San Leucio (Caserta) -- Ferdinando I di Borbone e la sua Repubblica Socialista... La prima Colonia Socialista dell'era moderna con un primato mondiale nella fabbricazione della seta
......................
Indice
d’Asburgo) e degli edifici annessi
a) Real Casino;
a.b Piano Superiore e piano Reale
a.c. Ultimo piano
B) Edifici adiacenti al Real Casino
C) Reali Scuderie
D)Edifici addetti alla fabbrica delle stoffe – Filanda Grande detta dei Cipressi e
Coculliera
a. Casetta della cascata
Un ambiente espressione di un ritmo armonioso nelle sue sequenze compositive, nei profili delicati delle case e delle strade... tutte espressioni di un’inventiva piena di sogno e bellezza.
Un sogno in parte realizzato di Ferdinando I di Borbone... (IV di Napoli e III di Sicilia... I delle Due Sicilie) con la fondazione di quella che potremo definire come il “primo esempio di repubblica socialista della storia contemporanea”.
Il suo nome .. San Leucio .. il nome del martire si addice perfettamente a questo ambiente che sprigiona nell’anima immagini di antica nobiltà, di fierezza, di gentilezza, e di profonda e discreta umanità. Sono le parole dette dal Vescovo di Caserta che riescono a delineare il profondo significato dell’esistenza di questo antico “borgo”, che potremo in realtà definire “Colonia Reale”. Qui le opere e i giorni dell’uomo s’incontrano con i colori e le fatiche del tempo che scorre e dove la terra, le forme e le tradizioni sembrano scrivere la storia di un poema che si legge con emozione..
Sembra strano ma la storiografia ha spesso criticato questo piccolo centro, creato da Ferdinando I di Borbone, che sin dalla sua nascita ha mantenuto un bellissimo rapporto, quasi divino, fra uomo e ambiente racchiuso come in un reliquario di fede e di cultura.
“Nina Pazza per Amore”
uno dei più gradi compositori del Classicismo
Giovanni Paisiello
al clavicordo
(Taranto, 9 maggio
1740 – Napoli, 5 giugno 1816)
Artista: Elisabeth Louise Vigèè Le Brun
(Parigi, 16 aprile
1755 – Louveciennes, 30 marzo 1842)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1791
Misure (130,8 x
98,3) cm – Collocazione: Palazzo di Versailles
Manoscritto musicale. Partitura.
Completo. Due volumi (ogni volume contiene un atto dell’opera). Pagine non
numerate. Manoscritto a inchiostro seppia su carta pentagrammata a mano (10
pentagrammi). Nella partitura è intercalato il libretto della commedia per
musica. Al verso della prima carta i nomi degli attori. Legature in mezza pelle
con angoli un poco allentate. Dorsi con mancanze. Piatti in carta marmorizzata.
Tagli rossi. Le carte in più che
buono stato. Fine XVIII secolo
In
questo contesto festoso si svolgeva il “palium”
ovvero il palio dove al vincitore della corsa a cavallo si dava una stoffa
pregiata di seta... una gara a cui il Sovrano assisteva fermandosi in un umile
casa di un agricoltore nel piccolo quartiere del Dosello.
Nel
1805 Ferdinando I di Borbone – Delle Due Sicilie istituì una corsa di cavalli
da disputarsi il 2 luglio di ogni anno in onore di Maria SS. Delle Grazie con
“palli e cavalcanti in giacchetta, calzabraca e fazzoletto”
Il programma della
festa, ancora nel 1867 prevedeva secondo un’antica consuetudine:
“.... alle ore 9 vi
sarà Messa Solenne, con Panegirico,
e sparo di
mortaretti. Terminata così la funzione della mattina,
si passerà a
seguenti leciti divertimenti dalle ore quattro, alle ore 6 p,m.:
cioè Corsa di Giumente col premio al Vincitore di un
Pallio di Stoffa in seta, ed una somma
di L. 10,
Immediatamente dopo
la corsa delle giumente vi sarà la Benedizione
in Chiesa, colla
esposizione del Santissimo.
La Giunta
Municipale, d’accordo con La Guardia Nazionale
invigileranno a che tutto proceda con ordine e la
tranquillità
pubblica non sia
turbata”.
1.
Il Feudo di San LeucioSan
Leucio è una frazione del comune di Caserta, da cui dista circa 3,5 km a
Nord-Ovest dalcapoluogo, ed insieme alla Reggia di Caserta fu riconosciuto come PATRIMONIO
DELL’UMANITA’ dall’UNESCO.Antico
feudo degli Acquaviva di Caserta con il Palazzo del Belvedere o “Palagio
Imperiale” che fu descritto nel 1667 da Celestino Guicciardini. Vicino al
palazzo c’era una vecchia “casina” di caccia che fu ai tempi restaurata.Nel
1750 i possedimenti degli Acquaviva,
divenuti Caetani, passarono ai Borboni di Napoli e il sito diventò luogo di
svago dei reali.Il
passaggio del feudo e di altri titoli dagli Acquaviva ai Caetani avvenne il 3
dicembre 1612 quando Francesco IV Caetani (figlio di Filippo Caetani, VII duca
di Sermoneta, e di Camilla Caetani d’Aragona, dei duchi di Traetto) sposò la
principessa Anna Acquaviva d’Aragona (figlia ed unica erede del principe di
Caserta Andrea Matteo IV e della contessa Isabella Caracciolo).I
titoli al Caetani pervennero quindi “ex uxore” (dalla moglie) ed i discendenti
governarono lo stato di Caserta fino al 1750.Michelangelo
Caetani nel 1750 cedette il feudo a Carlo III di Borbone, che stava progettando
la costruzione della Reggia di Caserta, ottenendo in cambio il titolo di
principe di Teano.Carlo
III si trovò di fronte ad una collina
disabitata, non ho riferimenti in merito alle condizioni del palazzo che vi era
presente, e decise di creare una residenza da utilizzare per la caccia e lo
svago.Il
sovrano era un grande estimatore delle stoffe francesi e nei suoi progetti
c’era forse l’istituzione nel nuovo feudo di una fabbrica di seta. Un industria
che aveva aperto a San Carlo alle Mortelle, diretta dal francese Monsieur
Trouillier e dal piemontese Giovanni
Gallan. Si
trattava della Manifattura di San Carlo alle Mortelle che produceva arazzi,
opere in pietre dure e in marmi, porcellane e ceramiche. Nell’apertura della
manifattura, avvenuta nel 1738, furono invitati a Napoli grandi maestri come Domenico del Rosso
e Giovan Francesco Pieri, tagliatori di pietre dure molti famosi in Firenze;
degli arazzieri che erano attivi nell’arazzeria dei Medici. Il settore che era
dedicato alla lavorazione della seta fu chiuso ma questo non cancellò
l’interesse dei reali per la seta.Nel
1757 Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo III di Borbone, introdusse a
Caserta l’allevamento dei bachi da seta.Nel
“tenimento di Caserta” la regina aveva impianto un’estesa piantagione di gelsi
nel 1757 e l’anno successivo aveva fatto venire da Bologna il seme per
l’allevamento del baco che fu iniziato in un villino dell’antico Boschetto.
Maria Amalia di
Sassonia
(Dresda, 24
novembre 1724 – Madrid, 27 settembre 1760)
Artista: Giuseppe
Bonito
(Napoli, 11
gennaio 1707 – Napoli, 9 maggio 1789)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1745 circa
Misure: (1,25 x
1,05) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid
La regina fu raffigurata con un abito di seta.
Partenza di Carlo
III di Borbone per la Spagna (vista dal mare)
Artista: Antonio
Joli
Modena, 12 marzo
1700 – Napoli, 29 aprile 1777
Pittura: Olio su
tela – Datazione 1759
Misure (1,27 x
2,05) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid
Partenza di Carlo
III di Borbone per la Spagna (vista da terra)
Artista: Antonio
Joli
Modena, 12 marzo
1700 – Napoli, 29 aprile 1777
Pittura: Olio su
tela – Datazione 1759
Misure (1,27 x
2,05) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid
Ferdinando IV di
Borbone all’età di nove anni
(Palazzo Reale di
Napoli, 12 gennaio 1751 – Napoli, 4 gennaio 1825)
Artista: Anton
Raphael Mengs
Usti nad
Labem-Bohemia, 12/22 marzo 1728 – Roma 29 giugno 1779
Pittura: olio su
tela – Datazione 1760
Misure: (1,79 x
1,30) m – Collocazione: Museo del Prado, Madrid
Ferdinando IV di
Borbone, all’età di circa vent’anni
Artista: Francesco
Liani
Borgo San
Domenico, 1712 circa – Napoli, 1780
Pittura: olio su
tela – Datazione 1760 circa
Misure (73 x 61)
cm – Collocazione: ?
Ferdinando IV di
Borbone, all’età di circa vent’anni
Artista: Francesco
Liani
Borgo San
Domenico, 1712 circa – Napoli, 1780
Pittura: olio su
tela – Datazione 1760 circa
Misure (73 x 61)
cm – Collocazione: ?
Il
ventiduenne Ferdinando IV diede ordine di continuare i lavori iniziati da Carlo
III nel recintare l’intera tenuta. Fece costruire un piccolo edificio adibito a
“casina” di caccia che successivamente fu ampliato. Questo edificio finì con
l’ospitare l’intera famiglia reale per
lunghi periodi.Infatti
quando salì al trono( 6 ottobre 1759), Ferdinando IV di Borbone, fu animato
dal desiderio di avere un luogo solitario, lontano dalla corte di Caserta,
dove poter passare dei momenti spensierati.Era
il 1773 e il sovrano scelse come ritiro solitario le colline che fiancheggiano il Parco della Reggia di
Caserta dove sorgeva il rudere di una cappella dedicata a San Leucio, martire e
vescovo di Brindisi, che diede il nome al sito.
«Le delizie di
Caserta e la magnifica abitazione incominciata dal mio augusto Padre – scriveva Ferdinando – formano un’altra Città in mezzo alla Campagna, con le stesse idee
del lusso, e della magnificenza della Capitale. Pensai dunque nella Villa
medesima di scegliere un luogo più separato, che fosse quasi un romitorio, e
trovai il più opportuno essere il sito di S. Leucio"
L’eremo
comprendeva una vigna ed un boschetto ed era frequentato dal re per brevi
periodi. In sua assenza era custodito da alcuni guardiani di stanza che vi
abitavano con le proprie famiglie.La
riserva di caccia cominciò a trasformarsi perché la presenza del sovrano
incoraggiò molta gente a stabilirsi intorno alla residenza reale. Sorsero così
i primi impianti zootecnici e alcune famiglie si stabilirono nel luogo
aggiungendosi a quelle dei guardiani. Molte famiglie non riuscirono a trovare una sufficiente occupazione nel
lavoro dei campi ed iniziarono spontaneamente ad avviare la produzione della
seta nelle loro piccole case adottando la “trattura alla paesana” cioè dal baco
al filo sericeo. Piccolo borgo che prese il nome di "Vaccheria" da un grande locale adibito a stalla.Il
17 dicembre 1778 la famiglia reale dei Borboni fu colpita da un gravissimo
lutto.Il
figlio primogenito ed erede al trono, di Ferdinando IV di Borbone e della
moglie Maria Carolina d’Austria, Carlo Tito morì di vaiolo all’età di tre anni
nel “Casino” di caccia della Vaccheria di San Leucio.
Carlo Tito
Francesco Giuseppe di Borbone
(Caserta, 4
gennaio 1775 – Vaccheria di San Leucio, 17 dicembre 1778)
(Artista: Non
identificato
Miniatura del
XVIII secolo – Collocazione Palazzo Hotburg (Austria)
(Caserta, 4 gennaio 1775 – Vaccheria di San Leucio, 17 dicembre 1778)
(Artista: Non identificato
Miniatura del XVIII secolo – Collocazione Palazzo Hotburg (Austria)
Il 4 Gennaio
1775 la Regina delle Due Sicilie Maria Carolina verso le 6 del
mattino aveva avvertito i dolori del parto ed alle 9 dava alla luce un bambino
il Principe Ereditario. Furono scelti per il neonato questi nomi: Carlo,
Francesco, Gennaro, Giovan Battista, Giuseppe, Tito, Antonio, Ferdinando,
Gaetano, Pasquale, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre: ma negli scritti
contemporanei è indicato o come D.Carlo Francesco o più spesso come D.Carlo
Tito… Con dispaccio reale del 4 Gennaio fu comandato, per celebrare la nascita
di Carlo Tito, che la corte si fosse vestita di gala per tre giorni e che si
fossero fatte illuminazioni per tre notti consecutive nel Palazzo Reale, nella
Città e nei castelli e per il giorno della pubblica uscita della Regina e del
figliuolo. Si stabilì che il Sabato 11 Febbraio il neonato sarebbe stato
solennemente battezzato nella del Real palazzo di Caserta dal Nunzio Apostolico
Arcivescovo di Tarso… La Regina il 19 Agosto 1777 aveva avuto la
gioia di mettere al mondo un altro Principino che prese il nome di Francesco,
ma sul finire del 1778 fu colpita dal dolore di perdere il rimogenito Carlo
Tito. Riferisco testualmente le parole della citata cronaca: “Era questo un
elegante bambino, spiritoso e di gran talento di anni 4 meno giorni 13 così ben
educato che passeggiando per Napoli nella carrozza faceva piacevoli riverenze a
chiunque de’napolitani ma con dispiacimento universale se ne morì a’ 17 di
Dicembre in Caserta, fu portato il piccolo cadavere in Napoli, e dopo
imbalsamato, fu esposto, vestito di lastra di argento, nel Reale Palazzo fino
alle ore 23 circa de’ 20 detto Domenica, d’onde fu portato nella Chiesa di
Santa Chiara nella quale erasi preparata pomposa castellana con ornamento di
numerosi ceri di circa 3000 libbre… La Regina sua madre ne rimase quasi
inconsolabile, per essere un bambino bellissimo e che dava grandissime speranze
di se: ma per giusto giudizio del Signore fu scelto per la gloria del
Paradiso…”
Il 4 Gennaio
1775 la Regina delle Due Sicilie Maria Carolina verso le 6 del
mattino aveva avvertito i dolori del parto ed alle 9 dava alla luce un bambino
il Principe Ereditario. Furono scelti per il neonato questi nomi: Carlo,
Francesco, Gennaro, Giovan Battista, Giuseppe, Tito, Antonio, Ferdinando,
Gaetano, Pasquale, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre: ma negli scritti
contemporanei è indicato o come D.Carlo Francesco o più spesso come D.Carlo
Tito… Con dispaccio reale del 4 Gennaio fu comandato, per celebrare la nascita
di Carlo Tito, che la corte si fosse vestita di gala per tre giorni e che si
fossero fatte illuminazioni per tre notti consecutive nel Palazzo Reale, nella
Città e nei castelli e per il giorno della pubblica uscita della Regina e del
figliuolo. Si stabilì che il Sabato 11 Febbraio il neonato sarebbe stato
solennemente battezzato nella del Real palazzo di Caserta dal Nunzio Apostolico
Arcivescovo di Tarso… La Regina il 19 Agosto 1777 aveva avuto la
gioia di mettere al mondo un altro Principino che prese il nome di Francesco,
ma sul finire del 1778 fu colpita dal dolore di perdere il rimogenito Carlo
Tito. Riferisco testualmente le parole della citata cronaca: “Era questo un
elegante bambino, spiritoso e di gran talento di anni 4 meno giorni 13 così ben
educato che passeggiando per Napoli nella carrozza faceva piacevoli riverenze a
chiunque de’napolitani ma con dispiacimento universale se ne morì a’ 17 di
Dicembre in Caserta, fu portato il piccolo cadavere in Napoli, e dopo
imbalsamato, fu esposto, vestito di lastra di argento, nel Reale Palazzo fino
alle ore 23 circa de’ 20 detto Domenica, d’onde fu portato nella Chiesa di
Santa Chiara nella quale erasi preparata pomposa castellana con ornamento di
numerosi ceri di circa 3000 libbre… La Regina sua madre ne rimase quasi
inconsolabile, per essere un bambino bellissimo e che dava grandissime speranze
di se: ma per giusto giudizio del Signore fu scelto per la gloria del
Paradiso…”
Carlo Tito di
Borbone, principe delle Due Sicilie e Duca di Calabria
Il titolo di Duca
di Calabria era assegnato all’erede al trono.
Il precedente a
portare detto titolo era lo zio paterno Filippo,
escluso dalla successione
per demenza.
La sua nascita,
primogenito maschio della coppia reale, permise alla madre, Maria Carolina
d'Asburgo-Lorena un seggio nel Consiglio di Stato, centro della politica
statale, come prescritto dal contratto nuziale.
Carlo Tito avrebbe
dovuto sposare, (se non fosse morto), sua cugina Maria Antonia di Parma,
infatti Maria Antonia aveva solo un anno in più di Carlo Tito, ma la morte
prematura di Carlo Tito fece sfumare il progetto.
La sua morte fu
quindi causata dal terribile vaiolo, esattamente come poi sarebbe accaduto ai
fratelli Maria Cristina e Giuseppe. Con il resto della famiglia è sepolto nella Basilica
di Santa Chiara.
I sovrani in
occasioni di momenti felici della loro vita erano soliti coniare
delle monete
commemorative. Una consuetudine che fu rispettata anche per la
nascita di Carlo
Tito.
Carlo Tito di
Borbone, principe delle Due Sicilie e Duca di Calabria
Il titolo di Duca
di Calabria era assegnato all’erede al trono.
Il precedente a
portare detto titolo era lo zio paterno Filippo,
escluso dalla successione
per demenza.
La sua nascita,
primogenito maschio della coppia reale, permise alla madre, Maria Carolina
d'Asburgo-Lorena un seggio nel Consiglio di Stato, centro della politica
statale, come prescritto dal contratto nuziale.
Carlo Tito avrebbe
dovuto sposare, (se non fosse morto), sua cugina Maria Antonia di Parma,
infatti Maria Antonia aveva solo un anno in più di Carlo Tito, ma la morte
prematura di Carlo Tito fece sfumare il progetto.
La sua morte fu
quindi causata dal terribile vaiolo, esattamente come poi sarebbe accaduto ai
fratelli Maria Cristina e Giuseppe. Con il resto della famiglia è sepolto nella Basilica
di Santa Chiara.
I sovrani in
occasioni di momenti felici della loro vita erano soliti coniare
delle monete
commemorative. Una consuetudine che fu rispettata anche per la
nascita di Carlo
Tito.
Il titolo di Duca di Calabria era assegnato all’erede al trono.
Il precedente a portare detto titolo era lo zio paterno Filippo,
escluso dalla successione per demenza.
La sua nascita, primogenito maschio della coppia reale, permise alla madre,
Carlo Tito avrebbe dovuto sposare, (se non fosse morto), sua cugina Maria Antonia di Parma, infatti Maria Antonia aveva solo un anno in più di Carlo Tito, ma la morte prematura di Carlo Tito fece sfumare il progetto.
La sua morte fu quindi causata dal terribile vaiolo, esattamente come poi sarebbe accaduto ai fratelli Maria Cristina e Giuseppe. Con il resto della famiglia è sepolto nella
I sovrani in occasioni di momenti felici della loro vita erano soliti coniare
delle monete commemorative. Una consuetudine che fu rispettata anche per la
nascita di Carlo Tito.
Medaglia (1775) –
Diametro: 58 mm
Coniata a Napoli
per la nascita di Carlo Tito
Dritto
FERDIN. IV.
SICILIAR ET. HIER. REX. ET. MARIA. CAR. REG.
Busti affiancati a
destra, del Re con la parrucca e la corazza e della regina in abito regale.
All’esergo: B.
PERGER. F.
Rovescio
SPES ALTERA
(sottointeso
REGNI. L’altra speranza del Regno)
In primo piano la
Speranza che sparge fiori, sul fondo veduta del Vesuvio e navi nel golfo.
All’esergo: B.
PERGER. F.
.........................
Medaglia (1775) –
Diametro: 58 mm
Coniata a Napoli
per la nascita di Carlo Tito
Dritto
FERDIN. IV.
SICILIAR ET. HIER. REX. ET. MARIA. CAR. REG.
Busti affiancati a
destra, del Re con la parrucca e la corazza e della regina in abito regale.
All’esergo: B.
PERGER. F.
Rovescio
SPES ALTERA
(sottointeso
REGNI. L’altra speranza del Regno)
In primo piano la
Speranza che sparge fiori, sul fondo veduta del Vesuvio e navi nel golfo.
All’esergo: B.
PERGER. F.
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Coniata a Napoli per la nascita di Carlo Tito
Dritto
FERDIN. IV. SICILIAR ET. HIER. REX. ET. MARIA. CAR. REG.
Busti affiancati a destra, del Re con la parrucca e la corazza e della regina in abito regale.
All’esergo: B. PERGER. F.
Rovescio
SPES ALTERA
(sottointeso REGNI. L’altra speranza del Regno)
In primo piano la Speranza che sparge fiori, sul fondo veduta del Vesuvio e navi nel golfo.
All’esergo: B. PERGER. F.
.........................
Medaglia (1775). Bronzo fuso. Diametro: 83 mm. Maestranze della zecca
di Napoli.
Per la nascita di Carlo Tito.
Al Dritto
HINC (da questo luogo).
Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano
sinistra, sullo sfondo un edificio.
All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.
Al Rovescio
/ CAROLVS / TITVS / PRID. NON. IAN / CASERTAE.
Scritta nel campo su quattro righe (Carlo Tito nato a Caserta il giorno prima
delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio).
Questa piccola opera non venne prodotta nella zecca partenopea, bensì dallo
scultore Tommaso Solari. Un artista molto attivo in quel periodo nel cantiere
della Reggia di Caserta e particolarmente apprezzato dall’architetto Luigi
Vanvitelli in persona. Lo stile e la firma dello scultore all’esergo sono
elementi che lasciano intendere verosimilmente che si trattò di un omaggio
medaglistico (ed artistico) personale dedicato al neonato Principe ereditario.
I Borbone commissionarono numerosi lavori al Solari (cfr. documenti Archivio
della Reggia di Caserta) e sicuramente quest’ultimo ritenne opportuno
dimostrare la sua riconoscenza alla famiglia Reale attraverso una medaglia
dedicata al loro nascituro. Nell’archivio della Reggia di Caserta si trovano
dei documenti che attestano già a partire dal 1759 l’instancabile ruolo del
Solari nel cantiere, di seguito è riportato un documento datato 1759 e firmato
dal Vanvitelli estrapolato dal volume 18 del suddetto archivio: “…
Essendo stata terminata dal sig. Tommaso Solari la statua dell’Antinoo,
d’appresso l’antico, scolpita in marmo di Carrara, alta fuori del zoccolo dai
piedi alla testa palmi 9 in circa ed avendola veduta ed esaminata, la
considero ed apprezzo in Ducati cinquecento di Napoli il suo giusto e doveroso
prezzo ed avendone ricevuto in dieci pagamenti ducati quattrocentoventi, in
saldo finale pagheranno di questa quota altri duc. 80. Dico … 80. Luigi
Vanvitelli. Caserta 23 Marzo 1759…”.
La presenza al dritto della parola HINC (da questo luogo), sarebbe un chiaro
riferimento all’edificio (Reggia di Caserta?) alle spalle della donna turrita e
luogo di nascita del Principe Ereditario.
........................................
Medaglia (1775). Bronzo fuso. Diametro: 83 mm. Maestranze della zecca
di Napoli.
Per la nascita di Carlo Tito.
Al Dritto
HINC (da questo luogo).
Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano
sinistra, sullo sfondo un edificio.
All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.
Al Rovescio
/ CAROLVS / TITVS / PRID. NON. IAN / CASERTAE.
Scritta nel campo su quattro righe (Carlo Tito nato a Caserta il giorno prima
delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio).
Questa piccola opera non venne prodotta nella zecca partenopea, bensì dallo
scultore Tommaso Solari. Un artista molto attivo in quel periodo nel cantiere
della Reggia di Caserta e particolarmente apprezzato dall’architetto Luigi
Vanvitelli in persona. Lo stile e la firma dello scultore all’esergo sono
elementi che lasciano intendere verosimilmente che si trattò di un omaggio
medaglistico (ed artistico) personale dedicato al neonato Principe ereditario.
I Borbone commissionarono numerosi lavori al Solari (cfr. documenti Archivio
della Reggia di Caserta) e sicuramente quest’ultimo ritenne opportuno
dimostrare la sua riconoscenza alla famiglia Reale attraverso una medaglia
dedicata al loro nascituro. Nell’archivio della Reggia di Caserta si trovano
dei documenti che attestano già a partire dal 1759 l’instancabile ruolo del
Solari nel cantiere, di seguito è riportato un documento datato 1759 e firmato
dal Vanvitelli estrapolato dal volume 18 del suddetto archivio: “…
Essendo stata terminata dal sig. Tommaso Solari la statua dell’Antinoo,
d’appresso l’antico, scolpita in marmo di Carrara, alta fuori del zoccolo dai
piedi alla testa palmi 9 in circa ed avendola veduta ed esaminata, la
considero ed apprezzo in Ducati cinquecento di Napoli il suo giusto e doveroso
prezzo ed avendone ricevuto in dieci pagamenti ducati quattrocentoventi, in
saldo finale pagheranno di questa quota altri duc. 80. Dico … 80. Luigi
Vanvitelli. Caserta 23 Marzo 1759…”.
La presenza al dritto della parola HINC (da questo luogo), sarebbe un chiaro
riferimento all’edificio (Reggia di Caserta?) alle spalle della donna turrita e
luogo di nascita del Principe Ereditario.
........................................
Per la nascita di Carlo Tito.
Al Dritto
HINC (da questo luogo).
Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano sinistra, sullo sfondo un edificio.
All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.
Al Rovescio
/ CAROLVS / TITVS / PRID. NON. IAN / CASERTAE.
Scritta nel campo su quattro righe (Carlo Tito nato a Caserta il giorno prima delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio).
Questa piccola opera non venne prodotta nella zecca partenopea, bensì dallo scultore Tommaso Solari. Un artista molto attivo in quel periodo nel cantiere della Reggia di Caserta e particolarmente apprezzato dall’architetto Luigi Vanvitelli in persona. Lo stile e la firma dello scultore all’esergo sono elementi che lasciano intendere verosimilmente che si trattò di un omaggio medaglistico (ed artistico) personale dedicato al neonato Principe ereditario. I Borbone commissionarono numerosi lavori al Solari (cfr. documenti Archivio della Reggia di Caserta) e sicuramente quest’ultimo ritenne opportuno dimostrare la sua riconoscenza alla famiglia Reale attraverso una medaglia dedicata al loro nascituro. Nell’archivio della Reggia di Caserta si trovano dei documenti che attestano già a partire dal 1759 l’instancabile ruolo del Solari nel cantiere, di seguito è riportato un documento datato 1759 e firmato dal Vanvitelli estrapolato dal volume 18 del suddetto archivio: “…
Essendo stata terminata dal sig. Tommaso Solari la statua dell’Antinoo, d’appresso l’antico, scolpita in marmo di Carrara, alta fuori del zoccolo dai piedi alla testa palmi 9 in circa ed avendola veduta ed esaminata, la considero ed apprezzo in Ducati cinquecento di Napoli il suo giusto e doveroso prezzo ed avendone ricevuto in dieci pagamenti ducati quattrocentoventi, in saldo finale pagheranno di questa quota altri duc. 80. Dico … 80. Luigi Vanvitelli. Caserta 23 Marzo 1759…”.
La presenza al dritto della parola HINC (da questo luogo), sarebbe un chiaro riferimento all’edificio (Reggia di Caserta?) alle spalle della donna turrita e luogo di nascita del Principe Ereditario.
........................................
Medaglia (1775). Bronzo fuso. Diametro: 83 mm. Per la nascita di Carlo Tito.Al DrittoHINC (da questo luogo). Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano
sinistra, sullo sfondo un edificio. All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.Al RovescioPRID. NON. IAN / CASERTAE. Scritta nel campo su due righe (Caserta, il giorno prima delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio). La medaglia illustrata nell’immagine fu presentata
nell’asta NAC 47 del Giugno 2008 (un’asta indimenticabile dove venne dispersa
una collezione di medaglie del Regno delle Due Sicilie) ed è una variante della
moneta precedente. Ciò che contraddistingue la differenza tra le due, è la
mancanza del nome del protagonista Carlo Tito al rovescio e la differenza di
stile dei caratteri. Al dritto, ed in particolar modo nell’espressione della
donna turrita i sono delle forti differenze.Nella medaglia precedente la donna ha un volto di
maggiori dimensioni e il naso meno accentuato, un volto decisamente più
delicato. Anche nei caratteri preseti nei due dritti ci sono delle differenze
nella dicitura HING che nella medagli precedente è stilizzata e più elegante.Altro particolare molto interessante al rovescio, è la presenza del punto
di interpunzione a forma di triangolo rispetto alla medaglia precedente che
presenta invece un punto Il triangolo è un simbolo di interpunzione davvero
insolito per gli artisti napoletani dell’epoca in quanto presente nella maggior
parte dei casi, su molte medaglie di epoca barocca ed in particolare del
Soldani
Maria Carolina con il figlio Carlo Tito
Medaglia (1775). Bronzo fuso. Diametro: 83 mm. Per la nascita di Carlo Tito.Al DrittoHINC (da questo luogo). Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano
sinistra, sullo sfondo un edificio. All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.Al RovescioPRID. NON. IAN / CASERTAE. Scritta nel campo su due righe (Caserta, il giorno prima delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio). La medaglia illustrata nell’immagine fu presentata
nell’asta NAC 47 del Giugno 2008 (un’asta indimenticabile dove venne dispersa
una collezione di medaglie del Regno delle Due Sicilie) ed è una variante della
moneta precedente. Ciò che contraddistingue la differenza tra le due, è la
mancanza del nome del protagonista Carlo Tito al rovescio e la differenza di
stile dei caratteri. Al dritto, ed in particolar modo nell’espressione della
donna turrita i sono delle forti differenze.Nella medaglia precedente la donna ha un volto di
maggiori dimensioni e il naso meno accentuato, un volto decisamente più
delicato. Anche nei caratteri preseti nei due dritti ci sono delle differenze
nella dicitura HING che nella medagli precedente è stilizzata e più elegante.Altro particolare molto interessante al rovescio, è la presenza del punto
di interpunzione a forma di triangolo rispetto alla medaglia precedente che
presenta invece un punto Il triangolo è un simbolo di interpunzione davvero
insolito per gli artisti napoletani dell’epoca in quanto presente nella maggior
parte dei casi, su molte medaglie di epoca barocca ed in particolare del
Soldani
Maria Carolina con il figlio Carlo Tito
Medaglia (1775). Bronzo fuso. Diametro: 83 mm. Per la nascita di Carlo Tito.Al DrittoHINC (da questo luogo). Una figura di donna turrita con una colomba (simbolo di pace) nella mano
sinistra, sullo sfondo un edificio. All'esergo, in incuso, THO. SOLARI. F.Al RovescioPRID. NON. IAN / CASERTAE. Scritta nel campo su due righe (Caserta, il giorno prima delle None di Gennaio, ovvero il 4 Gennaio). La medaglia illustrata nell’immagine fu presentata
nell’asta NAC 47 del Giugno 2008 (un’asta indimenticabile dove venne dispersa
una collezione di medaglie del Regno delle Due Sicilie) ed è una variante della
moneta precedente. Ciò che contraddistingue la differenza tra le due, è la
mancanza del nome del protagonista Carlo Tito al rovescio e la differenza di
stile dei caratteri. Al dritto, ed in particolar modo nell’espressione della
donna turrita i sono delle forti differenze.Nella medaglia precedente la donna ha un volto di
maggiori dimensioni e il naso meno accentuato, un volto decisamente più
delicato. Anche nei caratteri preseti nei due dritti ci sono delle differenze
nella dicitura HING che nella medagli precedente è stilizzata e più elegante.Altro particolare molto interessante al rovescio, è la presenza del punto
di interpunzione a forma di triangolo rispetto alla medaglia precedente che
presenta invece un punto Il triangolo è un simbolo di interpunzione davvero
insolito per gli artisti napoletani dell’epoca in quanto presente nella maggior
parte dei casi, su molte medaglie di epoca barocca ed in particolare del
Soldani
Maria Carolina con il figlio Carlo Tito
Altro particolare molto interessante al rovescio, è la presenza del punto
di interpunzione a forma di triangolo rispetto alla medaglia precedente che
presenta invece un punto Il triangolo è un simbolo di interpunzione davvero
insolito per gli artisti napoletani dell’epoca in quanto presente nella maggior
parte dei casi, su molte medaglie di epoca barocca ed in particolare del
Soldani
Maria Carolina con il figlio Carlo Tito
4. La Costruzione dell’Ospizio di
BelvedereIl
re fu scosso dalla grave tragedia familiare e decise di erigere un ospizio,
trasformando il vecchio edificio del “Belvedere”, per i poveri della
provincia.. proprio a San Leucio determinando il destino della colonia.Vicino
all’ospizio fece costruire un opificio per non tenere in ozio i poveri ospitati
e per avviare l’attività fece giungere dal Nord Italia delle imprese tra cui la
Brunetti di Torino famosa nella produzione di seta.La
colonia subì subito un aumento e si
decise di costruire altri edifici per migliorare la funzionalità del borgo. Tra
gli edifici fu costruita anche una parrocchia, gli alloggi per gli educatori e
dei grandi padiglioni per la collocazione dei macchinari.Una
vera e propria trasformazione urbanistica perché oltre alla residenza reale
avrebbe raccolto«tutto il lavorio
e le manifatture che erano sparse nelle diverse abitazioni e tutta quella
Gioventù sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco». Lo
schema urbanistico generale comprendeva:-
una zona quasi totalmente destinata all'attività
agricola sorta intorno al primitivo nucleo detto «la Vaccheria»;-
una
zona destinata all'attività manifatturiera intorno all’antico edificio del
Belvedere; -
una terza, nei pressi dell’ingresso della cittadella,
avente un carattere solamente residenziale.
4. La Costruzione dell’Ospizio di
BelvedereIl
re fu scosso dalla grave tragedia familiare e decise di erigere un ospizio,
trasformando il vecchio edificio del “Belvedere”, per i poveri della
provincia.. proprio a San Leucio determinando il destino della colonia.Vicino
all’ospizio fece costruire un opificio per non tenere in ozio i poveri ospitati
e per avviare l’attività fece giungere dal Nord Italia delle imprese tra cui la
Brunetti di Torino famosa nella produzione di seta.La
colonia subì subito un aumento e si
decise di costruire altri edifici per migliorare la funzionalità del borgo. Tra
gli edifici fu costruita anche una parrocchia, gli alloggi per gli educatori e
dei grandi padiglioni per la collocazione dei macchinari.Una
vera e propria trasformazione urbanistica perché oltre alla residenza reale
avrebbe raccolto«tutto il lavorio
e le manifatture che erano sparse nelle diverse abitazioni e tutta quella
Gioventù sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco». Lo
schema urbanistico generale comprendeva:-
una zona quasi totalmente destinata all'attività
agricola sorta intorno al primitivo nucleo detto «la Vaccheria»;-
una
zona destinata all'attività manifatturiera intorno all’antico edificio del
Belvedere; -
una terza, nei pressi dell’ingresso della cittadella,
avente un carattere solamente residenziale.
4. La Costruzione dell’Ospizio di
BelvedereIl
re fu scosso dalla grave tragedia familiare e decise di erigere un ospizio,
trasformando il vecchio edificio del “Belvedere”, per i poveri della
provincia.. proprio a San Leucio determinando il destino della colonia.Vicino
all’ospizio fece costruire un opificio per non tenere in ozio i poveri ospitati
e per avviare l’attività fece giungere dal Nord Italia delle imprese tra cui la
Brunetti di Torino famosa nella produzione di seta.La
colonia subì subito un aumento e si
decise di costruire altri edifici per migliorare la funzionalità del borgo. Tra
gli edifici fu costruita anche una parrocchia, gli alloggi per gli educatori e
dei grandi padiglioni per la collocazione dei macchinari.Una
vera e propria trasformazione urbanistica perché oltre alla residenza reale
avrebbe raccolto«tutto il lavorio
e le manifatture che erano sparse nelle diverse abitazioni e tutta quella
Gioventù sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco». Lo
schema urbanistico generale comprendeva:-
una zona quasi totalmente destinata all'attività
agricola sorta intorno al primitivo nucleo detto «la Vaccheria»;-
una
zona destinata all'attività manifatturiera intorno all’antico edificio del
Belvedere; -
una terza, nei pressi dell’ingresso della cittadella,
avente un carattere solamente residenziale.
4. La Costruzione dell’Ospizio di
BelvedereIl
re fu scosso dalla grave tragedia familiare e decise di erigere un ospizio,
trasformando il vecchio edificio del “Belvedere”, per i poveri della
provincia.. proprio a San Leucio determinando il destino della colonia.Vicino
all’ospizio fece costruire un opificio per non tenere in ozio i poveri ospitati
e per avviare l’attività fece giungere dal Nord Italia delle imprese tra cui la
Brunetti di Torino famosa nella produzione di seta.La
colonia subì subito un aumento e si
decise di costruire altri edifici per migliorare la funzionalità del borgo. Tra
gli edifici fu costruita anche una parrocchia, gli alloggi per gli educatori e
dei grandi padiglioni per la collocazione dei macchinari.Una
vera e propria trasformazione urbanistica perché oltre alla residenza reale
avrebbe raccolto«tutto il lavorio
e le manifatture che erano sparse nelle diverse abitazioni e tutta quella
Gioventù sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco». Lo
schema urbanistico generale comprendeva:-
una zona quasi totalmente destinata all'attività
agricola sorta intorno al primitivo nucleo detto «la Vaccheria»;-
una
zona destinata all'attività manifatturiera intorno all’antico edificio del
Belvedere; -
una terza, nei pressi dell’ingresso della cittadella,
avente un carattere solamente residenziale.
La
composizione urbanistica fu curata dall'architetto Francesco Collecini, al
quale si deve l'intera opera di S. Leucio, e fu legata alla più rigida
concezione assiale. Strade, viali, edifici, presi isolatamente e nei loro
rapporti reciproci, presentano un chiaro e preciso ordine simmetrico. Fanno eccezione le due file di case dei coloni, che, prospicienti il Belvedere, si
stendono ad oriente e ad occidente di esso. Le due file non sono tra loro allineate,
ma formano una lieve angolazione quasi a seguire una curva di livello del
monte, in realtà corrispondente all'andamento del muro di recinzione della
tenuta di caccia, divenuto poi confine della comunità manifatturiera.
La
composizione urbanistica fu curata dall'architetto Francesco Collecini, al
quale si deve l'intera opera di S. Leucio, e fu legata alla più rigida
concezione assiale. Strade, viali, edifici, presi isolatamente e nei loro
rapporti reciproci, presentano un chiaro e preciso ordine simmetrico. Fanno eccezione le due file di case dei coloni, che, prospicienti il Belvedere, si
stendono ad oriente e ad occidente di esso. Le due file non sono tra loro allineate,
ma formano una lieve angolazione quasi a seguire una curva di livello del
monte, in realtà corrispondente all'andamento del muro di recinzione della
tenuta di caccia, divenuto poi confine della comunità manifatturiera.
La
composizione urbanistica fu curata dall'architetto Francesco Collecini, al
quale si deve l'intera opera di S. Leucio, e fu legata alla più rigida
concezione assiale. Strade, viali, edifici, presi isolatamente e nei loro
rapporti reciproci, presentano un chiaro e preciso ordine simmetrico. Fanno eccezione le due file di case dei coloni, che, prospicienti il Belvedere, si
stendono ad oriente e ad occidente di esso. Le due file non sono tra loro allineate,
ma formano una lieve angolazione quasi a seguire una curva di livello del
monte, in realtà corrispondente all'andamento del muro di recinzione della
tenuta di caccia, divenuto poi confine della comunità manifatturiera.
La
composizione urbanistica fu curata dall'architetto Francesco Collecini, al
quale si deve l'intera opera di S. Leucio, e fu legata alla più rigida
concezione assiale. Strade, viali, edifici, presi isolatamente e nei loro
rapporti reciproci, presentano un chiaro e preciso ordine simmetrico. Fanno eccezione le due file di case dei coloni, che, prospicienti il Belvedere, si
stendono ad oriente e ad occidente di esso. Le due file non sono tra loro allineate,
ma formano una lieve angolazione quasi a seguire una curva di livello del
monte, in realtà corrispondente all'andamento del muro di recinzione della
tenuta di caccia, divenuto poi confine della comunità manifatturiera.
Il
centro della colonia era l’antico casino Belvedere che fu ristrutturato nel
1778.II
nucleo principale dell'edificio si svolge intorno ad un grande cortile
rettangolare chiuso. Sul lato orientale di questa fabbrica si snoda un altro
cortile aperto verso mezzogiorno e circondato da corpi di fabbrica destinati
quasi esclusivamente ad opifici. Questo secondo cortile doveva costituire la parte centrale dell'intero complesso leuciano secondo il piano che prevedeva di
ripetere simmetricamente sul lato ad est un volume edilizio pari a quello del
Belvedere situato sul lato ovest.
Il
centro della colonia era l’antico casino Belvedere che fu ristrutturato nel
1778.II
nucleo principale dell'edificio si svolge intorno ad un grande cortile
rettangolare chiuso. Sul lato orientale di questa fabbrica si snoda un altro
cortile aperto verso mezzogiorno e circondato da corpi di fabbrica destinati
quasi esclusivamente ad opifici. Questo secondo cortile doveva costituire la parte centrale dell'intero complesso leuciano secondo il piano che prevedeva di
ripetere simmetricamente sul lato ad est un volume edilizio pari a quello del
Belvedere situato sul lato ovest.
Il
centro della colonia era l’antico casino Belvedere che fu ristrutturato nel
1778.II
nucleo principale dell'edificio si svolge intorno ad un grande cortile
rettangolare chiuso. Sul lato orientale di questa fabbrica si snoda un altro
cortile aperto verso mezzogiorno e circondato da corpi di fabbrica destinati
quasi esclusivamente ad opifici. Questo secondo cortile doveva costituire la parte centrale dell'intero complesso leuciano secondo il piano che prevedeva di
ripetere simmetricamente sul lato ad est un volume edilizio pari a quello del
Belvedere situato sul lato ovest.
Il
centro della colonia era l’antico casino Belvedere che fu ristrutturato nel
1778.II
nucleo principale dell'edificio si svolge intorno ad un grande cortile
rettangolare chiuso. Sul lato orientale di questa fabbrica si snoda un altro
cortile aperto verso mezzogiorno e circondato da corpi di fabbrica destinati
quasi esclusivamente ad opifici. Questo secondo cortile doveva costituire la parte centrale dell'intero complesso leuciano secondo il piano che prevedeva di
ripetere simmetricamente sul lato ad est un volume edilizio pari a quello del
Belvedere situato sul lato ovest.
Il
complesso edificio del Belvedere conteneva la chiesa, la scuola, la dimora
reale, quella dei principali cittadini, i depositi; unitamente alla filanda, ai
filatoi e alle altre attrezzature dell'opificio.In
ogni costruzione di San Leucio si nota un perfetto legame tra la ricerca di uno
stile monumentale e quello rustico, rurale.Questi
aspetti sono evidenti nell’avancorpo principale contenente la chiesa, la
scuola, gli alloggi e nel cortile della
fabbrica.
Il
complesso edificio del Belvedere conteneva la chiesa, la scuola, la dimora
reale, quella dei principali cittadini, i depositi; unitamente alla filanda, ai
filatoi e alle altre attrezzature dell'opificio.In
ogni costruzione di San Leucio si nota un perfetto legame tra la ricerca di uno
stile monumentale e quello rustico, rurale.Questi
aspetti sono evidenti nell’avancorpo principale contenente la chiesa, la
scuola, gli alloggi e nel cortile della
fabbrica.
Il
complesso edificio del Belvedere conteneva la chiesa, la scuola, la dimora
reale, quella dei principali cittadini, i depositi; unitamente alla filanda, ai
filatoi e alle altre attrezzature dell'opificio.In
ogni costruzione di San Leucio si nota un perfetto legame tra la ricerca di uno
stile monumentale e quello rustico, rurale.Questi
aspetti sono evidenti nell’avancorpo principale contenente la chiesa, la
scuola, gli alloggi e nel cortile della
fabbrica.
Il
complesso edificio del Belvedere conteneva la chiesa, la scuola, la dimora
reale, quella dei principali cittadini, i depositi; unitamente alla filanda, ai
filatoi e alle altre attrezzature dell'opificio.In
ogni costruzione di San Leucio si nota un perfetto legame tra la ricerca di uno
stile monumentale e quello rustico, rurale.Questi
aspetti sono evidenti nell’avancorpo principale contenente la chiesa, la
scuola, gli alloggi e nel cortile della
fabbrica.
Il
prospetto a sud con le sue lesene giganti, l’alto timpano e il particolare
disegno delle aperture (di notevole interesse quelle strombate che si aprono
nelle testate) testimonia quel gusto neoclassico che traeva origine dall’opera
di Vanvitelli; opera ben nota al Collecini che ne fu allievo e suo collaboratore nei lavori della reggia di Caserta.Il
cortile interno del Belvedere oppone al monumentale prospetto, un suo carattere
rustico e severo. Qui la plastica architettonica minore cede il posto alla
consistenza volumetrica dei corpi di fabbrica, al ritmo delle arcate, al
disegno del robusto tetto di copertura su cui sono disposte in bell’ordine le
ciminiere della fabbrica.L’architetto
Collecini disegnò l’intero complesso secondo il volere del re Ferdinando IV di Borbone..una casa di
campagna avente il tono di una reggia e al tempo stesso una residenza reale con
la schiettezza di un rustico podere.
Una
grande importanza edilizia, ed anche storica, hanno le case dei coloni che
furono iniziate nel 1786 (?). Nella
futura compilazione dello statuto della comunità, lo stesso Ferdinando IV
scriveva che:«Si stanno anche
edificando delle nuove case per comodo di quei giovani, che vadano giungendo
all’età di potersi unire in matrimonio, e per quegli artefici forestieri, che
si fissino nel luogo
e nello scrivere
le norme relative ai matrimoni nella comunità
«ed allora in
premio della loro buona riuscita si concederà da Me ad essi una delle nuove
case che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario per i
comodi della vita, e i due mestieri [cioè due telai], co’ quali lucrar si
possano il cotidiano mantenimento».
Il
prospetto a sud con le sue lesene giganti, l’alto timpano e il particolare
disegno delle aperture (di notevole interesse quelle strombate che si aprono
nelle testate) testimonia quel gusto neoclassico che traeva origine dall’opera
di Vanvitelli; opera ben nota al Collecini che ne fu allievo e suo collaboratore nei lavori della reggia di Caserta.Il
cortile interno del Belvedere oppone al monumentale prospetto, un suo carattere
rustico e severo. Qui la plastica architettonica minore cede il posto alla
consistenza volumetrica dei corpi di fabbrica, al ritmo delle arcate, al
disegno del robusto tetto di copertura su cui sono disposte in bell’ordine le
ciminiere della fabbrica.L’architetto
Collecini disegnò l’intero complesso secondo il volere del re Ferdinando IV di Borbone..una casa di
campagna avente il tono di una reggia e al tempo stesso una residenza reale con
la schiettezza di un rustico podere.
Una
grande importanza edilizia, ed anche storica, hanno le case dei coloni che
furono iniziate nel 1786 (?). Nella
futura compilazione dello statuto della comunità, lo stesso Ferdinando IV
scriveva che:«Si stanno anche
edificando delle nuove case per comodo di quei giovani, che vadano giungendo
all’età di potersi unire in matrimonio, e per quegli artefici forestieri, che
si fissino nel luogo
e nello scrivere
le norme relative ai matrimoni nella comunità
«ed allora in
premio della loro buona riuscita si concederà da Me ad essi una delle nuove
case che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario per i
comodi della vita, e i due mestieri [cioè due telai], co’ quali lucrar si
possano il cotidiano mantenimento».
Il
prospetto a sud con le sue lesene giganti, l’alto timpano e il particolare
disegno delle aperture (di notevole interesse quelle strombate che si aprono
nelle testate) testimonia quel gusto neoclassico che traeva origine dall’opera
di Vanvitelli; opera ben nota al Collecini che ne fu allievo e suo collaboratore nei lavori della reggia di Caserta.Il
cortile interno del Belvedere oppone al monumentale prospetto, un suo carattere
rustico e severo. Qui la plastica architettonica minore cede il posto alla
consistenza volumetrica dei corpi di fabbrica, al ritmo delle arcate, al
disegno del robusto tetto di copertura su cui sono disposte in bell’ordine le
ciminiere della fabbrica.L’architetto
Collecini disegnò l’intero complesso secondo il volere del re Ferdinando IV di Borbone..una casa di
campagna avente il tono di una reggia e al tempo stesso una residenza reale con
la schiettezza di un rustico podere.
Una
grande importanza edilizia, ed anche storica, hanno le case dei coloni che
furono iniziate nel 1786 (?). Nella
futura compilazione dello statuto della comunità, lo stesso Ferdinando IV
scriveva che:«Si stanno anche
edificando delle nuove case per comodo di quei giovani, che vadano giungendo
all’età di potersi unire in matrimonio, e per quegli artefici forestieri, che
si fissino nel luogo
e nello scrivere
le norme relative ai matrimoni nella comunità
«ed allora in
premio della loro buona riuscita si concederà da Me ad essi una delle nuove
case che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario per i
comodi della vita, e i due mestieri [cioè due telai], co’ quali lucrar si
possano il cotidiano mantenimento».
Il
prospetto a sud con le sue lesene giganti, l’alto timpano e il particolare
disegno delle aperture (di notevole interesse quelle strombate che si aprono
nelle testate) testimonia quel gusto neoclassico che traeva origine dall’opera
di Vanvitelli; opera ben nota al Collecini che ne fu allievo e suo collaboratore nei lavori della reggia di Caserta.Il
cortile interno del Belvedere oppone al monumentale prospetto, un suo carattere
rustico e severo. Qui la plastica architettonica minore cede il posto alla
consistenza volumetrica dei corpi di fabbrica, al ritmo delle arcate, al
disegno del robusto tetto di copertura su cui sono disposte in bell’ordine le
ciminiere della fabbrica.L’architetto
Collecini disegnò l’intero complesso secondo il volere del re Ferdinando IV di Borbone..una casa di
campagna avente il tono di una reggia e al tempo stesso una residenza reale con
la schiettezza di un rustico podere.
Una
grande importanza edilizia, ed anche storica, hanno le case dei coloni che
furono iniziate nel 1786 (?). Nella
futura compilazione dello statuto della comunità, lo stesso Ferdinando IV
scriveva che:«Si stanno anche
edificando delle nuove case per comodo di quei giovani, che vadano giungendo
all’età di potersi unire in matrimonio, e per quegli artefici forestieri, che
si fissino nel luogo
e nello scrivere
le norme relative ai matrimoni nella comunità
«ed allora in
premio della loro buona riuscita si concederà da Me ad essi una delle nuove
case che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario per i
comodi della vita, e i due mestieri [cioè due telai], co’ quali lucrar si
possano il cotidiano mantenimento».
e nello scrivere le norme relative ai matrimoni nella comunità
«ed allora in premio della loro buona riuscita si concederà da Me ad essi una delle nuove case che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario per i comodi della vita, e i due mestieri [cioè due telai], co’ quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento».
L’assegnazione di questi alloggi rientrava così nella dote
matrimoniale che Ferdinando aboliva se concessa dalla famiglia della sposa, ma
alla quale provvedeva personalmente per evitare la disuguaglianza tra le
famiglie nascenti dei giovani coloni. Le
case sono disposte in due file che prendono rispettivamente nome di quartiere
S. Ferdinando Re nel lato a destra del portale d’ingresso alla colonia e S.
Carlo nel lato a sinistra. Così come sono stati realizzati, i quartieri S. Ferdinando e S. Carlo altro non sono che due file di
case a schiera con alloggi su due piani.
L’assegnazione di questi alloggi rientrava così nella dote
matrimoniale che Ferdinando aboliva se concessa dalla famiglia della sposa, ma
alla quale provvedeva personalmente per evitare la disuguaglianza tra le
famiglie nascenti dei giovani coloni. Le
case sono disposte in due file che prendono rispettivamente nome di quartiere
S. Ferdinando Re nel lato a destra del portale d’ingresso alla colonia e S.
Carlo nel lato a sinistra. Così come sono stati realizzati, i quartieri S. Ferdinando e S. Carlo altro non sono che due file di
case a schiera con alloggi su due piani.
L’assegnazione di questi alloggi rientrava così nella dote
matrimoniale che Ferdinando aboliva se concessa dalla famiglia della sposa, ma
alla quale provvedeva personalmente per evitare la disuguaglianza tra le
famiglie nascenti dei giovani coloni. Le
case sono disposte in due file che prendono rispettivamente nome di quartiere
S. Ferdinando Re nel lato a destra del portale d’ingresso alla colonia e S.
Carlo nel lato a sinistra. Così come sono stati realizzati, i quartieri S. Ferdinando e S. Carlo altro non sono che due file di
case a schiera con alloggi su due piani.
L’assegnazione di questi alloggi rientrava così nella dote
matrimoniale che Ferdinando aboliva se concessa dalla famiglia della sposa, ma
alla quale provvedeva personalmente per evitare la disuguaglianza tra le
famiglie nascenti dei giovani coloni. Le
case sono disposte in due file che prendono rispettivamente nome di quartiere
S. Ferdinando Re nel lato a destra del portale d’ingresso alla colonia e S.
Carlo nel lato a sinistra. Così come sono stati realizzati, i quartieri S. Ferdinando e S. Carlo altro non sono che due file di
case a schiera con alloggi su due piani.
La foto è ruotata.
Il Quartiere San
Ferdinando è a sinistra e quello di San Carlo a destra
La foto è ruotata.
Il Quartiere San
Ferdinando è a sinistra e quello di San Carlo a destra
La foto è ruotata.
Il Quartiere San
Ferdinando è a sinistra e quello di San Carlo a destra
La foto è ruotata.
Il Quartiere San
Ferdinando è a sinistra e quello di San Carlo a destra
Il Quartiere San Ferdinando è a sinistra e quello di San Carlo a destra
In
pianta ciascuna cellula presenta due vani al pianterreno e due o tre vani al
piano superiore uniti da una scala interna generalmente formata da un solo
rampante. L'altezza limitata dei vani, la ripetizione pressocché costante dello
schema planimetrico rendono i due complessi di case a schiera assai simili ai
più moderni esempi della stessa tipologia edilizia. All'esterno si rinnova la coesistenza di un classico rigore architettonico con un semplice carattere di
edilizia rurale.Le
case hanno anche altri aspetti particolari.
In
pianta ciascuna cellula presenta due vani al pianterreno e due o tre vani al
piano superiore uniti da una scala interna generalmente formata da un solo
rampante. L'altezza limitata dei vani, la ripetizione pressocché costante dello
schema planimetrico rendono i due complessi di case a schiera assai simili ai
più moderni esempi della stessa tipologia edilizia. All'esterno si rinnova la coesistenza di un classico rigore architettonico con un semplice carattere di
edilizia rurale.Le
case hanno anche altri aspetti particolari.
In
pianta ciascuna cellula presenta due vani al pianterreno e due o tre vani al
piano superiore uniti da una scala interna generalmente formata da un solo
rampante. L'altezza limitata dei vani, la ripetizione pressocché costante dello
schema planimetrico rendono i due complessi di case a schiera assai simili ai
più moderni esempi della stessa tipologia edilizia. All'esterno si rinnova la coesistenza di un classico rigore architettonico con un semplice carattere di
edilizia rurale.Le
case hanno anche altri aspetti particolari.
In
pianta ciascuna cellula presenta due vani al pianterreno e due o tre vani al
piano superiore uniti da una scala interna generalmente formata da un solo
rampante. L'altezza limitata dei vani, la ripetizione pressocché costante dello
schema planimetrico rendono i due complessi di case a schiera assai simili ai
più moderni esempi della stessa tipologia edilizia. All'esterno si rinnova la coesistenza di un classico rigore architettonico con un semplice carattere di
edilizia rurale.Le
case hanno anche altri aspetti particolari.
Le
case del quartiere “San Carlo” furono influenzate dall’esistenza del declivio
di Monte San Leucio. C’era un dislivello per cui le case furono accostate con un
andamento a scalare. Gli sfalsamenti risultanti trovano corrispondenza in ogni
elemento della composizione architettonica e particolarmente nei cornicioni
che, per evitare bruschi salti o soluzioni di continuità, proseguono nei punti
di dislivello con dei tratti in verticale. Cosicché' il coronamento della lunga
fila di alloggi risulta composto da una lunga gradinata di cornici in stucco.
Le
case del quartiere “San Carlo” furono influenzate dall’esistenza del declivio
di Monte San Leucio. C’era un dislivello per cui le case furono accostate con un
andamento a scalare. Gli sfalsamenti risultanti trovano corrispondenza in ogni
elemento della composizione architettonica e particolarmente nei cornicioni
che, per evitare bruschi salti o soluzioni di continuità, proseguono nei punti
di dislivello con dei tratti in verticale. Cosicché' il coronamento della lunga
fila di alloggi risulta composto da una lunga gradinata di cornici in stucco.
Le
case del quartiere “San Carlo” furono influenzate dall’esistenza del declivio
di Monte San Leucio. C’era un dislivello per cui le case furono accostate con un
andamento a scalare. Gli sfalsamenti risultanti trovano corrispondenza in ogni
elemento della composizione architettonica e particolarmente nei cornicioni
che, per evitare bruschi salti o soluzioni di continuità, proseguono nei punti
di dislivello con dei tratti in verticale. Cosicché' il coronamento della lunga
fila di alloggi risulta composto da una lunga gradinata di cornici in stucco.
Le
case del quartiere “San Carlo” furono influenzate dall’esistenza del declivio
di Monte San Leucio. C’era un dislivello per cui le case furono accostate con un
andamento a scalare. Gli sfalsamenti risultanti trovano corrispondenza in ogni
elemento della composizione architettonica e particolarmente nei cornicioni
che, per evitare bruschi salti o soluzioni di continuità, proseguono nei punti
di dislivello con dei tratti in verticale. Cosicché' il coronamento della lunga
fila di alloggi risulta composto da una lunga gradinata di cornici in stucco.
5.
Il Codice LeucianoL’istruzione
degli ospiti era affidata ad un Direttore dei Mestieri ciascuno con la sua specializzazione. Un vero e proprio percorso formativo.Ferdinando
IV di Borbone, su consiglio del ministro Bernardo Tanucci, pensò d’inviare i
giovani in Francia per apprendere l’arte della tessitura e successivamente da
impiegare negli stabilimenti reali.Quando
il Tanucci fu esonerato dal suo incarico, il nuovo ministro Domenico Caracciolo
diede un ulteriore sviluppo alla colonia. Fu costituita, su progetto anche dell’architetto
Francesco Collecini, una comunità nota con il nome di “Real Colonia di San
Leucio” e che fu basata su norme proprie.Infatti
nel 1789 il sovrano firmò un trattato
che conteneva i principi su cui si basava la comunità di San Leucio:Origine della
popolazione di San Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi
corrispondenti al buon governo di essa di Ferdinando IV Re delle Sicilie
conosciuti anche
come
Statuti di San
Leucio.
Si
tramanda che questo codice fu voluto dalla moglie del sovrano, Maria Carolina d’Asburgo
– Lorena e fu scritto dal massone
Antonio Planelli su ispirazione di Mario Pagano (giurista, filosofo, politico drammaturgo) e di altri illuministi. Fu pubblicato dalla “Stamperia
Reale del Regno di Napoli” in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e
ventidue paragrafi, rispecchiava le aspirazioni del dispotismo illuminato dell'epoca ad
interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed economica e poneva grande
attenzione al ruolo della donna.Alle
maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi,
piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici
di cui usufruivano gli operai delle seterie.Ai
lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all'interno della
colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l'istruzione gratuita potendo
beneficiare, difatti, della prima scuola dell'obbligo d'Italia che iniziava fin
da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l'economia
domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi. I figli erano
ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d'Europa. Le abitazioni furono progettate tenendo
presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel
tempo (abitate tuttora) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e
servizi igienici.Per
contrarre matrimonio gli uomini e le donne, compiuti rispettivamente almeno 20
e 16 anni, dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al
merito” concesso dai Direttori dei Mestieri. I matrimoni si svolgevano il
giorno di Pentecoste con una celebrazione particolare: a ogni coppia
era assegnato un mazzo di rose, bianche per gli uomini e rosa per le
donne, fuori la chiesa li aspettavano gli anziani del villaggio, di fronte ai
quali le coppie si scambiavano i mazzi di fiori come promessa di
matrimonio. Ciascuno era libero di lasciare la colonia quando voleva, ma, data
la natura produttiva del luogo, si cercava di inibire tali eventualità, ad es.,
facendo divieto di ritorno in colonia oppure riducendo al minimo le
liquidazioni.La
produttività era garantita da un bonus in danaro che gli
operai ricevevano in base al livello di perizia che avevano raggiunto. La
proprietà privata era tutelata, ma erano abolite le doti e i testamenti. I beni
del marito deceduto passavano alla vedova e da questa al “Monte degli orfani”, cioè la cassa comune gestita da un prelato che serviva al mantenimento dei meno
fortunati. Le questioni personali erano giudicate dall'Assise degli Anziani,
cd. seniores, che avevano raggiunto i massimi livelli di
benemerenza ed erano di nomina elettiva. I seniores monitoravano
anche la qualità igienica delle abitazioni e potevano deliberare sanzioni
disciplinari nonché espulsioni dalla colonia.Per
contrastare la concorrenza straniera, i leuciani si aprirono al mercato
dell'abbigliamento con la produzione di maglie, calze, broccati e velluti.
Così, seguendo la moda francese, si passò dai pekins ai tulle,
dai chines ai reps. La fortuna delle produzioni leuciane è
ampiamente documentata fino alla prima metà dell’ 800 quando
l'impianto ebbe l'esclusiva sullo straordinario tessuto “fili di vetro”
scoperto da Gio. U. RuforfFerdinando
IV, che morirà nel gennaio 1825, aveva in progetto di allargare la colonia per
le nuove esigenze industriali legate all’introduzione della “trattura” (quindi
la prima fase di lavorazione con l’immersione dei bozzoli in acqua calda e
presa del filo sericeo da introdurre poi nei torcitoi) e della manifattura dei
veli. L’obiettivo era la costruzione di una città da chiamare “Ferdinandopoli” e concepita su una pianta completamente circolare con un sistema stradale
radiale e una piazza al centro per farne anche una sede reale. Non vi riuscì,Diverse opportunità erano
offerte anche agli invalidi del lavoro che potevano rimanere in loco dopo l'infortunio; per questi fu progettato un ospizio apposito, la “Casa degli
infermi”, che però non fu possibile portare a compimento a causa della discesa
di Napoleone
Buonaparte in Italia e della nascita
della Repubblica
Partenopea nel 1799. Pertanto, gli invalidi continuarono a sopravvivere grazie a delle
donazioni spontanee dei lavoratori diplomati al merito, raccolti in un'apposita
cassa dai seniores. Gli operai addetti alla coltivazione dei campi,
invece, potevano vendere una parte delraccolto al mercato in base ai prezzi
stabiliti dal sovrano.Nel 1789 Lady
Elisabeth Craven, moglie di Lord Craven, magravio di Anspanich, soggiornò perqualche settimana a Caserta scrivendo le sue memorie nel Portrait du
Roi Ferdinand che fu pubblicato a Londra nel 1826: «mi fornì
spiegazioni non pure su tutte le regole dello stabilimento ma fin più intricati
congegni meccanismi che rendevano quel lavoro più agevole». Tra
il 1790 e il 1796 anche Giuseppe Galanti, allievo di
Antonio Genovesi, si soffermo sul posto:«il più lodevole
in questa costituzione è che nulla si fa per forza. L'onore ed altri piccioli
problemi debbono bastare a far osservare le leggi». Ma vediamo più in
dettaglio quelle norme emanate da Ferdinando IV di Borbone che regolavano la
comunità.
5.
Il Codice LeucianoL’istruzione
degli ospiti era affidata ad un Direttore dei Mestieri ciascuno con la sua specializzazione. Un vero e proprio percorso formativo.Ferdinando
IV di Borbone, su consiglio del ministro Bernardo Tanucci, pensò d’inviare i
giovani in Francia per apprendere l’arte della tessitura e successivamente da
impiegare negli stabilimenti reali.Quando
il Tanucci fu esonerato dal suo incarico, il nuovo ministro Domenico Caracciolo
diede un ulteriore sviluppo alla colonia. Fu costituita, su progetto anche dell’architetto
Francesco Collecini, una comunità nota con il nome di “Real Colonia di San
Leucio” e che fu basata su norme proprie.Infatti
nel 1789 il sovrano firmò un trattato
che conteneva i principi su cui si basava la comunità di San Leucio:Origine della
popolazione di San Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi
corrispondenti al buon governo di essa di Ferdinando IV Re delle Sicilie
conosciuti anche
come
Statuti di San
Leucio.
Si
tramanda che questo codice fu voluto dalla moglie del sovrano, Maria Carolina d’Asburgo
– Lorena e fu scritto dal massone
Antonio Planelli su ispirazione di Mario Pagano (giurista, filosofo, politico drammaturgo) e di altri illuministi. Fu pubblicato dalla “Stamperia
Reale del Regno di Napoli” in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e
ventidue paragrafi, rispecchiava le aspirazioni del dispotismo illuminato dell'epoca ad
interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed economica e poneva grande
attenzione al ruolo della donna.Alle
maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi,
piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici
di cui usufruivano gli operai delle seterie.Ai
lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all'interno della
colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l'istruzione gratuita potendo
beneficiare, difatti, della prima scuola dell'obbligo d'Italia che iniziava fin
da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l'economia
domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi. I figli erano
ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d'Europa. Le abitazioni furono progettate tenendo
presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel
tempo (abitate tuttora) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e
servizi igienici.Per
contrarre matrimonio gli uomini e le donne, compiuti rispettivamente almeno 20
e 16 anni, dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al
merito” concesso dai Direttori dei Mestieri. I matrimoni si svolgevano il
giorno di Pentecoste con una celebrazione particolare: a ogni coppia
era assegnato un mazzo di rose, bianche per gli uomini e rosa per le
donne, fuori la chiesa li aspettavano gli anziani del villaggio, di fronte ai
quali le coppie si scambiavano i mazzi di fiori come promessa di
matrimonio. Ciascuno era libero di lasciare la colonia quando voleva, ma, data
la natura produttiva del luogo, si cercava di inibire tali eventualità, ad es.,
facendo divieto di ritorno in colonia oppure riducendo al minimo le
liquidazioni.La
produttività era garantita da un bonus in danaro che gli
operai ricevevano in base al livello di perizia che avevano raggiunto. La
proprietà privata era tutelata, ma erano abolite le doti e i testamenti. I beni
del marito deceduto passavano alla vedova e da questa al “Monte degli orfani”, cioè la cassa comune gestita da un prelato che serviva al mantenimento dei meno
fortunati. Le questioni personali erano giudicate dall'Assise degli Anziani,
cd. seniores, che avevano raggiunto i massimi livelli di
benemerenza ed erano di nomina elettiva. I seniores monitoravano
anche la qualità igienica delle abitazioni e potevano deliberare sanzioni
disciplinari nonché espulsioni dalla colonia.Per
contrastare la concorrenza straniera, i leuciani si aprirono al mercato
dell'abbigliamento con la produzione di maglie, calze, broccati e velluti.
Così, seguendo la moda francese, si passò dai pekins ai tulle,
dai chines ai reps. La fortuna delle produzioni leuciane è
ampiamente documentata fino alla prima metà dell’ 800 quando
l'impianto ebbe l'esclusiva sullo straordinario tessuto “fili di vetro”
scoperto da Gio. U. RuforfFerdinando
IV, che morirà nel gennaio 1825, aveva in progetto di allargare la colonia per
le nuove esigenze industriali legate all’introduzione della “trattura” (quindi
la prima fase di lavorazione con l’immersione dei bozzoli in acqua calda e
presa del filo sericeo da introdurre poi nei torcitoi) e della manifattura dei
veli. L’obiettivo era la costruzione di una città da chiamare “Ferdinandopoli” e concepita su una pianta completamente circolare con un sistema stradale
radiale e una piazza al centro per farne anche una sede reale. Non vi riuscì,Diverse opportunità erano
offerte anche agli invalidi del lavoro che potevano rimanere in loco dopo l'infortunio; per questi fu progettato un ospizio apposito, la “Casa degli
infermi”, che però non fu possibile portare a compimento a causa della discesa
di Napoleone
Buonaparte in Italia e della nascita
della Repubblica
Partenopea nel 1799. Pertanto, gli invalidi continuarono a sopravvivere grazie a delle
donazioni spontanee dei lavoratori diplomati al merito, raccolti in un'apposita
cassa dai seniores. Gli operai addetti alla coltivazione dei campi,
invece, potevano vendere una parte delraccolto al mercato in base ai prezzi
stabiliti dal sovrano.Nel 1789 Lady
Elisabeth Craven, moglie di Lord Craven, magravio di Anspanich, soggiornò perqualche settimana a Caserta scrivendo le sue memorie nel Portrait du
Roi Ferdinand che fu pubblicato a Londra nel 1826: «mi fornì
spiegazioni non pure su tutte le regole dello stabilimento ma fin più intricati
congegni meccanismi che rendevano quel lavoro più agevole». Tra
il 1790 e il 1796 anche Giuseppe Galanti, allievo di
Antonio Genovesi, si soffermo sul posto:«il più lodevole
in questa costituzione è che nulla si fa per forza. L'onore ed altri piccioli
problemi debbono bastare a far osservare le leggi». Ma vediamo più in
dettaglio quelle norme emanate da Ferdinando IV di Borbone che regolavano la
comunità.
5.
Il Codice LeucianoL’istruzione
degli ospiti era affidata ad un Direttore dei Mestieri ciascuno con la sua specializzazione. Un vero e proprio percorso formativo.Ferdinando
IV di Borbone, su consiglio del ministro Bernardo Tanucci, pensò d’inviare i
giovani in Francia per apprendere l’arte della tessitura e successivamente da
impiegare negli stabilimenti reali.Quando
il Tanucci fu esonerato dal suo incarico, il nuovo ministro Domenico Caracciolo
diede un ulteriore sviluppo alla colonia. Fu costituita, su progetto anche dell’architetto
Francesco Collecini, una comunità nota con il nome di “Real Colonia di San
Leucio” e che fu basata su norme proprie.Infatti
nel 1789 il sovrano firmò un trattato
che conteneva i principi su cui si basava la comunità di San Leucio:Origine della
popolazione di San Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi
corrispondenti al buon governo di essa di Ferdinando IV Re delle Sicilie
conosciuti anche
come
Statuti di San
Leucio.
Si
tramanda che questo codice fu voluto dalla moglie del sovrano, Maria Carolina d’Asburgo
– Lorena e fu scritto dal massone
Antonio Planelli su ispirazione di Mario Pagano (giurista, filosofo, politico drammaturgo) e di altri illuministi. Fu pubblicato dalla “Stamperia
Reale del Regno di Napoli” in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e
ventidue paragrafi, rispecchiava le aspirazioni del dispotismo illuminato dell'epoca ad
interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed economica e poneva grande
attenzione al ruolo della donna.Alle
maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi,
piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici
di cui usufruivano gli operai delle seterie.Ai
lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all'interno della
colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l'istruzione gratuita potendo
beneficiare, difatti, della prima scuola dell'obbligo d'Italia che iniziava fin
da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l'economia
domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi. I figli erano
ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d'Europa. Le abitazioni furono progettate tenendo
presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel
tempo (abitate tuttora) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e
servizi igienici.Per
contrarre matrimonio gli uomini e le donne, compiuti rispettivamente almeno 20
e 16 anni, dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al
merito” concesso dai Direttori dei Mestieri. I matrimoni si svolgevano il
giorno di Pentecoste con una celebrazione particolare: a ogni coppia
era assegnato un mazzo di rose, bianche per gli uomini e rosa per le
donne, fuori la chiesa li aspettavano gli anziani del villaggio, di fronte ai
quali le coppie si scambiavano i mazzi di fiori come promessa di
matrimonio. Ciascuno era libero di lasciare la colonia quando voleva, ma, data
la natura produttiva del luogo, si cercava di inibire tali eventualità, ad es.,
facendo divieto di ritorno in colonia oppure riducendo al minimo le
liquidazioni.La
produttività era garantita da un bonus in danaro che gli
operai ricevevano in base al livello di perizia che avevano raggiunto. La
proprietà privata era tutelata, ma erano abolite le doti e i testamenti. I beni
del marito deceduto passavano alla vedova e da questa al “Monte degli orfani”, cioè la cassa comune gestita da un prelato che serviva al mantenimento dei meno
fortunati. Le questioni personali erano giudicate dall'Assise degli Anziani,
cd. seniores, che avevano raggiunto i massimi livelli di
benemerenza ed erano di nomina elettiva. I seniores monitoravano
anche la qualità igienica delle abitazioni e potevano deliberare sanzioni
disciplinari nonché espulsioni dalla colonia.Per
contrastare la concorrenza straniera, i leuciani si aprirono al mercato
dell'abbigliamento con la produzione di maglie, calze, broccati e velluti.
Così, seguendo la moda francese, si passò dai pekins ai tulle,
dai chines ai reps. La fortuna delle produzioni leuciane è
ampiamente documentata fino alla prima metà dell’ 800 quando
l'impianto ebbe l'esclusiva sullo straordinario tessuto “fili di vetro”
scoperto da Gio. U. RuforfFerdinando
IV, che morirà nel gennaio 1825, aveva in progetto di allargare la colonia per
le nuove esigenze industriali legate all’introduzione della “trattura” (quindi
la prima fase di lavorazione con l’immersione dei bozzoli in acqua calda e
presa del filo sericeo da introdurre poi nei torcitoi) e della manifattura dei
veli. L’obiettivo era la costruzione di una città da chiamare “Ferdinandopoli” e concepita su una pianta completamente circolare con un sistema stradale
radiale e una piazza al centro per farne anche una sede reale. Non vi riuscì,Diverse opportunità erano
offerte anche agli invalidi del lavoro che potevano rimanere in loco dopo l'infortunio; per questi fu progettato un ospizio apposito, la “Casa degli
infermi”, che però non fu possibile portare a compimento a causa della discesa
di Napoleone
Buonaparte in Italia e della nascita
della Repubblica
Partenopea nel 1799. Pertanto, gli invalidi continuarono a sopravvivere grazie a delle
donazioni spontanee dei lavoratori diplomati al merito, raccolti in un'apposita
cassa dai seniores. Gli operai addetti alla coltivazione dei campi,
invece, potevano vendere una parte delraccolto al mercato in base ai prezzi
stabiliti dal sovrano.Nel 1789 Lady
Elisabeth Craven, moglie di Lord Craven, magravio di Anspanich, soggiornò perqualche settimana a Caserta scrivendo le sue memorie nel Portrait du
Roi Ferdinand che fu pubblicato a Londra nel 1826: «mi fornì
spiegazioni non pure su tutte le regole dello stabilimento ma fin più intricati
congegni meccanismi che rendevano quel lavoro più agevole». Tra
il 1790 e il 1796 anche Giuseppe Galanti, allievo di
Antonio Genovesi, si soffermo sul posto:«il più lodevole
in questa costituzione è che nulla si fa per forza. L'onore ed altri piccioli
problemi debbono bastare a far osservare le leggi». Ma vediamo più in
dettaglio quelle norme emanate da Ferdinando IV di Borbone che regolavano la
comunità.
5.
Il Codice LeucianoL’istruzione
degli ospiti era affidata ad un Direttore dei Mestieri ciascuno con la sua specializzazione. Un vero e proprio percorso formativo.Ferdinando
IV di Borbone, su consiglio del ministro Bernardo Tanucci, pensò d’inviare i
giovani in Francia per apprendere l’arte della tessitura e successivamente da
impiegare negli stabilimenti reali.Quando
il Tanucci fu esonerato dal suo incarico, il nuovo ministro Domenico Caracciolo
diede un ulteriore sviluppo alla colonia. Fu costituita, su progetto anche dell’architetto
Francesco Collecini, una comunità nota con il nome di “Real Colonia di San
Leucio” e che fu basata su norme proprie.Infatti
nel 1789 il sovrano firmò un trattato
che conteneva i principi su cui si basava la comunità di San Leucio:Origine della
popolazione di San Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi
corrispondenti al buon governo di essa di Ferdinando IV Re delle Sicilie
conosciuti anche
come
Statuti di San
Leucio.
Si
tramanda che questo codice fu voluto dalla moglie del sovrano, Maria Carolina d’Asburgo
– Lorena e fu scritto dal massone
Antonio Planelli su ispirazione di Mario Pagano (giurista, filosofo, politico drammaturgo) e di altri illuministi. Fu pubblicato dalla “Stamperia
Reale del Regno di Napoli” in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e
ventidue paragrafi, rispecchiava le aspirazioni del dispotismo illuminato dell'epoca ad
interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed economica e poneva grande
attenzione al ruolo della donna.Alle
maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi,
piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici
di cui usufruivano gli operai delle seterie.Ai
lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all'interno della
colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l'istruzione gratuita potendo
beneficiare, difatti, della prima scuola dell'obbligo d'Italia che iniziava fin
da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l'economia
domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi. I figli erano
ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d'Europa. Le abitazioni furono progettate tenendo
presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel
tempo (abitate tuttora) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e
servizi igienici.Per
contrarre matrimonio gli uomini e le donne, compiuti rispettivamente almeno 20
e 16 anni, dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al
merito” concesso dai Direttori dei Mestieri. I matrimoni si svolgevano il
giorno di Pentecoste con una celebrazione particolare: a ogni coppia
era assegnato un mazzo di rose, bianche per gli uomini e rosa per le
donne, fuori la chiesa li aspettavano gli anziani del villaggio, di fronte ai
quali le coppie si scambiavano i mazzi di fiori come promessa di
matrimonio. Ciascuno era libero di lasciare la colonia quando voleva, ma, data
la natura produttiva del luogo, si cercava di inibire tali eventualità, ad es.,
facendo divieto di ritorno in colonia oppure riducendo al minimo le
liquidazioni.La
produttività era garantita da un bonus in danaro che gli
operai ricevevano in base al livello di perizia che avevano raggiunto. La
proprietà privata era tutelata, ma erano abolite le doti e i testamenti. I beni
del marito deceduto passavano alla vedova e da questa al “Monte degli orfani”, cioè la cassa comune gestita da un prelato che serviva al mantenimento dei meno
fortunati. Le questioni personali erano giudicate dall'Assise degli Anziani,
cd. seniores, che avevano raggiunto i massimi livelli di
benemerenza ed erano di nomina elettiva. I seniores monitoravano
anche la qualità igienica delle abitazioni e potevano deliberare sanzioni
disciplinari nonché espulsioni dalla colonia.Per
contrastare la concorrenza straniera, i leuciani si aprirono al mercato
dell'abbigliamento con la produzione di maglie, calze, broccati e velluti.
Così, seguendo la moda francese, si passò dai pekins ai tulle,
dai chines ai reps. La fortuna delle produzioni leuciane è
ampiamente documentata fino alla prima metà dell’ 800 quando
l'impianto ebbe l'esclusiva sullo straordinario tessuto “fili di vetro”
scoperto da Gio. U. RuforfFerdinando
IV, che morirà nel gennaio 1825, aveva in progetto di allargare la colonia per
le nuove esigenze industriali legate all’introduzione della “trattura” (quindi
la prima fase di lavorazione con l’immersione dei bozzoli in acqua calda e
presa del filo sericeo da introdurre poi nei torcitoi) e della manifattura dei
veli. L’obiettivo era la costruzione di una città da chiamare “Ferdinandopoli” e concepita su una pianta completamente circolare con un sistema stradale
radiale e una piazza al centro per farne anche una sede reale. Non vi riuscì,Diverse opportunità erano
offerte anche agli invalidi del lavoro che potevano rimanere in loco dopo l'infortunio; per questi fu progettato un ospizio apposito, la “Casa degli
infermi”, che però non fu possibile portare a compimento a causa della discesa
di Napoleone
Buonaparte in Italia e della nascita
della Repubblica
Partenopea nel 1799. Pertanto, gli invalidi continuarono a sopravvivere grazie a delle
donazioni spontanee dei lavoratori diplomati al merito, raccolti in un'apposita
cassa dai seniores. Gli operai addetti alla coltivazione dei campi,
invece, potevano vendere una parte delraccolto al mercato in base ai prezzi
stabiliti dal sovrano.Nel 1789 Lady
Elisabeth Craven, moglie di Lord Craven, magravio di Anspanich, soggiornò perqualche settimana a Caserta scrivendo le sue memorie nel Portrait du
Roi Ferdinand che fu pubblicato a Londra nel 1826: «mi fornì
spiegazioni non pure su tutte le regole dello stabilimento ma fin più intricati
congegni meccanismi che rendevano quel lavoro più agevole». Tra
il 1790 e il 1796 anche Giuseppe Galanti, allievo di
Antonio Genovesi, si soffermo sul posto:«il più lodevole
in questa costituzione è che nulla si fa per forza. L'onore ed altri piccioli
problemi debbono bastare a far osservare le leggi». Ma vediamo più in
dettaglio quelle norme emanate da Ferdinando IV di Borbone che regolavano la
comunità.
conosciuti anche come
Statuti di San Leucio.
Trovare
esperienze sociali simili non è facile considerando i tempi.Tralasciando
le esperienze dei gesuiti, che ebbero dei connotati sociali e religiosi
decisamente superiori al contesto di San Leucio, per annotare esperienze simili
dovremo guardare in Europa dove erano presenti le teorie:-
del francese Claude Nicolas Ledoux, in merito
alla progettazione delle saline Reali di Choux;- dell’inglese
Rober Owen per la struttura socio economica applicata alle filande scozzesi di
New Lanark;-
di
Charles Fourier, in merito al progetto del Falansterio ed alla sua concreta
realizzazione nel Familisterio di Godin.Tutte
esperienze che avevano una base imperniata su un incondizionata fiducia nei
valori della fratellanza e della solidarietà sociale e tendenti alla
definizione di un nuovo modello di convivenza che potesse risolvere i problemi
della comunità industriale. Lo
statuto traeva anche origine da quel movimento promosso dall’illuminismo e che
trovò nella Napoli del Settecento un ambiente adatto alla sua diffusioneValga
per tutte l'opera del Filangieri, che con la sua Scienza della Legislazione forniva, tra l'altro, il prototipo del
codice leuciano, e la politica del ministro Tanucci rivolta, nel settore
didattico, alla qualificazione professionale delle giovani maestranze, attuata
mediante numerosi centri di arte applicata, ai quali si collegava direttamente
quello di San Leucio.Il
codice sanciva il diritto e il dovere al lavoro e la parità dei coloni rispetto
alla intera comunità. Essendo voi tutti
Artisti, la legge che io v'impongo, è quella di una perfetta eguaglianza»scriveva
Ferdinando IV di Borbone.Da
questo importante principio nascevano tutta una serie di leggi, qualcuna dal
carattere esteriore mentre altre più determinanti:-
La
retribuzione del lavoro veniva effettuata con un crescente compenso fino ad una
cifra corrispondente all'opera di maestri più qualificati.-
Per
il sistema mutualistico d’assistenza, oltre alla “casa degli infermi”, che
rientrava nelle dirette cure del re, esisteva un fondo assistenziale detto
“Cassa di Carità” per il sostentamento degli inabili e degli anziani;-
gli
abitanti dovevano vestire tutti allo stesso modo, senza nessun segno di
distinzione, e la pulizia veniva imposta come condizione necessaria alla salute;-
Il
servile appellativo di Don era riservato ai preti, e soltanto in segno di
rispetto;-
I
funerali dovevano essere semplici; il lutto era bandito, eccetto i bracciali
neri per gli uomini e le sciarpe nere per le donne, per due mesi al massimo;-
Il
giorno di San Leucio, si dovevano eleggere a scrutinio segreto cinque anziani,
scelti tra i membri della comunità più vecchi, più saggi, e di maggiore
esperienza; insieme al parroco essi dovevano conciliare le controversie,
sorvegliare il commercio locale, l'igiene, e la morale pubblica;-
Ogni
matrimonio doveva essere preceduto da un fidanzamento con scambio di fiori a
Pentecoste nella chiesa della Colonia.-
La
sposa doveva avere almeno sedici anni, e lo sposo venti;-
le
doti erano proibite; i testamenti furono aboliti; i bambini ereditavano dai
genitori per diritto di natura;-
L'eccellenza
nel lavoro sarebbe stata premiata con medaglie d'oro e di argento e un posto in
chiesa nel banco detto del Merito;-
Gli
anziani ed il parroco amministravano una cassa di carità per mantenere i malati
e gli infermi e per impedire la mendicità, «la condizione più infame e
detestabile del mondo”: Una Cassa di Carità che anticipava fondi senza la
corresponsione di interessi! Inoltre la Cassa, attraverso un prelievo forzoso
sullo stipendio di 85 centesimi di lira aurea, aveva creato il primo esempio di
trattamento pensionistico al mondo;-
Tra
i regolamenti di igiene era obbligatoria l’inoculazione del vaiolo;-
Il lavoro era garantito a tutti, e i
forestieri potevano venire «naturalizzati» soltanto dopo un anno di prova.-
Le
sanzioni penali consistevano in ammende per i reati minori, ed in espulsione
per i reati contro la morale. Esisteva un carcere con
un sovraintendente ed una volta vi finì un abitante della Comunità al quale fu
recapitato in cella un telaio affinchè
continuasse con le attività lavorative, non oziando ma garantendo il
sostentamento per l’intera famiglia;-
Il
codice terminava con una definizione dei doveri del Cristiano ed un
particolareggiato orario.
Trovare
esperienze sociali simili non è facile considerando i tempi.Tralasciando
le esperienze dei gesuiti, che ebbero dei connotati sociali e religiosi
decisamente superiori al contesto di San Leucio, per annotare esperienze simili
dovremo guardare in Europa dove erano presenti le teorie:-
del francese Claude Nicolas Ledoux, in merito
alla progettazione delle saline Reali di Choux;- dell’inglese
Rober Owen per la struttura socio economica applicata alle filande scozzesi di
New Lanark;-
di
Charles Fourier, in merito al progetto del Falansterio ed alla sua concreta
realizzazione nel Familisterio di Godin.Tutte
esperienze che avevano una base imperniata su un incondizionata fiducia nei
valori della fratellanza e della solidarietà sociale e tendenti alla
definizione di un nuovo modello di convivenza che potesse risolvere i problemi
della comunità industriale. Lo
statuto traeva anche origine da quel movimento promosso dall’illuminismo e che
trovò nella Napoli del Settecento un ambiente adatto alla sua diffusioneValga
per tutte l'opera del Filangieri, che con la sua Scienza della Legislazione forniva, tra l'altro, il prototipo del
codice leuciano, e la politica del ministro Tanucci rivolta, nel settore
didattico, alla qualificazione professionale delle giovani maestranze, attuata
mediante numerosi centri di arte applicata, ai quali si collegava direttamente
quello di San Leucio.Il
codice sanciva il diritto e il dovere al lavoro e la parità dei coloni rispetto
alla intera comunità. Essendo voi tutti
Artisti, la legge che io v'impongo, è quella di una perfetta eguaglianza»scriveva
Ferdinando IV di Borbone.Da
questo importante principio nascevano tutta una serie di leggi, qualcuna dal
carattere esteriore mentre altre più determinanti:-
La
retribuzione del lavoro veniva effettuata con un crescente compenso fino ad una
cifra corrispondente all'opera di maestri più qualificati.-
Per
il sistema mutualistico d’assistenza, oltre alla “casa degli infermi”, che
rientrava nelle dirette cure del re, esisteva un fondo assistenziale detto
“Cassa di Carità” per il sostentamento degli inabili e degli anziani;-
gli
abitanti dovevano vestire tutti allo stesso modo, senza nessun segno di
distinzione, e la pulizia veniva imposta come condizione necessaria alla salute;-
Il
servile appellativo di Don era riservato ai preti, e soltanto in segno di
rispetto;-
I
funerali dovevano essere semplici; il lutto era bandito, eccetto i bracciali
neri per gli uomini e le sciarpe nere per le donne, per due mesi al massimo;-
Il
giorno di San Leucio, si dovevano eleggere a scrutinio segreto cinque anziani,
scelti tra i membri della comunità più vecchi, più saggi, e di maggiore
esperienza; insieme al parroco essi dovevano conciliare le controversie,
sorvegliare il commercio locale, l'igiene, e la morale pubblica;-
Ogni
matrimonio doveva essere preceduto da un fidanzamento con scambio di fiori a
Pentecoste nella chiesa della Colonia.-
La
sposa doveva avere almeno sedici anni, e lo sposo venti;-
le
doti erano proibite; i testamenti furono aboliti; i bambini ereditavano dai
genitori per diritto di natura;-
L'eccellenza
nel lavoro sarebbe stata premiata con medaglie d'oro e di argento e un posto in
chiesa nel banco detto del Merito;-
Gli
anziani ed il parroco amministravano una cassa di carità per mantenere i malati
e gli infermi e per impedire la mendicità, «la condizione più infame e
detestabile del mondo”: Una Cassa di Carità che anticipava fondi senza la
corresponsione di interessi! Inoltre la Cassa, attraverso un prelievo forzoso
sullo stipendio di 85 centesimi di lira aurea, aveva creato il primo esempio di
trattamento pensionistico al mondo;-
Tra
i regolamenti di igiene era obbligatoria l’inoculazione del vaiolo;-
Il lavoro era garantito a tutti, e i
forestieri potevano venire «naturalizzati» soltanto dopo un anno di prova.-
Le
sanzioni penali consistevano in ammende per i reati minori, ed in espulsione
per i reati contro la morale. Esisteva un carcere con
un sovraintendente ed una volta vi finì un abitante della Comunità al quale fu
recapitato in cella un telaio affinchè
continuasse con le attività lavorative, non oziando ma garantendo il
sostentamento per l’intera famiglia;-
Il
codice terminava con una definizione dei doveri del Cristiano ed un
particolareggiato orario.
Trovare
esperienze sociali simili non è facile considerando i tempi.Tralasciando
le esperienze dei gesuiti, che ebbero dei connotati sociali e religiosi
decisamente superiori al contesto di San Leucio, per annotare esperienze simili
dovremo guardare in Europa dove erano presenti le teorie:-
del francese Claude Nicolas Ledoux, in merito
alla progettazione delle saline Reali di Choux;- dell’inglese
Rober Owen per la struttura socio economica applicata alle filande scozzesi di
New Lanark;-
di
Charles Fourier, in merito al progetto del Falansterio ed alla sua concreta
realizzazione nel Familisterio di Godin.Tutte
esperienze che avevano una base imperniata su un incondizionata fiducia nei
valori della fratellanza e della solidarietà sociale e tendenti alla
definizione di un nuovo modello di convivenza che potesse risolvere i problemi
della comunità industriale. Lo
statuto traeva anche origine da quel movimento promosso dall’illuminismo e che
trovò nella Napoli del Settecento un ambiente adatto alla sua diffusioneValga
per tutte l'opera del Filangieri, che con la sua Scienza della Legislazione forniva, tra l'altro, il prototipo del
codice leuciano, e la politica del ministro Tanucci rivolta, nel settore
didattico, alla qualificazione professionale delle giovani maestranze, attuata
mediante numerosi centri di arte applicata, ai quali si collegava direttamente
quello di San Leucio.Il
codice sanciva il diritto e il dovere al lavoro e la parità dei coloni rispetto
alla intera comunità. Essendo voi tutti
Artisti, la legge che io v'impongo, è quella di una perfetta eguaglianza»scriveva
Ferdinando IV di Borbone.Da
questo importante principio nascevano tutta una serie di leggi, qualcuna dal
carattere esteriore mentre altre più determinanti:-
La
retribuzione del lavoro veniva effettuata con un crescente compenso fino ad una
cifra corrispondente all'opera di maestri più qualificati.-
Per
il sistema mutualistico d’assistenza, oltre alla “casa degli infermi”, che
rientrava nelle dirette cure del re, esisteva un fondo assistenziale detto
“Cassa di Carità” per il sostentamento degli inabili e degli anziani;-
gli
abitanti dovevano vestire tutti allo stesso modo, senza nessun segno di
distinzione, e la pulizia veniva imposta come condizione necessaria alla salute;-
Il
servile appellativo di Don era riservato ai preti, e soltanto in segno di
rispetto;-
I
funerali dovevano essere semplici; il lutto era bandito, eccetto i bracciali
neri per gli uomini e le sciarpe nere per le donne, per due mesi al massimo;-
Il
giorno di San Leucio, si dovevano eleggere a scrutinio segreto cinque anziani,
scelti tra i membri della comunità più vecchi, più saggi, e di maggiore
esperienza; insieme al parroco essi dovevano conciliare le controversie,
sorvegliare il commercio locale, l'igiene, e la morale pubblica;-
Ogni
matrimonio doveva essere preceduto da un fidanzamento con scambio di fiori a
Pentecoste nella chiesa della Colonia.-
La
sposa doveva avere almeno sedici anni, e lo sposo venti;-
le
doti erano proibite; i testamenti furono aboliti; i bambini ereditavano dai
genitori per diritto di natura;-
L'eccellenza
nel lavoro sarebbe stata premiata con medaglie d'oro e di argento e un posto in
chiesa nel banco detto del Merito;-
Gli
anziani ed il parroco amministravano una cassa di carità per mantenere i malati
e gli infermi e per impedire la mendicità, «la condizione più infame e
detestabile del mondo”: Una Cassa di Carità che anticipava fondi senza la
corresponsione di interessi! Inoltre la Cassa, attraverso un prelievo forzoso
sullo stipendio di 85 centesimi di lira aurea, aveva creato il primo esempio di
trattamento pensionistico al mondo;-
Tra
i regolamenti di igiene era obbligatoria l’inoculazione del vaiolo;-
Il lavoro era garantito a tutti, e i
forestieri potevano venire «naturalizzati» soltanto dopo un anno di prova.-
Le
sanzioni penali consistevano in ammende per i reati minori, ed in espulsione
per i reati contro la morale. Esisteva un carcere con
un sovraintendente ed una volta vi finì un abitante della Comunità al quale fu
recapitato in cella un telaio affinchè
continuasse con le attività lavorative, non oziando ma garantendo il
sostentamento per l’intera famiglia;-
Il
codice terminava con una definizione dei doveri del Cristiano ed un
particolareggiato orario.
Trovare
esperienze sociali simili non è facile considerando i tempi.Tralasciando
le esperienze dei gesuiti, che ebbero dei connotati sociali e religiosi
decisamente superiori al contesto di San Leucio, per annotare esperienze simili
dovremo guardare in Europa dove erano presenti le teorie:-
del francese Claude Nicolas Ledoux, in merito
alla progettazione delle saline Reali di Choux;- dell’inglese
Rober Owen per la struttura socio economica applicata alle filande scozzesi di
New Lanark;-
di
Charles Fourier, in merito al progetto del Falansterio ed alla sua concreta
realizzazione nel Familisterio di Godin.Tutte
esperienze che avevano una base imperniata su un incondizionata fiducia nei
valori della fratellanza e della solidarietà sociale e tendenti alla
definizione di un nuovo modello di convivenza che potesse risolvere i problemi
della comunità industriale. Lo
statuto traeva anche origine da quel movimento promosso dall’illuminismo e che
trovò nella Napoli del Settecento un ambiente adatto alla sua diffusioneValga
per tutte l'opera del Filangieri, che con la sua Scienza della Legislazione forniva, tra l'altro, il prototipo del
codice leuciano, e la politica del ministro Tanucci rivolta, nel settore
didattico, alla qualificazione professionale delle giovani maestranze, attuata
mediante numerosi centri di arte applicata, ai quali si collegava direttamente
quello di San Leucio.Il
codice sanciva il diritto e il dovere al lavoro e la parità dei coloni rispetto
alla intera comunità. Essendo voi tutti
Artisti, la legge che io v'impongo, è quella di una perfetta eguaglianza»scriveva
Ferdinando IV di Borbone.Da
questo importante principio nascevano tutta una serie di leggi, qualcuna dal
carattere esteriore mentre altre più determinanti:-
La
retribuzione del lavoro veniva effettuata con un crescente compenso fino ad una
cifra corrispondente all'opera di maestri più qualificati.-
Per
il sistema mutualistico d’assistenza, oltre alla “casa degli infermi”, che
rientrava nelle dirette cure del re, esisteva un fondo assistenziale detto
“Cassa di Carità” per il sostentamento degli inabili e degli anziani;-
gli
abitanti dovevano vestire tutti allo stesso modo, senza nessun segno di
distinzione, e la pulizia veniva imposta come condizione necessaria alla salute;-
Il
servile appellativo di Don era riservato ai preti, e soltanto in segno di
rispetto;-
I
funerali dovevano essere semplici; il lutto era bandito, eccetto i bracciali
neri per gli uomini e le sciarpe nere per le donne, per due mesi al massimo;-
Il
giorno di San Leucio, si dovevano eleggere a scrutinio segreto cinque anziani,
scelti tra i membri della comunità più vecchi, più saggi, e di maggiore
esperienza; insieme al parroco essi dovevano conciliare le controversie,
sorvegliare il commercio locale, l'igiene, e la morale pubblica;-
Ogni
matrimonio doveva essere preceduto da un fidanzamento con scambio di fiori a
Pentecoste nella chiesa della Colonia.-
La
sposa doveva avere almeno sedici anni, e lo sposo venti;-
le
doti erano proibite; i testamenti furono aboliti; i bambini ereditavano dai
genitori per diritto di natura;-
L'eccellenza
nel lavoro sarebbe stata premiata con medaglie d'oro e di argento e un posto in
chiesa nel banco detto del Merito;-
Gli
anziani ed il parroco amministravano una cassa di carità per mantenere i malati
e gli infermi e per impedire la mendicità, «la condizione più infame e
detestabile del mondo”: Una Cassa di Carità che anticipava fondi senza la
corresponsione di interessi! Inoltre la Cassa, attraverso un prelievo forzoso
sullo stipendio di 85 centesimi di lira aurea, aveva creato il primo esempio di
trattamento pensionistico al mondo;-
Tra
i regolamenti di igiene era obbligatoria l’inoculazione del vaiolo;-
Il lavoro era garantito a tutti, e i
forestieri potevano venire «naturalizzati» soltanto dopo un anno di prova.-
Le
sanzioni penali consistevano in ammende per i reati minori, ed in espulsione
per i reati contro la morale. Esisteva un carcere con
un sovraintendente ed una volta vi finì un abitante della Comunità al quale fu
recapitato in cella un telaio affinchè
continuasse con le attività lavorative, non oziando ma garantendo il
sostentamento per l’intera famiglia;-
Il
codice terminava con una definizione dei doveri del Cristiano ed un
particolareggiato orario.
La
pubblicazione dello Statuto destò molta “meraviglia” nel mondo e soprattutto
“contentezza” nei napoletani che guardarono con stupore alla creazione della
comunità ed anche con la speranza di vedere quella istituzione in altre parti del Regno.La
critica storica non fu molto concorde
nell’esprimere i giudizi nei confronti dello Statuto. Alcuni storici infatti affermarono come lo statuto
fosse una parvenza di governo popolare che era invalidato dalla frequente
presenza del re a San Leucio nonchè dai poteri dell’intendente. Carica d’intendente che fu ricoperta per molto tempo dal cardinale Fabrizio Dionigi
Ruffo (dei duchi di Bagnara e Baranello) e che sarà successivamente a capo
della restaurazione borbonica.Lo
storico Federico Stefani collegò la colonia alle utopie sociali di Rétif de la
Bretonne, nelle quali i principi rivoluzionari coesistevano quasi sempre col
vecchio ordinamento religioso e monarchico. Aggiunse che la stessa Maria
Carolina seguiva con vivo interesse l'opera di Rétif de la Bretonne e, collegò
il carattere della regina , progressivo e paternalistico, al codice di S.
Leucio.Altri
storici furono molto critici sull’iniziativa del Borbone perché giudicarono la Colonia quale bizzarro e
capriccioso trastullo del re o, in maniera analoga, malcelata attestazione del
suo innato dispotismo (Benedetto Croce e addirittura Giosuè Carducci).Lo
scrittore, storico e collezionista d’arte, Sir Harold Mario Acton «I suoi nemici lo
accusarono di averla fondata per la soddisfazione delle sue brame, dato che
aveva un debole per le robuste ragazzotte di campagna. Ma quello fu il suo
primo ed unico esperimento sociale. Accadde che dopo un viaggio nell’Italia
Settentrionale, nel 1785, dove il suo più progredito cognato lo aveva infarcito
di discorsi morali, si era deciso ad imbarcarsi in un’impresa creata da lui
stesso»
La
pubblicazione dello Statuto destò molta “meraviglia” nel mondo e soprattutto
“contentezza” nei napoletani che guardarono con stupore alla creazione della
comunità ed anche con la speranza di vedere quella istituzione in altre parti del Regno.La
critica storica non fu molto concorde
nell’esprimere i giudizi nei confronti dello Statuto. Alcuni storici infatti affermarono come lo statuto
fosse una parvenza di governo popolare che era invalidato dalla frequente
presenza del re a San Leucio nonchè dai poteri dell’intendente. Carica d’intendente che fu ricoperta per molto tempo dal cardinale Fabrizio Dionigi
Ruffo (dei duchi di Bagnara e Baranello) e che sarà successivamente a capo
della restaurazione borbonica.Lo
storico Federico Stefani collegò la colonia alle utopie sociali di Rétif de la
Bretonne, nelle quali i principi rivoluzionari coesistevano quasi sempre col
vecchio ordinamento religioso e monarchico. Aggiunse che la stessa Maria
Carolina seguiva con vivo interesse l'opera di Rétif de la Bretonne e, collegò
il carattere della regina , progressivo e paternalistico, al codice di S.
Leucio.Altri
storici furono molto critici sull’iniziativa del Borbone perché giudicarono la Colonia quale bizzarro e
capriccioso trastullo del re o, in maniera analoga, malcelata attestazione del
suo innato dispotismo (Benedetto Croce e addirittura Giosuè Carducci).Lo
scrittore, storico e collezionista d’arte, Sir Harold Mario Acton «I suoi nemici lo
accusarono di averla fondata per la soddisfazione delle sue brame, dato che
aveva un debole per le robuste ragazzotte di campagna. Ma quello fu il suo
primo ed unico esperimento sociale. Accadde che dopo un viaggio nell’Italia
Settentrionale, nel 1785, dove il suo più progredito cognato lo aveva infarcito
di discorsi morali, si era deciso ad imbarcarsi in un’impresa creata da lui
stesso»
La
pubblicazione dello Statuto destò molta “meraviglia” nel mondo e soprattutto
“contentezza” nei napoletani che guardarono con stupore alla creazione della
comunità ed anche con la speranza di vedere quella istituzione in altre parti del Regno.La
critica storica non fu molto concorde
nell’esprimere i giudizi nei confronti dello Statuto. Alcuni storici infatti affermarono come lo statuto
fosse una parvenza di governo popolare che era invalidato dalla frequente
presenza del re a San Leucio nonchè dai poteri dell’intendente. Carica d’intendente che fu ricoperta per molto tempo dal cardinale Fabrizio Dionigi
Ruffo (dei duchi di Bagnara e Baranello) e che sarà successivamente a capo
della restaurazione borbonica.Lo
storico Federico Stefani collegò la colonia alle utopie sociali di Rétif de la
Bretonne, nelle quali i principi rivoluzionari coesistevano quasi sempre col
vecchio ordinamento religioso e monarchico. Aggiunse che la stessa Maria
Carolina seguiva con vivo interesse l'opera di Rétif de la Bretonne e, collegò
il carattere della regina , progressivo e paternalistico, al codice di S.
Leucio.Altri
storici furono molto critici sull’iniziativa del Borbone perché giudicarono la Colonia quale bizzarro e
capriccioso trastullo del re o, in maniera analoga, malcelata attestazione del
suo innato dispotismo (Benedetto Croce e addirittura Giosuè Carducci).Lo
scrittore, storico e collezionista d’arte, Sir Harold Mario Acton «I suoi nemici lo
accusarono di averla fondata per la soddisfazione delle sue brame, dato che
aveva un debole per le robuste ragazzotte di campagna. Ma quello fu il suo
primo ed unico esperimento sociale. Accadde che dopo un viaggio nell’Italia
Settentrionale, nel 1785, dove il suo più progredito cognato lo aveva infarcito
di discorsi morali, si era deciso ad imbarcarsi in un’impresa creata da lui
stesso»
La
pubblicazione dello Statuto destò molta “meraviglia” nel mondo e soprattutto
“contentezza” nei napoletani che guardarono con stupore alla creazione della
comunità ed anche con la speranza di vedere quella istituzione in altre parti del Regno.La
critica storica non fu molto concorde
nell’esprimere i giudizi nei confronti dello Statuto. Alcuni storici infatti affermarono come lo statuto
fosse una parvenza di governo popolare che era invalidato dalla frequente
presenza del re a San Leucio nonchè dai poteri dell’intendente. Carica d’intendente che fu ricoperta per molto tempo dal cardinale Fabrizio Dionigi
Ruffo (dei duchi di Bagnara e Baranello) e che sarà successivamente a capo
della restaurazione borbonica.Lo
storico Federico Stefani collegò la colonia alle utopie sociali di Rétif de la
Bretonne, nelle quali i principi rivoluzionari coesistevano quasi sempre col
vecchio ordinamento religioso e monarchico. Aggiunse che la stessa Maria
Carolina seguiva con vivo interesse l'opera di Rétif de la Bretonne e, collegò
il carattere della regina , progressivo e paternalistico, al codice di S.
Leucio.Altri
storici furono molto critici sull’iniziativa del Borbone perché giudicarono la Colonia quale bizzarro e
capriccioso trastullo del re o, in maniera analoga, malcelata attestazione del
suo innato dispotismo (Benedetto Croce e addirittura Giosuè Carducci).Lo
scrittore, storico e collezionista d’arte, Sir Harold Mario Acton «I suoi nemici lo
accusarono di averla fondata per la soddisfazione delle sue brame, dato che
aveva un debole per le robuste ragazzotte di campagna. Ma quello fu il suo
primo ed unico esperimento sociale. Accadde che dopo un viaggio nell’Italia
Settentrionale, nel 1785, dove il suo più progredito cognato lo aveva infarcito
di discorsi morali, si era deciso ad imbarcarsi in un’impresa creata da lui
stesso»
La
pubblicazione dello Statuto destò molta “meraviglia” nel mondo e soprattutto
“contentezza” nei napoletani che guardarono con stupore alla creazione della
comunità ed anche con la speranza di vedere quella istituzione in altre parti del Regno.La
critica storica non fu molto concorde
nell’esprimere i giudizi nei confronti dello Statuto. Alcuni storici infatti affermarono come lo statuto
fosse una parvenza di governo popolare che era invalidato dalla frequente
presenza del re a San Leucio nonchè dai poteri dell’intendente. Carica d’intendente che fu ricoperta per molto tempo dal cardinale Fabrizio Dionigi
Ruffo (dei duchi di Bagnara e Baranello) e che sarà successivamente a capo
della restaurazione borbonica.Lo
storico Federico Stefani collegò la colonia alle utopie sociali di Rétif de la
Bretonne, nelle quali i principi rivoluzionari coesistevano quasi sempre col
vecchio ordinamento religioso e monarchico. Aggiunse che la stessa Maria
Carolina seguiva con vivo interesse l'opera di Rétif de la Bretonne e, collegò
il carattere della regina , progressivo e paternalistico, al codice di S.
Leucio.Altri
storici furono molto critici sull’iniziativa del Borbone perché giudicarono la Colonia quale bizzarro e
capriccioso trastullo del re o, in maniera analoga, malcelata attestazione del
suo innato dispotismo (Benedetto Croce e addirittura Giosuè Carducci).Lo
scrittore, storico e collezionista d’arte, Sir Harold Mario Acton «I suoi nemici lo
accusarono di averla fondata per la soddisfazione delle sue brame, dato che
aveva un debole per le robuste ragazzotte di campagna. Ma quello fu il suo
primo ed unico esperimento sociale. Accadde che dopo un viaggio nell’Italia
Settentrionale, nel 1785, dove il suo più progredito cognato lo aveva infarcito
di discorsi morali, si era deciso ad imbarcarsi in un’impresa creata da lui
stesso»
Nella
critica anche giudizi positivi...Era il 20 Novembre 1789 quando a San Leucio si
sperimentò il primo esempio di repubblica socialista della storia
moderna, e di realistica attuazione di quella tipica Utopia idealistico – razionalista dell’Illuminismo dell’epoca. Una repubblica specchio di tutte le più famose teorie
utopistiche da Platone alla “Città del Sole” del calabrese Tommaso Campanella,
a Tommaso Moro..... con la istituzione di una Colonia, ad opera del re delle
Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove, a dispetto delle mistificazioni diffuse dalla vulgata, insieme alla rinascita
dell’industria della seta era fiorito l’Illuminismo del ‘700 napoletano, grande
fucina del pensiero politico meridionale e dell’Illuminismo italiano, con i
contributi di grandi personaggi come Gian Battista Vico, teorico della storia e
della vita delle nazioni, Pietro Giannone fondatore dello stato laico, Antonio
Genovei grande teorico dei canoni fondamentali dell’economia pubblica fino ai
grandi giuristi e pensatori come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Galiani,
e Pagano.“ E’ curioso che l’esempio luminoso di questa utopia
si debba a un despota illuminato, quando un altro despota illuminato, il re del
Portogallo Giuseppe I, nello stesso periodo, aveva invece stroncato nelle
colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti”.
Nella
critica anche giudizi positivi...Era il 20 Novembre 1789 quando a San Leucio si
sperimentò il primo esempio di repubblica socialista della storia
moderna, e di realistica attuazione di quella tipica Utopia idealistico – razionalista dell’Illuminismo dell’epoca. Una repubblica specchio di tutte le più famose teorie
utopistiche da Platone alla “Città del Sole” del calabrese Tommaso Campanella,
a Tommaso Moro..... con la istituzione di una Colonia, ad opera del re delle
Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove, a dispetto delle mistificazioni diffuse dalla vulgata, insieme alla rinascita
dell’industria della seta era fiorito l’Illuminismo del ‘700 napoletano, grande
fucina del pensiero politico meridionale e dell’Illuminismo italiano, con i
contributi di grandi personaggi come Gian Battista Vico, teorico della storia e
della vita delle nazioni, Pietro Giannone fondatore dello stato laico, Antonio
Genovei grande teorico dei canoni fondamentali dell’economia pubblica fino ai
grandi giuristi e pensatori come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Galiani,
e Pagano.“ E’ curioso che l’esempio luminoso di questa utopia
si debba a un despota illuminato, quando un altro despota illuminato, il re del
Portogallo Giuseppe I, nello stesso periodo, aveva invece stroncato nelle
colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti”.
Nella
critica anche giudizi positivi...Era il 20 Novembre 1789 quando a San Leucio si
sperimentò il primo esempio di repubblica socialista della storia
moderna, e di realistica attuazione di quella tipica Utopia idealistico – razionalista dell’Illuminismo dell’epoca. Una repubblica specchio di tutte le più famose teorie
utopistiche da Platone alla “Città del Sole” del calabrese Tommaso Campanella,
a Tommaso Moro..... con la istituzione di una Colonia, ad opera del re delle
Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove, a dispetto delle mistificazioni diffuse dalla vulgata, insieme alla rinascita
dell’industria della seta era fiorito l’Illuminismo del ‘700 napoletano, grande
fucina del pensiero politico meridionale e dell’Illuminismo italiano, con i
contributi di grandi personaggi come Gian Battista Vico, teorico della storia e
della vita delle nazioni, Pietro Giannone fondatore dello stato laico, Antonio
Genovei grande teorico dei canoni fondamentali dell’economia pubblica fino ai
grandi giuristi e pensatori come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Galiani,
e Pagano.“ E’ curioso che l’esempio luminoso di questa utopia
si debba a un despota illuminato, quando un altro despota illuminato, il re del
Portogallo Giuseppe I, nello stesso periodo, aveva invece stroncato nelle
colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti”.
Nella
critica anche giudizi positivi...Era il 20 Novembre 1789 quando a San Leucio si
sperimentò il primo esempio di repubblica socialista della storia
moderna, e di realistica attuazione di quella tipica Utopia idealistico – razionalista dell’Illuminismo dell’epoca. Una repubblica specchio di tutte le più famose teorie
utopistiche da Platone alla “Città del Sole” del calabrese Tommaso Campanella,
a Tommaso Moro..... con la istituzione di una Colonia, ad opera del re delle
Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove, a dispetto delle mistificazioni diffuse dalla vulgata, insieme alla rinascita
dell’industria della seta era fiorito l’Illuminismo del ‘700 napoletano, grande
fucina del pensiero politico meridionale e dell’Illuminismo italiano, con i
contributi di grandi personaggi come Gian Battista Vico, teorico della storia e
della vita delle nazioni, Pietro Giannone fondatore dello stato laico, Antonio
Genovei grande teorico dei canoni fondamentali dell’economia pubblica fino ai
grandi giuristi e pensatori come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Galiani,
e Pagano.“ E’ curioso che l’esempio luminoso di questa utopia
si debba a un despota illuminato, quando un altro despota illuminato, il re del
Portogallo Giuseppe I, nello stesso periodo, aveva invece stroncato nelle
colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti”.
Nella
critica anche giudizi positivi...Era il 20 Novembre 1789 quando a San Leucio si
sperimentò il primo esempio di repubblica socialista della storia
moderna, e di realistica attuazione di quella tipica Utopia idealistico – razionalista dell’Illuminismo dell’epoca. Una repubblica specchio di tutte le più famose teorie
utopistiche da Platone alla “Città del Sole” del calabrese Tommaso Campanella,
a Tommaso Moro..... con la istituzione di una Colonia, ad opera del re delle
Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove, a dispetto delle mistificazioni diffuse dalla vulgata, insieme alla rinascita
dell’industria della seta era fiorito l’Illuminismo del ‘700 napoletano, grande
fucina del pensiero politico meridionale e dell’Illuminismo italiano, con i
contributi di grandi personaggi come Gian Battista Vico, teorico della storia e
della vita delle nazioni, Pietro Giannone fondatore dello stato laico, Antonio
Genovei grande teorico dei canoni fondamentali dell’economia pubblica fino ai
grandi giuristi e pensatori come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Galiani,
e Pagano.“ E’ curioso che l’esempio luminoso di questa utopia
si debba a un despota illuminato, quando un altro despota illuminato, il re del
Portogallo Giuseppe I, nello stesso periodo, aveva invece stroncato nelle
colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti”.
Il
Codice Leuciano, come detto, nel gennaio del 1789 fu pubblicato in soli 150 esemplari, su carta imperiale d’Olanda per le Leggi e carta reale per i Doveri, con un volume il cui titolo era: «L’origine
della popolazione di S. Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle
Leggi corrispondenti al buon Governo di Essa» che comprendeva anche i «Doveri
verso Dio, verso sé, verso gli Altri, verso il Re, verso lo Stato, per uso
delle Scuole normali di S. Leucio» ed un «Orario per il tempo della
Preghiera, Messa ed Esposizione del Santissimo per gli individui della popolazione di S. Leucio», opera meglio nota come il Codice di San Leucio.Il
codice fu subito tradotto in greco, tedesco e francese ( da parte dell’Abate
Louis Antoine Clémaron de S. Maurice, Gradué dans l’Université de Paris,
regolarmente autorizzata per il tramite di Mons. Capecelatro, allora Vescovo di
Taranto).La
traduzione più importante fu fatta,
alcuni mesi dopo la pubblicazione del codice, dall’abate Vincenzo Lupoli teologo dell’Ecc.ma Città di Napoli
(Frattamaggiore), professore di Diritto Ecclesiastico nella R. Università e
membro di diverse Accademie. La
stampa dell’epoca diede particolare risalto alla traduzione.La GAZZETTA CIVICA NAPOLETANA Num. 32 Sabato 7 agosto
1790..riportò “ Con Sovrana previa approvazione, ed indi con sommo
gradimento è stata presentata alle MM.LL., e Regal Famiglia, la Regal Opera
della Legislazione di S. Leucio, tradotta in Latino ed arricchita di dotte, ed
erudite Note dall’Abate Vincenzo Lupoli, Professore di Leggi, Teologo di questa
Eccellentissima Città, e Membro di diverse Accademie, ben noto alla Repubblica
delle Lettere per le molte sue egregie produzioni legali. La detta opera va
tutta divisa alternativamente in due pagine, Italiana l’una, e l’altra Latina,
inclusavi ben anche la stessa Dedica a S.M., e la elegantissima iscrizione, che
al Re padre in nome della Colonia vi si aggiunge nella fine. Fa ella onore al
Traduttore per la sua erudizione, ed eleganza di scrivere.
NOTIZIE DEL MONDO Num. 79 Venerdì 1 ottobre 1790
(Foglio di Firenze che suol ristamparsi in Napoli e darsi nel Regno agli
associati). Il Ch. Autore, ben noto per il suo terso
scriver Latino, e molto più per le condizioni del vero sapere, l’ha corredata
di molte e dotte Note Latino-Italiane, rischiarando, e confermando con le
massime della saggia antichità, quanto dall’Augusto Ferdinando viene qui
economicamente stabilito, in alcune ancor delle quali è interessata la
Sovranità, difesa contro al fanatismo del secolo filosofico, e le quali,
sebbene staccate fra loro, considerate nel suo tutto, formano un bel pezzo, o
saggio di diritto di natura; quale peraltro Opera sotto il titolo Iuris
Naturalis, o Revelati Prelectiones sta dando più diffusamente alla luce
l’illustre Autore, e la cita in alcune Note della presente Legislazione. In
fine poi di questa havvi una di più, una tenera ed elegante Iscrizione, ancor
Latino-Italiana, in nome della Colonia al Re Padre, esprimente i più vivi
sentimenti di gratitudine al Sovrano Benefattore. Tutta l’Opera, di bei
caratteri oltracciò, e ben corretta, è circa 150 pagine, vendibile presso il
suo stampatore Michele Migliaccio.
CONTINUAZIONE DELLE NOVELLE LETTERARIE Num. 49 Firenze
3 Dicembre 1790. Legislazione di S. Leucio, in Latino con
delle Note. Napoli 1789, nella Stamp. Reale, in 8°, di pp. 328, non compresa la
Lettera Dedicatoria a S. M. Siciliana. Autore del Libro, e l’indice de’
capitoli. Noi torniamo per la terza volta a, parlar con piacere delle leggi,
che l’Augusto Monarca delle Due Sicilie si è degnato dettare di propria bocca e
far pubblicare a benefizio speciale della nuova Colonia da esso fondata sul
selvoso Monte di S. Leucio, nelle vicinanze di Caserta. Dopo che queste,
fattesi note a tutta Europa, sono state analizzate da un recente Autore
anonimo, e tradotte da altri in Greco, in Francese, e Tedesco; restava adesso,
che fossero trasportate in lingua Latina, più delle altre comune a tutti i
Dotti, ed è stato di fatto eseguito ciò dal celebre Sig. Ab. Vincenzo Lupoli, Professore
di Giurisprudenza, e Teologo Napoletano. L’eleganza dello stile, e l’elocuzione
puntuale, e precisa non lascian distinguere quale delle due lingue sia
l’originale, e quale la versione. Le Note poi, che il medesimo Sig. Lupoli ha
fatto succedere all’Opera Regia, e che fanno quasi due terzi di tutto il Libro,
compariscono istruttive, sugose, e di mano maestra. Talune rilevano la
beneficenza, e l’amor paterno di quel Sovrano, tali altre l’ardente impegno per
l’avanzamento della gioventù nel viver Cristiano, nelle arti, e nell’economia,
e tale la saviezza delle regole date a quella Colonia, la munificenza, la
dirittura delle vedute. Vi campeggia dappertutto un fino giudizio dello
Scrittore, il quale ora da sensato Giureconsulto, or da erudito Filologo, or da
Storico illuminato, or da Teologo sperimentato, ed or anco da Filosofo, a
seconda delle Regali massime, e dei precetti dati a quella Colonia, dichiara,
estende, conferma, loda, e vorrebbe che dall’alto Monte di S. Leucio, dove
l’ottimo Re Ferdinando ha piantato come un bel tronco di scelta pianta, si
estendesse l’ombra di lei nel restante del Regno, e dippiù nelle altre
Popolazioni e Città, come si può, e quanto si può il meglio; ed in certi
particolari punti ne propone ancor agevolmente i mezzi pel bene della Società.
Troppo si converrebbe dire, se tutto volessimo tirar fuori lo spirito di quelle
Note, le quali insomma son degne del nome dell’Autore, e della reputazione, che
si è acquistata con molte altre sue produzioni. In fine leggesi una Iscrizione
Latina dello stesso Sig. Ab. Lupoli, degna di esser posta in caratteri d’oro
davanti a quella fortunata Colonia, per eternare insieme la beneficenza del Re
e la riconoscenza di tanto beneficata Popolazione nascente. Ci facciamo un
pregio di chiuder questo articolo con essa, non tanto per mostrare la dettatura
precisa, ed affettuosa; quanto ancora per far sempre più conoscere la storia,
la natura, e l’epoca di sì degno Stabilimento.
In seguito la GAZZETTA DI VENEZIA ‘Notizie del Mondo’,
num. 104. Mercoledì 29 Decembre, portò lo stesso elogio della detta
Traduzione. Tuttogiorno vantaggiosi dettagli ne fanno ancora altri Fogli
periodici; insigni Personaggi, e Letterati non cessano per via di lettere di
commendare la munificenza del Sapientissimo Sovrano per la novella
Legislazione, e la versione Latina, e le note del Traduttore, che tutto qui si
tralascia.
GAZZETTA UNIVERSALE (di Firenze) Num. 102. 14 Decembr.
1790. S.M. sebbene lontana ha avuta presente la sua nuova Colonia di S.
Leuce, avendo richiesto per ben due volte al Principe di Tarsia, che subito
spedisse a Vienna alcune copie della novella Legislazione di S. Leuce medesima,
tradotta in elegante Idioma Latino dal nostro Letterato, l’Abate Don Vincenzo
Lupoli, Teologo di questa Città, corredata di dotte Annotazioni
Latino-Italiane, la quale Opera gli presentò prima della partenza per la
Germania, con una Dedica alla M.S. e con un’analoga Iscrizione in fine in nome
della Colonia. Il contenuto della materia fa ammirare la magnanimità del
Sovrano Legislatore, e l’erudizione del soggetto, che vi ha apposte le
annotazioni. La traduzione, a fronte del testo italiano, era corredata da note,
ugualmente in latino, di vasta erudizione giuridica e filosofica, non insolita
nei letterati di quel secolo. La forma latina è curata e la lingua è
estremamente forbita. Comprensibile, ovviamente, lo spirito cortigiano che
anima l’opera: dopo aver collocato Ferdinando al di sopra dei più famosi
legislatori dell’antichità, l’Abate Lupoli fa alla fine un’esaltazione del re e
della famiglia reale, concludendo con l’elegante epigrafe latina che ancora si
può leggere alla base della statua di Ferdinando I eretta nel Belvedere di S.
Leucio, incisa nel 1824 ad opera del Cav. Antonio Sancio, Amministratore, in
quel tempo, del Real Sito di S. Leucio e del Sito Reale di Caserta. La
traduzione della Legislazione in latino, oltre a costituire un fatto di
cultura, contribuì, a diffondere all’estero, specie nei paesi dove si conosceva
molto più la lingua di Cicerone che quella di Dante, il Codice leuciano.
Ferdinando IV ne ebbe prova diretta quando l’anno dopo, recatosi in Austria e
Germania per presenziare alla cerimonia del fidanzamento del figlio Francesco
con l’Arciduchessa Maria Clementina e per l’incoronazione a Imperatore del
cognato Leopoldo II, dovette espressamente richiederne a Napoli varie copie,
come si ricava dal seguente carteggio dell’epoca: Lettera di officio di S.E. il
Sig. Principe di Tarsia, Soprintendente alla Regal Colonia di S. Leucio,
all’Ab. Lupoli, in nome di S.M. che si degnò richieder da Vienna alcune copie
di detta Traduzione. Il commento analitico in latino ai vari capi della
Legislatura era corredato da richiami alla Bibbia, al diritto e ai filosofi
greci e romani, i riferimenti agli Enciclopedisti francesi, a Voltaire, al
Pudendorf e al Grozio, a Montesquieu e a Rousseau espressi nelle Note, condotte
su antiche edizioni dei testi. Molto Illustre e Rev. Signore. Avendomi S.M.
richiesto da Vienna dieci in dodici copie del libro di V.S. fatto in Latino, ed
Italiano per la Legislazione di S. Leucio, siccome io non me ne ritrovo altra,
che quell’una copia, che Ella mi favorì, così sono a pregarla ad aver la bontà
di farmi pervenire dodici altre copie del detto libro, per poterle inviare
prontamente alla M.S. ed in tale attenzione resto colla solita stima
confermandomi di V.S. Napoli, 27 settembre 1790. Affezionatissimo per servirla
Il Principe di Tarsia Sig. D. Vincenzo Lupoli - Napoli Per il gradimento che
detta Opera incontrava nella Germania, si degnò S.M. di nuovo scrivere a S.E.
il Signor Principe di Tarsia, richiedendone altre copie 24 che furon subito
spedite a Francofort, dove S.M. ritrovavasi per l’incoronazione in Imperatore
dell’Augusto Cognato Leopoldo II. * * * * *
La traduzione latina dell’Abate Vincenzo Lupoli
contribuì a far conoscere la Legislazione di S. Leucio negli ambienti culturali
europei più di quanto la diffusione dei prodotti della manifattura della seta
avesse fatto conoscere la Real Colonia e richiamò l’attenzione sulla
organizzazione etico-amministrativa di una comunità a struttura sociale basata
sul principio dell’uguaglianza sia sotto il profilo giuridico che economico,
garantita da una regolamentazione che riguardava tutte le manifestazioni della
vita individuale e collettiva. Una regolamentazione che disciplinava i tempi e
i modi del lavoro, che fissava i criteri dell’istruzione da impartire agli
adolescenti, che si preoccupava di tutti gli aspetti della mutua assistenza e
che alla base del vivere civile poneva l’osservanza delle pratiche religiose,
considerando la religione il cardine spirituale intorno al quale ruotava la
vita stessa della collettività. S. Leucio apparve come una specie di isola
sotto la protezione di un Re, illuminato e paterno, pensoso della
"felicità" del popolo, secondo i più puri canoni delle utopie
settecentesche. E se il piccolo Codice si inserisce proprio nella storia della
più pura utopia che parte da quella di Tommaso Moro, la traduzione latina lo
introduce nella storia della cultura, sulle note di una lingua universale, da
millenni veicolo insostituibile alla circolazione delle idee. E ciò per merito
dell’Abate Vincenzo Lupoli, cittadino illustre di Frattamaggiore e vescovo di
Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti.
6
Il
Codice Leuciano, come detto, nel gennaio del 1789 fu pubblicato in soli 150 esemplari, su carta imperiale d’Olanda per le Leggi e carta reale per i Doveri, con un volume il cui titolo era: «L’origine
della popolazione di S. Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle
Leggi corrispondenti al buon Governo di Essa» che comprendeva anche i «Doveri
verso Dio, verso sé, verso gli Altri, verso il Re, verso lo Stato, per uso
delle Scuole normali di S. Leucio» ed un «Orario per il tempo della
Preghiera, Messa ed Esposizione del Santissimo per gli individui della popolazione di S. Leucio», opera meglio nota come il Codice di San Leucio.Il
codice fu subito tradotto in greco, tedesco e francese ( da parte dell’Abate
Louis Antoine Clémaron de S. Maurice, Gradué dans l’Université de Paris,
regolarmente autorizzata per il tramite di Mons. Capecelatro, allora Vescovo di
Taranto).La
traduzione più importante fu fatta,
alcuni mesi dopo la pubblicazione del codice, dall’abate Vincenzo Lupoli teologo dell’Ecc.ma Città di Napoli
(Frattamaggiore), professore di Diritto Ecclesiastico nella R. Università e
membro di diverse Accademie. La
stampa dell’epoca diede particolare risalto alla traduzione.La GAZZETTA CIVICA NAPOLETANA Num. 32 Sabato 7 agosto
1790..riportò “ Con Sovrana previa approvazione, ed indi con sommo
gradimento è stata presentata alle MM.LL., e Regal Famiglia, la Regal Opera
della Legislazione di S. Leucio, tradotta in Latino ed arricchita di dotte, ed
erudite Note dall’Abate Vincenzo Lupoli, Professore di Leggi, Teologo di questa
Eccellentissima Città, e Membro di diverse Accademie, ben noto alla Repubblica
delle Lettere per le molte sue egregie produzioni legali. La detta opera va
tutta divisa alternativamente in due pagine, Italiana l’una, e l’altra Latina,
inclusavi ben anche la stessa Dedica a S.M., e la elegantissima iscrizione, che
al Re padre in nome della Colonia vi si aggiunge nella fine. Fa ella onore al
Traduttore per la sua erudizione, ed eleganza di scrivere.
NOTIZIE DEL MONDO Num. 79 Venerdì 1 ottobre 1790
(Foglio di Firenze che suol ristamparsi in Napoli e darsi nel Regno agli
associati). Il Ch. Autore, ben noto per il suo terso
scriver Latino, e molto più per le condizioni del vero sapere, l’ha corredata
di molte e dotte Note Latino-Italiane, rischiarando, e confermando con le
massime della saggia antichità, quanto dall’Augusto Ferdinando viene qui
economicamente stabilito, in alcune ancor delle quali è interessata la
Sovranità, difesa contro al fanatismo del secolo filosofico, e le quali,
sebbene staccate fra loro, considerate nel suo tutto, formano un bel pezzo, o
saggio di diritto di natura; quale peraltro Opera sotto il titolo Iuris
Naturalis, o Revelati Prelectiones sta dando più diffusamente alla luce
l’illustre Autore, e la cita in alcune Note della presente Legislazione. In
fine poi di questa havvi una di più, una tenera ed elegante Iscrizione, ancor
Latino-Italiana, in nome della Colonia al Re Padre, esprimente i più vivi
sentimenti di gratitudine al Sovrano Benefattore. Tutta l’Opera, di bei
caratteri oltracciò, e ben corretta, è circa 150 pagine, vendibile presso il
suo stampatore Michele Migliaccio.
CONTINUAZIONE DELLE NOVELLE LETTERARIE Num. 49 Firenze
3 Dicembre 1790. Legislazione di S. Leucio, in Latino con
delle Note. Napoli 1789, nella Stamp. Reale, in 8°, di pp. 328, non compresa la
Lettera Dedicatoria a S. M. Siciliana. Autore del Libro, e l’indice de’
capitoli. Noi torniamo per la terza volta a, parlar con piacere delle leggi,
che l’Augusto Monarca delle Due Sicilie si è degnato dettare di propria bocca e
far pubblicare a benefizio speciale della nuova Colonia da esso fondata sul
selvoso Monte di S. Leucio, nelle vicinanze di Caserta. Dopo che queste,
fattesi note a tutta Europa, sono state analizzate da un recente Autore
anonimo, e tradotte da altri in Greco, in Francese, e Tedesco; restava adesso,
che fossero trasportate in lingua Latina, più delle altre comune a tutti i
Dotti, ed è stato di fatto eseguito ciò dal celebre Sig. Ab. Vincenzo Lupoli, Professore
di Giurisprudenza, e Teologo Napoletano. L’eleganza dello stile, e l’elocuzione
puntuale, e precisa non lascian distinguere quale delle due lingue sia
l’originale, e quale la versione. Le Note poi, che il medesimo Sig. Lupoli ha
fatto succedere all’Opera Regia, e che fanno quasi due terzi di tutto il Libro,
compariscono istruttive, sugose, e di mano maestra. Talune rilevano la
beneficenza, e l’amor paterno di quel Sovrano, tali altre l’ardente impegno per
l’avanzamento della gioventù nel viver Cristiano, nelle arti, e nell’economia,
e tale la saviezza delle regole date a quella Colonia, la munificenza, la
dirittura delle vedute. Vi campeggia dappertutto un fino giudizio dello
Scrittore, il quale ora da sensato Giureconsulto, or da erudito Filologo, or da
Storico illuminato, or da Teologo sperimentato, ed or anco da Filosofo, a
seconda delle Regali massime, e dei precetti dati a quella Colonia, dichiara,
estende, conferma, loda, e vorrebbe che dall’alto Monte di S. Leucio, dove
l’ottimo Re Ferdinando ha piantato come un bel tronco di scelta pianta, si
estendesse l’ombra di lei nel restante del Regno, e dippiù nelle altre
Popolazioni e Città, come si può, e quanto si può il meglio; ed in certi
particolari punti ne propone ancor agevolmente i mezzi pel bene della Società.
Troppo si converrebbe dire, se tutto volessimo tirar fuori lo spirito di quelle
Note, le quali insomma son degne del nome dell’Autore, e della reputazione, che
si è acquistata con molte altre sue produzioni. In fine leggesi una Iscrizione
Latina dello stesso Sig. Ab. Lupoli, degna di esser posta in caratteri d’oro
davanti a quella fortunata Colonia, per eternare insieme la beneficenza del Re
e la riconoscenza di tanto beneficata Popolazione nascente. Ci facciamo un
pregio di chiuder questo articolo con essa, non tanto per mostrare la dettatura
precisa, ed affettuosa; quanto ancora per far sempre più conoscere la storia,
la natura, e l’epoca di sì degno Stabilimento.
In seguito la GAZZETTA DI VENEZIA ‘Notizie del Mondo’,
num. 104. Mercoledì 29 Decembre, portò lo stesso elogio della detta
Traduzione. Tuttogiorno vantaggiosi dettagli ne fanno ancora altri Fogli
periodici; insigni Personaggi, e Letterati non cessano per via di lettere di
commendare la munificenza del Sapientissimo Sovrano per la novella
Legislazione, e la versione Latina, e le note del Traduttore, che tutto qui si
tralascia.
GAZZETTA UNIVERSALE (di Firenze) Num. 102. 14 Decembr.
1790. S.M. sebbene lontana ha avuta presente la sua nuova Colonia di S.
Leuce, avendo richiesto per ben due volte al Principe di Tarsia, che subito
spedisse a Vienna alcune copie della novella Legislazione di S. Leuce medesima,
tradotta in elegante Idioma Latino dal nostro Letterato, l’Abate Don Vincenzo
Lupoli, Teologo di questa Città, corredata di dotte Annotazioni
Latino-Italiane, la quale Opera gli presentò prima della partenza per la
Germania, con una Dedica alla M.S. e con un’analoga Iscrizione in fine in nome
della Colonia. Il contenuto della materia fa ammirare la magnanimità del
Sovrano Legislatore, e l’erudizione del soggetto, che vi ha apposte le
annotazioni. La traduzione, a fronte del testo italiano, era corredata da note,
ugualmente in latino, di vasta erudizione giuridica e filosofica, non insolita
nei letterati di quel secolo. La forma latina è curata e la lingua è
estremamente forbita. Comprensibile, ovviamente, lo spirito cortigiano che
anima l’opera: dopo aver collocato Ferdinando al di sopra dei più famosi
legislatori dell’antichità, l’Abate Lupoli fa alla fine un’esaltazione del re e
della famiglia reale, concludendo con l’elegante epigrafe latina che ancora si
può leggere alla base della statua di Ferdinando I eretta nel Belvedere di S.
Leucio, incisa nel 1824 ad opera del Cav. Antonio Sancio, Amministratore, in
quel tempo, del Real Sito di S. Leucio e del Sito Reale di Caserta. La
traduzione della Legislazione in latino, oltre a costituire un fatto di
cultura, contribuì, a diffondere all’estero, specie nei paesi dove si conosceva
molto più la lingua di Cicerone che quella di Dante, il Codice leuciano.
Ferdinando IV ne ebbe prova diretta quando l’anno dopo, recatosi in Austria e
Germania per presenziare alla cerimonia del fidanzamento del figlio Francesco
con l’Arciduchessa Maria Clementina e per l’incoronazione a Imperatore del
cognato Leopoldo II, dovette espressamente richiederne a Napoli varie copie,
come si ricava dal seguente carteggio dell’epoca: Lettera di officio di S.E. il
Sig. Principe di Tarsia, Soprintendente alla Regal Colonia di S. Leucio,
all’Ab. Lupoli, in nome di S.M. che si degnò richieder da Vienna alcune copie
di detta Traduzione. Il commento analitico in latino ai vari capi della
Legislatura era corredato da richiami alla Bibbia, al diritto e ai filosofi
greci e romani, i riferimenti agli Enciclopedisti francesi, a Voltaire, al
Pudendorf e al Grozio, a Montesquieu e a Rousseau espressi nelle Note, condotte
su antiche edizioni dei testi. Molto Illustre e Rev. Signore. Avendomi S.M.
richiesto da Vienna dieci in dodici copie del libro di V.S. fatto in Latino, ed
Italiano per la Legislazione di S. Leucio, siccome io non me ne ritrovo altra,
che quell’una copia, che Ella mi favorì, così sono a pregarla ad aver la bontà
di farmi pervenire dodici altre copie del detto libro, per poterle inviare
prontamente alla M.S. ed in tale attenzione resto colla solita stima
confermandomi di V.S. Napoli, 27 settembre 1790. Affezionatissimo per servirla
Il Principe di Tarsia Sig. D. Vincenzo Lupoli - Napoli Per il gradimento che
detta Opera incontrava nella Germania, si degnò S.M. di nuovo scrivere a S.E.
il Signor Principe di Tarsia, richiedendone altre copie 24 che furon subito
spedite a Francofort, dove S.M. ritrovavasi per l’incoronazione in Imperatore
dell’Augusto Cognato Leopoldo II. * * * * *
La traduzione latina dell’Abate Vincenzo Lupoli
contribuì a far conoscere la Legislazione di S. Leucio negli ambienti culturali
europei più di quanto la diffusione dei prodotti della manifattura della seta
avesse fatto conoscere la Real Colonia e richiamò l’attenzione sulla
organizzazione etico-amministrativa di una comunità a struttura sociale basata
sul principio dell’uguaglianza sia sotto il profilo giuridico che economico,
garantita da una regolamentazione che riguardava tutte le manifestazioni della
vita individuale e collettiva. Una regolamentazione che disciplinava i tempi e
i modi del lavoro, che fissava i criteri dell’istruzione da impartire agli
adolescenti, che si preoccupava di tutti gli aspetti della mutua assistenza e
che alla base del vivere civile poneva l’osservanza delle pratiche religiose,
considerando la religione il cardine spirituale intorno al quale ruotava la
vita stessa della collettività. S. Leucio apparve come una specie di isola
sotto la protezione di un Re, illuminato e paterno, pensoso della
"felicità" del popolo, secondo i più puri canoni delle utopie
settecentesche. E se il piccolo Codice si inserisce proprio nella storia della
più pura utopia che parte da quella di Tommaso Moro, la traduzione latina lo
introduce nella storia della cultura, sulle note di una lingua universale, da
millenni veicolo insostituibile alla circolazione delle idee. E ciò per merito
dell’Abate Vincenzo Lupoli, cittadino illustre di Frattamaggiore e vescovo di
Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti.
6
Il
Codice Leuciano, come detto, nel gennaio del 1789 fu pubblicato in soli 150 esemplari, su carta imperiale d’Olanda per le Leggi e carta reale per i Doveri, con un volume il cui titolo era: «L’origine
della popolazione di S. Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle
Leggi corrispondenti al buon Governo di Essa» che comprendeva anche i «Doveri
verso Dio, verso sé, verso gli Altri, verso il Re, verso lo Stato, per uso
delle Scuole normali di S. Leucio» ed un «Orario per il tempo della
Preghiera, Messa ed Esposizione del Santissimo per gli individui della popolazione di S. Leucio», opera meglio nota come il Codice di San Leucio.Il
codice fu subito tradotto in greco, tedesco e francese ( da parte dell’Abate
Louis Antoine Clémaron de S. Maurice, Gradué dans l’Université de Paris,
regolarmente autorizzata per il tramite di Mons. Capecelatro, allora Vescovo di
Taranto).La
traduzione più importante fu fatta,
alcuni mesi dopo la pubblicazione del codice, dall’abate Vincenzo Lupoli teologo dell’Ecc.ma Città di Napoli
(Frattamaggiore), professore di Diritto Ecclesiastico nella R. Università e
membro di diverse Accademie. La
stampa dell’epoca diede particolare risalto alla traduzione.La GAZZETTA CIVICA NAPOLETANA Num. 32 Sabato 7 agosto
1790..riportò “ Con Sovrana previa approvazione, ed indi con sommo
gradimento è stata presentata alle MM.LL., e Regal Famiglia, la Regal Opera
della Legislazione di S. Leucio, tradotta in Latino ed arricchita di dotte, ed
erudite Note dall’Abate Vincenzo Lupoli, Professore di Leggi, Teologo di questa
Eccellentissima Città, e Membro di diverse Accademie, ben noto alla Repubblica
delle Lettere per le molte sue egregie produzioni legali. La detta opera va
tutta divisa alternativamente in due pagine, Italiana l’una, e l’altra Latina,
inclusavi ben anche la stessa Dedica a S.M., e la elegantissima iscrizione, che
al Re padre in nome della Colonia vi si aggiunge nella fine. Fa ella onore al
Traduttore per la sua erudizione, ed eleganza di scrivere.
NOTIZIE DEL MONDO Num. 79 Venerdì 1 ottobre 1790
(Foglio di Firenze che suol ristamparsi in Napoli e darsi nel Regno agli
associati). Il Ch. Autore, ben noto per il suo terso
scriver Latino, e molto più per le condizioni del vero sapere, l’ha corredata
di molte e dotte Note Latino-Italiane, rischiarando, e confermando con le
massime della saggia antichità, quanto dall’Augusto Ferdinando viene qui
economicamente stabilito, in alcune ancor delle quali è interessata la
Sovranità, difesa contro al fanatismo del secolo filosofico, e le quali,
sebbene staccate fra loro, considerate nel suo tutto, formano un bel pezzo, o
saggio di diritto di natura; quale peraltro Opera sotto il titolo Iuris
Naturalis, o Revelati Prelectiones sta dando più diffusamente alla luce
l’illustre Autore, e la cita in alcune Note della presente Legislazione. In
fine poi di questa havvi una di più, una tenera ed elegante Iscrizione, ancor
Latino-Italiana, in nome della Colonia al Re Padre, esprimente i più vivi
sentimenti di gratitudine al Sovrano Benefattore. Tutta l’Opera, di bei
caratteri oltracciò, e ben corretta, è circa 150 pagine, vendibile presso il
suo stampatore Michele Migliaccio.
CONTINUAZIONE DELLE NOVELLE LETTERARIE Num. 49 Firenze
3 Dicembre 1790. Legislazione di S. Leucio, in Latino con
delle Note. Napoli 1789, nella Stamp. Reale, in 8°, di pp. 328, non compresa la
Lettera Dedicatoria a S. M. Siciliana. Autore del Libro, e l’indice de’
capitoli. Noi torniamo per la terza volta a, parlar con piacere delle leggi,
che l’Augusto Monarca delle Due Sicilie si è degnato dettare di propria bocca e
far pubblicare a benefizio speciale della nuova Colonia da esso fondata sul
selvoso Monte di S. Leucio, nelle vicinanze di Caserta. Dopo che queste,
fattesi note a tutta Europa, sono state analizzate da un recente Autore
anonimo, e tradotte da altri in Greco, in Francese, e Tedesco; restava adesso,
che fossero trasportate in lingua Latina, più delle altre comune a tutti i
Dotti, ed è stato di fatto eseguito ciò dal celebre Sig. Ab. Vincenzo Lupoli, Professore
di Giurisprudenza, e Teologo Napoletano. L’eleganza dello stile, e l’elocuzione
puntuale, e precisa non lascian distinguere quale delle due lingue sia
l’originale, e quale la versione. Le Note poi, che il medesimo Sig. Lupoli ha
fatto succedere all’Opera Regia, e che fanno quasi due terzi di tutto il Libro,
compariscono istruttive, sugose, e di mano maestra. Talune rilevano la
beneficenza, e l’amor paterno di quel Sovrano, tali altre l’ardente impegno per
l’avanzamento della gioventù nel viver Cristiano, nelle arti, e nell’economia,
e tale la saviezza delle regole date a quella Colonia, la munificenza, la
dirittura delle vedute. Vi campeggia dappertutto un fino giudizio dello
Scrittore, il quale ora da sensato Giureconsulto, or da erudito Filologo, or da
Storico illuminato, or da Teologo sperimentato, ed or anco da Filosofo, a
seconda delle Regali massime, e dei precetti dati a quella Colonia, dichiara,
estende, conferma, loda, e vorrebbe che dall’alto Monte di S. Leucio, dove
l’ottimo Re Ferdinando ha piantato come un bel tronco di scelta pianta, si
estendesse l’ombra di lei nel restante del Regno, e dippiù nelle altre
Popolazioni e Città, come si può, e quanto si può il meglio; ed in certi
particolari punti ne propone ancor agevolmente i mezzi pel bene della Società.
Troppo si converrebbe dire, se tutto volessimo tirar fuori lo spirito di quelle
Note, le quali insomma son degne del nome dell’Autore, e della reputazione, che
si è acquistata con molte altre sue produzioni. In fine leggesi una Iscrizione
Latina dello stesso Sig. Ab. Lupoli, degna di esser posta in caratteri d’oro
davanti a quella fortunata Colonia, per eternare insieme la beneficenza del Re
e la riconoscenza di tanto beneficata Popolazione nascente. Ci facciamo un
pregio di chiuder questo articolo con essa, non tanto per mostrare la dettatura
precisa, ed affettuosa; quanto ancora per far sempre più conoscere la storia,
la natura, e l’epoca di sì degno Stabilimento.
In seguito la GAZZETTA DI VENEZIA ‘Notizie del Mondo’,
num. 104. Mercoledì 29 Decembre, portò lo stesso elogio della detta
Traduzione. Tuttogiorno vantaggiosi dettagli ne fanno ancora altri Fogli
periodici; insigni Personaggi, e Letterati non cessano per via di lettere di
commendare la munificenza del Sapientissimo Sovrano per la novella
Legislazione, e la versione Latina, e le note del Traduttore, che tutto qui si
tralascia.
GAZZETTA UNIVERSALE (di Firenze) Num. 102. 14 Decembr.
1790. S.M. sebbene lontana ha avuta presente la sua nuova Colonia di S.
Leuce, avendo richiesto per ben due volte al Principe di Tarsia, che subito
spedisse a Vienna alcune copie della novella Legislazione di S. Leuce medesima,
tradotta in elegante Idioma Latino dal nostro Letterato, l’Abate Don Vincenzo
Lupoli, Teologo di questa Città, corredata di dotte Annotazioni
Latino-Italiane, la quale Opera gli presentò prima della partenza per la
Germania, con una Dedica alla M.S. e con un’analoga Iscrizione in fine in nome
della Colonia. Il contenuto della materia fa ammirare la magnanimità del
Sovrano Legislatore, e l’erudizione del soggetto, che vi ha apposte le
annotazioni. La traduzione, a fronte del testo italiano, era corredata da note,
ugualmente in latino, di vasta erudizione giuridica e filosofica, non insolita
nei letterati di quel secolo. La forma latina è curata e la lingua è
estremamente forbita. Comprensibile, ovviamente, lo spirito cortigiano che
anima l’opera: dopo aver collocato Ferdinando al di sopra dei più famosi
legislatori dell’antichità, l’Abate Lupoli fa alla fine un’esaltazione del re e
della famiglia reale, concludendo con l’elegante epigrafe latina che ancora si
può leggere alla base della statua di Ferdinando I eretta nel Belvedere di S.
Leucio, incisa nel 1824 ad opera del Cav. Antonio Sancio, Amministratore, in
quel tempo, del Real Sito di S. Leucio e del Sito Reale di Caserta. La
traduzione della Legislazione in latino, oltre a costituire un fatto di
cultura, contribuì, a diffondere all’estero, specie nei paesi dove si conosceva
molto più la lingua di Cicerone che quella di Dante, il Codice leuciano.
Ferdinando IV ne ebbe prova diretta quando l’anno dopo, recatosi in Austria e
Germania per presenziare alla cerimonia del fidanzamento del figlio Francesco
con l’Arciduchessa Maria Clementina e per l’incoronazione a Imperatore del
cognato Leopoldo II, dovette espressamente richiederne a Napoli varie copie,
come si ricava dal seguente carteggio dell’epoca: Lettera di officio di S.E. il
Sig. Principe di Tarsia, Soprintendente alla Regal Colonia di S. Leucio,
all’Ab. Lupoli, in nome di S.M. che si degnò richieder da Vienna alcune copie
di detta Traduzione. Il commento analitico in latino ai vari capi della
Legislatura era corredato da richiami alla Bibbia, al diritto e ai filosofi
greci e romani, i riferimenti agli Enciclopedisti francesi, a Voltaire, al
Pudendorf e al Grozio, a Montesquieu e a Rousseau espressi nelle Note, condotte
su antiche edizioni dei testi. Molto Illustre e Rev. Signore. Avendomi S.M.
richiesto da Vienna dieci in dodici copie del libro di V.S. fatto in Latino, ed
Italiano per la Legislazione di S. Leucio, siccome io non me ne ritrovo altra,
che quell’una copia, che Ella mi favorì, così sono a pregarla ad aver la bontà
di farmi pervenire dodici altre copie del detto libro, per poterle inviare
prontamente alla M.S. ed in tale attenzione resto colla solita stima
confermandomi di V.S. Napoli, 27 settembre 1790. Affezionatissimo per servirla
Il Principe di Tarsia Sig. D. Vincenzo Lupoli - Napoli Per il gradimento che
detta Opera incontrava nella Germania, si degnò S.M. di nuovo scrivere a S.E.
il Signor Principe di Tarsia, richiedendone altre copie 24 che furon subito
spedite a Francofort, dove S.M. ritrovavasi per l’incoronazione in Imperatore
dell’Augusto Cognato Leopoldo II. * * * * *
La traduzione latina dell’Abate Vincenzo Lupoli
contribuì a far conoscere la Legislazione di S. Leucio negli ambienti culturali
europei più di quanto la diffusione dei prodotti della manifattura della seta
avesse fatto conoscere la Real Colonia e richiamò l’attenzione sulla
organizzazione etico-amministrativa di una comunità a struttura sociale basata
sul principio dell’uguaglianza sia sotto il profilo giuridico che economico,
garantita da una regolamentazione che riguardava tutte le manifestazioni della
vita individuale e collettiva. Una regolamentazione che disciplinava i tempi e
i modi del lavoro, che fissava i criteri dell’istruzione da impartire agli
adolescenti, che si preoccupava di tutti gli aspetti della mutua assistenza e
che alla base del vivere civile poneva l’osservanza delle pratiche religiose,
considerando la religione il cardine spirituale intorno al quale ruotava la
vita stessa della collettività. S. Leucio apparve come una specie di isola
sotto la protezione di un Re, illuminato e paterno, pensoso della
"felicità" del popolo, secondo i più puri canoni delle utopie
settecentesche. E se il piccolo Codice si inserisce proprio nella storia della
più pura utopia che parte da quella di Tommaso Moro, la traduzione latina lo
introduce nella storia della cultura, sulle note di una lingua universale, da
millenni veicolo insostituibile alla circolazione delle idee. E ciò per merito
dell’Abate Vincenzo Lupoli, cittadino illustre di Frattamaggiore e vescovo di
Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti.
6
Il
Codice Leuciano, come detto, nel gennaio del 1789 fu pubblicato in soli 150 esemplari, su carta imperiale d’Olanda per le Leggi e carta reale per i Doveri, con un volume il cui titolo era: «L’origine
della popolazione di S. Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle
Leggi corrispondenti al buon Governo di Essa» che comprendeva anche i «Doveri
verso Dio, verso sé, verso gli Altri, verso il Re, verso lo Stato, per uso
delle Scuole normali di S. Leucio» ed un «Orario per il tempo della
Preghiera, Messa ed Esposizione del Santissimo per gli individui della popolazione di S. Leucio», opera meglio nota come il Codice di San Leucio.Il
codice fu subito tradotto in greco, tedesco e francese ( da parte dell’Abate
Louis Antoine Clémaron de S. Maurice, Gradué dans l’Université de Paris,
regolarmente autorizzata per il tramite di Mons. Capecelatro, allora Vescovo di
Taranto).La
traduzione più importante fu fatta,
alcuni mesi dopo la pubblicazione del codice, dall’abate Vincenzo Lupoli teologo dell’Ecc.ma Città di Napoli
(Frattamaggiore), professore di Diritto Ecclesiastico nella R. Università e
membro di diverse Accademie. La
stampa dell’epoca diede particolare risalto alla traduzione.La GAZZETTA CIVICA NAPOLETANA Num. 32 Sabato 7 agosto
1790..riportò “ Con Sovrana previa approvazione, ed indi con sommo
gradimento è stata presentata alle MM.LL., e Regal Famiglia, la Regal Opera
della Legislazione di S. Leucio, tradotta in Latino ed arricchita di dotte, ed
erudite Note dall’Abate Vincenzo Lupoli, Professore di Leggi, Teologo di questa
Eccellentissima Città, e Membro di diverse Accademie, ben noto alla Repubblica
delle Lettere per le molte sue egregie produzioni legali. La detta opera va
tutta divisa alternativamente in due pagine, Italiana l’una, e l’altra Latina,
inclusavi ben anche la stessa Dedica a S.M., e la elegantissima iscrizione, che
al Re padre in nome della Colonia vi si aggiunge nella fine. Fa ella onore al
Traduttore per la sua erudizione, ed eleganza di scrivere.
NOTIZIE DEL MONDO Num. 79 Venerdì 1 ottobre 1790
(Foglio di Firenze che suol ristamparsi in Napoli e darsi nel Regno agli
associati). Il Ch. Autore, ben noto per il suo terso
scriver Latino, e molto più per le condizioni del vero sapere, l’ha corredata
di molte e dotte Note Latino-Italiane, rischiarando, e confermando con le
massime della saggia antichità, quanto dall’Augusto Ferdinando viene qui
economicamente stabilito, in alcune ancor delle quali è interessata la
Sovranità, difesa contro al fanatismo del secolo filosofico, e le quali,
sebbene staccate fra loro, considerate nel suo tutto, formano un bel pezzo, o
saggio di diritto di natura; quale peraltro Opera sotto il titolo Iuris
Naturalis, o Revelati Prelectiones sta dando più diffusamente alla luce
l’illustre Autore, e la cita in alcune Note della presente Legislazione. In
fine poi di questa havvi una di più, una tenera ed elegante Iscrizione, ancor
Latino-Italiana, in nome della Colonia al Re Padre, esprimente i più vivi
sentimenti di gratitudine al Sovrano Benefattore. Tutta l’Opera, di bei
caratteri oltracciò, e ben corretta, è circa 150 pagine, vendibile presso il
suo stampatore Michele Migliaccio.
CONTINUAZIONE DELLE NOVELLE LETTERARIE Num. 49 Firenze
3 Dicembre 1790. Legislazione di S. Leucio, in Latino con
delle Note. Napoli 1789, nella Stamp. Reale, in 8°, di pp. 328, non compresa la
Lettera Dedicatoria a S. M. Siciliana. Autore del Libro, e l’indice de’
capitoli. Noi torniamo per la terza volta a, parlar con piacere delle leggi,
che l’Augusto Monarca delle Due Sicilie si è degnato dettare di propria bocca e
far pubblicare a benefizio speciale della nuova Colonia da esso fondata sul
selvoso Monte di S. Leucio, nelle vicinanze di Caserta. Dopo che queste,
fattesi note a tutta Europa, sono state analizzate da un recente Autore
anonimo, e tradotte da altri in Greco, in Francese, e Tedesco; restava adesso,
che fossero trasportate in lingua Latina, più delle altre comune a tutti i
Dotti, ed è stato di fatto eseguito ciò dal celebre Sig. Ab. Vincenzo Lupoli, Professore
di Giurisprudenza, e Teologo Napoletano. L’eleganza dello stile, e l’elocuzione
puntuale, e precisa non lascian distinguere quale delle due lingue sia
l’originale, e quale la versione. Le Note poi, che il medesimo Sig. Lupoli ha
fatto succedere all’Opera Regia, e che fanno quasi due terzi di tutto il Libro,
compariscono istruttive, sugose, e di mano maestra. Talune rilevano la
beneficenza, e l’amor paterno di quel Sovrano, tali altre l’ardente impegno per
l’avanzamento della gioventù nel viver Cristiano, nelle arti, e nell’economia,
e tale la saviezza delle regole date a quella Colonia, la munificenza, la
dirittura delle vedute. Vi campeggia dappertutto un fino giudizio dello
Scrittore, il quale ora da sensato Giureconsulto, or da erudito Filologo, or da
Storico illuminato, or da Teologo sperimentato, ed or anco da Filosofo, a
seconda delle Regali massime, e dei precetti dati a quella Colonia, dichiara,
estende, conferma, loda, e vorrebbe che dall’alto Monte di S. Leucio, dove
l’ottimo Re Ferdinando ha piantato come un bel tronco di scelta pianta, si
estendesse l’ombra di lei nel restante del Regno, e dippiù nelle altre
Popolazioni e Città, come si può, e quanto si può il meglio; ed in certi
particolari punti ne propone ancor agevolmente i mezzi pel bene della Società.
Troppo si converrebbe dire, se tutto volessimo tirar fuori lo spirito di quelle
Note, le quali insomma son degne del nome dell’Autore, e della reputazione, che
si è acquistata con molte altre sue produzioni. In fine leggesi una Iscrizione
Latina dello stesso Sig. Ab. Lupoli, degna di esser posta in caratteri d’oro
davanti a quella fortunata Colonia, per eternare insieme la beneficenza del Re
e la riconoscenza di tanto beneficata Popolazione nascente. Ci facciamo un
pregio di chiuder questo articolo con essa, non tanto per mostrare la dettatura
precisa, ed affettuosa; quanto ancora per far sempre più conoscere la storia,
la natura, e l’epoca di sì degno Stabilimento.
In seguito la GAZZETTA DI VENEZIA ‘Notizie del Mondo’,
num. 104. Mercoledì 29 Decembre, portò lo stesso elogio della detta
Traduzione. Tuttogiorno vantaggiosi dettagli ne fanno ancora altri Fogli
periodici; insigni Personaggi, e Letterati non cessano per via di lettere di
commendare la munificenza del Sapientissimo Sovrano per la novella
Legislazione, e la versione Latina, e le note del Traduttore, che tutto qui si
tralascia.
GAZZETTA UNIVERSALE (di Firenze) Num. 102. 14 Decembr.
1790. S.M. sebbene lontana ha avuta presente la sua nuova Colonia di S.
Leuce, avendo richiesto per ben due volte al Principe di Tarsia, che subito
spedisse a Vienna alcune copie della novella Legislazione di S. Leuce medesima,
tradotta in elegante Idioma Latino dal nostro Letterato, l’Abate Don Vincenzo
Lupoli, Teologo di questa Città, corredata di dotte Annotazioni
Latino-Italiane, la quale Opera gli presentò prima della partenza per la
Germania, con una Dedica alla M.S. e con un’analoga Iscrizione in fine in nome
della Colonia. Il contenuto della materia fa ammirare la magnanimità del
Sovrano Legislatore, e l’erudizione del soggetto, che vi ha apposte le
annotazioni. La traduzione, a fronte del testo italiano, era corredata da note,
ugualmente in latino, di vasta erudizione giuridica e filosofica, non insolita
nei letterati di quel secolo. La forma latina è curata e la lingua è
estremamente forbita. Comprensibile, ovviamente, lo spirito cortigiano che
anima l’opera: dopo aver collocato Ferdinando al di sopra dei più famosi
legislatori dell’antichità, l’Abate Lupoli fa alla fine un’esaltazione del re e
della famiglia reale, concludendo con l’elegante epigrafe latina che ancora si
può leggere alla base della statua di Ferdinando I eretta nel Belvedere di S.
Leucio, incisa nel 1824 ad opera del Cav. Antonio Sancio, Amministratore, in
quel tempo, del Real Sito di S. Leucio e del Sito Reale di Caserta. La
traduzione della Legislazione in latino, oltre a costituire un fatto di
cultura, contribuì, a diffondere all’estero, specie nei paesi dove si conosceva
molto più la lingua di Cicerone che quella di Dante, il Codice leuciano.
Ferdinando IV ne ebbe prova diretta quando l’anno dopo, recatosi in Austria e
Germania per presenziare alla cerimonia del fidanzamento del figlio Francesco
con l’Arciduchessa Maria Clementina e per l’incoronazione a Imperatore del
cognato Leopoldo II, dovette espressamente richiederne a Napoli varie copie,
come si ricava dal seguente carteggio dell’epoca: Lettera di officio di S.E. il
Sig. Principe di Tarsia, Soprintendente alla Regal Colonia di S. Leucio,
all’Ab. Lupoli, in nome di S.M. che si degnò richieder da Vienna alcune copie
di detta Traduzione. Il commento analitico in latino ai vari capi della
Legislatura era corredato da richiami alla Bibbia, al diritto e ai filosofi
greci e romani, i riferimenti agli Enciclopedisti francesi, a Voltaire, al
Pudendorf e al Grozio, a Montesquieu e a Rousseau espressi nelle Note, condotte
su antiche edizioni dei testi. Molto Illustre e Rev. Signore. Avendomi S.M.
richiesto da Vienna dieci in dodici copie del libro di V.S. fatto in Latino, ed
Italiano per la Legislazione di S. Leucio, siccome io non me ne ritrovo altra,
che quell’una copia, che Ella mi favorì, così sono a pregarla ad aver la bontà
di farmi pervenire dodici altre copie del detto libro, per poterle inviare
prontamente alla M.S. ed in tale attenzione resto colla solita stima
confermandomi di V.S. Napoli, 27 settembre 1790. Affezionatissimo per servirla
Il Principe di Tarsia Sig. D. Vincenzo Lupoli - Napoli Per il gradimento che
detta Opera incontrava nella Germania, si degnò S.M. di nuovo scrivere a S.E.
il Signor Principe di Tarsia, richiedendone altre copie 24 che furon subito
spedite a Francofort, dove S.M. ritrovavasi per l’incoronazione in Imperatore
dell’Augusto Cognato Leopoldo II. * * * * *
La traduzione latina dell’Abate Vincenzo Lupoli
contribuì a far conoscere la Legislazione di S. Leucio negli ambienti culturali
europei più di quanto la diffusione dei prodotti della manifattura della seta
avesse fatto conoscere la Real Colonia e richiamò l’attenzione sulla
organizzazione etico-amministrativa di una comunità a struttura sociale basata
sul principio dell’uguaglianza sia sotto il profilo giuridico che economico,
garantita da una regolamentazione che riguardava tutte le manifestazioni della
vita individuale e collettiva. Una regolamentazione che disciplinava i tempi e
i modi del lavoro, che fissava i criteri dell’istruzione da impartire agli
adolescenti, che si preoccupava di tutti gli aspetti della mutua assistenza e
che alla base del vivere civile poneva l’osservanza delle pratiche religiose,
considerando la religione il cardine spirituale intorno al quale ruotava la
vita stessa della collettività. S. Leucio apparve come una specie di isola
sotto la protezione di un Re, illuminato e paterno, pensoso della
"felicità" del popolo, secondo i più puri canoni delle utopie
settecentesche. E se il piccolo Codice si inserisce proprio nella storia della
più pura utopia che parte da quella di Tommaso Moro, la traduzione latina lo
introduce nella storia della cultura, sulle note di una lingua universale, da
millenni veicolo insostituibile alla circolazione delle idee. E ciò per merito
dell’Abate Vincenzo Lupoli, cittadino illustre di Frattamaggiore e vescovo di
Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti.
6
Il
Codice Leuciano, come detto, nel gennaio del 1789 fu pubblicato in soli 150 esemplari, su carta imperiale d’Olanda per le Leggi e carta reale per i Doveri, con un volume il cui titolo era: «L’origine
della popolazione di S. Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle
Leggi corrispondenti al buon Governo di Essa» che comprendeva anche i «Doveri
verso Dio, verso sé, verso gli Altri, verso il Re, verso lo Stato, per uso
delle Scuole normali di S. Leucio» ed un «Orario per il tempo della
Preghiera, Messa ed Esposizione del Santissimo per gli individui della popolazione di S. Leucio», opera meglio nota come il Codice di San Leucio.Il
codice fu subito tradotto in greco, tedesco e francese ( da parte dell’Abate
Louis Antoine Clémaron de S. Maurice, Gradué dans l’Université de Paris,
regolarmente autorizzata per il tramite di Mons. Capecelatro, allora Vescovo di
Taranto).La
traduzione più importante fu fatta,
alcuni mesi dopo la pubblicazione del codice, dall’abate Vincenzo Lupoli teologo dell’Ecc.ma Città di Napoli
(Frattamaggiore), professore di Diritto Ecclesiastico nella R. Università e
membro di diverse Accademie. La
stampa dell’epoca diede particolare risalto alla traduzione.La GAZZETTA CIVICA NAPOLETANA Num. 32 Sabato 7 agosto
1790..riportò “ Con Sovrana previa approvazione, ed indi con sommo
gradimento è stata presentata alle MM.LL., e Regal Famiglia, la Regal Opera
della Legislazione di S. Leucio, tradotta in Latino ed arricchita di dotte, ed
erudite Note dall’Abate Vincenzo Lupoli, Professore di Leggi, Teologo di questa
Eccellentissima Città, e Membro di diverse Accademie, ben noto alla Repubblica
delle Lettere per le molte sue egregie produzioni legali. La detta opera va
tutta divisa alternativamente in due pagine, Italiana l’una, e l’altra Latina,
inclusavi ben anche la stessa Dedica a S.M., e la elegantissima iscrizione, che
al Re padre in nome della Colonia vi si aggiunge nella fine. Fa ella onore al
Traduttore per la sua erudizione, ed eleganza di scrivere.
NOTIZIE DEL MONDO Num. 79 Venerdì 1 ottobre 1790
(Foglio di Firenze che suol ristamparsi in Napoli e darsi nel Regno agli
associati). Il Ch. Autore, ben noto per il suo terso
scriver Latino, e molto più per le condizioni del vero sapere, l’ha corredata
di molte e dotte Note Latino-Italiane, rischiarando, e confermando con le
massime della saggia antichità, quanto dall’Augusto Ferdinando viene qui
economicamente stabilito, in alcune ancor delle quali è interessata la
Sovranità, difesa contro al fanatismo del secolo filosofico, e le quali,
sebbene staccate fra loro, considerate nel suo tutto, formano un bel pezzo, o
saggio di diritto di natura; quale peraltro Opera sotto il titolo Iuris
Naturalis, o Revelati Prelectiones sta dando più diffusamente alla luce
l’illustre Autore, e la cita in alcune Note della presente Legislazione. In
fine poi di questa havvi una di più, una tenera ed elegante Iscrizione, ancor
Latino-Italiana, in nome della Colonia al Re Padre, esprimente i più vivi
sentimenti di gratitudine al Sovrano Benefattore. Tutta l’Opera, di bei
caratteri oltracciò, e ben corretta, è circa 150 pagine, vendibile presso il
suo stampatore Michele Migliaccio.
CONTINUAZIONE DELLE NOVELLE LETTERARIE Num. 49 Firenze
3 Dicembre 1790. Legislazione di S. Leucio, in Latino con
delle Note. Napoli 1789, nella Stamp. Reale, in 8°, di pp. 328, non compresa la
Lettera Dedicatoria a S. M. Siciliana. Autore del Libro, e l’indice de’
capitoli. Noi torniamo per la terza volta a, parlar con piacere delle leggi,
che l’Augusto Monarca delle Due Sicilie si è degnato dettare di propria bocca e
far pubblicare a benefizio speciale della nuova Colonia da esso fondata sul
selvoso Monte di S. Leucio, nelle vicinanze di Caserta. Dopo che queste,
fattesi note a tutta Europa, sono state analizzate da un recente Autore
anonimo, e tradotte da altri in Greco, in Francese, e Tedesco; restava adesso,
che fossero trasportate in lingua Latina, più delle altre comune a tutti i
Dotti, ed è stato di fatto eseguito ciò dal celebre Sig. Ab. Vincenzo Lupoli, Professore
di Giurisprudenza, e Teologo Napoletano. L’eleganza dello stile, e l’elocuzione
puntuale, e precisa non lascian distinguere quale delle due lingue sia
l’originale, e quale la versione. Le Note poi, che il medesimo Sig. Lupoli ha
fatto succedere all’Opera Regia, e che fanno quasi due terzi di tutto il Libro,
compariscono istruttive, sugose, e di mano maestra. Talune rilevano la
beneficenza, e l’amor paterno di quel Sovrano, tali altre l’ardente impegno per
l’avanzamento della gioventù nel viver Cristiano, nelle arti, e nell’economia,
e tale la saviezza delle regole date a quella Colonia, la munificenza, la
dirittura delle vedute. Vi campeggia dappertutto un fino giudizio dello
Scrittore, il quale ora da sensato Giureconsulto, or da erudito Filologo, or da
Storico illuminato, or da Teologo sperimentato, ed or anco da Filosofo, a
seconda delle Regali massime, e dei precetti dati a quella Colonia, dichiara,
estende, conferma, loda, e vorrebbe che dall’alto Monte di S. Leucio, dove
l’ottimo Re Ferdinando ha piantato come un bel tronco di scelta pianta, si
estendesse l’ombra di lei nel restante del Regno, e dippiù nelle altre
Popolazioni e Città, come si può, e quanto si può il meglio; ed in certi
particolari punti ne propone ancor agevolmente i mezzi pel bene della Società.
Troppo si converrebbe dire, se tutto volessimo tirar fuori lo spirito di quelle
Note, le quali insomma son degne del nome dell’Autore, e della reputazione, che
si è acquistata con molte altre sue produzioni. In fine leggesi una Iscrizione
Latina dello stesso Sig. Ab. Lupoli, degna di esser posta in caratteri d’oro
davanti a quella fortunata Colonia, per eternare insieme la beneficenza del Re
e la riconoscenza di tanto beneficata Popolazione nascente. Ci facciamo un
pregio di chiuder questo articolo con essa, non tanto per mostrare la dettatura
precisa, ed affettuosa; quanto ancora per far sempre più conoscere la storia,
la natura, e l’epoca di sì degno Stabilimento.
In seguito la GAZZETTA DI VENEZIA ‘Notizie del Mondo’,
num. 104. Mercoledì 29 Decembre, portò lo stesso elogio della detta
Traduzione. Tuttogiorno vantaggiosi dettagli ne fanno ancora altri Fogli
periodici; insigni Personaggi, e Letterati non cessano per via di lettere di
commendare la munificenza del Sapientissimo Sovrano per la novella
Legislazione, e la versione Latina, e le note del Traduttore, che tutto qui si
tralascia.
GAZZETTA UNIVERSALE (di Firenze) Num. 102. 14 Decembr.
1790. S.M. sebbene lontana ha avuta presente la sua nuova Colonia di S.
Leuce, avendo richiesto per ben due volte al Principe di Tarsia, che subito
spedisse a Vienna alcune copie della novella Legislazione di S. Leuce medesima,
tradotta in elegante Idioma Latino dal nostro Letterato, l’Abate Don Vincenzo
Lupoli, Teologo di questa Città, corredata di dotte Annotazioni
Latino-Italiane, la quale Opera gli presentò prima della partenza per la
Germania, con una Dedica alla M.S. e con un’analoga Iscrizione in fine in nome
della Colonia. Il contenuto della materia fa ammirare la magnanimità del
Sovrano Legislatore, e l’erudizione del soggetto, che vi ha apposte le
annotazioni. La traduzione, a fronte del testo italiano, era corredata da note,
ugualmente in latino, di vasta erudizione giuridica e filosofica, non insolita
nei letterati di quel secolo. La forma latina è curata e la lingua è
estremamente forbita. Comprensibile, ovviamente, lo spirito cortigiano che
anima l’opera: dopo aver collocato Ferdinando al di sopra dei più famosi
legislatori dell’antichità, l’Abate Lupoli fa alla fine un’esaltazione del re e
della famiglia reale, concludendo con l’elegante epigrafe latina che ancora si
può leggere alla base della statua di Ferdinando I eretta nel Belvedere di S.
Leucio, incisa nel 1824 ad opera del Cav. Antonio Sancio, Amministratore, in
quel tempo, del Real Sito di S. Leucio e del Sito Reale di Caserta. La
traduzione della Legislazione in latino, oltre a costituire un fatto di
cultura, contribuì, a diffondere all’estero, specie nei paesi dove si conosceva
molto più la lingua di Cicerone che quella di Dante, il Codice leuciano.
Ferdinando IV ne ebbe prova diretta quando l’anno dopo, recatosi in Austria e
Germania per presenziare alla cerimonia del fidanzamento del figlio Francesco
con l’Arciduchessa Maria Clementina e per l’incoronazione a Imperatore del
cognato Leopoldo II, dovette espressamente richiederne a Napoli varie copie,
come si ricava dal seguente carteggio dell’epoca: Lettera di officio di S.E. il
Sig. Principe di Tarsia, Soprintendente alla Regal Colonia di S. Leucio,
all’Ab. Lupoli, in nome di S.M. che si degnò richieder da Vienna alcune copie
di detta Traduzione. Il commento analitico in latino ai vari capi della
Legislatura era corredato da richiami alla Bibbia, al diritto e ai filosofi
greci e romani, i riferimenti agli Enciclopedisti francesi, a Voltaire, al
Pudendorf e al Grozio, a Montesquieu e a Rousseau espressi nelle Note, condotte
su antiche edizioni dei testi. Molto Illustre e Rev. Signore. Avendomi S.M.
richiesto da Vienna dieci in dodici copie del libro di V.S. fatto in Latino, ed
Italiano per la Legislazione di S. Leucio, siccome io non me ne ritrovo altra,
che quell’una copia, che Ella mi favorì, così sono a pregarla ad aver la bontà
di farmi pervenire dodici altre copie del detto libro, per poterle inviare
prontamente alla M.S. ed in tale attenzione resto colla solita stima
confermandomi di V.S. Napoli, 27 settembre 1790. Affezionatissimo per servirla
Il Principe di Tarsia Sig. D. Vincenzo Lupoli - Napoli Per il gradimento che
detta Opera incontrava nella Germania, si degnò S.M. di nuovo scrivere a S.E.
il Signor Principe di Tarsia, richiedendone altre copie 24 che furon subito
spedite a Francofort, dove S.M. ritrovavasi per l’incoronazione in Imperatore
dell’Augusto Cognato Leopoldo II. * * * * *
La traduzione latina dell’Abate Vincenzo Lupoli
contribuì a far conoscere la Legislazione di S. Leucio negli ambienti culturali
europei più di quanto la diffusione dei prodotti della manifattura della seta
avesse fatto conoscere la Real Colonia e richiamò l’attenzione sulla
organizzazione etico-amministrativa di una comunità a struttura sociale basata
sul principio dell’uguaglianza sia sotto il profilo giuridico che economico,
garantita da una regolamentazione che riguardava tutte le manifestazioni della
vita individuale e collettiva. Una regolamentazione che disciplinava i tempi e
i modi del lavoro, che fissava i criteri dell’istruzione da impartire agli
adolescenti, che si preoccupava di tutti gli aspetti della mutua assistenza e
che alla base del vivere civile poneva l’osservanza delle pratiche religiose,
considerando la religione il cardine spirituale intorno al quale ruotava la
vita stessa della collettività. S. Leucio apparve come una specie di isola
sotto la protezione di un Re, illuminato e paterno, pensoso della
"felicità" del popolo, secondo i più puri canoni delle utopie
settecentesche. E se il piccolo Codice si inserisce proprio nella storia della
più pura utopia che parte da quella di Tommaso Moro, la traduzione latina lo
introduce nella storia della cultura, sulle note di una lingua universale, da
millenni veicolo insostituibile alla circolazione delle idee. E ciò per merito
dell’Abate Vincenzo Lupoli, cittadino illustre di Frattamaggiore e vescovo di
Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti.
6
In seguito la GAZZETTA DI VENEZIA ‘Notizie del Mondo’, num. 104. Mercoledì 29 Decembre, portò lo stesso elogio della detta Traduzione. Tuttogiorno vantaggiosi dettagli ne fanno ancora altri Fogli periodici; insigni Personaggi, e Letterati non cessano per via di lettere di commendare la munificenza del Sapientissimo Sovrano per la novella Legislazione, e la versione Latina, e le note del Traduttore, che tutto qui si tralascia.
6
Interventi eseguiti da Re Ferdinando I
dalla Fondazione della Colonia sino al
1799
(descritti da un ministro dell’epoca)
Interventi eseguiti da Re Ferdinando I
dalla Fondazione della Colonia sino al
1799
(descritti da un ministro dell’epoca)
Interventi eseguiti da Re Ferdinando I
dalla Fondazione della Colonia sino al
1799
(descritti da un ministro dell’epoca)
Interventi eseguiti da Re Ferdinando I
dalla Fondazione della Colonia sino al
1799
(descritti da un ministro dell’epoca)
Interventi eseguiti da Re Ferdinando I
dalla Fondazione della Colonia sino al
1799
(descritti da un ministro dell’epoca)
dalla Fondazione della Colonia sino al 1799
(descritti da un ministro dell’epoca)
L’Amenità
del sito di S. Leucio e la bellezza del bosco incominciarono ben presto a
destare piacevoli sensazioni nell’animo del Re Ferdinando ancor giovinetto, il
quale provava già in quel luogo tutto il ristoro che si ottiene dalla
solitudine e dalla quiete.Poiche
gli acquisti e la reintegra di tante terre davano latitudine a qualunque
disegno, immaginò il Sovrano, util cosa
fosse di circoscrivere con un muro le
sue Reali proprietà, isolandole e liberandole dal facile accesso del pubblico.
In tal modo rendevasi agevole la custodia della caccia, e si evitavano i danni,
che gli animali selvaggi recar potevano ai fondi de’ particolari.Benche
la esecuzione di questo progetto fosse alquanto ardua per l’ampiezza del sito,
pure venne con rapidità eseguita, e nel corso dell’anno 1773 il lavoro
fu interamente terminato.Or
questo muro, prendendo capo dall’angolo di quello antico, che rinchiudeva il
Casino e le terre di Belvedere, salire a dritta per il tenimento denominato di
Carpineto, e s’inoltrava sino all’Arco, seguendo sempre l’andamento dell’antica
strada di Morrone.Rivoltando
indi verso oriente e settentrione, e costeggiando il vallome, giungeva sino al Terminone. Passava in seguito per il luogo delle Fontanelle, e faceva angolo
verso la masseria di Amico nella pianura di Sarzano, discendere indi per
Gradillo, cingendo il bosco in quei precipizj, e giungeva fino ai Cappucci, ove si stabilì un novello portone con cancello. Costeggiando finalmente e rinchiudendo
le terre acquistate dal Rosario di Briano, e da altri, terminare riunendosi
all’angolo dell’antico muro a sinistra del portone di Belvedere
L’Amenità
del sito di S. Leucio e la bellezza del bosco incominciarono ben presto a
destare piacevoli sensazioni nell’animo del Re Ferdinando ancor giovinetto, il
quale provava già in quel luogo tutto il ristoro che si ottiene dalla
solitudine e dalla quiete.Poiche
gli acquisti e la reintegra di tante terre davano latitudine a qualunque
disegno, immaginò il Sovrano, util cosa
fosse di circoscrivere con un muro le
sue Reali proprietà, isolandole e liberandole dal facile accesso del pubblico.
In tal modo rendevasi agevole la custodia della caccia, e si evitavano i danni,
che gli animali selvaggi recar potevano ai fondi de’ particolari.Benche
la esecuzione di questo progetto fosse alquanto ardua per l’ampiezza del sito,
pure venne con rapidità eseguita, e nel corso dell’anno 1773 il lavoro
fu interamente terminato.Or
questo muro, prendendo capo dall’angolo di quello antico, che rinchiudeva il
Casino e le terre di Belvedere, salire a dritta per il tenimento denominato di
Carpineto, e s’inoltrava sino all’Arco, seguendo sempre l’andamento dell’antica
strada di Morrone.Rivoltando
indi verso oriente e settentrione, e costeggiando il vallome, giungeva sino al Terminone. Passava in seguito per il luogo delle Fontanelle, e faceva angolo
verso la masseria di Amico nella pianura di Sarzano, discendere indi per
Gradillo, cingendo il bosco in quei precipizj, e giungeva fino ai Cappucci, ove si stabilì un novello portone con cancello. Costeggiando finalmente e rinchiudendo
le terre acquistate dal Rosario di Briano, e da altri, terminare riunendosi
all’angolo dell’antico muro a sinistra del portone di Belvedere
L’Amenità
del sito di S. Leucio e la bellezza del bosco incominciarono ben presto a
destare piacevoli sensazioni nell’animo del Re Ferdinando ancor giovinetto, il
quale provava già in quel luogo tutto il ristoro che si ottiene dalla
solitudine e dalla quiete.Poiche
gli acquisti e la reintegra di tante terre davano latitudine a qualunque
disegno, immaginò il Sovrano, util cosa
fosse di circoscrivere con un muro le
sue Reali proprietà, isolandole e liberandole dal facile accesso del pubblico.
In tal modo rendevasi agevole la custodia della caccia, e si evitavano i danni,
che gli animali selvaggi recar potevano ai fondi de’ particolari.Benche
la esecuzione di questo progetto fosse alquanto ardua per l’ampiezza del sito,
pure venne con rapidità eseguita, e nel corso dell’anno 1773 il lavoro
fu interamente terminato.Or
questo muro, prendendo capo dall’angolo di quello antico, che rinchiudeva il
Casino e le terre di Belvedere, salire a dritta per il tenimento denominato di
Carpineto, e s’inoltrava sino all’Arco, seguendo sempre l’andamento dell’antica
strada di Morrone.Rivoltando
indi verso oriente e settentrione, e costeggiando il vallome, giungeva sino al Terminone. Passava in seguito per il luogo delle Fontanelle, e faceva angolo
verso la masseria di Amico nella pianura di Sarzano, discendere indi per
Gradillo, cingendo il bosco in quei precipizj, e giungeva fino ai Cappucci, ove si stabilì un novello portone con cancello. Costeggiando finalmente e rinchiudendo
le terre acquistate dal Rosario di Briano, e da altri, terminare riunendosi
all’angolo dell’antico muro a sinistra del portone di Belvedere
L’Amenità
del sito di S. Leucio e la bellezza del bosco incominciarono ben presto a
destare piacevoli sensazioni nell’animo del Re Ferdinando ancor giovinetto, il
quale provava già in quel luogo tutto il ristoro che si ottiene dalla
solitudine e dalla quiete.Poiche
gli acquisti e la reintegra di tante terre davano latitudine a qualunque
disegno, immaginò il Sovrano, util cosa
fosse di circoscrivere con un muro le
sue Reali proprietà, isolandole e liberandole dal facile accesso del pubblico.
In tal modo rendevasi agevole la custodia della caccia, e si evitavano i danni,
che gli animali selvaggi recar potevano ai fondi de’ particolari.Benche
la esecuzione di questo progetto fosse alquanto ardua per l’ampiezza del sito,
pure venne con rapidità eseguita, e nel corso dell’anno 1773 il lavoro
fu interamente terminato.Or
questo muro, prendendo capo dall’angolo di quello antico, che rinchiudeva il
Casino e le terre di Belvedere, salire a dritta per il tenimento denominato di
Carpineto, e s’inoltrava sino all’Arco, seguendo sempre l’andamento dell’antica
strada di Morrone.Rivoltando
indi verso oriente e settentrione, e costeggiando il vallome, giungeva sino al Terminone. Passava in seguito per il luogo delle Fontanelle, e faceva angolo
verso la masseria di Amico nella pianura di Sarzano, discendere indi per
Gradillo, cingendo il bosco in quei precipizj, e giungeva fino ai Cappucci, ove si stabilì un novello portone con cancello. Costeggiando finalmente e rinchiudendo
le terre acquistate dal Rosario di Briano, e da altri, terminare riunendosi
all’angolo dell’antico muro a sinistra del portone di Belvedere
L’Amenità
del sito di S. Leucio e la bellezza del bosco incominciarono ben presto a
destare piacevoli sensazioni nell’animo del Re Ferdinando ancor giovinetto, il
quale provava già in quel luogo tutto il ristoro che si ottiene dalla
solitudine e dalla quiete.Poiche
gli acquisti e la reintegra di tante terre davano latitudine a qualunque
disegno, immaginò il Sovrano, util cosa
fosse di circoscrivere con un muro le
sue Reali proprietà, isolandole e liberandole dal facile accesso del pubblico.
In tal modo rendevasi agevole la custodia della caccia, e si evitavano i danni,
che gli animali selvaggi recar potevano ai fondi de’ particolari.Benche
la esecuzione di questo progetto fosse alquanto ardua per l’ampiezza del sito,
pure venne con rapidità eseguita, e nel corso dell’anno 1773 il lavoro
fu interamente terminato.Or
questo muro, prendendo capo dall’angolo di quello antico, che rinchiudeva il
Casino e le terre di Belvedere, salire a dritta per il tenimento denominato di
Carpineto, e s’inoltrava sino all’Arco, seguendo sempre l’andamento dell’antica
strada di Morrone.Rivoltando
indi verso oriente e settentrione, e costeggiando il vallome, giungeva sino al Terminone. Passava in seguito per il luogo delle Fontanelle, e faceva angolo
verso la masseria di Amico nella pianura di Sarzano, discendere indi per
Gradillo, cingendo il bosco in quei precipizj, e giungeva fino ai Cappucci, ove si stabilì un novello portone con cancello. Costeggiando finalmente e rinchiudendo
le terre acquistate dal Rosario di Briano, e da altri, terminare riunendosi
all’angolo dell’antico muro a sinistra del portone di Belvedere
Era
questo un primo passo che annunziava già altre idee, ed altri progetti, ai
quali senza interruzione si pose mano Trovando
il Sovrano assai opportuna quella eminenza, che vi è nella parte occidentale
del bosco, e che forma quasi una collina, da cui si guardavano le sottoposte pianure dette di Sarzano, intersecate dal fiume Volturno, comandò che fosse ivi
eretto un piccolo edificio capace di servire a semplice riposo durante il
divertimento della caccia.
Era
questo un primo passo che annunziava già altre idee, ed altri progetti, ai
quali senza interruzione si pose mano Trovando
il Sovrano assai opportuna quella eminenza, che vi è nella parte occidentale
del bosco, e che forma quasi una collina, da cui si guardavano le sottoposte pianure dette di Sarzano, intersecate dal fiume Volturno, comandò che fosse ivi
eretto un piccolo edificio capace di servire a semplice riposo durante il
divertimento della caccia.
Era
questo un primo passo che annunziava già altre idee, ed altri progetti, ai
quali senza interruzione si pose mano Trovando
il Sovrano assai opportuna quella eminenza, che vi è nella parte occidentale
del bosco, e che forma quasi una collina, da cui si guardavano le sottoposte pianure dette di Sarzano, intersecate dal fiume Volturno, comandò che fosse ivi
eretto un piccolo edificio capace di servire a semplice riposo durante il
divertimento della caccia.
Era
questo un primo passo che annunziava già altre idee, ed altri progetti, ai
quali senza interruzione si pose mano Trovando
il Sovrano assai opportuna quella eminenza, che vi è nella parte occidentale
del bosco, e che forma quasi una collina, da cui si guardavano le sottoposte pianure dette di Sarzano, intersecate dal fiume Volturno, comandò che fosse ivi
eretto un piccolo edificio capace di servire a semplice riposo durante il
divertimento della caccia.
Era
questo un primo passo che annunziava già altre idee, ed altri progetti, ai
quali senza interruzione si pose mano Trovando
il Sovrano assai opportuna quella eminenza, che vi è nella parte occidentale
del bosco, e che forma quasi una collina, da cui si guardavano le sottoposte pianure dette di Sarzano, intersecate dal fiume Volturno, comandò che fosse ivi
eretto un piccolo edificio capace di servire a semplice riposo durante il
divertimento della caccia.
Perfezionato
appena questo piccolo edificio nel corso degli anni 1773 e 1774,
incominciò a ricevere già breve tempo diverse notabili ampliazioni, che gli
fecero cambiare figura e destino: sicche divenne un casino circondato da tutti
quelli accessorj che convenir potevano al diporto de’ Sovrani.Non
è da tacersi, che nell’interno del medesimo venne istabilita una piccola
cappella, che ancora esiste, dedicata a S. Leucio, quasi Patrono della
montagna. E questo è precisamente quell’edificio che attualmente chiamiamo
antico Casino di S. Leucio.
Perfezionato
appena questo piccolo edificio nel corso degli anni 1773 e 1774,
incominciò a ricevere già breve tempo diverse notabili ampliazioni, che gli
fecero cambiare figura e destino: sicche divenne un casino circondato da tutti
quelli accessorj che convenir potevano al diporto de’ Sovrani.Non
è da tacersi, che nell’interno del medesimo venne istabilita una piccola
cappella, che ancora esiste, dedicata a S. Leucio, quasi Patrono della
montagna. E questo è precisamente quell’edificio che attualmente chiamiamo
antico Casino di S. Leucio.
Perfezionato
appena questo piccolo edificio nel corso degli anni 1773 e 1774,
incominciò a ricevere già breve tempo diverse notabili ampliazioni, che gli
fecero cambiare figura e destino: sicche divenne un casino circondato da tutti
quelli accessorj che convenir potevano al diporto de’ Sovrani.Non
è da tacersi, che nell’interno del medesimo venne istabilita una piccola
cappella, che ancora esiste, dedicata a S. Leucio, quasi Patrono della
montagna. E questo è precisamente quell’edificio che attualmente chiamiamo
antico Casino di S. Leucio.
Perfezionato
appena questo piccolo edificio nel corso degli anni 1773 e 1774,
incominciò a ricevere già breve tempo diverse notabili ampliazioni, che gli
fecero cambiare figura e destino: sicche divenne un casino circondato da tutti
quelli accessorj che convenir potevano al diporto de’ Sovrani.Non
è da tacersi, che nell’interno del medesimo venne istabilita una piccola
cappella, che ancora esiste, dedicata a S. Leucio, quasi Patrono della
montagna. E questo è precisamente quell’edificio che attualmente chiamiamo
antico Casino di S. Leucio.
Perfezionato
appena questo piccolo edificio nel corso degli anni 1773 e 1774,
incominciò a ricevere già breve tempo diverse notabili ampliazioni, che gli
fecero cambiare figura e destino: sicche divenne un casino circondato da tutti
quelli accessorj che convenir potevano al diporto de’ Sovrani.Non
è da tacersi, che nell’interno del medesimo venne istabilita una piccola
cappella, che ancora esiste, dedicata a S. Leucio, quasi Patrono della
montagna. E questo è precisamente quell’edificio che attualmente chiamiamo
antico Casino di S. Leucio.
Perche
nulla mancasse a quegli agi, che la campagna può offrire, volle il Sovrano, che
fosse fabbricato nella pianura messa nel
declivio della falda del monte verso mezzogiorno un edificio per vaccheria.
Esso venne formato in un modo assai acconcio e con tutte le regole dell’arte fu ultimato nel corso degli anni 1774 e 1775, così furono messe le vacche di
Sardegna, giacche per quelle Svizzere eravi già in Caserta un altro sito
edificato fin dal tempo de Re Carlo.
Perche
nulla mancasse a quegli agi, che la campagna può offrire, volle il Sovrano, che
fosse fabbricato nella pianura messa nel
declivio della falda del monte verso mezzogiorno un edificio per vaccheria.
Esso venne formato in un modo assai acconcio e con tutte le regole dell’arte fu ultimato nel corso degli anni 1774 e 1775, così furono messe le vacche di
Sardegna, giacche per quelle Svizzere eravi già in Caserta un altro sito
edificato fin dal tempo de Re Carlo.
Perche
nulla mancasse a quegli agi, che la campagna può offrire, volle il Sovrano, che
fosse fabbricato nella pianura messa nel
declivio della falda del monte verso mezzogiorno un edificio per vaccheria.
Esso venne formato in un modo assai acconcio e con tutte le regole dell’arte fu ultimato nel corso degli anni 1774 e 1775, così furono messe le vacche di
Sardegna, giacche per quelle Svizzere eravi già in Caserta un altro sito
edificato fin dal tempo de Re Carlo.
Perche
nulla mancasse a quegli agi, che la campagna può offrire, volle il Sovrano, che
fosse fabbricato nella pianura messa nel
declivio della falda del monte verso mezzogiorno un edificio per vaccheria.
Esso venne formato in un modo assai acconcio e con tutte le regole dell’arte fu ultimato nel corso degli anni 1774 e 1775, così furono messe le vacche di
Sardegna, giacche per quelle Svizzere eravi già in Caserta un altro sito
edificato fin dal tempo de Re Carlo.
Perche
nulla mancasse a quegli agi, che la campagna può offrire, volle il Sovrano, che
fosse fabbricato nella pianura messa nel
declivio della falda del monte verso mezzogiorno un edificio per vaccheria.
Esso venne formato in un modo assai acconcio e con tutte le regole dell’arte fu ultimato nel corso degli anni 1774 e 1775, così furono messe le vacche di
Sardegna, giacche per quelle Svizzere eravi già in Caserta un altro sito
edificato fin dal tempo de Re Carlo.
Questa
vaccheria, che coll’andare degli anni fu convertita in officina per calze, ed
oggi è divenuta fabrica di cotonerie, diede nome a quel quartiere che ora dicesi della Vaccheria.Mentre
si costruivano siffatti edificj si vide la necessità di proveder meglio al
bisogno di coloro ch’erano incaricati della custodia del bosco e della caccia:
quindi il Sovrano fece riattare un’antica casetta messa a piccola distanza da
Belvedere, e quivi fece situare diversi individui impiegati al servizio.Il
Casino di Belvedere fu in questo riscontro egualmente riattato e venne
destinato per abitazione di alcuni impiegati.Intanto
perche non mancasse alla gente radunata in questi diversi siti tutti gli aiuti
spirituali, volle il piissimo Principe, che il salone di un tal Casino fosse
converito in Chiesa Madre, dedicata a S. Leucio ed a S. Ferdinando.Tutto
questo fu sollecitamente eseguito: la Chiesa fu eretta in Parrocchia. E già nel
1776 era la medesima aperta al pubblico commodo. Benche
le montagne dette Montebriano, S. Silvestro e Montemajolo fossero divenute già
di Real pertinenza, per effetto dello acquisto delle terre; delle quali erano
composte, pur tuttavia non vennero incluse per la prima volta nel muro di
chiusura di S. Leucio, forse perche s’intercedeva la pubblica via, che
conduceva a Morrone e Cajazzo.Fu
allora, e precisamente negli anni 1774 e 1775 che il Re Ferdinando ordinò che costruite vi fossero due strada
per dare accesso agli indicati luoghi, una per la discesa precipitosa di Gradillo, e l’altra per la
vicinanza di Puccianello.La
prima di queste strade è stata col tratto di tempo ampliata e migliorata, ed è
quella per la quale si va a Piedimonte; la seconda è conosciuta sotto il nome
di strada di Morrone.Essendosi
in cotal modo supplito al maggior comodo del pubblico, venne nel corso del 1775 cinto Montebiano, S. Silvestro e Montemaiuolo con quel muro che ora si vede, e
con ciò fu rinchiusa nel sito Reale l’antica strada detta di Morrone. Per
effetto di questo novello muro di cinta, essendo divenuto molto frequentato
al passaggio pel cancello del Quercione, così detto a causa di un antichissima
quercia ch’esisteva, e di cui si vede tuttavia una parte del tronco, fu necessario di stabilire in diverse
abitazioni per alloggiarvi i Custodi, e qualche Guardacaccia; e il si fece nel
corso dell’anno 1775.Nel
mentre che tali cose disponevasi e con rapidità somma si eseguivano, la morte
del principe Carlo Tito, figlio primogenito de’ Sovrani, accaduta nel Casino di
S. Leucio rese questo luogo di trista rimembranza e determinò gli Augusti
genitori ad abbandonarlo. Fu
questo abbandono così costante che le mire ed il genio del Re si rivolsero
verso Belvedere. Ne avvenne quindi che
il Casino di S. Leucio che da qui innanzi distingueremo col titolo di antico,
fu interamente riservato ad uso di
caccia.Altronde
si eran già formate nelle sue vicinanze le Canetterie, e tutti gli altri comodi
necessarj per la caccia ai cinghiali. Vi vogliamo omettere di fu anno, che erano pur cinto di
mura un vasto territorio al di sopra della Vaccheria, affine di rinchiudere i
lepri: divertimento, che fui di là a poco dismesso, perche le razze di difficili
animali non potevano ivi prosperare.La
denominazione di Lepreria che ancor ritiene quel sito, indica il luogo ove era
stata stabilita.Determinando
il Re Ferdinando a fermarsi in Belvedere, semprecche le circostanze gli permettevano di recarvisi, prescrisse che in quel Casino, in cui si scorgeranno
ancora i ruderi del fasto degli antichi Baroni, si eseguissero i miglioramenti,
che corrispondevano al nobile oggetto, cui andava destinato, senza però portarsi
nessuna novità nel locale, ch’era divenuto Chiesa.
Questa
vaccheria, che coll’andare degli anni fu convertita in officina per calze, ed
oggi è divenuta fabrica di cotonerie, diede nome a quel quartiere che ora dicesi della Vaccheria.Mentre
si costruivano siffatti edificj si vide la necessità di proveder meglio al
bisogno di coloro ch’erano incaricati della custodia del bosco e della caccia:
quindi il Sovrano fece riattare un’antica casetta messa a piccola distanza da
Belvedere, e quivi fece situare diversi individui impiegati al servizio.Il
Casino di Belvedere fu in questo riscontro egualmente riattato e venne
destinato per abitazione di alcuni impiegati.Intanto
perche non mancasse alla gente radunata in questi diversi siti tutti gli aiuti
spirituali, volle il piissimo Principe, che il salone di un tal Casino fosse
converito in Chiesa Madre, dedicata a S. Leucio ed a S. Ferdinando.Tutto
questo fu sollecitamente eseguito: la Chiesa fu eretta in Parrocchia. E già nel
1776 era la medesima aperta al pubblico commodo. Benche
le montagne dette Montebriano, S. Silvestro e Montemajolo fossero divenute già
di Real pertinenza, per effetto dello acquisto delle terre; delle quali erano
composte, pur tuttavia non vennero incluse per la prima volta nel muro di
chiusura di S. Leucio, forse perche s’intercedeva la pubblica via, che
conduceva a Morrone e Cajazzo.Fu
allora, e precisamente negli anni 1774 e 1775 che il Re Ferdinando ordinò che costruite vi fossero due strada
per dare accesso agli indicati luoghi, una per la discesa precipitosa di Gradillo, e l’altra per la
vicinanza di Puccianello.La
prima di queste strade è stata col tratto di tempo ampliata e migliorata, ed è
quella per la quale si va a Piedimonte; la seconda è conosciuta sotto il nome
di strada di Morrone.Essendosi
in cotal modo supplito al maggior comodo del pubblico, venne nel corso del 1775 cinto Montebiano, S. Silvestro e Montemaiuolo con quel muro che ora si vede, e
con ciò fu rinchiusa nel sito Reale l’antica strada detta di Morrone. Per
effetto di questo novello muro di cinta, essendo divenuto molto frequentato
al passaggio pel cancello del Quercione, così detto a causa di un antichissima
quercia ch’esisteva, e di cui si vede tuttavia una parte del tronco, fu necessario di stabilire in diverse
abitazioni per alloggiarvi i Custodi, e qualche Guardacaccia; e il si fece nel
corso dell’anno 1775.Nel
mentre che tali cose disponevasi e con rapidità somma si eseguivano, la morte
del principe Carlo Tito, figlio primogenito de’ Sovrani, accaduta nel Casino di
S. Leucio rese questo luogo di trista rimembranza e determinò gli Augusti
genitori ad abbandonarlo. Fu
questo abbandono così costante che le mire ed il genio del Re si rivolsero
verso Belvedere. Ne avvenne quindi che
il Casino di S. Leucio che da qui innanzi distingueremo col titolo di antico,
fu interamente riservato ad uso di
caccia.Altronde
si eran già formate nelle sue vicinanze le Canetterie, e tutti gli altri comodi
necessarj per la caccia ai cinghiali. Vi vogliamo omettere di fu anno, che erano pur cinto di
mura un vasto territorio al di sopra della Vaccheria, affine di rinchiudere i
lepri: divertimento, che fui di là a poco dismesso, perche le razze di difficili
animali non potevano ivi prosperare.La
denominazione di Lepreria che ancor ritiene quel sito, indica il luogo ove era
stata stabilita.Determinando
il Re Ferdinando a fermarsi in Belvedere, semprecche le circostanze gli permettevano di recarvisi, prescrisse che in quel Casino, in cui si scorgeranno
ancora i ruderi del fasto degli antichi Baroni, si eseguissero i miglioramenti,
che corrispondevano al nobile oggetto, cui andava destinato, senza però portarsi
nessuna novità nel locale, ch’era divenuto Chiesa.
Questa
vaccheria, che coll’andare degli anni fu convertita in officina per calze, ed
oggi è divenuta fabrica di cotonerie, diede nome a quel quartiere che ora dicesi della Vaccheria.Mentre
si costruivano siffatti edificj si vide la necessità di proveder meglio al
bisogno di coloro ch’erano incaricati della custodia del bosco e della caccia:
quindi il Sovrano fece riattare un’antica casetta messa a piccola distanza da
Belvedere, e quivi fece situare diversi individui impiegati al servizio.Il
Casino di Belvedere fu in questo riscontro egualmente riattato e venne
destinato per abitazione di alcuni impiegati.Intanto
perche non mancasse alla gente radunata in questi diversi siti tutti gli aiuti
spirituali, volle il piissimo Principe, che il salone di un tal Casino fosse
converito in Chiesa Madre, dedicata a S. Leucio ed a S. Ferdinando.Tutto
questo fu sollecitamente eseguito: la Chiesa fu eretta in Parrocchia. E già nel
1776 era la medesima aperta al pubblico commodo. Benche
le montagne dette Montebriano, S. Silvestro e Montemajolo fossero divenute già
di Real pertinenza, per effetto dello acquisto delle terre; delle quali erano
composte, pur tuttavia non vennero incluse per la prima volta nel muro di
chiusura di S. Leucio, forse perche s’intercedeva la pubblica via, che
conduceva a Morrone e Cajazzo.Fu
allora, e precisamente negli anni 1774 e 1775 che il Re Ferdinando ordinò che costruite vi fossero due strada
per dare accesso agli indicati luoghi, una per la discesa precipitosa di Gradillo, e l’altra per la
vicinanza di Puccianello.La
prima di queste strade è stata col tratto di tempo ampliata e migliorata, ed è
quella per la quale si va a Piedimonte; la seconda è conosciuta sotto il nome
di strada di Morrone.Essendosi
in cotal modo supplito al maggior comodo del pubblico, venne nel corso del 1775 cinto Montebiano, S. Silvestro e Montemaiuolo con quel muro che ora si vede, e
con ciò fu rinchiusa nel sito Reale l’antica strada detta di Morrone. Per
effetto di questo novello muro di cinta, essendo divenuto molto frequentato
al passaggio pel cancello del Quercione, così detto a causa di un antichissima
quercia ch’esisteva, e di cui si vede tuttavia una parte del tronco, fu necessario di stabilire in diverse
abitazioni per alloggiarvi i Custodi, e qualche Guardacaccia; e il si fece nel
corso dell’anno 1775.Nel
mentre che tali cose disponevasi e con rapidità somma si eseguivano, la morte
del principe Carlo Tito, figlio primogenito de’ Sovrani, accaduta nel Casino di
S. Leucio rese questo luogo di trista rimembranza e determinò gli Augusti
genitori ad abbandonarlo. Fu
questo abbandono così costante che le mire ed il genio del Re si rivolsero
verso Belvedere. Ne avvenne quindi che
il Casino di S. Leucio che da qui innanzi distingueremo col titolo di antico,
fu interamente riservato ad uso di
caccia.Altronde
si eran già formate nelle sue vicinanze le Canetterie, e tutti gli altri comodi
necessarj per la caccia ai cinghiali. Vi vogliamo omettere di fu anno, che erano pur cinto di
mura un vasto territorio al di sopra della Vaccheria, affine di rinchiudere i
lepri: divertimento, che fui di là a poco dismesso, perche le razze di difficili
animali non potevano ivi prosperare.La
denominazione di Lepreria che ancor ritiene quel sito, indica il luogo ove era
stata stabilita.Determinando
il Re Ferdinando a fermarsi in Belvedere, semprecche le circostanze gli permettevano di recarvisi, prescrisse che in quel Casino, in cui si scorgeranno
ancora i ruderi del fasto degli antichi Baroni, si eseguissero i miglioramenti,
che corrispondevano al nobile oggetto, cui andava destinato, senza però portarsi
nessuna novità nel locale, ch’era divenuto Chiesa.
Questa
vaccheria, che coll’andare degli anni fu convertita in officina per calze, ed
oggi è divenuta fabrica di cotonerie, diede nome a quel quartiere che ora dicesi della Vaccheria.Mentre
si costruivano siffatti edificj si vide la necessità di proveder meglio al
bisogno di coloro ch’erano incaricati della custodia del bosco e della caccia:
quindi il Sovrano fece riattare un’antica casetta messa a piccola distanza da
Belvedere, e quivi fece situare diversi individui impiegati al servizio.Il
Casino di Belvedere fu in questo riscontro egualmente riattato e venne
destinato per abitazione di alcuni impiegati.Intanto
perche non mancasse alla gente radunata in questi diversi siti tutti gli aiuti
spirituali, volle il piissimo Principe, che il salone di un tal Casino fosse
converito in Chiesa Madre, dedicata a S. Leucio ed a S. Ferdinando.Tutto
questo fu sollecitamente eseguito: la Chiesa fu eretta in Parrocchia. E già nel
1776 era la medesima aperta al pubblico commodo. Benche
le montagne dette Montebriano, S. Silvestro e Montemajolo fossero divenute già
di Real pertinenza, per effetto dello acquisto delle terre; delle quali erano
composte, pur tuttavia non vennero incluse per la prima volta nel muro di
chiusura di S. Leucio, forse perche s’intercedeva la pubblica via, che
conduceva a Morrone e Cajazzo.Fu
allora, e precisamente negli anni 1774 e 1775 che il Re Ferdinando ordinò che costruite vi fossero due strada
per dare accesso agli indicati luoghi, una per la discesa precipitosa di Gradillo, e l’altra per la
vicinanza di Puccianello.La
prima di queste strade è stata col tratto di tempo ampliata e migliorata, ed è
quella per la quale si va a Piedimonte; la seconda è conosciuta sotto il nome
di strada di Morrone.Essendosi
in cotal modo supplito al maggior comodo del pubblico, venne nel corso del 1775 cinto Montebiano, S. Silvestro e Montemaiuolo con quel muro che ora si vede, e
con ciò fu rinchiusa nel sito Reale l’antica strada detta di Morrone. Per
effetto di questo novello muro di cinta, essendo divenuto molto frequentato
al passaggio pel cancello del Quercione, così detto a causa di un antichissima
quercia ch’esisteva, e di cui si vede tuttavia una parte del tronco, fu necessario di stabilire in diverse
abitazioni per alloggiarvi i Custodi, e qualche Guardacaccia; e il si fece nel
corso dell’anno 1775.Nel
mentre che tali cose disponevasi e con rapidità somma si eseguivano, la morte
del principe Carlo Tito, figlio primogenito de’ Sovrani, accaduta nel Casino di
S. Leucio rese questo luogo di trista rimembranza e determinò gli Augusti
genitori ad abbandonarlo. Fu
questo abbandono così costante che le mire ed il genio del Re si rivolsero
verso Belvedere. Ne avvenne quindi che
il Casino di S. Leucio che da qui innanzi distingueremo col titolo di antico,
fu interamente riservato ad uso di
caccia.Altronde
si eran già formate nelle sue vicinanze le Canetterie, e tutti gli altri comodi
necessarj per la caccia ai cinghiali. Vi vogliamo omettere di fu anno, che erano pur cinto di
mura un vasto territorio al di sopra della Vaccheria, affine di rinchiudere i
lepri: divertimento, che fui di là a poco dismesso, perche le razze di difficili
animali non potevano ivi prosperare.La
denominazione di Lepreria che ancor ritiene quel sito, indica il luogo ove era
stata stabilita.Determinando
il Re Ferdinando a fermarsi in Belvedere, semprecche le circostanze gli permettevano di recarvisi, prescrisse che in quel Casino, in cui si scorgeranno
ancora i ruderi del fasto degli antichi Baroni, si eseguissero i miglioramenti,
che corrispondevano al nobile oggetto, cui andava destinato, senza però portarsi
nessuna novità nel locale, ch’era divenuto Chiesa.
Questa
vaccheria, che coll’andare degli anni fu convertita in officina per calze, ed
oggi è divenuta fabrica di cotonerie, diede nome a quel quartiere che ora dicesi della Vaccheria.Mentre
si costruivano siffatti edificj si vide la necessità di proveder meglio al
bisogno di coloro ch’erano incaricati della custodia del bosco e della caccia:
quindi il Sovrano fece riattare un’antica casetta messa a piccola distanza da
Belvedere, e quivi fece situare diversi individui impiegati al servizio.Il
Casino di Belvedere fu in questo riscontro egualmente riattato e venne
destinato per abitazione di alcuni impiegati.Intanto
perche non mancasse alla gente radunata in questi diversi siti tutti gli aiuti
spirituali, volle il piissimo Principe, che il salone di un tal Casino fosse
converito in Chiesa Madre, dedicata a S. Leucio ed a S. Ferdinando.Tutto
questo fu sollecitamente eseguito: la Chiesa fu eretta in Parrocchia. E già nel
1776 era la medesima aperta al pubblico commodo. Benche
le montagne dette Montebriano, S. Silvestro e Montemajolo fossero divenute già
di Real pertinenza, per effetto dello acquisto delle terre; delle quali erano
composte, pur tuttavia non vennero incluse per la prima volta nel muro di
chiusura di S. Leucio, forse perche s’intercedeva la pubblica via, che
conduceva a Morrone e Cajazzo.Fu
allora, e precisamente negli anni 1774 e 1775 che il Re Ferdinando ordinò che costruite vi fossero due strada
per dare accesso agli indicati luoghi, una per la discesa precipitosa di Gradillo, e l’altra per la
vicinanza di Puccianello.La
prima di queste strade è stata col tratto di tempo ampliata e migliorata, ed è
quella per la quale si va a Piedimonte; la seconda è conosciuta sotto il nome
di strada di Morrone.Essendosi
in cotal modo supplito al maggior comodo del pubblico, venne nel corso del 1775 cinto Montebiano, S. Silvestro e Montemaiuolo con quel muro che ora si vede, e
con ciò fu rinchiusa nel sito Reale l’antica strada detta di Morrone. Per
effetto di questo novello muro di cinta, essendo divenuto molto frequentato
al passaggio pel cancello del Quercione, così detto a causa di un antichissima
quercia ch’esisteva, e di cui si vede tuttavia una parte del tronco, fu necessario di stabilire in diverse
abitazioni per alloggiarvi i Custodi, e qualche Guardacaccia; e il si fece nel
corso dell’anno 1775.Nel
mentre che tali cose disponevasi e con rapidità somma si eseguivano, la morte
del principe Carlo Tito, figlio primogenito de’ Sovrani, accaduta nel Casino di
S. Leucio rese questo luogo di trista rimembranza e determinò gli Augusti
genitori ad abbandonarlo. Fu
questo abbandono così costante che le mire ed il genio del Re si rivolsero
verso Belvedere. Ne avvenne quindi che
il Casino di S. Leucio che da qui innanzi distingueremo col titolo di antico,
fu interamente riservato ad uso di
caccia.Altronde
si eran già formate nelle sue vicinanze le Canetterie, e tutti gli altri comodi
necessarj per la caccia ai cinghiali. Vi vogliamo omettere di fu anno, che erano pur cinto di
mura un vasto territorio al di sopra della Vaccheria, affine di rinchiudere i
lepri: divertimento, che fui di là a poco dismesso, perche le razze di difficili
animali non potevano ivi prosperare.La
denominazione di Lepreria che ancor ritiene quel sito, indica il luogo ove era
stata stabilita.Determinando
il Re Ferdinando a fermarsi in Belvedere, semprecche le circostanze gli permettevano di recarvisi, prescrisse che in quel Casino, in cui si scorgeranno
ancora i ruderi del fasto degli antichi Baroni, si eseguissero i miglioramenti,
che corrispondevano al nobile oggetto, cui andava destinato, senza però portarsi
nessuna novità nel locale, ch’era divenuto Chiesa.
1776
Primi lavori al
Palazzo Belvedere di San Leucio:
-
Trasformazione
del salone in chiesa o meglio una parte del salone
viene occupato
dalla cappella:
Al piano superiore:
sistemazione di un quartino per la sosta del sovrano
1776
Primi lavori al
Palazzo Belvedere di San Leucio:
-
Trasformazione
del salone in chiesa o meglio una parte del salone
viene occupato
dalla cappella:
Al piano superiore:
sistemazione di un quartino per la sosta del sovrano
1776
Primi lavori al
Palazzo Belvedere di San Leucio:
-
Trasformazione
del salone in chiesa o meglio una parte del salone
viene occupato
dalla cappella:
Al piano superiore:
sistemazione di un quartino per la sosta del sovrano
1776
Primi lavori al
Palazzo Belvedere di San Leucio:
-
Trasformazione
del salone in chiesa o meglio una parte del salone
viene occupato
dalla cappella:
Al piano superiore:
sistemazione di un quartino per la sosta del sovrano
1776
Primi lavori al
Palazzo Belvedere di San Leucio:
-
Trasformazione
del salone in chiesa o meglio una parte del salone
viene occupato
dalla cappella:
Al piano superiore:
sistemazione di un quartino per la sosta del sovrano
1776
Primi lavori al
Palazzo Belvedere di San Leucio:
-
Trasformazione
del salone in chiesa o meglio una parte del salone
viene occupato
dalla cappella:
Al piano superiore:
sistemazione di un quartino per la sosta del sovrano
Si
dè gradatamente principio a diversi travagli, che con gran pena e dispendio si
videro condotti a perfezione nell’anno 1786.Ed
in vero, trovandosi l’edificio ed i giardini nelle falde di un monte, fu forza
di combattere colla dura selice per farsi quel cortile, i spiazzi, e tutte
quelle opere che attualmente si vedono.Il
lavori furono ardui, e vi occorse per essi ingente somma, che quasi tutta sortì
dalla borsa particolare del Re.Mentre
Belvedere andava a divenire il sito più pregiato delle delizie Reali, reputò
necessario il Sovrano di porlo in comunicazione col boschetto di Caserta, affin
di aver l’agio di recarvisi per mezzo di
cammini interni.A
tal uopo fece costruire lo stradone, che dalla cascata conduce a Belvedere:
opera di non lieve importanza a cagione de grandi massi, ch’ebbero ad
appianarsi sulla costa della Montagna, per rendere il camino così agevole, come
presentemente si scorge.Questa
opera fu compiuta prima del 1780.Essendosi
già formati gli elementi di una popolazione ne’ luoghi, volle il provvido
Sovrano, che niente mancasse di ciò che poteva rendere più comoda la
sussistenza. Ordinò quindi, che stabilito si fosse un molino nel piano
sottoposto alla Cascata, che fosse animato dalle acque della medesima, e volle pure, che nel luogo
istesso si fosse pure piantato un trappeto per macinare gli ulivi.
Si
dè gradatamente principio a diversi travagli, che con gran pena e dispendio si
videro condotti a perfezione nell’anno 1786.Ed
in vero, trovandosi l’edificio ed i giardini nelle falde di un monte, fu forza
di combattere colla dura selice per farsi quel cortile, i spiazzi, e tutte
quelle opere che attualmente si vedono.Il
lavori furono ardui, e vi occorse per essi ingente somma, che quasi tutta sortì
dalla borsa particolare del Re.Mentre
Belvedere andava a divenire il sito più pregiato delle delizie Reali, reputò
necessario il Sovrano di porlo in comunicazione col boschetto di Caserta, affin
di aver l’agio di recarvisi per mezzo di
cammini interni.A
tal uopo fece costruire lo stradone, che dalla cascata conduce a Belvedere:
opera di non lieve importanza a cagione de grandi massi, ch’ebbero ad
appianarsi sulla costa della Montagna, per rendere il camino così agevole, come
presentemente si scorge.Questa
opera fu compiuta prima del 1780.Essendosi
già formati gli elementi di una popolazione ne’ luoghi, volle il provvido
Sovrano, che niente mancasse di ciò che poteva rendere più comoda la
sussistenza. Ordinò quindi, che stabilito si fosse un molino nel piano
sottoposto alla Cascata, che fosse animato dalle acque della medesima, e volle pure, che nel luogo
istesso si fosse pure piantato un trappeto per macinare gli ulivi.
Si
dè gradatamente principio a diversi travagli, che con gran pena e dispendio si
videro condotti a perfezione nell’anno 1786.Ed
in vero, trovandosi l’edificio ed i giardini nelle falde di un monte, fu forza
di combattere colla dura selice per farsi quel cortile, i spiazzi, e tutte
quelle opere che attualmente si vedono.Il
lavori furono ardui, e vi occorse per essi ingente somma, che quasi tutta sortì
dalla borsa particolare del Re.Mentre
Belvedere andava a divenire il sito più pregiato delle delizie Reali, reputò
necessario il Sovrano di porlo in comunicazione col boschetto di Caserta, affin
di aver l’agio di recarvisi per mezzo di
cammini interni.A
tal uopo fece costruire lo stradone, che dalla cascata conduce a Belvedere:
opera di non lieve importanza a cagione de grandi massi, ch’ebbero ad
appianarsi sulla costa della Montagna, per rendere il camino così agevole, come
presentemente si scorge.Questa
opera fu compiuta prima del 1780.Essendosi
già formati gli elementi di una popolazione ne’ luoghi, volle il provvido
Sovrano, che niente mancasse di ciò che poteva rendere più comoda la
sussistenza. Ordinò quindi, che stabilito si fosse un molino nel piano
sottoposto alla Cascata, che fosse animato dalle acque della medesima, e volle pure, che nel luogo
istesso si fosse pure piantato un trappeto per macinare gli ulivi.
Si
dè gradatamente principio a diversi travagli, che con gran pena e dispendio si
videro condotti a perfezione nell’anno 1786.Ed
in vero, trovandosi l’edificio ed i giardini nelle falde di un monte, fu forza
di combattere colla dura selice per farsi quel cortile, i spiazzi, e tutte
quelle opere che attualmente si vedono.Il
lavori furono ardui, e vi occorse per essi ingente somma, che quasi tutta sortì
dalla borsa particolare del Re.Mentre
Belvedere andava a divenire il sito più pregiato delle delizie Reali, reputò
necessario il Sovrano di porlo in comunicazione col boschetto di Caserta, affin
di aver l’agio di recarvisi per mezzo di
cammini interni.A
tal uopo fece costruire lo stradone, che dalla cascata conduce a Belvedere:
opera di non lieve importanza a cagione de grandi massi, ch’ebbero ad
appianarsi sulla costa della Montagna, per rendere il camino così agevole, come
presentemente si scorge.Questa
opera fu compiuta prima del 1780.Essendosi
già formati gli elementi di una popolazione ne’ luoghi, volle il provvido
Sovrano, che niente mancasse di ciò che poteva rendere più comoda la
sussistenza. Ordinò quindi, che stabilito si fosse un molino nel piano
sottoposto alla Cascata, che fosse animato dalle acque della medesima, e volle pure, che nel luogo
istesso si fosse pure piantato un trappeto per macinare gli ulivi.
Si
dè gradatamente principio a diversi travagli, che con gran pena e dispendio si
videro condotti a perfezione nell’anno 1786.Ed
in vero, trovandosi l’edificio ed i giardini nelle falde di un monte, fu forza
di combattere colla dura selice per farsi quel cortile, i spiazzi, e tutte
quelle opere che attualmente si vedono.Il
lavori furono ardui, e vi occorse per essi ingente somma, che quasi tutta sortì
dalla borsa particolare del Re.Mentre
Belvedere andava a divenire il sito più pregiato delle delizie Reali, reputò
necessario il Sovrano di porlo in comunicazione col boschetto di Caserta, affin
di aver l’agio di recarvisi per mezzo di
cammini interni.A
tal uopo fece costruire lo stradone, che dalla cascata conduce a Belvedere:
opera di non lieve importanza a cagione de grandi massi, ch’ebbero ad
appianarsi sulla costa della Montagna, per rendere il camino così agevole, come
presentemente si scorge.Questa
opera fu compiuta prima del 1780.Essendosi
già formati gli elementi di una popolazione ne’ luoghi, volle il provvido
Sovrano, che niente mancasse di ciò che poteva rendere più comoda la
sussistenza. Ordinò quindi, che stabilito si fosse un molino nel piano
sottoposto alla Cascata, che fosse animato dalle acque della medesima, e volle pure, che nel luogo
istesso si fosse pure piantato un trappeto per macinare gli ulivi.
Le
frequenti dimore del Re in questi luoghi, che aveva cotanto ingentiliti, gli
avean dato occasione di porre sovente l’occhio su di una piccola industria
di seti, che facevasi da un Guardacaccia denominato Giovanni Miele nativo di
Rocca Rainola nelle vicinanze di Nola.Faceva
tirare costui a proprio conto nella opportuna stagione qualche quantità di seta
all’uso di Sorrento.Prese
diletto il Sovrano a guardare queste manovre, ed a colpo d’occhio fu penetrato
dall’idea dell’util grande, che avrebbe ricavato lo Stato, facendosi più nobile
impiego della seta, e portandone la trattura al metodo del Piemonte, che, mercè
i suoi saggi provvedimenti, incominciare già a conoscersi tra noi.Erano
allora in uso i veli, e questa nuova generalmente sparsa faceva sortir
dal Regno ingenti somme.Pensò
dunque il saggio Principe d’introdurre in S. Leucio questa manifattura, affine
di occupare in un travaglio così delicato e proficuo gli individui di quelle
famiglie, che per ragion d’impiego eran situate in S. Leucio.A
realizzare questa idea, che ha poi avuto risultati tanto utili fece il Re
venire dall’Estero abili Direttori, i quali piantaron tosto la manifattura
nelle sale dell’antico Casino di S. Lucio, con un successo forse superiore
all’aspettativa.La
industria de veli portava seco la necessità dello stabilimento della trattura
delle seti all’organzino, e quindi dopo varii saggi eseguiti in diversi luoghi del
Real Sito, venne a piantarsi una sala regolare per filande nel cortile del Real
Casino di Belvedere. Quest’opera assai degna di ricordanza, venne eseguita
nell’anno 1783.Il
racconto in questi fatti ci conduce inevitabilmente alla storia della Real
fabrica di S. Leucio e della popolazione, che ne sostiene con tanto plauso la
industria.Ma
questi oggetti, che aggiungono della lode ai fatti illustri del Re Ferdinando,
è che mostrano il suo efficace genio per le arti e manifatture, non possono qui
esser da noi trattati, senza distrarci dallo scopo, cui il presente lavoro è
scritto.Impegnati
a descrivere ciò che forma la parte materiale di S. Leucio, dobbiamo
semplicemente limitarci a quanto riguarda gli edificj, e le opere che si
veggono, ed agli elementi che formano la dote del Sito Reale, riserbandoci di
trattar altrove, eseparatamente
gli articoli che hanno rapporto alla manifattura delle sete.Proseguendo
dunque nella nostra narrazione osserviamo, che aumentandosi nel Sovrano l’ardore di portare alla perfezione la industria delle seterie, che qui si era
estesa alla fabricazione de’ più nobili tessuti, istabilì nell’anno 1789
i filatoj, che or si veggono nel cortile, facendoli animare dalle acque del
condotto Carolino che provenivano dalla Cascata.Nell’anno
istesso furono stabilite le altre officine sussidiarie della seta, e si diede
pure sollecito prosieguo agli edificj
piantati sulle due strade laterali del portone di Belvedere: edifici che presero il nome di quartieri, intitolati di S. Ferdinando uno, e di S.
Carlo l’altro.
1786/1789
Inizio della
costruzione dei Quartieri “San Carlo” e “San Ferdinando”
Le
frequenti dimore del Re in questi luoghi, che aveva cotanto ingentiliti, gli
avean dato occasione di porre sovente l’occhio su di una piccola industria
di seti, che facevasi da un Guardacaccia denominato Giovanni Miele nativo di
Rocca Rainola nelle vicinanze di Nola.Faceva
tirare costui a proprio conto nella opportuna stagione qualche quantità di seta
all’uso di Sorrento.Prese
diletto il Sovrano a guardare queste manovre, ed a colpo d’occhio fu penetrato
dall’idea dell’util grande, che avrebbe ricavato lo Stato, facendosi più nobile
impiego della seta, e portandone la trattura al metodo del Piemonte, che, mercè
i suoi saggi provvedimenti, incominciare già a conoscersi tra noi.Erano
allora in uso i veli, e questa nuova generalmente sparsa faceva sortir
dal Regno ingenti somme.Pensò
dunque il saggio Principe d’introdurre in S. Leucio questa manifattura, affine
di occupare in un travaglio così delicato e proficuo gli individui di quelle
famiglie, che per ragion d’impiego eran situate in S. Leucio.A
realizzare questa idea, che ha poi avuto risultati tanto utili fece il Re
venire dall’Estero abili Direttori, i quali piantaron tosto la manifattura
nelle sale dell’antico Casino di S. Lucio, con un successo forse superiore
all’aspettativa.La
industria de veli portava seco la necessità dello stabilimento della trattura
delle seti all’organzino, e quindi dopo varii saggi eseguiti in diversi luoghi del
Real Sito, venne a piantarsi una sala regolare per filande nel cortile del Real
Casino di Belvedere. Quest’opera assai degna di ricordanza, venne eseguita
nell’anno 1783.Il
racconto in questi fatti ci conduce inevitabilmente alla storia della Real
fabrica di S. Leucio e della popolazione, che ne sostiene con tanto plauso la
industria.Ma
questi oggetti, che aggiungono della lode ai fatti illustri del Re Ferdinando,
è che mostrano il suo efficace genio per le arti e manifatture, non possono qui
esser da noi trattati, senza distrarci dallo scopo, cui il presente lavoro è
scritto.Impegnati
a descrivere ciò che forma la parte materiale di S. Leucio, dobbiamo
semplicemente limitarci a quanto riguarda gli edificj, e le opere che si
veggono, ed agli elementi che formano la dote del Sito Reale, riserbandoci di
trattar altrove, eseparatamente
gli articoli che hanno rapporto alla manifattura delle sete.Proseguendo
dunque nella nostra narrazione osserviamo, che aumentandosi nel Sovrano l’ardore di portare alla perfezione la industria delle seterie, che qui si era
estesa alla fabricazione de’ più nobili tessuti, istabilì nell’anno 1789
i filatoj, che or si veggono nel cortile, facendoli animare dalle acque del
condotto Carolino che provenivano dalla Cascata.Nell’anno
istesso furono stabilite le altre officine sussidiarie della seta, e si diede
pure sollecito prosieguo agli edificj
piantati sulle due strade laterali del portone di Belvedere: edifici che presero il nome di quartieri, intitolati di S. Ferdinando uno, e di S.
Carlo l’altro.
1786/1789
Inizio della
costruzione dei Quartieri “San Carlo” e “San Ferdinando”
Le
frequenti dimore del Re in questi luoghi, che aveva cotanto ingentiliti, gli
avean dato occasione di porre sovente l’occhio su di una piccola industria
di seti, che facevasi da un Guardacaccia denominato Giovanni Miele nativo di
Rocca Rainola nelle vicinanze di Nola.Faceva
tirare costui a proprio conto nella opportuna stagione qualche quantità di seta
all’uso di Sorrento.Prese
diletto il Sovrano a guardare queste manovre, ed a colpo d’occhio fu penetrato
dall’idea dell’util grande, che avrebbe ricavato lo Stato, facendosi più nobile
impiego della seta, e portandone la trattura al metodo del Piemonte, che, mercè
i suoi saggi provvedimenti, incominciare già a conoscersi tra noi.Erano
allora in uso i veli, e questa nuova generalmente sparsa faceva sortir
dal Regno ingenti somme.Pensò
dunque il saggio Principe d’introdurre in S. Leucio questa manifattura, affine
di occupare in un travaglio così delicato e proficuo gli individui di quelle
famiglie, che per ragion d’impiego eran situate in S. Leucio.A
realizzare questa idea, che ha poi avuto risultati tanto utili fece il Re
venire dall’Estero abili Direttori, i quali piantaron tosto la manifattura
nelle sale dell’antico Casino di S. Lucio, con un successo forse superiore
all’aspettativa.La
industria de veli portava seco la necessità dello stabilimento della trattura
delle seti all’organzino, e quindi dopo varii saggi eseguiti in diversi luoghi del
Real Sito, venne a piantarsi una sala regolare per filande nel cortile del Real
Casino di Belvedere. Quest’opera assai degna di ricordanza, venne eseguita
nell’anno 1783.Il
racconto in questi fatti ci conduce inevitabilmente alla storia della Real
fabrica di S. Leucio e della popolazione, che ne sostiene con tanto plauso la
industria.Ma
questi oggetti, che aggiungono della lode ai fatti illustri del Re Ferdinando,
è che mostrano il suo efficace genio per le arti e manifatture, non possono qui
esser da noi trattati, senza distrarci dallo scopo, cui il presente lavoro è
scritto.Impegnati
a descrivere ciò che forma la parte materiale di S. Leucio, dobbiamo
semplicemente limitarci a quanto riguarda gli edificj, e le opere che si
veggono, ed agli elementi che formano la dote del Sito Reale, riserbandoci di
trattar altrove, eseparatamente
gli articoli che hanno rapporto alla manifattura delle sete.Proseguendo
dunque nella nostra narrazione osserviamo, che aumentandosi nel Sovrano l’ardore di portare alla perfezione la industria delle seterie, che qui si era
estesa alla fabricazione de’ più nobili tessuti, istabilì nell’anno 1789
i filatoj, che or si veggono nel cortile, facendoli animare dalle acque del
condotto Carolino che provenivano dalla Cascata.Nell’anno
istesso furono stabilite le altre officine sussidiarie della seta, e si diede
pure sollecito prosieguo agli edificj
piantati sulle due strade laterali del portone di Belvedere: edifici che presero il nome di quartieri, intitolati di S. Ferdinando uno, e di S.
Carlo l’altro.
1786/1789
Inizio della
costruzione dei Quartieri “San Carlo” e “San Ferdinando”
Le
frequenti dimore del Re in questi luoghi, che aveva cotanto ingentiliti, gli
avean dato occasione di porre sovente l’occhio su di una piccola industria
di seti, che facevasi da un Guardacaccia denominato Giovanni Miele nativo di
Rocca Rainola nelle vicinanze di Nola.Faceva
tirare costui a proprio conto nella opportuna stagione qualche quantità di seta
all’uso di Sorrento.Prese
diletto il Sovrano a guardare queste manovre, ed a colpo d’occhio fu penetrato
dall’idea dell’util grande, che avrebbe ricavato lo Stato, facendosi più nobile
impiego della seta, e portandone la trattura al metodo del Piemonte, che, mercè
i suoi saggi provvedimenti, incominciare già a conoscersi tra noi.Erano
allora in uso i veli, e questa nuova generalmente sparsa faceva sortir
dal Regno ingenti somme.Pensò
dunque il saggio Principe d’introdurre in S. Leucio questa manifattura, affine
di occupare in un travaglio così delicato e proficuo gli individui di quelle
famiglie, che per ragion d’impiego eran situate in S. Leucio.A
realizzare questa idea, che ha poi avuto risultati tanto utili fece il Re
venire dall’Estero abili Direttori, i quali piantaron tosto la manifattura
nelle sale dell’antico Casino di S. Lucio, con un successo forse superiore
all’aspettativa.La
industria de veli portava seco la necessità dello stabilimento della trattura
delle seti all’organzino, e quindi dopo varii saggi eseguiti in diversi luoghi del
Real Sito, venne a piantarsi una sala regolare per filande nel cortile del Real
Casino di Belvedere. Quest’opera assai degna di ricordanza, venne eseguita
nell’anno 1783.Il
racconto in questi fatti ci conduce inevitabilmente alla storia della Real
fabrica di S. Leucio e della popolazione, che ne sostiene con tanto plauso la
industria.Ma
questi oggetti, che aggiungono della lode ai fatti illustri del Re Ferdinando,
è che mostrano il suo efficace genio per le arti e manifatture, non possono qui
esser da noi trattati, senza distrarci dallo scopo, cui il presente lavoro è
scritto.Impegnati
a descrivere ciò che forma la parte materiale di S. Leucio, dobbiamo
semplicemente limitarci a quanto riguarda gli edificj, e le opere che si
veggono, ed agli elementi che formano la dote del Sito Reale, riserbandoci di
trattar altrove, eseparatamente
gli articoli che hanno rapporto alla manifattura delle sete.Proseguendo
dunque nella nostra narrazione osserviamo, che aumentandosi nel Sovrano l’ardore di portare alla perfezione la industria delle seterie, che qui si era
estesa alla fabricazione de’ più nobili tessuti, istabilì nell’anno 1789
i filatoj, che or si veggono nel cortile, facendoli animare dalle acque del
condotto Carolino che provenivano dalla Cascata.Nell’anno
istesso furono stabilite le altre officine sussidiarie della seta, e si diede
pure sollecito prosieguo agli edificj
piantati sulle due strade laterali del portone di Belvedere: edifici che presero il nome di quartieri, intitolati di S. Ferdinando uno, e di S.
Carlo l’altro.
1786/1789
Inizio della
costruzione dei Quartieri “San Carlo” e “San Ferdinando”
Le
frequenti dimore del Re in questi luoghi, che aveva cotanto ingentiliti, gli
avean dato occasione di porre sovente l’occhio su di una piccola industria
di seti, che facevasi da un Guardacaccia denominato Giovanni Miele nativo di
Rocca Rainola nelle vicinanze di Nola.Faceva
tirare costui a proprio conto nella opportuna stagione qualche quantità di seta
all’uso di Sorrento.Prese
diletto il Sovrano a guardare queste manovre, ed a colpo d’occhio fu penetrato
dall’idea dell’util grande, che avrebbe ricavato lo Stato, facendosi più nobile
impiego della seta, e portandone la trattura al metodo del Piemonte, che, mercè
i suoi saggi provvedimenti, incominciare già a conoscersi tra noi.Erano
allora in uso i veli, e questa nuova generalmente sparsa faceva sortir
dal Regno ingenti somme.Pensò
dunque il saggio Principe d’introdurre in S. Leucio questa manifattura, affine
di occupare in un travaglio così delicato e proficuo gli individui di quelle
famiglie, che per ragion d’impiego eran situate in S. Leucio.A
realizzare questa idea, che ha poi avuto risultati tanto utili fece il Re
venire dall’Estero abili Direttori, i quali piantaron tosto la manifattura
nelle sale dell’antico Casino di S. Lucio, con un successo forse superiore
all’aspettativa.La
industria de veli portava seco la necessità dello stabilimento della trattura
delle seti all’organzino, e quindi dopo varii saggi eseguiti in diversi luoghi del
Real Sito, venne a piantarsi una sala regolare per filande nel cortile del Real
Casino di Belvedere. Quest’opera assai degna di ricordanza, venne eseguita
nell’anno 1783.Il
racconto in questi fatti ci conduce inevitabilmente alla storia della Real
fabrica di S. Leucio e della popolazione, che ne sostiene con tanto plauso la
industria.Ma
questi oggetti, che aggiungono della lode ai fatti illustri del Re Ferdinando,
è che mostrano il suo efficace genio per le arti e manifatture, non possono qui
esser da noi trattati, senza distrarci dallo scopo, cui il presente lavoro è
scritto.Impegnati
a descrivere ciò che forma la parte materiale di S. Leucio, dobbiamo
semplicemente limitarci a quanto riguarda gli edificj, e le opere che si
veggono, ed agli elementi che formano la dote del Sito Reale, riserbandoci di
trattar altrove, eseparatamente
gli articoli che hanno rapporto alla manifattura delle sete.Proseguendo
dunque nella nostra narrazione osserviamo, che aumentandosi nel Sovrano l’ardore di portare alla perfezione la industria delle seterie, che qui si era
estesa alla fabricazione de’ più nobili tessuti, istabilì nell’anno 1789
i filatoj, che or si veggono nel cortile, facendoli animare dalle acque del
condotto Carolino che provenivano dalla Cascata.Nell’anno
istesso furono stabilite le altre officine sussidiarie della seta, e si diede
pure sollecito prosieguo agli edificj
piantati sulle due strade laterali del portone di Belvedere: edifici che presero il nome di quartieri, intitolati di S. Ferdinando uno, e di S.
Carlo l’altro.
1786/1789
Inizio della
costruzione dei Quartieri “San Carlo” e “San Ferdinando”
1786/1789
Inizio della
costruzione dei Quartieri “San Carlo” e “San Ferdinando”
La
popolazione, fornita di vantaggi che il principe offriva, e delle comodità che l’arte
procurava, andava ogni dì aumentando, ed era pure necessario, che dietro lo
stabilimento di tante officine in Belvedere si fosse quivi fermata la parte
maggiore della popolazione.Nell’anno
1788 proseguirono i lavori per aggiungere nuovi stabilimenti al casino di
Belvedere, e per migliorare le officine della seteria.In
quest’anno appunto veggendo il Principe, ch’erano già formati gli elementi di
una prospera popolazione, volle dichiararla Colonia, ed applicassi ad
istabilire per la sua interna organizzazione quelle leggi, che si resero bentosto note a quasi tutti i paesi
stranieri.1789
Promulgazione del
Codice delle Leggi per S. Lucio e nascita ufficiale della Colonia
La
popolazione, fornita di vantaggi che il principe offriva, e delle comodità che l’arte
procurava, andava ogni dì aumentando, ed era pure necessario, che dietro lo
stabilimento di tante officine in Belvedere si fosse quivi fermata la parte
maggiore della popolazione.Nell’anno
1788 proseguirono i lavori per aggiungere nuovi stabilimenti al casino di
Belvedere, e per migliorare le officine della seteria.In
quest’anno appunto veggendo il Principe, ch’erano già formati gli elementi di
una prospera popolazione, volle dichiararla Colonia, ed applicassi ad
istabilire per la sua interna organizzazione quelle leggi, che si resero bentosto note a quasi tutti i paesi
stranieri.1789
Promulgazione del
Codice delle Leggi per S. Lucio e nascita ufficiale della Colonia
La
popolazione, fornita di vantaggi che il principe offriva, e delle comodità che l’arte
procurava, andava ogni dì aumentando, ed era pure necessario, che dietro lo
stabilimento di tante officine in Belvedere si fosse quivi fermata la parte
maggiore della popolazione.Nell’anno
1788 proseguirono i lavori per aggiungere nuovi stabilimenti al casino di
Belvedere, e per migliorare le officine della seteria.In
quest’anno appunto veggendo il Principe, ch’erano già formati gli elementi di
una prospera popolazione, volle dichiararla Colonia, ed applicassi ad
istabilire per la sua interna organizzazione quelle leggi, che si resero bentosto note a quasi tutti i paesi
stranieri.1789
Promulgazione del
Codice delle Leggi per S. Lucio e nascita ufficiale della Colonia
La
popolazione, fornita di vantaggi che il principe offriva, e delle comodità che l’arte
procurava, andava ogni dì aumentando, ed era pure necessario, che dietro lo
stabilimento di tante officine in Belvedere si fosse quivi fermata la parte
maggiore della popolazione.Nell’anno
1788 proseguirono i lavori per aggiungere nuovi stabilimenti al casino di
Belvedere, e per migliorare le officine della seteria.In
quest’anno appunto veggendo il Principe, ch’erano già formati gli elementi di
una prospera popolazione, volle dichiararla Colonia, ed applicassi ad
istabilire per la sua interna organizzazione quelle leggi, che si resero bentosto note a quasi tutti i paesi
stranieri.1789
Promulgazione del
Codice delle Leggi per S. Lucio e nascita ufficiale della Colonia
La
popolazione, fornita di vantaggi che il principe offriva, e delle comodità che l’arte
procurava, andava ogni dì aumentando, ed era pure necessario, che dietro lo
stabilimento di tante officine in Belvedere si fosse quivi fermata la parte
maggiore della popolazione.Nell’anno
1788 proseguirono i lavori per aggiungere nuovi stabilimenti al casino di
Belvedere, e per migliorare le officine della seteria.In
quest’anno appunto veggendo il Principe, ch’erano già formati gli elementi di
una prospera popolazione, volle dichiararla Colonia, ed applicassi ad
istabilire per la sua interna organizzazione quelle leggi, che si resero bentosto note a quasi tutti i paesi
stranieri.1789
Promulgazione del
Codice delle Leggi per S. Lucio e nascita ufficiale della Colonia
1789
Promulgazione del
Codice delle Leggi per S. Lucio e nascita ufficiale della Colonia
Divenuta
la popolazione di S. Leucio una Colonia governativa paternamente da un Sovrano
sì saggio e pio, fece quei progressi, che meglio sperar potevansi, e si diede
campo a progetti più ampj, che furon poi troncati dalle dolorose vicende, che
posero in soqquadro l’Europa.Per
non cancellare cosa alcuna di ciò che ha riguardo alle opere fatte dal Re
Ferdinando in questi siti, dobbiamo ricordare la costruzione a sue proprie
spese, di due cimiteri uno per la Valla di Briano e l’altro per quello di Sala.Siffatti
edificj vennero fabricati nell’anno 1788 in campagna con buonissima architettura ed esistono tuttavia offrendo memoria della magnificenza del Principe.(Altro
simile ne fu poi costruito a spese del Sovrano in Puccianello).
Divenuta
la popolazione di S. Leucio una Colonia governativa paternamente da un Sovrano
sì saggio e pio, fece quei progressi, che meglio sperar potevansi, e si diede
campo a progetti più ampj, che furon poi troncati dalle dolorose vicende, che
posero in soqquadro l’Europa.Per
non cancellare cosa alcuna di ciò che ha riguardo alle opere fatte dal Re
Ferdinando in questi siti, dobbiamo ricordare la costruzione a sue proprie
spese, di due cimiteri uno per la Valla di Briano e l’altro per quello di Sala.Siffatti
edificj vennero fabricati nell’anno 1788 in campagna con buonissima architettura ed esistono tuttavia offrendo memoria della magnificenza del Principe.(Altro
simile ne fu poi costruito a spese del Sovrano in Puccianello).
Divenuta
la popolazione di S. Leucio una Colonia governativa paternamente da un Sovrano
sì saggio e pio, fece quei progressi, che meglio sperar potevansi, e si diede
campo a progetti più ampj, che furon poi troncati dalle dolorose vicende, che
posero in soqquadro l’Europa.Per
non cancellare cosa alcuna di ciò che ha riguardo alle opere fatte dal Re
Ferdinando in questi siti, dobbiamo ricordare la costruzione a sue proprie
spese, di due cimiteri uno per la Valla di Briano e l’altro per quello di Sala.Siffatti
edificj vennero fabricati nell’anno 1788 in campagna con buonissima architettura ed esistono tuttavia offrendo memoria della magnificenza del Principe.(Altro
simile ne fu poi costruito a spese del Sovrano in Puccianello).
Divenuta
la popolazione di S. Leucio una Colonia governativa paternamente da un Sovrano
sì saggio e pio, fece quei progressi, che meglio sperar potevansi, e si diede
campo a progetti più ampj, che furon poi troncati dalle dolorose vicende, che
posero in soqquadro l’Europa.Per
non cancellare cosa alcuna di ciò che ha riguardo alle opere fatte dal Re
Ferdinando in questi siti, dobbiamo ricordare la costruzione a sue proprie
spese, di due cimiteri uno per la Valla di Briano e l’altro per quello di Sala.Siffatti
edificj vennero fabricati nell’anno 1788 in campagna con buonissima architettura ed esistono tuttavia offrendo memoria della magnificenza del Principe.(Altro
simile ne fu poi costruito a spese del Sovrano in Puccianello).
Divenuta
la popolazione di S. Leucio una Colonia governativa paternamente da un Sovrano
sì saggio e pio, fece quei progressi, che meglio sperar potevansi, e si diede
campo a progetti più ampj, che furon poi troncati dalle dolorose vicende, che
posero in soqquadro l’Europa.Per
non cancellare cosa alcuna di ciò che ha riguardo alle opere fatte dal Re
Ferdinando in questi siti, dobbiamo ricordare la costruzione a sue proprie
spese, di due cimiteri uno per la Valla di Briano e l’altro per quello di Sala.Siffatti
edificj vennero fabricati nell’anno 1788 in campagna con buonissima architettura ed esistono tuttavia offrendo memoria della magnificenza del Principe.(Altro
simile ne fu poi costruito a spese del Sovrano in Puccianello).
9 luglio 1789
Inizio della Rivoluzione
Francese
9 luglio 1789
Inizio della Rivoluzione
Francese
9 luglio 1789
Inizio della Rivoluzione
Francese
9 luglio 1789
Inizio della Rivoluzione
Francese
9 luglio 1789
Inizio della Rivoluzione
Francese
9 luglio 1789
Inizio della Rivoluzione Francese
Dall’anno
1790 al 1796 attese il
Sovrano a buon meglio la manifattura delle sete ed a renderne l’esercizio tanto
perfetto quanto attender potevasi de’ migliori Artifici della Francia. Ed in questo intervallo, mentre aggiunse alle altre officine quella cuculliera, che
ancor sussiste nel Real Casino di Belvedere. Diede principio all’edificio della
gran filanda, che venne poi perfezionata in quel modo che diremo appresso.A
tutti questi elementi di prosperità, che andavano a svilupparsi col progresso
delle arti, era d’uopo di aggiungere mezzi solidi di dotazione per assicurare
il sostentamento della Parrocchia e del nuovo Clero, e l’esercizio di quelle
pie opere inseparabili dal religioso genio del Sovrano.Questi
comandò che riunita si fosse alla Amministrazione del Real Sito la Badia di S.
Pietro ad Montes, che portava seco un
corredo di circa quattrocento moggia di ottimi terreni. (1.354.944,00
mq = 135 ha).Siffatta
riunione ebbe il suo effetto nell’anno 1795.L’amena
situazione di S. Silvestro non era stata fino a questo punto abbastanza
curata. Valutando il Sovrano tutto ciò che di pregevole presentava quel sito, incominciò a fare
abbellire i punti più deliziosi, e migliorare quel giardino superiore nel quale
vennero situati dei trillaggi ed altri
corrispondenti ornamenti.Tutto
ciò fu eseguito nel 1797, ed in questo riscontro concepì il Sovrano la idea di fare edificare nel sito più acconcio di quella montagna un picciolo Casino circondato da vigne
e giardini.Questa
idea ebbe il suo incominciamento, ma le generali disavventure, da lì a poco
accadute, ne fecero per allora sospendere il prosieguo.Due
anni prima e precisamente nel 1795 erasi dato principio alla fabrica di quel
palazzo ch’esiste nel lato sinistro del portone d’ingresso di Belvedere, e che
chiamiamo Trattoria perché fu espressamente dedicata a questo uso per
favore di coloro che recavansi o per affari o per curiosità nel Real Sito.Il
medesimo con tutti e suoi accessorj
venne interamente terminato nel 1798.
Dall’anno
1790 al 1796 attese il
Sovrano a buon meglio la manifattura delle sete ed a renderne l’esercizio tanto
perfetto quanto attender potevasi de’ migliori Artifici della Francia. Ed in questo intervallo, mentre aggiunse alle altre officine quella cuculliera, che
ancor sussiste nel Real Casino di Belvedere. Diede principio all’edificio della
gran filanda, che venne poi perfezionata in quel modo che diremo appresso.A
tutti questi elementi di prosperità, che andavano a svilupparsi col progresso
delle arti, era d’uopo di aggiungere mezzi solidi di dotazione per assicurare
il sostentamento della Parrocchia e del nuovo Clero, e l’esercizio di quelle
pie opere inseparabili dal religioso genio del Sovrano.Questi
comandò che riunita si fosse alla Amministrazione del Real Sito la Badia di S.
Pietro ad Montes, che portava seco un
corredo di circa quattrocento moggia di ottimi terreni. (1.354.944,00
mq = 135 ha).Siffatta
riunione ebbe il suo effetto nell’anno 1795.L’amena
situazione di S. Silvestro non era stata fino a questo punto abbastanza
curata. Valutando il Sovrano tutto ciò che di pregevole presentava quel sito, incominciò a fare
abbellire i punti più deliziosi, e migliorare quel giardino superiore nel quale
vennero situati dei trillaggi ed altri
corrispondenti ornamenti.Tutto
ciò fu eseguito nel 1797, ed in questo riscontro concepì il Sovrano la idea di fare edificare nel sito più acconcio di quella montagna un picciolo Casino circondato da vigne
e giardini.Questa
idea ebbe il suo incominciamento, ma le generali disavventure, da lì a poco
accadute, ne fecero per allora sospendere il prosieguo.Due
anni prima e precisamente nel 1795 erasi dato principio alla fabrica di quel
palazzo ch’esiste nel lato sinistro del portone d’ingresso di Belvedere, e che
chiamiamo Trattoria perché fu espressamente dedicata a questo uso per
favore di coloro che recavansi o per affari o per curiosità nel Real Sito.Il
medesimo con tutti e suoi accessorj
venne interamente terminato nel 1798.
Dall’anno
1790 al 1796 attese il
Sovrano a buon meglio la manifattura delle sete ed a renderne l’esercizio tanto
perfetto quanto attender potevasi de’ migliori Artifici della Francia. Ed in questo intervallo, mentre aggiunse alle altre officine quella cuculliera, che
ancor sussiste nel Real Casino di Belvedere. Diede principio all’edificio della
gran filanda, che venne poi perfezionata in quel modo che diremo appresso.A
tutti questi elementi di prosperità, che andavano a svilupparsi col progresso
delle arti, era d’uopo di aggiungere mezzi solidi di dotazione per assicurare
il sostentamento della Parrocchia e del nuovo Clero, e l’esercizio di quelle
pie opere inseparabili dal religioso genio del Sovrano.Questi
comandò che riunita si fosse alla Amministrazione del Real Sito la Badia di S.
Pietro ad Montes, che portava seco un
corredo di circa quattrocento moggia di ottimi terreni. (1.354.944,00
mq = 135 ha).Siffatta
riunione ebbe il suo effetto nell’anno 1795.L’amena
situazione di S. Silvestro non era stata fino a questo punto abbastanza
curata. Valutando il Sovrano tutto ciò che di pregevole presentava quel sito, incominciò a fare
abbellire i punti più deliziosi, e migliorare quel giardino superiore nel quale
vennero situati dei trillaggi ed altri
corrispondenti ornamenti.Tutto
ciò fu eseguito nel 1797, ed in questo riscontro concepì il Sovrano la idea di fare edificare nel sito più acconcio di quella montagna un picciolo Casino circondato da vigne
e giardini.Questa
idea ebbe il suo incominciamento, ma le generali disavventure, da lì a poco
accadute, ne fecero per allora sospendere il prosieguo.Due
anni prima e precisamente nel 1795 erasi dato principio alla fabrica di quel
palazzo ch’esiste nel lato sinistro del portone d’ingresso di Belvedere, e che
chiamiamo Trattoria perché fu espressamente dedicata a questo uso per
favore di coloro che recavansi o per affari o per curiosità nel Real Sito.Il
medesimo con tutti e suoi accessorj
venne interamente terminato nel 1798.
Dall’anno
1790 al 1796 attese il
Sovrano a buon meglio la manifattura delle sete ed a renderne l’esercizio tanto
perfetto quanto attender potevasi de’ migliori Artifici della Francia. Ed in questo intervallo, mentre aggiunse alle altre officine quella cuculliera, che
ancor sussiste nel Real Casino di Belvedere. Diede principio all’edificio della
gran filanda, che venne poi perfezionata in quel modo che diremo appresso.A
tutti questi elementi di prosperità, che andavano a svilupparsi col progresso
delle arti, era d’uopo di aggiungere mezzi solidi di dotazione per assicurare
il sostentamento della Parrocchia e del nuovo Clero, e l’esercizio di quelle
pie opere inseparabili dal religioso genio del Sovrano.Questi
comandò che riunita si fosse alla Amministrazione del Real Sito la Badia di S.
Pietro ad Montes, che portava seco un
corredo di circa quattrocento moggia di ottimi terreni. (1.354.944,00
mq = 135 ha).Siffatta
riunione ebbe il suo effetto nell’anno 1795.L’amena
situazione di S. Silvestro non era stata fino a questo punto abbastanza
curata. Valutando il Sovrano tutto ciò che di pregevole presentava quel sito, incominciò a fare
abbellire i punti più deliziosi, e migliorare quel giardino superiore nel quale
vennero situati dei trillaggi ed altri
corrispondenti ornamenti.Tutto
ciò fu eseguito nel 1797, ed in questo riscontro concepì il Sovrano la idea di fare edificare nel sito più acconcio di quella montagna un picciolo Casino circondato da vigne
e giardini.Questa
idea ebbe il suo incominciamento, ma le generali disavventure, da lì a poco
accadute, ne fecero per allora sospendere il prosieguo.Due
anni prima e precisamente nel 1795 erasi dato principio alla fabrica di quel
palazzo ch’esiste nel lato sinistro del portone d’ingresso di Belvedere, e che
chiamiamo Trattoria perché fu espressamente dedicata a questo uso per
favore di coloro che recavansi o per affari o per curiosità nel Real Sito.Il
medesimo con tutti e suoi accessorj
venne interamente terminato nel 1798.
Dall’anno
1790 al 1796 attese il
Sovrano a buon meglio la manifattura delle sete ed a renderne l’esercizio tanto
perfetto quanto attender potevasi de’ migliori Artifici della Francia. Ed in questo intervallo, mentre aggiunse alle altre officine quella cuculliera, che
ancor sussiste nel Real Casino di Belvedere. Diede principio all’edificio della
gran filanda, che venne poi perfezionata in quel modo che diremo appresso.A
tutti questi elementi di prosperità, che andavano a svilupparsi col progresso
delle arti, era d’uopo di aggiungere mezzi solidi di dotazione per assicurare
il sostentamento della Parrocchia e del nuovo Clero, e l’esercizio di quelle
pie opere inseparabili dal religioso genio del Sovrano.Questi
comandò che riunita si fosse alla Amministrazione del Real Sito la Badia di S.
Pietro ad Montes, che portava seco un
corredo di circa quattrocento moggia di ottimi terreni. (1.354.944,00
mq = 135 ha).Siffatta
riunione ebbe il suo effetto nell’anno 1795.L’amena
situazione di S. Silvestro non era stata fino a questo punto abbastanza
curata. Valutando il Sovrano tutto ciò che di pregevole presentava quel sito, incominciò a fare
abbellire i punti più deliziosi, e migliorare quel giardino superiore nel quale
vennero situati dei trillaggi ed altri
corrispondenti ornamenti.Tutto
ciò fu eseguito nel 1797, ed in questo riscontro concepì il Sovrano la idea di fare edificare nel sito più acconcio di quella montagna un picciolo Casino circondato da vigne
e giardini.Questa
idea ebbe il suo incominciamento, ma le generali disavventure, da lì a poco
accadute, ne fecero per allora sospendere il prosieguo.Due
anni prima e precisamente nel 1795 erasi dato principio alla fabrica di quel
palazzo ch’esiste nel lato sinistro del portone d’ingresso di Belvedere, e che
chiamiamo Trattoria perché fu espressamente dedicata a questo uso per
favore di coloro che recavansi o per affari o per curiosità nel Real Sito.Il
medesimo con tutti e suoi accessorj
venne interamente terminato nel 1798.
Intento
sempre il Re Ferdinando a condurre in
S. Leucio quelle manifatturedi
modello, che potevano dar lume ad
esempio ai suoi sudditi, volle nell’anno 1798
creare una fabrica per la concia delle pelli ad uso di Francia.In
questa stabilita nella Vaccheria, e precisamente nel sito, ove trovavanzi le
Canetterrie, delle quali abbiamo parlato.
Si ottennero da questi tentativi ottimi risultati, che vennero poi
distrutte dagli avvenimenti del 1799.I
presentimenti di una vicina guerra, ed i grandi apparecchi, che si facevano,
non isgomentava punto la costanza del Re per lo ingrandimento della novella
Colonia, ch’Egli divisava di portare allo stato di grandiosa Città.Fino
al mese di gennaio del 1799 continuaronsi con ardore le fabriche del Quartiere
detto di S. Ferdinando e si diede compimento della sala, nella quale dovevan
situarsi i telai per le stoffe.Era,
come abbiamo accennato, deciso proponimento del Re di fare divenire S. Leucio
una Città, che doveva essere l’emporio della manifatture più distinte.Eransi
già firmati i disegni degli edificj e delle strade: una Chiesa magnifica come
doversi la prima a fabricarsi, e si era tutto disposto per la solennità della
fondazione della prima pietra.Di
fatti ne’ conti del 1799 si vedono erogate delle spese per il
padiglione, nel quale dovea eseguirsi la cerimonia. Ma la Provvidenza dispose
altamente gli affari, a pare che avesse riservato ad altro tempo un opera così lodevole.Sopravvenuta
l’epoca disgraziata della invasione di Francia la Popolazione di S Leucio,
salda sempre nei principj di fedeltà verso il suo Sovrano e Benefattore, si diè
in fuga, e non ritornò nelle proprie abitazioni se non quando fu ristabilito il
buon ordine.Non
è superfluo di aggiungere, che, pria della Rivoluzione, invitati gli uomini
della Popolazione, ch’erano alle armi, a seguire il Principe negli accampamenti
di Sora nell’anno 1798, furono pronti a dar prova di quell’attaccamento,
da cui eran sinceramente animati.
Intento
sempre il Re Ferdinando a condurre in
S. Leucio quelle manifatturedi
modello, che potevano dar lume ad
esempio ai suoi sudditi, volle nell’anno 1798
creare una fabrica per la concia delle pelli ad uso di Francia.In
questa stabilita nella Vaccheria, e precisamente nel sito, ove trovavanzi le
Canetterrie, delle quali abbiamo parlato.
Si ottennero da questi tentativi ottimi risultati, che vennero poi
distrutte dagli avvenimenti del 1799.I
presentimenti di una vicina guerra, ed i grandi apparecchi, che si facevano,
non isgomentava punto la costanza del Re per lo ingrandimento della novella
Colonia, ch’Egli divisava di portare allo stato di grandiosa Città.Fino
al mese di gennaio del 1799 continuaronsi con ardore le fabriche del Quartiere
detto di S. Ferdinando e si diede compimento della sala, nella quale dovevan
situarsi i telai per le stoffe.Era,
come abbiamo accennato, deciso proponimento del Re di fare divenire S. Leucio
una Città, che doveva essere l’emporio della manifatture più distinte.Eransi
già firmati i disegni degli edificj e delle strade: una Chiesa magnifica come
doversi la prima a fabricarsi, e si era tutto disposto per la solennità della
fondazione della prima pietra.Di
fatti ne’ conti del 1799 si vedono erogate delle spese per il
padiglione, nel quale dovea eseguirsi la cerimonia. Ma la Provvidenza dispose
altamente gli affari, a pare che avesse riservato ad altro tempo un opera così lodevole.Sopravvenuta
l’epoca disgraziata della invasione di Francia la Popolazione di S Leucio,
salda sempre nei principj di fedeltà verso il suo Sovrano e Benefattore, si diè
in fuga, e non ritornò nelle proprie abitazioni se non quando fu ristabilito il
buon ordine.Non
è superfluo di aggiungere, che, pria della Rivoluzione, invitati gli uomini
della Popolazione, ch’erano alle armi, a seguire il Principe negli accampamenti
di Sora nell’anno 1798, furono pronti a dar prova di quell’attaccamento,
da cui eran sinceramente animati.
Intento
sempre il Re Ferdinando a condurre in
S. Leucio quelle manifatturedi
modello, che potevano dar lume ad
esempio ai suoi sudditi, volle nell’anno 1798
creare una fabrica per la concia delle pelli ad uso di Francia.In
questa stabilita nella Vaccheria, e precisamente nel sito, ove trovavanzi le
Canetterrie, delle quali abbiamo parlato.
Si ottennero da questi tentativi ottimi risultati, che vennero poi
distrutte dagli avvenimenti del 1799.I
presentimenti di una vicina guerra, ed i grandi apparecchi, che si facevano,
non isgomentava punto la costanza del Re per lo ingrandimento della novella
Colonia, ch’Egli divisava di portare allo stato di grandiosa Città.Fino
al mese di gennaio del 1799 continuaronsi con ardore le fabriche del Quartiere
detto di S. Ferdinando e si diede compimento della sala, nella quale dovevan
situarsi i telai per le stoffe.Era,
come abbiamo accennato, deciso proponimento del Re di fare divenire S. Leucio
una Città, che doveva essere l’emporio della manifatture più distinte.Eransi
già firmati i disegni degli edificj e delle strade: una Chiesa magnifica come
doversi la prima a fabricarsi, e si era tutto disposto per la solennità della
fondazione della prima pietra.Di
fatti ne’ conti del 1799 si vedono erogate delle spese per il
padiglione, nel quale dovea eseguirsi la cerimonia. Ma la Provvidenza dispose
altamente gli affari, a pare che avesse riservato ad altro tempo un opera così lodevole.Sopravvenuta
l’epoca disgraziata della invasione di Francia la Popolazione di S Leucio,
salda sempre nei principj di fedeltà verso il suo Sovrano e Benefattore, si diè
in fuga, e non ritornò nelle proprie abitazioni se non quando fu ristabilito il
buon ordine.Non
è superfluo di aggiungere, che, pria della Rivoluzione, invitati gli uomini
della Popolazione, ch’erano alle armi, a seguire il Principe negli accampamenti
di Sora nell’anno 1798, furono pronti a dar prova di quell’attaccamento,
da cui eran sinceramente animati.
Intento
sempre il Re Ferdinando a condurre in
S. Leucio quelle manifatturedi
modello, che potevano dar lume ad
esempio ai suoi sudditi, volle nell’anno 1798
creare una fabrica per la concia delle pelli ad uso di Francia.In
questa stabilita nella Vaccheria, e precisamente nel sito, ove trovavanzi le
Canetterrie, delle quali abbiamo parlato.
Si ottennero da questi tentativi ottimi risultati, che vennero poi
distrutte dagli avvenimenti del 1799.I
presentimenti di una vicina guerra, ed i grandi apparecchi, che si facevano,
non isgomentava punto la costanza del Re per lo ingrandimento della novella
Colonia, ch’Egli divisava di portare allo stato di grandiosa Città.Fino
al mese di gennaio del 1799 continuaronsi con ardore le fabriche del Quartiere
detto di S. Ferdinando e si diede compimento della sala, nella quale dovevan
situarsi i telai per le stoffe.Era,
come abbiamo accennato, deciso proponimento del Re di fare divenire S. Leucio
una Città, che doveva essere l’emporio della manifatture più distinte.Eransi
già firmati i disegni degli edificj e delle strade: una Chiesa magnifica come
doversi la prima a fabricarsi, e si era tutto disposto per la solennità della
fondazione della prima pietra.Di
fatti ne’ conti del 1799 si vedono erogate delle spese per il
padiglione, nel quale dovea eseguirsi la cerimonia. Ma la Provvidenza dispose
altamente gli affari, a pare che avesse riservato ad altro tempo un opera così lodevole.Sopravvenuta
l’epoca disgraziata della invasione di Francia la Popolazione di S Leucio,
salda sempre nei principj di fedeltà verso il suo Sovrano e Benefattore, si diè
in fuga, e non ritornò nelle proprie abitazioni se non quando fu ristabilito il
buon ordine.Non
è superfluo di aggiungere, che, pria della Rivoluzione, invitati gli uomini
della Popolazione, ch’erano alle armi, a seguire il Principe negli accampamenti
di Sora nell’anno 1798, furono pronti a dar prova di quell’attaccamento,
da cui eran sinceramente animati.
Intento
sempre il Re Ferdinando a condurre in
S. Leucio quelle manifatturedi
modello, che potevano dar lume ad
esempio ai suoi sudditi, volle nell’anno 1798
creare una fabrica per la concia delle pelli ad uso di Francia.In
questa stabilita nella Vaccheria, e precisamente nel sito, ove trovavanzi le
Canetterrie, delle quali abbiamo parlato.
Si ottennero da questi tentativi ottimi risultati, che vennero poi
distrutte dagli avvenimenti del 1799.I
presentimenti di una vicina guerra, ed i grandi apparecchi, che si facevano,
non isgomentava punto la costanza del Re per lo ingrandimento della novella
Colonia, ch’Egli divisava di portare allo stato di grandiosa Città.Fino
al mese di gennaio del 1799 continuaronsi con ardore le fabriche del Quartiere
detto di S. Ferdinando e si diede compimento della sala, nella quale dovevan
situarsi i telai per le stoffe.Era,
come abbiamo accennato, deciso proponimento del Re di fare divenire S. Leucio
una Città, che doveva essere l’emporio della manifatture più distinte.Eransi
già firmati i disegni degli edificj e delle strade: una Chiesa magnifica come
doversi la prima a fabricarsi, e si era tutto disposto per la solennità della
fondazione della prima pietra.Di
fatti ne’ conti del 1799 si vedono erogate delle spese per il
padiglione, nel quale dovea eseguirsi la cerimonia. Ma la Provvidenza dispose
altamente gli affari, a pare che avesse riservato ad altro tempo un opera così lodevole.Sopravvenuta
l’epoca disgraziata della invasione di Francia la Popolazione di S Leucio,
salda sempre nei principj di fedeltà verso il suo Sovrano e Benefattore, si diè
in fuga, e non ritornò nelle proprie abitazioni se non quando fu ristabilito il
buon ordine.Non
è superfluo di aggiungere, che, pria della Rivoluzione, invitati gli uomini
della Popolazione, ch’erano alle armi, a seguire il Principe negli accampamenti
di Sora nell’anno 1798, furono pronti a dar prova di quell’attaccamento,
da cui eran sinceramente animati.
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3/18 aprile 1786
Ferdinando IV fece
giungere dall’Inghilterra il giardiniere John Andrew Graeffer
per collaborare
con l’architetto Carlo Vanvitelli nella progettazione e realizzazione del
Giardino Inglese
del Parco della Reggia di Caserta.
È probabile che
sia anche intervenuto nella creazione degli spazi a verde nel
Belvedere di San
Leucio.
3/18 aprile 1786
Ferdinando IV fece
giungere dall’Inghilterra il giardiniere John Andrew Graeffer
per collaborare
con l’architetto Carlo Vanvitelli nella progettazione e realizzazione del
Giardino Inglese
del Parco della Reggia di Caserta.
È probabile che
sia anche intervenuto nella creazione degli spazi a verde nel
Belvedere di San
Leucio.
3/18 aprile 1786
Ferdinando IV fece
giungere dall’Inghilterra il giardiniere John Andrew Graeffer
per collaborare
con l’architetto Carlo Vanvitelli nella progettazione e realizzazione del
Giardino Inglese
del Parco della Reggia di Caserta.
È probabile che
sia anche intervenuto nella creazione degli spazi a verde nel
Belvedere di San
Leucio.
3/18 aprile 1786
Ferdinando IV fece
giungere dall’Inghilterra il giardiniere John Andrew Graeffer
per collaborare
con l’architetto Carlo Vanvitelli nella progettazione e realizzazione del
Giardino Inglese
del Parco della Reggia di Caserta.
È probabile che
sia anche intervenuto nella creazione degli spazi a verde nel
Belvedere di San
Leucio.
3/18 aprile 1786
Ferdinando IV fece
giungere dall’Inghilterra il giardiniere John Andrew Graeffer
per collaborare
con l’architetto Carlo Vanvitelli nella progettazione e realizzazione del
Giardino Inglese
del Parco della Reggia di Caserta.
È probabile che
sia anche intervenuto nella creazione degli spazi a verde nel
Belvedere di San
Leucio.
Ferdinando IV fece giungere dall’Inghilterra il giardiniere John Andrew Graeffer
per collaborare con l’architetto Carlo Vanvitelli nella progettazione e realizzazione del
Giardino Inglese del Parco della Reggia di Caserta.
È probabile che sia anche intervenuto nella creazione degli spazi a verde nel
Belvedere di San Leucio.
John
Graefer o Johann Andreas Graeffer
(Helmstedt,1
gennaio 1746 -Bronte, 7 agosto 1802) era un vivaista botanico tedesco.
John
Graefer o Johann Andreas Graeffer
(Helmstedt,1
gennaio 1746 -Bronte, 7 agosto 1802) era un vivaista botanico tedesco.
John
Graefer o Johann Andreas Graeffer
(Helmstedt,1
gennaio 1746 -Bronte, 7 agosto 1802) era un vivaista botanico tedesco.
John
Graefer o Johann Andreas Graeffer
(Helmstedt,1
gennaio 1746 -Bronte, 7 agosto 1802) era un vivaista botanico tedesco.
John
Graefer o Johann Andreas Graeffer
(Helmstedt,1
gennaio 1746 -Bronte, 7 agosto 1802) era un vivaista botanico tedesco.
(Helmstedt,1 gennaio 1746 -Bronte, 7 agosto 1802) era un vivaista botanico tedesco.
Per la creazione
dei giardini della Reggia di Caserta la regina Maria Carolina
fu consigliata da
Sir William Hamilton (inviato straordinario di sua Maestà Britannica) che
si rivolse a Lord Joseph Banks, botanico d’eccellenza e Presidente
della Royal Society, la più importante Accademia Scientifica d’Europa.
Sir Joseph Banks
indirizzò la regina verso il
brillante giardiniere Tedesco, proveniente dal Chelsea Physic
Garden di Londra, famoso in Inghilterra per aver importato
numerose piante
esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
Una lettera
dell’Hamilton spedita a Sir Banks da Caserta il
22 aprile 1794
riportò che
sarebbe un
costante rimprovero a questo paese l’aver avuto per tua bontà un uomo come
Graeffer per più di dieci anni senza aver avuto il minimo profitto dai suoi ben
noti talenti “
La lettera
dimostrerebbe come l’operare del giardiniere non sia stato molto apprezzato.
Un visitatore,
entomologo e botanico, Sir James Edward Smith, fondatore della
Linnean Society e
quindi un esperto del settore, lasciò un resoconto in cui mise
in risalto il
fallito tentativo d’introdurre nel giardino della Reggia il gusto inglese:
Il signor
Graeffer, un giardiniere molto ingegnoso raccomandato alla regina di Napoli da
sir Joseph Banks, fu allora impiegato nella costruzione di un giardino per sua
maestà nel gusto inglese, al quale scopo fu assegnata una porzione di terreno né
lontano dal palazzo; ma sfortunatamente in piena vista di uno stupendo
muro di mattoni, costruito con fatica erculeo allo scopo di mantenere al suo
posto la suddetta cascata. Nessuna piantagione potrebbe nascondere questo
muro abbagliante da nessuna parte del giardino; né una pianta rampicante
poteva avvicinarsi alla sua sommità. Il terreno era inoltre occupato da
miserabili ulivi, con appena un albero pittoresco di cui rendersi conto. Tuttavia
il signor Graeffer era riuscito, pensavamo, a meraviglia. Aveva formato
dei prati molto piacevoli, intervallati da ciuffi di mirto e altri
arbusti, e il tutto aveva un aspetto molto promettente. Ma sfortunatamente
nessuno dei napoletani poteva vedere alcun tipo di bellezza nelle sue
esibizioni, e si lamentavano che avesse introdotto una cosa così volgare come
il mirto! La regina era molto disposta a essere soddisfatta, ma non poteva
arginare la marea di opinioni; né il re approvava la spesa: così il tutto
fu abbandonato qualche tempo dopo.
Il 3 aprile 1786 John Andrew Graefer, da poco vedovo, era
giunto a Napoli con
i suoi tre figli
per assumere la direzione botanica del lavori per la
realizzazione dei
giardini. Furono spesi 27.000 ducati per l’acquisto
dei terreni (1
ducato = 31.028,90 lire = 16,03 Euro), impiegati 500 operai
per l’esecuzione
delle opere murarie e agricole e 80 giardinieri per la
messa a dimora
delle nuove specie. Furono prelevate piante autoctone prelevate
da Capri, Ischia e
dintorni di Napoli (fino a Salerno e Vietri) mentre le piante
esotiche, come
Camelie e Gardenie, provenivano dalla Cina e dal Giappone.
Furono introdotte
delle essenze provenienti dall’Australia e Nuova Zelanda ed
i magnifici
esemplari di Cinnamomun Camphora, Taxus Baccata e Cedrus
Libani che ancora
oggi si ammirano.
Per la creazione
dei giardini della Reggia di Caserta la regina Maria Carolina
fu consigliata da
Sir William Hamilton (inviato straordinario di sua Maestà Britannica) che
si rivolse a Lord Joseph Banks, botanico d’eccellenza e Presidente
della Royal Society, la più importante Accademia Scientifica d’Europa.
Sir Joseph Banks
indirizzò la regina verso il
brillante giardiniere Tedesco, proveniente dal Chelsea Physic
Garden di Londra, famoso in Inghilterra per aver importato
numerose piante
esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
Una lettera
dell’Hamilton spedita a Sir Banks da Caserta il
22 aprile 1794
riportò che
sarebbe un
costante rimprovero a questo paese l’aver avuto per tua bontà un uomo come
Graeffer per più di dieci anni senza aver avuto il minimo profitto dai suoi ben
noti talenti “
La lettera
dimostrerebbe come l’operare del giardiniere non sia stato molto apprezzato.
Un visitatore,
entomologo e botanico, Sir James Edward Smith, fondatore della
Linnean Society e
quindi un esperto del settore, lasciò un resoconto in cui mise
in risalto il
fallito tentativo d’introdurre nel giardino della Reggia il gusto inglese:
Il signor
Graeffer, un giardiniere molto ingegnoso raccomandato alla regina di Napoli da
sir Joseph Banks, fu allora impiegato nella costruzione di un giardino per sua
maestà nel gusto inglese, al quale scopo fu assegnata una porzione di terreno né
lontano dal palazzo; ma sfortunatamente in piena vista di uno stupendo
muro di mattoni, costruito con fatica erculeo allo scopo di mantenere al suo
posto la suddetta cascata. Nessuna piantagione potrebbe nascondere questo
muro abbagliante da nessuna parte del giardino; né una pianta rampicante
poteva avvicinarsi alla sua sommità. Il terreno era inoltre occupato da
miserabili ulivi, con appena un albero pittoresco di cui rendersi conto. Tuttavia
il signor Graeffer era riuscito, pensavamo, a meraviglia. Aveva formato
dei prati molto piacevoli, intervallati da ciuffi di mirto e altri
arbusti, e il tutto aveva un aspetto molto promettente. Ma sfortunatamente
nessuno dei napoletani poteva vedere alcun tipo di bellezza nelle sue
esibizioni, e si lamentavano che avesse introdotto una cosa così volgare come
il mirto! La regina era molto disposta a essere soddisfatta, ma non poteva
arginare la marea di opinioni; né il re approvava la spesa: così il tutto
fu abbandonato qualche tempo dopo.
Il 3 aprile 1786 John Andrew Graefer, da poco vedovo, era
giunto a Napoli con
i suoi tre figli
per assumere la direzione botanica del lavori per la
realizzazione dei
giardini. Furono spesi 27.000 ducati per l’acquisto
dei terreni (1
ducato = 31.028,90 lire = 16,03 Euro), impiegati 500 operai
per l’esecuzione
delle opere murarie e agricole e 80 giardinieri per la
messa a dimora
delle nuove specie. Furono prelevate piante autoctone prelevate
da Capri, Ischia e
dintorni di Napoli (fino a Salerno e Vietri) mentre le piante
esotiche, come
Camelie e Gardenie, provenivano dalla Cina e dal Giappone.
Furono introdotte
delle essenze provenienti dall’Australia e Nuova Zelanda ed
i magnifici
esemplari di Cinnamomun Camphora, Taxus Baccata e Cedrus
Libani che ancora
oggi si ammirano.
Per la creazione
dei giardini della Reggia di Caserta la regina Maria Carolina
fu consigliata da
Sir William Hamilton (inviato straordinario di sua Maestà Britannica) che
si rivolse a Lord Joseph Banks, botanico d’eccellenza e Presidente
della Royal Society, la più importante Accademia Scientifica d’Europa.
Sir Joseph Banks
indirizzò la regina verso il
brillante giardiniere Tedesco, proveniente dal Chelsea Physic
Garden di Londra, famoso in Inghilterra per aver importato
numerose piante
esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
Una lettera
dell’Hamilton spedita a Sir Banks da Caserta il
22 aprile 1794
riportò che
sarebbe un
costante rimprovero a questo paese l’aver avuto per tua bontà un uomo come
Graeffer per più di dieci anni senza aver avuto il minimo profitto dai suoi ben
noti talenti “
La lettera
dimostrerebbe come l’operare del giardiniere non sia stato molto apprezzato.
Un visitatore,
entomologo e botanico, Sir James Edward Smith, fondatore della
Linnean Society e
quindi un esperto del settore, lasciò un resoconto in cui mise
in risalto il
fallito tentativo d’introdurre nel giardino della Reggia il gusto inglese:
Il signor
Graeffer, un giardiniere molto ingegnoso raccomandato alla regina di Napoli da
sir Joseph Banks, fu allora impiegato nella costruzione di un giardino per sua
maestà nel gusto inglese, al quale scopo fu assegnata una porzione di terreno né
lontano dal palazzo; ma sfortunatamente in piena vista di uno stupendo
muro di mattoni, costruito con fatica erculeo allo scopo di mantenere al suo
posto la suddetta cascata. Nessuna piantagione potrebbe nascondere questo
muro abbagliante da nessuna parte del giardino; né una pianta rampicante
poteva avvicinarsi alla sua sommità. Il terreno era inoltre occupato da
miserabili ulivi, con appena un albero pittoresco di cui rendersi conto. Tuttavia
il signor Graeffer era riuscito, pensavamo, a meraviglia. Aveva formato
dei prati molto piacevoli, intervallati da ciuffi di mirto e altri
arbusti, e il tutto aveva un aspetto molto promettente. Ma sfortunatamente
nessuno dei napoletani poteva vedere alcun tipo di bellezza nelle sue
esibizioni, e si lamentavano che avesse introdotto una cosa così volgare come
il mirto! La regina era molto disposta a essere soddisfatta, ma non poteva
arginare la marea di opinioni; né il re approvava la spesa: così il tutto
fu abbandonato qualche tempo dopo.
Il 3 aprile 1786 John Andrew Graefer, da poco vedovo, era
giunto a Napoli con
i suoi tre figli
per assumere la direzione botanica del lavori per la
realizzazione dei
giardini. Furono spesi 27.000 ducati per l’acquisto
dei terreni (1
ducato = 31.028,90 lire = 16,03 Euro), impiegati 500 operai
per l’esecuzione
delle opere murarie e agricole e 80 giardinieri per la
messa a dimora
delle nuove specie. Furono prelevate piante autoctone prelevate
da Capri, Ischia e
dintorni di Napoli (fino a Salerno e Vietri) mentre le piante
esotiche, come
Camelie e Gardenie, provenivano dalla Cina e dal Giappone.
Furono introdotte
delle essenze provenienti dall’Australia e Nuova Zelanda ed
i magnifici
esemplari di Cinnamomun Camphora, Taxus Baccata e Cedrus
Libani che ancora
oggi si ammirano.
Per la creazione
dei giardini della Reggia di Caserta la regina Maria Carolina
fu consigliata da
Sir William Hamilton (inviato straordinario di sua Maestà Britannica) che
si rivolse a Lord Joseph Banks, botanico d’eccellenza e Presidente
della Royal Society, la più importante Accademia Scientifica d’Europa.
Sir Joseph Banks
indirizzò la regina verso il
brillante giardiniere Tedesco, proveniente dal Chelsea Physic
Garden di Londra, famoso in Inghilterra per aver importato
numerose piante
esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
Una lettera
dell’Hamilton spedita a Sir Banks da Caserta il
22 aprile 1794
riportò che
sarebbe un
costante rimprovero a questo paese l’aver avuto per tua bontà un uomo come
Graeffer per più di dieci anni senza aver avuto il minimo profitto dai suoi ben
noti talenti “
La lettera
dimostrerebbe come l’operare del giardiniere non sia stato molto apprezzato.
Un visitatore,
entomologo e botanico, Sir James Edward Smith, fondatore della
Linnean Society e
quindi un esperto del settore, lasciò un resoconto in cui mise
in risalto il
fallito tentativo d’introdurre nel giardino della Reggia il gusto inglese:
Il signor
Graeffer, un giardiniere molto ingegnoso raccomandato alla regina di Napoli da
sir Joseph Banks, fu allora impiegato nella costruzione di un giardino per sua
maestà nel gusto inglese, al quale scopo fu assegnata una porzione di terreno né
lontano dal palazzo; ma sfortunatamente in piena vista di uno stupendo
muro di mattoni, costruito con fatica erculeo allo scopo di mantenere al suo
posto la suddetta cascata. Nessuna piantagione potrebbe nascondere questo
muro abbagliante da nessuna parte del giardino; né una pianta rampicante
poteva avvicinarsi alla sua sommità. Il terreno era inoltre occupato da
miserabili ulivi, con appena un albero pittoresco di cui rendersi conto. Tuttavia
il signor Graeffer era riuscito, pensavamo, a meraviglia. Aveva formato
dei prati molto piacevoli, intervallati da ciuffi di mirto e altri
arbusti, e il tutto aveva un aspetto molto promettente. Ma sfortunatamente
nessuno dei napoletani poteva vedere alcun tipo di bellezza nelle sue
esibizioni, e si lamentavano che avesse introdotto una cosa così volgare come
il mirto! La regina era molto disposta a essere soddisfatta, ma non poteva
arginare la marea di opinioni; né il re approvava la spesa: così il tutto
fu abbandonato qualche tempo dopo.
Il 3 aprile 1786 John Andrew Graefer, da poco vedovo, era
giunto a Napoli con
i suoi tre figli
per assumere la direzione botanica del lavori per la
realizzazione dei
giardini. Furono spesi 27.000 ducati per l’acquisto
dei terreni (1
ducato = 31.028,90 lire = 16,03 Euro), impiegati 500 operai
per l’esecuzione
delle opere murarie e agricole e 80 giardinieri per la
messa a dimora
delle nuove specie. Furono prelevate piante autoctone prelevate
da Capri, Ischia e
dintorni di Napoli (fino a Salerno e Vietri) mentre le piante
esotiche, come
Camelie e Gardenie, provenivano dalla Cina e dal Giappone.
Furono introdotte
delle essenze provenienti dall’Australia e Nuova Zelanda ed
i magnifici
esemplari di Cinnamomun Camphora, Taxus Baccata e Cedrus
Libani che ancora
oggi si ammirano.
Per la creazione
dei giardini della Reggia di Caserta la regina Maria Carolina
fu consigliata da
Sir William Hamilton (inviato straordinario di sua Maestà Britannica) che
si rivolse a Lord Joseph Banks, botanico d’eccellenza e Presidente
della Royal Society, la più importante Accademia Scientifica d’Europa.
Sir Joseph Banks
indirizzò la regina verso il
brillante giardiniere Tedesco, proveniente dal Chelsea Physic
Garden di Londra, famoso in Inghilterra per aver importato
numerose piante
esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
Una lettera
dell’Hamilton spedita a Sir Banks da Caserta il
22 aprile 1794
riportò che
sarebbe un
costante rimprovero a questo paese l’aver avuto per tua bontà un uomo come
Graeffer per più di dieci anni senza aver avuto il minimo profitto dai suoi ben
noti talenti “
La lettera
dimostrerebbe come l’operare del giardiniere non sia stato molto apprezzato.
Un visitatore,
entomologo e botanico, Sir James Edward Smith, fondatore della
Linnean Society e
quindi un esperto del settore, lasciò un resoconto in cui mise
in risalto il
fallito tentativo d’introdurre nel giardino della Reggia il gusto inglese:
Il signor
Graeffer, un giardiniere molto ingegnoso raccomandato alla regina di Napoli da
sir Joseph Banks, fu allora impiegato nella costruzione di un giardino per sua
maestà nel gusto inglese, al quale scopo fu assegnata una porzione di terreno né
lontano dal palazzo; ma sfortunatamente in piena vista di uno stupendo
muro di mattoni, costruito con fatica erculeo allo scopo di mantenere al suo
posto la suddetta cascata. Nessuna piantagione potrebbe nascondere questo
muro abbagliante da nessuna parte del giardino; né una pianta rampicante
poteva avvicinarsi alla sua sommità. Il terreno era inoltre occupato da
miserabili ulivi, con appena un albero pittoresco di cui rendersi conto. Tuttavia
il signor Graeffer era riuscito, pensavamo, a meraviglia. Aveva formato
dei prati molto piacevoli, intervallati da ciuffi di mirto e altri
arbusti, e il tutto aveva un aspetto molto promettente. Ma sfortunatamente
nessuno dei napoletani poteva vedere alcun tipo di bellezza nelle sue
esibizioni, e si lamentavano che avesse introdotto una cosa così volgare come
il mirto! La regina era molto disposta a essere soddisfatta, ma non poteva
arginare la marea di opinioni; né il re approvava la spesa: così il tutto
fu abbandonato qualche tempo dopo.
Il 3 aprile 1786 John Andrew Graefer, da poco vedovo, era
giunto a Napoli con
i suoi tre figli
per assumere la direzione botanica del lavori per la
realizzazione dei
giardini. Furono spesi 27.000 ducati per l’acquisto
dei terreni (1
ducato = 31.028,90 lire = 16,03 Euro), impiegati 500 operai
per l’esecuzione
delle opere murarie e agricole e 80 giardinieri per la
messa a dimora
delle nuove specie. Furono prelevate piante autoctone prelevate
da Capri, Ischia e
dintorni di Napoli (fino a Salerno e Vietri) mentre le piante
esotiche, come
Camelie e Gardenie, provenivano dalla Cina e dal Giappone.
Furono introdotte
delle essenze provenienti dall’Australia e Nuova Zelanda ed
i magnifici
esemplari di Cinnamomun Camphora, Taxus Baccata e Cedrus
Libani che ancora
oggi si ammirano.
fu consigliata da Sir William Hamilton (inviato straordinario di sua Maestà Britannica) che si rivolse a Lord Joseph Banks, botanico d’eccellenza e Presidente della Royal Society, la più importante Accademia Scientifica d’Europa.
Sir Joseph Banks indirizzò la regina verso il brillante giardiniere Tedesco, proveniente dal Chelsea Physic Garden di Londra, famoso in Inghilterra per aver importato
numerose piante esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
Una lettera dell’Hamilton spedita a Sir Banks da Caserta il
22 aprile 1794 riportò che
sarebbe un costante rimprovero a questo paese l’aver avuto per tua bontà un uomo come Graeffer per più di dieci anni senza aver avuto il minimo profitto dai suoi ben noti talenti “
La lettera dimostrerebbe come l’operare del giardiniere non sia stato molto apprezzato.
Un visitatore, entomologo e botanico, Sir James Edward Smith, fondatore della
Linnean Society e quindi un esperto del settore, lasciò un resoconto in cui mise
in risalto il fallito tentativo d’introdurre nel giardino della Reggia il gusto inglese:
Il signor Graeffer, un giardiniere molto ingegnoso raccomandato alla regina di Napoli da sir Joseph Banks, fu allora impiegato nella costruzione di un giardino per sua maestà nel gusto inglese, al quale scopo fu assegnata una porzione di terreno né lontano dal palazzo; ma sfortunatamente in piena vista di uno stupendo muro di mattoni, costruito con fatica erculeo allo scopo di mantenere al suo posto la suddetta cascata. Nessuna piantagione potrebbe nascondere questo muro abbagliante da nessuna parte del giardino; né una pianta rampicante poteva avvicinarsi alla sua sommità. Il terreno era inoltre occupato da miserabili ulivi, con appena un albero pittoresco di cui rendersi conto. Tuttavia il signor Graeffer era riuscito, pensavamo, a meraviglia. Aveva formato dei prati molto piacevoli, intervallati da ciuffi di mirto e altri arbusti, e il tutto aveva un aspetto molto promettente. Ma sfortunatamente nessuno dei napoletani poteva vedere alcun tipo di bellezza nelle sue esibizioni, e si lamentavano che avesse introdotto una cosa così volgare come il mirto! La regina era molto disposta a essere soddisfatta, ma non poteva arginare la marea di opinioni; né il re approvava la spesa: così il tutto fu abbandonato qualche tempo dopo.
Il 3 aprile 1786 John Andrew Graefer, da poco vedovo, era giunto a Napoli con
i suoi tre figli per assumere la direzione botanica del lavori per la
realizzazione dei giardini. Furono spesi 27.000 ducati per l’acquisto
dei terreni (1 ducato = 31.028,90 lire = 16,03 Euro), impiegati 500 operai
per l’esecuzione delle opere murarie e agricole e 80 giardinieri per la
messa a dimora delle nuove specie. Furono prelevate piante autoctone prelevate
da Capri, Ischia e dintorni di Napoli (fino a Salerno e Vietri) mentre le piante
esotiche, come Camelie e Gardenie, provenivano dalla Cina e dal Giappone.
Furono introdotte delle essenze provenienti dall’Australia e Nuova Zelanda ed
i magnifici esemplari di Cinnamomun Camphora, Taxus Baccata e Cedrus
Libani che ancora oggi si ammirano.
In questa casa il
Graefer vivrà per ben 12 anni con i suoi primi tre figli, con la nuova
moglie Elisabeth
Dodsworth ed i due figli nati dal nuovo matrimonio.
Il giardino messo
in opera da Graefer era più che un semplice “giardino”.
Si puù considerare
come uno dei primi giardini botanici del mondo, il primo in
Italia. Un
giardino voluto dalla Regina Maria Carolina d’Austria,
moglie di Ferdinando IV, allo
scopo di emulare il Petit Trianon di Versailles, fatto realizzare dalla
sorella Maria Antonietta Regina
di Francia.
In questa casa il
Graefer vivrà per ben 12 anni con i suoi primi tre figli, con la nuova
moglie Elisabeth
Dodsworth ed i due figli nati dal nuovo matrimonio.
Il giardino messo
in opera da Graefer era più che un semplice “giardino”.
Si puù considerare
come uno dei primi giardini botanici del mondo, il primo in
Italia. Un
giardino voluto dalla Regina Maria Carolina d’Austria,
moglie di Ferdinando IV, allo
scopo di emulare il Petit Trianon di Versailles, fatto realizzare dalla
sorella Maria Antonietta Regina
di Francia.
In questa casa il
Graefer vivrà per ben 12 anni con i suoi primi tre figli, con la nuova
moglie Elisabeth
Dodsworth ed i due figli nati dal nuovo matrimonio.
Il giardino messo
in opera da Graefer era più che un semplice “giardino”.
Si puù considerare
come uno dei primi giardini botanici del mondo, il primo in
Italia. Un
giardino voluto dalla Regina Maria Carolina d’Austria,
moglie di Ferdinando IV, allo
scopo di emulare il Petit Trianon di Versailles, fatto realizzare dalla
sorella Maria Antonietta Regina
di Francia.
In questa casa il
Graefer vivrà per ben 12 anni con i suoi primi tre figli, con la nuova
moglie Elisabeth
Dodsworth ed i due figli nati dal nuovo matrimonio.
Il giardino messo
in opera da Graefer era più che un semplice “giardino”.
Si puù considerare
come uno dei primi giardini botanici del mondo, il primo in
Italia. Un
giardino voluto dalla Regina Maria Carolina d’Austria,
moglie di Ferdinando IV, allo
scopo di emulare il Petit Trianon di Versailles, fatto realizzare dalla
sorella Maria Antonietta Regina
di Francia.
In questa casa il
Graefer vivrà per ben 12 anni con i suoi primi tre figli, con la nuova
moglie Elisabeth
Dodsworth ed i due figli nati dal nuovo matrimonio.
Il giardino messo
in opera da Graefer era più che un semplice “giardino”.
Si puù considerare
come uno dei primi giardini botanici del mondo, il primo in
Italia. Un
giardino voluto dalla Regina Maria Carolina d’Austria,
moglie di Ferdinando IV, allo
scopo di emulare il Petit Trianon di Versailles, fatto realizzare dalla
sorella Maria Antonietta Regina
di Francia.
moglie Elisabeth Dodsworth ed i due figli nati dal nuovo matrimonio.
Il giardino messo in opera da Graefer era più che un semplice “giardino”.
Si puù considerare come uno dei primi giardini botanici del mondo, il primo in
Italia. Un giardino voluto dalla Regina Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando IV, allo scopo di emulare il Petit Trianon di Versailles, fatto realizzare dalla sorella Maria Antonietta Regina di Francia.
Lascerà la Reggia
di Caserta ed il suo importante incarico il 23 dicembre 1798.
Una data importante nella cronaca storica. Quel giorno
s’imbarcherà sulla nave
dell’ammiraglio
Horatio Nelson insieme alla famiglia Reale in fuga per
l’arrivo dei
francesi.
“ Nei giorni precedenti la partenza tra il panico dei monarchi e
l’incredulità dei popolani ciò avveniva: “Notte dopo notte andò in scena sui
vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili
della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria.
Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante
del Regno, si prepararono a prendere la via per Palermo. Ben presto
notizia dell’imminente fuga del re si sparse fra il popolo in fermento.” (Sani).
“ Furono imbarcati nei legni inglesi e portoghesi i mobili più preziosi de’
palazzi di Caserta e di Napoli e le rarità più pregevoli dei musei di Portici e
di Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni o forse più di moneta e
metalli preziosi non ancora coniati, spoglio di una nazione che rimaneva nella
miseria.” ( Cuoco).
Il 21 dicembre 1798, Ferdinando e Carolina s’imbarcarono alla volta di
Palermo sul Vascello inglese Vanguard, ma a causa di una forte tempesta, le
navi di Nelson, di scorta ai Borbone, poterono prendere il largo solo nella
mattinata di due giorni dopo.
Napoli fu abbandonata a se stessa, il Vicario del re, Pignatelli, accusato
dall’ira popolare, giorni dopo, dovette raggiungere Palermo.
Lascerà la Reggia
di Caserta ed il suo importante incarico il 23 dicembre 1798.
Una data importante nella cronaca storica. Quel giorno
s’imbarcherà sulla nave
dell’ammiraglio
Horatio Nelson insieme alla famiglia Reale in fuga per
l’arrivo dei
francesi.
“ Nei giorni precedenti la partenza tra il panico dei monarchi e
l’incredulità dei popolani ciò avveniva: “Notte dopo notte andò in scena sui
vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili
della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria.
Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante
del Regno, si prepararono a prendere la via per Palermo. Ben presto
notizia dell’imminente fuga del re si sparse fra il popolo in fermento.” (Sani).
“ Furono imbarcati nei legni inglesi e portoghesi i mobili più preziosi de’
palazzi di Caserta e di Napoli e le rarità più pregevoli dei musei di Portici e
di Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni o forse più di moneta e
metalli preziosi non ancora coniati, spoglio di una nazione che rimaneva nella
miseria.” ( Cuoco).
Il 21 dicembre 1798, Ferdinando e Carolina s’imbarcarono alla volta di
Palermo sul Vascello inglese Vanguard, ma a causa di una forte tempesta, le
navi di Nelson, di scorta ai Borbone, poterono prendere il largo solo nella
mattinata di due giorni dopo.
Napoli fu abbandonata a se stessa, il Vicario del re, Pignatelli, accusato
dall’ira popolare, giorni dopo, dovette raggiungere Palermo.
Lascerà la Reggia
di Caserta ed il suo importante incarico il 23 dicembre 1798.
Una data importante nella cronaca storica. Quel giorno
s’imbarcherà sulla nave
dell’ammiraglio
Horatio Nelson insieme alla famiglia Reale in fuga per
l’arrivo dei
francesi.
“ Nei giorni precedenti la partenza tra il panico dei monarchi e
l’incredulità dei popolani ciò avveniva: “Notte dopo notte andò in scena sui
vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili
della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria.
Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante
del Regno, si prepararono a prendere la via per Palermo. Ben presto
notizia dell’imminente fuga del re si sparse fra il popolo in fermento.” (Sani).
“ Furono imbarcati nei legni inglesi e portoghesi i mobili più preziosi de’
palazzi di Caserta e di Napoli e le rarità più pregevoli dei musei di Portici e
di Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni o forse più di moneta e
metalli preziosi non ancora coniati, spoglio di una nazione che rimaneva nella
miseria.” ( Cuoco).
Il 21 dicembre 1798, Ferdinando e Carolina s’imbarcarono alla volta di
Palermo sul Vascello inglese Vanguard, ma a causa di una forte tempesta, le
navi di Nelson, di scorta ai Borbone, poterono prendere il largo solo nella
mattinata di due giorni dopo.
Napoli fu abbandonata a se stessa, il Vicario del re, Pignatelli, accusato
dall’ira popolare, giorni dopo, dovette raggiungere Palermo.
Lascerà la Reggia
di Caserta ed il suo importante incarico il 23 dicembre 1798.
Una data importante nella cronaca storica. Quel giorno
s’imbarcherà sulla nave
dell’ammiraglio
Horatio Nelson insieme alla famiglia Reale in fuga per
l’arrivo dei
francesi.
“ Nei giorni precedenti la partenza tra il panico dei monarchi e
l’incredulità dei popolani ciò avveniva: “Notte dopo notte andò in scena sui
vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili
della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria.
Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante
del Regno, si prepararono a prendere la via per Palermo. Ben presto
notizia dell’imminente fuga del re si sparse fra il popolo in fermento.” (Sani).
“ Furono imbarcati nei legni inglesi e portoghesi i mobili più preziosi de’
palazzi di Caserta e di Napoli e le rarità più pregevoli dei musei di Portici e
di Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni o forse più di moneta e
metalli preziosi non ancora coniati, spoglio di una nazione che rimaneva nella
miseria.” ( Cuoco).
Il 21 dicembre 1798, Ferdinando e Carolina s’imbarcarono alla volta di
Palermo sul Vascello inglese Vanguard, ma a causa di una forte tempesta, le
navi di Nelson, di scorta ai Borbone, poterono prendere il largo solo nella
mattinata di due giorni dopo.
Napoli fu abbandonata a se stessa, il Vicario del re, Pignatelli, accusato
dall’ira popolare, giorni dopo, dovette raggiungere Palermo.
Lascerà la Reggia
di Caserta ed il suo importante incarico il 23 dicembre 1798.
Una data importante nella cronaca storica. Quel giorno
s’imbarcherà sulla nave
dell’ammiraglio
Horatio Nelson insieme alla famiglia Reale in fuga per
l’arrivo dei
francesi.
“ Nei giorni precedenti la partenza tra il panico dei monarchi e
l’incredulità dei popolani ciò avveniva: “Notte dopo notte andò in scena sui
vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili
della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria.
Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante
del Regno, si prepararono a prendere la via per Palermo. Ben presto
notizia dell’imminente fuga del re si sparse fra il popolo in fermento.” (Sani).
“ Furono imbarcati nei legni inglesi e portoghesi i mobili più preziosi de’
palazzi di Caserta e di Napoli e le rarità più pregevoli dei musei di Portici e
di Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni o forse più di moneta e
metalli preziosi non ancora coniati, spoglio di una nazione che rimaneva nella
miseria.” ( Cuoco).
Il 21 dicembre 1798, Ferdinando e Carolina s’imbarcarono alla volta di
Palermo sul Vascello inglese Vanguard, ma a causa di una forte tempesta, le
navi di Nelson, di scorta ai Borbone, poterono prendere il largo solo nella
mattinata di due giorni dopo.
Napoli fu abbandonata a se stessa, il Vicario del re, Pignatelli, accusato
dall’ira popolare, giorni dopo, dovette raggiungere Palermo.
Una data importante nella cronaca storica. Quel giorno s’imbarcherà sulla nave
dell’ammiraglio Horatio Nelson insieme alla famiglia Reale in fuga per
l’arrivo dei francesi.
“ Nei giorni precedenti la partenza tra il panico dei monarchi e l’incredulità dei popolani ciò avveniva: “Notte dopo notte andò in scena sui vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria. Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante del Regno, si prepararono a prendere la via per Palermo. Ben presto notizia dell’imminente fuga del re si sparse fra il popolo in fermento.” (Sani).
Il 21 dicembre 1798, Ferdinando e Carolina s’imbarcarono alla volta di Palermo sul Vascello inglese Vanguard, ma a causa di una forte tempesta, le navi di Nelson, di scorta ai Borbone, poterono prendere il largo solo nella mattinata di due giorni dopo.
Napoli fu abbandonata a se stessa, il Vicario del re, Pignatelli, accusato dall’ira popolare, giorni dopo, dovette raggiungere Palermo.
L’ammiraglia Inglese “Vanguard”
Acquaforte del marzo 1799
(Artista: Grimaldi ?)
Musei Reali di Greenwic
Pianta che mostra la pianta del
corpo, le linee a strapiombo e la mezza larghezza longitudinale per “Arrogant”
(1761), un Terzo Tasso da 74 cannoni, a due piani. Questo piano fu
proposto (e approvato) come base per la costruzione di “Edgar” (1779) a Woolwich
Dockyard, e “Goliath” (1781) e successivamente “Vanguard” (1787) a Deptford
Dockyard.
Firmato da John Williams (Surveyor of the Navy, 1769-1784) e Edward Hunt
(Surveyor of the Navy, 1778-1784) – scala:
1:48
L’ammiraglia Inglese “Vanguard”
Acquaforte del marzo 1799
(Artista: Grimaldi ?)
Musei Reali di Greenwic
Pianta che mostra la pianta del
corpo, le linee a strapiombo e la mezza larghezza longitudinale per “Arrogant”
(1761), un Terzo Tasso da 74 cannoni, a due piani. Questo piano fu
proposto (e approvato) come base per la costruzione di “Edgar” (1779) a Woolwich
Dockyard, e “Goliath” (1781) e successivamente “Vanguard” (1787) a Deptford
Dockyard.
Firmato da John Williams (Surveyor of the Navy, 1769-1784) e Edward Hunt
(Surveyor of the Navy, 1778-1784) – scala:
1:48
L’ammiraglia Inglese “Vanguard”
Acquaforte del marzo 1799
(Artista: Grimaldi ?)
Musei Reali di Greenwic
Pianta che mostra la pianta del
corpo, le linee a strapiombo e la mezza larghezza longitudinale per “Arrogant”
(1761), un Terzo Tasso da 74 cannoni, a due piani. Questo piano fu
proposto (e approvato) come base per la costruzione di “Edgar” (1779) a Woolwich
Dockyard, e “Goliath” (1781) e successivamente “Vanguard” (1787) a Deptford
Dockyard.
Firmato da John Williams (Surveyor of the Navy, 1769-1784) e Edward Hunt
(Surveyor of the Navy, 1778-1784) – scala:
1:48
L’ammiraglia Inglese “Vanguard”
Acquaforte del marzo 1799
(Artista: Grimaldi ?)
Musei Reali di Greenwic
Pianta che mostra la pianta del
corpo, le linee a strapiombo e la mezza larghezza longitudinale per “Arrogant”
(1761), un Terzo Tasso da 74 cannoni, a due piani. Questo piano fu
proposto (e approvato) come base per la costruzione di “Edgar” (1779) a Woolwich
Dockyard, e “Goliath” (1781) e successivamente “Vanguard” (1787) a Deptford
Dockyard.
Firmato da John Williams (Surveyor of the Navy, 1769-1784) e Edward Hunt
(Surveyor of the Navy, 1778-1784) – scala:
1:48
L’ammiraglia Inglese “Vanguard”
Acquaforte del marzo 1799
(Artista: Grimaldi ?)
Musei Reali di Greenwic
Pianta che mostra la pianta del
corpo, le linee a strapiombo e la mezza larghezza longitudinale per “Arrogant”
(1761), un Terzo Tasso da 74 cannoni, a due piani. Questo piano fu
proposto (e approvato) come base per la costruzione di “Edgar” (1779) a Woolwich
Dockyard, e “Goliath” (1781) e successivamente “Vanguard” (1787) a Deptford
Dockyard.
Firmato da John Williams (Surveyor of the Navy, 1769-1784) e Edward Hunt
(Surveyor of the Navy, 1778-1784) – scala:
1:48
Acquaforte del marzo 1799
(Artista: Grimaldi ?)
Musei Reali di Greenwic
Pianta che mostra la pianta del
corpo, le linee a strapiombo e la mezza larghezza longitudinale per “Arrogant”
(1761), un Terzo Tasso da 74 cannoni, a due piani. Questo piano fu
proposto (e approvato) come base per la costruzione di “Edgar” (1779) a Woolwich
Dockyard, e “Goliath” (1781) e successivamente “Vanguard” (1787) a Deptford
Dockyard.
Firmato da John Williams (Surveyor of the Navy, 1769-1784) e Edward Hunt
(Surveyor of the Navy, 1778-1784) – scala:
1:48
Alberto Lodovico Maria Filippo Gaetano di Borbone
Napoli, 2 maggio 1792 – 25 dicembre
1798
Il Principe di Napoli e di Sicilia
Artista: ignoto
Pittura: olio su tela – Datazione:
fine del XVIII secolo
Misure: ? – Collocazione Palazzo
Holfburg – Vienna
Alberto Lodovico Maria Filippo Gaetano di Borbone
Napoli, 2 maggio 1792 – 25 dicembre
1798
Il Principe di Napoli e di Sicilia
Artista: ignoto
Pittura: olio su tela – Datazione:
fine del XVIII secolo
Misure: ? – Collocazione Palazzo
Holfburg – Vienna
Alberto Lodovico Maria Filippo Gaetano di Borbone
Napoli, 2 maggio 1792 – 25 dicembre
1798
Il Principe di Napoli e di Sicilia
Artista: ignoto
Pittura: olio su tela – Datazione:
fine del XVIII secolo
Misure: ? – Collocazione Palazzo
Holfburg – Vienna
Alberto Lodovico Maria Filippo Gaetano di Borbone
Napoli, 2 maggio 1792 – 25 dicembre
1798
Il Principe di Napoli e di Sicilia
Artista: ignoto
Pittura: olio su tela – Datazione:
fine del XVIII secolo
Misure: ? – Collocazione Palazzo
Holfburg – Vienna
Alberto Lodovico Maria Filippo Gaetano di Borbone
Napoli, 2 maggio 1792 – 25 dicembre
1798
Il Principe di Napoli e di Sicilia
Artista: ignoto
Pittura: olio su tela – Datazione:
fine del XVIII secolo
Misure: ? – Collocazione Palazzo
Holfburg – Vienna
Napoli, 2 maggio 1792 – 25 dicembre 1798
Il Principe di Napoli e di Sicilia
Artista: ignoto
Pittura: olio su tela – Datazione: fine del XVIII secolo
Misure: ? – Collocazione Palazzo Holfburg – Vienna
Una delle pagine del trattato con le
firme dei firmatari:
-
Giuseppe Bonaparte per
la Francia;
-
Rutger Jan
Schimmelpenninck per la Repubblica Batava (Paesi Bassi)
-
Charles Cornwallis, per
il Regno Unito
-
Josè Nicolàs de Azara
per il Regno di Spagna
Il giardino
continuerà ad essere curato dai figli del Graefer che, durante l’occupazione
francese, lo prenderanno in fitto dal Direttorio Francese di Napoli, salvandolo
dalla rovina. In merito al botanico Graefer, nel 1799 su suggerimento di Sir
William Hamilton, diventò ufficiale giudiziario della tenuta
dell’ammiraglio
Horatio
Nelson a Bronte in Sicilia dove, lo stesso
botanico, avrebbe
riorganizzato l’agricoltura seguendo le linee progressiste inglesi.
Le sue idee
stravaganti colpivano le entrate economiche che Nelson s’aspettava dalla
vasta Ducea.
L’ammiraglio scrisse a Lay Hamilton dicendo che:
“Spero che Graeffer stia andando così a Bronté; sono
sicuro di non prendere nulla da quella tenuta”.
Graeffer morì a Bronte nel 1802.
........................
Una delle pagine del trattato con le
firme dei firmatari:
-
Giuseppe Bonaparte per
la Francia;
-
Rutger Jan
Schimmelpenninck per la Repubblica Batava (Paesi Bassi)
-
Charles Cornwallis, per
il Regno Unito
-
Josè Nicolàs de Azara
per il Regno di Spagna
Il giardino
continuerà ad essere curato dai figli del Graefer che, durante l’occupazione
francese, lo prenderanno in fitto dal Direttorio Francese di Napoli, salvandolo
dalla rovina. In merito al botanico Graefer, nel 1799 su suggerimento di Sir
William Hamilton, diventò ufficiale giudiziario della tenuta
dell’ammiraglio
Horatio
Nelson a Bronte in Sicilia dove, lo stesso
botanico, avrebbe
riorganizzato l’agricoltura seguendo le linee progressiste inglesi.
Le sue idee
stravaganti colpivano le entrate economiche che Nelson s’aspettava dalla
vasta Ducea.
L’ammiraglio scrisse a Lay Hamilton dicendo che:
“Spero che Graeffer stia andando così a Bronté; sono
sicuro di non prendere nulla da quella tenuta”.
Graeffer morì a Bronte nel 1802.
........................
Una delle pagine del trattato con le
firme dei firmatari:
-
Giuseppe Bonaparte per
la Francia;
-
Rutger Jan
Schimmelpenninck per la Repubblica Batava (Paesi Bassi)
-
Charles Cornwallis, per
il Regno Unito
-
Josè Nicolàs de Azara
per il Regno di Spagna
Il giardino
continuerà ad essere curato dai figli del Graefer che, durante l’occupazione
francese, lo prenderanno in fitto dal Direttorio Francese di Napoli, salvandolo
dalla rovina. In merito al botanico Graefer, nel 1799 su suggerimento di Sir
William Hamilton, diventò ufficiale giudiziario della tenuta
dell’ammiraglio
Horatio
Nelson a Bronte in Sicilia dove, lo stesso
botanico, avrebbe
riorganizzato l’agricoltura seguendo le linee progressiste inglesi.
Le sue idee
stravaganti colpivano le entrate economiche che Nelson s’aspettava dalla
vasta Ducea.
L’ammiraglio scrisse a Lay Hamilton dicendo che:
“Spero che Graeffer stia andando così a Bronté; sono
sicuro di non prendere nulla da quella tenuta”.
Graeffer morì a Bronte nel 1802.
........................
Una delle pagine del trattato con le
firme dei firmatari:
-
Giuseppe Bonaparte per
la Francia;
-
Rutger Jan
Schimmelpenninck per la Repubblica Batava (Paesi Bassi)
-
Charles Cornwallis, per
il Regno Unito
-
Josè Nicolàs de Azara
per il Regno di Spagna
Il giardino
continuerà ad essere curato dai figli del Graefer che, durante l’occupazione
francese, lo prenderanno in fitto dal Direttorio Francese di Napoli, salvandolo
dalla rovina. In merito al botanico Graefer, nel 1799 su suggerimento di Sir
William Hamilton, diventò ufficiale giudiziario della tenuta
dell’ammiraglio
Horatio
Nelson a Bronte in Sicilia dove, lo stesso
botanico, avrebbe
riorganizzato l’agricoltura seguendo le linee progressiste inglesi.
Le sue idee
stravaganti colpivano le entrate economiche che Nelson s’aspettava dalla
vasta Ducea.
L’ammiraglio scrisse a Lay Hamilton dicendo che:
“Spero che Graeffer stia andando così a Bronté; sono
sicuro di non prendere nulla da quella tenuta”.
Graeffer morì a Bronte nel 1802.
........................
Una delle pagine del trattato con le
firme dei firmatari:
-
Giuseppe Bonaparte per
la Francia;
-
Rutger Jan
Schimmelpenninck per la Repubblica Batava (Paesi Bassi)
-
Charles Cornwallis, per
il Regno Unito
-
Josè Nicolàs de Azara
per il Regno di Spagna
Il giardino
continuerà ad essere curato dai figli del Graefer che, durante l’occupazione
francese, lo prenderanno in fitto dal Direttorio Francese di Napoli, salvandolo
dalla rovina. In merito al botanico Graefer, nel 1799 su suggerimento di Sir
William Hamilton, diventò ufficiale giudiziario della tenuta
dell’ammiraglio
Horatio
Nelson a Bronte in Sicilia dove, lo stesso
botanico, avrebbe
riorganizzato l’agricoltura seguendo le linee progressiste inglesi.
Le sue idee
stravaganti colpivano le entrate economiche che Nelson s’aspettava dalla
vasta Ducea.
L’ammiraglio scrisse a Lay Hamilton dicendo che:
“Spero che Graeffer stia andando così a Bronté; sono
sicuro di non prendere nulla da quella tenuta”.
Graeffer morì a Bronte nel 1802.
........................
- Giuseppe Bonaparte per la Francia;
- Rutger Jan Schimmelpenninck per la Repubblica Batava (Paesi Bassi)
- Charles Cornwallis, per il Regno Unito
- Josè Nicolàs de Azara per il Regno di Spagna
Il giardino
continuerà ad essere curato dai figli del Graefer che, durante l’occupazione
francese, lo prenderanno in fitto dal Direttorio Francese di Napoli, salvandolo
dalla rovina. In merito al botanico Graefer, nel 1799 su suggerimento di Sir
William Hamilton, diventò ufficiale giudiziario della tenuta
dell’ammiraglio
Horatio
Nelson a Bronte in Sicilia dove, lo stesso
botanico, avrebbe
riorganizzato l’agricoltura seguendo le linee progressiste inglesi.
Le sue idee
stravaganti colpivano le entrate economiche che Nelson s’aspettava dalla
vasta Ducea.
L’ammiraglio scrisse a Lay Hamilton dicendo che:
“Spero che Graeffer stia andando così a Bronté; sono
sicuro di non prendere nulla da quella tenuta”.
Graeffer morì a Bronte nel 1802.
........................
.....................
Nella pace di
Amiens, stipulata nel 1802 dalle potenze europee, Napoli e la Sicilia
furono
provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.
Con il tratto,
come abbiamo visto, la Corte Borbonica lasciò Palermo per
tornare ufficialmente a
Napoli.
.....................
Nella pace di
Amiens, stipulata nel 1802 dalle potenze europee, Napoli e la Sicilia
furono
provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.
Con il tratto,
come abbiamo visto, la Corte Borbonica lasciò Palermo per
tornare ufficialmente a
Napoli.
.....................
Nella pace di
Amiens, stipulata nel 1802 dalle potenze europee, Napoli e la Sicilia
furono
provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.
Con il tratto,
come abbiamo visto, la Corte Borbonica lasciò Palermo per
tornare ufficialmente a
Napoli.
.....................
Nella pace di
Amiens, stipulata nel 1802 dalle potenze europee, Napoli e la Sicilia
furono
provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.
Con il tratto,
come abbiamo visto, la Corte Borbonica lasciò Palermo per
tornare ufficialmente a
Napoli.
.....................
Nella pace di
Amiens, stipulata nel 1802 dalle potenze europee, Napoli e la Sicilia
furono
provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.
Con il tratto,
come abbiamo visto, la Corte Borbonica lasciò Palermo per
tornare ufficialmente a
Napoli.
Nella pace di Amiens, stipulata nel 1802 dalle potenze europee, Napoli e la Sicilia
furono provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.
Con il tratto, come abbiamo visto, la Corte Borbonica lasciò Palermo per
tornare ufficialmente a Napoli.
7
Altre
operazioni eseguite
per
ordine del Re Ferdinando I dal 1800
fino al 1806
fondazione
della Chiesa di S.Maria delle Grzie
alla Vaccheria
7
Altre
operazioni eseguite
per
ordine del Re Ferdinando I dal 1800
fino al 1806
fondazione
della Chiesa di S.Maria delle Grzie
alla Vaccheria
7
Altre
operazioni eseguite
per
ordine del Re Ferdinando I dal 1800
fino al 1806
fondazione
della Chiesa di S.Maria delle Grzie
alla Vaccheria
7
Altre
operazioni eseguite
per
ordine del Re Ferdinando I dal 1800
fino al 1806
fondazione
della Chiesa di S.Maria delle Grzie
alla Vaccheria
7
Altre
operazioni eseguite
per
ordine del Re Ferdinando I dal 1800
fino al 1806
fondazione
della Chiesa di S.Maria delle Grzie
alla Vaccheria
7
Altre
operazioni eseguite
per
ordine del Re Ferdinando I dal 1800
fino al 1806
fondazione
della Chiesa di S.Maria delle Grzie
alla Vaccheria
Ritornato
il Re Ferdinando nel suo Regno non tardò guari (molto tempo) a
rivolgersi a S. Leucio e, costante nella sua inclinazione per quel sito, mentre
ebbe cura di ristabilire i moltissimi danni, che la Rivoluzione avea prodotti,
ordinò che si dasse opera a quei nuovi lavori, de’ quali verremo a parlare. Riandando
i fatti degli anni precedenti è d’uopo il ricordare che circa l’anno 1790 il successo felice delle prime arti seriche
introdotte in S. Leucio avea dato sicurezza al Sovrano, che avrebbero potuto
agevolmente eseguirsi quei difficili lavori, che gli Esteri cedevano di loro
privativa. Entravano allora nella classe di questi lavori i tulli, i filosci (balza, velo)
e le calze semplici ed a traforo di finissimo calibro.Ottimi
maestri e macchine perfette si richiedevano per riuscire in tale disegno.Nulla
fu risparmiato dal Re per quell’oggetto. Egli fece venire a grandi spese molti
telai ed insieme agli artisti chiamò pure i costruttori delle macchine.In
breve si vide in S. Leucio una manifattura fortissima di questo genere.Una
siffatta fabrica fu istabilita ne’ locali ch’eran serviti per le vacche di
Sardegna, ma industria delle quali erasi da più tempo dimora, e
gl’Individui applicati alle calze vennero situati nelle case, che si trovavano
ivi edificate nel luogo della Vaccheria per i diversi usi che abbiano accennati.Popolato
dunque il Quartiere della Vaccheria da qualche centinajo d’Individui, erano essi obbligati di compiere i doveri della Religione o nella Parrocchia di Belvedere oppure nella
piccola Cappella dell’antico Casio di S. Leucio, ciocchè rendeva loro
malagevole l’esercizio delle pratiche divote.Questa
idea penetrò in siffatto modo la mente del Religiosissimo Principe, che lo fece determinare ad erigere dalle fondamenta
nella Vaccheria una Chiesa coadiutrice della Parrocchia di Belvedere,
dedicata alla Santissima Vergine delle Grazie, alla quale professava singolare
divozione- or a questo tempo comandò che si fosse posto mano senza indugio.Incominciarono
i lavori nel 1807 e nello spazio
di tre anni furono compiuti con quella eleganza e professione che attualmente veggiamo.Questa
Chiesa venne generosamente fornita di quanto abbisognasse et al di lei servizio furono destinate dai Reali beni dipendenti sotto la dipendenza del Parroco di
Belvedere.Ricredè
pure necessario di accordare alla Chiesa medesima una dote, ed a tal’uopo vennero con Rescritto del dì 3 giugno 1805 annessate alla stessa le
Badie di Regio Patronato sotto il titolo di Santa Maria ad Fontes di Langro,
Acquaformosa e e Sansosti; ma questa provvida disposizione rimase priva di
effetto. Mentre
ergevasi la Chiesa alla Vaccheria volle
il Sovrano, che compiute si fossero
tutte le altre opere, ch’erano state abbozzate prima del 1799 in S.
Silvestro e ch’eran destinate a rendere veramente delizioso quel sito. Fu
dunque ultimato il Casino di S. Silvestro con tutti i suoi accessorj e vennero
eseguiti tutti quegli abbellimenti, che veggiamo in Montemajulo e ne’ suoi dintorni.Altri
edificj furono pure incominciati in continuità del Real Casino di Belvedere ma
altri avvenimenti lagrimevoli, che allontanarono da noi un Sovrano si caro
colla sua Augustissima Famiglia, vennero a distruggere per la seconda volta la
tante grandiose idee ch’eransi concepite per la prosperità di S. Leucio.Ben
s’intende, che siamo giunti all’epoca della occupazione Militare..............................
Ritornato
il Re Ferdinando nel suo Regno non tardò guari (molto tempo) a
rivolgersi a S. Leucio e, costante nella sua inclinazione per quel sito, mentre
ebbe cura di ristabilire i moltissimi danni, che la Rivoluzione avea prodotti,
ordinò che si dasse opera a quei nuovi lavori, de’ quali verremo a parlare. Riandando
i fatti degli anni precedenti è d’uopo il ricordare che circa l’anno 1790 il successo felice delle prime arti seriche
introdotte in S. Leucio avea dato sicurezza al Sovrano, che avrebbero potuto
agevolmente eseguirsi quei difficili lavori, che gli Esteri cedevano di loro
privativa. Entravano allora nella classe di questi lavori i tulli, i filosci (balza, velo)
e le calze semplici ed a traforo di finissimo calibro.Ottimi
maestri e macchine perfette si richiedevano per riuscire in tale disegno.Nulla
fu risparmiato dal Re per quell’oggetto. Egli fece venire a grandi spese molti
telai ed insieme agli artisti chiamò pure i costruttori delle macchine.In
breve si vide in S. Leucio una manifattura fortissima di questo genere.Una
siffatta fabrica fu istabilita ne’ locali ch’eran serviti per le vacche di
Sardegna, ma industria delle quali erasi da più tempo dimora, e
gl’Individui applicati alle calze vennero situati nelle case, che si trovavano
ivi edificate nel luogo della Vaccheria per i diversi usi che abbiano accennati.Popolato
dunque il Quartiere della Vaccheria da qualche centinajo d’Individui, erano essi obbligati di compiere i doveri della Religione o nella Parrocchia di Belvedere oppure nella
piccola Cappella dell’antico Casio di S. Leucio, ciocchè rendeva loro
malagevole l’esercizio delle pratiche divote.Questa
idea penetrò in siffatto modo la mente del Religiosissimo Principe, che lo fece determinare ad erigere dalle fondamenta
nella Vaccheria una Chiesa coadiutrice della Parrocchia di Belvedere,
dedicata alla Santissima Vergine delle Grazie, alla quale professava singolare
divozione- or a questo tempo comandò che si fosse posto mano senza indugio.Incominciarono
i lavori nel 1807 e nello spazio
di tre anni furono compiuti con quella eleganza e professione che attualmente veggiamo.Questa
Chiesa venne generosamente fornita di quanto abbisognasse et al di lei servizio furono destinate dai Reali beni dipendenti sotto la dipendenza del Parroco di
Belvedere.Ricredè
pure necessario di accordare alla Chiesa medesima una dote, ed a tal’uopo vennero con Rescritto del dì 3 giugno 1805 annessate alla stessa le
Badie di Regio Patronato sotto il titolo di Santa Maria ad Fontes di Langro,
Acquaformosa e e Sansosti; ma questa provvida disposizione rimase priva di
effetto. Mentre
ergevasi la Chiesa alla Vaccheria volle
il Sovrano, che compiute si fossero
tutte le altre opere, ch’erano state abbozzate prima del 1799 in S.
Silvestro e ch’eran destinate a rendere veramente delizioso quel sito. Fu
dunque ultimato il Casino di S. Silvestro con tutti i suoi accessorj e vennero
eseguiti tutti quegli abbellimenti, che veggiamo in Montemajulo e ne’ suoi dintorni.Altri
edificj furono pure incominciati in continuità del Real Casino di Belvedere ma
altri avvenimenti lagrimevoli, che allontanarono da noi un Sovrano si caro
colla sua Augustissima Famiglia, vennero a distruggere per la seconda volta la
tante grandiose idee ch’eransi concepite per la prosperità di S. Leucio.Ben
s’intende, che siamo giunti all’epoca della occupazione Militare..............................
Ritornato
il Re Ferdinando nel suo Regno non tardò guari (molto tempo) a
rivolgersi a S. Leucio e, costante nella sua inclinazione per quel sito, mentre
ebbe cura di ristabilire i moltissimi danni, che la Rivoluzione avea prodotti,
ordinò che si dasse opera a quei nuovi lavori, de’ quali verremo a parlare. Riandando
i fatti degli anni precedenti è d’uopo il ricordare che circa l’anno 1790 il successo felice delle prime arti seriche
introdotte in S. Leucio avea dato sicurezza al Sovrano, che avrebbero potuto
agevolmente eseguirsi quei difficili lavori, che gli Esteri cedevano di loro
privativa. Entravano allora nella classe di questi lavori i tulli, i filosci (balza, velo)
e le calze semplici ed a traforo di finissimo calibro.Ottimi
maestri e macchine perfette si richiedevano per riuscire in tale disegno.Nulla
fu risparmiato dal Re per quell’oggetto. Egli fece venire a grandi spese molti
telai ed insieme agli artisti chiamò pure i costruttori delle macchine.In
breve si vide in S. Leucio una manifattura fortissima di questo genere.Una
siffatta fabrica fu istabilita ne’ locali ch’eran serviti per le vacche di
Sardegna, ma industria delle quali erasi da più tempo dimora, e
gl’Individui applicati alle calze vennero situati nelle case, che si trovavano
ivi edificate nel luogo della Vaccheria per i diversi usi che abbiano accennati.Popolato
dunque il Quartiere della Vaccheria da qualche centinajo d’Individui, erano essi obbligati di compiere i doveri della Religione o nella Parrocchia di Belvedere oppure nella
piccola Cappella dell’antico Casio di S. Leucio, ciocchè rendeva loro
malagevole l’esercizio delle pratiche divote.Questa
idea penetrò in siffatto modo la mente del Religiosissimo Principe, che lo fece determinare ad erigere dalle fondamenta
nella Vaccheria una Chiesa coadiutrice della Parrocchia di Belvedere,
dedicata alla Santissima Vergine delle Grazie, alla quale professava singolare
divozione- or a questo tempo comandò che si fosse posto mano senza indugio.Incominciarono
i lavori nel 1807 e nello spazio
di tre anni furono compiuti con quella eleganza e professione che attualmente veggiamo.Questa
Chiesa venne generosamente fornita di quanto abbisognasse et al di lei servizio furono destinate dai Reali beni dipendenti sotto la dipendenza del Parroco di
Belvedere.Ricredè
pure necessario di accordare alla Chiesa medesima una dote, ed a tal’uopo vennero con Rescritto del dì 3 giugno 1805 annessate alla stessa le
Badie di Regio Patronato sotto il titolo di Santa Maria ad Fontes di Langro,
Acquaformosa e e Sansosti; ma questa provvida disposizione rimase priva di
effetto. Mentre
ergevasi la Chiesa alla Vaccheria volle
il Sovrano, che compiute si fossero
tutte le altre opere, ch’erano state abbozzate prima del 1799 in S.
Silvestro e ch’eran destinate a rendere veramente delizioso quel sito. Fu
dunque ultimato il Casino di S. Silvestro con tutti i suoi accessorj e vennero
eseguiti tutti quegli abbellimenti, che veggiamo in Montemajulo e ne’ suoi dintorni.Altri
edificj furono pure incominciati in continuità del Real Casino di Belvedere ma
altri avvenimenti lagrimevoli, che allontanarono da noi un Sovrano si caro
colla sua Augustissima Famiglia, vennero a distruggere per la seconda volta la
tante grandiose idee ch’eransi concepite per la prosperità di S. Leucio.Ben
s’intende, che siamo giunti all’epoca della occupazione Militare..............................
Ritornato
il Re Ferdinando nel suo Regno non tardò guari (molto tempo) a
rivolgersi a S. Leucio e, costante nella sua inclinazione per quel sito, mentre
ebbe cura di ristabilire i moltissimi danni, che la Rivoluzione avea prodotti,
ordinò che si dasse opera a quei nuovi lavori, de’ quali verremo a parlare. Riandando
i fatti degli anni precedenti è d’uopo il ricordare che circa l’anno 1790 il successo felice delle prime arti seriche
introdotte in S. Leucio avea dato sicurezza al Sovrano, che avrebbero potuto
agevolmente eseguirsi quei difficili lavori, che gli Esteri cedevano di loro
privativa. Entravano allora nella classe di questi lavori i tulli, i filosci (balza, velo)
e le calze semplici ed a traforo di finissimo calibro.Ottimi
maestri e macchine perfette si richiedevano per riuscire in tale disegno.Nulla
fu risparmiato dal Re per quell’oggetto. Egli fece venire a grandi spese molti
telai ed insieme agli artisti chiamò pure i costruttori delle macchine.In
breve si vide in S. Leucio una manifattura fortissima di questo genere.Una
siffatta fabrica fu istabilita ne’ locali ch’eran serviti per le vacche di
Sardegna, ma industria delle quali erasi da più tempo dimora, e
gl’Individui applicati alle calze vennero situati nelle case, che si trovavano
ivi edificate nel luogo della Vaccheria per i diversi usi che abbiano accennati.Popolato
dunque il Quartiere della Vaccheria da qualche centinajo d’Individui, erano essi obbligati di compiere i doveri della Religione o nella Parrocchia di Belvedere oppure nella
piccola Cappella dell’antico Casio di S. Leucio, ciocchè rendeva loro
malagevole l’esercizio delle pratiche divote.Questa
idea penetrò in siffatto modo la mente del Religiosissimo Principe, che lo fece determinare ad erigere dalle fondamenta
nella Vaccheria una Chiesa coadiutrice della Parrocchia di Belvedere,
dedicata alla Santissima Vergine delle Grazie, alla quale professava singolare
divozione- or a questo tempo comandò che si fosse posto mano senza indugio.Incominciarono
i lavori nel 1807 e nello spazio
di tre anni furono compiuti con quella eleganza e professione che attualmente veggiamo.Questa
Chiesa venne generosamente fornita di quanto abbisognasse et al di lei servizio furono destinate dai Reali beni dipendenti sotto la dipendenza del Parroco di
Belvedere.Ricredè
pure necessario di accordare alla Chiesa medesima una dote, ed a tal’uopo vennero con Rescritto del dì 3 giugno 1805 annessate alla stessa le
Badie di Regio Patronato sotto il titolo di Santa Maria ad Fontes di Langro,
Acquaformosa e e Sansosti; ma questa provvida disposizione rimase priva di
effetto. Mentre
ergevasi la Chiesa alla Vaccheria volle
il Sovrano, che compiute si fossero
tutte le altre opere, ch’erano state abbozzate prima del 1799 in S.
Silvestro e ch’eran destinate a rendere veramente delizioso quel sito. Fu
dunque ultimato il Casino di S. Silvestro con tutti i suoi accessorj e vennero
eseguiti tutti quegli abbellimenti, che veggiamo in Montemajulo e ne’ suoi dintorni.Altri
edificj furono pure incominciati in continuità del Real Casino di Belvedere ma
altri avvenimenti lagrimevoli, che allontanarono da noi un Sovrano si caro
colla sua Augustissima Famiglia, vennero a distruggere per la seconda volta la
tante grandiose idee ch’eransi concepite per la prosperità di S. Leucio.Ben
s’intende, che siamo giunti all’epoca della occupazione Militare..............................
Ritornato
il Re Ferdinando nel suo Regno non tardò guari (molto tempo) a
rivolgersi a S. Leucio e, costante nella sua inclinazione per quel sito, mentre
ebbe cura di ristabilire i moltissimi danni, che la Rivoluzione avea prodotti,
ordinò che si dasse opera a quei nuovi lavori, de’ quali verremo a parlare. Riandando
i fatti degli anni precedenti è d’uopo il ricordare che circa l’anno 1790 il successo felice delle prime arti seriche
introdotte in S. Leucio avea dato sicurezza al Sovrano, che avrebbero potuto
agevolmente eseguirsi quei difficili lavori, che gli Esteri cedevano di loro
privativa. Entravano allora nella classe di questi lavori i tulli, i filosci (balza, velo)
e le calze semplici ed a traforo di finissimo calibro.Ottimi
maestri e macchine perfette si richiedevano per riuscire in tale disegno.Nulla
fu risparmiato dal Re per quell’oggetto. Egli fece venire a grandi spese molti
telai ed insieme agli artisti chiamò pure i costruttori delle macchine.In
breve si vide in S. Leucio una manifattura fortissima di questo genere.Una
siffatta fabrica fu istabilita ne’ locali ch’eran serviti per le vacche di
Sardegna, ma industria delle quali erasi da più tempo dimora, e
gl’Individui applicati alle calze vennero situati nelle case, che si trovavano
ivi edificate nel luogo della Vaccheria per i diversi usi che abbiano accennati.Popolato
dunque il Quartiere della Vaccheria da qualche centinajo d’Individui, erano essi obbligati di compiere i doveri della Religione o nella Parrocchia di Belvedere oppure nella
piccola Cappella dell’antico Casio di S. Leucio, ciocchè rendeva loro
malagevole l’esercizio delle pratiche divote.Questa
idea penetrò in siffatto modo la mente del Religiosissimo Principe, che lo fece determinare ad erigere dalle fondamenta
nella Vaccheria una Chiesa coadiutrice della Parrocchia di Belvedere,
dedicata alla Santissima Vergine delle Grazie, alla quale professava singolare
divozione- or a questo tempo comandò che si fosse posto mano senza indugio.Incominciarono
i lavori nel 1807 e nello spazio
di tre anni furono compiuti con quella eleganza e professione che attualmente veggiamo.Questa
Chiesa venne generosamente fornita di quanto abbisognasse et al di lei servizio furono destinate dai Reali beni dipendenti sotto la dipendenza del Parroco di
Belvedere.Ricredè
pure necessario di accordare alla Chiesa medesima una dote, ed a tal’uopo vennero con Rescritto del dì 3 giugno 1805 annessate alla stessa le
Badie di Regio Patronato sotto il titolo di Santa Maria ad Fontes di Langro,
Acquaformosa e e Sansosti; ma questa provvida disposizione rimase priva di
effetto. Mentre
ergevasi la Chiesa alla Vaccheria volle
il Sovrano, che compiute si fossero
tutte le altre opere, ch’erano state abbozzate prima del 1799 in S.
Silvestro e ch’eran destinate a rendere veramente delizioso quel sito. Fu
dunque ultimato il Casino di S. Silvestro con tutti i suoi accessorj e vennero
eseguiti tutti quegli abbellimenti, che veggiamo in Montemajulo e ne’ suoi dintorni.Altri
edificj furono pure incominciati in continuità del Real Casino di Belvedere ma
altri avvenimenti lagrimevoli, che allontanarono da noi un Sovrano si caro
colla sua Augustissima Famiglia, vennero a distruggere per la seconda volta la
tante grandiose idee ch’eransi concepite per la prosperità di S. Leucio.Ben
s’intende, che siamo giunti all’epoca della occupazione Militare..............................
La
pace non riuscì a mantenere un equilibrio
politico nel Mezzogiorno d’Italia. Infatti nel 1805 i Francesi tornarono
ad occupare la parte continentale del regno creando in Puglia un forte presidio
militare. La situazione politica stava nuovamente precipitando. Il Regno
borbonico di Napoli l’11 settembre 1805 era entrato nella terza coalizione
antifrancese (Gran Bretagna, Impero Austriaco, Impero Russo, Regno di Napoli,
Regno di Sicilia e Svezia) chiaramente
ostile a Napoleone (imperatore dei francesi, Napoleon I, dal 2 dicembre 1804). Dopo
la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805 (contro la Russia e il Sacro
Romano Impero), Napoleone Bonaparte colpì il Ragno di Napoli con un proclama,
emesso il 2
dicembre 1805, nel quale dichiarava decaduta la dinastia borbonica e che “Ferdinando aveva
perso il suo regno e che il più bello dei paesi è sollevato dal
giogo del più infedele degli uomini”.Lo
stesso Napoleone proclamò il 31 dicembre 1805 il fratello Giuseppe “Re di Napoli”.
La
pace non riuscì a mantenere un equilibrio
politico nel Mezzogiorno d’Italia. Infatti nel 1805 i Francesi tornarono
ad occupare la parte continentale del regno creando in Puglia un forte presidio
militare. La situazione politica stava nuovamente precipitando. Il Regno
borbonico di Napoli l’11 settembre 1805 era entrato nella terza coalizione
antifrancese (Gran Bretagna, Impero Austriaco, Impero Russo, Regno di Napoli,
Regno di Sicilia e Svezia) chiaramente
ostile a Napoleone (imperatore dei francesi, Napoleon I, dal 2 dicembre 1804). Dopo
la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805 (contro la Russia e il Sacro
Romano Impero), Napoleone Bonaparte colpì il Ragno di Napoli con un proclama,
emesso il 2
dicembre 1805, nel quale dichiarava decaduta la dinastia borbonica e che “Ferdinando aveva
perso il suo regno e che il più bello dei paesi è sollevato dal
giogo del più infedele degli uomini”.Lo
stesso Napoleone proclamò il 31 dicembre 1805 il fratello Giuseppe “Re di Napoli”.
La
pace non riuscì a mantenere un equilibrio
politico nel Mezzogiorno d’Italia. Infatti nel 1805 i Francesi tornarono
ad occupare la parte continentale del regno creando in Puglia un forte presidio
militare. La situazione politica stava nuovamente precipitando. Il Regno
borbonico di Napoli l’11 settembre 1805 era entrato nella terza coalizione
antifrancese (Gran Bretagna, Impero Austriaco, Impero Russo, Regno di Napoli,
Regno di Sicilia e Svezia) chiaramente
ostile a Napoleone (imperatore dei francesi, Napoleon I, dal 2 dicembre 1804). Dopo
la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805 (contro la Russia e il Sacro
Romano Impero), Napoleone Bonaparte colpì il Ragno di Napoli con un proclama,
emesso il 2
dicembre 1805, nel quale dichiarava decaduta la dinastia borbonica e che “Ferdinando aveva
perso il suo regno e che il più bello dei paesi è sollevato dal
giogo del più infedele degli uomini”.Lo
stesso Napoleone proclamò il 31 dicembre 1805 il fratello Giuseppe “Re di Napoli”.
La
pace non riuscì a mantenere un equilibrio
politico nel Mezzogiorno d’Italia. Infatti nel 1805 i Francesi tornarono
ad occupare la parte continentale del regno creando in Puglia un forte presidio
militare. La situazione politica stava nuovamente precipitando. Il Regno
borbonico di Napoli l’11 settembre 1805 era entrato nella terza coalizione
antifrancese (Gran Bretagna, Impero Austriaco, Impero Russo, Regno di Napoli,
Regno di Sicilia e Svezia) chiaramente
ostile a Napoleone (imperatore dei francesi, Napoleon I, dal 2 dicembre 1804). Dopo
la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805 (contro la Russia e il Sacro
Romano Impero), Napoleone Bonaparte colpì il Ragno di Napoli con un proclama,
emesso il 2
dicembre 1805, nel quale dichiarava decaduta la dinastia borbonica e che “Ferdinando aveva
perso il suo regno e che il più bello dei paesi è sollevato dal
giogo del più infedele degli uomini”.Lo
stesso Napoleone proclamò il 31 dicembre 1805 il fratello Giuseppe “Re di Napoli”.
La
pace non riuscì a mantenere un equilibrio
politico nel Mezzogiorno d’Italia. Infatti nel 1805 i Francesi tornarono
ad occupare la parte continentale del regno creando in Puglia un forte presidio
militare. La situazione politica stava nuovamente precipitando. Il Regno
borbonico di Napoli l’11 settembre 1805 era entrato nella terza coalizione
antifrancese (Gran Bretagna, Impero Austriaco, Impero Russo, Regno di Napoli,
Regno di Sicilia e Svezia) chiaramente
ostile a Napoleone (imperatore dei francesi, Napoleon I, dal 2 dicembre 1804). Dopo
la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805 (contro la Russia e il Sacro
Romano Impero), Napoleone Bonaparte colpì il Ragno di Napoli con un proclama,
emesso il 2
dicembre 1805, nel quale dichiarava decaduta la dinastia borbonica e che “Ferdinando aveva
perso il suo regno e che il più bello dei paesi è sollevato dal
giogo del più infedele degli uomini”.Lo
stesso Napoleone proclamò il 31 dicembre 1805 il fratello Giuseppe “Re di Napoli”.
Giuseppe Bonaparte
Artista: Jean
Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio
1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su
tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Giuseppe Bonaparte
Artista: Jean
Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio
1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su
tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Giuseppe Bonaparte
Artista: Jean
Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio
1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su
tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Giuseppe Bonaparte
Artista: Jean
Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio
1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su
tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Giuseppe Bonaparte
Artista: Jean
Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio
1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su
tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Giuseppe Bonaparte
Artista: Jean
Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio
1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su
tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Artista: Jean Baptiste Wicar
(Lille, 22 gennaio 1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
Pittura: Olio su tela – Datazione: 1808 – Misure (2,30 x 1,76) m
Collocazione: Palazzo di Versailles
La regina del Regno delle Due Sicilie Maria Carolina
ritornò da Vienna via Trieste a Napoli a bordo del vascello di due ponti Archimede nel
1802Solo l’1l/14 febbraio 1806 i francesi entrarono a
Napoli e Giuseppe Bonaparte ricevette gli onori dalle autorità cittadine e di
governo.Il
30 marzo fu proclamato Re delle Due Sicilie, regnando dal 1806 al 1808 quando ricevette
il titolo di re di Spagna.Al
Bonaparte successe Gioacchino Murat, incoronato da Napoleone l’uno luglio 1808con il nome di :Gioacchino
Napoleone, Re delle Due Sicilie par la grace de
Dieu et par la Constitution de l’Etat in base allo Statuto di Baiona che
fu concesso al Regno di Napoli da Giuseppe Bonaparte
La regina del Regno delle Due Sicilie Maria Carolina
ritornò da Vienna via Trieste a Napoli a bordo del vascello di due ponti Archimede nel
1802Solo l’1l/14 febbraio 1806 i francesi entrarono a
Napoli e Giuseppe Bonaparte ricevette gli onori dalle autorità cittadine e di
governo.Il
30 marzo fu proclamato Re delle Due Sicilie, regnando dal 1806 al 1808 quando ricevette
il titolo di re di Spagna.Al
Bonaparte successe Gioacchino Murat, incoronato da Napoleone l’uno luglio 1808con il nome di :Gioacchino
Napoleone, Re delle Due Sicilie par la grace de
Dieu et par la Constitution de l’Etat in base allo Statuto di Baiona che
fu concesso al Regno di Napoli da Giuseppe Bonaparte
La regina del Regno delle Due Sicilie Maria Carolina
ritornò da Vienna via Trieste a Napoli a bordo del vascello di due ponti Archimede nel
1802Solo l’1l/14 febbraio 1806 i francesi entrarono a
Napoli e Giuseppe Bonaparte ricevette gli onori dalle autorità cittadine e di
governo.Il
30 marzo fu proclamato Re delle Due Sicilie, regnando dal 1806 al 1808 quando ricevette
il titolo di re di Spagna.Al
Bonaparte successe Gioacchino Murat, incoronato da Napoleone l’uno luglio 1808con il nome di :Gioacchino
Napoleone, Re delle Due Sicilie par la grace de
Dieu et par la Constitution de l’Etat in base allo Statuto di Baiona che
fu concesso al Regno di Napoli da Giuseppe Bonaparte
La regina del Regno delle Due Sicilie Maria Carolina
ritornò da Vienna via Trieste a Napoli a bordo del vascello di due ponti Archimede nel
1802Solo l’1l/14 febbraio 1806 i francesi entrarono a
Napoli e Giuseppe Bonaparte ricevette gli onori dalle autorità cittadine e di
governo.Il
30 marzo fu proclamato Re delle Due Sicilie, regnando dal 1806 al 1808 quando ricevette
il titolo di re di Spagna.Al
Bonaparte successe Gioacchino Murat, incoronato da Napoleone l’uno luglio 1808con il nome di :Gioacchino
Napoleone, Re delle Due Sicilie par la grace de
Dieu et par la Constitution de l’Etat in base allo Statuto di Baiona che
fu concesso al Regno di Napoli da Giuseppe Bonaparte
La regina del Regno delle Due Sicilie Maria Carolina
ritornò da Vienna via Trieste a Napoli a bordo del vascello di due ponti Archimede nel
1802Solo l’1l/14 febbraio 1806 i francesi entrarono a
Napoli e Giuseppe Bonaparte ricevette gli onori dalle autorità cittadine e di
governo.Il
30 marzo fu proclamato Re delle Due Sicilie, regnando dal 1806 al 1808 quando ricevette
il titolo di re di Spagna.Al
Bonaparte successe Gioacchino Murat, incoronato da Napoleone l’uno luglio 1808con il nome di :Gioacchino
Napoleone, Re delle Due Sicilie par la grace de
Dieu et par la Constitution de l’Etat in base allo Statuto di Baiona che
fu concesso al Regno di Napoli da Giuseppe Bonaparte
La regina del Regno delle Due Sicilie Maria Carolina
ritornò da Vienna via Trieste a Napoli a bordo del vascello di due ponti Archimede nel
1802Solo l’1l/14 febbraio 1806 i francesi entrarono a
Napoli e Giuseppe Bonaparte ricevette gli onori dalle autorità cittadine e di
governo.Il
30 marzo fu proclamato Re delle Due Sicilie, regnando dal 1806 al 1808 quando ricevette
il titolo di re di Spagna.Al
Bonaparte successe Gioacchino Murat, incoronato da Napoleone l’uno luglio 1808con il nome di :Gioacchino
Napoleone, Re delle Due Sicilie par la grace de
Dieu et par la Constitution de l’Etat in base allo Statuto di Baiona che
fu concesso al Regno di Napoli da Giuseppe Bonaparte
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«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del
nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e
delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere
eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno
dell’anno corrente:
1.
Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe
Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia
dal 1º agosto 1808.
2.
La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella
discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in
maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e
loro discendenti.
3.
Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima
sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al
trono.
4.
Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato
Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa
Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del
detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà
devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi,
o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del
Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi,
naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di
discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la
Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe
Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli
maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più
prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due
Sicilie.
5.
Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle
due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale
resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione
stabilito dal presente Statuto.»
........................
«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del
nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e
delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere
eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno
dell’anno corrente:
1.
Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe
Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia
dal 1º agosto 1808.
2.
La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella
discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in
maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e
loro discendenti.
3.
Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima
sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al
trono.
4.
Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato
Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa
Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del
detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà
devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi,
o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del
Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi,
naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di
discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la
Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe
Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli
maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più
prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due
Sicilie.
5.
Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle
due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale
resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione
stabilito dal presente Statuto.»
........................
«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del
nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e
delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere
eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno
dell’anno corrente:
1.
Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe
Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia
dal 1º agosto 1808.
2.
La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella
discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in
maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e
loro discendenti.
3.
Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima
sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al
trono.
4.
Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato
Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa
Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del
detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà
devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi,
o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del
Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi,
naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di
discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la
Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe
Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli
maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più
prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due
Sicilie.
5.
Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle
due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale
resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione
stabilito dal presente Statuto.»
........................
«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del
nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e
delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere
eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno
dell’anno corrente:
1.
Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe
Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia
dal 1º agosto 1808.
2.
La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella
discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in
maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e
loro discendenti.
3.
Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima
sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al
trono.
4.
Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato
Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa
Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del
detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà
devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi,
o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del
Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi,
naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di
discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la
Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe
Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli
maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più
prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due
Sicilie.
5.
Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle
due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale
resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione
stabilito dal presente Statuto.»
........................
«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del
nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e
delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere
eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno
dell’anno corrente:
1.
Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe
Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia
dal 1º agosto 1808.
2.
La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella
discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in
maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e
loro discendenti.
3.
Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima
sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al
trono.
4.
Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato
Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa
Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del
detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà
devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi,
o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del
Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi,
naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di
discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la
Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe
Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli
maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più
prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due
Sicilie.
5.
Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle
due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale
resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione
stabilito dal presente Statuto.»
........................
«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del
nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e
delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere
eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno
dell’anno corrente:
1.
Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe
Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia
dal 1º agosto 1808.
2.
La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella
discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in
maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e
loro discendenti.
3.
Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima
sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al
trono.
4.
Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato
Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa
Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del
detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà
devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi,
o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del
Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi,
naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di
discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la
Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe
Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli
maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più
prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due
Sicilie.
5.
Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle
due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale
resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione
stabilito dal presente Statuto.»
........................
«Essendo vacante il Trono di Napoli e di Sicilia per l’avvenimento del
nostro caro ed amatissimo fratello Giuseppe Napoleone al Trono di Spagna, e
delle Indie; Abbiamo stabilite e stabiliamo le disposizioni seguenti per essere
eseguite come parte dello Statuto costituzionale dato in Bajona ai 20 giugno
dell’anno corrente:
1.
Il nostro caro ed amatissimo cognato il Principe
Gioacchino Napoleone Gran Duca di Berg e di Cleves è re di Napoli e di Sicilia
dal 1º agosto 1808.
2.
La corona di Napoli e di Sicilia è ereditaria nella
discendenza diretta, naturale, e legittima del detto Principe... di maschio in
maschio per ordine di primogenitura, ed a perpetua esclusione delle femmine e
loro discendenti.
3.
Nondimeno nel caso che la nostra cara ed amatissima
sorella la Principessa Carolina sopravvivesse al suo consorte, Ella salirà al
trono.
4.
Dopo la morte del nostro caro ed amatissimo cognato
Gioacchino Napoleone, e della nostra cara ed amatissima sorella la principessa
Carolina, ed in mancanza di discendenza maschile, naturale, e legittima del
detto principe Gioacchino Napoleone, la Corona di Napoli e di Sicilia sarà
devoluta a Noi ed a’ nostri eredi e discendenti maschi, naturali, e legittimi,
o adottivi. In mancanza di discendenza mascolina, naturale, e legittima del
Principe Gioacchino Napoleone la Corona apparterrà a’ discendenti maschi,
naturali e legittimi del Principe Luigi Napoleone re di Olanda. In mancanza di
discendenza mascolina, naturale, e legittima del principe Luigi Napoleone la
Corona apparterrà a’ discendenti maschi, naturali e legittimi del Principe
Geronimo Napoleone re di Vestfalia. E nel caso che l’ultimo re non avesse figli
maschi; a colui, ch’egli avrà designato nel suo testamento, sia tra suoi più
prossimi parenti, sia fra coloro, che giudicherà più degni di governar le due
Sicilie.
5.
Il Principe Gioacchino Napoleone, divenuto Re delle
due Sicilie conserverà la dignità di Grande Ammiraglio di Francia, la quale
resterà attaccata alla Corona fintanto che sussisterà l’ordine di successione
stabilito dal presente Statuto.»
........................
Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière.
25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois
Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato
Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière.
25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois
Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato
Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière.
25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois
Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato
Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière.
25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois
Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato
Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière.
25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois
Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato
Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière.
25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois
Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato
Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
Gioacchino Murat
(Labastide,Fortunière.
25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois
Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato
Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
(Labastide,Fortunière. 25 marzo 1767 – Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815)
Artista: Francois Pascail Simon Gèrard
Roma (Stato Pontificio), 12 marzo 1770 – Parigi, 11 gennaio 1837
Pittura: olio su tela – Datazione: 1812 circa – Misura (31 x 23 )cm
Collocazione: ?
Il
sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una
serie di opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte
della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e
l’illuminazione pubblica a Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari,
l’istituzione dell’Ospedale San Carlo di Potenza.Interventi
anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne dell’Abruzzo e
promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regnol’uno
gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino
l’Isola di Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso
il soppresso convento dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi
da Giuseppe Bonaparte).Ma
i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo conil
trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse
intuendo quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben
quattordici capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati daisoldati
francesi. Non so se le fonti sia vere ma
sono veramente drammatiche.Dei
1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della
collezioneFarnese
e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinatialla
Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.Diverse
opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste unCatalogo
del Canova che riportò le opere perdute Il
Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo
Sterminatore dei Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e
nell’Abruzzo, anche queste debellate con atrocità.Nell’estate
del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di
unirla politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò
fino al 5 luglio quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna
Villa San Giovanni) dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre
cariche militari. Il
26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......si presentava
difficile, ardua la conquista della SiciliaDopo
alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicinole
ostilità degli inglesi e del nuovo
profilo di Luigi XVIII, re di Francia.Prese
contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.Murat dichiarò
guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che NapoleoneBonaparte
entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerraAustro-napoletana
con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.Lo
stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei
popoli italiani.
Il
sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una
serie di opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte
della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e
l’illuminazione pubblica a Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari,
l’istituzione dell’Ospedale San Carlo di Potenza.Interventi
anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne dell’Abruzzo e
promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regnol’uno
gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino
l’Isola di Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso
il soppresso convento dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi
da Giuseppe Bonaparte).Ma
i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo conil
trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse
intuendo quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben
quattordici capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati daisoldati
francesi. Non so se le fonti sia vere ma
sono veramente drammatiche.Dei
1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della
collezioneFarnese
e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinatialla
Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.Diverse
opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste unCatalogo
del Canova che riportò le opere perdute Il
Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo
Sterminatore dei Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e
nell’Abruzzo, anche queste debellate con atrocità.Nell’estate
del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di
unirla politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò
fino al 5 luglio quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna
Villa San Giovanni) dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre
cariche militari. Il
26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......si presentava
difficile, ardua la conquista della SiciliaDopo
alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicinole
ostilità degli inglesi e del nuovo
profilo di Luigi XVIII, re di Francia.Prese
contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.Murat dichiarò
guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che NapoleoneBonaparte
entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerraAustro-napoletana
con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.Lo
stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei
popoli italiani.
Il
sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una
serie di opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte
della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e
l’illuminazione pubblica a Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari,
l’istituzione dell’Ospedale San Carlo di Potenza.Interventi
anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne dell’Abruzzo e
promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regnol’uno
gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino
l’Isola di Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso
il soppresso convento dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi
da Giuseppe Bonaparte).Ma
i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo conil
trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse
intuendo quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben
quattordici capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati daisoldati
francesi. Non so se le fonti sia vere ma
sono veramente drammatiche.Dei
1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della
collezioneFarnese
e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinatialla
Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.Diverse
opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste unCatalogo
del Canova che riportò le opere perdute Il
Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo
Sterminatore dei Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e
nell’Abruzzo, anche queste debellate con atrocità.Nell’estate
del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di
unirla politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò
fino al 5 luglio quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna
Villa San Giovanni) dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre
cariche militari. Il
26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......si presentava
difficile, ardua la conquista della SiciliaDopo
alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicinole
ostilità degli inglesi e del nuovo
profilo di Luigi XVIII, re di Francia.Prese
contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.Murat dichiarò
guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che NapoleoneBonaparte
entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerraAustro-napoletana
con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.Lo
stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei
popoli italiani.
Il
sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una
serie di opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte
della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e
l’illuminazione pubblica a Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari,
l’istituzione dell’Ospedale San Carlo di Potenza.Interventi
anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne dell’Abruzzo e
promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regnol’uno
gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino
l’Isola di Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso
il soppresso convento dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi
da Giuseppe Bonaparte).Ma
i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo conil
trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse
intuendo quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben
quattordici capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati daisoldati
francesi. Non so se le fonti sia vere ma
sono veramente drammatiche.Dei
1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della
collezioneFarnese
e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinatialla
Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.Diverse
opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste unCatalogo
del Canova che riportò le opere perdute Il
Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo
Sterminatore dei Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e
nell’Abruzzo, anche queste debellate con atrocità.Nell’estate
del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di
unirla politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò
fino al 5 luglio quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna
Villa San Giovanni) dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre
cariche militari. Il
26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......si presentava
difficile, ardua la conquista della SiciliaDopo
alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicinole
ostilità degli inglesi e del nuovo
profilo di Luigi XVIII, re di Francia.Prese
contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.Murat dichiarò
guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che NapoleoneBonaparte
entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerraAustro-napoletana
con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.Lo
stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei
popoli italiani.
Il
sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una
serie di opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte
della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e
l’illuminazione pubblica a Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari,
l’istituzione dell’Ospedale San Carlo di Potenza.Interventi
anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne dell’Abruzzo e
promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regnol’uno
gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino
l’Isola di Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso
il soppresso convento dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi
da Giuseppe Bonaparte).Ma
i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo conil
trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse
intuendo quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben
quattordici capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati daisoldati
francesi. Non so se le fonti sia vere ma
sono veramente drammatiche.Dei
1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della
collezioneFarnese
e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinatialla
Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.Diverse
opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste unCatalogo
del Canova che riportò le opere perdute Il
Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo
Sterminatore dei Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e
nell’Abruzzo, anche queste debellate con atrocità.Nell’estate
del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di
unirla politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò
fino al 5 luglio quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna
Villa San Giovanni) dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre
cariche militari. Il
26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......si presentava
difficile, ardua la conquista della SiciliaDopo
alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicinole
ostilità degli inglesi e del nuovo
profilo di Luigi XVIII, re di Francia.Prese
contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.Murat dichiarò
guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che NapoleoneBonaparte
entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerraAustro-napoletana
con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.Lo
stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei
popoli italiani.
Il
sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una
serie di opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte
della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e
l’illuminazione pubblica a Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari,
l’istituzione dell’Ospedale San Carlo di Potenza.Interventi
anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne dell’Abruzzo e
promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regnol’uno
gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino
l’Isola di Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso
il soppresso convento dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi
da Giuseppe Bonaparte).Ma
i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo conil
trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse
intuendo quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben
quattordici capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati daisoldati
francesi. Non so se le fonti sia vere ma
sono veramente drammatiche.Dei
1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della
collezioneFarnese
e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinatialla
Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.Diverse
opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste unCatalogo
del Canova che riportò le opere perdute Il
Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo
Sterminatore dei Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e
nell’Abruzzo, anche queste debellate con atrocità.Nell’estate
del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di
unirla politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò
fino al 5 luglio quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna
Villa San Giovanni) dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre
cariche militari. Il
26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......si presentava
difficile, ardua la conquista della SiciliaDopo
alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicinole
ostilità degli inglesi e del nuovo
profilo di Luigi XVIII, re di Francia.Prese
contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.Murat dichiarò
guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che NapoleoneBonaparte
entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerraAustro-napoletana
con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.Lo
stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei
popoli italiani.
Il
sovrano riuscì a fare sua la benevolenza dei cittadini grazie anche ad una
serie di opere pubbliche che furono realizzate non solo a Napoli come: il ponte
della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte e
l’illuminazione pubblica a Reggio Calabria, il progetto del Borgo Nuovo a Bari,
l’istituzione dell’Ospedale San Carlo di Potenza.Interventi
anche a Lagonegro, ammodernamento della viabilità nelle montagne dell’Abruzzo e
promotore del Codice Napoleonico che entrò in vigore nel Regnol’uno
gennaio 1809. Un nuovo sistema legislativo che, fra i tanti provvedimenti, consentiva per la prima volta in Italia il divorzio e il matrimonio civile, suscitando polemiche nel clero conservatore. Fu anche impianta la prima cartiera vicino
l’Isola di Liri grazie all’industriale francese Carlo Antonio Beranger, presso
il soppresso convento dei Carmelitani (Ordini regolari che erano stati soppressi
da Giuseppe Bonaparte).Ma
i francesi diedero al patrimonio culturale napoletano un durissimo colpo conil
trafugamento di numerosissime opere d’arte. Ferdinando I di Borbone, forse
intuendo quello che sarebbe avvenuto, nel 1798 aveva trasferito a Palermo ben
quattordici capolavori ma era ben poca cosa di fronte ai furti perpetrati daisoldati
francesi. Non so se le fonti sia vere ma
sono veramente drammatiche.Dei
1783 dipinti che facevano parte della collezione, di cui 329 solo della
collezioneFarnese
e il restante composte da acquisizioni borboniche, trenta furono destinatialla
Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti in particolare a Roma.Diverse
opere d’arte presero la via del Louvre (antico Musee Napoleon) ed esiste unCatalogo
del Canova che riportò le opere perdute Il
Murat diede incarico al generale Charles Antoine Manhès di debellare il brigantaggio nel Regno ma con metodi così brutali da essere soprannominato “Lo
Sterminatore dei Calabresi”. Ci furono delle rivolte nel Cilento e
nell’Abruzzo, anche queste debellate con atrocità.Nell’estate
del 1810 Murat rivolse le sue “attenzioni” alla Sicilia con l’obiettivo di
unirla politicamente al continente. Il 3 giugno 1810 giunse a Scilla e vi restò
fino al 5 luglio quando fu completato un vasto accampamento a Piale (l’odierna
Villa San Giovanni) dove si stabilì con la sua corte, i ministri e le altre
cariche militari. Il
26 settembre dismise l’accampamento e ripartì per Napoli.......si presentava
difficile, ardua la conquista della SiciliaDopo
alcune campagne militari dall’esito disastroso, il Murat aveva sempre vicinole
ostilità degli inglesi e del nuovo
profilo di Luigi XVIII, re di Francia.Prese
contatto con Napoleone che si trovava in esilio nell’isola d’Elba trovando un accordo in vista del tentativo della guerra dei “Cento Giorni”.Murat dichiarò
guerra all’Austria il 15 marzo 1815, cinque giorni prima che NapoleoneBonaparte
entrasse in Parigi all’inizio dei suoi Cento Giorni. Iniziò la guerraAustro-napoletana
con l’attacco agli stati alleati dell’Impero Austriaco.Lo
stesso Murat lanciò il famoso proclama di Rimini.. un appello all’unione dei
popoli italiani.
Dopo
una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815
ed il 28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di
Borbone, che si trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di
Napoli e di Sicilia che fu successivamente ratificata dal Congresso di Vienna
nel giugno 1815.Murat,
dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il
trattato di Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20
maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani:il Regno di Napoli
tornava alla Corona BorbonicaFerdinando I (IV
di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.Per
la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un
azione disperata... già segnata..Una spedizione navale dalla Corsica...Il Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la
flotta verso la Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.Uno
sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un sommario processo, fucilato il 13 ottobre.
Dopo
una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815
ed il 28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di
Borbone, che si trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di
Napoli e di Sicilia che fu successivamente ratificata dal Congresso di Vienna
nel giugno 1815.Murat,
dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il
trattato di Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20
maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani:il Regno di Napoli
tornava alla Corona BorbonicaFerdinando I (IV
di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.Per
la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un
azione disperata... già segnata..Una spedizione navale dalla Corsica...Il Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la
flotta verso la Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.Uno
sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un sommario processo, fucilato il 13 ottobre.
Dopo
una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815
ed il 28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di
Borbone, che si trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di
Napoli e di Sicilia che fu successivamente ratificata dal Congresso di Vienna
nel giugno 1815.Murat,
dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il
trattato di Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20
maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani:il Regno di Napoli
tornava alla Corona BorbonicaFerdinando I (IV
di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.Per
la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un
azione disperata... già segnata..Una spedizione navale dalla Corsica...Il Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la
flotta verso la Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.Uno
sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un sommario processo, fucilato il 13 ottobre.
Dopo
una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815
ed il 28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di
Borbone, che si trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di
Napoli e di Sicilia che fu successivamente ratificata dal Congresso di Vienna
nel giugno 1815.Murat,
dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il
trattato di Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20
maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani:il Regno di Napoli
tornava alla Corona BorbonicaFerdinando I (IV
di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.Per
la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un
azione disperata... già segnata..Una spedizione navale dalla Corsica...Il Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la
flotta verso la Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.Uno
sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un sommario processo, fucilato il 13 ottobre.
Dopo
una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815
ed il 28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di
Borbone, che si trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di
Napoli e di Sicilia che fu successivamente ratificata dal Congresso di Vienna
nel giugno 1815.Murat,
dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il
trattato di Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20
maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani:il Regno di Napoli
tornava alla Corona BorbonicaFerdinando I (IV
di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.Per
la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un
azione disperata... già segnata..Una spedizione navale dalla Corsica...Il Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la
flotta verso la Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.Uno
sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un sommario processo, fucilato il 13 ottobre.
Dopo
una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815
ed il 28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di
Borbone, che si trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di
Napoli e di Sicilia che fu successivamente ratificata dal Congresso di Vienna
nel giugno 1815.Murat,
dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il
trattato di Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20
maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani:il Regno di Napoli
tornava alla Corona BorbonicaFerdinando I (IV
di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.Per
la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un
azione disperata... già segnata..Una spedizione navale dalla Corsica...Il Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la
flotta verso la Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.Uno
sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un sommario processo, fucilato il 13 ottobre.
Dopo
una prima vittoria sugli Austriaci fu sconfitto ad Occhiobello il 9 aprile 1815
ed il 28 aprile l’Austria firmò un trattato d’alleanza con Ferdinando I di
Borbone, che si trovava a Palermo, confermandogli la sovranità sui Regni di
Napoli e di Sicilia che fu successivamente ratificata dal Congresso di Vienna
nel giugno 1815.Murat,
dopo la sconfitta militare di Tolentino, subì la definitiva caduta con il
trattato di Casalanza del 4 maggio 1815. Trattato che fu firmato a Capua il 20
maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani:il Regno di Napoli
tornava alla Corona BorbonicaFerdinando I (IV
di Napoli e III delle Due Sicilie) il 7 giugno 1815 tornò a Napoli.Per
la cronaca c’è da dire che il Murat tentò un’azione militare verso Napoli... un
azione disperata... già segnata..Una spedizione navale dalla Corsica...Il Murat salpò da Ajaccio il 28 settembre 1815 con appena 250 uomini. Il piano prevedeva lo sbarco nei pressi di Salerno ma una forte tempesta spinse la
flotta verso la Calabria dove sbarcò l’8 ottobre 1815.Uno
sbarco avvenuto nel porticciolo di Pizzo Calabro dove fu catturato e, dopo un sommario processo, fucilato il 13 ottobre.
La
sentenza di condanna a morte di Murat
Il
Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
La
sentenza di condanna a morte di Murat
Il
Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
La
sentenza di condanna a morte di Murat
Il
Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
La
sentenza di condanna a morte di Murat
Il
Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
La
sentenza di condanna a morte di Murat
Il
Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
La
sentenza di condanna a morte di Murat
Il
Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
La
sentenza di condanna a morte di Murat
Il
Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
Il Mistero delle sue spoglie e lo studio sul suo DNA
.........................
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
8
Operazioni eseguite nel Decennio
Della Occupazione militare
“La
venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale
fu urla del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle
loro abitazioni, e le antiche leggi vennero messe in non cale (da non
tenere in considerazione). Solo per politica si mantenuta la fabrica delle seterie, la quale verso gli
ultimi tempi fu data in affitto, e molte altre cose si fecero in genere di
abellimenti. Lungo
sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin
dal 1799 erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che
cingeva il bosco nella parte superiore, e precisamente sulla strada detta del
formale (?);
furono pure ribassate le altre mura, che fiancheggiavano la strada della
Cascata, e vennero in varj luoghi aperte diverse altre strade e stradine. In
quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi
addetto ad uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne
proseguito quel fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne
ugualmente proseguita, e portata ad un certo termine la grande filanda de’
cipressi, alla quale erasi dato principio, come abbiamo detto prima del 1799.
Ma tutto questo non fu perfezionato.Incerti
i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale
non avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse
opportuno di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.Per
realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto
di terre nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare
contante, barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla
Badia di S. Pietro ad Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e
riceverono in permuta quelle tenute montuose, che si veggono sulla parte
settentrionale delle montagne del Sommacco, e che stanno rimpetto al Monte di
S. Leucio.
“La
venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale
fu urla del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle
loro abitazioni, e le antiche leggi vennero messe in non cale (da non
tenere in considerazione). Solo per politica si mantenuta la fabrica delle seterie, la quale verso gli
ultimi tempi fu data in affitto, e molte altre cose si fecero in genere di
abellimenti. Lungo
sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin
dal 1799 erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che
cingeva il bosco nella parte superiore, e precisamente sulla strada detta del
formale (?);
furono pure ribassate le altre mura, che fiancheggiavano la strada della
Cascata, e vennero in varj luoghi aperte diverse altre strade e stradine. In
quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi
addetto ad uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne
proseguito quel fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne
ugualmente proseguita, e portata ad un certo termine la grande filanda de’
cipressi, alla quale erasi dato principio, come abbiamo detto prima del 1799.
Ma tutto questo non fu perfezionato.Incerti
i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale
non avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse
opportuno di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.Per
realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto
di terre nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare
contante, barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla
Badia di S. Pietro ad Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e
riceverono in permuta quelle tenute montuose, che si veggono sulla parte
settentrionale delle montagne del Sommacco, e che stanno rimpetto al Monte di
S. Leucio.
“La
venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale
fu urla del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle
loro abitazioni, e le antiche leggi vennero messe in non cale (da non
tenere in considerazione). Solo per politica si mantenuta la fabrica delle seterie, la quale verso gli
ultimi tempi fu data in affitto, e molte altre cose si fecero in genere di
abellimenti. Lungo
sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin
dal 1799 erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che
cingeva il bosco nella parte superiore, e precisamente sulla strada detta del
formale (?);
furono pure ribassate le altre mura, che fiancheggiavano la strada della
Cascata, e vennero in varj luoghi aperte diverse altre strade e stradine. In
quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi
addetto ad uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne
proseguito quel fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne
ugualmente proseguita, e portata ad un certo termine la grande filanda de’
cipressi, alla quale erasi dato principio, come abbiamo detto prima del 1799.
Ma tutto questo non fu perfezionato.Incerti
i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale
non avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse
opportuno di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.Per
realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto
di terre nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare
contante, barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla
Badia di S. Pietro ad Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e
riceverono in permuta quelle tenute montuose, che si veggono sulla parte
settentrionale delle montagne del Sommacco, e che stanno rimpetto al Monte di
S. Leucio.
“La
venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale
fu urla del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle
loro abitazioni, e le antiche leggi vennero messe in non cale (da non
tenere in considerazione). Solo per politica si mantenuta la fabrica delle seterie, la quale verso gli
ultimi tempi fu data in affitto, e molte altre cose si fecero in genere di
abellimenti. Lungo
sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin
dal 1799 erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che
cingeva il bosco nella parte superiore, e precisamente sulla strada detta del
formale (?);
furono pure ribassate le altre mura, che fiancheggiavano la strada della
Cascata, e vennero in varj luoghi aperte diverse altre strade e stradine. In
quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi
addetto ad uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne
proseguito quel fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne
ugualmente proseguita, e portata ad un certo termine la grande filanda de’
cipressi, alla quale erasi dato principio, come abbiamo detto prima del 1799.
Ma tutto questo non fu perfezionato.Incerti
i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale
non avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse
opportuno di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.Per
realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto
di terre nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare
contante, barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla
Badia di S. Pietro ad Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e
riceverono in permuta quelle tenute montuose, che si veggono sulla parte
settentrionale delle montagne del Sommacco, e che stanno rimpetto al Monte di
S. Leucio.
“La
venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale
fu urla del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle
loro abitazioni, e le antiche leggi vennero messe in non cale (da non
tenere in considerazione). Solo per politica si mantenuta la fabrica delle seterie, la quale verso gli
ultimi tempi fu data in affitto, e molte altre cose si fecero in genere di
abellimenti. Lungo
sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin
dal 1799 erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che
cingeva il bosco nella parte superiore, e precisamente sulla strada detta del
formale (?);
furono pure ribassate le altre mura, che fiancheggiavano la strada della
Cascata, e vennero in varj luoghi aperte diverse altre strade e stradine. In
quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi
addetto ad uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne
proseguito quel fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne
ugualmente proseguita, e portata ad un certo termine la grande filanda de’
cipressi, alla quale erasi dato principio, come abbiamo detto prima del 1799.
Ma tutto questo non fu perfezionato.Incerti
i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale
non avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse
opportuno di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.Per
realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto
di terre nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare
contante, barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla
Badia di S. Pietro ad Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e
riceverono in permuta quelle tenute montuose, che si veggono sulla parte
settentrionale delle montagne del Sommacco, e che stanno rimpetto al Monte di
S. Leucio.
“La
venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale
fu urla del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle
loro abitazioni, e le antiche leggi vennero messe in non cale (da non
tenere in considerazione). Solo per politica si mantenuta la fabrica delle seterie, la quale verso gli
ultimi tempi fu data in affitto, e molte altre cose si fecero in genere di
abellimenti. Lungo
sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin
dal 1799 erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che
cingeva il bosco nella parte superiore, e precisamente sulla strada detta del
formale (?);
furono pure ribassate le altre mura, che fiancheggiavano la strada della
Cascata, e vennero in varj luoghi aperte diverse altre strade e stradine. In
quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi
addetto ad uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne
proseguito quel fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne
ugualmente proseguita, e portata ad un certo termine la grande filanda de’
cipressi, alla quale erasi dato principio, come abbiamo detto prima del 1799.
Ma tutto questo non fu perfezionato.Incerti
i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale
non avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse
opportuno di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.Per
realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto
di terre nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare
contante, barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla
Badia di S. Pietro ad Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e
riceverono in permuta quelle tenute montuose, che si veggono sulla parte
settentrionale delle montagne del Sommacco, e che stanno rimpetto al Monte di
S. Leucio.
“La
venuta de’ Francesi in S. Leucio riempì di spavento tutta la Colonia, la quale
fu urla del suo annichilamento. Gli artisti di fatti vennero mandati via dalle
loro abitazioni, e le antiche leggi vennero messe in non cale (da non
tenere in considerazione). Solo per politica si mantenuta la fabrica delle seterie, la quale verso gli
ultimi tempi fu data in affitto, e molte altre cose si fecero in genere di
abellimenti. Lungo
sì inutile sarebbe il narrare i cangiamenti che i Francesi operarono nel Real Sito. Basterà accennare, che trovandosi il bosco privo di cinghiali, poiché sin
dal 1799 erano stati trasportati in Sicilia, fu ribassato il muro, che
cingeva il bosco nella parte superiore, e precisamente sulla strada detta del
formale (?);
furono pure ribassate le altre mura, che fiancheggiavano la strada della
Cascata, e vennero in varj luoghi aperte diverse altre strade e stradine. In
quanto agli edificj, fu continuato il rustico di quella parte, che trovasi oggi
addetto ad uso di cucina, e d’incannatorj di sete cotte, come parimenti venne
proseguito quel fabricato addetto ora a tintoria, ed a sale per telai. Venne
ugualmente proseguita, e portata ad un certo termine la grande filanda de’
cipressi, alla quale erasi dato principio, come abbiamo detto prima del 1799.
Ma tutto questo non fu perfezionato.Incerti
i Francesi di cio’ che conveniva fare sul destino della Colonia, della quale
non avevano osato pronunciare l’abolizione, pensarono per un momento che fosse
opportuno di esercitare l’industria degli abitanti nel coltivo delle terre.Per
realizzare questa idea, ricorsero essi all’espediente di fare qualche acquisto
di terre nelle vicinanze del Real Sito: ma non volendo, o non potendo impiegare
contante, barattavano diversi terreni appartenenti per la maggior parte alla
Badia di S. Pietro ad Montes messi nelle fertili pianure di Caserta, e
riceverono in permuta quelle tenute montuose, che si veggono sulla parte
settentrionale delle montagne del Sommacco, e che stanno rimpetto al Monte di
S. Leucio.
È
questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S.
Pietro, e si trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità
ne’ spreggevole.In
un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di
siffatte permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle
terre divenute di proprietà della Reale Amministrazione.Deve
pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di
Terra di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale
che veniva diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio),
di
aggregare alle Amministrazioni riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente
di ottimi territorj. Di tal natura specialmente erano i fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri
Conventi di Capua. Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere,
Macedonio di ottenere in permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel
tenimento del Sommacco, la masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre
terre, le quali tutte vennero incorporate all’azienda di S. Leucio, la
quale attualmente n’e’ la posseditrice.Similmente
in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo
di Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale
Amministrazione.
È
questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S.
Pietro, e si trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità
ne’ spreggevole.In
un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di
siffatte permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle
terre divenute di proprietà della Reale Amministrazione.Deve
pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di
Terra di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale
che veniva diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio),
di
aggregare alle Amministrazioni riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente
di ottimi territorj. Di tal natura specialmente erano i fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri
Conventi di Capua. Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere,
Macedonio di ottenere in permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel
tenimento del Sommacco, la masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre
terre, le quali tutte vennero incorporate all’azienda di S. Leucio, la
quale attualmente n’e’ la posseditrice.Similmente
in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo
di Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale
Amministrazione.
È
questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S.
Pietro, e si trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità
ne’ spreggevole.In
un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di
siffatte permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle
terre divenute di proprietà della Reale Amministrazione.Deve
pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di
Terra di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale
che veniva diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio),
di
aggregare alle Amministrazioni riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente
di ottimi territorj. Di tal natura specialmente erano i fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri
Conventi di Capua. Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere,
Macedonio di ottenere in permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel
tenimento del Sommacco, la masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre
terre, le quali tutte vennero incorporate all’azienda di S. Leucio, la
quale attualmente n’e’ la posseditrice.Similmente
in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo
di Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale
Amministrazione.
È
questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S.
Pietro, e si trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità
ne’ spreggevole.In
un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di
siffatte permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle
terre divenute di proprietà della Reale Amministrazione.Deve
pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di
Terra di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale
che veniva diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio),
di
aggregare alle Amministrazioni riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente
di ottimi territorj. Di tal natura specialmente erano i fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri
Conventi di Capua. Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere,
Macedonio di ottenere in permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel
tenimento del Sommacco, la masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre
terre, le quali tutte vennero incorporate all’azienda di S. Leucio, la
quale attualmente n’e’ la posseditrice.Similmente
in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo
di Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale
Amministrazione.
È
questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S.
Pietro, e si trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità
ne’ spreggevole.In
un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di
siffatte permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle
terre divenute di proprietà della Reale Amministrazione.Deve
pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di
Terra di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale
che veniva diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio),
di
aggregare alle Amministrazioni riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente
di ottimi territorj. Di tal natura specialmente erano i fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri
Conventi di Capua. Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere,
Macedonio di ottenere in permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel
tenimento del Sommacco, la masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre
terre, le quali tutte vennero incorporate all’azienda di S. Leucio, la
quale attualmente n’e’ la posseditrice.Similmente
in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo
di Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale
Amministrazione.
È
questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S.
Pietro, e si trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità
ne’ spreggevole.In
un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di
siffatte permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle
terre divenute di proprietà della Reale Amministrazione.Deve
pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di
Terra di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale
che veniva diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio),
di
aggregare alle Amministrazioni riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente
di ottimi territorj. Di tal natura specialmente erano i fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri
Conventi di Capua. Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere,
Macedonio di ottenere in permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel
tenimento del Sommacco, la masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre
terre, le quali tutte vennero incorporate all’azienda di S. Leucio, la
quale attualmente n’e’ la posseditrice.Similmente
in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo
di Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale
Amministrazione.
È
questo il motivo per cui veggonsi detratte diverse terre della badia di S.
Pietro, e si trovano aggregate all’Amministrazione Reale tante terre di qualità
ne’ spreggevole.In
un appendice, che segue questo capitolo, noi porremo a disteso l’elenco di
siffatte permute; mentre poi descriveremo a suo luogo l’indole, e qualità delle
terre divenute di proprietà della Reale Amministrazione.Deve
pur aggiungersi, che la soppressione de’ diversi Monisteri della Provincia di
Terra di Lavoro diede campo alla Intendenza, che allora dicevasi di Casa Reale
che veniva diretta dal Cavaliere Macedonio (Luigi Macedonio),
di
aggregare alle Amministrazioni riunite di Caserta e S. Leucio una massa ingente
di ottimi territorj. Di tal natura specialmente erano i fondi de’ Domenicani di Maddaloni, e di altri
Conventi di Capua. Ora mettendo a profitto siffatti fondi, riuscì al Cavaliere,
Macedonio di ottenere in permuta la montagna di Buonpane, col casinetto nel
tenimento del Sommacco, la masseria che oggi dicesi di Ferrari, e diverse altre
terre, le quali tutte vennero incorporate all’azienda di S. Leucio, la
quale attualmente n’e’ la posseditrice.Similmente
in questa epoca istessa vennero aggregati a S. Leucio i beni della Badia di S. Croce in Cajazzo, ch’era vacata per la soppressione del Monistero di S. Lorenzo
di Aversa, quali beni figurano oggi tra le proprietà della Reale
Amministrazione.
In
questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni
beni di S. Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel
1877 siffatto Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di
S. Leucio, venne richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un
compenso in altri terreni demaniali siti in
S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.
In
questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni
beni di S. Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel
1877 siffatto Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di
S. Leucio, venne richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un
compenso in altri terreni demaniali siti in
S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.
In
questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni
beni di S. Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel
1877 siffatto Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di
S. Leucio, venne richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un
compenso in altri terreni demaniali siti in
S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.
In
questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni
beni di S. Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel
1877 siffatto Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di
S. Leucio, venne richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un
compenso in altri terreni demaniali siti in
S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.
In
questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni
beni di S. Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel
1877 siffatto Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di
S. Leucio, venne richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un
compenso in altri terreni demaniali siti in
S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.
In
questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni
beni di S. Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel
1877 siffatto Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di
S. Leucio, venne richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un
compenso in altri terreni demaniali siti in
S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.
In
questo riscontro venne pure aggregato a questa Reale Amministrazione il famoso Casino de’ Signori Buonocore in Ischia, ai quali si diedero in compenso alcuni
beni di S. Pietro ad Montes, ed altre terre di Domenicani di Maddaloni: ma nel
1877 siffatto Casino, che male a proposito era annoverato tra le proprietà di
S. Leucio, venne richiamato alla Real Casa, e fu dato all’Amministrazione: un
compenso in altri terreni demaniali siti in
S. Andrea de’ Lagni, e luoghi convicini.
Le
idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non
ebbero alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo
finalmente lasciare ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali
abbiamo fatto menzione, e che non erano stati disposti per oggetti di permute,
ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni demaniali, e vennero tolte dalle Aziende
della Real Casa.
Le
idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non
ebbero alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo
finalmente lasciare ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali
abbiamo fatto menzione, e che non erano stati disposti per oggetti di permute,
ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni demaniali, e vennero tolte dalle Aziende
della Real Casa.
Le
idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non
ebbero alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo
finalmente lasciare ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali
abbiamo fatto menzione, e che non erano stati disposti per oggetti di permute,
ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni demaniali, e vennero tolte dalle Aziende
della Real Casa.
Le
idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non
ebbero alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo
finalmente lasciare ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali
abbiamo fatto menzione, e che non erano stati disposti per oggetti di permute,
ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni demaniali, e vennero tolte dalle Aziende
della Real Casa.
Le
idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non
ebbero alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo
finalmente lasciare ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali
abbiamo fatto menzione, e che non erano stati disposti per oggetti di permute,
ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni demaniali, e vennero tolte dalle Aziende
della Real Casa.
Le
idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non
ebbero alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo
finalmente lasciare ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali
abbiamo fatto menzione, e che non erano stati disposti per oggetti di permute,
ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni demaniali, e vennero tolte dalle Aziende
della Real Casa.
Le
idee concepite da’ Francesi di rendere agraria la popolazione di S. Leucio, non
ebbero alcun sviluppo, e rimasero le cose nell’antico stato. Non dobbiamo
finalmente lasciare ignorare, che tutt’i beni di soppressi Monasteri, de’ quali
abbiamo fatto menzione, e che non erano stati disposti per oggetti di permute,
ritornarono nel 1815 alle Amministrazioni demaniali, e vennero tolte dalle Aziende
della Real Casa.
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
.................................
9
Dal 7 Giugno 1815
Ferdinando I di Borbone ritornò a
Napoli
Ultime operazioni fatte dal Re Ferdinando
I (IV di Napoli )
Dal 1815 sino alla sua morte
Il
ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla
Colonia di S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli
Agenti della Reale Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le
regole, che prima vigevano.Messo
sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render
frequenti le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a
compimento perfetto i due belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè
quello ove vi è attualmente la officina dell’incannatojo delle sete cotte colla
Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe con la tintoria.
Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua cuculliera
(dove venivano conservati i bozzoli).
Il
ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla
Colonia di S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli
Agenti della Reale Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le
regole, che prima vigevano.Messo
sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render
frequenti le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a
compimento perfetto i due belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè
quello ove vi è attualmente la officina dell’incannatojo delle sete cotte colla
Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe con la tintoria.
Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua cuculliera
(dove venivano conservati i bozzoli).
Il
ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla
Colonia di S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli
Agenti della Reale Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le
regole, che prima vigevano.Messo
sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render
frequenti le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a
compimento perfetto i due belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè
quello ove vi è attualmente la officina dell’incannatojo delle sete cotte colla
Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe con la tintoria.
Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua cuculliera
(dove venivano conservati i bozzoli).
Il
ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla
Colonia di S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli
Agenti della Reale Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le
regole, che prima vigevano.Messo
sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render
frequenti le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a
compimento perfetto i due belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè
quello ove vi è attualmente la officina dell’incannatojo delle sete cotte colla
Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe con la tintoria.
Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua cuculliera
(dove venivano conservati i bozzoli).
Il
ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla
Colonia di S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli
Agenti della Reale Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le
regole, che prima vigevano.Messo
sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render
frequenti le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a
compimento perfetto i due belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè
quello ove vi è attualmente la officina dell’incannatojo delle sete cotte colla
Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe con la tintoria.
Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua cuculliera
(dove venivano conservati i bozzoli).
Il
ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla
Colonia di S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli
Agenti della Reale Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le
regole, che prima vigevano.Messo
sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render
frequenti le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a
compimento perfetto i due belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè
quello ove vi è attualmente la officina dell’incannatojo delle sete cotte colla
Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe con la tintoria.
Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua cuculliera
(dove venivano conservati i bozzoli).
Il
ritorno glorioso del legittimo Sovrano ne’ propri Stati diede novella vita alla
Colonia di S. Leucio. Le cose furon tosto messe nello stato primiero, e gli
Agenti della Reale Amministrazione s’impiegarono a ripristinare l’ordine e le
regole, che prima vigevano.Messo
sistema agli alti affari dello Stato, incominciò il Re Ferdinando a render
frequenti le sue gite in S. Leucio. Ordinò tosto, che fossero condotte a
compimento perfetto i due belli edificj, de’ quali abbiamo testè parlato, cioè
quello ove vi è attualmente la officina dell’incannatojo delle sete cotte colla
Real cucina, e l’altro, ove vi è la fabrica delle stoffe con la tintoria.
Comandò pure che terminata si fosse la grande filanda, e la contigua cuculliera
(dove venivano conservati i bozzoli).
Tuttociò
venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di
tutto perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.I
fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere
immaginate dal Sovrano: ma nell’anno
1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di essere menzionato
in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe l’accrescimento
di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al
gran macchinario per pezzo di un rotore, spinto dalle acque, che si fecero qui
calare dal formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.A
quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno
per mercede agli uomini, che con
tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della filanda, si aggiunse il
comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della grande filanda,
e che fu immaginato per farne una
cuculliera.
Tuttociò
venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di
tutto perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.I
fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere
immaginate dal Sovrano: ma nell’anno
1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di essere menzionato
in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe l’accrescimento
di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al
gran macchinario per pezzo di un rotore, spinto dalle acque, che si fecero qui
calare dal formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.A
quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno
per mercede agli uomini, che con
tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della filanda, si aggiunse il
comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della grande filanda,
e che fu immaginato per farne una
cuculliera.
Tuttociò
venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di
tutto perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.I
fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere
immaginate dal Sovrano: ma nell’anno
1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di essere menzionato
in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe l’accrescimento
di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al
gran macchinario per pezzo di un rotore, spinto dalle acque, che si fecero qui
calare dal formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.A
quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno
per mercede agli uomini, che con
tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della filanda, si aggiunse il
comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della grande filanda,
e che fu immaginato per farne una
cuculliera.
Tuttociò
venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di
tutto perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.I
fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere
immaginate dal Sovrano: ma nell’anno
1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di essere menzionato
in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe l’accrescimento
di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al
gran macchinario per pezzo di un rotore, spinto dalle acque, che si fecero qui
calare dal formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.A
quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno
per mercede agli uomini, che con
tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della filanda, si aggiunse il
comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della grande filanda,
e che fu immaginato per farne una
cuculliera.
Tuttociò
venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di
tutto perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.I
fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere
immaginate dal Sovrano: ma nell’anno
1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di essere menzionato
in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe l’accrescimento
di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al
gran macchinario per pezzo di un rotore, spinto dalle acque, che si fecero qui
calare dal formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.A
quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno
per mercede agli uomini, che con
tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della filanda, si aggiunse il
comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della grande filanda,
e che fu immaginato per farne una
cuculliera.
Tuttociò
venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di
tutto perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.I
fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere
immaginate dal Sovrano: ma nell’anno
1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di essere menzionato
in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe l’accrescimento
di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al
gran macchinario per pezzo di un rotore, spinto dalle acque, che si fecero qui
calare dal formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.A
quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno
per mercede agli uomini, che con
tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della filanda, si aggiunse il
comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della grande filanda,
e che fu immaginato per farne una
cuculliera.
Tuttociò
venne eseguito con rapidità, e nell’anno 1819 queste fabriche erano già di
tutto perfezionate, menoche nella parte esterna, che ancora rustica vedasi.I
fastidiosi avvenimenti del 1820 posero pure qualche remora ad altre opere
immaginate dal Sovrano: ma nell’anno
1821 incominciarono esse ad avere il loro sviluppo. merita di essere menzionato
in primo luogo il prosieguo della gran filanda, la quale ebbe l’accrescimento
di una terza parte del fabricato, oltre a quello che già esisteva. È soprattutto marchevole, che s’immaginò ed eseguì il progetto di dar moto al
gran macchinario per pezzo di un rotore, spinto dalle acque, che si fecero qui
calare dal formale con i modi consigliati da’ più periti Idraulici.A
quest’opera sì bella, che risparmiare faceva la somma di ducati dieci al giorno
per mercede agli uomini, che con
tormentoso travaglio volgevano prima le ruote della filanda, si aggiunse il
comodo ed elegante edificio, che fu costruito al di sopra della grande filanda,
e che fu immaginato per farne una
cuculliera.
Furono
compiuti questi edifici nel 1823.La
collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a
quest’epoca, che un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che
fosse ridotta a delizia, e tosto fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito
amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la denominazione di montagna
delle Sallotte (?). Erano
ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra
ed in contiguità del Real Casino, e
molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. Comandò il Sovrano
che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe in
armonia cogli ornati del Real Casino. Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed
in questa occasione consentì pure il Sancio (?), che vi fosse
nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse una
iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della Colonia. La
statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella
formata da Solaro per la Città del
Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da Monsignor Lupole
Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. Leucio da lui data alla luce nel 1789.Mentre
tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica
idea già da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani
infermi. Fu scelto all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte
in Caserta, che si prese a censo dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu
accordato allo Stabilimento per dote un territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51
ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati. Dava
allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.A
questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.Il
disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava
da più tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di
moltiplicare le abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più
opportuno di stabilirle nella parte esterna, ed a tale effetto divisò di
edificare un palazzo dalla parte destra del portone di Belvedere, rimpetto
precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello Palazzo
contenere dovesse venti abitazioni.Incominciaronsi
gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle fondamenta, il tristo e penoso accidente
della subitanea morte del Sovrano paralizzò l’andamento di quest’opera.
Furono
compiuti questi edifici nel 1823.La
collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a
quest’epoca, che un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che
fosse ridotta a delizia, e tosto fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito
amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la denominazione di montagna
delle Sallotte (?). Erano
ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra
ed in contiguità del Real Casino, e
molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. Comandò il Sovrano
che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe in
armonia cogli ornati del Real Casino. Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed
in questa occasione consentì pure il Sancio (?), che vi fosse
nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse una
iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della Colonia. La
statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella
formata da Solaro per la Città del
Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da Monsignor Lupole
Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. Leucio da lui data alla luce nel 1789.Mentre
tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica
idea già da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani
infermi. Fu scelto all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte
in Caserta, che si prese a censo dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu
accordato allo Stabilimento per dote un territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51
ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati. Dava
allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.A
questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.Il
disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava
da più tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di
moltiplicare le abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più
opportuno di stabilirle nella parte esterna, ed a tale effetto divisò di
edificare un palazzo dalla parte destra del portone di Belvedere, rimpetto
precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello Palazzo
contenere dovesse venti abitazioni.Incominciaronsi
gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle fondamenta, il tristo e penoso accidente
della subitanea morte del Sovrano paralizzò l’andamento di quest’opera.
Furono
compiuti questi edifici nel 1823.La
collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a
quest’epoca, che un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che
fosse ridotta a delizia, e tosto fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito
amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la denominazione di montagna
delle Sallotte (?). Erano
ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra
ed in contiguità del Real Casino, e
molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. Comandò il Sovrano
che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe in
armonia cogli ornati del Real Casino. Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed
in questa occasione consentì pure il Sancio (?), che vi fosse
nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse una
iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della Colonia. La
statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella
formata da Solaro per la Città del
Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da Monsignor Lupole
Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. Leucio da lui data alla luce nel 1789.Mentre
tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica
idea già da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani
infermi. Fu scelto all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte
in Caserta, che si prese a censo dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu
accordato allo Stabilimento per dote un territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51
ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati. Dava
allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.A
questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.Il
disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava
da più tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di
moltiplicare le abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più
opportuno di stabilirle nella parte esterna, ed a tale effetto divisò di
edificare un palazzo dalla parte destra del portone di Belvedere, rimpetto
precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello Palazzo
contenere dovesse venti abitazioni.Incominciaronsi
gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle fondamenta, il tristo e penoso accidente
della subitanea morte del Sovrano paralizzò l’andamento di quest’opera.
Furono
compiuti questi edifici nel 1823.La
collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a
quest’epoca, che un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che
fosse ridotta a delizia, e tosto fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito
amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la denominazione di montagna
delle Sallotte (?). Erano
ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra
ed in contiguità del Real Casino, e
molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. Comandò il Sovrano
che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe in
armonia cogli ornati del Real Casino. Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed
in questa occasione consentì pure il Sancio (?), che vi fosse
nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse una
iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della Colonia. La
statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella
formata da Solaro per la Città del
Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da Monsignor Lupole
Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. Leucio da lui data alla luce nel 1789.Mentre
tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica
idea già da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani
infermi. Fu scelto all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte
in Caserta, che si prese a censo dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu
accordato allo Stabilimento per dote un territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51
ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati. Dava
allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.A
questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.Il
disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava
da più tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di
moltiplicare le abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più
opportuno di stabilirle nella parte esterna, ed a tale effetto divisò di
edificare un palazzo dalla parte destra del portone di Belvedere, rimpetto
precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello Palazzo
contenere dovesse venti abitazioni.Incominciaronsi
gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle fondamenta, il tristo e penoso accidente
della subitanea morte del Sovrano paralizzò l’andamento di quest’opera.
Furono
compiuti questi edifici nel 1823.La
collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a
quest’epoca, che un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che
fosse ridotta a delizia, e tosto fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito
amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la denominazione di montagna
delle Sallotte (?). Erano
ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra
ed in contiguità del Real Casino, e
molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. Comandò il Sovrano
che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe in
armonia cogli ornati del Real Casino. Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed
in questa occasione consentì pure il Sancio (?), che vi fosse
nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse una
iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della Colonia. La
statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella
formata da Solaro per la Città del
Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da Monsignor Lupole
Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. Leucio da lui data alla luce nel 1789.Mentre
tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica
idea già da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani
infermi. Fu scelto all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte
in Caserta, che si prese a censo dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu
accordato allo Stabilimento per dote un territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51
ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati. Dava
allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.A
questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.Il
disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava
da più tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di
moltiplicare le abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più
opportuno di stabilirle nella parte esterna, ed a tale effetto divisò di
edificare un palazzo dalla parte destra del portone di Belvedere, rimpetto
precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello Palazzo
contenere dovesse venti abitazioni.Incominciaronsi
gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle fondamenta, il tristo e penoso accidente
della subitanea morte del Sovrano paralizzò l’andamento di quest’opera.
Furono
compiuti questi edifici nel 1823.La
collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a
quest’epoca, che un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che
fosse ridotta a delizia, e tosto fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito
amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la denominazione di montagna
delle Sallotte (?). Erano
ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra
ed in contiguità del Real Casino, e
molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. Comandò il Sovrano
che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe in
armonia cogli ornati del Real Casino. Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed
in questa occasione consentì pure il Sancio (?), che vi fosse
nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse una
iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della Colonia. La
statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella
formata da Solaro per la Città del
Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da Monsignor Lupole
Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. Leucio da lui data alla luce nel 1789.Mentre
tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica
idea già da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani
infermi. Fu scelto all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte
in Caserta, che si prese a censo dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu
accordato allo Stabilimento per dote un territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51
ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati. Dava
allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.A
questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.Il
disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava
da più tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di
moltiplicare le abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più
opportuno di stabilirle nella parte esterna, ed a tale effetto divisò di
edificare un palazzo dalla parte destra del portone di Belvedere, rimpetto
precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello Palazzo
contenere dovesse venti abitazioni.Incominciaronsi
gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle fondamenta, il tristo e penoso accidente
della subitanea morte del Sovrano paralizzò l’andamento di quest’opera.
Furono
compiuti questi edifici nel 1823.La
collina, sulla quale poggiava la gran filanda non presentava fino a
quest’epoca, che un luogo alpestre, pieno di macchie e spine. Volle il Re che
fosse ridotta a delizia, e tosto fu eseguito. Scorgiamo ora questo sito
amenissimo fornito di belle piante e fiori, sotto la denominazione di montagna
delle Sallotte (?). Erano
ancor rustiche, come abbiamo detto, le facciate degli edifici messi alla destra
ed in contiguità del Real Casino, e
molto sfregio recavano alla bellezza del fabricato. Comandò il Sovrano
che si fossero decorate con intonaco e stucco, e che si fossero messe in
armonia cogli ornati del Real Casino. Fu questo eseguito anche nel corso del 1823 ed
in questa occasione consentì pure il Sancio (?), che vi fosse
nella prospettiva situata una statua, sotto della quale si trovasse una
iscrizione, che contenere dovesse in iscorcio la memoria della fondazione della Colonia. La
statua, per brevità di tempo, fu costruita in stucco, su disegno di quella
formata da Solaro per la Città del
Pizzo, e la iscrizione su quella, ch’era stata già composta da Monsignor Lupole
Vescove di Cerreto, e che vedesi in fine della versione delle leggi di S. Leucio da lui data alla luce nel 1789.Mentre
tali cose eseguivansi, colle il Re che si fosse menata ad effetto la benefica
idea già da molti anni da lui concepita di stabilire un ospedale per i leuciani
infermi. Fu scelto all’uopo il locale del soppresso Convento de’ SS. Paolotte
in Caserta, che si prese a censo dal Patrimonio Regolare, ed in pari tempo fu
accordato allo Stabilimento per dote un territorio di moggia 152 (514.879 mq = 51
ha, 48 a, 79 ca), sito a Vitucalaio (Vitulazio),e che apparteneva all’Amministrazione di beni riservati. Dava
allora allora questo territorio una rendita di annui D: 600.A
questa dote fu aggiunto un pingue corredo per circa trenta infermi.Il
disegno di riunire tutti gl’Individui della Colonia in un sol luogo, occupava
da più tempo i pensieri del Re Ferdinando. Persuaso che non convenisse di
moltiplicare le abitazioni nell’interno del Real Sito, credè che fosse più
opportuno di stabilirle nella parte esterna, ed a tale effetto divisò di
edificare un palazzo dalla parte destra del portone di Belvedere, rimpetto
precisamente a quello denominato della Trattoria. Questo novello Palazzo
contenere dovesse venti abitazioni.Incominciaronsi
gli ammassimenti de’ materiali, e quando era per porvi mano alle fondamenta, il tristo e penoso accidente
della subitanea morte del Sovrano paralizzò l’andamento di quest’opera.
Il
dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il
Benefattore piucche (più che)
il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, della di lui
liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del
suo Augusto Padre. Nel
Confermare tutto ciò che di grazioso
praticavasi dal defundo Re Ferdinando, applicossi il novello Sovrano a
stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad
aggiungere ornamenti e delizie al Real Sito.Una
distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e
1826.
Il
dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il
Benefattore piucche (più che)
il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, della di lui
liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del
suo Augusto Padre. Nel
Confermare tutto ciò che di grazioso
praticavasi dal defundo Re Ferdinando, applicossi il novello Sovrano a
stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad
aggiungere ornamenti e delizie al Real Sito.Una
distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e
1826.
Il
dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il
Benefattore piucche (più che)
il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, della di lui
liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del
suo Augusto Padre. Nel
Confermare tutto ciò che di grazioso
praticavasi dal defundo Re Ferdinando, applicossi il novello Sovrano a
stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad
aggiungere ornamenti e delizie al Real Sito.Una
distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e
1826.
Il
dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il
Benefattore piucche (più che)
il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, della di lui
liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del
suo Augusto Padre. Nel
Confermare tutto ciò che di grazioso
praticavasi dal defundo Re Ferdinando, applicossi il novello Sovrano a
stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad
aggiungere ornamenti e delizie al Real Sito.Una
distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e
1826.
Il
dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il
Benefattore piucche (più che)
il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, della di lui
liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del
suo Augusto Padre. Nel
Confermare tutto ciò che di grazioso
praticavasi dal defundo Re Ferdinando, applicossi il novello Sovrano a
stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad
aggiungere ornamenti e delizie al Real Sito.Una
distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e
1826.
Il
dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il
Benefattore piucche (più che)
il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, della di lui
liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del
suo Augusto Padre. Nel
Confermare tutto ciò che di grazioso
praticavasi dal defundo Re Ferdinando, applicossi il novello Sovrano a
stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad
aggiungere ornamenti e delizie al Real Sito.Una
distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e
1826.
Il
dolore de’ Leuciani per un avvenimento che loro toglieva il Padre ed il
Benefattore piucche (più che)
il Sovrano, su addolato da’ modi clementissimi del Re Francesco I, della di lui
liberalità, e dal proposito da lui spiegato di voler seguire i disegni del
suo Augusto Padre. Nel
Confermare tutto ciò che di grazioso
praticavasi dal defundo Re Ferdinando, applicossi il novello Sovrano a
stabilire meglio la sorte de’ Leuciani, e ad
aggiungere ornamenti e delizie al Real Sito.Una
distribuzione più opportuna de’ locali del Real Casino di Belvedere fu la prima opera disposta dal Re Francesco, e sollecitamente eseguita negli anni 1825 e
1826.
Francesco I di
Borbone
(Francesco Gennaro
Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto
1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent
Lòpez Portana
(Valencia, 19
settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su
tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Francesco I di
Borbone
(Francesco Gennaro
Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto
1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent
Lòpez Portana
(Valencia, 19
settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su
tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Francesco I di
Borbone
(Francesco Gennaro
Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto
1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent
Lòpez Portana
(Valencia, 19
settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su
tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Francesco I di
Borbone
(Francesco Gennaro
Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto
1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent
Lòpez Portana
(Valencia, 19
settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su
tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Francesco I di
Borbone
(Francesco Gennaro
Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto
1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent
Lòpez Portana
(Valencia, 19
settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su
tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Francesco I di
Borbone
(Francesco Gennaro
Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto
1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent
Lòpez Portana
(Valencia, 19
settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su
tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Francesco I di
Borbone
(Francesco Gennaro
Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto
1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent
Lòpez Portana
(Valencia, 19
settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su
tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
(Francesco Gennaro Giuseppe Saverio Giovanni Battista)
(Napoli, 19 agosto 1777 – Napoli, 8 novembre 1830)
Artista: Viccent Lòpez Portana
(Valencia, 19 settembre 1772 – Madrid, 22 luglio 1850)
Pittura: olio su tela – datazione: 1829 – Misure ( 112 x 80 ) cm
Collocazione : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Si
pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo
stato. In parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.Fu
rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione
de’ vini. Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve
castagnali, e con ispezialità quelle messe nella parte settentrionale
delle Montagne della Rocca. Vennero rese
carrozzabili le strade interne del bosco. Furono rinovati e ristorati i muri di circuito, e
finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giuge comodamente sino al bosco, mettendo capo
nell’altra detta del formale. Tutti
questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere, han messo il Real Sito in uno stato
lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.Altri
divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar coll’arte un maggior rilievo alle bellezze
naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la
coltivazione delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.
Si
pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo
stato. In parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.Fu
rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione
de’ vini. Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve
castagnali, e con ispezialità quelle messe nella parte settentrionale
delle Montagne della Rocca. Vennero rese
carrozzabili le strade interne del bosco. Furono rinovati e ristorati i muri di circuito, e
finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giuge comodamente sino al bosco, mettendo capo
nell’altra detta del formale. Tutti
questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere, han messo il Real Sito in uno stato
lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.Altri
divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar coll’arte un maggior rilievo alle bellezze
naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la
coltivazione delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.
Si
pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo
stato. In parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.Fu
rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione
de’ vini. Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve
castagnali, e con ispezialità quelle messe nella parte settentrionale
delle Montagne della Rocca. Vennero rese
carrozzabili le strade interne del bosco. Furono rinovati e ristorati i muri di circuito, e
finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giuge comodamente sino al bosco, mettendo capo
nell’altra detta del formale. Tutti
questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere, han messo il Real Sito in uno stato
lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.Altri
divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar coll’arte un maggior rilievo alle bellezze
naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la
coltivazione delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.
Si
pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo
stato. In parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.Fu
rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione
de’ vini. Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve
castagnali, e con ispezialità quelle messe nella parte settentrionale
delle Montagne della Rocca. Vennero rese
carrozzabili le strade interne del bosco. Furono rinovati e ristorati i muri di circuito, e
finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giuge comodamente sino al bosco, mettendo capo
nell’altra detta del formale. Tutti
questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere, han messo il Real Sito in uno stato
lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.Altri
divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar coll’arte un maggior rilievo alle bellezze
naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la
coltivazione delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.
Si
pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo
stato. In parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.Fu
rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione
de’ vini. Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve
castagnali, e con ispezialità quelle messe nella parte settentrionale
delle Montagne della Rocca. Vennero rese
carrozzabili le strade interne del bosco. Furono rinovati e ristorati i muri di circuito, e
finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giuge comodamente sino al bosco, mettendo capo
nell’altra detta del formale. Tutti
questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere, han messo il Real Sito in uno stato
lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.Altri
divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar coll’arte un maggior rilievo alle bellezze
naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la
coltivazione delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.
Si
pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo
stato. In parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.Fu
rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione
de’ vini. Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve
castagnali, e con ispezialità quelle messe nella parte settentrionale
delle Montagne della Rocca. Vennero rese
carrozzabili le strade interne del bosco. Furono rinovati e ristorati i muri di circuito, e
finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giuge comodamente sino al bosco, mettendo capo
nell’altra detta del formale. Tutti
questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere, han messo il Real Sito in uno stato
lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.Altri
divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar coll’arte un maggior rilievo alle bellezze
naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la
coltivazione delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.
Si
pose quindi mano alla rifazione del vecchio Casino, che trovavasi in pessimo
stato. In parimenti riattato ed abbellito il Casino di S. Silvestro.Fu
rinovellata la cantina, ed ivi aggiunta una decente officina per la formazione
de’ vini. Furono migliorate ed ampliate le vigne, ugualmente che le selve
castagnali, e con ispezialità quelle messe nella parte settentrionale
delle Montagne della Rocca. Vennero rese
carrozzabili le strade interne del bosco. Furono rinovati e ristorati i muri di circuito, e
finalmente venne formata un ampia strada, per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giuge comodamente sino al bosco, mettendo capo
nell’altra detta del formale. Tutti
questi miglioramenti, aggiunzioni, e nuove opere, han messo il Real Sito in uno stato
lodevolissimo, e tale da formar l’ammirazione de’ Forestiere.Altri
divisamente ha concepito il.... (Sovrano ?) dar coll’arte un maggior rilievo alle bellezze
naturali, ed all’amenità del sito istesso per rendere più proficua la
coltivazione delle terre, e per renderne i prodotti più pregevoli”.
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.........................................................
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11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori
di San Leucio –
Il
Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione
francese.
11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori
di San Leucio –
Il
Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione
francese.
11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori
di San Leucio –
Il
Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione
francese.
11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori
di San Leucio –
Il
Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione
francese.
11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori
di San Leucio –
Il
Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione
francese.
11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori
di San Leucio –
Il
Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione
francese.
11. Gli aspetti tecnici della produzione – Gli Amministratori
di San Leucio –
Il
Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta durante l’occupazione
francese.
Il Tradimento dell’amministratore Cosmi ? – La produzione di seta
In merito agli aspetti tecnici della produzione di San
Leucio , nel 1790 Giuseppe MariaGalanti (economista) scrisse che..«Non veniva
risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più
vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a
ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».
In merito agli aspetti tecnici della produzione di San
Leucio , nel 1790 Giuseppe MariaGalanti (economista) scrisse che..«Non veniva
risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più
vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a
ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».
In merito agli aspetti tecnici della produzione di San
Leucio , nel 1790 Giuseppe MariaGalanti (economista) scrisse che..«Non veniva
risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più
vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a
ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».
In merito agli aspetti tecnici della produzione di San
Leucio , nel 1790 Giuseppe MariaGalanti (economista) scrisse che..«Non veniva
risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più
vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a
ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».
In merito agli aspetti tecnici della produzione di San
Leucio , nel 1790 Giuseppe MariaGalanti (economista) scrisse che..«Non veniva
risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più
vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a
ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».
In merito agli aspetti tecnici della produzione di San
Leucio , nel 1790 Giuseppe MariaGalanti (economista) scrisse che..«Non veniva
risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più
vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a
ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».
In merito agli aspetti tecnici della produzione di San
Leucio , nel 1790 Giuseppe MariaGalanti (economista) scrisse che..«Non veniva
risparmiata nessuna spesa per migliorarla con nuovi macchinari e sistemi più
vantaggiosi ed ha ora raggiunto un livello così alto che può venir paragonata a
ciò che vi è di meglio in altri paesi stranieri».
Rossella
Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che«L'aggiornamento
delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, comunque,
gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito alla
possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già
adottati con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello
del cavalletto alla piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano
per la trattura di San Leucio, mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno
seguente. I primi impianti all'interno del Belvedere furono, invece, realizzati
a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si decise di stabilire
nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai per
le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al
processo produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di
manodopera sempre più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da
frequenti inviti ad insigni maestri stranieri affinché offrissero il proprio
prezioso contributo nella direzione e nel coordinamento dei diversi settori
della produzione»
Rossella
Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che«L'aggiornamento
delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, comunque,
gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito alla
possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già
adottati con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello
del cavalletto alla piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano
per la trattura di San Leucio, mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno
seguente. I primi impianti all'interno del Belvedere furono, invece, realizzati
a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si decise di stabilire
nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai per
le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al
processo produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di
manodopera sempre più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da
frequenti inviti ad insigni maestri stranieri affinché offrissero il proprio
prezioso contributo nella direzione e nel coordinamento dei diversi settori
della produzione»
Rossella
Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che«L'aggiornamento
delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, comunque,
gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito alla
possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già
adottati con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello
del cavalletto alla piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano
per la trattura di San Leucio, mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno
seguente. I primi impianti all'interno del Belvedere furono, invece, realizzati
a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si decise di stabilire
nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai per
le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al
processo produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di
manodopera sempre più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da
frequenti inviti ad insigni maestri stranieri affinché offrissero il proprio
prezioso contributo nella direzione e nel coordinamento dei diversi settori
della produzione»
Rossella
Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che«L'aggiornamento
delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, comunque,
gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito alla
possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già
adottati con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello
del cavalletto alla piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano
per la trattura di San Leucio, mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno
seguente. I primi impianti all'interno del Belvedere furono, invece, realizzati
a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si decise di stabilire
nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai per
le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al
processo produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di
manodopera sempre più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da
frequenti inviti ad insigni maestri stranieri affinché offrissero il proprio
prezioso contributo nella direzione e nel coordinamento dei diversi settori
della produzione»
Rossella
Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che«L'aggiornamento
delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, comunque,
gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito alla
possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già
adottati con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello
del cavalletto alla piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano
per la trattura di San Leucio, mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno
seguente. I primi impianti all'interno del Belvedere furono, invece, realizzati
a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si decise di stabilire
nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai per
le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al
processo produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di
manodopera sempre più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da
frequenti inviti ad insigni maestri stranieri affinché offrissero il proprio
prezioso contributo nella direzione e nel coordinamento dei diversi settori
della produzione»
Rossella
Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che«L'aggiornamento
delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, comunque,
gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito alla
possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già
adottati con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello
del cavalletto alla piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano
per la trattura di San Leucio, mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno
seguente. I primi impianti all'interno del Belvedere furono, invece, realizzati
a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si decise di stabilire
nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai per
le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al
processo produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di
manodopera sempre più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da
frequenti inviti ad insigni maestri stranieri affinché offrissero il proprio
prezioso contributo nella direzione e nel coordinamento dei diversi settori
della produzione»
Rossella
Rinaldi, in merito alla produzione della seta a San Leucio, affermò che«L'aggiornamento
delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di filatura si verificò, comunque,
gradualmente e soltanto in seguito ad un intenso studio condotto in merito alla
possibilità di applicazione nel Mezzogiorno dei criteri e dei macchinari già
adottati con successo in Piemonte. In particolare, nel 1781 giunse il modello
del cavalletto alla piemontese, sulla cui scorta fu realizzato il primo mangano
per la trattura di San Leucio, mentre i modelli dei telai arrivarono l'anno
seguente. I primi impianti all'interno del Belvedere furono, invece, realizzati
a partire dal 1783, quando, dopo vari sondaggi, si decise di stabilire
nell'antico palazzo cinquecentesco il filatoio e, successivamente, i telai per
le stoffe. La sperimentazione delle tecniche e dei macchinari più idonei al
processo produttivo fu, peraltro, costantemente accompagnata dalla ricerca di
manodopera sempre più qualificata da impiegare nell'opificio, nonché da
frequenti inviti ad insigni maestri stranieri affinché offrissero il proprio
prezioso contributo nella direzione e nel coordinamento dei diversi settori
della produzione»
La
stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio«come un secolo
prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie
all'introduzione del telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto
straordinaria, messa a punto dal francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con
estrema rapidità, di eseguire i più complessi tessuti operati, senza le
consuete complicanze di licci e pedali […]. La rivoluzionaria tecnica di
filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, persuadendo
dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai
jacquard per il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la
realizzazione di tappeti»
La
stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio«come un secolo
prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie
all'introduzione del telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto
straordinaria, messa a punto dal francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con
estrema rapidità, di eseguire i più complessi tessuti operati, senza le
consuete complicanze di licci e pedali […]. La rivoluzionaria tecnica di
filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, persuadendo
dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai
jacquard per il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la
realizzazione di tappeti»
La
stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio«come un secolo
prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie
all'introduzione del telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto
straordinaria, messa a punto dal francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con
estrema rapidità, di eseguire i più complessi tessuti operati, senza le
consuete complicanze di licci e pedali […]. La rivoluzionaria tecnica di
filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, persuadendo
dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai
jacquard per il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la
realizzazione di tappeti»
La
stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio«come un secolo
prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie
all'introduzione del telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto
straordinaria, messa a punto dal francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con
estrema rapidità, di eseguire i più complessi tessuti operati, senza le
consuete complicanze di licci e pedali […]. La rivoluzionaria tecnica di
filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, persuadendo
dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai
jacquard per il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la
realizzazione di tappeti»
La
stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio«come un secolo
prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie
all'introduzione del telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto
straordinaria, messa a punto dal francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con
estrema rapidità, di eseguire i più complessi tessuti operati, senza le
consuete complicanze di licci e pedali […]. La rivoluzionaria tecnica di
filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, persuadendo
dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai
jacquard per il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la
realizzazione di tappeti»
La
stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio«come un secolo
prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie
all'introduzione del telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto
straordinaria, messa a punto dal francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con
estrema rapidità, di eseguire i più complessi tessuti operati, senza le
consuete complicanze di licci e pedali […]. La rivoluzionaria tecnica di
filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, persuadendo
dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai
jacquard per il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la
realizzazione di tappeti»
La
stessa prof. Rinaldi si soffermò anche sui macchinari utilizzati a San Leucio«come un secolo
prima il filatoio alla piemontese aveva rivoluzionato il sistema della trattura, ora la tessitura subiva una completa trasformazione grazie
all'introduzione del telaio jacquard. Si trattava di una macchina affatto
straordinaria, messa a punto dal francese Giuseppe Maria Jacquard e capace, con
estrema rapidità, di eseguire i più complessi tessuti operati, senza le
consuete complicanze di licci e pedali […]. La rivoluzionaria tecnica di
filatura ebbe riscontri positivi sin dalle prime applicazioni, persuadendo
dell'opportunità di un suo più diffuso impiego, al punto che, sotto il regno di Ferdinando II, lo stabilimento leuciano arrivò a contare quattordici telai
jacquard per il confezionamento di scialli e stoffe operate e ben dodici per la
realizzazione di tappeti»
La
fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri. Avevano due botteghe: una accanto alla
fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente trasferita
in Via Toledo.La
storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:-
Dal
1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura
all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di
stoffe per abbigliamento;-
Dal
1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella
realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;-
Dal
1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi
di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della
tessitura jacquard, ma anche ai
cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del
XIX secoloLa
crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed
aggravarsi in rapporto alle vicende politiche successive.Nel
1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una
manifattura di pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu
un’iniziativa che mise addirittura a
rischio la sopravvivenza della stessa colonia.Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due
Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 all’8 novembre 1830), l’aveva concessa
per dodici anni all’impresario de Welz che abbandonò l’impegno per il
disinteresse completo della corona.Nel
1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie) decise di
costituire una società insieme a dei privati
( Luigi Wallin e Pietro Maranda) che la gestirono per anni fino
all’Unità d’Italia.La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina
di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per la rinascita della colonia di San
Leucio creando anche un nuovo Statuto.
La sovrana fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua
carità mostrata verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina
nel 1836, all’età di 24 anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi
sulla colonia tanto che il sovrano la diede in affitto.
La
fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri. Avevano due botteghe: una accanto alla
fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente trasferita
in Via Toledo.La
storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:-
Dal
1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura
all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di
stoffe per abbigliamento;-
Dal
1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella
realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;-
Dal
1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi
di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della
tessitura jacquard, ma anche ai
cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del
XIX secoloLa
crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed
aggravarsi in rapporto alle vicende politiche successive.Nel
1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una
manifattura di pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu
un’iniziativa che mise addirittura a
rischio la sopravvivenza della stessa colonia.Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due
Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 all’8 novembre 1830), l’aveva concessa
per dodici anni all’impresario de Welz che abbandonò l’impegno per il
disinteresse completo della corona.Nel
1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie) decise di
costituire una società insieme a dei privati
( Luigi Wallin e Pietro Maranda) che la gestirono per anni fino
all’Unità d’Italia.La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina
di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per la rinascita della colonia di San
Leucio creando anche un nuovo Statuto.
La sovrana fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua
carità mostrata verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina
nel 1836, all’età di 24 anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi
sulla colonia tanto che il sovrano la diede in affitto.
La
fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri. Avevano due botteghe: una accanto alla
fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente trasferita
in Via Toledo.La
storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:-
Dal
1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura
all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di
stoffe per abbigliamento;-
Dal
1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella
realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;-
Dal
1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi
di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della
tessitura jacquard, ma anche ai
cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del
XIX secoloLa
crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed
aggravarsi in rapporto alle vicende politiche successive.Nel
1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una
manifattura di pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu
un’iniziativa che mise addirittura a
rischio la sopravvivenza della stessa colonia.Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due
Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 all’8 novembre 1830), l’aveva concessa
per dodici anni all’impresario de Welz che abbandonò l’impegno per il
disinteresse completo della corona.Nel
1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie) decise di
costituire una società insieme a dei privati
( Luigi Wallin e Pietro Maranda) che la gestirono per anni fino
all’Unità d’Italia.La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina
di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per la rinascita della colonia di San
Leucio creando anche un nuovo Statuto.
La sovrana fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua
carità mostrata verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina
nel 1836, all’età di 24 anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi
sulla colonia tanto che il sovrano la diede in affitto.
La
fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri. Avevano due botteghe: una accanto alla
fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente trasferita
in Via Toledo.La
storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:-
Dal
1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura
all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di
stoffe per abbigliamento;-
Dal
1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella
realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;-
Dal
1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi
di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della
tessitura jacquard, ma anche ai
cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del
XIX secoloLa
crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed
aggravarsi in rapporto alle vicende politiche successive.Nel
1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una
manifattura di pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu
un’iniziativa che mise addirittura a
rischio la sopravvivenza della stessa colonia.Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due
Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 all’8 novembre 1830), l’aveva concessa
per dodici anni all’impresario de Welz che abbandonò l’impegno per il
disinteresse completo della corona.Nel
1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie) decise di
costituire una società insieme a dei privati
( Luigi Wallin e Pietro Maranda) che la gestirono per anni fino
all’Unità d’Italia.La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina
di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per la rinascita della colonia di San
Leucio creando anche un nuovo Statuto.
La sovrana fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua
carità mostrata verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina
nel 1836, all’età di 24 anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi
sulla colonia tanto che il sovrano la diede in affitto.
La
fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri. Avevano due botteghe: una accanto alla
fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente trasferita
in Via Toledo.La
storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:-
Dal
1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura
all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di
stoffe per abbigliamento;-
Dal
1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella
realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;-
Dal
1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi
di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della
tessitura jacquard, ma anche ai
cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del
XIX secoloLa
crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed
aggravarsi in rapporto alle vicende politiche successive.Nel
1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una
manifattura di pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu
un’iniziativa che mise addirittura a
rischio la sopravvivenza della stessa colonia.Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due
Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 all’8 novembre 1830), l’aveva concessa
per dodici anni all’impresario de Welz che abbandonò l’impegno per il
disinteresse completo della corona.Nel
1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie) decise di
costituire una società insieme a dei privati
( Luigi Wallin e Pietro Maranda) che la gestirono per anni fino
all’Unità d’Italia.La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina
di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per la rinascita della colonia di San
Leucio creando anche un nuovo Statuto.
La sovrana fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua
carità mostrata verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina
nel 1836, all’età di 24 anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi
sulla colonia tanto che il sovrano la diede in affitto.
La
fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri. Avevano due botteghe: una accanto alla
fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente trasferita
in Via Toledo.La
storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:-
Dal
1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura
all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di
stoffe per abbigliamento;-
Dal
1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella
realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;-
Dal
1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi
di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della
tessitura jacquard, ma anche ai
cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del
XIX secoloLa
crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed
aggravarsi in rapporto alle vicende politiche successive.Nel
1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una
manifattura di pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu
un’iniziativa che mise addirittura a
rischio la sopravvivenza della stessa colonia.Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due
Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 all’8 novembre 1830), l’aveva concessa
per dodici anni all’impresario de Welz che abbandonò l’impegno per il
disinteresse completo della corona.Nel
1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie) decise di
costituire una società insieme a dei privati
( Luigi Wallin e Pietro Maranda) che la gestirono per anni fino
all’Unità d’Italia.La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina
di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per la rinascita della colonia di San
Leucio creando anche un nuovo Statuto.
La sovrana fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua
carità mostrata verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina
nel 1836, all’età di 24 anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi
sulla colonia tanto che il sovrano la diede in affitto.
La
fama della produzione di San Leucio trova la sua conferma nell’esportazione dei suoi prodotti nella maggioranza delle nazioni stranieri. Avevano due botteghe: una accanto alla
fabbrica e l’altra a Napoli in via Sedile di Porto e successivamente trasferita
in Via Toledo.La
storia produttiva dell’attività si potrebbe suddividere in tre periodi:-
Dal
1776 al 1789, caratterizzato dall'applicazione del nuovo metodo della trattura
all'organzino e, dunque, dalla creazione, per la prima volta, di veli e di
stoffe per abbigliamento;-
Dal
1789 al 1799, segnato da una sempre maggiore specializzazione nella
realizzazione dei tessuti per abiti e per parati;-
Dal
1799 al 1862, durante il quale si assisté alla rapida diffusione di nuovi tipi
di stoffe grazie all'introduzione ed al progressivo perfezionamento della
tessitura jacquard, ma anche ai
cambiamenti della moda imposti dall'epoca napoleonica e dalle rivoluzioni del
XIX secoloLa
crisi di questa industria iniziò con i moti del 1799, per proseguire ed
aggravarsi in rapporto alle vicende politiche successive.Nel
1826, su ordine del cardinale Fabrizio Ruffo si decise di aprire una
manifattura di pellame che non riuscì a raggiungere il successo desiderato. Fu
un’iniziativa che mise addirittura a
rischio la sopravvivenza della stessa colonia.Francesco I di Borbone, (Francesco I delle Due
Sicilie) (in carica dal 4 gennaio 1825 all’8 novembre 1830), l’aveva concessa
per dodici anni all’impresario de Welz che abbandonò l’impegno per il
disinteresse completo della corona.Nel
1834 Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle Due Sicilie) decise di
costituire una società insieme a dei privati
( Luigi Wallin e Pietro Maranda) che la gestirono per anni fino
all’Unità d’Italia.La moglie del sovrano, la Beata Maria Cristina
di Savoia, nel 1833 s’era adoperata per la rinascita della colonia di San
Leucio creando anche un nuovo Statuto.
La sovrana fu dichiarata Beata dalla Chiesa proprio per il suo amore e la sua
carità mostrata verso i deboli, gli emarginati , i poveri. La morte della regina
nel 1836, all’età di 24 anni e a causa del parto, determinò una nuova crisi
sulla colonia tanto che il sovrano la diede in affitto.
Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
Ritratto della Beata Maria Cristina di Savoia
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
Autore: Ignoto – Collocazione : Ignota
La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina
di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo
regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto
pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina
di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo
regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto
pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina
di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo
regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto
pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina
di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo
regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto
pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina
di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo
regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto
pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina
di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo
regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto
pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
La Cappella dei Borboni
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina
di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo
regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto
pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
Basilica di Santa Chiara – Napoli
Il sarcofago contiene le spoglie della Beata Maria Cristina di Savoia
Quando morì diede alla luce il futuro Francesco II, ultimo regnante delle
Due Sicilie. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto pellegrinaggio per rivedere, per
l’ultima volta, la grande ed amata sovrana.
(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, nei suoi
diari, che Ferdinando I usava la
manifattura per appagare i suoi appetiti sessuali. Il re aveva raccolto a San
Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle ragazze del territorio, e
queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro riconoscenza per
l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri
figli decretando che i maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e
le donne avrebbero avuto una dote di cinquecento franchi.....Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il
sovrano era Ferdinando II e non Ferdinando I come riporta la citazione).
Fli
Amministratori di S. Leucio
(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, nei suoi
diari, che Ferdinando I usava la
manifattura per appagare i suoi appetiti sessuali. Il re aveva raccolto a San
Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle ragazze del territorio, e
queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro riconoscenza per
l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri
figli decretando che i maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e
le donne avrebbero avuto una dote di cinquecento franchi.....Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il
sovrano era Ferdinando II e non Ferdinando I come riporta la citazione).
Fli
Amministratori di S. Leucio
(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, nei suoi
diari, che Ferdinando I usava la
manifattura per appagare i suoi appetiti sessuali. Il re aveva raccolto a San
Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle ragazze del territorio, e
queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro riconoscenza per
l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri
figli decretando che i maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e
le donne avrebbero avuto una dote di cinquecento franchi.....Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il
sovrano era Ferdinando II e non Ferdinando I come riporta la citazione).
Fli
Amministratori di S. Leucio
(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, nei suoi
diari, che Ferdinando I usava la
manifattura per appagare i suoi appetiti sessuali. Il re aveva raccolto a San
Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle ragazze del territorio, e
queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro riconoscenza per
l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri
figli decretando che i maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e
le donne avrebbero avuto una dote di cinquecento franchi.....Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il
sovrano era Ferdinando II e non Ferdinando I come riporta la citazione).
Fli
Amministratori di S. Leucio
(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, nei suoi
diari, che Ferdinando I usava la
manifattura per appagare i suoi appetiti sessuali. Il re aveva raccolto a San
Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle ragazze del territorio, e
queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro riconoscenza per
l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri
figli decretando che i maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e
le donne avrebbero avuto una dote di cinquecento franchi.....Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il
sovrano era Ferdinando II e non Ferdinando I come riporta la citazione).
Fli
Amministratori di S. Leucio
(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, nei suoi
diari, che Ferdinando I usava la
manifattura per appagare i suoi appetiti sessuali. Il re aveva raccolto a San
Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle ragazze del territorio, e
queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro riconoscenza per
l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri
figli decretando che i maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e
le donne avrebbero avuto una dote di cinquecento franchi.....Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il
sovrano era Ferdinando II e non Ferdinando I come riporta la citazione).
Fli
Amministratori di S. Leucio
(una fonte riporta come Alessandro Dumas visitò la filanda di San Leucio e raccontò, nei suoi
diari, che Ferdinando I usava la
manifattura per appagare i suoi appetiti sessuali. Il re aveva raccolto a San
Leucio, come lavoratrici dei telai, le più belle ragazze del territorio, e
queste ragazze dimostravano “in ogni modo la loro riconoscenza per
l’affetto” del re sino al punto che “nacque tutta una popolazione di piccoli filatori e di piccole filatrici”, che il re trattò come propri
figli decretando che i maschi sarebbero stati esentati dal servizio militare e
le donne avrebbero avuto una dote di cinquecento franchi.....Alessandro Dumas giunse in Sicilia nel 1835 quando il
sovrano era Ferdinando II e non Ferdinando I come riporta la citazione).
Fli
Amministratori di S. Leucio
Fli
Amministratori di S. Leucio
Né
primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non
ebbe un Intendente, ossia un Amministratore.Don
Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli
ordini del Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle
nuove opere, che ivi si eseguivano. I favori accordati a questo Individuo
furono un chiaro segno del zelo che poneva nel servizio.Incominciata
in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni
particolari, fu d’uopo destinare un particolare Amministratore; e fu questi il Principe di Tarsia (Gennaro
Spinelli ?),
a cui si diede il titolo di Soprintendente. Spiacevoli
circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte aveva
meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo
fu serrogato (surrogato, sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria
di Casa Reale, uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle
manifatture. (il Principe Spinelli
dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di ambasciatore e destituito forse per le sue idee politiche. Infatti
successivamente troveremo un Gennaro
Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della Repubblica
Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe Bonaparte.
Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie nel 1810).Questo
accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli affari, basò il setificio sopra il
migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con una esatta contabilità,
e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.Molto
severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che operarono la sua rovina.Egli
fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del
Re, verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera
precedente la loro entrata in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del
Volturno. In quel frangente accadde qualcosa di strano. Sembra che il
Sovrintendente della Colonia, Domenico
Cosmi, abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali francesi per la consegna della stessa Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere
della Trattoria.Gli accusatori del Cosmi,
che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, considerarono il
suo gesto come un alto tradimento.Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente,
affermando di aver voluto evitare un terribile spargimento di sangue vista
l’inutilità di uno scontro armato per la grande disparità delle forze militari.I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non
trovarono che qualche calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via
dagli stessi cittadini che si erano dati alla fuga già da diversi giorni.Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione
davanti ad un notaio e firmata da 139 persone e una firma era con il segno
della Croce.Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a
queste accuse e la conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi
collaboratori che naturalmente persero tutti gli importanti incarichi.....
incarichi che, guarda caso, passarono nelle mani degli accusatori.....Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri
giorni dato quello che avviene nella
scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle leggi pur non avendo un grande seguito...
Né
primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non
ebbe un Intendente, ossia un Amministratore.Don
Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli
ordini del Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle
nuove opere, che ivi si eseguivano. I favori accordati a questo Individuo
furono un chiaro segno del zelo che poneva nel servizio.Incominciata
in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni
particolari, fu d’uopo destinare un particolare Amministratore; e fu questi il Principe di Tarsia (Gennaro
Spinelli ?),
a cui si diede il titolo di Soprintendente. Spiacevoli
circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte aveva
meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo
fu serrogato (surrogato, sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria
di Casa Reale, uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle
manifatture. (il Principe Spinelli
dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di ambasciatore e destituito forse per le sue idee politiche. Infatti
successivamente troveremo un Gennaro
Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della Repubblica
Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe Bonaparte.
Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie nel 1810).Questo
accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli affari, basò il setificio sopra il
migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con una esatta contabilità,
e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.Molto
severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che operarono la sua rovina.Egli
fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del
Re, verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera
precedente la loro entrata in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del
Volturno. In quel frangente accadde qualcosa di strano. Sembra che il
Sovrintendente della Colonia, Domenico
Cosmi, abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali francesi per la consegna della stessa Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere
della Trattoria.Gli accusatori del Cosmi,
che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, considerarono il
suo gesto come un alto tradimento.Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente,
affermando di aver voluto evitare un terribile spargimento di sangue vista
l’inutilità di uno scontro armato per la grande disparità delle forze militari.I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non
trovarono che qualche calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via
dagli stessi cittadini che si erano dati alla fuga già da diversi giorni.Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione
davanti ad un notaio e firmata da 139 persone e una firma era con il segno
della Croce.Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a
queste accuse e la conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi
collaboratori che naturalmente persero tutti gli importanti incarichi.....
incarichi che, guarda caso, passarono nelle mani degli accusatori.....Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri
giorni dato quello che avviene nella
scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle leggi pur non avendo un grande seguito...
Né
primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non
ebbe un Intendente, ossia un Amministratore.Don
Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli
ordini del Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle
nuove opere, che ivi si eseguivano. I favori accordati a questo Individuo
furono un chiaro segno del zelo che poneva nel servizio.Incominciata
in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni
particolari, fu d’uopo destinare un particolare Amministratore; e fu questi il Principe di Tarsia (Gennaro
Spinelli ?),
a cui si diede il titolo di Soprintendente. Spiacevoli
circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte aveva
meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo
fu serrogato (surrogato, sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria
di Casa Reale, uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle
manifatture. (il Principe Spinelli
dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di ambasciatore e destituito forse per le sue idee politiche. Infatti
successivamente troveremo un Gennaro
Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della Repubblica
Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe Bonaparte.
Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie nel 1810).Questo
accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli affari, basò il setificio sopra il
migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con una esatta contabilità,
e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.Molto
severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che operarono la sua rovina.Egli
fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del
Re, verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera
precedente la loro entrata in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del
Volturno. In quel frangente accadde qualcosa di strano. Sembra che il
Sovrintendente della Colonia, Domenico
Cosmi, abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali francesi per la consegna della stessa Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere
della Trattoria.Gli accusatori del Cosmi,
che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, considerarono il
suo gesto come un alto tradimento.Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente,
affermando di aver voluto evitare un terribile spargimento di sangue vista
l’inutilità di uno scontro armato per la grande disparità delle forze militari.I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non
trovarono che qualche calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via
dagli stessi cittadini che si erano dati alla fuga già da diversi giorni.Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione
davanti ad un notaio e firmata da 139 persone e una firma era con il segno
della Croce.Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a
queste accuse e la conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi
collaboratori che naturalmente persero tutti gli importanti incarichi.....
incarichi che, guarda caso, passarono nelle mani degli accusatori.....Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri
giorni dato quello che avviene nella
scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle leggi pur non avendo un grande seguito...
Né
primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non
ebbe un Intendente, ossia un Amministratore.Don
Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli
ordini del Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle
nuove opere, che ivi si eseguivano. I favori accordati a questo Individuo
furono un chiaro segno del zelo che poneva nel servizio.Incominciata
in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni
particolari, fu d’uopo destinare un particolare Amministratore; e fu questi il Principe di Tarsia (Gennaro
Spinelli ?),
a cui si diede il titolo di Soprintendente. Spiacevoli
circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte aveva
meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo
fu serrogato (surrogato, sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria
di Casa Reale, uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle
manifatture. (il Principe Spinelli
dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di ambasciatore e destituito forse per le sue idee politiche. Infatti
successivamente troveremo un Gennaro
Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della Repubblica
Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe Bonaparte.
Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie nel 1810).Questo
accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli affari, basò il setificio sopra il
migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con una esatta contabilità,
e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.Molto
severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che operarono la sua rovina.Egli
fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del
Re, verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera
precedente la loro entrata in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del
Volturno. In quel frangente accadde qualcosa di strano. Sembra che il
Sovrintendente della Colonia, Domenico
Cosmi, abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali francesi per la consegna della stessa Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere
della Trattoria.Gli accusatori del Cosmi,
che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, considerarono il
suo gesto come un alto tradimento.Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente,
affermando di aver voluto evitare un terribile spargimento di sangue vista
l’inutilità di uno scontro armato per la grande disparità delle forze militari.I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non
trovarono che qualche calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via
dagli stessi cittadini che si erano dati alla fuga già da diversi giorni.Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione
davanti ad un notaio e firmata da 139 persone e una firma era con il segno
della Croce.Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a
queste accuse e la conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi
collaboratori che naturalmente persero tutti gli importanti incarichi.....
incarichi che, guarda caso, passarono nelle mani degli accusatori.....Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri
giorni dato quello che avviene nella
scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle leggi pur non avendo un grande seguito...
Né
primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non
ebbe un Intendente, ossia un Amministratore.Don
Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli
ordini del Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle
nuove opere, che ivi si eseguivano. I favori accordati a questo Individuo
furono un chiaro segno del zelo che poneva nel servizio.Incominciata
in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni
particolari, fu d’uopo destinare un particolare Amministratore; e fu questi il Principe di Tarsia (Gennaro
Spinelli ?),
a cui si diede il titolo di Soprintendente. Spiacevoli
circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte aveva
meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo
fu serrogato (surrogato, sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria
di Casa Reale, uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle
manifatture. (il Principe Spinelli
dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di ambasciatore e destituito forse per le sue idee politiche. Infatti
successivamente troveremo un Gennaro
Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della Repubblica
Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe Bonaparte.
Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie nel 1810).Questo
accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli affari, basò il setificio sopra il
migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con una esatta contabilità,
e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.Molto
severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che operarono la sua rovina.Egli
fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del
Re, verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera
precedente la loro entrata in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del
Volturno. In quel frangente accadde qualcosa di strano. Sembra che il
Sovrintendente della Colonia, Domenico
Cosmi, abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali francesi per la consegna della stessa Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere
della Trattoria.Gli accusatori del Cosmi,
che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, considerarono il
suo gesto come un alto tradimento.Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente,
affermando di aver voluto evitare un terribile spargimento di sangue vista
l’inutilità di uno scontro armato per la grande disparità delle forze militari.I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non
trovarono che qualche calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via
dagli stessi cittadini che si erano dati alla fuga già da diversi giorni.Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione
davanti ad un notaio e firmata da 139 persone e una firma era con il segno
della Croce.Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a
queste accuse e la conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi
collaboratori che naturalmente persero tutti gli importanti incarichi.....
incarichi che, guarda caso, passarono nelle mani degli accusatori.....Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri
giorni dato quello che avviene nella
scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle leggi pur non avendo un grande seguito...
Né
primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non
ebbe un Intendente, ossia un Amministratore.Don
Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli
ordini del Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle
nuove opere, che ivi si eseguivano. I favori accordati a questo Individuo
furono un chiaro segno del zelo che poneva nel servizio.Incominciata
in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni
particolari, fu d’uopo destinare un particolare Amministratore; e fu questi il Principe di Tarsia (Gennaro
Spinelli ?),
a cui si diede il titolo di Soprintendente. Spiacevoli
circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte aveva
meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo
fu serrogato (surrogato, sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria
di Casa Reale, uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle
manifatture. (il Principe Spinelli
dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di ambasciatore e destituito forse per le sue idee politiche. Infatti
successivamente troveremo un Gennaro
Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della Repubblica
Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe Bonaparte.
Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie nel 1810).Questo
accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli affari, basò il setificio sopra il
migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con una esatta contabilità,
e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.Molto
severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che operarono la sua rovina.Egli
fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del
Re, verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera
precedente la loro entrata in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del
Volturno. In quel frangente accadde qualcosa di strano. Sembra che il
Sovrintendente della Colonia, Domenico
Cosmi, abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali francesi per la consegna della stessa Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere
della Trattoria.Gli accusatori del Cosmi,
che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, considerarono il
suo gesto come un alto tradimento.Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente,
affermando di aver voluto evitare un terribile spargimento di sangue vista
l’inutilità di uno scontro armato per la grande disparità delle forze militari.I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non
trovarono che qualche calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via
dagli stessi cittadini che si erano dati alla fuga già da diversi giorni.Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione
davanti ad un notaio e firmata da 139 persone e una firma era con il segno
della Croce.Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a
queste accuse e la conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi
collaboratori che naturalmente persero tutti gli importanti incarichi.....
incarichi che, guarda caso, passarono nelle mani degli accusatori.....Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri
giorni dato quello che avviene nella
scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle leggi pur non avendo un grande seguito...
Né
primi tempi non essendo il sito di S. Leucio dotato di particolari fondi, non
ebbe un Intendente, ossia un Amministratore.Don
Mattiangelo Forgione Gentiluomo Casertano, abitante in Sala, che faceva da Tesoriere della Reale Amministrazione di Caserta, avea l’onore di prendere gli
ordini del Re, ed era ricaricato de’ dettagli relativi alle fabriche, ed alle
nuove opere, che ivi si eseguivano. I favori accordati a questo Individuo
furono un chiaro segno del zelo che poneva nel servizio.Incominciata
in S. Leucio la industria della seta, resa ivi più frequente la presenza del Re Ferdinando, ed istabiliti tanti oggetti, chè esigevano cure ed attenzioni
particolari, fu d’uopo destinare un particolare Amministratore; e fu questi il Principe di Tarsia (Gennaro
Spinelli ?),
a cui si diede il titolo di Soprintendente. Spiacevoli
circostanze allontanarono dal servizio questo Cavaliere, che altre volte aveva
meritato la fiducia del Sovrano, ed al medesimo
fu serrogato (surrogato, sostituito) il cavaliere D. Domenico Cosmi Ufficiale della Real Segreteria
di Casa Reale, uomo pieno di talento, e di conoscenze nelle arti e nelle
manifatture. (il Principe Spinelli
dovrebbe essere Tommaso Spinelli che ricopriva il ruolo di ambasciatore e destituito forse per le sue idee politiche. Infatti
successivamente troveremo un Gennaro
Spinelli, nato nel 1780, che aderì non solo alle idee della Repubblica
Napoletana del 1799 ma fu anche un fedele di camera di Giuseppe Bonaparte.
Ricevette infatti la carica di Delegato del regno delle Due Sicilie nel 1810).Questo
accadde nel 1793. Seppe questo novello amministratore coordinare bene gli affari, basò il setificio sopra il
migliori principi, ne regolarizzò l’amministrazione con una esatta contabilità,
e presentò la speranza di un grande sviluppo rispetto alla Colonia.Molto
severo nel suo andamento governativo ebbe costui de’ potenti nemici, che operarono la sua rovina.Egli
fu destituito nel 1799. La sua condotta posteriore lo giustificò nell’animo del
Re, verso del quale serbò mai sempre la più rispettosa e tenera riconoscenza.(I francesi di Napoleone avevano occupato Napoli e la sera
precedente la loro entrata in San Leucio, si erano accampati sulle sponde del
Volturno. In quel frangente accadde qualcosa di strano. Sembra che il
Sovrintendente della Colonia, Domenico
Cosmi, abbia incontrato in segreto alcuni ufficiali francesi per la consegna della stessa Colonia senza ricorrere alla violenza. La colonia era presidiata da una guarnigione borbonica, detta dei “Calabresi” e che era alloggiata nel quartiere
della Trattoria.Gli accusatori del Cosmi,
che deposero le loro deposizioni davanti ad un notaio, considerarono il
suo gesto come un alto tradimento.Lo stesso Cosmi si giustificò, anche se successivamente,
affermando di aver voluto evitare un terribile spargimento di sangue vista
l’inutilità di uno scontro armato per la grande disparità delle forze militari.I Francesi entrarono in San Leucio senza combattere e non
trovarono che qualche calice in Chiesa dato che ogni cosa era stata portata via
dagli stessi cittadini che si erano dati alla fuga già da diversi giorni.Come detto questo episodio fu rilevato da una deposizione
davanti ad un notaio e firmata da 139 persone e una firma era con il segno
della Croce.Quando Ferdinando I di Borbone tornò a Napoli, diede credito a
queste accuse e la conseguenza fu la destituzione del Cosmi e dei suoi
collaboratori che naturalmente persero tutti gli importanti incarichi.....
incarichi che, guarda caso, passarono nelle mani degli accusatori.....Un avvenimento strano... che non sembra distante dai nostri
giorni dato quello che avviene nella
scena politica italiana.... dove anche i “bambini viziati” dettano delle leggi pur non avendo un grande seguito...
Successe
a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo
di Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta la gestione di quest’illustre Personaggio
dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso incarico, che
sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente del Real
Sito di Capodimonte. Le
molte opere inenate (innate,
naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca di Miranda
appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re. Sembrando,
che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse dar
luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817
di affidare al Cavaler Ugolino Ganucci
Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra Amministrazione di S.
Leucio.Regolò
quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione, probità di cui era onorato.La
decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e
diversi altri motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi,
determinarono il Re a disgiungere queste
due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a Ganucci
quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al
Cavalier Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.......................
Successe
a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo
di Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta la gestione di quest’illustre Personaggio
dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso incarico, che
sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente del Real
Sito di Capodimonte. Le
molte opere inenate (innate,
naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca di Miranda
appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re. Sembrando,
che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse dar
luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817
di affidare al Cavaler Ugolino Ganucci
Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra Amministrazione di S.
Leucio.Regolò
quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione, probità di cui era onorato.La
decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e
diversi altri motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi,
determinarono il Re a disgiungere queste
due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a Ganucci
quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al
Cavalier Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.......................
Successe
a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo
di Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta la gestione di quest’illustre Personaggio
dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso incarico, che
sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente del Real
Sito di Capodimonte. Le
molte opere inenate (innate,
naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca di Miranda
appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re. Sembrando,
che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse dar
luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817
di affidare al Cavaler Ugolino Ganucci
Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra Amministrazione di S.
Leucio.Regolò
quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione, probità di cui era onorato.La
decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e
diversi altri motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi,
determinarono il Re a disgiungere queste
due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a Ganucci
quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al
Cavalier Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.......................
Successe
a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo
di Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta la gestione di quest’illustre Personaggio
dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso incarico, che
sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente del Real
Sito di Capodimonte. Le
molte opere inenate (innate,
naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca di Miranda
appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re. Sembrando,
che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse dar
luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817
di affidare al Cavaler Ugolino Ganucci
Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra Amministrazione di S.
Leucio.Regolò
quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione, probità di cui era onorato.La
decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e
diversi altri motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi,
determinarono il Re a disgiungere queste
due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a Ganucci
quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al
Cavalier Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.......................
Successe
a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo
di Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta la gestione di quest’illustre Personaggio
dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso incarico, che
sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente del Real
Sito di Capodimonte. Le
molte opere inenate (innate,
naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca di Miranda
appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re. Sembrando,
che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse dar
luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817
di affidare al Cavaler Ugolino Ganucci
Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra Amministrazione di S.
Leucio.Regolò
quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione, probità di cui era onorato.La
decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e
diversi altri motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi,
determinarono il Re a disgiungere queste
due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a Ganucci
quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al
Cavalier Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.......................
Successe
a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo
di Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta la gestione di quest’illustre Personaggio
dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso incarico, che
sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente del Real
Sito di Capodimonte. Le
molte opere inenate (innate,
naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca di Miranda
appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re. Sembrando,
che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse dar
luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817
di affidare al Cavaler Ugolino Ganucci
Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra Amministrazione di S.
Leucio.Regolò
quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione, probità di cui era onorato.La
decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e
diversi altri motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi,
determinarono il Re a disgiungere queste
due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a Ganucci
quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al
Cavalier Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.......................
Successe
a costui il Duca di Miranda, (Onorato Gaetani dell’Aquila di Ragona dei principi di Piedimonte ?), cui per un particolare favore si diede il titolo
di Soprintendente con Rescritto del dì 26 ottobre 1799. Fu interrotta la gestione di quest’illustre Personaggio
dalla occupazione militare, cessata la quale ritornò allo stesso incarico, che
sostenne fino al 1817, epoca nella quale fu Egli destinato Soprintendente del Real
Sito di Capodimonte. Le
molte opere inenate (innate,
naturali) a fine negli anni dell’amministrazione del Duca di Miranda
appellavano con quanto successo Egli travagliò al servizio del Re. Sembrando,
che il volume degli affari annessati all’Amministrazione di Caserta potesse dar
luogo ad altre occupazioni, il re non credè inopportuno nello stesso anno 1817
di affidare al Cavaler Ugolino Ganucci
Amministratore del Real Sito di Caserta, l’altra Amministrazione di S.
Leucio.Regolò
quindi quest’onestissimo Personaggio le due Amministrazioni sino al dì 11 ottobre 1820; e diede sempre saggio di quella religione, probità di cui era onorato.La
decadenza però della manifattura del setificio, la povertà della Colonia, e
diversi altri motivi, ch’erano in parte l’effetto delle circostanze de’ tempi,
determinarono il Re a disgiungere queste
due separate Amministrazioni dalle mani di un solo, e rimanendo a Ganucci
quella di Caserta, ebbe la clemenza di affidare l’altra di S. Leucio al
Cavalier Antonio Sancio, redattore delle presenti memorie, e di questa Platea.......................
In
definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica
per San Leucio.Oltre
a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture
grazie all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e
le stoffe furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.Vennero
adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota daldecreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:il locale del
monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addettoalla Real fabbrica
di seterie e cotoni di S. Leucio.
In
definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica
per San Leucio.Oltre
a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture
grazie all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e
le stoffe furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.Vennero
adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota daldecreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:il locale del
monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addettoalla Real fabbrica
di seterie e cotoni di S. Leucio.
In
definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica
per San Leucio.Oltre
a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture
grazie all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e
le stoffe furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.Vennero
adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota daldecreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:il locale del
monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addettoalla Real fabbrica
di seterie e cotoni di S. Leucio.
In
definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica
per San Leucio.Oltre
a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture
grazie all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e
le stoffe furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.Vennero
adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota daldecreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:il locale del
monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addettoalla Real fabbrica
di seterie e cotoni di S. Leucio.
In
definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica
per San Leucio.Oltre
a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture
grazie all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e
le stoffe furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.Vennero
adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota daldecreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:il locale del
monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addettoalla Real fabbrica
di seterie e cotoni di S. Leucio.
In
definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica
per San Leucio.Oltre
a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture
grazie all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e
le stoffe furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.Vennero
adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota daldecreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:il locale del
monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addettoalla Real fabbrica
di seterie e cotoni di S. Leucio.
In
definitiva la venuta dei francesi di Napoleone nel 1806 non fu molto traumatica
per San Leucio.Oltre
a nuove iniziative agricole, il sito riuscì a mantenere le sue manifatture
grazie all’appoggio della Corte francese. Le opere leuciane furono migliorate e
le stoffe furono richieste per decorare ed abbellire gli altri Siti Reali.Vennero
adibiti nuovi locali per la Real Fabbrica di sete e cotoni come si nota daldecreto n. 1342 del 17 aprile 1812 che sanciva:il locale del
monistero soppresso di S. Antonio in Caserta sarà addettoalla Real fabbrica
di seterie e cotoni di S. Leucio.
Caserta –
Santuario di Sant’Antonio TeanoIl
Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita di San Leucio, e decise di creare un sito analogo a Ficuzza, popolata da cinghiali e torelli ed
in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.
Caserta –
Santuario di Sant’Antonio TeanoIl
Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita di San Leucio, e decise di creare un sito analogo a Ficuzza, popolata da cinghiali e torelli ed
in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.
Caserta –
Santuario di Sant’Antonio TeanoIl
Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita di San Leucio, e decise di creare un sito analogo a Ficuzza, popolata da cinghiali e torelli ed
in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.
Caserta –
Santuario di Sant’Antonio TeanoIl
Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita di San Leucio, e decise di creare un sito analogo a Ficuzza, popolata da cinghiali e torelli ed
in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.
Caserta –
Santuario di Sant’Antonio TeanoIl
Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita di San Leucio, e decise di creare un sito analogo a Ficuzza, popolata da cinghiali e torelli ed
in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.
Caserta –
Santuario di Sant’Antonio TeanoIl
Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita di San Leucio, e decise di creare un sito analogo a Ficuzza, popolata da cinghiali e torelli ed
in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.
Caserta –
Santuario di Sant’Antonio TeanoIl
Re Ferdinando I, pur essendo a Palermo, non si rassegnò all’idea della perdita di San Leucio, e decise di creare un sito analogo a Ficuzza, popolata da cinghiali e torelli ed
in cui fu installata anche una manifattura reale alla quale furono addetti 22 artieri leuciani che avevano seguito il re nel suo nuovo esilio.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
Il
Re, una volta ritornato a Napoli, sciolse la società del periodo francese, e
feceristampare il Codice dando vita alla creazione di una nuova società
composta da 13 soci.Accordò
alla fabbrica di San Leucio un privilegio“su trarre la
seta”con un decreto del
27 maggio 1817 n. 724, in
cui stabilì anche le condizioni annesse“allo esercizio
del detto mestiere”“Privilegio accordato
alla Fabbrica di San Leucio su trarre la seta Ferdinando I,per la Grazia di
Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, etc.Infante di Spagna,
Duca di Parma, Piacenza, Castro, et.Principe
ereditario di Toscana, etc.Sulla proposizione
de’ nostri segretari di Stato Ministri delle finanze, e degliaffari interni,
abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:Art. 1 – E’ permesso a
qualunque industriale, ed in qualunque parte de’nostri reali
domini al di qua del Faro il far trarre la seta con quel metodoche gli piacerà,
cioè alla organzina, alla praianase, alla sorrentina,ad uso delle
girelle.Art.2 – La nostra Real
fabrica di San Leucio, la quale, oltre di aver illustratal’opinione delle
nostre manifatture, ha ancora influtto al vantaggio di tuttal’arte
coll’esempio de’ suoi metodi, tanto nel tirare la seta, che nell’aprarla,conserverà il
privilegio di poter acquistare i bozzoli che saranno in venditaprima di cominciare
il commercio fra i particolari, e fino alla concorrenzade’ suoi bisogni,
e resterà anche in facoltà di ogni persona il trarre ibozzoli propri, e
non comprati. I luoghi ne’ quali sarà conservato in favore dellaReal fabbrica di
San Leucio il suddetto privilegio, sono i seguenti:San Leucio,
Arienzo, Cicciano, Nola, Palma, Cardito, Montesarchio.Art. 3 – Non si potrà a
alcun esercitare la trattura della seta, se non sarà munito da una patente, la
quale sarà spedita gratis dall’Intendente della provincia, dopol’esame che ne
avrà fatto eseguire sull’idoneità della persona che ne hachiesta la
spedizione.Art.4 - la patente suddetta non potrò essere rivocata
che nel caso in cui l’individuoche l’ha ottenuto,
sarà convinto di aver commesso qualche frode nell’eserciziodel suo mestiere;Art. 5 – Non avranno
bisogno di questa patente le trattrici, o trattori dellefilande
all’organzina, o sia alla piemontese, già stabilite, ma che non abbianomeno di 20
manganelle, giacchè sono sotto la vigilanza di proprietari dellefilande madri,
intendenti della trattura, ed interessanti a farla riusciredella miglior
qualità per lo proprio vantaggio;Art. 6 – la seta grezza
che sarà estratta per fuori del regno da’ nostri realidomini al dia qua
del Faro, oltre de’ diritti doganali contenute nelletariffe, sarà
soggetta al pagamento di un grano e mezzo perciascheduna
libbra,Art. 7 – di quanto sia
per ritrovarsi da questa imposizione di grano unoe mezzo, sarò
tenuto conto a partire degli agenti de’ dazi indiretti, riserbandocia impiegarne una
parte al sollievo del Conservatorio di S. Filippo e Giacomo,e di destinare il
rimanente in opere di beneficenza.Art. 8 – I nostri
segretari di Stato Ministri delle finanze, e degli affari interni,sono incaricati,
ciascuno per la sua parte, della esecuzione del presente decreto.Firmato:
FerdinandoPubblicato in
Napoli nel dì 31 di maggio 1817.
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
In
seguito agli eventi rivoluzionari del 1820 la fabbrica di San Leucio dovette affrontare un momento di grave crisi.Il
lavoro scarseggiava, la disoccupazione destava malumore nei coloni che
migravano o minacciavano di emigrare.Un
ruolo importante ebbe in questo momento difficile l’amministratore del Real
Sito Antonio Sancio che aveva assunto la carica il 12 ottobre 1820.Il
nuovo amministratore diede nuova vita
alla fabbrica con una serie di iniziative come la creazione della manifattura di
tele di canapa per dare lavoro alle donne
prive di mantenimento.Malgrado il suo impegno non si riuscì ad
eliminare le continue perdite di capitale legate alla struttura dell’azienda.Nel
1829 il signor Raffaele Sava mostrò l’intenzione di prendere in
affitto lo stabilimento e di formare una società per lo sviluppo
dell’industria.La
società avrebbe dovuto avere una vita di 9 anni, a partire dall’uno marzo 1843.
Gli accordi societari stabilivano come al Sava spettava il miglioramento e il
progresso dell’industria, oltre l’acquisto e la vendita di generi grezzi mentre
all’amministrazione della Real Casa spettava la vigilanza sul personale e
sull’andamento dell’industria, la contabilità e la tenuta della cassa sociale.La
Società, dopo aver presentato nei primi due anni un buon bilancio economico cominciò, negli anni successivi, a presentare un bilancio con perdite sensibili
che erano legate alla crisi nata dai moti rivoluzionari del 1848. Il
lavoro nella fabbrica si fece sempre più duro. In merito ci furono delle
testimonianze legate a delle lettere del 1848. In una di queste lettere fu citato un certo
artiereFerdinando
Alissieri fu Giovanni chePer aver staccato
palmi tre di velluto ch’egli stesso travagliavafu licenziato ed
allontano dalla fabbrica“essendo la
mancata commessa una frode che meriterebbe una penamaggiore
consegnandolo nelle mani della giustizia per fargli meritare il giusto
castigo
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
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incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
Durante
i moti rivoluzionari per garantire una maggiore sorveglianza sui Siti Reali ed evitare i continui furti di seta grezza, vennero emanante delleDisposizioni
riguardanti la custodia notturna dei locali della Real Fabbrica.Una
lettera del 2 maggio 1849 riportò:“... A tutelare
gl’interno delle Reali Fabbriche è necessario che la ronda notturnadella divisione
militare di S. Leucio vigili in modo particolare i locali de’filatori ed
incannatori e usando precisamente che nessuno al di fuori di notte si avvicini
a quelle officine per aver contatto con coloro che dentro lapernottano. Di più
che uno della ronda resti fino all’alba di guardiain que’ siti
finchè non venga rilevato o dall’Incaricato di filatoriD. Raffaele
Corsale o da altro individuo da costui destinato all’oggetto.Avvertire poi che
crede che nel caso per difetto di vigilanza succeda uninconveniente ne
sarà chiamato responsabile colui che a’destinato alla
sorveglianza”.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
La
vita all’interno della fabbrica, nonostante le grandi difficoltà, si sviluppava
sempre con professionalità e passione.
Un certo Giuseppe de Masi di Caserta che lavorava nella fabbricaScoprì un nuovo
mezzo per la trattura della setacome
riportò una lettera del 26 giugno 1850 e, sempre in una lettera c’era chi si preoccupava
di scortare le donzelle le quali lavorano
dello Incannatoio della Real Fabbrica di San Leucio... fino alle
rispettive loro dimore ne paesi limitrofi al detto sito reale Nel
1852, scaduto il contratto societario, il Sava non fu in grado di corrispondere
il minimo degli utili garantiti alla Cassa Real dichiarando diAverne assunto
l’impegno in un momento di buone speranze.Lo
stesso Sava si rifiutò di assumere impegni simili per il futuro.Malgrado
i problemi dichiarati dal Sava, la
società, con scritture private del 1852, 1855, 1856, fu prorogata fino al 31
maggio 1861 e dopo l’unificazione del regno d’Italia a tutto il 31 maggio 1862.Malgrado
le difficoltà economiche i prodotti della fabbrica erano riconosciuti non solo nel Regno ma in tutto il mondo.Nel
1861 la Real Fabbrica di San Leucio partecipò all’Esposizione delle Industrie Nazionali tenutasi in Firenze.
Una
serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale
Rossi, socio rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono
abbastanza chiare nel descrivere l’esperienza fieristica.Una
lettera del 22 ottobre 1861 riportò:Il Sig. Cesare
Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale di recarsi in Firenze
per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la Real Fabbrica fa
mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativaalle spese di
viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti,
giusta gli Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta
nota, ammonta in uno a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati
393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, purchè passatigli,
insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti per
gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso
mento. Non tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della
Mostra Generale resterà esclusivamente di proprietà dell’Artista che
l’a’ costruita, come stabilito e si epura della fattura.
Una
serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale
Rossi, socio rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono
abbastanza chiare nel descrivere l’esperienza fieristica.Una
lettera del 22 ottobre 1861 riportò:Il Sig. Cesare
Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale di recarsi in Firenze
per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la Real Fabbrica fa
mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativaalle spese di
viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti,
giusta gli Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta
nota, ammonta in uno a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati
393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, purchè passatigli,
insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti per
gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso
mento. Non tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della
Mostra Generale resterà esclusivamente di proprietà dell’Artista che
l’a’ costruita, come stabilito e si epura della fattura.
Una
serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale
Rossi, socio rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono
abbastanza chiare nel descrivere l’esperienza fieristica.Una
lettera del 22 ottobre 1861 riportò:Il Sig. Cesare
Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale di recarsi in Firenze
per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la Real Fabbrica fa
mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativaalle spese di
viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti,
giusta gli Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta
nota, ammonta in uno a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati
393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, purchè passatigli,
insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti per
gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso
mento. Non tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della
Mostra Generale resterà esclusivamente di proprietà dell’Artista che
l’a’ costruita, come stabilito e si epura della fattura.
Una
serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale
Rossi, socio rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono
abbastanza chiare nel descrivere l’esperienza fieristica.Una
lettera del 22 ottobre 1861 riportò:Il Sig. Cesare
Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale di recarsi in Firenze
per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la Real Fabbrica fa
mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativaalle spese di
viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti,
giusta gli Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta
nota, ammonta in uno a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati
393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, purchè passatigli,
insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti per
gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso
mento. Non tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della
Mostra Generale resterà esclusivamente di proprietà dell’Artista che
l’a’ costruita, come stabilito e si epura della fattura.
Una
serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale
Rossi, socio rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono
abbastanza chiare nel descrivere l’esperienza fieristica.Una
lettera del 22 ottobre 1861 riportò:Il Sig. Cesare
Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale di recarsi in Firenze
per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la Real Fabbrica fa
mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativaalle spese di
viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti,
giusta gli Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta
nota, ammonta in uno a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati
393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, purchè passatigli,
insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti per
gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso
mento. Non tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della
Mostra Generale resterà esclusivamente di proprietà dell’Artista che
l’a’ costruita, come stabilito e si epura della fattura.
Una
serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale
Rossi, socio rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono
abbastanza chiare nel descrivere l’esperienza fieristica.Una
lettera del 22 ottobre 1861 riportò:Il Sig. Cesare
Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale di recarsi in Firenze
per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la Real Fabbrica fa
mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativaalle spese di
viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti,
giusta gli Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta
nota, ammonta in uno a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati
393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, purchè passatigli,
insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti per
gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso
mento. Non tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della
Mostra Generale resterà esclusivamente di proprietà dell’Artista che
l’a’ costruita, come stabilito e si epura della fattura.
Una
serie di lettere che il socio Raffaele Sava indirizzò al sig. D. Pasquale
Rossi, socio rappresentate la Casa Reale per la Fabbrica di San Leucio furono
abbastanza chiare nel descrivere l’esperienza fieristica.Una
lettera del 22 ottobre 1861 riportò:Il Sig. Cesare
Pascal, incaricato dalla Commissione per gli affari della Casa Reale di recarsi in Firenze
per l’Esposizione delle Industrie Nazionali e che anche la Real Fabbrica fa
mostra delle sue manifatture, mi a’ fatto tenere una nota relativaalle spese di
viaggio e tutt’altro occorso, tanto per cui che pel facchino Gabriele Marotta. Fui per far costruire una gran vetrina onde mettervi i generi, ed altri oggetti,
giusta gli Ordini Verbali di S.E. il Soprintendente di detta R. Casa. Suddetta
nota, ammonta in uno a Lire Italiane 1670,67 pari a Ducati
393,10, come dalla quietanza fattami da Pascal, purchè passatigli,
insieme a N. sei fatture dallo stesso pagati in Firenze, a quegli Artisti per
gli oggetti costruiti pregandola di disporre a mio favore il rimborso
mento. Non tralascio farle osservare che la vetrina, alla fine della
Mostra Generale resterà esclusivamente di proprietà dell’Artista che
l’a’ costruita, come stabilito e si epura della fattura.
Durante
i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno, a Nord di Capua,i naturali di San
Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitantidelle borgate
vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo di schioppo dalle
boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.come
riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente
generale di Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea
di stanza a Gaeta“.....Percorso un
miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto lamia avanguardia
formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemicouscito dal bosco
di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attaccosi moltiplicò...”Molti
furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,direttore della Filanda che incaricatoDe’ Filatoi della
R. fabbrica di seterie in S. Leucio:“ Prometto e giuro
innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza aFrancesco Secondo
Re del Regno delle Due Sicilieed esatta
obbedienza a’ suoi ordini:Prometto e giuro di compiere col
massimo zelo e con la massima probitàed onoratezza le
funzioni a me affidate;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare laCostituzione del
10 di febbraio 1848 richiamata in vigore daSua Maestà il Re
N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare le leggi, i decreti ed iregolamenti
attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati epubblicati in
avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;Prometto e giuro di non volere
appartenere ora né mai a qualsivogliaassociazione
segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.
Durante
i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno, a Nord di Capua,i naturali di San
Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitantidelle borgate
vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo di schioppo dalle
boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.come
riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente
generale di Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea
di stanza a Gaeta“.....Percorso un
miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto lamia avanguardia
formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemicouscito dal bosco
di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attaccosi moltiplicò...”Molti
furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,direttore della Filanda che incaricatoDe’ Filatoi della
R. fabbrica di seterie in S. Leucio:“ Prometto e giuro
innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza aFrancesco Secondo
Re del Regno delle Due Sicilieed esatta
obbedienza a’ suoi ordini:Prometto e giuro di compiere col
massimo zelo e con la massima probitàed onoratezza le
funzioni a me affidate;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare laCostituzione del
10 di febbraio 1848 richiamata in vigore daSua Maestà il Re
N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare le leggi, i decreti ed iregolamenti
attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati epubblicati in
avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;Prometto e giuro di non volere
appartenere ora né mai a qualsivogliaassociazione
segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.
Durante
i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno, a Nord di Capua,i naturali di San
Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitantidelle borgate
vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo di schioppo dalle
boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.come
riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente
generale di Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea
di stanza a Gaeta“.....Percorso un
miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto lamia avanguardia
formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemicouscito dal bosco
di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attaccosi moltiplicò...”Molti
furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,direttore della Filanda che incaricatoDe’ Filatoi della
R. fabbrica di seterie in S. Leucio:“ Prometto e giuro
innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza aFrancesco Secondo
Re del Regno delle Due Sicilieed esatta
obbedienza a’ suoi ordini:Prometto e giuro di compiere col
massimo zelo e con la massima probitàed onoratezza le
funzioni a me affidate;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare laCostituzione del
10 di febbraio 1848 richiamata in vigore daSua Maestà il Re
N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare le leggi, i decreti ed iregolamenti
attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati epubblicati in
avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;Prometto e giuro di non volere
appartenere ora né mai a qualsivogliaassociazione
segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.
Durante
i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno, a Nord di Capua,i naturali di San
Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitantidelle borgate
vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo di schioppo dalle
boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.come
riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente
generale di Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea
di stanza a Gaeta“.....Percorso un
miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto lamia avanguardia
formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemicouscito dal bosco
di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attaccosi moltiplicò...”Molti
furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,direttore della Filanda che incaricatoDe’ Filatoi della
R. fabbrica di seterie in S. Leucio:“ Prometto e giuro
innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza aFrancesco Secondo
Re del Regno delle Due Sicilieed esatta
obbedienza a’ suoi ordini:Prometto e giuro di compiere col
massimo zelo e con la massima probitàed onoratezza le
funzioni a me affidate;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare laCostituzione del
10 di febbraio 1848 richiamata in vigore daSua Maestà il Re
N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare le leggi, i decreti ed iregolamenti
attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati epubblicati in
avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;Prometto e giuro di non volere
appartenere ora né mai a qualsivogliaassociazione
segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.
Durante
i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno, a Nord di Capua,i naturali di San
Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitantidelle borgate
vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo di schioppo dalle
boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.come
riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente
generale di Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea
di stanza a Gaeta“.....Percorso un
miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto lamia avanguardia
formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemicouscito dal bosco
di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attaccosi moltiplicò...”Molti
furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,direttore della Filanda che incaricatoDe’ Filatoi della
R. fabbrica di seterie in S. Leucio:“ Prometto e giuro
innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza aFrancesco Secondo
Re del Regno delle Due Sicilieed esatta
obbedienza a’ suoi ordini:Prometto e giuro di compiere col
massimo zelo e con la massima probitàed onoratezza le
funzioni a me affidate;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare laCostituzione del
10 di febbraio 1848 richiamata in vigore daSua Maestà il Re
N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare le leggi, i decreti ed iregolamenti
attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati epubblicati in
avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;Prometto e giuro di non volere
appartenere ora né mai a qualsivogliaassociazione
segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.
Durante
i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno, a Nord di Capua,i naturali di San
Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitantidelle borgate
vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo di schioppo dalle
boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.come
riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente
generale di Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea
di stanza a Gaeta“.....Percorso un
miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto lamia avanguardia
formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemicouscito dal bosco
di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attaccosi moltiplicò...”Molti
furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,direttore della Filanda che incaricatoDe’ Filatoi della
R. fabbrica di seterie in S. Leucio:“ Prometto e giuro
innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza aFrancesco Secondo
Re del Regno delle Due Sicilieed esatta
obbedienza a’ suoi ordini:Prometto e giuro di compiere col
massimo zelo e con la massima probitàed onoratezza le
funzioni a me affidate;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare laCostituzione del
10 di febbraio 1848 richiamata in vigore daSua Maestà il Re
N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare le leggi, i decreti ed iregolamenti
attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati epubblicati in
avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;Prometto e giuro di non volere
appartenere ora né mai a qualsivogliaassociazione
segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.
Durante
i brevi scontri tra garibaldini e borbonici nella vallata del Volturno, a Nord di Capua,i naturali di San
Leucio non avevano mancato di unirsi agli altri abitantidelle borgate
vicine per dar molestie al nemico e di tirar qualche colpo di schioppo dalle
boscaglie paesane per contrastare il passo del Volturno.come
riportò una lettera del 13 ottobre 1860 che fu inviata a S. E. il tenente
generale di Gran Croce, D. Francesco Casella, Ispettore della Fanteria di Linea
di stanza a Gaeta“.....Percorso un
miglio o forse più di strada ovvero di un sentiero angusto lamia avanguardia
formata dalla 1° Cacciatori fu attaccata dal nemicouscito dal bosco
di S. Leucio e nascosto nei circonstanti casini, l’attaccosi moltiplicò...”Molti
furono i Leuciani che giurarono fedeltà al re borbonico, come Raffaele Corsale,direttore della Filanda che incaricatoDe’ Filatoi della
R. fabbrica di seterie in S. Leucio:“ Prometto e giuro
innanzi a Dio fedeltà ed obbedienza aFrancesco Secondo
Re del Regno delle Due Sicilieed esatta
obbedienza a’ suoi ordini:Prometto e giuro di compiere col
massimo zelo e con la massima probitàed onoratezza le
funzioni a me affidate;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare laCostituzione del
10 di febbraio 1848 richiamata in vigore daSua Maestà il Re
N.S. con Real Decreto del giorno primo luglio 1860;Prometto e giuro di osservare e
fare osservare le leggi, i decreti ed iregolamenti
attualmente in vigore, e quelli che saranno sanzionati epubblicati in
avvenire ne’ termini della Costituzione medesima;Prometto e giuro di non volere
appartenere ora né mai a qualsivogliaassociazione
segreta. Così iddio mi aiuti. Napoli 3 agosto 1860”.
Durante
l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio
diventò anche luogo di sosta delle
truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. Una serie di
documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 1860 che
fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore generale
dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27
dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia leTruppe garibaldine
ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopraTorino, che si
apparteneva a questa Fabbrica....
In
altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al
conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio
Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe
garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di
risarcimento:
.. mi osservo a
dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalleTruppe Garibaldine
in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loropermanenza in
questo sito...in
un’altra lettera
nell’inviarle un
elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filandadovrebbe
praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgenteanno nonché per
riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
Molti
edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei
documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di
tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore
e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed
altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo
con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12
settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni
nazionali d’Italia.
La
fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860,
all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro
decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni
cosa ivi trovavasi. Il
cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società
che avvenne alla fine di maggio del 1862
quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani
gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i
disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito
il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e
frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo
la distruzione della forte economia del Sud.
La
colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi
abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex
province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato
assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente
i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa
situazione.
Durante
l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio
diventò anche luogo di sosta delle
truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. Una serie di
documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 1860 che
fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore generale
dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27
dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia leTruppe garibaldine
ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopraTorino, che si
apparteneva a questa Fabbrica....
In
altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al
conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio
Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe
garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di
risarcimento:
.. mi osservo a
dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalleTruppe Garibaldine
in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loropermanenza in
questo sito...in
un’altra lettera
nell’inviarle un
elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filandadovrebbe
praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgenteanno nonché per
riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
Molti
edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei
documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di
tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore
e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed
altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo
con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12
settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni
nazionali d’Italia.
La
fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860,
all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro
decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni
cosa ivi trovavasi. Il
cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società
che avvenne alla fine di maggio del 1862
quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani
gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i
disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito
il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e
frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo
la distruzione della forte economia del Sud.
La
colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi
abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex
province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato
assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente
i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa
situazione.
Durante
l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio
diventò anche luogo di sosta delle
truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. Una serie di
documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 1860 che
fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore generale
dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27
dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia leTruppe garibaldine
ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopraTorino, che si
apparteneva a questa Fabbrica....
In
altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al
conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio
Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe
garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di
risarcimento:
.. mi osservo a
dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalleTruppe Garibaldine
in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loropermanenza in
questo sito...in
un’altra lettera
nell’inviarle un
elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filandadovrebbe
praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgenteanno nonché per
riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
Molti
edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei
documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di
tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore
e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed
altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo
con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12
settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni
nazionali d’Italia.
La
fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860,
all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro
decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni
cosa ivi trovavasi. Il
cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società
che avvenne alla fine di maggio del 1862
quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani
gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i
disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito
il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e
frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo
la distruzione della forte economia del Sud.
La
colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi
abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex
province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato
assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente
i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa
situazione.
Durante
l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio
diventò anche luogo di sosta delle
truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. Una serie di
documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 1860 che
fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore generale
dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27
dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia leTruppe garibaldine
ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopraTorino, che si
apparteneva a questa Fabbrica....
In
altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al
conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio
Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe
garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di
risarcimento:
.. mi osservo a
dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalleTruppe Garibaldine
in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loropermanenza in
questo sito...in
un’altra lettera
nell’inviarle un
elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filandadovrebbe
praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgenteanno nonché per
riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
Molti
edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei
documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di
tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore
e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed
altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo
con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12
settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni
nazionali d’Italia.
La
fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860,
all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro
decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni
cosa ivi trovavasi. Il
cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società
che avvenne alla fine di maggio del 1862
quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani
gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i
disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito
il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e
frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo
la distruzione della forte economia del Sud.
La
colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi
abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex
province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato
assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente
i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa
situazione.
Durante
l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio
diventò anche luogo di sosta delle
truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. Una serie di
documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 1860 che
fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore generale
dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27
dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia leTruppe garibaldine
ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopraTorino, che si
apparteneva a questa Fabbrica....
In
altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al
conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio
Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe
garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di
risarcimento:
.. mi osservo a
dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalleTruppe Garibaldine
in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loropermanenza in
questo sito...in
un’altra lettera
nell’inviarle un
elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filandadovrebbe
praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgenteanno nonché per
riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
Molti
edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei
documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di
tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore
e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed
altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo
con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12
settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni
nazionali d’Italia.
La
fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860,
all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro
decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni
cosa ivi trovavasi. Il
cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società
che avvenne alla fine di maggio del 1862
quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani
gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i
disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito
il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e
frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo
la distruzione della forte economia del Sud.
La
colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi
abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex
province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato
assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente
i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa
situazione.
Durante
l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio
diventò anche luogo di sosta delle
truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. Una serie di
documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 1860 che
fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore generale
dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27
dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia leTruppe garibaldine
ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopraTorino, che si
apparteneva a questa Fabbrica....
In
altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al
conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio
Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe
garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di
risarcimento:
.. mi osservo a
dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalleTruppe Garibaldine
in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loropermanenza in
questo sito...in
un’altra lettera
nell’inviarle un
elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filandadovrebbe
praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgenteanno nonché per
riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
Molti
edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei
documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di
tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore
e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed
altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo
con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12
settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni
nazionali d’Italia.
La
fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860,
all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro
decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni
cosa ivi trovavasi. Il
cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società
che avvenne alla fine di maggio del 1862
quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani
gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i
disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito
il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e
frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo
la distruzione della forte economia del Sud.
La
colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi
abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex
province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato
assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente
i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa
situazione.
Durante
l’aspro scontro tra garibaldini e borbonici, la Fabbrica di San Leucio
diventò anche luogo di sosta delle
truppe garibaldine che erano in marcia verso il Volturno. Una serie di
documenti confermerebbero questa sosta come una lettera del 31 ottobre 1860 che
fu scritta dal magazziniere Ferdinando Martinelli all’amministratore generale
dei Siti di qua del Faro e fabbrica di S. Leucio, Ferdinando Scaglione:
Fin dal giorno 27
dello spirante nel disporsi a partire da questa colonia leTruppe garibaldine
ivi stanziate si portarono seco il furgone montato sopraTorino, che si
apparteneva a questa Fabbrica....
In
altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al
conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio
Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe
garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di
risarcimento:
.. mi osservo a
dovere alligare un verbale relativo a danni prodotti dalleTruppe Garibaldine
in diversi locali di questa Real Fabbrica, durante la di loropermanenza in
questo sito...in
un’altra lettera
nell’inviarle un
elenco di ciò che a parere del Direttore della Real Filandadovrebbe
praticarsi per disporre quel locale per la trattura del volgenteanno nonché per
riparare taluni guasti prodotti dalle Truppe garibaldine..
Molti
edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei
documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di
tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore
e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed
altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo
con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12
settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni
nazionali d’Italia.
La
fabbrica fu affidata, con un decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860,
all’Amministrazione della Casa Reale alla Soprintendenza istituita con un altro
decreto del 9 ottobre 1860.. con questo decreto all’amministrazione passarono
Gli opifici e ogni
cosa ivi trovavasi. Il
cav Raffaele Sava aveva nel frattempo chiesto lo scioglimento della società
che avvenne alla fine di maggio del 1862
quando lo stabilimento fu chiuso con conseguenze devastanti... artigiani
gettati sul lastrico e l’amministrazione Reale fu costretta a sostenere i
disoccupati con piccoli sussidi... irrisori... di disoccupazione.
Svanito
il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e
frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo
la distruzione della forte economia del Sud.
La
colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi
abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex
province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato
assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente
i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa
situazione.
In altre lettere, inviate dal direttore della Real Fabbrica, Luigi Pascal, al conte Ferdinando Scaglione, amministratore generale dei Siti Reali, o al socio Cav. D. Raffaele Sava, si faceva menzione dei danni arrecati dalle truppe garibaldine all’interno dei locali della Fabbrica con relative richieste di risarcimento:
Molti edifici a Caserta furono allestiti per ospitare le truppe garibaldine.
Nei documenti eran presenti molte richieste di
Effetti di tappezzeria, biancheria e letti per alloggiare il
Generale Dittatore e per gli alloggi del Governatore militare
Generale Tour ed altri Generali dello Stato Maggiore
Purtroppo con la vittoria garibaldina, in virtù di un decreto di Garibaldi, del 12 settembre 1860, i beni della cessata Casa dei Borboni diventarono beni nazionali d’Italia.
Svanito il regime borbonico, s’era venuta a creare una situazione tipica all’italiana e frutto di espressioni politiche, già al tempo corrotte, che avevano come obiettivo la distruzione della forte economia del Sud.
La colonia continuava a sussistere allo stato di fatto, pur dovendo considerarsi abrogato il suo regime con l’estensione dello Statuto Albertino alle ex province napoletane e poi mancava del sottratto patrimonio che era stato assorbito dal demanio dello stato.
Naturalmente i Leuciani si sentirono derubati e giustamente si ribellarono a questa situazione.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
In
un primo momento chiesero la continuazione dello stato di diritto e di fatto precedente e ciò fu espresso nelladeliberazione del
19 gennaio 1863 del Consiglio degli Anziani, con cui si esprimeva
un preciso parere contrario al Consiglio Provinciale che auspicava l’aggregazione
della colona al vicino Comune di Caserta.La deliberazione
si chiudeva chiedendo l’elevazione in Comune autonomo della ex Colonia e il
proseguimento dell’industria da parte dell’Amministrazione di Casa Reale con la
integrale conservazione dei diritti e dei privilegi concessi con lo Statuto del
1789.Per
quanto riguarda i cespiti veniva impugnata la legge del 10 agosto 1862 che
aveva dichiarato di pertinenza della corona “i palazzi di
Caserta e di S. Leucio con i boschi e giardini non fruttiferi che formano le
delizie reali e col diritto dell’acqua”e stabilito il
passaggio al demanio dello stato di vari beni fra cui i mulini di Caserta, il
condotto Carolinoed ogni altra
terra o fabbricato stranei a quelli assegnati alla Corona Una vera e propria
distruzione di un grandissimo patrimonio.... Quanto allo stabilimento, si sosteneva giustamente la tesi “comunista”
della esclusiva appartenenza ai cittadini Leuciani legata al loro esclusivo
diritto al lavoro in quel Sito.
Il
regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con
l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle
provincie meridionali il 4 settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti
i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!I
Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento
Nazionale di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando
cheLo stabilimento e
gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionaleLa
petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo
pochi mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia
veniva trasformata in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità: Regio Decreto con
cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome è elevata a ComuneVittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaVista la Legge
Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865Visti i voti emessi
dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18
luglio 1865;Vista la
deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;Sulla proposizione
del Nostro Ministro dell’Interno;Abbiamo decretato
e decretiamo:Art.1 – la così
detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;Art.2 – Il Nostro
Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti iprovvedimenti
necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comunesecondo la vigente
Legge Comunale e Provinciale.Ordiniamo che il
presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, siainserito nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia
mandando a chiunque spetti di osservarlo e difarlo osservare.Dato a Firenze,
addì 27 maggio 1866 Ma
la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino
dell’opificio.In
seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio
serico al Comune stesso.Venne
varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, loStabilimento
serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,i giardini, le
piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive epassive, che su
tali proprietà abbia il demanio”. Legge che
autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quelloStabilimento
serico.Vittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaIl Senato e la
Camera dei Deputati hanno approvato;Noi abbiamo
sanzionato e promulgato quanto segue:Art 1 – Il Governo del Re è autorizzato a cedere, senza
veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento
serico con tutti gli accessori,le macchine, le
case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,ragioni di servitù
attive e passive, che su tali proprietà abbia il DemanioArt 2 – Il Comune
suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighiderivanti sia dallo statuto della già Colonia si S.
Leucio rispetto allefamiglie abitanti
nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel23 maggio 1865 col
signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affittodell’opificio da
lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anchein quanto riflette
la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ognicaso esente il
Demanio da ogni responsabilità.Ordiniamo che la
presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inseritanella raccolta
ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,mandando a
chiunque spetti di osservarla e di farla osservare comeLegge dello Stato.Dato a Torino,
addì 26 agosto 1868
Il
regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con
l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle
provincie meridionali il 4 settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti
i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!I
Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento
Nazionale di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando
cheLo stabilimento e
gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionaleLa
petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo
pochi mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia
veniva trasformata in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità: Regio Decreto con
cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome è elevata a ComuneVittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaVista la Legge
Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865Visti i voti emessi
dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18
luglio 1865;Vista la
deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;Sulla proposizione
del Nostro Ministro dell’Interno;Abbiamo decretato
e decretiamo:Art.1 – la così
detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;Art.2 – Il Nostro
Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti iprovvedimenti
necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comunesecondo la vigente
Legge Comunale e Provinciale.Ordiniamo che il
presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, siainserito nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia
mandando a chiunque spetti di osservarlo e difarlo osservare.Dato a Firenze,
addì 27 maggio 1866 Ma
la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino
dell’opificio.In
seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio
serico al Comune stesso.Venne
varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, loStabilimento
serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,i giardini, le
piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive epassive, che su
tali proprietà abbia il demanio”. Legge che
autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quelloStabilimento
serico.Vittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaIl Senato e la
Camera dei Deputati hanno approvato;Noi abbiamo
sanzionato e promulgato quanto segue:Art 1 – Il Governo del Re è autorizzato a cedere, senza
veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento
serico con tutti gli accessori,le macchine, le
case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,ragioni di servitù
attive e passive, che su tali proprietà abbia il DemanioArt 2 – Il Comune
suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighiderivanti sia dallo statuto della già Colonia si S.
Leucio rispetto allefamiglie abitanti
nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel23 maggio 1865 col
signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affittodell’opificio da
lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anchein quanto riflette
la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ognicaso esente il
Demanio da ogni responsabilità.Ordiniamo che la
presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inseritanella raccolta
ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,mandando a
chiunque spetti di osservarla e di farla osservare comeLegge dello Stato.Dato a Torino,
addì 26 agosto 1868
Il
regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con
l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle
provincie meridionali il 4 settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti
i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!I
Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento
Nazionale di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando
cheLo stabilimento e
gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionaleLa
petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo
pochi mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia
veniva trasformata in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità: Regio Decreto con
cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome è elevata a ComuneVittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaVista la Legge
Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865Visti i voti emessi
dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18
luglio 1865;Vista la
deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;Sulla proposizione
del Nostro Ministro dell’Interno;Abbiamo decretato
e decretiamo:Art.1 – la così
detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;Art.2 – Il Nostro
Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti iprovvedimenti
necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comunesecondo la vigente
Legge Comunale e Provinciale.Ordiniamo che il
presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, siainserito nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia
mandando a chiunque spetti di osservarlo e difarlo osservare.Dato a Firenze,
addì 27 maggio 1866 Ma
la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino
dell’opificio.In
seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio
serico al Comune stesso.Venne
varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, loStabilimento
serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,i giardini, le
piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive epassive, che su
tali proprietà abbia il demanio”. Legge che
autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quelloStabilimento
serico.Vittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaIl Senato e la
Camera dei Deputati hanno approvato;Noi abbiamo
sanzionato e promulgato quanto segue:Art 1 – Il Governo del Re è autorizzato a cedere, senza
veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento
serico con tutti gli accessori,le macchine, le
case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,ragioni di servitù
attive e passive, che su tali proprietà abbia il DemanioArt 2 – Il Comune
suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighiderivanti sia dallo statuto della già Colonia si S.
Leucio rispetto allefamiglie abitanti
nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel23 maggio 1865 col
signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affittodell’opificio da
lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anchein quanto riflette
la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ognicaso esente il
Demanio da ogni responsabilità.Ordiniamo che la
presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inseritanella raccolta
ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,mandando a
chiunque spetti di osservarla e di farla osservare comeLegge dello Stato.Dato a Torino,
addì 26 agosto 1868
Il
regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con
l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle
provincie meridionali il 4 settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti
i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!I
Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento
Nazionale di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando
cheLo stabilimento e
gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionaleLa
petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo
pochi mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia
veniva trasformata in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità: Regio Decreto con
cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome è elevata a ComuneVittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaVista la Legge
Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865Visti i voti emessi
dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18
luglio 1865;Vista la
deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;Sulla proposizione
del Nostro Ministro dell’Interno;Abbiamo decretato
e decretiamo:Art.1 – la così
detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;Art.2 – Il Nostro
Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti iprovvedimenti
necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comunesecondo la vigente
Legge Comunale e Provinciale.Ordiniamo che il
presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, siainserito nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia
mandando a chiunque spetti di osservarlo e difarlo osservare.Dato a Firenze,
addì 27 maggio 1866 Ma
la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino
dell’opificio.In
seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio
serico al Comune stesso.Venne
varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, loStabilimento
serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,i giardini, le
piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive epassive, che su
tali proprietà abbia il demanio”. Legge che
autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quelloStabilimento
serico.Vittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaIl Senato e la
Camera dei Deputati hanno approvato;Noi abbiamo
sanzionato e promulgato quanto segue:Art 1 – Il Governo del Re è autorizzato a cedere, senza
veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento
serico con tutti gli accessori,le macchine, le
case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,ragioni di servitù
attive e passive, che su tali proprietà abbia il DemanioArt 2 – Il Comune
suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighiderivanti sia dallo statuto della già Colonia si S.
Leucio rispetto allefamiglie abitanti
nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel23 maggio 1865 col
signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affittodell’opificio da
lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anchein quanto riflette
la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ognicaso esente il
Demanio da ogni responsabilità.Ordiniamo che la
presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inseritanella raccolta
ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,mandando a
chiunque spetti di osservarla e di farla osservare comeLegge dello Stato.Dato a Torino,
addì 26 agosto 1868
Il
regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con
l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle
provincie meridionali il 4 settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti
i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!I
Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento
Nazionale di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando
cheLo stabilimento e
gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionaleLa
petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo
pochi mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia
veniva trasformata in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità: Regio Decreto con
cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome è elevata a ComuneVittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaVista la Legge
Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865Visti i voti emessi
dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18
luglio 1865;Vista la
deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;Sulla proposizione
del Nostro Ministro dell’Interno;Abbiamo decretato
e decretiamo:Art.1 – la così
detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;Art.2 – Il Nostro
Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti iprovvedimenti
necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comunesecondo la vigente
Legge Comunale e Provinciale.Ordiniamo che il
presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, siainserito nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia
mandando a chiunque spetti di osservarlo e difarlo osservare.Dato a Firenze,
addì 27 maggio 1866 Ma
la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino
dell’opificio.In
seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio
serico al Comune stesso.Venne
varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, loStabilimento
serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,i giardini, le
piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive epassive, che su
tali proprietà abbia il demanio”. Legge che
autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quelloStabilimento
serico.Vittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaIl Senato e la
Camera dei Deputati hanno approvato;Noi abbiamo
sanzionato e promulgato quanto segue:Art 1 – Il Governo del Re è autorizzato a cedere, senza
veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento
serico con tutti gli accessori,le macchine, le
case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,ragioni di servitù
attive e passive, che su tali proprietà abbia il DemanioArt 2 – Il Comune
suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighiderivanti sia dallo statuto della già Colonia si S.
Leucio rispetto allefamiglie abitanti
nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel23 maggio 1865 col
signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affittodell’opificio da
lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anchein quanto riflette
la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ognicaso esente il
Demanio da ogni responsabilità.Ordiniamo che la
presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inseritanella raccolta
ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,mandando a
chiunque spetti di osservarla e di farla osservare comeLegge dello Stato.Dato a Torino,
addì 26 agosto 1868
Il
regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con
l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle
provincie meridionali il 4 settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti
i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!I
Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento
Nazionale di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando
cheLo stabilimento e
gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionaleLa
petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo
pochi mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia
veniva trasformata in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità: Regio Decreto con
cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome è elevata a ComuneVittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaVista la Legge
Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865Visti i voti emessi
dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18
luglio 1865;Vista la
deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;Sulla proposizione
del Nostro Ministro dell’Interno;Abbiamo decretato
e decretiamo:Art.1 – la così
detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;Art.2 – Il Nostro
Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti iprovvedimenti
necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comunesecondo la vigente
Legge Comunale e Provinciale.Ordiniamo che il
presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, siainserito nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia
mandando a chiunque spetti di osservarlo e difarlo osservare.Dato a Firenze,
addì 27 maggio 1866 Ma
la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino
dell’opificio.In
seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio
serico al Comune stesso.Venne
varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, loStabilimento
serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,i giardini, le
piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive epassive, che su
tali proprietà abbia il demanio”. Legge che
autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quelloStabilimento
serico.Vittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaIl Senato e la
Camera dei Deputati hanno approvato;Noi abbiamo
sanzionato e promulgato quanto segue:Art 1 – Il Governo del Re è autorizzato a cedere, senza
veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento
serico con tutti gli accessori,le macchine, le
case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,ragioni di servitù
attive e passive, che su tali proprietà abbia il DemanioArt 2 – Il Comune
suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighiderivanti sia dallo statuto della già Colonia si S.
Leucio rispetto allefamiglie abitanti
nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel23 maggio 1865 col
signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affittodell’opificio da
lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anchein quanto riflette
la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ognicaso esente il
Demanio da ogni responsabilità.Ordiniamo che la
presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inseritanella raccolta
ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,mandando a
chiunque spetti di osservarla e di farla osservare comeLegge dello Stato.Dato a Torino,
addì 26 agosto 1868
Il
regine rivendicato dai Leuciani si doveva considerare decaduto con
l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, pubblicato nelle
provincie meridionali il 4 settembre 1860, che stabiliva l’uguaglianza di tutti
i cittadini dinanzi alla legge!!!!!!!!!!!I
Leuciani con coraggio continuarono la loro lotta e attraverso una successiva petizione, basata sempre sulle stesse argomentazioni, chiesero al Parlamento
Nazionale di modificare l’allegato A della legge del 10 agosto 1862 dichiarando
cheLo stabilimento e
gli impianti non dovessero far parte dei beni del demanio nazionaleLa
petizione fu presenta alla camera nella seduta del 17 febbraio 1866 e dopo
pochi mesi, con un Decreto Reale del 26 maggio 1866, n. 2959, la Colonia
veniva trasformata in Comune, ereditando i fondi della Cassa di Carità: Regio Decreto con
cui la Colonia di S. Leucio, conservando lo stesso nome è elevata a ComuneVittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaVista la Legge
Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865Visti i voti emessi
dal Consiglio detto dei Seniori di S. Leucio, l’ultimo dei quali in data 18
luglio 1865;Vista la
deliberazione del Consiglio Provinciale di Caserta del 13 aprile 1866;Sulla proposizione
del Nostro Ministro dell’Interno;Abbiamo decretato
e decretiamo:Art.1 – la così
detta Colonia di S. Leucio è elevata a Comune conservando il nome di S. Leucio;Art.2 – Il Nostro
Ministro dell’Interno è autorizzato ad emettere tutti iprovvedimenti
necessari per organizzare l’amministrazione del detto Comunesecondo la vigente
Legge Comunale e Provinciale.Ordiniamo che il
presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, siainserito nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia
mandando a chiunque spetti di osservarlo e difarlo osservare.Dato a Firenze,
addì 27 maggio 1866 Ma
la vertenza non era conclusa perché rimaneva in sospeso il destino
dell’opificio.In
seguito venne presentato il progetto di legge per la consegna dell’opificio
serico al Comune stesso.Venne
varata una legge, del 26 agosto 1869 n. 4549, in virtù della quale venivano trasferiti al Comune sorto sulle ceneri della vecchia ed illustre Colonia, loStabilimento
serico con tutti gli accessori, le macchine, le case,i giardini, le
piazze e le strade, e co tutti i dritti, ragioni e servitù attive epassive, che su
tali proprietà abbia il demanio”. Legge che
autorizza il Governo a cedere al Comune di S. Leucio quelloStabilimento
serico.Vittorio Emanuele
II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’ItaliaIl Senato e la
Camera dei Deputati hanno approvato;Noi abbiamo
sanzionato e promulgato quanto segue:Art 1 – Il Governo del Re è autorizzato a cedere, senza
veruna corresponsione di prezzo, al Comune di S. Leucio quello stabilimento
serico con tutti gli accessori,le macchine, le
case, i giardini, le piazze e le strade, e con tutti i diritti,ragioni di servitù
attive e passive, che su tali proprietà abbia il DemanioArt 2 – Il Comune
suddetto è sostituito al Demanio nei diritti e negli obblighiderivanti sia dallo statuto della già Colonia si S.
Leucio rispetto allefamiglie abitanti
nelle case cedute, sia dal contratto stipulato nel23 maggio 1865 col
signor Giulio Giacomo Dumontet, per l’affittodell’opificio da
lui ceduto ai signori Tardiglieri, Pascal ed altri, anchein quanto riflette
la rescissione del contratto medesimo, ritenuto in ognicaso esente il
Demanio da ogni responsabilità.Ordiniamo che la
presente, munita dal sigillo dello Stato, sia inseritanella raccolta
ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia,mandando a
chiunque spetti di osservarla e di farla osservare comeLegge dello Stato.Dato a Torino,
addì 26 agosto 1868
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All’inizio
nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero impiegati
artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.Tra
il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I erano veli,
nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento,
scialli, fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni,
berrettini e borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a
cui si aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin
velluté, batiste.Uno
dei periodo più ricchi per la Reale Manifattura fu quello iniziale,
affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della
Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord
(Wallin e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la
manifattura borbonica.La
Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era composta da:-
N.
634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;-
224
individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:-
N.
77 “forestieri” che abitavano entro in recinto Per
un totale di n. 936 individui. Il censimento, molto particolareggiato da
parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza; -
N.
172 “accasati”, vedovi e soltieri
(solitari o non coniugati senza famiglia);-
N.
177 donne con la stessa condizione sociale;-
N. 257, maschi , figli di famiglia; -
N.
248 donne nelle condizioni similiA
questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti
alla Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento
di “Stoffaioli” e “Villutari.” In
merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei
singoli. La Real Colona manifestava un status ben definito;1)
Dirigenti,
tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti
alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze,
dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. VI appartengono: Soprintendente generale,
Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale,
Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri, Sovrastante alla filanda, Guardaroba,
Direttore dei Filatoi, Assortitore,
Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi,
Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri,
Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo,
Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.2)
Personale
addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili
mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera,
Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia,
Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade; 3)
Appartenenti
alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti,
varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo,
Piffaro, ecc.4)
Religiosi
e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore,
Organista; 5)
Professionisti:
Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale
Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra
delle ragazze6)
Commercianti,
Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro,
Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro,
Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto Il Sovrano dettò con il suo “Codice
Leuciano” un regolamento interno che fissava i doveri di tutti quelli che vi
operavano, dalla mansione più umile a quella più elevata di Soprintendente
generale. Forniva anche un indicazione su quella che doveva essere
l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti con il
mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine gli incentivi di produzione ed anche le pene.Realizzò
una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,
e di provenienza di altre regioni come Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari,
Bruetti, Scotti. Ferdinando I credeva molto nella creazione
di questa Colonia e riuscì a mostrarla al resto d’Europa come uno degli
esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti storici del tempo definirono
San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei Borboni di Francia e come il
segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione industriale.
All’inizio
nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero impiegati
artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.Tra
il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I erano veli,
nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento,
scialli, fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni,
berrettini e borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a
cui si aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin
velluté, batiste.Uno
dei periodo più ricchi per la Reale Manifattura fu quello iniziale,
affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della
Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord
(Wallin e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la
manifattura borbonica.La
Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era composta da:-
N.
634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;-
224
individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:-
N.
77 “forestieri” che abitavano entro in recinto Per
un totale di n. 936 individui. Il censimento, molto particolareggiato da
parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza; -
N.
172 “accasati”, vedovi e soltieri
(solitari o non coniugati senza famiglia);-
N.
177 donne con la stessa condizione sociale;-
N. 257, maschi , figli di famiglia; -
N.
248 donne nelle condizioni similiA
questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti
alla Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento
di “Stoffaioli” e “Villutari.” In
merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei
singoli. La Real Colona manifestava un status ben definito;1)
Dirigenti,
tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti
alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze,
dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. VI appartengono: Soprintendente generale,
Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale,
Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri, Sovrastante alla filanda, Guardaroba,
Direttore dei Filatoi, Assortitore,
Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi,
Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri,
Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo,
Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.2)
Personale
addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili
mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera,
Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia,
Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade; 3)
Appartenenti
alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti,
varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo,
Piffaro, ecc.4)
Religiosi
e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore,
Organista; 5)
Professionisti:
Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale
Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra
delle ragazze6)
Commercianti,
Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro,
Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro,
Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto Il Sovrano dettò con il suo “Codice
Leuciano” un regolamento interno che fissava i doveri di tutti quelli che vi
operavano, dalla mansione più umile a quella più elevata di Soprintendente
generale. Forniva anche un indicazione su quella che doveva essere
l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti con il
mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine gli incentivi di produzione ed anche le pene.Realizzò
una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,
e di provenienza di altre regioni come Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari,
Bruetti, Scotti. Ferdinando I credeva molto nella creazione
di questa Colonia e riuscì a mostrarla al resto d’Europa come uno degli
esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti storici del tempo definirono
San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei Borboni di Francia e come il
segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione industriale.
All’inizio
nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero impiegati
artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.Tra
il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I erano veli,
nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento,
scialli, fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni,
berrettini e borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a
cui si aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin
velluté, batiste.Uno
dei periodo più ricchi per la Reale Manifattura fu quello iniziale,
affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della
Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord
(Wallin e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la
manifattura borbonica.La
Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era composta da:-
N.
634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;-
224
individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:-
N.
77 “forestieri” che abitavano entro in recinto Per
un totale di n. 936 individui. Il censimento, molto particolareggiato da
parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza; -
N.
172 “accasati”, vedovi e soltieri
(solitari o non coniugati senza famiglia);-
N.
177 donne con la stessa condizione sociale;-
N. 257, maschi , figli di famiglia; -
N.
248 donne nelle condizioni similiA
questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti
alla Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento
di “Stoffaioli” e “Villutari.” In
merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei
singoli. La Real Colona manifestava un status ben definito;1)
Dirigenti,
tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti
alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze,
dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. VI appartengono: Soprintendente generale,
Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale,
Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri, Sovrastante alla filanda, Guardaroba,
Direttore dei Filatoi, Assortitore,
Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi,
Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri,
Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo,
Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.2)
Personale
addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili
mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera,
Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia,
Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade; 3)
Appartenenti
alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti,
varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo,
Piffaro, ecc.4)
Religiosi
e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore,
Organista; 5)
Professionisti:
Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale
Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra
delle ragazze6)
Commercianti,
Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro,
Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro,
Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto Il Sovrano dettò con il suo “Codice
Leuciano” un regolamento interno che fissava i doveri di tutti quelli che vi
operavano, dalla mansione più umile a quella più elevata di Soprintendente
generale. Forniva anche un indicazione su quella che doveva essere
l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti con il
mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine gli incentivi di produzione ed anche le pene.Realizzò
una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,
e di provenienza di altre regioni come Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari,
Bruetti, Scotti. Ferdinando I credeva molto nella creazione
di questa Colonia e riuscì a mostrarla al resto d’Europa come uno degli
esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti storici del tempo definirono
San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei Borboni di Francia e come il
segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione industriale.
All’inizio
nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero impiegati
artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.Tra
il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I erano veli,
nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento,
scialli, fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni,
berrettini e borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a
cui si aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin
velluté, batiste.Uno
dei periodo più ricchi per la Reale Manifattura fu quello iniziale,
affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della
Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord
(Wallin e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la
manifattura borbonica.La
Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era composta da:-
N.
634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;-
224
individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:-
N.
77 “forestieri” che abitavano entro in recinto Per
un totale di n. 936 individui. Il censimento, molto particolareggiato da
parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza; -
N.
172 “accasati”, vedovi e soltieri
(solitari o non coniugati senza famiglia);-
N.
177 donne con la stessa condizione sociale;-
N. 257, maschi , figli di famiglia; -
N.
248 donne nelle condizioni similiA
questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti
alla Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento
di “Stoffaioli” e “Villutari.” In
merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei
singoli. La Real Colona manifestava un status ben definito;1)
Dirigenti,
tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti
alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze,
dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. VI appartengono: Soprintendente generale,
Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale,
Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri, Sovrastante alla filanda, Guardaroba,
Direttore dei Filatoi, Assortitore,
Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi,
Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri,
Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo,
Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.2)
Personale
addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili
mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera,
Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia,
Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade; 3)
Appartenenti
alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti,
varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo,
Piffaro, ecc.4)
Religiosi
e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore,
Organista; 5)
Professionisti:
Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale
Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra
delle ragazze6)
Commercianti,
Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro,
Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro,
Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto Il Sovrano dettò con il suo “Codice
Leuciano” un regolamento interno che fissava i doveri di tutti quelli che vi
operavano, dalla mansione più umile a quella più elevata di Soprintendente
generale. Forniva anche un indicazione su quella che doveva essere
l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti con il
mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine gli incentivi di produzione ed anche le pene.Realizzò
una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,
e di provenienza di altre regioni come Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari,
Bruetti, Scotti. Ferdinando I credeva molto nella creazione
di questa Colonia e riuscì a mostrarla al resto d’Europa come uno degli
esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti storici del tempo definirono
San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei Borboni di Francia e come il
segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione industriale.
All’inizio
nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero impiegati
artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.Tra
il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I erano veli,
nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento,
scialli, fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni,
berrettini e borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a
cui si aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin
velluté, batiste.Uno
dei periodo più ricchi per la Reale Manifattura fu quello iniziale,
affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della
Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord
(Wallin e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la
manifattura borbonica.La
Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era composta da:-
N.
634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;-
224
individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:-
N.
77 “forestieri” che abitavano entro in recinto Per
un totale di n. 936 individui. Il censimento, molto particolareggiato da
parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza; -
N.
172 “accasati”, vedovi e soltieri
(solitari o non coniugati senza famiglia);-
N.
177 donne con la stessa condizione sociale;-
N. 257, maschi , figli di famiglia; -
N.
248 donne nelle condizioni similiA
questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti
alla Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento
di “Stoffaioli” e “Villutari.” In
merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei
singoli. La Real Colona manifestava un status ben definito;1)
Dirigenti,
tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti
alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze,
dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. VI appartengono: Soprintendente generale,
Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale,
Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri, Sovrastante alla filanda, Guardaroba,
Direttore dei Filatoi, Assortitore,
Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi,
Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri,
Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo,
Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.2)
Personale
addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili
mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera,
Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia,
Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade; 3)
Appartenenti
alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti,
varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo,
Piffaro, ecc.4)
Religiosi
e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore,
Organista; 5)
Professionisti:
Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale
Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra
delle ragazze6)
Commercianti,
Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro,
Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro,
Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto Il Sovrano dettò con il suo “Codice
Leuciano” un regolamento interno che fissava i doveri di tutti quelli che vi
operavano, dalla mansione più umile a quella più elevata di Soprintendente
generale. Forniva anche un indicazione su quella che doveva essere
l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti con il
mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine gli incentivi di produzione ed anche le pene.Realizzò
una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,
e di provenienza di altre regioni come Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari,
Bruetti, Scotti. Ferdinando I credeva molto nella creazione
di questa Colonia e riuscì a mostrarla al resto d’Europa come uno degli
esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti storici del tempo definirono
San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei Borboni di Francia e come il
segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione industriale.
All’inizio
nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero impiegati
artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.Tra
il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I erano veli,
nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento,
scialli, fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni,
berrettini e borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a
cui si aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin
velluté, batiste.Uno
dei periodo più ricchi per la Reale Manifattura fu quello iniziale,
affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della
Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord
(Wallin e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la
manifattura borbonica.La
Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era composta da:-
N.
634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;-
224
individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:-
N.
77 “forestieri” che abitavano entro in recinto Per
un totale di n. 936 individui. Il censimento, molto particolareggiato da
parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza; -
N.
172 “accasati”, vedovi e soltieri
(solitari o non coniugati senza famiglia);-
N.
177 donne con la stessa condizione sociale;-
N. 257, maschi , figli di famiglia; -
N.
248 donne nelle condizioni similiA
questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti
alla Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento
di “Stoffaioli” e “Villutari.” In
merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei
singoli. La Real Colona manifestava un status ben definito;1)
Dirigenti,
tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti
alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze,
dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. VI appartengono: Soprintendente generale,
Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale,
Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri, Sovrastante alla filanda, Guardaroba,
Direttore dei Filatoi, Assortitore,
Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi,
Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri,
Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo,
Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.2)
Personale
addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili
mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera,
Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia,
Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade; 3)
Appartenenti
alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti,
varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo,
Piffaro, ecc.4)
Religiosi
e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore,
Organista; 5)
Professionisti:
Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale
Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra
delle ragazze6)
Commercianti,
Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro,
Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro,
Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto Il Sovrano dettò con il suo “Codice
Leuciano” un regolamento interno che fissava i doveri di tutti quelli che vi
operavano, dalla mansione più umile a quella più elevata di Soprintendente
generale. Forniva anche un indicazione su quella che doveva essere
l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti con il
mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine gli incentivi di produzione ed anche le pene.Realizzò
una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,
e di provenienza di altre regioni come Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari,
Bruetti, Scotti. Ferdinando I credeva molto nella creazione
di questa Colonia e riuscì a mostrarla al resto d’Europa come uno degli
esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti storici del tempo definirono
San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei Borboni di Francia e come il
segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione industriale.
All’inizio
nel setificio di San Leucio, accanto alle maestranze locali vennero impiegati
artigiani francesi (da Lione) ed anche genovesi, piemontesi e messinesi.Tra
il 1790 ed il 1805 le produzioni realizzate dalla manifattura di Ferdinando I erano veli,
nobiltà, ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento, velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento,
scialli, fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni,
berrettini e borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a
cui si aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin
velluté, batiste.Uno
dei periodo più ricchi per la Reale Manifattura fu quello iniziale,
affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale maggiore della
Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord
(Wallin e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la
manifattura borbonica.La
Colonia, dopo circa un quarantennio dalla sua fondazione, in data 31 dicembre 1822 in base alla “Collettiva” redatta dal Parroco Don Camillo Retrosi era composta da:-
N.
634 individui abitanti entro il recinto della Colonia;-
224
individui che abitavano al di fuori del recinto della Colonia:-
N.
77 “forestieri” che abitavano entro in recinto Per
un totale di n. 936 individui. Il censimento, molto particolareggiato da
parte del parroco, riportava altri aspetti sociali di grande importanza; -
N.
172 “accasati”, vedovi e soltieri
(solitari o non coniugati senza famiglia);-
N.
177 donne con la stessa condizione sociale;-
N. 257, maschi , figli di famiglia; -
N.
248 donne nelle condizioni similiA
questi individui vanno aggiunti N. 6 giovani di San Leucio che erano addetti
alla Real Fabbrica e alla divisione militare, con funzioni nello stabilimento
di “Stoffaioli” e “Villutari.” In
merito all’aspetto economico il parroco considerò il reddito in relazione all’attività produttiva della Comunità, degli uffici e delle mansioni dei
singoli. La Real Colona manifestava un status ben definito;1)
Dirigenti,
tecnici, amministratori, operai di varie categorie e a varo livelli, addetti
alla trattura, filanda, filatoio e tessitura nella Real fabbrica delle calze,
dei veli e delle sete, artigiani, custodi e sorveglianti della stessa. VI appartengono: Soprintendente generale,
Cassiere, Razionale, Giornalista, Scritturale, Disegnatore, Direttore generale,
Incettatori dei folleri, Conservatore di folleri, Sovrastante alla filanda, Guardaroba,
Direttore dei Filatoi, Assortitore,
Tintore, Sottodirettori, Magazzinieri di sete colorate o di drappi,
Maestra di incannare o di ordire, Incannatrici di pelo e trama, Manifatturieri,
Pettinarolo, Celentatore, Mercante, Falegname e torniere, Ferraro, Stoffaiolo,
Villutaro, Calzettaio, Acaiolo, Balendiere, Addetto al sommacco.2)
Personale
addetto ai Reali Palazzi e ai Reali Giardini, dai pià alti gradi alle pià umili
mansioni: Direttore, Architetto, Intendente, Economo, Personale di Camera,
Offiziali, Camerieri, Portinaio, Guardaportone, Giardiniere, Guardacaccia,
Scopatore, Servo, Serviente, Addetto alle reti, Addetto alle strade; 3)
Appartenenti
alle forze armate: Ufficiali di ogni ordine e grado, Aiutanti, Sottufficiali, Sergenti,
varie specialità della truppa come Palafreniere, Armiere, Maniscalco, Tamburo,
Piffaro, ecc.4)
Religiosi
e addetti ai luoghi sacri: Parroco, Sostituto, Serviente della Chiesa, Cantore,
Organista; 5)
Professionisti:
Dottore Fisico, Dottore Fisico Aneorismatico, Dottore Chirurgo, Speziale
Farmacista, Notaio, Prattica Levatrice, Assentore, Maestro dei ragazzi, Maestra
delle ragazze6)
Commercianti,
Bottegai, Operai vari: Appaltatore, Incettatore, Merciaiuolo, Tavernaro,
Gualcheraio, Padulano, Venditori di generi lordi, Ferraro, Fontanaro,
Fabbricatore, Sartore, Pittore addetto alle pulizie, Facchinaro del Quarto Il Sovrano dettò con il suo “Codice
Leuciano” un regolamento interno che fissava i doveri di tutti quelli che vi
operavano, dalla mansione più umile a quella più elevata di Soprintendente
generale. Forniva anche un indicazione su quella che doveva essere
l’organizzazione del lavoro, la contabilità della fabbrica, i rapporti con il
mercato estero, le norme burocratiche, l’istruzione, la produzione ed infine gli incentivi di produzione ed anche le pene.Realizzò
una comunità autonoma ed indipendente anche nei suoi bisogni ma anche aperta ai “forestieri commoranti”, cioè dimoranti, che si trovavano a San Leucio per esigenze economiche e professionali. Negli anni sono presenti dei cognomi che evidenziarono la presenza di figure straniere come: Ortega, Pascal, Perret, Marschiezek, Vial, Lover, Barò,
e di provenienza di altre regioni come Favero, Pinnarl, Spanò, Zangari,
Bruetti, Scotti. Ferdinando I credeva molto nella creazione
di questa Colonia e riuscì a mostrarla al resto d’Europa come uno degli
esperimenti sociali più avanzati. Non a caso molti storici del tempo definirono
San Leucio come il grande e piccolo Trianon dei Borboni di Francia e come il
segno di una nuova realtà legata alla rivoluzione industriale.
Il Grande Trianon
in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 –
Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Il Grande Trianon
in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 –
Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Il Grande Trianon
in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 –
Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Il Grande Trianon
in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 –
Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Il Grande Trianon
in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 –
Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Il Grande Trianon
in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 –
Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Il Grande Trianon
in un dipinto del 1700
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 –
Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su
tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione:
Palazzo di Versailles
Artista: Jean Baptiste Martin (Martin des Batailles / Martin des Gobelins)
(Parigi, 1659 – Parigi, 8 ottobre 1735)
Pittura: olio su tela – Datazione: 1724 – Misure (396 x 223) cm
Collocazione: Palazzo di Versailles
Ferdinando mise la sua anima nella
compilazione dello Statuto e credeva fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:nel 1773 feci
cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Casertadetto appunto
bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..Ma vista la
favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendoconto che tanti fanciulli
e fanciulle che aumentavano alla giornata, permancanza di educazione,
potessero diventare e formare, un giorno, unapericolosa società
di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa dieducazione per i
figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi percollocarveli, del
mio casino, ed incominciai a formare le regole”. L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non
finisce di stupire... fece di San Leucio il primo esempio di scuola
obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante dato che in Italia la scuola
d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta. Il Re nelle sue memorie continuava a
scrivere..Ma poi pensai che
tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tuttaquesta gioventù,
benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,sarebbe stata
costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.Pensai allora di
rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:utile allo Stato,
introducendo una manifattura di sete grezze, operando inseguito, in modo
da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter coltempo servire di
modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandoledai pesi che ora
soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da nonpoter piangere
miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lussocon l’uguaglianza
e semplicità nel vestire”. Il suo grande sogno si tramutò in una
stupenda realtà. Fece venire da lontano i maggiori specialisti nell’arte della
seta, per insegnare ai Leuciani le procedure di lavorazione, per costruire la macchine (la spoletta
volante nasceva in Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida
applicazione) e gestire, per i primi tempi, la relativa produzione.Incentivò la coltivazione del gelso,
necessaria per l’allevamento dei bachi, e la conseguente bachicoltura prosperò
a tal punto da permettere l’instaurarsi di un ciclo produttivo completo, chiuso.La scelta produttiva della seta aveva
d’altra parte una forte motivazione sociale perché permetteva d’impiegare nella
produzione maestranze sia femminili che maschili.Le
primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò
un’officina per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua
sistemazione nel Casino del Real Belvedere nel 1783. La parola
organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench(Konya – Urgench),
nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta.
Ferdinando mise la sua anima nella
compilazione dello Statuto e credeva fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:nel 1773 feci
cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Casertadetto appunto
bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..Ma vista la
favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendoconto che tanti fanciulli
e fanciulle che aumentavano alla giornata, permancanza di educazione,
potessero diventare e formare, un giorno, unapericolosa società
di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa dieducazione per i
figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi percollocarveli, del
mio casino, ed incominciai a formare le regole”. L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non
finisce di stupire... fece di San Leucio il primo esempio di scuola
obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante dato che in Italia la scuola
d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta. Il Re nelle sue memorie continuava a
scrivere..Ma poi pensai che
tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tuttaquesta gioventù,
benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,sarebbe stata
costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.Pensai allora di
rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:utile allo Stato,
introducendo una manifattura di sete grezze, operando inseguito, in modo
da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter coltempo servire di
modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandoledai pesi che ora
soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da nonpoter piangere
miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lussocon l’uguaglianza
e semplicità nel vestire”. Il suo grande sogno si tramutò in una
stupenda realtà. Fece venire da lontano i maggiori specialisti nell’arte della
seta, per insegnare ai Leuciani le procedure di lavorazione, per costruire la macchine (la spoletta
volante nasceva in Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida
applicazione) e gestire, per i primi tempi, la relativa produzione.Incentivò la coltivazione del gelso,
necessaria per l’allevamento dei bachi, e la conseguente bachicoltura prosperò
a tal punto da permettere l’instaurarsi di un ciclo produttivo completo, chiuso.La scelta produttiva della seta aveva
d’altra parte una forte motivazione sociale perché permetteva d’impiegare nella
produzione maestranze sia femminili che maschili.Le
primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò
un’officina per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua
sistemazione nel Casino del Real Belvedere nel 1783. La parola
organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench(Konya – Urgench),
nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta.
Ferdinando mise la sua anima nella
compilazione dello Statuto e credeva fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:nel 1773 feci
cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Casertadetto appunto
bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..Ma vista la
favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendoconto che tanti fanciulli
e fanciulle che aumentavano alla giornata, permancanza di educazione,
potessero diventare e formare, un giorno, unapericolosa società
di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa dieducazione per i
figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi percollocarveli, del
mio casino, ed incominciai a formare le regole”. L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non
finisce di stupire... fece di San Leucio il primo esempio di scuola
obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante dato che in Italia la scuola
d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta. Il Re nelle sue memorie continuava a
scrivere..Ma poi pensai che
tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tuttaquesta gioventù,
benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,sarebbe stata
costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.Pensai allora di
rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:utile allo Stato,
introducendo una manifattura di sete grezze, operando inseguito, in modo
da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter coltempo servire di
modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandoledai pesi che ora
soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da nonpoter piangere
miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lussocon l’uguaglianza
e semplicità nel vestire”. Il suo grande sogno si tramutò in una
stupenda realtà. Fece venire da lontano i maggiori specialisti nell’arte della
seta, per insegnare ai Leuciani le procedure di lavorazione, per costruire la macchine (la spoletta
volante nasceva in Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida
applicazione) e gestire, per i primi tempi, la relativa produzione.Incentivò la coltivazione del gelso,
necessaria per l’allevamento dei bachi, e la conseguente bachicoltura prosperò
a tal punto da permettere l’instaurarsi di un ciclo produttivo completo, chiuso.La scelta produttiva della seta aveva
d’altra parte una forte motivazione sociale perché permetteva d’impiegare nella
produzione maestranze sia femminili che maschili.Le
primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò
un’officina per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua
sistemazione nel Casino del Real Belvedere nel 1783. La parola
organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench(Konya – Urgench),
nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta.
Ferdinando mise la sua anima nella
compilazione dello Statuto e credeva fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:nel 1773 feci
cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Casertadetto appunto
bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..Ma vista la
favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendoconto che tanti fanciulli
e fanciulle che aumentavano alla giornata, permancanza di educazione,
potessero diventare e formare, un giorno, unapericolosa società
di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa dieducazione per i
figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi percollocarveli, del
mio casino, ed incominciai a formare le regole”. L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non
finisce di stupire... fece di San Leucio il primo esempio di scuola
obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante dato che in Italia la scuola
d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta. Il Re nelle sue memorie continuava a
scrivere..Ma poi pensai che
tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tuttaquesta gioventù,
benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,sarebbe stata
costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.Pensai allora di
rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:utile allo Stato,
introducendo una manifattura di sete grezze, operando inseguito, in modo
da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter coltempo servire di
modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandoledai pesi che ora
soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da nonpoter piangere
miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lussocon l’uguaglianza
e semplicità nel vestire”. Il suo grande sogno si tramutò in una
stupenda realtà. Fece venire da lontano i maggiori specialisti nell’arte della
seta, per insegnare ai Leuciani le procedure di lavorazione, per costruire la macchine (la spoletta
volante nasceva in Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida
applicazione) e gestire, per i primi tempi, la relativa produzione.Incentivò la coltivazione del gelso,
necessaria per l’allevamento dei bachi, e la conseguente bachicoltura prosperò
a tal punto da permettere l’instaurarsi di un ciclo produttivo completo, chiuso.La scelta produttiva della seta aveva
d’altra parte una forte motivazione sociale perché permetteva d’impiegare nella
produzione maestranze sia femminili che maschili.Le
primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò
un’officina per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua
sistemazione nel Casino del Real Belvedere nel 1783. La parola
organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench(Konya – Urgench),
nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta.
Ferdinando mise la sua anima nella
compilazione dello Statuto e credeva fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:nel 1773 feci
cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Casertadetto appunto
bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..Ma vista la
favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendoconto che tanti fanciulli
e fanciulle che aumentavano alla giornata, permancanza di educazione,
potessero diventare e formare, un giorno, unapericolosa società
di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa dieducazione per i
figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi percollocarveli, del
mio casino, ed incominciai a formare le regole”. L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non
finisce di stupire... fece di San Leucio il primo esempio di scuola
obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante dato che in Italia la scuola
d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta. Il Re nelle sue memorie continuava a
scrivere..Ma poi pensai che
tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tuttaquesta gioventù,
benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,sarebbe stata
costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.Pensai allora di
rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:utile allo Stato,
introducendo una manifattura di sete grezze, operando inseguito, in modo
da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter coltempo servire di
modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandoledai pesi che ora
soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da nonpoter piangere
miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lussocon l’uguaglianza
e semplicità nel vestire”. Il suo grande sogno si tramutò in una
stupenda realtà. Fece venire da lontano i maggiori specialisti nell’arte della
seta, per insegnare ai Leuciani le procedure di lavorazione, per costruire la macchine (la spoletta
volante nasceva in Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida
applicazione) e gestire, per i primi tempi, la relativa produzione.Incentivò la coltivazione del gelso,
necessaria per l’allevamento dei bachi, e la conseguente bachicoltura prosperò
a tal punto da permettere l’instaurarsi di un ciclo produttivo completo, chiuso.La scelta produttiva della seta aveva
d’altra parte una forte motivazione sociale perché permetteva d’impiegare nella
produzione maestranze sia femminili che maschili.Le
primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò
un’officina per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua
sistemazione nel Casino del Real Belvedere nel 1783. La parola
organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench(Konya – Urgench),
nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta.
Ferdinando mise la sua anima nella
compilazione dello Statuto e credeva fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:nel 1773 feci
cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Casertadetto appunto
bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..Ma vista la
favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendoconto che tanti fanciulli
e fanciulle che aumentavano alla giornata, permancanza di educazione,
potessero diventare e formare, un giorno, unapericolosa società
di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa dieducazione per i
figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi percollocarveli, del
mio casino, ed incominciai a formare le regole”. L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non
finisce di stupire... fece di San Leucio il primo esempio di scuola
obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante dato che in Italia la scuola
d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta. Il Re nelle sue memorie continuava a
scrivere..Ma poi pensai che
tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tuttaquesta gioventù,
benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,sarebbe stata
costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.Pensai allora di
rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:utile allo Stato,
introducendo una manifattura di sete grezze, operando inseguito, in modo
da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter coltempo servire di
modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandoledai pesi che ora
soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da nonpoter piangere
miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lussocon l’uguaglianza
e semplicità nel vestire”. Il suo grande sogno si tramutò in una
stupenda realtà. Fece venire da lontano i maggiori specialisti nell’arte della
seta, per insegnare ai Leuciani le procedure di lavorazione, per costruire la macchine (la spoletta
volante nasceva in Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida
applicazione) e gestire, per i primi tempi, la relativa produzione.Incentivò la coltivazione del gelso,
necessaria per l’allevamento dei bachi, e la conseguente bachicoltura prosperò
a tal punto da permettere l’instaurarsi di un ciclo produttivo completo, chiuso.La scelta produttiva della seta aveva
d’altra parte una forte motivazione sociale perché permetteva d’impiegare nella
produzione maestranze sia femminili che maschili.Le
primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò
un’officina per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua
sistemazione nel Casino del Real Belvedere nel 1783. La parola
organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench(Konya – Urgench),
nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta.
Ferdinando mise la sua anima nella
compilazione dello Statuto e credeva fermamente nella creazione della Colona e nella sua conseguente struttura sociale, tanto da scrivere nelle pagine del Codice:nel 1773 feci
cingere da mura lo splendido bosco dietro la reggia di Casertadetto appunto
bosco di San Leucio, dove amavo andare a cacciare..Ma vista la
favorevoli prolificazione, dovuta alla bontà dell’aria e tenendoconto che tanti fanciulli
e fanciulle che aumentavano alla giornata, permancanza di educazione,
potessero diventare e formare, un giorno, unapericolosa società
di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una casa dieducazione per i
figlioli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi percollocarveli, del
mio casino, ed incominciai a formare le regole”. L’opera d’arte sociale di Ferdinando I non
finisce di stupire... fece di San Leucio il primo esempio di scuola
obbligatoria gratuita... Un aspetto rilevante dato che in Italia la scuola
d’obbligo nacque agli inizi degli anni Sessanta. Il Re nelle sue memorie continuava a
scrivere..Ma poi pensai che
tutti i miei sforzi sarebbero stati inutili poiché tuttaquesta gioventù,
benchè ben educata, dopo aver terminato gli studi,sarebbe stata
costretta ad andare altrove per cercarsi un mestiere.Pensai allora di
rendere quella popolazione utile allo Sato e alle famiglie:utile allo Stato,
introducendo una manifattura di sete grezze, operando inseguito, in modo
da portarle alla migliore perfezione possibile, tale da poter coltempo servire di
modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandoledai pesi che ora
soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da nonpoter piangere
miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lussocon l’uguaglianza
e semplicità nel vestire”. Il suo grande sogno si tramutò in una
stupenda realtà. Fece venire da lontano i maggiori specialisti nell’arte della
seta, per insegnare ai Leuciani le procedure di lavorazione, per costruire la macchine (la spoletta
volante nasceva in Inghilterra e trovò subito nella Colonia una sua rapida
applicazione) e gestire, per i primi tempi, la relativa produzione.Incentivò la coltivazione del gelso,
necessaria per l’allevamento dei bachi, e la conseguente bachicoltura prosperò
a tal punto da permettere l’instaurarsi di un ciclo produttivo completo, chiuso.La scelta produttiva della seta aveva
d’altra parte una forte motivazione sociale perché permetteva d’impiegare nella
produzione maestranze sia femminili che maschili.Le
primi espressioni artigianali erano costituite da veli e s’impiantò
un’officina per la trattura della seta all’organzino che trovò la sua
sistemazione nel Casino del Real Belvedere nel 1783. La parola
organzino deriva dal nome della città medievale di Urgench(Konya – Urgench),
nel Turkestan, dove era presente un ricco mercato della seta.
È oggi in genere
usato come filato per catena nei tessuti di seta. Nel
1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che costituivano i
filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che permettevano di consacrare la produzione
delle stoffe seriche.I
disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e
francesi.Il tessuto
spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che vienelavorato
aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “tramed’effetto”. Il
termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).Un termine legato
alla presenza delle broccature sul diritto della superficiedel tessuto e cioè
di decorazioni in rilievo che si ottengono con filiavvolti in piccole
“navette” dette “spolini”.Navette
È oggi in genere
usato come filato per catena nei tessuti di seta. Nel
1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che costituivano i
filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che permettevano di consacrare la produzione
delle stoffe seriche.I
disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e
francesi.Il tessuto
spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che vienelavorato
aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “tramed’effetto”. Il
termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).Un termine legato
alla presenza delle broccature sul diritto della superficiedel tessuto e cioè
di decorazioni in rilievo che si ottengono con filiavvolti in piccole
“navette” dette “spolini”.Navette
È oggi in genere
usato come filato per catena nei tessuti di seta. Nel
1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che costituivano i
filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che permettevano di consacrare la produzione
delle stoffe seriche.I
disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e
francesi.Il tessuto
spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che vienelavorato
aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “tramed’effetto”. Il
termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).Un termine legato
alla presenza delle broccature sul diritto della superficiedel tessuto e cioè
di decorazioni in rilievo che si ottengono con filiavvolti in piccole
“navette” dette “spolini”.Navette
È oggi in genere
usato come filato per catena nei tessuti di seta. Nel
1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che costituivano i
filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che permettevano di consacrare la produzione
delle stoffe seriche.I
disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e
francesi.Il tessuto
spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che vienelavorato
aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “tramed’effetto”. Il
termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).Un termine legato
alla presenza delle broccature sul diritto della superficiedel tessuto e cioè
di decorazioni in rilievo che si ottengono con filiavvolti in piccole
“navette” dette “spolini”.Navette
È oggi in genere
usato come filato per catena nei tessuti di seta. Nel
1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che costituivano i
filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che permettevano di consacrare la produzione
delle stoffe seriche.I
disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e
francesi.Il tessuto
spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che vienelavorato
aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “tramed’effetto”. Il
termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).Un termine legato
alla presenza delle broccature sul diritto della superficiedel tessuto e cioè
di decorazioni in rilievo che si ottengono con filiavvolti in piccole
“navette” dette “spolini”.Navette
È oggi in genere
usato come filato per catena nei tessuti di seta. Nel
1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che costituivano i
filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che permettevano di consacrare la produzione
delle stoffe seriche.I
disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e
francesi.Il tessuto
spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che vienelavorato
aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “tramed’effetto”. Il
termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).Un termine legato
alla presenza delle broccature sul diritto della superficiedel tessuto e cioè
di decorazioni in rilievo che si ottengono con filiavvolti in piccole
“navette” dette “spolini”.Navette
È oggi in genere
usato come filato per catena nei tessuti di seta. Nel
1787 furono introdotte due gigantesche macchine idrauliche che costituivano i
filatoi, alimentate dalle acque del condotto Carolino, che permettevano di consacrare la produzione
delle stoffe seriche.I
disegni dei damaschi e spolinati erano l’espressione di grandi artisti che lo stesso re, a sue spese, aveva fatto studiare presso le scuole inglesi e
francesi.Il tessuto
spolinato o broccato è un tessuto molto prezioso che vienelavorato
aggiungendo trame supplementari, dette “broccate” o “tramed’effetto”. Il
termine deriva dal lato “broccus” (“dai denti sporgenti”).Un termine legato
alla presenza delle broccature sul diritto della superficiedel tessuto e cioè
di decorazioni in rilievo che si ottengono con filiavvolti in piccole
“navette” dette “spolini”.Navette
Navette
Il damasco è
invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di
lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema
Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato
da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto
rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della
parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a
rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha
un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il
disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche
con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di
luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e
parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure
lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama.
L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
Il damasco è
invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di
lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema
Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato
da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto
rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della
parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a
rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha
un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il
disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche
con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di
luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e
parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure
lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama.
L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
Il damasco è
invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di
lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema
Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato
da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto
rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della
parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a
rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha
un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il
disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche
con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di
luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e
parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure
lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama.
L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
Il damasco è
invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di
lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema
Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato
da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto
rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della
parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a
rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha
un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il
disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche
con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di
luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e
parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure
lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama.
L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
Il damasco è
invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di
lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema
Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato
da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto
rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della
parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a
rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha
un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il
disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche
con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di
luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e
parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure
lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama.
L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
Il damasco è
invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di
lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema
Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato
da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto
rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della
parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a
rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha
un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il
disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche
con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di
luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e
parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure
lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama.
L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
Il damasco è
invece un tessuto operato con disegni stilizzati o floreali ad
effetto di
lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema
Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato
da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto
rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della
parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a
rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha
un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il
disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche
con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di
luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e
parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure
lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama.
L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
effetto di lucido-opaco. Si produce con un telaio al tiro con o
senza sistema Jacquard. È ottenuto con un solo ordito ed una sola trama.
Il fondo è ormato da un’armatura a raso da otto e i motivi decorativi dal
raso da otto rovescio. L’effetto è provocato dal contrasto della
lucentezza della parte a raso con l’opacità di quella dove il raso si
presenta a rovescio e dall’utilizzo di filati di differente torsione e finezza.
Il damasco non ha un diritto e un rovescio e solitamente si considera il diritto il
Lato dove il disegno viene formato dalla trama, per cui il fondo risulta lucido.
Il disegno, anche con l'ordito identico alla trama, spicca anche per variazione dell'effetto di luce; la quale è riflessa in una data direzione dalle briglie lunghe e parallele della catena e in un'altra diversa e contrastante dalle briglie, pure lunghe e parallele, ma disposte perpendicolarmente alle prime, della trama. L'effetto di luce cambia naturalmente secondo la posizione di chi guarda
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Nel 1789 vi erano 70 telai per la fabbricazione di calze e 30 telai per la
produzione di stoffe, che si incrementarono giungendo ad avere nell'opificio
100 telai per le calze e 80 per le stoffe.Con
queste nuove produzioni i tessuti di San Leucio riuscirono ad invadere l’Europa
per essere apprezzati dalle numerose corti. Con
l’Unità d’Italia il governo affidò nel
1868 la fabbrica alla società Ventura – Grauso – Pascal (quest’ultimo d’origine
francese).Dopo la cacciata del Borboni e con l’avvento
dell’unità d’Italia nella Colonia di San Leucio erano presenti dei piccoli
nuclei artigianali a conduzione familiare che tenevano ancora in vita la
prestigiosa attività anche se la grande industria era in attività grazie ad affitti governativi non molto fortunati.Nel 1882 venne introdotto nella produzione il telaio Jacquard.Nel
1883 i Cicala impiantarono un laboratorio di sete a Caserta e la sede di San
Leucio fu trasformata in Società Maresca – Pascal che continuò fino al 1887.Nel
1887 la ditta Raffaele Alois installò un opificio a Briano mentre la società De
Negri amministrò San Leucio e Sala (Via Mulini Militari di Caserta) dove
avevano un setificio.
Setificio De Negri
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Le
date non sono molto concordi ma in ogni caso l’importante è visualizzare
l’attività produttiva dell’opificio di San Leucio. Infatti, secondo alcune
fonti, l’Antico Opificio Serico “De Negi” fu fondato a San Leucio nel 1895 dal
genovese Leopoldo De Negri.I
prodotti tessili erano costituiti da seta e tessuti artigianali.Leopoldo
De Negri (1820 – 1904) era nipote di Francesco De Negri, grande maestro tessile
di Genova, che giunse a San Leucio intorno al 1789 per lavorare nel setificio
di Ferdinando I di Borbore, re delle Due Sicilie. A marzo
2015 l'opificio è stato chiuso a causa della vendita dei locali ad un
imprenditore edile. A
dicembre 2015 viene riaperta l'attività, in altro sito. Ora la tradizione
centenaria dei De Negri continua.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
Nel
1902 Giuseppe Mezzacapo di Cava de’ Tirreni assunse la gestione del setificio posto nel Belvedere.Nello
scenario produttivo della seta di San Leucio era presente anche la famiglia
Alois che svolse un ruolo importante per almeno sei generazioni. La sua
apparizione nel tessuto sociale di
Caserta fu nel quartiere di Puccianielo, posto a destra dei Giardini Reali, con
Davide e Raffaele (1814), tessitori della Real Fabbrica della Villa
Aldifreda, e con Maria Giuseppa (1820) moglie del medico condotto del Belvedere
di San Leucio.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
La
Vaccheria, progettata dal Vanvitelli, in epoca borbonica era un edificio
militare. Si tratta di un edificio che ha una storia che racchiude un arco di
circa due secoli.La
sua ubicazione nella “Starza grande”,
territorio descritto da Antonio Sancio, su dei terreni campestri che
erano destinati al pascolo delle vacche svizzere.“I
lavori per la Vaccheria da farsi alla Rifreda” risalirebbero al 17 aprile
1751. Infatti i documenti, datati dal
settembre 1752 al 27 agosto 1753, presenterebbero un susseguirsi di contabilità
per la costruzione della Vaccheria con misure ed stime firmati da Franco Dominici ed approvati
da Neroni.Nel
mese di marzo 1753 furono messe in opera le tegole, le pitturazioni delle
stalle oltre al montaggio di 100
lucchetti e 14 lucchettini alle aperture. Dopo pochi mesi furono messe in
opera le reti realizzate con maglie di ferro ad occhio di pernice per salvaguardare dagli insetti i prodotti caseari
posti sulle mensole.Nell’ottobre
1753 il Vanvitelli fu chiamato da re Ferdinando per progettare la vaccheria con
il “Caffeaus”... in realtà si tratterebbe di modifiche agli edifici che erano stati già costruiti
con la funzione di stalle. Le modifiche riguardavano l’inserimento di altri
edifici per concludere lo spazio
funzionale e cioè la creazione di un emiciclo ad un solo livello
articolato a stalle per le capre d’angora e la sistemazione della
facciata sulla strada già composta con due ali di edifici adibiti ad abitazioni
per i lavoranti, probabilmente collegati ad una cancellata d’ingresso.
Quest’ultima sarà sostituita da un edificio poligonale all’esterno ed ellittico
all’interno, la cui funzione di “Coffeaus per bevere il latte” era stata
richiesta già da re Carlo. Edificio che avrebbe mediato i due corpi
architettonici con due ingressi simmetrici.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Con
il ritorno di Ferdinando I a Napoli, l’edificio tornerà a funzionare come
vaccheria limitando la spazio della cotoneria .Nel
1850 fu trasformato per uso militare per ospitare i soldati e i malati. La
parte ad emiciclo fu utilizzata come ospedale con la collocazione di ben 788
letti nell’attesa che si completasse l’altro edificio ospedaliero, di grandi
proporzioni, che si stava costruendo in Casagiove.Fu
anche costruito il tempietto ottagonale
che doveva servire “per far ascoltare la messa ai malati”. Un
acquarello di Gennaro Aloia, nel Museo di San Martino, documenta
l’utilizzazione dell’edificio come ospedale come si legge nella “Pianta della
città di Caserta levata nell’anno 1857 dall’Ingegnere Vincenzo di Carlo”
dove sarebbe riportata la scritta “Quartiere
di Aldifreda”.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Alla
fine del secolo XIX l’edificio diventò distretto militare e nel 1930 sede della
Scuola della Polizia di Stato non modificando la struttura ottocentesca.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Un
documento scritto dal Commissario di Guerra D. Baldassare Mele ed indirizzato
al Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina in Napoli, Francesco
Emanuele Pinto y Mendoza principe di
Ischitella, datato 27 ottobre 1850 e firmato Leopoldo Corsi:
“Eccellenza
mi do l’onore, di manifestare a S.E. di essere volere di S. M. il Re N.S. che
il locale detto Vaccheria di Aldifreda di proprietà di casa Reale venga ridotto
ad ospedale militare di 788 letti. Che siffatta riduzione venga eseguita in
economia per la cure del Signor commissario di guerra D. Baldassare Mele.....
che la somma sia prelevata dalla madre fede del ramo guerra.... che perora si
prelevi... un acconto di seimila ducati per cominciarsi lunedì 28 del corrente
i lavori anzidetti... siano rinnovati i contratti stabiliti dal detto Signor
commissario il 20 gennaio 1846... con il ribasso del 12 per cento sui prezzi
delle nuove tariffe del genio di gennaio 1850 di Terra di lavoro, oltre al tre
per cento di compenso all’architetto qui appresso nominato... Signor D.
Giovanni Rossi Ingegnere alunno del Corpo de’ Ponti e Strade”.
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
Raffaele Alois
(1861 – 1937).
(1861 – 1937).
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
I figli Antonio e Giovanni diedero vita ad una vera
impresa, che copriva l’intero ciclo produttivo, dalla bachicoltura alla
tessitura; quindi, il nipote omonimo Raffaele (1922), figlio di Antonio (a
lungo Presidente dell’Azienda), provvide ad ingrandire la fabbrica; l’opera si
completò con la nascita della Passamanerie Casertane, specializzata in articoli
complementari.
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Sulla strada
percorsa dal padre, i figli Giosuè, Antonio e Caterina, diedero vita nel
1994 all’ASA (Arte Seta Alois S.p.A.) oggi purtroppo in liquidazione a quanto riporta il sito internet: L’Asa era
l’azienda pilota del polo serico casertano che, impiegando tecnologie avanzate, sempre nel rispetto della tradizione, e perseguendo l’integrazione
tra tessuti e passamanerie, diventò una
realtà imprenditoriale, tesa alla ricerca di nuove prospettive
commerciali e ad una solida collocazione economica nel territorio.Oggi, Edda e Bernardo,
figli di Giovanni e Marinella Alois, rappresentano la sesta generazione
impegnata a proseguire la secolare tradizione familiare della Azienda Alois così ricca d’arte:
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Il settore economico cambia con il progredire
inesorabile del tempo perché sono necessari aggiornamenti, conversione di capitali e i piccoli artigiani
finirono con il sospendere le proprie umili attività.Oltre alle due citate ditte, De Negri ed Alois, erano
presenti altre realtà manufatturiere come il Setificio di Luigi Di Giacomo con
un eccellente produzione di damaschi che furono richiesti dall’amministrazione
Kennedy che ne chiese l’esclusiva per le tappezzerie della Casa Bianca.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Nel 1992 le aziende operati nel settore diedero vita
ad un Consorzio “San Leucio Seta”.La produzione di seta
di San Leucio, fin dal Settecento, ha avuto un grande successo nel mondo
arredando le corti di re ed imperatori, palazzi di governo e le dimore degli sceicchi
per poi avviarsi ad un forte declino nel 2004.Prima della grave crisi globale c’erano una decina di
imprese con oltre mille dipendenti. Oggi le imprese si sono molto ridotte e di numero
(sette ?) con non più di 150 addetti (dati del 2017). Nel 2004 ogni impresa vantava in media
portafogli ordini a quattro mesi almeno, nel 2015 l’elenco delle commesse era
sceso a soli 20 giorni. Un declino preoccupante.Nel 2017 ci furono dei momenti di risveglio nel
settore. Gli ordini erano in ripresa tanto che i produttori parlavano di un
incremento del 15% nel mese di settembre 2017 rispetto allo stesso periodo del
2016. Schematizzare i dati economici non
è facile. Probabilmente quell’incremento era legato allo sviluppo di progetti
di produzione, commercializzazione e comunicazione, che da decenni erano fermi
sul tavolo degli imprenditori, allora troppo chiusi al cambiamento necessario
per ogni attività industriale.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Oggi un Consorzio raccoglie tutti i produttori di seta
della zona collinare di Caserta e nel giugno 2016 creò la nascita di un marchio di tutela
“San Lucio Silk”.È inutile nasconderlo ma il settore risente delle
problematiche sociali ed è in crisi dal 2013.Per questo motivo fu creato un disciplinare ed un
regolamento a cui i produttori si attengono per fare parte del Consorzio e
fregiarsi del marchio che è riconoscibile in tutto il mondo.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
Il marchio garantisce qualità ed anche etica di produzione, richiamandosi
alla Colonia di San Leucio, Voluta da Ferdinando I, che tutelava i lavoratori e
in particolare le donne impiegate nella produzione. Il disciplinare di produzione è rispettoso dell’ambiente con l’uso di tinture ecocompatibili e con un
corretto smaltimento dei materiali di scarto, con quel rispetto della tradizione, dell’ambiente, del
territorio e delle persone. Il Marchio è aperto e chiunque può aderirvi sempre
nel rispetto delle regole di produzione. È un passo fondamentale per riuscire a fronteggiare la crisi legata anche alla competizione commerciale con la Cina,
l’India e la Corea del Sud.Il marchio è operativo. La rete d’imprese ha preparato
un campionario in cui non figurano più le singole case produttrici ma “San
Leucio Silk” che riceve gli ordini e gli smista ai vari produttori.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
Seta ItalyUNINDUSTRIA CASERTA
Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
in siti decisamente più importanti come al Vativano, nello Studio Ovale della Casa Bianca. Le
bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
Seta ItalyUNINDUSTRIA CASERTA
Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
in siti decisamente più importanti come al Vativano, nello Studio Ovale della Casa Bianca. Le
bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
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Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
in siti decisamente più importanti come al Vativano, nello Studio Ovale della Casa Bianca. Le
bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
Seta ItalyUNINDUSTRIA CASERTA
Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
in siti decisamente più importanti come al Vativano, nello Studio Ovale della Casa Bianca. Le
bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
Seta ItalyUNINDUSTRIA CASERTA
Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
in siti decisamente più importanti come al Vativano, nello Studio Ovale della Casa Bianca. Le
bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
Seta ItalyUNINDUSTRIA CASERTA
Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
in siti decisamente più importanti come al Vativano, nello Studio Ovale della Casa Bianca. Le
bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
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Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
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bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
La distribuzione è cambiata perchè mentre un tempo il tessuto
veniva affidato ad editori, oggi viene veicolato da designer, studi di
architettura o a grossisti qualificati. Il marchio ha già avuto i primi
successi come la richiesta di stoffe per Palazzo Pallavicini a Vienna e per le
sale dell’hotel Ritz di Parigi.Le aziende aderenti al Marchio “San Leucio Silk” nel
2019 erano (probabilmente oggi saranno aumentate ma non ho riferimenti in
merito):ANTICO OPIFICIO SERICO - San Leucio Caserta – ItalyBOCCIA - Manifattura TessileBOLOGNA E MARCACCIO - Opificio Serico dal 1924 in San
LeucioDE NEGRI & ZAMA - Manifattura TessilePIAZZA DELLA SETA - Home CollectionREAL SETA - Italian Silk FabricsSILK & BEYOND - San Leucio
Seta ItalyUNINDUSTRIA CASERTA
Ma
al di là delle vicende imprenditoriali dell'opificio borbonico, bisogna
riconoscere a Ferdinando IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII
secolo, ad una tradizione serica che a San Leucio è ancora fortemente presente.
Verso la fine del XIX secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa
maturata nella seteria ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente
intraprendenti diede vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali
(Setificio Cicala, 1883; Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora
oggi, accanto ad altre seterie fondate in epoche successive. La caratteristica
delle seterie di San Leucio è quella di essersi specializzate, in seguito ad un
processo di riorganizzazione aziendale che ha comportato il superamento della dimensione artigianale e l'adozione di moderne tecnologie produttive, nella lavorazione di tessuti in seta di altissima qualità per l'arredamento. Questa
particolare produzione può essere considerata una nicchia protetta di mercato
destinata ad un segmento di élite (grandi alberghi, ambasciate e simili),
caratterizzata da un elevato valore aggiunto e da un trend positivo di crescita
nonostante la flessione del comparto serico. C’è da dire che la seta di san Leucio la
troviamo non solo al Quirinale ma anche
in siti decisamente più importanti come al Vativano, nello Studio Ovale della Casa Bianca. Le
bandiere della Casa Bianca e quelle di Buckingham Palace sono create proprio
con seta di San Leucio.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
In
tutto il circondario casertano sono pochissime le aziende che ancora fanno
sentire il suono del battere dei telai.
Telai, che potremo definire antichi, mossi non solo da una finalità manufatturiere, e
quindi economica, ma anche da una finalità etica profondamente nuova attraverso
regole di comportamento e creando forme sia di difesa che di incentivazione. Un
utopia che potremo definire unica in Europa.Davanti
ormai ad una politica, sin dall’Unità d’Italia, lontana dalle esigenze sociali
del Meridione, la “Questione Meridionale” non è stata mai risolta, la Colonia
di San Leucio sembraCome il luccichio
di una gemma preziosa che serba a tutt’oggiil fascino della
sua origine quasi magica”E
questo il segreto che ancora oggi dà vita e lustro alla Real Colonia di San
Leucio da cui tanti e tanti politici dovrebbero imparare lasciando da parte gli
interessi privati ..Le
pagine di storia non hanno insegnato nulla
e nell’ignoranza si continua a commettere errori come quello di affidare
un incarico importante a chi ha ricoperto ruoli nell’alta finanza Europea favorendo le grandi banche che tanti disastri
hanno causato nell’economia mondiale creando forti aspetti di povertàche hanno finito con il minare la serenità dell’individuo . Ma questo è un discorso che dovrebbe
essere escluso dalla mia ricerca perché espressione di comportamenti legati al
mancato rispetto delle regole etico sociali.
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
Ferdinando I di
Borbone, nel ritratto assieme alla moglie Maria Carolina d’Austria,
nello “ Statuto Leuciano” inserì una
frase che deve far riflettere:
“ La
virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
nello “ Statuto Leuciano” inserì una frase che deve far riflettere:
“ La virtù e l’eccellenza nell’arte.... l’onore e la singolarità nel lavoro....”
.............................
Gli Edifici
.............................
Gli Edifici
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Gli Edifici
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Gli Edifici
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Gli Edifici
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Gli Edifici
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Gli Edifici
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Gli Edifici
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Gli Edifici
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
Non lontano da San Leucio c’è il quartiere della
“Vaccheria” che sorse nel 1773 pervolere del re Ferdinando IV
di Borbone. Un quartiere costruito ai pedi del Casino di caccia del sovrano. Un
fabbricato che, a quanto sembra, è in abbandono da anni e anni fa deturpato da
un ristorante che sorse a fianco dell’edificio
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
12
Antico
Casino di San Leucio
(Quartiere “Vaccheria”)
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
L’edificio
serviva prima per residenza Reale, e venne abbandonato per i motivi che accennano (la
morte del piccolo Carlo Tito che morì per vaiolo nell’edificio).Attualmente
trovasi il medesimo addetto per abitazione degl’Individui della Real Colonia; ed è composto dal pianterreno, e di due piani superiori, uno nobile e l’altro
ammezzato.Al
pianterreno si ha l’ingresso per mezzo di un portico, a destra del quale esiste
la scala, che ascende ai piani superiori. Esso è formato di ventuno stanze,
oltre di un corridojo interno, che serve di uscita alle diverse abitazioni, e
di una cucina sporgente in fuori verso il lato di mezzogiorno.Il
piano nobile si compone di diciotto stanze, una galleria e la Cappella. Il
piano ammezzato poi viene formato da altre venti stanze tra grandi e piccole.Nei
lati si settentrione ed oriente di questo edificio, essendo il suolo sottoposto
al livello del pianterreno vi si vede formata una loggia con un piccole stanze
al di sotto nella sola parte di settentrione, alla quale s’impiana per mezzo di
una scaletta di fabbrica scoverta, nel di cui lato sinistro vedesi una casetta
ad uso di pagliera.A
fronte del prospetto principale di questo Casino esiste un’aja lastricata con
piccole scuderie sottoposte. Sotto
le rampe che conducono a questo casino
si molte stanze, che servivano una volta per stalle, rimesse, cucine e per
altri usi. Queste stanze ultimamente riattate sono nel numero di..., ed in esse
vi abitano attualmente Individui della Colonia.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto, tratte dall’interessante sito:furono scattate nel gennaio del 2015 e l’edificio
sembrerebbe ancora in abbandono dato che non ho trovato notizie in merito ad un
suo ripristino conservativo e di valorizzazione.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
Foto che esprimono vergogna... i soffitti a volta presentano le antiche decorazioni floreali tipiche del Collecini, anche i comignoli
mattonellati e caratteristici dell’epoca borbonica, disegnati dall’architetto Vanvitelli,
e simili a quelli presenti nella Reggia di Caserta... tutto è nell’assoluto
degrado.Ferdinando IV passò molti inverni su questa collina insieme alla sua
famiglia mal’abbandonò quando nel 1778 gli morì il figlio Carlo Tito a causa del
vaiolo.
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
La strada di
accesso è costruita, e ancora oggi si vede benissimo, su volte a botte i cui spazi servivano e servono, per ricavare locali atti alla produzione agricola:
una maniera intelligente per utilizzare al meglio gli ambienti........................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
.......................
13
Torretta
dejnominata
Posta del Re o Castelluccio ( sul Monte
San Leucio)
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
Sulla
vetta del Monte S. Leucio esiste l’acconcia fabbrichetta ottagonale. La
scaletta di questa torre è molto ingegnosamente architettata: essa incomincia
dalla parete di mezzogiorno per ove dà l’ingresso al primo piano; indi dividersi in due braccia, le quali, cingendo la torre
medesima, vanno ad unirsi al lato settentrionale ove mettono al secondo piano.
Questa fabbrichetta fu costruita per volere del Re Ferdinando, il quale se valeva ogni qualvolta piaceagli di
ristorarsi dopo la caccia, e le fu dato il nome di Posta del Re.Poiche
il piano superiore della medesima era aperto a guisa di un pagliajo, non
essendovi che soli pilastri di fabbrica, che ne sostevano la copertura, i venti
impetuoso che dominano in quella eminenza, ed i fulmini ne han fatto crollare
la covertura istessa,
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
L’arco
borbonico è il portale d’ingresso al complesso monumentale del Belvedere di San
Leucio.Risale
al 1600 quando costituiva l’ingresso della proprietà feudale dei principi Acquaviva, signori di Caserta.Per
volere di Ferdinando IV fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini.
Sulla sommità del portale fu collocato un gruppo scultoreo con al centro lo
stemma borbonico e ai lati due leoni, opera dello scultore Angelo Brunelli.
Dalle
falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e
vasto orizzonte, che una parte della Campania gli offre.Nella
introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto
Re Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real
dimora, e per le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a
descriverlo con quella maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei
complicati dettagli, che debbono indicarsi...Entrando
dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per una
spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da
alberi, si rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più
lese, per la quale si ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia,
ornata di ringhiere di ferro.Nel
fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha
in questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.La
figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a
mezzogiorno e settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile,
circondato per metà da un portico.L’avancorpo,
di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi nel piano dell’edificio, che si osservano nei
lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra
dell’avancorpo istesso.Ogni
spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di
marmo con tre getti d’acqua.
Dalle
falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e
vasto orizzonte, che una parte della Campania gli offre.Nella
introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto
Re Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real
dimora, e per le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a
descriverlo con quella maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei
complicati dettagli, che debbono indicarsi...Entrando
dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per una
spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da
alberi, si rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più
lese, per la quale si ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia,
ornata di ringhiere di ferro.Nel
fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha
in questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.La
figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a
mezzogiorno e settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile,
circondato per metà da un portico.L’avancorpo,
di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi nel piano dell’edificio, che si osservano nei
lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra
dell’avancorpo istesso.Ogni
spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di
marmo con tre getti d’acqua.
Dalle
falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e
vasto orizzonte, che una parte della Campania gli offre.Nella
introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto
Re Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real
dimora, e per le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a
descriverlo con quella maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei
complicati dettagli, che debbono indicarsi...Entrando
dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per una
spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da
alberi, si rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più
lese, per la quale si ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia,
ornata di ringhiere di ferro.Nel
fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha
in questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.La
figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a
mezzogiorno e settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile,
circondato per metà da un portico.L’avancorpo,
di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi nel piano dell’edificio, che si osservano nei
lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra
dell’avancorpo istesso.Ogni
spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di
marmo con tre getti d’acqua.
Dalle
falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e
vasto orizzonte, che una parte della Campania gli offre.Nella
introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto
Re Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real
dimora, e per le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a
descriverlo con quella maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei
complicati dettagli, che debbono indicarsi...Entrando
dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per una
spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da
alberi, si rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più
lese, per la quale si ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia,
ornata di ringhiere di ferro.Nel
fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha
in questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.La
figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a
mezzogiorno e settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile,
circondato per metà da un portico.L’avancorpo,
di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi nel piano dell’edificio, che si osservano nei
lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra
dell’avancorpo istesso.Ogni
spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di
marmo con tre getti d’acqua.
Dalle
falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e
vasto orizzonte, che una parte della Campania gli offre.Nella
introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto
Re Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real
dimora, e per le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a
descriverlo con quella maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei
complicati dettagli, che debbono indicarsi...Entrando
dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per una
spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da
alberi, si rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più
lese, per la quale si ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia,
ornata di ringhiere di ferro.Nel
fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha
in questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.La
figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a
mezzogiorno e settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile,
circondato per metà da un portico.L’avancorpo,
di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi nel piano dell’edificio, che si osservano nei
lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra
dell’avancorpo istesso.Ogni
spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di
marmo con tre getti d’acqua.
Dalle
falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e
vasto orizzonte, che una parte della Campania gli offre.Nella
introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto
Re Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real
dimora, e per le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a
descriverlo con quella maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei
complicati dettagli, che debbono indicarsi...Entrando
dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per una
spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da
alberi, si rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più
lese, per la quale si ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia,
ornata di ringhiere di ferro.Nel
fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha
in questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.La
figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a
mezzogiorno e settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile,
circondato per metà da un portico.L’avancorpo,
di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi nel piano dell’edificio, che si osservano nei
lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra
dell’avancorpo istesso.Ogni
spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di
marmo con tre getti d’acqua.
Dalle
falde del monte denominato S. Leucio e precisamente nel sito delle Belvedere, ergesi questo Real edificio, ove l’occhio dello spettatore gode del più bello e
vasto orizzonte, che una parte della Campania gli offre.Nella
introduzione alla presente platea abbiamo abbastanza parlato della primitiva fondazione di questo edficio e de’ notabili ampliamenti fatti in esso dallo Augusto
Re Ferdinando, il quale volle che servisse quasi promiscuamente per sua Real
dimora, e per le diverse officine della fabbrica delle seterie. Ora veniamo a
descriverlo con quella maggiore chiarezza, che sarà possibile a fronte dei
complicati dettagli, che debbono indicarsi...Entrando
dal gran portone, che dà l’ingresso a Belvedere, dopo una comoda salita per una
spaziosa strada, che viene fiancheggiata prima da alcuni edificj, e poi da
alberi, si rinviene una magnifica ed alta scala a due braccia, divisi in più
lese, per la quale si ascende ad uno spiazzo, che ha la forma di amena loggia,
ornata di ringhiere di ferro.Nel
fondo di questa loggia vedesi il lato meridionale del Real Casino, il quale ha
in questo sito un avancorpo, che forma il suo aspetto principale.La
figura dell’edificio è rettangolare, ed ai lati maggiori sono messi a
mezzogiorno e settentrione. Nel mezzo del rettangolo evvi un vasto cortile,
circondato per metà da un portico.L’avancorpo,
di cui abbiamo parlato, viene fiancheggiato da due brevi scalinate, ciascuna delle quali conduce ad uno de’ due spiazzi messi nel piano dell’edificio, che si osservano nei
lati di oriente, e di occidente, ovè alla dritta, ed alla sinistra
dell’avancorpo istesso.Ogni
spiazzo è decorato da una bella fontana con vasca di travertino, e gruppi di
marmo con tre getti d’acqua.
Di
questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto
quadrato che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo
fondo la statua in istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il
secondo poi messo ad occidente non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla
sua estremità da’ luogo ad un passaggio non angusto, che accompagna il lato
occidentale del Casino, ed immette quindi nel settentrionale.
Di
questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto
quadrato che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo
fondo la statua in istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il
secondo poi messo ad occidente non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla
sua estremità da’ luogo ad un passaggio non angusto, che accompagna il lato
occidentale del Casino, ed immette quindi nel settentrionale.
Di
questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto
quadrato che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo
fondo la statua in istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il
secondo poi messo ad occidente non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla
sua estremità da’ luogo ad un passaggio non angusto, che accompagna il lato
occidentale del Casino, ed immette quindi nel settentrionale.
Di
questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto
quadrato che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo
fondo la statua in istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il
secondo poi messo ad occidente non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla
sua estremità da’ luogo ad un passaggio non angusto, che accompagna il lato
occidentale del Casino, ed immette quindi nel settentrionale.
Di
questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto
quadrato che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo
fondo la statua in istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il
secondo poi messo ad occidente non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla
sua estremità da’ luogo ad un passaggio non angusto, che accompagna il lato
occidentale del Casino, ed immette quindi nel settentrionale.
Di
questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto
quadrato che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo
fondo la statua in istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il
secondo poi messo ad occidente non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla
sua estremità da’ luogo ad un passaggio non angusto, che accompagna il lato
occidentale del Casino, ed immette quindi nel settentrionale.
Di
questi due spiazzi, il primo meno ad oriente si estende sino ad un vasto
quadrato che precede la porta maggiore d’ingresso del Casino, ed ha nel suo
fondo la statua in istucco del Re Ferdinando fondatore della Colonia. Il
secondo poi messo ad occidente non oltrepassa la linea dell’edificio, e sulla
sua estremità da’ luogo ad un passaggio non angusto, che accompagna il lato
occidentale del Casino, ed immette quindi nel settentrionale.
Due
ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.Il
lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio
dell’ampiezza di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale
evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, nel piano superiore poi di
questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in comunicazione del Real Casino, al di cui comodo
doveva inservire.Lasciando
per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono
siffatto quadrato da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real
Casino, il quale ha ivi la sua porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a
mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re Ferdinando coll’analoga incisione,
è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina Reale, ed i due piani
superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e forma quasi
una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse
officine della Real Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in
guisa che potrebbe servir di lato ad un altro rettangolo simmetrico a quello
che forma il Real Casino, in tal modo lo spazio, ove si vede la statua,
potrebbe divenire il centro di due
eguali rettangoli, al quale centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e
magnifica scalinata. La esecuzione però di questa idea costerebbe una spesa esorbitante, e
distruggerebbe l’ordine attuale delle cose.
Due
ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.Il
lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio
dell’ampiezza di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale
evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, nel piano superiore poi di
questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in comunicazione del Real Casino, al di cui comodo
doveva inservire.Lasciando
per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono
siffatto quadrato da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real
Casino, il quale ha ivi la sua porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a
mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re Ferdinando coll’analoga incisione,
è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina Reale, ed i due piani
superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e forma quasi
una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse
officine della Real Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in
guisa che potrebbe servir di lato ad un altro rettangolo simmetrico a quello
che forma il Real Casino, in tal modo lo spazio, ove si vede la statua,
potrebbe divenire il centro di due
eguali rettangoli, al quale centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e
magnifica scalinata. La esecuzione però di questa idea costerebbe una spesa esorbitante, e
distruggerebbe l’ordine attuale delle cose.
Due
ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.Il
lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio
dell’ampiezza di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale
evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, nel piano superiore poi di
questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in comunicazione del Real Casino, al di cui comodo
doveva inservire.Lasciando
per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono
siffatto quadrato da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real
Casino, il quale ha ivi la sua porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a
mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re Ferdinando coll’analoga incisione,
è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina Reale, ed i due piani
superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e forma quasi
una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse
officine della Real Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in
guisa che potrebbe servir di lato ad un altro rettangolo simmetrico a quello
che forma il Real Casino, in tal modo lo spazio, ove si vede la statua,
potrebbe divenire il centro di due
eguali rettangoli, al quale centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e
magnifica scalinata. La esecuzione però di questa idea costerebbe una spesa esorbitante, e
distruggerebbe l’ordine attuale delle cose.
Due
ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.Il
lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio
dell’ampiezza di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale
evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, nel piano superiore poi di
questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in comunicazione del Real Casino, al di cui comodo
doveva inservire.Lasciando
per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono
siffatto quadrato da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real
Casino, il quale ha ivi la sua porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a
mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re Ferdinando coll’analoga incisione,
è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina Reale, ed i due piani
superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e forma quasi
una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse
officine della Real Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in
guisa che potrebbe servir di lato ad un altro rettangolo simmetrico a quello
che forma il Real Casino, in tal modo lo spazio, ove si vede la statua,
potrebbe divenire il centro di due
eguali rettangoli, al quale centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e
magnifica scalinata. La esecuzione però di questa idea costerebbe una spesa esorbitante, e
distruggerebbe l’ordine attuale delle cose.
Due
ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.Il
lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio
dell’ampiezza di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale
evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, nel piano superiore poi di
questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in comunicazione del Real Casino, al di cui comodo
doveva inservire.Lasciando
per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono
siffatto quadrato da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real
Casino, il quale ha ivi la sua porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a
mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re Ferdinando coll’analoga incisione,
è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina Reale, ed i due piani
superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e forma quasi
una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse
officine della Real Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in
guisa che potrebbe servir di lato ad un altro rettangolo simmetrico a quello
che forma il Real Casino, in tal modo lo spazio, ove si vede la statua,
potrebbe divenire il centro di due
eguali rettangoli, al quale centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e
magnifica scalinata. La esecuzione però di questa idea costerebbe una spesa esorbitante, e
distruggerebbe l’ordine attuale delle cose.
Due
ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.Il
lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio
dell’ampiezza di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale
evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, nel piano superiore poi di
questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in comunicazione del Real Casino, al di cui comodo
doveva inservire.Lasciando
per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono
siffatto quadrato da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real
Casino, il quale ha ivi la sua porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a
mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re Ferdinando coll’analoga incisione,
è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina Reale, ed i due piani
superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e forma quasi
una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse
officine della Real Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in
guisa che potrebbe servir di lato ad un altro rettangolo simmetrico a quello
che forma il Real Casino, in tal modo lo spazio, ove si vede la statua,
potrebbe divenire il centro di due
eguali rettangoli, al quale centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e
magnifica scalinata. La esecuzione però di questa idea costerebbe una spesa esorbitante, e
distruggerebbe l’ordine attuale delle cose.
Due
ampie porte munite di cancello di ferro, che’ esistono nell’apposita luna, danno ingresso ai giardini pensili, de’ quali ragioneremo.Il
lato settentrionale del Casino, sporge sopra una piccola via, o passaggio
dell’ampiezza di palmi dodici (3,16 m), lungo la quale
evvi un fabbricato ad archi appoggiato al monte, nel piano superiore poi di
questo fabbricato vennero stabiliti de’ piccoli ponti per porlo in comunicazione del Real Casino, al di cui comodo
doveva inservire.Lasciando
per un momento il Casino ritorniamo al quadrato contiguo allo spiazzo ad oriente. Tre fabbricati, che cominciano nella parte superiore, chiudono
siffatto quadrato da tre lati. Quello messo ad oriente è precisamente il Real
Casino, il quale ha ivi la sua porta maggiore d’ingresso. L’altro posto a
mezzogiorno, ove si osserva la statua del Re Ferdinando coll’analoga incisione,
è un edificio a tre piani, di cui l’inferiore è la cucina Reale, ed i due piani
superiori sono addetti alla fabbrica delle seterie. Esso attacca e forma quasi
una continuazione di quello, che esiste rimpetto al lato Settentrionale. Il terzo poi, che esiste ad occidente, è un altro edificio addetto a diverse
officine della Real Fabbrica delle seterie. Or questo edificio è costruito in
guisa che potrebbe servir di lato ad un altro rettangolo simmetrico a quello
che forma il Real Casino, in tal modo lo spazio, ove si vede la statua,
potrebbe divenire il centro di due
eguali rettangoli, al quale centro si ascenderebbe per mezzo di una grande e
magnifica scalinata. La esecuzione però di questa idea costerebbe una spesa esorbitante, e
distruggerebbe l’ordine attuale delle cose.
Or,
tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che
sorte a mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi
corridoi menano nel cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente,
come già abbiamo visto, ove vi è un portone munito di elegante cancello di
ferro, mentre poi averne un altro di egual forma e nella stessa direzione nella
parte occidentale.
Or,
tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che
sorte a mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi
corridoi menano nel cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente,
come già abbiamo visto, ove vi è un portone munito di elegante cancello di
ferro, mentre poi averne un altro di egual forma e nella stessa direzione nella
parte occidentale.
Or,
tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che
sorte a mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi
corridoi menano nel cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente,
come già abbiamo visto, ove vi è un portone munito di elegante cancello di
ferro, mentre poi averne un altro di egual forma e nella stessa direzione nella
parte occidentale.
Or,
tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che
sorte a mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi
corridoi menano nel cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente,
come già abbiamo visto, ove vi è un portone munito di elegante cancello di
ferro, mentre poi averne un altro di egual forma e nella stessa direzione nella
parte occidentale.
Or,
tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che
sorte a mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi
corridoi menano nel cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente,
come già abbiamo visto, ove vi è un portone munito di elegante cancello di
ferro, mentre poi averne un altro di egual forma e nella stessa direzione nella
parte occidentale.
Or,
tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che
sorte a mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi
corridoi menano nel cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente,
come già abbiamo visto, ove vi è un portone munito di elegante cancello di
ferro, mentre poi averne un altro di egual forma e nella stessa direzione nella
parte occidentale.
Or,
tornando al Real Casino, veggiamo, che ad ambi i lati di quell’avancorpo, che
sorte a mezzogiorno, vi sono due porte minori, che per mezzo di due brevi
corridoi menano nel cortile. La entrata nobile di questo cortile è ad oriente,
come già abbiamo visto, ove vi è un portone munito di elegante cancello di
ferro, mentre poi averne un altro di egual forma e nella stessa direzione nella
parte occidentale.
Tutti
i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due
piani superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è
che un solo piano superiore. Nello avancorpo poi, messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo
piano, esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato, mentre forma la parte sotterranea degli altri
lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e per
deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta
cantina da sei (vani)
compresi
tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto
?)
per ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma luminose, una verso oriente, ov’è stato
riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due
camerini che precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e
l’altro per fruttiera e conserva di olio fino. E tutti questi locali nell’atto
che sono uniti fra loro, possono pure
essere divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo
piano all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si
trovano accordati al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze
superiori, dalle quali si ha la discesa per una scaletta interna.
Tutti
i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due
piani superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è
che un solo piano superiore. Nello avancorpo poi, messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo
piano, esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato, mentre forma la parte sotterranea degli altri
lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e per
deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta
cantina da sei (vani)
compresi
tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto
?)
per ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma luminose, una verso oriente, ov’è stato
riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due
camerini che precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e
l’altro per fruttiera e conserva di olio fino. E tutti questi locali nell’atto
che sono uniti fra loro, possono pure
essere divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo
piano all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si
trovano accordati al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze
superiori, dalle quali si ha la discesa per una scaletta interna.
Tutti
i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due
piani superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è
che un solo piano superiore. Nello avancorpo poi, messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo
piano, esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato, mentre forma la parte sotterranea degli altri
lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e per
deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta
cantina da sei (vani)
compresi
tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto
?)
per ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma luminose, una verso oriente, ov’è stato
riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due
camerini che precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e
l’altro per fruttiera e conserva di olio fino. E tutti questi locali nell’atto
che sono uniti fra loro, possono pure
essere divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo
piano all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si
trovano accordati al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze
superiori, dalle quali si ha la discesa per una scaletta interna.
Tutti
i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due
piani superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è
che un solo piano superiore. Nello avancorpo poi, messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo
piano, esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato, mentre forma la parte sotterranea degli altri
lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e per
deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta
cantina da sei (vani)
compresi
tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto
?)
per ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma luminose, una verso oriente, ov’è stato
riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due
camerini che precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e
l’altro per fruttiera e conserva di olio fino. E tutti questi locali nell’atto
che sono uniti fra loro, possono pure
essere divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo
piano all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si
trovano accordati al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze
superiori, dalle quali si ha la discesa per una scaletta interna.
Tutti
i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due
piani superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è
che un solo piano superiore. Nello avancorpo poi, messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo
piano, esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato, mentre forma la parte sotterranea degli altri
lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e per
deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta
cantina da sei (vani)
compresi
tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto
?)
per ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma luminose, una verso oriente, ov’è stato
riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due
camerini che precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e
l’altro per fruttiera e conserva di olio fino. E tutti questi locali nell’atto
che sono uniti fra loro, possono pure
essere divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo
piano all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si
trovano accordati al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze
superiori, dalle quali si ha la discesa per una scaletta interna.
Tutti
i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due
piani superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è
che un solo piano superiore. Nello avancorpo poi, messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo
piano, esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato, mentre forma la parte sotterranea degli altri
lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e per
deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta
cantina da sei (vani)
compresi
tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto
?)
per ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma luminose, una verso oriente, ov’è stato
riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due
camerini che precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e
l’altro per fruttiera e conserva di olio fino. E tutti questi locali nell’atto
che sono uniti fra loro, possono pure
essere divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo
piano all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si
trovano accordati al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze
superiori, dalle quali si ha la discesa per una scaletta interna.
Tutti
i lati dell’edificio, che sporgono nel cortile, presentano un pianterreno e due
piani superiori. Nella parte esterna di oriente, oltre al pianterreno, non vi è
che un solo piano superiore. Nello avancorpo poi, messo a mezzogiorno, oltre al primo e secondo
piano, esserne un altro inferiore, che si mostra solo da questo lato, mentre forma la parte sotterranea degli altri
lati. Questo piano inferiore trovasi destinato per officine vinarie, e per
deposito di olio e frutta, val quanto dire per cantina. Viene composta siffatta
cantina da sei (vani)
compresi
tra grandi e piccoli. Alla medesima non ha guari (molto
?)
per ordine di S.M. /D.S./ si sono aggiunte altre stanze sotterrane, ma luminose, una verso oriente, ov’è stato
riposto il torchio con un locale contiguo da tenere i tinacci per far fermentare il vino, e l’altra nell’angolo verso occidente. Vi sono pure due
camerini che precedono il torchio, uno destinato per Real bottiglieria, e
l’altro per fruttiera e conserva di olio fino. E tutti questi locali nell’atto
che sono uniti fra loro, possono pure
essere divisi mediante idonee serrande di cancello di legno. In questo medesimo
piano all’angolo nord-est vi sono due altri compresi ad uso di cantina, che si
trovano accordati al Parroco della Real Colonia, che abita nelle stanze
superiori, dalle quali si ha la discesa per una scaletta interna.
Al di sopra della cantina,
e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla medesima
per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella
medesima tre altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San
Ferdinando, ed è chiuso da una balaustra anche di marmo col corrispondente
pavimento.Il secondo a dritta è dedicato
a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di mediocre
autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi
è una stanza per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che
mena a vari piani del Real Casino.
Al di sopra della cantina,
e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla medesima
per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella
medesima tre altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San
Ferdinando, ed è chiuso da una balaustra anche di marmo col corrispondente
pavimento.Il secondo a dritta è dedicato
a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di mediocre
autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi
è una stanza per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che
mena a vari piani del Real Casino.
Al di sopra della cantina,
e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla medesima
per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella
medesima tre altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San
Ferdinando, ed è chiuso da una balaustra anche di marmo col corrispondente
pavimento.Il secondo a dritta è dedicato
a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di mediocre
autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi
è una stanza per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che
mena a vari piani del Real Casino.
Al di sopra della cantina,
e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla medesima
per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella
medesima tre altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San
Ferdinando, ed è chiuso da una balaustra anche di marmo col corrispondente
pavimento.Il secondo a dritta è dedicato
a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di mediocre
autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi
è una stanza per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che
mena a vari piani del Real Casino.
Al di sopra della cantina,
e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla medesima
per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella
medesima tre altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San
Ferdinando, ed è chiuso da una balaustra anche di marmo col corrispondente
pavimento.Il secondo a dritta è dedicato
a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di mediocre
autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi
è una stanza per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che
mena a vari piani del Real Casino.
Al di sopra della cantina,
e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla medesima
per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella
medesima tre altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San
Ferdinando, ed è chiuso da una balaustra anche di marmo col corrispondente
pavimento.Il secondo a dritta è dedicato
a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di mediocre
autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi
è una stanza per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che
mena a vari piani del Real Casino.
Al di sopra della cantina,
e precisamente nel mezzo dell’avancorpo a mezzogiorno scorgesi la Chiesa Parrocchiale, stabilita in quel gran salone. Si ascende alla medesima
per mezzi di una breve scalinata a due braccia, che introduce in un atrio, in cui ivvi il fonte battesimale, e da cui si passa nella Chiesa. Vi sono nella
medesima tre altari di marmo, il primo, che è il maggiore, è dedicato a San
Ferdinando, ed è chiuso da una balaustra anche di marmo col corrispondente
pavimento.Il secondo a dritta è dedicato
a S. Carlo, ed il terzo a sinistra a S. Leucio. I quadri sono di mediocre
autore. Evvi uno spazioso coro per le Reali Persone messo sull’atro, che precede la porta d’ingresso. Al lato destro di chi guarda l’altare maggiore vi
è una stanza per uso di sacrestia, e nel lato sinistro una scala privata, che
mena a vari piani del Real Casino.
L’antica
chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.La
Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui
l’arcivescovo Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo
Casertano” confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e
ai suoi successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della
Diocesi ed indicava anche il numero delle chiese presenti, ben 133.Tra
la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere,
eretta da Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco
Guerra (1636) riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato
per servizi), con quattro torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale
recintato, aperto da un portale bugnato.Un
palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due
piani. Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco,
forse dovute alle stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel
coevo palazzo al Boschetto, altra dependance della corte Acquaviva in Caserta.
Giardini meravigliosi con<.. [ri]quadri
guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>attorniavano
la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un portico a
tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti
affrescati.Una
cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano
superiore al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani
(1659), fu acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con
tutto il feudo di Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento
sul sito noto come Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel
quale sorse la cappella di S. Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede
delle truppe (la cappella era nell’attuale abside), fu definitivamente adattato
(Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.Un
luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico
Casino del Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè
Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle
Due Sicilie, noto come “Re bomba” e sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8
novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e
circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è
immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle
mura che la chiudono”.Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad
opera di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, completata in due anni e
consacrata il 30 giugno 1803 insieme all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea
di arte sacra”. All'occasione il papa concesse al devotissimo re uno speciale
Giubileo di otto giorni per ciascun anno in perpetuo nella ricorrenza della
festività della Santissima Vergine delle Grazie. I materiali da costruzione
sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo di Mondragone e
legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli arredi e
le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, Raffaele Mattioli e Pietro Saja.In base al su citato Rescritto, il parroco non
dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto
i suoi parroci avevano un grosso potere, ma non sempre lo esercitarono con
umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi
parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai deputati al Parlamento nazionale,
lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la chiusura degli opifici,
erano “angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da
Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a
solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come
prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato
governo!”Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté
con tutte le sue forze contro il decreto della Curia Vescovile di Caserta che
ridimensionava i limiti della spirituale giurisdizione della Reale parrocchia
di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. La disputa fu in effetti
l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai privilegi goduti
dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva raggiungere
questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881) “l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare
Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali
che questi“se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di
forza, non mai per ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere
difeso e sostenuto, cesserà il possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi
ritorneranno a loro Padrone di dritto”.Una piccola chicca per i cultori e non della
Matematica è la definizione che il parroco di Briano (frazione di Caserta) ed
il De Maria diedero della circonferenza cercando di piegare la Geometria alle
rispettive tesi. Asserì il primo:”Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il
cerchio”;rispose il secondo:”Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno
spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna
[…]”. In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre
ad influenzare il tessuto sociale del centro. Negli anni sessanta/settanta la
parrocchia era chiusa durante la settimana ma facendo una richiesta , anche per
motivi di studio il parroco concedeva l’apertura per ammirare i bellissimi
arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli dell’annessa filanda.
L’antica
chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.La
Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui
l’arcivescovo Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo
Casertano” confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e
ai suoi successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della
Diocesi ed indicava anche il numero delle chiese presenti, ben 133.Tra
la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere,
eretta da Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco
Guerra (1636) riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato
per servizi), con quattro torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale
recintato, aperto da un portale bugnato.Un
palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due
piani. Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco,
forse dovute alle stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel
coevo palazzo al Boschetto, altra dependance della corte Acquaviva in Caserta.
Giardini meravigliosi con<.. [ri]quadri
guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>attorniavano
la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un portico a
tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti
affrescati.Una
cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano
superiore al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani
(1659), fu acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con
tutto il feudo di Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento
sul sito noto come Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel
quale sorse la cappella di S. Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede
delle truppe (la cappella era nell’attuale abside), fu definitivamente adattato
(Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.Un
luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico
Casino del Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè
Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle
Due Sicilie, noto come “Re bomba” e sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8
novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e
circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è
immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle
mura che la chiudono”.Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad
opera di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, completata in due anni e
consacrata il 30 giugno 1803 insieme all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea
di arte sacra”. All'occasione il papa concesse al devotissimo re uno speciale
Giubileo di otto giorni per ciascun anno in perpetuo nella ricorrenza della
festività della Santissima Vergine delle Grazie. I materiali da costruzione
sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo di Mondragone e
legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli arredi e
le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, Raffaele Mattioli e Pietro Saja.In base al su citato Rescritto, il parroco non
dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto
i suoi parroci avevano un grosso potere, ma non sempre lo esercitarono con
umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi
parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai deputati al Parlamento nazionale,
lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la chiusura degli opifici,
erano “angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da
Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a
solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come
prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato
governo!”Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté
con tutte le sue forze contro il decreto della Curia Vescovile di Caserta che
ridimensionava i limiti della spirituale giurisdizione della Reale parrocchia
di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. La disputa fu in effetti
l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai privilegi goduti
dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva raggiungere
questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881) “l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare
Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali
che questi“se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di
forza, non mai per ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere
difeso e sostenuto, cesserà il possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi
ritorneranno a loro Padrone di dritto”.Una piccola chicca per i cultori e non della
Matematica è la definizione che il parroco di Briano (frazione di Caserta) ed
il De Maria diedero della circonferenza cercando di piegare la Geometria alle
rispettive tesi. Asserì il primo:”Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il
cerchio”;rispose il secondo:”Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno
spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna
[…]”. In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre
ad influenzare il tessuto sociale del centro. Negli anni sessanta/settanta la
parrocchia era chiusa durante la settimana ma facendo una richiesta , anche per
motivi di studio il parroco concedeva l’apertura per ammirare i bellissimi
arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli dell’annessa filanda.
L’antica
chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.La
Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui
l’arcivescovo Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo
Casertano” confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e
ai suoi successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della
Diocesi ed indicava anche il numero delle chiese presenti, ben 133.Tra
la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere,
eretta da Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco
Guerra (1636) riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato
per servizi), con quattro torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale
recintato, aperto da un portale bugnato.Un
palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due
piani. Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco,
forse dovute alle stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel
coevo palazzo al Boschetto, altra dependance della corte Acquaviva in Caserta.
Giardini meravigliosi con<.. [ri]quadri
guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>attorniavano
la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un portico a
tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti
affrescati.Una
cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano
superiore al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani
(1659), fu acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con
tutto il feudo di Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento
sul sito noto come Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel
quale sorse la cappella di S. Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede
delle truppe (la cappella era nell’attuale abside), fu definitivamente adattato
(Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.Un
luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico
Casino del Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè
Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle
Due Sicilie, noto come “Re bomba” e sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8
novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e
circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è
immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle
mura che la chiudono”.Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad
opera di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, completata in due anni e
consacrata il 30 giugno 1803 insieme all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea
di arte sacra”. All'occasione il papa concesse al devotissimo re uno speciale
Giubileo di otto giorni per ciascun anno in perpetuo nella ricorrenza della
festività della Santissima Vergine delle Grazie. I materiali da costruzione
sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo di Mondragone e
legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli arredi e
le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, Raffaele Mattioli e Pietro Saja.In base al su citato Rescritto, il parroco non
dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto
i suoi parroci avevano un grosso potere, ma non sempre lo esercitarono con
umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi
parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai deputati al Parlamento nazionale,
lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la chiusura degli opifici,
erano “angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da
Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a
solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come
prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato
governo!”Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté
con tutte le sue forze contro il decreto della Curia Vescovile di Caserta che
ridimensionava i limiti della spirituale giurisdizione della Reale parrocchia
di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. La disputa fu in effetti
l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai privilegi goduti
dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva raggiungere
questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881) “l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare
Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali
che questi“se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di
forza, non mai per ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere
difeso e sostenuto, cesserà il possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi
ritorneranno a loro Padrone di dritto”.Una piccola chicca per i cultori e non della
Matematica è la definizione che il parroco di Briano (frazione di Caserta) ed
il De Maria diedero della circonferenza cercando di piegare la Geometria alle
rispettive tesi. Asserì il primo:”Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il
cerchio”;rispose il secondo:”Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno
spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna
[…]”. In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre
ad influenzare il tessuto sociale del centro. Negli anni sessanta/settanta la
parrocchia era chiusa durante la settimana ma facendo una richiesta , anche per
motivi di studio il parroco concedeva l’apertura per ammirare i bellissimi
arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli dell’annessa filanda.
L’antica
chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.La
Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui
l’arcivescovo Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo
Casertano” confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e
ai suoi successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della
Diocesi ed indicava anche il numero delle chiese presenti, ben 133.Tra
la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere,
eretta da Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco
Guerra (1636) riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato
per servizi), con quattro torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale
recintato, aperto da un portale bugnato.Un
palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due
piani. Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco,
forse dovute alle stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel
coevo palazzo al Boschetto, altra dependance della corte Acquaviva in Caserta.
Giardini meravigliosi con<.. [ri]quadri
guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>attorniavano
la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un portico a
tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti
affrescati.Una
cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano
superiore al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani
(1659), fu acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con
tutto il feudo di Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento
sul sito noto come Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel
quale sorse la cappella di S. Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede
delle truppe (la cappella era nell’attuale abside), fu definitivamente adattato
(Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.Un
luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico
Casino del Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè
Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle
Due Sicilie, noto come “Re bomba” e sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8
novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e
circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è
immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle
mura che la chiudono”.Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad
opera di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, completata in due anni e
consacrata il 30 giugno 1803 insieme all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea
di arte sacra”. All'occasione il papa concesse al devotissimo re uno speciale
Giubileo di otto giorni per ciascun anno in perpetuo nella ricorrenza della
festività della Santissima Vergine delle Grazie. I materiali da costruzione
sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo di Mondragone e
legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli arredi e
le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, Raffaele Mattioli e Pietro Saja.In base al su citato Rescritto, il parroco non
dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto
i suoi parroci avevano un grosso potere, ma non sempre lo esercitarono con
umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi
parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai deputati al Parlamento nazionale,
lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la chiusura degli opifici,
erano “angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da
Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a
solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come
prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato
governo!”Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté
con tutte le sue forze contro il decreto della Curia Vescovile di Caserta che
ridimensionava i limiti della spirituale giurisdizione della Reale parrocchia
di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. La disputa fu in effetti
l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai privilegi goduti
dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva raggiungere
questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881) “l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare
Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali
che questi“se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di
forza, non mai per ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere
difeso e sostenuto, cesserà il possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi
ritorneranno a loro Padrone di dritto”.Una piccola chicca per i cultori e non della
Matematica è la definizione che il parroco di Briano (frazione di Caserta) ed
il De Maria diedero della circonferenza cercando di piegare la Geometria alle
rispettive tesi. Asserì il primo:”Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il
cerchio”;rispose il secondo:”Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno
spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna
[…]”. In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre
ad influenzare il tessuto sociale del centro. Negli anni sessanta/settanta la
parrocchia era chiusa durante la settimana ma facendo una richiesta , anche per
motivi di studio il parroco concedeva l’apertura per ammirare i bellissimi
arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli dell’annessa filanda.
L’antica
chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.La
Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui
l’arcivescovo Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo
Casertano” confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e
ai suoi successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della
Diocesi ed indicava anche il numero delle chiese presenti, ben 133.Tra
la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere,
eretta da Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco
Guerra (1636) riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato
per servizi), con quattro torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale
recintato, aperto da un portale bugnato.Un
palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due
piani. Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco,
forse dovute alle stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel
coevo palazzo al Boschetto, altra dependance della corte Acquaviva in Caserta.
Giardini meravigliosi con<.. [ri]quadri
guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>attorniavano
la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un portico a
tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti
affrescati.Una
cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano
superiore al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani
(1659), fu acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con
tutto il feudo di Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento
sul sito noto come Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel
quale sorse la cappella di S. Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede
delle truppe (la cappella era nell’attuale abside), fu definitivamente adattato
(Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.Un
luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico
Casino del Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè
Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle
Due Sicilie, noto come “Re bomba” e sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8
novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e
circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è
immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle
mura che la chiudono”.Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad
opera di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, completata in due anni e
consacrata il 30 giugno 1803 insieme all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea
di arte sacra”. All'occasione il papa concesse al devotissimo re uno speciale
Giubileo di otto giorni per ciascun anno in perpetuo nella ricorrenza della
festività della Santissima Vergine delle Grazie. I materiali da costruzione
sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo di Mondragone e
legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli arredi e
le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, Raffaele Mattioli e Pietro Saja.In base al su citato Rescritto, il parroco non
dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto
i suoi parroci avevano un grosso potere, ma non sempre lo esercitarono con
umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi
parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai deputati al Parlamento nazionale,
lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la chiusura degli opifici,
erano “angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da
Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a
solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come
prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato
governo!”Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté
con tutte le sue forze contro il decreto della Curia Vescovile di Caserta che
ridimensionava i limiti della spirituale giurisdizione della Reale parrocchia
di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. La disputa fu in effetti
l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai privilegi goduti
dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva raggiungere
questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881) “l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare
Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali
che questi“se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di
forza, non mai per ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere
difeso e sostenuto, cesserà il possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi
ritorneranno a loro Padrone di dritto”.Una piccola chicca per i cultori e non della
Matematica è la definizione che il parroco di Briano (frazione di Caserta) ed
il De Maria diedero della circonferenza cercando di piegare la Geometria alle
rispettive tesi. Asserì il primo:”Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il
cerchio”;rispose il secondo:”Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno
spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna
[…]”. In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre
ad influenzare il tessuto sociale del centro. Negli anni sessanta/settanta la
parrocchia era chiusa durante la settimana ma facendo una richiesta , anche per
motivi di studio il parroco concedeva l’apertura per ammirare i bellissimi
arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli dell’annessa filanda.
L’antica
chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.La
Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui
l’arcivescovo Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo
Casertano” confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e
ai suoi successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della
Diocesi ed indicava anche il numero delle chiese presenti, ben 133.Tra
la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere,
eretta da Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco
Guerra (1636) riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato
per servizi), con quattro torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale
recintato, aperto da un portale bugnato.Un
palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due
piani. Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco,
forse dovute alle stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel
coevo palazzo al Boschetto, altra dependance della corte Acquaviva in Caserta.
Giardini meravigliosi con<.. [ri]quadri
guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>attorniavano
la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un portico a
tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti
affrescati.Una
cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano
superiore al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani
(1659), fu acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con
tutto il feudo di Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento
sul sito noto come Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel
quale sorse la cappella di S. Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede
delle truppe (la cappella era nell’attuale abside), fu definitivamente adattato
(Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.Un
luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico
Casino del Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè
Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle
Due Sicilie, noto come “Re bomba” e sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8
novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e
circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è
immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle
mura che la chiudono”.Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad
opera di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, completata in due anni e
consacrata il 30 giugno 1803 insieme all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea
di arte sacra”. All'occasione il papa concesse al devotissimo re uno speciale
Giubileo di otto giorni per ciascun anno in perpetuo nella ricorrenza della
festività della Santissima Vergine delle Grazie. I materiali da costruzione
sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo di Mondragone e
legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli arredi e
le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, Raffaele Mattioli e Pietro Saja.In base al su citato Rescritto, il parroco non
dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto
i suoi parroci avevano un grosso potere, ma non sempre lo esercitarono con
umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi
parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai deputati al Parlamento nazionale,
lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la chiusura degli opifici,
erano “angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da
Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a
solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come
prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato
governo!”Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté
con tutte le sue forze contro il decreto della Curia Vescovile di Caserta che
ridimensionava i limiti della spirituale giurisdizione della Reale parrocchia
di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. La disputa fu in effetti
l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai privilegi goduti
dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva raggiungere
questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881) “l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare
Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali
che questi“se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di
forza, non mai per ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere
difeso e sostenuto, cesserà il possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi
ritorneranno a loro Padrone di dritto”.Una piccola chicca per i cultori e non della
Matematica è la definizione che il parroco di Briano (frazione di Caserta) ed
il De Maria diedero della circonferenza cercando di piegare la Geometria alle
rispettive tesi. Asserì il primo:”Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il
cerchio”;rispose il secondo:”Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno
spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna
[…]”. In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre
ad influenzare il tessuto sociale del centro. Negli anni sessanta/settanta la
parrocchia era chiusa durante la settimana ma facendo una richiesta , anche per
motivi di studio il parroco concedeva l’apertura per ammirare i bellissimi
arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli dell’annessa filanda.
L’antica
chiesa di San Leucio era forse ubicata sulla cima del monte, citata nella Bolla di Senne del 1113, ed ancora esistente nel 1284.La
Bolla di Senne fu il primo documento della Diocesi di Caserta con cui
l’arcivescovo Senne (o Sennete) di Capua si rivolgeva al “Clero et Capitulo
Casertano” confermando a Rainulfo (storicamente documentato dal 113 al 1126) e
ai suoi successori la diocesi casertana. La Bolla riportava i confini della
Diocesi ed indicava anche il numero delle chiese presenti, ben 133.Tra
la fine ‘500 e primi ‘600 ai piedi del colle sorse la Villa del Belvedere,
eretta da Andrea Matteo II Acquaviva. Dalla descrizione del tavolario Francesco
Guerra (1636) riportò come l’edificio era a due alzati (e un piano interrato
per servizi), con quattro torri angolari, introdotto da un piccolo piazzale
recintato, aperto da un portale bugnato.Un
palazzo costituito da un salone centrale e da dodici camere disposte su due
piani. Vaste per estensione e di sicura di qualità le decorazioni ad affresco,
forse dovute alle stesse maestranze (bottega di Belisario Corenzio) attive nel
coevo palazzo al Boschetto, altra dependance della corte Acquaviva in Caserta.
Giardini meravigliosi con<.. [ri]quadri
guarniti et murati da lauro reggio et compartiti in labirinti…>attorniavano
la residenza, cui si accedeva mediante due rampe, attraversando un portico a
tre arcate. Al centro era il vasto salone (affreschi con storie del Vecchio Testamento) intorno al quale si distribuivano otto ambienti per lato, tutti
affrescati.Una
cappella, affrescata e decorata, dedicata al Redentore occupava il piano
superiore al disopra del portico. Abbandonato al passaggio del feudo ai Gaetani
(1659), fu acquistato o permutato con un titolo da Carlo di Borbone (1749), con
tutto il feudo di Caserta. L’interesse, però, si concentrò in un primo momento
sul sito noto come Casino Vecchio, costruito da Collecini nel 1773-74, nel
quale sorse la cappella di S. Leucio. L’edificio del Belvedere, dal ’73 sede
delle truppe (la cappella era nell’attuale abside), fu definitivamente adattato
(Collecini) a chiesa di S. Ferdinando Re nel 1776.Un
luogo di culto insolito perché è ricavata nel salone delle feste dell’antico
Casino del Seicento. Una parrocchia molto estesa ed importante perchè
Ferdinando II delle Due Sicilie (Ferdinando Carlo Maria di Borbone delle
Due Sicilie, noto come “Re bomba” e sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8
novembre 1830 al 22 maggio 1859) con il Rescritto Sovrano del 21giugno 1841, aggregò alla Reale Parrocchia di San Leucio“ il Real Bosco e Palazzo di Caserta nel suo totale ambito, e
circuito, compreso il Palazzo cosiddetto Vecchio, con quanto altro è
immediatamente unito a quella stessa Reale Proprietà nella circonferenza delle
mura che la chiudono”.Fu quindi fatta costruire dal re Ferdinando IV ad
opera di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, completata in due anni e
consacrata il 30 giugno 1803 insieme all'inaugurazione della “Fiera ferdinandea
di arte sacra”. All'occasione il papa concesse al devotissimo re uno speciale
Giubileo di otto giorni per ciascun anno in perpetuo nella ricorrenza della
festività della Santissima Vergine delle Grazie. I materiali da costruzione
sono di tufo giallo del Monte Fiorillo per gli esterni, marmo di Mondragone e
legno di cipresso per gli interni, argento, bronzo, porcellane per gli arredi e
le suppellettili. Nella chiesa lavorarono artisti quali Cosimo de Focatiis, Raffaele Mattioli e Pietro Saja.In base al su citato Rescritto, il parroco non
dipendeva dal Vescovo di Caserta ma dal Cappellano Maggiore del Regno. Pertanto
i suoi parroci avevano un grosso potere, ma non sempre lo esercitarono con
umiltà e nel rispetto delle anime affidate a loro.Molto inviso fu don Antonio Diotaiuti se i suoi
parrocchiani, nel 1866, si rivolsero ai deputati al Parlamento nazionale,
lamentandosi che, oltre a essere senza lavoro per la chiusura degli opifici,
erano “angariati per dappiù dal parroco locale, che la seguita a fare da
Presidente del Consiglio dei Seniori, e che qual Giano oggi la fa da liberale a
solo fine di restar fermo al suo posto e così angariare per angariare, come
prima del 1860 pur faceva come uomo attaccato che anzi immedesimato al cessato
governo!”Don Carlo De Maria, successore del Diotaiuti, si batté
con tutte le sue forze contro il decreto della Curia Vescovile di Caserta che
ridimensionava i limiti della spirituale giurisdizione della Reale parrocchia
di San Leucio a favore delle parrocchie limitrofi. La disputa fu in effetti
l’ultimo atto della lotta portata dalla Curia di Caserta ai privilegi goduti
dalla Reale parrocchia di san Leucio. Solo adesso la Curia poteva raggiungere
questo scopo perché (scrisse il De Maria nel 1881) “l’idra velenosa della Rivoluzione giunta sia nel 1860 a sbalzare
Francesco II dal Trono delle Due Sicilie”.E ammoniva quanti si erano impossessati dei Siti Reali
che questi“se trovansi oggi sotto altri padroni tal divennero per ragioni di
forza, non mai per ragioni di dritto. Quale dritto se domani potrà essere
difeso e sostenuto, cesserà il possesso acquisito con la forza, ed essi luoghi
ritorneranno a loro Padrone di dritto”.Una piccola chicca per i cultori e non della
Matematica è la definizione che il parroco di Briano (frazione di Caserta) ed
il De Maria diedero della circonferenza cercando di piegare la Geometria alle
rispettive tesi. Asserì il primo:”Per circonferenza si intende la parte interna della linea che chiude il
cerchio”;rispose il secondo:”Per circonferenza s’intende una linea chiusa, la quale circonda uno
spazio rotondo […] e questa linea ha due ombre l’interna cioè, e l’esterna
[…]”. In ogni caso i parroci di San Leucio riuscirono sempre
ad influenzare il tessuto sociale del centro. Negli anni sessanta/settanta la
parrocchia era chiusa durante la settimana ma facendo una richiesta , anche per
motivi di studio il parroco concedeva l’apertura per ammirare i bellissimi
arredi sacri dei borbonici che furono fatti dai setajoli dell’annessa filanda.
La
cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura
una stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a
riflesso delle quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a
padiglione, segnato da fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari
che poggiano sul rettangolo di pianta. All’ovale
di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con la “Gloria
dello Spirito Santo”.
La
cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura
una stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a
riflesso delle quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a
padiglione, segnato da fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari
che poggiano sul rettangolo di pianta. All’ovale
di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con la “Gloria
dello Spirito Santo”.
La
cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura
una stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a
riflesso delle quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a
padiglione, segnato da fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari
che poggiano sul rettangolo di pianta. All’ovale
di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con la “Gloria
dello Spirito Santo”.
La
cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura
una stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a
riflesso delle quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a
padiglione, segnato da fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari
che poggiano sul rettangolo di pianta. All’ovale
di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con la “Gloria
dello Spirito Santo”.
La
cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura
una stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a
riflesso delle quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a
padiglione, segnato da fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari
che poggiano sul rettangolo di pianta. All’ovale
di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con la “Gloria
dello Spirito Santo”.
La
cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura
una stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a
riflesso delle quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a
padiglione, segnato da fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari
che poggiano sul rettangolo di pianta. All’ovale
di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con la “Gloria
dello Spirito Santo”.
La
cappella è semplice, ad unica navata con un pavimento in cotto che configura
una stella centrale a otto punte, frazionato in quattro grandi scomparti, a
riflesso delle quattro vele di volta che compongono il soffitto. Un soffitto a
padiglione, segnato da fasce, il cui incrocio determina otto spicchi angolari
che poggiano sul rettangolo di pianta. All’ovale
di centro del pavimento corrisponde quello della volta decorata con la “Gloria
dello Spirito Santo”.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
L’altare
di sinistra è dedicato a San Leucio (con
il quadro che raffigura San Leucio che riceve l’apparizione della Vergine)
mentre quello di destra a San Carlo Borromeo. Si tratta di due tele ovali che
sono tenute da un angelo e sormontati da putti in stucco.Le
pareti laterali presentano quattro nicchie, con timpano triangolare dove si
trovano altrettante statue che rappresentano; la Fede, la Speranza; la
Religione e la Verità. Sculture eseguite da Angelo Brunelli.
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
Dal primo all'8 luglio di ogni anno, grazie
all'associazione “Arte nell'arte”, si svolge una mostra d'artigianato di arredi
sacri.
Recandoci al frontespizio del Real Casino, e prendendo il
giro orientale, il fabbricato ha la seguente destinazione: tra mezzogiorno ed
oriente evvi un quartino di una stanza grande e di due gabinetti destinato per
l’Amministrazione; in seguito quattro stanze, tre grandi ed una piccola per
Parroco. Una delle porte minori, che sporgono
sul cortile, precede altre due stanze, la prima occupata dalla scuola
normale, e la seconda dall’armeria della divisione della Real Colonia, fornita
di bello stiglio. Lungo il lato orientale trovasi una stanza grande, e tre
camerini tutti destinati per ufficio di riposto per le LL.M.M. fornito
di fontana con acqua perenne a chiave, retret (?), ed altri commodi. (?) in
seguito il portone ad oriente, e quindi l’ufficio della Tappezzeria Reale
consistente in due camere grandi, e due camerini. Viene dopo la scala grande,
che mena al Reale appartamento. Accanto a detta scala, pigliando il lato settentrionale verso
l’interno del cortile vi è una camera con due camerini per uso di salseria (salse artigianali),
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
per uso di salseria (salse artigianali), indi un lungo ed alto stanzone ad uso di
filanda contenente n. quattordici fornaci ciascuna con chiave di acqua
perenne, e corrispondenti mangani. A questo locale è adiacente una stanza, ove
si assortisce (di
diversi colori ?) la seta, ed altro stanzone con due grosse macchine di filatoj
di seta medesima, che prendon moto da un fuso verticale sito nel mezzo di esse.Fa mestieri qui avvertire, che tanto i mangani della filanda
che queste machine di filatura sono animate da un gran rotone ad acqua, situato
nel sotterraneo corrispondente ai menzionati filatoj.Con detto stanzone attacca una scala privata, che porta a
varj piani del casino, cui in eguito daremo il nome di scala del cilindro per
essere posta quivi vicino quindi trovasi una camera con camerino corrispondente
fra settentrione ed occidente con una bella macchina di cilindro; il pavimento
di questa stanza è tutto di legno, e la macchina anzidetta prende moto mediante
il girare di un cavallo al di sotto del pavimento medesimo.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Segue il portone ad occidente con atrio, che fa simmetria
coll’altro portone già menzionato verso oriente; indi quattro altre stanze ed
un camerino destinato per abitazione alla maestra delle ragazze della Real
Colonia, e due picciole coll’aspetto puranche verso il cortile.È il corridojo anzidetto, che percorre parimente divide
queste stanze a somiglianza delle preedenti. Accanto all’abitazione della
maestra vi è una stanza grande, e quindi l’altra piccola porta del prospetto di
mezzogiorno. In seguito verso occidente e mezzogiorno fino ad arrivare alla
Chiesa, d’onde si è cominciata la descrizione, vi è un quartino di quattro camere grandi, un’altra piccola, e deu gabinetti, destinato per magazzino di
seta.
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
Fatto il giro del pianterreno del Real Casino, che può dirsi
un corpo quasi isolato, sarebbe d’uopo di descrivere tutto il pianterreno degli
edificj adiacenti che nella parte superiore hanno tra loro communicazione; ma
non potrebbe ciò farsi senza indurre confusione. Quindi parleremo prima del piano superiore, ossia del piano Reale
del Casino istesso, e dell’altro piano che gli è al di sopra; ed in seguito
verremo a parlare degli edificj accessorj.....................................
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
a.b) Piano Superiore , ossia Piano Reale
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Questo piano comprende sessantadue camere di diverse
dimensione.Numero trentaquattro di queste, bene addobbate, che non ha
guari per comondamenti Sovrani sono state fornite di varie altre comodità, sono
destinate per Reali appartamento, e vi si ascende per pezzo di due scale, una
principale, messa alla dritta del portone grande ad oriente; e l’altra posta
alla metà del portichetto del cortile, e precisamente alle spalle della Chiesa.Le suddette trentaquattro stanze son divise in due braccia,
uno per Sua Maestà il Re esclusivamente, e l’altro in comunione con Sua Maestà
la Regina. Corrispondono fra loro e per mezzo del coretto della Chiesa,
di cui si è parlato, e per mezzo di un lungo corridojo, che gira al di dietro
della parte meridionale ed occidentale del Casino.Il braccio dell’appartamento, destinato esclusivamente per S.
M. il Re, occupa una parte del prospetto meridionale, e parte del lato
occidentale del fabbricato del Casino. Comprende nove stanze tra grandi e
piccole, vale a dire una sala, una spaziosa galleria per udienza, anticamera,
guardaroba, e stanzino per l’ajutante di camera, due camere grandi, ove la M.
S. tratta gli affari, piccola stanza destinata per toletta, altra simile con piccolo bagno di marmo mondragone, retret (?) con bidè, e lavamano. E tanto il
bagno, che il retret (retrete),
bidè, e il lavamano sono forniti di acqua perenne a chiave, la quale per bagno
si puole anche temperare a piacimento mercè superiori artificj. Questa parte dell’appartamento ha l’ingresso pubblico non solo per la scala
in mezzo al cortile, ma benenche per menzionato corridojo. Questo medesimo
corridojo nel suo fondo mette ad una loggia scoverta verso il lato occidentale
del cortile. Nel centro di questa loggia esiste una graziosa fontana di marmo ad
acqua perenne, a sinistra della quale vi è commodo di uso per le persone di Real seguito anche
ad acqua.Il braccio dell’appartamento destinato in comunione con la
S.M la Regina si compone di numero venti stanze tra grandi e piccole: occupa
l’altra metà del prospetto di mezzogiorno, e tutto il lato orientale del Real
fabbricato.Ha l’ingresso principale dalla scala del portico grande, e
comprende sale, anticamere, galleria, bigliardo, dietrostanze,
camerini, più camere da letto, gabinetto particolare, retret (retrete) con bidè e lavamano ad
acqua perenne a chiave, stanze per le cameriste e mozze di camera, e
guardaroba. In fondo di questo braccio di appartamento sul lato
orientale, propriamente accantoalla prima anticamera verso la scala principale, vi è un quartino di una
stanza e due camerini destinati una volta per uso di S.A.R. il Principe di
Salerno, ed in questi stanzini viè comodo di retret (retrete) ad acqua perenne. (Il principe di Salerno sarebbe Leopoldo di Borbone (Leopoldo
Giovanni Giuseppe Michele di Borbone) (Napoli, 2 luglio 1790 – Napoli, 10 marzo
1851) principe delle Due Sicilie e principe di Salerno. Fu l’unico figlio (il
sedicesimo) del re Ferdinando I e di Maria Carolina d’Austria che non si legl a
nessuna casa reale europea e condusse una vita tranquilla nella città di
Napoli).
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Leolpoldo
di Borbone
Artista:
Louis Renè Letronne
Parigi,
15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura
– Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Artista: Louis Renè Letronne
Parigi, 15 febbraio 1788 – Parigi, 2 aprile 1841
Miniatura – Datazione: 1816
Collocazione – Palazzo Hofburg, Vienna
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
Dalla sudetta stanza si esce in una loggia, che mediante un
passaggio coverto mena ai Reali giardini. Consecutivamente a detto quartino
esiste un grandioso bagno capace di contenere settantadue botte di acqua. Ha il
pavimento di marmo, e dipinture ad encausto sulle pareti all’Ercolana. Da un
lato vi è una camera per commodo di spogliarsi e vestirsi, e dall’altro vi è
un’altra stanza alla quale si ascende per mezzo di pochi gradini coi noti
meccanismi di caldaje, strte, e chiavi,
onde portar l’acqua alla temperatura che si vuole. Questo bagno magnifico è
fornito di tutti gli accessorj costruiti
colla maggiore delicatezza, siche si rende veramente singolare.Tornando al corridojo che sporge nel cortile, e da’ communicazione
a’ due bracci del Reale appartamento, esso torce a destra, ed introduce ad
undici altre stanze, delle quali, numero sette da un lato sono destinate per i
Cavalieri de Real seguito, e quattro dall’altro, che sporgono al cortile si
occupano dall’Ajutante di Camera, e Segretario particolare di S.M.In fondo del corridojo viene la scala del cilindro già
descritta, e quindi un camerone, che ha l’aspetto al cortile, ed al passaggio
nella parte settenrtionale del Casino, nel quale è situato l’incannatojo di seta
cruda animato ad acqua per mezzo di rotore.S’incontra quindi l’altezza della filanda del cortile, che
comprende due piani, e viene poscia un quartino di tre stanze per le persone
del Real sequito: si entra a queste stanze per mezzo di una porta messa a
dritta della sala d’ingresso al Reale Appartamento. Tra le stanze reali di grande importanza per i suoi
aspetti artistici è la sala da bagno di Maria Carolina d’Asburgo moglie di
Ferdinando di Borbone (Ferdinando IV
delle Due Sicilie).
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’impianto
della vasca era costituito da un impianto idraulico che permetteva di disporre di acqua corrente
mentre il riscaldamento dell’acqua era ottenuto mediante una stufa che era
posto nel vano sottostante.Le
parti sono affrescate con disegni del famoso pittore Jacob Philipp Hackert che
nel 1793, su incarico del re dipinse delle figure ispirandosi agli affreschi
pompeiani.Sono
dodici figure femminili danzanti (baccanti) e disegni geometrici – floreali (steli floreali) dette all’Ercolana (un tipo di disegno che era di moda a fine
Settecento per gli scavi che si stavano effettuando a Pompei).La
volta è affrescata con amorini e ghirlande.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
L’artista
tedesco adoperò per le sue pitture la tecnica dell’encausto.Agli
inizi dell’800 la sala, che prendeva luca da una finestra, subì dei ritocchi
apportati agli affreschi, interventi molto limitati, e il ripristino della
ringhiera che circondava la vasca con i rifacimenti di tutti i pomi di metallo
dorato e l’apertura della porta di collegamento tra il bagno e la scala per un
comunicazione diretta dell’appartamento reale con il retrostante Giardino delle
Delizie.Nel
1816 fu realizzato il restauro del pavimento, mentre nel 1832 il pittore figurista Carlo Patturelli,
utilizzando una tecnica ad olio, pose mano alla ripresa pittorica delle figure
nelle pareti e nella volta, che erano quasi tutte consumate a causa dell’evaporazione dell’acqua calda che esalava dal bagno e in generale per
l’umidità presente nelle murature. Nel 1844 s’intervenne nuovamente con il
restauro dei dipinti, questa volta individuando le cause reali del degrado
delle pitture nell’umidità proveniente dal terrapieno del giardino.Alla
sala da bagno erano annessi gli ambienti per la toletta e il guardaroba.
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Nel
1974 l’artista Giuseppe Magri lavorava ancora alla
decorazione dell’ambiente, ma purtroppo dopo solo pochi anni le pitture
cominciarono a soffrire dei guasti dovuti all’umidità e alla stessa tecnica
sperimentale applicata dall’Hackert.La
vasca fu nascosta da un pavimento. Un intervento che fu messo in opera probabilmente
quando la struttura fu data in concessione a vari imprenditori della seta.Nel 1979, alcuni giovani di San Leucio, in circostanze
del tutto fortuite, ritrovarono la vasca, che risultava appunto coperta da un
pavimento.
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Il
pittore prussiano Jacob Philipp Hackert (Prenzlau, 1737 – San Pietro
di Careggi, 1807 ) è un rappresentante di quel folto gruppo di
artisti che nel 700 e nell’800 attraversarono l’Italia in quello che
comunemente viene definito il “Gran Tour”. Il pittore fu anche in Ciociaria,
dove nello stesso anno 1793 dipinse “La Veduta di Anitrella con la cascata sul Liri,
che in un disegno preparatorio veniva descritta come “La Cascata delle/Anatrelle che il/Garigliano fa a quarto
milia/distante del Isola di Sora Filippo Hackert/f. 1793”. Il pittore operò presso la
corte borbonica dal 1782 al 1799, spostandosi con frequenza da Roma a Napoli, e
probabilmente fu durante uno di questi viaggi che fermò sulla tela la cascata
di Anitrella.
Arenella –
cartolina del’ 900
Nel
gennaio 2015 a New York, presso Sotheby’s, il quadro fu messo all’asta, dopo
quello sulla cascata verticale di Isola del Liri. In una nota stampa del
28/12/2014 il Prof. Michele Santulli, nel denunciare l’assenza delle
istituzioni locali in queste aste, scrisse: Il quadro che raffigura la
“Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo della natura veramente esistente
all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto gli occhi abbiamo un documento
fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi e assistere allo scempio che
oggi è rimasto di tale spettacolo della natura!
(L’encausto (o
incausto) è un’antica tecnica pittorica applicata su muro, marmo, legno,
terracotta, avorio e a volte anche sulla tela. I pigmenti vengono mescolati a
miele (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e
stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo con
arnesi di metallo chiamati cauteri o cestri)
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Prezioso quadro
settecentesco di Isola Liri aggiudicato per 20 mila euro
Riceviamo e
pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del Prof. Michele Santulli.
«Grazie ai media
locali, la notizia dell’apparizione sul mercato di un’opera d’arte avente per
oggetto la cascata verticale di Isola
del Liri ha avuto a
suo tempo ampia risonanza: a dimostrazione che le cose d’arte
e di cultura sono più appetite e seguite di quanto i nostri s-governanti locali
ritengano, nella loro ottusità e insensibilità, in questa materia naturalmente.
In effetti si trattava dell’opera più importante e più completa e più maestosa
anche nel formato, mai apparsa sulla cascata verticale di Isola del Liri,
eseguita dall’artista verso il 1770 in occasione di un soggiorno in questi
luoghi. Inoltre informammo che lo stesso artista dal medesimo punto di
osservazione aveva realizzato anche la veduta della cascata del Valcatoio (oggi
zittita e ammutolita, nella generale indifferenza) e che tale quadro gemello si
trovava presso importante museo parigino ed esattamente nella biblioteca del
Museo Marmottan.
Detto quadro,
grazie alla ricchezza di personaggi e di animali, grazie all’ampiezza e vastità
della ripresa della immagine, alle sue dimensioni, al suo perfetto stato di
conservazione, poteva essere considerato un affioramento, ripeto
l’aggettivo: storico, eccezionale.
Tanto più, anche un’occasione perché, grazie a certe circostanze veramente
particolari e non frequenti sul mercato dell’arte, la sua valutazione era
quella del costo di due-tre metri cubi di cemento armato (linguaggio caro e
solo noto alle istituzioni) o di una utilitaria: al contrario quadri con queste
caratteristiche, e sono enormemente rari, quando appaiono nei canali corretti e
pertinenti, le stime si moltiplicano almeno per cinque!
Oltre alla notizia
sui media, fu consegnata a mano una
lettera indirizzata al sindaco di Isola del Liri e un’altra inviata al
presidente della Amministrazione Provinciale. Il sindaco di Isola del Liri:
nessun cenno di vita: nella lettera a lui indirizzata avremmo dovuto parlare di
asfalto e di cemento armato oppure di provolette e peperoni e non certamente di
opere d’arte. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione Provinciale la quale
assieme alla Camera di Commercio, si sono trasformate in impresari ludici,
quasi in agenzie di collocamento per intrattenimenti e per spettacoli vari,
ritenendo in questo modo di fare cultura e arte: non ho approfondito ma sono
certo che solo quest’anno 2014 le due istituzioni di cui sopra non credo che
abbiano speso meno di 150/200.000,00 € ciascuno di soldi pubblici, per clarinetti e trombette,
saltimbanchi, amenità varie, per mangiamenti e bevimenti… certamente non per
Arte e Cultura.
Informiamo che il quadro di cui sopra è stato
aggiudicato a circa ventimila Euro. Felicissimo acquisto per il
fortunato compratore, grazie al sindaco di Isola del Liri e al presidente
dell’amministrazione provinciale i quali due personaggi, in che mani ci
troviamo, non hanno sentito nemmeno l’obbligo civile di rispondere alla lettera
ricevuta! Ora abbiamo di fronte altre…tentazioni: vanno in vendita alla fine
del mese di gennaio a New York, due opere altrettanto significative concernenti
la Ciociaria. Infatti la Ciociaria, si tenga sempre a mente o si apprenda, è un
soggetto perfino fondamentale nell’ambito
della Storia dell’Arte occidentale e della Cultura!
Per merito tra
l’altro del costume ciociaro e dei modelli di artista ciociari è quasi
impensabile entrare in un museo del pianeta e non vedervi appeso almeno un
quadro che non raffiguri uno di questi soggetti. Inutile ricordare che solo in Ciociaria di tali opere non ve ne
è nemmeno una presso
le pubbliche istituzioni! Ma torniamo alle nostre opere affiorate sul mercato:
si tratta di un “Riposo durante la fuga in Egitto” della Sacra Famiglia
(140×180 cm circa) del Cavalier d’Arpino e
di un’opera rarissima intitolata
dall’artista stesso: “La Cascata di Anitrella a quattro miglia da Isola di
Sora” di Jakob Philipp Hackert (98×81
cm). Il quadro che raffigura la “Cascata di Anitrella” illustra uno spettacolo
della natura veramente esistente all’epoca e cioè nel 1793, del quale ora sotto
gli occhi abbiamo un documento fedele grazie al quadro: non si vada sui luoghi
e assistere allo scempio che oggi è rimasto di tale spettacolo della natura! Ci
si renderebbe conto quasi tangibilmente quale fondamentale funzione anche
educativa esercitassero, e avrebbero esercitato anche oggi, la gogna e la
berlina, se utilizzate e impiegate!!
Due opere
ovviamente del massimo significato, semplicemente museali. Purtroppo siamo a
New York e la casa d’asta è Sotheby e perciò, per rimanere coi paragoni,
l’utilitaria è fuori luogo come pure i tre metri cubi di cemento armato:
occorrono le Ferrari ma quelle fuori serie e i palazzi a dieci piani! Ma non si
sa mai: chissà che il 2015 non porti anche un momento di resipiscenza per la
pubblica istituzione o un atto di orgoglio da parte di qualche benpensante. Noi
siamo sempre a disposizione per favorire e assistere».
Michele Santulli
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
Questa sala è chiamata anche Sala Fischetti dal nome di
colui che ha realizzato la decorazione dell'ambiente (1776/1778).L'affresco
del soffitto raffigura l'Incontro tra Bacco e Arianna dopo il
ritorno del dio dall'Oriente (da Ovidio).Quest'opera
fu citata da Johann Wolfgang von Goethe in una delle sue opere.
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
L’incontro tra Bacco ed Arianna
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
(Fedele Fischetti – 1776/1778)
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Posti vicino alla camera da letto si trovavano la Stanza da
lavoro della Regina e il cosiddetto Bagno personale della Regina.Questo piccolo ambiente conteneva un lavamano in pietra a forma di conchiglia,
un gabinetto con coperchio dorato in oro zecchino e un bidè: fu
proprio la Regina Maria Carolina ad introdurre questo sanitario in Italia
alla Reggia di Caserta.Oggi sono qui conservati due lavamano consolle del XIX secolo.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
Originariamente il colore predominante delle sue tappezzerie e decorazioni
era il verde e l'arredamento era in legno dorato.Col suo lato nord il Coretto prospettava sulla Chiesa
di S.Ferdinando Re e da qui i sovrani potevano assistere alla Messa
che si svolgeva nella sottostante chiesa.La visita degli Appartamenti
Reali si conclude con il passaggio nel settore del palazzo che prima era adibito
ad Appartamento dei cavalieri.Faceva
parte di quest'ala del palazzo la cosiddetta Stanza di compagnia del Re.
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
L’ultimo piano del Real Casino comprende varj quartini, componenti numero ventidue camere; divise fra
loro mediante un corridojo, e fornite di corrispondenti comodi. Questi quartini
son destinati per le persone di Real seguito, e per guardaroba
dell’appartamento Reale, e vi si pratica per le scale giù menzionate. Nel lato
sopra all’incannatojo, ed alla filanda del cortile si ha un lungo camerone per
uso di cocolliera, oggi serbatoio di bachi da seta. Filamente esiste una
stanzolina superiore per la macchina dell’orologia posto verso il cortile, e né
... praticabili si ha l’accesso ad altro locale sovrapposto al bagno piccolo di
S. M. il Re già descritto, ove sta la caldaja destinata ad intiepidire l’acqua,
che dal bagno succennato si trasmette. ..................................
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Incominciando dal lungo fabricato appoggiato al monte, e ch’è
messo dirimpetto al lato settenrionale del Real Casino, il piano inferiore ha
la seguente destinazione.Una lunga fila di cameroni ad arcate è addetta ai filatoj
delle sete crude, e vi esistono otto rotoni animate ad acqua, mediante un moto
trasversale prodotto dalla macchina sotterranea. Passando più oltre vi è una
stanza per un deposito di legna, e per bottega del falegname, che giornalmente
lavora in accomodare le macchine. Ivi vicino evvi un’altra stanza con scala privata che introduce nel luogo ove
sono le fornaci colle caldaji per bagno grande di S.M.Seguendo sempre la stessa linea vi è un ampio locale con
pilastri nel mezzo sottoposto al menzionato bagno, da cui si passa in una stanza
addetta al Capo della cucina.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
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oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
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da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Descritta la parte inferiore di questo fabbricato, veniamo
alla superiore.Si monta alla medesima per mezzo della scala prossima al
cilindro,. Evvi in primo luogo un quartino composto da tre stanze fornite di retree ad acqua destinate per alloggio delle persone del Real
seguito.alla destra di tal quartino esiste un camerone grande dove sono riposte
l’incannatojo di seta cruda animato anche ad acqua, e le machine per lo addoppiamento.Nel fine di questo camerone esiste una porta, che ora si
tiene chiusa, la quale dà la sortita ad una leggetta che comunica al Reale
appartamento.Sotto questo punto di communicazione evvi un androne munito
da cancello di legname da cui si sale al quadrato contiguo allo spiazzo ad
oriente; in cui abbiamo detto che vi esistono tre fabbricati. Non occorre
ragionare del primo che presenta la facciata del Real Casino ad oriente, perché
le abbiamo già descritte.Il secondo, che è quello in cui si vede la statua del Re
Ferdinando, vien composto di tre piani, uno terreno e due superiori. Il
pianterreno è formato da un grande stanzone che resta appunto nel mezzo dello
spiazzo, e di tre altre camere addette tutte per uso di Real cucina. È questo
ufficio fornito di acqua perenne a chiave e di altre analoghe comodità d’ogni
maniera: le finestre per le quali riceve il lume sono tutte munite di cancello
di ferro.Il primo piano superiore poi vien composto da una grande
stanza tanto lunga quanto l’intero lato e trovasi addetta ad uso degliorditoj,
e per gli incannatoj di sete colorate.Questo incannatojo era una volta mosso da una gran ruota
verticale che prendeva moto dal passeggiar che facevano in essa due femmine:
oggi a questo rotore sonovissi sostituite altre macchine più semplici ed utile.Di poi s’incontra altra stanza destinata al pregaggio. Il
secondo piano superiore, che è una specie di ammezzato, vien composto da’ una
stanza grande, e da un’altra meno ampia, e trovasi destinato pe’ telaj della
Real fabrica, e per linage(?) necessario per le macchine alla Jaccard.Si entra al pianterreno di questo edificio per mezzo di una
porta messa nell’angolo a sinistra, ed ove vi è una scala, per la quale si
monta a’ piani superiori.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Il terzo edificio finalmente, il di cui prospetto è ad
occidente, e che chiude i tre lati del quadrato, viene composto da un
pianterreno, e da un altro superiore.Nel pianterreno evvi un portico tutto chiuso con quattro sfondati,
ne’ quali si conservano diversi utensilj della fabbrica e vi si custodisce pure
una tromba ad acqua per usarne in caso di bisogno. Nel mezzo di esso vi è un
portone opposto e simmetrico a quello orientale del Casino. A questo portico
segue una camera grande ed una piccola per uso di tintoria, e finalmente due
camere grandi con cucinetta e corridojo destinate per abitazione del Tintore.
Il piano superiore poi è composto da uno stanzino, che serve di studio a’ Direttori della fabbrica, e quindi seguono quattro stanzoni, ne’ quali sono
piazzati simmetricamente trentotto telaj da tenere stoffe come una scuola di
ogni sorta di lavorio, ed in questo locale trattano soltanto uomini.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
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per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
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per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Si monta a questi stanzoni per mezzo di una scala alla
sinistra dell’edificio, e per mezzo della scala istessa, che s’inoltra al piano
superiore, si passa in una stanza ove vi è la stufa per i bozzoli, e quindi si
entra in un lungo e spazioso locale addetto ad uso di cocolliera adiacente alla
filende di cipressi, della quale filande a suo luogo si darà la descrizione.Da tuttociò che abbiamo fin qui detto, ne risulta, che nel
Real Casino e negli edificj che si sono descritti, oltre ai locali destinati
per servigio della Real Corte e per diversj da bocca, vi esistono.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Di
prospetto a chi vuole ascendere la grande scalinata, che mena al Real casino di Belvedere, si presenta l’ingresso al fabbricato, di cui nella tav. n...
Uno
spiazzo di forma rettangolare racchiuso dalle due braccia dell’anzidetta
scalinata, c’è un androne, precedono siffatta entrata.Questo
locale resta giusto di sotto al ripiano basolato, ch’esiste innanzi alla Real Parrocchia. È di forma rettangolare con sei pilastri nel mezzo, che sostengono
la sua volta. In primieramente destinato ad ampio magazzino per riporre i
diversi prodotti de’ territorj di Real pertinenza in parecchi cassoni di legno
a bella posta costruiti, non escluso l’olio, pel quale furono incavati nel
suolo due acconci recipienti quadrilateri foderati di pietre di Genova.Poscia
nel decennio fu il locale medesimo trasmutato a scuderia, come attualmente si vede, capace a contenere N. 44 cavalli.
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Nel
lato orientale del Real Casino di Belvedere alquanto in alto sorge il
fabbricato per uso di filanda, che per esser posta in un sito ove eran molte
piante di cipressi, fu nominata de’ cipressi.Questo
fabbricato di buona costruzione è di forma rettangolare bislunga, e vi si
ascende per una scaletta a due braccia posta nel suo mezzo verso mezzogiorno,
ove evvi una fontana con una elegante conchiglia di marmo.Fu
costrutto in varie epoche un pezzo per volta; e fino all’anno 1822 il moto a’
mangani delle fornaci, che allora comprendea, era tutto dato a forza di
braccia.Posteriormente
per disposizione di S.M. il Re Ferdinando fu immaginata una gran ruota verticale nell’alto, che fosse animata dall’acqua stessa, che va a Belvedere,
da cui venisse comunicato il moto ai mangani anzidetti.Questa
ruota corrisponde al mezzo del fabbricato medesimo, che si credette di
allungare fino alla capienza di numero cinquantadue fornaci.Simmetrici
vani arcati danno abbondantissimo lume a siffatto fabbricato, il quale contiene
un complesso di macchine esteso per quanto è la sua lunghezza, tutto sostenuto da sodi impiedi di legno.Alle
spalle della gran ruota al di sopra della stessa filanda fu costruito alquanto
dopo, un locale spazioso di forma rettangolare.Esso
ha la più grande solidità, ed è munito di un tetto costruito colla maggiore
sodezza: finora non ha ricevuta neruna destinazione, ma sarebbe opportunissimo
per cuculliera.Vi
si ascende per idonee scalette: il tutto come al presente si scorge, e trovasi
delineato sulla corrispondente pianta alla Tav.....
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
Trovasi
altrove fatto menzione dell’oggetto pel quale venne costruito questo edificio,
e de’ verj usi, a cui è stato in diverse epoche impiegato.Da
principio servì uso per vaccheria e per tal motivo tutto quel quartiere prese
il nome di Vaccheria. La forma dell’edificio, che descriviamo, e la di cui
pianta si ravvisa nella Tav. (?) è di croce latina, ed è situato in un falso
piano a poca distanza dal Tempio della Madonna delle Grazie.Si
compone del pianterreno, e del piano superiore, al quale si ascende per una
comoda scaletta posta nel lato settentrionale del fabbricato medesimo. Il
pianterreno comprende un grande stanzone bislungo on due passaggi, ed otto
stanze, quattro per ciascuno lato della croce.Il
piano superiore poi si compone di un altro camerone bislungo con passaggio, e
di nove stanze.L
fabbrica, i pavimenti, le soffitte, i pezzi d’’opera, e tutti gli altri
componenti accessorj di questo edificio si trovano in buono stato. Un tempo
tutto quanto questo locale era destinato a contenere una fabbrica di calze da
seta; al presente ne’ due cameroni si ravvisa una fabbrica di cotoni con bella
disposizione di telaj ed altro, e colla assai accorta distinzione, che nel
pianterreno trafficano solamente gli uomini, e nel piano superiore le donne.Le
stanze contigue sono destinate per magazzini di generi grezzi e lavorati, e per abitazione degl’Individui, che sono in essa fabbrica impiegati.
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a sinistra
l’edificio un tempo occupato dalla “Fabbrica de’ Cotoni”
a destra il “Casamento
addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”...........b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe
di cotone
a destra il “Casamento addetto alla cilindratura e spanditura delle stoffe di cotone”
b.Casamento addetto alla cilindratura
e spanditura delle stoffe di cotone
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
questo
fabbricato è posto a man destra e pressoche contiguo all’attual fabbrica de’
cotoni nella Vaccheria.Si
compone non solo di un pianterreno, diviso in due grandi locali con qualche differenza ne’ livelli de’ pavimenti, ma
eziandio d’un piano superiore.Fu
costruito questo edificio negli anni 1826 e 27 per l’oggetto di aver un comodo
da cilindrare le manifatture di cotone nel pianterreno, e di spander le stesse
nel piano superiore.È
da marcarsi, che il pavimento di questo piano superiore è stato con arte tutto
formato di legno con ben comuni pezzi per l’uso cui è stato addetto.Rimane
siffatto edificio incompleto per la parte che riguarda le macchine, ed altri accessorj per lo apparecchio. Questa circostanza lo può rendere adatto al altri
usi.
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
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esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
Perche
non mancare alcuno de’ comodi necessarj alla fabrica delle cotonerie, negli
anni 1826, e 27, si profittl delle quattro stanze sottoposte al lungo casamento
esistente nella Vaccheria per istabilire un’officina per biancheggio.Vi
esisteva già in questo luogo un pavimento di travertino fiancheggiato da
canalette, ch’eran servite per uso della fabricazione delle pelli, e vi
estivean pure delle fontane capaci di somministrare con abbondanza l’acqua che
si desiderava.In
questo sito appunto, che sembrava adattissimo, e che veniva pure favorito da un
vasto spiazzo capace di diverse spantitojo, venne fissato non solo il
biancheggio, ma anche una tintoria per cotoni, a quale oggetto si formarono non
solo le vasche, ma anche le fornaci, e quanto altro conveniva all’uopo.Questo
locale è stato utilissimo alla manifattura e benche al presente si trovi
inoperoso per lo fallimento degl’Imprenditori della fabbrica di cotone, pure
può servire sempre al bisogno.Abbiamo
stimato superfluo di fare delineare questa officina in una tavola particolare, dappoiche essa forma parte del lungo casamento, che descriviamo nel fol.139 del presente volume...................................
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
d.
Lungo Casamento
del Quartiere della Madonna delle Grazie
alla Vaccheria
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Il Lungo Casamento, la cui pianta rappresentasi nella Tavola
(?) è posto nel lato sinistro di chi guarda la Chiesa della Madonna delle
Grazie.La sua costruzione è contemporanea agli altri fabbricati di
questo medesimo quartiere.Consiste in un rettangolo, i cui lati racchiudono un cortile
con ingresso per un portone posto nel lato occidentale. Questo Casamento dalla
parte settenrtionale sino al portone comprende il pianterreno, ed un piano
superiore.Dal portone fino alla parte meridionale per l’inclinazione,
che prende il suolo, oltre a questi due piani ve né è un altro sottoposto, in
guisa che il piano superiore di quest’altra porzione corrisponde al pianterreno
della prima.Ne’ primi tempi, che fu costrutto siffatto fabbricato, fu tutto
il pianterreno destinato per canetteria, ed il piano superiore per abitazione
dè canettieri, del Guardiamaggiore, del primo fagianaro Tedesco, e de’
Guardacaccia.Posteriormente, allorche
fu nel 1789 dall’imortale Re Ferdinando stabilita la fabbrica delle
seterie fu tutto questo edificio diviso in abitazioni per i manufattieri di
calze di seta.Nel
1798 il pianterreno posto ha mezzogiorno ed occidente, e ‘l secondo piano di
oriente e mezzogiorno fu addetto a fabbrica di pelli e guanti ad uso di Francia
avendo a bella posta il prelodato Sovrano fatto venire una compagnia di
fabbricanti pellajoli da Grenoble, che per le infauste vicende del 1799 si
ritirarono tutti alla di loro patria. Al presente trovasi utilizzato il
menzionato pianterreno tra mezzogiorno ed oriente composto di n. 4 stanze per
biancheggio de’ cotoni per la fabbrica
non ha guari istallata in questo quartiere della Real Colonia Leuciana,
restando tutto il rimanente del comprensorio, cioè il pianterreno in n. 43
stanze, il piano superiore di n. 35 stanze, e l’altro piano sottoposto detta
testata di mezzogiorno di n. 13 stanze, comprese le cantine, distribuito per
abitazioni degl’individui della suddetta Real Colonia, specialmente calzettai
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Questo
fabbricato, come abbiamo visto, era in origine destinato a “cannetteria” cioe a
ricovero di cani in gran parte destinati alla caccia. Erano poi presenti le
abitazioni del “canettiere”, che una figura che aveva la cura dei cane e anche
l’addestramento, del guardiacaccia,
probabilmente molto numerosi, e anche del fagianaro.
C’re
una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
-
Cacciatore maggiore o Montiere;
-
Balestriere;
-
Primo Canettiere o canettiere di camera;
-
Canettiere;
-
Mozzo;
-
Scaccioni o Menatori;
-
Fagianari.
-
Retaioli, (diffusi soprattutto nella zona di Sorrento)
Come
cani da caccia utilizzavano i cani corsi, levrieri della steppa e moscoviti,
oltre
a
cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli
utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella
Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie
borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a
destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
C’re una precisa gerarchia tra le figure che venatorie alle dipenze del Re:
- Cacciatore maggiore o Montiere;
a cani spagnoli e tedeschi. In merito ai cavalli utilizzavano la razza di Carditello e Persano che veniva allevata nella Reggia di Carditello ed anche in Sicilia in alcunefattorie borboniche come a Ficuzza (Palermo) e in contrada Pietrarossa, vicino Paterno,a destra del corso del fiume Simeto e nei pressi del castello di Poira.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Oltre al Salernitano vero e proprio, nella piana tra il Sele e il Calore
(Salerno – Campania) era allevata la rinomata “razza governativa di Persano”.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici
prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i
Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per
l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
Fondata nel 1762 da Carlo III di Borbone e formata da fattrici prevalentemente orientali e stalloni arabi andalusi.
Attitudine: sella, completo, dressage e alta scuola. Nevrili ed eleganti i Persano sono impiegati oltre che per gli sport equestri anche per l’ippoturismo. Possiede un temperamento docile e coraggioso.
Mantello: baio, sauro, grigio, morello;.
L’Altezza al garrese: Maschi e femmine 150cm
Possiede un attitudine alla sella, al dressage e all’alta scuola.
I cavalli “Persano” del Principe Alduino di Ventimiglia di
Monteforte
Si chiama “Ionia”, il primo puledro nato nel Real Sito di
Carditello, nella mattinata di domenica 3 febbraio 2019.
il Principe Alduino di Ventimiglia di Monteforte,
proprietario dei cavalli ospitati al Real Sito, ha precisato che questa è la
prima nascita di un cavallo Persano all'interno del Real Sito dopo oltre 100
anni.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
In
merito all’armeria dei Re Carlo e Ferdinando I di Borbone, era composta
da
circa 800 perzzi. Il Re Carlo adoperava le carabine austriache, che erano
prodotte
da
Felix Maier e Cristoff Ris, per la selvaggina e le carabine spagnole, prodotte
da
Manuel
Estevan, per i volatili.
Re
Ferdinando I usava scoppietti e mojane (
coltelli ?) napoletane prodotte da Salvatore Massa per qualunque tipo di
cacciagione.
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto di Domenico
Salerno, canettiere di Ferdinando IV di Borbone, con cani e cacciagione, 1784,
Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M.
F. Quadal Pinx 1784
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Pittura: Olio su tela – Misure: (182 x 246) cm
Iscirizione: M. F. Quadal Pinx 1784
Provenienza: Real Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
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Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
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Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
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Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e
cinghiali (1784)
del Museo della Reggia di Caserta
Pittura: Olio su
tela – Misure: (182 x 246) cm
Collocazione:
Reggia di Caserta
Provenienza: Real
Casino di Carditello (Stanza della tavola matematica).
I dipinti di
Quadal furono probabilmente realizzati per arredare il Real Casino di
Carditello. Le due tele, infatti, nel primo inventario del Real Casino del 1792
risultavano esposte nella Stanza
della tavola matematica, che aveva funzione di sala da pranzo.
................................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
All’Occidente
di Belvedere in distanza di un miglio si presenta questo tempio. È formato in
una pianta isolata di assai soda costruzione, all’esterno è di forma rettangolare, e nell’interno presenta una Croce Greca.Fu
costruito nell’anno 1804 per comodo di diverse famiglie d’Individui che abitavano
in quei dintorni, e fu dedicato per particolare divozione del Re Ferdinando
alla Santissima Vergine detta delle Grazie, la di cui immagine situata nell’altare maggiore, era una copia
curata dal Professore Saja da un
piccolo quadro di ottimo autore, che S. M.
conservava presso di se con singolare divozione.Questo
Tempio, come trovasi altrove detto, per Sovrano comondamento, venne situato in
mezzo di alcune annose querce, che tuttora esistono in un lungo ripiano, cinto
di ringhiere di ferro.Vi
si ascende per una scalinata a due braccia con due fontane.Nell’atto
che all’esterno presenta una facciata all’usanza gotica, nell’interno è assai
ben decorato di stucchi, d’intagli secondo il buon gusto de’ secoli posterioriÈ
fornito di un bel pavimento di marmo e di tre altari puranche di marmo, il primo di cui, chi è l’altare maggiore, è dedicato, come abbiamo detto, alla
Vergine Santissima delle Grazie; il secondo a dritta è fornito di un quadro che
rappresenta un popolo, che implora dalle Grazie da Dio per la intercessione
della Beatissima Vergine: Questo quadro venne dipinto dal professore Focairis
(?). il terzo quadro rappresenta il Mistero della Purificazione e fu dipinto da
D. Carlo Brunelli.In
più della Chiesa a dritta che a sinistra vi è un incasso, e niediante picciole scalette a lumaca di travertino si ascende in ciascuno ad un doppio piano
di coretti, il primo de’ quali è
destinato per orchesta. Queste stesse
scalette portano ad un loggiato sulla facciata della Chiesa ed ai due
campanili.Ai
fianchi dell’altare maggiore vi sono presenti due altri incassi, in quello
posto in Cornu Evangelii veggonsi due porte: una immette sulla scaletta
a lumaca, che porta al primo piano de’ coretti destinati per Principi Reali,
entrambi simmetrici ai già descritti, e l’altra mena in Sacrestia.Dai
rincasso poi in Cornu Epistola, per un piccolo passaggio si va pure nella Screstia, la quale si compone di due spaziose stanze formate da bello ed
acconcio stiglio di noce.Nel
menzionato passaggio trovasi una scaletta per la quale si monta al coretto destinato per le LL.M.M.Questo
coretto è preceduto da uno stanzino. La scaletta medesima porta ad altro coretto superiore a quello del Re e ad un quartino di due stanze, che restano
sopra alle Sacrestie, una delle quali è più spaziosa dell’altra destinata un
tempo per dimora del Sacerdote addetto alla Chiesa, ora per comodo di
trattenimento alle Reali Persone, ed anche per retret (retrete).
Vaccheria
– La Chiesa della Madonna delle Grazie
..........................
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
La
piccola fabbrica trovasi lungo la strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, ed a piccola distanza da’ fabbricati della vaccheria medesima.Dirimpetto
d’ha un locale detto Donzello, ove la Maestà del Re Ferdinando guardava la
corsa, che ogni anno solevasi fare nel giorno della Madonna delle Grazie.
Questa piccola fabbrica altro non era un tempo, che un casamento massarizio
denominato di Cappuccio prima di venire in possesso del Re.Eseguita
la muragione del Monte di S. Leucio, fu alquanto ampliata, e data ad un Guardacaccia per sua dimora e per
custodia del Bosco, come attualmente si ritrova. Si compone di tre stanze, un
passetto ed alcuni camerini al pianterreno, e di una stanza al piano superiore,
alla quale si monte per interna scalinata.
.....
l’ingresso principale un cancello di ferro, per mezzo del quale si entra nel
Real Sito dalla banda della vaccheria. Contigue a questo cancello vi sono
alcune casette destinate fin da principio a guardie, come al presente si vede.
Questo ingresso, dal pocanzi descritto Casamento, fu chiamato di Cappuccio. La
fabbrica annessa al cancello comprende una stanza terrena, ed un’altra
superiore, alla quale vi è communicazione per una scaletta esteriore. La
casetta che dista dalla suddetta per poco spazio, e che trovasi sull’alto sulla
strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, si forma del solo pianterreno
composto di due stanze ed un camerino. Per lo passato questa seconda casetta
guardava una chiusura di ferro, ch’erano nell’anzidetta strada; ora forma la
dimora di un Individuo Leuciano.
Cancello di
“Cappuccio”, sulla destra le casette della fabbrica
.........................
19. Casamento
Al di
fuori del Portone di Belvedere
detto Trattoria
Colle Nuove
Scuderie
.....
l’ingresso principale un cancello di ferro, per mezzo del quale si entra nel
Real Sito dalla banda della vaccheria. Contigue a questo cancello vi sono
alcune casette destinate fin da principio a guardie, come al presente si vede.
Questo ingresso, dal pocanzi descritto Casamento, fu chiamato di Cappuccio. La
fabbrica annessa al cancello comprende una stanza terrena, ed un’altra
superiore, alla quale vi è communicazione per una scaletta esteriore. La
casetta che dista dalla suddetta per poco spazio, e che trovasi sull’alto sulla
strada che da Belvedere mena alla Vaccheria, si forma del solo pianterreno
composto di due stanze ed un camerino. Per lo passato questa seconda casetta
guardava una chiusura di ferro, ch’erano nell’anzidetta strada; ora forma la
dimora di un Individuo Leuciano.
Cancello di “Cappuccio”, sulla destra le casette della fabbrica
.........................
19. Casamento
Al di
fuori del Portone di Belvedere
detto Trattoria
Colle Nuove
Scuderie
Nel sito dove giù esisteva un antica casetta destinata per
abitazione degli schiavi battezzati, che erano addetti al Real servizio in
Belvedere, e per rustica bettola, fu poscia costrutto questo abbastanza ampio
fabbricato, la cui pianta per la
posizione del luogo venne di figura trapezoidale.Si compone di tre rettangoli uniti fra loro pe’ lati minori,
che racchiudevano uno spazioso cortile.La sua faccia principale, ov’è il portone, riguarda Levante,
e fiancheggi la strada, che mena allo ingresso maggiore della Colonia Leuciana,
da cui dista per pochi passi.Il lato sud-ovest distendevi a fianco dell’altra strada, che
porta a Gradillo, e quindi a Caiazzo.Finalmente dalla parete di settentrione confina col muro, e
co’ casamenti della menzionata Real Colonia.Fu edificato per ordione del provvido Re Ferdinando,
allorqando dimorava egli lungamente in Belvedere, per dare agio di trattenersi
e ristorarsi alle persone, che continuamente erano obbligate recarsi alla Reale
udienza, o dalla Capitale, o da altri luoghi distanti.Per la qual cosa prese il nome di Trattoria, che tuttora
ritiene.Si osserva in questo edificio una comoda distribuzione di
stante tutte ricacciate giudiziosamente a squadro ne’ piani superiori, in modo
molto acconcio all’uso cui fu destinato, e parecchie botteghe verso la strada
di Caiazzo.In tempo dell’occupazione militare tutto quanto questo locale
fu addetto a contenere le varie specie di macchine per lo lavorio delle sete,
che prima erano sul Real Casino. Posteriormente nel felice ritorno del Re
Ferdinando le macchine anzidette presero il loro antico posto, e l’edificio di cui si tratta, ne’ soli piani superiori fu ridotto ad uso di abitazioni, come
in seguito verrà narrato.Siccomè l’ineguaglianza del suolo, ove fu costruito siffatto
fabbricato, ha portato una diversità nei piani, così a migliore intendimento
del leggitore siadotterà nella descrizione il seguente metodo. Descriversi in
primo la parte di questo edificio ov’è il portone; indi il lungo lato posto sulla strada, che mena a Cajazzo; ed in fine il casamento, che attacca colle abitazioni della Colonia.Lato del Portone
Lato del Portone
Il
suo spazioso portone con lungo portico dà ingresso a questa parte del
Casamento. Comprende alla destra del sudetto portone un pianterreno, ed un sol
piano superiore, ed alla sinistra il pianterreno e due piani superiori; il
primo de’ quali corrisponde al pianterreno dell’altro braccio.
All’entrata
del portone due scalette poste una incontro all’altra, sporgono in due
corridoj, e quindi a numero dieci stanze, quattro da un lato e sei dall’altro.Le quattro stanno a destra del portone, e son destinate ad abitazione del Direttore de’ telai da calze; delle sei poi, che trovansi alla sinistra, tre sono occupate per
magazzini delle sete, e tre altre con un corridojo formano porzione della casa
del custode del Casino Reale.Il
pianterreno di questo braccio, che sulla sua prima costruzione serviva tutto
per le officine di cucina e riposto
della trattoria, comprende cinque stanze ed un lungo corridojo.Due
di queste stanze al presente sono abitate; una grande si ritiene dal suddetto
custode per dispensa, un camerino verso la strada è bottega del calzolaio, e
l’altra stanza è destinata per Cancelleria della Real Colonia.In
questo stesso lato evvi una bella scala a lumaca, che porta al piano superiore,
che si compone di numero nove stanze; un corridojo, ed una spaziosa cucina,
quale piano serve di abitazione in parte all’Amministratore, ed in parte al
Comandante la Divisione militare della Colonia Leuciana.Braccio
posto sulla Strada di Cajazzo
Il
lungo Casamento, che costeggia la strada di Cajazzo, è composto di stanze
foderate con picciola diversità ne’ loro piani.L’aspetto,
che è verso la suddetta strada, si forma del pianterreno, e di un piano
superiore, il quale va a livello al primo piano della parte d’edificio già
descritta.Il
pianterreno costa di numero nove stanze, tutte addette ai venditori di varj
commestibili principali, per uso della
colonia medesima, non esclusa un osteria
che è posta alla fine del Casamento fornita di molte comodità.E
il piano superiore di altre nove stanze, le prime tre che stanno in continuazione,
e che formano parte dell’abitazione del Custode testè nominato, e le rimanenti
sei che servono anche per uso di abitazioni ad altri coloni Leuciani.La
parte poi, che guarda il cortile si compone di
numero otto vuoti di cantina, ciascuno corrispondente, ed annesso alle
corrispondenti botteghe.Il
locale, che sovrasta a queste cantine, era un tempo in forma di un lungo
porticato addetto a riporre carrozze; ma fu poscia diviso in sei locali, uno
più spazioso, ove è ora un teatro, e cinque stanze destinate per
abitazioni.Non
ha guari per comandamenti Sovrani è stata principiata una fabbrica alla fine di
questa parte di trattoria, fino a guardare il muro di cinta di S. Leucio,
sull’idea di formare un rettangolo con portone d’ingresso nel mezzo, per uso di
Real Cavallerizza, onde poter riporre cavalli e carrozze di Real pertinenza,
non che dar ricetto a tutti i Palafreni, cocchieri e staffieri col loro Capo
ogni qualvolta si reca S. M. /D.S./ nel Real Sito di Belvedere.È
per altro tuttavia incompleta, e di ciò ch’è fatto internamente, parte è
aggregato alla bettola, e parte è addetto ad uso di macello
Lato contiguo ai Casamenti della Colonia
Lato contiguo ai Casamenti della Colonia
Finalmente il Casamento posto nel cortile, che attacca dalla
parte di settentrione con muro di cinta e colle abitazione del Quartiere S.
Carlo della Real Colonia, costa del pianterreno e di di un sol piano superiore.
Il pianterreno dapprima altro non era che un lungo locale ad uso di stalla: fu
posteriormente deviso in sei locali fra
grandio e piccioli addetti a tintoria di color nero, magazzini e rimesse. Il
piano superiore poi p ripartito in sei stanze destinato ad abitazioni.
Il
piccolo edificio, segnato con N. nella tavola (?), altro non è che una casetta
destinata per abitazione del Custode del cancello, per mezzo del qual cancello
dal punto della cascata delle acque si entra nel recinto del Real Sito di S.
Leucio. Questa casetta è di recente costruzione e consiste in una sola stanza a
pianterreno con alcuni annessi camerini.
La
Casetta... presenta una guardiola per contiguo cancello di ferro alla salita
denominata dell’Arco. Fu costrutta contemporaneamente alla murazione di
Montebriano, costa di una sola stanza a pianterreno, ed una cucinetta con
sottoposta cantina.
...................................
c.Casa
del Retajolo all’Arco
...................................
c.Casa
del Retajolo all’Arco
La
fabbrica... è posta a qualche distanza dalla testè nominata guardiola, andando
sopra, in un luogo per antica tradizione denominato l’Arco.Il
Re Ferdinando I volle edificarla per dimora del Retajolo addetto alla caccia
de’ tordi in quell’acconcio sito. Si compone di due sole stanze, ed alcuni
annessi camerini, oltre di un lungo sottoposto corridojo per tingere e
conservare le sete.
L’altra
fabbrica, ...., trovasi a poca distanza dalla testè nominata lungo la strada
che conduce a Belvedere, nella sua origine era parimenti locale destinato a
guardia di un cancello di ferro, che l’era vicino, prima di porvi il già
riferito alla Cascata.Posteriormente
fu destinata per abitazione di una manipolatrice di latticini all’uso di
Firenze, detti mazzolini, per cui vi è commodo d’acqua perenne.Presentemente
è addetta a ricettare un Guardiacaccia. Tuttoche presenta un sol pianterreno alla faccia della strada di
tre stanze ed una cucinella; per l’ineguaglianza del terreno, nella parte interna vi è il piano sottoposto di altre due stanze, al quale si pratica per
esterna scaletta.
Il Marzolino è un formaggio ovino a
pasta tenera e dal sapore dolce.
Un prodotto toscano di pregio e
dalle antiche origini. Risale al tempo degli Etruschi e fu oggetto di
fiorente commercio già in epoca romana, come riferito da Plinio il Vecchio. Il
suo nome deriva dal mese in cui viene
prodotto.
La zona di
produzione del Marzolino è il territorio compreso tra le province di Firenze e
Siena, solcato dalle alti valli del Greve, del Pesa e dell’Arbia.
Un formaggio a base di puro latte ovino proveniente da
animali alimentati solo con erbe dei pascoli della zona in cui viene prodotto.
Per questo motivo il suo sapore è unico e caratteristico. La pasta del
formaggio Marzolino, di colore bianco e struttura compatta, ha un aroma
fragrante e una sottile crosta bianca che tende al rosso con il protrarsi della
stagionatura e per il trattamento a cui viene sottoposto. Viene infatti
cosparsa di concentrato di pomodoro ed olio evo. La forma tradizionale è ovale
e schiacciata, ma si può trovare anche di forma tonda o cilindrica a seconda
della zona di produzione. Le forme variano dai cinquecento grammi di peso fino
a raggiungere anche il chilo e mezzo. Nella sua lavorazione In origine si
utilizzava per la produzione del Marzolino il latte lavorato utilizzando il
cagliofiore, prodotto ricavato dal fiore del carciofo selvatico. Oggi sono rari
i produttori che seguono questo procedimento antico, e il cagliofiore è stato
sostituito dal caglio di vitello. In genere il Marzolino viene lavorato
partendo da latte ovino crudo che, rispetto al latte pastorizzato, preserva
inalterati gli aromi volatili conferendo al prodotto finale un gusto e un
profumo più intenso. Dopo la mungitura serale il latte scremato viene unito al
latte intero della mungitura del mattino per esser pronto alla lavorazione. La
lavorazione di questo formaggio prevede che il latte venga portato a 30-32°C,
non di più, per mantenere inalterata la flora batterica. Al raggiungimento di
questa temperatura viene aggiunto caglio liquido di vitello per ottenere in
venti minuti la coagulazione. Una volta raggiunta la giusta consistenza viene
rotta la cagliata in piccoli granuli e posta in forme concave per far scolare
il siero. Segue la pressatura e la salatura che in genere è fatta a secco
aggiungendo direttamente il sale. Le forme ottenute vengono avvolte in un panno
e appese per l'asciugatura in un ambiente a temperatura costante per circa due
giorni con una rotazione manuale delle forme ogni otto ore. A questo punto inizia
la fase di maturazione. Le forme vengono adagiate su lastre di legno e riposte
in cantina per almeno sette giorni. A seguire la stagionatura per un minimo di
tre e un massimo di sei mesi. La sua stagionatura può durare da pochi giorni
fino a circa sei mesi.
...................................
Il Marzolino è un formaggio ovino a
pasta tenera e dal sapore dolce.
Un prodotto toscano di pregio e
dalle antiche origini. Risale al tempo degli Etruschi e fu oggetto di
fiorente commercio già in epoca romana, come riferito da Plinio il Vecchio. Il
suo nome deriva dal mese in cui viene
prodotto.
La zona di
produzione del Marzolino è il territorio compreso tra le province di Firenze e
Siena, solcato dalle alti valli del Greve, del Pesa e dell’Arbia.
Un formaggio a base di puro latte ovino proveniente da
animali alimentati solo con erbe dei pascoli della zona in cui viene prodotto.
Per questo motivo il suo sapore è unico e caratteristico. La pasta del
formaggio Marzolino, di colore bianco e struttura compatta, ha un aroma
fragrante e una sottile crosta bianca che tende al rosso con il protrarsi della
stagionatura e per il trattamento a cui viene sottoposto. Viene infatti
cosparsa di concentrato di pomodoro ed olio evo. La forma tradizionale è ovale
e schiacciata, ma si può trovare anche di forma tonda o cilindrica a seconda
della zona di produzione. Le forme variano dai cinquecento grammi di peso fino
a raggiungere anche il chilo e mezzo. Nella sua lavorazione In origine si
utilizzava per la produzione del Marzolino il latte lavorato utilizzando il
cagliofiore, prodotto ricavato dal fiore del carciofo selvatico. Oggi sono rari
i produttori che seguono questo procedimento antico, e il cagliofiore è stato
sostituito dal caglio di vitello. In genere il Marzolino viene lavorato
partendo da latte ovino crudo che, rispetto al latte pastorizzato, preserva
inalterati gli aromi volatili conferendo al prodotto finale un gusto e un
profumo più intenso. Dopo la mungitura serale il latte scremato viene unito al
latte intero della mungitura del mattino per esser pronto alla lavorazione. La
lavorazione di questo formaggio prevede che il latte venga portato a 30-32°C,
non di più, per mantenere inalterata la flora batterica. Al raggiungimento di
questa temperatura viene aggiunto caglio liquido di vitello per ottenere in
venti minuti la coagulazione. Una volta raggiunta la giusta consistenza viene
rotta la cagliata in piccoli granuli e posta in forme concave per far scolare
il siero. Segue la pressatura e la salatura che in genere è fatta a secco
aggiungendo direttamente il sale. Le forme ottenute vengono avvolte in un panno
e appese per l'asciugatura in un ambiente a temperatura costante per circa due
giorni con una rotazione manuale delle forme ogni otto ore. A questo punto inizia
la fase di maturazione. Le forme vengono adagiate su lastre di legno e riposte
in cantina per almeno sette giorni. A seguire la stagionatura per un minimo di
tre e un massimo di sei mesi. La sua stagionatura può durare da pochi giorni
fino a circa sei mesi.
...................................
La
chiesa con il convento e il chiostro
A
fianco l’Ospedale militare costruito successivamente
A fianco l’Ospedale militare costruito successivamente
(Quando) venne stabilita la Real Colonia di S. Leucio, il Re
Ferdinando di felice ricordanza, vide la necessità di corroarla di un’ospedale
non solo per apprestare alla popolazione i mezzi delle cure gratuite, ma
ancora per allontanare dal Real Sito il germe di qualunque malattia contagiosa,
e specialmente delle tesicia, e delle febbri di maligno carattere. Questo
saggio divisamento, nutrito per tanti anni, ebbe finalmente il suo effetto
nell’anno 1822.Convien premettere, che trovandosi disponibili nella Città di
Caserta i due Monasteri detti del Carmine, ossia di S. Antonio, e l’altro di SS. Minimi dell’Ordine di S.
Francesco di Paola, comandò S.M. fin da’ 30 Settembre 1810, che si fossero
presi a censo dal patrimonio Regolare, a cui appartenevano, per uso e servigio
della Popolazione di S. Leucio.Conosciutosi in seguito la necessità di riunire a queste
fabbriche i rispettivi giardini, venne Sovranamente ordinato, che nella cessazione istessa si fossero compresi i
giardini medesii, stabilendosi per il locale e giardino di S. Antonio annui
ducati cento ventitre, e per quello di S. Francesco di Paola annui ducati
trantacinque, cioè ducati dieci per lo monistero e ducati venticinque pel
giardino.Di fatti nel dì 17 Maggio dell’anno 1820 per mano di Notar
Pezzella si divenne al corrispondente istrumento di
cessazione di cui inseriamo la copia nel volume delle cautele N.Il locale di S. Antonio fu destinato per farci abitare
individui della Popolazione di S. Leucio, i quali per l’angustia di quel
fabricato non potevano ivi rimanere.Ma essendosi in Caserta istabilita una Casa di Padri della
Congregazione del Redentore (Padri Liguorini ?),
fu ceduto ad essi il locale, coll’obbligo di dover pagare il canone, come dalla Sovrana Risoluzione del dì 17 Maggio 1824, di cui si osserverà la copia nel
volime delle cautele fol.... ( e Decreto Regio del 30 luglio 1823 ?).Il locale de’ Padri Paolotti, essendo stato giudicato opportunissimo
per ospedale, spezialmente per l’amena e salubre situazione, venne a questo uso
convertito esclusivamente per i Leuciani. Indi fu dotato di generoso
equipaggio, e fu messo nello stato di accogliere gli infermi dell’uno e dell’altro sesso che potevano pervenire dalla popolazione di S. Leucio.La desrizione topografica dio questo locale è la seguente.Si entra per un androne con vano arcato colla serranda di
legname di castagna formata a telaro, con le corrispondenti ferrature, il
catenaccio, lucchetto a colpo e battello al portellino.A dritta del vano arcato vi è un vano di porta, che dè
l’ingresso ad un piccolo basso, ed in seguito si ha l’ingresso nel Chiostro,
formato da corridojo intorno con pilastri di fabrica e vani arcati.Nel primo corridojo di questo chiostro, dopo il vano arcato
dell’androne verso settentrione a dritta, vi è un vano di porta, che immette in
altro basso con varo arcato.In seguito del medesimo,
rivolta il corridojo ad occidente, si ritrova la scala di fabrica, che impiana nel piano superiore, formata con tre tese, due ballatoi, e N. 30 scalini
di puro d’astrico.Dopo la scala in detto pianterreno vi è un altro vano di
porta, che dà l’ingresso alla cantna, ed in seguito si ritrova l’antica cucina
con scaletta di fabbrica, che impiana
similmente al piano superiore.Dopo la cucina rivolta il corridojo a mezzogiorno, si ritrova
altro vano di porta, che dà l’ingresso a due altri bassi, nel primo de’ quali
vi è la porta che immette nel giardino.In seguito di detto corridojo si ritrova altra porta con vano
arcato, che dà l’ingresso al giardino, ed in seguito vi è la sagrestia.Ed in fine a destra del primo corridojo descritto verso
settentrione, si ritrova altro basso: quindi tutto il pianterreno è formato di
cinque bassi, una cucina, e l’ingresso della cantina e sagrestia.Il piano superiore poi viene composto ancora di tre
corridoi, uno verso settentrione, altro
ad occidente ed il terzo a mezzogiorno.Nel primo corridojo descritto vi sono sono numero cinque
stanze, ed il coro della Chiesa; in seguito verso occidente vi sono numero sei
stanze, ed un coretto; e sul lato in confine della Chiesa altre cinque stanze,
che in unop sono stanze ventidue, un retret e due cori.FondiariaNon si paga fondiaria, trovandosi questo locale non compreso
nei ruoli passati a questa Reale Amministrazione.Nell’art. 197 si fa menzione della Chiesa, sottoposta ad un
imponibile di annui D. 2.60; ma evvi una nota, nella quale dicesi, che con
Dispaccio del dì 22 Settembre 1821 ne fosse ordinato il disgravio.
Chiesa
e Convento di San Francesco di Paola
La chiesa di San Francesco di Paola
si trova nelle vicinanze della reggia di Caserta (precisamente nell'omonima
via, al confine con Casagiove) ed è ritenuta a ragione il luogo di
sepoltura dell'architetto Luigi Vanvitelli, progettista della famosa
Reggia di Caserta. La chiesa e il convento furono fondati nel 1606 da
parte dei Padri dell'ordine dei Minimi, grazie alla generosità del principe
Andrea Matteo Acquaviva che concesse terreni e rendite. L'importanza del
convento accrebbe in occasione della visita di Papa Benedetto
XIII nell'anno 1729, quando il Pontefice soggiornò in quel luogo per
due giorni. L'altro episodio che conferì notorietà al luogo in questione fu la
sepoltura dell'insigne architetto nel 1773, ma solo nel 1879, grazie
all'iniziativa del Presidente del Collegio degli Ingegneri, fu apposta una
lapide che ricordasse l'evento. Dal 1813 al 1816 i locali del convento furono
utilizzati come sede di Gendarmeria, nel 1821 Ferdinando I decise di utilizzarlo
come ospedale per gli abitanti della vicina colonia di San Leucio, nel 1830
però il Re cedette completamente l'ospedale ai gendarmi. Nel 1835 quel luogo
divenne sede dei Lancieri e di una fabbrica di scialli di lana, questa
destinazione fu mantenuta sino al 1840. In quell'anno ci fu un nuovo ed ultimo riutilizzo,
come Ospedale militare per conto del Ramo di Guerra.
Chiesa
e Convento di San Francesco di Paola
La chiesa di San Francesco di Paola
si trova nelle vicinanze della reggia di Caserta (precisamente nell'omonima
via, al confine con Casagiove) ed è ritenuta a ragione il luogo di
sepoltura dell'architetto Luigi Vanvitelli, progettista della famosa
Reggia di Caserta. La chiesa e il convento furono fondati nel 1606 da
parte dei Padri dell'ordine dei Minimi, grazie alla generosità del principe
Andrea Matteo Acquaviva che concesse terreni e rendite. L'importanza del
convento accrebbe in occasione della visita di Papa Benedetto
XIII nell'anno 1729, quando il Pontefice soggiornò in quel luogo per
due giorni. L'altro episodio che conferì notorietà al luogo in questione fu la
sepoltura dell'insigne architetto nel 1773, ma solo nel 1879, grazie
all'iniziativa del Presidente del Collegio degli Ingegneri, fu apposta una
lapide che ricordasse l'evento. Dal 1813 al 1816 i locali del convento furono
utilizzati come sede di Gendarmeria, nel 1821 Ferdinando I decise di utilizzarlo
come ospedale per gli abitanti della vicina colonia di San Leucio, nel 1830
però il Re cedette completamente l'ospedale ai gendarmi. Nel 1835 quel luogo
divenne sede dei Lancieri e di una fabbrica di scialli di lana, questa
destinazione fu mantenuta sino al 1840. In quell'anno ci fu un nuovo ed ultimo riutilizzo,
come Ospedale militare per conto del Ramo di Guerra.
La costruzione del Casino Reale di San Silvestro
ebbe inizio negli anni novanta del Settecento e fu completata nel 1801, su
disegni del Giovanni Patturelli, collaboratore di Francesco Collecini (1723-1804).
Circondato da vigneti e giardini, il Casino si sviluppa intorno ad una corte
rettangolare, priva del lato verso mezzogiorno. Comprendeva dodici vani al pianterreno, sei destinati alla cantina ed alla vinificazione e sei ad uso di
stalle, pollai ed ambienti destinati alla produzione di latticini. Al primo
piano tre sole stanze servivano per il “trattenimento” del re. La struttura ha
subito nel corso del tempo diverse trasformazioni. Le sale destinate un tempo
ad accogliere derrate alimentari, oggi ospitano il Centro di Educazione
Ambientale Provinciale. L’ala est del piano terra che accoglieva, invece, l’abitazione del "vaccaro" e gli ambienti destinati alla lavorazione
dei latticini, ospita un piccolo museo WWF ed il Centro Recupero Animali
Selvatici.
La costruzione del Casino Reale di San Silvestro
ebbe inizio negli anni novanta del Settecento e fu completata nel 1801, su
disegni del Giovanni Patturelli, collaboratore di Francesco Collecini
(1723-1804). Circondato da vigneti e giardini, il Casino si sviluppa intorno ad
una corte rettangolare, priva del lato verso mezzogiorno. Comprendeva dodici
vani al pianterreno, sei destinati alla cantina ed alla vinificazione e sei ad
uso di stalle, pollai ed ambienti destinati alla produzione di latticini. Al
primo piano tre sole stanze servivano per il “trattenimento” del re.La descrizione risalente al 1820 ..In una amena collinetta, che forma parte di
Montebriano e precisamente nel tenimento denominato Parito, evvi la fabbrica
del Casinetto denominato di S. Silvestro. Questo fabbricato abbraccia tre lati
di un rettangolo, e il quarto lato, che guarda a mezzogiorno è scoverto e
sporge su i pensili giardini che gli sono annessi.La sua posizione è veramente gaja per lo
contrapposto de’ monti, che lo circondano e meritatamente è stato uno de’ siti
prediletti del Re Ferdinando da lui destinato per semplice ricreazione.Fu terminato al principio del secolo corrente.
Tre sole stanze formano il piano superiore, una grande ad uso di galleria nel
mezzo, che sorge sull’androne, e due picciole laterali, e tutto il resto del
Casamento è formato del solo pianterreno diviso in dodici stanze tra grandi e
piccole.Sei di queste sono parte sulla dritta di chi
entra nel portone oltre la scaletta per ascendere alle stanze superiori, ove’
un passaggio, la cucina Reale, il Real
Riposto, lo spazioso cellajo(?) fornito di calpestatojo di fabbrica per le
uve, tinacci, torchio e sottoposta ampia cantina, stanza per riporre le derrate
e stanza di trattenimento.Altre sei poi si trovano alla sinistra di chi
entra nello stesso portone, cioè stanza e cucina per abitazione del Vaccaro,
altra simile per riporre e conservare i latticinj con corredo di fontana ad acqua perenne, stanza per manipolare il latte, e due stalle una contigua
all’altra per tenere le vacche ed i vitelli.La capienza di queste stalle è per quattordici
animali.Lungo il lato occidentale di questo Real
fabbricato si sono costrutti parecchi piccoli locali, onde poter tenere majali,
galline, legna ed altro.Nella estremità di questo lato evvi una vasca,
nella quale scorrono le copiose e saluberissime acque, che per mezzo di un
lungo acquedotto vengono dalle sorgive dette di Giove e Fontanelle. Questa
fontana serve alla Vaccheria, ai giardini ed a tutte le Reali delizie di S.
Silvestro, e quindi le acque di avanzo vanno a percolare nell’acquedotto, che
riconduce alla cascata le acque di Belvedere.La struttura ha subito nel corso del tempo
diverse trasformazioni. Le sale destinate un tempo ad accogliere derrate
alimentari, oggi ospitano il Centro di Educazione Ambientale Provinciale. L’ala
est del piano terra che accoglieva, invece, l’abitazione del
"vaccaro" e gli ambienti destinati alla lavorazione dei latticini,
ospita un piccolo museo WWF ed il Centro Recupero Animali Selvatici.
La
fondazione del sito reale di Caserta (1752) si deve a Carlo III, re di Napoli
dal 1734, che acquista il contado dal conte Caetani e affida a Luigi Vanvitelli
il progetto e la realizzazione del vasto complesso: dimora reale e sue adiacenze.
Chiamato a reggere il trono di Spagna nel 1759, lascia al figlio Ferdinando IV,
che gli succede, il compito di portare a termine l’opera, ancora in fase di
costruzione. Nei reali domini è compresa l’area in cui sorge il casino del
Belvedere, un tempo dei principi di Caserta, e così denominato per la sua amena
posizione: a mezzogiorno, alle falde della collina di San Leucio, con vista
dall’alto del palazzo reale. Al nuovo sovrano, che completa ‘diligentemente’ la
reggia voluta dal padre, si deve interamente l’ideazione e la creazione della
Colonia di San Leucio. Qui dispone, a cominciare dal 1776, della manifattura
delle sete, delle strutture destinate a accogliere l’industria e i residenti;
nel 1789 detta le leggi che regolano la vita e il lavoro degli operai e dei loro
nuclei familiari. Il re progetta, in aggiunta, di costruire a sud del casino
del Belvedere, fuori dal recinto di San Leucio, una nuova città,
Ferdinandopoli, ma le vicende della Rivoluzione napoletana del 1799 faranno del
tutto svanire il progetto.
«Un luogo ameno e separato dal rumore della Corte» «Le delizie di Caserta e la
magnifica abitazione» creata dal padre – sostiene Ferdinando – non consentono
la meditazione e il riposo e costringono, ancorché in mezzo alla campagna, agli
stessi rituali cittadini di lusso e magnificenza. Nasce da un’esigenza di
solitudine e di svago – la caccia – la scelta del rifugio nel bosco di San
Leucio, con una prima aggregazione di abitanti, al servizio del re, che
costruisce il casino, dove risiede d’inverno e abbellisce e ristruttura la
tenuta. Quando, morto il figlio primogenito, il re decide di non abitare più in
quel sito, i ‘leuciani’ sono ormai 134 e, ove abbandonati, soprattutto ipiù
giovani, sono destinati alla disoccupazione e a diventare, privi di educazione,
«scostumati e malviventi». Ver l’utile dello stato e delle famiglie,
l’illuminato sovrano ‘escogita’ la manifattura delle sete, e detta le regole
della comunità, che provvede di case, scuole, parrocchia e sacerdoti: diritti e
doveri, modalità di assunzione per gli abitanti e «per gli artisti esteri»,
pene contro itrasgressori, orario.
Non essendo certamente l’ultimo de’ miei desiderj quello di ritrovare un luogo
ameno, e separato dal rumore della Corte, in cui avessi potuto impiegare con
profitto quelle poche ore di ozio, che mi concedono da volta in volta le cure
più serie del mio Stato; le delizie di Caserta, e la magnifica abitazione
incominciata dal mio augusto Padre, e proseguita da Me, non traevano seco
coli’allontanamento dalla Città anch’il silenzio, e la solitudine, atta alla
meditazione ed al riposo dello spirito; ma formavano un’altra Città in mezzo
alla Campagna, colle istesse idee del lusso, e della magnificenza della
Capitale. Pensai dunque nella Villa medesima di scegliere un luogo più separato,
che fosse quasi un romitorio, e trovai il più opportuno essere il sito di S.
Leucio. Avendo pertanto nell’anno 1773 fatto murare il Bosco, nel recinto del
quale eravi la vigna, e l’antico Casino de’ Principi di Caserta, chiamato di
Belvedere; in un’eminenza feci fabbricare un piccolissimo Casino per mio comodo
nel Tandarvi a caccia. Feci anche accomodare un’antica, e mezzo diruta Casetta,
ed altra nuova costruire. Vi posi cinque, o sei Individui per la custodia del
Bosco, e per aver cura del sopradetto Casinetto, delle vigne, piantagioni, e
territorj in esso recinto incorporati. Tutti questi tali colle loro famiglie
furon da Me situati nelle sopradette due Casette, e nell’antico Casino di
Belvedere, che fec’indi riattare. Nell’anno 1776 il Salone di detto antico
Casino fu ridotto a Chiesa, eretta in Parrocchia per quegli Abitanti
accresciuti al numero di altre famiglie dicciassette, per cui mi convenne
ampliare le abitazioni, come feci anche della mia.
Ampliato che fu il Casino, incominciai ad andarci ad abitare, e passarci
l’Inverno: ma avendo avuto la disgrazia di perdere il mio Primogenito, e per
questa cagione più non andandoci ad abitare, stimai di quell’abitazione farne
altro più utile uso. Gli Abitanti sopracitati, con altre quattordici famiglie
aggregateci, giunti essendo al nume¬ro di 134, attesa la favorevole
prolificazione prodotta dalla bontà dell’aria, e dalla tranquillità e pace
domestica, in cui viveano; e temendo, che tanti fanciulli e fanciulle, che
aumentavansi alla giornata, per mancanza di educazione non divenissero un
giorno, e formassero una pericolosa società di scostumati, e malviventi, pensai
di stabilire una Casa di educazione pe’ figliuoli dell’uno, e dell’altro sesso,
servendomi, per collocarveli, del mio Casino; ed incominciai a formarne le
regole, ed a ricercar de’ soggetti abili ed idonei per tutti gl’impieghi a
tal’uopo necessarj.
Dopo di aver messo quasi tutto all’ordine, riflettei, che tutte le pene, che mi
sarei dato, e tutte le spese, che vi avrei erogato, sarebbero state inutili;
poiché tutta questa gioventù benché ben educata, giunt’ad un’età tale d’aver
terminati tutti quegli studj alla di lor condizione adattati, sarebbe rimasta
senza far nulla; o almeno applicar volendosi a qualche mestiere, avrebbe
dovut’altrove portarsi, per ricercarsi sostentamento; non essendomi possibile
di situarne, che pochi al mio servizio nel luogo. Ed in quel caso, come
sommamente sensibile sarebbe stato alle rispettive famiglie il separarsene;
così anch’Io provato avrei una gran pena di vedermi privato di tanta bella gioventù,
che come miei propri figli avea riguardato sempre, ed aveva con tanta pena
cresciuti. Rivolsi dunque altrove le mie mire, e pensai di ridurre quella
Popolazione, che sempre più aumenta, utile allo Stato, utile alle famiglie, ed
utile finalmente ad ogn’individuo di esse in particolare: e rendendo in tal
maniera felici e contenti tanti poveretti, che per altro fin’ al giorno di oggi
essendo vivuti nel santo timore di Dio, ed in ottima armonia e quiete fra di essi,
non mi hanno dato menomo motivo di lagnamene, godere Io di questa soddisfazione
in mezzo di essi, e delle loro benedizioni, in que’ momenti, che le altre mie
cure più interessanti mi permettono di prendere qualche sollievo. Utile allo
Stato, introducendo una manifatturia di sete grezze, e lavorate di diverse
specie fin ora qui poco, o malamente conosciute, procurando di ridurl’alla
miglior perfezione possibile, e tale da poter col tempo servir di modello ad
altre più grandi.
Utile alle famiglie, alleviandole da’ pesi, che ora soffrono, e portandole ad
uno stato da potersi mantener con agio, e senza pianger miserie, come fin ora è
accaduto in molte delle più numerose ed oziose, togliendosi loro ogni motivo di
lusso coli’uguaglianza, e semplicità di vestire; e dandosi a’ loro figli fin
dalla fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi, e per tutta la
famiglia, del pane, da potersi mantenere con comodo, e polizia.
Utile finalmente ad ogn’individuo in particolare, perché dalla nascita ben
educati da’ loro Genitori; istruiti in appresso nelle Scuole normali, già da
qualche tempo con profitto introdotte; ed in ultimo animati al travaglio
dall’esempio de’ loro compagni e fratelli, e dal lecco del lucro, che quelli ne
percepiscono, si ci avvezzeranno, e talmente si ci affezione-ranno, che
fuggiranno l’ozio padre di tutti i vizj, da’ quali infallibilmente ne sarebbero
nati mille sconcerti, lasciando inoperosa tanta gioventù, che ora siam sicuri
di evitare, perché giunti di mano in mano questi bravi, e belli giovinetti, e
fanciulle all’età adulta e propria, venendosi ad accoppiare, aumenterà sempre
più questa sana, e robusta Popolazione, composta al giorno di oggi di 214
individui. Oltre i Padri, e le Madri di famiglia, che travagliano, sono già
impiegati nelle manifatture molti figliuoli dell’uno, e dell’altro sesso, ed in
una famiglia, che ne ha alcuni grandi, bastantemente buoni artefici, il loro
lucro giornale va da 10 a 12 carlini.
Ora si è ingrandita la Casa di Belvedere per riunirvi tutto il lavorio, e le
manifatture, ch’erano disperse nelle diverse abitazioni, e per fare, che tutta
quella Gioventù sia riunita
sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco, e degli altri non men degni
Sacerdoti, che c’invigilano. Si stanno anch’edificando delle nuove Case per
comodo di que’ giovani, che vadano giungendo all’età di potersi unire in
matrimonio, e per quegli Artefici forestieri, che si fissino nel luogo. Di
questi ve ne sono alcuni fissati, ed altri, che fanno il noviziato, non essendo
che poco tempo, che son venuti.
Lo stato presente delle cose giunto essendo ad un tal termine, ed avendosi
riguardo all’avvenire, sembrami richiedere, che questa nascente Popolazione,
che in pochi anni può divenire ben numerosa, riceva una norma, per sapere i
retti sentieri, su de’ quali possa diriggere i suoi passi con sicurezza; e nel
tempo stesso sia in istato di conoscere la sua felice situazione; e questa da
qual fonte derivi. Questa norma, e queste leggi da osservarsi dagli Abitanti j
di S. Leucio, che da ora innanzi considerar si debbono, come una medesima
famiglia, son quelle, che Io qui propongo, e distendo, più in forma
d’istruzione di un Padre a’ auoi Figli, che come comandi di un Legislatore a’
suoi Sudditi. Procurerò, che siano ristrette, ed adattate, per quanto più si
può, allo stato presente, ed alle attuali circostanze di questa piccola
nascente Popolazione, per cui son fatte. Se questa, crescendo, avrà bisogno di
nuovi regolamenti, o se l’esperienza ne indicherà degli altri non preveduti, e
necessari, mi riserbo di darli; cercando per altro di non allontanarmi da’
principi fondamentali della presente istruzione.
Nessun uomo, nessuna famiglia, nessuna Città, nessun Regno può sussistere, e
prosperare senza il timor santo di Dio. Dunque la principal cosa, ch’Io impongo
a Voi, è l’esatta osservanza della sua santissima Legge. Due sono i principali
precetti della medesima. I. Amar Dio sopra ogni cosa. IL Amar il Prossimo suo,
come se medesimo.
Amar Dio sopra ogni cosa è amarlo con tutt’il cuore, con tutta la mente, con
tutta l’anima, con tutte le forze: è anteporlo a tutte le Creature; ed amarlo
più di tutte le cose a noi più care. Nasce in Noi quest’obbligo dal gran bene,
che ci ha fatto, e che ci fa in ogni istante. Egli ci ha creati dal nulla. Egli
ci ha redenti col suo preziosissimo Sangue. Egli ci mantiene. Egli ci da quanto
ci occorre. L’aria, il cibo, la luce, la salute, i figli, tutto ci vien da Lui.
Obbligo dunque di tutti è adorarlo, e venerarlo, com’Ente supremo, ed autor di
tutte le cose: di ubbidirlo, come Sovrano Signore, e Padrone: di temerlo come
Giudice giusto, a cui nulla è nascosto: di ricorrere a lui ne’ bisogni, e di
esercitar verso di Lui gli atti di vero culto, e vera devozione. Tutte le
mattine perciò al far del giorno corra ciascuno al Tempio ad odorarlo: Si
reciti in coro la preghiera; ed ogn’uno in particolare gli offra in olocausto
nel S. Sacrifizio della Messa, che ivi si celebrerà, tutti gli atti del suo
cuore e della sua mente. Pass’indi alla fabbrica, od in casa; ed attenda nel
suo Santo Nome al proprio dovere. Le sere, al tramontar del sole, quando tutti
saranno sciolti dal lavoro, si tomi nuovamente in Chiesa alla visita del SS.
Sacramento, ed a Lui si rendan tributi di onore, e di gloria pe’ benefizi
ricevuti, recitandosi anche in coro l’altra preghiera. Osservi ciascuno i
precetti della Chiesa: e frequenti i Santissimi Sacramenti; ed a quest’effetto
il Parroco, e gli altri Sacerdoti assistano con assiduita in Chiesa per como¬do
di tutti, particolarmente ne’ dì festivi. Amar il Prossimo suo, come se
medesimo, è non far agli altri quello, che non vorremmo, che fosse a Noi fatto:
ed è fare agli altri, quello che vorremmo, che a Noi si facesse. Da questo
dettato della Divina Sapienza nascon varj doveri, de’ quali alcuni diconsi
negativi, altri positivi.
Capitolo
I
Doveri negativi
I Doveri negativi son quelli, che impongono l’obbligo di astenersi
dall’offender alcuno in qualunque maniera. Or in tre maniere si può offendere
alcuno. Si può offendere nella persona, nella roba, e nell’onore.
I. Non si può offendere alcuno nella persona.
Si offende alcuno nella Persona o coll’ammazzarlo, o col ferirlo, o col
batterlo, o col fargli scherni, dispetti, insolenze, ovvero col molestarlo ed
inquietarlo in qualunque modo. Nessuno di questi atti ardirà mai alcun di voi
di commettere contra il suo simile; siccome non ardirà mai neppur l’offeso di
prender da sé la privata vendetta: ma ricorrerà a’ suoi Superiori per la dovuta
giustizia; e credendo non averla da quelli ottenuta, potrà anche di poi venire da
Me. Vegliano contri tutti questi delitti attentamente le Leggi: ma tanto più
vegleranno esse contra quelli, che mai si commettessero in questa Società, che
ha per suo principal fine l’amore, e la carità, e che l’esempio dev’essere
della pubblica educazione.
II. Non si può offendere alcuno nella roba.
Si offende alcuno nella roba, ogni qualvolta o con violenze, o con inganno si
usurpa, o si ritiene ingiustamente quello, ch’è d’altrui. Il titol di ladro è
il titol più infame e vergognoso che poss’aver l’uomo. Ciascuno dunque si
guardi bene di meritarlo per alcun modo. In ogni Società i ladri son condannati
ad atrocissime pene. In questa, dove l’onore, e la virtù sono i principali
cardini della medesima, se mai ve ne fossero (che non è neppur da dubitarsi) saranno
più rigorosamente puniti. Nelle compre perciò, nelle vendite, nelle
permutazioni, ed in ogni altra specie di contratti ogn’uno si guardi di usar
soperchieria, ed inganno. Nessun venditore abusi dell’imperizia del compratore
col chiedere un prezzo maggiore del dovere: e nessun compratore si valga mai
dell’ignoranza, o della necessità, in cui è tal volta il venditore, per
levargli quel giusto prezzo, che gli spetta. Vadan bandite la mensogna, le
frodi, e le fallacie nelle misure, ne pesi, nella qualità delle robe, che si
venderanno, o compreranno, nella qualità del danaro, ed in tutt’altro, in cui
la versuzia, e l’inganno possa usarsi; e si proceda in tutto con candore,
onestà, e buona fede. Sia la parola il vincolo più sacro della Società; e tutti
sian fedelissimi, e sinceri ne’ detti, e ne’ fatti. Chi ha fedelmente servito,
sia prontamente pagato; né alcuno gli neghi o ritardi la mercede dovuta a ciò
non sia causa della sua mina. In somma erigga ogn’uno nel suo cuore l’altare
della giustizia; e tratti col suo simile, come vorrebbe, che questi trattasse
con sé.
III Non si può offendere alcuno nella riputazione.
La riputazione è la cosa più importante e più preziosa, che possa aver l’uomo
d’onore; e talvolta togliere altrui la riputazione è peggior delitto, che
offenderlo nella roba, e nella persona. Nessun quindi dirà mai cose false
contra di alcuno; e chi caderà in questo delitto, vada immediatamente bandito
da questa Società. Nessuno dirà ingiurie, e villanie ad altri. Nessuno metterà
in ridicolo, ed in beffa il suo fratello; essendo tutte queste cose contrarie a
quello spirito di carità, e di amore che Dio comanda, e che Io voglio, per ben
della pace, del buon ordine, e della tranquillità delle vostre famiglie, da voi
esattamente praticato.
Capitolo II Doveri positivi
I Doveri positivi impongono di fare a tutt’il maggior bene che si possa. Questi
sono o generali, o particolari. I generali riflettono sopra tutt’i nostri
simili. I particolari riguardano un Ceto particolare di persone, come sarebbe il
Sovrano, i suoi Ministri, i Superiori, gli Ecclesiastici, gli Sposi, i
Genitori, i Figli, i Fratelli, i Benefattori, i Maggiori di età, i Giovini e la
Patria.
Doveri generali
I. Ogn’uno deve far bene al suo simile, ancorché sia suo nemico.
A ciascun de’ i nostri simili Noi dobbiam far sempre il maggior bene, che si
possa. Dio comanda, che si faccia per amor suo finanche a’ nimici. La più bella
vendetta è quella di far bene a colui, che ci offese; ed il più bel piacere è
quello di imperare per mezzo delle beneficenze sopra colui, che ci disprezzò.
Soccorrerlo nelle avversità, ed aiutarlo ne’ bisogni è mostrare a tutti gli
uomini la più sublime grandezza di cuore e di generosità. Ogni uomo in tutti
gli stati può far del bene al suo simile. Il Savio, il Ricco, l’Agricoltore,
l’Artista, quando impiegano i loro talenti, le loro ricchezze, le loro fatiche
a prò’ de’ Cittadini, possono ben vantarsi di essere i Benefattori
dell’Umanità. Ogni volta dunque, che si presenti a voi l’occasion di giovare ad
altri, ciascuno l’abbracci; né mai si spaventi di qualche incomodo che seco
porti questa generosa azione; poiché sarà sempre ben compensato da quel dolce e
puro piacere, che l’accompagna. Questo sovrano precetto di Dio è fondato sopra
quella perfetta uguaglianza, che gli piacque stabilire fra gli uomini. Egli li
costituì in natura tutti fratelli, e dispose, che nessuno imperasse sopra di
loro, fuor di Lui, o di Coloro, a’ quali egli affidasse il governo ‘de’ Popoli.
Per sua mercé Egli ha dato a Me il grave peso di governare questi Regni: ed Io
nel dar a voi questa legge non intendo far altro, che seguire i suoi eterni
consigli. Sin da prima, che Io concepii il bel disegno di unirvi in società in
questo luogo, pensai ancora, di crearvi tutti Artieri, e darvi la maniera di
divenirne famosi. La felicità di questi Reami mi fece concepir questa idea.
Vedendo, che i tre Regni della Natura, cioè il vegetabile, l’animale, ed il
minerale qui per singoiar dono della Provvidenza tengono la propria lor sede, e
che solo manca in essi, chi a’ naturali prodotti de’ luoghi dia le nuove forme,
mi risolsi nell’animo di pome ad effetto l’intrapresa. Già son pronte in buona
parte le macchine, e gli ordigni corrispondenti al disegno. Solo resta, che per
voi ci sia una fissa legislazione, che suggerisca la norma della condotta della
vita, e che prescriva gli stabilimenti necessari all’arti introdotte e da
introdursi.
Il- II solo merito forma distinzione tra gl’Individui di San- Leucio. Perfetta
uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso.
Essendo voi tutti Artisti, la legge che Io vi impongo, è quella di una perfetta
uguaglianza. So, che ogni uomo è portato a distinguersi dagli altri; e che
questa uguaglianza sembra non potersi sperare in tempi così contrari alla
semplicità ed alla natura. Ma so pure, che vana e dannevol’è quella
distinzione, che procede dal lusso, e dal fasto; e che la vera distinzione sia
quella, che deriva dal merito. La virtù, e l’eccellenza nell’arte, che si
esercita, debbon essere la caratteristica dell’onore, e della singolarità; e
questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. Nessun di voi
pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrasegni di distinzione,
se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto
per evitar la gara nel lusso, e ‘1 dispendio in questo ramo quanto inutile,
altrettanto dannoso, comando, che ‘1 vestire sia uguale in tutti: che estrema
sia la nettezza, e la polizia sopra le vostre persone, acciò possa aversi
quella decenza, che si richiede per rispetto, e venerazione dovuta a Chi si
degna portarsi a vedere i vostri lavori: che questa polizia sia anche esattamente
osservata nelle vostre case, acciò possa godersi & quella perfetta sanità,
ch’è tanto necessaria nelle persone, che vivono con l’industria delle braccia.
Di voi nessuno ancora ardirà mai chiamarsi col Don, essendo questo un
distintivo dovuto soltanto a’ Ministri del Santuario in segno di rispetto, e di
venerazione.
Doveri particolari I. Doveri verso il Sovrano.
Dopo Dio devesi a’ Sovrani, come dati agli uomini da Dio, la riverenza, la
fedeltà, l’ossequio. Le funzioni sublimi, ch’essi esercitano, gli fan dividere
colla Divinità questa venerazione. La loro persona dee rispettarsi, come sacra;
e tutti gli ordini, che vengon da loro, debbon ciecamente eseguirsi e
prontamente osservarsi.
II Doveri verso i Ministri.
Sono i Ministri tutt’imagini de’ Sovrani. Ogni posto, che da essi si occupa, si
occupa per loro. Per Loro essi comandano; per Loro vegliano alla custodia, ed all’osservanza
delle leggi. Per amor di Loro voi dunque dovete ad essi tutti quegli atti di
rispetto, e di ubbidienza, che l’autorità pubblica esige.
III. De’ Matrimoni.
La donna fu concessa da Dio all’uomo per sua ragionevol compagna. Dall’unione
di entrambi nacque la propagazione, e conservazione dell’uman genere; e dalla
moltiplicazione de’ matrimoni ebbero origine, e tuttavia fiorisco¬no le
Società, e gl’Imperi. Perché dunque anche questa Popolazione prosperi, ed
aumenti sotto la benedizione dell’Altissimo, vi voglion de’ matrimoni, la
celebrazione de’ quali per voi Io sottopongo alle seguenti leggi. I. L’età del
giovane non dovrà esser meno di 20 anni; e quella della fanciulla di 16. Ed in
queste circostanze né anche sia loro permesso di contrarre gli sponsali, fino
che dal Direttore de’ Mestieri per lo giovane, e dalla Direttrice per la
fanciulla, non vengano con attestato dichiarati provetti nell’arte, a segno di
potersi lucrar con sicurezza il mantenimento; ed allora in premio della lor
buona riuscita si concederà da Me ad esse una delle nuove case, che ho
espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario pe’ comodi della
vita, e i due mestieri, co quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento.
Quando un giovine giunto all’età stabilita, avrà inclinazione per una giovane,
che sia anche dell’età prescritta ed abbiamo ambedue appreso le rispettive
arti, dovrà subito dame parte a’ suoi genitori, i quali n’avvertiranno quelli
dell’altra parte per loro intelligenza, e perché di comun consenso badino sulla
condotta de’ figliuoli, a ciò tutto vada con decenza, ed acciocché non accada
inconveniente alcuno; potendo ben dars’il caso, che su di una medesima persone
più di uno pretenda. III. Nella scelta non si mischino punto i Genitori, ma sia
libera de’ giovini, da confermarsi nella seguente maniera, Nel giorno di
Pentecoste nella Messa solenne, in cui interverranno tutti gli abitanti del
Luogo, e le fanciulle, edì giovini esteri, che travagliano nelle manifatture,
da due fanciullini dell’uno, e dell’altro sesso si porteranno all’Altare per
benedirsi da chi celebra, due canestri pieni di mazzetti di rose, bianche, per
gli uomini, e di colo; naturale per le donne; e nel terminar questa funzione à
ciascun individuo se ne prenderà uno, come le palme Nell’uscir poi dalla
Chiesa, i Pretendenti nell’atrio di essi dov’è il Battisterio, presenteranno il
loro mazzetto é ragazza pretesa; e questa accettandolo, lo contracambiei’ col
suo; ma escludendolo, con polizia, e buona maniera lido restituirà; e né all’uno,
né all’altra sarà permesso contestazione alcuna; e perciò i primi ad uscir di
Chiesa, e situarsi nel sopradetto atrio saranno i Seniori del Popolo per
imporre loro la dovuta soggezione. Coloro, che contra-cambiato si saranno il
mazzetto, lo porteranno.in petto sino alla sera; quando dopo della S.
Benedizione accompagnati da’ rispettivi Genitori si porteranno dal Parroco, che
registrerà i nomi, e la parola. Dopo questa funzione sarà permesso farsi
quant’altro incumbe a norma del Concilio di Trento, e di ogni altro requisito
della legge, in Chiesa, in cui interverranno i Seniori del Popolo, e i
Direttori, e le Direttrici dell’arti, non solo per solennizzare con quella
pompa, che si richiede, questo gran Sacramento, ma per contestare agli
Abitanti, che gli Sposi meritano la stima di tutti per la bontà del loro
costume, e per essersi coU’arte, che già hann’appresa, resi utili a loro, alle
famiglie, allo Stato, e che per tutt’il tempo deUa loro vita non vivranno mai a
peso di alcuno.
IV. Essendo lo scopo di questa Società che tutti rimangon nel luogo; quindi per
impegnarli a restare, alle figliuole,
ch’abbian imparata l’arte, e voglion maritarsi fuori, non sarà dato altro, che
soli docati 50 per una volta tantum e dal momento saran considerate com’estere,
senza speranza di mai più potervi tornare.
V. Quando un giovine abitante, o artefice vorrà prender in moglie una estera,
non potrà farlo, se prima tal giovane che egli vuoi sposare, non abbia appreso
il mestiere in questa, o in altra manifatturia.
VI. E se assolutamente voglia prender in moglie una estera, che non abbia arte
in mano, dal momento uscir debba dal luogo, di dove non sarà più considerato
come Individuo, e senza speranza di potervi più ritornare.
VII. Que’ giovini dell’uno, e dell’altro sesso, che giunti sieno all’età di 16
anni senza essers’impiegati nelle manifatture per mancanza di volontà, saranno
mandati in Casa di correzione, col divieto di non poter mai più tornare nel
luogo.
E coloro, che impiegaticisi non abbian nulla appreso per mancanza di
applicazione, saranno mandati in Casa di educazione, col divieto di non poter
tornare nelle lot
case, se non istrutti.
VIII. Essendo lo spirito, e l’anima di questa Società l’eguaglianza tra
gl’Individui, che la compongono, abolisco tra’ medesimi le Doti, e dichiaro,
che ciocché da Me sarà per beneficenza somministrato, come di sopra si è detto,
in occasione di matrimoni, sarà solo per premio della buona riuscita, che gli
sposi avranno fatta nell’arte, e nel buon costume: beneficenza, che a loro accorderò
col divino aiuto sino alla quarta generazione, dopo di che la donna porterà il
solo necessario corredo; dovendo aver dopo la morte de’ Genitori, la parte
eguale co’ maschi, com’in appresso sarà prescritto.
IV. Degli Sposi.
Capo di questa Società coniugale è l’uomo. Natura gli deferì questo dritto: ma
gli proibì nel tempo stesso di opprimere e di maltrattare la sua moglie. Con
tuono di maestà in ogni occasione gl’intima l’obbligo di amarla, di difenderla,
e di garantirla da’ pericoli, a’ quali la sua debolezza la porterebbe. Il
marito deve alla moglie la protezione, la vigilanza, la previdenza, gli
alimenti, e le fatiche più penose della vita. La moglie deve al marito la
giusta preferenza, la tenera amicizia e la cura sollecita per cimentare da più
in più la cara unione. Impone ad essi natura questi sacri precetti non solo per
ispirare sul di loro esempio ad ogni altro Individuo i sentimenti della
Società, ma perché divenendo Genitori, non sien i figli infelici, e negletti
tra le dissenzioni, e le discordie domestiche; ed in luogo di presentare
Cittadini buoni, ed utili alla Patra, gli dian discoli, e perversi. Or per
seguire questo gran disegno della natura, sempre savia nelle sue operazioni. Io
prescrivo, e comando ad ogni marito di questa Società di non tiranneggiar mai
la sua moglie, né di esser-e ln8iusto, togliendole quella ricompensa che sia
dovuta alla di lei virtù: ad ogni moglie, che rendasi cara al suo marito; che
nelle cure, e ne’ travagli sia la sua fedele com pagna; e che l’onore richiami
sul comun letto maritale le celesti benedizioni.
V. De’ Padri di Famiglia.
È il principal fine del matrimonio la procreazione della Prole. Divenuti gli
sposi Genitori de’ figli, eccoli sottoposti ad altri più pesanti doveri, ed a
più precise obbligazioni. Il Padre è nelTobbligo di sovvenire, di assistere, di
sostenere insiem colla madre i propri figli. Entrambi son tenuti di educarli, e
di procurar loro uno stato di felicità in questo Mondo. Per le loro o della
loro compiacenza e contentezza, o del loro continuo rammarico. Per le loro o
sollecite o trascurate cure diverrann’essi l’oggetto o della loro compiacenza e
contentezza, o del loro continuo rammarico. Per loro saranno membri utili, o
disutili della Società; buoni, o viziosi; onorati, o infami; comodi, o
bisognosi. A voi dunque, che già Padri siete, o a cui toccherà in sorte di
esserlo, a voi comando di educar bene i vostri figliuoli. Se voi ispirerete a
tempo l’amor della fatica, essi saranno utili a se, a voi, alla Patria. Se la
modestia, e la sobrietà, non avrann’occasione di vergognarsi. Se la gratitudine
e la carità, otterranno benefìzi, e si guadagneranno l’amore di tutti Se la
temperanza, e la prudenza, saranno sani, e fortunati. Se la giustizia e la
sincerità, sarann’onorati, e non sentiranno rimorsi nel cuore. Se finalmente la
religione, essi vivranno, e moriranno contenti. Questo è di tutt’i doveri
l’articolo più importante; e perché scorgo che da esso deriva non solo la pace,
e 1 ben essere delle famiglie, ma benanche la prosperità, e la felicità dello
Stato, Io sono entrato a prendervi la principal parte.
VI. Leggi per la buona educazione de’ Figli. Già è situata in Belvedere la
Scuola normale, in cui s’insegna a’ fanciulli, ed alle fanciulle sin dall’età
di anni 6 il leggere, lo scrivere, l’abbaco; il catechismo della Religione; i
doveri verso Dio, verso sé, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato;
le regole della civiltà, della decenza, e della polizia; i catechismi di tutte
le arti; 1 economia domestica; il buon uso del tempo, e quant’al-tro si “chiede
per divenir uom dabbene, ed ottimo Cittadino. Obbligo vostro sarà che tutt’i
vostri figli dell’età prescritta vadan nelle date ore del giorno alla scuola
Per renderli ancora utili a voi, allo Stato, e ad esso loro e per non farli
andare altrove a cercar la maniera d’impiegarsi, ho provveduto questo luogo di
macchine, d’istrumenti, e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette
manifatture e vi s’introdurranno ancora tutte quelle altre arti, che
hann’immediato rapporto coll’introdotte, ad oggetto di aversi quell’insieme,
che indispensabilmente vi si richiede per l’economia e per la perfezione. Vi
saranno stabilimenti particolari pel buon ordine, e sistema delle manifatture,
ne’ quali sarà fissato l’orario del lavoro secondo i dati mesi dell’anno. I
prezzi del lavoro d’ogni manifattura saranno fissi; ma il giovine, o la
fanciulla apprendente salirà per gradi, e come anderà perfezionandosi
nell’arte, sino al prezzo, che godesi da’ migliori artisti, nazionali e
forestieri. Pervenuti a questo stato, se avran talento da portare la di loro
opera ad un altro grado di maggior bellezza, e perfezione, si terran de
concorsi; e quello, o quella, di cui il lavoro sarà più bello, più esatto, e
più perfetto, avrà per premio il distintivo o una medaglia d’argento, ed in
qualche caso anche d’oro, che potrà portare in petto; ed in Chiesa avrà la
privativa di sedere per ordine di anzianità nel Banco, che sarà chiamato «del
merito», che sarà situato unicamente per i giovani di tal fatta alla parte
sinistra dell’Altare. Le cognizioni perfette della Divinità, la scienza di
tutte le sociali virtù, l’amore e la continua applicazione al lavoro, il
desiderio di distinguersi per via di merito, il giusto compenso che troveranno
nella fatica, mi fanno sperare, che un giorno possan divenire gli oggetti della
mia compiacenza, come della vostra tenerezza; e possan giustamente ereditare da
voi tutto quello, che voi colli vostri sudori vi avete onoratamente
procacciato. Ed in questo ancora voglio, che siate distinti da tutto il resto
de’ miei popoli.
VII. Leggi di successione.
Voglio, e comando, che tra voi non vi sian testamenti, né veruna di quelle
legali conseguenze, che da essi provengono. La sola giustizia naturale, e la
natural’equità sia la face, e la guida di tutte le vostre operazioni. I figli
succedano a’ Genitori, e i Genitori a’ Figli. Abbian luogo i collaterali, ma
nel solo primo grado. In mancanza di questi succede la moglie, ma nel solo
usufrutto, e fino a che manterrà la vedovanza. Dopo la di lei morte, e sempre
nel caso di mancanza di tutti li sopradetti eredi, sian i beni del defunto del
Monte degli orfani, delle cui rendite si forma una Cassa, che chiamerassi degli
Orfani da amministrarsi per ora dal Parroco, che sarà obbligato di dame a Me
conto.
Se poi mancan degli orfani di padre, e di madre, i quali non sien ancora in
istato di lucrarsi colle proprie fatiche il cotidiano alimento, mia sarà la
cura di mantenerli e farli educare col prodotto della sopradetta Cassa, e col
di più, che vi necessiti.
Abbian i figli porzion eguale nella successione degli ascendenti; né mai resti
escluso la femina dalla paterna eredità, ancorché vi sian de’ maschi.
VIII. De’ figli di famiglia.
Impressi dall’Altissimo fin da’ primi momenti della creazione ne’ cuori de’
Genitori i sentimenti di sì sviscerato amore verso de’ figli, era senz’altro
della sua Divina giustizia prescriverne a’ medesimi il gran precetto di
onorarli Tante pene, tanti sudori, tanti affanni meritavano certamente un
onorato compenso. Io che le veci di Dio sopra di voi sostengo, sull’esempio del
suo tremendo comando, l’istesso precetto a voi rinnovo. Rispettate, o figli, i
vostri genitori: ricevete con umiltà i loro avvisi, e le loro correzioni
soffrite volentieri anche i castighi: ed emendazione de’ vostri vizj, e de’
vostri difetti: serviteli: soccorreteli: compiaceteli in ogni cosa: siate loro
grati, e non dimenticate neppur un momento i benefizj ricevuti: e soprattutto
astenetevi da ogni atto, che possa offenderli.
Questo il gran Dio vi precetta, e questo anch’Io comando. E se Dio maledice
que’ figli, che sono irrispettosi a’ padri, Io li bandisco per sempre da questa
Società, come mostri indegni di più stare nella medesima. Anzi perché in essa
non alligni razza di gente così inumana, condanno ali istessa pena colui, che
essendo stato presente l’ingiuria, non sia corso immediatamente a darne parte
a’ Seniori del Popolo, per passarne a Me prontamente l’avviso.
IX. De’ Fratelli.
L’amore è l’anima di questa Società. Dunque, voi, o fratelli, figli di un
istesso padre, e che il latte succhiaste di una madre istessa, amatevi con vero
amore; aiutatevi scambievolmente con vera premura: vivete fra di voi in
perfetta concordia; nessuno abbia invidia dell’altro, e soffochi all’istante
nel suo cuore que’ sentimenti di odio, e di vendetta, che mai concepito abbia
per qualche torto dall’altro ricevuto. L’offeso reclami l’autorità del padre,
se vive, ed alle determinazioni di questi placidamente si sottometta, e si
accheti. In mancanza poi del padre corra a’ Seniori del Popolo, e la pace da
loro implori. L’odio tra’ fratelli è la più brutta, la più perfida, la più
idegna, e scandalosa cosa, che possa vedersi sulla Terra.
X. De’ discepoli.
1 Maestri equivalgono a’ Genitori. Se i Genitori danno la vita, i Maestri danno
la maniera di sostenerla. Quegli obblighi dunque, che i figli hanno a’
Genitori, quelli stessi i discepoli hanno a’ Maestri. Ad essi debbono l’amore,
e a gratitudine: ad essi l’ubbidienza, ed il rispetto. La pratica per tanto di
tutti questi doveri alla grata riconoscenza di tutte le loro cure Io anche a
voi costantementmpongo.
XI. De’ Benefattori.
Se v’ha sulla Terra creatura, che possa in un ito modo gareggiare colla
Divinità, egli è senz’altro il hefattore. Deve a questo il beneficato il prezzo
del keficio in tutta la sua estensione.
Se, per esempio, un infelice vicino a perder liita per la fame, trova un’anima
benefica, che lo ristorigli deve al Benefattore la vita: se lo soccorre ad
uscire le miserie, a lui deve tutto quel comodo, che acquista: si> porta ad
esserre felice, a lui deve tutta la felicità. Gli dlighi dunque de’ beneficati
sono sempre assoluti: a nio di essi è lecito sconoscerlo senza la taccia
d’ingrato.! ingratitudine è un vizio così odioso, e detestabile, cheivolta
tutta l’umanità. Ogni uomo ha interesse ad odii l’ingrato, perché riconosce in
lui uno, che tende a scoiggiar l’anime benefiche, a bandir dal commercio
delirila la compassione, la bontà, la liberalità, e quel santtlesiderio di
giovare, che forma il modo più sacro della Sietà. Voi dunque, quanti siete in
questa Società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i
sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfate a tutt’i suoi desiderj:
non l’inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui
motivi di spandere sempre più sopra di voi le sue beneficenze, e di estenderle
sul vostro esempio sopra degli altri.
XII. De’ Giovani.
I vecchi, e tutt’i maggiori di età avendo meritato da Dio il dono di essere di
questo Mondo prima dei giovani, è quindi un dovere di questi venerarli, ed
ubbidirl’in tutte le cose lecite, ed oneste. Nessuno per conseguenza può
oltraggiarli: che anzi debbon tutti rispettare la loro venerando età, ed
ascoltare, e seguire i loro prudenti consigli. E se mai alcuno vi sarà tra voi,
che abbia il temerario ardire di usare loro poco rispetto, e poca venerazione,
il padre, o se questi manca, i Seniori del Popolo per la prima volta
l’ammoniranno seriamente: per la seconda volta faranno dal figlio chiedere
perdono in pubblica Chiesa al Vecchio offeso; e per la terza volta se ne
passerà a Me l’avviso per espellerlo dalla Società.
XIII. De’ Vecchi.
Dovere però de’ vecchi, e de’ padri di famiglia sarà sempre dar a’ giovani, ed
a’ figli il buon esempio non solo nell’esemplarità della vita, ma anche
nell’amor della fatica; poiché se essi saranno sobrj, religiosi, prudenti,
laboriosi, modesti, tali saranno i giovani, ed i figli; e così si avrà nella
Società quel fondo di virtù, che ardentemente desidero.
XIV. De’ Seniori del Popolo. Tempo di eligerli, e loro doveri. Tra questi,
comando, che in ogni anno nel giorno di San Leucio se ne scelgan cinque de’ più
savj, giusti, intesi, e prudenti, i quali senza strepito giudiziario col dolce
nome di Pacieri, e di Seniori del Popolo, di unita col Parroco, decidano tutte
le controversie civili, e d’arti senza appello: provvedano, e procurino, che
nella società non manchi nessuna delle cose di prima necessità; mentre
liberamente si permette a chiunque voglia di aprir Forni, Macelli, Cantine, ed
ogni altra bottega di comestibili, ma coll’obbligo di tener le provviste per
comodo della Società, dal principio fino alla fine dell’anno, e di vendere a
giusto prezzo i generi, e non maggiore dell’assisa di Caserta, senza frode, e
senz’inganno; e coll’obbligo speciale a’ venditori di vino di non far mai nelle
loro botteghe, o cantine giuocare a veruna sorta di giuoco, ancorché lecito, o
per ischerzo, sotto pena di essere immediatamente sfrattati dalla Società. Si
assicureranno di tutti questi articoli i Seniori suddetti con le debite
sicurtà; ed invigileranno sulla bontà de’ generi, e su tutt’altro, che convenga
col massimo rigore, e colla più religiosa esattezza. Sarà cura de’ sopradetti
Seniori ancora di invigilare rigidamente sul costume degli individui della
Società, sull’assidua applicazione al lavoro, e sull’esatto adempimento del
proprio dovere di ciascuno. E trovando, che in ess’alligni qualche scostumato,
qualche ozioso, o sfaticato, dopo averlo due volte seriamente ammonito, ne posseranno
a me l’avviso, acciò possa mandarsi o in casa di correzione, o espellersi dalla
Società, secondo le circostanze. Della proprietà, e nettezza delle abitazioni
sarà anche loro la cura, perché da tutti si osservi; prendendone specialmente
occasione nella visita degli infermi, che dovranno giornalmente fare, per darmi
distinto ragguaglio del numero di essi in unione del Medico, della qualità
delle malattie, e de’ soccorsi straordinari, di cui necessitassero.
Loro cura parimente sarà di dar’esatto conto de’ Forestieri che capitassero nel
luogo, e dovessero pernottarci; colla distinzione del motivo perché siano
venuti: in casa di chi rimangono, e per quanto tempo.
XV. Dell’inoculazione del Vaiuolo, e degli Infermi. Vi sarà perciò una Casa
separata totalmente dall’altre in luogo di aria buona, e ventilata, chiamata
dagl’Infermi. In questa ne’ debiti tempi di autunno, e di primavera d’ogni anno
si farà a tutt’i fanciulli e le fanciulle della Società, l’inoculazione del
Vaiuolo. In ess’ancora si trasporteranno tutti coloro, che saranno attaccati da
morbi contagiosi, tanto acuti, che cronici. Per questa Casa vi saranno i suoi
regolamenti particolari, riguardant’il buon governo non solo degl’infermi, ma
benanche l’economica amministrazione. Un Prete tra gli altri assisterà sempre
in
essa per comodo degl’infermi, ed ora l’uno, ora l’altro de’ Seniori del Popolo
tutte le mattine, e tutt’i giorni ne faranno la visita, per vedere, se tutt’è
in buon ordine, se vi è la massima polizia possibile, e se gl’infermi sono assistiti
tanto nello spirituale, che nel temporale colla massima esattezza, e
scrupolosità. I Medici, i medicamenti, le biancherie e quant’altro occorre pel
mantenimento del luogo, e degl’individui, tutto sarà sempre da Me somministrato.
XVI. Maniera di eligere li Seniori del Popolo. L’elezione de’ sopradetti
Seniori si farà, congregandosi tutti i Capi di famiglia dopo della Messa
solenne con tutto il rispetto, e con tutta la decenza nel salone del Belvedere,
per bussola segreta, ed a maggioranz de’ voti, sempre presidente il Parroco.
Dell’elezione se ne farà subito a Me rapporto per ottenere la confirma, ed in
virtù di essa potran godere dell’onorifica distinzione di sedere in Chiesa
nell’altro banco del merito, situato a fronte di quello de’ giovani dalla parte
destra dell’Altare.
XVII. Degli Artisti poveri. Della Cassa di carità, e suoi regolamenti.
Per effetto di quell’amore, ch’è l’anima di questa Società, e per quello
spirito di fratellanza, che a ciascuno di voi deve far riguardare questa Popolazione,
come una sola famiglia, giusto è ancora che se tra voi si trovi in Artista,
privo di moglie e di figli, o con questi, ma non in istato di lucrarsi il pane
per loro, e pel povero padre caduto in miseria o per vecchiaia, o per
infermità, o per altra fatai disgrazia, ma non mai per pigrizia, ovvero
infingardaggine; sia da tutti comunemente soccorso, acciò non si riducano nello
stato di andar mendicando, ch’è lo stato più infame, e detestabile, che sia
sulla terra. Perciò siavi tra voi una Cassa, che chiamerassi della Carità,
dalla qual sian codest’infelici comodamente soccorsi o per tutto il tempo della
vita, o fino a che non sian rimessi in istato di potersi lucrare il pane. Avrà
questa Cassa per fondo un rilascio di un tari al mese, che ogni manifatturiere,
che sia in istato di guadagnare più di due carlini al giorno, farà in beneficio
della medesima; e di quindeci grana al mese, per quelli che guadagnino meno di
due carlini al giorno. Sarà ess’amministrata dal Parroco, da’ Seniori, e da’
Direttori dell’arti, i quali rilasceranno in beneficio della sopradetta Cassa
quello, che più la pietà lor detti. Tutti daranno il voto nel caso di doversi
soccorrere qualche infelice. L’esazione si farà nel seguente modo. Tutti gli
Artisti di qualunque condizione siano, saran descritti in uno Stato. Questo si
affiggerà nell’atrio della Chiesa, dove ogni prima Domenica di mese, la
mattina, dopo un dato segno di campana, che si chiamerà la Carità, si troverà
il Parroco, sempre che possa (o chi egli destinerà degli altri Sacerdoti) a
ricevere da’ medesimi la somma prescritta, che farà notare da ciascuno di
proprio carattere in un libro, che appositamente si terrà. Raccolta la Carità,
si farà la numerazione degli Artisti con la nota, o sia Stato alla mano, e
della moneta pagata in presenza de’ Seniori, e de’ Direttori; e si vedrà, se
tutti hanno adempito al loro dovere. Chi non abbia adempito, si noterà in un
foglio, che si affiggerà in una tabella chiamata de’ Contumaci, che si
sospenderà appresso allo Stato degli Artisti, acciò ogn’uno sappia il
contumace. Chi manca per tre volte, e non purgherà la contumacia pagando
nell’ultima volta tutto l’attrasso, sia cassato dallo Stato sopradetto, e non
goda più né questo privilegio personale in caso di disgrazia, né l’esequie, e
gli altri suffragi, come in appresso si dirà, a spese della Cassa suddetta; su
di che invigileranno rigorosamente i Seniori. Questa Cassa sarà chiusa a tre
chiavi, delle quali una ne terrà il Parroco, un’altra li Seniori, e la terza
finalmente li Direttori. A nessuno sarà mai lecito di disporre di un grano di
essa per altro uso, in fuori di quello detto di sopra, o di quant’altro in
appresso si dirà. Ogni anno fatta l’elezione de’ nuovi Seniori del popolo, si
farà la numerazione del denaro in essa esistente, e se ne farà la consegna a’
nuovi Eletti insiem colle chiavi. Il Parroco, e li Direttori riterranno sempre
le chiavi presso di loro, e solo si renderano indegni di questa prerogativa
coloro, che si mostreranno infedeli verso di essa. Appena entrati in governo i
nuovi Eletti prenderanno i conti dell’introito, ed esito da tutte le
soprammentovate persone, e subito si rimetteranno a Me per poterli far
esaminare, e discutere.
XVIII. Dell’esequie, e de’ lutti.
L’esequie sian semplici, divote, e senza distinzione. Il Parroco, e li soli
Preti del luogo associeranno il cadavere senza esiger’emolumento alcuno. Quando
il cadavere sarà in Chiesa (ciocché non si farà se non venti quattro ore dopo
morto) si farann’ardere d’intorno al medesimo solo quattro candele. Ciascun
Prete celebrerà per l’anima del defonto una Messa letta, ed il Parroco la
cantata. Il cadavere di un Seniore del Popolo, che muoia in ufficio, sarà
associato dal Clero, come sopra, e da tutti i Capi di famiglia, portanti avanti
del medesimo le candele accese in riconoscenza de’ buoni servizj prestati alla
Società. Nella morte finalmente di un Direttore, o di una Direttrice di arti,
oltre il Clero suddetto vi anderanno ad associarli li giovani, e le giovani
discepoli con le candele come sopra. Tanto la spesa per le Messe, che per le
candele sarà fatta dalla Cassa, alla quale tornaranno li residui di queste. Non
vi sian lutti, e solo nelle morti de’ genitori, e degli sposi, per gli ultimi
uffizj dovuti a’ medesimi sia permesso alla tenerezza de’ figli, delle mogli, e
de’ mariti un segno di duolo di un velo al braccio per l’uomo, e di un fazzoletto
nero al collo per la donna per due mesi solo al più.
XIX. Della Patria.
La Patria è la cosa più cara, che siavi sulla terra. Essa ha in custodia la
roba, le spose, i padri, i figli, le madri, la libertà, la vita de’ Cittadini.
Ognuno trova in essa come in un centro, tutte le sue delizie. Tutti dunque
debbono ad essa tutti quegli obblighi, che di sopra si sono a parte a parte
descritti. Ogn’uno deve teneramente amarla. Ogn’uno deve procurarle tutt’i
beni, e allontanarle tutt’i mali. Ogn’uno deve difenderla a costo della roba,
del sangue, e della vita dagl’insulti, e dagli attacchi de’ nemici. Dalla
salute di tutti dipende la salvezza di ogn’uno. Più di tutti però essa esige da
voi nelle occasioni la sua difesa. L’Agricoltore, che deve co’ suoi sudori
cacciar dalle viscere della terra il mantenimento per sé, e per voi, non può la
terra abbandonare. Se per darle soccorso corre all’armi, e gitti il pesante aratro,
egli senza pane priva se e gli altri di quella vita, che cerca salvarsi. Voi,
voi, che per loro vivete, voi avete più stretti, e più precisi obblighi a
difenderla. Se voi dall’arti passate all’armi, l’Agricoltore co’ suoi sudori
sosterrà voi sul campo, e farà vivere i vostri padri, i vostri figli, e le
vostre spose tra i loro teneri amplessi. In vece dunque di menar vita oziosa
ne’ dì festivi, ed esporvi a’ pericoli, dove l’ozio trascina, correte, dopo
aver santificata la festa coll’adempi-mento del proprio dovere, e dopo di aver
nelle ore determinate presentat’i lavori, per riscuoterne la dovuta mercede,
correte, dico, ad esercitarvi nel maneggio dell’armi, che vi sarà insegnato
dalle persone a tal oggetto più adatte, e vi saranno anche de’ premj,
proporzionati per coloro, che in esso si distingueranno. A voi ancora spetta
onorarla in tempo di pace. Come i fiori fanno colla loro varietà ricco ricamo
al verdeggiante prato; così voi colle vostre produzioni restituir le dovete
quel lustro, e quello splendore, che un dì fece invidiarla a tutta Europa.
Capitolo III Degl’impieghi
Io intanto intento sempre a premiarvi, assicuro tutti gli abitanti di San
Leucio, che ad esclusione degl’esteri, essi saran sempre impiegat’in tutti gli
impieghi, che vacheranno nel luogo: preferendosi però sempre fra i pretendenti
il più abile, capace, e di buona condotta. Al nuovo impiegato non si darà, che
la metà del soldo del defonto, quando quello lasci la vedova (con figli che non
siano ancora in grado di lucrarsi il proprio sostenimento) alla quale si darà
l’altra metà. Rimanendo poi la vedova sola, o con due figli almeno, che
guadagnino già due carlini al giorno per ciascheduno, resterà alla vedova il
solo terzo, ed il rimanente si darà al nuovo impiegato, per averlo tutto alla
morte della vedova.
Capitolo IV Degli artisti esteri
Presentandosi Artefici esteri per essere ammessi al lavoro, dopo di aver
esibit’i loro requisiti, o dato le notizie convenienti per farli venire; e dopo
essere stati provati; e trovati abili, volendosi fissare nel luogo, e godere di
tutte le prerogative, e privilegi degli altri abitanti, dovranno per un’intero
anno dar non equivoche ripruove di ottimi costumi, ed assidua applicazione al
lavoro per esservi ascritti; nel qual caso avranno l’abitazione, e gli utensilj
di sopra detti. Non trovandosi poi tali, saranno immediatamente rimandati via.
Capitolo V
Delle pene generali contra i trasgressori Tutte le leggiere mancanze, che si
commetteranno dagli abitanti sopradetti, verranno economicamente punite a
proporzione del fallo.
Ogni minimo accidente contra il buon costume sarà punito con
espellers’immediatamente dal luogo il colpevole, o colpevoli, e
privars’immediatamente il Genitore, o i Genitori per un anno di tutt’i
proventi, e regalie. A chiunque, sia uomo, o sia donna, ardisce mutare in
menoma parte il metodo e la moda prescritta di vestire, sarà immediatamente
proibito vestir più l’abito del luogo; per tre anni sarà considerato
com’estraneo; e sarà privo, come di sopra si è detto, di tutt’i proventi, e
regalie, che dagli altri si godono.
Qualunque altro fallo, che sia suscettibile di pena di corpo afflittiva, ovvero
infamante verrà punito collo spogliars’immediatamente, e con il massimo
segreto, il colpevole degli abiti del luogo, e sarà consegnato alla giustizia
ordinaria. Quest’è la legge, ch’Io vi dò per la buona condotta di vostra vita.
Osservatela, e sarete felici. {Ferdinando IV1789)
«Che allato gli sedete Sposa e Regina» Libretto stampato nello stesso anno
della promulgazione del codice di San Leucio e pubblicato, come quello, dalla
Stamperia Reale, a cura di Domenico Cosmi, ufficiale della Reale Segreteria di
Stato e Casa Reale. All’introduzione indirizzata alla regina Maria Carolina
d’Austria, segue la raccolta di poesie, in italiano, latino, greco, napoletano
e francese, ‘osannanti’ Ferdinando e la sua opera. Molti ài questi poeti
improvvisati, in seguito, saranno colpiti dall’ira del sovrano, perché accusati
di giacobinismo. Un esempio per tutti la illustre gentildonna Eleonora Pimentel
Fonseca (condannata dieci anni dopo a morte dallo stesso re), che in
quest’occasione manifesta, in versi, tutto il suo entusiasmo per la nobile
iniziativa.
Alla
sacra Real Maestà di Maria Carolina d’Austria Regina delle due Sicilie
Signora
Gli elogj di un Re non ad altri, che ad una Persona Reale meritano d’esser
consecrati; ma quelli di Ferdinando IV Re delle Sicilie, scritti in molte parti
d’Italia per le Leggi date alla nascente Popolazione di San Leucio, non ad
altri più degnamente, che alla M.V., che allato gli sedete Sposa e Regina, e
che seco lui dividete magnanima le cure, gl’interessi, e la pace dello Stato. I
talenti dello spirito, e ‘1 carattere deciso del cuore, di cui la Provvidenza
vi ha dotata, vi costituiscono superiormente a tutti nel dritto di ben
intendere l’alta e riposta sapienza, che in quelle poche pagine, sott’un’aria
semplice, contiensi. Formata V.M. sin da’ più teneri anni a regnare; resa spettatrice
dell’eroiche gesta di una Madre, che col valorosa-mente difenderlo, seppe fondar
di nuovo un Impero, ben comprendete tutti gli arcani di quell’arte divina, che
versa sulla felicità delle Nazioni. No, non è ignoto a V.M., che il dover di
ubbidire al suo Sovrano è sempre preceduto dal dover di ubbidire all’Esser
supremo: che i principi immutabili di ciocché è giusto ed equo in tutt’i casi,
è la voce universale della ragione; e che distinguer quello, ch’è più utile ad
un Regno, che ad un altro, forma il più difficile dell’arte di governare. Non è
ignoto a V.M., che ‘1 governo Patriarcale è l’immagin vera del Monarchico:
Che per aver questo su basi sicure ed immancabili, egli è necessario stabilir
quello de’ Padri su’ principi certi, ed indubitati: Che l’educazione pubblica è
la primaria origine della pubblica sicurezza, e della pubblica tranquillità:
Che la buona fede è la prima di tutte le sociali virtù: Che l’uguaglianza è
l’anima generativa di quell’amore, che lega, e stringe i cuori de’ mortali: Che
la sola distinzione nascente dal merito è lo spirito sollevatore delle arti,
dell’industria, e delle scienze: Che le ricchezze inesauste d’un Popolo son
quelle, che vengono dall’agricoltura; e che i germi riproduttivi di questa
crescon sempre a misura, che s’agiti il soffio vivificante di quelle. Sa molto
bene la M.V. ancora, che un comodo vivere facilita i matrimonj, e questi la
Popolazione; e che i Popoli ricchi, e non i poveri, quantunque numerosi, sono i
più forti sulla terra: Che pieno un Regno territoriale di coltivatori, e poste
le terre in tutto il massimo lor valore, allora nascono gli artieri, e gli
opera], e quindi sorge, e germoglia quel commercio, il quale ferma e stabilisce
la felicità, e la potenza di uno Stato: Che ‘1 superfluo è la vera ricchezza di
una Nazione; e che quanto questo è maggiore, tanto più quella divien potente, e
felice: Ch’una libertà indefinita interna di commercio promuove l’industria, ed
anima i Popoli; ma che una malintesa libertà esterna, la quale seco trasporti
parte del necessario, rovina le Società, e gl’Imperj. Sa, che le manifatture
sono l’arte di dar nuove forme a’ prodotti naturali de’ luoghi; e che quel
Regno è sempre più ricco e più potente degli altri, che ha più prodotti a
manifatturare: Che il lusso ben regolato forma lo splendore de’ Regni; ma che
lo sregolato ne prepara, ed accelera la rovina: Che la virtù più sublime del
Trono è la cura del Popolo, e la tutela degli orfani, e de’ miserabili;
Finalmente, che tutti son per natura obbligati a difendere il proprio Principe,
e la propria Patria; ma che ne’ Regni territoriali l’artiere dev’esserlo più
dell’agricoltore, affinchè per le rinascenti ricchezze restin sempre
insuperabili e forti. Tutti questi sono, S.M., i principi, da cui il gran Re ha
tratte le leggi, che ha scritte con quella semplicità, che incanta. Ma non
tutto questo è però ciò, che forma il capo d’opera di quella quanto breve,
altrettanto savia legislazione. È il più gran problema quello: Se gli uomini
saran sempre fra di loro nemici; e se vi è mezzo da renderli fra loro amici, e
quindi beati? Senza invilupparsi questo grande Speculator della natura in
lunghe discettazioni, col mettersi solo a’ fianchi la giustizia naturale, e la
naturale beneficenza, risolve, e stabilisce colla più profonda sapienza, che il
governo, che possa condurre l’intera umanità alla beatitudine di quaggiù, è la
sola Monarchia, in cui il Monarca governi da Padre, e non da Despota. Per
dimostrarlo fonda non per azzardo, o per capriccio, ma con studio, e con
riflessione una Colonia, e da alii di lei Individui una serie di precetti, atti
a regolare tutta l’umanità. Scorra chiunque i secoli più remoti dell’antichità:
legga i codici delle leggi d’ogni Popolo; vegga se v’è stato Legislatore, che
abbia al par di Lui sì ben consultato la natura, e che questa sia egli prestata
a dettargli con tanta compiacenza tutt’i suoi oracoli. Vegga, se v’è stato
altro Legislator sulla terra, che abbia cercato non di moltiplicar gli uomini,
perch’essi sien felici; ma di render gli uomini felici, perch’essi
moltiplichino. Se dunque v’ha, chi ammiri col silenzio, e chi col canto celebri
sì degna operazione, egli è questa una giusta riconoscenza, che la verità
consacra alla giustizia. Io, che testimone sono de’ sensi rispettosi degli uni,
ho creduto mio dovere raccogliere gli encomi degli altri, ed alla M.V., ch’è la
più Gran Regina del secolo, ed a pie del di cui Trono tutta è riposta la nostra
beatitudine, e la nostra felicità, presen¬tarli in segno di rispettoso tributo,
e di dovuto omaggio.
Napoli,
20 Novembre 1789
Di
V.R.M. Umilis. e Devosiss. Suddito Domenico Cosmi
Sonetto
Cinto
Alessandro la superba fronte
Di cento allori sanguinosi e cento,
Mentre dietro traeva alto lamento
Del Nilo debellato, e dell’Orante.
Formar
ampia Città d’eccelso monte
Uom gli propose alle bell’opre intento;
Sbigottì l’ardua impresa il fier talento,
Benché di cose vago ardite, e conte.
Ma
Fernando il Tisate apre e disgiunge,
E nobil terra in su l’alpestre vetta
Fonda, e l’arti vi chiama, e onor le aggiunge.
E
d’innocenza, e di virtù perfetta,
Mentre Egeria più saggia a se congiunge,
Novello Numa, nuove leggi ei detta.
L’arte della seta
«Cento recipienti di soda»
t’architetto Ferdinando Patturelli presenta a don Antonio
Sancio, Amministratore dei Reali Siti di Caserta e San Leucio, lo studio
approfondito dei luoghi, che definisce umilmente «operiamola» e «tenuissimo mio
lavoro». Nel 1826, data di pubblicazione del testo, regna Francesco I di
Borbone, dedito a aggiungere «nuovo splendore e perfezione alle già fondate
opere» dei predecessori.
Io parlo della famosa Colonia di San Leucio, che deve al
genio di Ferdinando la sua esistenza, la sua legislazione e tutte quelle
utilità, che a suo luogo andrem osservando. Nel fondar questa Colonia pensò
Ferdinando d’introdurre fra noi varie manifatture ed industrie, principalmente
quelle della seta, e mise in opera tutta la sua potenza, onde da tali
manifatture risultasse la floridezza della Colonia medesima e di tutto quanto
il Regno. Da questi esempi cotanto illustri non si allontana il presente nostro
Re Francesco, ed egli battendo le orme gloriose dell’Avolo, e del Padre non
solo aggiungerà sempre nuovo splendore, e perfezione alle già fondate Opere,
come ha gloriosamente cominciato a fare; ma delle nuove andrà ancor egli
immaginandone a vantaggio degli amatissimi suoi sudditi….
La Legislazione di San Leucio parto fecondo dell’ottimo
cuore, e del talento sublime del nostro Re Ferdinando, che degnossi vergarle di
suo proprio pugno, sono veramente un capo d’opera, e meritamente han riscossa
l’ammirazione di tutta quanta l’Europa. Esse venner pubblicate pe’ tipi della
Reale Stamperia, la prima volta nel 1789 col titolo Orìgine della Popolazione
di San Leucio, e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti
al buon Governo di essa; e quindi ristampate nel 1816 nella medesima Reale
Stamperia. Il Vescovo di Telese Monsignor Don Vincenzo Lupoli nel 1789 le tradusse
in latino, e pubblicolle con dotte ed erudite annotazioni. D Cav. Don Domenico
Cosmi stampò inoltre un libro ai eleganti componimenti poetici in lode delle
medesime, Leggi Leuciane, e di dedicollo alla Maestà della Regina Carolina
d’Austria di sempre felice rimembranza. In somma chiunque ha parlato del Re
Ferdinando e in vita, e dopo la morte di lui non ha potuto non tributargli la
più larga, e meritata lode per questa Legislazione, che quantunque breve emula,
e forse sorpassa nella saviezza le più famose così fralle antiche, come fra le
moderne.
È questo Real Sito, come si è dinanzi accennato, una Colonia
d’Artisti stabilita nel 1789 dall’Augusto Ferdinando per promuovere fra noi la
manifattura della seta emulando in così nobile impegno il famoso Ferdinando I
d’Aragona, il quale molto si adoperò ad introdurre nel Regno di Napoli questa
sorta di lavoro. In fatti mercé la protezione accordata a questa Colonia, e le
sue Reali largizioni è giunta l’Arte e a gran perfezione; cosicché potremmo non
aver bisogno di manifatture straniere. Il Regal Casino non ancor compito,
meritamente detto di Belvedere, è situato a Mezzogiorno alle falde del Monte
San Leucio in una posizione assai salubre ed eminente fino al segno di guardar
a se sottoposto il Gran Palazzo di Caserta: e siccome resta superiore anche a’
fabbricati della Colonia Leuciana; una maestosa scalinata, che il precede,
eccita il desio di ascendervi. Giunto nel piano si osserva in faccia
l’avancorpo bene architettato, in mezzo al cui primo piano havvi la Chiesa
Parrocchiale fiancheggiata da due belle fontane, ed alle spalle nel basso il
magnifico portone, che forma di fuori il rinchiuso l’ingresso principale a
questo Real Sito ornato a’ fianchi da due lunghi casamenti appellati quartieri
di San Carlo e San Ferdinando.
Nella Chiesa Parrocchiale è degna d’osservarsi la perizia
dell’Architetto Collecini, che da un Salone che era, seppela ridurre all’attuai
forma per voler del Re Ferdinando nel 1776. Nello spiazzo all’Oriente del
suddetto avancorpo, che dovea esser centro del Real Casamento, ritrovasi
nell’alto del fondo la statua del Re Fondatore e singoiar proteggitore
dell’intera popolazione, ed alla sinistra dello spiazzo medesimo si passa nel
cortile del Palazzo. Nel portichetto vi sono attaccate simmetricamente al muro
cento recipienti di soda, per averli pronti in caso d’incendio,
e nell’aia del cortile medesimo il Re ha date in ogni anno delle sontuose
tavole alla intera popolazione, nella circostanza de’ maritaggi, che secondo le
leggi della Colonia hanno luogo nel giorno di Pentecoste. Passando nel Real
Appartamento il curioso osserverà un discreto numero di ariosissime stanze
comode per lo Real diporto, tutte decentemente addobbate, alcune delle quali
hanno de’ belli guazzi nelle volte: ed è meraviglioso l’esteso orizzonte, che
si osserva dalla stanza di questo Real Casino destinata per dormire le LL.MM.-
Dall’istesso Appartamento si fa passaggio nelle varie officine della fabbrica
delle seterie, come Filanda, Incannatorii, Filatorii, ed altro, che sembra
inutile andar minutamente descrivendo; ed è cosa, che sorprende il vedere le
molte, e differenti operazioni, che si fanno nello stesso tempo per mezzo di
macchine tutte animate dal rotone piantato in un sotterraneo al lato
Occidentale del fabbricato, e spinto da un ramo dell’acqua Carolina
appositamente ivi condotta. Un bel Cilindro costruito sopra disegni pervenuti
dalla Francia, si trova all’Occidente del Cortile del
Real Casino. Sortendo poi dallo stesso cortile nel locale a
se incontro ritroverà la disposizione di tutti i telai ed altre manovre della
fabbrica, per comporre ogni sorta di stoffa: e progredendo il cammino più sopra
vi è il locale ove si conservano i bachi da seta chiamata Cocolliera colla
corrispondente stufa, ed un’altra spaziosissima Filanda.
Primaché questa Fabbrica acquistasse tutto il lustro di una
completa manifattura, che ora presenta, nel 1776 ebbe cominciamento dalla
semplice manifattura de’ veli da seta allora molto in uso, che a S.M.
Ferdinando piacque introdurre fra noi chiamando espressamente da Torino il
Direttore Signor Francesco Bruetti. Alquanti anni dopo, bramando il Monarca
medesimo completar la manifattura, e riunirla nel tempo stesso in un acconcio
locale, onde la gioventù guidata fosse puranche nello spirito dal Parroco,
ordinò nel 1786 la costruzione di molte fabbriche, e fralle altre l’ampliazione
del Casino di Belvedere ove ripose l’intero lavorio; e 1 Machinista Signor
Paolo Scotti fatto venir da Firenze sotto la dipendenza dell’Architetto Don
Francesco Collecini distribuì la località e per le macchine, e pe’ telai.
Finalmente nel 1789 S.M. dichiarò Real Colonia siffatto stabilimento dipendente
solo da’ suoi Sovrani comandi; vi formò le Leggi tutte proprie; ordinò che
tutti vestissero uniformi; stabilì le scuole di educazione de’ fanciulli, e
tutto ciò, che attualmente si vede in vigore. Pensò anche il Re di stabilire un
rifugio agli Artisti bisognosi in caso di grave malattia, e ordinò nel 1794 un
progetto grandioso d’un Ospedale all’Architetto Collecini, il quale ne fece
formar anche il modello in legno. La forma dell’intero fabbricato era una Croce
greca, divisa in due piani: i quattro lati della Croce nel piano superiore
servivano a corsee pe’ malati con passaggi laterali: nel centro era situata la
Cappella; e nelle testate le camere pe’ custodi, ed assistenti: nel pian
terreno poi stavano situate tutte le officine per tale stabilimento opportune.
Questa idea piacque molto al Re, e vedrebbesi ora eseguita nel recinto stesso
di San Leucio, se le tante disgrazie avvenute non ne avessero impedita l’esecuzione.
Al presente però trovasi a quest’uso detinato il Fabbricato del soppresso
Monastero di San Francesco di Paola vicino al Real Boschetto di Casetta con un
fondo assegnato di annui ducati 600 di rendita. {Patturelli 1826)
«Un luogo ameno e separato dal rumore della Corte» «Le delizie di Caserta e la
magnifica abitazione» creata dal padre – sostiene Ferdinando – non consentono
la meditazione e il riposo e costringono, ancorché in mezzo alla campagna, agli
stessi rituali cittadini di lusso e magnificenza. Nasce da un’esigenza di
solitudine e di svago – la caccia – la scelta del rifugio nel bosco di San
Leucio, con una prima aggregazione di abitanti, al servizio del re, che
costruisce il casino, dove risiede d’inverno e abbellisce e ristruttura la
tenuta. Quando, morto il figlio primogenito, il re decide di non abitare più in
quel sito, i ‘leuciani’ sono ormai 134 e, ove abbandonati, soprattutto ipiù
giovani, sono destinati alla disoccupazione e a diventare, privi di educazione,
«scostumati e malviventi». Ver l’utile dello stato e delle famiglie,
l’illuminato sovrano ‘escogita’ la manifattura delle sete, e detta le regole
della comunità, che provvede di case, scuole, parrocchia e sacerdoti: diritti e
doveri, modalità di assunzione per gli abitanti e «per gli artisti esteri»,
pene contro itrasgressori, orario.
Non essendo certamente l’ultimo de’ miei desiderj quello di ritrovare un luogo
ameno, e separato dal rumore della Corte, in cui avessi potuto impiegare con
profitto quelle poche ore di ozio, che mi concedono da volta in volta le cure
più serie del mio Stato; le delizie di Caserta, e la magnifica abitazione
incominciata dal mio augusto Padre, e proseguita da Me, non traevano seco
coli’allontanamento dalla Città anch’il silenzio, e la solitudine, atta alla
meditazione ed al riposo dello spirito; ma formavano un’altra Città in mezzo
alla Campagna, colle istesse idee del lusso, e della magnificenza della
Capitale. Pensai dunque nella Villa medesima di scegliere un luogo più separato,
che fosse quasi un romitorio, e trovai il più opportuno essere il sito di S.
Leucio. Avendo pertanto nell’anno 1773 fatto murare il Bosco, nel recinto del
quale eravi la vigna, e l’antico Casino de’ Principi di Caserta, chiamato di
Belvedere; in un’eminenza feci fabbricare un piccolissimo Casino per mio comodo
nel Tandarvi a caccia. Feci anche accomodare un’antica, e mezzo diruta Casetta,
ed altra nuova costruire. Vi posi cinque, o sei Individui per la custodia del
Bosco, e per aver cura del sopradetto Casinetto, delle vigne, piantagioni, e
territorj in esso recinto incorporati. Tutti questi tali colle loro famiglie
furon da Me situati nelle sopradette due Casette, e nell’antico Casino di
Belvedere, che fec’indi riattare. Nell’anno 1776 il Salone di detto antico
Casino fu ridotto a Chiesa, eretta in Parrocchia per quegli Abitanti
accresciuti al numero di altre famiglie dicciassette, per cui mi convenne
ampliare le abitazioni, come feci anche della mia.
Ampliato che fu il Casino, incominciai ad andarci ad abitare, e passarci
l’Inverno: ma avendo avuto la disgrazia di perdere il mio Primogenito, e per
questa cagione più non andandoci ad abitare, stimai di quell’abitazione farne
altro più utile uso. Gli Abitanti sopracitati, con altre quattordici famiglie
aggregateci, giunti essendo al nume¬ro di 134, attesa la favorevole
prolificazione prodotta dalla bontà dell’aria, e dalla tranquillità e pace
domestica, in cui viveano; e temendo, che tanti fanciulli e fanciulle, che
aumentavansi alla giornata, per mancanza di educazione non divenissero un
giorno, e formassero una pericolosa società di scostumati, e malviventi, pensai
di stabilire una Casa di educazione pe’ figliuoli dell’uno, e dell’altro sesso,
servendomi, per collocarveli, del mio Casino; ed incominciai a formarne le
regole, ed a ricercar de’ soggetti abili ed idonei per tutti gl’impieghi a
tal’uopo necessarj.
Dopo di aver messo quasi tutto all’ordine, riflettei, che tutte le pene, che mi
sarei dato, e tutte le spese, che vi avrei erogato, sarebbero state inutili;
poiché tutta questa gioventù benché ben educata, giunt’ad un’età tale d’aver
terminati tutti quegli studj alla di lor condizione adattati, sarebbe rimasta
senza far nulla; o almeno applicar volendosi a qualche mestiere, avrebbe
dovut’altrove portarsi, per ricercarsi sostentamento; non essendomi possibile
di situarne, che pochi al mio servizio nel luogo. Ed in quel caso, come
sommamente sensibile sarebbe stato alle rispettive famiglie il separarsene;
così anch’Io provato avrei una gran pena di vedermi privato di tanta bella gioventù,
che come miei propri figli avea riguardato sempre, ed aveva con tanta pena
cresciuti. Rivolsi dunque altrove le mie mire, e pensai di ridurre quella
Popolazione, che sempre più aumenta, utile allo Stato, utile alle famiglie, ed
utile finalmente ad ogn’individuo di esse in particolare: e rendendo in tal
maniera felici e contenti tanti poveretti, che per altro fin’ al giorno di oggi
essendo vivuti nel santo timore di Dio, ed in ottima armonia e quiete fra di essi,
non mi hanno dato menomo motivo di lagnamene, godere Io di questa soddisfazione
in mezzo di essi, e delle loro benedizioni, in que’ momenti, che le altre mie
cure più interessanti mi permettono di prendere qualche sollievo. Utile allo
Stato, introducendo una manifatturia di sete grezze, e lavorate di diverse
specie fin ora qui poco, o malamente conosciute, procurando di ridurl’alla
miglior perfezione possibile, e tale da poter col tempo servir di modello ad
altre più grandi.
Utile alle famiglie, alleviandole da’ pesi, che ora soffrono, e portandole ad
uno stato da potersi mantener con agio, e senza pianger miserie, come fin ora è
accaduto in molte delle più numerose ed oziose, togliendosi loro ogni motivo di
lusso coli’uguaglianza, e semplicità di vestire; e dandosi a’ loro figli fin
dalla fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi, e per tutta la
famiglia, del pane, da potersi mantenere con comodo, e polizia.
Utile finalmente ad ogn’individuo in particolare, perché dalla nascita ben
educati da’ loro Genitori; istruiti in appresso nelle Scuole normali, già da
qualche tempo con profitto introdotte; ed in ultimo animati al travaglio
dall’esempio de’ loro compagni e fratelli, e dal lecco del lucro, che quelli ne
percepiscono, si ci avvezzeranno, e talmente si ci affezione-ranno, che
fuggiranno l’ozio padre di tutti i vizj, da’ quali infallibilmente ne sarebbero
nati mille sconcerti, lasciando inoperosa tanta gioventù, che ora siam sicuri
di evitare, perché giunti di mano in mano questi bravi, e belli giovinetti, e
fanciulle all’età adulta e propria, venendosi ad accoppiare, aumenterà sempre
più questa sana, e robusta Popolazione, composta al giorno di oggi di 214
individui. Oltre i Padri, e le Madri di famiglia, che travagliano, sono già
impiegati nelle manifatture molti figliuoli dell’uno, e dell’altro sesso, ed in
una famiglia, che ne ha alcuni grandi, bastantemente buoni artefici, il loro
lucro giornale va da 10 a 12 carlini.
Ora si è ingrandita la Casa di Belvedere per riunirvi tutto il lavorio, e le
manifatture, ch’erano disperse nelle diverse abitazioni, e per fare, che tutta
quella Gioventù sia riunita
sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco, e degli altri non men degni
Sacerdoti, che c’invigilano. Si stanno anch’edificando delle nuove Case per
comodo di que’ giovani, che vadano giungendo all’età di potersi unire in
matrimonio, e per quegli Artefici forestieri, che si fissino nel luogo. Di
questi ve ne sono alcuni fissati, ed altri, che fanno il noviziato, non essendo
che poco tempo, che son venuti.
Lo stato presente delle cose giunto essendo ad un tal termine, ed avendosi
riguardo all’avvenire, sembrami richiedere, che questa nascente Popolazione,
che in pochi anni può divenire ben numerosa, riceva una norma, per sapere i
retti sentieri, su de’ quali possa diriggere i suoi passi con sicurezza; e nel
tempo stesso sia in istato di conoscere la sua felice situazione; e questa da
qual fonte derivi. Questa norma, e queste leggi da osservarsi dagli Abitanti j
di S. Leucio, che da ora innanzi considerar si debbono, come una medesima
famiglia, son quelle, che Io qui propongo, e distendo, più in forma
d’istruzione di un Padre a’ auoi Figli, che come comandi di un Legislatore a’
suoi Sudditi. Procurerò, che siano ristrette, ed adattate, per quanto più si
può, allo stato presente, ed alle attuali circostanze di questa piccola
nascente Popolazione, per cui son fatte. Se questa, crescendo, avrà bisogno di
nuovi regolamenti, o se l’esperienza ne indicherà degli altri non preveduti, e
necessari, mi riserbo di darli; cercando per altro di non allontanarmi da’
principi fondamentali della presente istruzione.
Nessun uomo, nessuna famiglia, nessuna Città, nessun Regno può sussistere, e
prosperare senza il timor santo di Dio. Dunque la principal cosa, ch’Io impongo
a Voi, è l’esatta osservanza della sua santissima Legge. Due sono i principali
precetti della medesima. I. Amar Dio sopra ogni cosa. IL Amar il Prossimo suo,
come se medesimo.
Amar Dio sopra ogni cosa è amarlo con tutt’il cuore, con tutta la mente, con
tutta l’anima, con tutte le forze: è anteporlo a tutte le Creature; ed amarlo
più di tutte le cose a noi più care. Nasce in Noi quest’obbligo dal gran bene,
che ci ha fatto, e che ci fa in ogni istante. Egli ci ha creati dal nulla. Egli
ci ha redenti col suo preziosissimo Sangue. Egli ci mantiene. Egli ci da quanto
ci occorre. L’aria, il cibo, la luce, la salute, i figli, tutto ci vien da Lui.
Obbligo dunque di tutti è adorarlo, e venerarlo, com’Ente supremo, ed autor di
tutte le cose: di ubbidirlo, come Sovrano Signore, e Padrone: di temerlo come
Giudice giusto, a cui nulla è nascosto: di ricorrere a lui ne’ bisogni, e di
esercitar verso di Lui gli atti di vero culto, e vera devozione. Tutte le
mattine perciò al far del giorno corra ciascuno al Tempio ad odorarlo: Si
reciti in coro la preghiera; ed ogn’uno in particolare gli offra in olocausto
nel S. Sacrifizio della Messa, che ivi si celebrerà, tutti gli atti del suo
cuore e della sua mente. Pass’indi alla fabbrica, od in casa; ed attenda nel
suo Santo Nome al proprio dovere. Le sere, al tramontar del sole, quando tutti
saranno sciolti dal lavoro, si tomi nuovamente in Chiesa alla visita del SS.
Sacramento, ed a Lui si rendan tributi di onore, e di gloria pe’ benefizi
ricevuti, recitandosi anche in coro l’altra preghiera. Osservi ciascuno i
precetti della Chiesa: e frequenti i Santissimi Sacramenti; ed a quest’effetto
il Parroco, e gli altri Sacerdoti assistano con assiduita in Chiesa per como¬do
di tutti, particolarmente ne’ dì festivi. Amar il Prossimo suo, come se
medesimo, è non far agli altri quello, che non vorremmo, che fosse a Noi fatto:
ed è fare agli altri, quello che vorremmo, che a Noi si facesse. Da questo
dettato della Divina Sapienza nascon varj doveri, de’ quali alcuni diconsi
negativi, altri positivi.
Capitolo
I
Doveri negativi
I Doveri negativi son quelli, che impongono l’obbligo di astenersi
dall’offender alcuno in qualunque maniera. Or in tre maniere si può offendere
alcuno. Si può offendere nella persona, nella roba, e nell’onore.
I. Non si può offendere alcuno nella persona.
Si offende alcuno nella Persona o coll’ammazzarlo, o col ferirlo, o col
batterlo, o col fargli scherni, dispetti, insolenze, ovvero col molestarlo ed
inquietarlo in qualunque modo. Nessuno di questi atti ardirà mai alcun di voi
di commettere contra il suo simile; siccome non ardirà mai neppur l’offeso di
prender da sé la privata vendetta: ma ricorrerà a’ suoi Superiori per la dovuta
giustizia; e credendo non averla da quelli ottenuta, potrà anche di poi venire da
Me. Vegliano contri tutti questi delitti attentamente le Leggi: ma tanto più
vegleranno esse contra quelli, che mai si commettessero in questa Società, che
ha per suo principal fine l’amore, e la carità, e che l’esempio dev’essere
della pubblica educazione.
II. Non si può offendere alcuno nella roba.
Si offende alcuno nella roba, ogni qualvolta o con violenze, o con inganno si
usurpa, o si ritiene ingiustamente quello, ch’è d’altrui. Il titol di ladro è
il titol più infame e vergognoso che poss’aver l’uomo. Ciascuno dunque si
guardi bene di meritarlo per alcun modo. In ogni Società i ladri son condannati
ad atrocissime pene. In questa, dove l’onore, e la virtù sono i principali
cardini della medesima, se mai ve ne fossero (che non è neppur da dubitarsi) saranno
più rigorosamente puniti. Nelle compre perciò, nelle vendite, nelle
permutazioni, ed in ogni altra specie di contratti ogn’uno si guardi di usar
soperchieria, ed inganno. Nessun venditore abusi dell’imperizia del compratore
col chiedere un prezzo maggiore del dovere: e nessun compratore si valga mai
dell’ignoranza, o della necessità, in cui è tal volta il venditore, per
levargli quel giusto prezzo, che gli spetta. Vadan bandite la mensogna, le
frodi, e le fallacie nelle misure, ne pesi, nella qualità delle robe, che si
venderanno, o compreranno, nella qualità del danaro, ed in tutt’altro, in cui
la versuzia, e l’inganno possa usarsi; e si proceda in tutto con candore,
onestà, e buona fede. Sia la parola il vincolo più sacro della Società; e tutti
sian fedelissimi, e sinceri ne’ detti, e ne’ fatti. Chi ha fedelmente servito,
sia prontamente pagato; né alcuno gli neghi o ritardi la mercede dovuta a ciò
non sia causa della sua mina. In somma erigga ogn’uno nel suo cuore l’altare
della giustizia; e tratti col suo simile, come vorrebbe, che questi trattasse
con sé.
III Non si può offendere alcuno nella riputazione.
La riputazione è la cosa più importante e più preziosa, che possa aver l’uomo
d’onore; e talvolta togliere altrui la riputazione è peggior delitto, che
offenderlo nella roba, e nella persona. Nessun quindi dirà mai cose false
contra di alcuno; e chi caderà in questo delitto, vada immediatamente bandito
da questa Società. Nessuno dirà ingiurie, e villanie ad altri. Nessuno metterà
in ridicolo, ed in beffa il suo fratello; essendo tutte queste cose contrarie a
quello spirito di carità, e di amore che Dio comanda, e che Io voglio, per ben
della pace, del buon ordine, e della tranquillità delle vostre famiglie, da voi
esattamente praticato.
Capitolo II Doveri positivi
I Doveri positivi impongono di fare a tutt’il maggior bene che si possa. Questi
sono o generali, o particolari. I generali riflettono sopra tutt’i nostri
simili. I particolari riguardano un Ceto particolare di persone, come sarebbe il
Sovrano, i suoi Ministri, i Superiori, gli Ecclesiastici, gli Sposi, i
Genitori, i Figli, i Fratelli, i Benefattori, i Maggiori di età, i Giovini e la
Patria.
Doveri generali
I. Ogn’uno deve far bene al suo simile, ancorché sia suo nemico.
A ciascun de’ i nostri simili Noi dobbiam far sempre il maggior bene, che si
possa. Dio comanda, che si faccia per amor suo finanche a’ nimici. La più bella
vendetta è quella di far bene a colui, che ci offese; ed il più bel piacere è
quello di imperare per mezzo delle beneficenze sopra colui, che ci disprezzò.
Soccorrerlo nelle avversità, ed aiutarlo ne’ bisogni è mostrare a tutti gli
uomini la più sublime grandezza di cuore e di generosità. Ogni uomo in tutti
gli stati può far del bene al suo simile. Il Savio, il Ricco, l’Agricoltore,
l’Artista, quando impiegano i loro talenti, le loro ricchezze, le loro fatiche
a prò’ de’ Cittadini, possono ben vantarsi di essere i Benefattori
dell’Umanità. Ogni volta dunque, che si presenti a voi l’occasion di giovare ad
altri, ciascuno l’abbracci; né mai si spaventi di qualche incomodo che seco
porti questa generosa azione; poiché sarà sempre ben compensato da quel dolce e
puro piacere, che l’accompagna. Questo sovrano precetto di Dio è fondato sopra
quella perfetta uguaglianza, che gli piacque stabilire fra gli uomini. Egli li
costituì in natura tutti fratelli, e dispose, che nessuno imperasse sopra di
loro, fuor di Lui, o di Coloro, a’ quali egli affidasse il governo ‘de’ Popoli.
Per sua mercé Egli ha dato a Me il grave peso di governare questi Regni: ed Io
nel dar a voi questa legge non intendo far altro, che seguire i suoi eterni
consigli. Sin da prima, che Io concepii il bel disegno di unirvi in società in
questo luogo, pensai ancora, di crearvi tutti Artieri, e darvi la maniera di
divenirne famosi. La felicità di questi Reami mi fece concepir questa idea.
Vedendo, che i tre Regni della Natura, cioè il vegetabile, l’animale, ed il
minerale qui per singoiar dono della Provvidenza tengono la propria lor sede, e
che solo manca in essi, chi a’ naturali prodotti de’ luoghi dia le nuove forme,
mi risolsi nell’animo di pome ad effetto l’intrapresa. Già son pronte in buona
parte le macchine, e gli ordigni corrispondenti al disegno. Solo resta, che per
voi ci sia una fissa legislazione, che suggerisca la norma della condotta della
vita, e che prescriva gli stabilimenti necessari all’arti introdotte e da
introdursi.
Il- II solo merito forma distinzione tra gl’Individui di San- Leucio. Perfetta
uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso.
Essendo voi tutti Artisti, la legge che Io vi impongo, è quella di una perfetta
uguaglianza. So, che ogni uomo è portato a distinguersi dagli altri; e che
questa uguaglianza sembra non potersi sperare in tempi così contrari alla
semplicità ed alla natura. Ma so pure, che vana e dannevol’è quella
distinzione, che procede dal lusso, e dal fasto; e che la vera distinzione sia
quella, che deriva dal merito. La virtù, e l’eccellenza nell’arte, che si
esercita, debbon essere la caratteristica dell’onore, e della singolarità; e
questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. Nessun di voi
pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrasegni di distinzione,
se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto
per evitar la gara nel lusso, e ‘1 dispendio in questo ramo quanto inutile,
altrettanto dannoso, comando, che ‘1 vestire sia uguale in tutti: che estrema
sia la nettezza, e la polizia sopra le vostre persone, acciò possa aversi
quella decenza, che si richiede per rispetto, e venerazione dovuta a Chi si
degna portarsi a vedere i vostri lavori: che questa polizia sia anche esattamente
osservata nelle vostre case, acciò possa godersi & quella perfetta sanità,
ch’è tanto necessaria nelle persone, che vivono con l’industria delle braccia.
Di voi nessuno ancora ardirà mai chiamarsi col Don, essendo questo un
distintivo dovuto soltanto a’ Ministri del Santuario in segno di rispetto, e di
venerazione.
Doveri particolari I. Doveri verso il Sovrano.
Dopo Dio devesi a’ Sovrani, come dati agli uomini da Dio, la riverenza, la
fedeltà, l’ossequio. Le funzioni sublimi, ch’essi esercitano, gli fan dividere
colla Divinità questa venerazione. La loro persona dee rispettarsi, come sacra;
e tutti gli ordini, che vengon da loro, debbon ciecamente eseguirsi e
prontamente osservarsi.
II Doveri verso i Ministri.
Sono i Ministri tutt’imagini de’ Sovrani. Ogni posto, che da essi si occupa, si
occupa per loro. Per Loro essi comandano; per Loro vegliano alla custodia, ed all’osservanza
delle leggi. Per amor di Loro voi dunque dovete ad essi tutti quegli atti di
rispetto, e di ubbidienza, che l’autorità pubblica esige.
III. De’ Matrimoni.
La donna fu concessa da Dio all’uomo per sua ragionevol compagna. Dall’unione
di entrambi nacque la propagazione, e conservazione dell’uman genere; e dalla
moltiplicazione de’ matrimoni ebbero origine, e tuttavia fiorisco¬no le
Società, e gl’Imperi. Perché dunque anche questa Popolazione prosperi, ed
aumenti sotto la benedizione dell’Altissimo, vi voglion de’ matrimoni, la
celebrazione de’ quali per voi Io sottopongo alle seguenti leggi. I. L’età del
giovane non dovrà esser meno di 20 anni; e quella della fanciulla di 16. Ed in
queste circostanze né anche sia loro permesso di contrarre gli sponsali, fino
che dal Direttore de’ Mestieri per lo giovane, e dalla Direttrice per la
fanciulla, non vengano con attestato dichiarati provetti nell’arte, a segno di
potersi lucrar con sicurezza il mantenimento; ed allora in premio della lor
buona riuscita si concederà da Me ad esse una delle nuove case, che ho
espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario pe’ comodi della
vita, e i due mestieri, co quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento.
Quando un giovine giunto all’età stabilita, avrà inclinazione per una giovane,
che sia anche dell’età prescritta ed abbiamo ambedue appreso le rispettive
arti, dovrà subito dame parte a’ suoi genitori, i quali n’avvertiranno quelli
dell’altra parte per loro intelligenza, e perché di comun consenso badino sulla
condotta de’ figliuoli, a ciò tutto vada con decenza, ed acciocché non accada
inconveniente alcuno; potendo ben dars’il caso, che su di una medesima persone
più di uno pretenda. III. Nella scelta non si mischino punto i Genitori, ma sia
libera de’ giovini, da confermarsi nella seguente maniera, Nel giorno di
Pentecoste nella Messa solenne, in cui interverranno tutti gli abitanti del
Luogo, e le fanciulle, edì giovini esteri, che travagliano nelle manifatture,
da due fanciullini dell’uno, e dell’altro sesso si porteranno all’Altare per
benedirsi da chi celebra, due canestri pieni di mazzetti di rose, bianche, per
gli uomini, e di colo; naturale per le donne; e nel terminar questa funzione à
ciascun individuo se ne prenderà uno, come le palme Nell’uscir poi dalla
Chiesa, i Pretendenti nell’atrio di essi dov’è il Battisterio, presenteranno il
loro mazzetto é ragazza pretesa; e questa accettandolo, lo contracambiei’ col
suo; ma escludendolo, con polizia, e buona maniera lido restituirà; e né all’uno,
né all’altra sarà permesso contestazione alcuna; e perciò i primi ad uscir di
Chiesa, e situarsi nel sopradetto atrio saranno i Seniori del Popolo per
imporre loro la dovuta soggezione. Coloro, che contra-cambiato si saranno il
mazzetto, lo porteranno.in petto sino alla sera; quando dopo della S.
Benedizione accompagnati da’ rispettivi Genitori si porteranno dal Parroco, che
registrerà i nomi, e la parola. Dopo questa funzione sarà permesso farsi
quant’altro incumbe a norma del Concilio di Trento, e di ogni altro requisito
della legge, in Chiesa, in cui interverranno i Seniori del Popolo, e i
Direttori, e le Direttrici dell’arti, non solo per solennizzare con quella
pompa, che si richiede, questo gran Sacramento, ma per contestare agli
Abitanti, che gli Sposi meritano la stima di tutti per la bontà del loro
costume, e per essersi coU’arte, che già hann’appresa, resi utili a loro, alle
famiglie, allo Stato, e che per tutt’il tempo deUa loro vita non vivranno mai a
peso di alcuno.
IV. Essendo lo scopo di questa Società che tutti rimangon nel luogo; quindi per
impegnarli a restare, alle figliuole,
ch’abbian imparata l’arte, e voglion maritarsi fuori, non sarà dato altro, che
soli docati 50 per una volta tantum e dal momento saran considerate com’estere,
senza speranza di mai più potervi tornare.
V. Quando un giovine abitante, o artefice vorrà prender in moglie una estera,
non potrà farlo, se prima tal giovane che egli vuoi sposare, non abbia appreso
il mestiere in questa, o in altra manifatturia.
VI. E se assolutamente voglia prender in moglie una estera, che non abbia arte
in mano, dal momento uscir debba dal luogo, di dove non sarà più considerato
come Individuo, e senza speranza di potervi più ritornare.
VII. Que’ giovini dell’uno, e dell’altro sesso, che giunti sieno all’età di 16
anni senza essers’impiegati nelle manifatture per mancanza di volontà, saranno
mandati in Casa di correzione, col divieto di non poter mai più tornare nel
luogo.
E coloro, che impiegaticisi non abbian nulla appreso per mancanza di
applicazione, saranno mandati in Casa di educazione, col divieto di non poter
tornare nelle lot
case, se non istrutti.
VIII. Essendo lo spirito, e l’anima di questa Società l’eguaglianza tra
gl’Individui, che la compongono, abolisco tra’ medesimi le Doti, e dichiaro,
che ciocché da Me sarà per beneficenza somministrato, come di sopra si è detto,
in occasione di matrimoni, sarà solo per premio della buona riuscita, che gli
sposi avranno fatta nell’arte, e nel buon costume: beneficenza, che a loro accorderò
col divino aiuto sino alla quarta generazione, dopo di che la donna porterà il
solo necessario corredo; dovendo aver dopo la morte de’ Genitori, la parte
eguale co’ maschi, com’in appresso sarà prescritto.
IV. Degli Sposi.
Capo di questa Società coniugale è l’uomo. Natura gli deferì questo dritto: ma
gli proibì nel tempo stesso di opprimere e di maltrattare la sua moglie. Con
tuono di maestà in ogni occasione gl’intima l’obbligo di amarla, di difenderla,
e di garantirla da’ pericoli, a’ quali la sua debolezza la porterebbe. Il
marito deve alla moglie la protezione, la vigilanza, la previdenza, gli
alimenti, e le fatiche più penose della vita. La moglie deve al marito la
giusta preferenza, la tenera amicizia e la cura sollecita per cimentare da più
in più la cara unione. Impone ad essi natura questi sacri precetti non solo per
ispirare sul di loro esempio ad ogni altro Individuo i sentimenti della
Società, ma perché divenendo Genitori, non sien i figli infelici, e negletti
tra le dissenzioni, e le discordie domestiche; ed in luogo di presentare
Cittadini buoni, ed utili alla Patra, gli dian discoli, e perversi. Or per
seguire questo gran disegno della natura, sempre savia nelle sue operazioni. Io
prescrivo, e comando ad ogni marito di questa Società di non tiranneggiar mai
la sua moglie, né di esser-e ln8iusto, togliendole quella ricompensa che sia
dovuta alla di lei virtù: ad ogni moglie, che rendasi cara al suo marito; che
nelle cure, e ne’ travagli sia la sua fedele com pagna; e che l’onore richiami
sul comun letto maritale le celesti benedizioni.
V. De’ Padri di Famiglia.
È il principal fine del matrimonio la procreazione della Prole. Divenuti gli
sposi Genitori de’ figli, eccoli sottoposti ad altri più pesanti doveri, ed a
più precise obbligazioni. Il Padre è nelTobbligo di sovvenire, di assistere, di
sostenere insiem colla madre i propri figli. Entrambi son tenuti di educarli, e
di procurar loro uno stato di felicità in questo Mondo. Per le loro o della
loro compiacenza e contentezza, o del loro continuo rammarico. Per le loro o
sollecite o trascurate cure diverrann’essi l’oggetto o della loro compiacenza e
contentezza, o del loro continuo rammarico. Per loro saranno membri utili, o
disutili della Società; buoni, o viziosi; onorati, o infami; comodi, o
bisognosi. A voi dunque, che già Padri siete, o a cui toccherà in sorte di
esserlo, a voi comando di educar bene i vostri figliuoli. Se voi ispirerete a
tempo l’amor della fatica, essi saranno utili a se, a voi, alla Patria. Se la
modestia, e la sobrietà, non avrann’occasione di vergognarsi. Se la gratitudine
e la carità, otterranno benefìzi, e si guadagneranno l’amore di tutti Se la
temperanza, e la prudenza, saranno sani, e fortunati. Se la giustizia e la
sincerità, sarann’onorati, e non sentiranno rimorsi nel cuore. Se finalmente la
religione, essi vivranno, e moriranno contenti. Questo è di tutt’i doveri
l’articolo più importante; e perché scorgo che da esso deriva non solo la pace,
e 1 ben essere delle famiglie, ma benanche la prosperità, e la felicità dello
Stato, Io sono entrato a prendervi la principal parte.
VI. Leggi per la buona educazione de’ Figli. Già è situata in Belvedere la
Scuola normale, in cui s’insegna a’ fanciulli, ed alle fanciulle sin dall’età
di anni 6 il leggere, lo scrivere, l’abbaco; il catechismo della Religione; i
doveri verso Dio, verso sé, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato;
le regole della civiltà, della decenza, e della polizia; i catechismi di tutte
le arti; 1 economia domestica; il buon uso del tempo, e quant’al-tro si “chiede
per divenir uom dabbene, ed ottimo Cittadino. Obbligo vostro sarà che tutt’i
vostri figli dell’età prescritta vadan nelle date ore del giorno alla scuola
Per renderli ancora utili a voi, allo Stato, e ad esso loro e per non farli
andare altrove a cercar la maniera d’impiegarsi, ho provveduto questo luogo di
macchine, d’istrumenti, e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette
manifatture e vi s’introdurranno ancora tutte quelle altre arti, che
hann’immediato rapporto coll’introdotte, ad oggetto di aversi quell’insieme,
che indispensabilmente vi si richiede per l’economia e per la perfezione. Vi
saranno stabilimenti particolari pel buon ordine, e sistema delle manifatture,
ne’ quali sarà fissato l’orario del lavoro secondo i dati mesi dell’anno. I
prezzi del lavoro d’ogni manifattura saranno fissi; ma il giovine, o la
fanciulla apprendente salirà per gradi, e come anderà perfezionandosi
nell’arte, sino al prezzo, che godesi da’ migliori artisti, nazionali e
forestieri. Pervenuti a questo stato, se avran talento da portare la di loro
opera ad un altro grado di maggior bellezza, e perfezione, si terran de
concorsi; e quello, o quella, di cui il lavoro sarà più bello, più esatto, e
più perfetto, avrà per premio il distintivo o una medaglia d’argento, ed in
qualche caso anche d’oro, che potrà portare in petto; ed in Chiesa avrà la
privativa di sedere per ordine di anzianità nel Banco, che sarà chiamato «del
merito», che sarà situato unicamente per i giovani di tal fatta alla parte
sinistra dell’Altare. Le cognizioni perfette della Divinità, la scienza di
tutte le sociali virtù, l’amore e la continua applicazione al lavoro, il
desiderio di distinguersi per via di merito, il giusto compenso che troveranno
nella fatica, mi fanno sperare, che un giorno possan divenire gli oggetti della
mia compiacenza, come della vostra tenerezza; e possan giustamente ereditare da
voi tutto quello, che voi colli vostri sudori vi avete onoratamente
procacciato. Ed in questo ancora voglio, che siate distinti da tutto il resto
de’ miei popoli.
VII. Leggi di successione.
Voglio, e comando, che tra voi non vi sian testamenti, né veruna di quelle
legali conseguenze, che da essi provengono. La sola giustizia naturale, e la
natural’equità sia la face, e la guida di tutte le vostre operazioni. I figli
succedano a’ Genitori, e i Genitori a’ Figli. Abbian luogo i collaterali, ma
nel solo primo grado. In mancanza di questi succede la moglie, ma nel solo
usufrutto, e fino a che manterrà la vedovanza. Dopo la di lei morte, e sempre
nel caso di mancanza di tutti li sopradetti eredi, sian i beni del defunto del
Monte degli orfani, delle cui rendite si forma una Cassa, che chiamerassi degli
Orfani da amministrarsi per ora dal Parroco, che sarà obbligato di dame a Me
conto.
Se poi mancan degli orfani di padre, e di madre, i quali non sien ancora in
istato di lucrarsi colle proprie fatiche il cotidiano alimento, mia sarà la
cura di mantenerli e farli educare col prodotto della sopradetta Cassa, e col
di più, che vi necessiti.
Abbian i figli porzion eguale nella successione degli ascendenti; né mai resti
escluso la femina dalla paterna eredità, ancorché vi sian de’ maschi.
VIII. De’ figli di famiglia.
Impressi dall’Altissimo fin da’ primi momenti della creazione ne’ cuori de’
Genitori i sentimenti di sì sviscerato amore verso de’ figli, era senz’altro
della sua Divina giustizia prescriverne a’ medesimi il gran precetto di
onorarli Tante pene, tanti sudori, tanti affanni meritavano certamente un
onorato compenso. Io che le veci di Dio sopra di voi sostengo, sull’esempio del
suo tremendo comando, l’istesso precetto a voi rinnovo. Rispettate, o figli, i
vostri genitori: ricevete con umiltà i loro avvisi, e le loro correzioni
soffrite volentieri anche i castighi: ed emendazione de’ vostri vizj, e de’
vostri difetti: serviteli: soccorreteli: compiaceteli in ogni cosa: siate loro
grati, e non dimenticate neppur un momento i benefizj ricevuti: e soprattutto
astenetevi da ogni atto, che possa offenderli.
Questo il gran Dio vi precetta, e questo anch’Io comando. E se Dio maledice
que’ figli, che sono irrispettosi a’ padri, Io li bandisco per sempre da questa
Società, come mostri indegni di più stare nella medesima. Anzi perché in essa
non alligni razza di gente così inumana, condanno ali istessa pena colui, che
essendo stato presente l’ingiuria, non sia corso immediatamente a darne parte
a’ Seniori del Popolo, per passarne a Me prontamente l’avviso.
IX. De’ Fratelli.
L’amore è l’anima di questa Società. Dunque, voi, o fratelli, figli di un
istesso padre, e che il latte succhiaste di una madre istessa, amatevi con vero
amore; aiutatevi scambievolmente con vera premura: vivete fra di voi in
perfetta concordia; nessuno abbia invidia dell’altro, e soffochi all’istante
nel suo cuore que’ sentimenti di odio, e di vendetta, che mai concepito abbia
per qualche torto dall’altro ricevuto. L’offeso reclami l’autorità del padre,
se vive, ed alle determinazioni di questi placidamente si sottometta, e si
accheti. In mancanza poi del padre corra a’ Seniori del Popolo, e la pace da
loro implori. L’odio tra’ fratelli è la più brutta, la più perfida, la più
idegna, e scandalosa cosa, che possa vedersi sulla Terra.
X. De’ discepoli.
1 Maestri equivalgono a’ Genitori. Se i Genitori danno la vita, i Maestri danno
la maniera di sostenerla. Quegli obblighi dunque, che i figli hanno a’
Genitori, quelli stessi i discepoli hanno a’ Maestri. Ad essi debbono l’amore,
e a gratitudine: ad essi l’ubbidienza, ed il rispetto. La pratica per tanto di
tutti questi doveri alla grata riconoscenza di tutte le loro cure Io anche a
voi costantementmpongo.
XI. De’ Benefattori.
Se v’ha sulla Terra creatura, che possa in un ito modo gareggiare colla
Divinità, egli è senz’altro il hefattore. Deve a questo il beneficato il prezzo
del keficio in tutta la sua estensione.
Se, per esempio, un infelice vicino a perder liita per la fame, trova un’anima
benefica, che lo ristorigli deve al Benefattore la vita: se lo soccorre ad
uscire le miserie, a lui deve tutto quel comodo, che acquista: si> porta ad
esserre felice, a lui deve tutta la felicità. Gli dlighi dunque de’ beneficati
sono sempre assoluti: a nio di essi è lecito sconoscerlo senza la taccia
d’ingrato.! ingratitudine è un vizio così odioso, e detestabile, cheivolta
tutta l’umanità. Ogni uomo ha interesse ad odii l’ingrato, perché riconosce in
lui uno, che tende a scoiggiar l’anime benefiche, a bandir dal commercio
delirila la compassione, la bontà, la liberalità, e quel santtlesiderio di
giovare, che forma il modo più sacro della Sietà. Voi dunque, quanti siete in
questa Società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i
sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfate a tutt’i suoi desiderj:
non l’inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui
motivi di spandere sempre più sopra di voi le sue beneficenze, e di estenderle
sul vostro esempio sopra degli altri.
XII. De’ Giovani.
I vecchi, e tutt’i maggiori di età avendo meritato da Dio il dono di essere di
questo Mondo prima dei giovani, è quindi un dovere di questi venerarli, ed
ubbidirl’in tutte le cose lecite, ed oneste. Nessuno per conseguenza può
oltraggiarli: che anzi debbon tutti rispettare la loro venerando età, ed
ascoltare, e seguire i loro prudenti consigli. E se mai alcuno vi sarà tra voi,
che abbia il temerario ardire di usare loro poco rispetto, e poca venerazione,
il padre, o se questi manca, i Seniori del Popolo per la prima volta
l’ammoniranno seriamente: per la seconda volta faranno dal figlio chiedere
perdono in pubblica Chiesa al Vecchio offeso; e per la terza volta se ne
passerà a Me l’avviso per espellerlo dalla Società.
XIII. De’ Vecchi.
Dovere però de’ vecchi, e de’ padri di famiglia sarà sempre dar a’ giovani, ed
a’ figli il buon esempio non solo nell’esemplarità della vita, ma anche
nell’amor della fatica; poiché se essi saranno sobrj, religiosi, prudenti,
laboriosi, modesti, tali saranno i giovani, ed i figli; e così si avrà nella
Società quel fondo di virtù, che ardentemente desidero.
XIV. De’ Seniori del Popolo. Tempo di eligerli, e loro doveri. Tra questi,
comando, che in ogni anno nel giorno di San Leucio se ne scelgan cinque de’ più
savj, giusti, intesi, e prudenti, i quali senza strepito giudiziario col dolce
nome di Pacieri, e di Seniori del Popolo, di unita col Parroco, decidano tutte
le controversie civili, e d’arti senza appello: provvedano, e procurino, che
nella società non manchi nessuna delle cose di prima necessità; mentre
liberamente si permette a chiunque voglia di aprir Forni, Macelli, Cantine, ed
ogni altra bottega di comestibili, ma coll’obbligo di tener le provviste per
comodo della Società, dal principio fino alla fine dell’anno, e di vendere a
giusto prezzo i generi, e non maggiore dell’assisa di Caserta, senza frode, e
senz’inganno; e coll’obbligo speciale a’ venditori di vino di non far mai nelle
loro botteghe, o cantine giuocare a veruna sorta di giuoco, ancorché lecito, o
per ischerzo, sotto pena di essere immediatamente sfrattati dalla Società. Si
assicureranno di tutti questi articoli i Seniori suddetti con le debite
sicurtà; ed invigileranno sulla bontà de’ generi, e su tutt’altro, che convenga
col massimo rigore, e colla più religiosa esattezza. Sarà cura de’ sopradetti
Seniori ancora di invigilare rigidamente sul costume degli individui della
Società, sull’assidua applicazione al lavoro, e sull’esatto adempimento del
proprio dovere di ciascuno. E trovando, che in ess’alligni qualche scostumato,
qualche ozioso, o sfaticato, dopo averlo due volte seriamente ammonito, ne posseranno
a me l’avviso, acciò possa mandarsi o in casa di correzione, o espellersi dalla
Società, secondo le circostanze. Della proprietà, e nettezza delle abitazioni
sarà anche loro la cura, perché da tutti si osservi; prendendone specialmente
occasione nella visita degli infermi, che dovranno giornalmente fare, per darmi
distinto ragguaglio del numero di essi in unione del Medico, della qualità
delle malattie, e de’ soccorsi straordinari, di cui necessitassero.
Loro cura parimente sarà di dar’esatto conto de’ Forestieri che capitassero nel
luogo, e dovessero pernottarci; colla distinzione del motivo perché siano
venuti: in casa di chi rimangono, e per quanto tempo.
XV. Dell’inoculazione del Vaiuolo, e degli Infermi. Vi sarà perciò una Casa
separata totalmente dall’altre in luogo di aria buona, e ventilata, chiamata
dagl’Infermi. In questa ne’ debiti tempi di autunno, e di primavera d’ogni anno
si farà a tutt’i fanciulli e le fanciulle della Società, l’inoculazione del
Vaiuolo. In ess’ancora si trasporteranno tutti coloro, che saranno attaccati da
morbi contagiosi, tanto acuti, che cronici. Per questa Casa vi saranno i suoi
regolamenti particolari, riguardant’il buon governo non solo degl’infermi, ma
benanche l’economica amministrazione. Un Prete tra gli altri assisterà sempre
in
essa per comodo degl’infermi, ed ora l’uno, ora l’altro de’ Seniori del Popolo
tutte le mattine, e tutt’i giorni ne faranno la visita, per vedere, se tutt’è
in buon ordine, se vi è la massima polizia possibile, e se gl’infermi sono assistiti
tanto nello spirituale, che nel temporale colla massima esattezza, e
scrupolosità. I Medici, i medicamenti, le biancherie e quant’altro occorre pel
mantenimento del luogo, e degl’individui, tutto sarà sempre da Me somministrato.
XVI. Maniera di eligere li Seniori del Popolo. L’elezione de’ sopradetti
Seniori si farà, congregandosi tutti i Capi di famiglia dopo della Messa
solenne con tutto il rispetto, e con tutta la decenza nel salone del Belvedere,
per bussola segreta, ed a maggioranz de’ voti, sempre presidente il Parroco.
Dell’elezione se ne farà subito a Me rapporto per ottenere la confirma, ed in
virtù di essa potran godere dell’onorifica distinzione di sedere in Chiesa
nell’altro banco del merito, situato a fronte di quello de’ giovani dalla parte
destra dell’Altare.
XVII. Degli Artisti poveri. Della Cassa di carità, e suoi regolamenti.
Per effetto di quell’amore, ch’è l’anima di questa Società, e per quello
spirito di fratellanza, che a ciascuno di voi deve far riguardare questa Popolazione,
come una sola famiglia, giusto è ancora che se tra voi si trovi in Artista,
privo di moglie e di figli, o con questi, ma non in istato di lucrarsi il pane
per loro, e pel povero padre caduto in miseria o per vecchiaia, o per
infermità, o per altra fatai disgrazia, ma non mai per pigrizia, ovvero
infingardaggine; sia da tutti comunemente soccorso, acciò non si riducano nello
stato di andar mendicando, ch’è lo stato più infame, e detestabile, che sia
sulla terra. Perciò siavi tra voi una Cassa, che chiamerassi della Carità,
dalla qual sian codest’infelici comodamente soccorsi o per tutto il tempo della
vita, o fino a che non sian rimessi in istato di potersi lucrare il pane. Avrà
questa Cassa per fondo un rilascio di un tari al mese, che ogni manifatturiere,
che sia in istato di guadagnare più di due carlini al giorno, farà in beneficio
della medesima; e di quindeci grana al mese, per quelli che guadagnino meno di
due carlini al giorno. Sarà ess’amministrata dal Parroco, da’ Seniori, e da’
Direttori dell’arti, i quali rilasceranno in beneficio della sopradetta Cassa
quello, che più la pietà lor detti. Tutti daranno il voto nel caso di doversi
soccorrere qualche infelice. L’esazione si farà nel seguente modo. Tutti gli
Artisti di qualunque condizione siano, saran descritti in uno Stato. Questo si
affiggerà nell’atrio della Chiesa, dove ogni prima Domenica di mese, la
mattina, dopo un dato segno di campana, che si chiamerà la Carità, si troverà
il Parroco, sempre che possa (o chi egli destinerà degli altri Sacerdoti) a
ricevere da’ medesimi la somma prescritta, che farà notare da ciascuno di
proprio carattere in un libro, che appositamente si terrà. Raccolta la Carità,
si farà la numerazione degli Artisti con la nota, o sia Stato alla mano, e
della moneta pagata in presenza de’ Seniori, e de’ Direttori; e si vedrà, se
tutti hanno adempito al loro dovere. Chi non abbia adempito, si noterà in un
foglio, che si affiggerà in una tabella chiamata de’ Contumaci, che si
sospenderà appresso allo Stato degli Artisti, acciò ogn’uno sappia il
contumace. Chi manca per tre volte, e non purgherà la contumacia pagando
nell’ultima volta tutto l’attrasso, sia cassato dallo Stato sopradetto, e non
goda più né questo privilegio personale in caso di disgrazia, né l’esequie, e
gli altri suffragi, come in appresso si dirà, a spese della Cassa suddetta; su
di che invigileranno rigorosamente i Seniori. Questa Cassa sarà chiusa a tre
chiavi, delle quali una ne terrà il Parroco, un’altra li Seniori, e la terza
finalmente li Direttori. A nessuno sarà mai lecito di disporre di un grano di
essa per altro uso, in fuori di quello detto di sopra, o di quant’altro in
appresso si dirà. Ogni anno fatta l’elezione de’ nuovi Seniori del popolo, si
farà la numerazione del denaro in essa esistente, e se ne farà la consegna a’
nuovi Eletti insiem colle chiavi. Il Parroco, e li Direttori riterranno sempre
le chiavi presso di loro, e solo si renderano indegni di questa prerogativa
coloro, che si mostreranno infedeli verso di essa. Appena entrati in governo i
nuovi Eletti prenderanno i conti dell’introito, ed esito da tutte le
soprammentovate persone, e subito si rimetteranno a Me per poterli far
esaminare, e discutere.
XVIII. Dell’esequie, e de’ lutti.
L’esequie sian semplici, divote, e senza distinzione. Il Parroco, e li soli
Preti del luogo associeranno il cadavere senza esiger’emolumento alcuno. Quando
il cadavere sarà in Chiesa (ciocché non si farà se non venti quattro ore dopo
morto) si farann’ardere d’intorno al medesimo solo quattro candele. Ciascun
Prete celebrerà per l’anima del defonto una Messa letta, ed il Parroco la
cantata. Il cadavere di un Seniore del Popolo, che muoia in ufficio, sarà
associato dal Clero, come sopra, e da tutti i Capi di famiglia, portanti avanti
del medesimo le candele accese in riconoscenza de’ buoni servizj prestati alla
Società. Nella morte finalmente di un Direttore, o di una Direttrice di arti,
oltre il Clero suddetto vi anderanno ad associarli li giovani, e le giovani
discepoli con le candele come sopra. Tanto la spesa per le Messe, che per le
candele sarà fatta dalla Cassa, alla quale tornaranno li residui di queste. Non
vi sian lutti, e solo nelle morti de’ genitori, e degli sposi, per gli ultimi
uffizj dovuti a’ medesimi sia permesso alla tenerezza de’ figli, delle mogli, e
de’ mariti un segno di duolo di un velo al braccio per l’uomo, e di un fazzoletto
nero al collo per la donna per due mesi solo al più.
XIX. Della Patria.
La Patria è la cosa più cara, che siavi sulla terra. Essa ha in custodia la
roba, le spose, i padri, i figli, le madri, la libertà, la vita de’ Cittadini.
Ognuno trova in essa come in un centro, tutte le sue delizie. Tutti dunque
debbono ad essa tutti quegli obblighi, che di sopra si sono a parte a parte
descritti. Ogn’uno deve teneramente amarla. Ogn’uno deve procurarle tutt’i
beni, e allontanarle tutt’i mali. Ogn’uno deve difenderla a costo della roba,
del sangue, e della vita dagl’insulti, e dagli attacchi de’ nemici. Dalla
salute di tutti dipende la salvezza di ogn’uno. Più di tutti però essa esige da
voi nelle occasioni la sua difesa. L’Agricoltore, che deve co’ suoi sudori
cacciar dalle viscere della terra il mantenimento per sé, e per voi, non può la
terra abbandonare. Se per darle soccorso corre all’armi, e gitti il pesante aratro,
egli senza pane priva se e gli altri di quella vita, che cerca salvarsi. Voi,
voi, che per loro vivete, voi avete più stretti, e più precisi obblighi a
difenderla. Se voi dall’arti passate all’armi, l’Agricoltore co’ suoi sudori
sosterrà voi sul campo, e farà vivere i vostri padri, i vostri figli, e le
vostre spose tra i loro teneri amplessi. In vece dunque di menar vita oziosa
ne’ dì festivi, ed esporvi a’ pericoli, dove l’ozio trascina, correte, dopo
aver santificata la festa coll’adempi-mento del proprio dovere, e dopo di aver
nelle ore determinate presentat’i lavori, per riscuoterne la dovuta mercede,
correte, dico, ad esercitarvi nel maneggio dell’armi, che vi sarà insegnato
dalle persone a tal oggetto più adatte, e vi saranno anche de’ premj,
proporzionati per coloro, che in esso si distingueranno. A voi ancora spetta
onorarla in tempo di pace. Come i fiori fanno colla loro varietà ricco ricamo
al verdeggiante prato; così voi colle vostre produzioni restituir le dovete
quel lustro, e quello splendore, che un dì fece invidiarla a tutta Europa.
Capitolo III Degl’impieghi
Io intanto intento sempre a premiarvi, assicuro tutti gli abitanti di San
Leucio, che ad esclusione degl’esteri, essi saran sempre impiegat’in tutti gli
impieghi, che vacheranno nel luogo: preferendosi però sempre fra i pretendenti
il più abile, capace, e di buona condotta. Al nuovo impiegato non si darà, che
la metà del soldo del defonto, quando quello lasci la vedova (con figli che non
siano ancora in grado di lucrarsi il proprio sostenimento) alla quale si darà
l’altra metà. Rimanendo poi la vedova sola, o con due figli almeno, che
guadagnino già due carlini al giorno per ciascheduno, resterà alla vedova il
solo terzo, ed il rimanente si darà al nuovo impiegato, per averlo tutto alla
morte della vedova.
Capitolo IV Degli artisti esteri
Presentandosi Artefici esteri per essere ammessi al lavoro, dopo di aver
esibit’i loro requisiti, o dato le notizie convenienti per farli venire; e dopo
essere stati provati; e trovati abili, volendosi fissare nel luogo, e godere di
tutte le prerogative, e privilegi degli altri abitanti, dovranno per un’intero
anno dar non equivoche ripruove di ottimi costumi, ed assidua applicazione al
lavoro per esservi ascritti; nel qual caso avranno l’abitazione, e gli utensilj
di sopra detti. Non trovandosi poi tali, saranno immediatamente rimandati via.
Capitolo V
Delle pene generali contra i trasgressori Tutte le leggiere mancanze, che si
commetteranno dagli abitanti sopradetti, verranno economicamente punite a
proporzione del fallo.
Ogni minimo accidente contra il buon costume sarà punito con
espellers’immediatamente dal luogo il colpevole, o colpevoli, e
privars’immediatamente il Genitore, o i Genitori per un anno di tutt’i
proventi, e regalie. A chiunque, sia uomo, o sia donna, ardisce mutare in
menoma parte il metodo e la moda prescritta di vestire, sarà immediatamente
proibito vestir più l’abito del luogo; per tre anni sarà considerato
com’estraneo; e sarà privo, come di sopra si è detto, di tutt’i proventi, e
regalie, che dagli altri si godono.
Qualunque altro fallo, che sia suscettibile di pena di corpo afflittiva, ovvero
infamante verrà punito collo spogliars’immediatamente, e con il massimo
segreto, il colpevole degli abiti del luogo, e sarà consegnato alla giustizia
ordinaria. Quest’è la legge, ch’Io vi dò per la buona condotta di vostra vita.
Osservatela, e sarete felici. {Ferdinando IV1789)
«Che allato gli sedete Sposa e Regina» Libretto stampato nello stesso anno
della promulgazione del codice di San Leucio e pubblicato, come quello, dalla
Stamperia Reale, a cura di Domenico Cosmi, ufficiale della Reale Segreteria di
Stato e Casa Reale. All’introduzione indirizzata alla regina Maria Carolina
d’Austria, segue la raccolta di poesie, in italiano, latino, greco, napoletano
e francese, ‘osannanti’ Ferdinando e la sua opera. Molti ài questi poeti
improvvisati, in seguito, saranno colpiti dall’ira del sovrano, perché accusati
di giacobinismo. Un esempio per tutti la illustre gentildonna Eleonora Pimentel
Fonseca (condannata dieci anni dopo a morte dallo stesso re), che in
quest’occasione manifesta, in versi, tutto il suo entusiasmo per la nobile
iniziativa.
Alla
sacra Real Maestà di Maria Carolina d’Austria Regina delle due Sicilie
Signora
Gli elogj di un Re non ad altri, che ad una Persona Reale meritano d’esser
consecrati; ma quelli di Ferdinando IV Re delle Sicilie, scritti in molte parti
d’Italia per le Leggi date alla nascente Popolazione di San Leucio, non ad
altri più degnamente, che alla M.V., che allato gli sedete Sposa e Regina, e
che seco lui dividete magnanima le cure, gl’interessi, e la pace dello Stato. I
talenti dello spirito, e ‘1 carattere deciso del cuore, di cui la Provvidenza
vi ha dotata, vi costituiscono superiormente a tutti nel dritto di ben
intendere l’alta e riposta sapienza, che in quelle poche pagine, sott’un’aria
semplice, contiensi. Formata V.M. sin da’ più teneri anni a regnare; resa spettatrice
dell’eroiche gesta di una Madre, che col valorosa-mente difenderlo, seppe fondar
di nuovo un Impero, ben comprendete tutti gli arcani di quell’arte divina, che
versa sulla felicità delle Nazioni. No, non è ignoto a V.M., che il dover di
ubbidire al suo Sovrano è sempre preceduto dal dover di ubbidire all’Esser
supremo: che i principi immutabili di ciocché è giusto ed equo in tutt’i casi,
è la voce universale della ragione; e che distinguer quello, ch’è più utile ad
un Regno, che ad un altro, forma il più difficile dell’arte di governare. Non è
ignoto a V.M., che ‘1 governo Patriarcale è l’immagin vera del Monarchico:
Che per aver questo su basi sicure ed immancabili, egli è necessario stabilir
quello de’ Padri su’ principi certi, ed indubitati: Che l’educazione pubblica è
la primaria origine della pubblica sicurezza, e della pubblica tranquillità:
Che la buona fede è la prima di tutte le sociali virtù: Che l’uguaglianza è
l’anima generativa di quell’amore, che lega, e stringe i cuori de’ mortali: Che
la sola distinzione nascente dal merito è lo spirito sollevatore delle arti,
dell’industria, e delle scienze: Che le ricchezze inesauste d’un Popolo son
quelle, che vengono dall’agricoltura; e che i germi riproduttivi di questa
crescon sempre a misura, che s’agiti il soffio vivificante di quelle. Sa molto
bene la M.V. ancora, che un comodo vivere facilita i matrimonj, e questi la
Popolazione; e che i Popoli ricchi, e non i poveri, quantunque numerosi, sono i
più forti sulla terra: Che pieno un Regno territoriale di coltivatori, e poste
le terre in tutto il massimo lor valore, allora nascono gli artieri, e gli
opera], e quindi sorge, e germoglia quel commercio, il quale ferma e stabilisce
la felicità, e la potenza di uno Stato: Che ‘1 superfluo è la vera ricchezza di
una Nazione; e che quanto questo è maggiore, tanto più quella divien potente, e
felice: Ch’una libertà indefinita interna di commercio promuove l’industria, ed
anima i Popoli; ma che una malintesa libertà esterna, la quale seco trasporti
parte del necessario, rovina le Società, e gl’Imperj. Sa, che le manifatture
sono l’arte di dar nuove forme a’ prodotti naturali de’ luoghi; e che quel
Regno è sempre più ricco e più potente degli altri, che ha più prodotti a
manifatturare: Che il lusso ben regolato forma lo splendore de’ Regni; ma che
lo sregolato ne prepara, ed accelera la rovina: Che la virtù più sublime del
Trono è la cura del Popolo, e la tutela degli orfani, e de’ miserabili;
Finalmente, che tutti son per natura obbligati a difendere il proprio Principe,
e la propria Patria; ma che ne’ Regni territoriali l’artiere dev’esserlo più
dell’agricoltore, affinchè per le rinascenti ricchezze restin sempre
insuperabili e forti. Tutti questi sono, S.M., i principi, da cui il gran Re ha
tratte le leggi, che ha scritte con quella semplicità, che incanta. Ma non
tutto questo è però ciò, che forma il capo d’opera di quella quanto breve,
altrettanto savia legislazione. È il più gran problema quello: Se gli uomini
saran sempre fra di loro nemici; e se vi è mezzo da renderli fra loro amici, e
quindi beati? Senza invilupparsi questo grande Speculator della natura in
lunghe discettazioni, col mettersi solo a’ fianchi la giustizia naturale, e la
naturale beneficenza, risolve, e stabilisce colla più profonda sapienza, che il
governo, che possa condurre l’intera umanità alla beatitudine di quaggiù, è la
sola Monarchia, in cui il Monarca governi da Padre, e non da Despota. Per
dimostrarlo fonda non per azzardo, o per capriccio, ma con studio, e con
riflessione una Colonia, e da alii di lei Individui una serie di precetti, atti
a regolare tutta l’umanità. Scorra chiunque i secoli più remoti dell’antichità:
legga i codici delle leggi d’ogni Popolo; vegga se v’è stato Legislatore, che
abbia al par di Lui sì ben consultato la natura, e che questa sia egli prestata
a dettargli con tanta compiacenza tutt’i suoi oracoli. Vegga, se v’è stato
altro Legislator sulla terra, che abbia cercato non di moltiplicar gli uomini,
perch’essi sien felici; ma di render gli uomini felici, perch’essi
moltiplichino. Se dunque v’ha, chi ammiri col silenzio, e chi col canto celebri
sì degna operazione, egli è questa una giusta riconoscenza, che la verità
consacra alla giustizia. Io, che testimone sono de’ sensi rispettosi degli uni,
ho creduto mio dovere raccogliere gli encomi degli altri, ed alla M.V., ch’è la
più Gran Regina del secolo, ed a pie del di cui Trono tutta è riposta la nostra
beatitudine, e la nostra felicità, presen¬tarli in segno di rispettoso tributo,
e di dovuto omaggio.
Napoli,
20 Novembre 1789
Di
V.R.M. Umilis. e Devosiss. Suddito Domenico Cosmi
Sonetto
Cinto
Alessandro la superba fronte
Di cento allori sanguinosi e cento,
Mentre dietro traeva alto lamento
Del Nilo debellato, e dell’Orante.
Formar
ampia Città d’eccelso monte
Uom gli propose alle bell’opre intento;
Sbigottì l’ardua impresa il fier talento,
Benché di cose vago ardite, e conte.
Ma
Fernando il Tisate apre e disgiunge,
E nobil terra in su l’alpestre vetta
Fonda, e l’arti vi chiama, e onor le aggiunge.
E
d’innocenza, e di virtù perfetta,
Mentre Egeria più saggia a se congiunge,
Novello Numa, nuove leggi ei detta.
L’arte della seta
«Cento recipienti di soda»
t’architetto Ferdinando Patturelli presenta a don Antonio
Sancio, Amministratore dei Reali Siti di Caserta e San Leucio, lo studio
approfondito dei luoghi, che definisce umilmente «operiamola» e «tenuissimo mio
lavoro». Nel 1826, data di pubblicazione del testo, regna Francesco I di
Borbone, dedito a aggiungere «nuovo splendore e perfezione alle già fondate
opere» dei predecessori.
Io parlo della famosa Colonia di San Leucio, che deve al
genio di Ferdinando la sua esistenza, la sua legislazione e tutte quelle
utilità, che a suo luogo andrem osservando. Nel fondar questa Colonia pensò
Ferdinando d’introdurre fra noi varie manifatture ed industrie, principalmente
quelle della seta, e mise in opera tutta la sua potenza, onde da tali
manifatture risultasse la floridezza della Colonia medesima e di tutto quanto
il Regno. Da questi esempi cotanto illustri non si allontana il presente nostro
Re Francesco, ed egli battendo le orme gloriose dell’Avolo, e del Padre non
solo aggiungerà sempre nuovo splendore, e perfezione alle già fondate Opere,
come ha gloriosamente cominciato a fare; ma delle nuove andrà ancor egli
immaginandone a vantaggio degli amatissimi suoi sudditi….
La Legislazione di San Leucio parto fecondo dell’ottimo
cuore, e del talento sublime del nostro Re Ferdinando, che degnossi vergarle di
suo proprio pugno, sono veramente un capo d’opera, e meritamente han riscossa
l’ammirazione di tutta quanta l’Europa. Esse venner pubblicate pe’ tipi della
Reale Stamperia, la prima volta nel 1789 col titolo Orìgine della Popolazione
di San Leucio, e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti
al buon Governo di essa; e quindi ristampate nel 1816 nella medesima Reale
Stamperia. Il Vescovo di Telese Monsignor Don Vincenzo Lupoli nel 1789 le tradusse
in latino, e pubblicolle con dotte ed erudite annotazioni. D Cav. Don Domenico
Cosmi stampò inoltre un libro ai eleganti componimenti poetici in lode delle
medesime, Leggi Leuciane, e di dedicollo alla Maestà della Regina Carolina
d’Austria di sempre felice rimembranza. In somma chiunque ha parlato del Re
Ferdinando e in vita, e dopo la morte di lui non ha potuto non tributargli la
più larga, e meritata lode per questa Legislazione, che quantunque breve emula,
e forse sorpassa nella saviezza le più famose così fralle antiche, come fra le
moderne.
È questo Real Sito, come si è dinanzi accennato, una Colonia
d’Artisti stabilita nel 1789 dall’Augusto Ferdinando per promuovere fra noi la
manifattura della seta emulando in così nobile impegno il famoso Ferdinando I
d’Aragona, il quale molto si adoperò ad introdurre nel Regno di Napoli questa
sorta di lavoro. In fatti mercé la protezione accordata a questa Colonia, e le
sue Reali largizioni è giunta l’Arte e a gran perfezione; cosicché potremmo non
aver bisogno di manifatture straniere. Il Regal Casino non ancor compito,
meritamente detto di Belvedere, è situato a Mezzogiorno alle falde del Monte
San Leucio in una posizione assai salubre ed eminente fino al segno di guardar
a se sottoposto il Gran Palazzo di Caserta: e siccome resta superiore anche a’
fabbricati della Colonia Leuciana; una maestosa scalinata, che il precede,
eccita il desio di ascendervi. Giunto nel piano si osserva in faccia
l’avancorpo bene architettato, in mezzo al cui primo piano havvi la Chiesa
Parrocchiale fiancheggiata da due belle fontane, ed alle spalle nel basso il
magnifico portone, che forma di fuori il rinchiuso l’ingresso principale a
questo Real Sito ornato a’ fianchi da due lunghi casamenti appellati quartieri
di San Carlo e San Ferdinando.
Nella Chiesa Parrocchiale è degna d’osservarsi la perizia
dell’Architetto Collecini, che da un Salone che era, seppela ridurre all’attuai
forma per voler del Re Ferdinando nel 1776. Nello spiazzo all’Oriente del
suddetto avancorpo, che dovea esser centro del Real Casamento, ritrovasi
nell’alto del fondo la statua del Re Fondatore e singoiar proteggitore
dell’intera popolazione, ed alla sinistra dello spiazzo medesimo si passa nel
cortile del Palazzo. Nel portichetto vi sono attaccate simmetricamente al muro
cento recipienti di soda, per averli pronti in caso d’incendio,
e nell’aia del cortile medesimo il Re ha date in ogni anno delle sontuose
tavole alla intera popolazione, nella circostanza de’ maritaggi, che secondo le
leggi della Colonia hanno luogo nel giorno di Pentecoste. Passando nel Real
Appartamento il curioso osserverà un discreto numero di ariosissime stanze
comode per lo Real diporto, tutte decentemente addobbate, alcune delle quali
hanno de’ belli guazzi nelle volte: ed è meraviglioso l’esteso orizzonte, che
si osserva dalla stanza di questo Real Casino destinata per dormire le LL.MM.-
Dall’istesso Appartamento si fa passaggio nelle varie officine della fabbrica
delle seterie, come Filanda, Incannatorii, Filatorii, ed altro, che sembra
inutile andar minutamente descrivendo; ed è cosa, che sorprende il vedere le
molte, e differenti operazioni, che si fanno nello stesso tempo per mezzo di
macchine tutte animate dal rotone piantato in un sotterraneo al lato
Occidentale del fabbricato, e spinto da un ramo dell’acqua Carolina
appositamente ivi condotta. Un bel Cilindro costruito sopra disegni pervenuti
dalla Francia, si trova all’Occidente del Cortile del
Real Casino. Sortendo poi dallo stesso cortile nel locale a
se incontro ritroverà la disposizione di tutti i telai ed altre manovre della
fabbrica, per comporre ogni sorta di stoffa: e progredendo il cammino più sopra
vi è il locale ove si conservano i bachi da seta chiamata Cocolliera colla
corrispondente stufa, ed un’altra spaziosissima Filanda.
Primaché questa Fabbrica acquistasse tutto il lustro di una
completa manifattura, che ora presenta, nel 1776 ebbe cominciamento dalla
semplice manifattura de’ veli da seta allora molto in uso, che a S.M.
Ferdinando piacque introdurre fra noi chiamando espressamente da Torino il
Direttore Signor Francesco Bruetti. Alquanti anni dopo, bramando il Monarca
medesimo completar la manifattura, e riunirla nel tempo stesso in un acconcio
locale, onde la gioventù guidata fosse puranche nello spirito dal Parroco,
ordinò nel 1786 la costruzione di molte fabbriche, e fralle altre l’ampliazione
del Casino di Belvedere ove ripose l’intero lavorio; e 1 Machinista Signor
Paolo Scotti fatto venir da Firenze sotto la dipendenza dell’Architetto Don
Francesco Collecini distribuì la località e per le macchine, e pe’ telai.
Finalmente nel 1789 S.M. dichiarò Real Colonia siffatto stabilimento dipendente
solo da’ suoi Sovrani comandi; vi formò le Leggi tutte proprie; ordinò che
tutti vestissero uniformi; stabilì le scuole di educazione de’ fanciulli, e
tutto ciò, che attualmente si vede in vigore. Pensò anche il Re di stabilire un
rifugio agli Artisti bisognosi in caso di grave malattia, e ordinò nel 1794 un
progetto grandioso d’un Ospedale all’Architetto Collecini, il quale ne fece
formar anche il modello in legno. La forma dell’intero fabbricato era una Croce
greca, divisa in due piani: i quattro lati della Croce nel piano superiore
servivano a corsee pe’ malati con passaggi laterali: nel centro era situata la
Cappella; e nelle testate le camere pe’ custodi, ed assistenti: nel pian
terreno poi stavano situate tutte le officine per tale stabilimento opportune.
Questa idea piacque molto al Re, e vedrebbesi ora eseguita nel recinto stesso
di San Leucio, se le tante disgrazie avvenute non ne avessero impedita l’esecuzione.
Al presente però trovasi a quest’uso detinato il Fabbricato del soppresso
Monastero di San Francesco di Paola vicino al Real Boschetto di Casetta con un
fondo assegnato di annui ducati 600 di rendita. {Patturelli 1826)
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