Cassibile - L'Armistizio "breve o corto" del 3 settembre 1943 - Il maniero fortificato di San Michele

 


 







A Sud di Santa Maria  di Longarini, a circa   3 km da Cassibile,  si trova la tenuta di San Michele
un antico feudo della baronessa Aline Grande.

Famiglia Grande

Antica ed assai nobile famiglia del Regno delle Due Sicilie, conosciuta come Grande o de Grandis, di chiara ed avita virtù, propagatasi, nel corso dei secoli, in diverse regioni d’Italia. Secondo quanto viene tramandato da storici ed araldisti, fu suo capostipite un Leone, cavaliere romano, che al tempo dell’Imperatore Ottone I fu soprannominato “Il Grande” per i suoi molti meriti militari. I suoi discendenti presero quindi a cognominarsi in tal modo. Il primo che portò la famiglia in Sicilia fu però un Luca de Grandis, anch’egli gentiluomo romano e discendente del predetto Leone, che, passato nel reggimento di Federico II, ebbe in ricompensa il godimento della città di Siracusa per tre anni. Egli si casò con la figlia di Pietro d’Ancona, nell’anno 1305, stabilendo la sua discendenza proprio in Siracusa. I suoi successori ebbero sempre le più importanti cariche ed uffici cittadini fra cui un Giacomo fu giurato di Siracusa nel 1412.

Il Feudo San Michele sarebbe appartenuto a Matteo I Moncada (Montecateno) conte di Augusta che il 15 aprile 1343 sposò in prime nozze Giovanna Peralta d’Aragona, figlia del conte Raimondo Peralta, Conte di Caltabellotta, e della infante Isabella, figlia del re Federico III d’Aragona, che gli portò in dote 2.000 onze.
Dal matrimonio nacquero:
- Guglielmo Raimondo (marchese di Malta e Gozo). Sposò in prime nozze Beatrice Alagona Palizzi, figlia di Giovanni, conte di Novara, da cui ebbe cinque figli, e in seconde nozze Stefania Carroz Lauria, figlia di Francesco, ammiraglio catalano, dalla quale ebbe due figli;
- Giovanna che sposò Giacomo di Prades, signore di Caccamo
- Costanza, moglie di Blasco II Alagona, conte di Mistretta.
Matteo Moncada, dopo la morte di Giovanna Peralta, che risultava ancora vivente in data 21 aprile 1352, sposò in seconde nozze Allegranza Abate d’Arbes, figlia di Enrico Abbate, signore di Favignana.
Tra il Moncada, allora ammiraglio, e la giovanissima Allegranza, ci doveva essere una grande differenza d’età.
Dal matrimonio nacquero:
- Pietro, barone di Troina;
- Elvira (Albira) che sposò Antonio Ventimiglia conte di Collesano;
- Antonio, postumo cioè nato dopo la morte del padre, II conte di Adernò. Sposò Agata Chiaramonte Ventimiglia, figlia di Matteo, conte di Modica. Non ebbero figli.

Il figlio Antonio venne infatti citato nel testamento di Matteo Moncada del 26 (29?) novembre 1359, redatto presso il notaio Matteo Castiglione di Siracusa, nel quale…
Lasciava  erede del suo patrimonio Guglielmo Raimondo III,
(figlio  nato dal matrimonio con la Peralta)
.. eccettuata la Contea di Adernò e Centorbi dei quali volle erede particolare
il postumo nascituro Antonio Montecateno.
Nel testamento Matteo Moncada assegnò:
allo zio paterno Matteo Moncada il Feudo di San Michele in territorio di Augusta,
con l’obbligo di servire un cavallo armato….
al nobile Simone Moncada “patruelo suo” beni feudali per la
somma di 20 onze con l’obbligo del servizio militare…
alla madre Margherita l’usufrutto del feudo Murgo, del territorio di Lentini.
Lasciò inoltre…
pro malis oblatis pro certis depredacionibus factis olim tempore
guerre existentis inter barones regni per dictum dominum testatorem»
per il male offerti per alcune depredazioni commesse in passato
all'epoca della guerra esistente tra i baroni del regno dal detto signore testimone"
a Siracusa onze 600..
a Palazzolo onze 400…
ad Avola onze 100…
a Buscemi onze 50….
a Ferla onze 100….
e a Lentini onze 600.
Matteo I Moncada Sclafani, conte di Augusta, morirà nel 1378 circa.
Fu un importante figura politica e militare nello scenario storico del XIV secolo.
Nel 1353 fu nominato siniscalco del Regno di Trinacria dal re Ludovico (il Fanciullo), una carica che mantenne fino al 1363.
Il suo titolo di Conte di Augusta risalirebbe al 1354 quando gli fu concessa la Contea di Augusta che era appartenuta al padre Guglielmo Raimondo Moncada Alagona (la madre fu Margherita Sclafani d'Incisa). La  Contea era stata sottratta a Guglielmo Raimondo dai Chiaramonte.
Fu Manfredi Chiaramonte Conte di Modica a catturare Guglielmo Raimondo e ad avvelenarlo nel 1348. Gli avvenimenti erano legati alla triste pagina di storia della Sicilia in merito alla violenta lotta tra le due fazioni della nobiltà siciliana, catalana e latina.
Sempre nel 1354 Matteo I Moncada fu coinvolto in un litigio per la successione  sul possesso delle contee di Adernò e di Sclafani.
Alla morte del nonno materno Matteo Sclafani nacque un litigio legale con i cugini Matteo e Guglielmo Peralta figli della zia (sorella della madre) Luisa Sclafani Calvellis.
La controversia giuridica durò ben 39 anni e si concluse con l’assegnazione ai Moncada della Contea di Adenò e Centorbi (Centuripe) di cui sarà investito il figlio di Matteo I, Antonio nel 1393. (Il conte Matteo I era già deceduto da tempo).
Nel 1359 Federico IV lo nominò vicario e captano generale del Ducato di Atene fino al 1362. Nel 1363 gli furono assegnati il Ducato di Neopatria dove uno dei suoi luogotenenti, Pietro de Pou, scatenò la rivolta contro di lui a Tebe  costringendolo alla fuga. Il Moncada fu reintegrato nel 1364 e mantenne la carica fino al 1367. La Corona d’Aragona gli assegnò le signorie di Argo e Corinto come premio per la difesa della sua sovranità sulle due  province greche contro gli attacchi nemici del 1364.

Successivamente gli furono concesse anche delle baronie ( Fiumesalato (1363), Curcuraci (1370) e Sortino) e 500 onze annuali sul porto di Augusta e sul caricatore di Bruca (Brucoli).
Nel 1370 il re di Sicilia Federico IV (Il Semplice) assegnò al Conte di Agosta e ai suoi eredi, sotto servizio militare, i proventi annualmente dovuti per la sovvenzione regia nella terra di Augusta ed Altavilla e nel casale Melilli.
Nel 1374 la regina Antonia Visconti gli concesse, in perpetuo a lui ed ai suoi eredi come vitalizio, il Pantano Salso con fiume nel territorio di Lentini. Privilegio che fu confermato dal marito della regina Federico IV nel 1375.
(Sembra che il Feudo sia successivamente passato alla famiglia Gravina, Platamone ed Arezzo. Trasferimenti che dovrebbero essere verificati).
- Giovanna Bonanno Moncada, figlia di Orazio Bonanno Gioeni e di Maria Moncada, sposò Giovanni Gravina dei Baroni di San Michele. Il loro unico figlio morì dopo poche mesi;
- Ignazio Sebastiano Gravina, figlio di Ferdinando Francesco Gravina e di Costanza Amato, sposò in seconde nozze Lucrezia Gravina dei duchi di San Michele. Investitura il 7 agosto 1686;
- Francesco Platamone, figlio di Antonio Platamone sposò Eufemia Arezzo dei Baroni di San Michele e in seconde nozze Francesca Morini dei Duchi di Gualtieri, fu principe di Rosolini con regio diploma del 20 Ottobre 1673;
Durante il secondo conflitto mondiale, nel luglio 1943, la località di Cassibile diventò il luogo di sbarco degli Alleati e cioè dell’VIII Armata britannica.
L’operazione di sbarco era denominata in codice “Ladbroke” (“Il ragazzo si è rotto”) e prevedeva dei lanci aviotrasportati inglesi che si dimostrarono fallimentari. Il piano d’invasione inglese prevedeva la sbarco nella zona denominata “George Break”, corrispondente alla spiaggia di Fontane Bianche ed esattamente presso “Scoglio Imbiancato”.





Le truppe di sbarco erano costituite dal 2° battaglione Raoyal Scots Fusiliers e dal 6° battaglione del Seaforth Highlanders, entrambi facenti parte della 17° brigata e di appartenenza alla 5° divisione fanteria britannica del maggiore generale Horatio Berney -  Ficklin. Nella notte tra il 9 ed il 10 luglio 1943 dalle navi da sbarco dell’8° armata scesero i mezzi da sbarco e i soldati  che approdarono sulla costa intorno alle ore 2,25. A causa del vento e del mare agitato approdarono nella spiaggia tra la foce del fiume Cassibile e  “Punta del Cane”. C’erano stati tre giorni di scirocco che non resero facile l’approdo. Tante navi… così numerose che un ragazzino all’alba del 10 luglio del ‘43, affacciatosi a vedere il mare dalla collina, esclamò....

«Mamma, mamma, ‘u mari fuma!».
Sbarcarono sulla spiaggia che gli inglesi chiamarono “How Beach” (Come spiaggia) e che era conosciuta con il nome di “Marchesa” o “Pineta del gelsomineto”.
Sulla spiaggia fu collocate una targa a ricordo dello  sbarco ma fu trafugata…


Gli scozzesi pulirono la spiaggia dalle mine e quindi s’incamminarono verso il borgo di Cassibile per conquistarlo, per poi procedere con celerità verso Siracusa dove erano attesi dagli aliantisti.
Intorno alle ore 3,00 sbarcò la prima truppa della 3° “Army Commando” (parte della British Commandos) presso lo “Scoglio Imbiancato” posto, come abbiamo visto dalla mappa, a Fontane Bianche..
Scesero a terra circa 180 commandos e poco dopo, alle ore 4.00 scese  a terra una seconda truppa, sempre dell’Army Commando e una terza ondata approdò all’alba nella spiaggia di Fontane Bianche.
Insieme ai Commandos sbarcò alla foce del fiume Cassibile anche uno squadrone del SAS (il 1° squadrone del 2° reggimento). Si trattava di militari originari del Sudafrica britannico. Questo squadrone in poco tempo riuscì a conquistare il ponte di Cassibile (sull’omonimo fiume), importante punto di collegamento perché posto sulla SS115.


Ponte sul fiume Cassibile (SS115)


Ponte sul fiume Cassibile (SS115)



Sempre alle ore 3.00 sbarcarono, tra le spiagge “George” (Fontane Bianche) e la How (Punta del Cane / Foce del Cassibile), i primi carri armati “M4 Sherman” della 4th Infantry Brigade and Headquarters North East (soprannominati "The Black Rats"; "I Ratti Neri"), con il 3rd County of London Yeomanry.

rro armato Sherman – foto scattata il 10 luglio 1943https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:The_Invasion_of_Sicily_July_1943_NA4262.jpg

 Lo squadrone B degli Sherman si unì al 2º battaglione Northamptonshire Regiment (17ª brigata) e marciò con essi verso Siracusa, mentre lo squadrone C di questi carri armati venne diretto verso Floridia. Il resto della brigata sarebbe sbarcato l'11 luglio. 


La Regia Marina durante la Seconda Guerra Mondiale, subito dopo l'alba, gli uomini della Divisione Highland scaricavano in acqua fino alla cintola le provviste su una spiaggia di sbarco il giorno di apertura dell'invasione della Sicilia. Nel frattempo si stanno preparando le strade costiere per il traffico pesante e leggero. Diversi carri armati di mezzi da sbarco possono essere visti appena fuori dalla spiaggia (incluso l'LCT 622), 10 luglio 1943. (Foto di Lt. CH Parnall/ Imperial War Museums tramite Getty Images)

Soldati britannici appena sbarcati spingono i loro mezzi sulla sabbia (alba del 10 luglio)

Gli inglesi raggiunsero  Cassibile  per poi dividersi e proseguire per
Floridia e Siracusa
Il resto della brigata sbarcò l’11 luglio per concludere la prima ondata di sbarchi nella zona del 1° battaglione fanteria del “Yorkshire Regiment” detto anche “Green Howards” appartenente alla 15° brigata anch’essa facente parte della 5° divisione, i cui uomini giunsero sulla spiaggia “How Beach” alle 3,45.
Nella zona a Sud di Siracusa, da Masseria Palma (dopo Punta Milocca) a Vendicari, nel tratto di costa era compresa la zona che va dall’Arenella a Cassibile, era presente il 430° battaglione del 146° Reggimento Fanteria Costiero (206° Divisione costiera al comando del generale Achille d’Havet).
Il 430° battaglione presidiava quattro capisaldi strategici molto importanti:
- Santa Teresa Longarini (il caposaldo più a Nord e non molto distante dall’omonima stazione) (1);
- Torre Cuba (3);
- Fontane Bianche (2);
- Il fortino posto alla foce del fiume Cassibile (4).


In queste zone  gli scontri con le forse Inglesi furono cruenti. I militari caduti in questi combattimenti furono decorati con medaglie al valore militare.
I militari italiani affrontarono una battaglia impari. La forza militare era costituita da un unico battaglione che dovette affrontare ben 10 battaglioni inglesi.
Altro aspetto negativo fu la grave dispersione delle forze italiane che difendevano un territorio molto ampio (circa 40 km di costa) con risorse umane e armamenti insufficienti.



Nei pressi di masseria Cafici ci fu la prima uccisione di un civile siracusano per mano britannica. Un  contadino che aveva imprudentemente sparato con il suo fucile contro i commandos.
Un caposaldo, presidiato dall'80ª batteria di masseria Scatà, nelle immediate vicinanze del bordo di Cassibile, venne conquistato da un plotone di aliantisti (finiti nel sito per un errore di lancio). Vi fu una lotta con gli italiani e alla fine  tra i difensori ci furono 6 morti, 6 feriti e 40 prigionieri (tra costoro diversi decorati).
Anche Torre Cuba venne assalita dalle forze della 1ª AD, insieme ad altre forze della 17ª brigata.  Una torre presidiata da circa 50 soldati italiani, i quali resistettero da soli per diverse ore e cedettero le armi solo quando vennero sopraffatti dai commandos. 

La spiaggia di Fontane Bianche cadde in mano degli scozzesi, che faticarono per fiaccare la resistenza del presidio composto da 26 uomini, 13 dei quali vennero uccisi. Il fortino di Foce del Cassibile venne  investito dalla forza dei commandos e del SAS: qui caddero 7 italiani.

Fontane Bianche
Foce del fiume Cassibile
In merito alla Torre Cuba ci sarebbero delle notizie storiche importanti.

Torre Cuba

La Torre Cuba sorge a sud-ovest della penisola della Maddalena e lungo la strada vicinale “Santa Teresa – Piana Cuba”. Si trova sul vecchio fondo Cuba facente parte dell’ex feudo “Longarini”. È una torre di avvistamento del Cinquecento che fu costruita su una piccola basilica tricora di epoca bizantina che fu studiata da Paolo Orsi nel 1899. Oggi è stata trasformata in villa. La torre è circondata da un complesso rurale che probabilmente risale al 1882. Il termine “Cubba” è legato alla versione dialettale di cupola. La torre venne costruita su un edificio che aveva questa particolare copertura “a cupola” e che apparteneva, come detto, alla piccola basilica bizantina.
Le notizie sono scarse. Lo storico Giuseppe Agnello ci ha lasciato alcune notizie storiche su questa torre: 
la basilichetta è una delle più armoniche e rappresentative costruzioni bizantine esistenti in Siciia e con un buon fondamento può farsi risalire ai secoli VIII e IX…”.
Nel Rivelo Rusticano del 1811(1733 -1811), presso l’Archivio di Stato di Siracusa, il fondo e il feudo appartenevano a Vincenzo Danieli e Landolina. Feudo che confinava con proprietà dei Lanza, del marchese Casale e dei nobili di Ferla. Le terre intorno alla torre costituivano un feudo di
“111 salme, 3 bisacce, 3 tumoli; di cui 95 salme seminativi e 15 di pascoli”.
Comprendevano fino ai primi del secolo anche
case di masseria, pennate e “mandre”.
Nel febbraio del 1956 la torre fu investita da una terribile tromba d’aria, subendo una forte “decapitazione” che ebbe conseguenze irrimediabili sulla statica dell’intero edificio.
La torre fu utilizzata dagli inglesi nel 1943 come torre di controllo. Vicino alla torre si trovava infatti una pista di atterraggio. Pista che costituiva l’aeroporto inglese di Cassibile.
Il campo di volo era stato costruito agli americani nel luglio 1943, pochi giorni dopo la sbarco in Sicilia ed utilizzato, quindi, dagli Inglesi Beaufighter della caccia Notturna”. A settembre arrivarono gli aerei americani sempre della “Caccia Notturna” e i canadesi del No. 417 Squadron (No. 244 Wing).
L’aeroporto venne abbandonato definitivamente alla fine di novembre dello stesso ano e spostato a Montecorvino per seguire l’avanzata dell’offensiva bellica lungo la penisola italiana. Il sito finì nell’oblio per tre motivi:
1) dove un tempo sorgeva la pista oggi si trova un agrumeto;
2) le piastre mobili (P.S.P.) usate per la costruzione della pista furono rimosse dagli americani al momento di trasferire le base;
3) l’antica torre usata come Torre di Controllo nel 1956 crollò, come già riportato, a causa di una violenta tromba d’aria.
Torre Cuba, nel vecchio fondo Cuba, una torre di avvistamento del Cinquecento costruita su
una piccola basilica tricora di epoca bizantina.


Lo studioso Lorenzo Bovi ( Associazione Storica Lamba Doria) intorno al 2013 riuscì ad identificare la vecchia Torre Cuba che fu utilizzata dagli inglesi nel 1943 come torre di presidio e di controllo della pista di volo adiacente.
Un aspetto che rendeva difficile l’identificazione del sito era legata alla modifica strutturale della Torre Cuba. Le foto dell’epoca mostravano la Torre integra ma nel 1956, a causa di una tromba d’aria, venne danneggiata in modo grave rendendo così difficile la sua identificazione.
Oggi della torre restano il basamento ed il piano rialzato. Ma la struttura, oggetto di un attento restauro da parte dei proprietari, permette di riconoscere i balconcini del primo piano e l’ingresso con i suoi merli, aspetti che si ritrovano nelle foto scattare dagli inglesi.
Vicino alla Torre Cuba c’è un’altra torre detta “Tonda”, che presenta una fattura simile nella costruzione dei merli e forse risalente al Cinquecento. 















Il presidio di Contrada Sanata Teresa Longarini, attaccato da gruppi di alianttisti, fu difeso strenuamente per tutto il giorno 10 luglio e si arrese alle prime ore del mattino dell’11 luglio quando sopraggiunsero i carri armati inglesi. Ogni resistenza era vana..
La caduta di questo presidio si collegava con quella, altrettanto importante, dell’entroterra di Ognina a Siracusa
Nella contrada di Santa Maria Longarini era presente un antico maniero fortificato, denominato di San Michele, e residenza  della famiglia Grande, nobili originari di Avola.


Tenuta San Michele
La famiglia Grande era subentrata nella proprietà della tenuta San Michele, agli Arezzo della Targia, nobili siracusani.
La struttura era una masseria fortezza circondata da fossati ed una sera il Conte Corrado Paolo Grande Benoit de Sainte Colombe (di padre avolese e di madre francese) aprì la porta ad un gruppo di paracadutisti indiani (lanciati da alianti). Appartenevano alla “British Indian Army” comandanti dal generale Bernard Law Montgomery.
I soldati gli dissero…
Sappiamo chi è Lei.. gli requisiamo il terremo…
Lei e sua moglie potete retare nel maniero….
La fortezza si trovava  in un punto strategico importante  e cioè tra la strada che conduceva ad Ognina (Siracusa) e la Via Elorina (Noto – Siracusa) e inoltre era a circa 3 lm dalla costa dell’Arenella.
La struttura venne quindi requisita dagli Alleati che gli diedero in nome di “ Fairfield Camp”  (Campo giusto?) e consentirono al conte e alla moglie Aline di poter rimanere tranquillamente nel maniero.
La residenza cominciò a divenire quindi il luogo d'incontro degli alti ufficiali anglo-americani.
La caduta di Cassibile era legata alla caduta di Fontane Bianche, poiché le fortificazioni di quest'ultima, sorgendo  parallelamente al borgo, la coprivano dalla costa. La battaglia per riuscire a entrare nel borgo fu per il nemico colma di perdite (40 scozzesi caduti).
In questi scontri gli italiani  presero molte decorazioni per la resistenza mostrata (4 argenti ai caduti, 4 bronzi ai caduti e 2 argenti ai viventi). Un veterano scozzese, sergente Stockman (6º Seaforth), che combatté per la presa di Cassibile, così descrisse la resistenza dei suoi avversari che impedivano a lui e ai suoi uomini l'entrata:
«A pensarci, fu per noi una sfortuna che il paesino di Cassibile e l'attiguo nodo stradale cadessero nel nostro settore di sbarco, visto che entrambi risultarono difesi tenacemente da una compagnia italiana di mitraglieri [...], obici e cannoni di grosso calibro, tutti puntati direttamente sulle spiagge. Questo ci causò inizialmente un alto numero di perdite, mentre eravamo frustrati per l'assenza della nostra artiglieria. Neppure la Marina poteva venirci in aiuto, temendo di colpire anche noi, oltre il nemico. Ci vollero tre maledette ore per prendere Cassibile e ridurre al silenzio quei cannoni, il che causò al 6º Seaforth 40 perdite, tra cui tre ufficiali uccisi.»




Numerose le testimonianze sui primi concitati momenti dell'occupazione del borgo. I civili furono quelli che più patirono i disagi del trovarsi nel mezzo della zona dello sbarco. Quasi tutti i cassibilesi avevano abbandonato le proprie case la sera del 9 luglio, andandosi a riparare sulle alture che sorgevano alle loro spalle (si tratta, ad esempio, dei monti attigui dove sorge la preistorica necropoli di Cassibile, ma anche delle alte pareti che fiancheggiano la via rettilinea per Floridia), trovando rifugio all'interno delle tante grotte carsiche dell'area. Del resto, gli stessi Alleati un giorno prima dello sbarco lanciarono sui cortili delle case dei volantini che ammonivano:
«Siamo dietro le vostre porte!»,
invitandoli ad andare via.


Con l'ingresso dei soldati nelle case si verificarono anche tragici episodi ai danni dei civili.
 Una donna ricorda di come suo padre venne ucciso dagli inglesi nel tentativo di andare a riprendere in una grotta, insieme al cognato, un paio di scarpette del suo bambino. Trovò la morte davanti l'uscio della propria abitazione, poiché i britannici lo credettero complice del cognato che si era chiuso in casa (il cognato aveva la divisa dell'aeronautica). Un altro cassibilese, di nome Felice, venne invece ucciso perché reo di aver posto la testa fuori l'uscio di casa propria, spinto dalla curiosità, mentre i soldati di Montgomery entravano in paese e nella sua camera era appena caduta una bomba; gli venne sparato sul lato destro del collo.
La grotta di Spinagallo, di rilevante interesse paleontologico (al suo interno furono rinvenuti diversi esemplari di elefanti nani, specie anticamente estinta, esposti  al museo dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università degli Studi di Roma "La Sapienza"), che si apre sulla SP 12 (che collega in maniera diretta Cassibile a Floridia, da sud verso nord) e normalmente ricovero per gli ovini, divenne invece il rifugio di molti civili. La grotta fu scoperta dagli inglesi.
Una donna, che in quelle ore si era lì rifugiata, narrò il primo incontro con i soldati:
«Verso le 10.00 abbiamo visto sulla strada per Floridia tutta la squadriglia dei soldati che andavano avanti, prima un gruppo, poi un altro gruppo, tanti gruppi c’erano. Io mi sono spaventata! La grotta era in alto e la strada dove erano loro era sotto. Loro avevano i cannocchiali, ci hanno visto e sono venuti là. Allora tutti quelli che eravamo dentro la grotta ci siamo messi fuori con le braccia alzate e ci hanno perquisito; mentre c’erano due ragazze americane che erano di Cassibile però erano vissute in America che sapevano parlare la lingua americana e li hanno calmati.[…]»


Un altro cassibilese rammentò il fatto che tanti civili inizialmente vennero presi prigionieri (così come accadde alla penisola della Maddalena) e solo in seguito rilasciati:
«Verso le sei, ci hanno messo in fila come i militari e ci hanno portato verso Fontane Bianche. Tutti prigionieri, ci hanno fatto accampare in un mandorleto lì all’aria aperta e mentre gli apparecchi tedeschi che mitragliavano di sopra, per noi era la fine! Il mare era un’immensità di navi, carri e “palloni frenati,” così li chiamavano. Terribile ricordare quei giorni che sono stati i più difficili della vita oltre la fame e la disperazione che c’era! Verso mezzogiorno ci hanno riportato a Cassibile tutti incolonnati a cui si aggiungeva altra gente che non so da dove veniva. Poi vedendo che non c’era ente, ci hanno lasciati liberi e ognuno siamo ritornati nelle nostre case.»

Altre testimonianze dei cassibilesi in quei giorni..
…un giorno prima, nel cortile di casa, trovammo dei volantini in cui c’era scritto: siamo dietro le vostre porte! Allora il tenente che era qui (nella casa della signora) disse a mia mamma: signora, non sappiamo quello che succede questa notte, portate al rifugio la signorina, che io avevo diciotto anni quando fu dello sbarco. Perciò andammo nei rifugi.[…] Nella nottata i miei zii se ne andarono in giro e vedevano che quelli che avevano i paracaduti si nascondevano dietro le piante degli oleandri. I miei zii dicevano: se che deve succedere col giorno? Come di fatto l’indomani ci fu lo sbarco! E si videro salire.."u sai chi pareunu cu di elmetti ca ci luceunu, tutti di elmetti lucenti!" Perciò successe lo sbarco.[…] Poi andammo a vedere cosa era successo alle nostre case e trovammo tutte le case danneggiate, tutte le cose dei soldati buttate a terra, "a scecca (asina) ‘ro baruni San Lio ammazzata e ittata ‘nterra", c’era un macello!
Poi sentimmo bombardamenti e ritornammo di nuovo al rifugio.
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[…] Allora tutta la notte c’erano dei bombardamenti sopra le tegole, schegge, cose, c’era “ ‘u iocu-focu”.Io mi spaventavo, avevo dodici anni, ero piccolina e allora cosa ho fatto: ho riempito due sacchi di paglia e li ho messi sotto il letto perché arrivavano le schegge sul tetto. Sotto il letto c’eravamo io, mia cognata e mio fratello che ci trovavamo a Spinagallo, vicino al mare, nella nostra tenuta.[…] Verso le cinque di mattina nostro zio, quello che ci accudiva gli animali, ci venne a dire: ragazzi, ragazzi, alzatevi che gli inglesi sono arrivati tutti qua nella strada per Floridia! E mentre tutta la notte bombardamenti che fuori sembrava chiaro, tutto chiaro come quando fanno i tuoni.[…] Poi sono venuti dei nostri amici dalla Fanusa (contrada tra Fontane Bianche ed Ognina) con tutti i loro animali, carri; hanno buttato gli animali nella nostra tenuta e ce ne siamo andati tutti nella grotta di Spinagallo. Nel momento era tempo che si "pisava" il frumento e noi avevamo tanto frumento nell’aia, minimo c’erano cinque ettari di frumento. Non li ha presi nessuno! La gente pensava per la sua pelle e se ne andava nella grotta a cominciare da me per prima. La grotta era sporca che c’erano state tante pecore a dormire. Verso le 10.00 abbiamo visto sulla strada per Floridia tutta la squadriglia dei soldati che andavano avanti, prima un gruppo, poi un altro gruppo, tanti gruppi c’erano. Io mi sono spaventata! La grotta era in alto e la strada dove erano loro era sotto. Loro avevano i cannocchiali, ci hanno visto e sono venuti là. Allora tutti quelli che eravamo dentro la grotta ci siamo messi fuori con le braccia alzate e ci hanno perquisito; mentre c’erano due ragazze americane che erano di Cassibile però erano vissute in America che sapevano parlare la lingua americana e li hanno calmati.[…] Poi frugarono tutti gli angoli della grotta per vedere se c’erano persone nascoste e infine se ne andarono.
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 Quando sbarcarono gli americani mi trovavo in contrada Spinagallo […] arrivavano nel mese di agosto e alla sera noi dormivamo sulla paglia, lì fuori nell’aia, dove si "pisava" e abbiamo visto tutti questi luminosi che venivano dal cielo. Cosa sta succedendo? In mattinata abbiamo visto che veniva gente da Cassibile che fuggiva verso le montagne. Ma cosa è successo? – dice – Sono sbarcati gli americani! Così anche noi siamo andati che c’era una grotta a Spinagallo e ci siamo rifugiati lì. In questa grotta siamo stati per otto giorni e da lì si vedevano tutte le navi schierate a mare, a Fontane Bianche, nella zona della marchesa, fino ad Avola e poi li abbiamo visti passare che andavano verso Palazzolo e noi eravamo in alto nella grotta.[…] Un giorno con gli amici decidemmo di andare a vedere cosa era successo a Cassibile e là c’era un disastro: porte aperte, la casa dove c’era il fascio tutta aperta e tutte le cose a terra…uno sfacelo!
Ho visto dei "palloni bianchi" nell’aria che scendevano verso terra ed erano i paracadutisti che sbarcavano a Fontane Bianche.[…] I soldati vennero al rifugio dove eravamo nascosti e per questo capimmo che era avvenuto lo sbarco. Mi trovavo al rifugio già da un mese; lì non c’era abbastanza cibo e l’equipaggiamento era scarso, ma soprattutto avevamo paura di morire. Siamo rimasti lì per circa due mesi. Gli inglesi appena scoprirono il rifugio, ci fecero uscire con le mani in alto: in quel momento ho pensato alla morte!
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Avevo otto anni e ricordo che eravamo in questa grotta e la mattina sentivamo sparatorio. Quando abbiamo visto gli inglesi, se non c’era questa interprete eravamo tutti spaventati e quella ci ha calmati e ha detto: state tranquilli, state tranquilli! E lei che ci parlava in inglese e quelli che gli rispondevano dal buco della grotta.[…] Poi ricordo che mio padre mi ha preso in braccio e mia mamma aveva l’altra mia sorella, tutti siamo usciti fuori e c’erano tanti inglesi, tutti coi fucili e tutti i grandi hanno alzato le braccia in alto.[…] La sera ci andavamo a coricare in questa grotta e poi di giorno tornavamo a casa.[…] Se non avevamo questa interprete eravamo tutti spaventati, lei invece ci ha difeso. Poi ricordo un altro particolare che in un’altra grotta se li sono inquadrati a tutti e li hanno portati a mare a Fontane Bianche ma non so per quale motivo.
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La notte dell’invasione eravamo una ventina di persone che con lo spavento dei bombardamenti ci siamo ricoverati in una cava. Verso mezzanotte vennero due carabinieri per dirci che sbarcarono gli inglesi, ma non erano sicuri. Poi se ne andarono e quando tornarono erano senza moschetti e si ricoverarono con noi. Mentre sentivamo sparare…erano gli inglesi. Un certo Lentini Giovanni, che ora è morto, ha alzato le mani e si sentì partire un colpo sulla spalla e allora loro stessi scesero, lo presero e lo portarono all’ospedaletto da campo che era alle case del barone e a noi ci hanno fatto uscire e ci hanno portato a Fontane Bianche.[…] a prendere i salvagenti; verso mezzogiorno ci hanno riportato a Cassibile e ognuno siamo ritornati nelle nostre case.
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Verso le quattro di mattina ci fu un subbuglio di navi e aerei. Verso le cinque, i soldati italiani scapparono e vennero nella grotta dove eravamo noi che volevano aiuto e si volevano “spogliare”. Gli americani poi sono arrivati al nostro rifugio e spararono ad un signore che era con noi, poverino , ora non c’è più! Un certo Lentini. Verso le sei, ci hanno messo in fila come i militari e ci hanno portato verso Fontane Bianche. Tutti prigionieri, ci hanno fatto accampare in un mandorleto lì all’aria aperta e mentre gli apparecchi tedeschi che mitragliavano di sopra, per  noi era la fine! Il mare era un’immensità di navi, carri e “palloni frenati,” così li chiamavano. Terribile ricordare quei giorni che sono stati i più difficili della vita oltre la fame e la disperazione che c’era! Verso mezzogiorno ci hanno riportato a Cassibile tutti incolonnati a cui si aggiungeva altra gente che non so da dove veniva. Poi vedendo che non c’era niente, ci hanno lasciati liberi e ognuno siamo ritornati nelle nostre case.
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[…] Il 9 luglio mi trovavo a casa perché avevo un pezzo di grano e lo dovevo mietere. Siccome ero militare a Siracusa (il mio reparto era il 75° reggimento di fanteria), ho pregato il colonnello Rossitto di darmi il permesso per tornare a casa per mietere il frumento, dato che c’era una legge che aveva messo questa licenza agricola. Il colonnello mi dice: te ne vai, ma in caso di allarmamento ti mandano un soldato per dirti di presentarti. Perciò sono tornato a casa contento per mietere il grano. La sera del sabato del 9 luglio 1943 stavo scaricando il frumento e passa da casa mia il mio colonnello e mi dice: Vincenzo, hai finito di trebbiare il grano? Ed io: questo è l’ultimo sacco di frumento che sto scaricando perciò domani mattina posso essere a disposizione al reggimento. Va bene – dice - ma domani è domenica e te la passi a casa, poi lunedì vieni e non ti preoccupare che se ti rubano la “roba” io sono magazziniere e ti posso dare tutto quello che ti serve. Questo fu il sabato sera! La notte del sabato sera invece sbarcarono gli inglesi a Fontane Bianche, nella zona della marchesa. Tutti i soldati italiani che erano della marina passavano davanti la stradella di casa mia e gridavano: “gli inglesi, sono sbarcati gli inglesi!”. Io che mi trovavo a casa e dovevo rientrare, non mi sono più mosso. C’era un fratello mio, buonanima, e gli ho detto: andiamo a vedere se i Cassarino (una famiglia di Cassibile) si sono mossi; a metà strada c’erano i fucilieri americani che sparavano, allora ho detto a mio fratello di tornare altrimenti ci ammazzavano! Siamo tornati indietro e abbiamo cercato provvedimenti per dove poterci ricoverare. Dato che conoscevo l’azienda della marchesa, c’era una grotta grandissima allora con i miei familiari abbiamo raccolto tutto quello che potevamo portare via e ci siamo rifugiati in questa grotta. In poco tempo ci ritrovammo in circa duecento persone tutte lì per rifugiarci. […] Nel rifugio era una vita molto brutta: mangiavamo o quello che trovavamo o le riserve che lasciavano i soldati italiani o inglesi: erano cibi in scatola.[…] Quindi la mattina del 10 luglio si è visto all’improvviso lo sbarco di questi americani, inglesi, indiani, di tutte le razze dell’umanità; […] dopo due giorni cominciarono i bombardamenti e mentre andavo alla villa del marchese vidi una bomba cadere non molto lontano da dove ero io, quindi corsi il più 14 lontano possibile e mi riparai dentro un tronco di ulivo. Dodici giorni dopo, circa, con un’altra persona decidemmo di andare a S. Teresa. Durante il cammino vedemmo un mucchio di carbone e ci domandammo: ma cos’è tutto questo carbone? Ci siamo resi conto subito dopo, che si erano incendiato un aliante e i ventotto militari erano morti bruciati.
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[…] Ce ne siamo andati in campagna perché a Cassibile non ci si poteva stare che era tutto circondato di soldati, c’erano postazioni e facevano che quando passava la gente vedevano se c’era qualcuno estraneo. Mentre le cose andavano stringendo di più: dovevamo stare al buio perché gli apparecchi passavano a bassa quota e mitragliavano quando vedevano le luci. Allora mio padre dice: andiamocene in campagna! In campagna eravamo quattro famiglie in una stanza sola e c’era un letto qua, un letto là. Siamo stati un po’ di giorni, quando poi arrivò un giorno che vedemmo dei “palloni frenati” a mare, che dove eravamo noi c’erano le navi.. Le navi non si vedevano, ma c’erano “’sti palluna iauti”, erano i paracaduti. Allora noi: che succede? Mentre c’era mio zio Giovanni che aveva fatto un po’ di guerra e dice: andiamo, andiamo, “ca i ‘nglisi a nu trasutu!” E andammo che volevamo andare verso le grotte, ma non ci siamo potuti arrivare e siamo rimasti in campagna.[…] Che successe tutta la notte! Apparecchi! Si accamparono soldati, chi sparava, e noi messi là e mia sorella Lucetta incinta che dopo quattro giorni ha partorito sua figlia Maria; se come ha fatto ad infilarsi sotto la rete col pancione! Con lo spavento! E mentre mitragliavano. Tutta la notte restammo lì, l’indomani invece abbiamo visto spuntare una flotta di soldati inglesi, americani, tutti “che cosi alliati nda testa”.

La reazione dei cittadini di Cassibile nei confronti dei soldati inglesi fu in genere positiva, furono considerati dei liberatori piuttosto che degli “invasori”.
Nella maggior parte dei casi, il loro atteggiamento era cordiale e benevolo (distribuivano biscotti, caramelle, cioccolata ecc.), a differenza dell’atteggiamento dei soldati reclutati nelle colonie inglesi, che invece si fecero protagonisti di spiacevoli tentativi di violenza perpetrati a danno delle ragazze.

Lo sbarco non creò grossi problemi a Cassibile; gli inglesi rispettavano la popolazione, i più turbolenti erano i negri, i soldati di colore del Sudafrica, c’erano gli aborigeni australiani, gli indiani che facevano tutti parte delle colonie inglesi. Erano questi che cercavano di molestare la popolazione, in particolare le ragazze, ma gli inglesi non volevano assolutamente e se li pescavano li bastonavano per bene, li punivano. Sono stati  accettati più come liberatori che come invasori perché si sono comportati bene con la popolazione.

[…] A Cassibile abbiamo incontrato questi americani che erano alloggiati nelle campagne, sotto le piante delle mandorle e ci hanno offerto delle scatolette, ci hanno offerto tante cose, non lo immaginavamo! […] Poi c’era questo amico mio che doveva andare in campagna verso Siracusa e sono andato con lui. Camminando abbiamo incontrato i “police”, la polizia americana; ci hanno fatto fermare, ci hanno fatto “spaiare” il mulo e ce l’hanno tolto e ce ne siamo dovuti tornare a Cassibile senza carretto e senza niente. Poi dopo quattro giorni ce lo hanno dato. Sempre, ripeto, questi americani ci hanno accolto con tanto amore.

[…] Sono stati abbastanza pacifici e poi ci davano a tutti da mangiare, non lo so da dove lo prendevano, ma quanto ne avevano! Scatolette di carne dai tre ai quattro chili che noi la sconoscevamo. Quando l’ho portata a casa l’abbiamo mangiata senza riscaldarla.

[...] La mattina stessa questi paracadutisti sono sbarcati e sono venuti a visitare l’azienda del marchese. Noi vedendo questi americani armati con mitragliatrici, cose, ci siamo avvicinati e gli abbiamo fatto l’incontro invitandoli verso il caseggiato della marchesa. Non ci hanno maltrattato. Arrivati alle case, là c’erano dei recipienti di vino vecchio e noi li abbiamo invitati a bere vino, ci abbiamo fatto una festa. Loro – dice – no, no, noi no bere! Bevete prima voi? Così abbiamo bevuto e poi si sono avvicinati loro ad assaggiare questo vino. Certo il vino era eccellente e dato che gli è piaciuto si sono “allegrati” di vino e poi sono usciti fuori. Ricordando il vino dov’era, sono tornati e si sono presi ancora un po’ di vino. Allora ho detto a mio fratello: Carmelo, guarda che i soldati si portano tutto il vino perché l’hanno assaggiato e gli è piaciuto. Allora cercammo di nascondere il vino […] c’era un sergente inglese che parlava italiano che ci faceva la guardia davanti la porta, così noi abbiamo lavorato per nascondere il vino e quando siamo usciti gli abbiamo regalato un 10 bottiglie di vino. I soldati americani pigliavano dalla marchesa che c’era tanta biancheria, tante belle cose e le portavano che c’era una famiglia, là alla casina, che aveva due figlie signorine. I soldati, vedendo quelle ragazze, si sono allarmati e pigliavano biancheria e oggetti della marchesa per portarli a quelle ragazze. Quando ho visto che tutta questa biancheria preziosa della marchesa scompariva ho pensato che mentre i soldati si andavano a fare il rancio, ho preso tutta la biancheria che potevo caricare, ho preso delle lenzuola le ho stirate nella stanza le ho rotolate e ho fatto scivolare ‘sta biancheria in un sottoscala e sopra ho messo tante cose 16 brutte, rotte, vecchie. […] Un giorno poi nella grotta sono venuti due soldati inglesi, mi hanno fatto segnale ma non capivo, allora mi hanno preso e mi hanno portato via su un camioncino. Certo mia mamma si sono afflitti – dice – ora lo ammazzano! Tempo di guerra era! Invece mi hanno portato verso la proprietà della marchesa che c’era un allevamento di bestiame, mi hanno portato là che c’erano tante bestie e mi hanno detto di prendere un bovino. Si sono presi il miglior bovino che c’era, l’hanno messo sul camion, mi hanno messo sul bagaglio e siamo ripartiti. […] Arrivati a destinazione mi hanno dato uno scatolo di sigarette, mi hanno salutato e se ne sono andati. Quando sono ritornato nella grotta mi sono riabbracciato con i miei. « […] In quei momenti c’erano i “neri” che facevano cattive cose e dove vedevano signorine se le dovevano portare con loro che si dovevano passare i “piaceri” e allora tutte le ragazzine di allora si vestivano a vecchiette brutte, sporche per non farsi guardare da nessuno perché si spaventavano che quelli se le portavano con loro. Dai miei zii, c’erano ‘sti “neri” e c’era una “sterna” profonda con un po’ d’acqua. Loro per farsi il bagno scendevano là sotto e si infilavano tutti nudi. Un giorno arrivò mia nonna e sentiva da là sotto delle voci, va per affacciarsi e come li ha visti, ha esclamato: misericordia, misericordia! Nel frattempo si erano portati lo zio Paolo e lo zio Turi nella strada di Floridia a seppellire i soldatini che erano morti per strada. Gli inglesi erano bravissimi e tutti di buon umore, ma gli altri erano brutti e cattivi e dove vedevano signorine se li dovevano portare. Tutti i disturbi che furono, furono questi. […] Poi era tempo di mandorle e sempre nella zona della nostra tenuta eravamo fuori che raccoglievamo le mandorle sotto gli alberi; passa un camion con tutti ‘sti soldati e ci buttarono un po’ di scatolame che ancora noi qua non ne avevamo visto. Allora dico: mamma mia, “i bummi!” Che spavento! Però poi abbiamo visto che c’era stampata precisa la simmental, ma simmental di tre, quattro chili che come si apriva una scatola si doveva consumare perché altrimenti si perdeva,

[…] Mentre eravamo al rifugio passarono gli indiani, “disgraziati”, come hanno letto la tabella che non si poteva entrare, gli diedero un calcio e ce la fecero arrivare dentro la cava. […] Una volta entrarono nella “pirrera” i soldati inglesi, che erano scozzesi con le gonnelline plissate. Io appena li vidi mi spaventai e mia nonna che era con me disse loro: figlia mia, figlia mia! E loro: no paura, no paura e hanno preso una scatola di caramelle e gliele hanno buttate nel lettino a mia nonna. Questi erano bravi, quelli disgraziati erano “i malacculuri”, giallastri, gli indiani. Alla 17 figlia di Lucia se l’erano presa da dentro la “pirrera” e se la stavano portando. I parenti si misero a piangere e loro la sputarono e la spinsero dentro la cava!

[…] Mali facci nunni ficiunu” ma quando siamo ritornati a casa dalla grotta non abbiamo trovato più niente, si erano presi tutte cose. Si erano presi il tavolo ed era messo nella campagna con la “macchina parlante” di mio fratello.

[…] Ricordo che al rifugio mi fecero una veste lunga, mi “tingenu” a facci e mi lasciarono li dentro per almeno 15 giorni.

[… ] Io ero bambina e ricordo che ci facevano carezze e davano cioccolata, caramelle, sigarette, carne in scatola, latte; non facevano male azioni questi inglesi!

[…] C’erano soldati scozzesi, “neri”, indiani; quelli col “coso” in testa si volevano portare le ragazze! Allora noi nelle cave ci mettavamo lo scialle, uomini accanto, per fare vedere che eravamo sposate. Le ragazze si mettevano le fedi, ad esempio a me l’hanno tolta per metterla ad altre e loro gli facevano: no madama, tu senorita!

La situazione sociale in Sicilia era gravissima

L’Italia era in guerra da oltre tre anni e alla realtà dura, sofferta a causa delle vicende belliche, particolarmente gravi apparivano le condizioni vissute dalle classi più semplici. Le città, le campagne nella distruzione e nel caos, turbe di uomini senza lavoro, situazione scolastica di ogni ordine e grado disastrosa, soprattutto per ragioni belliche. Case distrutte, il commercio paralizzato, i servizi pubblici scomparsi, le attività industriali, artigiane, agricole danneggiate. 

Il signor Fronte, cittadino cassibilese, all’epoca bambino di sette anni, visse la sua infanzia durante la guerra nella città di Noto…..

Andavo a scuola finchè ci sono potuto andare e ci andavo scalzo, senza scarpe! Chi me li doveva comprare se erano tutti militari? Emanuele era disperso, Meno era disperso, mio padre era nelle camice nere che fu richiamato e non sapevamo dov’era e perciò c’era la fame vera e propria e non per scherzo! Io andavo a scuola, poi nel pomeriggio hanno bombardato e una bomba è caduta vicino la scuola dove andavamo  noi perciò tutti scappavamo fuori. Le maestre – dice – ora chiudiamo la scuola, che avevano paura, e si finì la scuola. Neanche quella potei finire perché ero in seconda elementare e non ci sono potuto più andare perché l’hanno chiusa. L’hanno riaperta dopo che c’è stato l’armistizio la licenza della quinta elementare l’ho presa dopo la guerra, ma serale perché di giorno dovevo lavorare. Perciò durante la guerra la mia vita quotidiana era quella di andare da una vicina di casa, che stava benino, oppure dalla signora Montalto o dalla signora Schembari e mi davano qualcosa da portare a casa; addirittura la buccia delle mele cotogne mi sono mangiato, solo la buccia, perché non c’era niente!  Poi cosa ho fatto: siccome prima di partire per la guerra, mio padre faceva il carbonaio e ce ne aveva lasciato un pochetto, mia madre lo pesava coi cesti, mi riempiva ‘sti braccetti pieni di canestri per portarli alle persone e avevo tutte le braccia rotte per portare un po’ di pane a casa! Solo a guerra finita si è cominciato ad avere un po’ di respiro e anche un po’ di pane perché si iniziava a vendere la farina, i giardinieri facevano cipolle, peperoni che prima non c’era niente, sembrava tutto deserto e non c’era la gente per lavorare queste cose! Le scarpe me le hanno comprate che avevo 11 anni e non ci sapevo camminare perché ero sempre scalzo, anche di inverno con la pioggia io camminavo tranquillo. Per me è stato bruttissimo, non lo auguro a nessuno perché è una cosa incredibile; avrei preferito essere grande e andare in guerra, ma non essere un bambino, un bambino che ha vissuto con la sua pelle!

In nessuna regione dell’ Italia peninsulare la popolazione civile soffrì privazioni pari a quelle che affliggevano allora i più che quattro milioni di abitanti della Sicilia.

Per esigenze belliche il regime aveva posto il razionamento dei beni primari e strumentali. A tal fine aveva distribuito la tessera annonaria, unico strumento per poter acquistare nei negozi.

[…] Campavamo col pane della tessera; a tempo di guerra ci davano la tessera e prendevamo, ad esempio, duecento grammi di pane, tanto di zucchero, tanto di patate, legumi; tutto questo ci passavano e noi campavamo così. Io raccoglievo i fichi d’India e quello che trovavamo mangiavamo.

Non sempre però la tessera si rivelava sufficiente a soddisfare le necessità familiari per cui le difficoltà e le restrizioni alimentari costringevano la popolazione ad attingere al cosiddetto mercato nero:

ricordo che mancava quasi tutto, c’era la tessera. Il cibo mancava e perciò era razionato, la tessera serviva per comprarne una quantità stabilita. C’erano comunque gli  approfittatori che facevano uso del mercato nero e facevano pagare tutto più caro.

L’accaparramento dei viveri, le speculazioni, le sottrazioni di generi all’ammasso erano così diventate pratica normale di quanti erano in grado di dedicarvisi per profitto personale.

La limitatezza prebellica dell’alimentazione della popolazione rurale si acuì ulteriormente durante la seconda guerra mondiale e il settore nel quale si apportarono le maggiori restrizioni fu proprio il settore granario dal quale dipendeva con assoluta prevalenza l’alimentazione del popolo siciliano. 

Mia mamma raccoglieva spighe e le tessere che ci davano per il pane gliele davamo agli altri che non avevano possibilità. Una volta eravamo andate al mulino e là c’era mia zia, buonanima! Siccome noi potevamo macinare settanta chili di frumento, lei aveva il sacco di cento chili (certo la famiglia era grossa) allora mia zia mi dice: commare mettiamo il mio sacco che è di cento chili che il nostro era di settanta, nel frattempo vennero i carabinieri di Avola e come videro che io ne potevo macinare settanta chili e il sacco era di cento chili dissero: e ‘sta Di Pietro Maria che azienda ha? Allora vennero a Cassibile dal maresciallo Onestini che con mia madre si conoscevano. Io, come dissero andiamo a vedere quanto frumento ha ‘sta Di Pietro Maria, mia madre, ho preso mio cugino Muccio dalla Zagaria, dove c’era il mulino ad acqua e l’ho portato a Cassibile  arrivata a casa presi il frumento, tutto quello che avevamo (dodici “tummini” di frumento”) e lo distribuii quattro "tummini" per parte. […] Lo uscii tutto il frumento di dentro, perché se ci toglievano il frumento era come se ci ammazzavano, ci lasciavano morti di fame! Noi avevamo il frumento per tutta l’annata che mia madre raccoglieva spighe. Sai cosa fecero i carabinieri? Arrivarono dal maresciallo Onestini e dice: maresciallo, ‘sta Di Pietro Maria che azienda ha? Il maresciallo risponde: Di Pietro Maria è una povera vedova "cu tri figghi ‘nda facci!" Allora i disgraziati se ne sono andati e non vennero a fare perquisizioni al frumento. E così, figlia mia, a via di pene, a fare nottate intere perché c’erano troppe "stritture" non si poteva macinare, dovevi essere come a quello che dovevi cogliere l’opportunità di macinare di notte.

Ci si accomodava, noi avevamo comprato un po’ di frumento; poi c’era il mulino dal marchese, portavamo il frumento, ce lo macinava e facevamo un po’ di pane, i forni c’erano. Con la farina 20 facevamo la pasta e tiravamo avanti in questo modo. Noi, per fortuna, ce lo avevamo il frumento, ma quelli che non ce lo avevano rimanevano morti di fame! Neanche fave c’erano per mangiare.

Un’altra causa che favoriva la violazione delle norme annonarie e che quindi alimentava "l’intrallazzo", era costituita dalla grande irregolarità e dall’enorme ritardo col quale venivano distribuiti ai siciliani i generi che lo stato aveva monopolizzato a causa della loro importanza e scarsità come lo zucchero, l’olio e il grano di cui la Sicilia era grande produttrice e di cui doveva subire l’ammasso per essere poi inviato nelle regioni continentali per la pastificazione.

c’era tanta fame e non si trovava il grano, il pane, niente! Si mangiavano spesso carrube e, quando si riuscivano a trovare, legumi. Io mi ricordo, piccolino, che qui vicino c’era un campo di grano e dopo la mietitura andavamo insieme alla nonna a cercare le spighe che rimanevano per poter fare un po’ di farina e di pane.

Ad aggravare la situazione alimentare fu la presenza sul suolo dell’Isola di fortissimi contingenti di truppe tedesche e italiane che si rifornivano in loco dei beni di prima necessità:

qui siamo in via Fontane Bianche; questa casa se l’erano requisita i soldati, ci hanno buttato fuori gli affittanti […] e le case se li è requisite il governo […] se li tennero queste case diciotto mesi; prima portarono i soldati "polentoni" che presero i brachettoni delle porte e si fecero i "tannuri" sfasciando le porte .

Era anche naturale che il popolo attribuisse gran parte delle privazioni all’incapacità e alla trascuratezza delle autorità centrali e riversasse su Mussolini e sul fascismo la colpa di aver voluto la guerra prima, e di non aver saputo provvedere a lenirne le conseguenze, poi.

Il signor Fronte ricorda:

[…] Ad ogni parola, si diceva alla faccia di lui! E io gli dicevo: mamma, ma chi è lui? Lui, cornuto lui e tutto il tavolino di Roma. Ce l’avevamo tutti con Mussolini!

C’è da dire comunque che i problemi alimentari causati dallo stato di guerra si avvertivano di più nelle città, come dimostra il racconto del signor Fronte. Nelle campagne invece si riusciva a sopravvivere grazie ai prodotti della terra e all’allevamento del bestiame. Questa era la condizione che viveva la maggior parte dei cassibilesi:

[…] Nella nostra famiglia avevamo la massaria, avevamo gli animali, avevamo il latte, avevamo sempre qualcosa; certo gli operai, quelli che facevano la giornata erano un po’ più disastrati…successe anche un po’ di scabbia; c’è stata un po’ di disperazione; proprio come casa mia questo non lo posso dire.

La  popolazione di Cassibile, in particolare, riusciva a sfruttare ogni tanto le riserve dei soldati italiani posizionati in paese trovando così qualcosa da mangiare.

Nella casina della marchesa c’era il ben di Dio! Essendo riserva militare c’era da mangiare e non mancava niente per cui a noi il mangiare non ci mancava.

Quando i soldati se ne andarono c’era il ben di Dio e allora andarono lo zio Angelino e lo zio Ciccio e portarono un sacco di pasta di 100 kg ed un pezzo di formaggio che sembrava una ruota di macchina. Quando lo portarono, lo portarono ad uso di una ruota e per tagliarlo presero una sega e lo tagliarono il nonno con lo zio Ciccio fino a ridurlo a pezzettini. La crosta era dura ma mangiavamo lo stesso.

[…] Fame "nun n’amu tastatu" perché la buonanima di mio padre si dava verso; certo non è che era come ora, ma dire che abbiamo sofferto la fame no! Certo che tempo di guerra era! Avevamo un vestito solo, lo lavavamo e ce lo mettevamo, questo era ciò che avevamo!

E così ognuno parla, racconta la propria esperienza, gli orrori vissuti, i momenti del trionfo, della tragedia, dell’esaltazione, del rimorso: tutto ciò che dovrebbe servire a disconoscere il fascino sinistro esercitato dalla guerra.

Contini G. e Martini A., Verba Manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, La Nuova Italia, Firenze, 1993. 2 L. Gissara, A Futura Memoria, Grafica-Saturnia, Siracusa, 2004, cit. pp. 59-60; 3 Cfr.  - Gli alleati, in L’Italia dei tedeschi alleati: la politica estera fascista e la seconda guerra

L'entrata della villa del marchesi di Cassibile

La villa dei marchesi di Cassibile, così come il fortilizio dei Grande, venne anch'essa requisita dagli Alleati.
La villa dell'antico marchesato cassibilese, appartenente alla famiglia nobiliare dei Loffredo-Pulejo-Gutkowski, fu  quindi requisita dagli Alleati che vi installarono un piccolo ospedale da campo. 












La villa divenne meta dei soldati britannici, non solo per le vaste scorte di vino, di cui andavano alla ricerca i soldati, ma anche per la pregiata merce che vi si trovava all'interno. Alcuni giovani inglesi iniziarono a sottrarre vesti pregiate della marchesa per darle a delle ragazze locali rifugiate nelle grotte; era il loro modo per corteggiarle. Tuttavia l'approccio tra gli occupanti e i cassibilesi non fu sempre pacifico. Le donne locali conservarono il ricordo delle molestie e delle violenze subite da una parte dell'esercito britannico. Le loro testimonianze rilevarono come gli scozzesi e gli inglesi in genere si comportassero con la popolazione in maniera cordiale, quasi amichevole, mentre le truppe indiane si macchiarono degli atti più intollerabili.

 Nella fortezza di San Michele  venne firmato l’armistizio del 3 settembre 1943 che passò alla storia come l’“Armistizio corto” (Short Military Armistice) perché conteneva solo alcune condizioni dettate dagli Alleali all’Italia.
Quel giorno, indicato da molti storici come il “giorno della vergogna”, alle ore 17,15 nella tenda della mensa dello Stato Maggiore fu firmato l’armistizio che era costituito da dodici articoli, redatto in tre copie, firmato per l’Italia dal generale Giuseppe Castellano e per gli Alleati dal generale Walter Bedell Smith. Erano presenti anche il generale Dwight David Eisenhower e il generale Harold Rupert Leofric Gerge Alexander (I Conte di Tunisi).

  





Cassibile, 3 settembre 1943
Walter Bedell Smith appone la sua firma al documento dell'Armistizio.
Da sinistra: il commodoro britannico Royer Mylius Dick,
il maggior generale americano Lowell Rocks, il capitano inglese de Hann,
il generale Giuseppe Castellano (in borghese e abito scuro),
il generale inglese Kenneth Strong (dietro Castellano) ed il console Franco Montanari, funzionario del Ministero degli Esteri.

Il generale Giuseppe Castellano firma l’armistizio a Cassibile per conto di Pietro Badoglio.
In piedi il generale statunitense Walter Bedell Smith (a destra) e il funzionario Franco Montanari del Ministero degli Esteri.

Cassibile (Siracusa) – 3 settembre 1943.
Una foto scattata subito dopo la firma dell’Armistizio fra l’Italia e le potenze alleate.
La foto fu scattata nell’antico uliveto del feudo.
Da sinistra:
il Generale inglese Kenneth Strong, il Generale italiano Giuseppe Castellano,
il Generale statunitense (futuro dirigente della CIA) Walter Bedell Smith e il
diplomatico  Franco Montanari che aveva svolto le funzioni di traduttore
e interprete per il Generale Castellano.
Data : 3 settembre 1943

L’armistizio in realtà doveva essere firmato dal generale statunitense Dwigth Eisenhower ma si rifiutò e delegò il Generale statunitense Walter Bedell Smith a sottoscriverlo.
Il generale Eisenhower definì l’armistizio come
“the crocket deal” cioè “l’affare sporco”
perché la trattativa era stata condotta in modo scorretto.
Una capitolazione senza onore dell’Italia dinanzi ad un nemico che faticava a comprendere i motivi della segretezza voluta dal governo italiano per quella resa incondizionata.
Un armistizio, un accordo sommario con diversi punti di vista tra gli americani e gli inglesi sul trattamento da riservare all’Italia, firmato in gran segreto con una resa incondizionata dell’Italia supportata da gravissime minacce a cui sarebbe seguito un ulteriore accordo.
L’annuncio della firma dell’armistizio fu definito..
Una doccia fredda
L’esercito italiano fu lasciato a se stesso, senza comandi… allo sbando…..
Il 9 settembre il Re, il principe ereditario Umberto II e Petro Badoglio fuggirono da Roma per raggiungere Brindisi sotto la protezione dell’esercito Alleato.
 Le truppe tedesche, Wehrmacht e delle SS presenti nel territorio nazionale, approfittando del caso generale, diedero il via all’operazione “ACHSE”.
Occuparono i centri nevralgici e diedero sfogo ai rastrellamenti per sopprimere le sacche di resistenza.
L’esercito tentò di opporsi alle aggressioni tedesche e ci furono atti di profondo eroismo.
In Grecia, ad esempio, la divisione Acqui con 12.000 uomini, giunta a Cefalonia nel febbraio 1941 con il compito di presidiare il tratto di mare, si rifiutò di arrendersi e pagò a carissimo prezzo quella resistenza… ci furono ben 9466 morti…..
Dopo il colpo di Stato del 24 luglio 1943, la caduta di Mussolini e del fascismo, il Re Vittorio Emanuele e i vertici militari posero a capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio.
L’armistizio fu il crollo verticale di una struttura statuale e militare e l’abbandono di un intero popolo e delle sue Forze armate alla vendetta degli ex alleati tedeschi. Vendette  così spaventose che ancora oggi, a oltre 80 anni di distanza, è impossibile leggerne senza dolore e vergogna. Le trattative di armistizio, la loro conclusione e il loro annuncio furono condotti tanto maldestramente e con tale irresolutezza e attendismo che alla fine gli alleati si stufarono (dopo aver rinunciato al lancio di una divisione aviotrasportata su Roma perché gli italiani non furono in grado di garantirne il successo) e diedero l’annuncio da Radio Algeri costringendo il Re e Badoglio alla fuga dopo la lettura alla radio del famoso comunicato che metteva fine alla guerra. In quel giorno si ruppe il legame tra il Paese e le sue élite culturali, positive e negative,  che non si è mai davvero ricostruito per un armonioso processo di sviluppo legato al dialogo e al confronto obiettivo.
Per l’Italia fu firmato dal generale Giuseppe Castellano perché anche Badoglio fu restio a sottoscriverlo. Un Badoglio sostenitore di una resa di fatto piuttosto che di un atto sottoscritto.
Tutto alla presenza dell’onorevole Harold Macmillan, Ministro Residente britannico presso il Quartier Generale delle Forze alleate e di Robert Murphy, rappresentante personale del Presidente degli Stati Uniti.
Alle spalle dell’armistizio non solo avvenimenti bellici ma anche delle verità nascoste.
Nel novembre del 1942, all’ambasciata d’Italia a Berlino, si era esaminato il problema dell’uscita della guerra e si giunse alla conclusione che era necessario agire d’accordo con i governi di Ungheria, Romania e Bulgaria. Edoardo Alfieri,  ambasciatore italiano a Berlino, riferì queste conclusioni a Ciano che gli rispose come fosse impossibile prospettare la soluzione a Mussolini.

Ambasciata Italiana a Berlino

L'ambasciatore Dino Alfieri esce dall'Ambasciata italiana a Berlino
Berlino, 10 agosto 1942
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000009647/12/l-ambasciatore-dino-alfieri-esce-dall-ambasciata-italiana-berlino.html?startPage=0

Nel 1943 ci fu la vittoria sovietica a Stalingrado, la fine della campagna d’Africa, gli scioperi  di marzo nelle zone industriali dell’Italia del Nord. La principessa di Piemonte Maria José, moglie di Umberto II di Savoia, prese l’iniziativa di fare eseguire confidenzialmente a Lisbona da parte di uomini di Stato portoghesi, dei sondaggi pressi gli Alleati per conoscere le loro intenzioni e risposte ad una possibile uscita dell’Italia dalla guerra. I risultati, a quanto sembra, furono scadenti.
In quello stesso periodo si stavano muovendo anche i fascisti. Il sottosegretario agli Esteri, Giuseppe Bastianini, all’insaputa di Mussolini, incaricò Giovanni Fummi, rappresentante della Banca Morgan, di recarsi a Lisbona e proseguire per Londra con lo scopo di prendere contatto con il governo inglese e, se possibile, di constatare se fossero disponibili ad una soluzione pacifica della questione italiana.


Il Fummi giunse a Lisbona ma si vide negato il permesso d’ingresso in Gran Bretagna. Mussolini nel frattempo  fece un rimpasto del governo e fra gli estromessi ci fu il genero Gian Galeazzo Ciano che alla fine venne inviato come ambasciatore presso la Santa Sede. La nomina coincise con l’arrivo in Vaticano del cardinale Francis Joseph Spellman (cardinale e arcivescovo statunitense).  
Francis Joseph Spellman

Ciano e lo Spellman cercarono di studiare una soluzione e in merito in un appunto 8di Ciano) del 15 maggio 1943
Bisogna mantenere stretti contatti con l’Ungheria, Romania e Bulgaria, che amano poco i
tedeschi, e non si dovrebbe dimenticare di fare le possibili cortesie agli uomini del governo d’Inghilterra e dell’America. Bisognerebbe pensare molto seriamente alla possibile necessità
di sganciare le sorti dell’Italia da quelle della Germania.

(pagine autografe del Re Vittorio Emanuele III)
Ma il Re era realmente convinto di quel pensiero o era solo un’idea momentanea?
Il 26 maggio Pietro d'Acquarone (Ministro della Real Casa del Regno d’Italia) disse a Ivanoe Bonomi che il Re non voleva sentire parlare d’armistizio e aggiunse che
Sarebbe imprudente accennargli a trattative che egli, nella sua lealtà per l’alleato,
non può ammettere.


Il 10 luglio 1943 avvenne lo sbarco degli Alleati in Sicilia e il 16 luglio ci fu il messaggio di Churchill e di Roosevelt  al popolo italiano..
The sole hope for Italy's survivallies in honorable capitulation to the overwhelming power of the military forces of the United Nations...The time has now for you, tre Italian people, to consult own self-respect and your own desire for a restoration of national dignity, security and peace. The time has come for you to decide whether Italians shall die for Mussolini and Hitler or live for Italy and for civilization».
L'unica speranza per la sopravvivenza dell'Italia risiede in una onorevole capitolazione davanti allo strapotere delle forze militari delle Nazioni Unite... È giunto il momento per voi, tre popolo italiano, di consultare il rispetto di voi stessi e il vostro desiderio di restaurazione del sistema nazionale. dignità, sicurezza e pace. È giunto il momento di decidere se gli italiani dovranno morire per Mussolini e Hitler o vivere per l'Italia e per la civiltà».
A Berlino l’ambasciatore Alfieri riprese l’idea che nel novembre 1942 aveva studiato. Il 14 luglio 1943 scrisse a  Bastianini..
Viene a ripresentarsi, con drammatica attualità. Il quesito che ho già lumeggiato in alcuni
miei precedenti rapporti:  fino a quando l’Italia stremata di forze ed attaccata da tutte
le parti potrà accompagnare e seguire l’alleata Germania nel suo cammino di
resistenza che si delinea prolungato nel tempo?
Bastianini, tre giorni dopo, si rivolse al cardinale Luigi Maglione con un appunto, forse ingenuo o frutto di una mente non sana…
Qualora la situazione in Italia dovesse ancora peggiorare, la sola persona in grado di
convincere Hitler a far abbandonare il territorio italiano dalle truppe tedesche è il Duce.
Di qui la necessità che l’Inghilterra e l’America non pongano la pregiudiziale immediata
dell’allontanamento del Duce e ciò nel loro stesso evidente interesse….
L’Italia ha una sua particolare posizione nella regione danubiana-balcanica a cui
gli avversari debbono tenere conto….

Il Cardinale Luigi Maglione posa, con un gruppo di prelati e di personalità civili, politiche e militari a Casoria, sua città natale.
Casoria: Aprile 1939
Foto: Fondo Amoroso (Autore della foto: Amoroso Roberto)
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0000002412/32/il-cardinale-luigi-maglione-posa-gruppo-prelati-e-personalita-civili-politiche-e-militari-casoria-sua-citta-natale.html?startPage=0

Il Cardinale Luigi Magione in occasione dell’arrivo della
Sacra Sindone nel Santuario di Montevergine, dove rimarrà
nascosta dal 25 settembre 1939 al 28 ottobre 1946

Le speranze di un passo di Mussolini presso Hitler erano legate al convegno di Feltre del 19 luglio 1943.
La mattina del 19 luglio Mussolini lasciò la sua amata Riccione, Villa Terzi, per raggiungere Feltri dive incontrerà il suo alleato Hitler.
I due dittatori s’incontrarono alla stazione ferroviaria di Treviso  per poi raggiungere in treno Feltri e quindi in auto  Villa Gaggia.





Villa Terzi, oggi



Stazione Ferroviaria di Treviso

Dal primo incontro con Hitler a Venezia, avvenuto il 14 giugno 1934 all’aeroporto di Venezia, erano passati solo 9 anni.
 Villa Gaggia - Belluno, in località Socchieva, nella frazione di San Fermo.

La decisione di convocare un vertice tra i due alleati venne presa da Hitler il 17 luglio 1943 verso sera.
Hitler, dopo aver letto un dettagliato rapporto sulla situazione italiana, convocò l’ambasciatore tedesco in Italia Mackensen, in quel momento ospite del Fuhrer a Rastenburg, e gli presentò la decisione di tenere, il prima possibile, un incontro bilaterale anche in territorio italiano.
Mussolini vorrebbe evitare questo incontro, non avrebbe nulla da dire, e anche fisicamente non stava bene a causa di forti dolori allo stomaco che lo assillavano da anni e che, con lo stress nervoso, diventarono insopportabili.
A Roma alcuni collaboratori lo spronarono ad andare all’incontro ma non per ascoltare impassibile i monologhi di Hitler, bensì per porre sul tavolo il problema dell’appoggio tedesco alle truppe italiane per cercare fi fronteggiare l’avanzata angloamericana e per provare magari a riprendersi la Sicilia.
Qualcuno suggerì al Duce di provare a lanciare la proposta di una sua uscita dal conflitto, forse l’unica soluzione per scongiurare una grande catastrofe.
Alla fine decise d’incontrare il Fuhrer ma allontanò l’ipotesi di una sua uscita dal conflitto perché temeva la reazione del dittatore tedesco che difficilmente gli avrebbe lasciato libertà d’azione.
L’incontro fu drammatico per vari motivi…
- Il 19 luglio gli Alleati erano sbarcati in Sicilia conquistandola quasi senza combattere;
- L’esercito nazista era stato da poco sconfitto dai sovietici nella battaglia di Kirsk famosa per il grande scontro tra carri armati.
In realtà la villa dove avvenne l’incontro si chiamava “Villa Socchieva” (“sub clivo” cioè” sotto il colle”) o Villa Pagani-Gaggia, dimora estiva del senatore del Regno Achille Gaggia. La villa si trovava in realtà a Fermo, una località fuori Belluno, a pochi chilometri da Feltre.
L’indicazione “Feltre” anziché “Fermo” fu legata ad un errore di Mussolini che in un suo appunto  indicò la località con il termine di “Feltre”.



Il convegno iniziò alle ore 11 nel salone principale della villa.
Hitler prese la parola davanti ad un Mussolini molto preoccupato e assente.. Erano presenti;
-        il sottosegretario Bastianini;
-        gli ambasciatori Von Mackenzen e Alfieri;
-        il capo di stato maggiore generale Ambrosio;
-        il feldmaresciallo Keitel;
-        il generale Rintelen, il generale Warlimont;
-        il colonnello Montezemolo;
-        Schmidt ed altri del seguito. 


Un monologo di Hitler e un lungo elenco di cose che l’Italia non aveva fatto o fatto male.
Hitler criticò l’operato dei soldati italiani, inclini alla diserzione ma anche l’incapacità dei comandi militari. Mussolini seguì in silenzio le critiche del dittatore tedesco, sprofondato nella sua poltrona e con le mani incrociate sulle gambe accavallate, come fu descritto da Dino Alfieri che era uno dei presenti.
Nel frattempo arrivò una telefonata per avvisare il Duce che Roma era stata bombardata e con ingenti perdite soprattutto nel quartiere San Lorenzo.
Alle 11,30 Mussolini prese la parola per tradurre in tedesco il messaggio del Bombardamento su Roma.
Hitler promise aiuti militari, ma disse anche….
«duce, so ghet es nicht» (duce, così non va).

Alle 17  i colloqui si conclusero con un nulla di fatto.
I due dittatori salirono sulla Mercedes scura. Mussolini aveva gli occhiali scuri e Hitler sedeva alla sua sinistra. In treno raggiunsero l’aeroporto di Treviso da dove rientrarono nelle rispettive capitali.


L’indomani, 20 luglio, Mussolini comunicò al generale Ambrosio la sua intenzione di scrivere a Hitler per rilevargli che
L’Italia non era più nelle condizioni di proseguire la guerra.
Il generale rispose che…
Questa decisione andava presa a Villa Gaggia.
Dopo qualche giorno, il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio farà cadere Mussolini. Seguiranno i 90 giorni del governo Badoglio, l’armistizio dell’8 settembre, la fuga di Re Vittorio Emanuele III
In quel convegno di Feltre Hitler e Mussolini dovevano morire…..
Un centinaio di Alpini, reduci dalla Russia, erano pronti ad eliminare Hitler e Mussolini con un blitz. Al momento della presentazione delle armi (che erano rigorosamente scariche), gli Alpini del picchetto d’onore avrebbero lanciato delle bombe a mano contro i due dittatori, cercando poi di sfuggire alla reazione delle SS.
I motivi per quella eliminazione furono spiegati successivamente da Nino Piazza, sergente degli Alpini. Una dichiarazione che fu trascritta negli atti del
“Convegno Alpenvorland 1943-45” – Palazzo Crepadona 21-23 aprile 1983).
“Eravamo partiti in 1800 per la Russia e tornammo in 117 ai quali si devono aggiungere un centinaio di feriti rimpatriati prima della ritirata. Eravamo alloggiati in una caserma di Feltre, dove l’insofferenza per la disciplina era totale. Si sentiva continuamente gridare Viva Lenin, viva Stalin, morte al Duce. Ma non ci potevano fare niente, perché noi eravamo quelli che la retorica ufficiale definiva gli Eroi della Russia”.
Il Duce era responsabile di quel massacro, aveva mandato dei combattenti nelle distese russe a 40 gradi sotto zero.
Dalla fine del 1942 esistevano a Belluno due organizzazioni antifasciste:
- Il Comitato d’azione antifascista che faceva capo al Partito d’Azione PdA;
- la rete del Partito Comunista PC .
Il racconto del dott. Armando Bettiol che all’epoca aveva 19 anni ed era studente universitario alla Facoltà di Giurisprudenza di Padova…

Armando Bettiol
“Qualche settimana prima dell’Incontro di Villa Gaggia fummo contattati dal maggiore Del Vecchio, comandante degli Alpini reduci di Russia temporaneamente dislocati a Longarone. Ci affidò il compito di introdurre una cassa di bombe all’interno della villa. La questione fu portata  al Comitato regionale veneto del PdA a Padova, presenti Meneghetti del Partito Socialista, Concetto Marchesi del Partito Comunista, Norberto Bobbio PdA e
il conte Papafava, del Partito Liberale.
Il Comitato c’incaricò di informare Ugo La Malfa, esponente del PdA con il quale ci fu poi un incontro a Milano e successivamente un altro contatto ad Asti, nella villa del maresciallo Badoglio, con una persona da questi delegata. Per verificare l’attendibilità del maggiore Del Vecchio, partecipammo anche ad un incontro in casa dell’onorevole Macrelli a Pesaro
, città di provenienza di Del  Vecchio”.
I contatti con l’antifascismo bellunese avvennero tramite il comandante Del Vecchio, e quindi si suppone che dietro vi sia la mano dello Stato maggiore dell’Esercito.
Infatti una delle riunioni organizzative si tenne proprio nella villa di Badoglio.
“Era impensabile del resto che un gruppo di giovani potessero progettare
 da soli l’attentato ai due dittatori”.
All’ultimo momento però ci fu un cambio di programma. Il picchetto d’onore degli Alpini venne cancellato.
Il blitz sarebbe stato più difficile e dall’esito incerto, perché gli Alpini avrebbero dovuto penetrare dal bosco superando la barriera di fuoco delle mitragliatrici delle SS piazzate nei fossati intorno alla villa. Per questa ragione, ma non solo, l’attentato venne sospeso per ordine delle direzioni nazionali del PCI e del PdA, rappresentate regionalmente da Concetto Marchesi e da Ugo La Malfa.
Si potrebbero proporre due ipotesi.
-        Mancavano pochi giorni alla destituzione di Mussolini, evidentemente qualcosa era trapelato ed i tedeschi non si fidavano più di nessuno. Hitler decise quindi di attorniarsi solo delle fedelissime SS e dispose che fosse soppresso il picchetto d’onore italiano. Del resto, anche i mobili della sala, nella quale si svolse la riunione, vennero sostituiti con altri controllati dai tedeschi.
Eugene Dollmann, colonnello delle SS ed interprete dei principali colloqui di Hitler dal ’33 al ’45, nel suo libro “Roma nazista” avvalorò la sindrome della congiura. Sensazione che oramai s’era impadronita dei soldati tedeschi:
“Raggiunta la villa il comando della piccola scorta al Führer, non ebbe più alcun dubbio: si trattava di un’imboscata. Tolsero la sicura dalle pistole, armarono i mitra e si disposero intorno alla villa, pronti a difendere la pelle. La scelta di quella località da parte del cerimoniale di Palazzo Chigi, potrebbe essere perdonata qualora risultasse da documenti segreti che intorno a quella remota residenza estiva, nei monti, nelle foreste, lungo i fiumi ed i ruscelli, un audace cervello avesse nascosto truppe fidate, pronte a catturare entrambi i dittatori, facendo così cessare di colpo la guerra su tutti i fronti.
Diversamente non avrebbero avuto giustificazione tutti gli strapazzi patiti, dal volo fino a Treviso, poi il lungo viaggio in ferrovia, con molto fumo fino a Feltre e le successive ore di auto. Quanto non si sarebbe risparmiato all’Europa ed al mondo, se re Vittorio Emanuele, Acquarone (il duca Pietro Acquarone, ministro della real Casa ndr), e gli attori secondari, da Ambrosio all’ultimo tenente dei carabinieri, avessero anticipato di qualche giorno l’andata in scena del loro Sogno di una notte d’estate ipotizzando il blitz.
-        L’improvviso cambio di programma non era dovuto alla diffidenza di Berlino, che cancellò il picchetto armato, ma piuttosto a motivi di opportunità politica maturati a Roma. Il Vaticano aveva buoni motivi per fermare il blitz, perché temeva l’avanzata del Comunismo. Il Vaticano preferì quindi attendere l’intervento degli anglo-americani, piuttosto che correre il rischio di consegnare il Paese nelle mani dell’antifascismo rosso che, con l’eliminazione dei due dittatori, avrebbe rivendicato l’assoluta paternità dell’azione.
In merito a queste ipotesi il dott. Armando Bettiol…
”A farcelo notare fu Ugo La Malfa  ipotizzando che il Vaticano avesse dato l’indicazione di attendere l’intervento degli Alleati, anziché azzardare un sovvertimento interno che conteneva allora troppe incognite”.
Le armi per l’attentato erano pronte.
C’era una cassa di bombe a mano nascosta in casa di Armando Bettiol, pronta ad essere trasportata all’interno della recinzione di Villa Gaggia.



La conferma di villa Gaggia, quale sede prestabilita dell’incontro, fu collegata all’Ordinanza di servizio della Questura di Belluno datata 24 giugno 1943.
Il documento, indirizzato al prefetto, ai funzionari di polizia, ai comandi delle stazioni dei carabinieri e alla milizia volontaria, conteneva le direttive per i servizi di sicurezza da porre in atto in previsione dell’incontro tra i due dittatori. Già dai primi di giugno ’43 del resto, fu rafforzato l’organico della Questura, con l’autorizzazione al prelievo straordinario di olio e benzina. Inoltre furono effettuati dei lavori lungo il percorso interessato e nella villa fu installato l’impianto telefonico. Una serie di preparativi e misure di sicurezza che fecero inequivocabilmente pensare a Villa Gaggia come sede imminente di qualche evento. Tant’è che il maggiore Del Vecchio, comandante degli Alpini, evidentemente venuto a conoscenza della circostanza, contattò Tattoni e Bettiol alcune settimane prima del 19 luglio del ‘43. Il luogo dell’incontro, dunque, era oramai deciso. Rimaneva tutt’al più la data da fissare, come sostenne Fredrick Deakin, nella sua “Storia della Repubblica di Salò”, dove rilevò come la data fu decisa solo il giorno prima, all’improvviso, da Hitler.
Un aspetto che non fu mai rilevato: l’attentato doveva eleminare i due dittatori o solo Mussolini?
Che conseguenze avrebbe avuto per l’Italia l’eliminazione di Hitler?
L’attentato fallì per un contrordine mandato dal Vaticano, in accordo con le forze moderate antifasciste, allarmate da un possibile predominio comunista che ne sarebbe derivato.
Il piano fu quindi fermato per lasciare agli anglo-americani il compito di liberare l’Italia due anni dopo. Una scelta attendista, dunque, che ricorda quella di Stalin che nell’agosto del ’44, per ragioni politiche di segno opposto (Stalin non voleva dividere gli onori con componenti che non fossero comunisti), lascerà fare a pezzi dai nazisti la capitale polacca pur avendo a disposizione il più grande esercito del mondo dislocato ad appena 30 chilometri. Doveva essere infatti solo l’Armata rossa, senza nessun’altra resistenza di matrice non comunista, a liberare Varsavia da Hitler (la tesi è dello storico Norman Davies, oggi confermata dal dossier inviato dai generali a Stalin, custodito nell’Archivio centrale del Ministero della difesa russo).
La scelta di Villa Gaggia fu anche strategica perché aveva d’altra parte avuto in passato delle visite che potremo definire eccellenti:
- Il 13 agosto del ’27 ospitò re Fuad d’Egitto, in visita alla centrale idroelettrica, accompagnato dal ministro delle Finanze Giuseppe Volpi di Misurata (fondatore della Sade nel 1905).
- Il 28 ottobre del ‘34 fu la volta del ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole che si recò nella vicina frazione di San Fermo (Belluno) per l’inaugurazione della Casa dell’Opera Nazionale del Dopolavoro.
- L’11 agosto del ’35 fu la volta di Starace, Segretario generale del Partito fascista, in visita ufficiale a Belluno.
Ci fu un progetto per trasformare villa Gaggia in residenza del Duce in alternativa a Salò.
Il progetto venne poi abbandonato.
Cu furono infatti degli interventi eseguiti dall’impresa Monti di Roberto De Nart.

La notizia del bombardamento di Roma fu comunicata a Mussolini dal suo segretario visibilmente imbarazzato.  Gli consegnò il dispaccio e il volto di Mussolini impallidì.
Tutti i presenti al convegno, anche Hitler, si resero conto come quel dispaccio stava comunicando delle tragiche notizie. Un bombardamento che nell’arco della giornata fu effettuato in due ondate. L’operazione, detta “ Crosspoint” o “Notte di San Lorenzo” fu effettuato da ben 362 bombardieri pesanti B17 e B24 e 300 bombardieri medi (146 - B26 e 154 – B25). La travolgente azione iniziò alle 11,00 del mattino e in sei ondate successive provocarono ben 3000 vittime su molti quartieri della città. In particolare fu colpito il quartiere popolare San Lorenzo, con la sua chiesa di San Lorenzo Fuori le Mura, che venne quasi interamente distrutto.
Dopo l’interruzione Hitler riprese il suo monologo parlando anche delle azioni militari sul fronte russo e su quello balcanico.
Durante il pranzo i due dittatori pranzarono naturalmente nello stesso tavolo. Non si avrebbero notizie sui loro dialoghi anche se, secondo l’ammiraglio Maugeri, durante il pranzo cercò di proporre a Hitler una vecchia idea legata ad una pace separata con Stalin e la richiesta di un aiuto militare per la ripresa della Sicilia.
(L’ammiraglio Maugeri raccolse delle confidenze del Duce dopo il 25 luglio).
La risposa di Hitler non fu documentata. Nel fugace pranzo  risaltarono le urla di Hitler accompagnate da violente colpi di mano dati sul tavolo. Sembra comunque che in quel dialogo lo stesso Hitler abbia rilevato a Mussolini
La questione delle armi segrete, destinate a stravolgere gli esiti della guerra.
Armi nelle sue mani che sarebbero disponibili già dalla fine di agosto e che
avrebbero raso al suolo Londra fino all’ultima casa,
riducendo in ginocchio la Gran Bretagna.
L’incontro finì alle ore 17,00 e alla fine non si concluse nulla come, pochi mesi prima, avvenne a Salisburgo.
Con la riunione di Feltri Mussolini prese visione di come la fine per lui e per il regime era inesorabilmente  vicina.

https://www.youtube.com/watch?v=XPW0tQnDhLk&t=1s

https://www.youtube.com/watch?v=xI9lWGQj3uY&t=9s

https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL4000090623/7/girato-avvenimento-non-piu-lavorato-roma-bombardamento-via-ettore-belli-clinica-villa-bianca-clinica-polidori-trasporto-feriti.html

https://www.youtube.com/watch?v=bOBoHskS0Vk

Da una base del Nord Africa 500 aerei si alzarono in un volo di morte per una missione ben precisa:
colpire Roma.
Su una mappa della città furono evidenziati i bersaglio di colpire e quelli da rispettare….. Una mappa con la scritta..
MUST NOT BE BOMBED (Non deve essere bombardato)


Nella mappa furono evidenziati i monumenti da salvaguardare…il Pantheon, il Colosseo, le Chiese… gli ospedali…
Roma, 19 luglio 1943 ( nove giorni dopo la sbarco degli Alleati in Sicilia) ore 11,03. Da 6000 mt di altezza sulla verticale dello scalo merci San Lorenzo, “Lucky Lady” sganciò le prime bombe. iniziò il primo bombardamento alleato su Roma. Obiettivo: lo scalo di San Lorenzo e altri punti strategici.
Lo speaker americano annunciò che sarà colpito al cuore lo snodo ferroviario di Roma Termini; ma alla fine le bombe caddero su un'area molto più vasta della città, comprendente i quartieri di Tiburtino, Prenestino, Casilino, Labicano, Tuscolano e Nomentano.
Dopo un primo passaggio, i bombardieri ricevettero l'ordine
di lanciare mirando strettamente alle nubi di polvere, al fumo e agli incendi.
Naturalmente la zona coperta da polveri e fumi si allargò sempre di più, ad ogni ondata, e inevitabilmente i grappoli di bombe finirono a ben  500 mt di distanza dallo scalo.
Viene colpito in pieno il quartiere San Lorenzo e fu centrato il piazzale del Verano.
Alla fine, saranno sganciate su Roma 4000 bombe (circa 1060 tonnellate) colpendo i quartieri San Lorenzo (con 717 vittime), Prenestino, Tiburtino e Tuscolano, provocando circa 3000 morti 8altre fonti citarono 1.500 morti) e 11.000 feriti. 10.000 case furono distrutte e 40.000 cittadini rimasero senza tetto.
Da quel triste giorno, Roma fu colpita da altri 51 bombardamenti fino al giorno della liberazione.
Al termine dell'azione il presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt spiegò come
con lo sbarco in Sicilia e il bombardamento di Roma è iniziata la fine del regime fascista.

Si giunse al 25 luglio 1943. Quel giorno, prima di recarsi a Villa Savoia, Mussolini ricevette l’ambasciatore del Giappone d Roma, Hidaka, al quale comunicò che egli…
Aveva già deciso di compiere nel corso della settimana ventura un energico passo presso il Fuher,
per attirare tutta la sua più seria attenzione sulla situazione che si era venuta a determinarsi
negli ultimi tempi e per indurre il Fuher stesso, come già altre volte egli aveva tentato, a
far cessare le ostilità sul fronte orientale, giungendo ad un componimento con la Russia.
Forse aveva l’intenzione di farlo ma non ne ebbe il tempo. Pochi ore dopo il Re gli comunicava la sua sostituzione con il maresciallo Badoglio. La sera, alle 22,45 la radio annunciava  che il re aveva assunto il comando supremo delle forze armate e Badoglio il governo del Paese con pieni poteri.
(Governo Badoglio I, in carica dal 26 luglio 1943 fino al 24 aprile 1944. Il governo risiedeva a Roma ma dopo l’annunzio dell’armistizio, 8 settembre 1943, fu trasferito a Brindisi).

https://pochestorie.corriere.it/files/2016/06/Pietro_Badoglio_-_Riv_Alexandria_giugno_1934_a_II_n_6.jpg

Governo Badoglio








La radio comunicò anche un proclama di Badoglio che conteneva una frase che a molti sembrò assurda… inconcepibile…
La guerra continua.. (a fianco dell’Alleato Germania?)
Perché allora fu destituito Mussolini?
Una rottura immediata con la Germania avrebbe provocato delle violente reazioni da parte dei tedeschi.
Una tesi che fu criticata e più volte smentita dai generali…
La dichiarazione dell’armistizio sarebbe stata molto opportuna il 25 luglio …
.. scrive il generale Rossi. In tale giorno quattro divisioni tedesche erano impegnate in Sicilia
e poteva essere loro impedito, con mezzi della marina, che passassero in continente.
Si cercava di negoziare l’armistizio ma anche questa tesi fu criticata perché era stato più volte dichiarato che l’unica condizione sarebbe stata la resa incondizionata.
Lo confermò Roosevelt il 27 luglio 1943
Le nostre condizioni all’Italia sono le stesse condizioni che facciamo alla Germania e al
Giappone: resa incondizionata
Lo stesso giorno scrisse a Churchill
La mia idea è che si debba avvicinarsi quanto più è possibile ad una resa senza condizioni,
seguita da un buon trattamento nei riguardi delle masse popolari italiane.
Le azioni politiche del 25 luglio furono preparate non dagli antifascisti ma dal re e dai gerarchi fascisti, preoccupati soltanto di salvare la loro posizione e i loro privilegi anche se successivamente gli avvenimenti, non per loro colpe, presero un altro indirizzo.
Gli stessi tedeschi avevano una buona visione della politica italiana che andava oltre la deposizione da capo del governo di Mussolini.
Questa visione fu confermata da un messaggio inviato dall'ufficio di propaganda di Goebbels ai giornali francesi. con la quale si suggeriva di scrivere che
si aveva buon motivo di ritenere che, dopo i risultati della campagna di Sicilia, Mussolini ed Hitler avevano constatato l'impossibilità per l’Italia di proseguire la guerra e che la scelta di Badoglio come successore provava che l’Italia avrebbe tentato di negoziare la sua neutralità.
Anche Goebbels era di questo avviso, e infatti il 27 luglio scrisse nel suo diario:
Il fuhrer e fermamente convinto che Badoglio ha già negoziato con il nemico prima di compere il passo decisivo. L’asserzione del suo proclama che la guerra continua non significa assolutamente nulla 
Per comprendere l'atteggiamento del re e di Badoglio basterebbe ricordare il promemoria del sovrano: 
1) governo deve essere composto di militari e tecnici, con esclusione di politici;
2) nessuna recriminazione circa il passato, nessuna persecuzione contro gli ex fascisti;
3) a nessun partito dove essere consentito di organizzarsi palesemente e di manifestarsi con pubblicazioni.
Aveva ben ragione  Hopkins, consigliere di Roosevelt. a diffidare del Re e di Badoglio:
Mi fido poco, tanto del Re come di Badoglio. Certamente, nessuno dei due, neanche mettendoci tutta la buona volontà, può essere considerato come il rappresentante d'un governo democratico. Riconoscerli è facilissimo ma in seguito sarà spaventosamente difficile buttarli a mare. Certamente non mi garba l’idea che questi ex nemici mutino opinione quando sanno che sfanno per essere battuti e passino dalla nostra parte per ottenere d’esser aiutati a mantenere il potere politico. 
Nonostante questo severo giudizio di Hopkins, il messaggio del generale Eisenhower al popolo italiano si compiace con Casa Savoia per essersi liberata di Mussolini:
You want peace; you can have peace immediately and peace under the honourable conditions which our Governinents have already offered you. We are coming as liberators. Your part is lo cease immediately, any assistance to the German military forces in your country. If you do this, we will rid you of the Germans and deliver you from the horrors of war .
 
Vuoi la pace; potete avere la pace immediatamente e la pace alle onorevoli condizioni che i nostri Governanti vi hanno già offerto. Veniamo come liberatori. La tua parte è quella di cessare immediatamente qualsiasi assistenza alle forze militari tedesche nel tuo paese. Se lo farai, ti libereremo dai tedeschi e ti libereremo dagli orrori della guerra
Giungeva intanto a Roma, da Ankara dov’era ambasciatore. il nuovo ministro degli Affari Esteri, Raffaele Guariglia. Appena arrivato a Roma, si rivolse al cardinale Maglione parche lo mettesse in contatto con l'ambasciatore di Gran Bretagna presso la S. Sede, Osborne. 

Roma: 24 febbraio 1942
Il nuovo ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Raffaele Guariglia (primo a sinistra), posa con alcuni dignitari e un porporato
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000001998/12/il-nuovo-ambasciatore-d-italia-presso-santa-sede-raffaele-guariglia-primo-sinistra-posa-alcuni-dignitari-e-porporato.html

Sir D'Arcy Osborne, ministro (1936-1947)

Questi contatti ebbero luogo ma si dimostrarono infruttuosi.
Il  Guariglia chiese ad Osborne di comunicare al suo governo che l'Italia desiderava iniziare le trattative per l'armistizio. Osborne rispose che non era possibile esaudire la richiesta perché il cifrario dell'ambasciata era noto ai tedeschi né poteva essere utile l'ambasciata degli Stati Uniti perché  non possedeva addirittura il cifrario. Fallito questo tentativo il Guariglia il 2 agosto inviò a Lisbona, quale consigliere di legazione, il marchese Blanco Lanza d’Ayeta. 

25 maggio 1956, Belo Horizonte -  L'Ambasciatore d'Italia Blasco Lanza D'Ajeta
ad un ricevimento offerto dal Console Martelli
https://www.flickr.com/photos/immaginariodiplo/40216195684/in/photostream/

L'Ambasciatore d'Italia Blasco Lanza D'Ajeta
nel porto di Genova

Il marchese Lanza d’Ayeta parlava bene l’inglese e quindi fu mandato a Lisbona con l’incarico di prendere contatto con l’omologo britannico accreditato sul posto.
Il marchese, prima della partenza per Lisbona,  ricevette una lettera di presentazione da sir Francis d’Arcy Osborne (ambasciatore britannico presso il Vaticano)  per sir Ronald Campbell, ambasciatore britannico in Portogallo e cugino di Osborne.

Perché fu mandato in Portogallo un funzionario di grado non molto elevato?
Alla base di questa missione c’era un obiettivo ben preciso da parte di Badoglio: prendere e tempo e testare il terreno per prendere visione delle posizioni angloamericane.
Infatti il marchese non ricevette quelle credenziali che lo autorizzassero a negoziare ma solo istruzioni generiche.
Fu una scelta molto infelice perché il d'Ayeta era stato capo gabinetto di Ciano. A Lisbona, dove giunse il 4 agosto, il funzionario italiano prese contatto con l'ambasciatore inglese Campbell, per metterlo al corrente della situazione italiana e per presentare alcune raccomandazioni del governo italiano:
1) che questo primo contatto con gli Alleati fosse inteso in tutta la sua serietà al fine di poter predisporre di comune accordo, su dì un terreno politico o soprattutto militare, tutte le misure con l’obiettivo di creare le condizioni necessarie per fare uscire 'Italia dal conflitto:
2) l’invito alla cessazione degli attacchi e delle insinuazioni contro il sovrano e il governo Badoglio allo scopo di facilitare il loro arduo compito all'interno delle funzioni governative. Impedire che un estremismo caotico, di cui si erano avuti alcuni sintomi, potesse pregiudicare il normale ritorno a delle forme costituzionali di governo e favorire la nascita di un giustificabile disordine spirituale fra gli italiani favorendo la presenza germanica;
3) che le radio anglo-americane smettessero di attaccare Vittorio Emanuele III e Badoglio paventando il rischio di un'insurrezione comunista; 
4) che fossero cessati i bombardamenti aerei non resi necessari da precise esigenze belliche sulle città italiane e ciò con opportune finte per non favorire i sospetti tedeschi. Tale appello del governo particolarmente si riferiva alla capitale ed alle città del Nord dove, oltre che le popolazioni maggiormente preparate nella loro organizzazione borghese e operaia ad una nuova Italia liberale, gli attacchi aerei colpivano i tradizionali centri italiani di resistenza ai tedeschi;
5) auspicava inoltre una manovra diversiva degli Alleati nei Balcani per alleggerire la pressione della Wehrmacht in Italia;
6) Avvisò infine che entro pochi giorni Guariglia avrebbe incontrato il ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop ma solamente per guadagnare tempo. 
L'ambasciatore Carnpbell fece comprendere al d'Ayeta che i piani bellici concernenti l'Italia erano stati già da tempo predisposti dai comandi alleati e che l'atteggiamento politico delle Nazioni Unite verso l'Italia era già definito nella formula della resa incondizionata.
Churchill, appena informato del colloquio tra il d’Ayeta e Campbell, scrisse a Roosevelt:
Dalla prima parola all'ultima d'Ayeta non ha mai minimamente alluso a termini di pace, e tutta la sua esposizione non é stata che la preghiera che noi si salvi l’Italia dai tedeschi e da se stessa, e al più presto possibile..
Nel complesso, la missione di Lanza d'Ajeta non ebbe altro risultato se non quello di alimentare sospetti sull'effettiva volontà dell'Italia di sganciarsi dal Terzo Reich, rafforzando le posizioni - che sarebbero poi emerse nella conferenza di Québec dell'agosto 1943 - di chi voleva imporre all'Italia una pace punitiva. 
Alle raccomandazioni italiane rispose prima Radio Londra accusando il governo Badoglio di voler fare il furbo e successivamente il bombardamento di Milano con l’obiettivo di far capire, al governo italiano, che non vi era altra scelta che la resa.
Il 4 agosto Guariglia inviò a Tangeri, sempre come consigliere di legazione, Berio, il quale doveva prendere, contatto con il ministro di Gran Bretagna, Gascoigne (Robert Anthony Eden, conte di Avon) per prospettargli la situazione italiana e spiegare che ...
gli Alleati avrebbero dovuto in primo luogo attenuare l’intensità dei bombardamenti sull'Italia onde rendere possibile al Maresciallo di mantenere il fronte interno. Vi era inoltre da augurarsi che gli Alleati effettuassero uno sbarco nella Francia del sud o nei Balcani, onde attirare altrove le forze tedesche dislocate in Italia e dare così maggiore libertà di azione al Regio Governo.

Adolfo Filippo Giovan Battista Berio

Robert Anthony Eden, conte di Avon
(Gascoigne?)
Gascoigne era però assente da Tangeri e Adolfo Berio conferì con il console inglese Watkinson  che si affrettò a riferire al suo governo. La reazione fu immediata.
Gascoigne ricevette l'ordine di tornare a Tangeri e consegnare a Berio un messaggio per il governo italiano da parte dei governi di Gran Bretagna e degli Stati Uniti:
If is necessary that Marshal  Badoglio understand that we cannot negotiate but require unconditional surrender. This 'mons that Me Italian Government must place, itself in the hands of the two Allied Governments which will later advice it of their tems. Call Signor Berio's attention to the fact that the Heads of the two Governments have already erpressed their desire that ltay have a respected place in the new Europe as soon as the conflict is over and Gen. Eisenhower has already announced that the Italian prisoners in Tunisia and Sictly shall relesead subject to the release of all Allied prisoners.
Occorrerebbe che il maresciallo Badoglio capisse che non si può negoziare ma esigere la resa incondizionata. Questo è il motivo che il Governo italiano deve mettersi nelle mani dei due Governi Alleati che più tardi lo consiglieranno sulle loro condizioni. Richiamate l'attenzione del signor Berio sul fatto che i Capi dei due governi hanno già espresso il desiderio che l'Italia possa avere un posto rispettato nella nuova Europa non appena il conflitto sarà finito e il generale Eisenhower ha già annunciato che i prigionieri italiani in Tunisia e Sictly verrà rilasciato subordinatamente al rilascio di tutti i prigionieri alleati.
Berio rispose che tale messaggio non apportava nulla di nuovo e che la questione fondamentale restava che il suo governo non avrebbe potuto accettare ufficialmente una resa senza condizioni perché ciò avrebbe provocato un atto di forza da parte tedesca. La risposta a tali obiezioni non fu dissimile alla prima. Fallì quindi anche la missione Berio mentre nel frattempo giunse a Lisbona il generale Giuseppe Castellano.
Ma prima che la questione dei contatti con gli angloamericani passasse in mano ai militari, Guariglia fece ancora un tentativo incaricando il senatore Alberto Pirelli di recarsi in Svizzera e prendere gli opportuni contatti per accertare se il governo elvetico fosse disposto a fare un approccio presso i governi alleati per raccomandare la soluzione prospettata dall'Italia, cioè di effettuare lo sbarco nella Francia del sud o nei Balcani.
La risposta del governo elvetico, com’era da presumere, fu negativa. 

Nel frattempo in Italia si fecero più pressanti le istanze per porre fine alla guerra.
Il 2 agosto si riunì a Roma il Comitato Nazionale delle correnti antifasciste.
Venne emesso un ordine del giorno che invocava
la cessazione senza indugi della guerra e la certezza di come il popolo italiano fosse concorde nell’affrontare i pericoli che sarebbero derivati  da una simile decisione.
Il 3 agosto l'ordine del giorno fu presentato a Badoglio il quale, però, dichiarò che
non può discutere "una materia cosa delicata ed infiammabile".
Il Comitato continuò a riunirsi anche nei giorni successivi. ma le divergenze di opinioni non consentiranno di elaborare un nuovo documento comune fino al 2 settembre (documento che d'altra parte non fu reso pubblico).
Il ministro Guariglia prese atto dei fallimenti delle sue iniziative diplomatiche e decise di affidare la questione ai militari.
Si diede l'incarico al generale Castellano. uomo di fiducia del Capo di Stato Maggiore, generale Ambrosio. Ma a questo punto la storia si tinse di giallo.
Il generale Giuseppe Castellano chiese delle precise istruzioni oltre alle credenziali e a un passaporto ma gli fu risposto
che nulla poteva essere dato e che il suo compito era esclusivamente quello di prendere contatto con rappresentanti delle forza alleate per conoscere lo «eventuali» condizioni di resa ed esporre contemporaneamente la nostra situazione militare e quindi la necessità assoluta di un immediato aiuto per far fronte alla reazione tedesca.
Destinazione del generale Castellano fu Lisbona. Unica credenziale era una lettera dell’ambasciatore, presso la Santa Sede, Osborne per il suo collega di Madrid Hoare.

Sir Samuel John Gurney Hoare,
1º visconte di Templewood
Per il viaggio a Lisbona niente passaporto individuale ma collettivo e il generale viaggiò sotto il falso nome di Raimondi con un gruppo di funzionari del ministero degli Affari Esteri.
Castellano si chiese qual era la funzione della lettera per l'ambasciatore inglese a Madrid se la sua destinazione era Lisbona. La fortuna gli venne incontro.
A Genova, per un errore (?), il treno fu fatto proseguire via Nizza anziché via Modane per cui la sosta a Madrid poteva essere più lunga del previsto.  Il generale aveva a sua disposizione un intero pomeriggio ed era questa l’unica possibilità di incontrare Hoare. Tuttavia c'era una difficoltà. Castellano non conosceva una parola d'inglese ed era necessario quindi trovare un interprete. La scelta cadde su un giovane funzionario che faceva parte del gruppo, Franco Montanari, che da quel momento prenderà parte a tutte le trattative.
Franco Montanari
Il 15 agosto  Castellano incontrò Hoare e alla fine  quest’ultimo gli assicurò che avrebbe mandato un telegramma a Londra per informare il proprio governo sulla conversazione e per chiedere che un ufficiale dello Stato Maggiore britannico raggiungesse Lisbona per incontrare Castellano.
Un altro telegramma sarebbe stato inviato all'ambasciatore inglese a Lisbona per metterlo al corrente della questione. Il governo inglese fu informato immediatamente del colloquio.
Churchill si trovava a Ouebec per una riunione con Roosevelt, nella quale fra l'altro si era decisa la condotta della guerra in Italia. Vennero allora inviate al generale Eisenhower le istruzioni di orientamento che non facevano altro che confermare la resa incondizionata.

Conferenza di Quebec (18 agosto 1943).
Località: Château FrontenacQuébec
 
Da sinistra a destra:
Seduti: WLM King (Primo Ministro canadese), FD Roosevelt (Presidente americano),
W. Churchill (Primo Ministro britannico).
In piedi: il generale Arnoldil maresciallo capo dell'aeronautica Portalil generale Brookel'ammiraglio Kingil feldmaresciallo Dillil generale maresciallo George Catlett Marshall Jr., l'ammiraglio Pound e l'ammiraglio Leahy.
Esito della Conferenza:
-        accordo per iniziare l’effettiva pianificazione dell’invasione della Francia
             (azione militare in codice: Overlord (Signore Supremo). D-Day previsto per il 1944;
- incrementare i bombardamenti aerei sulla Germania  e discussione sulla
dislocazione delle forze americane in Gran Bretagna;
- discussione sull’operazione Culverin. Un’operazione in cui gli alleati avrebbero
dovuto riconquistare la punta settentrionale dell’isola di Sumatra (provincia di
Aceh), occupata dall’Impero giapponese;
-        siglati degli accordi segreti anglo-americani per la condivisione dei progetti di
            sviluppo di ordigni atomici, la gestione delle relative informazioni e del loro
                         utilizzo bellico;
-        discussione sul progetto Habakkuk che prevedeva la costruzione di una
                    portaerei di ghiaccio. I progettisti, Lord Mountbatten e Geoffrey Pyke,    
               portarono un blocco di  pykrete (composto da cellulosa e ghiaccio) da mostrare a
                    Winston Churchill, per ricevere l’approvazione del progetto dai Capi di Stato
                       e dagli ammiragli. Navi che avrebbero dovuto affrontare i sommergibili
                   tedeschi nell’Atlantico, in una zona che era al di fuori del raggio d'azione
             degli aerei con basi a terra.
-        Le decisioni strategiche vennero comunicate all'Unione Sovietica e a Chiang Kai-Shek. Vennero anche espresse dichiarazioni congiunte sulla Palestina occupata dai britannici e sulla condanna delle atrocità naziste in Polonia.
Churchill scrisse al generale Alezxander
Siete senza dubbio al corrente degli approcci fatti dagli italiani e della nostra risposta. Il vostro maggior pericolo è che i tedeschi entrino a Roma e vi stabiliscano un governo fantoccio con, per esempio, Farinacei. Sarebbe altrettanto inquietante che tutta l'Italia scivolasse nell'anarchia. Dubito che il governo Badoglio possa mantenersi al potere sino al giorno fissato per il nostro attacco principale, o sarà quindi di grande aiuto tutto quello che potete faro por abbreviare questo periodo senza pregiudizio del successo militare.

Harold Rupert Leofric George Alexander, I conte Alexander di Tunisi


Mentre il generale Castellano si trovava a Lisbona, si svolse a Bologna un convengono tra gli stati maggiori italiano e tedesco allo scopo di esaminare un piano di difesa comune della penisola.
Nel frattempo l’Agenzia Stefani commentò i risultati della Conferenza di Quebec.
Dans la phase historique actuelle l’Italia a une voie bien tracee et fixée par un systeme d'alltance, de solidarité et de collaboration militarie, aquel elle n'entend pas manquer.
Nell’attuale fase storica, l’Italia ha un percorso ben tracciato, costituito da un sistema di alleanza, solidarietà e collaborazione militare, che non intende fallire.
Sia il convegno di Bologna che la nota dell’Agenzia Stefani non facilitavano il compito del generale Castellano. Il governo e gli ambienti che lo influenzavano erano disorientati.
Il 17 agosto il generale Castellano s’incontrò con l’ambasciatore inglese Campbell e nel colloquio sorsero le prime difficoltà.
L’ambasciatore inglese chiese al Castellano se fosse fornito di credenziali e la risposta fu negativa.
Il Campbell fece allora presente che il governo britannico difficilmente avrebbe potuto attribuire alla sua missione un carattere ufficiale.
Il problema fu superato perché il Castellano fece presente i motivi della sua missione e si giunse ad un ‘accordo…
Il Campbell avrebbe comunicato a Montanari, mediante una firma convenzionale,
il giorno e l'ora dell'appuntamento.
L'incontro si svolse nella tarda sera del 19 agosto ed erano presenti:
- Campbell;
- l'incaricato d'affari americano Kennan;
- i generali Walter Bedell Smith e Strong, il primo capo di Stato Maggiore e il secondo capo dell'Intelligente delle forze alleate in Mediterraneo.

Generale Walter Bedell Smith

Generale Sir Kenneth Strong

Prese la parola il generale Smith per leggere le condizioni dell’armistizio dettate all’Italia.
Il generale Castello dichiarò
di non aver alcun mandato per trattare rannistizio ma soltanto il compito di far presente agli Alleati la situazione militare e politica dell'Italia.
Smith rispose che
l'ordine da lui ricevuto é quello di comunicare le condizioni di armistizio. le quali potevano essere accettate o respinte ma non discusse. La partecipazione dell'Italia alla guerra contro i tedeschi è una questione politica che non compete ai militari; sono in grado di assicurare che tale questione era stata esaminata a Ouebec da Roosevelt e da Churchill con buone prospettive
e consegnò al Catellano un promemoria aggiuntivo alla condizioni di armistizio
La misura nella quale le condizioni saranno modificate in favore dell’Italia dipenderà dall'entità dell'apporto dato dal governo e dal popolo italiano alle Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della guerra.
Il Castellano prese atto delle condizioni proposte dagli angloamericani e dichiarò che le avrebbe comunicate al governo italiano.
La riunione si concluse con un accordo
che l’accettazione da parte italiana deve avvenire entro il 30 agosto e comunicata per mezzo di una radio consegnata al generale Castellano. In caso di impossibilità,  l’accettazione avrebbe dovuto essere notificata all'ambasciatore Osborne con un messaggio dal testo concordato. Nel caso poi di accettazione italiana, il generale Castellano si sarebbe dovuto trovare a Termini Moroso allo ore 9 del 31 agosto.
Gli Alleati, però, consapevoli degli esiti negativi delle precedenti missioni italiane, intensificarono i loro attacchi aerei sulle  principali città (Milano. Roma. Napoli. Genova. Bari, Taranto) convinti di poter in questo modo far leva sull'opinione pubblica e provocare una maggiore pressione sul governo per giungere alla fine della guerra.
La situazione era drammatica e il governo perse la testa. Non avendo avuto notizie del generale Castellano, questa fu la tesi ufficiale, si decise di mandare a Lisbona il generale Giacomo Zanussi.

Il generale Giacomo Zanussi

Da chi partì questa iniziativa non si seppe mai e nessuno se ne assunse la responsabilità.
Probabilmente la missione fu opera del generale Giacomo Carboni (tra l’atro anche direttore del Servizio Informazioni Militari - SIM  - dal novembre 1838 al settembre 1940) e soprattutto di Mario Roatta (di cui Zanussi era l’uomo di fiducia) che forse volle vendicarsi di essere stato tenuto all’oscuro della missione del Castellano.
Zanussi arrivò a Liscona quando il Castellano era già partito e la sua presenza destò molti sospetti fra gli Alleati. Gli stessi Alleati decisero di utilizzarlo e gli consegnarono il testo del “lungo armistizio” avvisandolo che si trattava di un documento della massina importanza e differente da quello consegnato al Castellano.
Il generale Zanussi ebbe uno strano comportamento.
Non inviò il documento a Roma e lo mise tranquillamente in tesca. Non lo consegnò nemmeno al generale Castellano qundo lo incontrò a Cassibile (Siracusa) il 31 agosto 1943.
Il 27 agosto il Castellano ritornò a Roma e riferì al Badoglio i risultati della sua missione.
Il 28 ed il 29 agosto ci furono delle riunioni al governo  ma nessuno, nemmeno il Re,  volle assumersi la risponsabilità di una precisa decisione.
La mattina  30 agosto comunicarono al generale Castellano di partire  e gli consegnarono una nota del ministro Raffaele Guariglia da leggere agli Alleati…
L’Italia potrà chiedere l'armistizio solo quando, in seguito a sbarchi degli alleati con contingenti sufficienti e in località adatte, cambiassero le attuali condizioni, oppure se gli alleati fossero in grado di determinare una diversa situazione militale in Europa.
Il Badoglio aggiunse delle istruzioni….
«Per non esser, sopraffatti prima che gli inglesi possano far sentire la loro azione noi non possiamo dichiarare accettazione armistizio se non a sbarchi avvenuti di almeno 15 divisioni, la maggior parte di esse fra Civitavecchia e La Spezia..
La risposta del governo italiano non era un’accettazione dell’armistizio ma nemmeno un rifiuto… era una risposta ambigua.
che il governo italiano deve respingere o accettare le condizioni di armistizio cosi come sono: se le accetta. deve dichiarare la fine delle ostilità contemporaneamente allo sbarco principale degli Alleati. Se non accetta le condizioni, il governo italiano non avrà in avvenire più alcuna possibilità di trattare con i militari e di concludere, quindi l’armistizio.
Lo stesso Smith aggiunse che
se gli Alleati avessero disponibili per lo sbarco in Italia le 15 divisioni richieste da Badoglio non offrirebbero di certo l'armistizio.
Nè migliore esito ebbe la richiesta italiana di dilazionare la proclamazione dell'armistizio, mentre Smith e Strong si dichiararono disposti ad inviare una divisione di paracadutisti per la difesa di Roma. Su questa base si chiuse la riunione, rimanendo d'accordo che
l’accettazione italiana deve essere comunicata per radio entro la mezzanotte del 1 settembre.
Castellano ritornò ancora a Roma e riferì  a Badoglio. Questi convocò Ambrosio, Guariglia, Acquarone e Carboni. Tutti si convinsero che non vi fosse ormai altra soluzione e decisero di sottoporre al re il consenso per la stipulazione dell’armistizio.
Occorre però tenere presente che ancora nessuno era a conoscenza delle clausole del «lungo armistizio” poiché il documento era in possesso di Zanussi (in tasca). Ottenuto il consenso reale Badoglio telefonò a Cassibile per annunciare l'accettazione italiana e per preannunciare l'arrivo di Castellano.
Il 2 settembre Castellano arrivò dunque a Cassibile. Inviato a Cassibile  ma per fare cosa?
Quando Smith gli chiese se avesse i poteri necessari per firmare rannitizio, il generale italiano cadde dalle nuvole: non aveva alcun potere, né a Roma gli era stato detto nulla a riguardo perchè si credeva che bastasse il telegramma di Badoglio!
 Una giusta tesi? Non vi fu forse l’illusione che il discorso pronunciato il giorno prima da Papa Pio XII avrebbe potuto modificare all'ultimo momento le condizioni dell’armistizio?

Papa Pio XII

RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO XII
NEL IV ANNIVERSARIO
DELL'INIZIO DELLA GUERRA MONDIALE
Mercoledì, 1° settembre 1943
Si compiono oggi quattro anni dal giorno orrendo che diede inizio alla più formidabile, distruggitrice e devastatrice guerra di tutti i tempi, la cui visione atterrisce chiunque nutra in petto anima e sensi di umanità.
Nel presentimento di così universale sciagura, che minacciava la grande famiglia umana, Noi indirizzammo, pochi giorni avanti lo scoppio delle ostilità, il 24 agosto 1939, ai Governanti e ai popoli un caldo appello e una supplichevole ammonizione : Nulla — dicemmo — è perduto con la pace. Tutto può esser perduto con la guerra !
La Nostra voce giunse agli orecchi, ma non illuminò gli intelletti e non scese nei cuori. Lo spirito della violenza vinse sullo spirito della concordia e della intesa : una vittoria che fu una sconfitta.
Oggi, sulla soglia del quinto anno di guerra, anche coloro, che contavano allora sopra rapide operazioni belliche e una sollecita pace vittoriosa, volgendo lo sguardo a quanto li circonda dentro e fuori della patria, non sentono che dolori e non contemplano che rovine. A molti, i cui orecchi rimasero sordi alle Nostre parole, la tristissima esperienza e lo spettacolo dell'oggi insegnano quanto il Nostro ammonimento e presagio corrispondessero alla realtà futura.
Ispirarono allora le Nostre parole amore imparziale per tutti i popoli senza eccezione e vigile cura per il loro benessere. Lo stesso amore e la stessa cura Ci muovono in quest'ora grave e angosciosa, e mettono sulle Nostre labbra parole che vogliono essere a vantaggio di tutti e di nessuno a danno, mentre istantemente supplichiamo l'Onnipotente Iddio, affinché apra loro la via ai cuori e alle decisioni degli uomini, nelle cui mani sono le sorti dell'afflitta umanità.
Attraverso lotte gigantesche le esteriori vicende della guerra si avvicinano e confluiscono al loro punto culminante.
Mai la esortazione della Scrittura: « Imparate, o giudici della terra! » (Ps. 2, 10), non fu più invocata e urgente che in quest'ora in cui a tutti parla la tragica realtà.
Dappertutto i popoli rientrano in se stessi a meditare, con gli occhi alle rovine. Vera saggezza è incoraggiarli e sostenerli nelle loro prove. Scoraggiarli sarebbe funesto accecamento.
Per ogni terra l'animo dei popoli si aliena dal culto della violenza, e nell'orrida messe di morte e di distruzione ne contempla la meritata condanna.
In tutte le Nazioni cresce l'avversione verso la brutalità dei metodi di una guerra totale, che porta ad oltrepassare qualunque onesto limite e ogni norma di diritto divino ed umano.
Più che mai tormentoso penetra e strugge la mente e il cuore dei popoli il dubbio, se la continuazione della guerra, e di una tale guerra, sia e possa dirsi ancora conforme agl'interessi nazionali, ragionevole e giustificabile di fronte alla coscienza cristiana ed umana.
Dopo tanti trattati infranti, dopo tante convenzioni lacerate, dopo tante promesse mancate, dopo tanti contraddittori cambiamenti nei sentimenti e nelle opere, la fiducia tra le Nazioni è scemata e caduta così profondamente da togliere animo e ardimento a ogni generosa risoluzione.
Perciò Ci rivolgiamo a tutti quelli, cui spetta promuovere l'incontro e l'accordo per la pace, con la preghiera sgorgante dall'intimo e addolorato Nostro cuore, e diciamo loro:
La vera forza non ha da temere di essere generosa. Essa possiede sempre i mezzi per garantirsi contro ogni falsa interpretazione della sua prontezza e volontà di pacificazione e contro altre possibili ripercussioni.
Non turbate né offuscate la brama dei popoli per la pace con atti, che, invece di incoraggiare la fiducia, riaccendono piuttosto gli odi e rinsaldano il proposito di resistenza.
Date a tutte le Nazioni la fondata speranza di una pace degna, che non offenda né il loro diritto alla vita né il loro sentimento di onore.
Fate apparire in sommo grado la leale concordanza tra i vostri principi e le vostre risoluzioni, tra le affermazioni per una pace giusta e i fatti.
Soltanto così sarà possibile di creare una serena atmosfera, nella quale i popoli meno favoriti, in un dato momento, dalle sorti della guerra possano credere al rinascere e al crescere di un nuovo sentimento di giustizia e di comunanza tra le Nazioni, e da questa fede trarre le naturali conseguenze di maggiore fiducia per l'avvenire, senza dover temere di compromettere la conservazione, l'integrità o l'onore del loro Paese.
Benedetti coloro, che con volontà rettilinea aiutano a preparare il terreno, dove germogli e fiorisca, si rafforzi e si maturi il senso della veracità e della giustizia internazionale.
Benedetti coloro — a qualunque gruppo belligerante appartengano — i quali con non meno retto volere e con lo sguardo alla realtà cooperano a superare il punto morto, in cui si arresta oggi la fatale bilancia tra guerra e pace.
Benedetti coloro che mantengono se stessi e i loro popoli liberi dalla stretta di opinioni preconcette, dall'influsso di indomite passioni, di inordinato egoismo, di illegittima sete di potere.
Benedetti coloro che ascoltano le voci supplichevoli delle madri, le quali ai loro figli hanno dato la vita, perché crescessero nella fede e nelle azioni generose, non per uccidere e farsi uccidere; coloro che porgono orecchio alle implorazioni angosciose delle famiglie ferite a morte dalle forzate separazioni, alle grida sempre più insistenti del popolo, il quale, dopo tante sofferenze, privazioni e lutti, non altro chiede per la sua vita che pace, pane, lavoro.
Benedetti infine quanti comprendono che la grande opera di un nuovo e vero ordinamento delle Nazioni non è possibile senza alzare e tenere fisso lo sguardo a Dio, che, reggitore e ordinatore di tutti gli eventi umani, è fonte suprema, custode e vindice di ogni giustizia e di ogni diritto.
Ma guai a coloro che in questo tremendo momento non assurgono alla piena coscienza della loro responsabilità per la sorte dei popoli, che alimentano odi e conflitti fra le genti, che edificano la loro potenza sulla ingiustizia, che opprimono e straziano gl'inermi e gl'innocenti (cfr. Ier. 22, 13); ecco che l'ira di Dio verrà sopra di loro sino alla fine (cfr. I Thess. 2, 16)!
Piaccia al Redentore divino, sulle cui labbra risonarono le parole « Beati i pacifici », illuminare i potenti e i condottieri dei popoli, dirigere i loro pensieri, i loro sentimenti e le loro deliberazioni, renderli interiormente ed esteriormente vigorosi e saldi contro gli ostacoli, le diffidenze e i pericoli, che intralciano la via alla preparazione e al compimento di una giusta e durevole pace ! La loro saggezza, la loro moderazione, la loro forza di volontà e il vivo sentimento di umanità valgano a far cadere un raggio di conforto sul limitare, bagnato di sangue e di lacrime, del quinto anno di guerra, e dare alle vittime superstiti dell'immane conflitto, curve sotto l'oppressione del dolore, la lieta speranza che l'anno stesso non termini nel segno e nell'oscurità della strage e della distruzione, ma sia principio e aurora di novella vita, di fraterna riconciliazione, di concorde e operosa ricostruzione.
Con tale fiducia impartiamo a tutti i Nostri diletti figli e figlie dell'Orbe cattolico, come a tutti quelli che si sentono a Noi uniti nell'amore e nell'opera per la pace, 
la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

Certo la giustificazione del Castellano sembrò paradossale al generale Smith e forse fu ritenuta dallo stesso generale una mossa scorretta del governo italiano.

Fu lo stesso Smith a preparare il testo (firmato dal Castellano) del telegtamma da inviare a Roma, per chiedere la necessaria autorizzazione necessaria al Castellano.
Si precisò che la mancata firma dell’armistizio avrebbe determinato la definitiva rottura delle trattative.
La risposta del Badoglio non arrivò e il 3 settembre, nella prima mattinata, Castellano inviò un secondo telegramma. Arrivò, finalmente, un radiogramma di Badoglio ma non fu la risposta che ci si attendeva.
Il maresciallo confermava soltanto che il suo telegramma dell’1 settembre
conteneva implicitamente l'accettazione delle condizioni di armistizio.
Nessuna delega a Castellano per la firma.
Gli Alleati erano ormai certi che a Roma si stava escogitando qualcosa, ma per fortuna arrivò un secondo telegramma di Badoglio che autorizzava il generale italiano a firmare l'armistizio e avvertiva che la dichiarazione che lo accreditava per quella firma era stata depositata presso l'ambasciatore Osborne.
Il 3 settembre, alle ore 17,30, venne firmato a Cassibile lo "Short Military Arrnistiee".
Ma le complicazioni non erano terminate.
Appena firmato il documento, il generale Smith presentò le clausole aggiuntive..
Castellano chiese irritato di cosa si trattasse.
Smith gli comunicò che il documento era stato consegnato già da tempo al generale Zanussi. Tuttavia precisò che tali clausole avevano un valore relativo qualora l'Italia avesse collaborato con le Nazioni Unite nella guerra contro i tedeschi.
Restavano da risolvere altre due questioni: dove e quando sarebbe avvenuto lo sbarco principale degli Alleati?
- Dove?
Sia Zanussi che Castellano avevano fatto molte domande in proposito sino a suscitare legittimi sospetti negli Alleati. Ma per quanto riguarda la località dello sbarco, se i nostri generali fossero stati più addentro alle cose militari avrebbero facilmente compreso che tale località era quasi obbligata.
Da una parte essa doveva essere compresa in un raggio di non oltre 300-400 km, tale era il raggio di autonomia della caccia alleata e dall'altra doveva prestarsi alle operazioni con mezzi anfibi.
L'unica località che rispondeva a tali requisiti era il tratto tirrenico fra Salerno ed Eboli.
- Quando sarebbe avvenuto lo sbarco principale?
Il generale Smith, forse per le continue domande rivolte dal Castellano, dichiarò che
esso sarebbe avvenuto entro due settimane..
Castellano si affrettò di comunicare a Roma che
da informazioni confidenziali presumo che lo sbarco potrà avvenire tra il 10 e l’11 settembre,
forse il 12.
Ci fu forse da parte del Castellano una leggerezza nella sua comunicazione perché si doveva limitare a riferire testualmente le parole di Smith senza alcuna interpretazione personale, tuttavia la forma dubitativa della sua comunicazione scomparve nelle disposizioni impartite dal Comando Supremo allo Stato Maggiore.
In tali disposizioni, infatti, si diede per certo che l'annuncio dell’armistizio sarebbe stato dato il 12 settembre.
Ma ci fu di peggio perché anche il generale Roatta gli mise del suo indicando lo sbarco vicino Roma di divisioni americane… che nessuno aveva preannunciato.
Sbarco vicino Roma che era stato richiesto anche da Castellano ma che fu negato dagli Alleati.
Il 4 settembre non era ancora possibile conoscere la data dello sbarco principale ed il 6 settembre si comprendeva che doveva ormai essere questione di qualche giorno.
Quel giorno, infatti, i servizi della ricognizione strategica informarono che ingenti convogli navali alleati si erano radunati a Nord di Palermo. Anche un profano avrebbe capito che non si sarebbe esposto un naviglio cosi numeroso per lungo tempo alle minacce delle incursioni aree.
Il Comando Supremo non arrivò a comprendere una cosa cosi elementare!
La sera del 7 arrivò a Roma il generale Mawell Taylor il quale comunicò che
l’indomani sarebbe stato annunciato l'armistizio ed è giunto per predisporre gli aeroporti che dovranno servire allo sbarco della divisione paracadutisti americani.

Generale Maxwell Davenport Taylor

La notizia creò il panico e si cercò di convincere il generale americano che lo sbarco, cosi come lo intendevano gli Alleati (a scaglioni successivi in tre o quattro notti e in tre aeroporti diversi),
non era più possibile poiché due divisioni tedesche minacciavano la capitale ma soprattutto che era indispensabile rinviare l'annuncio dell'armistizio.
Taylor spedì allora un telegramma ad Eisenhower sia per far sospendere l'operazione della divisione paracadutisti sia per comunicare che Badoglio riteneva necessario ritardare di qualche giorno l'annuncio dell'armistizio.
Al generale americano non rimase che ripartire per il Quartiere generale alleato e Badoglio Io fece accompagnare dal generale Aldo Rossi al quale era affidato il compito di spiegare ad Eisenhower tutto ciò che era stato già detto a Taylor.
A Roma si era sicuri che il telegramma di Taylor e la missione di Rossi avrebbero sistemato tutto per il meglio.
L’8 settembre il Guariglia fu informato da Badoglio della visita del generale Taylor e della partenza del generale Rossi
allo scopo di rappresentare al Quartiere generale alleato la situazione come
la vedevano le nostre autorità militari.
C'era dunque logicamente da supporre che il generale Rossi avrebbe avuto tutto il tempo necessario per prendere nuovi e decisi accordi e, nello stesso tempo, le nostre autorità militari avrebbero avuto anch'esse il tempo di predisporre le corrispondenti misure.
Ma l'illusione fu di breve durata.
Giunse un telegramma di Eisenhower che avvertì perentoriamente Badoglio
darò l'annuncio dell'armistizio all'ora indicata e se il maresciallo non collaborerà, cosi come è stato convenuto, il mondo intero sarebbe stato messo al corrente delle trattative,
Il telegramma era chiaro e non dava adito ad equivoci, tuttavia c'era qualcuno che consigliava il re e Badoglio a non tenerne conto perché Eisenhower non avrebbe annunciato l'armistizio senza il consenso italiano.
Ma anche questa vaga l'illusione durò poco.  La riunione era ancora in corso quando venne annunciato il testo delle dichiarazioni lette da Eisenhower alla radio.
Nel pomeriggio dell’8 settembre, alle ore 17.30 (?), tramite Radio Algeri fu reso pubblico il testo del Generale Dwigth Eisenhower sulla firma dell’armistizio e alle ore 18,00 lo stesso Eisenhower confermò il trattato con poche parole..
The Italian Government has surrendered is Armed Forces unconditionally
Il Governo Italiano ha dato l’ordine alle sue forze armate di arrendersi senza condizione
(una resa senza condizioni .. e non un armistizio….
Consegna delle armi, della marina e l’aviazione nelle mani del vincitore) 
Di Badoglio non mi fidavo più
Così si giustificherà il generale Eisenhower per aver anticipato di due ore alla radio l’annuncio dell’armistizio. Del resto aveva le navi sul Tirreno pronte per lo sbarco su Salerno e non voleva correre rischi d’incontrare sulla spiaggia due nemici: ne bastava uno.
Badoglio lesse il messaggio, in effetti era un disco diffuso alla radio ogni 15 minuti.
Preparò le valigie per intraprendere, poche ore dopo, con tutto il quartier generale e con il Re la fuga.
Ma prima aveva un altro compito da svolgere e cioè comunicare agli italiani la firma dell’armistizio.
Alle 19,30 entrò nell’auditorio O (con un bagaglio in mano?)  della stazione radio dell’EIAR  (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche – Via Bertola?) dove era stato convocato lo speaker Giovan Battista Arista.
L’Arista era nato a Messina il 231 maggio 1913 da Agostino e Giuseppina Arista.
Titta Arista nell'agosto 1970 Vallerano  (Comune in provincia di Viterbo)

Furono messe in onda marce militari e canzonette mentre avveniva la registrazione. Con voce neutra Arista presentò il maresciallo che, con voce abbastanza ferma, lesse finalmente il testo concordato:

“Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Quando qualche ora pii tardi il generale Rossi arrivò ad Algeri per convincere Eisenhower di rinviare l'annuncio dell'armistizio, questo era già conosciuto in tutto il mondo.
 (Alessandro  D’Alessandro)
Il discorso di Badoglio agli italiani fu quasi un atto forzato perché il generale Eisenhower aveva già da giorni dichiarato l’armistizio con l’Italia anche dai microfoni di Radio Londra.
Poi Badoglio raggiunse il Re che aveva appena ricevuto l’ambasciatore tedesco a cui aveva giurato l’eterna amicizia dell’Italia alla Germania e il 9 settembre partirono verso le 5,10 da Roma per raggiungere  Ortona per imbarcarsi alla volta di Brindisi, lasciando il Paese e i soldati senza direttive in preda alla ferocia della vendetta nazista.
Secondo un relatore che visse di persona quegli avvenimenti, i fuggiaschi sarebbero stato a casa sua a Chieti e non a Pescara come più volte dichiararono gli storici. Erano ospiti a palazzo Mazzanotte, dalle nove del mattino fino alle ore 24, quando fuggirono in borghese
Lasciandoci una montagna di divise, con tanti gradi, stellette e…
…. mille patacche appiccicate….

Chieti – Palazzo Mezzanotte


L’Armistizio di Cassibile aveva una sua base anche sociale, cioè l’esigenza di porre fine alla guerra.
Era un’esigenza molto più importante e pressante sia per l’Italia che per le Nazioni Unite.
Infatti il premier inglese Churchill credette bene di evitare qualsiasi concessione, affidando ai bombardamenti aerei il compito di ricordare agli italiani l’urgenza della fine della guerra, facendo in modo che i tentativi diplomatici dell’Ambasciatore Guariglia cadessero nel vuoto e che la risposta ai Generali Castellano e Zanussi fosse la resa incondizionata.
Questa condotta di Churchill mirata alla conservazione dello Stato italiano, al fine di controllarne meglio il territorio risparmiando risorse preziose ed utilizzandolo in qualche modo nella guerra contro la Germania, lo condusse invece a sfasciarlo quasi completamente.
E solo dopo aver appreso finalmente della sigla dell’accordo, Eisenhower annullò la partenza di ben 500 aerei in procinto di decollare, destinati a bombardare Roma, soprattutto per convincere Badoglio. Un Badoglio che temporeggiava pretestuosamente e che non voleva intestarsi la paternità dell’accordo.
La firma dell’accordo, noto come “accordo breve”, squisitamente militare, sottintendeva però il recepimento anche di un “accordo lungo” che stabiliva di fatto potenziali condizioni assai umilianti per l’Italia. Condizioni da attuarsi in relazione all’effettiva collaborazione che l’Italia avrebbe offerto nella guerra contro i Tedeschi.
Mentre a Cassibile Castellano firmava l’accordo, Badoglio informava i suoi ministri della Guerra e della Marina, nonché il Generale Ambrosio e il Ministro della Real Casa Acquarone che vi erano semplicemente trattative in corso…………
Il giorno 8 gli Alleati diedero avvio alle azioni militari.
Lo sbarco a Salerno e l’avvio dell’Operazione “Avalanche” (Valanga) con l’obiettivo di creare una
importante testa di ponte nel territorio dell’Italia continentale. Una testa di ponte che avrebbe permesso alle truppe della 5ª Armata statunitense del generale Mark Clark di ricongiungersi con l’8ª Armata del generale Bernard Montgomery proveniente da sud, per poi avanzare verso Napoli e il suo fondamentale porto, attaccando infine le postazioni difensive tedesche lungo la linea del Volturno.

TESTO DELL'ARMISTIZIO STIPULATO NEL SETTEMBRE 1943
TRA L'ITALIA E GLI ALLEATI
ARMISTIZIO CORTO
Ore 17: a Cassibile, nella grande tenda della mensa dello Stato Maggiore, il Gen. Giuseppe Castellano, con la presenza del gen. D. Eisenhawer,
 firma le tre copie dell'armistizio corto (basato su 12 punti),
per delega del maresciallo Badoglio, che sancisce la resa incondizionata dell'Italia agli Alleati.
Per gli Alleati firma il gen. americano Bedell Smith.
L'armistizio diverrà effettivo l'8 settembre: FIRMA Lì 3 settembre 1943 Le seguenti condizioni di armistizio sono presentate dal generale Dwight D. Eisenhower, Generale Comandante delle Forze armate alleate, autorizzato dai Governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, e nell'interesse delle Nazioni Unite, e sono accettate dal Maresciallo Badoglio, Capo del Governo italiano.
1) Immediata cessazione di ogni attività ostile da parte delle Forze Armate Italiane.
2) L'Italia farà ogni sforzo per sottrarre ai tedeschi tutti i mezzi che potrebbero essere adoperati contro le Nazioni Unite.
3) Tutti i prigionieri e gli internati delle Nazioni Unite saranno rilasciati immediatamente nelle mani del Comandante in Capo alleato e nessuno di essi dovrà essere trasferito in territorio tedesco. 4) Trasferimento immediato in quelle località che saranno designate dal Comandante in Capo alleato, della Flotta e dell'Aviazione italiane con i dettagli del disarmo che saranno fissati da lui.
5) Il Comandante in Capo alleato potrà requisire la marina mercantile italiana e usarla per le necessità del suo programma militare navale.
6) Resa immediata agli Alleati della Corsica e di tutto il territorio italiano sia delle isole che del Continente per quell'uso come basi di operazioni e per altri scopi che gli Alleati riterranno necessari.
7) Immediata garanzia del libero uso di tutti i campi di aviazione e dei porti navali in territorio italiano senza tener conto del progresso dell'evacuazione delle forze tedesche dal territorio italiano. Questi porti navali e campi di aviazione dovranno essere protetti dalle forze armate italiane finché questa funzione non sarà assunta dagli Alleati.
8) Tutte le forze armate italiane saranno richiamate e ritirate su territorio italiano da ogni partecipazione alla guerra da qualsiasi zona in cui siano attualmente impegnate.
9) Garanzia da parte del Governo italiano che, se necessario, impiegherà le sue forze armate per assicurare con celerità e precisione l'adempimento di tutte le condizioni di questo armistizio.
10) Il Comandante in Capo delle forze alleate si riserva il diritto di prendere qualsiasi provvedimento che egli riterrà necessario per proteggere gli interessi delle forze alleate per il proseguimento della guerra; e il Governo italiano s'impegna a prendere quelle misure amministrative e di altro carattere che il Comandante in Capo richiederà, e in particolare il Comandante in Capo stabilirà un Governo militare alleato su quelle parti del territorio italiano che egli giudicherà necessario nell'interesse delle Nazioni alleate.
11) Il Comandante in Capo delle forze armate alleate avrà il pieno diritto d'imporre misure di disarmo, smobilitazione e demilitarizzazione.
12) Altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario a cui l'Italia dovrà conformarsi saranno trasmesse più tardi. Le condizioni di questo armistizio non saranno rese pubbliche senza l’approvazione del Comandante in Capo alleato. Il testo inglese sarà considerato il testo ufficiale.

Cassibile, 3 settembre 1943


Durante la firma dell’Armistizio furono trattati molti argomenti.
La tesi portata avanti dagli Alleati fu quella che se
 le forze italiane avessero offerto assistenza le condizioni di resa sarebbero stati favorevoli e inseriti nel cosiddetto armistizio lungo che sarebbe stato firmato a Malta a fine settembre.
Ma cosa chiedevano gli inglesi e gli americani per avere delle condizioni di resa più favorevoli?
gli italiani avrebbero dovuto fornire assistenza diretta o indiretta con azioni di sabotaggio contro i tedeschi, interruzione delle linee di comunicazione, distruzione dei depositi di carburante.
In particolare venne chiesta
l’occupazione di Roma, il tentativo di impadronirsi dei porti chiave di Taranto, Brindisi, Bari, Napoli, di tagliare la ritirata dei tedeschi bloccando le strade…
e inoltre di
creare un cordone a nord di Roma per impedire ai tedeschi di inviare rifornimenti al Sud.
Per gli Alleati era importante, fondamentale il
il blocco delle ferrovie.
Il generale Castellano rispose che
per ragioni di segretezza non potevano impartire ordini prima dell’annuncio dell’armistizio.
Gli angloamericani risposero che
venissero date indicazioni ai sindacati degli operai perché
si preparassero alle azioni di sabotaggio.
Il generale Castellano si dimostrò subito scettico su queste richiese e disse che
sicuramente subito dopo l’annuncio dell’armistizio i tedeschi avrebbero reagito,
ma che gli italiani si impegnavano a difendersi dai tedeschi.
Gli Alleati chiesero che
La flotta navale italiana avrebbe dovuto partire da La Spezia e Taranto, dove era dislocata, e fare rotta verso Malta per consegnarsi agli Alleati. Lo stesso avrebbero dovuto fare le navi che erano in navigazione. La flotta aerea invece doveva rimanere a terra.
Il generale Alexander affermò come
l’Italia potrebbe assiste le forze alleate contro il comune nemico tedesco per ottenere
 termini finali più favorevoli.
 e spiegò come il ruolo di assistenza potrebbe essere classificato in:
1.     Indiretto;
2.     Diretto (compiti specifici),
Riguardo al metodo indiretto:
1a. l’assistenza positiva al nemico deve essere immediatamente troncata;
1b. si desidera che s’intraprenda azione di sabotaggio sulle seguenti linee:
-        Attacchi alle sedi di comando;
-        Interruzione delle comunicazioni;
-        Distruzione di motori;
-        Distruzione di depositi di petrolio.
Riguardo ai compiti specifici:
2a. L’occupazione di Roma con l’oggetto di salvaguardare la capitale del paese,
la vita di sua maestà, il governo del maresciallo Badoglio e l’arresto del movimento tedesco in Italia;
2b. impadronirsi dei porti-chiave: Taranto, Brindisi, Bari, Napoli, Foggia;
2c. tagliare la ritirata dei tedeschi bloccando le strade;
2d. creare un cordone attraverso l’Italia in qualche parte a Nord di Roma per impedire ai tedeschi di mandare rinforzi al Sud;
2e. la cattura di un aeroporto importante come quello di Foggia.
La questione stava in quale ampiezza queste azioni si potevano realizzare.
Si pose la questione se l’armistizio poteva essere garantito.
Il generale Castellano disse che
Nel momento in cui l’armistizio verrà annunziato, gli italiani saranno
attaccati dai tedeschi ed il loro compito deve essere quello di difendersi.
Chiese quindi al generale Smith se
Si poteva offrire una difesa coordinata
La risposta del generale Smith..
Gli italiani debbono attaccare i tedeschi ovunque possono trovarsi.
Il generale Castellano in merito all’armistizio affermò che
Non c’è dubbio sulla nuova volontà del popolo italiano di eseguirlo.
Il generale Alexander precisò che
La cosa più importante era quella di paralizzare le ferrovie. 
Il generale Castellano replicò che
Non si potevano promulgare ordini per ragioni si segretezza sino alla proclamazione
quando il maresciallo Badoglio avrebbe pure proclamato che l’Italia non doveva
dare assistenza ai tedeschi. Essi non potevano passare immediatamente
allo stato di guerra.
Il generale Alexander suggerì che
Si potevano dare gli ordini attraverso i sindacati operai
perché si preparassero alle azioni di sabotaggio.
Il generale Castellano concordò e disse che
Essendo il ministro dei Trasporti un generale si potevano dargli istruzioni di
preparare gli ordini in anticipo.
Azioni di sabotaggio ma con quale ampiezza si dovevano praticare?
Il generale Castellano affermò come
Il popolo italiano odia i tedeschi ma non potrebbe passare in un momento a
Uno stato di ostilità attiva. Questo atteggiamento di dovrebbe sviluppare.
Si mise in risalto l’atteggiamento dell’Esercito Italiano. Con quale ampiezza le formazioni combattenti avrebbero agito contro i tedeschi?
Il generale Castellano disse che
Si difenderebbero ovunque si trovassero dislocate. Ovunque si trovino i tedeschi,
gli italiani agirebbero contro di loro.
Il generale Alexander portò degli esempi indicando varie località importanti dal punto di vista militare…
Impadronirsi di Taranto e bloccare la penisola calabrese.
Il Castellano replicò che
Aveva una divisione a Taranto che avrebbe occupato e tenuto il porto.
Non aveva, invece, delle divisioni a Napoli.
A Napoli le divisioni tedesche, tornate dalla Sicilia liberata, furono riequipaggiate in modo efficiente.
Il generale Alexander riferì che
Le divisioni erano state battute due volte, in Tunisia e in Sicilia.
Le divisioni a nord di Napoli potevano essere bloccate.
Il generale Castellano….
La pianura di Napoli era troppo vasta per contenere un’intera sezione.
Sarebbe necessario coordinare piani integrati con gli Alleati.
Il generale Alexander..
Quando gli italiani e gli Alleati si fossero conosciuti meglio rispettivamente si sarebbe
potuto conseguire l’integrazione e ciò per il meglio.
Nel frattempo gli italiani dovevano combattere per il loro paese.
I contadini armati combatterebbero bravamente con la guerriglia organizzata.
L’Alexander fece delle domande  sulla situazione militare a Roma….
Potevano le quattro divisioni difenderla?
Si userebbero mine e blocchi stradali?
Si chiamerebbero fuori i giovani leaders più arditi e si metterebbero a capo di
queste operazioni?
Il Castellano chiese se
Ufficiali prigionieri sarebbero resi disponibili (la risposta fu “no”).
Ma concordo che l’azione suggerita potrebbe essere intrapresa.
Fu trattato anche il problema navale con delle precise richieste da parte degli angloamericani.
L’ammiraglio Royer Mylius Dick della Royal Navy (britannica) era capo di stato maggiore dell’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante della “Mediterranean Fleet” britannica e delle forze navale Alleate del Mediterraneo.

Royer Mylius Dick
L’ammiraglio Dick presentò un documento, denominato “Promemoria Dick”, nel quale venivano precisate le condizioni alle quali le navi militari e mercantili italiane dovevano attenersi per consegnarsi in porti Alleati (porti del Sud Italia).

SEGRETISSIMO
ISTRUZIONI PER IL TRASFERIMENTO DELLE NAVI DA GUERRA E MERCANTILI ITALIANE
[PROMEMORIA DICK]
Essendo stato concordato che tutte le navi da guerra e mercantili italiane lasceranno le acque dell'Italia il più rapidamente possibile alla proclamazione dell'armistizio da parte delle Nazioni Unite, sono state preparate le istruzioni generali che seguono per facilitare e favorire i necessari trasferimenti.
 
NAVI DA GUERRA
2. Porti di riunione
I porti nei quali le navi da guerra potranno recarsi sono i seguenti: Gibilterra, Palermo, Malta, Augusta, Tripoli, Haifa e Alessandria.
 
3. Rotte [per le navi trovantisi sulla costa occidentale dell'Italia]
a) Tutte le navi da guerra trovantisi nelle coste occidentali dell'Italia a nord del 42º parallelo dovranno portarsi a nord della Corsica e far rotta quindi verso sud passando a ponente della Corsica e della Sardegna in modo da arrivare durante le ore diurne al largo del porto di Bona. Quivi avranno un incontro [con navi alleate] e riceveranno istruzioni per l'ulteriore rotta. Le navi – salvo disposizione contraria – non dovranno avvicinarsi al porto di Bona più di 5 miglia.
b) Le navi da guerra trovantisi nei porti occidentali dell'Italia a sud del 42º parallelo dovranno dirigere verso nord lungo la costa sino a raggiungere il suddetto parallelo; dovranno far rotta quindi verso ovest sino alla costa orientale della Corsica, dirigere successivamente verso sud costeggiando la Corsica e la Sardegna e proseguire infine per Bona dove riceveranno istruzioni, come indicato nella lettera a).
c) Le piccole unità trovantisi a nord del 42º parallelo dovranno far rotta per La Maddalena seguendo la costa orientale della Corsica e dirigendo quindi, appena possibile, per Bona. Le piccole unità trovantisi a sud del 42º parallelo dovranno rimanere in porto, salvo che vi sia immediato pericolo di cattura da parte dei Tedeschi. In questo caso le unità trovantisi a Napoli o a nord di Napoli dovranno far rotta per Augusta seguendo la costa e attraverso lo stretto di Messina.
 
4. Rotte per le navi trovantisi nella costa orientare [dell'Italia e dell'Egeo]
a) Tutte le navi da guerra trovantisi a Taranto, in Adriatico o nei porti orientali dell'Italia dovranno dirigere per Malta arrivandovi direttamente, provenendo da est, durante le ore diurne.
b) Le unità minori e le piccole unità potranno far rotta direttamente per Augusta.
c) Tutte le navi da guerra trovantisi in Egeo dovranno recarsi ad Haifa.
 
5. Istruzioni per il trasferimento e l'arrivo
a) Le navi dovranno salpare appena possibile, dopo il tramonto, il giorno della proclamazione [dell'armistizio] e navigare alla più alta velocità sino al sorgere del giorno.
b) La velocità dovrà essere regolata in modo che l'arrivo entro la portata dei cannoni dei porti o delle difese costiere degli Alleati non avvenga prima che sia giorno fatto. c) L'avvicinamento alla costa dovrà essere effettuato a bassa velocità (non più di 12 nodi).
d) È importante che le navi da guerra arrivino a gruppi. L'arrivo isolato non è conveniente e dovrà essere evitato per quanto possibile.
 
6. [Istruzioni circa le armi]
Tutti i cannoni dell'armamento principale ed i lanciasiluri dovranno essere brandeggiati per chiglia. È concessa invece libertà d'azione per le armi contraeree, ma il fuoco dovrà essere aperto soltanto in caso di chiara azione ostile da parte di un aereo.
 
7. Riconoscimento
Tutte le navi da guerra durante il giorno dovranno alzare all'albero di maestra (o albero che hanno, per quelle che ne posseggono uno solo) un pennello nero o blu scuro, il più grande possibile. Grandi dischi neri potranno essere posti in coperta come segnale di riconoscimento per gli aerei. Qualora durante la notte fossero incontrate altre navi, per farsi riconoscere saranno accesi i fanali di via con luce attenuata e sarà trasmesso con lampeggiatore il segnale “G A”.
 
8. Sommergibili
a) I sommergibili dovranno navigare in superficie sia di giorno che di notte.
b) Quelle provenienti dai porti dell'Italia continentale o della Sardegna dovranno seguire le stesse rotte prescritte per le altre navi da guerra e dovranno essere scortate, se possibile, da unità di superficie.
c) I sommergibili in mare dovranno far rotta, in superficie, per il più vicino dei porti indicati nel precedente paragrafo 2.
 
9. Condizioni generali
Sia chiaro che le navi dovranno essere pronte, dopo che avranno preso contatto con le autorità alleate, a ricevere a bordo quel personale navale alleato che le autorità suddette potranno ritenere conveniente e che saranno attuate per il momento quelle misure di disarmo che le autorità stesse potranno stabilire. Queste misure di disarmo mirano a garantire la necessaria sicurezza dei porti alleati nei quali le navi da guerra italiane potranno trovarsi all'ancora.
 
10. Comunicazioni
Dovrà essere osservato nella maggior misura possibile il silenzio radio, ma se navi da guerra italiane o alleate desiderassero comunicare tra loro ciò dovrà avvenire inizialmente su 500 kilocicli. È prevedibile che saranno date successivamente disposizioni per passare ad una frequenza più adatta, qualora si dovesse effettuare lunghe comunicazioni.
 
MARINA MERCANTILE
11. Porti di riunione
Le navi mercantili trovantisi ad ovest del 17º meridiano dovranno far rotta per Gibilterra; le navi trovantisi nelle coste occidentali dell'Italia a nord del 42º parallelo dovranno passare a nord della Corsica o a nord della Sardegna e far quindi rotta diretta per Gibilterra, combustibile permettendolo. Se il combustibile non lo consentisse, esse dovranno dirigere per i porti di Bona o di Algeri arrivandovi in ore diurne. Dovranno chiedere istruzioni prima di entrarvi non essendo consentito far ciò senza esserne stati autorizzati. Le navi trovantisi a sud del 42º parallelo dovranno seguire la rotta indicata nella lettera b) del paragrafo 3 sino a quando avranno superato verso sud la Sardegna.
 
12. Riconoscimento
Le navi mercantili dovranno alzare all'albero di maestra un pennello nero o blu scuro.
13. Norme per il trasferimento e l'arrivo
L'arrivo nei porti alleati dovrà avvenire sempre in ore diurne, l'avvicinamento dovrà essere effettuato a bassa velocità (non più di 12 nodi).
14. Comunicazioni
Su 500 kilocicli.
4 settembre 1943.
Per il Comandante in Capo del Mediterraneo, amm. Cunningham:
Commodoro Royer Dick
Il generale Castellano chiese
se una parte della flotta poteva rimanere nei porti settentrionali come Cagliari.
(All’8 settembre in Sardegna si trovano:
1.     Alla base della Maddalena:
a.      2a squadra Corvette (Minerva, Danaide);
b.     Il sommergibile “Filippo Corridoni”, in forza al IV gruppo sommergibili;
c.      La nave appoggio “Antonio Pacinotti”;
2.     Nella base di Porto Corvo:
a.      La corvetto “Ibis”, in forza alla I Squadriglia Corvette.)
La risposta dell’ammiraglio Dick fu negativa e aggiunse come la flotta presente nel porto di La Spezia si recasse nell’area di Bona (Appona, città costiera nel Nord-st dell’Algeria non distante dal confine con la Tunisia) e la flotta di Taranto nel porto di Tripoli. Erano queste le direttive dell’ammiraglio Cunningham.
Il generale Smith precisò che
nel momento in cui le flotte si sarebbero mosse, le nostre flotte sarebbero state in mare.
Il piano dell’ammiraglio Cunningham aveva lo scopo di evitare che essi si
incontrassero e combattessero al buio.
Noi sappiamo dai prigionieri tedeschi che i tedeschi intendono affondare con bombe e
torpedini le navi italiane piuttosto di lasciare che cadano nelle mani degli Alleati.
L’ammiraglio Dick precisò che
All’inizio si dovevano prendere precauzioni per assumere il controllo di
queste potenti unità.
Il generale Castellano…
Si sarebbe eseguita tale azione. Spero che la forma sarebbe stata
quanto possibile inoffensiva.
Il generale Smith..
C’è  così poco tempo che gli Alleati sono obbligati a seguire la procedura precisata.
Vi sarebbe stato un processo di assestamento fino a che si potesse definire un’azione
coordinata.  Gli ufficiali ed i marinai italiani non sarebbero stati assoggettati ad
alcuni indegnità.
L’ammiraglio Dick..
C’erano alcuni punti che potevano soltanto essere trattati genericamente a questo stadio.
Domandò se si poteva rendere qui disponibile un ufficiale di marina italiano.
Il castello era d’accordo ma desidera evitare un trasferimento aereo. Pensava come il trasferimento si sarebbe dovuto effettuare con un trasferimento via mare.
I generali Alexander e Smith precisarono che
Un piccolo gruppo di strateghi italiani si stabilirebbero immediatamente presso i comandi alleati.
Vi sono molti punti da portare avanti.
L’ufficiale di marina italiano deve venire all’Alto Comando Alleato.
Il Castellano rispose che
Sei – otto ufficiali di Sato Maggiore sarebbero impiegati con le forze d’assalto.
C’erano soldati americani che parlavano italiano che potrebbero fare da interpreti.
L’ammiraglio Dich suggerì che
I grandi transatlantici prenderebbero la rotta dai porti occidentali verso
Gibilterra, di lì verso l’America. Quelli dai porti orientali farebbero rifornimento a
Malta e poi proseguirebbero. In linea di principio quanti più possibile di
questi preziosi vascelli si devono muovere in direzione Sud, dato che i tedeschi
farebbero ogni sforzo per impadronirsene.
Una flotta di transatlantici molto importanti…








Il Castellano rispose che
Certe navi (transatlantici) erano già impiegate dai tedeschi.
Il generale Smith….
Gli agenti delle linee transoceaniche di Lisbona sono già in comunicazione al riguardo.
Il Castellano…
Certe navi potevano non avere abbastanza carburante per muoversi al Sud.
L’ammiraglio Smith….
Sarebbe pericoloso mandare delle petroliere.
 
Dibattito sulla flotta aerea.
Il generale Smith..
A noi non abbisognava che le forze aere prendessero il volo.
Esse sarebbero impiegate in Italia.
Il  Castellano..
La benzina era scarsa.
In agosto i tedeschi avevano fornito soltanto un quinto del quantitativo preventivato.
Ai bombardieri di poteva dare abbastanza carburante per raggiungere la Sicilia.
I combattenti italiani usavano benzina tedesca ma i bombardieri no.
Tutta la benzina disponibile si poteva concentrare nell’area di Roma?
Il generale Timberlake..
Erano importanti gli aerei di Foggia come obiettivi militari.
Il generale Castellano…
Non c’erano apprezzabili forze italiane.
 
Formazioni Italiane nei Balcani e nell’Egeo
Il generale Castellano…
Ho già discusso questo problema con il generale Smith.
Secondo l’armistizio le truppe italiane devono arrendersi ma le formazioni dell’interno
 dovevano combattere contro i tedeschi mentre si muovevano verso la costa.
Le truppe del Dodecaneso si arrenderebbero.
La divisione di Creta potrebbe dover restare.
La proclamazione
Il generale Alexander..
Si richiedono definizioni dettagliate.
Si farebbero ora le registrazioni (dei proclami) di sua maestà il re e del
maresciallo Badoglio e si sarebbero copie agli Alleati sicché  in caso di
emergenza si potrebbe fare l’annunzio.
Il generale Castellano..
Se il pubblico venisse a conoscenza dei possibili arresti,  le trasmissioni delle
registrazioni provocherebbero perplessità.
Era per questa emergenza che il generale Ambrosio progettava di lasciare Roma.
Generale Smith…
La cosa più desiderabile era che il primo annunzio venisse da una stazione italiana.
Se il re e il maresciallo Badoglio erano prigionieri, il piano migliore
era che il generale Ambrosio parlasse da una stazione italiana e annunziasse che
parlava con la loro autorità.
Generale Alexander..
Sono ancora in favore che si mandassero le registrazioni e che si fornissero
le copie ai comandi alleati.
Il generale Castellano…
Il re non trasmette bene e il maresciallo Badoglio annunzierebbe la proclamazione.
Su quali linee direttive questa si potrebbe fare?
Il generale Smith
Questo poteva verificarsi per un annunzio ulteriore.
Il generale Eisenhower avrebbe fatto sua la proclamazione.
Il Castellano..
La sequenza sarebbe:
1.     Proclamazione di cessazione delle ostilità;
2.     Una visita del ministro degli Esteri italiano alle autorità tedesche per notificarle.
Se i tedeschi offrivano di arrendersi, gli italiani cercherebbero un processo per attaccarli.
Se, come probabile, essi rimanevano, gli italiani li avrebbero allora
attaccati per quel motivo.
Il generale Smith chiese
Se nel primo caso non si permetterebbe ai tedeschi di arrendersi.
Il generale Alexander…
No… non si doveva rimandare nessuna opportunità di uccidere i tedeschi.
L’ammiraglio Dick…
La data era importante. A meno che non fossero diramati i primi ordini di allarme,
le navi dovevano essere in grado di prendere la rotta la notte della
proclamazione.  I dettagli dell’annunzio di Eisenhower e della proclamazione
devono essere coordinati in anticipo.
Il generale Rooks propose
Per la data alle 18,30 ora di Roma in un giorno D specificato, immediatamente
seguente all’annunzio del generale Eisenhower alle 18,15.
La proclamazione sarebbe letta con ogni mezzo possibile.
Il Castellano….
Un preavviso di poche ore del giorno D era insufficiente. Gli occorreva un preavviso
di parecchi giorni (un discorso che aveva già esposto a Lisbona).
Il generale Alexander…
Non si può rischiare perdite di sicurezza.
Era il minore di due mali che alcuni dettagli della proclamazione fossero
incompleti. Egli poteva soltanto dire che gli Alleati avevano iniziato il
loro armistizio oggi. C’era solo una questione di ore prima che seguisse lo
sbarco principale.
Il generale Castellano
Rimaneva il piano che un solo sbarco principale seguisse l’assalto di oggi?
Il generale Alexander
Non posso saperlo.
C’erano alcune mosse che potevano venire.
Era stata fatta soltanto la prima mossa.
Non c’era tempo da perdere.
Lascerò dettagliata informazione dello staff.
Si concordò come
il generale Castellano sarebbe rimasto a “Fairfield” a Cassibile e che gli sarebbe data
una sede per lui e si farebbe ogni cosa per renderla confortevole.
L’annuncio dell’armistizio venne dato l’8 settembre 1943 eppure il quello stesso giorno il re Vittorio Emanuele III, dopo aver ricevuto a Villa Savoia l’ambasciatore Rahn, inviò un messaggio ad Hitler nel quale confermava che l’Italia sarebbe stata
“legata alla Germania per la vita e per la morte”.
Quell’8 settembre, che nella letteratura italiana e nel pensiero degli italiani doveva decretare la fine della guerra, diventò invece il giorno della grande illusione collettiva perché sarebbe diventato un forte nemico da cui difendersi.
L’armistizio rilevò subito degli aspetti inquietanti.
C’erano più di due milioni di italiani sparsi nei fronti di guerra (la fine tragica della divisione Acqui a Cefalonia ne fu una testimonianza) e riconoscere chi era il vero nemico non fu facile.
Sarà una grande tragedia a causa del ritardo con cui i comandi periferici furono informati della firma dell’armistizio.
Come già accennato, la famiglia reale, i generaloni, i pluripotenziari era già pronti per la fuga verso Brindisi. Una fuga che renderà ancora più triste e squallido il periodo nero della storia d’Italia.
Erano tre i punti da risolvere per il governo italiano:
- La tutela delle forze armate sparse per tutta Europa e inchiodate anche per la mancanza cronica dei mezzi di trasporto;
- La difesa di Roma;
- La salvaguardia della famiglia reale e delle maggiori personalità.
Alla fine si pensò di risolvere solo l’ultimo punto.

La gente quella sera, ascoltando il messaggio di Badoglio sulla firma dell’armistizio, si illuse che la guerra fosse davvero finita… La resistenza non era ancora cominciata ancora o forse sì, in qualche parte d’Italia, ma la gente ancora non lo sapeva…..
C’è da dire che i tedeschi, prevedendo il comportamento politico dell’Italia, avevano predisposto il 25 luglio un piano militare.
Circa trenta minuti dopo l’annuncio della firma dell’Armistizio, i comandi militari  tedeschi diedero avvio alle azioni militari con la parola d’ordine
Achse (Asse)
Tutti i centri nevralgici del territorio italiano dovevano essere occupati.
I tedeschi erano quindi pronti all’azione militare mentre gli italiani, malgrado avessero avuto alcuni giorni a disposizione dalla firma effettiva dell’armistizio, non erano consapevoli di cosa fare.
Gli ordini furono confusi, spesso contradittori e, in questa confusione, l’esercito si dissolse.
Molti soldati ed ufficiali si tolsero la divisa e tentarono di raggiungere le proprie case, una parte dei militari si rifugiò nelle montagne per formare con alcuni civili le prime cellule partigiane.
 
Un fil del 1960, dal titolo “Tutti a Casa” raccontò quei momenti..
Un film del regista Luigi Comencini e interpretato magistralmente da Alberto Sordi
e altri interpreti tra cui Carla Gravina…

Signor Colonnello…. È successo una cosa incredibile..
I tedeschi si sono alleati con gli americani…. Ci sparano….



I tedeschi catturarono 22.000 ufficiali e più di 650.000 soldati. Furono rinchiusi in carri bestiame piombati e avviati nei campi di internamento in Germania. Inoltre s’impadronirono di una gran quantità di materiale bellico: 1.265.660 fucili; 38.383 mitragliatrici; 9.988 pezzi d’artiglieria di vario calibro; 970 carri armati; 4.553 aerei; 10 torpediniere e cacciatorpediniere. Vennero poi sequestrati 1.173 cannoni controcarro, 1.581 pezzi contraerei, 8.736 mortai, 333.069.000 sigari e sigarette, 672.000 giacche a vento, 783.000 maglie, 592.100 paia di pantaloni, 2.064.100 camicie, 3.388.200 paia di scarpe, 5.251.500 paia di calze. E, ancora, 56.000 pneumatici, 140.000 rotoli di filo spinato.
Per mandare al Nord i materiali sequestrati i tedeschi impiegarono 2.034 carri ferroviari solamente nel settembre del 1943. Altri trasporti vennero avviati su strada. Tra ottobre e novembre il numero delle spedizioni venne triplicato.
Le situazioni più disperate le affrontarono i reparti italiani dislocati in Grecia, Albania, nei Balcani, soprattutto nelle isole dove era impossibile nascondersi ai tedeschi. A Cefalonia e Corfù la divisione Acqui resistette ai tedeschi fino al 25 settembre e alla fine furono uccisi 5mila soldati italiani, molti assassinati dopo la cattura per rappresaglia. A Creta e Rodi i militari italiani vennero inquadrati nei reparti tedeschi. In particolare a Rodi vennero costituiti volontari che passarono direttamente sotto il controllo tedesco. Altri giurarono fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana, costituita dai fascisti a Salò, e rimasero almeno formalmente sotto il controllo di ufficiali italiani. Nel Peloponneso invece i reparti italiani si unirono agli Alleati e fecero un patto con le forze di resistenza greca.

I corpi di civili italiani, uccisi dai tedeschi nel MASSACRO DI BARLETTA immediatamente dopo l'Armistizio dell'Otto Settembre 1943. Foto di propaganda di guerra nazista proveniente dal "Deutsches Bundesarchiv", firmata "Benschel".

Ufficiali italiani della Divisione Sassari, scortati da paracadutisti tedeschi nei giorni immediatamente seguenti l'Armistizio dell'Otto Settembre 1943, presumibilmente a Roma (sullo sfondo si notano strutture che possono essere le installazioni industriali del Gazometro di Via Ostiense), condotti a parlamentare con ufficiali tedeschi. Foto proveniente dal "Deutsches Bundesarchiv", firmata "Otto".

Ufficiali italiani, catturati da paracadutisti tedeschi immediatamente dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943, in una città non specificata (sullo sfondo si nota una fabbrica),
 a colloquio con gli ufficiali tedeschi.
Foto di propaganda di guerra nazista proveniente dal "Deutsches Bundesarchiv",
firmata "Otto".

Villa San Giovanni
Un soldato Italiano, rimasto solo tra le macerie, si arrende agli alleati,
l’immagine emblematica dell’esercito allo sbando.
A Roma militari e civili resistettero quanto possibile, ma il 10 settembre i tedeschi occuparono tutta la città. Roma venne dichiarata “città aperta”, cioè un luogo dove non ci dovevano essere combattimenti per preservare il patrimonio artistico e storico. La dichiarazione fu però unilaterale, firmata solo dalle autorità italiane, mentre i tedeschi non la ratificarono mai. L’occupazione durò nove mesi fino all’ingresso in città delle forze Alleate, nel giugno 1944.
Anche Firenze venne proclamata città aperta. In altre città reparti militari e civili tentarono di opporsi all’occupazione tedesca combattendo. A Napoli civili e militari riuscirono a respingere i tedeschi che lasciarono la città. Il 1° ottobre del 1943 arrivarono le forze Alleate.
Il 10 settembre alle ore 16,00 Roma si arrese alle truppe tedesche che nominarono dei commissari come tecnici dei ministeri. La sede del governo italiano venne trasferita a Brindisi.
Una nuova guerra era appena iniziata…

Documento inviato da Vittorio Emanuele III ai marinai italiani dopo l'armistizio del 1943.

Nella Regia Marina Militare non tutti gli ufficiali accettarono di obbedire all’armistizio. Alcune navi furono fatte affondare affinché non venissero consegnate agli Alleati e altre sabotate.
Molte navi si trovavano nei porti perché in riparazione o impossibilitate a muoversi (anche per mancanza di carburante) e altre  furono invece affondate in scontri a seguito dell’armistizio.
Un lungo elenco testimone di quello che un tempo era la gloriosa Marina Militare Italiana…












Andarono perduti anche numerosi navigli minori tra cui la vedetta antisommergibile “VAS234”.
Fu affondata in un combattimento con alcune motosiluranti tedesche il 9 settembre 1943.

VAS 208
Con la firma dell’armistizio l’ammiraglio Federico Carlo Martinengo fu incaricato di trasferire le unità antisommergibili al suo comando nell'Alto Tirreno.
Federico Carlo Martinengo 

 Verso metà mattinata del 9 settembre la crescente presenza di truppe tedesche a La Spezia spinse l’ammiraglio a lasciare il porto al comando di due vedette antisommergibili, le VAS 234, sua nave di bandiera, e VAS 235 (c.c. Eugenio Henke). Quando le due unità italiane giunsero all'altezza dell'isola di Gorgona (di fronte a Livorno) furono intercettate da due dragamine tedeschi, le unità R212 e R215, salpate da Livorno per intercettare le unità italiane. 
Isola di Gorgona


Le unità tedesche intimarono alle due unità italiane di fermarsi ma, dopo il loro rifiuto, aprirono il fuoco.
Il timoniere della VAS234 fu ucciso e l’ammiraglio Martinengo prese il suo posto rimanendo, a sua volta, ucciso da un colpo alla testa.
Le due unità italiane si mossero verso Cala Scirocco mentre le unità tedesche, gravemente danneggiate e con numerosi morti e feriti a bordo, rientrarono a Livorno.
La salma del contrammiraglio fu recuperata dal relitto della nave il 14 settembre e tumulata con gli onori militari nel cimitero della Gorgona, da dove, su richiesta della vedova, fu traslata negli anni ottanta nel settore militare del Cimitero di La Spezia. Per il suo eroico comportamento nel combattimento del 9 settembre 1943 gli fu assegnata la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
 
Tra la fine di settembre e l’inizio d’ottobre la Regia Marina Militare vide la fine di altre numerose unità durante le operazioni di evacuazione delle truppe italiane dall'Albania e durante i combattimenti tra forze italiane e tedesche per il possesso delle isole greche:


Cacciatorpediniere “EURO”
Il 25 febbraio 1943 assunse il comando dell’unità, di base a Lero(isola nel Mar Egeo), il capitano di fregata Vittorio Menegini.

Isola di Lero


Capitano di fregata Vittorio Meneghini

Quando fu proclamato l’armistizio la nave si trovava in alto mare. Ricevette l’ordine dal comando dell’isola di Lero di rientrare nell’isola.
Il 9 settembre fu inviato a Rodi per trasportare dei rinforzi militari per poi rientrare per il pericolo di restare bloccato a causa della caduta dell’isola, in mano ai tedeschi, avvenuta l’11 settembre 1943.
Il bombardamento dell’isola di Leto, da parte dei tedeschi, iniziò il 26 settembre 1943. I soldati della Wehrmacht tedesca sbarcarono nell’isola il 12 novembre contrastati dal Regio Esercito, da un contingente britannico e da uno greco.
Il 26 settembre l’isola subì due attacchi: il primo alle 9,50 ed il secondo alle 15,30 da parte dei bombardieri tedeschi  Junkers Ju 87, detto anche Stuka

Uno Junkers JU 87 B Stuka durante un'azione di bombardamento
in tedesco Sturzkampfflugzeug, letteralmente "aereo da combattimento in picchiata"), è stato un bombardiere in picchiata monomotore con configurazione alare ad ala di gabbiano rovesciata

JunkersJu88
Nell’azione d’attacco furono affondati:
-         il cacciatorpediniere greco “Vasilissa Olga”;
-        Il cacciatorpediniere “Intrepid” britannico;
-        Il MAS 534.
Subirono gravi danni il piroscafo “Prode” e il “Tananrog” (catturato ai Tedeschi dagli italiani a Rodi).
Il “Prode” fu costruito nel 1903 e fu di proprietà dell’armatore
Guido Vitali & C. di Roma. Iscritto al Compartimento Marittimo di Siracusa, matricola n°27.
Fu requisito dalla Regia Marina dal 18 giugno (a Taranto) al 5 ottobre 1943. Non iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato. Fu successivamente affondato a Porto Lago di Lero (Egeo) il 5 ottobre 1943 durante un'incursione aerea tedesca.
Verso le 9,50 20-24 aerei tedeschi Ju88 del 2° Squadrone del 51° Stormo di Bombardamento (II/KG51) e del 2° Squadrone del 6° Stormo di Bombardamento (II/KG6)  apparvero nel cielo sopra Leros . I Ju 88 attaccarono i due cacciatorpedinieri in tre ondate di 6-8 aerei. I Ju 88 della prima ondata, seguendo l'asse di entrata della baia, iniziarono la loro picchiata da un'altezza di circa 1500 metri e sganciarono le loro bombe su Queen Olga e Intrepid da 300-400 metri, sparando contemporaneamente con le mitragliatrici sui ponti per impedire agli equipaggi di occupare le posizioni di combattimento.
La Regina Olga rimase illesa nonostante le vicine esplosioni che la scossero, ma l' Intrepid 
ricevette una bomba che le creò uno squarcio di (2x1) metro distruggendo la caldaia n. 3.
Un minuto dopo la fine della prima ondata, apparve la seconda ondata di Ju 88, che bombardò le installazioni italiane sull'isola, dando agli equipaggi dei cacciatorpediniere il tempo di equipaggiare i loro cannoni antiaerei. Ma la comparsa della terza ondata fu fatale per la regina Olga.
Le prime raffiche dei Ju 88 colpirono il Commodoro Blessas al petto e al collo, facendolo cadere morto sul ponte della nave. Accanto a lui caddero diversi uomini. Poco dopo il cacciatorpediniere fu colpito da almeno due bombe che caddero dietro il camino di poppa e fecero saltare la postazione del cannone antiaereo Vickers e forse la terza postazione del cannone da 127 mm. Seguì una terribile esplosione e la sezione di poppa quasi si spezzò, sbandò a dritta e cominciò ad affondare, trascinando sul fondo il resto della nave. I disperati sforzi dell'equipaggio per salvare la nave colpita non ebbero successo e così alle 10:08 il sottufficiale Daniel diede l'ordine di abbandonare. Dopo poco la nave si capovolse e alla fine affondò alle 10:11. Nel momento in cui l'ultima parte della nave, la prua, stava scomparendo sotto la superficie del mare, quelli dell'equipaggio che riuscirono a salvarsi, esclamarono pieni di emozione
"Viva Olga".
Il giorno del suo affondamento, l'equipaggio della Queen Olga contava 211 ufficiali e guardiamarina greci e 11 marinai inglesi, per un totale di 222 uomini. Di questi persero la vita il capitano, cinque ufficiali, 10 sottufficiali, 54 marinai e tre marinai inglesi.  Dei 141 greci salvati, 23 rimasero feriti. A bordo del cacciatorpediniere c'erano anche 15 cittadini di Leria e 7 marinai greci dell'equipaggio della nave mercantile Taganrog. Di questi, persero la vita 3 leriani e 4 marinai.
La “Principessa Olga” aveva partecipato allo sbarco degli angloamericani in Sicilia e alla conquista delle isole di Lampedusa e Pantelleria.
Principessa Olga

Il comandante George Blessas

Il comandante George Blessas

Il cacciatorpediniere “Euro” mollò gli ormeggi e riuscì ad evitare di essere colpito. Aprì il fuoco con le mitragliere riuscendo ad abbattere uno Stuka e a danneggiarne un altro.
Quel 26 settembre dovrebbe essere ricordato perché fu un attacco  che in pochi minuti arrecò danni ingentissimi.  Le batterie di difesa furono colte di sorpresa e quando aprirono il fuoco l’attacco tedesco era già finito.
Distrutte caserme con molti morti e feriti. Ma l’aspetto che fa rabbrividire fu quello che successe sul cacciatorpediniere greco “Principessa Olga”.
Quella mattina, per una tragica fatalità, si erano recati a bordo del Principessa Olga i ragazzini delle scuole locali… Non sono riuscito ad accertare quanti ragazzi si salvarono.
Il sistema di avvistamento posto sull’isola non funzionò.
Le rete di avvistamento verso Ovest s’era perduto con la resa di Sira e malgrado i cacciatorpedinieri britannici avessero i radar, non riuscirono ad evitare il forte attacco tedesco sull’isola. Ci fu un’ecatombe di vittime innocenti sul “Principessa Olga”.
Il cacciatorpediniere “l’Intrepid” britannico aveva subito dei danni. Mentre tutti si prodigavano con ogni mezzo al soccorso dei feriti, al recupero dei caduti ed alla riparazione dei danni, alle 15.30 si scatenò una seconda violentissima azione aerea tedesca. Il superstite CT inglese, intorno al quale Inglesi e Italiani erano tutti indaffarati a salvare il salvabile, colpito di nuovo, aumentò lo sbandamento e quindi si capovolse. 

Intrepid

Memoriale all'equipaggio dell'Intrepid , a Port Lakki

L’uno ottobre l’Euro fu danneggiata da alcune bombe, cadute vicino alle nave, durante un nuovo attacco tedesco. Il 3 ottobre fu nuovamente colpito mentre si trovava nella rada di Parteni e affondò.
I superstiti dell'equipaggio, guidati dal comandante Meneghini, continuarono a combattere sull'isola con le armi recuperate dal relitto del cacciatorpediniere. I membri dell'equipaggio dell’Euro furono tra gli ultimi reparti a cessare la resistenza, dopo la resa di Lero. Il 17 novembre 1943, si arresero ai reparti tedeschi e il comandante Meneghini venne fucilato. Alla sua memoria fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare.

La torpediniera Giuseppe Sirtori

Il 13 settembre la Sirtori e la gemella Stocco furono inviate a Corfù per dare aiuto alla guarnigione italiana posta nell’isola per la difesa dagli attacchi tedeschi. L’isola era di continuo sottoposta agli attacchi della Luftwaffe. Il 14 settembre i bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 colpirono la Sirtori che, gravemente danneggiata, fu fatta incagliare nella spiaggia di Potamus (Corfù).
Il 25 settembre l’isola fu conquistata dai tedeschi e l’equipaggio della Sirtori  minò e fece saltare in aria la nave per evitarne la cattura da parte delle forze tedesche.

La torpediniera Francesco Stocco

Dopo l’affondamento della Sirtori la Stocco fu fatta tornare a Brindisi. Dopo aver pattugliato la costa meridionale di Corfù sino al limite dell'autonomia, come da ordini, ed aver respinto con le proprie mitragliere un attacco da parte di quattro velivoli tedeschi, la torpediniera rientrò nel porto pugliese in serata.
All'alba del 24 settembre la Stocco lasciò Brindisi per scortare a Santi Quaranta, insieme alla corvetta Sibilla, un convoglio composto dai piroscafi Dubac e Probitas e dalla motonave Salvore, che avrebbero dovuto imbarcare ed evacuare la Divisione «Perugia», stanziata in Albania.
Durante la navigazione la Stocco fu distaccata per contrastare un tentativo di sbarco a Corfù da parte delle forze tedesche. La torpediniera fu però ripetutamente attaccata da numerosi bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 «Stuka». La nave riuscì ad abbattere uno degli aerei tedeschi, ma fu poi colpita a sua volta, venendo immobilizzata con parecchie vie d'acqua, e s'inabissò ad ovest di Corfù (secondo altra fonte la Stocco, gravemente danneggiata dagli aerei, venne autoffondata dall'equipaggio). Il comandante della nave, un sottotenente di vascello e dieci marinai, tutti feriti, vennero tratti in salvo dalla popolazione dell'isolotto di Marlera, ed il 29 settembre s'imbarcarono su di una barca a vela condotta da quindici militari italiani in fuga da Corfù, riuscendo ad arrivare a Brindisi nella mattinata del 30 settembre.

Torpediniera Enrico Cosenz (ex Agostino Bertani)
Il 25 settembre 1943, la Cosenz rimase danneggiata, nelle acque di Lagosta, da una collisione con il piroscafo Ulisse.
Il 27 settembre la torpediniera fu ulteriormente danneggiata da aerei tedeschi e nel corso della stessa giornata l'equipaggio, per evitarne la cattura, autoaffondò la propria nave al largo di Lagosta.

Il posamine Legnano

L'8 settembre 1943, il Legnano si trovava ancora nel Dodecaneso, nell'isola di Lero. Insieme alle altre unità italiane rimaste nel possedimento (tra cui il gemello Azio, che in ultimo poté rifugiarsi in Turchia), il posamine prese parte alla resistenza dell’isola contro l’offensiva tedesca.
Il 5 ottobre 1943, nel corso di un attacco aereo da parte di bombardieri in picchiata Junkers Ju 87 «Stuka» della Luftwaffe, il Legnano venne colpito ed affondò nella baia di Portolago, insieme alla motozattera MZ 73 ed al piroscafetto requisito e dragamine ausiliario Porto di Roma. Altre fonti collocarono l'attacco e l'affondamento al 7 od all'8 ottobre. Dopo la distruzione del Legnano, l'equipaggio, si unì alle truppe di terra, continuando a partecipare alla difesa dell'isola sino alla sua resa, verificatasi il 16 novembre 1943.

Il Legnano ormeggiato nella baia di Alimnia (Rodi) il 4 settembre 1940, unitamente a cinque MAS della XI e XVI Squadriglia (III Flottiglia).

Una fotografia scattata dalla plancia del Legnano nella tarda primavera del 1940. Il posamine, urtato da una torpediniera classe Spica della VIII Squadriglia sospinta dal vento, ha a sua volta urtato un'unità analoga ormeggiata sul lato opposto, e gli equipaggi stanno cercando di allontanare le rispettive navi.

La nave appoggio sommergibili Alessandro Volta (ex Caprera).



L’Alessandro Vota (ex Caprera), ormeggiata nella baia di Parthemi (isola di Lero) fu colpita il 7 ottobre 1943 da un bombardamento aereo tedesco. Rimessa rapidamente in condizioni di navigare, l’unità mollati gli ormeggi, si mise in navigazione nella nottata verso l’isola di Samo. Durante la navigazione fu fatta segno, per errore, a un nutrito mitragliamento da parte di due motosiluranti inglesi (MTB 307 e MTB 309) in pattugliamento in quella zona di mare. La nave, in forte difficoltà di manovra, diresse per arenarsi verso una spiaggia della vicina isola di Lisso. S’incagliò, quasi subito, sul basso fondale di scogli delle isole Bianche. Ritenuta l’unità perduta, si riuscì a trasferire  l’equipaggio e parte del materiale a terra prima che un secondo attacco violentissimo da parte dei bombardieri tedeschi riducesse la nave a un relitto.

La cannoniera Sebastiano Caboto


La cannoniera Sebastiano Caboto

L'8 settembre 1943 la Caboto si trovava ancora a Rodi, agli ordini del capitano di corvetta Corradino Corradini. Essendo in avaria, la nave non poté partecipare alla battaglia di Rodi né allontanarsi dall'isola, pertanto il comandante Corradini sbarcò armi e provviste per rinforzare le difese di terra. L'11 settembre militari tedeschi armati salirono a bordo della nave, ormeggiata in porto con le macchine ferme ed un equipaggio ridotto (gran parte dei marinai, infatti, erano sbarcati senza il consenso del comandante, per non dover combattere). La Caboto venne catturata dalle forze tedesche il 12 settembre 1943. Quel giorno, infatti, Corradini e gli uomini rimasti, dopo aver distrutto documenti ed archivi, sbarcarono portando con sé la bandiera di combattimento, dopo aver ricevuto il saluto dalle sentinelle tedesche. Secondo altra fonte la nave si autoaffondò a Rodi il 9 settembre 1943, su bassi fondali, per evitare la cattura, ed il 12 settembre venne catturata dai tedeschi, che la recuperarono e ne iniziarono le riparazioni.
La nave operò tuttavia per poco tempo nella Kriegsmarine, perché poco dopo la sua cattura venne affondata nel corso di un bombardamento aereo alleato, nell'ottobre 1943. Per alcune fonti la nave venne danneggiata a Rodi il 19 settembre, colpita in prossimità del castello di prua. Secondo altre fonti la nave fu affondata da un attacco aereo alleato nel settembre 1943 (per alcune il 15 settembre), nello stesso punto in cui si era autoaffondata, mentre erano in corso le riparazioni.
I tedeschi avevano un piano ben preciso. Una compagnia tedesca (Kampfgruppe - della Divisione Rhodos) avrebbe dovuto conquistare l’isola di Simi. Un caposaldo militare importante, testa di ponte tra l’isola di Rodi e la terraferma, che avrebbe avuto ripercussioni negative nello scacchiere militare degli alleati.
Nel predisporre il piano, i tedeschi considerarono scarsa la resistenza degli italiani dato il morale bassissimo, a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943, e la stanchezza delle truppe.


La piccola isola, di circa 65 kmq, era presidiata da circa 130 mitraglieri, anziani ed appartenenti alla divisione  fanteria “Regina”, affiancati da una postazione di vedetta della Regia Marina e da una "Delegazione di porto" formata da sei uomini.
Il capitano di Corvetta Corradino Corradini lasciò la cannoniera “Caboto”, in completa avaria, nell’isola di Rodi per raggiungere l’isola di Simi dopo una lunga remata, di circa 25 miglia, effettuata su una piccola imbarcazione.
Il capitano riuscì a sfuggire alla cattura dei tedeschi e portò con sé la bandiera di combattimento della nave.

Bandiera di Combattimento (?) della Regia Marina Italiana
L’anziano capitano sbarcò nell’isola  due settimane prima dell’arrivo dei tedeschi.
La situazione non era delle migliori e dovette affrontare dei problemi sia morali che logistici.
Il problema morale riguardava i suoi marinai e i soldati presenti nell’isola. Soldati che mancavano dall’Italia da ben quattro anni e con il morale bassissimo. A peggiorare lo stato psichico la consapevolezza di avere una scarsa dotazione di munizioni e la sedentarietà.
L’altro problema  era legato alla minaccia tedesca di un’invasione che sarebbe presto avvenuta e la presenza di circa una settantina di militari britannici dello Special Boat Squadron dei Commandos, con il compito di “controllare” la situazione e con i quali il dialogo e il rapporto non era dei migliori.
Per affrontare i tedeschi era necessario rianimare i militari con il dialogo, con l’esempio, con l’addestramento e ricompattando il gruppo.
Il problema con gli inglesi era molto spinoso perché c’era alla base un cattivo dialogo soprattutto da parte degli inglesi che probabilmente si sentivano superiori.
Il capitano Corradini fu ribattezzato ironicamente dagli inglesi con l’appellativo di “C4” (Capitano di Corvetta Corradino Corradini). Lo stesso capitano si era rifiutato di ammainare sull’isola il proprio tricolore, quello della nave “Cabado” per fare posto alla bandiera dell’Union Jack.
Il capitano comunque riferì di tenere conto dei consigli degli “ospiti “ inglesi.
I tedeschi sbarcarono nella baia di Pedi, come aveva previsto il capitano Corradini, mentre i britannici si aspettavano lo sbarco nel lato opposto dell’isola cioè a Panormiti.
La fanteria e  i marinai italiani fronteggiarono lo sbarco dei tedeschi.
Nell’oscurità i militari italiani, seguendo il cavo telefonico, colsero di sorpresa i tedeschi che subirono una crisi psicologica non aspettandosi quell’attacco.
Gli invasori si fermarono quindi sulla spiaggia senza riuscire a raggiungere l’abitato.
Il giorno seguente, nella mattinata, i due schieramenti rimasero nelle rispettive posizioni fronteggiandosi a colpi di mitragliatrici.
Verso le 13,30 giunsero i britannici e alle 14,00 i bombardieri della Luftwaffe (tedesca).
Fu solo una azione di copertura perché i militari tedeschi si ritirarono lasciando sul campo 8 caduti e 6 prigionieri.
L’isola, subito dopo quegli avvenimenti, cominciò ad essere attaccata dall’aviazione tedesca ogni giorno.
Il comando inglese, che aveva la sua sede al Cairo, ordinò subito un’inchiesta e sollecitò l’abbandono dell’isola da parte del piccolo presidio. Evacuazione che avvenne la sera dell’11 ottobre,
il comandante Corradini (“C4”) impose una condizione…
che gli italiani fossero gli ultimi a lasciare l’isola,cioè dopo gli inglesi.
Per il contingente italiano altri problemi
Furono traghettati in Turchia su sei motovelieri italiani e, appena sbarcati, si videro chiedere la consegna delle armi in vista del loro internamento ( reclusione coatta in una località sotto stretta sorveglianza).
Il Corradini fece notare alle autorità che
la bandiera invergata sulla sua "nave ammiraglia" era quella della Regia Marina (si trattava, al solito, di quella del Caboto) e che, pertanto, aveva diritto alle 24 ore previste dalle convenzioni internazionali per fare acqua e ripartire senza che nessuno potesse bloccarlo.
Dopo un giorno ed una notte di discussioni, con gli italiani a digiuno e sempre sotto la minaccia delle armi, le autorità di Ankara decisero di porre fine alla vicenda. Una vicenda che per i Turchi avrebbe potuto prendere una cattiva piega e diventare la base di gravi contrasti politici.
Decisero quindi di lasciare ripartire la spedizione italiana alla volta di Castelrosso.

Porto di Castelrosso
L’isola di Castelrosso, in greco Castellorizo ( Καστελλόριζο) o Megisti (Μεγίστη) è la principale di un piccolissimo arcipelago – in tutto nove chilometri quadrati, in gran parte scogli – vicinissimo alla costa anatolica e costituisce, sia dal punto di vista storico che geografico, il lembo più orientale della Grecia.Benché sia al di fuori del mare Egeo, Castelrosso è sempre stato coinvolto nelle vicende del Dodecaneso poiché la sua popolazione non poteva che guardare verso Rodi, la terra greca più vicina benché si trovi ad oltre settanta chilometri di distanza e, anche oggi, richieda qualche ora di navigazione attraverso acque controllate dalla Turchia, l’antico padrone e il perenne nemico.Si trova a meno di 3 km dalle coste anatoliche della Turchia, difronte a Kas (Antifello) e acirca 72 miglia nautiche da Rodi, di cui dipende amministrativamente.Col Trattato di Sèvres del 10 agosto 1920, tra le potenze alleate della prima guerra mondiale e l'Impero ottomano, Durante la seconda guerra mondiale, il 25 febbraio 1941, nel corso dell’”Operazione Abstention”,gli incursori britannici occuparono l’isola. Le forze italiane di Rodi ripresero l’isola il 28 febbraio.La sconfitta britannica destò molto critiche in Inghilterrastampa italiana. I britannici, mentre lasciavano l’isola, bombardarono per ripicca la palazzinadella delegazione italiana. Palazzina che era stata costruita dagli italiani.I rapporti tra gli italiani e la popolazione locale furono abbastanza buoni, sia perché i nostri assicuravano protezione dalla Turchia, sia perché la presenza italiana non creò grosse imposizioni, se si eccettua il divieto di dipingere le case coi colori azzurro e bianco, che ricordavano il colore della bandiera greca. L’insegnamento della lingua italiana venne accettato senza problemi dalla popolazione.
Sia nel corso del tentativo di occupazione britannico sia nel resto della guerra, tra la popolazione civile non mancarono atti di eroismo, come quello della maestra Anastasia Arnaoutoglou

Anastasia Arnautoglu in un momento di raccoglimento nel cimitero di Castelrosso
assieme ai militari della Regia Marina, di fronte alla tomba del
marinaio Eligio Troiano caduto in combattimento nel 1941.

Anastasia si pose tra un soldato britannico e un marinaio italiano ferito, salvando la vita a quest'ultimo da un'esecuzione sommaria. Venne ufficialmente decorata dal re Vittorio Emanuele III con la medaglia d'argento al valor militare. Tuttavia come punizione per l'assistenza data da alcuni locali ai commandos britannici, gli italiani arrestarono 29 cittadini locali maschi sospettati di "attività contro lo stato" che furono deportati prima a Rodi, poi a Coo (un isola greca del Dodecaneso) e infine a Brindisi per essere processati. Molti di loro non fecero ritorno nell'isola.

Da Castelrosso il Corradini, grazie ad un idrovolante, giunse in Egitto mentre i suoi militari furono trasferiti a Cipro.
Il Corradini sbarcò a Suez e il 27 ottobre, senza avvertire nessuno, si recò a bordo della corazzata Vittorio Veneto che, il quel periodo, era internata ai Laghi Amari.
Aveva una grande comunicazione, era stato conferenziere navale, e grazie al suo modo di proporsi e di trovare sempre le argomentazioni giuste, riuscì anche a fare rimpatriare i suoi uomini.
Giunsero in Italia e il Corradini assunse il comando interinale, dall’agosto 1946, del Reggimento San Marco, dalle Marche  fino a Venezia e all’Alto Agide.
Corazzata Vittorio Veneto


La quasi totalità della flotta mercantile venne catturata nei porti. Un piccolo gruppo di mercantili riuscì a raggiungere Malta, mentre altri vennero affondati o catturati dalle forze tedesche mentre tentavano di raggiungere porti sotto il controllo con gli Alleati ed altri furono affondati durante le operazioni di evacuazione delle truppe italiane dalla sponda orientale dell'Adriatico.
Tra questi ultimi andarono perduti con pesanti perdite umane i piroscafi Dubac, colpito da aerei tedeschi e portato ad incagliare presso Capo d'Otranto con circa 200 vittime a bordo il 25 settembre 1943, e Diocleziano, più volte bombardato e fatto incagliare sull'isolotto di Busi (Lissa) con la perdita di circa 600-700 uomini il 24 settembre 1943. 
La X Flottiglia Mas comandata da Junio Valerio Borghese, al contrario di ciò che si pensa, non aderì interamente alla Repubblica fascista di Salò. Borghese era di stanza a La Spezia, molti dei suoi soldati gli restarono fedeli ma molti altri si tolsero la divisa e se ne andarono. Reparti della X Mas di stanza al Sud si unirono agli Alleati.
Mentre tentavano di raggiungere Malta, le navi fedeli agli ordini di Badoglio furono attaccate dagli aerei tedeschi. La corazzata “Roma” fu affondata da una bomba radiocomandata. Morirono 1.529 marinai, la nave è tuttora sul fondo al largo dell’isola della Maddalena, in Sardegna. In totale la Marina, tra affondamenti e auto-affondamenti, perse 392 unità.


La nave da battaglia Roma salta in aria presso l'isola dell'Asinara,
colpita da due bombe razzo tedesche.

Il 16 ottobre 1943 il Colonnello Badoglio inviò una lettera a Giacomo Paulucci di Calboli, ambasciatore a Madrid…


Carissimo Paulucci,
per Suo orientamento Le faccio un po’ di storia degli avvenimenti. Lei sa come cadde il governo Mussolini. Comandato ad assumere il potere, trovai una situazione militare spaventosa. 36 divisioni fuori d’Italia in Francia, nei Balcani etc. e 12 divisioni in paese mentre la Sicilia era quasi perduta. Mi rivolsi ai tedeschi per far rientrare parte delle nostre divisioni. Mi risposero tagliando i rifornimenti di carbone, annullando quello della benzina, rubando il grano da me fermato in Romania, e inviando subito 6 divisioni loro in Italia.
Circa 8 mila SS della Gestapo erano a Roma a protezione di Mussolini. Esse organizzarono un attentato contro il Re e contro di me che fu sventato dalla nostra polizia. In ultimo pretendevano che in Italia vi fosse un solo comando per tutte le truppe italiane e tedesche da affidare a Rommel. Capito che con loro non c’era più nulla da sperare e spinto dal paese che non ne voleva più sapere di tedeschi, intavolai trattative con gli angloamericani. Per una mossa di Eisenhower che anticipò di 6 giorni la data di proclamazione dell’armistizio (il giorno 8 invece che il 14) corremmo il rischio il Re,
Regina e principe ereditario e il governo di essere catturati in Roma. Ora con gli angloamericani siamo passati dalla fase dell’armistizio a quella di collaborazione e in seguito di cobelligeranza ed io spero di poter ancora fare un passo avanti. Le ho risposto per la questione del denaro che forzi la Banca del Lavoro ad anticipare i fondi. Resta però inteso che lei può adottare qualsiasi misura che creda opportuna. Io qui avevo interessato il gen. Mac Farlane, governatore di Gibilterra e capo della missione militare presso di me, a far anticipare dai governi inglese e americano le somme che a lei occorressero.
L’autorizzo a riprendere queste trattative con gli ambasciatori inglese e americano per farsi imprestare soldi. Insomma piena fiducia in lei e piena libertà d’azione.
S.M. il Re mi ha detto testualmente: di Paulucci ero sicurissimo. L’abbraccio.
Badoglio

Lo storico Francesco Perfetti commentò la lettera del Badoglio.
Il critico mise in risalto come il Maresciallo  d’Italia Pietro Badoglio avesse settantadue anni quando ricevette la carica di capo del governo dopo il colpo di Stato del 25 luglio 1943 e la caduta di Mussolini.
Un Badoglio anziano che, per carattere era privo e contrario ad ambizioni di natura politica, cercò sempre di mettere in evidenza l’idea e l’aspetto
Di essersi sacrificato per il bene del Paese e per odio verso i tedeschi.
Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa dal 4 giugno 1944 al 13 giugno 1946, annotò nel suo diario, il 15-16 febbraio 1944, i primi incontri con il Badoglio.
Il Badoglio gli propose l’incarico di Ministro dell’Agricoltura e gli portò ad esempio il suo comportamento di militare ultrasettantenne che aveva
«sacrificato tutto per cacciare i tedeschi dall'Italia», aveva «perduto la sua fortuna personale» rimasta oltre le linee e, lasciando Roma, si era ritrovato con un fazzoletto in tasca

Falcone Lucifero
Frasi dure… frasi consapevoli di chi era cosciente di come la sua vita intraprese un percorso non desiderato.
Nella lettera infatti il Badoglio ribadì il concetto di essere
Stato comandato ad assumere il potere.
La lettera fa parte dell’importante archivio di Paulucci di Calboli.
Il conte Giacomo Paulucci di Calboli fu chiamato da Mussolini nel 1943 alla guida dell’ambasciata italiana a Madrid. Un’ambasciata importante e dopo la costituzione della Repubblica Sociale (Repubblica di Salò), lo stesso Mussolini lo chiamò per proporgli l’incarico di ministro degli Esteri…
Paolucci ho bisogno di voi…
L’ambasciatore Paolucci rifiutò rispondendo ad una sua ideologia già da tempo maturata.
Difficile l’incarico di ambasciatore che spesso si trova al centro di complesse vicende storiche.
Il Paolucci fu infatti incaricato il 13 ottobre 1943 di notificare all’ambasciatore tedesco a Madrid
La dichiarazione di guerra dell’Italia nei confronti della Germania.
Quel 13 ottobre a Madrid sembra che sia andato in scena un film in via Calle Lagasca 98  a Madrid…Palazzo de Amboage….


Il palazzo, già di proprietà del marchese de Amboage, fu edificato nei primi anni del XX secolo dall'architetto spagnolo Joaquín Rojí. Nel 1939 fu acquistato dal Governo italiano che ne fece la sede dell'Ambasciata d'Italia nel Regno di Spagna. Il complesso occupa un intero isolato della capitale spagnola comprendendo, oltre all'edificio principale, un giardino con un'estensione di 680 m². Nel palazzo, oltre alla cancelleria diplomatica e alle sale di rappresentanza (impreziosite da numerose opere d'arte, perlopiù in prestito temporaneo dai maggiori musei italiani), è situata anche la residenza dell'Ambasciatore.
Nelle prime ore del pomeriggio del 13 ottobre un’automobile varcò il cancello dell’ambasciata di Germania a Madrid. Perché l’ambasciata era a Madrid?  Perché in terreno neutrale.
Si fermò sul lato desto dell’edificio, in un ampio spazio. Dall’auto scese il consigliere dell’ambasciata italiana a Madrid, Pierluigi La Terza.
Il La Terza era il secondo ministro-consigliere dell’ambasciatore Giacomo Paulucci di Caiboli.
Nella mattina del 13 ottobre, tramite l’ambasciata inglese a Madrid, proveniente da Brindisi, sede del Governo provvisorio italiano, giunse un dispaccio firmato da Badoglio che, a nome di Vittorio Emanuele III, pregava l’ambasciatore Paulucci di
« [...] voler comunicare al Governo del Reich che, di fronte ai ripetuti ed intensificati atti di guerra commessi dalle Forze Armate Germaniche contro il popolo italiano, a decorrere dalle ore quindici (ora di Greenwich) di oggi tredici ottobre millenovecentoquarantatré, l'Italia si considera in stato di guerra con la Germania...»
Appena finì la stesura del testo ufficiale, il Paulucci incaricò il La Terza di prendere contatto e di consegnare personalmente il foglio contenente la dichiarazione italiana di guerra alla sede della rappresentanza diplomatica germanica di Madrid sul Paseo de la Castellana e di consegnarlo espressamente nelle mani dell’ambasciatore del Reich Hans-Heinrich Dieckhoff.

Dr. Hans Heinrich Dieckhoff with Frau Dieckhoff

Vista esterna dell'edificio. Madrid, Palacio de la Embajada de Alemania


La richiesta del La Terza venne subito accolta. La Germania nazista aveva riconosciuto la Repubblica Sociale Italiana costituita da Mussolini dopo la liberazione del Gran Sasso e negava quindi qualsiasi legittimità al Governo Badoglio.
In virtù di questa considerazione con che titolo il La Terza si presentò all’ambasciatore tedesco?
Naturalmente l’ambasciatore tedesco ignorava i motivi della visita del consigliere dell’ambasciata italiana e, forse in virtù di questa considerazione, lo fece entrare.
L’ambasciatore tedesco era a conoscenza della proposta del Mussolini al Paulucci  sull’incarico di Ministro degli Esteri della neonata repubblica Sociale Italiana (di Salò).
Proposta che il Paulucci aveva declinato e l’ambasciatore pensò forse ad un ripensamento dello stesso Paulucci.
L’ambasciatore Dieckhoff lo accolse con cordialità e lo fece accomodare in un divano alla sua destra.
Il La Terza consegnò il documento, redatto in lingua italiana (?), all’ambasciatore tedesco
« Signor Ambasciatore, d’ordine di Sua Maestà il re mio Augusto sovrano ho l’onore di pregare Vostra Eccellenza di voler comunicare al Governo del Reich, tramite l’ambasciatore tedesco a Madrid, che a partire dalle ore 15 (ore di Grenwïch) di oggi, 13 ottobre 1943, l’Italia si considera in stato di guerra con la Germania ».
L’ambasciatore aprì la busta e cominciò a leggere il documento con molta attenzione.
Il La Terza  riferi l’atmosfera di quel momento molto delicato..
«Vedo ad un tratto Dieckoff accasciarsi su se stesso e piegarsi un po’ verso me, sempre con lo sguardo fisso alla lettera. Mi viene il dubbio che non capisca bene il significato del testo e gli dico:
– Wollen Sie das ich ubersetze den Brief? –
(Vuole che le traduca la lettera?)
Non mi risponde.
Si piega sempre più sul documento che ha nelle mani.
Poi, rosso paonazzo in viso, si alza, prende la busta sul tavolo davanti al divano su cui egli
l’ha deposta, la unisce alla lettera e mi dice:
– Ich nehme es nicht an – (io non l’accetto!) 
e fa cenno di restituirmi il tutto.
Io mi alzo, faccio un passo indietro per non prendere i fogli che mi tende e gli rispondo:
– Aber die Kriegserklärung ist gemacht – (Ma la dichiarazione di guerra è già fatta!).
Dieckoff si avvicina alla porta dello studio, l’apre e s’inchina leggermente dicendo:
– Bitte – (prego).
Gli passo davanti, m’inchino anch’io, come lui, esco dall’anticamera con una certa apprensione e volgo lo sguardo alle guardie armate all’ingresso.
Riesco a tornare alla mia ambasciata indenne».


La dichiarazione ufficiale era necessaria per inviare al fronte gli uomini dell’esercito regolare (al centro nord molti italiani combattevano già contro i tedeschi) e per attribuire lo status di prigionieri di guerra ai 600.000 soldati italiani (IMI). Soldati  che erano stati catturati e deportati dai tedeschi nei territori del Terzo Reich dall’ 8 settembre, dopo la proclamazione dell’“armistizio corto” con il quale si cessavano le ostilità contro gli Alleati. L’atto contribuì notevolmente a peggiorare le condizioni di prigionia e l’atteggiamento dei carcerieri tedeschi.

Riprendendo la lettera del Badoglio al Paulucci, una lettera «strettamente confidenziale», il capo del governo sentì il bisogno di esporre al Paulucci «un po' di storia degli avvenimenti» e cioè: dalla caduta del fascismo, passando prima per le trattative con i tedeschi e con gli angloamericani, per poi giungere all'annuncio dell'armistizio e all'abbandono di Roma. Tutte azioni che  avevano condotto alla situazione attuale.
Quella raccontata dal capo del governo era una storia sommaria, con molte inesattezze e omissioni, che glissava sui particolari e attribuiva alla «mossa» di Eisenhower di annunciare l'armistizio la responsabilità della situazione che si era venuta creando dopo l'8 settembre.
Badoglio voleva far uscire l’Italia dal conflitto ma le sue iniziative furono spesso confuse, incerte e contraddittorie.
Lo storico Perfetti, nella sua analisi storica, citò come lo stesso proclama diffuso dal Badoglio, dopo il suo insediamento come capo del governo, fu alquanto infelice..
La guerra continua…
 
Una frase che aveva l’aspetto  di un espediente per guadagnare tempo e organizzare un armistizio con gli angloamericani. Poi, i contatti con i tedeschi per far digerire loro l'idea di un'uscita dell'Italia dalla guerra in cambio della neutralità e del passaggio graduale del controllo alle forze del Reich del fronte nei Balcani e in Grecia mostrarono un forte velleitarismo. Infine, gli stessi abboccamenti con gli angloamericani - con un accavallarsi di iniziative affidate a diplomatici di secondo livello o a privati - furono effettuati in modo da non assicurarsi la fiducia piena degli Alleati.
Quando venne firmato a Cassibile l'«armistizio breve», i rappresentanti Alleati tirarono un sospiro di sollievo temendo che gli italiani, fino all'ultimo, potessero tornare indietro.
Badoglio volle mantenere le trattative nel segreto anche con i più stretti collaboratori. Neppure i vertici politici, militari e diplomatici ne furono a conoscenza. Il 3 settembre egli riunì i ministri militari per comunicare non la conclusione dell'armistizio, ma l'esistenza di trattative.
Un comportamento che autorizzò a pensare che 
da parte italiana non fu abbandonata del tutto l'idea che, in difetto di uno sbarco alleato tanto massiccio da costringere i tedeschi alla ritirata, sarebbe stato ipotizzabile sconfessare l'armistizio e riprendere la cooperazione con questi.
Un comportamento ambiguo che irrigidì gli Alleati e li spinse a rifiutare la richiesta di posticipare l'annuncio dell'armistizio già deciso per l'8 settembre alle 18,30. Un messaggio di Eisenhower non lasciò spazio a dubbi:
«Ho deciso di diffondere l'esistenza dell'armistizio all'ora programmata originariamente».
Il dramma dell'8 settembre sta proprio nel gioco degli equivoci e nella ambiguità dei comportamenti. Fu un dramma che finì per ricadere sulle spalle di tutta la nazione.

“Se qualcuno vuole sbarcare, lo dica subito. Io intendo partire con gente pronta a tutto. Se qualcuno non si sente, che venga avanti: non ha nulla da vergognarsi".
Una frase rivolta dal Capitano di Corvetta Carlo Fecia di Cossato ai suoi marinai, del sommergibile “Enrico Tazzoli”, schierati sulla banchina della base di Boredaux.
Il Capitano di Corvetta guardò i suoi uomini, uno ad uno, leggendo nei loro occhi e alla fine disse con grande semplicità, senza aggiungere altro…..
Grazie…..
Carlo Fecia di Cossato, figlio di Carlo e di Maria Luisa Genè, nacque a Roma il 25 settembre 1908.
La sua famiglia era molto legata alla Monarchia Sabauda. Il padre era un ufficiale di Marina, in servizio fino al 1912 con il grado di Capitano di Vascello, e perse un occhio durante la sua permanenza in Cina. Il fratello Luigi, tenente di vascello, fu decorato della medaglia d’oro al valore militare per il suo servizio in Somalia nel 1925.
Capitano di Corvetta Carlo Fecia di Cossato
Un uomo che avrebbe potuto scegliere un’altra vita per il suo fascino e per il suo modo coraggioso di affrontare la vita.
Biondo, magro, occhi chiari, sembrerebbe una figura leggendaria per il suo appellativo di “Corsaro dell’Atlantico” nella guerra subacquea.
I marinai lo ricordavano cordiale con tutti ma molto riservato. Nelle sue missioni riusciva a trasformarsi mostrando gesti rapidi, sicuri esaltati dalla sua voce che rilevava una forte volontà d’azione.
Potrebbe benissimo entrare nella cinematografia come interprete d’un fil dal titolo
Marinaio gentiluomo.
Un grande uomo, una grande eroe dimenticato dai libri di storie fatti solo di date e di personaggi scelti forse a caso per ambizioni politiche o altro.
Il libri di storia non citano questi eroi sconosciuti, come Carlo Fecia di Cossato, e forse per un motivo ben preciso..
per paura di fare i conti con quella storia che non ebbe né vinti né vincitori. Uomini e Donne che credettero nei valori fondamentali che hanno fatto grande l’Umanità: il senso del dovere, la rettitudine e la dignità.
Ezra Weston Loomis Pound (poeta e saggista)…
Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono niente,
o non vale niente lui”.
A Uomini come lui dobbiamo il nostro futuro anche se, anche oggi, sarebbe considerato un personaggio scomodo per molti.
Dopo gli studi al Regio Collegio Militare di Moncalieri, venne ammesso all'Accademia Navale di Livorno e nel 1928 conseguì la nomina a Guardiamarina.
A 32 anni diventò Capitano di Corvetta e comandante di sommergibile.
Nella Seconda guerra mondiale era al comando del  sommergibile Ciro Menotti, di stanza a Messina
Il sommergibile “Ciro Menotti”.
Il 5 aprile del 1941 assume il comando del sommergibile Enrico Tazzoli in sostituzione del comandante Vittore Raccanelli. Aveva come secondo ufficiale il tenente di vascello Gianfranco Gazzana  Priaroggia.


Sommergibile Enrico Tazzoli 
Il 7 aprile il sommergibile salpò con un equipaggio costituito solo da volontari.  Una serie di imprese lo aspettavano per essere scritte come in un romanzo di Salgari.
 Imprese esaltate dalle condizioni di vita  a bordo di un sommergibile. Il forte calore che i ventilatori non riesco a placare; la scarsissima possibilità di movimento; il silenzio quasi opprimente per paura di essere rilevato da navi nemiche in superficie e per evitare eccessivi consumi di ossigeno; i cibi freschi rarissimi e anche l’acqua talvolta imbevibile.
Malgrado queste ansie, perché condizionano la vita, il morale dell’equipaggio era altissimo grazie al suo comandante.
Spesso la navigazione era lunga. Non s’incontravano navi nemiche e il mondo subacqueo assumeva l’aspetto di un deserto immenso e ancora poteva subentrare lo sconforto per un mancato attacco o una mancata intercettazione.
Questi momenti erano superati grazie a quel profondo legame che univa i marinai al comandante…. Una famiglia che viveva nel mondo subacqueo.
Quella fiducia  era legata non solo alla grande comunicazione che probabilmente caratterizzava la personalità di Carlo Fecia ma anche alle sue tattiche d’attacco legate all’abbordaggio, al suo puntiglio nelle missioni e a quella profonda conoscenza del mondo navale.
Fra le sue qualità anche la modestia. Dopo ogni missione vittoriosa, nel ritorno a Betasom la banda tedesca lo accoglieva tra applausi e discorsi.  Il comandante Carlo Fecia, anche in queste occasioni, mostrava solo un piccolo sorriso e stringeva le mani con molta timidezza. Insomma una grande umanità esaltata dall’aiuto, sempre fornito, ai naufraghi delle navi affondate nelle sue azioni militari.
Il 7 aprile prese quindi il mare per dirigersi al largo dell’Africa Occidentale. Il 12 aprile attaccò due incrociatori britannici. Subito dopo l’attacco si immerse per sfuggire alla reazione dell’altro incrociatore. Quando risalì in superficie sul luogo dell’attacco vide una vasta macchia di nafta e un incrociatore che si allontanava.
Sul libro di bordo  annotò..
Avvenuto attacco..
La dichiarazione inglese, anche dopo la guerra, non confermò l’affondamento dell’incrociatore inglese.
Il 15 aprile affondò il piroscafo da carico inglese Aurillac da 4733 tonnellate.
 Il 29 dicembre del 1941, partecipò, al salvataggio di oltre 400 naufraghi che erano a bordo della nave di rifornimento tedesca Python, affondata al largo delle isole di Capo Verde. Il Python aveva a bordo anche i naufraghi della famosa nave corsara tedesca Atlantis
È una delle più belle pagine di storia della seconda guerra mondiale, purtroppo sconosciuta.
I protagonisti furono i marinai della gloriosa flotta della Marina Italiana e i quattro sommergibili del Comando Forze subacquee italiani in Atlantico che facevano parte dell’altrettanto famosa e leggendaria BETASOM.
“BETASOM” era il nome in codice per Bordeaux- Comando sommergibili (o Comando Gruppo Sommergibili Atlantico), cioè la base navale per le navi/sommergibili dislocati, durante la seconda guerra mondiale, nella famosa e importante città portuale di Bordeaux posta sulla costa atlantica meridionale della Francia.
( Il termine “BETASOM” derivava dall’unione della prima lettera della parola “Bordeaux” espressa con il nome della lettera dell’alfabeto greco e equivalente, dal punto di vista fonetico, alla lettera “Beta” e la prima sillaba della parola “sommergibili”. Beta + som).
La base accolse una trentina di sommergili della Regia Marina, in un arco di tempo che andava dal 1940 all’8 settembre 1943 (data della firma dell’armistizio di Cassibile), e anche gli U-Boot (sommergibili) della Marina Militare Tedesca (Kriegsmarine).
( Gli U-boot tedeschi avevano in Francia altre quattro basi:
- Brest;
- Lorient;
- La Rochelle;
- Sant-Nazaire).
BETASOM

BETASOM
La Marina Tedesca aveva inviato nell’Oceano Atlantico alcuni incrociatori corsari con le relative navi d’appoggio. Questi incrociatori corsari tedeschi si dimostrarono molto efficaci nelle rotte commerciali 
anche perché le navi commerciali da attaccare  navigavano isolate. La Marina Britannica (RAF) diede
una spietata caccia agli incrociatori corsari e l’Atlantis fu la nave corsaro più importante per le sue spregiudicate azioni d’assalto.



Dopo circa 18 mesi d’attività fu sorpreso e colpito il 22 novembre 1941, a circa 350 miglia (563 km)  a Sud dell’Isola di Ascensione, da un incrociatore inglese. L’Atlantis stava rifornendo un sommergibile tedesco.

Il sommergibile tedesco non attaccò l’incrociatore inglese ma si immerse subito.
L’unità inglese, temendo un attacco da parte del sommergibile tedesco, si allontanò senza recuperare i naufraghi dell’Atlantis.  

Il comando navale tedesco in Francia inviò subito dei soccorsi con la nave Python che, dopo tre giorni, recuperò i naufraghi.

L’1 dicembre l’incrociatore inglese “HMS DORSETSHIRE” intercettò  la nave” fornitore di sommergibili” Python.
Incrociatore inglese “Hms Dorsetshire” 

Incrociatore inglese “Hms Dorsetshire” 

L’equipaggio della Pithon e i naufraghi dell’Atlantis mentre svolgevano una funzione funebre
per seppellire in mare un compagno.
Kpt.zS Berhard Rogge teneva un discorso funebre davanti all’equipaggio.

Il Pithon stava rifornendo due sommergibili tedeschi e fu colpito, alla prima salva, dal cacciatorpediniere britannico.


Dopo aver colpito il Pithon  nella posizione (27gradi 53’ S / 03gradi 55’ W) l’incrociatore britannico HMS DORSETSHIRE lasciò la zona di combattimento non prestando aiuto ai naufraghi.
Gli equipaggi della Pithon e dell’Atlantis furono recuperati dai due sommergibili tedeschi U68 e UA. I naufraghi erano ben 414 e si trovavano su piccole imbarcazioni e zattere, in pieno Oceano Atlantico, in balia delle onde in pieno inverno.
Il 5 dicembre i due sommergibili tedeschi vennero raggiunti dal sommergibile tedesco U129 che prese a bordo alcuni dei sopravvissuti. Il 7 dicembre (1941) giunse il sommergibile U124 e i naufraghi vennero nuovamente ridistribuiti.
Le condizioni non erano ottimali: condizioni meteo difficili, scarsa disponibilità di cibo ed acqua, la grave minaccia di un attacco inglese.
La base BATASOM fu interpellata via radio dai sommergibili tedeschi e fu deciso l’immediato intervento di quattro sommergibili oceanici:

I quattro sommergibili furono subito allestiti per imbarcare ciascuno 70 naufraghi. Presero quindi il mare con rotta Sud tra il 5 ed il 7 dicembre 1941.
I comandanti avevano degli ordini ben precisi…
Attaccare il traffico avversario durante la navigazione di andata,
evitare qualunque operazione bellica dopo l’imbarco dei naufraghi.
L’incontro tra i sommergibili tedeschi, con le lance a rimorchio, e quelli italiani avvenne al largo delle Isole di Capo Verde, tra il 14 ed il 18 dicembre. Parte dei naufraghi fu caricata a bordo, ciascuno dai 60 ai 70 superstiti (254 uomini), e sistemati sottocoperta, assistiti moralmente e materialmente. Le scialuppe di salvataggio e i gommoni furono affondati.

Ulrich Mohr 1940, comandante dell’Atlantis.

Ulrich Mohr, uno degli ufficiali dell’Atlantis, autore del più celebre libro mai scritto su quella nave, parlò di
“trattamento grande” a bordo del Tazzoli.
Il viaggio  si concluse felicemente nonostante il mare forza 4 – 5. Durante la navigazione di ritorno, solo il sommergibile Torelli  fu avvistato da navi nemiche al largo delle Isole Azzorre. Fu attaccato ma riuscì ad eludere magistralmente la caccia antisom britannica.
Le quattro unità italiane arrivarono, infine, a Saint Nazaire e sbarcarono i naufraghi, tutti sani e salvi, tra il 24 ed il 29 dicembre 1941. Anche i due battelli tedeschi, che avevano imbarcato il resto degli equipaggi delle due navi affondate, riuscirono a rientrare alla base. 
Una parte dell’equipaggio dell’Atlantis arrivò a bordo del Luigi Torelli il 23 dicembre e venne accolto dal comandante navale della Francia Occidentale, l’ammiraglio Lindau.
Alla vigilia di Natale giunsero il sottomarino tedesco U68, con a bordo il comandante dell’Atlantis Rogge,  e l’UA.
Il 25 dicembre giunse l’Enrico Tazzoli, il 27 dicembre il Pietro Calvi e il sommergibile tedesco U 129, il 28 dicembre il Giuseppe Finzi e il 29 dicembre l’ultimo sottomarino tedesco l’U124.
Una bellissima storia di mare e di guerra a lieto fine proprio a cavallo fra le festività di Natale e Capodanno.
Un evento che dovrebbe fare riflettere..

Foto prese dall’interessante sito:
http://www.ddghansa-shipsphotos.de/goldenfels300.htm

I naufraghi furono quindi sbarcati nella base tedesca di Saint-Nazaire dove erano attesi dal
Capitano di fregata (Fregattenkapitän) dell’Atlantis, Berhard Rogge, che espresse grande
ammirazione per il comandante italiano.
Al ritorno alla base di Betasom dei sommergibili i quattro comandanti italiani:
-        Carlo Fecia di Cossato;
-        De Giacomo;
-        Olivieri;
-        Giudice;
furono insigniti dall’ammiraglio Karl Donitz

con un’importante onorificenza, raramente assegnata a personale non tedesco…
la  Croce di ferro di 1ª Classe.
L’11 febbraio 1942 per Fecia di Cossato una nuova missione lungo le coste americane dove affondò
tre navi mercantili.
La sorprendente missione fu una risposta all’ironia americana che accusava la regia Marina italiana
di non aver coraggio di spingersi fino alle coste americane.
Lo stesso Fecia di Cossato dalla torretta del Tazzoli
si assicurò che tutti i naufraghi fossero sulle scialuppe.
Fecia di Cossato è al centro della foto.
 Dalla torretta, sventolando la bandiera italiana, gridò ai naufraghi sulle scialuppe..
di raccontare agli Americani che i marinai italiani si erano spinti fin sotto le loro coste per
affondare le loro navi.
Azioni leggendarie che lo videro interprete.  Prese l’appellativo di “Corsaro dell’Atlantico”
riportando ben 17 vittorie, tutte documentate e tutte con il suo sommergibile Enrico Tazzoli.
Alcune fonti riportarono come le vittore furono addirittura 18 con l’affondamento di un’unità
avvenuta il 12 aprile 1941 di un probabile incrociatore britannico rimasto sconosciuto (già riportato
nella ricerca).
In termini quasi matematici, le sue azioni causarono l’affondamento di ben 86.535 tonnellate di
naviglio nemico. Il secondo miglior comandante di sommergibili italiani della seconda guerra
mondiale dopo Gazzana Priaroggia.
Il 14 novembre 1942 partì per la sua ultima missione a bordo del sommergibile Tazzoli.
Il 12 dicembre furono intercettati e affondati il piroscafo inglese Empire Hawk e l'olandese Ombilin.
Il 21 fu il turno dell'inglese Queen City e il 25 della motonave americana Dona Aurora. Al rientro
dalla missione, i mitraglieri del Tazzoli abbatterono un quadrimotore inglese che li aveva attaccati. Il
sommergibile rientrò a Bordeaux il 2 febbraio 1943.

21 dicembre 1942. Il Tazzoli si appresta a recuperare da una barca di salvataggio
un naufrago ferito della Queen City

Carlo Fecia di Cossato scherza con un commilitone sulla torretta del sommergibile

Gazzana Priaroggia: secondo Ufficiale sul Tazzoli di Fecia di Cossato

Nell'Atlantico, tra le acque dell'Africa Occidentale e quelle del Nord America, il sommergibile Enrico Tazzoli guidato dal capitano di corvetta veterano della guerra civile spagnola e con Gianfranco Gazzana-Priaroggia come comandante in seconda, colò a picco sei navi britanniche, cinque norvegesi, due olandesi e una nave ciascuna tra quelle battenti bandiera di Stati Uniti, Uruguay, Panama e Grecia, per un totale di oltre 86mila tonnellate.

Nel febbraio del 1943 Fecia di Cossato lasciò il comando del Regio sommergibile Enrico
Tazzoli per assumere, con il grado di capitano di fregata, il comando della IIIª Squadriglia
Torpediniere con insegna sulla torpediniera Aliseo, dove assunse il comando il 17 aprile 1943.
Sostituì il Capitano di corvetta Umberto Manacorda.
Perché  fu costretto a lasciare il comando del suo sommergibile?
Il Tazzoli era diventato obsoleto e la regia Marina italiana, d’accordo con la Marina Militare tedesca
(Kriegsmarine), decise di disarmarlo e adibirlo al trasporto di materiale strategico tra l’Europa e il
Giappone.
Il Tazzoli partì da Bordeaux per Singapore, il 16 maggio 1943,  al comando del capitano Giuseppe
Caito. Il sommergibile scomparve in mare portando con sé 70 uomini tra marinai e ufficiali.
Per una tragica ironia della sorte, era la prima missione del sommergibile senza il suo “Corsaro
dell’Atlantico”  che lo aveva guidato, assieme ai suoi validi membri dell’equipaggio, per tante
memorabili imprese.
Non si riuscì a fare luce sul motivo del suo affondamento probabilmente legato all’urto con una
mina posata da velivoli della Royal Air Force. La fine del sommergibile e dei marinai segnò
profondamente Carlo Fecia di Cossato.


La torpediniera Aliseo

Il 22 Luglio 1943 un convoglio costituito dai piroscafi Adernò e Colleville partì da Pozzuoli alla
volta di Civitavecchia. Il convoglio fu scortato dalla torpediniera tedesca  TA 11, da due
cacciasommergibili e guidato dalla R. Torpediniera Aliseo al comando del Comandante di fregata
Carlo Fecia di Cossato.
Il convoglio partì subito dopo il tramonto. La torpediniera Aliseo attese fuori dal molo S. Vincenzo
l’uscita delle altre unità e dei piroscafi da scortare. Durante la navigazione notturna l’Aliseo fu più
volte costretto ad usare il tiro illuminante per identificare pescherecci, barche di vigilanza foranea e
rimorchiatori.
Alle prime ore del giorno seguente il convoglio venne attaccato da una formazione aerea. Il
convoglio non subì danni e uno degli aerei venne abbattuto.
 Nell’azione di mitragliamento presero fuoco alcune bombe abbaglianti a bordo dell’Aliseo
provocando danni alle lamiere di coperta e al timone. L’aereo di scorta subì dei danni e fu costretto
 all’ammaraggio.
Il Comandante dell’Aliseo decise quindi di far proseguire la navigazione del convoglio e nel
frattempo rimorchiò l’aereo verso costa e fece riparare i danni subiti al timone. Alle prime ore del
pomeriggio raggiunse di nuovo il convoglio ed intorno alle 17.30 vennero avvistati da un aereo
ricognitore.
Solo un paio d’ore dopo, verso le 19,30, a poche miglia dal porto di destinazione, l’Adernò venne
colpito da due o tre siluri lanciati dal sommergibile HMS Torbay ed affondò in pochi minuti.
L’Aliseo si mosse immediatamente verso il punto di lancio ma l’ecogoniometro non segnalò nulla.
Lasciò quindi sul posto la torpediniera tedesca TA 11 e i caccia per scortare il piroscafo Colleville in
porto e mettere in mare una motolancia per l’assistenza ai naufraghi.
Si lanciò quindi alla caccia del sommergibile responsabile dell’affondamento fino al giorno
seguente, per poi tornare indietro per recuperare la motolancia e dirigerla in porto.
Feccia di Cossato fu insignito di una medaglia di bronzo al valore militare. 
Fecia di Cossato, nei suoi attacchi alle imbarcazioni nemiche, si preoccupò sempre del recupero dei
naufraghi o comunque che fossero in salvo con le loro scialuppe.
Le pagine di storia stavano cambiando e quelli che prima erano alleati, ovvero i tedeschi,
diventarono improvvisamente nemici con la firma dell’Armistizio.
 L'8 settembre 1943, giorno della proclamazione dell'armistizio di Cassibile, l’Aliseo si trovava nella
base di La Spezia e nel corso della giornata salpò dal porto ligure, insieme alla gemella Ardito.

Cacciatorpediniere “Ardito”

Cofanetto della Bandiera del Cacciatorpediniere Ardito (1913)
Sull’Aliseo  erano imbarcati anche il comandante delle siluranti, ammiraglio Amedeo Nomis di
Pollone, e l'ammiraglio Aimone di Savoia-Aosta. Le due unità si diressero a Bastia (dal 1942 l'Italia
aveva occupato la Corsica), dove giunsero in serata apprendendo la Proclamazione dell'armistizio

Bastia porto
Vista della base avanzata delle forze costiere a Bastia, in Corsica, con gli MGB, incluso l'MGB 658, in primo piano

Durante la notte i tedeschi tentarono d’impadronirsi del porto.
L’Aliseo lasciò gli ormeggi e si portò al largo. Il comandante Fecia di Cossato intuì le iniziative
militari dei tedeschi. Anche l’Ardito lasciò il porto ma venne attaccato dalle navi tedesche, anch’esse
ormeggiate nel porto,  e gravemente danneggiato.
A terra forti scontri tra i soldati tedeschi ed italiani. Alle fine i marinai italiani riuscirono a
rimpadronirsi del porto.
L’Aliseo nel frattempo era tornato indietro per soccorrere l’Ardito e, con l’aiuto di alcune batterie
costiere ritornate in possesso dei marinai italiani, sferrò l’attacco contro undici unità navali tedesche:
-        le corvette antisom (cacciasommergibili), UJ2203 (ex-francese “Minerva”) e UJ2219 (exfrancese
        “Insuma”), di scorta alle motozattere sottoelencati;
-        le motozzattere armate MFP: F 612, F 459, F 387, F 366 e F 62;
-        danneggiando il battello della Luftwaffe FLB 412;
-        danneggiati i piroscafi armati Humanitas e Sassari, italiani ma catturati dai tedeschi.
Motozzattera Tedesca da sbarco

Piroscafo armato “Città di Sassari”.
L’azione d’attacco dell’Aliseo fu supportata da alcune batterie  portuali che erano state riconquistate
dagli italiani e dall’intervento finale della corvetta “Cormorano” che era nel frattempo sopraggiunta.

L’Aliseo riuscì ad affondare con i suoi 3 cannoni da 100mm sia i cacciasommergibili sia le
motozattere, mettendo inoltre fuori uso l’Humanitas e il Sassari.
Il Capitano Di Cossato ricevette l’ordine da parte del comandante del porto, in buona parte
riconquistato, di attaccare e distruggere la flottiglia tedesca.
 L’Aliseo aprì il fuoco alle 7.06 da circa 8300 metri, in risposta alle navi tedesche che, UJ 2203 in
testa, avevano già iniziato a sparare. Alle 7.30 l’Aliseo fu centrata da un proiettile da 88 mm in sala
macchine, restando temporaneamente immobilizzata. Il danno fu riparato e riprese la sua azione
d’attacco mirando contro  l’UJ 2203 che, colpito, saltò in aria alle 8.20.  Dieci minuti più tardi l’UJ
2219 subì la stessa sorte. Successivamente furono affondate tre delle motozattere, mentre le
rimanenti due motozattere furono mandate a incagliarsi, e il battello della Luftwaffe fu affondato con
il concorso della corvetta Cormorano, che nel frattanto era sopraggiunta.
La vittoria riportata a Bastia fu tra le motivazioni del conferimento della Medaglia d'oro al valor
militare a Fecia di Cossato.
Al termine delle azioni militari il capitano Di Cossato, rispondendo al suo grande spirito militare, si
preoccupò di raccogliere alcuni tedeschi feriti in mare. Subito dopo l’Aliseo prese la rotta per l’Isola
d’Elba seguito dall’Ardito che era in gravi difficoltà.
Nel porto di Bastia rimase la motonave “Humanitas” che era stata danneggiata dai colpi dei tedeschi.
Verrà poi affondata il giorno 11 per errore dal sottomarino olandese DOLFIJN, lo stesso che nei
mesi precedenti aveva già affondato lungo le coste della Sardegna i piroscafi SABBIA e EGLE.
Molte navi furono catturate dai tedeschi, dirottate in mare o nei porti toscani subito dopo la firma
dell’armistizio.








Da Portoferraio l’Aliseo raggiunse Palermo dove fu rifornito dagli Americani di vettovaglie per la
flotta italiana che si trovava ancorata a Malta. L’Aliseo raggiunse Malta dove si ancorò.

Settembre 1943 -  rada di Sliema a Malta - 19 Sommergibili italiani consegnatisi agli alleati.
 
L’Aliseo, insieme ad alcune unità minori, venne inviato a Taranto per  una missione di
pattugliamento.
Eravamo nei primi mesi del 1944 e la vita nella base navale di Taranto non era piacevole.
Il Capitano di fregata, promosso da poco tempo,  Fecia di Cossato era abituato alle immagini
sperdute, infinite dell’Oceano Atlantico ed ora si trovava in una città che aveva smarrito l’integrità
fisica e morale di un tempo.
Perché una città diversa da quella che era un tempo?
La base navale era occupata da americani ed inglesi ed erano presenti traffici illeciti (accompagnati
da comportamenti moralmente repellenti), cartelli in inglese che mettevano in guardia i militari
alleati dalle truffe, la presenza di malattie veneree e tifo.
Sporcizia ovunque…
“Il Corsaro dell’Oceano” moralmente abbattuto, contrario a consegnare la sua nave all’ex nemico di
guerra,  aveva sempre obbedito per la sua  fedeltà al re.
Per lui quella decisione fu come una sentenza di morte non sono per la sua nave ma per tutta la
Regia Marina.
Le sue notti, in questo turbinio di sensazioni e di interrogativi, erano insonni anche per i ricordi
legati al suo sommergibile “Tazzoli” e al suo equipaggio che tragicamente giaceva negli abissi
dell’Oceano Atlantico.
Un uomo dotato di una grande sensibilità che aveva sempre evidenziato sia nei rapporti con i suoi
marinai che con i nemici in difficoltà tra le onde del mare.
Nella primavera 1944 si sparse la voce nella base di Taranto che al termine della guerra, nonostante
l’alleanza, molte delle navi della Regia Marina Militare sarebbero state cedute ad altre nazioni.
Un aspetto che purtroppo si verificherà…
A queste voci il capitano Fecia di Cossato disse agli ufficiali della sua squadriglia di torpediniere di..
“Se venisse confermato l’ordine di consegna, dovunque vi troviate lanciate tutti i vostri siluri e
sparate tutti i colpi che avete a bordo contro le navi che vi stanno intorno, per rammentare agli
angloamericani che gli impegni vanno rispettati;
se alla fine starete ancora a galla, autoaffondatevi”.

Il 10 giugno 1944, in occasione della Festa della Marina il ministro della Marina, l’ammiraglio  e
conte  Raffaele de Courten   espose il tradizionale messaggio agli equipaggi.

Ammiraglio Raffaele De Courten
Ministro della Marina del Regno d’Italia
(18 giugno 1944 – 14 luglio 1946)
(durante i governi di:
 Ivanoe Bonomi – Ferruccio Parri – Alcide De Gasperi)

I marinai si accorsero che nel messaggio il re non veniva citato e naturalmente ci fu dello stupore seguito subito da molte lamentele.
Lamentele che si trasformarono in indignazione in un corpo, come la Marina, che con i Carabinieri, aveva sempre mostrato una grande fedeltà al re.
Circolava anche una voce sul rifiuto del nuovo governo di giurare nelle mani del re.
Il senso di devozione della Marina nei confronti della Monarchia era evidenziato anche dall’Art. 4 del “Regolamento di disciplina” che dichiarava come
Il militare appartenente alla Regia Marina
deve opporsi con tutti i mezzi di cui dispone a qualunque tentativo
contro la Monarchia e contro le istituzioni e le leggi fondamentali dello Stato.
Stati d’animo di malcontento e di insofferenza si erano quindi manifestati in modo chiaro a Taranto soprattutto nell’ambiente delle siluranti.
Si arrivò perfino a diffidare del ministro De Courten e a sospettarlo di tramare contro la Monarchia.
Alcuni ufficiali della base di Taranto si riunirono e decisero di pronunciarsi contro il ministro della Marina.
Giudicarono fondamentale che a guidare la loro protesta fosse una figura ineccepibile, popolare, dalla grande umanità e senso del valore come Fecia di Cossato.
Un sottotenente fu mandato a bordo dell’Aliseo per comunicare al Di Cossato la decisione degli ufficiali.
L’ufficiale di guardia lo accompagnò nella cabina del capitano e, dopo pochi attimi, vide il sottotenente uscire di corsa dalla cabina inseguito dal Di Cossato che gridava…
Ricordatevi che sono un militare..
Il fermento nella base di Taranto era palpabile e per tentare di calmare gli animi, l’ammiraglio Nomis di Pollone convocò tutti i comandanti per il 22 dello stesso mese di giugno.
Ammiraglio Amedeo Nomis di Pollone
 
Iniziò la riunione e la situazione subito precipitò perché il Nomis dichiarò come la
Marina non doveva più obbedienza al re ma al nuovo governo…..
…( che si è fermamente rifiutato di giurare fedeltà alla Corona).
Nella sala gremita, avvolta di un’atmosfera molto tesa, si alzò e prese la parola il comandante Fecia di Cossato… improvvisamente nella sala scese il silenzio…. e si rivolse al suo superiore…
“No, signor ammiraglio,  il nostro dovere è un altro. Io non riconosco come legittimo un governo che non ha prestato giuramento al re. Pertanto non eseguirò gli ordini che mi vengono da questo governo. L’ordine è di uscire in mare domattina al comando della torpediniera Aliseo. Ebbene l’Aliseo non uscirà”.
Il pluridecorato Di Cossato dovette fare un grande sforzo interiore contravvenendo alla sua etica militare che lo aveva sempre visto rispondere alle direttive dei suoi superiori e questa volta non obbedì nei confronti di un governo che riteneva illegittimo.
Veritiero fu il giudizio di uno storico che giustificò il comportamento del comandante Di Cossatto..
Lo esigeva il suo onore di ufficiale di marina, ma soprattutto il ricordo di quegli uomini laggiù in fondo ai gelidi abissi dell’Atlantico, il cui sacrificio – ormai il di Cossato l’aveva capito – era già considerato inutile e fastidioso e che verrà presto cancellato da parte dei nuovi governanti interessati solo a collaborare coi vincitori e a far loro dimenticare i militari “fascisti” che li avevano combattuti per più di tre anni.
Una situazione non facile da gestire per il nuovo governo in presenza di una Marina che dai fasti dell’Italia monarchica- fascista, s’avviava alla visione di una nuova Italia repubblicana.
Si cercò di fare recedere il di Cossato  dalle sue idee e fu quindi convocato a palazzo Resta (?)  il 22 giugno.
Taranto – Palazzo Resta (attuale palazzo Lojucco)

La convocazione non portò a risultati positivi dato che il di Cossato rimase  nelle sue convinzioni.
CI furono anche delle minacce e, alla fine, fu arrestato con la pesante accusa di
Insubordinazione
Venne quindi posto agli arresti e  imprigionato nella fortezza.

Nella commissione, presieduta dall’ammiraglio De Courten, vennero rivolte frasi dure come macigni….
Non bisogna permettere a nessuno, nemmeno ad un ufficiale che si è fatto onore
nella guerra divenuta ora “fascista”, e pluridecorato anche dai tedeschi,
di mettere in discussione i delicati equilibri politici che si stanno formando.
Un situazione risolta solo con azioni punitive nei confronti del di Cossato?.
 Davanti ad una simile provocazione, l’arresto del Capitano di Cossato, gli uomini della base navale di Taranto si ribellarono facendo esplodere con violenza il loro malessere da troppo tempo mitigato.
Nela notte i marinai si rifiutarono di uscire con le navi.
L’indomani i muri della base navale erano pini di scritte a favore del di Cossato e chiedevano
l’immediata libertà e il reintegro nei gradi e nelle funzioni.
La situazione era grave,…. Si era ad un passo dall’ammutinamento e non solo…. Negli ambienti della Marina si allargava il malcontento.
Il comandante Carlo Fecia di Cossato venne liberato, ma doveva considerarsi da quel momento in licenza, fino a nuovo ordine.
Per quel governo di lestofanti, incapaci di leggere nell’uomo-marinaio, era come condannare a morte un uomo che aveva sempre fatto con onore il suo dovere nei confronti dello Stato….
Se non si può colpire alla luce del sole quel mito vivente, lo si metterà nel dimenticatoio.
Carlo Fecia di Cossato fu quindi costretto a lasciare la base navale di Taranto e partire per Napoli dove troverà ospitalità a Villa Pavoncelli, dal suo vecchio e caro amico Ettore Filo Della Torre, anche lui ufficiale di Marina.
Villa Pavoncelli – Via Posillipo.

Napoli – Achille Mauri – Posillipo – Panoramica dallo Scoglio di Frisio, oggi Villa Pavoncelli, con in primo piano Palazzo Donn’Anna e il Bagno Sirena, foto 1875 ca.
http://napolicapitalediunregno.altervista.org/category/villa-pavoncelli/

Contrammiraglio Ettore Filo della Torre 
Cina, concessione italiana di TienTsin

Anche a Napoli il di Cossato non riuscì a riprendersi. L’ambiente certamente non lo aiutò.
Era una città disperata, teatro di diverse lingue e razze, con contraddizioni violente che la rendevano,
giorno dopo giorno, un mercato nero a cielo aperto. Una Napoli fedele al re che si sentiva tradita dal
nuovo governo.
Il di Cossato non riuscendo a trovare nuovi stimoli di vita, il suo animo si fece sempre più cupo. I
valori per cui aveva creduto e combattuto erano ormai scomparsi. Era oggetto d’invidia…le voci
creavano attorno a lui il fango.. qualche ufficiale addirittura chiese che
Gli fosse impedito di entrare nel Circolo degli Ufficiali della Marina.
Rispondendo alla sua fede monarchica chiese più volte un incontro con Umberto di Savoia, anche
lui ormai in bilico….
Ma i cortigiani non informarono il sovrano della richiesta o addirittura lo informarono che riceverlo
sarebbe stato non corretto dal punto di vista politico (?) o pericoloso.
Per il “Corsaro dell’Atlantico” il suo mondo  era sempre più avvolto dalla solitudine.
La solitudine è una delle più spietate malattie e se non hanno degli stimoli di vita è difficile riuscirea
superarla.
Ad aggravare il suo aspetto psichico nacque la consapevolezza, peraltro sbagliata, di sentirsi in colpa
per la morte dei suoi marinai del sommergibile Tazzoli.
In questa visione di colpa, piano piano si convinse che era necessario  dare una testimonianza a
quegli uomini che giacevano in fondo all’Oceano.. come ?  Con la propria vita…. Il suicidio?
Questo terribile pensiero venne meditato a lungo e riuscirà a raggiungerlo dopo un lungo travaglio
interiore….lasciava la madre…..
Scrisse una lettera -testamento di commiato, datata 21 agosto 1944, appena una settimana prima del
suicidio.
A Napoli nella notte tra il 27 e il 28 agosto 1944...
                                                       Il Capitano di Fregata della Regia Marina Italiana,
                                                                  il conte Carlo Fecia di Cossato,
                                                          si spara un colpo mortale alla tempia.
Al suo caro amico Ettore Filo della Torre, lasciò un biglietto di scuse  che terminava con una frase
che dovrebbe fare riflettere e tanto…..
                                           “…non sono un suicida. Sono un caduto sul campo”.
Tutti i marinai gli resero omaggio. Il suo corpo fu avvolto nel tricolore e fu seppellito, con tutti gli
onori, nel cimitero di Poggioreale.
Umberto di Savoia, che non aveva voluto o potuto riceverlo, ne curerà a proprio spese, il
trasferimento del corpo nella città di Bologna. (Cimitero “La Certosa”).
Venne diffusa la lettera-testamento del comandate di Cossato che sembrava un vero atto d’accusa, a
futura memoria, soprattutto contro chi aveva consegnato la flotta nelle mani dell’ex nemico.

Napoli, 21 agosto 1944
Mamma carissima,
quando riceverai questa mia lettera saranno successi fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e
di cui sarò il diretto responsabile. Non pensare che io abbia commesso quel che ho commesso in
un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuravo. Da nove mesi ho soltanto
pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della
Marina, resa a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine del Re,
che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il
baluardo della Monarchia al momento della pace. Tu conosci che cosa succede ora in Italia e
capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile
senza alcun risultato. Da questa triste constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un
disgusto per chi mi circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso. Da
mesi, Mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo alla
vita. Da mesi penso ai miei marinai del «Tazzoli» che sono onorevolmente in fondo al mare e
penso che il mio posto è più con loro che con i traditori e i ladruncoli che ci circondano. Spero,
Mamma, che tu mi capirai e che, anche nell’immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine
ingloriosa, saprai sempre capire la nobiltà dei motivi che la guida. Tu credi in Dio, ma se c’è un
Dionon è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta
contro la bassezza dell’ora. Per questo, Mamma, credo che ci rivedremo un giorno. Abbraccia
papà e le sorelle e a te, Mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato. In questo momento mi
sento molto vicino a tutti voi e sono certo che non mi condannerete. Charlot

La versione ufficiale del “Governo” sul suicidio fu decisamente odiosa .. ipocrita… falsa come
consuetudine di chi governa.
Versione ufficiale che fu pubblicata sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” di Bari del 31 agosto 1944..

“Il  suicidio  in  fortezza  di  Carlo  Fecia  di  Cossato.
Roma,  30  agosto.
Il  Conte  Carlo  Fecia  Di  Cossato,  uno  dei  più  noti  comandanti  di  sommergibili,  si  è  
suicidato  due  giorni  fa  a  Napoli.  Dopo  la  liberazione  di  Roma,  il  comandante  Fecia  
Di  Cossato  
chiese  di  essere  esonerato  dal  comando  perché  il  nuovo  Gabinetto  Bonomi  aveva  rifiutato  
giurare  nelle  mani  del  Re.  Poiché,  intanto,  questo  suo  gesto  rappresentava  un  atto  di  
insubordinazione  in  tempo  di  guerra,  il  comandante  Di  Cossato  fu  condannato  a  tre  mesi
arresto in  una  fortezza  di  Napoli,  dove  metteva  fine  alla  propria  vita”.

Secondo il “Governo” il suicidio era una diretta conseguenza della carcerazione, subita a seguito
di un comportamento infamante quale l’insubordinazione in tempo di guerra, pari quasi ad una
diserzione in faccia al nemico.
Un suicidio per vergogna. Si cercò in maniera ignobile, di demolire la figura del comandante di
Cossato, cercando di cancellare la sua figura da qualsiasi ricordo o commemorazione… in poche
parole… dimenticato da tutti.
Non certo da quelli che lo avevano conosciuto in vita… e che purtroppo con il tempo… sono
scomparsi…
Aveva 36 anni quando si suicidò e, per ironia della sorte, negli anni ’70, a circa 35 anni dalla sua
morte, la Marina Militare Italiana decise
di ricordarsi di uno dei suoi figli più gloriosi ed amati, intitolando uno dei più moderni sommergibili
al capitano di fregata, medaglia d’oro al valore militare Carlo Fecia di Cossato, l’asso dei
sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale.

Il conte Carlo Fecia di Cossato in plancia durante la navigazione.
https://dasandere.it/wp-content/uploads/2016/10/ddddddddddddddddddddd.jpg

Anno 1942 – il conte Carlo Fecia di Cossato, comandante del regio stato maggiore generale “Tazzoli” e il tenente di vascello Gazzana Priaroggia, comandante in seconda del “Tazzoli”, in coperta in occasione dell’incontro in Atlantico con altro sommergibile italiano.




Il 23 marzo 1943, in prima pagina la notizia dell'assegnazione a Fecia di Cossato della Croce di Ferro, consegnata dall'ammiraglio Doenitz 

Il Regio Sommergibile Enrico Tazzoli, del comandante Carlo Fecia di Cossato, apparteneva alla
classe “Calvi” dei sommergibili di grande crociera. Presentava una caratteristica poppa squadrata
diversa dalle altre due unità (Finzi e  Calvi)  per permettere anche la posa di mine.
Fu impostato nei cantieri O.T.O. di La Spezia il 6 Settembre 1932, varato il 13 Ottobre del 1935 ed
entrò in servizio 18 Aprile del 1936.

I tre sommergibili della Classe "Calvi": TAZZOLI (si nota la poppa squadrata),
CALVI e FINZI in darsena a Muggiano

Dopo innumerevoli imprese il Tazzoli l’1 Febbraio 1943 rientrò nella base di Betasom.


12 dicembre 1942 - Il capitano Fecia di Cossato si commiata dall'ufficiale del piroscafo olandese Ombilin, affondato giorni prima.

Il sommergibile TAZZOLI rientra a Betasom nel 1941
con 5 bandierine di navi affondate


La tabella evidenzia i successi dei sommergibili italiani che operarono nell’Oceano Atlantico in un arco di tempo che andava dal giugno 1940 al settembre 1943.

Il sommergibile “Tazzoli” del comandante Carlo Fecia di Cossato fu quello che operò il maggior numero di affondamenti di navi, ben 18.
Eppure il suo comandante si prese i rimproveri della Regia Marina Italiana per
Consumo eccessivo di siluri

SUPERMARINA 6 luglio 1941.
AL BETASOM
e, per conoscenza:
AL MARICOSOM
ARGOMENTO: Esame dei rapporti delle missioni compiute dai sommergibili in Atlantico dal 5 marzo al 30 maggio.
SEGRETO- RISERVATO PERSONALE
.
1- Sono stati presi in esame i rapporti delle missioni di guerra compiute dai sommergibili GIULIANI- FINZI- GLAUCO- DA VINCI- CALVI- TAZZOLI- BARACCA- DANDOLO- CAPPELLINI- TORELLI- MALASPINA- MOROSINI- OTARIA- BIANCHI- BARBARIGO nel periodo compreso fra il 5 marzo ed il 30 maggio 1941.
omissis .....................
Sommergibile TAZZOLI (zone focali dei traffici davanti a Gibilterra, e Capo Verde, Freetown e sulle direttrici Capo di Buona Speranza- Freetown e America del Sud- Freetown: 6 aprile- 23 maggio)
Pur riconoscendo le qualita' di tenacia e di aggressivita' dimostrate dal Comandante Di Cossato nel corso della missione, si rileva l'impiego poco giudizioso e poco economico da lui fatto delle sue armi, il quale ha portato ad un consumo eccessivo di siluri, che avrebbe potuto essere evitato senza compromettere la sicura distruzione delle unita' nemiche, ed ha conseguentemente impedito una ulteriore attivita' offensiva del sommergibile.
In relazione ai risultati concreti ottenuti, si prendono in considerazione le proposte di ricompense al valor militare avanzate da codesto Comando.
omissis .................................
4- Si deve rilevare che l'impiego di 14 sommergibili, dislocati in corrispondenza dei piu' importanti nodi di traffico atlantico, ha portato, nel corso di tre mesi di attivita', all'affondamneto di sole 33.000 tsl di naviglio mercantile e probabilmente di un incrociatore ausiliario di grosso tonnellaggio.
Questi risultati non possono giudicarsi molto soddisfacenti sia in senso assoluto, sia nella relativita' con i risultati ottenuti in altri periodi, ma non si dubita che per il maggior allenamento conseguito progressivamente da ufficiali ed equipaggi, i risultati dei prossimi mesi premieranno l'intero lavoro fatto da tutti con fede e spirito di sacrificio altamente encomiabili.
IL CAPO DI STATO MAGGIORE
F/to Arturo Riccardi

Atlantico - Febbraio 1943 - Gli uomini del TAZZOLI - Restano loro solo tre mesi di vita.
L’1 Febbraio il “Tazzoli” rientrò a Betasom.
La Regia Marina decise di adibire il sommergibile come trasporto speciale per l'estremo oriente.
 Il sommergibile venne quindi disarmato e il comando passò al C.C. Giuseppe Gaito.
Il 16 maggio del 1943 partì da Betasom diretto a Singapore per la sua prima missione di trasporto, ma il 24 non si mise in contatto con la base come era stabilito e scomparve in Atlantico. Non si avrà mai più alcuna notizia sulla fine del Tazzoli e dei 52 uomini del suo equipaggio:
Cap.Corv. Giuseppe GAITO, Comandante - Cap.GN Giuseppe D’OTTONE, Direttore di Macchina - S.Ten.Vasc. Giovanni SALOMONE, Ufficiale in 2^ - S.Ten.Vasc. Giuseppe TACCANI - Ten.GN Giuseppe CENTELLI - Asp. Guardiamarina Augusto PALOMMARI - C°1^cl. Giuseppe PIGNATELLI - C°1^cl. Emilio ZITO - C°2^cl. Tommaso MOLINARI - C°2^cl. Bernardo PESA - C°3^cl. Arnaldo GALLO - C°3^cl. Alberto GIACHERO - C°3^cl. Mario POLLINI - 2°C° Giovanni BOERO - 2°C° Guerrino FORNASARI - 2°C° Angelo GUTTILLA - 2°C° Mario LEONI - 2°C° Antonio SCHIROSI - Sgt. Giuseppe BIANCUCCI - Sgt. Antonino BUSCEMI - Sgt. Costantino CECCONI - Sgt. Italo COVINI - Sgt. Mario DE ANGELI - Sgt. Salvatore ENEA - Sgt. Giovanni RUGOLON - Sgt. Luigi TONIOLO - Sc. Ettore BRIOSCHI - Sc. Antonio CASTIELLO - Sc. Giovanni GIANNI - Sc. Antonino GUARDO - Sc. Stanislao LEMUT - Sc. Eliseo LIUT - Sc. Giovanni MARCHESE - Sc. Mario MAREGA - Sc. Antonio MARGARITO - Sc. Luigi MARTINO - Sc. Pietro MOGAVERO - Sc. Carmelo MOSICO - Sc. Santo MUSICO - Sc. Giuseppe NACCARI - Sc. Giovanni SLAVICH - Sc. Antonio VISICARO - Sc. Michele ZINGARELLO - Com. Giulio BARATTELLI - Com. Gino BIGNAMI - Com. Celestino FUSETTI - Com. Antonio PERINI - Com. Olivio PEZZA - Com. Bruno SANTARELLI - Com. Olindo SCURIN - Com. Mario SENNA - Com. Ermes VANGO
 
……………………………………………………….

ALCUNI MOMENTI VI TA DEL Capitano di Corvetta Carlo Fecia di Cossato
In una notte di marzo del 1943, a La Spezia, il tenente Luciano Barca,  sorpreso in libera uscita, da un intenso bombardamento inglese,  correva verso il porto cercando di  raggiungere il suo sommergibile.
Nel  buio rotto solo dalle fiamme delle esplosioni, all’angolo di via Garibaldi con corso Cavour, va quasi a scontrarsi col capitano Fecia di Cossato, che, dopo averlo squadrato, gli disse:
Il bombardamento non è motivo sufficiente perché un ufficiale di marina debba
correre in questo modo”.
Il tenente rispose con affanno che
l’Ambra era stato colpito e doveva correre a bordo.
Fecia di Cossato gli rispose:
Va bene, ... mi scusi. Ma in ogni caso si abbottoni la giacca”.
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Nei primi giorni di maggio del 1944 l’Aliseo, che si trovava nel porto di Taranto, uscì dal mar Piccolo per una missione di pattugliamento.
Il comandante Fecia di Cossato, dopo aver guidato la nave fuori dal porto, aveva ceduto come di consuetudine,  il comando all’ufficiale di guardia che, quella mattina, era Il tenente Emilio Rosini appena imbarcato sull’Aliseo.
Sull’Aliseo l’ufficiale in comando di guardia  stava, durante la navigazione, in controplancia, cioè all’aperto, da dove si poteva meglio avvertire tutto ciò che avveniva intorno alla nave, anziché al chiuso in plancia. Questa era la norma della marina inglese, mentre in quella italiana veniva osservata solo  sull’Aliseo di Fecia di Cossato.
Mentre l’Aliseo proseguiva  verso il largo, il tenente Rosini  era un po’ distratto e non si accorse che la rotta di uscita stava per sfiorare pericolosamente l’estremità sommersa della  diga foranea.
 Si sentì attraverso il tubo interfonico, la voce pacata di Fecia di Cossato:  
Signor Rosini, se fossi al suo posto, accosterei di qualche grado a dritta”.

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Carico di un siluro

COMANDO SUPERIORE DELLE FORZE SUBACQUEE ITALIANE IN ATLANTICO 
- 29-10-1940
Sommergibile TAZZOLI:
La missione dal 1 ottobre al 24 ottobre:
 .
 1) Il giorno 5 ottobre alle 01.45, al largo di Capo de Gata, incontra un piroscafo oscurato e manovra per "evitarlo" e cinque minuti dopo una unita' che giudica di scorta a detto piroscafo: si immerge ed emerge alle 03.00 e quindi, alle 06.00, si immerge nuovamente per effettuare navigazione occulta e dopo un'ora e mezza ode degli scoppi di 5 bombe che, dato il tempo intercorso, e' poco probabile possano essere messi in relazione con l'avvistamento del piroscafo oscurato.
Si deve osservare che se e' vero che l'ordine di operazione stabiliva per il TAZZOLI compito offensivo:  “ In Atlantico contro il traffico e contro unita' da guerra; In Mediterraneo contro importanti unita' da guerra nemiche incontrate lungo la sua rotta”, cio' non puo' esimere il Comandante di tale unita' subacquea dall'approffitare di una occasione favorevole per attaccare un piroscafo sicuramente nemico incontrato esattamente sulla sua rotta, anzi, ad obbligarlo addirittura ad manovrare per evitare la collisione.
Un simile atteggiamento negativo non puo' essere giustificato.

2) L' 11 ottobre all'alba (ore 08.00) avvista il convoglio per attaccare il quale era stato dislocato al largo di Capo San Vincenzo. Inizia la manovra di avvicinamento in superficie, ma, quando si accorge di un C.T., e forse un incrociatore ausiliario di scorta, dirigono su di lui, si immerge pur non avendo il nemico compiuta alcuna azione offensiva verso il sommergibile, resta tutto il giorno immerso in profondita' senza vedere ne' sentire niente. Il Comandante adduce a sua giustificazione che il mare grosso non permetteva di tenere la quota periscopica neanche in modo grossolano e che gli idrofoni erano sordi.
A prescindere dal fatto che i bollettini metereologici in possesso di questo Comando indicano che l'11 vi era nella zona del TAZZOLI mare forza 5 (in media), non si puo' ammettere che un sommergibile, inviato in una determinata zona per attaccare, segnalare e seguire un importante convoglio, alla prima manifestazione supposta offensiva del nemico, che peraltro non attacca ne' con bombe ne' con le artiglierie, si immerga e resti volontariamente per ben sette ore in condizioni da non vedere e non sentire.
Puo' anche essere messo in dubbio l'avvistamento del sommegibile da parte del C.T. e del piroscafo data l'ora mattutina e la posizione relativa (il sommergibile a ponente del convoglio).
Il Comandante non aveva alcuna ragione per supporre che il C.T. avvistato restasse sopra di lui per sette ore senza compiere alcuna azione e neppure poteva supporre di essere cacciato da aerei nemici perche', nonostante la perdita di nafta segnalata nel rapporto e che doveva sicuramente denunciarne la presenza ad aerei specie in giornata di mare agitato, non gli era stata lanciata neppure una bomba.
Se si puo' ammettere che il sommergibile si era immerso appena avvistato il C.T. per evitare di essere scoperto, non si puo' giustificare in alcun modo l'aver prolungato cosi' a lungo tale immersione senza fare alcun tentativo per perfezionare la scoperta, per seguire il convoglio ed infine per attaccarlo come gli era stato tassativamente ordinato.
Tale condotta dimostra non solo che il Comandante non possiede alcun spirito offensivo, ma che non si e' attenuto ad un esplicito ordine ricevuto. La ricerca tentata dopo sette ore di immersione e' riuscita infruttuosa, e ben difficilmente il risultato avrebbe potuto essere diverso.

3) Il 12 ottobre attacca col cannone ed infine lancia un siluro contro il piroscafo juglosavo ORAO, disarmato, che all'avvistamento del sommergibile aveva chiesto soccorso a Gibilterra. Pero' abbandona la zona prima che il piroscafo sia affondato non appena vede spuntare il fumo di un altro piroscafo, forse armato, che accorre in soccorso dell'ORAO.
Dal rapporto di navigazione risulta che mentre in un primo tempo il TAZZOLI aveva avuto l'idea di ritornare nella zona il mattino successivo per attaccare le unita' inviate in soccorso dell'ORAO, ha pero' rinunciato a tale logico progetto avendo ricevuto l'ordine di raggiungere la zona prevista dall'ordine di operazione.
Anche tale mancanza di iniziativa non e' giustificabile perche' il Comandante sapeva che questo Comandi di Gruppo, nell'ordinargli di raggiungere la sua zona, non era al corrente della situazione creatasi dall'attacco dell'ORAO di cui non era a conoscenza.

4) Il 22 ottobre mentre si avvicinava al punto di atterraggio e' fatto segno a colpi di cannone provenienti dal largo dove l'orizzonte e' oscurato da un piovasco. Anche in questa occasione pur avendo le proprie artiglierie pronte ed in perfetta efficienza si immerge senza effettuare alcuna ricerca e senza cercare di reagire offensivamente.

Concludendo: nella condotta della missione il Comandante del TAZZOLI capitano di corvetta Raccanelli, ha dimostrato deficienza di aggressivita', mancanza di iniziativa e preoccupazione eccessiva ed ingiustificata della visibilita' del sommergibile.
Propongo che al capitano di corvetta Raccanelli venga tolto il Comando di sommergibile ed assegnata altra destinazione non in Comando
IL CONTRAMMIRAGLIO Comandante Superiore  - F/to (Angelo Parona)

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MARICOSOM - 4 -12 -1940
AL BETASOM e, per conoscenza AL SUPERMARINA
ARGOMENTO : Esame dei rapporti di missione compiute dai sommergibili nell'Atlantico dal 22 settembre al 5 novembre.
SEGRETO
1) Sono stati presi in esame i rapporti delle missioni di guerra compiute dai sommergibili DA VINCI- OTARIA- GLAUCO- VENIERO- NANI- CAPPELLINI- TAZZOLI- CALVI- ARGO nel periodo compreso fra il 22 settembre ed il 5 novembre, e le osservazioni che l'esame dei rapporti stessi ha suggerito a codesto Comando
3) Zona ravvicinata atlantica
Sommergibile TAZZOLI (1 ottobre- 24 ottobre)
Anche nel caso del Tazzoli si e' ravvisata nel comportamento del Comandante dell'unita' la deficienza di iniziativa, messa in rilievo da codesto Comando, disponendo conseguentemente per la sua destituzione.
L’ AMMIRAGLIO DI SQUADRA  - Sottocapo di Stato Maggiore  F/to (E. Somigli)
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SUPERMARINA - 8 marzo 1941
AL BETASOM e, per conoscenza  AL MARICOSOM
ARGOMENTO: Esame dei rapporti delle missioni compiute dai sommergibili in Atlantico dal 24 novembre 1940 al 24 gennaio 1941
SEGRETO - RISERVATO PERSONALE
1- Sono stati presi in esame i rapporti delle missioni di guerra compiute dai sommergibili MOCENIGO- VELELLA- CALVI- EMO- VENIERO- BAGNOLINI- GLAUCO- TAZZOLI- DA VINCI- MARCELLO nel periodo compreso fra il 24 novembre 1940 e il 24 gennaio 1941, e le osservazioni che l'esame dei rapporti stessi ha suggerito a codesto Comando.
Sommergibile TAZZOLI (10 dicembre- 18 gennaio)
Le avverse condizioni del mare hanno sensibilmente ridotto le possibilita' di azione del sommergibile in occasione dei numerosi avvistamenti compiuti. In relazione alla buona condotta dell'azione contro il piroscafo ARDANBAHN ed al successo che l'ha coronata si giudica equo assegnare al Comandante dell'unita' una ricompensa al Valor Militare.
IL CAPO SI STATO MAGGIORE - F/to Campioni
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Atlantico 1941 - Alcuni membri dell'equipaggio del Tazzoli in navigazione
https://piombino-storia.blogspot.com/2010/09/capitano-carlo-fecia-di-cossato.html

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Il Volantino contro l’Armistizio


La Stampa sull’Armistizio

https://www.istoreco.re.it/wp-content/uploads/2017/07/8-settembre.jpg

ANNO 1943
Quanta ambiguità e impudicizia, nello stesso giorno e nella stessa pagina. Possibile che nessuno se ne rese conto? Incredibile ma vero! E cosa capirono gli Italiani?
Mentre usciva il mattino del 9 questo giornale, tutto lo Stato Maggiore e il RE erano in fuga.
NELLA STESSA PAGINA, SI PARLA DI ARMISTIZIO (CHE ERA POI UNA RESA INCONDIZIONATA E NON UNA SOSPENSIONE) E POI SI PARLA DI "FORMAZIONI AVVERSARIE",  "ABBATTUTI DALLA CACCIA ITALO-TEDESCA",  "REPARTI ITALIANI E GERMANICI HANNO RITARDATO L'AVANZATA DELLE TRUPPE BRITANNICHE".
UN ITALIANO IN ARMI COSA POTEVA CAPIRE SULLA STESSA
 PAGINA DI GIORNALE ?
CON CHI GLI ITALIANI DOVEVANO "REAGIRE" ?
GOLDONIANO ANCHE L'ARTICOLO A FIANCO; PARLA DI "CONCRETO"!
PIU' IRREALE DI COSI'!
è la pagina più assurda e falsa della storia d'Italia!

Inoltre il testo diramato da Eisenhower nel mondo era ben diverso 
da quello di un "Armistizio"
" The Italian Government has surrendered its Armed Forces unconditionally"
"Il Governo italiano ha dato ordine alle sue forze armate di arrendersi senza condizioni"
Non parla di alzare le classiche mani, o solo di cessare il fuoco
ma parla di consegnare armi, navi e aerei!
Se poi qualcuno sbagliava a comperare il giornale, i dubbi erano tanti; gli ALLEATI chi erano, quelli che sbarcavano in Calabria, quelli che bombardavano Frascati ancora
 l'8 settembre oppure gli altri?

Nel bollettino N. 1197, appariva chiaro chi era il nemico

Forse con la firma dell’armistizio Badoglio acquistò una nuova figura agli occhi delle Nazioni Unite, sebbene considerata dai più ambigua e sgradevole.
Il “Times” il 9 settembre nell’annunciare “The surrender of Italy” concludeva però il suo reportage…….
“Prostrato sotto una successione di colpi che nell’ultima fase aveva quasi cessato di parare, il governo italiano si è consegnato alla mercé dei suoi conquistatori. Così l’Italia paga in vergogna il prezzo dell’arroganza dei suoi ultimi padroni: una penalità che è anche dovuta . . . da un popolo che fece per viltà il gran rifiuto, scelse di disertare le alte responsabilità della libertà. . . La politica della dichiarazione di Casablanca è stata mantenuta sino alla fine. La resa è incondizionata; i termini dell’armistizio non sono i risultati di un patto, ma il limite di quanto un Comandante in Capo ha trovato opportuno di prendere. . . le forze armate dell’Italia sono state battute e sottomesse sul campo di battaglia e che la resa è stata accettata dai loro comandanti. Questo è il valore della firma di Badoglio, a traverso i suoi rappresentanti: ciò che in nessun modo implica il riconoscimento alleato del governo stesso”.
Quindi, durissimo il giudizio dell’opinione pubblica britannica……

Come Reagirono gli Italiani?
Dopo la diffusione del proclama  di Badoglio sull’armistizio, la fuga del Re, del principe ereditario Umberto e dello stesso Badoglio, in Italia si vissero momenti di gran confusione soprattutto dall’esercito che di fatto era abbandonato a se stesso.
Badoglio e il Re parlarono di tenere fede all’armistizio e sconfessarono qualsiasi governo che  fosse sorto sotto la protezione tedesca.
Cosa significava questo?
Qualsiasi parte dell’Italia  occupata dagli eserciti tedeschi era di fatto occupata da un esercito invasore e non più alleato.
La resistenza italiana in questo modo riceveva lo status di legalità.
Il governo era stato occupato ad arrestare Benito Mussolini, i suoi principali collaboratori fascisti e tutti i sospettati di aver commesso crimini di guerra per consegnarli alle Forze delle Nazioni Unite.
Gli eventi storici non seguirono in modo perfetto quelli che erano gli obiettivi prefissati.
Mussolini forse aveva già deciso di staccarsi da Hitler e dal relativo Patto d’Alleanza ma i tradimenti di alcuni personaggi, da lui ritenuti fedeli, lo portarono alla destituzione, all’arresto, alla prigionia seguita dalla sfortuna liberazione.
Sfortunata librazione perché l’acquisita libertà lo farà cadere nella mani di Hitler che ne aveva decretato già la sua fine non solo politica.
Quell’8 settembre, figlio del 3 settembre, fu definito dai critici storici in vario modo…
Per Renzo De Felice fu..
“la morte della Patria”
Per Carlo Azelio Ciampi….
era morta di sicuro una certa idea di Patria, quella fascista,
ma ne era nata un’altra, quella democratica

Per Ennio Flaiano (1910-1972)…
Gli italiani non sono fatti per le rivoluzioni.
Gli italiani vogliono la rivoluzione ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri”;
“Coraggio il meglio è passato”;
“Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore”.
I cittadini di Cassibile erano ignari di ciò che era stato scritto e stabilito nel loro territorio.
Così pure erano ignari gli abitanti di Ortona che videro la fuga dei reali e del governo.
Un pescatore allora disse un’amara verità premonitrice…
“loro si son messi al sicuro e a noi chi sa che ci aspetta!”.
Nel porto di Ortona fu collocata una lapide che fu più volte trafugata (come quella di Cassibile) e
recentemente ricollocata..
“Da questo porto la notte del 9 settembre 1943 l’ultimo re d’Italia fuggì con la corte e con Badoglio consegnando la martoriata patria alla tedesca rabbia. Ortona repubblicana dalle sue macerie e dalle sue ferite grida eterna maledizione alla monarchia dei tradimenti del fascismo e della rovina d’Italia anelando giustizia dal popolo e dalla storia nel nome santo di repubblica.”
Cassibile è una cittadina in provincia di Siracusa, patria di Archimede e definita giustamente da
Cicerone
“più grande e la più bella città greca”.
Cassibile ha delle testimonianze archeologiche (necropoli) che abbracciano un ampio arco storico
che va dalla preistoria sino all’epoca bizantina), naturalistica (cava Grande del Cassibile con i suoi
spettacolari laghetti che emanano un aspetto mitologico e le spiagge dorate).
Il territorio di Cassibile era già stato in passato un luogo di pace. Proprio a Cassibile il famoso
generale ateniese Demostene si arrese all’esercito siracusano… un fatto avvenuto nel IV secolo a.C.
Due luoghi, Cassibile ed Ortona, distanti ma legati da quei due fatidici giorni, 3 ed 8 settembre1943.
Come ricordare quei giorni?
Come dare una risposta?
Un dato è certo…
La storia con i suoi avvenimenti non si distrugge
Già .. quella stori a cui tutti dovremmo guardare per assimilare insegnamenti, comportamenti ma
che purtroppo….
Non ci ha insegnato nulla..
Di quel giorno sono ancora lì a testimoniare gli eventi, oltre al fortilizio di San Michele ed alla
lapide collocata nell’ex uliveto “Le Vignazze”, oggi scomparso per dare spazio ad un seminativo, la
chiesa di San Giuseppe (del 1870) e la serie di caseggiati bassi del marchese Gutkowski che,
prospettando lungo l’asse principale del paese, videro gli Alleati in marcia.
Due donne, madre e figlia, videro nel 1952 sul quotidiano “La Sicilia” la foto del generale Dwight
D. Eisenhower. Riconobbero in lui l’uomo che pregava con devozione nella chiesa di San Giuseppe.
Era il 4 settembre 1943 e il generale Eisenhower fu forse uno dei generali più corretti che operarono
in Sicilia. Sarà il futuro Presidente degli USA.




General Dwight D. Eisenhower 1945 by Warnecke and Cranston

Dov’era posta la grande tenda della mensa dello Stato Maggiore (in cui fu firmato l’armistizio), nel fortilizio di San Michele, fu collocata una lapide a ricordo dell’avvenimento.



Per molti anni il luogo in cui avvenne la firma dell’armistizio fu avvolto dall’incertezza.
Furono indicati dei luoghi che non corrispondevano alla realtà storica.
Spesso si fece confusione tra la lapide del Fondo San Michele (dove fu firmato l’armistizio) e quella
posta su un cascinale abbandonato di proprietà della Marchesa di Cassibile, posto sulla SS115  tra
Cassibile ed Avola. Anche questa lapide fu distrutta da vandali rimasti ignoti.
Sulla lapide, in lingua inglese ed italiano, era riportato…
“CASSIBILE – IN QUESTA CONTRADA – 10.7.1943 – SBARCO DEGLI ALLEATI –
8.9.1943 – FIRMA DELL’ARMISTIZIO”.





Per molto tempo si credette che quella lapide testimoniasse il luogo d’incontro tra le autorità
americane e quelle italiane per la firma dell’armistizio.
Sono dopo attente ricerche si riuscì a stabilire come l’armistizio sia stato firmato nel fondo San
Michele di proprietà della famiglia Grande.
Il ritrovamento della lapide, chiamata dai cassibilesi “a petra ‘ra paci” testimoniò la tesi.

Importante fu la testimonianza, per la precisa identificazione del luogo, della Sig.ra Graziella
Calvagno. La sig.ra Calvagno, che all’epoca aveva sei anni, viveva proprio in contrada San Michele
e una foto, scattata nel 1959, indicherebbe la precisa posizione della lapide che ricordava la firma
dell’armistizio. Nella foto, in basso a destra, si notavano i tetti della masseria-fortilizio San Michele.


L’accampamento americano si trovava quindi in contrada San Michele ed era vicino all’importante
e piccolo aeroporto di Torre Cuba.
La masseria San Michele presentava una recinzione muraria e appena uscito dal portone d’ingresso,
posto nel lato Sud, dopo un centinaio di metri circa si giungeva al primo accampamento. Un
accampamento costituito da decine di tende, alcune monoposto ed altre più gradi. Naturalmente
erano coperte anche da teli mimetici e nascoste tra le piante d’ulivo. Ai tempi erano presente un
vasto uliveto. Un’altra signora, sempre di Cassibile, racconto come in quei tempi si recava presso
l’accampamento per vendere le verdure ai soldati americani.
La tenda più grande era quella destinata a Mensa che veniva usata per le riunioni come
testimonierebbe la foto che ritrae la firma dell’armistizio. Era presente un tavolo, come si vede
nella foto, che forse si trova ancora oggi nella fattoria. Sarebbe presente anche un altro piccolo
tavolo sul quale gli americani misero delle firme e che fu un regalo ai proprietari De Grandi.
Dietro la tenda della mensa c’era un’altra grande tenda che era adibita a cucina. La piccola
Calvagno entrava spesso in questa tenda e saliva spesso su un piccolo aereo biposto che era
posteggiato proprio vicino alla tenda e coperto anch’esso da teli mimetici.
L’accampamento fu più volte bombardato ma fu sempre ben difeso dalla forte contraerea
angloamericana. Un aereo tedesco una volta fu colpito e il pilota tedesco si lanciò con il paracadute
e fu catturato.
Sempre secondo la testimonianza della Sig.ra Calvagno, fu il cuoco a creare la lapide e le quattro
piccole colonnine che la circondarono. La lapide fu posta proprio nel punto preciso in cui si trovava
la tenda della mensa.
Un’iniziativa importante quella del cuoco, condivisa dagli ufficiali angloamericani, per dare una
memoria storica a quel luogo che avrebbe portato i visitatori alla riflessione.


Non so se il cuoco - artista riuscì a ritornare in patria ma certo non poteva immaginare che, dopo
poco tempo, quella lapide sarebbe scomparsa perdendo la sua importante funzione storica di verità.
Una testimonianza storica che avrebbe attirato tanti turisti desiderosi di conoscenza. In Normandia
il punto di barco degli Alleati è ormai una meta consolidata di visitatori eppure a Cassibile ci fu i
primo sbarco degli Alleati in Europa e forse fu anche uno dei più estesi.
Nei documenti e foto dell’epoca gli angloamericani chiamavano il sito semplicemente con il
termine di Cassibile così come la vicina zona di Torre Cuba dov’era presente un’importante pista
d’atterraggio. Probabilmente per non svelare il sito della base operativa visto che nel 1943 la guerra
era ancora in pieno svolgimento.

La "Pietra della Pace" - Cassibile (Siracusa) - La firma posta a ricordo dell'Armistizio di Cassibile - Donata dallo Stato Maggiore di Eisenhower alla baronessa Aline Grande


La tenda della mensa dove fu firmato l’armistizio.
Attraverso l’entrata della tenda, si nota la presenza di un uliveto oggi scomparso.

La lapide prese il nome di “Pietra della Pace” ma venne trafugata il 4 giugno 1955.
“La Pietra della Pace” ha quindi una sua storia che non fu legata solo agli eventi militari del tempo.
La sua storia coinvolse anche il giornalista Gino De Sanctis che riportò la sua esperienza sul
quotidiano “Il Messaggero” (edizione 1948), nell’aver trovato, con l’aiuto di un contadino del
posto, la lapide dell’armistizio che giaceva ai piedi di un grosso ulivo.
Nell’oliveto c’era la "petra de la pace" e l’ingegnere Grande, il proprietario, un riccone feudatario, aveva raccomandato più volte a Bartolomeo Ficili, il nostro ometto, che la pietra la voleva vedere dritta e non coricata.[…] Grande non avrebbe saputo ritrovare da solo la pietra delle “Vignazze” (Era il nome della chiudenza in cui venne firmato l’armistizio).. Anche Bartolomeo era molto incerto: si fermava, si guardava attorno fra i 8 filari. La "petra" era coricata ai piedi di un grosso ulivo, mezza coperta di terra. La facemmo sollevare […] e così siamo rimasti pochi momenti fermi a contemplare la pietra delle “Vignazze” donde ha avuto inizio una novella istoria. Se non fosse stato per il soldato americano, chissà uno studente di Harward o un cow-boy del Texas, nessuno avrebbe saputo rintracciare il vecchio olivo ai piedi del quale si aprì al nostro generale la tenda del Comando americano ».
In seguito l’ingegnere Grande, per conferire a questo luogo la meritata importanza, fece fissare la
lapide sotto l’albero con quattro paletti intorno.
Liliana Sinatra Grance ricorda:
Raccontava mia nonna, Aline Grande, che gli americani vollero lasciare
alla mia famiglia quella lapide.
Il cuoco di Eisenhower, il soldato Johnny, nel congedarsi lasciò una lettera con queste parole:
Nell’esservi grati per l’ospitalità, vi lasciamo questa lapide che farà la fortuna della vostra famiglia perché sarà motivo di pellegrinaggio di tutti i nostri parenti che vorranno vedere in futuro il posto dove firmammo la pace con l’Italia.
Il 4 giugno 1955 la lapide fu trafugata.
Il furto fu denunciato, ci furono le indagini della polizia ed anche del consolato inglese e dell’Intelligence Service.
Il 4 ottobre 1955 il misterioso furto trovò una risposta.
Il giornalista Enrico De Boccard in una lettera inviata al direttore della rivista “Il Merlo Giallo”, d’ispirazione fascista, si attribuì la paternità del furto..
Fui indotto ad asportare il cippo per motivi patriottici. Tale cippo infatti fu eretto dagli americani per eternare la loro impresa nel luogo in cui essi imposero all’Italia l’armistizio/capitolazione. Tale lapide pertanto, a mio parere, rappresentava una offesa all’onore nazionale. Trovandomi in Sicilia constatai la possibilità di rimuovere la lapide che avrebbe dovuto poi essere solennemente infranta a Palermo nel corso di una manifestazione patriottica onde significare il definitivo ritorno dell’Italia in un clima di dignità nazionale. La lapide sorgeva su una base di cemento che riuscii a frantumare. Seppi poi che là, per un incidente di trasporto, si era spaccata in due. Non avendo avuto luogo la manifestazione di Palermo espressi il desiderio che il cippo fosse deposto dinanzi al Milite Ignoto sull’Altare della Patria,
ma non se ne fece nulla,
Ma chi era Enrico De Boccard?
Fotogramma dal film “Oggi a Berlino” (1962) di Piero Vivarelli.
Da sinistra: Enrico de Boccard, Erina Torelli e Helmut Griem.
Enrico de Boccard (Roma, 31 ottobre 1921 – Roma, 28 aprile 1988)
Giornalista, scrittore  e agente segreto.
Boccard fu noto per il romanzo “Donne e mitra” che nel 1950 prese il nuovo titolo
“Le donne non ci vogliono più bene”.. un romanzo che riviveva la dura realtà che
animò l’Italia fra l’8 settembre 1943 ed il 25 aprile 1945.
600 giorni di guerra civile in cui provvisorietà, incertezza e coraggiosi idealismi convivevano in modo contrastato e violento.
     Cinque racconti descrivevano, in un affresco impressionista a tinte crude, personaggi ed eventi di quei giorni catturati dalla memoria di Enrico de Boccard, che li visse in prima persona e li raccontò “a caldo” a tre anni dai fatti. I protagonisti, veri simboli dell’avventura disperata di chi si rese conto di aver scelto “la parte sbagliata”, con orgoglio, onore e buona fede seguirono la propria strada spesso pagando con la vita.
Il romanzo fu considerato come uno dei più rappresentativi della
“letteratura dei vinti” della seconda guerra mondiale (i reduci della Repubblica
Sociale Italiana). Boccard  fu Guardia Nazionale Repubblicana di Salò e nel dopoguerra
Militò nei Fasci d Azione Rivoluzionaria prendendo parte all’irruzione nella cabina Rai
di Monte Mario e, in quando agente del SID, contribuì alla costituzione dei Nuclei per la
difesa dello Stato, strutture paramilitari segrete legate agli ambienti di estrema destra.
Scrisse diversi testi e fu autore anche di una letteratura erotica (collaboratore fisso della
rivista “Playmen”). Altri due aspetti dell’attività del Boccard che dovrebbero fare riflettere:
-        Nel 1961 prese parte al film “ I sogni muoiono all’alba”, diretto da Indro Montanelli
                         su un testo teatrale dello stesso Montanelli;
-        Fu, inoltre, tra i pochi destinatari della lettera-testamento di Junio Valerio Borghese

Il De Boccard fu processato dal Tribunale di Siracusa. Era tra l’altro parente dei proprietari del fondo (baroni Sinatra Grande) e alla fine fu assolto. Il reato fu derubricato in danneggiamento dato che non ci fu alcuna denuncia nei suoi confronti. La lapide scomparve nel nulla forse distrutta sull’ardore di un riscatto patriottico.
Fu collocata a ricordo dell’evento una nuova lapide non nel punto originario..
Il nuovo cippo dell'armistizio inaugurato il 3 settembre 2016
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Note…

Lo sbarco degli Alleati in Sicilia fu preceduto dalla conferenza di Casablanca
Nel corso del 1942 le truppe degli Alleati avevano conquistato gran parte dell’Africa settentrionalee
cominciarono a discutere sulla strategia da adottare per levare l’Europa dal controllo dell’Asse
Roma -Berlino.
Fu quindi organizzata una riunione delle forze Alleate a Casablanca (Conferenza di Casablanca)
dove, tra il 14 ed il 24 gennaio 1943, si confrontarono:
- il presidente degli USA, Franklin Delano Roosevelt;
- il primo ministro inglese Winston Churchil;
- il francese Charles De Gaulle, leader del movimento “France Libre” (Francia libera).
Nel vertice, a carattere strettamente militare, fu assente un autorevole personaggio, Iosif Stalin che
reclinò l’invito perché impegnato nella controffensiva di Stalingrado (17 luglio 1942 – 2 febbraio
1943). Tuttavia, il leader sovietico, non mancò di far sentire la sua voce, reclamando ancora una
volta l’apertura di un secondo fronte nel continente europeo.
Fu informato della Conferenza anche leader cinese Chiang_Kai-shek.
Il generale De Gaulle all’inizio fu molto restio nel partecipare alla Conferenza e alla fine giunse a
Casablanca il 22 gennaio.
Alla riunione parteciparono anche il generale inglese Harold Alexander e il generale statunitense
Dwight Eisenhower che giunsero successivamente all’apertura della conferenza.
I leader alleati.
Da sinistra:
Il generale francese Henri Giraud; il presidente degli Stati Uniti. Franklin D. Roosevelt;
il generale francese Charles de Gaulle e il primo ministro britannico Winston Churchill.
Conferenza di Casablanca, gennaio 1943.
Un aspetto particolare nella foto.
Alla conferenza parteciparono anche Henri Giraud e Charles de Gaulle, entrambi generali dell'esercito francese, in lizza per la guida della Francia Libera. Nella foto erano separati da Roosevelt, poiché si disse che l'ostilità tra i due durante tutto l'incontro fu evidente.

La Conferenza di Casablanca si tenne all’Hotel Anfa


24 gennaio 1943 foto stampa di Churchill e Roosevelt alla Conferenza di Casablanca-
https://www.ebay.it/itm/163991221463


Stalin più volte sollecitò gli Alleati ad aprire un fronte europeo per alleggerire la pressione delle
armate tedesche in Russia. L’apertura del fonte europeo trovava concordi sia gli inglesi che gli
americani, il problema era però legato alle divergenze tra i due leader sul dove aprirlo.
Churchill dovette riordinare le proprie idee prima di affrontare la questione perché aveva delle
mire sull’area balcanica. Questo avrebbe determinato un duro scontro con Stalin che riteneva i
Balcani come propria zona d’influenza. Aprire un fronte dove erano presenti ingenti forze tedesche
non aveva senso. Era invece necessario aprire un fronte di guerra in un'altra zona per
allontanare parte delle forze tedesche dal lato orientale dell’Europa.
Si decise anche di subordinare la sconfitta del Giappone a quella della Germania, nella giusta
considerazione che il primo avrebbe opposto maggiore resistenza rispetto alla seconda ormai
all’interno di una morsa tra più opposti fronti. La Marina degli Stati Uniti era comunque in grado
di garantire una sempre maggiore pressione su tutto il Pacifico nei confronti delle forze nipponiche.
All’Unione Sovietica vennero promessi aiuti militari sotto forma di invio di armamenti, che
effettivamente avvennero anche se non nei quantitativi desiderati.
In Atlantico la battaglia tra i convogli cargo e gli U-Boot (sommergibili) tedeschi videro, in questo
scorcio di fine 42 – primi del 43, una sempre maggiore capacità delle unità di scorta alleate, ormai
dotate di efficienti apparati radar e sonar utilizzati con tattiche molto efficaci, da prevalere
sui sommergibili di Donitz.
Le indicazioni di priorità della lotta ai sommergibili tedeschi redatte a Casablanca troveranno
puntuale applicazione e nel maggio dello stesso 1943 gli U-Boot saranno costretti a rinunciare agli
attacchi in massa (“branchi di lupi”), sancendo la capacità degli alleati di garantire la regolare
alimentazione logistica della Gran Bretagna e con essa i preparativi del fatidico sbarco in
Normandia del giugno 1944.
Infine, sempre nel settore europeo, ed anche qui a seguito delle indicazioni di Casablanca, venne
accentuata l’offensiva aerea sulla Germania, con un coordinamento tra la RAF e l’USAAF per una
campagna di bombardamenti strategici contro il complesso industriale e logistico tedesco (di fatto
troverà applicazione anche il concetto di bombardamento a tappeto indiscriminato).
Si decise inoltre di premere per l’entrata in guerra della Turchia, tassello utile alla definizione degli
assetti geostrategici.
Al termine del convegno, conosciuto anche come la conferenza della “resa incondizionata”,
emersero diversi provvedimenti decisivi sulla condotta della guerra contro le potenze dell’Asse, in
particolar modo fu pianificata la presa di Pantelleria e delle Pelagie, “Operazione Corkscrew” (9
maggio – 13 giugno 1943).
La Conferenza aveva un nome in codice , “Symbol”, e fu una delle più importanti della Seconda
Guerra Mondiale. Fu fondamentale per pianificare le vicende sui campi di battaglia che avrebbero
portato alla vittoria degli Alleati sulle forze dell’Asse (Germania, Italia e Giappone).
Churchill sostenne la necessità dello sbarco in Sicilia (l’alternativa era la Sardegna) per iniziare ad
eliminare dal conflitto l'Italia, costringendo nel contempo Hitler a distrarre forze da altri scacchieri
militari per venire in aiuto dell'alleato Mussolini. Il primo ministro inglese riuscì a far trionfare le
proprie idee su quelle degli americani, anche perché quest'ultimi erano arrivati a Casablanca non
avendo ancora risolto le divergenze esistenti tra i loro vertici militari;
- il generale George Marshall, preoccupato per come stavano andando le cose nel vecchio continente, l'attacco all'Europa nazista doveva avere come obiettivo le coste francesi (era quello che pensava anche Stalin);
- l'ammiraglio Ernest J. King considerava il Pacifico, e quindi le operazioni navali contro il Giappone, l'aspetto principale della guerra contro le forze dell'Asse;
- il generale Hap Harnold, comandante delle forze aeree, portava avanti l’idea di bombardare senza sosta la Germania, ritenendo che il conflitto poteva trovare soluzione solo con la “potenza distruttrice delle bombe".
Trovarsi disuniti di fronte a Churchill era un invito a nozze per il primo ministro britannico, che
convinse gli Alleati della bontà dei suoi obiettivi molto chiari..
sfruttare la supremazia africana per eliminare l'Italia dal conflitto, approfittando anche del morale
ormai a pezzi della sua popolazione, che non vedeva l'ora di uscire dalla guerra".
Churchill nascondeva in queste sue argomentazioni un sogno che gli inglesi avevano sempre cercato
di realizzare nel passato e cioè…
il desiderio di ampliare il dominio inglese sul Mediterraneo, pensando a una Sicilia che poteva
divenire come una seconda Malta.
Il primo ministro britannico aveva delle vedute strategiche e politiche eccezionali e le sue idee
portarono gli alleati al successo.
Si decise quindi di attaccare la Sicilia, codice dell’operazione “Husky” e l’attacco fu prima fissato
in modo generico “per agosto” e in seguito definitivamente fissato per l’alba del 10 luglio.
Furono anche fissati i comandanti che avrebbero guidato la campagna di Sicilia e anche in questo
caso gli inglesi fecero la parte del leone, assicurandosi il comando delle tre armi:
- per le forze navali fu designato l'ammiraglio sir Andrei Cunningham, comandante in capo della marina inglese in Mediterraneo:
- il comando delle forze aeree fu assegnato al Maresciallo dell'Aria sir Arthur Tedder;
- il generale sir Harold Alexander fu nominato comandante delle forze di terra.


Comandante in capo di tutte le forze alleate impegnate nell'operazione fu nominato il generale
Eisenhower, avendo come suo vice lo stesso Alexander.
Eisenhower, nel quadro della pianificazione dello Sbarco, formò due unità operative:
-        la task torce orientale (britannica) comandata dal generale sir Bernard Law Montgomery;
-        la task force occidentale (americana), comandata dal generale George Patton. 
Da parte italiana e tedesca l'attacco all'Europa era ovviamente atteso e i servizi di
spionaggio erano da tempo al lavoro per capire quale sarebbe stato il luogo dello
sbarco, tra i molti possibili, nel Mediterraneo. Per ingannare il nemico gli Alleati
attuarono una beffa che passò alla storia, tanto da aver successivamente suggerito
anche la trama di un film.
Nella tarda mattina del 30 aprile. al largo delle coste di Cadice, in Spagna, fu rinvenuto
da alcuni pescatori il cadavere di un ufficiale inglese che, dai documenti in suo
 possesso, risultò essere il maggiore William Martin dei Royal Marines britannici.
Legata al cadavere c’era una borsa diplomatica contenente documenti che furono
giudicati importantissimi dai servizi segreti tedeschi (prontamente avvisati dai colleghi
spagnoli).
In particolare tra i documenti c’era una lettera inviata dal “Naval War States” al generale
Alexander. La lettera citava esplicitamente di una imminente invasione dellaGrecia e di come i
preparativi per lo sbarco in Sicilia servissero solo per sviare
l'attenzione degli italo-tedeschi.
L'operazione descritta nella falsa lettera era chiamata  “Mincement” e fu presa per vera dai
tedeschi.
I tedeschi caddero nella trappola come dimostrarono gli ordini di Hitler che spostò dalla
Francia verso la Grecia la 1° Divisione Panzer.
L'attenzione dei comandi tedeschi si concentrò cosi sulla Grecia ed anche sulla Sardegna,
ritenuta altro probabile obiettivo alleato.
Restò, ancora oggi, un mistero la vera identità del cadavere ritrovato dai pescatori spagnoli.
Sembra che si trattasse di un malato affetto da turbe psichiche morto accidentalmente
per affogamento nelle acque del Tamigi. Nel cimitero della cittadina spagnola di
Huelva è oggi seppellito il cadavere dell'uomo che non è mai esistito: il maggiore
William Martin, nato dalla fantasia dei servizi segreti britannici. 
la tomba a Huelva del maggiore William Martin



Un piano ben studiato. L’obiettivo era di fare trovare sulle rive della costa spagnola, vicino Huelva, un corpo privo di vita.
Perché vicino Huelva? Huleva era allora un punto strategico perché soggetto a forti influenze tedesche.
Un corpo esamine che sembrasse vittima di un incidente aereo e con indosso una divisa da maggiore dei Royal Marines, appartenete al commando delle Combined Operations alleato.
Il corpo era accompagnato da una borsa con alcuni documenti riservati falsi con la speranza che i servizi segreti tedeschi, una volta recuperati, li interpretassero prendendo delle azioni militari che li avrebbero portati al depistaggio..
Il cadavere fu portato nella zona prestabilita in un congelatore spacciato per una sonda metereologica, trainata dal sommergibile HMS Seraph (P219)

A bordo del sommergibile c’era solo il comandante Bill Jewell e due ufficiali che
erano al corrente della missione.
Che documenti erano contenuti nella piccola borsa?
Erano due documenti:
- una lettera del vicecapo di stato maggiore imperiale Archibald Nye indirizzata al comandante del 18º Gruppo di armata Harold Alexander;
- una missiva inviata dall'ammiraglio Louis Mountbatten, capo del Combined Operations, all'ammiraglio Cunningham, comandante navale alleato del Mediterraneo.
Il cadavere, fu recuperato da alcuni pescatori e portato in un obitorio dalla gendarmeria spagnola per essere esaminato dal servizio segreto spagnolo.


 Il servizio segreto spagnolo copiò gli incartamenti ritrovati nella cartelletta che il presunto ufficiale portava legata al braccio. Tali copie vennero poi recapitate all'agente dell'Abwehr Alolf Clauss, il quale li reputò autentici e informò i suoi diretti superiori del contenuto delle missive. L'operazione, per quanto bizzarra, ebbe il successo sperato, e i tedeschi, con l'opposizione degli alleati italiani, ridisposero le loro forze proprio come volevano i nemici, lasciando l'isola siciliana con scarse unità di difesa.
«William Martin» fu il nome inventato dagli inglesi e apposto sul suo tesserino falso. 


Il corpo era in realtà quello di un giovane gallese, Glyndwr Michael, morto suicida per avvelenamento da topicida.
All'autopsia la morte per avvelenamento era difficile da notare con i mezzi dell'epoca, pertanto venne confermata la presunta morte per annegamento e il corpo fu sepolto con tutti gli onori militari a Huelva, dove la tomba è tuttora visitabile. Per rendere credibile il depistaggio, sul cadavere vennero apposti numerosissimi effetti personali falsificati ad arte quali lettere dalla falsa fidanzata Pam, dell'affezionatissimo padre (come si firma nella lettera) e addirittura una lettera di sollecito della Lloyds Bank. Tutto per dare l'impressione che il morto recuperato fosse effettivamente un ufficiale con una vita personale vera e propria anche se in realtà ideata dai due responsabili dell'operazione Ewen Montagu e Charles Cholmondeley.
I due documenti principali furono invece, dopo ripetute e numerose revisioni, scritti di proprio pugno dai firmatari, ovviamente a conoscenza dell'operazione. La prima lettera inviata da "Archie" Nye all'inconsapevole amico Alexander faceva riferimento ad un'offensiva contro la Grecia e indicava falsamente come finto obiettivo la Sicilia. Inoltre accennava ad un altro attacco simultaneo nel Mediterraneo (senza specificare altro). Tali ragguagli sarebbero stati i primi indizi del depistaggio, una volta in mano ai tedeschi. La missiva continuava poi con faccende militari di ordinaria amministrazione. I falsi obiettivi erano chiari ma non troppo appariscenti e il tono e le informazioni erano quelle giuste, in quanto altrimenti avrebbe rischiato di destare sospetti l'invio di tali notizie in modo non cifrato. In aggiunta venivano indicati due (falsi) assalti chiamati “operazione Husky” (che era il vero nome dell'attacco alla Sicilia, ma che nella lettera veniva riferito alla Grecia in modo che se i tedeschi avessero intercettato messaggi contenenti tale nome, avrebbero pensato alla manovra citata nella lettera) e operazione “Brimstone” (inventata e riferita ad un punto non precisato del Mediterraneo).
Anche i due corrispondenti non erano casuali: i due generali erano del grado appropriato per giustificare la conoscenza dei piani di battaglia e per far sì che la lettera fosse presa in considerazione, i due si conoscevano personalmente ed erano nomi noti ai tedeschi.
Il secondo messaggio, inviato da Mountbatten, avrebbe poi spiegato il motivo per il quale la prima lettera fosse inviata tramite l'ufficiale Martin esplicitando che quest'ultimo si sarebbe recato in Nord Africa per aiutare l'ammiraglio Cunningham nella preparazione del successivo assalto nella "patria delle sardine" (come scritto nella missiva) con riferimento alla Sardegna. I tedeschi, una volta intercettato il corpo con le relative informazioni, sarebbero stati dunque in grado di mettere insieme i dati relativi alle operazioni Husky (Sicilia) e Brimstone (Sardegna) e di pensare quindi alla Sicilia come falso obiettivo degli alleati.


C’è da dire che gli Italiani non credettero invece alla messinscena inglese, convinti, a ragione, che la Sicilia fosse il vero Obiettivo degli Alleati.
A questa certezza gli italiani ne aggiunsero un’altra, molto dura e preoccupante
l'insufficienza dei mezzi di difesa dell'isola, unitamente al morale basso sia delle truppe sia della popolazione civile, definita "rassegnata, agnostica, priva di volontà" in un drammatico rapporto redatto dal generale Alfredo Guzzoni, comandante delle forze di stanza in Sicilia.
Gli Alleati nella Conferenza di Casablanca erano a conoscenza dello stato delle forze militari italiane e del grave disagio psichico della popolazione stanca della guerra e oppressa da condizioni sociali preoccupanti.
Il rapporto fu compilato un mese prima dell'invasione ed evidenziò anche altri problemi:
- le difese passive inadeguate;
- la carenza di mezzi corazzati, cannoni anticarro e artiglieria in genere.
Il generale Guzzoni evidenziò come molti soldati di stanza in Sicilia erano riservisti siciliani, che spesso si allontanavano arbitrariamente dai reparti per far visita alle proprie famiglie.
Alfredo Guzzoni

Morale basso della popolazione e morale non certo migliore tra i soldati.
Tutti erano "in attesa" ma l'attesa era soprattutto della fine della guerra. Non importa come,
purché finisse.
Nel quadro delle operazioni preparatorie dello sbarco si parlò anche dell’ipotetico contributo della
mafia siciliana, che si sarebbe attuato a opera di Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano, criminale
italo - americano, detenuto negli Stati Uniti, ma sempre in contatto coi suoi fratelli siciliani.
Fu piuttosto ad invasione avvenuta che la mafia seppe sfruttare la situazione, piazzando molti suoi
uomini nei posti più importanti delle amministrazioni locali, da cui poter controllare soprattutto le
distribuzioni di viveri: posti chiave per arricchirsi e per riprendere posizioni di potere.
La riorganizzazione della mafia dopo l'invasione alleata fu un dato di fatto dimostrabile anche solo
coi nomi di alcuni pezzi da novanta, che si ritrovarono a ricoprire cariche di sindaco e assessore in
diversi centri della Sicilia.
Collusione degli Alleati con la mafia?
La risposta non è facile.
Nella ricostituzione frettolosa delle amministrazioni locali, la preoccupazione principale da parte di
inglesi e americani fu quella di incaricare negli affari locali delle personalità antifasciste e molti dei
mafiosi erano stati emarginati dal fascismo, che aveva peraltro invano, cercato di sradicare il
fenomeno dall'isola.
I mafiosi non avevano problemi ideali e politici. La leggerezza e una certa ingenuità, soprattutto
americane, nonché l'urgenza di ridare alle zone invase un minimo di organizzazione civile, fecero il
resto.
I tedeschi erano convinti come la Sicilia non fosse l'obiettivo alleato e in questa convinzione
restarono anche dopo la rapidissima conquista di Pantelleria. Lampedusa e Linosa. effettuata tra
1'11 e il 13 giugno dopo intensi bombardamenti.
In particolare Pantelleria, dotata di un attrezzato aeroporto e di una stazione radar, era importante
per gli Alleati che ne avrebbero fatto una base per il decollo degli aerei che avrebbero appoggiato le
successive azioni sulla Sicilia.
La conquista delle tre isole non ebbe storia, se non per la rapidità con cui si svolse, e per le
sofferenze inflitte alla popolazione civile, sottoposta a durissimi bombardamenti preparatori, gli
stessi che avrebbe, di lì a poco, martoriato le principali città siciliane.

L'uso indiscriminato dei bombardamenti sulle città fu una delle caratteristiche più crudeli della seconda guerra mondiale.
Nell’incontro di Casablanca Roosevelt e Churchill decisero, tra l'altro…
"una campagna aerea con un'offensiva di bombardamenti più intensa possibile... mirando soprattutto a ridurre a pezzi, oltre le fabbriche belliche, il morale della popolazione civile".
E cosi fu. Da quel momento per la gente non contò più nessuna ideologia, ma la sola sopravvivenza. Dopo ogni raid aereo, le persone si sentivano svuotate, sconfortate, prive di risolutezza".
Nei primi giorni di luglio in Sicilia erano presenti circa 260.000 soldati: 175.000 italiani e 28.000 tedeschi tra le truppe combattenti, gli altri addetti ai servizi.
La situazione drammatica delle difese dell'isola era già stata evidenziata dal generale Roatta, predecessore di Guzzoni al comando militare dell'isola.
Parlando del prevedibile sbarco alleato, Roatta disse che:
"...(la difesa costiera) non è in condizioni di impedire lo sbarco, ma solo in misura di ostacolarlo. di ritardarlo e di contenere per un tempo più o meno lungo l'avversario sbarcato".
Anche la superiorità aerea alleata era fuori discussione. A fronte di 1.320 aerei disponibili dagli italiani, gli Alleati potevano contare su 2.050 bombardieri e 2.200 caccia, senza contare gli aerei dislocati in Marocco e a Gibilterra.
Infine un altro problema era rappresentato dalle divergenze tra il comando italiano in Sicilia e quello tedesco. Le truppe tedesche erano, in teoria, agli ordini del generale Guzzoni, ma in pratica il comandante italiano dovette indire numerosissime riunioni con gli ufficiali tedeschi che, ancora dubbiosi sullo sbarco in Sicilia, erano comunque discordi sulle località siciliane in cui sarebbe avvenuto quello che per loro restava un ipotetico sbarco.
L'unica conclusione a cui poté giungere il generale Guzzoni fu
che lo sbarco sarebbe stato, eventualmente contrastabile, solo quando si fossero palesate le vere intenzioni degli Alleati.
In altri termini:
stiamo a vedere cosa accadrà, poi vedremo cosa riusciremo a fare...
E quel che accade fu noto: nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 una poderosa flotta anglo americana fece rotta verso la Sicilia, già avvistata nel pomeriggio da un aereo da ricognizione della Luftflotte.
All'alba del 10 luglio. dopo che i cannoni delle navi avevano aperto un intenso fuoco preparatorio, le forze alleate sbarcarono sulle zone previste:
- la VII armata americana del gen. Patton prese terra sulle spiagge di Gela, Licata e Scoglitti;
- I'VIII Armata inglese del gen. Montgomery raggiunse le coste sud orientali della Sicilia, tra Pachino e Siracusa.
Sull'isola in pochi giorni sbarcarono 181.000 uomini. di cui 115.000 britannici e 66.000 americani), con 1.800 cannoni, 600 carri armati e 14.000 automezzi. Alla fine della campagna, la presenza alleata era costituita da 478.000 soldati, di cui 250.000 britannici e 228.000 americani.
Solo nel golfo di Gela le forze alleate trovarono un'energica resistenza che costò la vita a 197 soldati italiani. Soldati italiani che non poterono peraltro impedire una conquista, che già nella mattinata fu completata. Nelle altre zone di sbarco, anche per l'intenso bombardamento preparatorio, inglesi e americani non trovarono alcuna resistenza seria.
"Le informazioni militari sull'invasione della Sicilia furono comunque spesso confuse e piene di incertezze. Tanti ufficiali e soldati, dislocati nelle zone di operazioni, non riuscirono a comprendere la reale dimensione dell'attacco angloamericano".
L'intervento delle forze aeree, sollecitato dal generale Guzzoni, causò solo dei danni limitati al nemico, anche per l'intenso fuoco di contraerea.
"La potenza bellica degli americani piegò subito i fiacchi presidi italiani. Gli uomini della VII armata (americana) occuparono in breve tempo gli obiettivi stabiliti e già nella prima giornata riuscirono a catturare migliaia di prigionieri".
Ma il punto più debole della difesa costiera si rivelò la piazzaforte di Augusta, in teoria invalicabile, in pratica arresasi senza combattere dopo che il suo comandante, il contrammiraglio Leonardi, alle prime avvisaglie di sbarco, ordinò di predisporre la distruzione di tutte le batterie antiaeree e di sabotare ogni mezzo per evitare che cadessero in mani nemiche.
L’Ammiraglio Priamo Leonardi
Nei primi tre giorni dallo sbarco le truppe inglesi occuparono tutta la parte Sud orientale della Sicilia.
I soldati italiani si arresero a migliaia. ma molti riuscirono anche a fuggire dopo essersi spogliati della divisa e avere indossato abiti civili.
La conquista della Sicilia iniziava cosi nei migliori auspici per gli Alleati e continuò con l’aspetto di una  marcia trionfale, tanto più considerando che i sentimenti della popolazione civile erano fin troppo chiari.  Sentimenti che stupirono il generale Patton che nel suo diario annoto più volte le trionfali accoglienze tributate alle truppe alleate.
Ma la disorganizzazione alleata e l'emergere di rivalità tra inglesi e americani. entrambi ansiosi di conquistare la maggior palma di una non difficile gloria, furono all'origine di un'avanzata lenta, che contrastò con le fulminee operazioni iniziali.
In particolare i lanci di alianti e paracadutisti furono effettuati senza un'adeguata ricognizione preparatoria e senza l’uso di carte aggiornate dell'isola. Non mancarono tragici errori ed oltre duecento soldati americani caddero sotto quello che con ironia potremo chiamare  "fuoco amico".
Il protagonista della campagna militare. con la sua consueta irruenza, fu il generale Patton. che conquistò Palermo di propria iniziativa, in pratica contravvenendo agli ordini ricevuti e ponendo Eisenhower di fronte al fatto compiuto.
Già quel generale George Smith Patton che si renderà responsabile di crimini di guerra e che aizzava i suoi soldati con discorsi farneticanti….
Generale George S. Patton Jr.
Foto del 1941
Quando sbarcheremo di fronte al nemico, non esitate a colpirlo. [...] Non mostreremo pietà. [...] Il bastardo cesserà di vivere. Avremo la nomea di assassini... E gli assassini sono immortali».
I bastardi da colpire erano i soldati italiani ed anche i civili…
Uno dei tanti discorsi motivazionali espressi dal “generale d’acciaio”, il soprannome del Patton, che amava girare con un cinturone da cowboy da cui pendevano due luccicanti Colt calibro 45.



David John Cawdell Irving, saggista britannico e storico, profondo conoscitore della storia militare della seconda guerra mondiale, scrisse nei suoi libri come..
il generale Patton portava alla cintola in fondine due pistole coi calci d'Avorio una Colt 1873 calibro 45 e una Smith & Wesson 357 Magnum: 
Era turbolento, grossolano, scurrile (anche con donne presenti), arrogante, bestemmiatore e credente, coraggiosissimo, focoso, spaccone.... Non aveva senso dell'umorismo: portava con la stessa disinvoltura anelli a forma di serpente e le pistole dal calcio di madreperla, neanche fosse il direttore di un circo o un domatore. Una volta disegnò un'uniforme per carristi che fece ridere per una settimana tutto il Pentagono. Non temeva nemici né superiori; aveva paura di una sola persona, sua moglie Beatrice. Da 12 anni la tradiva con una giovane (Jean Gordon) che si portava dietro come ausiliaria e segretaria (ma la moglie lo sapeva). Lei, Jean Gordon, lo adorava e due settimane dopo la morte di Patton ad Heidelberg,  si suicidò.

Jean Gordon
Eppure i suoi “discorsi” funzionarono tanto che alcuni suoi soldati a stelle e strisce, inebriati da quelle folli parole, estesero il concetto di nemico anche ai civili.
Il centro di Messina bombardato. 
© wikimedia commons

Catania bombardamenti  aprile 1943


I SOLDATI AMERICANI E LA STRAGE DEGLI INNOCENTI.
I comandi del generale Patton furono eseguiti dai suoi uomini della 45a divisione di fanteria USA (Thunderbird) con l’appoggio dei colleghi della 82a divisione aviotrasportata.
Molti degli uomini che componevano la 45a divisione era giovani ed alla prima esperienza militare. Si davano coraggio con alcool ed anfetamine.
L’impatto dei militari con l’ambiente fu devastante come raccontò Fabrizio Carloni….
Nelle primissime ore dello sbarco, a Gela, fu per esempio uccisa senza motivo
una ragazza con i suoi due bambini ……
…….e nel pomeriggio fu messo al muro e fucilato a sangue freddo il podestà di Acate,
Giuseppe Mangano. Accanto a lui c'era il figlio, che venne a sua volta trucidato con un colpo di baionetta alla gola…….
……. Nel frattempo, ancora nei pressi di Gela, si era compiuta una carneficina contro
una dozzina di carabinieri che si erano appena arresi…..
Quattro giorni dopo, all'aeroporto di Acate, furono invece spogliati, derubati e fucilati oltre 70 prigionieri - tra cui alcuni civili - per iniziativa del capitano John Compton e del sergente Horace West, entrambi della 45a.
Tra Gela, Acate e Vittoria si formò un "triangolo della morte" in cui le uccisioni furono di due tipi: "a caldo", in fase di bonifica del territorio, e "a freddo", condite spesso da un odio quasi razziale per gli italiani.
Il 13 luglio in contrada “Piano Stella” cinque  contadini, completamente estranei alle tristi vicende di guerra, furono prelevati dalle loro case ed assassinati senza alcun motivo….
Il racconto fu di Giuseppe Ciriacono che allora era un ragazzo di 13 anni e che fu l’unico superstite di quel terribile eccidio..
Entrarono e ci fecero segno di seguirli.
Poi un americano mi prese per il bavero e mi fece allontanare.
Dopo pochi passi sentii le raffiche di mitra, seguite dalle urla di mio padre e degli altri.
Un’altra strage si verificò a Canicattì in una fabbrica di sapone che aveva anche un deposito di generi alimentari..
Qui il colonnello Herbert McCaffrey sparò su alcuni disperati che stavano razziando lo stabilimento, freddando sei adulti e una bambina.
A denunciare queste orribili vicende furono gli stessi americani.
Il cappellano William Kong il 14 luglio fu chiamato ad Acate (Ragusa) da alcuni soldati che provavano una grande vergogna per quello che stava accadendo. Mostrarono al cappellano le vittime degli eccidi eseguititi dai comandanti Compton e King.
Il generale Patton cercò di insabbiare la vicenda ma le voci sulle stragi si diffusero.
Dalle indagini storiche, dalle inchieste giornalistiche, dai processi della corte marziale americana e da numerose testimonianze emergeranno chiaramente le responsabilità di
Compton, West e McCaffrey…..
l'unico a essere condannato fu però West:
si beccò un ergastolo, ma fu poi graziato. Dalle inchieste emerse inoltre che
alcuni soldati americani si erano lasciati andare a stupri e saccheggi.
Nelle campagne attorno all'aeroporto di Biscari il capitano americano Compton ordinò la fucilazione di 36 prigionieri italiani, catturati dopo la conquista del campo d'aviazione. Sulla scia del suo superiore, il sergente West uccise personalmente a colpi di mitra Thompson altrettanti prigionieri italiani. Sia Compton che West finirono davanti alla corte marziale: il secondo, condannato all'ergastolo ma liberato dopo pochi mesi. mori in Normandia. Quanto al capitano, venne prosciolto da ogni accusa.

Gli Alleati invadono la Sicilia. 
© Roman Nerud / Shutterstock

L'altra grande città siciliana, Catania, fu conquistata dagli inglesi del gen. Montgomery. Non mancarono, corollario crudele e inevitabile di ogni guerra, episodi di atrocità, tanto più ingiustificabili in una situazione militare che era comunque a favore degli Alleati.
Da parte tedesca, un episodio crudele si verificò a Castiglione di Sicilia, dove un reparto di circa 40 soldati tedeschi, provenienti da Randazzo, uccise sedici civili, ferendone una ventina, sembra per rappresaglia contro l'uccisione di un loro commilitone, avvenuta nelle campagne attorno a Castiglione.
Mentre in Sicilia le truppe angloamericane avanzavano, a Roma maturavano altri avvenimenti.
Nella storica seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 24/25 luglio 1943,  il Duce fu sfiduciato dai suoi stessi uomini ed iniziò il periodo dei quarantacinque giorni di Badoglio. Senza dubbio gli eventi militari in Sicilia furono il colpo di grazia all'ormai vacillante regime di Mussolini, che solo poche settimane prima aveva giudicato impossibile lo sbarco sull'isola, munita di "poderose difese", nel famoso discorso passato alla Storia per l'errore di chiamare la linea in cui il mare tocca la costa
"linea del bagnasciuga" anziché "battigia".
Ben più gravi errori sarebbero da attribuire al Duce, ma il Maresciallo Badoglio, nuovo capo del Governo, non ebbe la volontà o non poté risparmiare all'Italia ulteriori lutti. La guerra in Sicilia, come nel resto del Paese, continuò e si concluse con un altro incredibile esempio di disorganizzazione degli Alleati, che permise a italiani e tedeschi di passare lo stretto e riparare in Calabria quasi senza subire perdite e con la quasi totalità dei mezzi. 
Nella pianificazione della conquista della Sicilia nessuno aveva previsto la chiusura dello Stretto di Messina, che si sarebbe potuta attuare senza problemi, data l'incontrastata superiorità aerea e militare degli Alleati.
"... i tedeschi riuscirono la sera stessa del 17 agosto a mettere in salvo anche i mezzi navali che avevano utilizzato per il traghettamento. L'esercito si riorganizzò rapidamente e tutte le armi evacuate furono rapidamente disponibili per riprendere a sparare. Di li a poco quegli stessi soldati della Wehrmacht avrebbero dato ulteriore filo da torcere alle possenti forze angloamericane sulle spiagge di Salerno. Gli italiani ringraziarono i tedeschi per l'aiuto offerto alla loro precipitosa fuga. ll generale Guzzoni, il giorno stesso in cui l'ultimo soldato tedesco mise piede in Calabria, invio al generale Hube un messaggio di felicitazione".

Conquistata l'isola militarmente, gli Alleati iniziarono la riorganizzazione del potere civile. Protagonista di questo capitolo fu la controversa figura del colonnello americano Charles Poletti, capo degli affari civili in Sicilia. Accusato di essere in collusione con la mafia, Poletti fu, con tutta probabilità, un po' cinico e un po' ingenuo. Preoccupato di riportare ordine con personaggi che esercitassero una reale autorità sulla popolazione, il colonnello americano non ebbe problemi a chiamare alla carica di sindaco di Villalba il mafioso di chiara fama Don Calò Vizzini; a Palermo fu nominato Lucio Tasca, uomo d'onore e sostenitore del MIS, il movimento separatista. Altri due famosi capi mafia. Vincenzo di Carlo e Giuseppe Genco Russo, ebbero rispettivamente la sovrintendenza all'assistenza pubblica di Mussomeli e il controllo sugli ammassi del grano.
Forse il Poletti non ebbe colpe ma fu un dato di fatto di come la mafia trovò nell’invasione alleata un insperato e forte rilancio di potere, dal quale non si sarebbe più staccata.

Charles Poletti al centro della foto
https://www.laverita.info/charles-poletti-guerra-italia-2656090346.html

Ce ne sarebbero altri……

Il periodo storico nel quale i mafiosi di cui si tratta in questo primo gruppo di biografie hanno operato, va dalla fine delle ostilità, quando la Sicilia viene occupata dalle truppe anglo-americane, 
ai giorni nostri.
Alcuni hanno la loro matrice, estrazione sociale e campo d'azione nel vecchio mondo agricolo, anche se poi allargano le loro attività delittuose in direzione di settori ben più redditizi, come quelli della speculazione edilizia, del controllo dei mercati, del contrabbando di tabacchi esteri e del traffico di stupefacenti, quasi accompagnando il trapianto della mafia dal feudo e dalle strutture arcaiche della campagna alle città.
Essi sono Genco Russo, Mariano Licari, Salvatore Zizzo, Vincenzo Di Carlo, Michele Navarra e Luciano Leggio. Alla fine delle ostilità Licari e Genco Russo hanno da poco oltrepassato i 50 anni, Zizzo ne ha 34, Navarra meno di 30, Leggio 19. Il loro campo d'azione è il nisseno per Genco Russo, il trapanese per Licari e Zizzo, l'agrigentino per Di Carlo e il corleonese per Leggio e Navarra…….ecc

https://archivio.unita.news/assets/main/1963/10/31/page_003.pdf


Calogero Vizzini
Si contrappone a questo potere della mafia l’immagine di una Sicilia con le sue rovine, le figure smagrite degli isolani che ricevevano cibo dai soldati alleati, i cadaveri abbandonati per le strade. Un  drammatico scenario per non dimenticare cosa porti la guerra... morte, dolore, sofferenza.
 
…………………………………………..

Nota

Sbarco e Mafia

Fu alla fine accettata la proposta inglese…
Attaccare l’Europa dal suo ventre “molle” cioè dall’Italia
La porta d’ingresso per l’Europa?
La Sicilia
Strategicamente posta nel cuore del Mediterraneo e poco distante dal Nord Africa
A chi affidare il comando delle importanti e delicate azioni militari?
Al generale statunitense Dwight “Ike” Eisenhower (futuro presidente degli Usa)
che scelse come comandanti:
l’inglese Bernard Law Montgomery (capo dell’8a Armata supportata da una divisione canadese;
e l’americano George Smith Patton (7a Armata).

Patton con il suo Bull Terrier, Willie.


Il cardinale Lavitrano incontra a Palermo il generale George Patton.
La foto è del 18 Agosto 1943.

I generali Patton (a sinistra) con Eisenhower e Montgomery

Seconda Guerra Mondiale.
 (da sinistra a destra): il Maggiore Generale Geoffrey Keyes, il Tenente Generale George Smith Patton e il Generale Sir Bernard Montgomery che studiano una mappa della Sicilia al Palazzo Reale di Palermo, il 3 settembre 1943 mentre pianificano l'invasione alleata
(Photo by Popperfoto via Getty Images/Getty Images)

Il piano d’invasione prevedeva:
-        sbarco dei britannici ad Est (nella zona compresa tra Capo Passero, Siracusa ed Augusta);
-        sbarco degli americani a Sud, nella costa tra Licata, Gela e Vittoria;
-        la manovra sarebbe iniziata per le prime ore del 10 luglio e sarebbe stata preceduta da bombardamenti strategici e da un lancio di paracadutisti. Il tutto con alle spalle una ingente flotta militare mai messa in mare in altri eventi bellici.
Churchill e Roosevelt durante la Conferenza di Casablanca. 
© wikimedia commons

Qualsiasi invasione deve essere preceduta da un’attenta analisi del territorio anche in termini ambientali. Era quindi necessario preparare il terreno e studiare le eventuali difficoltà da superare.
In questo studio entrò probabilmente in gioco la struttura mafiosa Cosa Nostra.
Il progetto d’invasione prevedeva una missione segreta da compiere alcune settimane prima dello sbarco in modo da creare l’ambiente adatto per l’arrivo dei liberatori.
Per questo motivo furono avviate delle trattative con i boss della criminalità organizzata americana (di origine siciliana) del calibro di Francesco Castiglia (Frank Costello), Salvatore Lucania (Lucky Luciano). Vent’anni prima la mafia siciliana era stata colpita duramente con le misure forti ed eccezionali del “prefetto di ferro” Cesare Mori.
Molti criminali riuscirono, duranti le azioni del Mori, a fuggire imbarcandosi per gli USA e secondo lo storico siciliano Giuseppe Casarrubea….
«A ben vedere, però, l'intervento di Mori aveva colpito solo i ranghi più bassi della mafia
e non le alte sfere……
di fatto l'intelaiatura mafiosa rimase viva anche durante l'epoca fascista…..
la mafia emigrata negli USA entrò nelle grandi città americane e si modernizzò e i suoi interessi non dimenticarono mai la terra d’origine con cui mantennero sempre dei rapporti intensi..
Un emigrante era Lucky Luciano, si era trasferito in America nel 1907, e nel 1943 stava scontando una pena pluridecennale. Venne avvicinato da esponenti della CIA per ottenere dei “contatti utili” sull’isola con la promessa di un aiuto per la gestione del territorio una volta occupata e liberata la Sicilia.
L’isola fu liberata e nel 1946 il Luciano venne scarcerato
Per i grandi servigi resi.
Tra i “consulenti” contattati dagli americani ci furono anche i fratelli Camardos e don Calogero Vizzini. Entrambi attivarono le loro reti di amicizie per promuovere azioni di boicottaggio contro i fascisti e si adoperarono anche in azioni di spionaggio.
Sembra che il Vizzini abbia fornito agli americani una lista di persone amiche che contribuirono a organizzare sabotaggi e poi a far da guida sul territorio alle truppe alleate.
Dal punto di vista militare il contributo offerto dalla mafia allo sbarco fu però marginale….
..il principale aiuto Cosa Nostra lo fornì in seguito, a sbarco ultimato,
garantendo l'ordine dopo la partenza degli Alleati. (Casarrubea)
Gli americani conquistarono l’isola in circa 30 giorni. Un operazione militare gigantesca con un grandissimo impego di mezzi e risorse umane.
Gli Alleati trovarono una scarsa resistenza nell’Isola e la sua conquista influì nella caduta di Mussolini il 25 luglio (Mussolini fu messo in minoranza dal Gran Consiglio del Fascismo, arrestato e sostituito dal Pietro Badoglio con il suo governo).
Eppure nell’Isola come riferì Fabrizio Carloni (saggista e giornalista)
Ma prima delle dimissioni del duce, in Sicilia si versò una gran quantità di sangue innocente…. ….. All'inizio ci pensarono i bombardamenti a fare strage tra i civili, trasformando per molte settimane la vita dei siciliani in un inferno. A partire dal 10 luglio toccò invece agli uomini di Patton, che nel motivare i suoi aveva tra l'altro ordinato di sparare al nemico senza accettare proposte di resa.
Una volta liberate la Sicilia, gli americani si preoccuparono di sostituire le autorità fasciste che guidavano i vari centri.
Gli americani assegnarono le cariche a personaggi della mafia. (AMGOT)
Un modo per ripagare l’aiuto ricevuto dalla mafia nello sbarco alleato.
Don Calogero Vizzini fu nominato sindaco a Villaba e Vito Genovese “interprete ufficiale dell’Amministrazione alleata nella Sicilia occupata”.
A beneficiare della generosità Usa fu anche Giuseppe Genco Russo,
boss che dopo aver avuto un ruolo di primo piano nel coordinamento delle fasi postsbarco
fu messo a capo della cittadina di Mussomeli, (Casarrubea).
Poi fu la volta di Nicola "Nick" Gentile, a cui fu affidata la gestione del territorio di Agrigento, e di Vincenzo Di Carlo, nominato responsabile dell'Ufficio per la requisizione dei cereali. Gli Alleati fecero cioè un pericoloso passo verso la legittimazione della mafia, che dopo l'Operazione Husky intraprese la sua decisiva escalation.
Questo articolo è tratto da Attacco alla Sicilia, di Matteo Liberti,
pubblicato su Focus Storia 63 (gennaio 2012)
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La mafia ha avuto un ruolo nell’agevolare lo sbarco e l’avanzata degli Alleati?
La risposta non è semplice anche perché non si è mai fatta piena luce sull’eventuale esistenza del legame “mafia – sbarco”.
Ci furono degli avvenimenti che farebbero riflettere ma sui quali non fu mai fatta piena luce.
Una risposta alla domanda si potrebbe proporre….
La mafia giocò un ruolo abbastanza marginale nelle operazioni militari
(come conoscenza del territorio fondamentale in qualsiasi operazione militare)
ma si impadronì delle amministrazioni civili che i militari americani
si lasciarono alle spalle (AMGOT).
Ci sarebbero alla base degli avvenimenti che andrebbero studiati.
1- Nel 1941 – 42 gli aerei U-Boot tedeschi distrussero i convogli anglo-americani che portavano rifornimenti in Europa. Gli americani non riuscirono a rimpiazzare le navi che, in seguito all’attacco, erano affondate nell’Atlantico. Il 9 febbraio 1942 l’ex transatlantico “Normandie”, convertito in nave da trasporto per le truppe, prese fuoco alla foce del fiume Hudson. La nave si capovolse e si pensò ad un attentato da parte di italo-americani di New York. In realtà una commissione d’inchiesta stabilì come l’avvenimento fu causato da un incidente.

https://it.wikipedia.org/wiki/Normandie_(transatlantico)#/media/File:SS_Normandie_at_sea_01.jpg
“SS Normandie” fu un transatlantico francese della Compagnie Generale Transatlantique.
Fu costruito nei cantieri di Penhoet a Sant-Nazaire, varato il 29 ottobre 1932
ed entrò in servizio il 29 maggio 1935.
Era l’orgoglio della flotta francese ed una delle navi più veloci e lussuose.
Quando scoppiò la guerra la nave si trovava nel porto di New York.
L a Francia dichiarò guerra alla Germania il 3 settembre 1939 e la Normandie fu
trattenuta dal governo degli Stati Uniti nel porto di New York.
All’equipaggio francese non fu permesso di partire. Il 12 dicembre 1941,
cinque giorni dopo l’attacco giapponese di Pearl Habor, la
Normandie fu ufficialmente sequestrata dal governo degli USA e il
27 dicembre fu trasferita alla Marina americana, che la ribattezzò “USS Lafayette”(AP-53)
 ed iniziarono i lavori per convertirla in trasporto truppe (oltre 10.000 soldati).
Nella sala di prima classe erano presenti elementi in legno verniciato e
giubbotti di salvataggio altamente infiammabili. Le scintille di una torcia per
saldatura fecero  prendere fuoco ad una pila di giubbotti. Purtroppo il
complicato sistema antincendio della Normandie era stato scollegato durante i lavori e le
manichette portate dai vigili del fuoco  di New York non si adattavano ai collegamenti francesi.
Non fu possibile fermare l'incendio a bordo della  Normandie, che rollò e affondò al molo.
Nonostante un'operazione di salvataggio straordinariamente costosa nell'agosto del 1943, il raddrizzato  Lafayette  aveva subito troppi danni per essere facilmente riparati,
La  Lafayette  non fu mai riparata e rimase in bacino di carenaggio per il resto della guerra. Fu ufficialmente cancellata dai registri navali nell'autunno del 1945 e neanche i francesi la volevano. Alcuni tentativi furono fatti da privati ​​per salvarla, ma nessuno ebbe successo. Fu demolita a Port Newark, NJ tra l'ottobre del 1946 e il dicembre del 1948. 
Nonostante questa tragica fine, molti dei suoi interni e delle sue opere d'arte più belle furono salvati e ora risiedono in collezioni private e in musei di tutto il mondo, incluso il Metropolitan.

Prospetto laterale e spaccato della SS Normandie, disegnato da John Conway (Nyctopterus), 2004, dai piani di The Shipbuilder and Marine Engine Builder, 1935. La scala sull'immagine è in metri.
https://it.wikipedia.org/wiki/Normandie_(transatlantico)#/media/File:Ssnormandie_sideelevation_NYC.png

Il Normandie attraccata al porto di New York



https://www.youtube.com/watch?v=4IGOzfVC80o



2 -  dopo l’incidente della Normandie la Marina degli Stati Uniti decise di entrare in contatto con la mafia che controllava le banchine del porto e in particolare con:

a.      Giuseppe Lanza (Joseph Lanza), detto “The Socks” ( I calzini) (Palermo, 1904 – New York, 11 ottobre 1968). 
Era un forte esponente della famiglia Genovese di New York. Controllava tutto il porto ed il mercato
del pesce di Lower Manhattan. Da Palermo emigrò negli Usa stabilendosi a New York e incominciò
a lavorare nel porto di Manhattan al “Fulton Fish Market”, il più grande mercato del pesce
d’America. Sin dal 1923 il Lanza diventò un importante sindacalista degli scaricatori di porto e un
uomo d’onore della Famiglia Masseria che faceva capo a Joe Masseria (Giuseppe Masseria) detto
“Joe the Boss”) (Menfi, Agrigento, 17 gennaio 1886 – New York, 15 aprile 1981).  Il Lanza prese il
comando del più forte sindacato del porto il “Local 359 USW” e gestì il racket minacciando i
grossisti con blocco delle operazioni di carico e di scarico delle merci deperibili con gravi
conseguenze commerciali. Un enorme giro di estorsioni che fruttavano circa 20 milioni di dollari
all’anno nel solo “Fulton Fish Market”. Nel 1938 tutto il porto di Manhattan era nelle sue mani e
nel 1940, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, avvenne qualcosa d’incredibile. Per la
paura di subire sabotaggi e attentati sia alle navi che alle strutture portuali, i servizi segreti americani
e L’Office of Naval Intelligence della marina americana chiesero aiuto agli esponenti mafiosi che
controllavano i porti d’America. Il Lanza s’incontrò segretamente con il comandante
Charles Radciliffe Haffenden e dopo il colloquio lo stesso Lanza rispose all’ufficiale che
Avrebbe parlato con i suoi capi.
Il Lanza si mise in contatto con il boss, al momento provvisorio della sua Famiglia, Frank Costello che, a sua volta, parlò con Lucky Luciano, allora capo dell’intera Famiglia e che al momento si trovava in
carcere, e con altri rappresentati delle Famiglie di New York.
I boss mafiosi acconsentirono e i porti americani furono quindi messi al sicuro. Fu messa in atto una perfetta rete di vigilanza dove tutti i lavoratori del porto riferivano su ogni minimo segnale di pericolo, su ogni spostamento sospetto e anche sulla presenza di perone sospette sui moli. Malgrado questo servizio di sicurezza prestato agli USA, alla fine degli anni ‘40 venne arrestato e condannato per estorsione e racket sindacali. Fu condannato ad una pena che era dai 7 ai 10 anni ma venne rilasciato solo dopo due anni nel 1950. Con la scarcerazione ritornò a controllare il mercato del pesce di Manhattan. Nel 1957 scontò alcuni mesi per violazioni sulla parola ma mantenne il controllo del mercato sino alla sua morte avvenuta nel 1968.

Joseph "Socks" Lanza, ammanettato a un agente del Dipartimento di correzione, siede sulla sedia dei testimoni davanti al comitato legislativo statale che indaga sulle circostanze della sua libertà condizionale. Come suo fratello Harry, che era un testimone,
Lanza si rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda
invocando il 5° Emendamento.1 maggio 1957
https://www.mauritius-images.com/de/asset/ME-PI-6409596_mauritius_images_bildnummer_12284788_racketeer-joseph-%22socks%22lanza-handcuffed-to-a-department-of-correction-officer-sits-in-the-witness-chair-before-the-state-legislative-committee-investigating-the-circumstances-of-his-parole-lanza-declined-to-answer-any-questions-in-his-appearance-like-his-brother-harry-who-was-a-witness-lanza-refused-to-answer-by-pleading-the-5th-amendment-1-may-1957

3. Meyer Lansky ( detto “Little Man”) (Hrodna, Bielorussia, 4 luglio 1902 – Miami, 15 gennaio 1983), mafioso russo naturalizzato statunitense ed esponente principale del cosiddetto “sindacato ebraico”). La sua famiglia era ebraica ashkenazita d’origine polacca. A causa di problemi antisemitici la sua famiglia decise d’emigrare negli USA a New York nel 1911. Il suo primo incontro con uno degli esponenti della mafia di New York, Lucky Luciano, fu nei banchi di scuola. Il Luciano dava protezione ai suoi compagni di classe in cambio di denaro. Lansky si rifiutò di pagare ed i due litigarono. Alla fine diventarono amici e lo steso Lansky ebbe un ruolo importante nell’ascesa, nel mondo della malavita, del Luciano dato che fu lui ad assoldare alcuni killer ebraici per eliminare Salvatore Maranzano che cospirava per l’uccisione di Luciano. Strinse dei rapporti d’amicizia con altri gangster ebrei dal 1930 tra cui Bugsy Siegel. Nel 1936 Lucky Luciano fu arrestato e Lansky trasferì la sua sede operativa in Florida, a New Orlians ed anche a Cuba. Con Siegel si fece promotore del progetto Las Vegas che avrebbe portato la città a capitale del gioco d’azzardo. Dopo l’arresto di Al Capone ( Alphonse Gabriel Capone, detto “Scarface”), condannato per evasione fiscale, Lansky trasferì i suoi capitali, in gran parte provenienti dai suoi Casinò, presso le banche europee. Durante la seconda guerra mondiale la marina statunitense lo contattò per scovare infiltrati e sabotatori tedeschi. Nello stesso periodo ebbe delle importanti riunioni con altri capimafia per difendere il suo socio Siegel, imputato per il fallimento del progetto Las Vegas. Siegel non riuscì a sfuggire al suo destino che era già segnato perché fu ucciso nel 1947. Negli anni ’60 investì i suoi proventi illeciti nel business degli hotel ma venne coinvolto in affari di droga, prostituzione, estorsione e contrabbando. Problemi con il fisco lo costrinsero, alla fine degli anni ’60, a fare “aliyah” (immigrazione ebraica nella Terra d’Israele) in Israele dove tentò, senza successo, di ottenere la cittadinanza. Visse tre anni in Israele per poi ritornare in Florida dove morì nel 1983.
Mafia Lineup - 1932 –
(da destra a sinistra della foto:
Lucky Luciano - Meyer Lansky - Salvatore Agoglia - John Senna)
https://www.etsy.com/it/listing/634545010/mafia-lineup-1932-lucky-luciano-meyer

Gambling Boss Meyer Lansky During Arrest
Il boss del gioco d'azzardo Meyer Lansky durante l'arresto

Gambling boss Meyer Lansky (right) smokes a cigarette as he is booked on charges
of vagrancy at the West 54th Street police station in Manhattan.
Il boss del gioco d'azzardo Meyer Lansky (a destra) fuma una sigaretta mentre viene accusato di accuse di vagabondaggio alla stazione di polizia della West 54th Street a Manhattan.
https://www.bridgemanimages.com/it/noartistknown/meyer-lansky-is-booked-on-vagrancy-charges-at-the-west-54th-street-police-station-in-manhattan/black-and-white-photograph/asset/2923647

1949: Il gangster americano di origine siciliana Charles 'Lucky' Luciano (1897 - 1962) (al centro) con gli amici a Lercara Friddi nella provincia di Palermo durante il suo esilio in Sicilia.
Il suo impero criminale comprendeva lo spaccio di narcotici, la prostituzione,
l'estorsione e la gestione di vizi.
(Foto di Slim Aarons/Getty Images)

Salvatore Lucania, detto Lucky Luciano (1897-1962), gangster della mafia siciliana il 25 agosto 1936, a New York durante il processo, in aula tra due guardie
(Foto di Apic/Getty Images)

4. Il terreno era favorevole a un compromesso. I mafiosi erano animati da patriottismo e gli americani simpatizzavano per i siciliani messi in carcere da Mussolini. Kansky non era italiano ma ebreo e quindi odiava Hitler per le sue atroci persecuzioni nei confronti degli ebrei in Europa. Il boss Luciano dichiarò come il porto di New York sarebbe stato completamente a favore degli Alleati. Per gli americani era imperativo solo vincere la guerra.

5. Gli Alleati decisero nel 1943 di sbarcare in Sicilia e si resero conto di non conoscere bene il territorio. 
Probabilmente nell’isola non c’erano agenti dell’Intelligence statunitense e britannica. La uniche fonti d’informazione erano legate alle lettere scritte dai familiari ai prigionieri di guerra originari dell’isola. Luciano chiese di essere messo in contatto con un altro mafioso, Joseph Adonis, boss di Brooklyn che s’impegnò a reclutare italo-americani con collegamenti in Sicilia. Su come sia andata la vicenda non si sa molto dato che la marina americana cercò sempre di nascondere i risultati dei colloqui. Alla vigilia dello sbarco nelle coste siciliane l’ammiraglio Kent H. Hewitt si rese conto di non avere nessun ufficiale in grado di parlare in italiano e tanto meno in lingua siciliana. In fretta riuscirono a reclutare sei “interpreti”. Quattro erano originari di New York e vennero subito mandati negli scenari di guerra e vennero impiegati nelle operazioni di sbarco tra Gela e Licata.

6. Gli interpreti avevano un elenco di persone da contattare messo a disposizione dai mafiosi di New York. Ma chi erano queste persone da contattare?  
Erano malavitosi espulsi dagli Stati Uniti. Uno degli ufficiali americani, il tenente Paul A. Alfieri, dichiarò..
Furono molto disponibili a cooperare e di grande utilità perché parlavano
sia il dialetto della regione sia un po’ d’inglese.
           L’Ufficiale Alfieri non era un semplice militare tanto che venne decorato…





7. Non si hanno molti riferimenti per sapere come siano andati realmente i fatti. Certo con il tempo si potrebbero essere arricchiti anche di aspetti leggendari. Si narra come un agente americano abbia consegnato un fazzoletto di Lucky Luciano a don Calogero Vizzini, uno dei capi della mafia siciliana. In questo contesto storico entrerebbe in gioco l’OSS (Office of Strategic Services) (servizio segreto americano che sarà successivamente sostituito dalla CIA). Uno dei massimi esponenti dell’OSS fu Biagio Massimo Corvo, un giovane americano di 23 anni, nato ad Augusta il 29 maggio 1920. Si faceva chiamare Max e il suo nome in codice era Maral. Max era figlio di Cesare Corvo di Melilli e di Giuseppina Arena di Augusta. Cesare Corvo fu costretto ad abbandonare la Sicilia nel 1923 per una serie di contrasti politici con il Governo Fascista e si trasferì a Middietown, nel Connecticut, dove esisteva da tempo una nutrita colonia di Melillesi. Nel 1929 Cesare divenne cittadino degli Stati Uniti e richiamò la sua intera famiglia tra cui c'era il piccolo Biagio Massimo di appena nove anni e giunsero negli USA il
12 ottobre 1929. Nel 1942 Biagio Massimo si arruolò come soldato semplice nell’esercito degli Stati
Uniti a Camp Lee in Virginia. La sua vita prese una svolta incredibile. A Camp Lee l’istruttore Angler Biddle Duke notò le grandi capacità del Corvo e lo fece trasferire ai servizi segreti (OSS). A Washington incontrò Earl Brennan, capo del settore italiano nella neonata OSS. Brennan aveva avuto dei rapporti in
Italia con il Dipartimento di Stato, parlava correttamente l’italiano e aveva stretti rapporti con la comunità italiana e siciliana negli Stati Uniti. Brennam fu impressionato dalla conoscenza del Corvo su fatti e personalità italiani e della sua attenta analisi per lo sviluppo di un piano operativo per una guerriglia nel quadro generico per l’invasione della Sicilia. 
Il Corvo era un convinto antifascista e aveva in mente un’idea:
istituire un’unità militare tutta composta da siciliani immigrati da spedire sull’isola con il compito di “entrare in contatto con gli esponenti antifascisti”, e “tramite le azioni di sabotaggio e la diffusione di volantini tra la popolazione, fomenteranno una rivolta a tutto campo”.
L’ipotesi del soldato Corvo piacque molto all’ Office of Strategic Services e la metterà in atto.
«Max Corvo - scrivono Casarrubea e Cereghino - arriva a Gela il 14 luglio (1943, quattro giorni dopo l’invasione, ndr), in compagnia del colonnello Eddy. Con loro ci sono anche molti antifascisti scappati dalla Sicilia negli anni Venti”. In realtà, noterà lo stesso Corvo, l’efficacia degli agenti “è stata vanificata e resa quasi impossibile dalla rapidità delle operazioni militari”. Ma molti contatti con “quelli che contano” sono ormai stati avviati, le carceri sono state aperte e assieme agli oppositori del regime anche tanti mafiosi hanno riacquistato la libertà. In breve lo sbarco in Sicilia lascerà dietro di sé una situazione quasi ingestibile per il Governo militare alleato insediato sull’isola, sempre più pressato dalla mafia e dei vecchi oligarchi fascisti, lasciando una difficile eredità all’Italia repubblicana.
Venne quindi subito trasferito all’OSS con il numero di matricola “45”. Appena s’insediò all’OSS cominciò ad arruolare degli italo americani iniziando dalla città di Middietown. Formò una valido gruppetto che dal punto di vista numerico non era sufficiente per realizzare gli obiettivi previsti dai servizi segreti del settore italiano dell’OSS. Avviò quindi un programma di arruolamento che copriva l’intero territorio degli USA mantenendo l’obiettivo primario di scelta con il personale migliore.
Si rivolse quindi alle comunità italiane e in particolare a quelle siciliane presenti nel Connecticut, New York, Massachusetts e Rhode Island. Verso la fine di maggio del 1943 l'esercito degli Stati Uniti iniziò i preparativi per l'invasione della Penisola. Corvo arrivò in Nord Africa il 28 maggio del '43. L'invasione della Sicilia era prevista per il 10 luglio; soltanto dopo 50 giorni! Il gruppo di Corvo sbarcò a Falconara, vicino Gela, tre giorni dopo l'invasione ed occupò il castello di Falconara, sbarazzandosi delle pattuglie italiane.
Biagio Massimo Corvo


Il castello di Falconara diventò la sede operativa dell’OSS.
Il Corvo partì per Melilli dove incontrò Padre Fiorilla, zio di uno dei militari e parroco della chiesa di San Sebastiano. Si recò quindi ad Augusta per incontrare i suoi parenti. Le sue visite erano anche collegate alla ricerca di collaboratori in grado di lavorare per i servizi segreti dell’OSS. Dalla base di Falconara partirono degli agenti per preparare il terreno per l’esercito del generale Patton. Sarebbe stato impossibile un avanzata della 7a Armata senza una adeguata conoscenza del territorio anche dal punto di vista umano. L’OSS decise anche che era necessario liberare le isole al largo della Sicilia. Con un’operazione speciale, un gruppo di agenti con il Corvo e Vincent Scamporino sbarcarono sull’isola di Favignana per rimettere in libertà i mafiosi imprigionati dal regime fascista.
(Il Corvo, Vincent Scamporino e Victor Anfuso lavoravano sempre in stretta collaborazione con Lucky Luciano che faceva da “guida” ai servizi segreti americani. Lo stesso Luciano raccomandò ai tre un “giovane in gamba”, Michele Sindona).
Quando il 10 luglio 1943 gli alleati sbarcarono in Sicilia, tutta la parte occidentale cadde in mano alla Settima Armata del generale Patton. Il 24 luglio 1943 gli americani occuparono Trapani, dove l’Ammiraglio Manfredi si arrese con 5000 uomini. Così Marsala, Favignana e altre città. Dopo lo sbarco degli alleati, non vennero liberati solo i detenuti politici…..
“quando nel 1843 gli Americani sbarcarono in Sicilia, la prima azione dell’OSS sarà la corsa del gruppo di Max Corvo e Vincent Scamporino all’Isola di Favignana
Per restituire la libertà ai mafiosi imprigionati dal regine fascista.

La X brigata entrò a Marsala, i paracadutisti dell’82a a Trapani. Dal molo della città partì una squadra della Sezione Italia. I ragazzi di Scamporino e Corvo avevano una missione da compiere: liberare nell’isola di Favignana il centinaio di mafiosi che il regime fascista aveva richiuso, una delle tante azioni sotterranee, su cui si è sempre preferito tacere”.
(Anche se William Corvo, figlio di Max, negò l’acceduto sostenendo che
 “in Italia, e soprattutto in Sicilia, cominciò a circolare una serie di false informazioni e accuse, secondo cui gli americani, e precisamente la sezione italiana dell’SI/OSS, avrebbe liberato dei capi mafiosi per riportarli al potere in Sicilia”.
È innegabile che molti mafiosi, anche tra quelli incarcerati, vennero nominati alla carica di sindaco in molti comuni siciliani come ringraziamento alla loro organizzazione per l’appoggio offerto alla sbarco americano sull’isola). Un ex colonnello dell’esercito USA, Carlo W. D’ Este nel suo libro “1983, Lo Sbarco in Sicilia” (1990 – Mondadori) riportò come
La questione del contributo della mafia americana alla liberazione della Sicilia è
resa oscura da ambiguità e contraddizioni.
8. La preparazione allo sbarco interessò una trattativa tra i rappresentanti del governo alleato e chi realmente aveva in Sicilia una grande influenza, ovvero la mafia?
Dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare Antimafia presentata alle Camere il 4 febbraio 1976 si apprende che..
“qualche tempo prima dello sbarco angloamericano in Sicilia numerosi elementi dell’esercito americani furono inviati nell’isola per prendere contatti con persone determinate e per suscitare nella popolazione sentimenti favorevoli agli alleati”.
Una volta che venne decisa a Casablanca l’occupazione della Sicilia, il Naval Intelligence Service organizzò un’apposita squadra (target Section), incaricandola di raccogliere le necessarie informazioni ai fini dello sbarco “preparazione psicologica” della Sicilia. Fu così predisposta una fitta rete informativa che stabilì preziosi collegamenti con la Sicilia, attraverso un gruppo di sommergibili della classe “U” che operavano partendo da Malta ed Algeri.
Le ricognizioni cominciarono già nel mese di febbraio 1943. I sommergibili emergevano e si immergevano nelle acque nemiche, mentre coraggiosi soldati e ufficiali dell’esercito e della marina inglese e canadese si avventurarono in zone temerarie, a bordo di canotti ed avevano strumenti per misurare le inclinazioni delle coste, scandagliare gli eventuali ostacoli subacquei, schizzare o fotografare le difese costiere. Un numero sempre maggiore di collaboratori e di informatori rimasero nell’isola, nascondendosi sulla costa o camuffandosi tra la popolazione civile. Nella zona di Licata, ad esempio, operarono attivamente l’agente speciale dell’M16 Alan Philips e il colonnello Arthur Neville Hancock dell’Intelligence Service britannico, sbarcato nella costa di Butera – Gela nella notte del 16 aprile 1943, ospitato nella casa di campagna a Montesole da Gaetano Arturo Vecchio Verderame. Ma l’episodio certo più importante fu quello che riguarda la parte avuta nella preparazione dello sbarco dal gangster Lucky Luciano, uno dei capi riconosciuti dalla malavita americana di origine siciliana, che stava scontando una pena a quindici anni di carcere. Il Luciano, una volta accettata l’idea di collaborare con le autorità governative americane, dovette prendere contatto con i grandi capimafia statunitensi di origine siciliana e questi a loro volta si interessarono di mettere a punto i necessari piani operativi, per trovare un terreno favorevole agli elementi dell’esercito americano. Elementi americani che sarebbero sbarcati clandestinamente in Sicilia per preparare all’occupazione imminente le popolazioni locali.
Il Luciano venne graziato nel 1946
Per i grandi servigi resi agli States durante la guerra.
Tornò a Napoli per fare contrabbando di sigarette e traffico di eroina.
Quindi la trattativa fra i servizi segreti americani e i criminali mafiosi passò attraverso l’OSS (Office of Strategic Services), diretto dal generale William Donovanò. Gerarchicamente l’OSS in Europa dipendeva da Allen Dulles, che aveva la propria sede in Svizzera, mentre il suo diretto dipendente in Italia era proprio l’italo americano Massimo Corvo (già citato). Il Corvo organizzò il suo reparto selezionando in particolare agenti con criteri di appartenenza regionale o paesane nei centri di Middletown e Hartfort (Connecticut), zone tradizionali della immigrazione dai centri siciliani di Melilli e di Floridia. Una pratica gestionale che manterrà anche dopo lo sbarco in Sicilia suscitando polemiche e sospetti nel favorire le infiltrazioni mafiose. Formò un’unità militare che nelle forze armate americane era nota come
The mafia circle (Il Circolo della mafia)
Stabili ulteriori contatti con Victor Anfuso, Lucky Luciano, Vito Genovese, Alber Anastasia e altre persone delle organizzazioni criminali italoamericane inserite nell’operazione “Underworld”, un giovane raccomandato dallo stesso Luciano, Michele Sindona ed anche con un certo Licio Gelli.
Lo sbarco degli americani a Licata, secondo la tesi dello storico Alfredo Giosué Greco
Sarebbe avvenuto con il pieno beneplacito e la collaborazione di una forza
politica e sociale locale, che lascia intendere sia stata la Massoneria.
La tesi suscitò un vivace dibattito e lo storico Carmelo Incorvaia affermò che..
L’intesa sulla quale, nel dopoguerra, si sono elaborate discussioni,
e ricamate anche teorie e favole che hanno assunto la forza di un mito,
sostanzialmente non ci fu, e non ci poteva essere. Questo certamente non
implica che non si siano verificati singoli e limitati episodi di collaborazione,
soprattutto informativa, tra le diverse agenzie americane e anche
britanniche, e personaggi locali.
Di tesi contraria lo storico Carmelo Zangara che, condividendo la tesi di Alfredo Giosué, affermò..
Tesi non peregrina perché battuta a lungo negli anni successivi allo sbarco,
da tutta una serie di studi storiografici su quello che all’epoca veniva chiamato
il tradimento degli italiani. Tradimento gridato dai tedeschi,
amplificati dai fascisti convinti, tessuto trama per trama sulla tela di testi
come “Due Anni di storia” (1948) di Attilio Tamaro in cui l’autore
definiva menzogne le assicurazioni fornite dal duce dai generali
Ambrosio e Guzzoni circa l’efficienza del sistema difensivo dell’isola; oppure “Non volevamo perdere (1951) di Alfredo Cucco”
e di altri stimati saggisti che si chiesero ironicamente se mai fosse stata combattuta nel 1943 una battaglia di Sicilia.
In previsione dell’attacco in Sicilia, nel maggio 1943, il Foreign Office britannico stampò, ad uso degli ufficiali delle armate di occupazione britanniche, un manuale dal titolo significativo
Sicily Zone Handbook
di 68 pagine, con testo su due colonne e con una veste editoriale costituita da carta grigia e spessa di pessima qualità, copertina scura con impressa la scritta “Top Secret” in genere usata per i documenti diplomatici e militari più importanti. Gli ufficiali britannici mantennero questo obbligo di sicurezza.
Il manuale era diviso in tre parti e corredato da numerose ed ampie cartine. Fu progettato per offrire agli ufficiali alleati che sarebbero sbarcati in Sicilia, tutta una seri di informazioni in merito alla popolazione a all’amministrazione, le condizioni economiche, informazioni locali e l’elenco dei personaggi principali.
Le notizie sulla provincia di Agrigento riguardavano le pagine 19 – 26 mentre le informazioni sul comune di Licata, notizie che risalivano al 1939, si trovavano nella pagina 24.
La città di Licata, secondo le notizie in possesso degli Alleati, risultava il comune più popoloso dell’agrigentino (31.161 abitanti) dopo Agrigento che contava 35.361 abitanti.
Licata era sede di un distretto giudiziario

9. Nella conferenza di Casablanca si parlò anche sul problema dell’amministrazione dei territori occupati e delle città liberate dopo lo sbarco prima in Sicilia e poi in Italia. 
Prima della conferenza, tra novembre e dicembre 1942, erano stati predisposti dei documenti che analizzavano i molteplici aspetti della società siciliana. Il Foreign Research ande Press Service del Balliol di Oxford elaborò il 19 novembre 1942 per il Naval Intelligence Department dell’Ammiragliato britannico delle accurate “Notes on Sicily” ed il 19 dicembre il Foreign Office stilò il “Sicily under Italian rule” che in appendice recava il “Memorandum on conditions ande politcs in Sicicly” del PWE che era stato redatto nel mese di agosto del 1942. Il documento del Balliol si occupava delle strutture amministrative e del PNF (Partito Nazionale Fascista) in Sicilia. Churchill insisteva col presidente americano Roosevelt affinché l’amministrazione della Sicilia fosse britannica mentre gli Americani ritenevano che ciò avrebbe causato non pochi problemi con la popolazione locale la cui emigrazione si era orientata verso l’America e non verso i paesi anglosassoni.
Gli Alleati non riuscivano a trovare un accordo sulle regole da adottare per l’amministrazione dei territori liberati. Un confronto sul tema che toccò toni molto accesi. Gli americani non accettavano le valutazioni britanniche sulla scarsa unità del tessuto umano siciliano, e volvano seguire l’idea un controllo diretto dei territori.
Gli americani proponevano la costituzione di prefetti, podestà e funzionari d’alto livello con ufficiali alleati. Questo obiettivo degli americani avrebbe dato alla popolazione la legittima sensazione di occupazione e non di liberazione e ciò avrebbe vanificato l’anima politica che il pano di sbarco “ Husky” si proponeva.
Gli inglesi, basandosi sulla loro esperienza coloniale, proponevano un amministrazione indiretta dei territori affidandoli a persone del luogo, dopo un attenta e mirata epurazione dai luoghi pubblici di tutte quelle figure che avevano svolto ruoli di responsabilità con il Fascismo. Con questa sistema l’opinione pubblica avrebbe attribuito qualsiasi disfunzione amministrativa agli impiegati civili e non al Governo militare alleato. Inoltre sarebbe stato più facile per il personale ubbidire ai propri superiori piuttosto che agli ufficiali alleati e per il governo alleato si sarebbe avuto un notevole risparmio sia in risorse umane che economiche.
Nell’ipotesi americana sarebbero stati necessari almeno da 2000 a 400 consiglieri che avrebbero affiancato e non sostituito gli amministratori italiani.
Alla fine dopo lunghe dispute prevalse la linea inglese e si individuò nel prefetto l’elemento responsabile del governo locale che costituiva la figura chiave dello Stato italiano.
Lord Rennel of Rold precisò che fosse necessario che l’amministratore provinciale alleato di grado più elevato fosse accanto al prefetto per suggerire gli obiettivi e i programmi del governo alleato.
Il prefetto doveva essere un funzionario statale e non politico. Questo avrebbe reso più facile il governo delle province occupate. Se il prefetto fosse andato via con le truppe dell’Asse in ritirata sarebbe stato sostituito dal viceprefetto, se ancora in sede. In mancanza di questo, le autorità militari avrebbero provveduto a nominare un prefetto di loro scelta.
Gli Inglesi ottennero anche dagli Americani l’impegno sugli accordi nella conduzione del governo militare in Sicilia (unitarietà e pariteticità) che avrebbe esercitato il controllo amministrativo nelle zone di competenza come in accordo con il piano Husky: gli Inglesi nella Sicilia orientale e gli Americani in quella Occidentale.
Come Governatore Militare della Sicilia fu nominato il generale Sir Harold Alexander ( come a convalidare la supremazia inglese nel Mediterraneo).
Nel mese di marzo 1943 gli Alleati diedero vita ad un Comando congiunto degli Affari Civili (C.C.A.O.) ed alla costituzione dell’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territory) alla quale venne assegnato il non facile compito di governare i paesi occupati e liberati dopo lo sbarco.
Fu il generale Maurice Stanley Lush, capo del governo militare in Etiopia, a collaborare con il colonnello americano John Spafford alla prima stesura del piano che delineava la struttura dell’AMGOT.
Governo militare alleato dei territori occupati
(Allied Military Government of Occupied Territories, sigla AMGOT), i
n seguito Governo militare alleato
(Allied Military Government, sigla AMG)
Uno strano aspetto della parola AMGOT……..
I responsabili superiori di questo organismo deputato all’Amministrazione degli
Affari Civili delle zone conquistate, si accorsero che le due sillabe della parola AM-GOT
 in lingua turca indicavano rispettivamente gli organi genitali maschili e femminile.
La sigla venne quindi modificata ed abbreviata in AMG.
Nel mese di aprile del 1943 giunse ad Algeri il maggiore generale Lord Francis Rennel of Rood, già capo degli affari politici del comando dell’Africa orientale, che conosceva molto bene l’Italia perché era stato ambasciatore a Roma nel periodo della prima guerra mondiale.
Rennell Rodd, capo del governo militare alleato in Sicilia dal luglio 1943
Rennel fu designato Ufficiale Capo degli Affari Civili (C.C.A.O.) (Chief Civil Affairs Officers), in pratica capo dell’AMGOT e responsabile per l’amministrazione del territorio verso Alexander.
Come vice venne designato il brigadiere generale Franl J.McSherry. Secondo gli accordi il quartiere generale AMGOT (Allied Military Government headquarters) si sarebbe stabilito prima a Siracusa, area d’influenza britannica, e dopo a Palermo, la capitale storica e politica della Sicilia.
All’inizio furono previste sei divisioni speciali con funzioni consultive nei riguardi dell’Ufficiale Capo degli Affari Civili:
- Legale (Legal Division) con il compito del controllo sulle leggi e gli atti di governo dell’occupazione;
- Finanziaria (Financial Division);
- Per le forniture civili (Civilian Supply);
- Sanità pubblica (Public Health);
- Pubblica Sicurezza (Public Safety);
- Proprietà alleate e del nemico (Allied and Enemy Property).
A queste aree vennero aggiunte anche quelle riguardanti al Consigliere per la Pubblica Istruzione (Educational Adviser) e al Consigliere per la Tutela dei Monumenti e le opere d’arte (Adviser Arts and Monuments).
L’AMGOT non avrebbe esercitato alcun ruolo politico ed il suo personale doveva essere costituito da ufficiali appositamente addestrati sulla conoscenza dell’organizzazione e delle strutture amministrative. Si decise di tenere quindi un apposito corso di formazione nei pressi di Algeri.
L’amministrazione militare del territorio si sarebbe svolta in modo decentrato attraverso i locali Ufficiali degli Affari Civili (CAO) (Civil Affairs Officers) che erano presenti nelle città più popolate con il compito di ristabilire l’ordine e mantenere la tranquillità tra la popolazione civile.
Questi obiettivi sarebbero stati raggiunti con collaborazione con:
- gli Ufficiali di Polizia Civile (C.P.O.) (Civil Police Officers);
- La MP (Military Police);
- Le unità combattenti del luogo.
La polizia civile, arruolata dagli alleati, avrebbe avuto il ruolo di dirigere ed organizzare le forze esistenti. Questo compito sarebbe stato svolto, in particolare, dall’Arma dei Regi Carabinieri, nonostante questo corpo  fosse formalmente un’unità dell’esercito italiano, nel caso la sua organizzazione fosse rimasta intatta e non si fosse sfaldata sotto l’urto dell’invasione alleata o in seguito al crollo del regime fascista. Questa soluzione non fu gradita dagli Inglesi e fu molto osteggiata alla Camera dei Comuni di Londra. Fu però molto sostenuta da Eisnhower che considerava i Carabinieri l’unica forza organica ed efficiente di polizia esistente in modo capillare in Sicilia.
I Carabinieri si sarebbero trovati in una situazione molto scomoda nei confronti della popolazione siciliana dato che avrebbero dovuto imporre delle leggi emanate da forze di occupazione.
Il ricorso ai Carabinieri, a giudizio di Eisenhower, avrebbe evitato di distrarre dalle forze combattenti almeno 20mila uomini.
Gli Ufficiali degli Affari Civili avrebbero dovuto garantire anche il funzionamento dell’apparato amministrativo provinciale e comunale. Per questo motivo avrebbero dovuto sostituire, sempre se necessario, i podestà e gli altri funzionari locali con nuovi sindaci e collaboratori, scelti tra le personalità più in vista nel territorio locale per la loro esperienza e correttezza, dopo aver interpellato i notabili del luogo e le autorità ecclesiastiche.
A costoro sarebbe stata affidata la diretta amministrazione sotto il controllo degli ufficiali degli Affari Civili attraverso il visto di esecutività alle delibere del sindaco e dei suoi collaboratori.
Anche su questo aspetto passò la linea britannica.
Roosevelt, pressato dai sovietici, aveva pensato di rimuovere  tutti i sindaci in quanto fascisti di spicco e di sostituirli con ufficiali dell’esercito.
Ma Churchill, preoccupato che il vuoto creato dalle destituzioni dei sindaci venisse riempito dai comunisti o da elementi radicali dell’antifascismo italiano, un timore questo che sarà costante nell’atteggiamento britannico nei confronti dell’Italia e che avrà per conseguenza l’aiuto degli elementi moderati celatamente compromessi  con il fascismo, consigliò di lasciare al Comando Supremo Alleato il compito di proporre ai rispettivi governi il grado di coinvolgimento nella vita locale di ufficiali inglesi ed americani.
Gli ufficiali dell’AMGOT avrebbero dovuto dare attuazione localmente ai proclami ed agli avvisi delle forze di occupazione.
L’apertura della scuola di governo militare fu una delle prime iniziative della Divisione degli Affari Civili (C.A.D.), creata al dipartimento di Washington l’1 marzo 1943 (cinque mesi prima dello sbarco) e delegata al sottosegretario John McCloy, con direttore il generale John Hildring.
La scuola fu diretta dal tenente colonnello A.D. Aitken, scozzese, con vicario e istruttore capo il maggiore Henry Powell, americano.
Le attività formative ebbero inizio nei primi giorni di giugno.
Il reclutamento degli uomini dell’AMGOT, che aveva sicuramente la necessità di poter disporre di un adeguato numero di ufficiali in possesso almeno di alcuni requisiti essenziali ( buon conoscenza della lingua e delle leggi italiane e delle funzioni delle autorità locali) presentò alcune gravi difficoltà.
Tra le forze americane d’invasione gli oriundi italiani rappresentavano circa il 15% e gli elementi adatti alle funzioni di governo non erano molti, dato che gli elementi più validi erano stati arruolati nell’Italian Section dell’OSS.
Il contingente britannico poteva invece contare su uomini di maggiore esperienza di governo, dato che risultava composto in gran parte da funzionari coloniali che però non aveva alcuna esperienza delle popolazioni locale e sui sistemi di governo europei.
Tra gli americani del primo gruppo o scaglione ( centotrenta  persone) c’erano due senatori, un governatore, sindaci, docenti universitari, parecchi magistrati, commissari  di polizia e numerosi banchieri ed avvocati.
Fra questi e quelli del secondo scaglione c’erano molti ufficiali della riserva, veterani di professione, conservatori politici e sociali. Figure che i comandanti dei reparti, desiderosi di liberarsi dei loro subalterni meno utili, avevano scaricato sull’AMGOT
Non vi erano uomini veramente malvagi
ma è anche vero che nelle zone da amministrare
un buon numero di questi ufficiali contava di ottenere alloggi confortevoli,
ragazze compiacenti e profitti discreti sul mercato nero.
Ma c’era anche un aspetto culturale che implicava la visione di una Sicilia arretrata.
Gli ambienti alleati era giustamente convinti dei buoni sentimenti che i Siciliani avrebbero mostrato verso le truppe angloamericane, come in effetti si verificò. Ma a questa convinzione si contrapponeva il rischio che le truppe alleate, come in effetti accadrà in più parti della Sicilia, non avrebbero ricambiato tali sentimenti, dato che erano state convinte dalla propaganda bellica di arrivare in un paese che durante i vent’anni di fascismo
Aveva rifiutato molti canoni riconosciuti all’umanità civilizzata.
Gran parte degli ufficiali dell’AMGOT aveva frequentato i corsi di governo militare presso le Università della Virginia, a Charlottesville, sostenendo gli esami di rito.
Tutti avevano poi superato i colloqui individuali con il colonnello David Marcus e soprattutto con il tenente colonnello Charles Poletti, della Divisione Affari Civili (CAD),
anche se molti dei candidati erano di origine italiana, pochissimi  sapevano leggere e parlare correttamente.
Lunedì, 10 maggior 1943, gli americani partirono da Norfolk, in Virginia, con due tragetti, il “Lakehurst” ed il “Texas”, entrambi gestiti dalla “US Navy”, assieme a quattordici unità scortate da dodici cacciatorpediniere e guidate dall’incrociatore leggero “Savannah (CL42)” al comando del capitano di vascello R.W. Cary.
Giunsero a Orano domenica 23 maggio 1943. Si aggregò la compagnia “A” del 7° battaglione agli ordini del capitano Slade, e vennero trasferiti via terra a Canestel, sette miglia ad Est, dove fu allestito il campo della “First Replacement Depot”, diretto dal colonnello Christian Berry, con vice il tenente colonnello Lee.
Il 2 giugno 1943 vennero tutti trasferiti in treno a Chréa, un comune montano vicino Blida, in Algeria, sede del “Military Government Holding Center (Centro di raccolta del governo militare).
Qui arrivarono dall’Egitto anche gli ufficiali britannici molti dei quali non provenivano dalle forze armate ma appartenevano a personale diplomatico che aveva operato nelle ex-colonie italiane.
Altri, come il maggiore Arthur Neville Hancok, arrivarono direttamente da Londra e, a differenza degli ufficiali americani, parlavano, come riferì Frank Toscani nelle sue memorie, un ottimo e scorrevole italiano.
Tutti parteciparono a dei corsi intensivi di lingua italiana e di governo militare secondo le sei sezioni previste dall’AMGOT.
Durante il corso gli ufficiali affrontarono diverse problematiche che avrebbero dovuto gestire una volta insediati nei territori della Sicilia occupata.
Tra queste problematiche:
- La gestione dei tribunali militari;
- Le condizioni alimentari della popolazione;
- L’igiene pubblica;
- Il pericolo di epidemie;
- L’edilizia scolastica.
Gli Alleati erano a conoscenza, attraverso lo spionaggio, delle reali condizioni alimentari, peraltro disastrose, in cui era ridotta la popolazione. Infatti gli aerei alleati nelle loro ininterrotte incursioni, oltre alla bombe sganciavano manifestini con i quali assicuravano la popolazione affamata che
i raccolti dell’America e del mondo libero venivano accantonati per rifornire le popolazioni europee che aspettavano la liberazione dal nazifascismo.
Nella primavera del 1943 la fame serpeggiava tra la gente.
La dieta calcolata prima della guerra era di 3.300 calorie al giorno, 2.600 delle quali a base di pane e pasta. Qualche mese prima dello sbarco (luglio 1943) i 200 grammi di pane immangiabile e gli altri farinacei distribuiti dal razionamento, non assicuravano nemmeno 800 calorie, rendendo inevitabile il ricorso al mercato nero, tra l’altro per chi poteva permetterselo.
Quel poco di grano esistente in Sicilia, una volta grande produttrice di cereali, prendeva la via del Nord e le riserve di farina, presenti nell’Isola, potevano assicurare il pane per poco più di una settimana a Siracusa ed a Catania e per non più di 3 giorni a Palermo, Agrigento e Trapani.
Anche il settore militare viveva il problema alimentare a causa del blocco aereo-navale alleato. Era a rischio anche la stessa raziona quotidiana di pane destinata per le truppe presenti nell’isola.
Altrettanto grave era la situazione sanitaria.
C’erano da ripristinare le principali esigenze d’igiene pubblica in un paese che era stato bombardato per mesi. Bombardamenti che avevano distrutto quasi tutta l’organizzazione sanitaria e sociale esistente.
Gli alleati erano preoccupati soprattutto per la malaria che in quel periodo esisteva ancora nell’Isola e per le infezioni a cui le truppe da sbarco potevano incorrere entrando in contatto con la sabbia delle spiagge. Sabbia che era infestata da piccoli moscerini flebotoni che provocano forti febbri.
Le condizioni igieniche, già precarie, erano messe a dura prova dall’imponente massa di sfollati che vagavano per tutta l’isola in cerca di un rifugio più sicuro dalle bombe e di tanti senza tetto che bivaccavano dove potevano.
Un’altra problema riguardava l’istruzione. Le scuole erano ferme da circa un anno o per l’inagibilità dei locali scolastici danneggiati o distrutti dalla bombe o perché quei pochi edifici ancora agibili erano stati destinati ad alloggi per gli sfollati, ad ospedali, ad uffici o ancora a depositi.
Nell’opuscolo..
Soldier’s Guide to Sicily
La Guida al soldato per la Sicilia


Le guide, che non erano altro che dei piccoli quaderni, avevano il titolo  Soldier’s guide to Sicily, ed erano state assemblate da Jim Taylor, che in Italia era arrivato dopo avere preso parte alla campagna che lo aveva portato a combattere nel deserto del Nord Africa.
La prefazione venne scritta dal generale Dwight D. Eisenhower, dell’esercito americano e comandante in capo di tutta l’operazione.
Si tratta dunque di uno spaccato interessante, per capire come, a quell’epoca gli stranieri si rapportassero con i siciliani.
La prefazione del generale Dwight D. Eisenhower
We are about to engage in the second phase of the operations which began with the invasion 
of North Africa.
We have defeated the enemies’ forces on the South shore of the Mediterranean and
captured his army intact.
The French in North Africa, for whom the yoke of Axis domination has been lifted,
are now our loyal allies.
However this is NOT enough. Our untiring pressure on the enemy must be maintained, and as this book falls into your hands we are about to pursue the invasion and occupation of enemy territory.
The successful conclusion of these operations will NOT only strike closer to the heart of the Axis, but also will remove the last threat to the free sea lanes of the Mediterranean.
Remember that this time it is indeed enemy territory which we are attacking, and as such we must expect extremely difficult fighting.
But we have to work smoothly alongside one another as a team, and many of you who will be in the first ranks of this force know full well the power of our Allied air and naval forces and the real meaning of air and naval superiority.
The taks is difficult but your skill, courage and devotion to duty will be successful in driving our
................... 
Stiamo per entrare nella seconda fase delle operazioni iniziate con l'invasione del Nord Africa.
Abbiamo sconfitto le forze nemiche sulla sponda meridionale del Mediterraneo e
catturato il suo esercito intatto.
I francesi in Nord Africa, ai quali è stato tolto il giogo del dominio dell’Asse,
sono ora nostri fedeli alleati.
Comunque, questo non è abbastanza. La nostra instancabile pressione sul nemico deve essere mantenuta e, quando questo libro cadrà nelle vostre mani, ci accingiamo a perseguire l'invasione e l'occupazione del territorio nemico.
La conclusione positiva di queste operazioni NON solo colpirà più vicino al cuore dell’Asse, ma eliminerà anche l’ultima minaccia alle libere rotte marittime del Mediterraneo.
Ricorda che questa volta è proprio il territorio nemico che stiamo attaccando, e come tale dobbiamo aspettarci combattimenti estremamente difficili.
Ma dobbiamo lavorare senza intoppi gli uni accanto agli altri come una squadra, e molti di voi che saranno nelle prime file di questa forza conoscono molto bene la potenza delle nostre forze aeree e navali alleate e il vero significato della superiorità aerea e navale.
Il compito è difficile, ma la tua abilità, coraggio e devozione al dovere avranno successo nel portare i nostri nemici più vicini al disastro e condurci verso la vittoria e
la liberazione dell'Europa e dell'Asia.

Alcune pagine della guida


Distribuita a tutte le truppe prima dello sbarco, nei paragrafi destinati all’igiene era scritto…
I servizi igienici sono primitivi, di solito una fossa in fondo al giardino.
Ciò fornisce concime per i campi.
Nelle città dove c’è una rete fognaria, solo metà delle case ha le latrine,
e anche in questo caso la fognatura è inadeguata.
Gli abitanti del luogo, vivendo in condizioni primitive, sono diventati
immuni da molte malattie, che i soldati britannici possono contrarre facilmente.
Le antigeniche condizioni dell’isola sono una delle migliori difese
contro l’invasore e le perdite dovute alle malattie potrebbero essere di
gran lunga maggiori di quelle provocate dalla battaglia….
Un altro problema che gli alleati avrebbero dovuto affrontare era quello della giustizia e della relativa gestione dei tribunali militari.
A causa dei bombardamenti i tribunali in Sicilia da mesi non tenevano udienze e la situazione si sarebbe aggravata con lo sbarco degli Alleati a causa del personale sfollato o nascosto.
Gli Alleati pensarono di colmare questo vuoto estendendo la giurisdizione dei tribunali militari alla popolazione civile della Sicilia, la prima regione d’Italia ed il primo territorio europeo ad essere invaso ed occupato dagli Alleati.
Erano esclusi da questa giurisdizione i militari delle forze alleate e i prigionieri di guerra tutelati dalla Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929.
Nella competenza di questi tribunali militari rientravano i reati commessi contro le leggi e gli usi di guerra, contro qualsiasi proclama, ordine o regolamento emesso per ordine del Governo Militare Alleato, contro le leggi del codice penale italiano e quelli commessi contro le ordinanze emesse da ogni comune.
Una soluzione che creerà nella gestione quotidiana della giustizia, a partire dall’11 luglio 1943, seri problemi con le comunità locali che si sentiranno trattate da nemiche.
Trattate da nemici da giudici che non comprendevano spesso né la lingua e tantomeno la lingua siciliana degli accusati, non conoscevano le leggi e gli usi italiani e che spesso finiranno con affidarsi alla maldestra traduzione di improvvisati interpreti.
Tutto questo spesso  giocherà a sfavore degli imputati patrocinati da ufficiali con l’incarico di avvocati d’ufficio. Pochi usciranno assolti da questi processi “farsa” dei tribunali militari e le prigioni militari dell’Isola diventeranno in poco tempo insufficienti a contenere i “rei”.  Gli Alleati dovranno ricorrere all’utilizzazione di vecchie caserme o di altri edifici.
Le corti militari alleate si riveleranno molto rigide ed emetteranno delle pene severissime anche per reati di modesta entità.
Così accadrà anche per i condannati a pene pecuniarie che resteranno spesso sbalorditi nel vedere come i giudici militari alleati useranno intascare,,, “fare proprie”,,, con “grande disinvoltura”.. le somme delle multe.
Nella sola Licata, in poco più di un mese, il tribunale militare giudicherà ben 1291 persone…..
 
Ritornando al corso, gli ufficiali degli Affari Civili, divisi in gruppi,  si presentarono alle armate di destinazione.
In Sicilia a comandare gli ufficiali degli Affari Civili saranno:
In Sicilia a comandare gli ufficiali degli Affari Civili saranno:
Charles Poletti
E
Il commodoro della marina di sua maestà C. E. Bnson.
Il responsabile per la Sicilia Occidentale sarà
Il colonnello Charles Poletti
Con
Vice il tenente colonnello britannico Peter Rodd.
Peter Murray Rennell Rodd  fu anche un operatore umanitario e regista britannico.
Nel 1933 aveva aderito all’Unione britannica dei fascisti per poi
abbandonarla nel 1934, quando denunciò il movimento  per le sue azioni.
Nel 1938 guidò l'azione umanitaria a Perpignan a favore dei profughi della guerra civile spagnola. Fu incaricato nelle Guardie gallesi nel 1939 e prestò servizio in Africa e in Italia, raggiungendo il grado di tenente colonnello. Dopo la guerra tentò senza successo di diventare un regista, ma il suo unico progetto completato, Per chi suona la porta , girato in Spagna, fu un fallimento.
Nel 1933 sposò la scrittrice Nancy Mitford, figlia di David Freeman-Mitford, 2° barone Redesdale
(ricco proprietario terriero). Divorziarono nel 1957.

Nancy Mitford's marriage to Peter Rodd in 1933

Nancy Freeman-Mitford 
(Londra, 28 novembre 1904 – Versailles, 30 giugno 1973)
Scrittrice e biografa

Nancy Freeman-Mitford 
(foto del 1933)

Prima che venisse nominato Poletti si fece anche il nome, con una certa insistenza, dell’ex sindaco di New York, l’italo-americano Fiorello La Guardia, che svolgeva da tempo una forte attività di propaganda radiofonica.

Fiorello La Guardia

Ma il governo americano con fermezza propose di non utilizzare elementi civili per compiti militari e il segretario di Stato Stimson fece respingere tutte le domande di arruolamento che il La Guardia aveva presentato. Probabilmente la mancata accettazione delle domande fu legata al dopo Pearl Harbour in cui il La Guardia si era dimostrato poco capace nell’incarico di capo del servizio di difesa civile.
Poletti fu distaccato presso la 7° armata del generale George Patton e sbarcherà il 10 luglio 1943 lungo la costa tra Licata e Scoglitti.
Il gruppo d’armata comprendeva diciassette ufficiali, divisi in tre squadre.
Tre ufficiali anziani coordineranno le squadre:
- Il tenente colonnello George Hebert McCaffrey, dell’US Army, presso la 3° divisione, sbarcherà nella spiaggia di Licata;
- Il pari grado Wynot Irish, presso la 1° divisione, sbarcherà a Gela;
- Il pari grado Stephen Story, 45° divisione, sbarcherà presso Scoglitti.
Al quartier generale della 7° armata a Mostaganem, McCaffrey e gli ufficiali della sua squadra ricevettero ragguagli e consegne dal Poletti e dal colonnello Oskar Koch che aveva la responsabilità del G-2, il servizio informazioni dell’esercito.
Si presentarono quindi al comando della 3° divisione a Biserta, 335 km ad est, dove ricevettero ulteriori istruzioni da Truscott e dal responsabile divisionale del G-2 colonnello Mercer Wilson.
La squadra di McCaffrey, oltre a Licata, Canicattì e Favara avrebbe dovuto governare l’intera provincia di Agrigento, comprendeva nove unità (sei ufficiali e tre graduati):
- Il capo della sezione con il vicario;
- L’ufficiale di pubblica sicurezza con due assistenti;
- L’ufficiale dei rifornimenti civili con un assistente:
- Gli ufficiali di sanità e di finanza.
Le tabelle di pianificazione prevedevano anche un altro ufficiale, esperto di amministrazione generale, e dodici/quindici graduati (interpreti, furieri, austisti).
Vice di MacCaffrei, nel rispetto del principio di alternanza, era il maggiore Arthur Neville Hancock, scozzese dell’esercito inglese.
Gli altri quattro ufficiali, tutti americani erano:
il maggiore Robert L. QAshworth, incaricato di pubblica sicurezza;
il maggiore Frank Eugene Toscani, responsabile dei rifornimenti civili;
il capitano medico Edgar B. Johnwick, sanità;
il tenente Hiram S. Ganz, finanza e contabilità.
Tra i graduati c’erano Charles Nocerini di Franklyn (Kansas), caporalmaggiore ed assistente di Toscani ed il soldato semplice Labanm dello East Kent Regiment britannico, che farà da attendente a Hancock.
Sempre via treno gli ufficiali degli Affari Civili furono trasferiti a Sfax, sulla costa Sud-orientale della Tunisia. Da qui il 9 luglio 1943 la squadra di McCaffrey, con la 3a divisione di fanteria del generale Truscott, responsabile della “Joss Force”, s’imbarcherà per la Sicilia con destinazione Licata in codice “Fibula”.

Lo strano caso della Università Siciliane giudicate dal tribunale militare dell’AMGOT(AMG)
In Sicilia erano presenti da secoli tre Università: a Palermo, Messina e Catania.
Durante il Ventennio era stata favorita l’Università di Palermo perché  inserita fra le università della “tabella A” in base alla riforma Gentile.
Le università rientranti in questa tabella venivano finanziate totalmente dallo Stato mentre le università di Catania e di Messina figuravano nella “tabella B” e ricevevano solo parzialmente dei finanziamenti statali.  Queste due ultime università integravano i finanziamento statali con convenzioni regionali o locali.
Nel 1924 fu chiusa la Facoltà di Lettere e di Filosofia dell’Università di Messina.
Le presenze studentesche, nei tre atenei, si erano triplicate negli ultimi vent’anni  e nell’anno 1942 – 1943  la sola Università di Palermo contava 7000 iscritti mentre l’Università di Catania ne presentava 6000 e quella di Messina 5000.
(George) Robert Gair (in seguito assunse il cognome Gayre di Gayre e Nigg) ,
era un antropologo scozzese
Consigliere Educativo del Governo Militare Alleato d'Italia , con sede a Palermo ,
dove si batté per l'esclusione dei libri di testo di sinistra e dell'influenza comunista
dal sistema educativo italiano.

L’Educational Advisor George Robert Gayre giunse in Sicilia il 5 settembre 1943 e alla fine del mese destituì i rettori in carica, sostituendoli con provati antifascisti:
- A Palermo fu nominato Giovanni Baviera;
- a Messina Gaetano Martino;
- a Catania Mario Petroncelli.
I precedenti rettori, oltre a perdere la carica, subirono alcune repressioni:
- Salvatore Sgrosso, che era a capo dell’ateneo messinese dal 1940, venne epurato;
- Orazio Condorelli, rettore a Catania dal 1937, venne arrestato,
- l’ex rettore palermitano Nicola Leotta, al contrario, non subì alcun ulteriore provvedimento dato che agli inizi di settembre era stato assunto come collaboratore del capo degli Affari Civili dell’AMGOT Charles Poletti.
Gli Alleati nominarono nuovi presidi di Facoltà, e confermarono nelle loro cariche alcuni di quelli meno compromessi con il fascismo.
La Chiesa, che già si era intromessa nelle nomine scolastiche, anche in questo caso espresse la sua opposizione alla nomina del professor Giuseppe Ferretti alla presidenza della Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo.
Perché questa opposizione della Chiesa alla nomina del Ferretti?
Ferretti era socialista e anticlericale ed era quindi malvisto dalle autorità ecclesiastiche, le quali fecero pressione su Poletti per rivederne la nomina, costringendo quest’ultimo a consultarsi con Gayre.
L’Educational Advisor sottolineò che nelle nomine era fondamentale valutare il prestigio accademico e la loro non adesione al fascismo..
Senza fare ulteriori considerazioni politiche.
Il Ferretti rimase quindi preside della Facoltà.
A metà novembre 1943 ci fu l’epurazione effettuata dal maggiore Sherwood in sostituzione di Gayre.
L’università più colpita fu quella di Palermo, dove su un corpo docente di 68 professori di ruolo, ne vennero epurati 9:
- quattro furono licenziati definitivamente;
a. Giovanni De Francisci Gerbino di Economia politica corporativa;
b. Ramiro Fabiani di Geologia;
c. Salvatore Maggiore di Clinica pediatrica;
d. Giuseppe Maggiore di Diritto penale.
- cinque sospesi temporaneamente.
a. Edoardo Calandra di Clinica ortopedica; (sospeso per un anno)
b. Salvatore Caronia di Architettura e composizione architettonica; (sospeso per un anno)
c. Vito Fazio Allmayer di Filosofia teoretica; (sospeso per un anno)
d. Gioacchino Scaduto di Diritto civile; (sospeso per un anno)
e. Luigi Efisio Tocco di Farmacologia, che fu sospeso per sei mesi.
I criteri con cui furono licenziati erano molto aleatori anche se erano figure di spicco del fascismo siciliano.:
- De Francisci Gerbino, «propagandista del corporativismo, era un famoso fascista che aveva ricoperto molte cariche pubbliche»;
- Fabiani era preside della Facoltà di Scienze, Accademico d’Italia e aveva abbandonato il suo posto all’arrivo degli Alleati;
- i fratelli Salvatore e Giuseppe Maggiore erano importanti accademici siciliani. Il primo era stato rettore a Messina (1939-40) ed anche membro del direttorio federale del Fascio; il secondo era stato rettore a Palermo (1938-39) dove aveva ricoperto importanti incarichi (presidente della Provincia di Palermo dal 1934 al 1943, ultimo presidente dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista nel 1943), ed aveva collaborato con la rivista «La difesa della razza».
Le imputazioni a carico dei docenti sospesi temporaneamente non furono ben precisate. Per loro l’imputazione fu quella…
di essere dei “fascisti notori”
In making all educational appointments (after we are assured that the candidate is not a notorious fascist) all we concerned with is his academic ability. His political or sectarian position is none of our concern and has never been in any democratically organized university», NARA, RG.331, Education, box 1487, 10000/144/35, lettera di Gayre a Poletti, 26/10/1943.
Nel prendere tutti gli incarichi accademici (dopo esserci assicurati che il candidato non è un famigerato fascista) tutto ciò che ci interessa è la sua capacità accademica. La sua posizione politica o settaria non ci riguarda e non è mai stata in nessuna università democraticamente organizzata», NARA, RG.331, Educazione, casella 1487, 10000/144/35, lettera di Gayre a Poletti, 26/10/1943.
I professori Calandra e Caronia furono arrestati all’ingresso degli Alleati a Palermo e detenuti per qualche tempo.
In realtà successivamente il capitano Brod del CIC, dichiarò che furono arrestati
«per errore – durante i primi giorni “di confusione e di caos, sopra incerte informazioni”.
All’Università di Catania vennero epurati 6 fra aiuti, assistenti, liberi docenti e 2 sui 50 professori di ruolo:
- Giuseppe Usai di Matematica finanziaria, che venne sospeso per un anno;
- Gaetano Zingali di Scienza delle finanze, che fu licenziato.
Gli aiuti, assistenti e liberi docenti:
- Ettore Giuffrida, sospeso per un anno;
- Girolamo Longhena, licenziato;
- Alfredo Mazzei, licenziato;
- Egidio Moretti, licenziato;
- Eduardo Petrix, licenziato;
- Francesco Russo, licenziato.
Il professore Usai, in un primo momento, fu licenziato ma a seguito di una più accurata analisi della sua posizione, gli fu inflitta una sospensione.
Il professore Zingali diede avvio ad una durissima battaglia per poter mantenere il posto, accusando il nuovo rettore Petroncelli (nominato dall’AMGOT) di essere compromesso con il fascismo. In particolare, in una lettera a Gayre del 18 dicembre 1943, Zingali affermò …..
di aver aiutato Petroncelli a trasferirsi a Catania da Sassari, e di averlo favorito
nel concorso per l’ordinariato, grazie all’influenza che esercitava
come preside di Facoltà e deputato in Parlamento.
Successivamente, divenuto ordinario, Petroncelli avrebbe scalzato Zingali dal ruolo di preside di Facoltà «per ordine del partito fascista», essendo egli «a Catania il propagandista fascista più copioso e sfrontato»
Il prof. Zingali, proseguendo nella sua denuncia, elencò quelle che, a suo avviso, erano state le colpe fasciste di Petroncelli, che in definitiva si riducevano all’aver organizzato conferenze propagandistiche, e all’aver insegnato per incarico il Diritto corporativo.
La lettera forse fu un disperato tentativo di chi voleva ancora mantenere la cattedra universitaria cercando di colpire un personaggio ritenuto responsabile delle proprie sventure durante gli ultimi anni del fascismo e sotto l’occupazione alleata.
In ogni caso la lettera sarebbe un documento importante perché metterebbe in evidenza le relazioni e i meccanismi accademici poco chiari oltre ad un confine fra docenti fascisti e fascisti molto vago.
Gli Alleati revocarono al prof. Zingali il licenziamento ed incominciarono ad indagare sulla vicenda.
Alla fine scagionarono Petroncelli e riconfermarono il provvedimento di epurazione per Zingali, che venne fra l’altro arrestato e rinchiuso nel campo di concentramento di Padula, dove rimase per diversi mesi.
Meno intensa fu l’epurazione nell’Università di Messina dove venne licenziato un solo professore ordinario su 34 in organico: l’ex rettore Salvatore Sgrosso docente di Clinica oculistica, e il direttore amministrativo Salvatore Mirone.
Epurati e riorganizzati, i tre atenei siciliani poterono riprendere le loro attività. La prima università che inaugurò l’anno accademico 1943-44 fu quella di Catania, che tenne la cerimonia il 4 novembre 1943, data simbolo, perché anniversario dell’armistizio del 1918 fra Italia e Austria.
Vi parteciparono il generale Mark Wayne Clark, comandante della 5° Armata americana, il tenente colonnello George Robert Gayre e il tenente colonnello Thomas Vernor Smith.
Un mese dopo, il 5 dicembre 1943, venne invece inaugurato l’anno accademico all’Università di Palermo alla presenza:
- del generale George Patton, comandante della 7° Armata americana;
- del brigadiere generale Frank J. McSherry, vice capo degli Affari civili dell’AMGOT;
- del tenente colonnello Charles Poletti, capo degli Affari civili in Sicilia;
- dell’Educational Advisor Gayre.
L’ultima università a riaprire i battenti fu quella di Messina, dove si officiò la cerimonia il 3 gennaio 1944, nella quale lo stesso Gayre tenne una prolusione dal titolo “La lezione della Sicilia nel complesso etnologico europeo”, che tuttavia venne ripetutamente interrotta da una contestazione studentesca, che impedì all’antropologo scozzese di terminare la sua lezione.
In queste occasioni molti dei rappresentanti alleati vennero omaggiati con il conferimento di lauree ad honorem dalle tre università.
Gayre dispose che le università avrebbero dovuto eleggere i presidi di Facoltà e i rettori, come era in uso in tempi prefascisti. Così, tra gennaio e febbraio 1944 i tre rettori nominati dagli Alleati, vennero confermati alla guida delle loro università da libere elezioni. All’Università di Catania, tuttavia, si dovettero tenere presto nuove elezioni, a causa del trasferimento di Petroncelli a Napoli per l’anno accademico 1944-45. Nel novembre 1944 venne così eletto rettore il giurista Dante Majorana, che rimase in carica fino al 1947.


Venne quindi istituita l’A,M,G.O.T (l’Allied Military Government of Occupied Territories) coordinata dagli inglesi e destinata a gestire l’Italia man mano che veniva liberta.
Al comando c’è l’aristocratico Generale britannico Harold Alexander. Sotto di lui c’era il colonnello italo-americano Charles Poletti, nominato direttore degli Affari Civili. Fu del Poletti la scelta degli uomini che dovevano amministrare la Sicilia in caso di successo.
A questo punto entrò da protagonista la mafia.
A guidarla, grazie alla sua autorità, era Lucky Luciano che non era “il capo dei capi”.
Fu proprio lui ad abolire la carica sostituendola con la Commissione, il nuovo organo decisionale delle cinque famiglie mafiose principali di New York, ma di certo era il boss con maggiore influenza negli Stati Uniti.
Il soprannome Lucky (fortunato) se lo guadagnò in campo criminale dopo essere sopravvissuto a una serie di coltellate e al taglio della gola in un agguato di sconosciuti a Staten Island. Le autorità americane lo avevano interpellato nel 1942, quando gli chiesero di dare una mano per fermare chi sabotava i mercantili in partenza per la Gran Bretagna nel porto di Manhattan. Il controllo del Sindacato dei portuali e di conseguenza dei moli era infatti una specialità della Mafia italo-americana.
Ma se fin qui il ruolo del Boss fu chiaro, non fu altrettanto chiaro quello che ebbe nell’invasione della Sicilia. La leggenda narrò che abbia chiamato a raccolta gli accoliti della Mafia siciliana affinché dessero una mano e che in cambio abbia ottenuto, per sé e per loro, una sorta di immunità, spazi di manovra per fare affari e la possibilità di inserirsi nei gangli della politica.
Un mito che non fu mai pienamente confermato.

Il 3 gennaio 1946, Thomas E. Dewey, diventò Governatore dello Stato di New York, e nel febbraio 1946 lo graziò per i servigi resi alla U.S. Navy.
La condizione era..
che lasci gli Stati Uniti per stabilirsi in Italia.
Un aspetto strano… venne rilasciato dallo stesso uomo che l’aveva messo in prigione. Proprio da
Thomas E. Dewey, che da giudice nel frattempo era diventato governatore dello stato di New York.
Da qui, secondo un’inchiesta del Senato americano del 1951, riprese indisturbato a fare il Capo “internazionale” della Mafia americana e siciliana, un’attività che sembra abbia esercitato fino alla sua scomparsa, avvenuta a Napoli il 26 gennaio 1962.
L’amministrazione provvisoria degli Alleati (Amgot) per funzionare aveva bisogno di appoggi locali. Quando i soldati andranno via, i funzionari civili si troveranno di fronte a un enorme vuoto che venne subito riempito dagli uomini della mafia. Buona parte degli antifascisti nominati sindaci e prefetti erano in realtà uomini di Cosa Nostra.
Si tratta di una specie di manna dal cielo per i mafiosi che immediatamente
si impadroniscono dell’attività più lucrosa: il mercato nero.
Don Calò Vizzini venne eletto sindaco di Villalba e pochi giorni dopo la sua nomina, il comandante dei carabinieri venne ritrovato assassinato nella piazza del paese. Villalba diventò così il centro di smistamento dei beni per il mercato nero dell’Italia continentale, caricati a bordo dei camion inconsapevolmente forniti dall’Amgot.
E quando gli Alleati si trasferirono al di là dello Stretto, l’infiltrazione mafiosa si fece subito sentire.
L’ex capo della mafia di New York, Vito Genovese, comparve a Nola, vicino Napoli,
come interprete dei servizi d’informazione dell’esercito statunitense. Era rientrato in Italia nel 1937 per evitare di essere processato a New York per assassinio ed era riuscito a entrare nelle grazie di Mussolini. Ora si ricicla alla grande: fece arrestare alcuni borsari neri legati a Vizzini, con grande soddisfazione degli americani. Soddisfazione che però scompavre non appena si resero contro che, in realtà, li aveva sostituiti con uomini suoi.
I comandi alleati non si preoccuparono delle conseguenze politiche e sociali future legate al rapporto con la mafia
Il fine giustificava i mezzi
Nei primi contatti i clan mafiosi chiesero ed ottennero che
i soldati siciliani, che avessero disertato,
non avrebbero avuto conseguenze e sarebbero potuti tornare tranquillamente a casa.
Un aspetto che la storiografia dovrebbe studiare sarebbe legato alla facilità con cui le armate Alleate raggiunsero Palermo senza trovare forte resistenza.
Mancanza di forze militari per contrastare l’avanzata alleata? Forse..oppure ci fu un aiuto delle cosche mafiose?
Sarebbe stato difficile attraversare la parte occidentale dell’Isola, zona da sempre tradizionalmente mafiosa.
Ma l’aspetto più grave di questo rapporto fu legato al dopo sbarco.
Il problema fu anche culturale dato che gli Alleati avevano una visione sommaria dei problemi economici, politici e soprattutto sociali della Sicilia. Visioni legate agli opuscoli informativi
sull’isola che erano stati distribuiti ai vari comandanti delle armate e coperti da “top secret”. Per amministrare l’isola fecero leva su elementi legati alla mafia italo-americana. Davanti alla piaga dilagante del mercato nero fecero ancora ricorso alla mafia.
Abbiamo visto i casi di don Calogero Vizzini, di Genco Russo, di Lucio Tasca di Palermo e anche del boss Vito Genovese che venne arruolato dall’esercito americano come interprete.
Ma altri mafiosi, allora emergenti o nascosti dietro la “falsa maschera” della politica furono nominati a sindaci di molti centri sempre con bene placito degli Alleati.
La mafia venne così legittima come una falsa maschera pirallendiana perché era
forza antifascista agli stessi occhi del popolo siciliano.
La mafia, consapevole del suo ruolo ormai consolidato, sposerà in un primo tempo la causa separatista diventando in questo modo un’alternanza politica nel governo dell’isola.
Con molta superficialità gli angloamericani non valutarono questi aspetti perché preoccupati nel mantenere l’ordine dietro le linee, nell’evitare malesseri e tumulti, e ristabilire le linee di comunicazione per i collegamenti con il fronte.
Secondo alcuni storici gli americani sposarono la causa separatista, d’altra parte ben vista dalla mafia (almeno in un primo momento)… la Sicilia sarebbe diventata la quarantanovesima stella degli USA… una stella che avrebbe avuto un significato ben preciso…
Indipendenza della Sicilia e adesione agli Stati Uniti.
Infatti gli Alleati non perseguitarono penalmente nessun tipo di movimento separatista che così poté rafforzarsi.
In merito ci sarebbero dei documenti che farebbero riflettere sugli avvenimenti.
Il capitano Scotten, nel suo rapporto indicò infatti tre possibili linee d’azione…
- l’immediata repressione del fenomeno mafioso, con l’arresto di tutti i capimafia «senza badare alle personalità e alle connessioni politiche»;
- un accordo con la mafia;
- non intervenire efficacemente e abbandonare l’isola «alle regole del crimine mafioso»

ll capomafia Vito Genovese, in divisa regolare da ufficiale americano,
con accanto Salvatore Giuliano.

Vizzini Calogero

Altro rapporto quello che fu inviato dal console Alfred T. Nester all’ambasciatore americano in Italia, Alexander C. Kirk nel novembre del 1945 che riferiva intorno
ad una riunione dei capimafia tenutasi due giorni prima in cui si era deciso di «non stare al seguito di nessun partito», cercando invece di «esercitare un’influenza o un controllo su tutti i partiti» prevedendo che la mafia avrebbe costituito «il più forte movimento politico esistente in Sicilia».
Lo stesso Nester aggiunse che
Non vi è dubbio che fino a oggi la mafia non ha giocato il ruolo sinistro che comunemente ci si aspettava. I suoi obiettivi sono stati pace e tranquillità e frequentemente essa ha eliminato e ridotto l’attività di banditi e delinquenti. In diversi casi la polizia Le ha chiesto aiuto per mantenere l’ordine e rintracciare criminali».
Quale sarebbe il significato di questo documenti?
La mafia venne considerata  un fenomeno positivo in grado di svolgere un ruolo di controllo e di difesa dell’ordine esistente…. Faceva le veci al governo dell’isola da parte degli Alleati……
In quegli stessi anni la mafia divenne anche un interlocutore privilegiato di alcune forze politiche italiane  e la sfruttarono per il loro consolidamento nel territorio siciliano.
Fu capace di gestire, in modo accurato, il consenso ed anche di esprimere la cultura e gli stessi codici di comportamento, molte volte ambigui, dei politici di allora.
Fu così che la mafia diventò parte del potere e le conseguenze supereranno il volgere frenetico del tempo fino a giungere ai nostri giorni con  le stragi, i massacri… la caduta di figure che avevano creduto nel valore di concetto di Stato.

L’Armistizio “lungo”  -   29 settembre 1943
Tra: Italia – Alleati
Firmatari:  Pietro Badoglio -  Dwight D. Eisenhower
A bordo della corazzata inglese HMS-Nelson (in acque maltesi)


Immagine del Memoriale di guerra australiano MEA0244. 
HMS Nelson nel porto di La Valletta, Malta

Venne firmato alle 11:30 a bordo della corazzata britannica Nelson dal generale Dwight D. Eisenhower per gli Alleati e dal maresciallo Badoglio per l'Italia, constava di 44 articoli.

Il generale Eisenhower
Il nome ufficiale in italiano è Condizioni aggiuntive di armistizio con l'Italia mentre quello in inglese è Instrument of surrender of Italy.
In esso vennero precisate le condizioni di resa imposte al Regno d'Italia dagli Alleati nell'ambito della seconda guerra mondiale. Il testo precisava le disposizioni della resa senza condizioni già 
contenute genericamente nell'armistizio di Cassibile (detto anche armistizio corto) firmato il 3 settembre dal generale Giuseppe Castellano.

29 settembre 1943
Poiché in seguito ad un armistizio in data 3 settembre 1943, fra i Governi degli Stati Uniti e della
Gran Bretagna, agenti nell’interesse di tutte le Nazioni Unite da una parte, e il Governo italiano
dall’altra, le ostilità sono state sospese fra l’Italia e le Nazioni Unite in base ad alcune condizioni di
carattere militare;
e poiché, oltre queste condizioni, era stabilito in detto armistizio che il Governo Italiano si
impegnava ad eseguire altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario da trasmettere
in seguito;
e poiché è opportuno che le condizioni di carattere militare e le suddette condizioni di carattere 
politico, economico e finanziario siano, senza menomare la validità delle condizioni del suddetto
armistizio del 3 settembre 1943, comprese in un atto successivo;
le seguenti, insieme con le condizioni dell’armistizio del 3 settembre 1943, sono le condizioni in
base a cui i Governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell’Unione Sovietica, agendo per conto
delle Nazioni Unite, sono disposti a sospendere le ostilità contro l’Italia sempre che le loro
operazioni militari contro la Germania ed i suoi paesi alleati non siano ostacolate e che l’Italia non
aiuti queste Potenze in qualsiasi modo e eseguite le richieste di questi Governi.
Queste condizioni sono state presentate dal Generale Dwight D. Eisenhower, Comandante Supremo
delle Forze Alleate debitamente autorizzato a tale effetto;
e sono state accettate senza condizioni dal Maresciallo Pietro Badoglio, Capo del Governo Italiano,
rappresentanti il Comando Supremo delle Forze italiane di terra, mare ed aria, e debitamente
autorizzato a tale effetto dal Governo italiano.


1- (A) Le forze italiane di terra, mare, aria, ovunque si trovino, a questo scopo si arrendono.
     (B) La partecipazione dell’Italia alla guerra in qualsiasi zona deve cessare immediatamente. Non vi sarà opposizione agli sbarchi, movimenti ed altre operazioni delle forze di terra, mare ed aria delle Nazioni Unite. In conformità il Comando Supremo Italiano ordinerà la cessazione immediata delle ostilità di qualunque genere contro le forze delle Nazioni Unite ed impartirà ordine alle autorità navali, militari ed aeronautiche italiane in tutte le zone di guerra di emanare immediatamente le istruzioni opportune ai loro comandi subordinati.
     (C) Inoltre il Comando Supremo italiano impartirà alle Forze navali, militari ed aeronautiche nonché alle autorità ed ai funzionari ordini di desistere immediatamente dalla distruzione o dal danneggiamento di qualsiasi proprietà immobiliare o mobiliare, sia pubblica che privata.
2- Il Comando Supremo italiano fornirà tutte le informazioni relative alla dislocazione ed alla situazione di tutte le forze armate italiane di terra, mare ed aria, ovunque si trovino, e di tutte e forze degli alleati dell’Italia che si trovano i Italia od in territori occupati dall’Italia;
3- Il Comando Supremo italiano prenderà tutte le precauzioni necessarie per salvaguardare gli aerodromi, le installazioni portuali e qualsiasi altro impianto contro cattura od attacco da parte di qualsiasi alleato dell’Italia. Il Comando Supremo Italiano prenderà tutte le disposizioni necessarie per salvaguardare l’ordine pubblico e per usare le forze armate disponibili per assicurare le pronta e precisa esecuzione del presente atto e di tutti i suoi provvedimenti. Fatta eccezione per quell’impiego di truppe italiane agli scopi suddetti che potrà essere sanzionato dal Comandante Supremo delle Forze Alleate, tutte le altre Forze italiane di terra, mare e aria rientreranno e resteranno in caserma, negli accampamenti o sulle navi in attesa di istruzioni dalle Nazioni Unite per quanto riguarda il loro futuro stato e definitiva sistemazione. In via eccezionale, il personale navale si trasferirà in quelle caserme navali che le Nazioni Unite indicheranno.
4- Le Forze italiane di terra, mare ed aria, entro il termine che verrà stabilito dalle Nazioni Unite, si ritireranno da tutti i territori fuori dell’Italia che saranno notificati al Governo italiano dalle Nazioni Unite e si trasferiranno in quelle zone che verranno indicate dalle Nazioni Unite. Questi movimenti delle Forze di terra, mare e aria verranno eseguiti secondo le istruzioni che verranno impartite dalle Nazioni Unite e in conformità degli ordini che verranno da esse emanati. Nello stesso modo, tutti i funzionari italiani lasceranno le zone notificate eccetto coloro ai quali verrà dato il permesso di rimanere da parte delle Nazioni Unite. Coloro ai quali verrà concesso il permesso di rimanere si conformeranno alle istruzioni del Comandante Supremo delle Forze Alleate.
5- Nessuna requisizione, appropriazione, od altre misure coercitive potranno essere effettuate dalle Forze di terra, mare ed aria e da funzionari italiani nei confronti di persone o proprietà nelle zone specificate nel capoverso n.4.
6- La smobilitazione delle Forze italiane di terra, mare ed aria in eccesso del numero che verrà notificato dovrà seguire le norme stabilite dal Comandante Supremo delle Forze Alleate.
7- Le navi da guerra italiane di tutte le categorie, ausiliare e da trasporto saranno riunite, secondo gli ordini, nei porti che verranno indicati dal Comandante Supremo delle Forze Alleate, ed ogni decisione in merito a dette navi verrà presa dal Comandante Supremo delle Forze Alleate (Annotazione. Se alla data dell’armistizio, l’intera flotta da guerra italiana sarà stata riunita nei porti alleati, questo articolo avrà il seguente tenore: “le navi da guerra italiane di tutte le categorie, ausiliare e da trasporto rimarranno fino ad ulteriori ordini nei porti dove sono attualmente radunate ed ogni decisione in merito ad esse verrà presa dal Comandante Supremo delle Forze Alleate”)
8- Gli aeroplani italiani di qualsiasi genere non decolleranno dalla terra, dall’acqua o dalle navi senza previ ordini del Comandante Supremo delle Forze Alleate.
9- Senza pregiudizio a quanto disposto dagli articoli 14, 14 e 28 (A) e (D) che seguono, a tutte le navi mercantili, da pesca ed altre navi battenti qualsiasi bandiera, a tutti gli aeroplani e i mezzi di trasporto interno di qualunque nazionalità in Italia od in territorio occupato dall’Italia od in acque italiane dovrà, in attesa di verifica della loro identità e posizione, essere impedito di partire.
10- Il Comando Supremo italiano fornirà tutte le informazioni relative ai mezzi navali, militari ed aerei, ad impianti e difese, ai traporti e mezzi di comunicazione costruiti dall’Italia o dai suoi alleati nel territorio italiano o nelle vicinanze di esso, ai campi di mine od altre ostruzioni ai movimenti per vie di terra, mare od aria e qualsiasi altra informazione che le Nazioni Unite potranno richiedere in relazione all’uso delle basi italiane o alle operazioni, alla sicurezza o al benessere delle Forze di terra, mare ed aria delle Nazioni Unite. Le forze e il materiale italiano verranno messi a disposizione delle Nazioni Unite, quando richiesto, per togliere le summenzionate ostruzioni.
11- Il Governo italiano fornirà subito elenchi indicanti i quantitativi di tutto il materiale da guerra con l’indicazione della località dove esso si trova. A meno che il Comandante Supremo delle Forze Alleate non decisa di farne uso, il materiale da guerra verrà posto in magazzino sotto il controllo he egli potrà stabilire. La destinazione definitiva del materiale da guerra verrà decisa dalle Nazioni Unite.
12- Non dovrà avere luogo alcuna distruzione né danneggiamento, né , fatta eccezione per quanto verrà autorizzato o disposto dalle Nazioni Unite, alcuno spostamento di materiale da guerra, radio, radiolocalizzazione, o stazione meteorologica, impianti ferroviari, stradali e portuali od altre installazioni od in via generale di servizi pubblici e privati di proprietà di qualsiasi sorta ovunque si trovino, e la manutenzione necessaria e le riparazioni saranno a carico delle Autorità italiane.
13- La fabbricazione, produzione e costruzione del materiale da guerra, la sua importazione, esportazione e transito, è proibita, fatta eccezione a quanto verrà disposto dalle Nazioni Unite. Il Governo italiano si conformerà a queste istruzioni che verranno impartite dalle Nazioni Unite per la fabbricazione, produzione e costruzione, e l’importazione, esportazione e transito di materiale da guerra.
14- (A) Tuttele navi italiane mercantili, da pesca ed altre imbarcazioni, ovunque si trovino, nonché quelle costruite o completate durante il periodo di validità del presente atto saranno dalle competenti Autorità italiane messe a disposizione, in buono stato di riparazione e di navigazione, in quei luoghi e per quegli scopi e periodi di tempo che le Nazioni Unite potranno prescrivere. Il trasferimento alla bandiera nemica o neutrale è proibito. Gli equipaggi rimarranno a bordo in attesa di ulteriori istruzioni riguardo al loro ulteriore impego o licenziamento. Qualunque opzione esistente per il riacquisto o la restituzione o la ripresa in possesso di navi italiane o precedentemente italiane che erano state vendute od in altro modo trasferite o noleggiate durante la guerra verrà immediatamente esercitata e le condizioni sopraindicate verranno applicate a tutte le suddette navi e ai loro equipaggi.
     (B) Tutti i trasporti interni italiani e tutti gli impianti portuali saranno tenuti a disposizione delle Nazioni Unite per gli usi che esse stabiliranno.
15- Le navi mercantili, da pesca ed altre imbarcazioni delle Nazioni Unite, ovunque esse si trovano, in mano agli italiani (incluse, a tale scopo, quelle di qualsiasi paese che abbia rotto le relazioni diplomatiche con l’Italia) a prescindere dal fatto se il titolo di proprietà sia già stato trasferito o meno in seguito a procedura del tribunale delle prede, verranno consegnate alle Nazioni Unite e verranno radunate nei porti che saranno indicati dalle Nazioni Unite, le quali disporranno di esse come crederanno opportuno. Il Governo Italiano prenderà le disposizioni necessarie per il trasferimento del titolo di proprietà. Tutte le navi mercantili, da pesca od altre imbarcazioni neutrali gestite o controllate dagli Italiani saranno radunate in modo simile in attesa di accordi per la loro sorte definitiva. Qualunque necessaria riparazione alle sopraindicate navi se richiesta sarà eseguita dal Governo italiano a proprie spese. Il Governo italiano prenderà tutte le misure necessarie per assicurare che le navi ed i loro carichi non saranno danneggiati.
16- Nessun impianto radio o di comunicazione a lunga distanza od altri messi di intercomunicazione a terra o galleggianti, sotto controllo italiano, sia che appartenga all’Italia od altra Nazione non facente parte delle Nazioni Unite, potrà trasmettere finché diposizioni per il controllo di questi impianti non saranno impartite dal Comandante Supremo delle Forze Alleate. Le Autorità italiane si conformeranno alle disposizioni per il controllo e la censura della stampa e delle altre pubblicazioni, delle rappresentazioni teatrali e cinematografiche, della radiodiffusione e di qualsiasi altro mezzo di intercomunicazione he potrà prescrivere il Comandante Supremo delle Forze Alleate. Il Comandante Supremo delle Forze Alleate potrà a sua discrezione rilevare stazioni radio, cavi ed altri mezzi di comunicazione.
17- Le navi da guerra, ausiliare, di trasporto e mercantili e altre navi ed aeroplani al servizio delle Nazioni Unite avranno il diritto di usare liberamente le acque territoriali italiane e di sorvolare il territorio italiano.
18- Le forze delle Nazioni Unite dovranno occupare certe zone del territorio italiano. I territori o le zone in questione verranno notificate di volta in volta dalle Nazioni Unite, e tutte le Forze italiane di terra, mare ed aria, si ritireranno da questi territori o zone in conformità agli ordini emessi dal Comandante Supremo delle Forze Alleate. Le disposizioni di questo articolo non pregiudicano quelle dell’art. 4 sopradetto, il Comandante Supremo italiano garantirà agli Alleati l’uso e l’accesso immediato agli aerodromi e ai porti navali in Italia sotto il suo controllo.
19- Nei territori o zone cui si riferisce l’art. 18, tutte le installazioni navali, militari ed aeree, tutte le centrali elettriche, le raffinerie, i servizi pubblici, i porti, le installazioni per i trasporti e le comunicazioni, i mezzi ed il materiale e quegli impianti e mezzi e altri depositi che potranno essere richiesti dalle Nazioni Unite saranno messi a disposizione in buone condizioni dalle competenti Autorità italiane con il personale necessario per il loro funzionamento. Il Governo italiano metterà a disposizione qelle risorse o servizi locali che le Nazioni Unite potranno richiedere.
20- Senza pregiudizio alle disposizioni del presente atto, le Nazioni Unite eserciteranno tutti i diritti di una Potenza occupante nei territori e nelle zone di cui all’art. 18, per la cui amministrazione verrà provveduto mediante la pubblicazione di proclami, ordini e regolamenti. Il personale dei servizi amministrativi, giudiziari e pubblici italiani eseguirà le proprie funzioni sotto il controllo del Comandante in Capo Alleato a meno che non venga stabilito altrimenti.
21- In aggiunta ai diritti relativi ai territori italiani occupati descritti negli articoli dal numero 18 al 20.
     (A) I componenti delle Forze terrestri, navali ed aeree ed i funzionari delle Nazioni Unite avranno il diritto di passaggio nel territorio italiano non occupato o al di sopra di esso e verrà loro fornita ogni facilitazione e assistenza necessaria per eseguire le loro funzioni.
       (B) Le Autorità italiane metteranno a disposizione, nel territorio italiano non occupato, tutte le facilitazioni per i trasporti richieste dalle Nazioni Unite, compreso il libero transito per il loro materiale ed i loro rifornimenti di guerra, ed eseguiranno le istruzioni emanate dal Comandante in Capo Alleato relative all’uso ed al controllo degli aeroporti, porti, navigazione, sistemi e messi di trasporto terrestre, sistemi di comunicazione, centrali elettriche e servizi pubblici, raffinerie, materiali e altri rifornimenti di carburante e di elettricità ed i mezzi per produrli, secondo quanto le Nazioni Unite potranno specificare, insieme alle relative facilitazioni per le riparazioni e costruzioni.
22- Il Governo e il popolo italiano si asterranno da ogni azione a danno degli interessi delle Nazioni Unite ed eseguiranno prontamente ed efficacemente tutti gli ordini delle Nazioni Unite.
23- Il Governo Italiano metterà a disposizione la valuta italiana che le Nazioni Unite domanderanno. Il Governo italiano ritirerà e riscatterà in valuta italiana entro i periodi di tempo e alle condizioni che le Nazioni Unite potranno indicare tutte le disponibilità in territorio italiano delle valute emesse dalle Nazioni Unite durante le operazioni militari e l’occupazione e consegnerà alle Nazioni Unite senza alcuna spesa la valuta ritirata. Il Governo italiano prenderà quelle misure che potranno essere richieste dalle Nazioni Unite per il controllo delle banche e degli affari in territorio italiano, per il controllo dei cambi coll’estero, delle relazioni commerciali e finanziarie coll’estero e per il regolamento del commercio e della produzione ed eseguirà qualsiasi istruzione emessa dalle Nazioni Unite relativa a dette o a simili materie.
24- Non vi dovranno essere relazioni finanziarie, commerciali o di altro carattere o trattative con o a favore di paesi in guerra con una delle Nazioni Unite o coi territori occupati da detti paesi o da qualsiasi altro paese straniero, salvo con autorizzazione del Comandante in Capo Alleato o di funzionari designati.
25- (A) le relazioni con in paesi in guerra con una qualsiasi delle Nazioni Unite, od occupati da uno di detti paesi, saranno interrotte. I funzionari diplomatici, consolari ed altri funzionari italiani e i componenti delle Forze terrestri, navali ed aeree italiane accreditati o in missione presso qualsiasi di detti paesi o in qualsiasi altro territorio specificato dalle Nazioni Unite saranno richiamati. I funzionari diplomatici, consolari di detti paesi saranno trattati secondo quanto potrà essere disposto dalle Nazioni Unite.
      (B)Le Nazioni Unite si riservano il diritto di richiedere il ritiro dei funzionari diplomatici e consolari neutrali dal territorio italiano occupato ed a prescrivere ed a stabilire i regolamenti relativi alla procedura circa i metodi di comunicazione fra il Governo italiano e si suoi rappresentanti nei Paesi neutrali e riguardo alle comunicazioni inviate da o destinate ai rappresentanti dei paesi neutrali in territorio italiano.
26- In attesa di ulteriori ordini, ai sudditi italiani sarà impedito di lasciare il territorio italiano eccetto con l’autorizzazione del Comandante Supremo delle Forze Alleate e in nessun caso essi presteranno servizio per conto di qualsiasi paese ed in qualsiasi dei territori cui si riferisce l’art. 25 (A), né si recheranno in qualsiasi luogo con l’intenzione di intraprendere favori per qualsiasi di tali paesi. Coloro che attualmente servono o lavorano in tal modo saranno richiamati secondo le disposizioni del Comandante Supremo delle Forze Alleate.
27- Il personale e il materiale delle forze militari, navali ed aeree e la marina mercantile, le navi da pesca ed altre imbarcazioni, i velivoli, i veicoli ed altri mezzi di trasporto di qualsiasi paese contro il quale una delle Nazioni conduca le ostilità oppure sia occupato da tale paese, saranno possibili di attacco o cattura dovunque essi si trovino entro o sopra il territorio o le acque italiane.
28- (A) Alle navi da guerra, ausiliare e da trasporto di qualsiasi tale paese o territorio occupato, cui si riferisce l’art. 27, che si trovi nei porti e nelle acque italiane o occupate dagli italiani ed ai velivoli, ai veicoli ed ai mezzi di trasporto di tali paesi entro o sopra il territorio italiano od occupato dagli italiani sarà, nell’attesa di ulteriori istruzioni, impedito di partire.
       (B) Al personale militare, navale ed aeronautico e alla popolazione civile di qualsiasi di tali paesi o territorio occupato che si trovi in territorio italiano od occupato dagli italiani sarà impedito di partire ed essi saranno internati in attesa di ulteriori istruzioni.
      (C) Qualsiasi proprietà in territorio italiano appartenente a qualsiasi tale paese o territorio occupato o ai suoi nazionali sarà sequestrata e tenuta in custodia in attesa di ulteriori istruzioni.
       (D) il Governo italiano si conformerà a qualsiasi istruzione data dal Comandate Supremo delle Forze Alleate concernente l’internamento, custodia o susseguente disposizione, utilizzazione od impiego di qualsiasi delle sopraddette persone, imbarcazioni, velivoli, materiale o proprietà.
29- Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire si trovino in territorio controllato dal Comando Militare alleato o dal Governo italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite. Tutti gli ordini impartiti dalle Nazioni Unite a questo riguardo verranno osservati.
30- Tutte le organizzazioni fasciste, compresi tutti i rami della milizia fascista (M.V.S.N.), la polizia segreta (O.V.R.A.) e le organizzazioni della gioventù fascista saranno, se questo non sia stato già fatto, sciolte in conformità alle disposizioni del Comandante Supremo delle Forze Alleate. Il Governo italiano si conformerà a tutte le ulteriori direttive che le Nazioni Unite potranno dare per l’abolizione delle istituzioni fasciste, il licenziamento ed internamento del personale fascista, il controllo dei fondi fascisti, la soppressione della ideologia e dell’insegnamento fascista.
31- Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede ed opinione politiche saranno, se questo non sia già fatto, abrogate e le persone detenute per tali ragioni saranno, secondo gli ordini delle Nazioni Unite, liberate e sciolte da qualsiasi impedimento legale a cui siano state sottomesse. Il Governo italiano adempirà a tutte le ulteriori direttive che il Comandante Supremo delle Forze Alleate potrà dare per l’abrogazione della legislazione fascista e l’eliminazione di qualsiasi impedimento o proibizione risultante da essa.
32- (A)I prigionieri di guerra appartenenti alle forze delle Nazioni Unite o designati da queste e qualsiasi suddito delle Nazioni Unite, compresi i sudditi abissini, confinati, internati, o in qualsiasi altro modo detenuti in territorio italiano od occupato dagli italiani non saranno trasferiti e saranno immediatamente consegnati ai rappresentanti delle Nazioni Unite o altrimenti trattati come sarà disposto dalle Nazioni Unite. Qualunque trasferimento durante il periodo tra la presentazione e la firma del presente atto sarà considerato come una violazione delle sue condizioni.
      (B) Le persone di qualsiasi nazionalità che sono state sottoposte a sorveglianza, detenute o confinate (incluse le condanne in contumacia) in conseguenza delle loro relazioni o simpatie colle Nazioni Unite saranno rilasciate in conformità agli ordini delle Nazioni Unite e saranno sciolte da tutti gli impedimenti legali ai quali esse sono state sottomesse.
      (C) Il Governo italiano prenderà le misure che potranno essere prescritte dalle Nazioni Unite per proteggere le persone e le proprietà dei cittadini stranieri e le proprietà degli Stati e dei cittadini stranieri.
33- (A) Il Governo italiano adempirà le istruzioni che le Nazioni Unite potranno impartire riguardo alle restituzione, consegna, servizi o pagamenti quale indennizzo e pagamento delle spese di occupazione durante il periodo (di validità) del presente atto.
       (B) Il Governo italiano consegnerà al Comandante Supremo delle Forze Alleate qualsiasi informazione che possa essere prescritta riguardo alle attività sia in territorio italiano sia fuori di esso appartenenti allo Stato italiano, alla banca d’Italia, a qualsiasi istituto statale o parastatale italiano od organizzazioni fasciste o personale domiciliati in territorio italiano, e non disporrà né permetterà di disporre di qualsiasi attività fuori del territorio italiano solvo col permesso delle Nazioni Unite.
34- Il Governo italiano eseguirà durante il periodo (di validità) del presente atto quelle misure di armamento, smobilitazione e smilitarizzazione che potranno essere prescritte dal Comandante Supremo delle Forze Alleate.
35- Il Governo Italiano fornirà tutte le informazioni e provvederà tutti i documenti occorrenti alle Nazioni Unite. Sarà proibito distruggere o nascondere archivi, verbali, progetti o qualsiasi altro documento od informazione.
36- Il Governo italiano prenderà ed applicherà qualsiasi misura, legislativa o di altro genere, che possa essere necessaria per l’esecuzione del presente atto. Le Autorità militari e civili italiane si conformeranno a qualsiasi istruzione emanata dal Comandante Supremo delle Forze Alleate a tale scopo.
37- Verrà nominata una Commissione di Controllo che rappresenterà le Nazioni Unite, incaricata di regolare ed eseguire il presente atto in base agli ordini e alle direttive generali del Comandante Supremo delle Forze Alleate.
38- (A) il termine “Nazioni Unite” nel presente atto comprende il Comandante Supremo delle Forze Alleate, la Commissione di Controllo e qualsiasi altra autorità che le Nazioni Unite possano nominare.
       (B) il termine “Comandante Supremo delle Forze Alleate” nel presente atto comprende la Commissione di Controllo e quegli altri ufficiali e rappresentanti che il Comandante Supremo delle Forze Alleate potrà nominare.
39- Ogni riferimento alle Forze terrestri, navali ed aeree italiane nel presente s’intende includere la Milizia fascista e qualsiasi unità militare e paramilitare, formazioni e corpi che potranno essere prescritti dal Comandante Supremo delle Forze Alleate.
40- Il termine “materiali da guerra” nel presente atto indica tutto il materiale specificato in quegli elenchi o definizioni che potranno di tanto in tanto essere pubblicati dalla Commissione di Controllo.
41- Il termine “territorio italiano” comprende tutte le colonie e possedimenti italiani e ai fini del presente atto (ma senza pregiudizio alla questione della sovranità) sarà considerato includere l’Albania. Resta tuttavia stabilito che, eccetto nei casi e nella misura prescritta dalle Nazioni Unite, i provvedimenti del presente atto non saranno applicati né riguarderanno l’amministrazione di qualsiasi colonia o possedimento italiano già occupato dalle Nazioni Unite, o diritti o poteri colà posseduto o esercitati da esse.
42- Il Governo italiano invierà una delegazione al quartier Generale della Commissione di Controllo per rappresentare gli interessi degli italiani e per trasmettere alle competenti Autorità italiane gli ordini della Commissione di Controllo.
43- Il presente atto entrerà in vigore immediatamente. Rimarrà in forza fino a che sarà sostituito da qualsiasi altro accordo o fino a che non entrerà in vigore il trattato di pace con l’Italia.
44- Il presente atto può essere denunciato dalle Nazioni Unite, con effetto immediato, se gli obblighi italiani di cui al presente atto non sono adempiuti, o, altrimenti, le Nazioni Unite possono punire contravvenzioni dell’atto stesso con misure adatte alle circostanze, quale ad esempio l’estensione delle zone di occupazione militare, od azioni aeree, oppure altra azione punitiva. Il presente atto è redatto in inglese ed in italiano, il testo inglese essendo quello autentico ed in caso di qualsiasi disputa riguardante la sua interpretazione, la decisione della Commissione di Controllo prevarrà.

Firmato a Malta il giorno 29 settembre 1943

              Maresciallo                                                  Dwight  D. Eisenhower

                       Pietro Badoglio                                      Generale dell’Esercito degli Stati Uniti

              Capo del Governo Italiano                               Comandante in Capo Alleato









 

 




















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