 
vacche ed i vitelli.
La capienza di queste stalle è per quattordici animali.
Lungo il lato occidentale di questo Real fabbricato si sono costrutti parecchi piccoli locali, onde 
poter tenere majali, galline, legna ed altro.
Nella estremità di questo lato evvi una vasca, nella quale scorrono le copiose e saluberissime 
acque, che per mezzo di un lungo acquedotto vengono dalle sorgive dette di Giove e Fontanelle. 
Questa fontana serve alla Vaccheria, ai giardini ed a tutte le Reali delizie di S. Silvestro, e quindi 
le acque di avanzo vanno a percolare nell’acquedotto, che riconduce alla cascata le acque di 
Belvedere.
La struttura ha subito nel corso del tempo diverse trasformazioni. Le sale destinate un tempo 
ad accogliere derrate alimentari, oggi ospitano il Centro di Educazione Ambientale 
Provinciale. L’ala est del piano terra che accoglieva, invece, l’abitazione del "vaccaro" e gli 
ambienti destinati alla lavorazione dei latticini, ospita un piccolo museo WWF ed il Centro 
Recupero Animali Selvatici.


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 Nota






















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Nota n. 2

Il Codice  Leuciano  

Ferdinando I di  Borbone 

L’utopia di Ferdinando IV 

La fondazione del sito reale di Caserta (1752) si deve a Carlo III, re di Napoli dal 
1734, che acquista il contado dal conte Caetani e affida a Luigi Vanvitelli il progetto e la 
realizzazione del vasto complesso: dimora reale e sue adiacenze. Chiamato a reggere il trono di 
Spagna nel 1759, lascia al figlio Ferdinando IV, che gli succede, il compito di portare a termine 
l’opera, ancora in fase di costruzione. Nei reali domini è compresa l’area in cui sorge il casino 
del Belvedere, un tempo dei principi di Caserta, e così denominato per la sua amena posizione: a 
mezzogiorno, alle falde della collina di San Leucio, con vista dall’alto del palazzo reale. Al 
nuovo sovrano, che completa ‘diligentemente’ la reggia voluta dal padre, si deve interamente 
l’ideazione e la creazione della Colonia di San Leucio. Qui dispone, a cominciare dal 1776, della 
manifattura delle sete, delle strutture destinate a accogliere l’industria e i residenti; nel 1789 
detta le leggi che regolano la vita e il lavoro degli operai e dei loro nuclei familiari. Il re 
progetta, in aggiunta, di costruire a sud del casino del Belvedere, fuori dal recinto di San Leucio, 
una nuova città, Ferdinandopoli, ma le vicende della Rivoluzione napoletana del 1799 faranno 
del tutto svanire il progetto.

«Un luogo ameno e separato dal rumore della Corte» «Le delizie di Caserta e la magnifica abitazione» creata dal padre – sostiene Ferdinando – non consentono la meditazione e il riposo e costringono, ancorché in mezzo alla campagna, agli stessi rituali cittadini di lusso e magnificenza. Nasce da un’esigenza di solitudine e di svago – la caccia – la scelta del rifugio nel bosco di San Leucio, con una prima aggregazione di abitanti, al servizio del re, che costruisce il casino, dove risiede d’inverno e abbellisce e ristruttura la tenuta. Quando, morto il figlio primogenito, il re decide di non abitare più in quel sito, i ‘leuciani’ sono ormai 134 e, ove abbandonati, soprattutto ipiù giovani, sono destinati alla disoccupazione e a diventare, privi di educazione, «scostumati e malviventi». Ver l’utile dello stato e delle famiglie, l’illuminato sovrano ‘escogita’ la manifattura delle sete, e detta le regole della comunità, che provvede di case, scuole, parrocchia e sacerdoti: diritti e doveri, modalità di assunzione per gli abitanti e «per gli artisti esteri», pene contro itrasgressori, orario.
Non essendo certamente l’ultimo de’ miei desiderj quello di ritrovare un luogo ameno, e separato dal rumore della Corte, in cui avessi potuto impiegare con profitto quelle poche ore di ozio, che mi concedono da volta in volta le cure più serie del mio Stato; le delizie di Caserta, e la magnifica abitazione incominciata dal mio augusto Padre, e proseguita da Me, non traevano seco coli’allontanamento dalla Città anch’il silenzio, e la solitudine, atta alla meditazione ed al riposo dello spirito; ma formavano un’altra Città in mezzo alla Campagna, colle istesse idee del lusso, e della magnificenza della Capitale. Pensai dunque nella Villa medesima di scegliere un luogo più separato, che fosse quasi un romitorio, e trovai il più opportuno essere il sito di S. Leucio. Avendo pertanto nell’anno 1773 fatto murare il Bosco, nel recinto del quale eravi la vigna, e l’antico Casino de’ Principi di Caserta, chiamato di Belvedere; in un’eminenza feci fabbricare un piccolissimo Casino per mio comodo nel Tandarvi a caccia. Feci anche accomodare un’antica, e mezzo diruta Casetta, ed altra nuova costruire. Vi posi cinque, o sei Individui per la custodia del Bosco, e per aver cura del sopradetto Casinetto, delle vigne, piantagioni, e territorj in esso recinto incorporati. Tutti questi tali colle loro famiglie furon da Me situati nelle sopradette due Casette, e nell’antico Casino di Belvedere, che fec’indi riattare. Nell’anno 1776 il Salone di detto antico Casino fu ridotto a Chiesa, eretta in Parrocchia per quegli Abitanti accresciuti al numero di altre famiglie dicciassette, per cui mi convenne ampliare le abitazioni, come feci anche della mia.
Ampliato che fu il Casino, incominciai ad andarci ad abitare, e passarci l’Inverno: ma avendo avuto la disgrazia di perdere il mio Primogenito, e per questa cagione più non andandoci ad abitare, stimai di quell’abitazione farne altro più utile uso. Gli Abitanti sopracitati, con altre quattordici famiglie aggregateci, giunti essendo al nume¬ro di 134, attesa la favorevole prolificazione prodotta dalla bontà dell’aria, e dalla tranquillità e pace domestica, in cui viveano; e temendo, che tanti fanciulli e fanciulle, che aumentavansi alla giornata, per mancanza di educazione non divenissero un giorno, e formassero una pericolosa società di scostumati, e malviventi, pensai di stabilire una Casa di educazione pe’ figliuoli dell’uno, e dell’altro sesso, servendomi, per collocarveli, del mio Casino; ed incominciai a formarne le regole, ed a ricercar de’ soggetti abili ed idonei per tutti gl’impieghi a tal’uopo necessarj.
Dopo di aver messo quasi tutto all’ordine, riflettei, che tutte le pene, che mi sarei dato, e tutte le spese, che vi avrei erogato, sarebbero state inutili; poiché tutta questa gioventù benché ben educata, giunt’ad un’età tale d’aver terminati tutti quegli studj alla di lor condizione adattati, sarebbe rimasta senza far nulla; o almeno applicar volendosi a qualche mestiere, avrebbe dovut’altrove portarsi, per ricercarsi sostentamento; non essendomi possibile di situarne, che pochi al mio servizio nel luogo. Ed in quel caso, come sommamente sensibile sarebbe stato alle rispettive famiglie il separarsene; così anch’Io provato avrei una gran pena di vedermi privato di tanta bella gioventù, che come miei propri figli avea riguardato sempre, ed aveva con tanta pena cresciuti. Rivolsi dunque altrove le mie mire, e pensai di ridurre quella Popolazione, che sempre più aumenta, utile allo Stato, utile alle famiglie, ed utile finalmente ad ogn’individuo di esse in particolare: e rendendo in tal maniera felici e contenti tanti poveretti, che per altro fin’ al giorno di oggi essendo vivuti nel santo timore di Dio, ed in ottima armonia e quiete fra di essi, non mi hanno dato menomo motivo di lagnamene, godere Io di questa soddisfazione in mezzo di essi, e delle loro benedizioni, in que’ momenti, che le altre mie cure più interessanti mi permettono di prendere qualche sollievo. Utile allo Stato, introducendo una manifatturia di sete grezze, e lavorate di diverse specie fin ora qui poco, o malamente conosciute, procurando di ridurl’alla miglior perfezione possibile, e tale da poter col tempo servir di modello ad altre più grandi.
Utile alle famiglie, alleviandole da’ pesi, che ora soffrono, e portandole ad uno stato da potersi mantener con agio, e senza pianger miserie, come fin ora è accaduto in molte delle più numerose ed oziose, togliendosi loro ogni motivo di lusso coli’uguaglianza, e semplicità di vestire; e dandosi a’ loro figli fin dalla fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi, e per tutta la famiglia, del pane, da potersi mantenere con comodo, e polizia.
Utile finalmente ad ogn’individuo in particolare, perché dalla nascita ben educati da’ loro Genitori; istruiti in appresso nelle Scuole normali, già da qualche tempo con profitto introdotte; ed in ultimo animati al travaglio dall’esempio de’ loro compagni e fratelli, e dal lecco del lucro, che quelli ne percepiscono, si ci avvezzeranno, e talmente si ci affezione-ranno, che fuggiranno l’ozio padre di tutti i vizj, da’ quali infallibilmente ne sarebbero nati mille sconcerti, lasciando inoperosa tanta gioventù, che ora siam sicuri di evitare, perché giunti di mano in mano questi bravi, e belli giovinetti, e fanciulle all’età adulta e propria, venendosi ad accoppiare, aumenterà sempre più questa sana, e robusta Popolazione, composta al giorno di oggi di 214 individui. Oltre i Padri, e le Madri di famiglia, che travagliano, sono già impiegati nelle manifatture molti figliuoli dell’uno, e dell’altro sesso, ed in una famiglia, che ne ha alcuni grandi, bastantemente buoni artefici, il loro lucro giornale va da 10 a 12 carlini.
Ora si è ingrandita la Casa di Belvedere per riunirvi tutto il lavorio, e le manifatture, ch’erano disperse nelle diverse abitazioni, e per fare, che tutta quella Gioventù sia riunita
sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco, e degli altri non men degni Sacerdoti, che c’invigilano. Si stanno anch’edificando delle nuove Case per comodo di que’ giovani, che vadano giungendo all’età di potersi unire in matrimonio, e per quegli Artefici forestieri, che si fissino nel luogo. Di questi ve ne sono alcuni fissati, ed altri, che fanno il noviziato, non essendo che poco tempo, che son venuti.
Lo stato presente delle cose giunto essendo ad un tal termine, ed avendosi riguardo all’avvenire, sembrami richiedere, che questa nascente Popolazione, che in pochi anni può divenire ben numerosa, riceva una norma, per sapere i retti sentieri, su de’ quali possa diriggere i suoi passi con sicurezza; e nel tempo stesso sia in istato di conoscere la sua felice situazione; e questa da qual fonte derivi. Questa norma, e queste leggi da osservarsi dagli Abitanti j di S. Leucio, che da ora innanzi considerar si debbono, come una medesima famiglia, son quelle, che Io qui propongo, e distendo, più in forma d’istruzione di un Padre a’ auoi Figli, che come comandi di un Legislatore a’ suoi Sudditi. Procurerò, che siano ristrette, ed adattate, per quanto più si può, allo stato presente, ed alle attuali circostanze di questa piccola nascente Popolazione, per cui son fatte. Se questa, crescendo, avrà bisogno di nuovi regolamenti, o se l’esperienza ne indicherà degli altri non preveduti, e necessari, mi riserbo di darli; cercando per altro di non allontanarmi da’ principi fondamentali della presente istruzione.
Nessun uomo, nessuna famiglia, nessuna Città, nessun Regno può sussistere, e prosperare senza il timor santo di Dio. Dunque la principal cosa, ch’Io impongo a Voi, è l’esatta osservanza della sua santissima Legge. Due sono i principali precetti della medesima. I. Amar Dio sopra ogni cosa. IL Amar il Prossimo suo, come se medesimo.
Amar Dio sopra ogni cosa è amarlo con tutt’il cuore, con tutta la mente, con tutta l’anima, con tutte le forze: è anteporlo a tutte le Creature; ed amarlo più di tutte le cose a noi più care. Nasce in Noi quest’obbligo dal gran bene, che ci ha fatto, e che ci fa in ogni istante. Egli ci ha creati dal nulla. Egli ci ha redenti col suo preziosissimo Sangue. Egli ci mantiene. Egli ci da quanto ci occorre. L’aria, il cibo, la luce, la salute, i figli, tutto ci vien da Lui. Obbligo dunque di tutti è adorarlo, e venerarlo, com’Ente supremo, ed autor di tutte le cose: di ubbidirlo, come Sovrano Signore, e Padrone: di temerlo come Giudice giusto, a cui nulla è nascosto: di ricorrere a lui ne’ bisogni, e di esercitar verso di Lui gli atti di vero culto, e vera devozione. Tutte le mattine perciò al far del giorno corra ciascuno al Tempio ad odorarlo: Si reciti in coro la preghiera; ed ogn’uno in particolare gli offra in olocausto nel S. Sacrifizio della Messa, che ivi si celebrerà, tutti gli atti del suo cuore e della sua mente. Pass’indi alla fabbrica, od in casa; ed attenda nel suo Santo Nome al proprio dovere. Le sere, al tramontar del sole, quando tutti saranno sciolti dal lavoro, si tomi nuovamente in Chiesa alla visita del SS. Sacramento, ed a Lui si rendan tributi di onore, e di gloria pe’ benefizi ricevuti, recitandosi anche in coro l’altra preghiera. Osservi ciascuno i precetti della Chiesa: e frequenti i Santissimi Sacramenti; ed a quest’effetto il Parroco, e gli altri Sacerdoti assistano con assiduita in Chiesa per como¬do di tutti, particolarmente ne’ dì festivi. Amar il Prossimo suo, come se medesimo, è non far agli altri quello, che non vorremmo, che fosse a Noi fatto: ed è fare agli altri, quello che vorremmo, che a Noi si facesse. Da questo dettato della Divina Sapienza nascon varj doveri, de’ quali alcuni diconsi negativi, altri positivi.

Capitolo I
Doveri negativi
I Doveri negativi son quelli, che impongono l’obbligo di astenersi dall’offender alcuno in qualunque maniera. Or in tre maniere si può offendere alcuno. Si può offendere nella persona, nella roba, e nell’onore.
I. Non si può offendere alcuno nella persona.
Si offende alcuno nella Persona o coll’ammazzarlo, o col ferirlo, o col batterlo, o col fargli scherni, dispetti, insolenze, ovvero col molestarlo ed inquietarlo in qualunque modo. Nessuno di questi atti ardirà mai alcun di voi di commettere contra il suo simile; siccome non ardirà mai neppur l’offeso di prender da sé la privata vendetta: ma ricorrerà a’ suoi Superiori per la dovuta giustizia; e credendo non averla da quelli ottenuta, potrà anche di poi venire da Me. Vegliano contri tutti questi delitti attentamente le Leggi: ma tanto più vegleranno esse contra quelli, che mai si commettessero in questa Società, che ha per suo principal fine l’amore, e la carità, e che l’esempio dev’essere della pubblica educazione.
II. Non si può offendere alcuno nella roba.
Si offende alcuno nella roba, ogni qualvolta o con violenze, o con inganno si usurpa, o si ritiene ingiustamente quello, ch’è d’altrui. Il titol di ladro è il titol più infame e vergognoso che poss’aver l’uomo. Ciascuno dunque si guardi bene di meritarlo per alcun modo. In ogni Società i ladri son condannati ad atrocissime pene. In questa, dove l’onore, e la virtù sono i principali cardini della medesima, se mai ve ne fossero (che non è neppur da dubitarsi) saranno più rigorosamente puniti. Nelle compre perciò, nelle vendite, nelle permutazioni, ed in ogni altra specie di contratti ogn’uno si guardi di usar soperchieria, ed inganno. Nessun venditore abusi dell’imperizia del compratore col chiedere un prezzo maggiore del dovere: e nessun compratore si valga mai dell’ignoranza, o della necessità, in cui è tal volta il venditore, per levargli quel giusto prezzo, che gli spetta. Vadan bandite la mensogna, le frodi, e le fallacie nelle misure, ne pesi, nella qualità delle robe, che si venderanno, o compreranno, nella qualità del danaro, ed in tutt’altro, in cui la versuzia, e l’inganno possa usarsi; e si proceda in tutto con candore, onestà, e buona fede. Sia la parola il vincolo più sacro della Società; e tutti sian fedelissimi, e sinceri ne’ detti, e ne’ fatti. Chi ha fedelmente servito, sia prontamente pagato; né alcuno gli neghi o ritardi la mercede dovuta a ciò non sia causa della sua mina. In somma erigga ogn’uno nel suo cuore l’altare della giustizia; e tratti col suo simile, come vorrebbe, che questi trattasse con sé.
III Non si può offendere alcuno nella riputazione.
La riputazione è la cosa più importante e più preziosa, che possa aver l’uomo d’onore; e talvolta togliere altrui la riputazione è peggior delitto, che offenderlo nella roba, e nella persona. Nessun quindi dirà mai cose false contra di alcuno; e chi caderà in questo delitto, vada immediatamente bandito da questa Società. Nessuno dirà ingiurie, e villanie ad altri. Nessuno metterà in ridicolo, ed in beffa il suo fratello; essendo tutte queste cose contrarie a quello spirito di carità, e di amore che Dio comanda, e che Io voglio, per ben della pace, del buon ordine, e della tranquillità delle vostre famiglie, da voi esattamente praticato.
Capitolo II Doveri positivi
I Doveri positivi impongono di fare a tutt’il maggior bene che si possa. Questi sono o generali, o particolari. I generali riflettono sopra tutt’i nostri simili. I particolari riguardano un Ceto particolare di persone, come sarebbe il Sovrano, i suoi Ministri, i Superiori, gli Ecclesiastici, gli Sposi, i Genitori, i Figli, i Fratelli, i Benefattori, i Maggiori di età, i Giovini e la Patria.
Doveri generali
I. Ogn’uno deve far bene al suo simile, ancorché sia suo nemico.
A ciascun de’ i nostri simili Noi dobbiam far sempre il maggior bene, che si possa. Dio comanda, che si faccia per amor suo finanche a’ nimici. La più bella vendetta è quella di far bene a colui, che ci offese; ed il più bel piacere è quello di imperare per mezzo delle beneficenze sopra colui, che ci disprezzò. Soccorrerlo nelle avversità, ed aiutarlo ne’ bisogni è mostrare a tutti gli uomini la più sublime grandezza di cuore e di generosità. Ogni uomo in tutti gli stati può far del bene al suo simile. Il Savio, il Ricco, l’Agricoltore, l’Artista, quando impiegano i loro talenti, le loro ricchezze, le loro fatiche a prò’ de’ Cittadini, possono ben vantarsi di essere i Benefattori dell’Umanità. Ogni volta dunque, che si presenti a voi l’occasion di giovare ad altri, ciascuno l’abbracci; né mai si spaventi di qualche incomodo che seco porti questa generosa azione; poiché sarà sempre ben compensato da quel dolce e puro piacere, che l’accompagna. Questo sovrano precetto di Dio è fondato sopra quella perfetta uguaglianza, che gli piacque stabilire fra gli uomini. Egli li costituì in natura tutti fratelli, e dispose, che nessuno imperasse sopra di loro, fuor di Lui, o di Coloro, a’ quali egli affidasse il governo ‘de’ Popoli. Per sua mercé Egli ha dato a Me il grave peso di governare questi Regni: ed Io nel dar a voi questa legge non intendo far altro, che seguire i suoi eterni consigli. Sin da prima, che Io concepii il bel disegno di unirvi in società in questo luogo, pensai ancora, di crearvi tutti Artieri, e darvi la maniera di divenirne famosi. La felicità di questi Reami mi fece concepir questa idea. Vedendo, che i tre Regni della Natura, cioè il vegetabile, l’animale, ed il minerale qui per singoiar dono della Provvidenza tengono la propria lor sede, e che solo manca in essi, chi a’ naturali prodotti de’ luoghi dia le nuove forme, mi risolsi nell’animo di pome ad effetto l’intrapresa. Già son pronte in buona parte le macchine, e gli ordigni corrispondenti al disegno. Solo resta, che per voi ci sia una fissa legislazione, che suggerisca la norma della condotta della vita, e che prescriva gli stabilimenti necessari all’arti introdotte e da introdursi.
Il- II solo merito forma distinzione tra gl’Individui di San- Leucio. Perfetta uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso.
Essendo voi tutti Artisti, la legge che Io vi impongo, è quella di una perfetta uguaglianza. So, che ogni uomo è portato a distinguersi dagli altri; e che questa uguaglianza sembra non potersi sperare in tempi così contrari alla semplicità ed alla natura. Ma so pure, che vana e dannevol’è quella distinzione, che procede dal lusso, e dal fasto; e che la vera distinzione sia quella, che deriva dal merito. La virtù, e l’eccellenza nell’arte, che si esercita, debbon essere la caratteristica dell’onore, e della singolarità; e questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. Nessun di voi pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrasegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto per evitar la gara nel lusso, e ‘1 dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando, che ‘1 vestire sia uguale in tutti: che estrema sia la nettezza, e la polizia sopra le vostre persone, acciò possa aversi quella decenza, che si richiede per rispetto, e venerazione dovuta a Chi si degna portarsi a vedere i vostri lavori: che questa polizia sia anche esattamente osservata nelle vostre case, acciò possa godersi & quella perfetta sanità, ch’è tanto necessaria nelle persone, che vivono con l’industria delle braccia. Di voi nessuno ancora ardirà mai chiamarsi col Don, essendo questo un distintivo dovuto soltanto a’ Ministri del Santuario in segno di rispetto, e di venerazione.
Doveri particolari I. Doveri verso il Sovrano.
Dopo Dio devesi a’ Sovrani, come dati agli uomini da Dio, la riverenza, la fedeltà, l’ossequio. Le funzioni sublimi, ch’essi esercitano, gli fan dividere colla Divinità questa venerazione. La loro persona dee rispettarsi, come sacra; e tutti gli ordini, che vengon da loro, debbon ciecamente eseguirsi e prontamente osservarsi.
II Doveri verso i Ministri.
Sono i Ministri tutt’imagini de’ Sovrani. Ogni posto, che da essi si occupa, si occupa per loro. Per Loro essi comandano; per Loro vegliano alla custodia, ed all’osservanza delle leggi. Per amor di Loro voi dunque dovete ad essi tutti quegli atti di rispetto, e di ubbidienza, che l’autorità pubblica esige.
III. De’ Matrimoni.
La donna fu concessa da Dio all’uomo per sua ragionevol compagna. Dall’unione di entrambi nacque la propagazione, e conservazione dell’uman genere; e dalla moltiplicazione de’ matrimoni ebbero origine, e tuttavia fiorisco¬no le Società, e gl’Imperi. Perché dunque anche questa Popolazione prosperi, ed aumenti sotto la benedizione dell’Altissimo, vi voglion de’ matrimoni, la celebrazione de’ quali per voi Io sottopongo alle seguenti leggi. I. L’età del giovane non dovrà esser meno di 20 anni; e quella della fanciulla di 16. Ed in queste circostanze né anche sia loro permesso di contrarre gli sponsali, fino che dal Direttore de’ Mestieri per lo giovane, e dalla Direttrice per la fanciulla, non vengano con attestato dichiarati provetti nell’arte, a segno di potersi lucrar con sicurezza il mantenimento; ed allora in premio della lor buona riuscita si concederà da Me ad esse una delle nuove case, che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario pe’ comodi della vita, e i due mestieri, co quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento. Quando un giovine giunto all’età stabilita, avrà inclinazione per una giovane, che sia anche dell’età prescritta ed abbiamo ambedue appreso le rispettive arti, dovrà subito dame parte a’ suoi genitori, i quali n’avvertiranno quelli dell’altra parte per loro intelligenza, e perché di comun consenso badino sulla condotta de’ figliuoli, a ciò tutto vada con decenza, ed acciocché non accada inconveniente alcuno; potendo ben dars’il caso, che su di una medesima persone più di uno pretenda. III. Nella scelta non si mischino punto i Genitori, ma sia libera de’ giovini, da confermarsi nella seguente maniera, Nel giorno di Pentecoste nella Messa solenne, in cui interverranno tutti gli abitanti del Luogo, e le fanciulle, edì giovini esteri, che travagliano nelle manifatture, da due fanciullini dell’uno, e dell’altro sesso si porteranno all’Altare per benedirsi da chi celebra, due canestri pieni di mazzetti di rose, bianche, per gli uomini, e di colo; naturale per le donne; e nel terminar questa funzione à ciascun individuo se ne prenderà uno, come le palme Nell’uscir poi dalla Chiesa, i Pretendenti nell’atrio di essi dov’è il Battisterio, presenteranno il loro mazzetto é ragazza pretesa; e questa accettandolo, lo contracambiei’ col suo; ma escludendolo, con polizia, e buona maniera lido restituirà; e né all’uno, né all’altra sarà permesso contestazione alcuna; e perciò i primi ad uscir di Chiesa, e situarsi nel sopradetto atrio saranno i Seniori del Popolo per imporre loro la dovuta soggezione. Coloro, che contra-cambiato si saranno il mazzetto, lo porteranno.in petto sino alla sera; quando dopo della S. Benedizione accompagnati da’ rispettivi Genitori si porteranno dal Parroco, che registrerà i nomi, e la parola. Dopo questa funzione sarà permesso farsi quant’altro incumbe a norma del Concilio di Trento, e di ogni altro requisito della legge, in Chiesa, in cui interverranno i Seniori del Popolo, e i Direttori, e le Direttrici dell’arti, non solo per solennizzare con quella pompa, che si richiede, questo gran Sacramento, ma per contestare agli Abitanti, che gli Sposi meritano la stima di tutti per la bontà del loro costume, e per essersi coU’arte, che già hann’appresa, resi utili a loro, alle famiglie, allo Stato, e che per tutt’il tempo deUa loro vita non vivranno mai a peso di alcuno.
IV. Essendo lo scopo di questa Società che tutti rimangon nel luogo; quindi per impegnarli a restare, alle figliuole,
ch’abbian imparata l’arte, e voglion maritarsi fuori, non sarà dato altro, che soli docati 50 per una volta tantum e dal momento saran considerate com’estere, senza speranza di mai più potervi tornare.
V. Quando un giovine abitante, o artefice vorrà prender in moglie una estera, non potrà farlo, se prima tal giovane che egli vuoi sposare, non abbia appreso il mestiere in questa, o in altra manifatturia.
VI. E se assolutamente voglia prender in moglie una estera, che non abbia arte in mano, dal momento uscir debba dal luogo, di dove non sarà più considerato come Individuo, e senza speranza di potervi più ritornare.
VII. Que’ giovini dell’uno, e dell’altro sesso, che giunti sieno all’età di 16 anni senza essers’impiegati nelle manifatture per mancanza di volontà, saranno mandati in Casa di correzione, col divieto di non poter mai più tornare nel luogo.
E coloro, che impiegaticisi non abbian nulla appreso per mancanza di applicazione, saranno mandati in Casa di educazione, col divieto di non poter tornare nelle lot
case, se non istrutti.
VIII. Essendo lo spirito, e l’anima di questa Società l’eguaglianza tra gl’Individui, che la compongono, abolisco tra’ medesimi le Doti, e dichiaro, che ciocché da Me sarà per beneficenza somministrato, come di sopra si è detto, in occasione di matrimoni, sarà solo per premio della buona riuscita, che gli sposi avranno fatta nell’arte, e nel buon costume: beneficenza, che a loro accorderò col divino aiuto sino alla quarta generazione, dopo di che la donna porterà il solo necessario corredo; dovendo aver dopo la morte de’ Genitori, la parte eguale co’ maschi, com’in appresso sarà prescritto.
IV. Degli Sposi.
Capo di questa Società coniugale è l’uomo. Natura gli deferì questo dritto: ma gli proibì nel tempo stesso di opprimere e di maltrattare la sua moglie. Con tuono di maestà in ogni occasione gl’intima l’obbligo di amarla, di difenderla, e di garantirla da’ pericoli, a’ quali la sua debolezza la porterebbe. Il marito deve alla moglie la protezione, la vigilanza, la previdenza, gli alimenti, e le fatiche più penose della vita. La moglie deve al marito la giusta preferenza, la tenera amicizia e la cura sollecita per cimentare da più in più la cara unione. Impone ad essi natura questi sacri precetti non solo per ispirare sul di loro esempio ad ogni altro Individuo i sentimenti della Società, ma perché divenendo Genitori, non sien i figli infelici, e negletti tra le dissenzioni, e le discordie domestiche; ed in luogo di presentare Cittadini buoni, ed utili alla Patra, gli dian discoli, e perversi. Or per seguire questo gran disegno della natura, sempre savia nelle sue operazioni. Io prescrivo, e comando ad ogni marito di questa Società di non tiranneggiar mai la sua moglie, né di esser-e ln8iusto, togliendole quella ricompensa che sia dovuta alla di lei virtù: ad ogni moglie, che rendasi cara al suo marito; che nelle cure, e ne’ travagli sia la sua fedele com pagna; e che l’onore richiami sul comun letto maritale le celesti benedizioni.
V. De’ Padri di Famiglia.
È il principal fine del matrimonio la procreazione della Prole. Divenuti gli sposi Genitori de’ figli, eccoli sottoposti ad altri più pesanti doveri, ed a più precise obbligazioni. Il Padre è nelTobbligo di sovvenire, di assistere, di sostenere insiem colla madre i propri figli. Entrambi son tenuti di educarli, e di procurar loro uno stato di felicità in questo Mondo. Per le loro o della loro compiacenza e contentezza, o del loro continuo rammarico. Per le loro o sollecite o trascurate cure diverrann’essi l’oggetto o della loro compiacenza e contentezza, o del loro continuo rammarico. Per loro saranno membri utili, o disutili della Società; buoni, o viziosi; onorati, o infami; comodi, o bisognosi. A voi dunque, che già Padri siete, o a cui toccherà in sorte di esserlo, a voi comando di educar bene i vostri figliuoli. Se voi ispirerete a tempo l’amor della fatica, essi saranno utili a se, a voi, alla Patria. Se la modestia, e la sobrietà, non avrann’occasione di vergognarsi. Se la gratitudine e la carità, otterranno benefìzi, e si guadagneranno l’amore di tutti Se la temperanza, e la prudenza, saranno sani, e fortunati. Se la giustizia e la sincerità, sarann’onorati, e non sentiranno rimorsi nel cuore. Se finalmente la religione, essi vivranno, e moriranno contenti. Questo è di tutt’i doveri l’articolo più importante; e perché scorgo che da esso deriva non solo la pace, e 1 ben essere delle famiglie, ma benanche la prosperità, e la felicità dello Stato, Io sono entrato a prendervi la principal parte.
VI. Leggi per la buona educazione de’ Figli. Già è situata in Belvedere la Scuola normale, in cui s’insegna a’ fanciulli, ed alle fanciulle sin dall’età di anni 6 il leggere, lo scrivere, l’abbaco; il catechismo della Religione; i doveri verso Dio, verso sé, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato; le regole della civiltà, della decenza, e della polizia; i catechismi di tutte le arti; 1 economia domestica; il buon uso del tempo, e quant’al-tro si “chiede per divenir uom dabbene, ed ottimo Cittadino. Obbligo vostro sarà che tutt’i vostri figli dell’età prescritta vadan nelle date ore del giorno alla scuola Per renderli ancora utili a voi, allo Stato, e ad esso loro e per non farli andare altrove a cercar la maniera d’impiegarsi, ho provveduto questo luogo di macchine, d’istrumenti, e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette manifatture e vi s’introdurranno ancora tutte quelle altre arti, che hann’immediato rapporto coll’introdotte, ad oggetto di aversi quell’insieme, che indispensabilmente vi si richiede per l’economia e per la perfezione. Vi saranno stabilimenti particolari pel buon ordine, e sistema delle manifatture, ne’ quali sarà fissato l’orario del lavoro secondo i dati mesi dell’anno. I prezzi del lavoro d’ogni manifattura saranno fissi; ma il giovine, o la fanciulla apprendente salirà per gradi, e come anderà perfezionandosi nell’arte, sino al prezzo, che godesi da’ migliori artisti, nazionali e forestieri. Pervenuti a questo stato, se avran talento da portare la di loro opera ad un altro grado di maggior bellezza, e perfezione, si terran de concorsi; e quello, o quella, di cui il lavoro sarà più bello, più esatto, e più perfetto, avrà per premio il distintivo o una medaglia d’argento, ed in qualche caso anche d’oro, che potrà portare in petto; ed in Chiesa avrà la privativa di sedere per ordine di anzianità nel Banco, che sarà chiamato «del merito», che sarà situato unicamente per i giovani di tal fatta alla parte sinistra dell’Altare. Le cognizioni perfette della Divinità, la scienza di tutte le sociali virtù, l’amore e la continua applicazione al lavoro, il desiderio di distinguersi per via di merito, il giusto compenso che troveranno nella fatica, mi fanno sperare, che un giorno possan divenire gli oggetti della mia compiacenza, come della vostra tenerezza; e possan giustamente ereditare da voi tutto quello, che voi colli vostri sudori vi avete onoratamente procacciato. Ed in questo ancora voglio, che siate distinti da tutto il resto de’ miei popoli.
VII. Leggi di successione.
Voglio, e comando, che tra voi non vi sian testamenti, né veruna di quelle legali conseguenze, che da essi provengono. La sola giustizia naturale, e la natural’equità sia la face, e la guida di tutte le vostre operazioni. I figli succedano a’ Genitori, e i Genitori a’ Figli. Abbian luogo i collaterali, ma nel solo primo grado. In mancanza di questi succede la moglie, ma nel solo usufrutto, e fino a che manterrà la vedovanza. Dopo la di lei morte, e sempre nel caso di mancanza di tutti li sopradetti eredi, sian i beni del defunto del Monte degli orfani, delle cui rendite si forma una Cassa, che chiamerassi degli Orfani da amministrarsi per ora dal Parroco, che sarà obbligato di dame a Me conto.
Se poi mancan degli orfani di padre, e di madre, i quali non sien ancora in istato di lucrarsi colle proprie fatiche il cotidiano alimento, mia sarà la cura di mantenerli e farli educare col prodotto della sopradetta Cassa, e col di più, che vi necessiti.
Abbian i figli porzion eguale nella successione degli ascendenti; né mai resti escluso la femina dalla paterna eredità, ancorché vi sian de’ maschi.
VIII. De’ figli di famiglia.
Impressi dall’Altissimo fin da’ primi momenti della creazione ne’ cuori de’ Genitori i sentimenti di sì sviscerato amore verso de’ figli, era senz’altro della sua Divina giustizia prescriverne a’ medesimi il gran precetto di onorarli Tante pene, tanti sudori, tanti affanni meritavano certamente un onorato compenso. Io che le veci di Dio sopra di voi sostengo, sull’esempio del suo tremendo comando, l’istesso precetto a voi rinnovo. Rispettate, o figli, i vostri genitori: ricevete con umiltà i loro avvisi, e le loro correzioni soffrite volentieri anche i castighi: ed emendazione de’ vostri vizj, e de’ vostri difetti: serviteli: soccorreteli: compiaceteli in ogni cosa: siate loro grati, e non dimenticate neppur un momento i benefizj ricevuti: e soprattutto astenetevi da ogni atto, che possa offenderli.
Questo il gran Dio vi precetta, e questo anch’Io comando. E se Dio maledice que’ figli, che sono irrispettosi a’ padri, Io li bandisco per sempre da questa Società, come mostri indegni di più stare nella medesima. Anzi perché in essa non alligni razza di gente così inumana, condanno ali istessa pena colui, che essendo stato presente l’ingiuria, non sia corso immediatamente a darne parte a’ Seniori del Popolo, per passarne a Me prontamente l’avviso.
IX. De’ Fratelli.
L’amore è l’anima di questa Società. Dunque, voi, o fratelli, figli di un istesso padre, e che il latte succhiaste di una madre istessa, amatevi con vero amore; aiutatevi scambievolmente con vera premura: vivete fra di voi in perfetta concordia; nessuno abbia invidia dell’altro, e soffochi all’istante nel suo cuore que’ sentimenti di odio, e di vendetta, che mai concepito abbia per qualche torto dall’altro ricevuto. L’offeso reclami l’autorità del padre, se vive, ed alle determinazioni di questi placidamente si sottometta, e si accheti. In mancanza poi del padre corra a’ Seniori del Popolo, e la pace da loro implori. L’odio tra’ fratelli è la più brutta, la più perfida, la più idegna, e scandalosa cosa, che possa vedersi sulla Terra.
X. De’ discepoli.
1 Maestri equivalgono a’ Genitori. Se i Genitori danno la vita, i Maestri danno la maniera di sostenerla. Quegli obblighi dunque, che i figli hanno a’ Genitori, quelli stessi i discepoli hanno a’ Maestri. Ad essi debbono l’amore, e a gratitudine: ad essi l’ubbidienza, ed il rispetto. La pratica per tanto di tutti questi doveri alla grata riconoscenza di tutte le loro cure Io anche a voi costantementmpongo.
XI. De’ Benefattori.
Se v’ha sulla Terra creatura, che possa in un ito modo gareggiare colla Divinità, egli è senz’altro il hefattore. Deve a questo il beneficato il prezzo del keficio in tutta la sua estensione.
Se, per esempio, un infelice vicino a perder liita per la fame, trova un’anima benefica, che lo ristorigli deve al Benefattore la vita: se lo soccorre ad uscire le miserie, a lui deve tutto quel comodo, che acquista: si> porta ad esserre felice, a lui deve tutta la felicità. Gli dlighi dunque de’ beneficati sono sempre assoluti: a nio di essi è lecito sconoscerlo senza la taccia d’ingrato.! ingratitudine è un vizio così odioso, e detestabile, cheivolta tutta l’umanità. Ogni uomo ha interesse ad odii l’ingrato, perché riconosce in lui uno, che tende a scoiggiar l’anime benefiche, a bandir dal commercio delirila la compassione, la bontà, la liberalità, e quel santtlesiderio di giovare, che forma il modo più sacro della Sietà. Voi dunque, quanti siete in questa Società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfate a tutt’i suoi desiderj: non l’inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui motivi di spandere sempre più sopra di voi le sue beneficenze, e di estenderle sul vostro esempio sopra degli altri.
XII. De’ Giovani.
I vecchi, e tutt’i maggiori di età avendo meritato da Dio il dono di essere di questo Mondo prima dei giovani, è quindi un dovere di questi venerarli, ed ubbidirl’in tutte le cose lecite, ed oneste. Nessuno per conseguenza può oltraggiarli: che anzi debbon tutti rispettare la loro venerando età, ed ascoltare, e seguire i loro prudenti consigli. E se mai alcuno vi sarà tra voi, che abbia il temerario ardire di usare loro poco rispetto, e poca venerazione, il padre, o se questi manca, i Seniori del Popolo per la prima volta l’ammoniranno seriamente: per la seconda volta faranno dal figlio chiedere perdono in pubblica Chiesa al Vecchio offeso; e per la terza volta se ne passerà a Me l’avviso per espellerlo dalla Società.
XIII. De’ Vecchi.
Dovere però de’ vecchi, e de’ padri di famiglia sarà sempre dar a’ giovani, ed a’ figli il buon esempio non solo nell’esemplarità della vita, ma anche nell’amor della fatica; poiché se essi saranno sobrj, religiosi, prudenti, laboriosi, modesti, tali saranno i giovani, ed i figli; e così si avrà nella Società quel fondo di virtù, che ardentemente desidero.
XIV. De’ Seniori del Popolo. Tempo di eligerli, e loro doveri. Tra questi, comando, che in ogni anno nel giorno di San Leucio se ne scelgan cinque de’ più savj, giusti, intesi, e prudenti, i quali senza strepito giudiziario col dolce nome di Pacieri, e di Seniori del Popolo, di unita col Parroco, decidano tutte le controversie civili, e d’arti senza appello: provvedano, e procurino, che nella società non manchi nessuna delle cose di prima necessità; mentre liberamente si permette a chiunque voglia di aprir Forni, Macelli, Cantine, ed ogni altra bottega di comestibili, ma coll’obbligo di tener le provviste per comodo della Società, dal principio fino alla fine dell’anno, e di vendere a giusto prezzo i generi, e non maggiore dell’assisa di Caserta, senza frode, e senz’inganno; e coll’obbligo speciale a’ venditori di vino di non far mai nelle loro botteghe, o cantine giuocare a veruna sorta di giuoco, ancorché lecito, o per ischerzo, sotto pena di essere immediatamente sfrattati dalla Società. Si assicureranno di tutti questi articoli i Seniori suddetti con le debite sicurtà; ed invigileranno sulla bontà de’ generi, e su tutt’altro, che convenga col massimo rigore, e colla più religiosa esattezza. Sarà cura de’ sopradetti Seniori ancora di invigilare rigidamente sul costume degli individui della Società, sull’assidua applicazione al lavoro, e sull’esatto adempimento del proprio dovere di ciascuno. E trovando, che in ess’alligni qualche scostumato, qualche ozioso, o sfaticato, dopo averlo due volte seriamente ammonito, ne posseranno a me l’avviso, acciò possa mandarsi o in casa di correzione, o espellersi dalla Società, secondo le circostanze. Della proprietà, e nettezza delle abitazioni sarà anche loro la cura, perché da tutti si osservi; prendendone specialmente occasione nella visita degli infermi, che dovranno giornalmente fare, per darmi distinto ragguaglio del numero di essi in unione del Medico, della qualità delle malattie, e de’ soccorsi straordinari, di cui necessitassero.
Loro cura parimente sarà di dar’esatto conto de’ Forestieri che capitassero nel luogo, e dovessero pernottarci; colla distinzione del motivo perché siano venuti: in casa di chi rimangono, e per quanto tempo.
XV. Dell’inoculazione del Vaiuolo, e degli Infermi. Vi sarà perciò una Casa separata totalmente dall’altre in luogo di aria buona, e ventilata, chiamata dagl’Infermi. In questa ne’ debiti tempi di autunno, e di primavera d’ogni anno si farà a tutt’i fanciulli e le fanciulle della Società, l’inoculazione del Vaiuolo. In ess’ancora si trasporteranno tutti coloro, che saranno attaccati da morbi contagiosi, tanto acuti, che cronici. Per questa Casa vi saranno i suoi regolamenti particolari, riguardant’il buon governo non solo degl’infermi, ma benanche l’economica amministrazione. Un Prete tra gli altri assisterà sempre in
essa per comodo degl’infermi, ed ora l’uno, ora l’altro de’ Seniori del Popolo tutte le mattine, e tutt’i giorni ne faranno la visita, per vedere, se tutt’è in buon ordine, se vi è la massima polizia possibile, e se gl’infermi sono assistiti tanto nello spirituale, che nel temporale colla massima esattezza, e scrupolosità. I Medici, i medicamenti, le biancherie e quant’altro occorre pel mantenimento del luogo, e degl’individui, tutto sarà sempre da Me somministrato.
XVI. Maniera di eligere li Seniori del Popolo. L’elezione de’ sopradetti Seniori si farà, congregandosi tutti i Capi di famiglia dopo della Messa solenne con tutto il rispetto, e con tutta la decenza nel salone del Belvedere, per bussola segreta, ed a maggioranz de’ voti, sempre presidente il Parroco.
Dell’elezione se ne farà subito a Me rapporto per ottenere la confirma, ed in virtù di essa potran godere dell’onorifica distinzione di sedere in Chiesa nell’altro banco del merito, situato a fronte di quello de’ giovani dalla parte destra dell’Altare.
XVII. Degli Artisti poveri. Della Cassa di carità, e suoi regolamenti.
Per effetto di quell’amore, ch’è l’anima di questa Società, e per quello spirito di fratellanza, che a ciascuno di voi deve far riguardare questa Popolazione, come una sola famiglia, giusto è ancora che se tra voi si trovi in Artista, privo di moglie e di figli, o con questi, ma non in istato di lucrarsi il pane per loro, e pel povero padre caduto in miseria o per vecchiaia, o per infermità, o per altra fatai disgrazia, ma non mai per pigrizia, ovvero infingardaggine; sia da tutti comunemente soccorso, acciò non si riducano nello stato di andar mendicando, ch’è lo stato più infame, e detestabile, che sia sulla terra. Perciò siavi tra voi una Cassa, che chiamerassi della Carità, dalla qual sian codest’infelici comodamente soccorsi o per tutto il tempo della vita, o fino a che non sian rimessi in istato di potersi lucrare il pane. Avrà questa Cassa per fondo un rilascio di un tari al mese, che ogni manifatturiere, che sia in istato di guadagnare più di due carlini al giorno, farà in beneficio della medesima; e di quindeci grana al mese, per quelli che guadagnino meno di due carlini al giorno. Sarà ess’amministrata dal Parroco, da’ Seniori, e da’ Direttori dell’arti, i quali rilasceranno in beneficio della sopradetta Cassa quello, che più la pietà lor detti. Tutti daranno il voto nel caso di doversi soccorrere qualche infelice. L’esazione si farà nel seguente modo. Tutti gli Artisti di qualunque condizione siano, saran descritti in uno Stato. Questo si affiggerà nell’atrio della Chiesa, dove ogni prima Domenica di mese, la mattina, dopo un dato segno di campana, che si chiamerà la Carità, si troverà il Parroco, sempre che possa (o chi egli destinerà degli altri Sacerdoti) a ricevere da’ medesimi la somma prescritta, che farà notare da ciascuno di proprio carattere in un libro, che appositamente si terrà. Raccolta la Carità, si farà la numerazione degli Artisti con la nota, o sia Stato alla mano, e della moneta pagata in presenza de’ Seniori, e de’ Direttori; e si vedrà, se tutti hanno adempito al loro dovere. Chi non abbia adempito, si noterà in un foglio, che si affiggerà in una tabella chiamata de’ Contumaci, che si sospenderà appresso allo Stato degli Artisti, acciò ogn’uno sappia il contumace. Chi manca per tre volte, e non purgherà la contumacia pagando nell’ultima volta tutto l’attrasso, sia cassato dallo Stato sopradetto, e non goda più né questo privilegio personale in caso di disgrazia, né l’esequie, e gli altri suffragi, come in appresso si dirà, a spese della Cassa suddetta; su di che invigileranno rigorosamente i Seniori. Questa Cassa sarà chiusa a tre chiavi, delle quali una ne terrà il Parroco, un’altra li Seniori, e la terza finalmente li Direttori. A nessuno sarà mai lecito di disporre di un grano di essa per altro uso, in fuori di quello detto di sopra, o di quant’altro in appresso si dirà. Ogni anno fatta l’elezione de’ nuovi Seniori del popolo, si farà la numerazione del denaro in essa esistente, e se ne farà la consegna a’ nuovi Eletti insiem colle chiavi. Il Parroco, e li Direttori riterranno sempre le chiavi presso di loro, e solo si renderano indegni di questa prerogativa coloro, che si mostreranno infedeli verso di essa. Appena entrati in governo i nuovi Eletti prenderanno i conti dell’introito, ed esito da tutte le soprammentovate persone, e subito si rimetteranno a Me per poterli far esaminare, e discutere.
XVIII. Dell’esequie, e de’ lutti.
L’esequie sian semplici, divote, e senza distinzione. Il Parroco, e li soli Preti del luogo associeranno il cadavere senza esiger’emolumento alcuno. Quando il cadavere sarà in Chiesa (ciocché non si farà se non venti quattro ore dopo morto) si farann’ardere d’intorno al medesimo solo quattro candele. Ciascun Prete celebrerà per l’anima del defonto una Messa letta, ed il Parroco la cantata. Il cadavere di un Seniore del Popolo, che muoia in ufficio, sarà associato dal Clero, come sopra, e da tutti i Capi di famiglia, portanti avanti del medesimo le candele accese in riconoscenza de’ buoni servizj prestati alla Società. Nella morte finalmente di un Direttore, o di una Direttrice di arti, oltre il Clero suddetto vi anderanno ad associarli li giovani, e le giovani discepoli con le candele come sopra. Tanto la spesa per le Messe, che per le candele sarà fatta dalla Cassa, alla quale tornaranno li residui di queste. Non vi sian lutti, e solo nelle morti de’ genitori, e degli sposi, per gli ultimi uffizj dovuti a’ medesimi sia permesso alla tenerezza de’ figli, delle mogli, e de’ mariti un segno di duolo di un velo al braccio per l’uomo, e di un fazzoletto nero al collo per la donna per due mesi solo al più.
XIX. Della Patria.
La Patria è la cosa più cara, che siavi sulla terra. Essa ha in custodia la roba, le spose, i padri, i figli, le madri, la libertà, la vita de’ Cittadini. Ognuno trova in essa come in un centro, tutte le sue delizie. Tutti dunque debbono ad essa tutti quegli obblighi, che di sopra si sono a parte a parte descritti. Ogn’uno deve teneramente amarla. Ogn’uno deve procurarle tutt’i beni, e allontanarle tutt’i mali. Ogn’uno deve difenderla a costo della roba, del sangue, e della vita dagl’insulti, e dagli attacchi de’ nemici. Dalla salute di tutti dipende la salvezza di ogn’uno. Più di tutti però essa esige da voi nelle occasioni la sua difesa. L’Agricoltore, che deve co’ suoi sudori cacciar dalle viscere della terra il mantenimento per sé, e per voi, non può la terra abbandonare. Se per darle soccorso corre all’armi, e gitti il pesante aratro, egli senza pane priva se e gli altri di quella vita, che cerca salvarsi. Voi, voi, che per loro vivete, voi avete più stretti, e più precisi obblighi a difenderla. Se voi dall’arti passate all’armi, l’Agricoltore co’ suoi sudori sosterrà voi sul campo, e farà vivere i vostri padri, i vostri figli, e le vostre spose tra i loro teneri amplessi. In vece dunque di menar vita oziosa ne’ dì festivi, ed esporvi a’ pericoli, dove l’ozio trascina, correte, dopo aver santificata la festa coll’adempi-mento del proprio dovere, e dopo di aver nelle ore determinate presentat’i lavori, per riscuoterne la dovuta mercede, correte, dico, ad esercitarvi nel maneggio dell’armi, che vi sarà insegnato dalle persone a tal oggetto più adatte, e vi saranno anche de’ premj, proporzionati per coloro, che in esso si distingueranno. A voi ancora spetta onorarla in tempo di pace. Come i fiori fanno colla loro varietà ricco ricamo al verdeggiante prato; così voi colle vostre produzioni restituir le dovete quel lustro, e quello splendore, che un dì fece invidiarla a tutta Europa.
Capitolo III Degl’impieghi
Io intanto intento sempre a premiarvi, assicuro tutti gli abitanti di San Leucio, che ad esclusione degl’esteri, essi saran sempre impiegat’in tutti gli impieghi, che vacheranno nel luogo: preferendosi però sempre fra i pretendenti il più abile, capace, e di buona condotta. Al nuovo impiegato non si darà, che la metà del soldo del defonto, quando quello lasci la vedova (con figli che non siano ancora in grado di lucrarsi il proprio sostenimento) alla quale si darà l’altra metà. Rimanendo poi la vedova sola, o con due figli almeno, che guadagnino già due carlini al giorno per ciascheduno, resterà alla vedova il solo terzo, ed il rimanente si darà al nuovo impiegato, per averlo tutto alla morte della vedova.
Capitolo IV Degli artisti esteri
Presentandosi Artefici esteri per essere ammessi al lavoro, dopo di aver esibit’i loro requisiti, o dato le notizie convenienti per farli venire; e dopo essere stati provati; e trovati abili, volendosi fissare nel luogo, e godere di tutte le prerogative, e privilegi degli altri abitanti, dovranno per un’intero anno dar non equivoche ripruove di ottimi costumi, ed assidua applicazione al lavoro per esservi ascritti; nel qual caso avranno l’abitazione, e gli utensilj di sopra detti. Non trovandosi poi tali, saranno immediatamente rimandati via.
Capitolo V
Delle pene generali contra i trasgressori Tutte le leggiere mancanze, che si commetteranno dagli abitanti sopradetti, verranno economicamente punite a proporzione del fallo.
Ogni minimo accidente contra il buon costume sarà punito con espellers’immediatamente dal luogo il colpevole, o colpevoli, e privars’immediatamente il Genitore, o i Genitori per un anno di tutt’i proventi, e regalie. A chiunque, sia uomo, o sia donna, ardisce mutare in menoma parte il metodo e la moda prescritta di vestire, sarà immediatamente proibito vestir più l’abito del luogo; per tre anni sarà considerato com’estraneo; e sarà privo, come di sopra si è detto, di tutt’i proventi, e regalie, che dagli altri si godono.
Qualunque altro fallo, che sia suscettibile di pena di corpo afflittiva, ovvero infamante verrà punito collo spogliars’immediatamente, e con il massimo segreto, il colpevole degli abiti del luogo, e sarà consegnato alla giustizia ordinaria. Quest’è la legge, ch’Io vi dò per la buona condotta di vostra vita. Osservatela, e sarete felici. {Ferdinando IV1789)
«Che allato gli sedete Sposa e Regina» Libretto stampato nello stesso anno della promulgazione del codice di San Leucio e pubblicato, come quello, dalla Stamperia Reale, a cura di Domenico Cosmi, ufficiale della Reale Segreteria di Stato e Casa Reale. All’introduzione indirizzata alla regina Maria Carolina d’Austria, segue la raccolta di poesie, in italiano, latino, greco, napoletano e francese, ‘osannanti’ Ferdinando e la sua opera. Molti ài questi poeti improvvisati, in seguito, saranno colpiti dall’ira del sovrano, perché accusati di giacobinismo. Un esempio per tutti la illustre gentildonna Eleonora Pimentel Fonseca (condannata dieci anni dopo a morte dallo stesso re), che in quest’occasione manifesta, in versi, tutto il suo entusiasmo per la nobile iniziativa.

Alla sacra Real Maestà di Maria Carolina d’Austria Regina delle due Sicilie
Signora

Gli elogj di un Re non ad altri, che ad una Persona Reale meritano d’esser consecrati; ma quelli di Ferdinando IV Re delle Sicilie, scritti in molte parti d’Italia per le Leggi date alla nascente Popolazione di San Leucio, non ad altri più degnamente, che alla M.V., che allato gli sedete Sposa e Regina, e che seco lui dividete magnanima le cure, gl’interessi, e la pace dello Stato. I talenti dello spirito, e ‘1 carattere deciso del cuore, di cui la Provvidenza vi ha dotata, vi costituiscono superiormente a tutti nel dritto di ben intendere l’alta e riposta sapienza, che in quelle poche pagine, sott’un’aria semplice, contiensi. Formata V.M. sin da’ più teneri anni a regnare; resa spettatrice dell’eroiche gesta di una Madre, che col valorosa-mente difenderlo, seppe fondar di nuovo un Impero, ben comprendete tutti gli arcani di quell’arte divina, che versa sulla felicità delle Nazioni. No, non è ignoto a V.M., che il dover di ubbidire al suo Sovrano è sempre preceduto dal dover di ubbidire all’Esser supremo: che i principi immutabili di ciocché è giusto ed equo in tutt’i casi, è la voce universale della ragione; e che distinguer quello, ch’è più utile ad un Regno, che ad un altro, forma il più difficile dell’arte di governare. Non è ignoto a V.M., che ‘1 governo Patriarcale è l’immagin vera del Monarchico:
Che per aver questo su basi sicure ed immancabili, egli è necessario stabilir quello de’ Padri su’ principi certi, ed indubitati: Che l’educazione pubblica è la primaria origine della pubblica sicurezza, e della pubblica tranquillità: Che la buona fede è la prima di tutte le sociali virtù: Che l’uguaglianza è l’anima generativa di quell’amore, che lega, e stringe i cuori de’ mortali: Che la sola distinzione nascente dal merito è lo spirito sollevatore delle arti, dell’industria, e delle scienze: Che le ricchezze inesauste d’un Popolo son quelle, che vengono dall’agricoltura; e che i germi riproduttivi di questa crescon sempre a misura, che s’agiti il soffio vivificante di quelle. Sa molto bene la M.V. ancora, che un comodo vivere facilita i matrimonj, e questi la Popolazione; e che i Popoli ricchi, e non i poveri, quantunque numerosi, sono i più forti sulla terra: Che pieno un Regno territoriale di coltivatori, e poste le terre in tutto il massimo lor valore, allora nascono gli artieri, e gli opera], e quindi sorge, e germoglia quel commercio, il quale ferma e stabilisce la felicità, e la potenza di uno Stato: Che ‘1 superfluo è la vera ricchezza di una Nazione; e che quanto questo è maggiore, tanto più quella divien potente, e felice: Ch’una libertà indefinita interna di commercio promuove l’industria, ed anima i Popoli; ma che una malintesa libertà esterna, la quale seco trasporti parte del necessario, rovina le Società, e gl’Imperj. Sa, che le manifatture sono l’arte di dar nuove forme a’ prodotti naturali de’ luoghi; e che quel Regno è sempre più ricco e più potente degli altri, che ha più prodotti a manifatturare: Che il lusso ben regolato forma lo splendore de’ Regni; ma che lo sregolato ne prepara, ed accelera la rovina: Che la virtù più sublime del Trono è la cura del Popolo, e la tutela degli orfani, e de’ miserabili; Finalmente, che tutti son per natura obbligati a difendere il proprio Principe, e la propria Patria; ma che ne’ Regni territoriali l’artiere dev’esserlo più dell’agricoltore, affinchè per le rinascenti ricchezze restin sempre insuperabili e forti. Tutti questi sono, S.M., i principi, da cui il gran Re ha tratte le leggi, che ha scritte con quella semplicità, che incanta. Ma non tutto questo è però ciò, che forma il capo d’opera di quella quanto breve, altrettanto savia legislazione. È il più gran problema quello: Se gli uomini saran sempre fra di loro nemici; e se vi è mezzo da renderli fra loro amici, e quindi beati? Senza invilupparsi questo grande Speculator della natura in lunghe discettazioni, col mettersi solo a’ fianchi la giustizia naturale, e la naturale beneficenza, risolve, e stabilisce colla più profonda sapienza, che il governo, che possa condurre l’intera umanità alla beatitudine di quaggiù, è la sola Monarchia, in cui il Monarca governi da Padre, e non da Despota. Per dimostrarlo fonda non per azzardo, o per capriccio, ma con studio, e con riflessione una Colonia, e da alii di lei Individui una serie di precetti, atti a regolare tutta l’umanità. Scorra chiunque i secoli più remoti dell’antichità: legga i codici delle leggi d’ogni Popolo; vegga se v’è stato Legislatore, che abbia al par di Lui sì ben consultato la natura, e che questa sia egli prestata a dettargli con tanta compiacenza tutt’i suoi oracoli. Vegga, se v’è stato altro Legislator sulla terra, che abbia cercato non di moltiplicar gli uomini, perch’essi sien felici; ma di render gli uomini felici, perch’essi moltiplichino. Se dunque v’ha, chi ammiri col silenzio, e chi col canto celebri sì degna operazione, egli è questa una giusta riconoscenza, che la verità consacra alla giustizia. Io, che testimone sono de’ sensi rispettosi degli uni, ho creduto mio dovere raccogliere gli encomi degli altri, ed alla M.V., ch’è la più Gran Regina del secolo, ed a pie del di cui Trono tutta è riposta la nostra beatitudine, e la nostra felicità, presen¬tarli in segno di rispettoso tributo, e di dovuto omaggio.

Napoli, 20 Novembre 1789

Di V.R.M. Umilis. e Devosiss. Suddito Domenico Cosmi
Sonetto

Cinto Alessandro la superba fronte
Di cento allori sanguinosi e cento,
Mentre dietro traeva alto lamento
Del Nilo debellato, e dell’Orante.

Formar ampia Città d’eccelso monte
Uom gli propose alle bell’opre intento;
Sbigottì l’ardua impresa il fier talento,
Benché di cose vago ardite, e conte.

Ma Fernando il Tisate apre e disgiunge,
E nobil terra in su l’alpestre vetta
Fonda, e l’arti vi chiama, e onor le aggiunge.

E d’innocenza, e di virtù perfetta,
Mentre Egeria più saggia a se congiunge,
Novello Numa, nuove leggi ei detta.

L’arte della seta
«Cento recipienti di soda»
t’architetto Ferdinando Patturelli presenta a don Antonio Sancio, Amministratore dei Reali Siti di Caserta e San Leucio, lo studio approfondito dei luoghi,
che definisce umilmente «operiamola» e «tenuissimo mio lavoro». Nel 1826, data di pubblicazione del testo, regna Francesco I di Borbone, dedito a aggiungere «nuovo splendore e perfezione alle già fondate opere» dei predecessori.
Io parlo della famosa Colonia di San Leucio, che deve al genio di Ferdinando la sua esistenza, la sua legislazione e tutte quelle utilità, che a suo luogo andrem osservando. Nel fondar questa Colonia pensò Ferdinando d’introdurre fra noi varie manifatture ed industrie, principalmente quelle della seta, e mise in opera tutta la sua potenza, onde da tali manifatture risultasse la floridezza della Colonia medesima e di tutto quanto il Regno. Da questi esempi cotanto illustri non si allontana il presente nostro Re Francesco, ed egli battendo le orme gloriose dell’Avolo, e del Padre non solo aggiungerà sempre nuovo splendore, e perfezione alle già fondate Opere, come ha gloriosamente cominciato a fare; ma delle nuove andrà ancor egli immaginandone a vantaggio degli amatissimi suoi sudditi….
La Legislazione di San Leucio parto fecondo dell’ottimo cuore, e del talento sublime del nostro Re Ferdinando, che degnossi vergarle di suo proprio pugno, sono veramente un capo d’opera, e meritamente han riscossa l’ammirazione di tutta quanta l’Europa. Esse venner pubblicate pe’ tipi della Reale Stamperia, la prima volta nel 1789 col titolo Orìgine della Popolazione di San Leucio, e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti al buon Governo di essa; e quindi ristampate nel 1816 nella medesima Reale Stamperia. Il Vescovo di Telese Monsignor Don Vincenzo Lupoli nel 1789 le tradusse in latino, e pubblicolle con dotte ed erudite annotazioni. D Cav. Don Domenico Cosmi stampò inoltre un libro ai eleganti componimenti poetici in lode delle medesime, Leggi Leuciane, e di dedicollo alla Maestà della Regina Carolina d’Austria di sempre felice rimembranza. In somma chiunque ha parlato del Re Ferdinando e in vita, e dopo la morte di lui non ha potuto non tributargli la più larga, e meritata lode per questa Legislazione, che quantunque breve emula, e forse sorpassa nella saviezza le più famose così fralle antiche, come fra le moderne.
È questo Real Sito, come si è dinanzi accennato, una Colonia d’Artisti stabilita nel 1789 dall’Augusto Ferdinando per promuovere fra noi la manifattura della seta emulando in così nobile impegno il famoso Ferdinando I d’Aragona, il quale molto si adoperò ad introdurre nel Regno di Napoli questa sorta di lavoro. In fatti mercé la protezione accordata a questa Colonia, e le sue Reali largizioni è giunta l’Arte e a gran perfezione; cosicché potremmo non aver bisogno di manifatture straniere. Il Regal Casino non ancor compito, meritamente detto di Belvedere, è situato a Mezzogiorno alle falde del Monte San Leucio in una posizione assai salubre ed eminente fino al segno di guardar a se sottoposto il Gran Palazzo di Caserta: e siccome resta superiore anche a’ fabbricati della Colonia Leuciana; una maestosa scalinata, che il precede, eccita il desio di ascendervi. Giunto nel piano si osserva in faccia l’avancorpo bene architettato, in mezzo al cui primo piano havvi la Chiesa Parrocchiale fiancheggiata da due belle fontane, ed alle spalle nel basso il magnifico portone, che forma di fuori il rinchiuso l’ingresso principale a questo Real Sito ornato a’ fianchi da due lunghi casamenti appellati quartieri di San Carlo e San Ferdinando.
Nella Chiesa Parrocchiale è degna d’osservarsi la perizia dell’Architetto Collecini, che da un Salone che era, seppela ridurre all’attuai forma per voler del Re Ferdinando nel 1776. Nello spiazzo all’Oriente del suddetto avancorpo, che dovea esser centro del Real Casamento, ritrovasi nell’alto del fondo la statua del Re Fondatore e singoiar proteggitore dell’intera popolazione, ed alla sinistra dello spiazzo medesimo si passa nel cortile del Palazzo. Nel portichetto vi sono attaccate simmetricamente al muro
cento recipienti di soda, per averli pronti in caso d’incendio, e nell’aia del cortile medesimo il Re ha date in ogni anno delle sontuose tavole alla intera popolazione, nella circostanza de’ maritaggi, che secondo le leggi della Colonia hanno luogo nel giorno di Pentecoste. Passando nel Real Appartamento il curioso osserverà un discreto numero di ariosissime stanze comode per lo Real diporto, tutte decentemente addobbate, alcune delle quali hanno de’ belli guazzi nelle volte: ed è meraviglioso l’esteso orizzonte, che si osserva dalla stanza di questo Real Casino destinata per dormire le LL.MM.- Dall’istesso Appartamento si fa passaggio nelle varie officine della fabbrica delle seterie, come Filanda, Incannatorii, Filatorii, ed altro, che sembra inutile andar minutamente descrivendo; ed è cosa, che sorprende il vedere le molte, e differenti operazioni, che si fanno nello stesso tempo per mezzo di macchine tutte animate dal rotone piantato in un sotterraneo al lato Occidentale del fabbricato, e spinto da un ramo dell’acqua Carolina appositamente ivi condotta. Un bel Cilindro costruito sopra disegni pervenuti dalla Francia, si trova all’Occidente del Cortile del
Real Casino. Sortendo poi dallo stesso cortile nel locale a se incontro ritroverà la disposizione di tutti i telai ed altre manovre della fabbrica, per comporre ogni sorta di stoffa: e progredendo il cammino più sopra vi è il locale ove si conservano i bachi da seta chiamata Cocolliera colla corrispondente stufa, ed un’altra spaziosissima Filanda.
Primaché questa Fabbrica acquistasse tutto il lustro di una completa manifattura, che ora presenta, nel 1776 ebbe cominciamento dalla semplice manifattura de’ veli da seta allora molto in uso, che a S.M. Ferdinando piacque introdurre fra noi chiamando espressamente da Torino il Direttore Signor Francesco Bruetti. Alquanti anni dopo, bramando il Monarca medesimo completar la manifattura, e riunirla nel tempo stesso in un acconcio locale, onde la gioventù guidata fosse puranche nello spirito dal Parroco, ordinò nel 1786 la costruzione di molte fabbriche, e fralle altre l’ampliazione del Casino di Belvedere ove ripose l’intero lavorio; e 1 Machinista Signor Paolo Scotti fatto venir da Firenze sotto la dipendenza dell’Architetto Don Francesco Collecini distribuì la località e per le macchine, e pe’ telai. Finalmente nel 1789 S.M. dichiarò Real Colonia siffatto stabilimento dipendente solo da’ suoi Sovrani comandi; vi formò le Leggi tutte proprie; ordinò che tutti vestissero uniformi; stabilì le scuole di educazione de’ fanciulli, e tutto ciò, che attualmente si vede in vigore. Pensò anche il Re di stabilire un rifugio agli Artisti bisognosi in caso di grave malattia, e ordinò nel 1794 un progetto grandioso d’un Ospedale all’Architetto Collecini, il quale ne fece formar anche il modello in legno. La forma dell’intero fabbricato era una Croce greca, divisa in due piani: i quattro lati della Croce nel piano superiore servivano a corsee pe’ malati con passaggi laterali: nel centro era situata la Cappella; e nelle testate le camere pe’ custodi, ed assistenti: nel pian terreno poi stavano situate tutte le officine per tale stabilimento opportune. Questa idea piacque molto al Re, e vedrebbesi ora eseguita nel recinto stesso di San Leucio, se le tante disgrazie avvenute non ne avessero impedita l’esecuzione. Al presente però trovasi a quest’uso detinato il Fabbricato del soppresso Monastero di San Francesco di Paola vicino al Real Boschetto di Casetta con un fondo assegnato di annui ducati 600 di rendita. {Patturelli 1826)


Le  iniquità  della   Storia non resteranno   impunite




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