San Leucio -- il Sogno del re Ferdinando I di Borbone - La prima colonia socialista dell'era moderna - Seconda Parte : Gli Aspetti Agrari

 








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Indice:
- Superficie agraria originaria del Real Sito di San Leucio – Acquisizione di terreni con permute;
   Quadro riassuntivo delle produzioni del Real Sito di San Leucio;
23. Reali Giardini di S. Leucio –  Il Nuovo Parco – Francesco I di Borbone -  La Casetta di        Delizia  nel Nuovo Parco – Il Monumento Gotico
24. Montagna sottoposta alla filanda;
25. Giardini di San Silvestro;
26. Real Bosco di San Leucio;
27. Vigna della Torretta;
28. Vigna del Pomarello;
29. Vigna dell’Arcone;
30. Vigna del Zibibbo;
31. Vigna di San Silvestro;
32. Vigna del Ventaglio – In una cantina un bottiglia di vino del 1860 – La Vigna per la sua
       Valorizzazione è stata data in concessione alla Società “Tenuta Grande”;
33. La Sparaciaia;
34. Territorio Ulivetato detto “La Calcara”;
35. La Lepreria;
36. Carpineto con il “Capo Retajolo”;
37. Monte Sommacco (ex Montagna della Rocca) e il Monte Tifata – La coltivazione del
      sommacco;
38. Montebriano e Montemajulo (Boschi ed uliveti)
39. Terreni Acquistati:
       a. Montanino;
       b. Montecupo;
       c. Le “Brecce” – “Cagnolillo”;
40. Terreni Acquistati con retrocessione dei censi;
41. Terreni acquistati con denaro contante dal Novembre 1753;
42. Terreni acquistati con permute dal 1753 al 1783;
43.Acquisizione di terreni con permute e riuniti all’Amministrazione Reale di San Leucio durante  l’Occupazione Francese; Acquisizione della “Masseria”  Acquisizione della Montagna di Buonpane al Sommacco;
44. I terreni della Badia di Santa Croce di Caiazzo trasferiti alla Reale Amministrazione di San
      Leucio durante l’occupazione militare francese;
45. I Terreni dell’Abbazia di san Pietro ad Montes trasferiti alla Reale Amministrazione di San
      Leucio in seguito alla Sovrana Risoluzione del 28 dicembre 1795;
46. Fondi Rustici della Reale Amministrazione di San Leucio – Reali Mulini di Montebriano e
      l’officina  per la filatura “de’ cotoni” – Il Marchese di Montinaro (Famiglia De Renzis) –
      L’antica via dei “Pallettoni” a Caserta;
47. Progetto Frutta Antica;
48.  Gli Antichi Vitigni del Real Sito di San Leucio;
        Aglianico – Aleativo – Lacrima – Delfino Bianco (Pergolone d’Ortona ?) –
        Piedimonte Rosso e Bianco (Pallagello Nero e Bianco) – Terranova Rosso –
        Lipari Bianco e Rosso (Malvasia e Corinto Nero) –
        Siracusa Rosso e Bianco ( Pollio, Albanello, Nero d’Avola e Syrah) –
        Uve “Bianche Vernotiche” (Falanghina e Fiano Minutolo)
        Somma (Somma Vesuviana)  Bianche e Nere (Catalanesca. Coda di Volpe, Piedirosso)
        Zibibbo
49. Il Mirto
Altro File su San Leucio:
San Leucio (Caserta) –
Ferdinando I di Borbone e la sua Repubblica Socialista…..
La prima Colonia Socialista dell’era moderna con un primato mondiale nella fabbricazione della seta.

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Ferdinando I di Borbone e il figlio Francesco I, famoso per la sua grande passione per la botanica e per l’agricoltura, fecero di San Leucio un vero Giardino dell’Eden. Rigogliose vigne, frutteti, oliveti, (l’antico Monte Briano, Montebriano e Montemajulo, presentava centinaia e centinaia di piante d’ulivo), una sparaciacia  che fu coltivata per un paio di anni, i Boschi rigogliosi con numerose piante di castagno, i terreni seminativi, davano della colonia un aspetto decisamente da favola. Le risorse idriche erano costituite da un acquedotto che, sfruttando le sorgenti presenti sul Monte Briano o San Silvestro, costeggiava  il casino di San Silvestro giungendo a Belvedere e proseguiva per la Vaccheria solcando il Monte San Leucio. Accanto  al Belvedere  era presente il Giardino Reale, costituito da piccoli stacchi di terreno a pianta quadra, progettato dal giardiniere Graefier  progettista ed esecutore del Giardino Inglese della Reggia.  Solo un piccolo quadrato di terra , posto a sinistra del Belvedere, era piantato a fiori ma gli altri erano arricchiti da centinaia di piante da frutta e all’interno  dei quadrati, posti a quote diverse, delle fontane. Un giardino che potremo definire mediterraneo e che si contrapponeva al Giardino Inglese ricco anche di  piante rare ed esotiche. Le piante fruttifere, le viti, gli olivi, erano importanti per il benessere della Colonia, animata da un grande rispetto dell’ambiente, a tal punto che  venivano nei censimenti e descrizioni enumerate con alta precisione specificando anche le piante piantate da poco o quelle che erano deperite o addirittura morte.
Per rispondere alle esigenze agricole del territorio lo stesso Ferdinando I vicino alla cascata del Giardino Inglese  costruì un Mulino e un frantoio.
Oltre al Monte San Leucio,  occupato da fitti Boschi e successivamente anche da una piantagione di Mele, era presente il Monte Sommacco  che era destinato a Riserva di caccia. Sul Monte Sommacco, un tempo chiamato Montagna della Rocca,  il sovrano permise al Barone siciliano Zappini di impiantare un sommaccheto la cui pianta veniva utilizzata per la concia delle pelli e come tintoria. Fece costruire sul Monte anche un edificio destinato alla  lavorazione del relativo prodotto. Ogni fondo veniva indicato con un nome e in mancanza di muri delimitato da pilieri in travertino.
Le vigne  avevano dei vitigni pregiati ed erano allevate all’uso siciliano cioè ad alberello mentre in alcune zone erano maritate agli olmi, ai cerri, pioppi ed anche alle querce. Un tipo di coltura che è ormai scomparsa da tempo e che caratterizzava la coltivazione con il nome di “vite maritata”.
La mia ricerca inizia con una schematizzazione sugli aspetti agrari del territorio iniziando dal momento in cui il feudo di San Leucio passò ai Borboni per poi evidenziare gli ampliamenti che si susseguiti sia con acquisti di altri fondi o con permute.
Alcuni fondi sono stati identificati e riportati nel disegno grazie all’esistenza di muri mentre per altri l’identificazione non è facile perchè vennero indicati nei censimenti con indicazioni sommarie e con i nomi dei confinanti.
Ferdinando I di Borbone era un grande appassionato di viticoltura, alcune viti erano molto apprezzate dallo stesso sovrano, e l’architetto Vanditelli condivise  la passione reale creando un vero e proprio istituto di ricerca di viticultura attraverso il censimento, studio e valorizzazione dei vitigni. La bellissima vigna del Ventaglio fu progettata dall’architetto.
Descriverò solo alcuni fondi, quelli più importanti
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Superficie  Originaria  del Real Sito di  San  Leucio

Nome del Fondo

Superficie

Mq

Superificie

Regno di Napoli

Moggio – passi - passitelli

Giardini di S. Silvestro

7.708

 

Vigna della Torretta

32.202

 

Vigna del Pomarello

5.928

 

Vigna dell’Arcone

27.581

 

Vigna dello Zibibbo

16.812

 

Vigna di S. Silvestro

54.864

 

Vigna del Ventaglio

30.380

 

Territorio del Rosario

35.631

 

La Sparaciaia

9.533

 

Giardino vicino la Sparaciaia

847

 

Giardino Nuovo dietro Quartiere San Carlo

 

6.775

 

Uliveto la Calcara

37.341

 

Territorio dirimpetto la Vaccheria

 

25.985

 

Territori Seminativi “Parco delle Vacche”

 

26.203

 

Lepreria

76.592

 

Piantagione Mele

Nel Bosco

 

81.297

 

Piantagione mele

Fosso Gradillo

20.158

 

Montebriano e Montemaiolo

111.783

30.486

62.579

 

Carpineto

45.180

 

Quercione

51.619

 

Uliveto vicino corpo di guardia alla Cascata

3.146

 

Totale

1.656513 mq

=

166 ha

 

Il Bosco “San Leucio” ha una superficie (al netto dei meleti)

di

 

 

185 ha

 

La Superficie originaria del Real Sito “Colonia di San Leucio “ era di circa 351 ha.

Acquisizione  di terreni con permute

Nome del Fondo

Superficie in mq

 

Masseria Ferrari

410.000

 

Dognolillo

117.560

 

La Croce

28.849

 

Montagna Buonpane

187.660

 

Terreno contiguo alla Montagna di Buonpane

20.663

 

Ponte Sala

9.259

 

 

Fosso dell’Arena

 

5.499

Terreno acquisito per la creazione di una fagianieria che non fu mai realizzata

Totale

779.490 mq

 






Quadro  Riassuntivo delle produzioni nel Real Sito 

Pianta

Numero

Produzione

Produzione

Note

Limoni

164

 

 

 

Arance

201

 

 

 

 

 

 

 

 

Frutta

347

 

 

Pera – Mela – Pesca – Prugna – Altra Frutta: non distinta e piantate nei Giardini Reali accanto al Belvedere

Pere

256

 

 

Di cui 74 nel Bosco di S. Leucio

Pesche

139

 

 

 

Crimosole

(Albicocche)

 

79

 

 

 

Mele

581

 

 

Di cui N. 505 nel Bosco di S. Leucio

Prugne

43

 

 

 

Percoche

64

 

 

 

Fichi

244

 

 

*

Un numero considerevole di piante di Fichi si trovava nell’ultimo settore dei Giardini Reali.  Settore che fu diventò, in parte, “boschetto di amarene e melograni”, di cui non si indica il numero delle piante

Amarene

148

 

 

*

Melograni

4

 

 

*

Cirriegge

Ciliegie

 

87

 

 

 

Sorbi

6

 

 

 

Noci

2

 

 

 

Castagni

1000

 

 

Solo sul Monte Sommacco

Non si riporta il numero di Piante presenti sul Monte San Leucio e che doveva essere considerevole.

Gelsi

899

 

 

(di cui 360 piante mostravano una crescita stentata perché messe a dimora in un luogo non adatto)

Ulivi

2310

10 cantaja

 

891 kg

891/0,92 =

968 litri di olio

 

Produzione parziale riferita solo agli uliveti di Monte Montebriano e Montemaiulo

Viti

61364

428 barili

 

18670 litri

Produzione  Parziale

Mirtella

(Mirto)

 

60/70 cantaja

5346/6237 kg

24/28 litri

Per 1 litro di olio essenziale ci vogliono circa 225 kg di pianta


Amarena “Grotte”

All’interno del recinto di San Leucio erano quindi presenti delle coltivazioni che rendevano l’area autosufficiente: olivi, alberi da frutta, agrumi, gelsi, cotone, granoturco. Era presente  anche l’allevamento zootecnico con bovini ed ovini ed una fabbrica di maccheroni. I boschi erano ricchi di selvaggina e nel 1885 il patrimonio boschivo era suddiviso in:
-          950.000 querce;
-          250.000 elci;
-          200.000 carpini bianchi e neri;

-          50.000 aceri;
-          15.000 corbezzoli;
-          6.000 cerri;
-          1.000 castagni
Nel territorio si univano in maniera perfetta esigenze venatorie ed attività agricole. Non era un luogo di ozio ma un’azienda agricola perfettamente integrata nel territorio e rispettosa dei ritmi della natura. Ferdinando IV riuscì nel suo disegno anche se non ebbe il tempo di completarlo.
Fu una grande utopia ma  oggi non rimane nemmeno quella malgrado la buona volontà di organizzazioni sociali che cercano di salvaguardare il territorio spesso colpito da violenti incendi e da atti di vandalismo.
-          Barile  - Prima del 1840 il barile, nel Regno delle Due Sicilie, corrispondeva a 60  caraffe di botte = 66 caraffe di vendita a minuto ed era uguale a 43,62 litri.

-    Cantaro o Cantajo. Il cantaro napoletano, sin dal 1480, era composto da 100 rotoli ed era equivalente a 89,10 kg.
La mia ricerca si riferisce ad un censimento antecedente al 1840. Successivamente la legge del 6 aprile 1840, n, 6048, stabilì che per la misurazione di alcuni liquidi (come il vino, l’aceto e l’acqua) si facesse uso del solo barile di Napoli considerato come unità e diviso in 60 caraffe (di once 27,143 ossia 814,3 trappesi = 725,539 grammi). La capacità (o cubatura) del barile legale di Napoli, dopo il 1840, valeva 43,625030 litri pari ad un peso d’acqua distillata di 48,858 rotoli ovvero 43,532331 chilogrammi

23. Reali  Giardini  di  Belvedere

Questi amenissimi giardini,  siti nella parte occidentale del Real Casino di Belvedere, si trovano divisi in diversi piani, che hanno tra essi un camminamento interno per mezzo di apposite scalette di travertino, garantite da ringhiere di ferro.
Il giardino, in cui si coltivano scelti fiori, è il primo che si vede nella parte inferiore, esso è di figura rettangolare, ed è il più piccolo di tutti.
Viene poscia in sito più alto il giardino detto degli agrumi, circondato da ventidue piante di aranci, e rivestito di altre cento diciotto grosse piante della stessa specie messe con regolare simmetria.
Questo giardino fornito di ringhiere di ferro dalla parte di mezzogiorno, ha la figura di un quadrato, nel di cui mezzo evvi una colonna, dalla estremità della quale  sorte una graziosa zampollina di acqua.
Si può entrare nel medesimo anche per mezzo di una porta munita di cancello di ferro che sporge nel piccolo spazio ad occidente del Real Casino.
Si sale in seguito ad un secondo quadrato fornito di fontana,  vi è in esso una spalliera con ventitre alberi di agrumi, e vi sono inoltre  centocinque alberi di pera, di pesche, di mela e di altre frutta, e si coltivano erbe di ogni sorta. Nel mezzo del lato orientale di questo quadrato evvi una porta con cancello di ferro grande, e con una scala ornata di ringhiere di ferro. È questo l’ingresso principale ai giardini, ed è situato nel piano rimpetto alla linea dè portoni del Real Casino.
Da questo secondo quadrato  per breve scalinata interna si giunge ad un terzo, nel quale vi è una spalliera con trentacinque piante di limoni. Vi sono inoltre novantadue alberi di ottime pera, di pesche, e di altre frutta.
Nell’angolo a sinistra di questo giardino evvi una piccola porta per la quale si passa al parco.
Più in alto evvi un quarto giardino a rettangolo, in cui si vede una spalliera con quaranta piante di limoni; vi sono inoltre cento quattro alberi di pera, di prugna, di pesche e di altre frutta.
Nella estremità a dritta di questo rettangolo  evvi una porta riservata alle sale delle Persone Reali, per la quale si va’ a’ Reali appartamenti. Vi è inoltre nel centro una vasca per lo inaffiamento.
Si sale in ultimo a due giardinetti che compongono una figura quasi rettangolare. Nel primo di essi vi è una spalliera con venti piante di limone, e ventitre di altre frutta. Nel secondo ch’è più alto, e nel quale si giunge per mezzo di una scaletta, evvi un'altra spalliera con ventuno piante di limoni e ventitre di altre frutta. Evvi pure la gran vasca, nella quale entra la copiosa quantità di acqua, che poi si spande per i giardini sottoposti, e va altrove. Vi è pure su questo sito una porta munita di cancello di legname, per la quale si esce nel parco.
Al di sopra di tutti questi giardini esserne un altro detto di fichi, il cui piano corrisponde a quello de’ tetti del Reale appartamento, ma questo giardino si è ora riunito al parco, ed è divenuto boschetto di granati ed amarene.
La coltivazione di questi giardini è la migliore che può desiderarsi.

 




La Reale Amministrazione, oltre del soldo, corrisponde al giardiniere D. venticinque al mese per tutte le spese di manutenzione. Egli è obbligato di spedire gli erbaggi e le frutta più squisite per uso della Real mensa tanto d’esta’ (estate) che  d’inverno e ritiene a proprio conto tuttociò che non è degno  di esser presentato alle Persone Reali
La estensione di questi giardini, presa tutta insieme , pul ragguagliarsi a moggia  tre circa.
Fondiaria
Trattandosi di terreni addetti a delizie Sovrane non sono compresi nei ruoli di fondiaria.




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Nuovo   Parco

Fra il muro che chiude il Bosco nel lato meridionale, ed i Reali Giardini, le vigne e gli altri terreni, che giacciono nella parte inferiore, intercede uno spazzioso terreno, come una zona, la quale prende capo dal cancello di S. Silvestro e termina in quell’angolo del bosco, ov’è una porta che dicevasi de’ vermi.
Tutto questo terreno, messo fuori del recinto del bosco per non alterare la regolarità del muro che lo circonda,  era interamente boscoso, e non serviva ad alcun uso.
S.M. Re Francesco( nell’anno 1826), osservando questo sito, ne vide tutta la bellezza, e comandò che una parte di esso, e precisamente quella, che incomincia dal cancello che sta al di sopra della nuova filanda, e termina alla porta de’ vermi, si fosse  ridotta ad un parco di delizie; diradandosi il bosco ne’ luoghi più fitti, stabilendosi de’ gruppi di scelte piante ove la opportunità lo additasse, e formandosi delle praterie nelle diverse pianure a declivio.
Questi ordini del Re sono stati  eseguiti ed il nuovo parco gareggia colle bellezze de’ giardini Inglesi.


Francesco I di Borbone
(Napoli, 19 agosto 1777 – Napoli, 8 novembre 1830)

Francesco I (Gennaro Giuseppe Saverio Giovanni Battista) di Borbone  fu definito da qualche storico come il “re invisibile£ rispetto alle figure del padre Ferdinando I e del successivo erede al trono Ferdinando II. Una figura che venne trattata solo superficialmente dalla storiografia per quel suo disinteresse per gli affari politici.
Non amava apparire in pubblico e le sue grandi passioni erano la botanica e l’agricoltura che studiò sempre con grande passione per tutta la vita.


Napoli nel Settecento era un centro molto vivace nel capo della botanica tanto da ospitare molti studiosi del settore tra cui Vincenzo Petagna e Michele tenore che fu il primo direttore dell’Orto Botanico di Napoli.
Famose nel giornate del Sovrano che passava le sue giornate negli orti assieme agli insigni studiosi.
Francesco I, suo malgrado, fu quasi costretto ad assistere il padre Ferdinando I nelle attività politiche. La morte del fratello Carlo Tito, avvenuta in tenera età, aveva quindi fatto cadere su Francesco I il peso della  discendenza al trono.
La sua passione per botanica lo portò anche a scrivere diversi trattato scientifici sull’agricoltura e sulla botanica.
Un piccolo trattato sulla Istruzione per la coltura della pianta del cartamo sembra che si sia conservato.


La famiglia di Francesco I, un quadro regalato al padre in occasione del suo sessantesimo onomastico
Da sinistra a destra: Maria Isabella di Borbone-Spagna (seconda moglie di Francesco I), Maria Carolina Ferdinanda, Maria Antonietta granduchessa di Toscana, Luisa Carlotta, Maria Cristina regina di Spagna, Ferdinando II, Maria Amalia, Francesco I, Carlo principe di Capua e Leopoldo conte di Siracusa

Il giovane fu ben presto  al costretto ad abbandonare i suoi sudi botanici per volere dei sovrano e costretto quindi a partecipare  alle riunioni del Consiglio di Stato alle quali assisteva in rigido silenzio e di malavoglia.
Quando Napoli passò ai Francesi gli furono affidati degli importanti incarichi governativi in Sicilia.
Nella rivoluzione del 1820 Francesco I si schierò contro il padre in occasione del primo parlamento d’Italia. Francesco I si schierò a favore dei moti carbonari che chiedevano una monarchia costituzionale ma non volevano cacciare i Borbone.
Il padre Ferdinando I non fece nulla e partì per l’Austria per un affare segreto subito dopo aver giurato sulla Costituzione.
Poco dopo ritornò in Italia a capo di un esercito di 50.000 soldati per invadere Napoli e riprendersi il trono mandando a morte tutti i rivoltosi. Mise nella strana posizione di erede al trono e capo provvisorio di uno stato invaso proprio il figlio Francesco I che diventò re nel 1825 dopo la morte del padre.
Il giovane sovrano non riuscì a svincolarsi dal domino che gli Austriaci avevano a Napoli  e finì nella rete dei complotti  della nobiltà napoletana che temeva di perdere i privilegi a causa delle simpatie liberali del re. L’atteggiamento della nobiltà lo costrinse ad assumere un atteggiamento crudele, contrario al proprio carattere, che finì con lo scontentare non solo la nobiltà ma anche gli intellettuali che lo avevano appoggiato politicamente. Alla fine decise di ritirarsi dalla vita politica lasciando di fatto il governo ai suoi ministri e dedicandosi alle sua antiche passioni botaniche nel Real Bosco di Capodimonte che erano gestiti dal botanico tedesco Friedrich Dehnhardt, amico dello stesso re. Questo abbandono della politica portò ad eventi tragici come la repressione delle rivolte nel Cilento del 1828 quando il marchese Ferdinando Del Carretto fece radere al suolo la città di Bosco e fucilare tutti i rivoltosi senza aver avuto alcun consulto con il re.
Gli unici affari in cui interveniva erano le questioni culturali e sulle infrastrutture come in Calabria dove molte arterie stradali, ancora esistenti, furono costruite dal sovrano borbonico.
Tra gli eventi culturali la nascita della “Biennale Borbonica” che fu inaugurata il 4 ottobre 1826 nel giorno del suo onomastico a Napoli (prima con cadenza annuale poi biennale).
Gli successe il figlio Ferdinando II che, rispetto al padre, aveva un carattere più esuberante.
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Serbandosi la natura in tutto il suo andamento, si è piantato ciò che l’arte suggeriva per rendere il luogo veramente delizioso.
Si sono aperti de’ stradini ne’ siti opportuni, e si è aggiunto ciò che serve all’ornamento di un  luogo Reale.
Due graziosi edificj messi ne’ punti di vista più importanti,  compiono la bellezza di questo Parco.
Esso viene rallegrato da una cascata di acqua, che sorte quando il bisogno o la circostanza lo richiede dal piano inferiore di uno de’ due indicati edificj.
Finalmente trovasi pure aggregato a questo Parco il giardino de’ fichi, asservito oggi a boschetto di granati e di amarene, ed il delizioso sito detto il Tosello, che presenta uno de’ più bei punti di veduta, che offre Belvedere.
La estensione di questo Parco può ascendere a circa moggia



Casetta  di  Delizia

Nel Nuovo  Parco

Erasi amena e ridente la posizione di questa casetta, essa è posta nell’alto al di sopra del Parco, che resta alle spalle del Real Casino di Belvedere e domina un assai esteso orizzonte.
È di forma rettangolare, la sua primiera costruzione di contemporanea a quella del condotto che dalla cascata grande mena l’acqua a Belvedere, per regolare in detto punto l’acqua medesima secondo il bisogno.
Il tempo del decennio fu alzato il secondo piano ad uso di guardia.
Non ha guari per comando dell’Augusto Re Francesco si è questa fabbrica ridotta nello stato attuale, che è il più gajo che poteva ivi farsi.
Una scaletta  semicircolare a due braccia nella parte di mezzogiorno, ed un'altra di pochi scalini dritti nel lato opposto sulla strada rotabile del formale, anzidetto  introducono a questo piccolo fabbricato, il quale si compone di due piani, ciascuno di una stanzetta, e  passaggi laterali, con loggiato scoverto al si sopra.
In mezzo alla  stanza del pianterreno è situato un recipiente di marmo a guisa di bagno con caduta d’acqua, racchiusa da ringhiera di ferro.
La stanza superiore poi, a cui si ascende per idonea scala, è fornita di tuttociò che può servire ad un delizioso trattenimento.
Finalmente altra scala simile alla già descritta porta comodamente al piano della loggia scoverta.
Tutto l’interno e l’esterno del fabbricato è abbellito con molta vaghezza secondo l’antica usanza Romana ed è fiancheggiato da due pensili giardinetti egregjamente disposti. Da’ singolare ornamento a questa piccola fabbrichetta l’acqua perenne che vi è portata dal citato condotto.
La qualcosa ha dato luogo  all’immaginazione di una fontana con getto verticale al lato destro di chi guarda la casetta, e di una graziosa cascatina costrutta in piè della stessa verso il basso con artefatta scogliera.
È stata ultimata questa casetta nell’anno 1830.

Casetta delle Delizie con il muro di cinta del bosco e la strada “del formale”.
La condotta idrica costeggiava il muro

Monumento  Gotico

Nella fine del  Nuovo  Parco

Un monumento costrutto all’usanza Gotica.  Da un semplice coverto a tetto che era, e che accompagnava lo ingresso del Real Bosco per mezzo di una piccola porta,  che dicevasi porta de’ vermi, è stato ridotto nel 1830 allo stato attuale per qualche fermata degli Augusti Personaggi della Real Famiglia.
Una doppia scalinata circolare con  alternative scalette dà l’ingresso a questo monumento. Le annose querce, che lo circondano, gli fanno assai bello accompagnamento, e producono tale graziosa illusione nell’animo dello spettatore,  che tel fanno credere veramente antico. Questa fabbrichetta presenta ogni maniera d’ornamenti di stile Gotico.




24. Montagna Sottoposta  alla  Filanda

  Detta  delle  Pallotte

Poggia la grande filanda de’ cipressi su di un piano istabilito a forza di penosi travagli nella falda della montagna, sicche sembra che sia una separata collina.
Era questo luogo ripieno di spine, e di piante silvestri, in modo che nulla offriva di delizioso.
Or tutta questa falda si è ultimamente rivestita di piante artificialmente rotondate, e di fiori; e nel di lei piano superiore, ov’è la indicata filanda,  si sono fatti de’ graziosi scompartimenti contornati ed arricchiti parimenti di fiori.
Diversi stradini tracciati con arte conducono ad alcuni ameni punti di veduta, che si godono da questo luogo, e che sono stati segnalati con sedili ed altri inviti (tutti questi abbellimenti sono stati eseguiti dall’anno 1822 al 1827)
Nel piano inferiore di questa falda mette capo la novella strada carrozzabile la quale, circuendo questa montagna, e quindi il parco, conduce al bosco, imboccando nella strada detta del formale.
Un tratto ben considerevole di terreno montuoso rimane ancora alla sinistra di questo sito,  protraendosi fino alla vigna del ventaglio.
Esso è rivestito di alberi silvestri e di molti piedi di ulivo che sono stati ultimamente innestati. La natura del suolo non permette migliore colture, ed altronde ogni altro cambiamento distruggerebbe la varietà, che forma il migliore pregio alle delizie di S. Leucio.
 

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25. Giardini di San Silvestro

Al di sotto dello spiazzo, messo nel piano del Real Casino di S. Silvestro, vi sono alcuni giardini ne’ quali si coltivano scelte verdure per la Real mensa.
Vi si trovano pre degli agrumi, ed alberi da frutta di diverse specie.
Essendo questo sito in forte declivio,  siche riusciva difficile la coltivazione diligente delle terre, fu d’uopo dividere i giiardini in tre ripiani, ossia listoni, uno sovrapposto all’altro. In tal modo rimangono essi bene condizionati, e sono suscettibili dell’opportuno inaffiamento per mezzo di canalette  accomodati al terreno.
Si entra in questi giardini per mezzo di una cancelletto di ferro posto nell’anzidetto spiazzo del Casino di Silvestro.
Nel livello medesimo dello spazio a mano dritta  evvi poi un quadrato in piano, che fiancheggia superiormente gli indicati giardini, de’ quali fa parte.
Si coltivano in questo quadrato diversi alberi da frutta, e specialmente delle amarene.
La estensione di tutti questi giardinio può calcolarsi per  moggia due, passi otto e passitelli otto. (7.708 mq = 77a, 08 ca).
Gli alberi che vi si trovano sono i seguenti:
nei tre lastroni vi sono 60 piante di pere, 60 di pesche, 30 di crisomole (albococche), 15 di mele, 15 di prugne, 29 di limoni e 42 di fichi.
Nel quadrato poi si contano solo N. 120 piante di amarene



Oggi Oasi WWF bosco di San Silvestro


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26. Real Bosco di  S. Leucio

La montagna precisamente detta di S. Leucio, rivestita di alberi quasi tutti silvestri, forma il bosco che veniamo a descrivere. Esso pervenne alla Real casa come parte integrale dello Stato di Caserta, acquistato coll’istrumento del dì 29 agosto 1750 per mano di Notar Ranucci.
Il suolo di questa montagna è di pietra calcarea, coverta quasi da pertutto, e specialmente né lati di occidente e settentrione, di fertile terriccio, che dà luogo ad un attiva vegetazione. Gli alberi, che vi prosperano, sono gli elci (lecci), le querce, gli orni, i carpini, il castagno, ed i sorbi. Vi prosperano ugualmente in alcuni siti gli ulivi, le mela, le cirrieggia, ed altre frutta.
Evvi per quantità copiosa di mirtelle, di lentaggini (Viburnum tinus), di siringhe (syringa vulgaris), di rosmarino, di rose silvestre, e di tutte quelle piante che formano l’ornamento di boschi messi a delizia.
La parte settentrionale di questo bosco era ne’ tempi antichi sparsa di diverse partite di selve cedue castagnali, le quali vegetavano assai bene ne’ siti di declivio.
Andiedero le medesime a dividersi alquanto: ma ora, per ordine di S. M. il Re Francesco, si rinforzano, e si moltiplicano specialmente ne’ luoghi ove la qualità del terreno ne permette la coltura.
Ne’ tempi Baronali  si profittava di tutte le piccole pianure, o almeno dei declivj per seminarsi delle derrate: ma, aggregato il bosco alla Real Casa, si conservò solo una parte di terreni, che si trovavano messi a coltura nelle falde meridionali, e furono di nuovo rimboschiti tutti gli altri messi nelle rimanenti parti del tenimento. Allora fu che, addetto assolutamente il bosco alla caccia de’ cinghiali,  venne costruito un muro, che lo separò dalle terre coltivate, e da diverse porzioni boscose messe al di sopra ed a fianco dei giardini, e delle vigne e questo muro isteso, protratto negli altri lati, chiuse interamente il bosco in tuttoil suo perimetro.
Gli avvenimenti del 1759 determinarono S.M. il Re Ferdinando a spedire i cinghiali nella Sicilia, sicche il bosco rimase libero da caccia.
Ci furono immessi  col tratto del tempo pochi caprj, ma essendosi sperimentati novici alle piante nell’anno 1822 vennero distrutti.
Finalmente nel 1826 piacque a S.M. il Re Francesco di popolare nuovamente il bosco di cinghiali, e comandò che ne fosse venuta da Sicilia una corrispondente quantità, la quale ha prosperato, ed offre attualmente ai nostri Augusti Sovrani una soddisfacente caccia.
In tal riscontro furono ristorate le mura del bosco, che in diversi punti si trovavano in stato rovinoso, e furono pure levate ad una giusta altezza le mura messe nel lato meridionale, che nel tempo della occupazione militare erano state ribassate.
Prima di questa epoca, e precisamente nel 1800, nella idea che più non dovesse questo bosco servire per caccia, si pensl che util cosa fosse di stailire in alcuni siti opportuni delle piantagioni di alberi da frutta, ed in ispecialità di mela, e di ciriegge.
Queste piantagioni situate, una nel declivio della parte settentrionale, e l’altra nel luogo denominato il fosso di Gradillo, la prima molto vasta, e la seconda di mnore estensione, ebbero un buon successo: ma la circostanza di essersi ripristinata la caccia de’ cinghiali,  cosa affatto incompatibile colla coltivazione degli alberi da frutta, va ad operare col tratto de tempo la distruzione delle piantagioni istesse; le quali verranno rimpiazzate da alberi di castagno in  aumento delle selve ch’esistono.
Nondimeno non non mancheremo di descrivere queste due piantagioni nel corrspondente articolo de’ territorj redditizj.
Deve in ultimo notarsi, che è stato recentemente aggregato al bosco un terreno che nel tempo della ocupazione militare era stato addetto a coltura, e che chiamavasi parco delle vacche. Ora si è dato opera a rimboschire questo pezzo di terra, mediante la piantagione di semi di elci, e di castagne.
Fin dall’epoca, in cui furono per la prima volta immessi gli animali selvaggi nel bosco, vi furono stabilite le così dette mene, che furono tante partizioni per la caccia.
Queste mene sono state conservate in quanto alla loro denominazione, e vanno sotto il nome di mena di lepre, mena di valloni, mena del casino, ossia scerata, mena della lupara, mena di Belvedere soprano, mena di Belvedere sottano, mena di Gradillo, mena di costaliscia, mena delle fontanelle, e mena dell’arco.
Attulamente i siti opportuni, addetti per le poste delle Persone Reali e di Cavalieri nelle caccie, sono ridotti a tre volgarmente denominati civi quanti sono i luoghi, ne’ quali si somministra il cibo ai cinghiali.
Sono un Gradilo, il civo detto di mezzo, e quello chiamato Fontanelle. In ogni civo vi è un casotto per la  conserva del granone.
Abbondanti acque arricchiscono questo bosco. Esse partono dal  torrino della Cascata per mezzo di un formale il quale, il quale traversa il tenimento di S. Silvestro, e quindi s’immette nel bosco istesso, circuendolo per tutto il lato di mezzogiorno fino alla vaccheria. Da questo punto l’acqua per camino scovero passa negli altri siti, e riempie i diversi abbeveratoj stabiliti per i cinghiali.
Ha questo bosco diverse porte, e cancelli messi in varj siti, che noi accenneremo.
Vicino al cancello di S. Silvestro evvi quello che introduce nella strada detta del formale. Al di sopra della Vigna del Ventaglio evvi una piccola porta, per la quale si sorte al novello pagliajo.  Qui evvi il cancello, che dà communicazione al nuovo parco, e cu cui si discende al piano di Belvedere.
Seguendo per la stessa linea evvi un’altra porta, per la quale si sorte alla nuova torretta che domina il parco.
Indi evvi un'altra porta, per la quale si esce nel parco istesso denominata anticamente porta de’ vermi, ove attualmente si è stabilito un monumento gotico.
In seguito evvi altra, piccola porta, che corrisponde alla strada, che da Belvedere conduce alla Vaccheria; quale porta è inserviente al luogo, ove si dà il cibo ai cinghiali detto civo di mezzo.
Si è inoltre un’altra porta con cancello che marca il fine della strada del formale, e per la quale si sorte alla Vaccheria.
Salendo sull’antico casino evvi un altro cancello, che da’ principio alla strada detta di mezzo.
Calando giù vi è il portone detto di Gradillo, per quale si sorte alla pianura detta di sazzano, ed alla strada di Cajazzo.
Finalmente, salendo dal lato orientale evvi la porta, per la quale si va alla strada di Morrone, ed in fine evvi il cancello detto dell’Arco.
Esiste poi un altro piccolo cancello che detta strada dell’antico casino mena al civo di Gradillo.
Varie sono le strade che rendono praticabile questo bosco.
Evvi in primo luogo la strada detta del formale, la quale è divenuta ultimamente carrozzabile. La medesima prende capo dal cancello contiguo a quello di S. Silvestro, circuisce tutta la parte meridionale della montagna, e rimane alla Vaccheria.
In questo punto communica  colla strada esterna, che conduce all’antico Casino di S. Leucio.
Quivi viè un cancello per mezzo del quale si entra in un'altra strada ugualmente carrozzabile detta di mezzo: questa strada, costeggiando la parte settenrionale del bosco, conduce al cancello dell’arco e quindi a quello ov’entra il formale.
A buon punto per mezzo di queste due strade messe allo stesso livello, può colla maggiore commodità farsi l’intero giro del bosco.
Evvi poi un’altra strada detta della piantagione, la quale  somministra il vantaggio di girare anche con carrozze la parte inferiore del bosco dal lato orientale e settentrionale.
Incomincia questa strada dalla porta messa al di sotto del cancello dell’Arco, traversa la piantagione delle mela, costeggiando tutto il vallone della lupara, e mette fine nel portone di Gradillo.
Fra questa strada inferiore e l’altra detta di mezzo, che è superiore, evvi communicazione mediante una stradetta ripida denominata delle tredici voltate, la quale è tragittabile con cavalli, o al più con  carrozze di giardino.
Vi sono inoltre altre strade di commodo per giungere alle poste Reali, e ve ne sono parimenti due altre picciole per uso de’ Guardacaccia, una che accompagna il muro nel lato di Gradillo, e l’altra, che dall’antico Casino di S. Leucio conduce alla  porta così detta de’ vermi.
Filalmente per giungere alla torretta denominata il Castelluccio, che è sull’apice della montagna, e di cui a suo luogo rapportiamo la pianta colla conveniente spiegazione (?), vi sono due piccole strade, una alla parte di mezzo, detta delle cento voltate, tragittabile solo a cavallo: l’altra dalla parte dell’antico Casino meno ripida, e tragittabile anche colle carrozzette da giardino.
 


Le strade presenti nel boscoIl bosco  secondo la seguente partizione

-          Gradillo e  Parco delle vacche ripartiti in due tagli. Il primo nel 1833...il secondo nel 1834
-          Costaliscia divisa in due tagli. Il primo nel 1835, il secondo nel 1836;
-          Fontanella in due tagli. Il primo nel 1837, il secondo nel 1838;
-          L’Arco ripartito in due tagli. Il primo nel 1839, il secondo nel 1840;
-          Lupara in due porzioni. La prima nel 1841, la seconda nel 1842;
-          Mena Serrata nel 1843;
-          Mena Sottana in due tagli. Il primo nel 1844. Il secondo nel 1845;
-          Mena Soprana nel 1846;
-          Mena de’ valloni nel 1847.
Diversi altri pezzi di bosco nell’interno, ed esterno del muro, detti mena de lepri, boschetto 
contiguo alla Vigna del ventaglio, ed il resto del parco delle vacche, ove si sta formando la nuova 
selvetta, e bosco, nel 1848.
La valuta tutta della legna, e fascine,  che risultano dal taglio, escluse le spese inerenti alla 
operazione, ceppiatura ed altro, può coacervatamente ammontare ad annui ducati dugento. Ma 
questa somma è assorbita dagli assegnamenti delle legna a beneficio degl’Impiegati secondo una 
nota da S. M. approvata.
Finalmente per quanto riguarda il prodotto delle selve, ch’esse rendano annui ducati cento fatto il coacervo di un anno per l’altro.
 
Fondiaria
Trattandosi di un bosco chiuso, addetto ad uso di caccia, e che forma parte integrale delle Reali 
Delizie, è esente da fondiaria, ma per semplice memoria viene riportato nel Catasto provvisorio 
del Comune di Caserta nel modo che segue
Art. 1 = Sezione A = N. 18 = Bosco Montuoso = Bosco di S Leucio = in: 1400 
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27. Vigna  della  Torretta

All’ingresso del portone di Belvedere, dopo il fabbricato addetto alle abitazioni degli Individui Leuciani,  presentansi due belle  vigne, che decorano la salita al Reale Casino.
Quella a dritta chiamasi vigna della Torretta: l’altra a sinistra appellasi del Pomarello.
La Vigna della Torretta è abbastanza ampia, ed è di figura quasi rettangolare...
La medesima fu stabilita nell’epoca degli antichi Baroni.  Prese questo nome da una vecchia torre, che esisteva nella sua parte superiore e che venne poi diroccata.
Vi si coltivano nella medesima delle viti basse all’uso di Sicilia, che producono ottime uve.
Vi sono pure  pochi alberi di frutta e di ulivi e vi è pure un piccolo canneto per uso delle vigne istesse.
Una porta con cancelletto di ferro,  messa rimpetto alle abitazioni del Quartiere S. Ferdinando forma l’ingresso principale di questa vigna.
Vi sono pure altre due porte: una all’angolo a sinistra della parte superiore della medesima, che corrisponde al piano del Real Casino, ed un'altra nel muro a dritta che corrisponde sulla strada traversa che esiste ad oriente. Una largo viale, che incomincia dalla prima di queste due porte, e che scende alla seconda,  somministra alle Reali Persone tutta la comodità di percorrere il podere.
È chiusa questa vigna da un muro sufficientemente alto per difenderne l’accesso.
Il numero delle viti che si coltivano, ascende a sedicimila trecento.
Esse danno uve  dette lagrima “rossa”, aliatico rosso ed  aglianica di ottima qualità.
(“Lagrima rossa” sarebbe ‘antico “Lagryma Christi”, vino prodotto con le uve auctone del Vesuvio e conosciuto sin dai tempi dei Romani?
Le testimonianze di coltivazione del vitino risalirebbero al V secolo d.C.
 
Confinazione e misura
Questa vigna a picciol declivio è alla esposizione al mezzogiorno.
La sua parte superiore corrisponde al piano del Real Casino di Belvedere, mentre la parte inferiore è sulla sottoposta strada che fronteggia le case degli abitanti. Ad oriente confina con una piccola strada tortuosa, e ad occidente confine con la strada, per la quale si sale a Belvedere.
La sua misura è di moggia nove, passi quindici e passitelli sei.
 
Rendita
Da questa vigna possono approssimativamente cavarsi  barili novanta di vino, oltre a pochi ulivi e frutta.
Fondiaria
Non si paga alcuna contribuzione, per esser messa la vigna nel Sito Reale Delizie come si è detto in precedenza

N.B.
Nella provincia di Caserta l’unità locale di misura della superficie agraria è il moggio che è utilizzato come sinonimo di tumulo.
Nel 1840 circa il moggio e suoi sottomultipli, nel circondario dello Stato di Caserta erano di:
1 moggio = 3.387,3632 mq
1 moggio = 30 passi   dai cui 1 passo = 112,91 mq
1 passo = 30 passitelli  da cui 1 passitello =  3,76 mq
La superficie del Vigneto della Torretta era quindi di:
32.202 mq = 3,2202 ha = 3 ha – 22 a  - 2 ca

La vigna, in base alla configurazione attuale del terreno recintato da tutti i lati, presenta una superficie di circa 15.000 mq (1,5 ha).
All’epoca del Re Ferdinando I di Borbone doveva avere quindi una maggiore estensione dal lato orientale.  La descrizione parla di un confine proprio ad oriente dove si trova un ingresso, che costeggia una strada “tortuosa”. Il prospetto lungo la strada “Via dei Giardini Reali”, frontale alle case del quartiere San Ferdinando Re, doveva essere di circa 363 metri. Ho indicato con la lettera (A) la probabile strada “tortuosa” come confine orientale della “Vigna della Torretta”. Più ancora ad oriente c’è un muro di confine, indicato con la lettera (B) che potrebbe essere il confine orientale della Vigna. Ma in quest’ultimo caso la superficie supera decisamente i 32.202 mq indicati dalla scheda di censimento del Real Sito di San Leucio. Naturalmente la mia è solo una ricostruzione grafica e da considerare solo come una probabile ipotesi.



veduta parziale dell'ex Vigna della Torretta
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28. Vigna  del  Pomarello

Questa piccola vigna, messa alla sinistra della salita del Real casino, esisteva già nei tempi de’ Principi di Caserta. Dicesi del pomarello per diverse alberi di frutta, che vi si veggono piantate. Vi sono nella medesima numero tremila novecento viti bene ad uso di Sicilia che somministrano uve bianche vernotiche.
La sua figura è singolare, ma irregolarissima.
È chiuso questo fondo da un muro, che ne impedisce l’accesso. Forma esso un isola in mezzo a tre strade, che la fiancheggiano ne’ suoi lati, come può osservarsi dalla Tav.(?). messa nel volume delle piante (?).
L’ingresso principale è a mezzogiorno sulla strada interna del Real Sito che conduce alla Vaccheria.
Confinazione e misura
Questa vigna, al pari delle altre, è in dolce declivio a mezzogiorno, essa è circondata da un muro che confina colle tre strade che abbiamo accennato. La sua misura è di maggio uno, passi ventidue e passitelli quindici.
(1 moggia ) =  3.387,36 mq + (22 passi) = 2.484,02 mq + (15 passitelli) = 56,4 mq = 5927, 78 mq = 5928 mq ( 59 a, 28 ca)
 
Rendita
.... trarsi da questa vigna presso a diciotto barili di vino
Fondiaria
Non vi è contribuzione fondiaria, trattandosi di terreno messo nel recinto del Real Sito, come si è detto nei precedenti paragrafi.
In questo stacco di terreno si coltivavano le uve bianche vernotiche (vitigni che erano coltivati a San Pietro Vernotico, in provincia di Salerno, e che era famosa per la presenza di antiche varietà tra cui le bianche erano: Cantamessa, Salento, Capirussu Fiano, Ursa Major e forse il Fiano Minutolo).  Erano presenti anche  vitigni dell’Arcone e dello Zibibbo di Pantelleria.


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29. Vigna  dell’Arcone

Questa vigna giù esisteva nel tempo de’ principi di Caserta, come scorgesi dallo apprezzo Tavolario Manni (?).
Essa confina dalla parte di oriente col muraglione dei Reali Giardini, ed è interamente circondata da mura, che ne difendono l’ingresso.
La sua figura è irregolare e forma quasi un quadrato. Vi si entra dal lato di mezzogiorno per mezzo di una porta con cancello di ferro e  coll’analoga iscrizione in marmo messa ne’ pilastri.
Contiene questa vigna una copiosa collezione di uve bianche vermotiche, e di uve rosse denominate lagrima, aglianica, colle quali si confezionano de’ vini per la Real mensa, ed anche per industria.
La tavola (?)  messa nel volume delle piante (?), mostra in dettaglio la figura di questa vigna messa alla esposizione di mezzogiorno.
Quando osservato S.M. il Re Francesco, che nella parte superiore di questa vigna eranvi de’ listoni di terre incolte, in mezzo delle quali vi era un antico cisternone, comandò, che si fosse riempito e che tutte le terre incolte fossero state piantate di vite. Questa disposizione è stata eseguita, e con ciò la vigna è stata ampliata.
Le viti fruttifere esistenti in queste terre  giungono al numero di quattordicimila dugento. Esse sono basse all’uso Siciliano.
 
Confinazione e misura
È sita questa vigna in mezzo a terreni di Real proprietà esistenti nel Rl Sito, ed è tutta murata come abbiamo detto.
La sua misura è di moggia otto, passi quattro e passitelli otto.
(8 moggia ) =  27.098,88 mq + (4 passi) = 451,64 mq + (8 passitelli) = 30,08 mq = 27.580,60 mq = 27.581 mq (2 ha. 75 a. 81 ca)
 
Rendita
Per Sovrana disposizione le vigne messe nel Real Sito si tengono in amministrazione.
Può supporsi, che quella, di cui parliamo, dia un prodotto di circa cento barili di vino.
La spesa però, che vi i’impiega, risulta sempre maggiore dell’utile, che se ne ricava.
Fondiaria
Non esiste fondiaria, perché comprese nelle terre addette per Reale Delizie.


Ingresso Vigna dell’Arcone

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30. Vigna  del  Zibibbo

Rimpetto all’ingresso della vigna dell’Arcone evvvi quella denominata del Zibibbo, così detta per le famose uve di questa specie, che si ottengono dalle viti, che si fecero venire dalla Calabria e dalla Sicilia.
La medesima venne stabilita dopo il 1790 su i ruderi di un antica vigna, e sopra altri terreni seminatorj, che quivi esistevano.
Si è ultimamente riunita a questa vigna l’altra contigua che dicevasi dello Spiconardo, e che era divisa dalla pria. Mediante un picciolo muro, che ora si è diroccato.
La vigna dello Spiconardo era antica, ed esisteva all’epoca dei Principi di Caserta.
La figura di questa vigna è quasi di un quadrato. Vi si entra per mezzo di una porta, fornita di cancello di ferro colla corrispondente iscrizione  e messa sulla strada, che conduce alla Vaccheria.
È difeso questo fondo da un picciol muro. Nella parte occidentale del medesimo evvi una abbondante pepiniera (vivaio) di viti, stabilita sul contiguo territorio detto il Rosario, per rimpiazzo di quelle che possono mancare nelle proprietà Reali.
Le viti esistenti in questa vigna sono al numero di circa diecimila seicento, e contengono uve bianche e rosse chiamate zibibbo, vermotico, greco, lagrima ed allatico.
 
Confinazione e misura
Questo podere, messo nel recinto del Real Sito, confina ad oriente con una piccola strada, che la divide dall’abitato del quartiere  di S. Carlo, ad occidente con altre terre della Reale Amministrazione, a settentrione confina colla strada che conduce alla Vaccheria, ed a mezzogiorno col muro, che cinge il Real Sito messo sulla strada Regia di Piedimonte.
La misura è di moggia quattro, passi ventotto e passitelli ventisette.
(4 moggia ) =  13.549,44 mq + (28 passi) = 3.161,48 mq + (27 passitelli) = 101,52 mq = 16.812,44 mq = 16.812 mq (1 ha. 68 a. 12 ca)
Rendita
Si possono sperare da questa vigna circa cinquanta barili di vino.
Fondiaria
Questa vigna, formando parte de’ terreni destinati a Reali Delizie nell’interno di S. Leucio, non è soggetta a fondiaria


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31.  Vigna  di  S.  Silvestro

Rimpetto al portone d’ingresso del Real Casino di S. Silvestro evvi uno spazioso fondo, nel quale il Re Ferdinando, di felice ricordanza, credè opportuno di far piantare una vigna. Non potendo per l’indole del terreno stabilirsi delle viti basse all’uso Siciliano, vennero esse appoggiate agli alberelli denominati oppj (acero campestre).
Questa vigna prosperò sufficientemente. La figura della medesima è quasi rettangolare, come può scorgersi dalla Tav (?) inserita nel volume delle piante (?). le piante poi, sulle quali poggiano le viti, sono nel numero di mille e ventitre, e le viti formano un totale di seimila trecento. Vi sono degli alberi di quercia nel numero di ventinove. Il vino che si ottiene da questo podere, non è di qualità eccellente, ma va nella classe de’ mediocri. Le uve sono nere e bianche e della qualità di Somma.
 
Confinazione e misura
Questa vigna, tutta cinta da ripari, è circondata da terreni  boscosi del tenimento di S. Silvestro. Due strade la traversano da un punto all’altro, e nella estremità vi sono de’ cancelli di ferro appoggiati a pilastri di mediocre altezza. La sua estensione è di moggia sedici, passi cinque e passitelli ventisette.
(16 moggia ) = 54.197.76 mq + (5 passi) = 564,55 mq + (27 passitelli) = 101,52 mq = 54.863,83 mq = 54.864 mq (5 ha. 48 a. 64 ca)
Rendita
Questa vigna, dovendo esser coltivata con molta cura e diligenza, si è con Sovrana approvazione data al Direttore delle vigne Valeriano Carniani coll’obbligo di corrispondere in ogni anno barili novanta di vino. Se  gli pagano però ducati per il divieto di seminari de’ granoni nella vigna istessa, e per la palitezza, che è obbligato di mantenere nel terreno.
Fondiaria
Essendo compresa nelle Reali Delizie è esente da fondiaria: e per semplice memoria viene portata ne’ ruoli nel seguente modo:
art. 1°  = Sezione A =  N.2 = Vigna a canne = S. Silvestro = moggia 12 di prima classe


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32.Vigna del Ventaglio

La Vigna del Ventaglio si nota a destra

Dal Belvedere si procede, attraverso la Via Giardini Reali, per l’Oasi del WWF di Bosco San Silvestro. S’incontrerà sulla destra l’imbocco per la sterrata dell’Oasi e poco dopo, sulla sinistra, è posta la Vigna del Ventaglio.


Nella collina di San Leucio, sin dal 1773, il re aveva programmato tutta una serie d’iniziative per lo sviluppo di importanti attività agricole.
Le vigne esistenti, della Torretta e del Pomerello, e diversi frutteti, erano stati impiantati dagli Acquaviva, principi di Caserta.
Creò la famosa vigna del Ventaglio sfruttando il declivio naturale della collina tra il Belvedere e San Silvestro.


Ferdinando IV delle Due Sicilie di Borbone, da grande appassionato di agronomia, si prese ulteriore cura delle vigne presenti.
Ampliò la produzione vitivinicola con la creazione della  famosa Vigna del Ventaglio. Il sovrano aveva al suo fianco un famoso architetto, Luigi Vanvitelli, che progettò la realizzazione della vigna per studiare e valorizzare le produzioni vitivinicole del Regno delle Due Sicilie.
Naturalmente il progetto suscitò un grande interesse nel sovrano e la realizzazione dell’impianto fu di grande e positivo impatto ambientale.




L’impianto del vigneto fu progettato a semicerchio, diviso in 10 raggi , ed assunse un caratteristico aspetto a ventaglio da cui il nome. Ogni raggio conteneva be 1000 viti di diversa specie il cui nome era indicato su una lapide di travertino.
Ciascun raggio partiva dal centro del semicerchio dov’era situato il piccolo cancello d’ingresso.
Iniziando dal primo raggio, le varietà erano le seguenti:
-          Lipari Rosso;
-          Delfino Bianco;
-          Procopio;
-          Piedimonte Rosso;
-          Piedimonte Bianco;
-          Lipari Bianco;
-          Siracusa Bianco;
-          Terranova Rosso;
-          Conigliano Rosso;
-          Siracusa Rosso.
Una vera e propria azienda che aveva tra l’altro l’obiettivo di studiare i vari vitigni. Il  tutto condotto con grande professionalità dato che anche i nomi dei vari vitigni erano impressi su piccole lapidi di travertino.






Luigi Vanvitelli fu uno dei più importanti architetti del tempo.
Sulla sua figura si raccontano tante storie, alcune inedite, che mettono in
risalto il suo carattere estroso.
L’architetto era impegnato a Caserta per la costruzione della Reggia commissionatagli dal Re Ferdinando IV ed aveva fatto richiesta di una “cassetta di cioccolata” a suo fratello che , fuori dal Regno di Napoli, avrebbe dovuto pensare ad inviargliela al più presto superando gli intralci doganali.
Così scrisse al fratello Urbano il ” 26 gennaro 1754″ :
” Il giorno quattro di Febbraro partirò per Puglia, vedero’ se puotro’ avere il lascia passare per Mola a Caserta della cioccolata”
In data 1 febbraio 1754 aggiorno‘ il fratello dandogli disposizioni precise,
preoccupato dalla severità dei doganieri di Mola:
” La cioccolata la ponerete in una cassetta con la soprascritta a me per Caserta.
Il Marchese di Gregorio ha scritto a quel Doganiero di Mola di Gaeta che per ordine di Sua Maestà la lasci passare”
In pratica Luigi Vanvitelli aveva trovato il modo , tramite un alto funzionario del Re Ferdinando IV, per eludere il fisco daziario e la pignoleria del ” doganiero” di Mola.
Sappiamo che, in altri periodi , i controlli daziari per le merci che attraversavano il nostro territorio erano duplici , ed erano localizzati presso il Ponte di Rialto e presso la Torre di Mo


Disegno dell'architetto Vanivtelli

Nel 1826 il cavalier Antonio Sancio scriveva in merito alla Vigna del Ventaglio:
La natura, l’indole e la posizione declive del terreno rendevano questo sito
opportunissimo per una vigna. Fu essa stabilita  presso a cinquanta anni indietro
sulle diverse proprietà, che si acquistarono dalla famiglia Panaro, come abbiamo
enunciato nel figlio 13 della presente platea.
La disposizione di questa vigna è singolare,  come scorgesi dalla Tav.... messa
nel volume delle piante. Forma essa un semicerchio, diviso in 10 raggi, ed è
tanto somigliante ad un ventaglio, che ne ha preso e ritenuto il nome.
Ciascun raggio, che parte dal centro, ov’è il piccolo cancello d’ingresso, contiene
viti di uve di diverse specie, contrassegnate con lapidi di travertino.
La lapide, messa nel primo raggio a mano dritta dell’ingresso, indica le uve dette
Lipari Rosso. Quella del secondo raggio indica il Delfino Bianco. Quella nel
terzo raggio indica Procopio. Quella nel quarto raggio indica Piedimonte Rosso.
Quella nel quinto raggio indica Piedimonte Bianco. Quella nel sesto raggio indica
Lipari Bianco. Quella nel settimo raggio indica Siracusa Bianco. Quella nell’ottavo
raggio indica Terranova Rosso. Quella nel nono raggio indica Corigliano Rosso.
Quella nel decimo raggio indica Siracusa Rosso.
Le viti sono basse all’uso Siciliano, ed il loro numero giunge a diecimila.
Non vi è in questa vigna alcun albero, né vi si esercita altro genere di coltivazione,
che quello che è indicato per le vigne, cioè tre zappature, ingrasso di favucce
ed altro. Nella sommità di questa vigna a pochi passi fuori il recinto della
medesima nel sito il più alto vedesi un vasto pagliaio con de’ sedili
contornato da piante, e costruito nell’anno 1828 per luogo di fermata delle
Reali Persone”.
Confinazione e misura
Il lato meridionale di questa vigna è messo sulla strada, per la quale si sale a san Silvestro, e da questa parte è difesa da un muro, in mezzo alla quale c’è il cancello d’ingresso.
Gli altri tre lati sono circondati da terreni buoni del Real Sito, e si trovano circondati da deboli ripari di canne. Per ordine di S. M. deve costruirsi un muro per cingere l’intera vigna.
Compongono queste terre una estensione di moggia sette, passi ventinove e passitelli due. (30.380 mq = 3 ha, 03 a, 80 ca)
Rendita
Questa vigna, egualmente che le altre messe sul Real Sito, si tiene in amministrazione. Può calcolarsi, che si ottengono dalla medesima circa ottanta barili di vino.
Fondiaria
Non si paga contributo fondiario, perché compresa la vigna tra le terre addette a Reali delizie, bensì nei ruoli vengono riportate le vigne di Belvedere in due articoli al N. 1 per moggia 24, ed al N. 10 per moggia 3 colla osservazione di essere esenti dal contributo. Questa osservazione valga per le altre vigne.


In una cantina su un’antica bottiglia è riportata una sbiadita calligrafia
«Vino del Ventaglio, a.d. 1860»
Apparteneva..
«Apparteneva al mio quadrisavolo Antonio, detto Totonno...l’ultimo esemplare dell’ultima annata prodotta nella migliore vigna del Regno delle due Sicilie».
È il racconto di Salvatore “Sasà” Marrazzo, discendente da una famiglia di contadini che per anni fu al servizio di Ferdinando IV nelle tenute reali anesse alla Reggia di Caserta. Successivamente, dopo la spedizione garibaldina e l’unificazione d’Italia, si trasferirono nel Matese.

«Il bisnonno di mio nonno non era un semplice bracciante ....ma uno degli uomini di fiducia del Conte Gennaro Carlo, incaricato da Re Lazzarone in persona di seguire le attività della Colonia Leuciana»
Le dieci varietà di vitigni coltivati nella “Vigna a Ventaglio” erano le principali e più importanti vitigni del Regno delle Due Sicilie e il “Piedimonte Rosso e Bianco” erano i progenitori del vitigno Pallagrello di oggi, tanto stimato dai viticoltori.
«Le diverse uve venivano lavorate e raccolte separatamente.. perché Re Ferdinando amava i vini in purezza, alla borgognona, e il cerimoniale prevedeva solo alcune tipologie per i banchetti di festa con gli ospiti più illustri».
Come annotato sui diari di corte, i Piedimonte del Ventaglio erano tra i pochissimi “autoctoni” serviti nelle grandi occasioni, insieme ai Grand Cru della Cote d’Or, ai Bordò e alla Sciampagna.
La prima scelta era naturalmente riservata alla famiglia reale, ma i fattori di San Leucio potevano vinificare in proprio le uve non utilizzate. Bianche e rosse insieme, senza stare troppo a sottilizzare: 
«il risultato era comunque ottimo..... solo i fortificati di Marsala avevano fama maggiore nel Regno, ma per i vini fermi e secchi la Vigna del Ventaglio era il non plus ultra».
È  quasi sicuramente l’unica bottiglia rimasta al mondo di un vino prodotto oltre 150 anni fa con tutti e dieci i vitigni prediletti da Ferdinando e dai suoi discendenti.
Valore storico ulteriormente impreziosito dalle vicende che la portarono nelle disponibilità dei Marrazzo. 
«Stava iniziando la vendemmia quando Re Francischiello si rifugiò a Gaeta»,
«ma a San Leucio continuarono a lavorare come se nulla fosse cambiato, perlomeno fino all’arrivo dei Garibaldini».
E qui Sasà non riesce a dissimulare il misto di dolore e rabbia che evidentemente gli evoca ogni volta il ricordo: le proprietà requisite, le case coloniche saccheggiate, le incarcerazioni e i processi sommari, che coinvolsero anche la sua famiglia.
«Nonno Totonno se la vide brutta, ma rimase fedele al legittimo sovrano fino alla fine. E fu proprio lui a mettere in salvo buona parte della produzione 1860, nascondendola dalle camicie rosse, i piemontesi e gli altri delinquenti raccattati per strada dalla spedizione garibaldina. Ecco perché siamo così legati a quella bottiglia: noi Marrazzo siamo pronti a dare la vita per la giustizia e la verità».

L’Azienda “Tenuta Fontana”


A partire da febbraio 2018,  ha ricevuto l’affidamento in concessione a titolo oneroso per il ripristino, coltivazione e gestione dell’antica Vigna Borbonica con licenza d’uso del marchio “Vigna di San Silvestro – Reggia di Caserta”.
Lo scopo del progetto “Vigna di San Silvestro” è la valorizzazione enologica della produzione di una varietà tradizionale come il Pallagrello bianco e nero ottenendo uve di qualità adatte alla produzione di vino IGT.
L’azienda Tenuta Fontana utilizzerà il metodo di coltivazione biologico che rappresenta un sistema in grado di salvaguardare l’ambiente privilegiando la qualità del prodotto.
Il ripristino dell’antica vigna, ubicata nell’Oasi di San Silvestro alle spalle della cascata del Parco della Reggia di Caserta, parte dallo studio preliminare dei suoli per scegliere il portinnesto più adatto al tipo di terreno ed alle esposizioni presenti, proseguendo con la progettazione e l’esecuzione dei lavori e arrivare infine alla gestione agro-ambientale biologica del vigneto.




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33. Sparaciaia

Nella estremità del fabbricato del Quartiere di S. Ferdinando in Belvedere eranvi diverse terre, chiuse nel recinto del Real Sito, ed addette a semina con arbusto di pioppi.
Nell’anno 1816 il Duca di Miranda incaricato allora della Reale Amministrazione fece scelta della parte migliore di queste terre per formare un giardino di delizie. Egli lo arricchì di alberi di frutta scelte, e v’introdusse ancora una copiosa piantagione di asparagi per uso della Real Mensa; il che diede a questa terra il nome di Sparaciaja.
Questo terreno, coltivato con diligenza, divenne in breve tempo quel dilettevole giardino che si desiderava, e malgrado la spesa ingente, che sosteneva la Reale Amministrazione, non compensabile con i prodotti che se ne ottenevano, fu  esso mantenuto fino al 1826.
In questo anno appunto volendo S.M. il Re Francesco  concorrere efficacemente alle diverse industrie che de Welz e Baracco promettevano d’introdurre nel Real Sito, ebbe la degnazione di conceder loro  gratuitamente l’uso di questo giardino, sperando che ne avessero impiegato una parte per formarne un biancheggio.
Queste idee di S.M. rimasero deluse per lo infelice andamento della intrapresa degl’individui soggetti, per cui il terreno ritornò novellamente alla Reale Amministrazione.
Vi esistono in questo giardino piante di portogallo  (ARANCE) N. 24.
Di pera .................................. 34
Di pesche .............................. 39
Di mela ................................ .02
Di fico..................................  02
Di amarene ........................  14
Di prugna .........................   17
Di percoche ......................   30
La sua figura è quella che ravvivasi nella Tav. (?) messa nel volume delle piante (?).
Confinazione e misura
È circondato questo terreno da un alto muro che ne impedisce l’accesso. Si entra per mezzo di una porta con cancello di legno mezzo nella estremità della parete occidentale ove confina con altri territorj e giardini di Real proprietà situati vicino l’abitato di Belvedere.
Dalla parte di oriente esso confina con altri terreni dell’Amministrazione. Da settentrione confina con la strada interna che dalla cascata mena a Belvedere; e da mezzogiorno col muro circondario del Real Sito.
Misurato diligentemente questo terreno è risultato nella quantità di moggia due, passi ventiquattro e passitelli tredici.
(2 moggia ) = 6.774,72 mq + (24 passi) = 2.709,84 mq + (13 passitelli) = 48,88 mq =  9.533,44 mq = 9.533 mq (- ha. 95 a. 33 ca)
 
Rendita
Allorquando questo territorio venne ridotto a giardino s’impiegarono  per lo mantenimento del medesimo D. cinquecento all’anno, che si pagavano giardiniere Giafer che ne aveva cura. Posteriormente questa somma fu ridotta a D. 240: ma nel 1828, allorchè nuovamente ritornò all’Amministrazione per lo fallimento di de Welz e Baracco, si riputò senno di darlo in affitto, anche perche, essendo stati svelti e radici degli asparagi, riusciva molto dispendioso di  ripristinare questa coltivazione, altronde assai difffusa nei Reali Siti.
Quindi con  iscrittura sinallagmatica del giorno 17 Settembre 1829, si è questa terra, alla quale rimane ancora il nome di Sparaciaja, data in affitto a Simone Ricciardi e Pietro Giaquinto per annui D: 40 e coll’obbligo di stabilirvi una pepiniera (vivaio) da alberi da frutta per uso di territorj de’ Reali Siti.
Fondiaria
Non può specificatamente dimostrarsi il parziale contributo fondiario che gravita su questo fondo, dappoiche la piantagione, e riduzione a giardino, fu eseguita posteriormente alla formazione de’ catasti, ne’ quali figurano in confuso due territorj della estensione di moggia dodici messi in questa contrada, quali territorj di trovano divisi in diverse partizioni.

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34. Territorio  Ulivato

Detto  la  Calcara

Pervenne questo fondo alla Reale Amministrazione per effetto dè diversi acquisti, reintegre e permute fatte verso il 1773 per racchiudere il Real Sito di S. Leucio.
In conseguenza, traendo il medesimo origine dall’aggregato di tante porzioni di  territorj messi in qual perimetro, è superfluo di occuparsi a rintracciare la effettiva provenienza. Chiamasi Calcara, perché in esso esisteva una calcaja.
La parte maggiore di questo terreno consiste in un oliveto, ed in un frutteto; viene quindi in continuazione una piccola vigna, detta del Caporale della Riserva: In seguito di questa piccola vigna vi è un pezzetto di terreno pietroso ed involto, e quindi viene altro pezzo rettangolare di natura seminatorio.
Vi sono in questo fondo cento alberi di ulivo, ottanta di fichi e diciotto di gelsi oltre alle viti.
Un tal fondo è situato alle falde della montagna  boscosa di S. Leucio ed è esposto a mezzogiorno.
La sua figura è irregolare....
Confinazione e  misura
Da settentrione confina un tal fondo con la montagna di San Leucio. Da occidente e mezzogiorno colla strada che porta alla Vaccheria e da oriente colla vigna dell’Arcone.
Presenta questo fondo una estensione di moggia dieci, passi venti e passitelli ventinove; compreso un moggio, passi dieci e passitelli ventotto di vigna.
(10 moggia ) = 33.873,60 mq + (20 passi) = 3.358,20 mq + (29 passitelli) = 109,04 mq =  37.340,84 mq = 37.341 mq (3 ha, 73 a, 41 ca)
Di cui a vigna:
(1 moggio ) = 3.387,60 mq + (10 passi) = 1.129,10 mq + (28 passitelli) = 105,28 mq =  4.621,98 mq = 4.622 mq (- ha, 46 a, 22 ca)
 
Rendita
Si trae da questo fondo una annua rendita di Ducati: cinquantacinque, e trovasi affittato ad Antonio Califano e Ferdinando Cucci.
Estratto del Catasto
La coltura, classificazione, estensione, e rendita netta imponibile portata nel Catasto provvisorio del Comune di S. Leucio è come segue:


Limitazione
È stato superfluo di limitare un tal fondo, giacche trovasi in mezzo altre proprietà dell’Amministrazione nel recinto istesso


 

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35. Lepreria


Allorquando S. M. il Re Ferdinando, di felice ricordanza, passare qualche mese d’inverno nello antico Casino di S. Leucio, volle quivi stabilire una caccia per lepri, ed un luogo da mantenere le api per suo Real divetimento.
Scelse a tale effetto un vasto terreno mezzo al di sotto del Real Casino, e lo fece circondare di un muro per separarlo dal contiguo bosco, e dalle altre terre coltivate.
Questo disegno non ebbe quel felice risultato che appellavesi.
I lepri, avezzi a percorrere vastissimi spazi, e  scottati altronde da’ calori estivi, o perivano, ovvero fuggivano.
Le api parimente punto non prosperavano per mancanza di affacente clima e nutrimento.
Furono dunque dopo poco tempo, e precisamente nel 1794, distrutte, la lepreria e l’aperia, ed il terreno fu ridotto ad uso di semina e dato in affitto.
Contemporaneamente si reputò opportuno di fissare in una parte di queste terre una vigna con viti, sostenute da oppj (aceri), e se ne vide un ottimo risultato, dappoiche i vini riuscivano eccellente.
Finalmente S. M il Re  Francesco nel 1827 ordinl, che l’intero territorio fosse stato ridotto ad uso di vigna, il che si è già eseguito, sicche non rimane attualmente che poco spazio incolto boscoso.
Vi sono attualmente in questo fondo i seguenti alberi.
Piante con viti     1113
Alberi di gelso..      53
Di sorbo.................. 5
Di mela ................  29
Di pera .............     88
Di fichi ................  13
Di pesche...........      2
Vi sono pure dodici alberi di querce
La figura di questo territorio è irregolarissima, giacche vien fiancheggiata e quasi circuita da strade tortuose ed irregolare... Le viti che vi si coltivano producono un alleatico, piedimonte e lacrima.
Confinazione e misura
Viene confinata questa terra dalle due strade che conducono all’antico Reale Casino di S. Leucio: la prima di esse prende capo dalla Chiesa di S. Maria delle Grazie, e sempre serpeggiando conduce fin sopra la strada detta delle rimesse, che conduce al di già detto Casino; la seconda è quella stradella abbreviatora; per mezzo della quale dalle vicinanze dell’edificio della fabrica delle cotonerie si sale al Real Casino.
L’intero fondo presenta una estensione di moggia 22, passi 18 e passitelli 10 compresa la parte incolta boscosa.
(22 moggia ) = 74.521,92 mq + (18 passi) = 2.032,38 mq + (10 passitelli) = 37,60 mq =  76.591,90 mq = 76.592 mq (7 ha, 65 a, 92 ca)
 
Rendita
Si trae da questo fondo una rendita di D. cinquantacinque in virtù di un contratto di affitto formato con Giovanni Landi in data del di 16 agosto 1825.
Fondiaria
La coltura, classificazione, estensione e rendita netta imponibile portata nel catasto provvisorio del Comune di S. Leucio è come segue



Limitazione
la strada forma la limitazione di questo fondo


Veduta di parte della Lepreria

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36.Caccetta  di  Carpineto

Avendo S. M. il re Ferdinando concepito la idea di stabilire  una caccia  a reti per la presa di beccafichi, e di altri volatili di passaggio, scelse all’uopo le terre, delle quali veniamo a ragionare e che andavano  anticamente sotto nome di Carpineto e Croce.
Esse per la loro natura, e posizione erano opportunissime al richiamo di siffatti uccelli, e vennero disposte in modo che potessero servire all’oggetto, cui erano destinate.
Chiamò inoltre la M.S. da Sorrento individui abili a tal mestiere, e quindi fece costruire l’edificio (Casa del Retaiolo all’Arco) per l’abitazione del Capo Retajolo, e per lo deposito delle reti, e degli altri necessarj utensilj.
Confina il quel sito le terre di primitivo acquisto, e le altre posteriormente comprate da diversi particolari, e distrutte eziando le antiche configurazioni, è difficile di poter pronunciare con dettaglio la loro provenienza. Lo stato attuale di questo tenimento è quello che segue. Forma esso una continenza di moggia tredici, passi dieci e passitelli quattro (45.180 mq = 4 ha, 51 a, 80 ca)
Trovasi diviso in tre sezioni.
Una parte di moggia otto, passi quindi e passitelli ventidue, è buona, ed è pure dotata di un canneto, che s’impiega per le vigne.
La seconda di moggia due, passi cinque e passitelli dodici è fornita di diversi alberi alti a richiamare gli uccelli, ed è precisamente nel sito, in cui può eseguirsi la cacia tanto al fucile che con le reti, e va in seguito inoltrandosi sempre in alto nelle scoscese sottoposte al sito di S. Silvestro. Esso è circondato da altre terre buone, che compongono Montebriano.
Confinazione e Misura
Questo tenimento incomincia dal piano messo dietro la casa delle reti, e va in seguito inoltrandosi sempre in alto nelle scoscese sottoposte al sito di S. Silvestro.
Esso’ circondato da altre terre boscose, che compongono Montebriano.
Rendita
Essendo piaciuto al defunto Re Ferdinando di tolerare, che tuttociò che ricavasi dalle terre colte ed incolte addette a questa caccia, potesse andare a beneficio del vecchio Capo Reatjolo Giuseppe Sane, la Reale Amministrazione nulla attualmente percepisce.
Nondimeno potrebbe ottenersi una rendita di circa ducati sessanta all’anno.
Fondiaria
Non vi è peso fondiario perche trattati di terreno addetto a Delizie Reali.

I confini della tenuta “Carpineto” sono ipotetici

Il Beccafico (Sylvia borin, Boddaert, 1783) appartenete alla famiglia Sylviidae
Si tratta in un uccello miratore presente in quasi tutta l’Europa e diffuso da maggio fino a settembre. In inverno si trova nell’Africa tropicale.
Il tempo di percorrenza e la direzione del volo gli sono innate. Il beccafico vive in giardini, parchi, ambienti arbustivi e territori boschivi aperti. Molti si scelgono ogni anno lo stesso territorio per l'estate.
Il nome  è composto dai termine “beccare” e “fico” perché ghiotto di fichi.
In latino era chiamato “ficedùla” cioè da “ficus” e da “edère” mangiare;
un termine che è ancora oggi usato in diversi regioni del centro-sud.
Dai cacciatori viene molto apprezzato per la sua carne.

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37. Monte Sommacco (Ex Montagna della Rocca)

Appartenente al Regio  Demanio (Riserva di caccia)   ed il

Vicino  Tifata (Monti Tifatini)


Il Monte Sommacco e i vicini Monti Tifatini (Monte Tifata)

Pianoro della Montanina

Croce sul Monte Tifata... non rispettata

Eremo di Sant’Offa

Tempio di Giove



Il Monte Sommacco potrebbe essere considerato come l’espressione dell’innovazione industriale 
che i sovrani, Carlo III e Ferdinando I di Borbone, cercarono d’imprimere nella società locale 
con una serie di iniziative.  Iniziative che non riguardavano solo il settore agricolo e zootecnico 
ma anche quello industriale che non sono note tranne, anche se parzialmente, quella di San 
Leucio a causa di una certa propaganda giornalistica. Molte di queste attività industriali furono 
introdotte da Carlo III di Borbone ed erano legate alla costruzione della Reggia di Caserta. In 
quest’ottica dovrebbero essere considerate la costruzione di fornaci per la produzione di mattoni, 
l’installazione di una ferriera, l’apertura di cave per l’estrazione di tufo e la produzione della 
calce, l’allestimento di laboratori per la scultura, laboratori per l’incisione del rame, ecc.
Molte di queste attività furono proseguite nel tempo  e quindi legate a finalità 
speculative.Particolarmente importante, anche in merito alla ricerca in questione, fu quella della 
coltivazione del guado e della sua molitura. 

Il guado sarebbe la pianta “Isatis tinctoria”, una biennale della
famiglia delle Brassicacee. Fa parte delle piante “da blu”  perché permette di
ottenere  questo colore. Il colore si estrae dalle foglie raccolte durante il primo anno di vita. Dopo la macerazione e fermentazione in acqua si ottiene una soluzione  dal colore giallo-verde che, agitata ed ossidata, produce un precipitato  (indigotina). Il colorante, molto solido,
è utilizzabile nella seta, nella lana, nel lino, cotone e juta ma anche in cosmesi e per i
colori pittorici





Copiosi raccolti di guado provenivano dalla Starza grande (Avellino) e dal feudo dei Mormili  dove era impianta anche la coltivazione della Robbia.
La lavorazione del guado si effettuava all’interno della Starza grande nei pressi della Regalata, nel quartiere di San Carlino.
Nel 1751, grazie ad una iniziativa privata, nacque a Caserta una società per la produzione di guardo tra il torinese Giuseppe Agostino Manera, D. Giovanni Pons e D. Domenico Galiardo di Santa Maria di Capua. Il sovrano incoraggiò l’iniziativa emettendo con l concessione il
Privilegio  di poter fare l’erba per il Gialdo tanto in questo regno,
quanto in quello di Dicilia necessaria per le tinte de’ Panni e setaria colla
privativa per soli 14anni.
Agli inizi del 1753 le prime quantità di guado prodotte, sebbene ritenute dai mercanti del settore. Di tutta perfezione,
restarono invendute a causa della concorrenza del “guado straniero” (cinese ed americano) che monopolizzavano il mercato. Il Manera sollecitò il sovrano per l’adozione di qualche opportuno provvedimento per così proseguire l’industria in questo stato
che sarebbe di qualche vantaggio per l’entrate di S.M in questa città.
In un dispaccio del 17 agosto 1756, indirizzato al marchese di Squillaci (Leopoldo de Gregorio),  si rendeva notto che nella società di produzione del guado, era entrate a farne parte anche la “Reale Azienda” e che la fabbrica di produzione era stata installata a Durazzano e che il Manera ne era il direttore. Nel documento ci si lamentava anche della cattiva amministrazione e i modesti risultati che erano stati conseguiti.
Nel dicembre dello stesso anno il Manera decise di lasciare il bene al regno e chiese al Sovrano un contributo di 600/700 ducati per trasferire la propria famiglia a Torino.
Il sovrano (Carlo III di Borbone) era rimasto deluso dall’amministrazione del Manera ed era disposto a versargli al massimo in contributo
Di centro dubli, per pura pietà
..... a patto che rinunci al privilegio concessogli.
Privilegio che, secondo l’accusa del sovrano, gli era stato estorto surrettiziamente dal Manera,
avendo questi (il Manera) millantato che quella di Caserta era la prima
fabbrica di guado del Regno, laddove ne esisteva già una a Teramo
fondata molti anni prima.

Non sono conosciuti gli esiti della vertenza e nel 1770 Ferdinando I di Borbone
introdusse la coltura del guado nella masseria denominata Piazza del re nello “stato” di 
Durazzano e nello stesso sito fece costruire un fabbricato nel quale

Apparecchiarsi l’erba per l’uso di tinta.
Il fabbricato, denominato “Casa delle Tinte”  fu portato a termine nel 1772 come risulta dai
libri contabili dello stabilimento nei quali risulta che i “tre raffinatori di guado”, in forza
all’opificio, percepivano un salario mensile complessivo di 12 ducati.
Sul monte detto “Sommaco” per iniziativa del barone siciliano Innocenzo Zappini, furono 
introdotte la pianta del sommacco utile per la concia delle pelli e anche piante di  pistacchio.
 Avvenimenti, per certi versi simili, colpirono anche la coltura e la coltivazione del sommacco,
una pianta particolarmente ricca di tannini ed impiegata per la tintoria e la concia delle pelli.

Terreni     Acquistati

36  Montanino
Territorio  a  Montanino
 Sul Monte  Sommacco
Stabilita  mediante l’opera del barone Zappini la piantagione del sommacco nelle terre demaniali del Comune di Caserta nel luogo precisamente denominato Montanino, una della montagne della Rocca...., si vide la necessità di fare acquisto di diversi terreni seminatorj ed alberati, che alcuni particolari possedevano sul sito medesimo: Questi territorj, essendo messi nel mezzo della indicata piantagione e nelle vicinanze del casino, presentavano ostacolo alla coltura novellamente introdotta, anche per lo accesso continuo, e molesto de’ rispettivi proprietarj.
Per tali motivi S.M il Re Ferdinando con due Sovrane Risoluzione, la prima del dì 2 ... 1192  e la seconda del dì 27 Febbrajo 1793 sanzionò la compra di queste terre, le quali furono eseguite con istrumenti stipulati nelle epoche che verremo ad indicare.
Le terre acquistate furono le seguenti:
 

Nome

Superficie

Moggia – Passi - Passitelli

Sup. in mq

Sup. catastale

Note

Ducati

Angela Mincione

Di Coccagna

3 -  17 – 5

1 – 10 – 0

0 – 15 - 0

12.100

1.129

1.694

 14.923

1 ha,21 a

        11 a, 29 ca

        16 a, 94 ca

1 ha, 49 a, 23 ca

Tre fondi alberati

 

340,80

Giovambatista Gallo

2 – 4 – 0

1 – 26 - 20

7.226

6.398

13.624

72 a, 26 ca

63 a, 98 ca

1 ha, 36 a, 24 ca

Querce

Ulivi

fruttiferi

 

362

Carlo Petriccione

3 – 13 - 0

11.630

1 ha, 16 a, 30 ca

Frutteto

vigneto

 

301,45

Mattia e Vucta Santenastaso

2 – 8 – 0

7.678

76 a, 78 ca

oliveto

 

192,66

Antonio Centone

2 – 24 - 15

9.541

95 a, 41 ca

Oliveto

frutteto

 

 253,50

 
In tutto il prezzo di questi territori ascese a Ducati 1109,61
Il contratto con la Mincione fu stipulato da Notar Gennaro Vincenzo Scialla nel dì 13 Settembre 1792;
quello con Gallo ed  altri fu stipulato da Notar Salvadore Pezzella nel dì 10 dicembre 1793.
Tutti questi terreni furono subito confusi agli altri adiacenti,, vennero pur soggettati alla coltura istessa, e sparì totalmente la loro antica configurazione.
Attualmente sono essi pure inselvatichiti ed addetti come tutti gli altri a formare una riserva di caccia, non è possibile individuare poi con precisione il loro sito, e figura né possono farsi de’ ragguagli sulla loro rendita.
 
 
37 Montecupo   ( cave di pietre)
Nell’epoca dell’occupazione militare avendo compito il cavaliere Macedonio il progetto di acquistare e con denaro contante, e con permute i territorj che componevano la Riserva del Sommacco, trattò con Donna Antonia Cameo, e D. gennaro Scialla di Casanova, lo acquisto di un comprensorio di terre, che costoro possedevano nel sito precisamente detto di Montecupo, che entrava nel perimetro della Riserva. Era composto questo comprensorio di un pezzo di montagna arborea con mirtella della estensione  di moggia undici, passi quattrodici e passitelli 20 ( 38.917 mq = 3 ha, 89 a, 17 ca); di un pezzo di terra seminatorio con cinquantaquattro piante di olive e di una cava di pietre con spiazzo, ed al suolo adiacente della estensione di moggia tre, passi tre, e passitelli venticinque (19.595 mq = 1 ha, 95 a, 95 ca).
Concentrate dunque queste tre porzioni formano un totale di moggia quindici, passi diciannove e passitelli quindici (53.012 mq = 5 ha, 30 a, 12 ca)
Con istrumento dunque del dì 18 novembre 1807 di Notar Salvatore Pezzella fu acquistato questo territorio per la somma di Dicati 1400,99 quale somma venne ‘a venditori soddisfatta in tante diverse rate pagate nello spazio di diversj anni nel modo seguente:
Pagamenti fatti a metà in Dicembre 1807
A D. Gennaro Scialla, per mezzo del Sig. Duca Di  Campochiaro Ducati  300
A D. Antonia Cameo per mezzo del Sig. Cav. Macedonio ..............D.        300
                                                                        In uno  (Totale)  Ducati       600
Restarono a consegnare per saldo D. 800,99 per i quali fu stabilito pagarsegli in quattro anno dal 1808 al 1811 a D. dugento l’anno con l’interesse a scalare del 3 per % a loro beneficio, e questi pagamenti furono esattamente adempiti di unita agli interessi.
Si noti che l’importo de’ suddetti tre fondi componenti moggia quindici, passi diciotto e passitelli quindi per D. 1400,99 si spettavano cioè:
A D. Gennaro Scialla ................. D: 466,99
A Donna Antonia Cameo.............D. 933,99
                                                 ..........................
                                                    D. 1499,99
Pervenuto questo comprensorio di terre alla Reale Amministrazione, la  montagna mirtellata ed erbosa rimase per uso di caccia. Il piccolo territorio seminatorio anche compreso nella Riserva venne dato in affitto, e lo stesso praticavasi rispetto alla cava, la quale rimase allo stesso Scialla per annui Ducati dieci.
Confinazione e misura
Questo tenimento ha per confine dalla parte di oriente la strada pubblica, da quella di occidente i beni di  Piccirillo, da mezzogiorno i beni di Tiano e  Piccerillo, e da settentrione i  fondi anche di Peiccerillo.
Misurati esattamente questi fondi sonosi trovati della estensione di moggia quattrodici, passi diciannove e passitelli quindici (49.625 mq = 4 ha, 96 ha, 25 ca) secondo la misura Casertana
Rendita
Calcolatosi il prodotto che potevasi ottenere dalla montagna mirtellata incorporata alla Real Riserva del Sommacco, si vide che poteva ascendere ad annui Ducati  trentacinque e grana venti, e tal somma veniva pagata annualmente dalla Reale Balestreria.
Ora essendosi abolito siffatti pagamenti l’amministrazione niente percepisce.
Il piccolo territorio olivetato si affitta ad un tale Angelo Sorbo di Casanova per annui  D. sei. E finalmente la cava di pietre continua a rimanere  presso di esso Scialla per annui Ducati dieci, in virtù di un antico contratto di affitto il quale sarò migliorato.
 
N.B-
Il Duca di Campochiario era Ottavio Mornile, importante esponente politico e militare nella Corte Borbonica soprattutto di Ferdinando I dove ricopriva la carica di ministro.

 


38  Le  Brecce  o Cognolillo
Essendo  D. Michele  Landieri rimasto debitore della Real fabrica in una somma ingente,  cedè 
alla medesima diversi suoi crediti, tra i quali  eravene uno contro del fu D. Tommaso Giuseppe 
Landi, a di cui danno aveva introdotto  nel tribunale Civile di Terra di Lavoro giudizio di 
espropria su due territorj, uno de’ quali era della estensione di moggia cinque e passi – sito nel 
luogo detto Brecce o Cognolillo.
Dall’Amministrazione della Real fabbrica si procedè al prosieguo dell’intentato giudiziario, e già 
con sentenza del tribunale del dì 29 Gennajo 1820 la esproprio fu pronunziata ed eseguita nel 
territorio in questione  per netto valore di D. 947, 84.
Non essendosi giudicato conveniente che la Real fabrica possedere dovesse terreni, fu 
rassegnata a S. M. la proposizione di doversi la medesima aggregare alla Reale Amministrazione 
previo il pagamento della somma corrispondente, sulla rendita ragguagliata alla ragione del 6 
per %.
Essendo stata con Sovrano Rescritto del dì 27 gennaio 1824 una tal proposizione approvata, 
l’indicato ragguaglio, il quale, basato sulla rendita di Ducati 38,75, giacche si portò la fondiaria 
per D. 19,25: diede un capitale di D. 395,16 che dal tesoriere della Reale Amministrazione 
furono pagati  a quello della fabrica.
Per effetto adunque di questo rimase la Reale Amministrazione posseditrice del fondo, di cui è in 
questione. Esso è di qualità aratorio e fruttiferato, ed è sito in un piano inclinato, gli alberi  che 
vi esistono sono di ulivi, fichi ciriegge ed altre frutte nel numero di 
Immaginavasi che questo territorio fosse libero, com’erasi asserito, ma  il patrimonio Regolare 
ha inoltrato le sue  pretensioni per un  canone di annue D.
Questo affare va a risolversi  giudiziaramente, perché debbono esibirsi i titoli per  iscorgere se vi 
sia un canone, e se esso graviti sul territorio in questione,  ovvero sopra diversi cespiti che dal 
soppresso Monistero de’ Padri di Gerusalemme vennero censiti ai fratelli Landi.
Confinazione e misura
Confina questo territorio con un vallone dalla parte di settentrione ed con la Montagna del 
Sommacco, e via pubblica da mezzogiorno, e con altri territorj appartenenti all’Amministrazione 
da oriente ed occidente.
La sua estensione è di moggia cinque, passi diciassette e passitelli otto (18.886 mq = 1 ha, 88 
a,86 ca)
Rendita
Si ha attualmente da questo fondo una rendita di annui D. 40
Fondiaria
La imposizione fondiaria su questo fondo è stata oggetto di discussione.
Allorquando esso passò presso la Real Fabbrica delle seterie, siccome si omise di far seguire la 
mutazione di quota, così il Percettore tassò arbitrariamente il debito all’Amministrazione per 
annui D. 19,25.
Conosciutosi in seguito questo errore, si è rettificato e si è divenuto anche alla mutazione di 
quota, sicchè il contributo ricade ad annui D.     ed il fondo figura nella madrice fondiaria per 
l’imponibile di D 49,50..


..........................

 

Località

Superficie (mq)

Ducati

Note

Montanino

57.396

1109,61

Paragrafo N. 36

Montecupo

39.463

1400,99

Cava di Pietre

Paragrafo N. 37

Esempio di pagamento rateale

Montecupo

3.387

218,81

Acquitato da Portillo di Casanova

Le Brecce a Cagnolillo

18.886

595,16

Paragrafo N. 38

Vertenza giudiziaria

Totale 

129.294 mq

=

12 ha, 92 a, 94 ca

3324,57

 

In Verde i territori che fanno parte della Riserva di Caccia del Monte  Sommacco

 

Terreni acquistati con retrocessione  dei censi

Località

Superficie

mq

Ducati

Note

Cappuccio

(Falde Monte

San Leucio

60.971

670

Eredi di Vincenzo D’Amico (censo per tumula 20 di grano fino a terza generazione)

Cappuccio

37.261

175

Berardino Milano erede di Domenico Milano -

Cappuccio di San Leucio

23.301

40

Anna Boccardo, vedova di Pacella, e di suo figlio

Censo di anni due e grana ottanta

Retrocessione del censo e pagamento di migliorie

Falde Monte San Leucio

36.237

140,76

Bernardino Milano – retrocessione di un censo istruito dal Principe di Caserta l’8 agosto 1741 con il canone di tomola sei di grano

Cappuccio

(Falde Monte

San Leucio

20.324

125

Anna Gentile vedova di Angelo Milano  - Retrocessione di censo concesso a Giuseppe Milano per annui sette ducati e con contratto stipulato dalla Camera Baronale il 18 gennaio 1727

Coste Monte San Leucio

29.324

115

Roco Ricciardi figlio del fu Domenico Ricciardi – Retrocessione censo stipulato dal Principe di Caserta il 10 novembre 1731 per il canone annuo di tomola sette e misure dodici di grano

Costa Monte San Leucio

74.522

575

Retrocessione censo concesso a Bartolomeo Petrillo per annui ducati 25

Monte San Leucio

40.648

150

Eredi di Donato Savastano – retrocessione e migliore di un censo con canone di tomola 16 di grano

Monte San Leucio

18.400

742,20

Fratelli Pezzella – Retrocessione di un censo con il canone annuo di 15 carlini.

Totale dei territori che erano stati concessi in enfiteusi e riscattati dalla Reale Amministrazione  con contratti dal:

30 agosto 1754 al 28 ottobre 1775

Superficie  Totale :  331.988 mq  =  33 ha, 19 a, 88 ca

Ducati : 2732, 96




Ferdinando I di Borbone (IV di Napoli e III Delle Due Sicilie)
6 Ducati, 1770 , Napoli
Dritto: busto adulto paludato e cappelli raccolti sulle spalle a destra
FERDIN . IV.D.SICILIAR.ET.HIER.REX
Sotto: .B.P.
Rovescio: nel campo scudo coronato con onorificenze tra rami di palma e alloro
HISPA IAR. U FA S. 1770
Ai lati CC, a sinistra in alto R  e sotto D 6
Contorno cordonato in rilievo
 
Quale sarebbe il valore corrente di un Ducato del Regno delle Due Sicilie ?
Ho trovato su Internet un interessante ricerca che permetterebbe di dare una risposta.
Il riferimento per il calcolo su basa su due indici:
1)      Il valore del cambio preso a base del calcolo imposto dai piemontesi nel 1860;
1 Ducato = Lire 4,25
2)      Riferimento alla svalutazione intervenuta a tutto il 31 dicembre 2001
 
1 Ducato = 10 Carlini = 100 Grana
1 Grana = Tornesi = 12 Cavalli
 

Moneta

Valore Annuo 2001 

Lire

 Euro

 

Ducato

31.028,90

16,03

Carlino

3.102,89

1,60

Grana

310,29

0,16

Tornese

155,14

0,08

Cavallo

25.86

0,01

Fonte: ISTAT

 

I Ducati  2732, 96  spesi per la riscossione dei terreni censuati sarebbe stata
in lire: 84.800.742  in Euro : 43.809
una cifra notevole...

 

Terreni acquistati con denaro in contante dal Novembre 1753

Località

Superficie

In mq

Ducati 

Note

Montebriano

Non specificata

250

Antonio Forgione

Montagna mirtellata

Montebriano

13.549

224,60

Domenicantonio Battista

Montagna mirtellata

Montebriano

74.522

575

Petrillo

Parito

(Montebriano)

7.151

237,60

Andrea Natale

Cappuccio

Falde di Monte San Leucio

18.720

225

Agostino Papa

San Silvestro

 

749,20

Andrea Appierto

Terreno mirtellato e piccola casa

Montebriano

27.099

300

Marchese Montanaro

Carpineto

32.737

1111,16

Giulio Passaro e Angela Iannello, vedova di Crescenzo Panaro

 

3.387

64

Canonico Corvino

Montagna mirtellata

Parito – Carpineto – Sopra l’Arco e Montemajulo

159.295

1492,57

Università di Caserta

Territorio montuoso

1.807

28

Beneficiato de’ Gentili

Territorio montuoso

1.637

26,16

Marchese Montanaro

Territorio montuoso

6.775

54,40

Marchese Montanaro

Territorio montuoso

113

15

Marchese Montanaro

 

3.711

252,15

Crescenzo Passero

Terreno olivato

677

47,50

Parrocchia di Briano

Cave di Pietra

5.852

492,80

Giulio Passero

Cave di Pietra

7.054

380,82

Aniello Fiorillo

Cave di Pietra

15.791

551,25

Alessandro Giaquinto

Territorio montuoso olivato

10.689

259,90

Alessandro Giaquinto

Territorio montuoso olivato – frutteto - seminatorio

26.873

405,90

Alessandro Giaquinto

 

Aratorio – frittiferato - alberato

4.027

202,96

Gioampietro Tescione

Aratorio e montuoso

17.338

416

Agostino Borgognone

Aratorio e montuoso – bosco – fruttiferato

82.990

1797.70

Giuseppe Veglione

Aratorio olivato

527

43,20

Convento del Carmine di Caserta

Carpineto e Croce

6.341

146,44

Andrea Petrucione

 

903

85

Crescenzo e fratelli Esperti

Terreni acquistati “con denaro contante” dal 22 novembre 1753

Superficie totale : 529.525 mq = 52 ha, 95 a, 25 ca

Ducati : 10344,21 

 

Pari a :  320.969.458 Lire = 165.818  Euro

 

............................................................

Terreni acquisti con permute dal 22 Maggio 1753

  AL  9 Dicembre 1783

 

Località

Superficie

Mq

Permuta Terreno in

Contrada

mq

Ducati

Note

Pertinenze di Briano

Montagna

34.626

Sandinella

8.132

 

.........

Giuseppe Varone, Rettore della Cappellania di S.M.Mater Domini della Villa di Puccianello e  di Marita Maritaggi, eretti da Geronimo Garzella

Montebriano Olivetato con piane novelline

33.870

Sandinella

9.055

96,84

Governatore del Monastero del Carmine di Caserta

Montagna Olivata e mirtellata

Non specificata

Villa di Casolla – La Corte del Principe

9.413

106,46

Giuseppe e Don Pasquale della Ratta

Montebriano – Mirtellata ed olivata

33.870

Centurano

Luogo dello Campo

12.642

.....

Agostino e Giulio di Micco

Montemajulo

Mirtellata ed olivata

Non Specificata

Centurano

20.892

.....

Giovanvincezo De Caprio

Puccianello

(luogo detto Canale)

Mirtellato ed olivato

 

54.198

Centurano

Luogo dello Campo

27.449

..........

Domenico Palmiero, Procuratore del Monastero dei Certosini di Napoli

Gradillo

6.003

Fuori le Mura di S. Leucio

(circa stessa estensione)

.....

Parrocchial Chiesa di Ercole

Superfici acquisite con permute dal 22 Maggio 1753 al 9 Dicembre 1783

Totale (mancano due fondi) = 162.567 mq = 16 ha. 25 a, 67 ca

Superfici in permuta -  Totale: 93.583 mq = 9 ha, 35 a, 83 ca

Ducati: 203,30 (6.308.175 Lire – 3259 Euro)

 

 

Acquisizione di Terreni  con permute  e riuniti all’Amministrazione di San  Leucio durante

l’Occupazione Militare Francese

 

Località

Superficie

Mq

Proprietari

 

Permuta con

Fondo

Cappuccio

39.105

Fratelli Gazzella di Puccianello

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Cappuccio

20.832

Fratelli della Valle di Puccianello

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Monte Sommacco

157.738

Fratelli Buompane

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Monte Sommacco

20.663

Fratelli Buompane

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Monte Sommacco

151.433

Fratelli Forgione

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Porta di Parisi

9,259

Fratelli Buompane

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Montagna Della Rocca (Monte Sommacco)

412.388

Sig,ra Lupino, vedova Ferraro

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Briano (vicino le mura di S. Leucio)

28.848

Fratelli Petriccione di Briano

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Trattoria di Belvedere (dirimpetto)

8.453

Chiesa Parrocchiale di Briano

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Gradillo

7.904

Fratelli Fiorillo

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Cappuccio

7.855

Eredi di Grasso di Maddaloni

Parte di masseria di proprietà del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

 

Montecupo

52.899

Scialla e Cameo di Casanova

...................

(Denaro contante non specificato)

Acquisizione di Terreni  con permute  e riuniti all’Amministrazione di San  Leucio durante  l’Occupazione Militare Francese :  917.384 mq = 91 ha, 73 a, 84 ca

Di cui ben 795.121 mq destinati alla Riserva Reale di Caccia del Monte Sommacco.

 

 

La  Badia di Santa Croce di Cajazzo e i suoi terreni

Trasferiti alla  Reale Amministrazione di San  Leucio durante l’Occupazione  Militare Francese

Località

Superficie

Mq

Coltura

Affittuario

Rendita Annua - Ducati

Note

Montagna

1.019.031

101 ha,90 a, 31 ca

In parte mirtellata

Comune della Piana

40

Per comodo dei cittadini

Starzodella

223.942

22 ha,39 a, 42 ca

Uso semina

Stefano Migliorati

83,33

 

S. Lucia

40.212

4 ha, 02 a, 12 ca

Seminativo

Scadente

Franceso Martucci e

Donato Di Palma

17

N.3 Fondi

Agna

29.188

2 ha, 91 a, 88 ca

Seminativo scadente

Ferdinando Di Maria

16

 

Morrone

16.629

1 ha, 66 a, 29 ca

Seminatorio

Mattia  Barbieri

6,50

 

Morrotiello

25.199

2 ha, 51 a, 99 ca

Seminativo

Ferdinando Di Maria

14

Tenimento Rujano (Ruviano)

Le Bozzelle

16.971

1 ha, 69 a, 71 ca

Seminativo

Agostino Anziano

8

 

Torrieri

7.078

- ha, 70 a, 78 ca

Seminativo

Ferdinando Di Maria

4

 

Superficie Totale dei terreni della Badia di  S. Croce di Caiazzo annessi alla Reale Amministrazione di S. Leucio = 1378250

Rendita Annua ricavata dagli affitti: Ducati  189 circa

5.864.462 Lire = 3.030 Euro

 

.......................................

 


26.Montebriano  e  Montemajulo

Le terre che compongono questo  spazioso tenimento, non facevano in alcun modo parte de’ beni 
compresi nell’acquisto della Stato di Caserta. Erano esse di pertinenza di diversi particolari, da’ 
quali vennero comprati con separati contratti, stipulati in varie epoche.
Nell’appendice del fol. 57 leggesi l’elenco di siffatte compre colle notizie necessarie a riscontrare 
gli istrumenti, qualora la necessità lo esige.
Riunite dunque nella loro totalità alla Real casa le due montagne, denominate  Montebriano e 
Montamajulo, che sono tra loro congiunte, formasi il tenimento di cui trattasi.
Sono esse sormontate da belle pianure e da declivj, ne’ quali si rinchiudono le terre, che 
ritengono ancora il nome di  Parito e di S. Silvestro.
Quanto di vago e di dedizioso poteva rinvenirsi e praticarsi, tutto trovasi nel sito, di cui 
ragioniamo.
Gli antichi proprietarj di queste terre avevano stabilite ne’ siti più opportuni delle medesime 
diverse piantagioni di ulivi, specialmente né luoghi a declivio.
Siffatte piantagioni vennero fin dal principio conservate, ed in qualche luogo sono state anche 
aumentate. Tutta la parte meridionale di Montebiano, detratte i due pezzi, che fiancheggiano la 
cascata, e che sono rivestite di elci (pioppi), e di altri alberi silvestri, è ripiena di olivi, ed il lor 
numero si eleva a settecento dieci. Questo tratto di terra vien calcolato per moggia diciotto, passi 
quattordici e passitelli sette.(62.579 mq = 6 ha,25 a, 79 ca).
Tutta la parte olivetata di Montemajulo, che vien calcolata per moggia trentatre, contiene altre 
settecento cinque piante di olivi (111.783 mq = 11 ha, 17 a, 83 ca).
Finalmente nella parte superiore della pecoreria, che fora presso a nove moggia, vi sono altre 
trecento dieci piante di olivi (30.486 mq = 3 ha, 04 a, 86 ca)
Vi esistono in conseguenza in questo tenimento mille settecentoventicinque alberi di ulivi.
Vi sono inoltre diversi piccoli pezzi di terre coltivabili, che s’impiegano per la semina di derrate, 
per uso della caccia o delle vacche.
Nella parte superiore di queste due montagne, e precisamente nel sito più alto, vi è l’antico 
giardino detto di S. Silvestro della estensione di un maggio, dieci passi e dodici passitelli, 
circondato da muro. Questo giardino si trova in uno stato poco vantaggioso, perche, per la sua 
posizione,  è di raro visitato.
Vi sono in esso diversi alberi da frutta, delle viti di una scelta, e si veggono ancora diversi 
ornamenti a delizia, eseguiti nei primi tempi del Re Ferdinando.
Più sotto evvi la vigna detta di S. Silvestro. A fianco di questa vigna evvi un aggregato di pagliaje 
disposte a semicerchio con bella simmetria  destinato per un gruppo di pecore, ed a tal fine 
chiamasi pecoreria.
Viene in seguito, dopo qualche varietà di terreno, il Real Casino di S. Silvestro, e quindi i 
giardini de’ quali abbiamo parlato in precedenza in altro foglio.
Prima di giungere al Casino vi è un delizioso declivio, detto vallone delle castagne per i grossi ed 
antichi alberi di castagno che vi si trovano.
Sù in alto de’ giardini di S. Silvestro, e sempre salendo verso occidente, vi sono i boschettini e de’ 
gruppi, in mezzo de’ quali si veggono costruiti de’ finti ruderi di antichità forniti di statue e di 
altri abbellimenti, tornando poi verso il mezzogiorno si arriva finalmente ad una vasta pianura, 
che presenta una estesossima e deliziosa veduta.
In questo punto vi è la discesa per la cascata delle acque, la quale è tutta rivestita ne’ suo fianchi 
di folti alberi di elci.
Si prolunga in fine questa pianura per tutta la sommità di Montemajulo, la quale domina la 
sottostante campagna e tutto il giardino Inglese.
Per rendere il Real Casino detto di S. Silvestro, e le contigue terre veramente deliziose, eravi 
bisogno di abbondante acqua, e questa per ordine di S.M il Re Ferdinando, fecesi giungere per 
mezzo di un formale, che quici le conduce dalle sorgive dette di Giove e Fontanelle, le quali 
sortono dalle alti montagne perviene a Caserta Vecchia.
Or queste acque che fluivano in una vasca messa in un lato dello spiazzo del Casino di S. 
Silvestro, dopo di aver servito al bisogno del tenimento, vanno a percolare nel formale, che 
restituisce alla Cascata la parte esuberante delle acque date a Belvedere.
Nel prospetto di Montebriano a mezzogiorno ammirasi la bella cascata delle acque, essendo ivi 
l’ultimo punto del condotto Carolino, che, dopo aver traversato le alture di Garzano e degli altri 
paesi messi sulla catena dei monti Tifatini, entra in Montemajulo, e quindi giunge nel sito che 
abbiamo indicato.
Molte opere ammirabili ancor si veggono vicino alla cascata, e nel seno che esiste tra 
Montebriano e Montemajulo ove erasi divisato di costruire quell’immenso serbatojo, che supplir 
doveva al bisogno delle acque per la Regia e delizie di Caserta, qualora fosse accaduto qualche 
spiacevole avvenimento al condotto Carolino.
Queste opere non si veggono però terminate a causa delle vicende de’ tempi.
Tutto il sito che noi descriviamo in abbozzo, è difeso da un muro, che incomicia dalla parte dritta 
del cancello della cascata, circuisce i terrenni addetto alla  caccia delle reti, e quindi giunge 
all’altro cancello detto di S. Silvestro.
S’incontra quivi il muro del bosco, che gli serve pure di cinta fino al cancello dell’Arco.
In questo punto ricomincia l’altro muro, che circonda, e chiude tutte le tenute di S. Silvestro, e 
nel punto dell’antico giardino cala alla vallata del Mezzzano fino a  Pucciarello, indi circuisce il 
giardino Inglese, ove termina.
Non omettiamo di accennare che le alture di S. Silvestro furono giudicate ne’ passati tempi 
molto acconce per una caccia di fagiani, e di fatti vi furon quivi disposti gli elementi per le 
schiuse domestiche.
Abbandonatasi in seguito questa idea, nel 1826 si adottò quella di stabilire una caccia di lepri,  
immaginandosi che quelle campagne somministrar ne potessero il bisognevole cibo e ricovero.
A tale effetto si elevarono tutte le mura all’altezza sufficiente, onde la caccia non potesse sortire 
dal recinto.
Si è sperimentato però, che i calori estivi brugiano quasi tutte le erbe, sicche gli animali per 
mancanza di nutrimento, e per l’eccessivo calore perirono, quando non riesce loro di saltare il 
muro.
Confinazione e misura
Chiuso interamente da un muro tutto questo tenimento, non ha bisogno di termini, che ne 
stabiliscano, ed assicurino la confinazione. D’altronde esso è circondato quasi da per tutto da 
siti di Real proprietà; solo sul  lato di oriente il muro corrisponde alla strada che conduce a 
Morrone, e sulla parte al di là del muro vi sono delle terre di particolari, che entrano nel 
territorio Casertano.
Rendita
I diversi oliveti spari in  questo tenimento di Montebriano e Montemajulo formano in totale di N. 
1725 alberi di ulivi. Da questi ulivi si ottiene un risultato di circa dieci cantaja di olio, che 
sogliono serbarsi per la Real mensa.
Dalle vigne si ottiene un prodotto di circa novanta barili di vino.
Da qualche pezzo di terreno semensabile, quando non si destini al pascolo delle vacche, o a cibo 
de’ lepri, potrebbero ricevarsi  circa cinquanta tomola di granone ovvero di legumi.
Evvi pure la mirtella in Montebriano, la quale negli anni scorsi ha prodotto un vantaggio di 
circa sessanta in settanta cantaja.
Finalmente dalla puta delle piante boschereccie può sperarsi un prodotto di circa quattrocento 
fascine.
Fondiaria
Essendo questo tenimento addetto ai Reali delizie, è esente da contribuzione fondiaria.

.........................................

27.Caccetta  di  Carpineto

Avendo S. M. il re Ferdinando concepito la idea di stabilire  una caccia  a reti per la presa di 
beccafichi, e di altri volatili di passaggio, scelse all’uopo le terre, delle quali veniamo a 
ragionare e che andavano  anticamente sotto nome di Carpineto e Croce.
Esse per la loro natura, e posizione erano opportunissime al richiamo di siffatti uccelli, e 
vennero disposte in modo che potessero servire all’oggetto, cui erano destinate.
Chiamò inoltre la M.S. da Sorrento individui abili a tal mestiere, e quindi fece costruire 
l’edificio (Casa del Retaiolo all’Arco) per l’abitazione del Capo Retajolo, e per lo deposito delle 
reti, e degli altri necessarj utensilj.
Confina il quel sito le terre di primitivo acquisto, e le altre posteriormente comprate da diversi 
particolari, e distrutte eziando le antiche configurazioni, è difficile di poter pronunciare con 
dettaglio la loro provenienza. Lo stato attuale di questo tenimento è quello che segue. Fornia 
esso una continenza di moggia tredici, passi dieci e passitelli quattro (45.180 mq = 4 ha, 51 a, 80 
ca)
Trovasi diviso in tre sezioni.
Una parte di moggia otto, passi quindi e passitelli ventidue, è buona, ed è pure dotata di un 
canneto, che s’impiega per le vigne.
La seconda di moggia due, passi cinque e passitelli dodici è fornita di diversi alberi alti a 
richiamare gli uccelli, ed è precisamente nel sito, in cui può eseguirsi la cacia tanto al fucile che 
con le reti, e va in seguito inoltrandosi sempre in alto nelle scoscese sottoposte al sito di S. 
Silvestro. Esso è circondato da altre terre buone, che compongono Montebriano.
Confinazione e Misura
Questo tenimento incomincia dal piano messo dietro la casa delle reti, e va in seguito 
inoltrandosi sempre in alto nelle scoscese sottoposte al sito di S. Silvestro.
Esso’ circondato da altre terre boscose, che compongono Montebriano.
Rendita
Essendo piaciuto al defunto Re Ferdinando di tolerare, che tuttociò che ricavasi dalle terre colte 
ed incolte addette a questa caccia, potesse andare a beneficio del vecchio Capo Reatjolo 
Giuseppe Sane, la Reale Amministrazione nulla attualmente percepisce.
Nondimeno potrebbe ottenersi una rendita di circa ducati sessanta all’anno.
Fondiaria
Non vi è peso fondiario perche trattati di terreno addetto a Delizie Reali.

I confini della tenuta “Carpineto” sono ipotetici

Il Beccafico (Sylvia borin, Boddaert, 1783) appartenete alla famiglia Sylviidae
Si tratta in un uccello miratore presente in quasi tutta l’Europa e diffuso da maggio fino a settembre. In inverno si trova nell’Africa tropicale.
Il tempo di percorrenza e la direzione del volo gli sono innate. Il beccafico vive in giardini, parchi, ambienti arbustivi e territori boschivi aperti. Molti si scelgono ogni anno lo stesso territorio per l'estate.
Il nome  è composto dai termine “beccare” e “fico” perché ghiotto di fichi.
In latino era chiamato “ficedùla” cioè da “ficus” e da “edère” mangiare;
un termine che è ancora oggi usato in diversi regioni del centro-sud.
Dai cacciatori viene molto apprezzato per la sua carne.
..............

28.Territori  al  Quercione

Allorche si stabilirono nell’interno di S. Leucio le strade  principali, che dovevano menare alle 
diverse parti del Real Sito, tutta questa vasta estensione di terreno acquistata de’ Particolari,  di 
cui era messa alle radici di Montebriano, e che giungeva fino a Belvedere, veniva inteziccata e 
trinciata nel modo che la regolarità delle strade esigeva. Quindi, dietro tale  intersecamento, ne 
risultarono sei porzioni, ciascuna delle quali prese la sua particolare denominazione.
Di queste porzioni di terre fin da principio se ne formò un solo affitto, come se un solo corpo 
fosse stato, e si compresero pure nell’affitto medesimo altri fondi messi in diversi luoghi del Real 
Sito.
Non essendosi fatto col progresso di tempo alcun  cangjamento per questo affitto, avvenne che, 
allorche  trattossi dello stabilimento della contribuzione fondiaria, non si ebbe cura di rilevare 
 partitamente i sei territorj sotto i rispettivi nomi, e dimensioni; ma essendosi consultato 
semplicemente l’articolo de’ registri de’ libri patrimoniali dell’Amministrazione,  ove essi 
riportati erano in massa per la estensione di moggia quindici, passi sette e passitelli cinque, si 
denunziarono in siffatta guisa. (51.619 mq = 5 ha, 16 a, 19 ca).
Quindi senza altro esame vennero in tal modo inseriti ne’ ruoli della contribuzione.
Posto ciò, non giudichiamo opportuno di descrivere sotto un solo paragrafo i sei fondi, de’ quali 
è questione,  enunciandoli però separatamente l’uno dall’altro, affinchè potessero anche 
separatamente affittarsi, laddove lo interesse dell’Amministrazione lo esigesse.


a.Padula  al  Quercione

Sito questo territorio nelle contrade del Quercione. Esso da principio non era che semplicemente 
seminatorio con qualche pioppo fornito di viti. Nel 1794 fu cangiato ad orto, ed a frutteto per uso 
della popolazione; ed all’upo si fecero venire dalla Capitale  de’ padulani per coltivarlo e questa 
foggia: coll’andar del tempo non si è cangiato  il destino di questa terra, ma soltanto si è  
ristretta in parte la padula per dal luogo ad altre coltivazioni. Viene arricchita questa padula da 
una fontana di acqua perenne, che trae origine dal formale, che ritorna le acque di Belvedere 
alla Cascata.
Oltre ad una copiosa dote di erbaggi vi sono in questo territorio i seguenti alberi:
Piante di olive annose e novelline   N. 41
Di Pioppi con vite ...............................18
Di fichi ................................................11
Di cirriegge.........................................02
Di noci .............................................. 02
Di sorbi ............................................  01
Di gelsi ...........................................   15
Di pesche......................................     04
Di mela .........................................    02
Di quercia ......................................  04
Di salici ........................................    02
Confinazione e misura
Dalla parte di settentrione ha per confine questo fondo la strada, che da Belvedere conduce alla 
Cascata, da oriente l’altra che dalla caccetta  conduce al Quercione. Da mezzogiorno poi 
confina con altre terre dell’Amministrazione. E da occidente col nuovo circondario di S. Leucio,  
messo sul territorio detto la Croce.
Esso è dell’estensione di moggia sei e passi otto. (21.227 mq = 2 ha, 12 a, 27 ca).
Rendita
Questo territorio, insieme con diversi altri  fondi, trovasi affittato a Valeriano Carniani, ed a 
Giuseppe  Pane per annui D. Dugento.
Avendo riguardo alla qualità delle terre assai migliore delle altre, può giudicarsi che l’estaglio 
del fondo, che descriviamo, entri a calcolo ne’ Ducati Dugento per circa Ducati novanta.
Fondiaria
Questo territorio non figura parzialmente nel catasto provvisorio, esso è compreso nel numero di 
diversi territorj, che sotto nomi di  oliviti seminatorj formano in totale una estensione di moggia 
quindici, passi sette e passitelli cinque, la quale viene riportata ne’ seguenti termini:
Articolo 1° = Sezione S = N 3 = Arboreto Seminatorio di 1° qualità = Cerquone = 15.07.05 di 1° 
classe = Rendita netta D.  198.11


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b . Territorio dirimpetto La  Padula

ove vi è la  grottella

Rimpetto  al lato settentrionale del fondo, che abbiamo qui innanzi descritto, evvi quello di cui ora  ragioniamo. Esso è in un declivio, ed il terreno è ineguale e variato. Vi si coltivano degli ulivi, e vi seminano parimenti varie derrate, come grano, biada e granone.
Numerati gli alberi degli ulivi ascendono a 204. Trovandosi questa terra nelle più basse falde della montagna di S. Leucio, non è atta ad altra miglior coltura. Vi sono in una parte di questo fondo alcuni cavi (cave) poco profondi fatti nel rialto del terreno, ove il suolo è di pietra fragile:  somigliano queste  cavi a delle piccole grotte, ed avevano forse per oggetto il ricovero de’ pastori. Per tal motivo il territorio va sovente sotto il nome di grottelle.
Confinazione e misura
La parte meridionale di questo fondo confina colla strada, che da Belvedere conduce alla Cascata. La occidentale confina collo stradino nuovo alla estremità della vigna della Torretta.
La settentrionale con un altro piccolo stradino che divide questo terreno dalla falda superiore boscosa, e la orientale confina colla strada della casa delle reti ossia della  caccetta.
La sua estensione è di moggia cinque, passi quattro e passitelli dieci, incluso un pezzetto incolto di moggia due.
Rendita
Questo fondo forma parte delle terre affittate a Giuseppe Pane e Valeriano Carniani per annui D. Dugento, e può giudicarsi, che il suo estaglio parziale entri a calcolo in questo affitto per la somma di D. 28.
Fondiaria
Il contributo fondiario che gravita su questo fondo, è compreso fra quello portato in  massa per gli altri corpi già descritti, indicati per moggia 15.07.05 al Quercione.

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c . Territorio messo a fianco  sinistro

Della Cuccetta di  Carpineto,  denominato  le Cave

Questo territorio è situato nel confine della Cuccetta; viene fiancheggiato nel lato di oriente dal muro, che cinge Montebriano, e quindi verso i lati di mezzogiorno, ed occidente confina colla strada che dalla cascata conduce alla Caccetta. Per tale motivo la sua figura è irregolarissima. La qualità del terreno è  mediocremente suscettibile di semina, e vi esistono N. quarantadue piante di ulivi annose.
Nel lato orientale di questo fondo vi esiste una cava, dalla quale si estraggono ottime pietre per uso di fabbrica, e perciò vien chiamato territorio delle cave.
Confinazione e misura
Quanto abbiamo di sopra accennato è sufficiente a dimostrare la confinazione di questo territorio. esso è della estensione di un moggio, passi diciassette e passitelli sedici, compresi passi due e passitelli undici incolte.
Rendita
Siffatto territorio, egualmente al precedente,  tenevasi compreso nell’affitto fatto con Giuseppe Vane e Valeriano Carniani. Può entrare a calcolo sull’estaglio per  annui D.10.
Fondiaria
Questo territorio non figura parzialmente in fondiaria, perche va compreso nel numero della mappa  15.07.05 riportate nel catasto.


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d . Territorio montuoso

Messo a fianco dritto del Casino di Carpineto

Giace  questo piccolo fondo al fianco dritto della  Caccetta di Carpineto, ed è circoscritto dalla strade, che da questo punto conduce alla vigna del ventaglio.
Esso è in declivio, ed è della natura di quelli che abbiamo precedentemente descritti, e de’ quali  faceva parte prima che vi fossero stabilite le strade che ora vediamo.
Vi sono in questo fondo solo sessantadue alberi di ulivi, e la sua figura forma quasi un trapezio.
Confinazione e misura
Questo fondo confina da due lati con i terreni addetti alla caccia delle reti, e di due lati colla strada, che dalla casitta istessa conduce alla vigna del ventaglio ed a S. Silvestro.
Forma questo terreno una estensione di un maggio, passi sei e passitelli ventiquattro.
Rendita
Può ragguagliarsi la rendita di questo fondo per circa annui D. otto, e forma parte dell’affitto de’ diversi terreni fatto con Giuseppe Pane e Valeriano Carniani.
Fondiaria
Un tal fondo parimenti trovasi portato nella stessa sezione e numero di cui abbiamo parlato negli articoli precedenti.


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e . Territorio Montuoso

Coll’antico canneto al Quercione

A sinistra della strada, per la quale dalla caccetta di Carpineto si va al Quercione evvi un pezzo di terreno, il quale si estende fino al cancello del Quercione istesso.
Questo formava parte delle falde di Montebriano, tagliata giù allorche si stabilì la strada della cascata,
siffatto fondo è quasi tutto sassoso e montuoso, e soltanto nel lato settentrionale, presenta un poco di terra suscettibile di semina.
Nella parte montuosa vi si piantarono gli alberi di ulivi, i quali esistono nel numero di sessantatre framischiate con querce ed altre piante selvagge.
Nella parte alta a semina vi era un canneto per uso delle Reali vigne.
Ora è piaciuto a S. M. di ordinare che quest’ultima parte si provasse a buon coltivo, come si è già praticato, ed oltre vi si sono piantati diciotto alberi di olivi ed alcuni gelsi.
Negli angoli di questo terreno verso il quercione vi sono tre piccioli giardini della estensione di pochi passi, lasciati gratuitamente a quegli abitanti per loro uso.
Misura
Si la parte montuosa ulivata, che la boscosa, e la seminatoria, non esclusi i tre giardinetti, presentano insieme una estensione di moggia....
Rendita
Trovandosi la parte olivata di questo fondo affittato complessivamente con altri diversi territori a Giuseppe Pane e Valeriano Carniani per annui D. Dugento può entrare a calcolo nell’estaglio per  Duc. Sette annui.
Deve avvertirsi che dietro gli ordini di S. M di dissodarsi le terre, ov’era il canneto, si è questo picciolo tratto, che non era compreso nell’affitto di Pane e Carmiani,  conceduto gratuitamente per quattro anni, affin di evitare le spese delle siepi, e tutte le altre inerenti al dissodamento. Elasso il quadriennio, che va spirare nel 1832, si aumenterà di qualche ducato l’affitto istesso proporzionamento al vantaggio, che se ne riceverà.
Fondiaria
Questo fondo non figura praticamente nel catasto provvisorio del Comune di S. Leucio, esso però è compreso nel numero di quei territorj che formano in totale una estensione di moggia 15.07.05 riportate nel catasto sopraindicato.


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29.  Territorio Ulivato

Vicino al Corpo di Guardia alla Cascata

Nell’ingresso del cancello alla Cascata, e precisamente a man sinistra vi è uno spezzone di territorio, che formava parte di Montebriano, da cui venne staccato per l’allineamento della strada, che porta a Belvedere. Questo picciolo  terreno d’infima qualità contiene quarantacinque alberi di ulivi, e può essere suscettibile di qualche semina. La sua figura è irregolare.
Confinazione e misura
Dalla parte settentrionale è messo questo fondo lungo la strada, che dalla Cascata conduce a Belvedere. Da Mezzogiorno e da occidente è chiuso dal muro circondario del Real Sito, che corrisponde su i terreni della Parrocchia di S. Vincenzo di Briano, e da oriente confina con il bosco di Caserta. La sua estensione è di passi ventisette, e passitelli 26. (3.146 mq = 31 a,46 ca)
Rendita
Questo territorio forma parte di quelli che sono affittati a Pane e Carniani per somma D. dugento; pare che possa calcolarsi nell’affitto per annui D. quattro.
Fondiaria
Questo piccolo territorio non figura in fondiaria, a va compreso tra le moggia 15.07.05.


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 30 . Montagna della Rocca

 (Ex nome del Monte Sommacco)

 Appartenente al Regio  Demanio

Sul monte detto “Sommaco” per iniziativa del barone siciliano Innocenzo Zappini, furono introdotte la pianta del sommacco utile per la concia delle pelli e anche piante di  pistacchio.



Il Monte Sommacco potrebbe essere considerato come l’espressione dell’innovazione industriale che i sovrani, Carlo III e Ferdinando I di Borbone, cercarono d’imprimere nella società locale con una serie di iniziative.  Iniziative che non riguardavano solo il settore agricolo e zootecnico ma anche quello industriale che non sono note tranne, anche se parzialmente, quella di San Leucio a causa di una certa propaganda giornalistica. Molte di queste attività industriali furono introdotte da Carlo III di Borbone ed erano legate alla costruzione della Reggia di Caserta. In quest’ottica dovrebbero essere considerate la costruzione di fornaci per la produzione di mattoni, l’installazione di una ferriera, l’apertura di cave per l’estrazione di tifo e la produzione dei calce, l’allestimento di laboratori per la scultura, laboratori per l’incisione del rame, ecc.
Molte di queste attività furono proseguite nel tempo  e quindi legate a finalità speculative.
Particolarmente importante, anche in merito alla ricerca in questione, fu quella della coltivazione del guado e della sua molitura. 

Il guado sarebbe la pianta “Isatis tinctoria”, una biennale della
famiglia delle Brassicacee. Fa parte delle piante “da blu”  perché permette di
ottenere  questo colore. Il colore si estrae dalle foglie raccolte durante il primo anno di vita. Dopo la macerazione e fermentazione in acqua si ottiene una soluzione  dal colore giallo-verde che, agitata ed ossidata, produce un precipitato  (indigotina). Il colorante, molto solido,
è utilizzabile nella seta, nella lana, nel lino, cotone e juta ma anche in cosmesi e per i
colori pittorici




Copiosi raccolti di guado provenivano dalla Starza grande (Avellino) e dal feudo dei Mormili  dove era impianta anche la coltivazione della Robbia.
La lavorazione del guado si effettuava all’interno della Starza grande nei pressi della Regalata, nel quartiere di San Carlino.
Nel 1751, grazie ad una iniziativa privata, nacque a Caserta una società per la produzione di guardo tra il torinese Giuseppe Agostino Manera, D. Giovanni Pons e D. Domenico Galiardo di Santa Maria di Capua. Il sovrano incoraggiò l’iniziativa emettendo con l concessione il
Privilegio  di poter fare l’erba per il Gialdo tanto in questo regno,
quanto in quello di Dicilia necessaria per le tinte de’ Panni e setaria colla
privativa per soli 14anni.
Agli inizi del 1753 le prime quantità di guado prodotte, sebbene ritenute dai mercanti del settore
Di tutta perfezione,
restarono invendute a causa della concorrenza del “guado straniero” (cinese ed americano) che monopolizzavano il mercato. Il Manera sollecitò il sovrano per l’adozione di
qualche opportuno provvedimento per così proseguire l’industria in questo stato
che sarebbe di qualche vantaggio per l’entrate di S.M in questa città.
In un dispaccio del 17 agosto 1756, indirizzato al marchese di Squillaci (Leopoldo de Gregorio),  si rendeva notto che nella società di produzione del guado, era entrate a farne parte anche la “Reale Azienda” e che la fabbrica di produzione era stata installata a Durazzano e che il Manera ne era il direttore. Nel documento ci si lamentava anche della cattiva amministrazione e i modesti risultati che erano stati conseguiti.
Nel dicembre dello stesso anno il Manera decise di lasciare il bene al regno e chiese al Sovrano un contributo di 600/700 ducati per trasferire la propria famiglia a Torino.
Il sovrano (Carlo III di Borbone) era rimasto deluso dall’amministrazione del Manera ed era disposto a versargli al massimo in contributo
di centro dubli, per pura pietà
..... a patto che rinunci al privilegio concessogli.
Privilegio che, secondo l’accusa del sovrano, gli era stato estorto surrettiziamente dal Manera,
avendo questi (il Manera) millantato che quella di Caserta era la prima
fabbrica di guado del Regno, laddove ne esisteva già una a Teramo
fondata molti anni prima.
Non sono conosciuti gli esiti della vertenza e nel 1770 Ferdinando I di Borbone introdusse la coltura del guado nella masseria denominata Piazza del re nello “stato” di Durazzano e nello stesso sito fece costruire un fabbricato nel quale
Apparecchiarsi l’erba per l’uso di tinta.
Il fabbricato, denominato “Casa delle Tinte”  fu portato a termine nel 1772 come risulta dai libri contabili dello stabilimento nei quali risulta che i “tre raffinatori di guado”, in forza all’opificio, percepiscono un salario mensile complessivo di 12 ducati.
Avvenimenti, per certi versi simili, colpirono anche la coltura e la coltivazione del sommacco, una pianta particolarmente ricca di tannini ed impiegata per la tintoria e la concia delle pelli.


Rhus Coraria
Nel 1787 il barone D. Innocenzo Zappini, gentiluomo siciliano, propose a Ferdinando I di introdurre nel casertano la piantagione del sommacco. Il sovrano fu convinto dalla bontà dell’iniziativa ed accettò la proposta mettendo, a disposizione del barone Zappini, una vasta proprietà del demanio denominata la “Montagna della Rocca”, e fino allora adibita a pascolo.

Famiglia Zappini (Zappino ?)
Risalente al XV secolo ed originaria della Basilicata e passata in
Sicilia con Giovanni Innocenzo, senatore di Palermo nel 1442.
Avevano il titolo di barone dii di Mezzograno (ereditato dai Tramotana ?)
Sopra le tonnare di Solanto (santa Flavia-Pa) San Nicola e l’Arenella.



Il barone Zappini fu autorizzato ad effettuare a sue spese un saggio su di un’area limitata. L’esperimento fu positivo e la cultura del sommacco sulla Montagna fu avviato. Al barone furono concessi ben 141 moggia di territorio ( 477.618 mq = 48 ha circa) successivamente ampliati con altri terreni.
Nel 1792 fu costruito anche un fabbricato, vicino alla riserva, attrezzato per la macina della corteccia e delle foglie della pianta.
In seguito alla rivoluzione del 1799, il barone abbandonò l’iniziativa agricola e ritornò a Palermo dove si era rifugiato anche il Sovrano.
Quando Ferdinando  I ritornò a Napoli, la Real Riserva del Sommacco venne riattivata e anche durante l’occupazione francese fu coltivata come dimostrano  i bilanci del “Ramo di San Leucio, risalenti al 1806 – 1807, dove figurano dei ricavi in seguito alla vendita del sommacco


Il Rhus coraria, detto sommacco, è una pianta appartenente alla famiglia
delle Anacardiaceae. I fiori sono di colore giallo-verdastro (fioriscono in
maggio - agosto) e  riuniti in pannocchie. I frutti,
sono delle drupe di colore rosso – bruno, velenosi se consumati freschi.
Il termine sommacco è di origine araba. Summaq trova la sua origine dal
termine “summaqia”, riferibile ad un piatto molto ricco di origine islamica.
La Sicilia è una terra ricca di contraddizioni ma sicuramente ha una caratteristica consolidata: i rapporti, sono sacri.
 
Il bollettino ufficiale della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, nel n. 7, luglio 1928 – su coltivazione e impiego del sommacco fino a circa la seconda metà del secolo scorso:

“Il sommacco viene coltivato in Italia quasi esclusivamente in alcune zone delle province di Palermo, Trapani, Catania, Girgenti e Messina.Per sua natura attecchisce anche in terreni poveri e rocciosi; vengono così utilizzate dalla tenace opera degli agricoltori siciliani vaste zone di terreno inadatte, per la loro costituzione fisico-chimica, ad altre colture redditizie. La produzione del sommacco in Sicilia è stimata in media a quintali 300-350.000 annui.
La foglia di sommacco, disseccata al sole e grossolanamente sminuzzata mediante un sistema di trebbia fatto con animali, viene acquistata da incettatori, che ne curano la spedizione agli esportatori di Palermo.
Ridotto per la massima parte in polvere finissima, il sommacco viene venduto in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti, lo adoperano come materia tannante e come mordente per conciare alcuni tipi speciali di pelli. Raggiunto il massimo nel 1925, i prezzi sono andati progressivamente diminuendo con  tendenza  ancora al ribasso…Questo ramo di commercio ha risentito molto gli effetti della concorrenza  di altri surrogati adottati in speciali metodi di concia.
Il sommacco importato negli Stati Uniti è tutto proveniente dall’Italia, meno qualche decina di tonnellate fornite irregolarmente da altri Paesi. I conciatori, nell’impossibilità di pagare i prezzi richiesti dalle ditte esportatrici, si sono ingegnati per rimpiazzare il sommacco con altre materie concianti, tipo estratto delle foglie di quercia. Si può dire che attualmente, fatte rare eccezioni, non si concia più col sommacco puro, ma bensì con miscugli di sommacco e altri prodotti. Ne consegue che il consumo di sommacco è diminuito in forti proporzioni.
Già negli anni Cinquanta del secolo scorso non erano  pochi  i contadini che raccontavano della raccolta e del commercio del sommacco molto fiorente. Erano soprattutto le donne che venivano impiegate nella raccolta, l’essiccazione e la macina delle foglieattività ormai dismessa”.
 
Nel libro “Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861: Relazione dei Giurati
Vittorio Emanuele III alla Leopolda di Firenze

A ridosso dell’Unità d’Italia, a Firenze  alla stazione Leopolda il 15 settembre del 1861 venne inaugurata, dal re Vittorio Emanuele III, la prima mostra nazionale dei prodotti italiani nel campo  dell’industria e del commercio dell’agricoltura. Alle aziende che si erano distinte  venivano conferiti dei riconoscimenti.
All’Esposizione è presente la famiglia Florio, originaria di Bagnara Calabra,
trasferitasi a Palermo verso la fine del’ 700. In Sicilia riuscirono a creare un impero e nella seconda metà dell’Ottocento, diedero un grande lustro alla città.
I Florio, già importanti commercianti, erano noti anche per il consistente commercio del chinino,  presentarono i loro prodotti all’Esposizione di Firenze. Tra i loro prodotti, il Marsala Riserva, per il quale erano diventati famosi   e   il sommacco, la cui esportazione in uno dei principali paesi   consumatori,  la  Francia, era in caduta per le frodi commesse da alcuni commercianti. Il sommacco dei Florio risultò purissimo e  i giudici nella loro relazione riconobbero ai Florio la purezza del prodotto e il metodo di lavorazione che  aveva  avuto il merito di far risorgere il mercato. Ai (fratelli) Florio viene attribuita la medaglia di merito, assieme ai fratelli   Maiorana di Catania, che avevano una vasta estensione di coltivazione di sommacco
I frutti, raccolti prima che giungano a maturazione e fatti essiccare, una volta tritati danno vita a una spezia dal sapore acidulo, simile al succo di limone, quasi sconosciuta in occidente ma particolarmente usata nella cucina vicino e mediorientale: Libanesi e Siriani la usano per insaporire il pesce; Iracheni e Turchi la aggiungono alle insalate; Iraniani e Georgiani ci condiscono il kebab. Ideale con lenticchie, ripieni per il pollo, cipolle e salse di yogurt.
Se ne ricava il succo immergendo i semi triturati in acqua per venti minuti (circa 1 dL d'acqua ogni 35 grammi di semi), quindi si scolano e si strizzano.
Un tempo dalla corteccia e dalle foglie della pianta si estraevano i tannini impiegati in tintoria. Veniva falciata in estate e lasciata seccare nell’aia per favore l’essiccazione. Periodicamente veniva rivoltata e poi insaccata per essere ritirata dai commercianti.

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico
Questa spezia ha un potere antiossidante (ORAC) tra i più elevati in assoluto, un indice di valore 312400, circa 73 volte più potente di una mela, notoriamente considerata un ottimo antiossidante. Nei paesi mediorientali se ne prepara una bevanda acidula che si somministra per la cura dei lievi disturbi di stomaco.
e nel processo di concia delle pelli.





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38. Montebriano  e  Montemajulo


Le terre che compongono questo  spazioso tenimento, non facevano in alcun modo parte de’ beni compresi nell’acquisto della Stato di Caserta. Erano esse di pertinenza di diversi particolari, da’ quali vennero comprati con separati contratti, stipulati in varie epoche.
Nell’appendice del fol. 57 leggesi l’elenco di siffatte compre colle notizie necessarie a riscontrare gli istrumenti, qualora la necessità lo esige.
Riunite dunque nella loro totalità alla Real casa le due montagne, denominate  Montebriano e Montamajulo, che sono tra loro congiunte, formasi il tenimento di cui trattasi.
Sono esse sormontate da belle pianure e da declivj, ne’ quali si rinchiudono le terre, che ritengono ancora il nome di  Parito e di S. Silvestro.
Quanto di vago e di dedizioso poteva rinvenirsi e praticarsi, tutto trovasi nel sito, di cui ragioniamo.
Gli antichi proprietarj di queste terre avevano stabilite ne’ siti più opportuni delle medesime diverse piantagioni di ulivi, specialmente né luoghi a declivio.
Siffatte piantagioni vennero fin dal principio conservate, ed in qualche luogo sono state anche aumentate. Tutta la parte meridionale di Montebiano, detratte i due pezzi, che fiancheggiano la cascata, e che sono rivestite di elci (pioppi), e di altri alberi silvestri, è ripiena di olivi, ed il lor numero si eleva a settecento dieci. Questo tratto di terra vien calcolato per moggia diciotto, passi quattordici e passitelli sette.(62.579 mq = 6 ha,25 a, 79 ca).
Tutta la parte olivetata di Montemajulo, che vien calcolata per moggia trentatre, contiene altre settecento cinque piante di olivi (111.783 mq = 11 ha, 17 a, 83 ca).
Finalmente nella parte superiore della pecoreria, che fora presso a nove moggia, vi sono altre trecento dieci piante di olivi (30.486 mq = 3 ha, 04 a, 86 ca)
Vi esistono in conseguenza in questo tenimento mille settecentoventicinque alberi di ulivi.
Vi sono inoltre diversi piccoli pezzi di terre coltivabili, che s’impiegano per la semina di derrate, e per uso della caccia o delle vacche.
Nella parte superiore di queste due montagne, e precisamente nel sito più alto, vi è l’antico giardino detto di S. Silvestro della estensione di un maggio, dieci passi e dodici passitelli, circondato da muro. Questo giardino si trova in uno stato poco vantaggioso, perche, per la sua posizione,  è di raro visitato.
Vi sono in esso diversi alberi da frutta, delle viti di una scelta, e si veggono ancora diversi ornamenti a delizia, eseguiti nei primi tempi del Re Ferdinando.
Più sotto evvi la vigna detta di S. Silvestro. A fianco di questa vigna evvi un aggregato di pagliaje disposte a semicerchio con bella simmetria  destinato per un gruppo di pecore, ed a tal fine chiamasi pecoreria.
Viene in seguito, dopo qualche varietà di terreno, il Real Casino di S. Silvestro, e quindi i giardini de’ quali abbiamo parlato in precedenza in altro foglio.
Prima di giungere al Casino vi è un delizioso declivio, detto vallone delle castagne per i grossi ed antichi alberi di castagno che vi si trovano.
Sù in alto de’ giardini di S. Silvestro, e sempre salendo verso occidente, vi sono i boschettini e de’ gruppi, in mezzo de’ quali si veggono costruiti de’ finti ruderi di antichità forniti di statue e di altri abbellimenti,
tornando poi verso il mezzogiorno si arriva finalmente ad una vasta pianura, che presenta una estesossima e deliziosa veduta.
In questo punto vi è la discesa per la cascata delle acque, la quale è tutta rivestita ne’ suo fianchi di folti alberi di elci.
Si prolunga in fine questa pianura per tutta la sommità di Montemajulo, la quale domina la sottostante campagna e tutto il giardino Inglese.
Per rendere il Real Casino detto di S. Silvestro, e le contigue terre veramente deliziose, eravi bisogno di abbondante acqua, e questa per ordine di S.M il Re Ferdinando, fecesi giungere per mezzo di un formale, che quici le conduce dalle sorgive dette di Giove e Fontanelle, le quali sortono dalle alti montagne perviene a Caserta Vecchia.
Or queste acque che fluivano in una vasca messa in un lato dello spiazzo del Casino di S. Silvestro, dopo di aver servito al bisogno del tenimento, vanno a percolare nel formale, che restituisce alla Cascata la parte esuberante delle acque date a Belvedere.
Nel prospetto di Montebriano a mezzogiorno ammirasi la bella cascata delle acque, essendo ivi l’ultimo punto del condotto Carolino, che, dopo aver traversato le alture di Garzano e degli altri paesi messi sulla catena dei monti Tifatini, entra in Montemajulo, e quindi giunge nel sito che abbiamo indicato.
Molte opere ammirabili ancor si veggono vicino alla cascata, e nel seno che esiste tra Montebriano e Montemajulo ove erasi divisato di costruire quell’immenso serbatojo, che supplir doveva al bisogno delle acque per la Regia e delizie di Caserta, qualora fosse accaduto qualche spiacevole avvenimento al condotto Carolino.
Queste opere non si veggono però terminate a causa delle vicende de’ tempi.
Tutto il sito che noi descriviamo in abbozzo, è difeso da un muro, che incomicia dalla parte dritta del cancello della cascata, circuisce i terrenni addetto alla  caccia delle reti, e quindi giunge all’altro cancello detto di S. Silvestro.
S’incontra quivi il muro del bosco, che gli serve pure di cinta fino al cancello dell’Arco.
In questo punto ricomincia l’altro muro, che circonda, e chiude tutte le tenute di S. Silvestro, e nel punto dell’antico giardino cala alla vallata del Mezzzano fino a  Pucciarello, indi circuisce il giardino Inglese, ove termina.
Non omettiamo di accennare che le alture di S. Silvestro furono giudicate ne’ passati tempi molto acconce per una caccia di fagiani, e di fatti vi furon quivi disposti gli elementi per le schiuse domestiche.
Abbandonatasi in seguito questa idea, nel 1826 si adottò quella di stabilire una caccia di lepri,  immaginandosi che quelle campagne somministrar ne potessero il bisognevole cibo e ricovero.
A tale effetto si elevarono tutte le mura all’altezza sufficiente, onde la caccia non potesse sortire dal recinto.
Si è sperimentato però, che i calori estivi brugiano quasi tutte le erbe, sicche gli animali per mancanza di nutrimento, e per l’eccessivo calore perirono, quando non riesce loro di saltare il muro.
Confinazione e misura
Chiuso interamente da un muro tutto questo tenimento, non ha bisogno di termini, che ne stabiliscano, ed assicurino la confinazione. D’altronde esso è circondato quasi da per tutto da siti di Real proprietà; solo sul  lato di oriente il muro corrisponde alla strada che conduce a Morrone, e sulla parte al di là del muro vi sono delle terre di particolari, che entrano nel territorio Casertano.
Rendita
I diversi oliveti spari in  questo tenimento di Montebriano e Montemajulo formano in totale di N. 1725 alberi di ulivi. Da questi ulivi si ottiene un risultato di circa dieci cantaja di olio, che sogliono serbarsi per la Real mensa.
Dalle vigne si ottiene un prodotto di circa novanta barili di vino.
Da qualche pezzo di terreno semensabile, quando non si destini al pascolo delle vacche, o a cibo de’ lepri, potrebbero ricevarsi  circa cinquanta tomola di granone ovvero di legumi.
Evvi pure la mirtella in Montebriano, la quale negli anni scorsi ha prodotto un vantaggio di circa sessanta in settanta cantaja.
Finalmente dalla puta delle piante boschereccie può sperarsi un prodotto di circa quattrocento fascine.
Fondiaria
Essendo questo tenimento addetto ai Reali delizie, è esente da contribuzione fondiaria.


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39. Terreni     Acquistati

a Territorio  a  Montanino

 Sul Monte  Sommacco

Stabilita  mediante l’opera del barone Zappini la piantagione del sommacco nelle terre demaniali del Comune di Caserta nel luogo precisamente denominato Montanino, una della montagne della Rocca...., si vide la necessità di fare acquisto di diversi terreni seminatorj ed alberati, che alcuni particolari possedevano sul sito medesimo: Questi territorj, essendo messi nel mezzo della indicata piantagione e nelle vicinanze del casino, presentavano ostacolo alla coltura novellamente introdotta, anche per lo accesso continuo, e molesto de’ rispettivi proprietarj.
Per tali motivi S.M il Re Ferdinando con due Sovrane Risoluzione, la prima del dì 2 ... 1192  e la seconda del dì 27 Febbrajo 1793 sanzionò la compra di queste terre, le quali furono eseguite con istrumenti stipulati nelle epoche che verremo ad indicare.
Le terre acquistate furono le seguenti:

Nome

Superficie

Moggia – Passi - Passitelli

Sup. in mq

Sup. catastale

Note

Ducati

Angela Mincione

Di Coccagna

3 -  17 – 5

1 – 10 – 0

0 – 15 - 0

12.100

1.129

1.694

 14.923

1 ha,21 a

        11 a, 29 ca

        16 a, 94 ca

1 ha, 49 a, 23 ca

Tre fondi alberati

 

340,80

Giovambatista Gallo

2 – 4 – 0

1 – 26 - 20

7.226

6.398

13.624

72 a, 26 ca

63 a, 98 ca

1 ha, 36 a, 24 ca

Querce

Ulivi

fruttiferi

 

362

Carlo Petriccione

3 – 13 - 0

11.630

1 ha, 16 a, 30 ca

Frutteto

vigneto

 

301,45

Mattia e Vucta Santenastaso

2 – 8 – 0

7.678

76 a, 78 ca

oliveto

 

192,66

Antonio Centone

2 – 24 - 15

9.541

95 a, 41 ca

Oliveto

frutteto

 

 253,50

In tutto il prezzo di questi territori ascese a Ducati 1109,61
Il contratto con la Mincione fu stipulato da Notar Gennaro Vincenzo Scialla nel dì 13 Settembre 1792; quello con Gallo ed  altri fu stipulato da Notar Salvadore Pezzella nel dì 10 dicembre 1793.
Tutti questi terreni furono subito confusi agli altri adiacenti,, vennero pur soggettati alla coltura istessa, e sparì totalmente la loro antica configurazione.
Attualmente sono essi pure inselvatichiti ed addetti come tutti gli altri a formare una riserva di caccia, non è possibile individuare poi con precisione il loro sito, e figura né possono farsi de’ ragguagli sulla loro rendita.

b Montecupo   ( cave di pietre)

Nell’epoca dell’occupazione militare avendo compito il cavaliere Macedonio il progetto di acquistare e con denaro contante, e con permute i territorj che componevano la Riserva del Sommacco, trattò con Donna Antonia Cameo, e D. Gennaro Scialla di Casanova, lo acquisto di un comprensorio di terre, che costoro possedevano nel sito precisamente detto di Montecupo, che entrava nel perimetro della Riserva. Era composto questo comprensorio di un pezzo di montagna arborea con mirtella della estensione  di moggia undici, passi quattrodici e passitelli 20 ( 38.917 mq = 3 ha, 89 a, 17 ca); di un pezzo di terra seminatorio con cinquantaquattro piante di olive e di una cava di pietre con spiazzo, ed al suolo adiacente della estensione di moggia tre, passi tre, e passitelli venticinque (19.595 mq = 1 ha, 95 a, 95 ca).
Concentrate dunque queste tre porzioni formano un totale di moggia quindici, passi diciannove e passitelli quindici (53.012 mq = 5 ha, 30 a, 12 ca)
Con istrumento dunque del dì 18 novembre 1807 di Notar Salvatore Pezzella fu acquistato questo territorio per la somma di Dicati 1400,99 quale somma venne ‘a venditori soddisfatta in tante diverse rate pagate nello spazio di diversj anni nel modo seguente:
Pagamenti fatti a metà in Dicembre 1807
A D. Gennaro Scialla, per mezzo del Sig. Duca Di  Campochiaro Ducati  300
A D. Antonia Cameo per mezzo del Sig. Cav. Macedonio ..............D.        300
                                                                        In uno  (Totale)  Ducati       600
Restarono a consegnare per saldo D. 800,99 per i quali fu stabilito pagarsegli in quattro anno dal 1808 al 1811 a D. dugento l’anno con l’interesse a scalare del 3 per % a loro beneficio, e questi pagamenti furono esattamente adempiti di unita agli interessi.
Si noti che l’importo de’ suddetti tre fondi componenti moggia quindici, passi diciotto e passitelli quindi per D. 1400,99 si spettavano cioè:
A D. Gennaro Scialla ................. D: 466,99
A Donna Antonia Cameo.............D. 933,99
                                                 ..........................
                                                    D. 1499,99
Pervenuto questo comprensorio di terre alla Reale Amministrazione, la  montagna mirtellata ed erbosa rimase per uso di caccia. Il piccolo territorio seminatorio anche compreso nella Riserva venne dato in affitto, e lo stesso praticavasi rispetto alla cava, la quale rimase allo stesso Scialla per annui Ducati dieci.
Confinazione e misura
Questo tenimento ha per confine dalla parte di oriente la strada pubblica, da quella di occidente i beni di  Piccirillo, da mezzogiorno i beni di Tiano e  Piccerillo, e da settentrione i  fondi anche di Peiccerillo.
Misurati esattamente questi fondi sonosi trovati della estensione di moggia quattrodici, passi diciannove e passitelli quindici (49.625 mq = 4 ha, 96 ha, 25 ca) secondo la misura Casertana
Rendita
Calcolatosi il prodotto che potevasi ottenere dalla montagna mirtellata incorporata alla Real Riserva del Sommacco, si vide che poteva ascendere ad annui Ducati  trentacinque e grana venti, e tal somma veniva pagata annualmente dalla Reale Balestreria.
Ora essendosi abolito siffatti pagamenti l’amministrazione niente percepisce.
Il piccolo territorio olivetato si affitta ad un tale Angelo Sorbo di Casanova per annui  D. sei. E finalmente la cava di pietre continua a rimanere  presso di esso Scialla per annui Ducati dieci, in virtù di un antico contratto di affitto il quale sarò migliorato.
N.B-
Il Duca di Campochiario era Ottavio Mornile, importante esponente politico e militare nella Corte Borbonica soprattutto di Ferdinando I dove ricopriva la carica di ministro.

........................................

c.  Le  Brecce  o Cognolillo

Essendo  D. Michele  Landieri rimasto debitore della Real fabrica in una somma ingente,  cedè alla medesima diversi suoi crediti, tra i quali  eravene uno contro del fu D. Tommaso Giuseppe Landi, a di cui danno aveva introdotto  nel tribunale Civile di Terra di Lavoro giudizio di espropria su due territorj, uno de’ quali era della estensione di moggia cinque e passi – sito nel luogo detto Brecce o Cognolillo.
Dall’Amministrazione della Real fabbrica si procedè al prosieguo dell’intentato giudiziario, e già con sentenza del tribunale del dì 29 Gennajo 1820 la esproprio fu pronunziata ed eseguita nel territorio in questione  per netto valore di D. 947, 84.
Non essendosi giudicato conveniente che la Real fabrica possedere dovesse terreni, fu rassegnata a S. M. la proposizione di doversi la medesima aggregare alla Reale Amministrazione previo il pagamento della somma corrispondente, sulla rendita ragguagliata alla ragione del 6 per %.
Essendo stata con Sovrano Rescritto del dì 27 gennaio 1824 una tal proposizione approvata, l’indicato ragguaglio, il quale, basato sulla rendita di Ducati 38,75, giacche si portò la fondiaria per D. 19,25: diede un capitale di D. 395,16 che dal tesoriere della Reale Amministrazione furono pagati  a quello della fabrica.
Per effetto adunque di questo rimase la Reale Amministrazione posseditrice del fondo, di cui è in questione. Esso è di qualità aratorio e fruttiferato, ed è sito in un piano inclinato, gli alberi  che vi esistono sono di ulivi, fichi ciriegge ed altre frutte nel numero di
Immaginavasi che questo territorio fosse libero, com’erasi asserito, ma  il patrimonio Regolare ha inoltrato le sue  pretensioni per un  canone di annue D.
Questo affare va a risolversi  giudiziaramente, perché debbono esibirsi i titoli per  iscorgere se vi sia un canone, e se esso graviti sul territorio in questione,  ovvero sopra diversi cespiti che dal soppresso Monistero de’ Padri di Gerusalemme vennero censiti ai fratelli Landi.
Confinazione e misura
Confina questo territorio con un vallone dalla parte di settentrione ed con la Montagna del Sommacco, e via pubblica da mezzogiorno, e con altri territorj appartenenti all’Amministrazione da oriente ed occidente.
La sua estensione è di moggia cinque, passi diciassette e passitelli otto (18.886 mq = 1 ha, 88 a ,86 ca)
Rendita
Si ha attualmente da questo fondo una rendita di annui D. 40
Fondiaria
La imposizione fondiaria su questo fondo è stata oggetto di discussione.
Allorquando esso passò presso la Real Fabbrica delle seterie, siccome si omise di far seguire la mutazione di quota, così il Percettore tassò arbitrariamente il debito all’Amministrazione per annui D. 19,25.
Conosciutosi in seguito questo errore, si è rettificato e si è divenuto anche alla mutazione di quota, sicchè il contributo ricade ad annui D.     ed il fondo figura nella madrice fondiaria per l’imponibile di D 49,50..

Località

Superficie (mq)

Ducati

Note

Montanino

57.396

1109,61

Paragrafo N. 36

Montecupo

39.463

1400,99

Cava di Pietre

Paragrafo N. 37

Esempio di pagamento rateale

Montecupo

3.387

218,81

Acquitato da Portillo di Casanova

Le Brecce a Cagnolillo

18.886

595,16

Paragrafo N. 38

Vertenza giudiziaria

Totale 

129.294 mq

=

12 ha, 92 a, 94 ca

3324,57

 

In Verde i territori che fanno parte della Riserva di Caccia del Monte  Sommacco




40. Terreni acquistati con retrocessione  dei censi

Località

Superficie

mq

Ducati

Note

Cappuccio

(Falde Monte

San Leucio

60.971

670

Eredi di Vincenzo D’Amico (censo per tumula 20 di grano fino a terza generazione)

Cappuccio

37.261

175

Berardino Milano erede di Domenico Milano -

Cappuccio di San Leucio

23.301

40

Anna Boccardo, vedova di Pacella, e di suo figlio

Censo di anni due e grana ottanta

Retrocessione del censo e pagamento di migliorie

Falde Monte San Leucio

36.237

140,76

Bernardino Milano – retrocessione di un censo istruito dal Principe di Caserta l’8 agosto 1741 con il canone di tomola sei di grano

Cappuccio

(Falde Monte

San Leucio

20.324

125

Anna Gentile vedova di Angelo Milano  - Retrocessione di censo concesso a Giuseppe Milano per annui sette ducati e con contratto stipulato dalla Camera Baronale il 18 gennaio 1727

Coste Monte San Leucio

29.324

115

Roco Ricciardi figlio del fu Domenico Ricciardi – Retrocessione censo stipulato dal Principe di Caserta il 10 novembre 1731 per il canone annuo di tomola sette e misure dodici di grano

Costa Monte San Leucio

74.522

575

Retrocessione censo concesso a Bartolomeo Petrillo per annui ducati 25

Monte San Leucio

40.648

150

Eredi di Donato Savastano – retrocessione e migliore di un censo con canone di tomola 16 di grano

Monte San Leucio

18.400

742,20

Fratelli Pezzella – Retrocessione di un censo con il canone annuo di 15 carlini.

Totale dei territori che erano stati concessi in enfiteusi e riscattati dalla Reale Amministrazione  con contratti dal:

30 agosto 1754 al 28 ottobre 1775

Superficie  Totale :  331.988 mq  =  33 ha, 19 a, 88 ca

Ducati : 2732, 96

Ferdinando I di Borbone (IV di Napoli e III Delle Due Sicilie)
6 Ducati, 1770 , Napoli
Dritto: busto adulto paludato e cappelli raccolti sulle spalle a destra
FERDIN . IV.D.SICILIAR.ET.HIER.REX
Sotto: .B.P.
Rovescio: nel campo scudo coronato con onorificenze tra rami di palma e alloro
HISPA IAR. U FA S. 1770
Ai lati CC, a sinistra in alto R  e sotto D 6
Contorno cordonato in rilievo
Quale sarebbe il valore corrente di un Ducato del Regno delle Due Sicilie ?
Ho trovato su Internet un interessante ricerca che permetterebbe di dare una risposta.
Il riferimento per il calcolo su basa su due indici:
1)      Il valore del cambio preso a base del calcolo imposto dai piemontesi nel 1860;
1 Ducato = Lire 4,25
2)      Riferimento alla svalutazione intervenuta a tutto il 31 dicembre 2001
 
1 Ducato = 10 Carlini = 100 Grana
1 Grana = Tornesi = 12 Cavalli

Moneta

Valore Annuo 2001 

Lire

 Euro

 

Ducato

31.028,90

16,03

Carlino

3.102,89

1,60

Grana

310,29

0,16

Tornese

155,14

0,08

Cavallo

25.86

0,01

Fonte: ISTAT

I Ducati  2732, 96  spesi per la riscossione dei terreni censuati sarebbe stata
in lire: 84.800.742  in Euro : 43.809
una cifra notevole...

41. Terreni acquistati con denaro in contante dal Novembre 1753

Località

Superficie

In mq

Ducati 

Note

Montebriano

Non specificata

250

Antonio Forgione

Montagna mirtellata

Montebriano

13.549

224,60

Domenicantonio Battista

Montagna mirtellata

Montebriano

74.522

575

Petrillo

Parito

(Montebriano)

7.151

237,60

Andrea Natale

Cappuccio

Falde di Monte San Leucio

18.720

225

Agostino Papa

San Silvestro

 

749,20

Andrea Appierto

Terreno mirtellato e piccola casa

Montebriano

27.099

300

Marchese Montanaro

Carpineto

32.737

1111,16

Giulio Passaro e Angela Iannello, vedova di Crescenzo Panaro

 

3.387

64

Canonico Corvino

Montagna mirtellata

Parito – Carpineto – Sopra l’Arco e Montemajulo

159.295

1492,57

Università di Caserta

Territorio montuoso

1.807

28

Beneficiato de’ Gentili

Territorio montuoso

1.637

26,16

Marchese Montanaro

Territorio montuoso

6.775

54,40

Marchese Montanaro

Territorio montuoso

113

15

Marchese Montanaro

 

3.711

252,15

Crescenzo Passero

Terreno olivato

677

47,50

Parrocchia di Briano

Cave di Pietra

5.852

492,80

Giulio Passero

Cave di Pietra

7.054

380,82

Aniello Fiorillo

Cave di Pietra

15.791

551,25

Alessandro Giaquinto

Territorio montuoso olivato

10.689

259,90

Alessandro Giaquinto

Territorio montuoso olivato – frutteto - seminatorio

26.873

405,90

Alessandro Giaquinto

 

Aratorio – frittiferato - alberato

4.027

202,96

Gioampietro Tescione

Aratorio e montuoso

17.338

416

Agostino Borgognone

Aratorio e montuoso – bosco – fruttiferato

82.990

1797.70

Giuseppe Veglione

Aratorio olivato

527

43,20

Convento del Carmine di Caserta

Carpineto e Croce

6.341

146,44

Andrea Petrucione

 

903

85

Crescenzo e fratelli Esperti

Terreni acquistati “con denaro contante” dal 22 novembre 1753

Superficie totale : 529.525 mq = 52 ha, 95 a, 25 ca

Ducati : 10344,21 

Pari a :  320.969.458 Lire ?= 165.818  Euro

............................................................

42. Terreni acquisti con permute dal 22 Maggio 1753

  AL  9 Dicembre 1783

Località

Superficie

Mq

Permuta Terreno in

Contrada

mq

Ducati

Note

Pertinenze di Briano

Montagna

34.626

Sandinella

8.132

 

.........

Giuseppe Varone, Rettore della Cappellania di S.M.Mater Domini della Villa di Puccianello e  di Marita Maritaggi, eretti da Geronimo Garzella

Montebriano Olivetato con piane novelline

33.870

Sandinella

9.055

96,84

Governatore del Monastero del Carmine di Caserta

Montagna Olivata e mirtellata

Non specificata

Villa di Casolla – La Corte del Principe

9.413

106,46

Giuseppe e Don Pasquale della Ratta

Montebriano – Mirtellata ed olivata

33.870

Centurano

Luogo dello Campo

12.642

.....

Agostino e Giulio di Micco

Montemajulo

Mirtellata ed olivata

Non Specificata

Centurano

20.892

.....

Giovanvincezo De Caprio

Puccianello

(luogo detto Canale)

Mirtellato ed olivato

 

54.198

Centurano

Luogo dello Campo

27.449

..........

Domenico Palmiero, Procuratore del Monastero dei Certosini di Napoli

Gradillo

6.003

Fuori le Mura di S. Leucio

(circa stessa estensione)

.....

Parrocchial Chiesa di Ercole

Superfici acquisite con permute dal 22 Maggio 1753 al 9 Dicembre 1783

Totale (mancano due fondi) = 162.567 mq = 16 ha. 25 a, 67 ca

Superfici in permuta -  Totale: 93.583 mq = 9 ha, 35 a, 83 ca

Ducati: 203,30 (6.308.175 Lire – 3259 Euro)

 

……………………..

43. Acquisizione di Terreni  con permute  e riuniti all’Amministrazione di San  Leucio durante

l’Occupazione Militare Francese (1806 – 1815)

Località

Superficie

Mq

Proprietari

 

Permuta con

Fondo

Cappuccio

39.105

Fratelli Gazzella di Puccianello

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Cappuccio

20.832

Fratelli della Valle di Puccianello

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Monte Sommacco

157.738

Fratelli Buompane

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Monte Sommacco

20.663

Fratelli Buompane

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Monte Sommacco

151.433

Fratelli Forgione

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Porta di Parisi

9,259

Fratelli Buompane

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Montagna Della Rocca (Monte Sommacco)

412.388

Sig,ra Lupino, vedova Ferraro

Del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

Briano (vicino le mura di S. Leucio)

28.848

Fratelli Petriccione di Briano

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Trattoria di Belvedere (dirimpetto)

8.453

Chiesa Parrocchiale di Briano

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Gradillo

7.904

Fratelli Fiorillo

Dell’Abbazia di San Pietro de Montes

Cappuccio

7.855

Eredi di Grasso di Maddaloni

Parte di masseria di proprietà del Monastero de’ Domenicani di Maddaloni

 

Montecupo

52.899

Scialla e Cameo di Casanova

...................

(Denaro contante non specificato)

Acquisizione di Terreni  con permute  e riuniti all’Amministrazione di San  Leucio durante  l’Occupazione Militare Francese :  917.384 mq = 91 ha, 73 a, 84 ca

Di cui ben 795.121 mq destinati alla Riserva Reale di Caccia del Monte Sommacco.

 

Masseria detta di  Ferrari

(acquisizione nel 1808)

Maria Giovanna Supino, vedova del fu D. Antonio Ferrari, possedeva una vasta tenuta di terre della estensione di circa moggia centoventuno, passi dieci e passitelli dieci
(121 moggia ) = 409.871 mq + (10 passi) = 2.032,38 mq + (10 passitelli) = 37,60 mq =   = 411.941 mq (41 ha, 19 a, 41 ca)
con un Casino piuttosto spazioso nelle scoscese della montagna della Rocca, ossia del Sommacco rimpetto S. Leucio.
Questa tenuta  era un aggregato di varj spezzoni di terra colta ed incolta, di figura irregolarissima,  raccozzale a via di censuazioni e compre fattene da  diversi particolari.
Tutto erasi messo in opera per migliorare questi terreni, e molta spesa erasi malamente impiegata dal proprietario: ma di essi cinquanta moggia appena eransi potute mettere a profitto, mentre le altre settanta, poste sulla montagna di suolo petroso, erano rimaste ad uso di pascolo. Il Casino presentava un commodo fabbricato, ma le mura  eran fragile, sicche non permettevano lunga durata.
Fu accettevole alla Signora Supino l’invito di abbandonare  questa proprietà per seguire l’idea del Cavalier Macedonio di farne acquisto per l’Amministrazione di S. Leucio.
...................

In realtà il marito di Donna Maria Giovanna Supino, Don Antonio Ferrari,  nel 1801 era dirigente  della Real Tappezzeria  e aveva espresso una supplica al Sovrano che aveva come obiettivo l’acquisizione della sua vasta proprietà per accrescere l’importanza del sito di San Leucio.

“... possiede egli una Masseria sopra S. Leucio nel luogo detto cappuccio di
vasta estenzione, la quale è di sua famiglia in proprietà. Crede il supplicante che
questo Fondo possa di molto essere adatto per la vostra Real Faggioneria, quindi si
vede nell’obbligo indispensabile di offrire alla M.V. una permuta con qualche
Fondo rustico de’ Monasteri soppressi, per cui ricorre alla M.V.... che sia informato
dell’utile che la Masseria offerta potrebbe recare all’aumento della
Faggioneria anche per riguardo del gran comodo, che si avrebbe dalla
medesima alla M. S. per essere adiacente al Real muro del bosco di
S. Leucio, la supplica denigrarsi rimette al Direttore della Real
Faggioneria Balestriere D. Gaetano Beria  residente in Caserta


Masseria Ferrari (?)


Commessosi l’apprezzo a due architetti fu valutato il terreno per ducati undicimila trecento undici, sulla base di una rendita di annui D. 350.35, da’ quali essendosi dedotti D. 1205 per capitali di due canoni, uno di annui D. 25, dovuti alla Parrocchia di S. Vito in Ercole, alla quale appartenevasi il dominio diretto della vigna, e l’altro di annui D. 23.20 dovuto al Monistero dei P.P. Civili extra Capuani, padroni diretti dell’altro fondo vicino la vigna istessa, rimasero D. 10106.
Il casino fu poi valutato per D. 6281.45.
In tutto il valore delle terre col Casino fu portato a D. 17 592,45 ossia netto D. 16387,45.
La Signora Supino aveva chiesto in compenso della sua proprietà una masseria di cinquantaquattro moggia sita verso S. Nicola della strada, ch’era  stata di pertinenza de Domenicani di Maddaloni e si trovava aggregata alla Amministrazione di Caserta.
(Un aggregazione che era stata solo temporanea).
Essendosi aderito a tale richiesta si ordinò la valutazione di questo secondo fondo, che fu stimato per D. 17015; quindi fattovi il bilancio, ne risultò un debito da parte della Signora Supino: debito di cui ricchiese la bonifica a titolo di prezzo di affezione.
Notizie riservate giunte al Cavaliere Macedonio sulla inesattezza degli architetti, lo  determinavano ad ordinare un secondo apprezzo della masseria e del Casino della Sig.ra Supino, e di fatti tuttoche l’Individuo, cui venne commessa tal revisione, fosse stato poco severo,   pure di opinione, che dovesse dedursi la somma di circa D. duemila sulla base di una rendita non maggiore di D. 410.
A norma dunque di questo secondo estimo fu eseguita la permuta con istrumento del di 5 Marzo 1808 stipulato per mano di notar Germano Vincenzo Sicalla, che trovasi inserito nel  volume delle cautele N.
Su effetto di questa permuta la masseria della di Ferrari passò presso l’Amministrazione di S. Leucio,
alla Sig.ra Supino fu data la masseria de’ Domenicano di Maddaloni che aveva chiesto; e siccome per pareggiare le somme  rimaneva un debito di circa  D 2336.33 a carico della Sig. Supino si convenne, che avrebbe ritenuta questa somma a capitale infisso sul feudo che acquistava, corrispondendone l’interessi di annui D 105.13 al 4.2 per %.
Pervenuto il podere pressi l’Amministrazione, si vide che non sussisteva punto la rendita asserita dagli architettti ne’ loro apprezzi.
Si diedero de’ passi per annullare il contratto, che dicevasi , come in effetti fossa, lesivo: ma essendosi inteso un magistrato di fiducia, costui  fu lontano dal consultare un procedimento giuridico, e credè che dovesse lacersi (lasciare).
È questa la spiacevole istoria dello acquisto della masseria di Ferrari.
Er questa masseria, o per dir meglio comprensorio di terre, era diviso nel seguente modo.
 

 

Moggia

Mq

Catastali

Coltivato a vigna, appartenuto al diretto dominio della

Chiesa Parrocchiale di S. Vito in Ercole

2.10

7.100

71 a

Campestre, denominato terra “di Gerusalemme” appartenente al dominio dei R.R. P.P. Servili fuori Capua

 

7

23.709

2ha.37a.9 ca

La masseria divisa nel seguente modo

 

 

 

Con alberi di mela, ulivi ed altre frutta

5.15

17.428

1 ha,74a, 28 ca

Montagna denominata “Nespolo, Monaco e Pezza della Cerasa” con alberi di ulivi

 

15

 

50.805

 

5 ha,8 a, 5 ca

Campestre ed arbustato

4.15

14.056

1 ha, 40 a, 56 ca

Denominato “Canalicelle” piantato ad arbusto, ulivi ed altre frutta

 

13

 

44.031

 

4 ha, 40 a, 31 ca

Di cesina alla a semina ed alla piantagione di ulivi ed altre frutta, e dove esiste il fabbricato del Casino

 

14

 

47.418

 

4 ha, 74 a. 18 ca

Montagna cesinale

58

196.446

19 ha, 64 a,46 ca

In totale  mappa

121.10

410.166

41 ha, 01 a, 66 ca



N. b. -  Cesina -  Il nome Cesine non deriva, come si pensa comunemente, da Segine che a sua volta deriva da seges che significa zona incolta e abbandonata, ma proprio dalla parola italiana (ma di diffusione meridionale) cesina, che significa "radura, zona disboscata" 
Devi aggiungersi che nel lato, che corrisponde alla strada, vi sono le fondamenta di una cantina, le di cui fabbriche erano state sospese   forse per la inutilità dell’opera.
L’amministrazione  divenuta posseditrice di queste terre venne a stabilire i suoi affitti ed in questi rinventri fu con maggiore evidenza appalesati il danno sofferto in tal permuta.  Danni che ... calcolare la ragione della compra ad una  proporzione .....
Messi questi terreni in un sito montuoso e scosceso,  tranne quei che sono al piano della strada di Gradillo, e .....
Siffatte terre sono di qualità diverse come diverso è il genere di culture cui sono addette, secondo l’indole del suolo.
L’attuale conduttore ha serbato per quanto è stato possibile la loro antica partizione, ma in generale ne ha addette moggia settantuno a pascolo, e tutto il rimanente a coltura.
Gli alberi che attualmente esistono in questo comprensorio di terre, sono i seguenti. 

 

 

Piante  di ulivi  

630

Simili di ciriegge

114

Di elmi, oppi, e pioppitelli per sostegno delle viti

1444

Capi di vite

3212

Piante di mele

329

Di pera

99

Di fichi

114

Di noci

44

Di pioppi che costeggiano la strada

178

Simili di castagne

72

Di pesche

4

Di prugna

10

Di querce grandi e piccole

78

Di gelse

8

Di sorbo

13

Di amarene

2

Di mandorle

1

Di acacie

11

 

Non dobbiamo dissimulare che l’attuale conduttore è stato poco diligente nella coltura del fondo, e che ha tralasciato di reimpiazzare molti alberi che da tempo in tempo sono andati a mancare: e per cui anderà ad esser tradotto in giudizio ed obbligarlo a rifare i danni che non sono  di poco momento.
Abbiamo accennato che nella parte che corrisponde alla strada, eransi stabilito le fondamenta di una cantina. Avendo la Reale Amministrazione giudicato che il prosieguo di questa cantina resse dispendioso e di niuma utilità, ha fatto... le cose nello stato in cui erano.
Confinazione e misura
Confina questo comprensorio di terre da oriente colla via pubblica di Cappuccio, da mezzogiorno con i beni di Landi e di altre da occidente col tenimento del Sommacco e di  Sairo, e da settentrione con i beni di Giuda, Mincione ed altre.
La misura è quella che abbiamo espressa cioè di moggia centoventuno passi dieci e passitelli dieci.
Rendita
L’antica rendita di questo fondo allorquando   trovavan presso il Sig. Ferrari  avea sorpassato di poco la somma di ducati dugento malgrado i vantaggi che forniva il Casino ed i copiosi corredi che’essa conteneva.
Ad onda di ciò i Periti che valutarono la masseria magnificarono molto questa rendita  fermandosi a dati ipotetici.
La verità  de’ fatti si scoprì quando le terre vennero in potere dell’Amministrazione. Attualmente trovasi in affitto a Ferdinando di Maria di S. Leucio per l’annuo  estaglio di D Dugento in  forza di contratto  sipulato per mani di notar Pezzella
Fondiaria
La coltura, classificazione, estensione rendita netta imponibile di questo fondo riporta nel  catasto provvisorio del Comune di Caserta, sotto nome di Monti della Rena, è come segue


Da ciò si osserva che tanto la moggia 72.08 di montagna erbosa, quanto il Casamento di membri quindici, vengono  esentati dal contributo fondario,  dappoiche la prima partita era inclusa nella Riserva ed il casamento lo era egualmente.
 
Limitazione
Evvi vieppiù assicurare i confini di una sì vasta estensione di terre, si è creduto necessario tumularla coll’opposiz. di 74 termini di travertino, porzioni de’ quali perche messi a fronte di strade sono contradistinti dalle cifre di Casa Reale, dalle lettere S.L. che indicano essere proprietà “Dell’Amministrazione di S. Leucio, essendo gli altri poi semplicemente segnali colle lettere iniziali R. A. dinotanti Reale Amministrazione” nella parte montuosa. Siffatta limitazione è stata eseguita coll’intervento de’ proprietarj limitrofi ponendo nel verbale redatto dell’Architetto Di Lilli che nei inscriamo nel vol. detti  cautela fog.
 
Il “Casino” presentava ben 12 vani al piano terra con corte e loggiato , il tutto chiuso da mura.
Dal cortile una scala permette di raggiungere la loggia “scoverta” e il piano superiore (con n. vani ?).
Nell’angolo fra oriente e mezzogiorno vi è una Cappella pubblica con una scala di fabbrica per salire al coretto sotto la quale vi è una piccola sagrestia”






Abbiamo detto che il territorio accordato alla Sig. Supino essendo di maggiore valore della masseria dalla medesima ceduta per la plusvalenza  in ducati 2336.ò53 di capitale, erasi obbligata di corrispondere annui D. 105,13.
Or avendo D. Ferdinando Ferrari, figlio della Sig. Supino, venduto il territorio a Don  Mario Piccolelli, cui ingiunse il peso della corrisponsione degli annui D. 105,13. Costui a’ termini del decreto de’ 28 Maggio 1816 (relui ?) quest’ annualità presso la Cassa di Ammortizzazione,  e ne fu all’uopo assegnata a beneficio della Reale Amministrazione una egual rendita iscritta sul gran libro, la quale incominciò a decorrere dal primo maggio 1817.

....................

Montagna di  Buonpane  sul  Sommacco

i fratelli D. Giulio e D. Giovan Giuseppe Buonpane di Casapulla vantavano un credito di ducati seimila contro la Reale Amministrazione di Caserta per valore di territorj cedutile nei passati anni,  Più vantavano ancora il diritto di ricevere il compenso di moggia due, passi ventotto e passitelli ventidue (10.019 mq = 1 ha,0 a, 19 ca) di terreno incorporato nel Real giardino Inglese. Inoltre essi erano proprietarj;
1°  di una montagna ulivata con mirtelle e canneto della estensione di moggia quarantasei, passi diciassette (157.738 ma = 15 ha, 77°, 38 ca) inclusa nella Real Riserva del Sommacco;
2° di un altro territorio di moggia sei e passi tre (20.663 mq = 2 ha, 6 a, 63 ca) contiguo alla montagna ulivata;
3° di un altro territorio di moggia due e passi ventidue ( 9.259 mq = 92 a, 59 ca)di terreno seminatorio arbustato vicino la porta detta di Parisi al Ponte di Sala.
Presentarono quindi in tempo della occupazione militare le loro domande per avere queste tre tenute all’Amministrazione di S. Leucio, al di cui dominio  pareva convernicale che passassero, e chiesero in compenso una parte del territorio del soppresso Monistero di S. Domenico di Maddaloni posto nel tenimento di della Città nel luogo detto Cornali: Domandarono inoltre che in questo compenso si conteggiassero i due crediti testè enunciati, cioè i Ducati 6000 insieme con alcune annualità arretrate, ed il valore del territorio incorporato al Giardino Inglese.
La loro domanda venne accolta. Si procede all’apprezzo di tutti i territorj, si conteggiarono tutte le partite, e vennero perfettamente equilibrati  i rispettivi interessi.
A tale uopo nel dì 7 Luglio 1808 ne venne stipulato il corrispondente istrumento per mezzo di Notar Gennaro Vincenzo Scialla, per effetto del quale istrumento vennero ceduti in proprietà ai Sig. Buonpane moggia trentanove della masseria  che domandavano.
In virtù di questo contratto la Reale Amministrazione di S. Leucio divenne proprietaria di diversi terreni, tra quali evvi la montagna ulivata e mirtillata col corrispondente casinetto, che ritiene ancora la denominazione di Buonpane, dal nome del suo antico possessore.
Questa bella collina, messa in un sito oltremodo ameno,  domina tutta la sottoposta pianura de’ tenimenti di Casanova e Casapolla, e presenta la veduta di una parte di terra Di Lavoro, la medesima contiene piccole pianure atte a semina, e tutto il resto è sparso di alberi di olivo e di  mirtelle, e di qualche albero da frutta.
Il Casuno di cui si è parlato, è composto da una stanza a volta a pianterreno, e di un’altra superiore con scala di fabbrica e  loggia su tre lati. Evvi pure un aja di astraco con cisterna munita di  pargatojocavato nel monte ed un altro basso ad uso di stalla.
Iserandosi questo fondo incorporato alla Real Riserva del Sommacco, la Reale Amministrazione non ha potuto fare nel medesimo alcuni di quei miglioramenti de’ quali sembrava e poteva essere suscettibile granche la parte piana capace di ottime produzioni, e tutto il resto della montagna potrebbe essere impiegabile e per vigna e per una piantagione più estesa di olivi e frutta.
Lasciato quindi questo territorio quasi ad inselvatichito; la Reale Amministrazione non ha  cavato se non che il prezzo della mirtella ed il frutto di poche ulive, ciò che approssimativamente non ha potuto  calcolarsi più di  ducati trenta l’anno.
Continua questa terra a far parte della Real Riserva del Sommacco, e  l’Amministrazione non  trae vantaggio maggiore di quelle che si ha ottenuto per lo passato.
Confinazione e misura.
Confina questa tenuta con i  beni del Sig. Mauro e (Balzo ?) verso oriente; con quelli del Sig. Natale verso Settentrione, col vallone Chiamello verso occidente e cò beni di Stasio e Giannattasio vero mezzogiorno.
La estensione di questo fondo è di moggia quarantasei e passi diciassette. (157.738 mq = 15 ha, 77 a, 38 ca).
Rendita.
Tutto questo territorio è addetto assolutamente ad uso di caccia e non somministra alla Reale Amministrazione se non che que’ pochi prodotti che risultano dalle mirtelle quando possono recidersi e dagli ulivi, ciò che più calcolarsi a circa D. trenta.
È da marcarsi però che nell’epoCa in cui questo territorio era stato preso in affitto per conto dell’antica fagianeria, si corrispondevano ai Sig. Buonpane dalla Balestreria annui Ducati 120.


Masseria Buonpane ?

..............................

44. La  Badia di Santa Croce di Cajazzo e i suoi terreni

Trasferiti alla Reale Amministrazione di San  Leucio durante l’Occupazione  Militare Francese

Località

Superficie

Mq

Coltura

Affittuario

Rendita Annua - Ducati

Note

Montagna

1.019.031

101 ha,90 a, 31 ca

In parte mirtellata

Comune della Piana

40

Per comodo dei cittadini

Starzodella

223.942

22 ha,39 a, 42 ca

Uso semina

Stefano Migliorati

83,33

 

S. Lucia

40.212

4 ha, 02 a, 12 ca

Seminativo

Scadente

Franceso Martucci e

Donato Di Palma

17

N.3 Fondi

Agna

29.188

2 ha, 91 a, 88 ca

Seminativo scadente

Ferdinando Di Maria

16

 

Morrone

16.629

1 ha, 66 a, 29 ca

Seminatorio

Mattia  Barbieri

6,50

 

Morrotiello

25.199

2 ha, 51 a, 99 ca

Seminativo

Ferdinando Di Maria

14

Tenimento Rujano (Ruviano)

Le Bozzelle

16.971

1 ha, 69 a, 71 ca

Seminativo

Agostino Anziano

8

 

Torrieri

7.078

- ha, 70 a, 78 ca

Seminativo

Ferdinando Di Maria

4

 

Superficie Totale dei terreni della Badia di  S. Croce di Caiazzo annessi alla Reale Amministrazione di S. Leucio = 1.378.250 mq = 137 ha, 82 a, 50 ca

Rendita Annua ricavata dagli affitti: Ducati  189 circa

5.864.462 Lire = 3.030 Euro

Dipendenze della Badia di Santa Croce passate alla Reale Amministrazione di San Leucio

...... La “Montagna” (parte di Monte Verna) della Badia di Santa Croce passata alla Reale Amministrazione di Sn Leucio.

 .......................................

45. I  terreni dell’Abbazia di San Pietro ad Montes trasferiti  alla Reale Amministrazione di San  Leucio  in seguito alla Sovrana Risoluzione del 28 Dicembre 1795


N.

Contrada 

Tipologia Terreno

 

Superficie

(in mq)

 

 

 

Originaria

Permuta

Residua

Eventuale permuta /

Altra tipologia di contratto

-

Rendita del terreno Residuo

1

Corticella  San Pietro

Guiardino Oliveto e Terreno roccioso

37.652

 

 

 

 

37.652

In Comodato d’uso ai Padri

Dottrinari che abitano nell’Abbazia 

Rendita = 0,00

2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sandinella

Seminativo

n. 42 pioppi maritati con viti

n. 32 pioppi giovani non maritati e n. 63 gelsi

93.543

 

14.679

 

 

 

6.154

 

 

 

 

 

20.584

 

 

 

 

 

26.338

 

 

 

 

……….

 

 

 

……

 

 

 

 

 

............

 

 

 

 

 

……….

 

 

 

25.717

 

(1808) - Permuta con terreno a San Leucio deiFratelli Baldassare e Francesco della Valle

(1808) – Permuta con terreno ceduto vicino alla Reggia -  Fratelli Marco e Pasquale Giaquinto

 

(1828) – Terreni ceduti: Giardino Inglese, Olmi di S. Nicola e San Leucio - Francesco, Domenico, Arcangelo Gazzella

 

Amministrazione Regia per la costruzione della Strada

Caserta - Napoli

3

San Pietro

pioppi con viti: n. 149

Altre simili novelline non ancora formate .... N. 76

n. 40 piante di gelsi

 

Esistono poi nel secondo pezzo: n. 398 piante di pioppi maritate con viti

Altre novelline senza viti.  N. 136

n. 44 piante di gelsi

 

 

113.032

 

3.387

 

 

46.697

 

………..

 

 

……….

 

 

 

62.677

 

Permuta con terreni di Gianni Natale

 

Permuta parziale con il “Casino” d’Ischia – Famiglia Bonocore

 

La superficie residua  era costituita da due fondi tra loro separati dato che i Bonocore scelsero il terreno nella parte centrale del fondo.

 

Rendita = 252,51 ducati

(per contratti con vari individui”)

4

La  Lenza

n. 366 piante di pioppi maritate con viti

n.47 piante piccole senza viti

n.46 piante di gelsi ancora novelline

165.329

 

45.199

 

……….

 

 

 

120.131

 

Permuta parziale con il “Casino” d’Ischia – Famiglia Bonocore

 

Rendita = 485.33 ducati per contratti con vari “individui”

5

S. Maria Macerata

(costituito da due fondi)

 

a)      dov’è presente l’Eremo di S. Maria Macerata

 

 

 

 

b)   altro fondo, contiguo al primo superficie     

      Sono presenti n. 282 piante di pioppi maritati con viti

 n. 42 pioppi giovani sena viti

                        

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

61.353

 

 

 

 

 

48.473

 

 

 

 

 

 

1.882

 

 

 

 

 

………

 

 

 

 

 

 

………..

 

 

 

 

 

59.471

 

 

 

 

 

dato totalmente in permuta ai Fratelli Forgione per un terreno posto sulla Montagna della Rocca a                                                      San Leucio

 

 

Parte di permuta per un terreno posto sulla Montagna della Rocca (Sommacco) a San Leucio – Fratelli Forgione

 

Rendita = 260 ducati per affitto a Leonardo Caglia e Antonio Compagnano

6

Fondo Scarrupata

 

n. 56 cerri maritati con viti

14.024

 

5.349

 

………..

 

 

 

 

8.675

 

Permuta con terreno ceduto ai Giardini Inglesi – Fratelli, Michele, Francesco e Antonio Valentino

 

Rendita = 37,50

7

Scampia di Santa Lucia

n. 86 piante di gelsi

48.266

 

 

 

48.266

“Scampia” – “Terreno non coltivato”

Rendita = 256 ducati

8

Starza della Camera

n. 197 (pioppi, querce ed olmi) maritate con viti

n. 107 (pioppi, querce ed olmi) non ancora maritate;

n. 60 piante di gelsi

50.644

 

 

 

 

 

 

50.644

 

 

 

 

 

Rendita = 252 ducati  per affitto a contadini di Tuoro

9

Ciaurri

n. 47 piante di gelsi

57.788

 

 

50.697

 

 

 

 

 

7.091

 

 

Permuta con terreno di San Leucio – Fratelli Petriccione

 

Rendita = 29 ducati per affitto a Domenico D’Agostino di Casolla

10

Oliviero

n. 178 piante di gelsi

54.559

 

 

54.559

 

Rendita = 260,16 ducati per affitto a: Paolo Cioffi; e Domenico D’Agostino di Casolla, a D.  Camillo  Scielzo, a D. Ferdinando di Maria e a D. Stefano  Catillo.

 

11

Le Maremole

Seminativo con n. 4 piante di pioppi maritate con viti

83.562

 

 

83.562

 

Rendita = 286 ducati per affitto a: Ferdinando di Maria di S. Leucio e D. Stefano Cutillo di Tuoro

12

I Vernilli

“seminatorio” con n. 27 piante di ulivi

17.641

 

 

 

17.641

 

 

Rendita = 50 ducati per affitto a: Salvatore Vanore e Domenico  Buonocore di Piedimonte di Casolla

 

13

Chiesa Vecchia

Seminatico con:

n. 23 piante di ulivi;

n. 7 piante di cirriegge;

n. 7 olmi maritate con viti;

n. 7 piante di fichi;

n. 1 pianta di sorbo

38.612

 

 

 

 

 

 

 

38.612

 

 

 

 

 

 

Rendita = 101 ducati per affitto a Piempro e Gennaro Scacco

14

Rado Longo

Seminativo a grani e capane

97.790

 

 

 

97.790

 

 

Rendita = 470,60 ducati

15

Cava sopra i pioppi

Seminativo con

n. 35 alberi di cirriegge

45.591

 

 

 

45.591

 

 

Rendita= 100 ducati per affitto a: Nicola e Francesco Brigantino

16

I Pioppi

13.154

 

 

13.154

 

Rendita= 21 ducati

17

 Le Petrare

seminativo

6.311

 

 

6.311

 

Rendita = 10 ducati  per affotto a Salvatore Maielli di Caserta


Superficie (al netto  delle permute) = 777,544 mq (77 ha, 75 a, 44 ca)
Rendita = 2871,30 ducati (89.093.281 Lire = 46.027 Euro)

…………………..

46. Fondi   Urbani   Rustici  della Reale Amministrazione di San Leucio

Reali Molini di  Montebriano  e della  Officina per la filatura de’ Cotoni


Stabilita una popolazione in S. Leucio, fu divisamento del Re Ferdinando, di felice ricordanza, di  apprestare alla medesima il commodo da macinare il grano, a da far triturare gli ulivi per riavarne dell’olio, volle quindi, che profittavasi della gran caduta delle acque nel sito ove precisamente dicesi Cascata, edificato si fosse un mulino, ed un trappeto, e ciò anche per procurare all’amministrazione un ramo di rendita. Tutto questo fu eseguito negli anni 1781 ed 1782.
Coll’andare del tempo,  trovandosi in queste contrade il Negoziante D. Luigi Vallin, che aveva stabilito una fabrica di cotonerie in Alfrida, propose di volgere a miglior uso il locale destinato per trappeto, piantando ivi un officina di da filare i cotoni con macchine mosse ad acqua. Avendo  ottenuto il debito permesso eseguì quanto aveva proposto a sue spese, e fece tuttociò, che in quei tempi poteva chiamarsi un ottima fabbrica di filatura.
Or tutto l’edificio che comprende i molini, e questa officina di filatura,  poggia sopra di un suolo della estensione di passi quattordici e passitelli ventinove. (1.690 ma = 16 a, 90 ca).
Il molino è composto da quattro macine, ed è situato in un piano terreno, che forma una lunga sala di palmi ottantaquattro e mezzo, divisa in due arcate.
A mano destra dell’ingresso di questa sala evvi una scaletta, per la quale si monta a due stanze destinate per commodo dello affittatore de’ molini.
Si è qui un corridojo che, fiancheggiando le stanze medesime, mena alle vasche dell’acque, che animano le machine.
Presso il molino vi è un Oratorio, in cui si celebra la messa ne’ giorni di festivi, e vi si entra per una porta, che comunica coll’anzidetta sala, e per pezzo di un’ altra porta, che corrisponde ad un cortile, che commmunica con fabbricato del Real giardino Inglese.
Vi è pure una piccola taverna stabilita in un basso che fiancheggia nella parte esterna la sala de’ molini.
Vi è finalmente un cortile non angusto, ove vi sono due stalle per commodo degli animali degli avventori, e due bassi destinati a diversi usi.
Il fabbricato poi per la filatura de’ cotoni consiste in un vasto compreso, ossia stanzone messo al di la delle vasche alla parte orientale, sicche a comodo e a piacere del Conduttore può fornire l’acqua necessari per far muovere il machinismo delle filature. Tutte la machine appartengono alla eredità di Vallin, e quando volessero togliersi per far altro uso del locale, dovrebbero gli eredi di esso Vallin ristabilire l’antico trappeto, secondo la convenzione allora fatta.
Descirizione, confinazione e misura
Questo edificio è circondato dalla parte di mezzogiorno, ed oriente dal giardino Inglese, dalla parte di settentrione vien confinato dal Real Boschetto di Caserta, e finalmente tutta la parte ocidentale è messa sulla strada, che mena non solo al molino,  ma eziandio ad uno de’ portoni del Boschetto.
Rendita
Di ottiene da questi mulini, e dalla officina della filatura una annua rendita di ducati cinquemila dugento, simulativamente (simultaneamente) affitato a D. Aniello de Livo,  D: Francesco Verde, e D. Luigi Zappelli con istrumenti del di....
Fondiaria
Estratto del Catasto
Nel Catasto provvisorio del Comune di Caserta all’art. 98 bis, si porta questo locale nel modo se segue:


Il Casamento detto di “Montanro”  era in quel periodo collegato, dal punto di vista operativo, al Molino della Cascata.
“E’ questo casamento sulla strada detta de’ Pallettoni in Caserta, e la sua facciata principale guarda il mezzogiorno. Il fabbricato è di buona costruzione.
Chiamasi palazzo di Montanaro, perché fu costui a costruirlo a spese del fu Marchese di Montanaro.
Il medesimo si compone di un pianterreno, e di due piani superiori, ed è piantato su di un suolo di figura rettangolare della estensione di passi otto e passitelli due, ch’era diretto dominio della Reale Amministrazione di Caserta, su cui trovavasi infisso un annuo canone di Ducati uno, gra. 61.5
Il pianterreno è formato da  numero quattro bassi a fonte di strada, due de’ quali sono addetti per abitazione, altro a cappella con un dietrobasso per Sagrestia, ed altro ad uso di stalla.
Nel vano arcato del portone evvi un altro basso, dirimpetto al di cui ingresso vi è una scalinata a quattro pilastri, per la quale si ascende a due piani superiori, entrando nel cortile si osservano altri otto bassi, che lo circondano, tre di essi addetti a stalle e cinque per abitazioni.
Nell’angolo a sinistra, entrando nel cortile, evvi altra scaletta a lumaca, che impiana negli appartamenti superiori. Per questa scaletta si ha pure l’ingresso in uno de’ descritti bassi, da cui si sorte in un altro cortiletto verso occidete, e quindi in due giardinelli. Vi sono nel cortile due cisterne, il lavatojo ed altre comodità.
I due piani superiori poi si compongono, cioè il primo di dieci stanze, e due cucine, ed il secondo ed ultimo di altrettante stanze ed una cucina.
Entrambi questi appartamenti son corredati di buoni pezzi d’opera né vani di porte, mediocri telai di vetrate e buoni scuri.
Cinque stanze del primo piano ed altrettante del secondo hanno l’aspetto a mezzogiorno e le rimanenti verso il cortile.
Appartenevasi questo casamento, come abbiamo detto, al Marchese di Montanaro, da cui prese il nome. In tempo del decennio si determinò di acquistarsi affin di situarvi una porzione degli Individui, che sloggiare dovevano dalla Real Colonia per far lasciare a disposizione di coloro che seguivano l’Occupatore Militare. Le abitazioni che ivi rispettivamente tenevano.
Esso casamento fu apprezzato per D. 5356:23 e questa somma fu calcolata sul valore di alcuni specciosi fondi del Demanio, che furono ceduti al Marchese di Montanaro con istrumento stipulato nel dì 29 Aprile 1807, per mano del N. Gius. (Ciuseppe) Narici di Napoli, nel quale intervenne il Principe di Caposele per la parte fiscale.
Confinazione
Siffatto Casamento confina da settentrione col giardino della Signora Lotti; da occidente con una villa, che mena nel giardino di D. Stefano Michitto; da mezzogiorno colla strada detta de’ Pallottoni, e da oriente colle case a giardino di D. Orsola Bernasconi.
Rendita
Sino all’anno 1821, è stato questa casamento abitato da diverse famiglie d’individui Leuciani, ma  essendo queste per disposizione Sovrana passate ad abitare nella Villa di Briano in parte, ed in parte ritornate in S. Leucio, si diè questo Casamento in affitto al Comune di Caserta per l’annua pigione di D. 230.
Fondiaria
Questo casamento trovasi esente di contributo fondiario, perché addetto ad abitazioni gratuite per gl’Individui Leuciani, e per semplice memoria si posta ne’ ruoli del catasto provvisorio nel seguente modo
Art. 97. Sezione I-G = N. 360 = Casa membri 27 di 8°  Classe = Pallottoni
Nota
Nel volume de’ documenti, che servono di appoggio alla descrizione, si è inserita la descrizione ed appresso originale di questo Casamento, che fu formato dagli Architetti Luigi Faunotta e Luca De Lillo.
Cui è inserita  una partita di Banco, che porta la data del dì 25 agosto 1809, dalla quale partita si rileva tutto il conteggio, che fecesi in quella epoca tra la così detta Intendenza della Real Casa ed il Marchese di Montanaro per i rispettivi crediti e debiti, ed in questo conteggio entrò il casamento in quistione, il di cui prezzo fu estinto colla cessione di diversi fondi del soppresso Monistero di S. Lorenzo di Aversa.
Dopo una non facile ricerca sono riuscito a scoprire l’antica via “de’ Pallottoni” che oggi è denominata Via Bernardo Tanucci. Una via  in cui erano presenti molti edifici storici alcuni dei quali oggi restaurati. All’inizio è ancora presente un vecchio edificio che presenta le quattro aperture  presenti nella descrizione dell’antico “Casamento del Marchese di Montinaro” .  Potrebbe essere questo anche per la presenza di vari cortili e in uno di questi sembra intravedersi anche la presenza di almeno due cisterne.
Il titolo di Marchesi di Montinaro o Montanaro, spettava alla ricca famiglia  romana dei De Renzis, discendenti di Cola di Rienzo, lo sfortunato tribuno che guidò l’insurrezione popolare di Roma nel 1347.  La famiglia  De Renziz ottenne l’investitura sul feudo di Montanaro acquistato da Francesco Caracciolo. Ancora oggi nel Borgo di Montanaro, frazione di Francolise (Caserta) è possibile ammirare un bellissimo parco con essenze vegetali dell’Ottocento.


Palazzo Montinaro  (?)


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47. Progetto  Frutta  Antica

Un interessante progetto sarebbe quello di riscoprire gli antichi frutti borbonici.
Frutti dimenticati uniti ad antiche tradizioni ed abbandonati, perduti e sostituiti da colture più produttive o comunque legati a logiche commerciali ed industriali.
Le varietà coltivate in passato erano contraddistinte da nomi affascinanti, spesso legati al territorio d’origine e caratterizzavano gli orti ed i giardini.
Purtroppo le “logiche” industriali ed anche i  gusti dei consumatori, hanno finito con il privilegiare il valore estetico e dimensionale del frutto. Questo ha determinato l’abbandono delle antiche varietà e in circa mezzo secolo, ma  l’arco di tempo potrebbe essere benissimo più ampio, sono scomparse almeno l’80% di varietà fruttifere.
Perdere una varietà significa perdere un importante patrimonio genetico che non sarà più riproducibile.
Ricordo anni fa di aver creato nella fattoria didattica di un agriturismo un piccolo frutteto antico. Durante una mia ricerca  ebbi la fortuna di visionare un antico libro dove erano riportate diverse varietà di frutta con i luoghi d’origine. Ricordo di essere andato a Mazzarino e riuscì a rintracciare l’antica contrada che era stato percorsa l’anno precedente da un incendio. Forse fu un caso ma trovati due piccole piantine di pero le cui foglie corrispondevano a quelle di una varietà citata dall’antico testo... una varietà che portava un nome antico “piru lignu di metere”.
In altre zone di comuni diversi trovai altre piante che misi a dimora nel frutteto.. “Fraccuneddu, morticciaru, Sant’Antoninu, Bedda Lagrima, Utticciaru...ecc.”
Fecero un buon sviluppo e alcune mi diedero anche degli squisiti frutti.
Purtroppo non avevo l’appoggio nel portare avanti il progetto di chi invece avrebbe dovuto condividere la mia esperienza... solo rimproveri perché quella realizzazione era solo una perdita di tempo.....
 “di ambiente non si magia.... lascia che bruci tutto”.. diceva...
Ricordo un parroco che una volta mi disse:
“Antonio grazie per quello che fai”.
Gli risposi che quello che creavo non era nulla di eccezionale e consideravo la mia opera solo un processo di valorizzazione di ciò che Dio ha offerto all’umanità.
Dopo diverso tempo mi accorsi come quel parroco avesse ragione... io dovetti andare via.. non si può lavorare in un ambiente dove sei osteggiato e quando rividi il parroco per salutarlo mi disse:
“Antonio prega per me”.. gli rispose “Padre.. è lei che deve pregare per me.. io sono un semplice peccatore”... non mi rispose.
Lui poco dopo morì e l’antico frutteto, l’antico oliveto,,, la raccolta di piante aromatiche... il sentiero dell’Ucciardo... la fattoria... tutto andò distrutto.
Per fortuna ci sono persone che considerano la propria attività come una creazione da assecondare con il cuore, i sentimenti e quindi portano avanti tematiche di valorizzazione e protezione dell’ambiente come quelle del recupero di antiche varietà frutticole.


48. Gli Antichi  Vitigni  del Real  Sito

In merito ai vitigni nel censimento del 1820 sono riportate diverse varietà.

Aglianico

L’Aglianico, un vitigno antico, che sembra sia stato introdotto dai Greci con il
nome di “Hellenico”. Il nome attuale sarebbe legato alla dominazione degli
Aragonesi.  Aglianico sarebbe infatti legato alla pronuncia spagnola
di “Hellenico”. Un  vino che fu soprannominato il “Barolo del Sud”.


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Aleatico


Vitigno a bacca nera e la cui origine sarebbe legata ai Greci che lo misero a dimora in Puglia e nel Lazio.
L’antico nome “liatico/liatica” deriverebbe dal vitigno greco “liatiko”, che era coltivato a Creta ( sembra comunque diverso dall’aleatico diffuso in Italia) o dalla parola, sempre greca, “iouliatico” che significa “luglio”, mese della maturazione.  Nel 1303 Pietro De Crescenzi sostenne che l’aleatico fosse d’origine Toscana ed una delle antiche varietà della regione. Secondo altri studiosi, come Giorgio Gallesio, nel 1839, l’uva liatica o livatica deriverebbe dalla propagazione per seme dei moscati. Infatti studi recenti hanno dimostrato come il vitigno abbia un legame di parentale diretta con il moscato bianco. Tre accessioni di Aleatico Nero sono risultate identiche nell’analisi del DNA a tre accessioni di Moscatello Nero.
Napoleone fu un grande estimatore dell’Aleatico e del Passito dell’Elba

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Lacrima



Diversi vitigni sono elencati sotto questo nome anche se presentano caratteristiche diversi. Si tratta di vitigni coltivati in particolare nelle regioni del centro-sud dell’italia.
È considerato il vitigno più antico della Campania.
Il vitigno è conosciuto con il nome del vino che si ottiene: il Lacrima di Morro d’Alba.
Si tratta di un vitigno autoctono delle Marche e di origine antichissima.
Sembra che nel 1167 Federico Barbarossa abbia bevuto del vino prodotto
da quest’uva mentre dimorava nel castello di Morro d’Alba, durante l’assedio di Ancona


Castello di Morro d’Alba (Ancona)
Le origini del nome del vitigno derivano dalla particolare circostanza che l’acino, a maturazione, trasuda goccioline di succo che sembrano delle lacrime. Secondo altre tesi il nome deriverebbe dalla particolare forma allungata dell’acino. La coltivazione antica era legata  “maritando” la vite ad un tutore vivo (un albero come l’olmo o l’acero) oppure ad un palo di legno.
Recenti ricerche avrebbero messo in risalto un legame ancestrale con l’Aleatico del centro-sud italiano.
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Procopio

(?)

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Delfino  Bianco

“Pergolone   di  Ortona –

La  pruvilòne di Urtòne “ (?)


Vitigno pregiato e di antichissime origini, risalente al circa il XIII secolo.
 Nel corso del tempo ha saputo deliziare palati raffinati, nella sua globalità gustativa del frutto, del vino, della marmellata e del mosto cotto.
Il pergolone è stato coltivato fiorentemente sino a pochi anni fa, attualmente sostituito dal cugino Montepulciano, nella zona tra i fiumi Alento e Sangro con preminente diffusione e sviluppo economico sul territorio ortonese.
Detta anche Regina bianca, dai quali si ottiene uva da mensa, è ancora molto diffusa in provincia di Chieti. Notizie sulla coltivazione della vite sono già presenti in alcuni scritti della fine del XIII secolo e, nei secoli successivi, si evince l’esistenza di un fervido commercio di vino che interessava soprattutto l’area costiera. L’uva Regina Bianca dell’ortonese fu importata dalla Spagna dalla famiglia D’Avalos nel XVI secolo e ha trovato il microclima ideale nei territori di Ortona, Tollo, Crecchio e Canosa,
 L’uva pergolone ha rappresentato per il Comune di Ortona, una risorsa economica importantissima, soprattutto appena dopo la guerra, dove molte persone prevalentemente uomini, armati di coraggio, hanno liberato i campi dalle mine per ripiantare le viti, permettendone il riavvio dell’economia dopo la difficile fase post bellica.
L’uva veniva adoperata per fare il mosto cotto (uva pigiata e cotta in paiolo di rame), come dolcificate dei poveri, poichè lo zucchero nei tempi passati era costoso e quindi di raro o poco utilizzo per alcune persone appartenenti alla fascia più debole della società.
 
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Piedimonte  Rosso  e Bianco

(Pallagrello Nero  e  Bianco)


Tra le qualità delle uve presenti nella vigna del ventaglio, Ferdinando prediligeva più di tutte quelle chiamate Piedimonte rosso e Piedimonte bianco che oggi noi conosciamo come  Pallagrello bianco e Pallagrello nero, da queste uve i rispettivi vini ottenuti erano quelli che non mancavano mai  alla sua tavola  e che ostentava nei pranzi di corte perché li riteneva eccelsi.
Dopo l’unità nazionale, il territorio fino ad ora citato e di conseguenza il suo vino rimasero  ai bordi dell’enografia della penisola cadendo nel dimenticatoio, se poi si aggiunge che  anche in queste zone nei primi decenni del 1900 si è abbattuto l’attacco della fillossera che ha quasi decimato i cultivar originari, il quadro della perdita nella memoria è chiaro.
La riscoperta e la valorizzazione del vitigno in questione è avvenuta in Campania negli anni ‘90 del secolo scorso sullo stimolo dello studio dei vitigni autoctoni.
Il vitigno sia esso bianco che nero si presume di antichissima provenienza greca e deve il nome al chicco rotondo che richiama una pallina perfetta  in dialetto localmente “pallarello”.
Ferdinando I di Borbone apprezzava a tal punto i due vitigni che vietò severamente il passaggio in unavigna situata in località Monticello nella cittadina di Piedimonte Matese, dove aveva fatto impiantare questo vitigno.
Qui, infatti, una lapide del 1775 vede incise le seguenti parole:
“Ferdinando IV di Borbone, per grazia di Dio re delle Due Sicilie, fa noto a tutte e qualsivoglia persone di qualunque grado e condizione sia, che da oggi, non ardiscano né presumano di passare né ripassare per dentro la masseria di moggia 27 circa vitata sita nella città di Piedimonte nel luogo detto Monticello tanto di notte quanto di giorno con lume o senza, né a piedi né a cavallo né con carretti o some, sotto pena di ducati 50”.


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Corigliano  rosso

Vitigno calabrese (?) 

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Terranova  Rosso

L’autore indica spesso il vitigno in base alla sua provenienza.
In questo caso si trattava della città di Terranova di Sibari che fu fondata tra il VI ed VII
secolo a.C. dai profughi della città panellenica di Thurium.
 Il vitigno era probabilmente il Gaglioppo, a bacca rossa ed autoctono della Calabria, assieme al Mantonico ed  al Greco di Bianco.
La denominazione Gaglioppo deriva dalla forma conica dei suoi grappoli che, secondo gli antichi Greci, era simile a quella di un bel piede (dove bello = kalos e piede = podos, quindi kalos-podos = Gaglioppo).


È considerato dagli enologi come uno dei vitigni più antichi al mondo.
Già intorno al VIII secolo a. C. le popolazioni residenti in Calabria avevano incominciato a praticare la viticoltura, addomesticando i vitigni selvatici che crescevano abbondantemente sulle pendici collinari fino alle zone costiere.
I primi colonizzatori Ellenici trasformarono gran parte del territorio della Magna Grecia in vigneto, sfruttando il notevole patrimonio di vitigni autoctoni.
Sulle colline dell’antica Cremissa, dove era stato edificato un tempio dedicato a Bacco (dio del vino), ai tempi della Magna Grecia, ebbe inizio la storia di questo vitigno, in grado di produrre quantità di vino tali da venire trasportate anche presso Sibari, allora considerata una delle più famose capitali del vino.
Attualmente sede di Cirò Marina, la collina ospitava numerosi vigneti da cui veniva prodotto il vino ufficiale per le Olimpiadi, anche perché si credeva che fosse dotato di poteri terapeutici di tonico.
In quel periodoi coloni Calabresi erano soliti trasportare questo prodotto attraverso vinodotti, formati da un complesso sistema di tubi realizzati per trasferire il vino fino al porto, da cui veniva poi spedito in tutto il Mediterraneo.
 
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Lipari  Bianco  e  Rosso

Per Lipari Bianco s’intendeva il vitigno Malvasia.
Fu introdotto nelle isole Eolie dai coloni Greci introno al VII – VI secolo a.C.  Fu descritto dagli storici latini e altre notizie risalirebbero al 1696 quando Francesco Cupani indicò il vitigno con il nome di “Malvagia” dal dialettale “Marvascia”. Non si conosce l’origine del nome né il suo significato, visto la bontà del suo prodotto. È coltivato in prevalenza nell’isola di Salina. 


Per quanto riguarda il Lipari Rosso s’intendeva probabilmente il Corinto nero. Originario della Grecia, anche lui quindi portato dai coloni Greci, venne citato anche da Plinio come Uva Marina Nera e successivamente dal Molon, nel 1906, come Passerina Nera.
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Siracusa  Rosso e Bianco

Cercare di scoprire i vitigni indicati come “Siracusa Bianco e Rosso” non è facile.
A Siracusa il termine vino risale a circa duemila anni fa quando navigatori fenici, di Corinto, micenei, giungevano nel porto di Siracusa che era uno dei più importanti del Mediterraneo. Plinio affermava che 
le varietà di viti indigene erano tanto numerose quanto i granelli di sabbia di una spieggia”.
 Parlare quindi dei vitigni indicati come “Siracusa”  significherebbe ricostruire le origini del Moscato di Siracusa, del Nero d’Avola e dell’Albanello, vitigno forse più antico dei precedenti e che ha rischiato di scomparire, ed anche dello Shiraz.

Moscato bianco / Pollio

Il Moscato di Siracusa
Fu il celebre archeologo siciliano – scopritore della Venere Anadiomene oggi custodita al Museo P. Orsi di Siracusa – Saverio Landolina Nava (Catania 1743 – Siracusa 1814) a dissolvere le nebbie che aleggiavano intorno alle origini del Moscato di Siracusa. Egli seguì il lungo e sottile filo che, da Omero ed Esiodo, passando per le citazioni e i riferimenti degli antichi, congiungeva l’antico vino Pollio al Moscato siracusano che si produceva ai suoi tempi.
Analisi meticolosa delle fonti, confronto attento tra le antiche tecniche di vinificazione e quelle moderne in uso ai suoi tempi, che risultarono affini, permisero allo studioso di considerare il Moscato di Siracusa diretto discendente del vino Biblino o Pollio e, quindi, il vino più antico d’Italia, forse anche d’Europa.
Si chiamava vino Pollio perché un mitico re di Siracusa, di nome Pollis, lo ricavò dall’uva Biblina originaria dei monti della Tracia e portata in Sicilia dai Greci ai tempi della colonizzazione (VIII sec. a. C.), come racconta lo scrittore greco Ateneo nei Deipnosofisti. La fonte di quest’ultimo è uno storico italiota del V sec. a. C., Hippis di Reggio, secondo il quale il Pollio si ricavava da una varietà di vite “eileos” ovvero “vite che si attorciglia”, chiamata anche Biblina.
Dionigi I (432-367 a. C.), tiranno di Siracusa, istituì addirittura un fondo, destinato a uso e consumo della reggia, per la coltivazione delle uve di Moscato e per la produzione di questo vino.
Quando Plinio il Vecchio descrisse le varietà di vite diffuse in Italia, probabilmente annoverava già anche il Moscato di Siracusa tra le viti “apiane”, note per la dolcezza e la fragranza delle uve che attiravano le api. Identificò, poi, il Pollio con un vino dolce chiamato Haluntium che “nasceva in Sicilia e aveva sapore di mosto”.
Per lo storico latino Eliano, “laudatissimus erat Syracusanis Poliumvinum”.
Dal 1200 in poi, il Moscato entrò nelle prime opere in lingua italiana, a indicare quei vini dolci e aromatici prediletti dalle classi sociali più elevate in Sicilia.
Ne troviamo citazione in diversi componimenti burleschi siciliani del 1500, che ne esaltavano qualità e virtù, e in numerosi documenti testamentari del periodo, in cui il territorio della “Fanusa”  era indicato come specifico per la produzione di vino Moscato.
Lo storico Fazello, uno dei primi a intravedere il legame tra il Moscato e l’antico Pollio, ne parlò come di un vino “dolce, di grato odore e soavissimo”.
Le navi del Re Sole (1643-1715) approdavano nel porto di Ortigia per rifornirsi di vino Moscato. Alexandre Dumas inserì i “Moscati bianchi e rossi di Siracusa” nel suo grande Dizionario di cucina (1873) tra i vini liquorosi più famosi e, nel suo romanzo I tre moschettieri, i protagonisti brindavano con Moscato di Siracusa. Anche il conte di Montecristo, nell’omonimo romanzo, lo offre regolarmente ai suoi ospiti.
 
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Albanello

Era uno dei due “carichi” scoperti da Mario Soldati a Siracusa durante il suo viaggio in Sicilia negli anni ’70: l’Albanello, uno dei vitigni antichi e storici di Siracusa, dalle origini misteriose che si perdono tra accenni storici, mito e leggenda.
Nel V sec. a. C., il poeta siciliano Epicarmo esaltava nei suoi versi anche “l’aristocratico Albanello”.
Secondo una vecchia leggenda sull’Albanello, riportata nel 1958 sul numero 43 del Corriere Vinicolo, “l’Albanello di Comiso nacque sul fiorire dell’alba, per rallegrare la partenza di un crociato, poiché i familiari non potevano fare alcun brindisi in quanto poveri e privi di vino”.
I vini che si producevano da questo vitigno, caratteristico della zona di Siracusa, erano molto apprezzati nelle tipologie secco e asciutto, dolce e liquoroso, e altrettanto ricercati, anche se difficili da reperire e molto costosi. La coltivazione era limitata alla provincia di Siracusa, dove nel tempo si è ridotta a pochi esemplari:
Nella lunga dissertazione sul vino Pollio siracusano, il solito Saverio Landolina Nava sosteneva che l’Albanello fosse da preferire al Moscato perché più soave, privo di quella “grassa dolcezza” e “più fluido, brillante e delicato”, anche se – ammetteva – “è molto raro e forse non è conosciuto fuori dalla Sicilia”.
L’Albanello è menzionato nel 1700 come una varietà di vitigno storico di grande valore: l’enologo ottocentesco Giuseppe Rovasenda lo annoverava tra i “migliori vini liquorosi” e Giovanni Briosi, altro illustre enologo, nel 1879 spiegava che “l’Albanello non è molto noto in commercio, specialmente all’estero, e pure si potrebbe con esso ricavare il migliore vino asciutto di tutta la Sicilia”.
A Siracusa, il primo produttore di Albanello di cui abbiamo notizia era la nobile famiglia Landolina che, nel 1712, coltivava questo vitigno e ne vinificava le uve insieme a quelle del Grillo.
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Nero d’Avola

Il vitigno Nero d’Avola era conosciuto in Sicilia fin dalla fine del 1600.
Apprezzato per la buona qualità delle sue uve, era diffuso con il nome di “Calabrese”, “Calavrisi” o “!Calaulisi”, tipico della zona di Avola (in provincia di Siracusa) come dimostra la stessa etimologia del nome: Calaulisi, infatti, fonde i termini dialettali “cala”, che significa uva, e “aulisi”, di Avola.
Per Angelo Nicolosi, nel 1870, il Nero d’Avola era tra le “specie più pregiate per il vino, che in Sicilia si coltivano”.
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Syrah 

Un vitigno che ancora oggi presenta degli aspetti misteriosi circa la sua origine.
Originario della Persia, dalla citta di Shiraz e di un vino che portava il nome dell’antica città attraverso il Mediterraneo giunse quindi a Siracusa.
Altre fonti indicherebbero la sua origine nell’Egitto dove la regina Cleopatra era una grande estimatrice del vino Syrah.
 Nel III sec. d. C., l’imperatore Marco Aurelio Probo, decise di introdurne la coltivazione in Gallia. Durante il suo viaggio di rientro dall’Egitto si fermò con le sue legioni in Sicilia, a Siracusa. I legionari piantarono qui i ceppi importati che attecchirono subito e bene. È  facile, quindi, collegare il nome Syrah o Sirach proprio alla città di Siracusa. Abbastanza plausibile, anche, che siano stati i Greci, fondatori di Siracusa, a introdurre tempo prima in terra aretusea questo vitigno a bacca nera.
La Francia, però, rivendica il Syrah.
Autori greci e latini, tra cui Columella, Marziale, Plutarco e Plinio il Vecchio, raccontano di vini molto particolari e famosi a Roma. Avevano un gusto spontaneo, naturale, pungente di pece o catrame e nascevano da un vitigno a bacca nera conosciuto come Vite Allobrogica o Picata. Gli Allobrogi erano un’antica popolazione della Gallia Narbonese, praticavano la viticoltura nella Valle del Rodano e commerciavano vino con Roma. Che fossero vini Syrah ante litteram o semplicemente antenati del vitigno ritenuto, quindi, nativo della Francia?
Nel XIII sec., il cavaliere templare Henri Gaspard de Steinberg si ritirò a vita privata nelle terre donategli dalla Regina di Spagna, nella valle del Rodano. Reduce dalla Crociata Albigese, piantò alcune barbatelle di Syrah che aveva portato con sé. Ed è così che il vitigno Syrah – si dice – ebbe nella zona di Tain l’Hermitage, tra le città di Valence e Vienne, la prima area di coltivazione.
Un’altra versione della storia, racconta che alcuni Crociati, al loro ritorno dalla Terra Santa, si fermarono presso la cappella di San Cristoforo e qui, nella valle del Rodano, piantarono le talee di Syrah che trasportavano sui loro cavalli.
Secondo il prof. Attilio Scienza, l’etimologia del nome Syrah contiene la radice indoeuropea *ser, che potrebbe indicare il luogo di coltivazione del vitigno: “una pianura ai piedi delle montagne”, forse un riferimento che porterebbe a identificare il Syrah con il vitigno albanese Shesh, originario della zona di Durazzo, simile per caratteristiche genetiche a una famiglia di vitigni che prende il nome di “Serine”.
Anche se, come abbiamo visto, esisteva già da prima con altri nomi, il Syrah compare ufficialmente in Italia nell’Ottocento con il nome di Grosse Serine o Hermitage nella collezione dell’ampelografo mantovano Giuseppe Acerbi; devono passare altri cinquant’anni per trovare riferimento al vitigno in Rovasenda come “Serine-Syrah” e “Syrah dell’Ermitaggio”.
In Sicilia è il Barone Mendola a citare il Syrah con questo nome nel catalogo della sua collezione.
In Toscana, alla fine del XIX secolo, il Syrah è molto diffuso e utilizzato per migliorare il Chianti classico; sole negli anni Trenta il vitigno si diffonde anche in altre regioni italiane, tranne la Sicilia, dove non vi è traccia di uve Syrah.
Nonostante questo e nonostante il vitigno Syrah sia tra i dieci più diffusi e coltivati al mondo, è proprio la Sicilia oggi a vantare la maggior superficie vitata.

 
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Uve Bianche Vernotiche

Vengono  definite “Vernotiche” perché originarie del centro di
San Pietro Vernotico (in provincia di Brindisi)
Possibili vitigni:

Falanghina

Fiano Minutolo

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Somma  Bianche e  Nere

Vitigni dell’area di Somma Vesuviana

Il vitigno Catalanesca fu introdotto in Campania nel 1450 dalla Catalogna
aa Alfonso I d’Aragona, monarca del regno delle Due Sicilie e fu impiantato sulle pendici del Monte Somma, fra Somma Vesuviana e Terzigno. Il vitigno Catalanesca aveva una certa diffusione fino all’inizio del secolo, ma poco ne è sopravvissuto fino all’epoca postfilosserica ed oggi sopravvive solo in piccoli appezzamenti
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La Coda di Volpe è tra i vitigni autoctoni della zona vesuviana e campana, infatti la coltivazione avviene in tutte le 5 province.
E’ conosciuta nella zona del vesuviano anche con la denominazione di Caprettone.
E’ un vitigno a bacca bianca.
Come tanti altri vini della zona vesuviana, ritroviamo citazioni sin dall’antica Roma. Già Plinio il Vecchio nel libro XIV della sua Naturalis Historia parla di “caudas vulpium imitata” ( imitando le code delle volpi).
Il nome deriva dalla forma curva del grappolo, che ricorda la coda di una volpe che si stacca dalle ali, dando al grappolo una forma a “T”. I grappoli hanno grosse dimensioni, forma piramidale e una lunghezza che può arrivare ai 40 cm. Al contrario i chicchi si presentano di dimensioni ben più piccole rispetto alle altre uve, e hanno una forma sferica con bucce spesse e gialle.

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Tra le numerose specie di uva, il Piedirosso pompeiano è testimone di un territorio ben definito, l’area vulcanica alle pendici del Vesuvio. Questo perché solo grazie alla straordinaria composizione del terreno, unita alle qualità climatiche della pianura napoletana, possiamo ottenere questo vino dal sapore unico. Inoltre, Pompei in epoca romana era il centro commerciale principale per il vino in Campania.
Il suo nome ha origini incerte, ma molti studiosi ritengono che corrisponda al “Colombina” menzionato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Nella tradizione napoletana il piedirosso è detto “Pèr e palummo” cioè “piede di colombo”, soprannome derivante dal caratteristico colore che assume il trancio poco prima della vendemmia, un rosso rubino molto simile al piede dell’uccello.
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Zibibbo




Vitigno originario dell'Egitto, diffusosi nel bacino Mediterraneo grazie ai Romani.
E' una tipologia di uva ampiamente coltivata anche come uva da tavola e da essiccare. Il nome Zibibbo deriva dalla parola nordafricana Zibibb, che significa uva secca.  Nell’isola di Pantelleria è coltivata la quasi totalità della produzione nazionale  e nel 2014 l’UNESCO ha dichiarato la pratica della coltivazione ad alberello di Pantelleria, patrimonio dell’Umanità
Anche in Calabria, nel comune di Pizzo Calabro,  sono presenti delle coltivazioni di vigneti a Zibibbo


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49. Il   Mirto


I boschi ed i terreni marginali presentano una vasta superficie “mirtellata”.
Il mirto per il suo contenuto in olio essenziale rientra tra le piante aromatiche ed officinali. Alla pianta sono attribuite proprietà balsamiche, antinfiammatorie, antisettiche e per questo motivo trova un largo impiego nel campo dell’erboristeria e farmaceutico per la cura di problematiche dell’apparato digerente e del sistema respiratorio. Proprietà che probabilmente erano già  conosciute nel periodo borbonico.
Ma il mirto veniva soprattutto usato per aromatizzare i cibi e soprattutto la cacciagione (maiale o cinghiale arrosto, il pollame arrosto o bollito, il manzo e un piatto a base di uccellagione bollita costituita da tordi, merli o storni).
L’olio di mirto veniva  prodotto nel Real Sito e dato la quantità esigua di prodotto (ha una resa bassissima in olio, veniva adoperato nelle cucine reali.

Mirtella

(Mirto)

 

60/70 cantaja

5346/6237 kg

24/28 litri

Per 1 litro di olio essenziale ci vogliono circa 225 kg di pianta

Questa era solo una parte della produzione di olio. Una produzione decisamente maggiore anche per l’acquisizione di vasti terreni che presentavano aree “mirtellate” più o meno estese.

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Veduta di San Leucio
Autore: Antonio Veronesi (1764 (?) – 1815 – 1829)
Dipinto raffigurante una veduta in una cornice in legno dorato intagliata lungo i bordi. Veduta "a volo d'uccello" del villaggio di San Leucio in lontananza e del paesaggio circostante. L'ariosa apertura sulle forme tondeggianti dei colli lontani dà respiro a tutta la veduta e allo stesso tempo richiama la nobile civiltà del luogo. Domina un'atmosfera di calma serena, animata da un gruppo di cavalieri e dame a passeggio, a piedi e a cavallo, fermatisi a sostare in riva a un ruscello.
Data di Creazione: 1818
Tecnica: tela/pittura ad olio -  Misure (142 x 222)cm
Collocazione dell’opera: Reggia di Caserta
Quadreria – IX Sala: Vedute del ‘700 e ‘800
 
Antonio Veronese fu panoramista ufficiale della Corte dopo il 1815, lavorando sia per G. Murat che per Ferdinando I di Borbone. Fu un seguace del pittore  fedele hackertian e progressivamente diede origine ad un espressione artistica propria lontana dalla maniera del maestro nordico, intonandosi al classicismo integrale che ormai dominava in quegli anni. Con il 1818 infatti, data in cui fu eseguito il  dipinto (insieme ad un' altra veduta del maestro raffigurante la Vaccheria di San Silvestro, anch'essa alla Reggia di Caserta, si avverte un profondo e reciso distacco dal prospettivismo settecentesco, mediante la libera grafia classicista tipica del Veronese. Il maestro adotta infatti un linguaggio analitico che comunica l'impressione di una visione nitida, tuttavia intimamente vissuta, fissando sulla tela atmosfere che preannunciano esiti di chiara impronta "verista". Già con il Veronese dunque, secondo la critica, comincia a Napoli la pittura di paesaggio dell'Ottocento.

San Leucio – La Vaccheria
Artista : Antonio Veronese (v.s.)
Data di Creazione: 1818 ?
Tecnica: tela/pittura ad olio – Misure (145 x 222)cm
Collocazione Reggia di Caserta
Quadreria – IX Sala: Vedute del ‘700 e ‘800
 
Dipinto raffigurante una veduta in una cornice in legno dorato intagliata lungo i bordi. Veduta "a volo d'uccello" della Vaccheria di San Silvestro, visibile sulla destra, e del bosco circostante che prosegue sulla sinistra. Ancora a destra, in primo piano, domina un grande albero, al di sotto del quale minute figure di uomini e cani vivono immersi in un'atmosfera di calma serena.
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San Leucio – La Mietitura
Artista : Jacob Philipp Hackert (Prenzieau, 15 settembre 1737 – San Pietro di Careggi, 28 aprile 1807)
Data di Creazione: 1782
Tecnica: Carta/ pittura a tempera – Misura (465 x 695) cm
Collocazione: Reggia di Caserta – Appartamento di Ferdinando I di Borbone
Galleria di S. M. il Re Ferdinando IV di Borbone

Dipinto con cornice di bronzo dorato e cesellato raffigurante in primo piano dei contadini in cerchio che assistono ad alcuni giochi. Sulla sinistra, invece,  altri contadini stanno falciando e raccogliendo il grano. Sullo sfondo si vede la vaccheria di S. Leucio.
Queste tempere rilevano la piena maturità raggiunta dall’artista proprio in questi ultimi anni di soggiorno napoletano. Un paesaggio ripreso nelle sue rigorose componenti veristiche.
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Artista: Fergola Luigi
(Napoli, 11 febbraio 1768 – Napoli, 5 gennaio 1835)
Data di Creazione: 1805
Tecnica: carta bianca/ pittura a tempera – Misure ( 57 x 86) cm
Collocazione: Reggia di Caserta
Pinacoteca. Sala dei porti della Campania
Luigi Fergola insieme al fratello Salvatore, nel primo trentennio dell'800 fu uno degli animatori della Scuola di Posilippo. La scena raffigurata presenta una impostazione da "plastico a volo d'uccello" tipica di Hackert e dei suoi più fedeli seguaci, quale certamente era Luigi Fergola. La scelta di tale punto di vista veniva inoltre rafforzata dal mestiere di impiegato del Real Officio Topografico. Tuttavia non appare eccessivamente freddo e proprio qui rivela una certa freschezza coloristica. In secondo piano si distingue la chiesa di Santa Maria delle Grazie nella zona di San Leucio denominata Vaccheria con altri due edifici. Il tono da cronaca mondana della rappresentazione si ritroverà nella produzione molto copiosa del figlio Salvatore.
Il dipinto raffigura una scena di festa con gruppi di persone. In secondo piano la chiesa della Madonna delle Grazie di Vaccheria e due edifici mentre, sul lato sinistro, si nota il palco reale. E' inserito in una cornice dorata con intagli di piccole foglie.

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Altro File su San Leucio:
San Leucio (Caserta) –
Ferdinando I di Borbone e la sua Repubblica Socialista…..
La prima Colonia Socialista dell’era moderna con un primato mondiale nella fabbricazione della seta.

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