Enciclopedia delle Donne – Capitolo XIX - Maria José del Belgio e Giuliana Benzoni si adoperarono per le trattative di pace e per un colpo di Stato.
Contatti che la portarono a trattare con gli Americani nonostante i boicottaggi.
L’8 settembre del 1943, nel giorno della pubblicazione dell’armistizio, mentre era sola con i suoi figli a Sant’Anna di Valdieri vicino Cuneo, dopo essere stata costretta a lasciare Roma, con il suo grande coraggio, che caratterizzò sempre la sua vita, e con l’aiuto del colonnello Arena riuscì a raggiungere la Svizzera.
E’ Maria Josè del Belgio moglie di Umberto II di Savoia figlio del re d’Italia Vittorio Emanuele III che il 12 aprile 1944 fu delegato come Erede al Trono.
Umberto di Savoia, erede al trono d’Italia e Maria Josè del Belgio.
Un evento clamoroso e da ricordare. Si disse come Vittorio Emanuele III,
un sovrano contraddistinto da una forte avaria, abbia speso per l’evento una cifra
notevole per quei tempi: cinque milioni di lire.
Il principe di Piemonte indossava la sua divisa da ufficiale dei granatieri mentre la sposa
indossava un abito nuziale che le fu disegnato dallo stesso Umberto.
Con la conseguente liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, il Principe Ereditario Umberto di Savoia, Principe di Piemonte, assunse l'incarico di Luogotenente Generale del Regno. Maria Josè raggiunse il marito insieme ai principi per essere incoronata Regina d'Italia il 9 maggio del 1946, in seguito all'abdicazione di Vittorio Emanuele III.
In pochi mesi riuscì a ristabilire il rapporto con gli italiani, messo in crisi dai duri anni di guerra e ancor più dalla forzata impossibilità di dialogo con il popolo a cui era stata costretta dalla Famiglia Reale.
Il 6 Giugno 1946, successivamente al Referendum istituzionale, partì in esilio con i figli da
Napoli alla volta del Portogallo. Si trasferì successivamente in Svizzera per motivi di salute, accompagnata dal figlio Vittorio Emanuele Principe Ereditario.
https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Emanuele_di_Savoia_%281937%29
Marie-José Charlotte Sophie Amélie Henriette Gabrielle
(Ostenda, 4 agosto 1906 – Thònex, 27 gennaio 2001)
Figlia di Alberto I di Sassonia- Coburgo-Gotha, re del Belgio dal 1909, e
di Elisabetta Gabriella, nata duchessa in Baviera
Ultima regine consorte d’Italia nel 1946, come moglie di Umberto II di Savoia,
prima della proclamazione delle Repubblica
Padova, 19 giugno 1885 – Roma, 8 agosto 1981
Figlia di Marchese Gaetano Benzoni e di Teresa (detta Titina) Martini
Fratelli: Giorgio e Ferdinando
Monsummano Terme (Provincia di Pistoia)
( Vinius, Lituania, 21 gennaio 1880 – Roma, 28 novembre 1951)
Scrittrice, saggista e traduttrice russa
Giovanni Amendola morirà nel 1926 in seguito a un'aggressione squadristica fascista.
La grafologia diventò un’arte molto cara alla Benzoni ed ebbe modo di sperimentarla a Praga, quando fu ospite del presidente della Repubblica cecoslovacca Tom Masarik, suo intimo e paterno amico.
A Firenze entrò nelle crocerossine, un impegno sociale che caratterizzerà la sua vita. Poi si trasferì per studi in Inghilterra per poi tornare in Italia, prima a Firenze e poi a Roma dai nonni materni, dopo l’attentato di Sarajevo.
(L`attentato di Sarajevo, del mattino del 28 giugno 1914, in cui lo studente serbo Gavrilo Princìp scaricò la sua pistola contro l'erede al trono d'Austria-Ungheria, l'arciduca Francesco Ferdinando, che morì poche ore dopo).
A Roma la Benzoni fu un importante fonte di collegamento, durante la seconda guerra mondiale, tra le ambasciate inglese e francese per lo scambio di notizie riservate per poi entrare in un rapporto attivo con gli interventisti democratici (Salvemini, Amendola, ecc.).
Nel 1916 la vita (la Benzoni aveva 21 anni), in un modo romantico, gli permetterà d’incontrare il suo grande amore.
A causa di un forte temporale si riparò nel palazzo Primoli suoi conoscenti.
(Roma, 2 maggio 1851 – Roma, 13 giugno 1927)
Collezionista d’arte, bibliofilo e pioniere della fotografia
(Nella foto il Conte Primoli con Eleonora Duse)
Giuseppe Primoli era figlio di Charlotte (Honorine Joséphine Pauline) Bonaparte,
discendente della famiglia Bonaparte. Charlotte era infatti figlia di Carlo Luciano Bonaparte, principe di Canino, e di Zénalde Bonaparte. Erano cugini in quanto figli di due dei fratelli di Napoleone B., rispettivamente di Luciano Bonaparte e Giuseppe Bonaparte.
Charlotte Bonaparte sposò Giuseppe Primoli, conte di Foggia, nel 1848.
Nella sua casa una vasta collezione di oggetti napoleonici ed oggi Museo
Napoleonico di Roma. Nel 1927, con una donazione testamentaria, il palazzo e
le collezioni (anche di fotografia) passarono al Comune di Roma.
Memorie di un’aristocratica italiana tra Belle Epoque e Repubblica
Nei primi anni Quaranta Maria Josè era circondata da intellettuali che si erano appena staccati dall’ideologia fascista. Non ne conosceva le abitudini che considerava piccolo – borghesi e quasi contadine.
Li invitava a fare “spuntini con salame e vino rosso” o partite di briscola e questo gli procurò all’inizio molti insuccessi.
Con il romanziere Massimo Bontempelli fu quasi umiliata..
Era la stessa donna che, nell' imminenza del referendum passò varie ore, di notte, con un gruppo di tranvieri socialisti a bere vino in un' osteria del Gianicolo, dopo averli aiutati ad attaccare manifesti inneggianti alla Repubblica. Sprezzo aristocratico delle convenzioni? Capricci da "Giuseppina Egalitè"? Non è escluso, almeno in parte.
Anche la Benzoni ebbe lo stesso stile di vita anticonformista, ribelle.
Aristocratica di nascita, milanese romanizzata con molti legami in Toscana per essere nipote, da parte materna, del letterato e ministro Ferdinando Martini. Quasi napoletana d' elezione per passione meridionalistica e per via di una splendida villa di famiglia a Sorrento, Giuliana Benzoni dovette anche a questi aspetti la frequentazione dei maggiori astri politici e culturali della belle époque.
Frequentazioni che avevano non solo un obiettivo politico contro il fascismo ma anche quello di allontanare il re (Vittorio Emanuele III) dall’ingerenza del Duce. Giuliana prese dei contatti anche con Badoglio ma la situazione precipitò quando la famiglia reale si rifugiò a Brindisi.
La donna capì che la clandestinità era l’unica via di salvezza e la scelse assieme alla Resistenza con Giorgio Amendola, Sandro Pertini e altri amici.
I suoi interventi permisero a molto gente di sfuggire al rastrellamento del ghetto come successe a due ragazzi il 16 ottobre 1943.
Alla fine del conflitto rivolse il suo
sguardo al Meridione.
Un Meridione che viveva in condizioni
drammatiche, devastato dalla guerra e dalla povertà.
Fondò una colonia per orfani in Abruzzo
ed affrontò la drammatica situazione dei reduci.
Il referendum e la nascita della
Repubblica videro Giuliana e Maria Josè ancora unite.
Giuliana
riprese con energia le sue iniziative
legate alla lotta contro l’alfabetismo e si adoperò per la ricostruzione
del Meridione mentre Maria José ruppe un
matrimonio, già precario da tempo, e si avviò con grande dignità all’esilio.
Giuliana continuò il suo impegno
attraverso la “Svimez” (Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno), collaborando
con varie associazioni internazionali (come il Centre for Human Rights and
Responsabilities di Londra).
Negli anni Cinquanta ospitò a villa “La Rufola”
Gaetano Salvemini e gli diede assistenza amorevolmente fino alla morte (1957).
Pur risiedendo a Roma frequentava, con il fratello
Giovanni e la cognata, la Toscana, Monsummano, le Terme Giusti, il podere di
Peppignolo e ricordava con molto spirito le avventure giovanili con Maria José,
quando portava messaggi segreti persino nelle scarpe!
Giuliana Benzoni morì a Roma l’8 agosto 1981 e fu sepolta a Monsummano Terme.Una
bellissima figura femminile anche lei dimenticata dalla storia….
Giuliana
apparteneva ad una nobile famiglia ma si distaccava da quegli aspetti sociali tipici delle famiglie aristocratiche.
La sua vita aveva una forte base di solidarietà arricchita da sani principi
etico-sociali.Suo
padre era dedito “alle donne ed ai cavalli” e amava i “privilegi”, tra l’altro
era molto vicino al re Umberto I. Sua nonna materna, Giacinta Martini
Mariscotti, era famosa a Roma per il suo
salotto frequentato da personaggi mondani come Gegé Primoli ed anche da politici
affermati come Sidney Sonnino ed
anche promesse del giornalismo e del
Parlamento come Giovanni Amendola.Tutti
personaggi che nel salotto s’incontravano con famosi letterati del tempo,
eravamo agli albori del Novecento, come D’Annunzio, la Serao, Paul Cladel, con l’intellettuale
Giuseppe Prezzolini e lo scrittore Giovanni Papini.Questi
contatti permisero alla Benzoni di ampliare e confrontare i suoi ideali e soprattutto di partecipare attivamente alla
realtà sociale del tempo.Tanti
i commenti sul suo coraggio e sulla grande umanità che l’accompagnarono per
tutta la vita…Ha
sfiorato la storia con dolce distrazione,Il fascino di
Giuliana stava in questa mirabile sproporzione tra la grandezza dell’immagineche offriva, e il
modo esile e casuale di donarla, come se tutto facesse parte di una cerimonia,ma soprattutto di
un gioco. (Giorgio
Manganelli). Era ora vivandiera
dei partigiani e falsificatrice di carte annonarie, ora esperta in radio rice-trasmittenti e “crocerossina
dell’informazione”, ora addettaa nascondere
prigionieri, ebrei, militari sbandati. Articolo di Laura CandianiLa
vita della Benzoni fu quindi caratterizzata da tanti impegni tutti svolti con
fermezza:-
collaborazione con Ferdinando Martini nella
sua attività politica per portare l’Italia con la Francia e la Gran Bretagna
nella guerra con gli Imperi centrali;-
Vicina alla tragedie e alle speranze della
Cecoslovacchia fra Serajevo e Monaco (quando fu occupata dalla Germania
nazista). Il suo grande amore era Milan Stefnik, prima patriota cospiratore,
poi ministro della guerra del governo di Praga. Morì tragicamente lasciando
Giuliana Benzoni nel dolore incolmabile;-
Si
occupò del Meridione verso il quale provò sempre un grande amore che riuscì a
rendere vivo con grandi aiuti nel campo sociale; -
Partecipò alla Resistenza e non come figura marginale. Mostrò il suo
impegno politico e sociale muovendosi
tra Badoglio, Bonomi, Croce, Sforza, De Nicola, Togliatti, Nenni, De Gasperi,
Gonella, Saragat, La Malfa, Giorgio Amendola, generali ed eminenze vaticane,
"gappisti" ed emissari alleati. Riforniva di cibo i partigiani,
falsificava le carte annonarie, era esperta nelle radio ricetrasmittenti,
informatrice e ancora nascondeva i
prigionieri, ebrei, militari sbandati e
disertori.La
sua figura fu esaltata da storici come Croce e Sforza. Nel
suo libro anche un fatto inedito in cui fu coinvolta e che coinvolgeva un
personaggio che diventerà famoso e ricco di avvenire. Questo “personaggio” fu
incontrato per caso nella segreteria-anticamera dell’Ufficio di De Gasperi di
cui era il più fido collaboratore.Il
racconto della Benzoni nel suo libro…."Giovanissimo,
dall' aspetto adolescenziale, magro, vestito coi pantaloni alla zuava".Erano
i giorni della liberazione di Roma, giugno 1944. Si tenevano in quelle stanze
riunioni febbrili. Il giovanotto"origliava
alla porta, interessato, incollando alternativamente l' occhio e l'
orecchio".A
un certo punto"non volle
essere l' unico a godere dei segreti e intese farmi compartecipe e mi disse
bisbigliando:
"Venga, venga a sentire"Ottenne
da parte mia un violento, perbenistico rifiuto.Giuliana
Benzoni non rivelò il nome del giovane democristiano di quarant' anni fa. (Era forse Giulio Andreotti….?)Giuliana Benzoni
……………………….
La sera del 2 giugno 1946, alle ore 20,30 Maria Josè si
presentò al seggio elettorale (per il referendum istituzionale tra
Monarchia e Repubblica) di Roma presso la scuola elementare di Largo Brazzà. Una bella donna, alta ed elegante che si mise rispettosamente in fila con
gli altri votanti per attendere il proprio turno.I presenti si resero conto come quella donna bella ed
elegante era la regina Maria Josè, moglie del re Umberto II di Savoia. Subito
le fecero largo in segno di rispetto perché passasse avanti.La Regina rispose educatamente di voler rispettare la
fila e quindi il suo turno.I presenti continuarono con insistenza nel loro gesto
cordiale e solo allora la Regina accettò e fu salutata con un caloroso
applauso.Entrò nell’aula e la Regina si rese conto, con grande
imbarazzo, di non avere con sé i documenti di riconoscimento.Rivolgendosi alla commissione disseIn ossequio alla legge vado a prendere i documenti per poi tornare per
votare.Gli scrutatori e il presidente di seggio (una donna)
si rivolsero alla Regina e affermarono comeFosse stata riconosciuta da tuttifu quindi ammessa al voto malgrado le sue resistenze.Maria José
rifiutò , per correttezza , la scheda del Referendum ritenendosi
direttamente interessata e votò solo per la Costituente.L’8
giugno 1946 la Benzoni scisse a Maria José“Auguro ogni bene
all’ Italia nel sole dell’Avvenire”.Una
frase contenuta in una lettera scritta sei giorni dopo il referendum che segnò
la fine della monarchia.Maria
José fu regina d’Italia per un mese e quindi faceva parte dei “vinti” anche se
era sempre stata un anticonformista e non amava la vita di corte.Il
2 giugno Maria José si era recata nella sezione di Largo Brazzà per votare. Era
accompagnata dal giornalista e politico ( liberale di parte monarchica) Manlio
Lupinacci.In
un’intervista, rilasciata alla figlia Maria Gabriella (?), dichiarò di aver
votato scheda bianca al referendum Monarchia – Repubblica perchéNon mi sembrava
elegante votare per mio marito e per me stessamentre
per la Costituente votòper il socialista
Giuseppe SaragatQuando
l’8 giugno ricevette la lettera dell’amica Benzoni, lo stato d’animo della
regina Maria José era afflitto, triste perché amava l’Italia e gli Italiani.Il
5 giugno il marito Umberto II la informò che l’Italia era una Repubblica e le
comunicò che sarebbe partita la sera
stessa per Napoli e il giorno seguente per il Portogallo.Pregò
il marito di lasciarle un giorno in più perché voleva salutare la città di
Napoli.Umberto
non lo permise perché l’aveva promesso ad Alcide De Gasperi.Nella
mente sconvolta da tanti tristi pensieri, Maria José ridiede voce ad un antico
presagio.Mentre
soggiornava in Italia, durante la prima guerra mondiale, Maria José visitò con
la madre, Elisabetta di Wittelsbachuna, una sua pro-zia allora ultra
ottantenne, Maria Sofia di Baviera.Maria
Sofia, ex regina del Regno delle due Sicilie e vedova dell’ultimo re Francesco
II di Borbone, venne a conoscenza come la giovane e bella pronipote avrebbe
sposato un esponente di casa Savoia e affermò ..“Sappiate
che io disapprovo fortemente.Non
posso tollerare che una mia pronipote vada in sposa a un discendentedell’usurpatore
[Vittorio Emanuele II].Sappi
che se lo farai te ne pentirai amaramente e non conoscerai la felicità.Maria José rimase molto turbata da quel
colloquio e quelle forti parole
l’accompagnarono per tutta la vita.Maria José partì quindi per il Portogallo
e dopo una settimana fu raggiunta dal marito a Cascais ma i due si separano
subito.Il matrimonio tra i due era in crisi da
tanto tempo. Con la scusa di dover subire un’operazione agli occhi, Maria José
si trasferì in Svizzera a Merlinge con il piccolo Vittorio Emanuele.(Le tre figlie (Maria Pia, Maria
Gabriella, Maria Beatrice) rimasero con il padre Umberto in Portogallo e
raggiunsero la madre solo dopo diversi anni. Una delle poche volte in cui la
coppia fu vista insieme fu in occasione
della nozze di Juan Carlos I di Spagna con Sofia di Grecia, ad Atene il 14
maggio 1962).Roma - Largo Brazzà
Nella
foto la principessa Maria Josè nel 1924 all’uscita dalla Cattedrale di Ravello.
Sulle
scale, poco più avanti, il principe Umberto.
https://www.ilvescovado.it/it/storia-e-storie-19/referendum-2-giugno-1946-quando-la-regina-maria-j-79361/articleGiuliana
Benzoni era quindi la preziosa consigliera di Maria José la “principessa ribelle”.Le due donne condivisero il pericoloso tentativo (colpo di Stato), purtroppo
fallito, d’impedire che il regime di
Mussolini proseguisse nel suo nefasto cammino.La
Benzoni, una grande donna caratterizzata da una grande eleganza e classe,
s’impegnò nel piano dalla metà del 1942 fino al 25 luglio 1943.Fu
vicina alle incertezze di Maria José, anche se rare, e insieme cercarono le
figure giuste a cui affidare la propria fiducia e il coraggioso progetto
rivoluzionario.La
Benzoni presentò all’amica quelle figure che potevano essere utili nel piano e
tra questi, Pintor, Bonomi, Antoni, Gonella.Tutti
personaggi dall’alto livello politico e culturale e soprattutto disponibili per
dare il loro contributo all’impresa.Le
due amiche avevano contatti saltuari e una fitta corrispondenza.Il
percorso che stavano avviando le due amiche era pericoloso ma in quei mesi il
Quirinale era la sede abituale di salotti in cui prendeva forma la stesura del
complotto. Era un percorso anti-mussoliniano che vedeva all’opera politici,
antifascisti, fascisti non convinti delle proprie idee. militari, civili.La
Benzoni ebbe l’idea geniale di introdurre nel piano non solo l’idea base
dell’antifascismo ma anche quella di un’azione contro la monarchia.Quest’ultimo
aspetto forse non condiviso dall’amica Maria Josè, che pur non accettando la
monarchia, nel piano aveva proposto la nomina a re del figlio Vittorio Emanuele
(almeno salvare la traballante e compromessa monarchia dopo aver cacciato il
dittatore).Maria José con i
quattro figli.
Fototeca Storica
Nazionale / Getty ImmagesUn punto era condiviso da entrambe: occorreva l’unione delle forze antifasciste.Forse non tutti condividevano l’idea della Benzoni perché alcuni politici erano convinti che solo attraverso l’aiuto monarchico si sarebbe potuto eseguire il piano.Comunque la Benzoni tesse la sua tela di collaboratori pronti a dare il loro aiuto: De Gasperi, la Banca Commerciale con il suo esponente di primo piano Raffaele Mattioli, i socialisti romani, i letterati ed anche prelati della Santa Sede come il cardinale Montini futuro Paolo VI.Rispetto all’amica Maria José godeva di una maggiore libertà dato che la principessa era mal vista a Corte (il suocero per anni non gli rivolse la parola ed era anche controllata dalla polizia fascista dato che non godeva della fiducia di Mussolini).Maria Josè era, secondo l’opinione di Mussolini…..L’unico uomo di casa Savoiae il suocero Vittorio Emanuele III più volte la rimproverò per i suoi contatti e le sue azioni a favore degli antifascisti.La Benzoni nel suo libro rilevò come il programma prevedeva di convincere il re Vittorio Emanuele III a separarsi dal fascismo grazie all’aiuto delle figure coinvolte nel piano eversivo e sotto la parola d’ordine della Benzoni e di Maria JosèIngabbiarlo..Anche se testone, musone e legalitario.Maria José fu “indottrinata” dal filosofo Carlo Antoni sugli aspetti “legali” dell’operazione.Non riuscì mai ad incontrare il Re, malgrado i suoi tentativi.La donna viveva nell’isolamento voluto dalla corte e cercò inutilmente di avere un incontro con il sovrano rivolgendosi anche al Ministro della Real Casa Acquarone.La principessa incontrò il cardinale Montini mentre a Milano ebbe dei contatti con lo scrittore comunista Elio Vittorini e con il critico Francesco Flora. La Benzoni l’aiutò ad incontrare anche Giaime Pintor che cadde successivamente da eroe tra le linee nemiche.Fu la stessa Benzoni a consigliare a Maria Josè il generale come capo politico.Agli inizi del 1943 la Benzoni consigliò nuovamente alla Principessa di accelerare i tempi presentando il piano antifascista al Re.Si fecero altri nomi come Ivanoe Bonomi, ci fu l’appoggio di Antonio Giolitti, del filosofo marxista Ludovico Geymonat, del rettore di Padova Concetto Marchesi (Comunista).Ma l’operazione, come abbiamo visto, era pronta nel concretizzarsi ma l’invasione della Cecoslovacchia fermò tutto.D’altra
parte il re voleva decidere sempre in solitudine, come aveva sempre fatto nella
scena politica, puntando su un governo di tecnici militari con a capo Badoglio
e preferendo coprire la defenestrazione di Mussolini con altri fascisti.
Maria
Josè che aveva tessuto la tela magistralmente venne in qualche modo messa agli arresti domiciliari e mandata a
Sant’Anna di Valdieri in Piemonte.
Un
luogo completamente isolato eppure, malgrado l’isolamento dopo il 3 settembre
non mancarono i suoi forti e prolifici contatti con la Resistenza.
La
Benzoni provò una grande delusione nel fallimento del piano ma non mollò perché
ricoprì un ruolo importante nella Resistenza romana come clandestina.
Svolse
quindi un ruolo non secondario nella caduta del fascismo.
Maria José e il progettato Colpo di Stato del 1938
I tentativi per la Pace del 1942
Durante la guerra all’Etiopia, il 14 marzo 1936
Maria José partì per l’Africa orientale come infermiera della Croce Rossa a
bordo della nave ospedale «Cesarea» e rientrò a Napoli l’11 maggio. Scorcio della
nave-ospedale Cesarea ormeggiata al Molo Angioino
data: 26.03.1936
luogo della
ripresa: Napoli
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000018427/12/scorcio-della-nave-ospedale-cesarea-ormeggiata-al-molo-angioino.html
La principessa Maria Josè
La principessa
Maria José, in abiti da crocerossina, consegna un documento a una giovane
infermiera della Croce Rossa
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0010026202/12/la-principessa-maria-jose-abiti-crocerossina-consegna-documento-giovane-infermiera-della-croce-rossa.html
Nel 1936 l’Italia firmò il trattato di amicizia
con la Germania chiamato “Asse Roma –
Berlino”.Nel 1937 si recò insieme con il principe
Umberto in visita ufficiale in Libia e negli anni successivi tornò altre volte
da sola, ospite del governatore Italo Balbo con il quale si trovò a condividere
critiche severe alla politica filotedesca di Mussolini.Nel 1938 ci fu la promulgazione delle leggi
razziali e, nello steso anno, ci fu la visita di Hitler a Roma dove fu ospitato
al Quirinale. Maria José provava dei sentimenti di ostilità nei confronti
dell’operato di Mussolini che condivideva con il marito Umberto II di Savoia,
anche lui non d’accordo con il regime.Nel 1938, secondo alcune fonti diplomatiche
inglesi, Maria José si sarebbe accordata con Rodolfo Graziani e con il capo
della polizia Arturo Bocchini, per tentare un colpo di Stato grazie all’opera
di alcuni reparti delle forze armate con Pietro Badoglio come comandante in
capo, L’azione si sarebbe conclusa con la destituzione di Mussolini con unAvvocato milanese antifascista. (Carlo Aphel).Un importante
documento fu trovato dalla professoressa Donatella Bolech Cecchi
(dell’Università di Pavia) negli archivi del Foreign Office (documento «riservatissimo» conservato presso il Public
Record Office di Londra). Il documento
era costituito da una lettera (relazione, dai toni “most secret”), datata 29
settembre 1939 e fatta pervenire al Foreign Office, nella quale l’ambasciatore
inglese al Cairo, Miles Lampson, parlava di un complotto per fare cadere
Mussolini, impedire la guerra e instaurare un regime meno autoritario, più
democratico e finalmente separato dal nazismo.
Lo stesso ambasciatore scrisse nella lettera di aver
avuto queste notizie da un colloquio avuto con il fratello di un avvocato
milanese che era a capo di un movimento antifascista.
Lampson with his
second wife Jacqueline in the gardens of the Cairo embassy
Lampson con la
seconda moglie Jacqueline nei giardini dell'ambasciata del Cairo
Captain Oliver
Lyttelton (right), the Minister of State resident in the Middle East from
June 1941 to February 1942, at the British Embassy in Cairo with Sir Miles
Lampson, British Ambassador to Egypt.Il capitano Oliver
Lyttelton (a destra), ministro di Stato residente in Medio Oriente dal giugno
1941 al febbraio 1942, all'ambasciata britannica al Cairo con Sir Miles
Lampson, ambasciatore britannico in Egitto.
Il documento sarebbe collegato a delle testimonianze tra cui quella della figlia di Carlo Aphel, un avvocato milanese nella cui abitazione si svolsero, a partire dal 1938, diversi incontri a cui presero parte anche il maresciallo Pietro Badoglio, la principessa Maria José di Savoia, moglie dell’erede al trono Umberto II di Savoia ed anche Rodolfo Graziani.
Sembra che ad alcune riunioni, a Racconigi e a Milano, abbia partecipato anche il genero del Duce,
Gian Galeazzo Ciano mentre una partecipazione più attiva ebbe Edgardo Sogno.
Il piano coinvolgeva anche il capo della Polizia, Arturo Bocchini e prevedeva:
l’arresto del Duce;l’abdicazione di Vittorio Emanuele III in favore di Umberto II;Umberto II, d’accordo con la moglie Maria Josè, avrebbe abdicatosubito in favore del piccolo Vittorio Emanuele;Maria José sarebbe stata nominata reggente del Regno in derogaallo Statuto Albertino, fino al compimento del 21 anni delgiovanissimo sovrano.
Al trono sarebbe salito il piccolo Vittorio Emanuele, figlio del principe ereditario e di Maria José che sarebbe diventata regina reggente.
Badoglio e Aphel avrebbero ricoperto ruoli di primo piano nel dopo fascismo.
Il 24 settembre 1938, sei giorni prima dell’accordo di Monaco, il governo di Praga cedette alla Germania la zona dei Sudeti.Ma
Hitler non si fermerà occupando l’intera Cecoslovacchia e poi la Polonia. Da
qui lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Maria José avvisò l’avvocato milanese per un colloquio,
dai toni urgenti e segretissimi, con il maresciallo Pietro Badoglio nel
castello di Racconigi.
Castello di
Racconigi (Cuneo)
Le serre del
Castello di Racconigi
https://provinciadicuneoinfoto.blogspot.com/2019/10/serre-del-castello-di-racconigi.html?m=1
Il
giorno dopo, 25 settembre (domenica), l’avvocato incontrò Maria José e
il Badoglio. Il principe Umberto non era presente all’incontro, forse per non
compromettersi in una questione troppo delicata (non
potrebbe fare altrimenti, il suo ruolo impedisce la sua presenza nella sala,
quindi tutto fu delegato, alla giovane Principessa, e continuò a
giocare con i figli Maria Pia ed il piccolo Vittorio Emanuele). Una cosa fu
certa: c’era un’unità di pensiero tra Umberto di Savoia e la moglie Maria Josè.Tutti
condivisero il pensiero chein caso di attacco
della Germania alla Cecoslovacchia, Mussolini correrà a fianco di Hitler, era
il momento di fermare la storia, di riprendersi quel futuro che stava scappando
via agli italiani ed al mondo intero. Il
colloquio durò oltre 90 minuti e Maria José sottolineò la grave situazione
internazionale e portò avanti l’idea che era necessario fare qualcosa per
impedire all’Italia di entrare in guerra a fianco della Germania. Era inutile
nascondere la realtà dei fatti..La guerra era
vicinaI
riferimenti erano chiari e ben evidenti..era in atto la crisi cecoslovacca. Il
movimento nazista aveva votato a Norimberga l’annessione dei Sudeti e la
diplomazia internazionale era coinvolta in disperate trattative per evitare un
conflitto.A
testimoniare la gravità del momento, Galeazzo Ciano riportò in data 26
settembre nel suo diario un appunto..È la guerra. Dio
protegga l’Italia e il DuceMaria
Josè finì il suo discorso e prese la parola il maresciallo Pietro Badoglio.Disse di parlare a nome del generale Rodolfo Graziani e invitò l’avvocato milanese a dare il comando per un insurrezione armata.La risposta dell’avvocato milanese …Io e i miei compagni, per quanto avessimo lavorato giorno e notteper quattro anni a questo fine, non siamo in grado di passare alla faseoperativa per mancanza di armi…sono convinto che sia stato raggiunto un punto in cui lo spirito delpopolo è maturo…….si può prevedere, in caso di mobilitazione generale in Italia,una capillare azione di sabotaggio di tutti i pubblici esercizi perdisorganizzare la nazione e procurarsi quei trecentomila fucili conadeguato munizionamento che sono indispensabili per un progetto insurrezionale.Il maresciallo Badoglio rispose…«Voi potrete certo fare meglio di adesso perché, come voi ci portate il popolo italiano,noi vi portiamo l’aiuto della Corona e l’appoggio dell’esercito».Si passò alla fase operativa del piano, discutendone i dettagli, che prevedevano questi fasi…- Abdicazione del Re (Vittorio Emanuele III);- Rinuncia del principe ereditario Umberto II di Savoia ai propri diritti sul trono;- proclamazione di Vittorio Emanuele (che all’epoca aveva due anni) a Re d’Italia e della principessa a reggente durante la minorità del figlio;- concessione di pieni poteri temporanei a Badoglio, che avrebbe imposto la legge marziale per mantenere l’ordine;- costituzione di un governo presieduto dall’avvocato antifascista milanese
Il rapporto mise in evidenza anche il programma di costituzione del governo che prevedeva:- lo scioglimento del partito nazionale fascista e della Camera dei Fasci;- l’arresto e il processo di Mussolini;- l’amnistia per i fascisti che avessero sospeso ogni attività politica;- nessuna vendetta, ma un perdono per coloro i quali avrebbero preso le distanze dal Regime;- lo scioglimento della Milizia;- il ripristino dello Statuto Albertino in vigore dal 1848;- il ritiro delle truppe dalla Spagna;- la stipula di un’alleanza la Jugoslavia e la Francia nel caso di aggressione della Germania alla Cecoslovacchia;- la riduzione delle tasse;- un piano di riforme economiche, morali e sociali.Il piano non si fermò alla fase progettuale perché il 26 settembre Umberto II firmò un atto di rinuncia al trono.Il giorno successivo in alcune città (Roma, Torino, Milano, Verona, Venezia e altre località) furono prese delle iniziative per l’attuazione del piano che doveva concretizzarsi alle ore tre del 28 settembre. Il Re (Vittorio Emanuele III) doveva trovarsi di fronte al fatto compiuto e quindi costretto a firmare l’abdicazione.Ma il giorno 27 giunsero al castello di Racconigi delle informazioni che sconvolsero i piani demoralizzando i cospiratori.Neville Chamberlain (Primo Ministro del Regno Unito dal 28 maggio 1937 al 10 maggio 1940) aveva chiesto, attraverso Gian Galeazzo Ciano, un intervento mediatore di Mussolini che si sarebbe risolto nell’incontro di Monaco.Infatti nella notte tra il 28 ed il 29 settembre 1938 a Monaco i capi di Stato di Francia, Regno Unito, Italia e Germania firmarono un documento con il quale veniva concesso alla Germania di annettersi gran parte della Cecoslovacchia.In realtà la questione Cecoslovacchia era presenta
nello scenario geopolitico europeo già ai primi di settembre del 1938. (Nota –
La Conferenza di Monaco)Gli
avvenimenti intralciarono i progetti dei cospiratori di Racconigi. Si resero
conto che non sarebbe stato così semplice imporre al Re l’abdicazione e
spiegare un simile avvenimento alla popolazione.Maria
José, un grande carattere quello della principessa, e l’avvocato milanese
rimasero sempre fedeli all’attuazione del piano ma Badoglio fece valere la tesi del rinvio
dell’operazione rinviandola al 29 settembre.Il
diplomatico inglese scrisse come il generale BadoglioFu afflitto (dal
rinvio) che per diversi minuti sembrò perdere la ragioneal punto da
spingere la principessa e l’avvocato a ripetergli che eglinon aveva alcuna
responsabilità in quanto stava accadendo.Maria
Josè si sarebbe impuntata nel confermare
la data prestabilita (28 settembre) per l’attuazione del colpo di Stato,
sorretta da altri personaggi, senza spostare di una virgola le fasi del
complotto precedentemente studiato con attenzione.La
principessa invitò più volte il generale Badoglio ad andare avanti nel piano. I
toni si alzarono, diventarono anche aspri. La tensione era altissima ed ancora
oggi, conoscendo i fatti che seguirono alcuni anni dopo, si può solo apprezzare
il tentativo della bella Principessa belga, intelligente, educata a Firenze,
figlia di un Re che non si piegò mai a quella stessa Germania nel 1915 e ne
uscì vincitore. Era proprio vero, una principessa donna ma anche un leone come
quello che campeggia nello stemma belga.Ma
Badoglio fu irremovibile rinviando di un giorno l’operazione non ascoltando i
consigli dei presenti.Questo
giorno fu sufficiente per fare saltare l’operazione del colpo di Stato.Il
28 settembre Chamberlain riunì a Monaco i rappresentanti di Francia, Germania
ed Italia, quest’ultima rappresentata, come voluto dal primo ministro inglese,
da Mussolini. Non ci sarà la guerra, ma quel giorno sdoganerà le velleità di
Hitler sul mondo intero, accompagnando nel disastro finale il Duce e l’Italia.La
notizia dell’accordo giunse a Racconigi ma forse i congiurati già sapevano che
con la partenza di Mussolini per Monaco, la guerra, per il momento, sarebbe
stata rimandata.Vennero
quindi bruciati i documenti tra cui anche l’abdicazione firmata da Umberto e
quella da sottoporre al Re Vittorio Emanuele III che era all’oscuro di tutto
ciò che si stava tramando. Furono brucati anche il testo della reggenza, gli
atti istitutivi dello stato d’assedio e della legge marziale.Non
si doveva lasciare alcuna traccia del complotto. Il Duce sarebbe tornato dalla
Germania ancora più forte di prima, con un’aureola di mediatore politico che la
propaganda fascista enfatizzerà a beneficio della figura di statista del
dittatore italiano.Non
si sapranno mai i nomi di tutti coloro che parteciparono alle riunioni nel castello di Racconigi. Molti documenti
furono ritrovati all’estero ma tutto ciò fu provato… fu certezza … solo che con
il passare e, con una storia mai obiettiva, gli avvenimenti si persero nella
nebbia dei ricordi che devono essere cancellati per ragioni politiche….La
congiura fu oggetto di un documentario
televisivo del ciclo “Il Tempo e la Storia” di “Rai Storia” dedicata proprio
all’attività antifascista di Maria José dimenticata dalla storia.
L’aspetto
forse più importante fu quello che Maria Josè non citò mai questo avvenimento
nelle sue interviste successive.
Le
notizie sulla congiura furono dettagliatamente descritte dal diplomatico
inglese.
Un
diplomatico di elevato rango che venne a conoscenza di quelle importanti
notizie sulla congiura che lo spinsero a scrivere un dettagliato rapporto
“molto secreto”.
Non
erano quindi voci generiche…
Il
nome dell’avvocato milanese, e importante esponente antifascista, rimase
sconosciuto.
Era
infatti nella prassi delle informative "segrete", soprattutto in casi
così delicati, assumere precauzioni per non compromettere le fonti di
informazione (nel caso in questione, poi, oltre che di una "fonte" si
sarebbe trattato di un vero e proprio movimento da tenere presente per il
futuro) e lasciare a successivi contatti personali il completamento del quadro
e delle notizie.
Il
rapporto avrebbe una sua importanza storica perché dimostrerebbe come negli
anni Trenta, cioè nel periodo di maggiore ascesa del fascismo, erano presenti
in Italia, da almeno quattro anni, dei movimenti antifascisti.
Il
rapporto sarebbe un ulteriore prova dei sentimenti antifascisti di Maria
José e dei suoi contatti con
intellettuali e politici antifascisti come Benedetto Croce, Elio Vittorini,
Guido Gonella e con il Vaticano grazie ai contatti con Mons. Montini. Contatti
che furono confermati sia dalla storiografia che dalla stessa Maria José.
(Francesco
Perfetti)
Fa
riflettere che figure importanti come Galeazzo Ciano, e altri gerarchi come
Italo Balbo, Emilio De Bono, Dino Grandi, Amedeo d’Aosta e probabilmente anche
Edgardo Sogno abbiano partecipato allo
studio del colpo di Stato. Tentarono fino all’ultimo di evitare la terribile
guerra partecipando alla fase progettuale della cospirazione.
Ciano
non riuscì ad accettare e fare anche suo quel progetto per le incertezze e per il terrore che aveva
del forte suocero. Ma alla fine, con coraggio, partecipò al tentativo di colpo
di Stato del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 che lo portò alla completa
rovina con la sua fucilazione avvenuta l’11 gennaio 1944 a Verona.
Dalla
interessante inchiesta della studiosa emerse un ambiente politico consapevole
delle azioni da intraprendere ma impotente a cambiare un’inerzia inevitabile.
Tutti
erano consapevoli dei rischi che la società e il mondo stava correndo ma
forse gli ideatori della cospirazione
non ebbero il coraggio di mettersi in gioco o ancora furono sottomessi nella
decisione finale dal generale Badoglio, un personaggio ambiguo e criticato anche dagli Alleati.
Forse
l’unica figura coraggiosa fu proprio la principessa Maria José che all’epoca
aveva da poco compiuto 32 anni, essendo nata ad Ostenda nel 1906.Nel
1939 Maria José partecipò da sola a Lucerna al concerto di Arturo
Toscanini. Era l’ultimo concerto che il maestro tenne in Europa.Questa
sua partecipazione al concerto gli procurò insulti da entrambe le parti:dal duce che era
molto adirato dalla sua “alzata
d’ingegno”;dall’inviperito
maestro Toscanini, poco rispettoso, superficiale e maleducato, che le rifiutò
l’autografo…”Alla larga da
quella baldracca”. Ebbe
dei contatti con grandi scrittori del tempo come Thomas Mann, Giuseppe Antonio
Borgese, tutti esponenti della cultura che erano considerati “fuorilegge” dal
regime. Eppure con questi esponenti
della cultura ebbe dei duraturi rapporti d’amicizia.Mussolini
trattò sempre con una certa freddezza Maria José e desiderava essere informato
di ogni suo movimento tanto da affidare la sorveglianza della Principessa al
capo della Polizia Arturo Bocchini fino al 1938 cioè fino a quando ritenne di
aver sottomesso i Savoia con lo stravolgimento della Statuto Albertino e con
l’intervento del Gran Consiglio nella successione al trono.Inoltre
proibì espressamente ai mezzi d’informazione di nominare Umberto e Maria José
come Principi Ereditari e li obbligò a chiamarli semplicemente“Principi di
Piemonte”.La
Famiglia reale non ebbe mai molta simpatia per il fascismo e per il Duce, tanto che Vittorio Emanuele III si oppose fermamente all’invito di
Mussolini di porre sul vessillo tricolore i fasci littori. Il Principe ereditario Umberto, in tutte le
manifestazioni ufficiali, vestì sempre la divisa del Regio Esercito, per
salutare con il classico gesto militare evitando quindi di fare il saluto
fascista e mai indossò la camicia nera, contrariamente ai suoi cugini
Aosta. Quando poi Mussolini prese a sostenere Hitler,
Vittorio Emanuele III iniziò a ricordarsi di come era considerato in passato
dall’Imperatore Guglielmo II ed iniziò quindi a rimembrare l’arrogante
supponenza di una casta militare che avrebbe portato la Germania alla disfatta
nella prima Guerra Mondiale: anche lui sapeva che era ormai questione di tempo.Ancora nell’aprile 1940 Maria Josè convocò
riservatamente a Roma Italo Balbo e Amedeo d’Aosta, sollecitandoli a
intervenire presso Mussolini al fine di evitare l’entrata in guerra
dell’Italia.
Maria José nutriva una profonda avversione nei
confronti di A. Hitler, che aveva conosciuto nel corso della visita ufficiale
da questo compiuta a Roma nel maggio 1938 e dal quale si recò per un colloquio
privato a Berchtesgaden in Baviera il 10 ottobre 1940.
Il Belgio era stato invaso dai Tedeschi e il re
Leopoldo, fratello di Maria José, aveva preferito arrendersi ottenendo per sé e
la sua famiglia una sorta di libertà vigilata nel castello di Laeken. La visita
di Maria José. aveva appunto lo scopo di perorare la causa del fratello, degli
altri famigliari e dei circa 140.000 soldati belgi prigionieri di guerra e di
richiedere l’autorizzazione per l’invio di aiuti della Croce Rossa alla
popolazione belga duramente provata.Maria
José era altrettanto preoccupata delle drammatiche condizioni dell’Italia in
guerra, occultate dalla propaganda di regime ed ebbe modo di rendersene conto
di persona, nel corso delle visite agli ospedali, compiute come ispettrice
generale della Croce Rossa. Aveva intanto preso a frequentare esponenti
dell’antifascismo come il filosofo Carlo Antoni e il cattolico Guido Gonella.
Il Gonella era redattore capo di politica estera de
“L’Osservatore romano” ed era in stretti rapporti con la segreteria di Stato
del Vaticano e con il corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede.
Il disastroso andamento della guerra e le
sollecitazioni degli antifascisti indussero Maria José ad assumere qualche
iniziativa per provocare la caduta di Mussolini e uscire dal conflitto.
Ampliò la sua rete di contatti e intensificò i suoi
incontri con generali e uomini politici.
Nell’agosto
1942, a Cogne, incontrò il maresciallo Pietro Badoglio, messo in disparte per
l’esito della guerra di Grecia, sollecitandolo ad agire. Il coinvolgimento di
Badoglio era ritenuto indispensabile per ottenere l’adesione delle forze armate
e di tale parere si mostrò anche l’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi,
nel corso dell’incontro che ebbe con Maria Josè nell’ottobre dello stesso anno.
Il 3 ottobre 1942 la principessa ricevette
un’informazione secondo la quale gli Alleati avrebbero trattato con benevolenza
l’Italia nel caso di una sua dissociazione dall’Asse cioè dall’Alleanza con la
Germania nazista.
Qualche giorno dopo la principessa incontrò, in casa
della baronessa Giovannella Caetani Grenier, monsignor Giovanni Battista
Montini, sostituto segretario di Stato della S. Sede, e informò quindi il
ministro della Real Casa, Pietro Acquarone, della possibilità di stabilire
contatti con gli Anglo-americani utilizzando il canale del Vaticano. Monsignor Giovanni Battista Montini
Pietro d'AcquaroneAttraverso l’Acquarone il re (Vittorio Emanuele III) fece
conoscere alla nuora la propria netta contrarietà a percorrere quella strada.«Fu allora che la principessa di Piemonte, visto respinto il suo primo
tentativo di fungere da semplice tramite per una qualche ulteriore azione che
avrebbe poi potuto essere condotta direttamente od indirettamente dal sovrano,
pensò ad una iniziativadiversa di ordine personale ed autonomo»Su suggerimento di Gonella, Maria José cercò di
contattare gli Alleati attraverso l’intermediazione del portoghese Antonio de
Oliveira Salazar, capo di un governo neutrale e buon amico degli Inglesi.
Antonio de Oliveira Salazar
La principessa ebbe ripetuti incontri con
l’ambasciatore del Portogallo presso la S. Sede, A. Pacheco, e, ottenuta la
risposta positiva di Salazar, il 17 luglio 1943 ricevette al Quirinale il conte
Alvise Emo Capodilista, al quale espose i contenuti della missione che doveva
compiere presso gli Angloamericani.
Il conte Alvise Emo Capodilista con la moglie (?)
I punti da negoziare riguardavano:la cessazione delle ostilità da ambo le parti e dei bombardamenti,l’assistenza alleata alle forze armate italiane che avrebbero dovuto
fronteggiare la prevedibile reazione tedesca,la disponibilità della Marina ad agire sotto il comando alleato,il mantenimento della monarchia.Salazar trasmise le richieste italiane agli Inglesi,
ma il 3 agosto 1943 comunicò a Capodilista che esse erano state respinte in
quantogli Alleati ponevano come presupposto della trattativa l’accettazione pura
esemplice della resa incondizionata.Il 6 agosto Maria José informò dell’esito negativo
della missione il duca Acquarone e il capo di stato maggiore, generale Vittorio
Ambrosio e, più tardi, incontrò il re a villa Savoia. Questi, che non aveva mai
gradito l’attivismo della nuora, la invitò, anche per ragioni di sicurezza, a
partire insieme con i suoi figli per Sant’Anna di Valdieri, nel Cuneese.Le frequentazioni, i comportamenti, le simpatie della
Principessa infastidirono il regime.
Maria José assieme al marito fino al 1943 si diede da
fare per aiutare a nascondersi
o a espatriare al sicuro quanti più ebrei italiani e belgi fosse
possibile».Luciano Regolo nel suo poderoso ritratto di Maria José , uscito per Edizioni Ares, riportò
una biografia che dimostrò tutta la sua grande ammirazione per la principessa
che lui conobbe personalmente.Il 25 luglio la notizia
della caduta di Mussolini, raggiunse Berlino e Hitler ne fu colpito.Eberhard
von Mackensen ( generale tedesco e giudicato successivamente come responsabile
di crimini di guerra) fece un’attenta lettura del dispaccio proveniente da
Roma..Il Re aveva dato
l’incarico a Badoglio di formare il nuovo governo avendo ilDuce “abbandonato”
il suo incarico.Hitler
guardò frastornato il generale, fece un sospiro e disseCosa significa
“abbandonato”?Sono convinto che
quello straccione di Re lo ha ingannato.A questo punto,
mando Rommel, la divisione paracadutisti di Student e do ordine dioccupare Roma e di
arrestare tutta la baracca… il Re, il governo e tutto quel marciume….E prima di tutto
il principino ereditario…. Voglio il bambino…Sì il bambino
prima di tutti…Wilhelm
Bodewin Johann Gustav Keitel (generale
e criminale di guerra) ….Sì …. Il bambino è
più importante del vecchio.Hitler
desiderava questa mossa più di ogni altra… gridava come un ossessoVoglio il bambino
!!!!La prima cosa da
fare, sì catturare il bambino il piccolo Vittorio Emanuele!!!Mettete subito le
mani sul bambino !!!!Hitler
temeva che il Re potesse abdicare a favore del bambino con sua madre Maria José
reggente.Gli
italiani si sarebbero stretti attorno al bambino ed alla madre di grande
bellezza, intelligenza ed acume politico come pochi dentro casa Savoia. Gli
Italiani fascisti ed antifascisti avrebbero ricompattato l’esercito e ricreata
l’unità nazionale.Il
tedesco conosceva bene Maria Josè e la sua ideologia politica (antitedesca,
neanche monarchica ma repubblicana, di grande intelligenza e formazione,
democratica di fatto).Gli
Italiani non si sarebbero arresi tanti facilmente, ma non tanto per la regina
che era pur sempre una Savoia (nel maggio del 1945 fu colpita anche dalle
ingiurie destinate a lei e al marito Umberto, senza alcun riguardo per la sua
condizione femminile) ma per quella donna dalla faccia pulita, non compromessa
né con Musolini e nemmeno con Hitler e neanche con i Savoia di cui non aveva
nessun timore reverenziale. Elio Vittorini scrisse che era lei “l’uomo in
famiglia”.Era
una democratica non solo di formazione ma lo era di natura. La giustizia, la
democrazia, l’uguaglianza, la spontanea solidarietà gli erano innati.Come
abbiamo visto aiutava perfino la resistenza (comunisti, repubblicani,
socialisti, liberali) esponendosi di persona, portando agli antifascisti
(vestendosi da contadina, viaggiando sui treni tra Chiasso e Milano) perfino
armi e soldi. Un forte attivismo che
portarono i partigiani, di ogni formazione ideologica, a chiederle di entrare
nelle loro fila a combattere.Cosa
sarebbe successo in Italia se il re avesse abdicato a favore del piccolo
Vittorio Emanuele con reggente Maria José?Hitler
non esagerava quando la definì comeLa ideale reggente.Nelle riviste e nei giornali dell’epoca non apparve mai nelle feste mondane ma nei salotti letterali, artistici, di geologia, archeologia, paleontologia.In queste manifestazioni culturali non apparve mai come esperta ma nella sua semplicità come studiosa.Nei salotti musicali, a 14 anni diede il suo primo concerto di violino e con il pianoforte, accompagnava il provetto violinista Alber Enstein. Per la sua grazia, l’eleganza raffinata e l’incantevole bellezza era da molte donne descritta come un fata.Una fata che non faceva incantesimi ma che, con la sua grande umanità, si intratteneva con le persone semplici. A Torino la gente diceva cheA memoria d’uomo nessun reale si era mai rivolto a parlare con un popolano,lo facevano solo quando andavano negli ospedali a visitare i feriti.Maria Josè girava a Torino come una donna qualsiasi ma, nella realtà non era una donna qualsiasi, era una donna unica.La popolazione amava Maria Josè:- negli ambienti culturali perché aveva mille interessi;- negli ambienti sportivi perché praticava molti sport con grande naturalezza;- negli ambienti politici perché riusciva a fronteggiare il suocero, Mussolini e tante figure precarie (come oggi) della politica ed anche esponenti della cultura favorevoli al regime,Amata
dalla gente comune per la sua spontaneità che evidenziava nel lasciare i
salotti dei nobili o le sale di concerto per guidare l’auto e raggiungere
l’ambiente contadino o quello operaio per essere vicino alle problematiche
sociale delle varie classi. Dava opere di beneficenza nel distribuire doni e
mostrava una grande gentilezza. Fece scalpore a corte quando si trasferì a Roma
e iscrisse la sua primogenita Maria Pia alla scuola pubblica più vicina al
Quirinale e questo per avere la figlia più vicina e per continuare ad avere con
lei un rapporto vivo, a tempo pieno, come tante altre madri consapevoli.Un
atteggiamento tipico della sua famiglia reale d’origine dove l’anticonformismo
e la democraticità era delle costanti di reggenza. La madre, durante la guerra
creò degli ospedali requisendo i grandi alberghi così come il padre Alberto che
fu considerato come il primo e vero “monarca repubblicano” d’Europa.A distruggere la monarchia sabauda non furono gli Italiani ma
lo stesso sabaudo, con nessuna considerazione per il figlio Umberto e nemmeno
per la nuora e il nipotino.La reggenza data a Maria Josè non avrebbe avuto paragoni a
confronto con la luogotenenza data all’impacciato Umerto che in un’intervista a
Cascais, riportata da “Storia Illustrata” n. 308 del luglio 1983 raccontò che…In
quel luglio 25 luglio, io non sapevo nulla di quanto stava per accadere.Non
fui informato da nessuno.Non
dovevo essere assolutamente immischiato, o quanto mai immischiarmi, in
questioni politiche.Ebbi
conoscenza dell’accaduto il giorno successivo. Me ne parlò brevemente, dapprima
Acquarone, mell’anticamera di mio padre. Fu la prima ed unica volta che entrainello
sudio di mio padre, il re, senza chiedere l’autorizzazione né attendere di
essere chiamato.Lui
sedeva alla scrivania, e prima che io potessi aprir bocca, mi disse:“Mussolini
non c’è più, però le cose sono complicate.Fatti
spiegare tutto da Acquerone” e mi congedò.Non
riuscivo mai a parlare con mio padre, come volevo io.Credo
che si sarebbe dovuto ascoltare con maggiore attenzione il conte Grandi.Io
avrei voluto conoscerlo, ascoltarlo. Mi fu negato.Mio
padre affidò il governo a Badoglio. Ionon fui consultato né avvertito.Badoglio
venne fuori con quella infausta comunicazione“La
guerra continua”. Un annuncio, sottolineò il conte Grandi parlando con
Acquarone che rendeva diffidenti gli “alleati” tratti a ritenere che non era il
“fascismo” a volere laguerra
bensì l’intero popolo italiano. Inoltre, insospettiva i comandi tedeschi, i
qualinon
avrebbero data soverchia credibilità alla “volontà” italiana di seguitare la
guerra, eavrebbero
senz’altro preparato le rappresaglie. Dome difatti avvenne.Ci
voleva poco a capire che si era sul punto di gettare il Paese in un mare di
scaigure.Non
ho mai potuto stabilire perché si agì in quel modo, confuso e precipitoso.Se Vittorio Emanuele III avesse concesso la reggenza fin dal
1943, probablmente l’Italia avrebbe voltato pagina e le famose “badogliate” non
sarebbero accadute. Il sovrano avvrebbe dovuto buttare a mare il Badoglio, a
Brindisi lo stesso sovrano rimase sconcertato dalle parole del Badoglio che
voleva prendere il suo posto come reggente, e lo stesso sovrano avrebbe forse
salvato la dinastia.
Casa Savoia e lo stesso Badoglio, nella loro scellerata
politica, non pensarono alle reazioni di Hitler e non si preoccuparono nemmeno
dei loro familiari.
Dal 25 luglio e fino all’8 settembre nessuno in casa Savoia,
né tanto meno Badoglio e “combriccola” pensarono a Maria Josè e ai suoi figli.
Nel momento in cui venne trasmesso il messaggio della “resa
incondizionata” (Armistizio di Cassibile), che provocò un forte dramma in tutto
il Paese, il Re e soprattutto suo marito
Umberto, padre dei suoi figli, si stavano
preparando nella notte nella fuga verso Brindisi. Dimenticarono come Maria Josè
e i suoi quattro bambini (quindi anche l’erede al trono, il piccolo Vittorio
Emanuele) si trovavano in quel momento, dall’estate, in Val d’Aosta nel
castello “de La Sarre”.
Castello
“de La Sarre” - Aosta
Il
castello si trovava in una zona sicura?
No,
perché il territorio era d’influenza tedesca e, subito dopo la proclamazione
dell’Armistizio, la presenza tedesca aumentò.
Anche
la residenza di S. Anna Valdieri (Torino), altra residenza estiva dei reali di
casa Savoia, si trovava in un territorio controllato dai tedeschi.
Maria
Josè venne a conoscenza, nella notte dell’8 settembre, assieme al colonnello
Arena sua guardia del corpo, della firma dell’Armistizio di Cassibile.
L’Arena
aveva una confidenza naturale che la principessa, dagli ideali democratici, gli
aveva concesso e alla notizia dell’’armistizio espresse un giudizio poco
lusinghiero nei confronti dei parenti di Maria Josè..
Quelli o si sono
arresi o hanno tagliato la corda e ci hanno mollato qui.Il
colonnello aveva ragione, ma non si perse di coraggio. Prese il telefono e
cercò per tutta la notte di chiamare Roma. Ma proprio in quel momento a Roma si
stavano preparando le auto per la fuga verso Chieti.
L’Arena
fece appena in tempo a parlare con il ministro della Real Casa Acquarone e
l’unica cosa che lo stesso Aquarone gli referì…
Scappate anche
voi, raggiungete in qualche modo la Svizzera.Non
si sa come avvenne questa fuga ma fu sicuramente molto drammatica dato che i
valichi erano tutti controllati da tedeschi.
La
stessa cosa accadde alla figlia Mafalda, secondogenita del Re Vittorio Emanuele
III.Mafalda di Savoia
(Mafalda Maria
Elisabetta Anna Romana)
Roma, 19 novembre
1902 – Buchenwald, 28 agosto 1944)
Figlia secondogenita
di Vittorio Emanuele III e di Elena di Montenegro
Marito: Filippo d’Assia
– Kassel
Figli/e: Maurizio,
Enrico, Ottone, Elisabetta
I
sovrani lasciarono partire la figlia (allora quarantunenne) da Roma il 28
agosto per recarsi ad onorare il cognato Boris di Bulgaria. (Boris III di Bulgaria,
zar di Bulgaria, aveva sposato Giovanna di Savoia. Si dice che sia stato fatto
uccidere da Hitler per non essersi schierato a fianco della Germania).
Il matrimonio
tra Boris III di Bulgaria e Giovanna di Savoia ad AssisiIl
7 settembre 1943 Mafalda ripartì da Sofia per rientrare in Italia.Si
sentiva tranquilla come figlia del Re d’Italia e soprattutto cittadina tedesca,
principessa tedesca, moglie di un ufficiale delle SS e governatore tedesco. Era
quindi sicura che i tedeschi l’avrebbero rispettata. L’8 settembre si fermò
presso l’ambasciata italiana a Budapest.
Budapest –
Ambasciata Italiana
Dall’Italia
nessuno si preoccupò di avvisarla sulla firma dell’Armistizio. Il 9 settembre
qualcuno la informò come i sovrani fossero a Chieti.L’11
settembre prese un aereo di fortuna, fornito dai diplomatici italiani, con
destinazione Bari. L’aereo si fermò a
Pescara, una città in mano ai tedeschi. La principessa raggiunse quindi Chieti
ma non trovò nessuno dei suoi familiari. Per otto giorni si fermò a Chieti
soggiornando in un palazzo vicino alla Prefettura. I tedeschi di Kesselring
erano impegnati nella liberazione di Mussolini.L’univa
via di salvezza sarebbe stata la fuga ma Mafalda aveva a Roma i figli.
Mafalda, La
Principessa Coraggiosa, con i figli.
Mafalda sposò
Filippo d’Assia.
Dal matrimonio
nacquero 4 figli/e:
Maurizio, Enrico,
Ottone ed Elisabetta
Con grande coraggio partì per Roma che era in mano ai tedeschi.Per fare duecento chilometri impiegò dieci giorni, giungendo a Roma, con mezzi di fortuna, solo il 22 settembre 1943. Fece appena in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano dal cardinale Montini (futuro papa Paolo VI). Non vide il figlio maggiore, Maurizio, che era in Germania con il padre.La
mattina del 23 settembre fu chiamata, con urgenza, al comando tedesco per
l’arrivo di una chiamata del marito da Kassel in Germania. Era in realtà un
tragico inganno creato dall’ufficiale tedesco Herbert Kappler, comandante del
Servizio Segreto delle SS e della Gestapo a Roma.Il marito si trova nel campo di concentramento di Flossenburg.Fu arrestato dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, perché ritenuto da Hitler colpevole di aver preso parte, insieme al suocero Vittorio Emanuele III, alla congiura che aveva portato alla destituzione di Mussolini.Fu arrestata, messa in un aereo con destinazione Monaco di Baviera. Fu quindi trasferita a Berlino ed infine deportata nel Lager di Buchenwald.Venne rinchiusa nella baracca n. 15 sotto il falso nome di von Weber, venendole fatto divieto di rivelare la propria vera identità. Per scherno, i nazisti la chiamavano“Frau Abeba” (Signora Fiore).Il campo di concentramento di Buchenwald, istituito nel luglio 1937, fu uno fra i più grandi campi della Germania nazista. Si trovava a circa 8 km da Weimar.«Prima della presa di potere dei nazisti, Weimar era meglio conosciuta come la casa di Johann Wolfgang von Goethe, che ha incarnato l'illuminismo tedesco del XVIII secolo, e come il luogo di nascita della democrazia costituzionale tedesca nel 1919, la Repubblica di Weimar. Durante il regime nazista, il termine "Weimar" fu associato al campo di concentramento di Buchenwald.»Nel campo di concentramento le fu riconosciuto un particolare riguardo:- occupava una baracca ai margini del campo insieme ad un ex ministro socialdemocratico Rudolf Breitscheid e sua moglie;- aveva lo stesso vitto degli ufficiali delle SS, molto più abbondante e di migliore qualità rispetto agli altri internati.Le
venne assegnata come compagna di camera Maria Ruhnau, testimone di
Geova, deportata per motivi religiosi. La Ruhnau fu una figura molto importante
per la principessa, la quale in punto di morte chiese che il suo orologio le
fosse regalato come segno di riconoscenza."Mettendola
accanto a Mafalda, le SS erano sicure che, interrogandola, avrebbe riferito
tutto quanto la principessa le avesse confidato".Il
trattamento, pur privilegiato rispetto a quello di altri prigionieri, fu
comunque duro. La vita del campo e il freddo invernale intenso la resero debole.
Malgrado il tentativo di segretezza attuato dai nazisti, la notizia che la
figlia del re d'Italia si trovasse a Buchenwald si diffuse. Le testimonianze riportarono
come i prigionieri italiani avevano sentito dire di una principessa italiana
reclusa e che un medico italiano lì rinchiuso le aveva prestato soccorso. Si sa
anche che mangiava pochissimo e che quando poteva faceva in modo che quel poco
che le arrivava in più fosse distribuito a chi aveva più bisogno di lei.Nell'agosto
del 1944 le truppe alleate bombardarono il lager; la baracca in cui
era prigioniera la principessa fu distrutta e Mafalda riportò gravi ustioni e
contusioni varie su tutto il corpo. Fu diseppellita dai deportati Bruno
Praticello e Giovanni Marcato e ricoverata nell'infermeria della casa di
tolleranza dei tedeschi del lager. Non fu sottoposta a delle terapie e le sue
condizioni peggiorarono. Dopo quattro giorni di tormenti, a causa delle piaghe
insorse la gangrena ed in una lunga operazione le fu amputato un
braccio. Ancora addormentata, Mafalda venne abbandonata in una stanza del
postribolo, privata di ulteriori cure e lasciata a se stessa. Morì dissanguata,
senza aver ripreso conoscenza, nella notte del 28 agosto 1944. Sembra che, poco prima di morire, abbia detto
ai deportati che la salvarono:Sento che per me
sarà difficile guarire, voi siete giovani, potete farcela… Se mai la fortuna vi
aiuterà a tornare fatemi un bel regalo… salutatemi i miei figli Maurizio,
Enrico, Ottone e Elisabetta. Salutatemi tutta l’Italia dalle Alpi alla Sicilia.
Secondo
altre testimonianze, quando fu diseppellita Mafaldavenne
stesa su una scala a pioli per essere trasportata nella casupola che era stata
adibita a infermeria. Nel tragitto notò due italiani dalla "I" che
avevano cucita sulla giubba. Fece segno di avvicinarsi col braccio non ferito e
disse loro:«Italiani, io
muoio, ricordatevi di me non come di una principessa,ma come di una
vostra sorella italiana»(Deposizione
giurata dei fratelli Vittorio e Rino Rizzo, depositata nel 1945 presso il
notaio Conti di Udine).L'opinione
del dottor Fausto Pecorari, Dott. Fausto Pecorariradiologo
internato a Buchenwald, fu cheMafalda sia stata
intenzionalmente operata in ritardo,seppur con
procedura in sé impeccabile, per provocarne la morte.Il metodo delle
operazioni esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicatoa Buchenwald ed
eseguito sempre dalle SS su alte personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.Grazie
all'intervento del prete boemo del campo, padre Joseph Tyll, il corpo della
principessa non venne cremato, ma messo in una bara di legno e seppellito in
una fossa comune. Come identificativo, venne apposto soltanto un numero e una
dicitura:«262 eine
unbekannte Frau» ("una donna sconosciuta").
Trascorsi
alcuni mesi, sette italiani, Corrado Magnani, Antonio Mitrano, Erasmo Pasciuto,
Antonio Ruggiero, Apostolo Fusco, Giovanni Colaruotolo e Giosuè Avallone, già
appartenenti alla regia marina e tutti originari di Gaeta, catturati al
deposito militare di Pola dopo l'8 settembre 1943, furono deportati a Weimar,
dove rimasero fino al luglio 1945, quando furono liberati dagli americani.
Nelle
vicinanze del loro campo c'era il lager di Buchenwald, dove avevano saputo era
prigioniera la principessa Mafalda di Savoia, insieme a ebrei e politici.
Appena dopo la liberazione, i marinai decisero di recarsi al vicino campo di
concentramento per mettersi alla ricerca della principessa e seppero trovare
fra tante la sua tomba anonima e si tassarono per apporvi una lapide
identificativa.
“Il campo dove era sepolta Mafalda era un riquadro di
terra spoglia, a zolle, con paletti numerati e senza quasi alcun segno di
attenzione umana. Dal custode avevamo saputo che la tomba era contraddistinta
con il numero 262. Per essere sicuri estraemmo il paletto e verificammo che
recava scalfito un nome: Mafalda. Per noi, quello fu un momento di intensa
commozione. Mafalda non era più una principessa: era una come noi, una donna
sfortunata, una deportata che non ce l’aveva fatta. Decidemmo di adornare come
meglio possibile quella tomba. Barattando con pane, farina ed alcuni marchi, ci
procurammo una croce, delle catenelle ed una lapide che collocammo sulla tomba
di Mafalda”. La Repubblica Italiana, nel 1995, ha dedicato un francobollo a
Mafalda di Savoia e alla sua triste vicenda tragicamente terminata in un campo
di sterminio nazista.
La salma della principessa fu traslata nel 1951 nel piccolo cimitero di
famiglia a Kronberg. Quella croce ancora oggi è collocata sulla tomba di
Mafalda. Sotto la croce c’è sempre la lapide con la dedica “A Mafalda di
Savoia, i marinai della città di Gaeta“.
– Sottocapo segnalatore MAGNANI Corrado;
– Cannoniere MITRANO Antonio;
– Marò RUGGIERI Antonio;
– Fuochista COLARUOTOLO Giovanni;
– Cannoniere PASCIUTO Erasmo;
– Marò AVALLONE Giosuè;
– Nocchiere FUSCO Apostolo.Il
dottor Fausto Pecorari, subito dopo essere rientrato a Trieste, si recò
personalmente a Roma dal regio luogotenente principe Umberto per
comunicargli la triste notizia del decesso per assassinio della principessa
Mafalda. La principessa Mafalda riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia,
nell'antica Burg di Kronberg in Taunus, vicino a Francoforte sul
Meno.
Nozze di Filippo
D’Assia e Mafalda di Savoia – 23 settembre 1925
Per
andare al comando tedesco si vestì, pensando che si trattasse di un
impegno di pochi muniti, con un modesto vestito
nero.Con
quel vestito fu quindi arrestata, con quello partirà e per ben undici mesi avrà
sempre quel vestito addosso e, sempre con quel vestito, morirà.La Chiesa dedicò
una preghiera a Mafalda di Savoia con approvazione ecclesiastica del Vescovo Giuseppe
Gagnor, Napoli, 18 novembre 1945
Pietosissimo
Iddio, che nei Tuoi imperscrutabili disegni, permettesti che la Tua serva
Mafalda, nata e vissuta nella regalità della corte, si dipartisse da questa
terra in seguito alle sofferenze ed all'abbandono vissuto negli ultimi mesi
della sua esistenza terrena, lontano dalle cure e dall'affetto dei suoi,
umiliata e vilipesa in suolo nemico, accetta il suo sacrificio!
Fà che ella, spiritualmente ricollegata alle grandi donne della sua casa che la
precedettero, in una dinastia di Santi e di Eroi, ascenda presto alla
Beatitudine del Regno dei Cieli, onde intercedere presso di Te per la grandezza
del Regno d'Italia.
Così sia.
…………………………….
Hitler
credeva che il figlio di Maria Jose, il principe ereditario, si trovasse a Roma
mentre in realtà si trovava in Piemonte.Ma
i reggenti, compreso Badoglio e C., stavano veramente scappando verso Sud?Chieti
e Pescara erano in mano ai tedeschi e più volte furono bombardate in modo
selvaggio dagli anglo-americani, non solo prima ma anche dopo l’8 settembre.Il
Re Vittorio Emanuele III aveva pensato solo ad una cosa e cioè di mandare con
un treno tedesco, in Svizzera, ben 41 vagoni ferroviari pieni di tesori, opere
d’arte, documenti e suppellettili. Treno con destinazione Ginevra. Un Tesoro
che non arrivò mai a destinazione.I
Savoia con quel comportamento stavano mettendo a rischio la loro dinastia. Un
comportamento irrazionale e disonorevole mentre
Hitler mostrava una sua feroce
lucidità e puntava sul principino per un motivo molto semplice…conosceva gli
italiani meglio dei Savoia.Lo
stesso Hitler non si fidava di Vittorio Emanuele IIINon aveva mai
creduto che Vittorio Emanuele III lo avrebbe onorato.In
questo momento di grande confusione era opinione diffusa, anche da parte del
Badoglio, di fare abdicare il re, far rinunciare al figlio Umberto il trono e
mettere il bambino Vittorio Emanuele sul trono con un reggente.A
Brindisi il Badoglio si rivolse al re, in data 24 ottobre, con una lettera con
la quale invitava il Re alla necessità di abdicare, e chiaramente, tra le righe
della lettera, si proponeva lui come reggente del bambino (affermando che era
il CNL – Comitato di Liberazione Nazionale – a chiederlo).
LETTERA DI
BADOGLIO AL REBrindisi 24 ottobre 1943BADOGLIO INVITA IL RE E SUO FIGLIO AD ABDICARE E MIRAALLA REGGENZA DEL PICCOLO VITTORIO EMANUELE Maestà,nell'ultimo colloquio che ho avuto con Vostra Maestà, ho brevemente accennato
alle idee ed ai propositi manifestati dagli elementi più rappresentativi dei
gruppi politici che si sono costituiti da tempo in Italia.Ora ho avuto altre notizie più precise da un funzionario degli Esteri, giunto
dalla capitale, e posso quindi svolgere più ampiamente questa per me veramente
angosciosa questione.I gruppi politici sono il Liberale, il Cristiano Sociale, il Partito d'Azione,
il Partito Socialista, il Comunista. Questi gruppi si sono riuniti in un fronte
unico che ha distaccamenti in tutte le principali città.Loro intendimento preciso è il seguente:1) Assumere essi il governo designando, essi stessi, i singoli ministri.2)
Abdicazione di V.M. e rinuncia di S.A.R. il Principe di Piemonte di salire al
trono.3) Elevazione a Re del figlio di S.A.R. il Principe di Piemonte con un
reggente.Circa il modo di raggiungere questi risultati, mi consta che essi, per ora,
hanno manifestato l'intenzione di creare senz'altro un Governo ed una
Costituente non appena liberata Roma dai tedeschi e prima che Vostra Maestà,
col Governo regolare, possa giungervi.Soggiungo ancora, per non tacere nulla a Vostra Maestà, che è loro
intenzione, e me lo ha confermato il conte Sforza, che sia io ad assumere la
carica di Reggente. (!!!!! Ndr.)La questione così formulata è, secondo il mio avviso, di una gravità veramente
eccezionale. Il sorgere di questo nuovo Governo verrebbe a gettare lo scompiglio
in tutte le forze che si sono schierate contro i tedeschi, dando -per contro -
vigore e motivo per un'attiva campagna propagandistica al pseudo governo
fascista repubblicano.Come contenersi se questa circostanza si avvera?Non mi sembra ammissibile di ricorrere agli anglo - americani, dato poi che
essi aderiscano, perché allora Vostra Maestà ed il Suo Governo avrebbero
ricorso alle armi straniere per restare al potere. Né ritengo prudente far
sincero affidamento sulle nostre forze, dato che troppi fermenti esistono in
esse, sì che la loro compagine è quanto mai precaria.Confesso, Maestà, che, per quanto io mi affatichi per trovare una via di
uscita, non mi è ancor dato di averla trovata.Rimanderò quel funzionario a Roma con questa missione:1) Convincere i dirigenti dei partiti a non far nulla sino a cheil Governo di Vostra Maestà non sia a Roma.2) Non appena a Roma, io, in esecuzione della dichiarazione fattanel proclama di guerra alla Germania, li avrei chiamati per sentireprecisamente le loro idee circa la formazione del governo.3) Che qualora essi fossero decisi a non collaborare con me comeCapo del Governo, io avrei presentato le dimissioni a Vostra Maestà.4) Che Vostra Maestà, dopo, avrebbe preso quelle decisioni che reputava
migliori.Se si riuscisse ad ottenere ciò si eviterebbero scosse violente e, ad ogni
modo, si avrebbe una maggiore parvenza di legalità.Ma questa non é che una mia proposta, che non so quale seguito possa avere. Ad
ogni modo in settimana vedrò ancora il conte Sforza ed insisterò presso di lui
perché induca i capi partito ad attenersi a quanto proposto.Vostra Maestà, nella Sua alta saggezza, prenderà le Sue decisioni, e mi darà,
per conseguenza, le Sue direttive.lo, che come Vostra Maestà ben sa e da molto tempo, sono devotamente
affezionato sia a Vostra Maestà sia all'Istituto Monarchico, ho solo il preciso
obbligo morale d'informarLa che il conte Sforza, che pur ritiene necessaria
l'esistenza della Monarchia per l'unità della Patria, mi ha recisamente
dichiarato che il rifiuto di Vostra Maestà potrebbe portare, di conseguenza, la
caduta della Monarchia.lo non ho ancora toccato con il generale Eisenhower questi argomenti. So però,
perché me ne ha francamente parlato, che il colonnello Rosbery, capo
dell'Intelligence Service Politico ne é perfettamente al corrente.Ed io attendo gli ordini di Vostra Maestà per sapere se debbo o meno
intervenire presso il generale Eisenhower ed in quali termini.Quanto sopra io ho scritto con un dolore gravissimo,ma convinto di compiere interamente il mio dovere.Di Vostra Maestà devotissimo PIETRO BADOGLIO
La presenza della lettera si diffuse e a Brindisi
si parlò subito di tradimento e si accusò il Badoglio di voler boicottare il
Sovrano per salvare se stesso.Vittorio
Emanuele non ebbe una buona impressione del suo “fidato” Badoglio.Erano
chiare le mire del Badoglio alla reggenza e il sovrano lo avvertì cheSecondo lo Statuto,
ciò era impossibile, dovendo essere il reggente un principe della Casa Reale.Per
molto tempo i due non si parlarono e il Sovrano fece sua l’idea, scoprendo in
ritardoChi era veramente
il Badoglio e che il 25 luglio (caduta del fascismo) si era fatto
“giocare”.Come poté la principessa Maria Josè fidarsi di due
personaggi come Badoglio e Rodolfo
Graziani nel progettato colpo di Stato del 1938?Gli altri esponenti del
complotto, molti dei quali rimasero sconosciuti, non percepirono le ambiguità
caratteriali dei due generali? Eppure le loro azioni criminali, gli eccidi e l'uso di armi chimiche, erano conosciute così come le loro ideologie
politiche e sociali certamente non improntate al rispetto dei principi
etico-sociali in un Paese devastato dal fascismo …
La
principessa Maria Josè visse quegli aspetti drammatici del colonialismo perché era
una Crocerossina e fu anche in Etiopia.Il
4 aprile 1941, il giornale “Corriere della Sera” riportò un articoloContinuando le sue visite alle cliniche e agli
ospedali milanesi che ospitano feriti di guerra, la Principessa di Piemonte è
stata ieri mattinaall’Istituto Neurologico Pro Feriti Cerebrali Vittorio
Emanuele III.Nel
corso della Seconda Guerra Mondiale la Principessa era una figura molto
presente nelle nelle corsie degli ospedali italiani che accoglievano
quotidianamente i soldati feriti giunti dai campi di battaglia dell’Africa,
della Francia, della Grecia e successivamente dell’Unione SovieticaTra
il 1939 ed il 1946, come Ispettrice Nazione delle Infermiere Volontarie, fu
molto attiva nel portare confronto alle vittime della guerra colpite nelle
spirito e nel corpo. “Maria
di Piemonte si è subito recata nel reparto che ospita i feriti di guerra e ha
sostato a lungo a ciascun capezzale, intrattenendosi con i degenti e rivolgendo
loro espressioni di conforto”.
https://segretidellastoria.wordpress.com/wp-content/uploads/2020/11/maria-jose-visita-i-feriti.jpgTenendo
fede alle parole d’ordine delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa (Ama,
Conforta, Lavora, Salva), Maria José del Belgio, Principessa nonché sposa
dell’erede al trono di Casa Savoia Umberto IINel
1936 da crocerossina si trovava ad operare con grande umanità e sacrificio in Etiopia,
in piena guerra anche chimica.Era
partita a bordo della “Cesarea”, una delle tante navi bianche che diventeranno
il simbolo delle Crocerossine.Su
una di queste, la Po, presterà servizio la stessa figlia di Benito
Mussolini, Edda Ciano, salvandosi miracolosamente dall’affondamento avvenuto
nella Baia di Valona nel marzo 1941.Le
sue visite negli ospedali, durante il conflitto, saranno numerosissime..Maria di Piemonte si è recata poi al Padiglione dei
Mutilati del viso, dove sono ricoverati feriti reduci dell’Africa Orientale,
della Spagna e dell’attuale guerra. Maria José non
avrebbe fatto visita solamente a quanti rientravano dai fronti di battaglia. Un
forte legame si sarebbe instaurato con tutti quei civili rimasti vittime dei
bombardamenti, mutilati dalle esplosioni delle bombe sganciate sulle città
italiane dai velivoli alleati e dagli attacchi costieri delle flotte nemiche:
si mobilitò fin da subito, come accadde a Genova, quando si recò in visita alle
vittime del bombardamento degli impianti industriali operato dalla flotta francese
pochi giorni dopo l’inizio del conflitto. La
sua opera non fu fermata neanche dal terribile conflitto sul suolo italiano e,
rischiando in prima persona, si recò anche sulla linea del fronte.Lei
stessa affermò mentre si trova in esilio dopo il referendum tra Monarchia e
Repubblica…Non c’era tempo per le nostalgie. Mancavano le bende,
i farmaci e gli stessi letti per i feriti. La mia presenza fra le corsie ridava
morale alle famiglie e al personale medico che, in quella situazione, si
sentiva abbandonato a se stesso. Ovviamente non c’erano grandi fondi da
utilizzare, tuttavia con le altre Crocerossine riuscimmo a dar vita a una catena
di solidarietà:ognuno metteva a disposizione ciò che poteva.La
sua grande opera di umanità fu interrotta
il 6 giugno 1946 quando l’incrociatore Duca degli Abruzzi la condusse al suo
esilio in Portogallo. Per ironia della sorte l’incrociatore salpò da Molo
Beverello di Napoli.. Lo stesso molo l’aveva vista partire come Crocerossina
nel 1936 alla volta dell’Etiopia.
Maria Josè
(vestita da crocerossina) colta con una suora, una personalità (probabilmente
del governo coloniale) e alcuni marinai nei pressi di un padiglione
Data: Aprile 1936
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/imageViewPort/720?imageName=AO/AO144/AO00009721.JPG
Maria Josè in
partenza da Mogadiscio
Che
altro dire della principessa Maria Josè?Aveva
un’indole allegra e spensierata, cresciuta senza tante imposizioni coltivando molti interessi: pianoforte e
violino, praticando molti sport e
dimostrando un grande amore per la lettura. A sette anni si esibì
interpretando Brahams al pianoforte. La corte del padre era una delle più
libere dell'epoca, frequentata dai migliori cervelli: Einstein a volte vi
suonava il violino accompagnato al pianoforte dalla regina Elisabetta.Il primo incontro con Umberto di Savoia avvenne durante la
Grande Guerra, nel 1918. I reali del Belgio erano in visita al fronte italiano
a Battaglia Terme, vicino Padova. Maria Josè aveva dodici anni e Umberto quattordici. Secondo
cronisti se ne innamorò perdutamente e Maria José scrisse di essere stata
allevata ed educata nell'idea che un giorno avrebbe sposato Umberto.Maria
José aveva capelli castani crespi e occhi chiarissimi.Studiò
in Inghilterra dal 1914 al 1917, quando il Belgio fu occupato la prima volta
dai tedeschi, poi in Italia, nel Collegio dell'Annunziata di Poggio Imperiale,
presso Firenze, con i figli della migliore nobiltà italiana ed europea. Dicono
che sul suo comodino ci fosse una fotografia di Umberto.
Il
7 settembre del 1929, il giovane principe, al quale si attribuirono
innumerevoli storie e che sembra abbia tentato di rimandare più volte il
matrimonio, su preciso ordine di Vittorio Emanuele III, chiese
ufficialmente la mano della principessa belga.Maria
José disse ai genitori:Et maintenant
c'est faite (E ora è fatta!).Il
fidanzamento ufficiale con Umberto avvenne il 24 ottobre del 1929, durante
una visita del principe sabaudo in Belgio. Lo stesso giorno Ferdinando De
Rosa, un giovane anarchico italiano della Concentrazione antifascista attentò
alla vita del principe senza riuscirvi.
Ferdinando
De Rosa(Milano,
7 ottobre 1908 – Guadarrama, Spegna, 16 settembre 1936)
Sarà
condannato a soli cinque anni di carcere per intercessione dello stesso
Umberto.Il
matrimonio era stato deciso da tempo dalle due case regnanti per
rinsaldare i rapporti tra il Belgio e l'Italia, ciononostante fu preceduto da
un ''romantico fidanzamento”.Malgrado
le lettere di dissenso inviate dai suoi sudditi, che non vedono di buon occhio
il matrimonio con il principe di una nazione fascista, l'8 gennaio del 1930 si
celebrò il matrimonio. Tre giorni no-stop di feste costate cinque milioni di
lire, ai tempi in cui si cantava "se potessi avere per mille lire al
mese!".La
cerimonia si svolse nella cappella Paolina del Quirinale; Maria José indossava
un abito disegnato da Umberto, con strascico di sette metri ornato
d'ermellino, sul capo un pizzo di Bruges e un diadema dei Savoia che
giudicò troppo sontuoso e pesante.La
mattina delle nozze un attimo di panico: le maniche erano troppo strette e le
braccia della principessa non entravano. La principessa trovò la soluzione:
braccia scoperte dalla spalla al gomito e guanti lunghi.Pioveva:
sposa bagnata, sposa fortunata. Allo
scambio degli anelli un volo di centinaia di colombe bianche.Poi
gli sposi furono ricevuti dal papa. Ci furono tre giorni di grande festa e poi
il viaggio di nozze.San
Rossore e poi Courmayeur, ospiti del Conte Eugenio Marone Cinzano e della
moglie Noemí Rosa de Alcorta
Mansilla.
Noemí Rosa de Alcorta MansillaDeceduta
il 9 novembre 1937 (martedì) - Paris, all'età di 30 anni
Nessuna
intimità, la villa è piena di amici, Maria José comincia a temere per il suo
matrimonio.Dopo
una breve residenza nel Palazzo Reale di Torino, il padre li trasferì
a Napoli dove Umberto fu promosso generale. (forse anche perché
circolavano chiacchiere sulle innumerevoli avventure di Umberto).Gli
sposi vissero gli anni seguenti tra il palazzo reale di Torino, il castello di
Racconigi, Napoli e il castello di Sarre in Val d'Aosta. Nel
1934, i maligni del tempo dicono grazie all'inseminazione artificiale,
nacque la prima figlia Maria Pia, poi arrivano nel 1937 Vittorio Emanuele, nel
1940 Maria Gabriella e nel 1943 Maria Beatrice.Maria
Pia assomiglia moltissimo al padre, Maria Gabriella e Vittorio Emanuele,
invece potrebbero essere cloni della madre, e Maria Beatrice ha il volto della
madre bambina.Il
suo rapporto con Umberto comunque ebbe molti problemi. I pettegolezzi sui
tradimenti del principe non si contarono e non mancarono le insinuazioni anche
su di lei (cj furono le parole volgari espressi dal Toscanini).Era
considerata snob, sofisticata, la chiamavano
la "belga", "negresse blonde" per quei suoi capelli
impossibili. Volevano italianizzare il suo
nome in Maria Giuseppina ma si ribellò, e i giornali la chiamarono "Maria
di Piemonte".Durante
la sua vita coniugale Maria José scalò il Cervino e il Rosa, dichiarando
chese non fosse
quello che è, sarebbe contro tutte le dinastie.Il
padre Alberto I fu un appassionato alpinista e Maria Josè fece sua anche la
passione, l’amore per la montagna.Amava
la natura severa ed autentica delle montagne soprattutto per quelle valdostane.D’altra
parte la Val d’Aosta fu frequentata spesso da Maria Josè. In viaggio di nozze
si recò con il marito Umberto a Courmayeur. Bellissima ed elegante, mostrando
anche una grande raffinatezza e sobrietà anche sulle piste da sci.
La coppia reale
sugli sci a Courmayeur per la luna di miele – 1930(dal libro
“Umberto e Maria José di Savoia. Escursioni e soggiorni in Valle d’Aosta”, di
M. Fresia Paparazzo)Maria
Josè amava rifugiarsi, con i fgli/e, tra la roccia ed i boschi e per questo
motivo aveva come base il Castello Reale di Sarre.Dal
castello dava sfogo ad escursioni, campeggi come nell’alta Val d’Ayas.Mostro
le doti di grande alpinista riuscendo a salire in vetta al Monte Bianco e al
Cervino.La
principessa, dagli stupendi occhi di ghiaccio, riuscì ad assicurarsi la grande
stima delle guide alpine e soprattutto, un aspetto importante per la sua grande
umanità e piacere di stare con la gente comune, anche l’amore della popolazione
locale.Imprese
che furono riportate dalla cronaca del tempo.Una sua eleganza
misurata e per nulla vistosa…Assolutamente alla
moda nell’estate del 1937 quando si perde ad osservarecol cannocchiale
il paesaggio delle Cime Bianche: una camicetta bianca edun paio di pantaloni
molto ampi leggermente scampanati, parrebbe in “Principe di
Galles”, tagliati sotto il polpaccio e trattenuti in vita da una
fusciacca.
Maria Josè alle
Cime Bianche
(dal libro
“Umberto e Maria José di Savoia. Escursioni e soggiorni in Valle d’Aosta”,
di M. Fresia
Paparazzo)Maria
José fu la prima ad utilizzare scarponi tecnici con suola in
Vibram abbandonando quelli con suola chiodata!Nel
maggio del 1938 incontrò Hitler a Roma. A tavola era seduto accanto a
lei, compassato e glaciale, mangiò un pezzo di cioccolata con forchetta e
coltello, e biscotti al posto del pane. Vittorio Emanuele III, non appena
Hitler gli voltava le spalle, faceva smorfie di raccapriccio e lei e il marito
temevano potessero esser viste dal seguito del dittatore. Anche Pio XI
manifestò il suo dissenso per la visita del tedesco non ricevendolo. Si chiuse a Castel Gandolfo, facendo chiudere i Musei
Vaticani e spegnendo le luci delle chiese quando le città erano illuminate a
giorno in suo onore.Essendo
cresciuta in un paese democratico, dove erano presenti gli ideali di giustizia,
di libertà, uguaglianza e difesa dei più poveri, manifestò insofferenza nei
confronti delle restrizioni imposte dal regime fascista.In
Libia la futura regina conobbe Italo Balbo governatore della
colonia italiana, e gli confidò i suoi dubbi nei confronti del fascismo.Nell'ottobre
del1940, Maria José andò da Hitler per chiedergli, su richiesta del re del
Belgio invaso dai nazisti, grano per la popolazione affamata e libertà per i
prigionieri. Venne ricevuta dal dittatore, che la definì "il perfetto
modello di una principessa ariana" ma non le concesse nulla.Nel
1943 per i suoi contatti con gli antifascisti fu reclusa, dal suocero Vittorio
Emanuele III, a Sant’Anna di Valdieri.Nel
1942 cercò di mediare per un trattato di pace con l’aiuto del presidente del
Portogallo Salazar ma gli alleati rifiutarono ogni trattativa.Quando
fu annunciata la firma dell’armistizio di Cassibile, Maria Josè con i figli/e
fuggi in Svizzera accompagna dal colonnello medico Francesco Arena (nella
ricerca fu già citata questa fuga non priva di difficoltà e pericoli per la
presenza dei tedeschi).Raggiunsero
Montreux (Svizzera) per posi spostarsi a Glion, frazione del comune di
Montreux, nel Canton Vaud.Uno
spostamento necessario perché la polizia elvetica era venuta a conoscenza di un
piano di Hitler per rapire il piccolo Vittorio Emanuele.
A
Oberhofen Maria José riprese i contatti con le persone con cui aveva
collaborato precedentemente al colpo di Stato, in particolare con Luigi
Einaudi, anch'egli riparato in Svizzera. Cercò di unirsi alla Resistenza,
ma le autorità elvetiche la sorvegliavano strettamente. Riuscì comunque, in
diverse occasioni, a trasportare armi per i partigiani.Solo
nel febbraio 1945 Maria Josè si decise di rientrare in Italia, proprio quando
la Germania stava per cadere.Un viaggio durissimo in pieno inverno e con gli
sci ai piedi attraversò il confine sulle Alpi,
scortata da due guide e dai pochi uomini che le erano rimasti vicino. Ad
accoglierla in Italia c'erano i partigiani, che la scortarono fino a Racconigi. Qui attese fino al giugno seguente, quando fu mandato un
aereo per portarla a Roma, dove ad aspettarla c'era Umberto. Non si
vedevano da circa due anni. Ad agosto andarono a prendere i bambini e la
famiglia fu di nuovo riunita.Secondo un’altra versione rientro, sempre a
piedi, nel castello si Sarre. Dal Castello gli alleati la scortarono al palazzo
Reale di Torino, il 28 maggio 1945, che era la sede del comando inglese.In quei
giorni Maria José incontrò anche Palmiro Togliatti e successivamente dichiarerà
di simpatizzare per Saragat e il socialismo.Il 9 maggio del 1946, gli Alleati e De Gasperi capo del governo, convinsero il
vecchio re a passare i poteri al figlio. Un referendum avrebbe deciso il
passaggio, o meno, dell'Italia alla forma repubblicana.Umberto e
Maria José si batterono abilmente per la causa monarchica ricorrendo perfino ad
esperti di pubblicità americani. Il Quirinale si riaprì alle feste, ai
ricevimenti, il nuovo re viaggiò in lungo e in largo per l'Italia in
un'autentica campagna elettorale con conseguente grande ricupero di consensi,
che, tuttavia non furono sufficienti.Molti
studiosi concordano che se Vittorio Emanuele avesse abdicato prima
forse il referendum non avrebbe sancito la vittoria della Repubblica.Il
13 giugno 1946, Umberto lasciò l'Italia a bordo di un Savoia
Marchetti e volò verso il Portogallo. Maria José, invece, partì con i ragazzi
il 6 giugno da Napoli, a bordo del Duca degli Abruzzi, destinazione Sintra
passando per Lisbona. Il
loro regno durò ventisette giorni, resteranno nella storia come il "re e
la regina di maggio".Nel
1948 la XIII norma transitoria e finale della Costituzione italiana stabilì il
divieto di ingresso e di soggiorno sul territorio nazionale per gli ex re
d'Italia, le loro consorti ed i loro discendenti maschi.
La
nuova situazione giuridica liberò Maria Josè ed Umberto dall'obbligo di fingere
di essere una coppia unita.
Lui
resterà a Cascais, a Villa Italia, per ripercorrere le orme di Carlo
Alberto, lei compera il castello di Merlinge, in Svizzera, e
continueranno la loro vita separati, incontrandosi solo nelle occasioni
ufficiali.
Villa Italia –
Cascais (Portogallo)
(oggi Hotel)
I
figli crescendo daranno non poche preoccupazioni con le loro esuberanze,
Maria José fu colpita da guai alla vista, ma questo non le impedì di vivere
freneticamente. Una gran viaggiatrice e un'accanita fumatrice, una vita
sportiva e continuò ad occuparsi di opere filantropiche ed umanitarie,
coltivando la passione per la musica e la letteratura. Brava pianista, istituì
vari premi musicali. Fu anche scrittrice pubblicando con la Mondadori uno
studio su Amedeo VIII.Rimase
molto legata all'Italia e prima del sì al suo rientro in Italia disposto dal
Consiglio dei ministri il 23 dicembre 1987, i giornali diedero più volte
notizia delle sua presenza clandestina sul territorio nazionale.La sua prima visita legale in Italia avviene nel 1 marzo 1988: un viaggio ad
Aosta per assistere ad un convegno storico, dedicato alla figura di
Sant'Anselmo. Nel luglio 1990 Maria Josè chiese allo Stato italiano la pensione
come vedova di un ufficiale dell'esercito. Nel 1992 si trasferì in Messico, per
poi ritornare nel 1996 presso la figlia Maria Gabriella a Ginevra.La morte la colpì a Ginevra, il 27 gennaio del 2001. Per suo espresso volere venne
sepolta nella storica abbazia di Altacomba, in Alta Savoia, dove dal marzo
del 1983 riposa anche la salma del marito Umberto.
Abbazia di
Altacomba
Saint-Pierre-de-Curtille, Francia
https://www.flickr.com/photos/marco_ottaviani/5489829204
Tomba di Maria
Josè e di Umberto
Di lei Elio
Vittorini disse:
"Era Maria
Josè l'uomo di famiglia".
Alla
sua morte tanti commenti positivi…regina di maggio,
l'ultima sovrana d'Italia, donna ardita, ribelle, intelligente, colta,
antifascista, dedita alle buone azioni ed alla beneficenza, regina
repubblicana, partigiana, picconatrice, capitata nella famiglia sbagliata.Ma
anche negativi e forse non obiettivi…non la si può
considerare amante della libertà perché ha fatto visita al comunista Mao, che
la beneficenza era l'attività che garantiva la fama delle precedenti regine, e,
addirittura che un'educazione troppo liberale ne ha fatto una capricciosa
irresponsabile ribelle...Ogni
lettore, in base al proprio essere ed alla propria cultura, sarà in grado di
giudicare Maria Josè che considero una figura dimenticata dalla Storia che
purtroppo non è mai obiettiva…….
Un Meridione che viveva in condizioni drammatiche, devastato dalla guerra e dalla povertà.
Fondò una colonia per orfani in Abruzzo ed affrontò la drammatica situazione dei reduci.
Il referendum e la nascita della Repubblica videro Giuliana e Maria Josè ancora unite.
Giuliana riprese con energia le sue iniziative legate alla lotta contro l’alfabetismo e si adoperò per la ricostruzione del Meridione mentre Maria José ruppe un matrimonio, già precario da tempo, e si avviò con grande dignità all’esilio.
Giuliana continuò il suo impegno attraverso la “Svimez” (Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno), collaborando con varie associazioni internazionali (come il Centre for Human Rights and Responsabilities di Londra).
Negli anni Cinquanta ospitò a villa “La Rufola” Gaetano Salvemini e gli diede assistenza amorevolmente fino alla morte (1957).
Pur risiedendo a Roma frequentava, con il fratello Giovanni e la cognata, la Toscana, Monsummano, le Terme Giusti, il podere di Peppignolo e ricordava con molto spirito le avventure giovanili con Maria José, quando portava messaggi segreti persino nelle scarpe!
Giuliana Benzoni morì a Roma l’8 agosto 1981 e fu sepolta a Monsummano Terme.
……………………….
Sulle scale, poco più avanti, il principe Umberto.
https://www.ilvescovado.it/it/storia-e-storie-19/referendum-2-giugno-1946-quando-la-regina-maria-j-79361/article
Fototeca Storica Nazionale / Getty Immages
Maria Josè che aveva tessuto la tela magistralmente venne in qualche modo messa agli arresti domiciliari e mandata a Sant’Anna di Valdieri in Piemonte.
Un luogo completamente isolato eppure, malgrado l’isolamento dopo il 3 settembre non mancarono i suoi forti e prolifici contatti con la Resistenza.
La Benzoni provò una grande delusione nel fallimento del piano ma non mollò perché ricoprì un ruolo importante nella Resistenza romana come clandestina.
Svolse quindi un ruolo non secondario nella caduta del fascismo.
I tentativi per la Pace del 1942
Durante la guerra all’Etiopia, il 14 marzo 1936 Maria José partì per l’Africa orientale come infermiera della Croce Rossa a bordo della nave ospedale «Cesarea» e rientrò a Napoli l’11 maggio.
data: 26.03.1936
luogo della ripresa: Napoli
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000018427/12/scorcio-della-nave-ospedale-cesarea-ormeggiata-al-molo-angioino.html
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0010026202/12/la-principessa-maria-jose-abiti-crocerossina-consegna-documento-giovane-infermiera-della-croce-rossa.html
Lo stesso ambasciatore scrisse nella lettera di aver avuto queste notizie da un colloquio avuto con il fratello di un avvocato milanese che era a capo di un movimento antifascista.
Lampson con la seconda moglie Jacqueline nei giardini dell'ambasciata del Cairo
Il documento sarebbe collegato a delle testimonianze tra cui quella della figlia di Carlo Aphel, un avvocato milanese nella cui abitazione si svolsero, a partire dal 1938, diversi incontri a cui presero parte anche il maresciallo Pietro Badoglio, la principessa Maria José di Savoia, moglie dell’erede al trono Umberto II di Savoia ed anche Rodolfo Graziani.
Sembra che ad alcune riunioni, a Racconigi e a Milano, abbia partecipato anche il genero del Duce,
Gian Galeazzo Ciano mentre una partecipazione più attiva ebbe Edgardo Sogno.
Il piano coinvolgeva anche il capo della Polizia, Arturo Bocchini e prevedeva:
Al trono sarebbe salito il piccolo Vittorio Emanuele, figlio del principe ereditario e di Maria José che sarebbe diventata regina reggente.
Badoglio e Aphel avrebbero ricoperto ruoli di primo piano nel dopo fascismo.
Il 24 settembre 1938, sei giorni prima dell’accordo di Monaco, il governo di Praga cedette alla Germania la zona dei Sudeti.
https://provinciadicuneoinfoto.blogspot.com/2019/10/serre-del-castello-di-racconigi.html?m=1
L’aspetto forse più importante fu quello che Maria Josè non citò mai questo avvenimento nelle sue interviste successive.
Le notizie sulla congiura furono dettagliatamente descritte dal diplomatico inglese.
Un diplomatico di elevato rango che venne a conoscenza di quelle importanti notizie sulla congiura che lo spinsero a scrivere un dettagliato rapporto “molto secreto”.
Non erano quindi voci generiche…
Il nome dell’avvocato milanese, e importante esponente antifascista, rimase sconosciuto.
Era infatti nella prassi delle informative "segrete", soprattutto in casi così delicati, assumere precauzioni per non compromettere le fonti di informazione (nel caso in questione, poi, oltre che di una "fonte" si sarebbe trattato di un vero e proprio movimento da tenere presente per il futuro) e lasciare a successivi contatti personali il completamento del quadro e delle notizie.
Il rapporto avrebbe una sua importanza storica perché dimostrerebbe come negli anni Trenta, cioè nel periodo di maggiore ascesa del fascismo, erano presenti in Italia, da almeno quattro anni, dei movimenti antifascisti.
Il rapporto sarebbe un ulteriore prova dei sentimenti antifascisti di Maria José e dei suoi contatti con intellettuali e politici antifascisti come Benedetto Croce, Elio Vittorini, Guido Gonella e con il Vaticano grazie ai contatti con Mons. Montini. Contatti che furono confermati sia dalla storiografia che dalla stessa Maria José.
(Francesco Perfetti)
Fa riflettere che figure importanti come Galeazzo Ciano, e altri gerarchi come Italo Balbo, Emilio De Bono, Dino Grandi, Amedeo d’Aosta e probabilmente anche Edgardo Sogno abbiano partecipato allo studio del colpo di Stato. Tentarono fino all’ultimo di evitare la terribile guerra partecipando alla fase progettuale della cospirazione.
Ciano non riuscì ad accettare e fare anche suo quel progetto per le incertezze e per il terrore che aveva del forte suocero. Ma alla fine, con coraggio, partecipò al tentativo di colpo di Stato del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 che lo portò alla completa rovina con la sua fucilazione avvenuta l’11 gennaio 1944 a Verona.
Dalla interessante inchiesta della studiosa emerse un ambiente politico consapevole delle azioni da intraprendere ma impotente a cambiare un’inerzia inevitabile.
Tutti erano consapevoli dei rischi che la società e il mondo stava correndo ma forse gli ideatori della cospirazione non ebbero il coraggio di mettersi in gioco o ancora furono sottomessi nella decisione finale dal generale Badoglio, un personaggio ambiguo e criticato anche dagli Alleati.
Forse l’unica figura coraggiosa fu proprio la principessa Maria José che all’epoca aveva da poco compiuto 32 anni, essendo nata ad Ostenda nel 1906.
Maria José nutriva una profonda avversione nei confronti di A. Hitler, che aveva conosciuto nel corso della visita ufficiale da questo compiuta a Roma nel maggio 1938 e dal quale si recò per un colloquio privato a Berchtesgaden in Baviera il 10 ottobre 1940.
Il Belgio era stato invaso dai Tedeschi e il re Leopoldo, fratello di Maria José, aveva preferito arrendersi ottenendo per sé e la sua famiglia una sorta di libertà vigilata nel castello di Laeken. La visita di Maria José. aveva appunto lo scopo di perorare la causa del fratello, degli altri famigliari e dei circa 140.000 soldati belgi prigionieri di guerra e di richiedere l’autorizzazione per l’invio di aiuti della Croce Rossa alla popolazione belga duramente provata.
Il Gonella era redattore capo di politica estera de “L’Osservatore romano” ed era in stretti rapporti con la segreteria di Stato del Vaticano e con il corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede.
Il disastroso andamento della guerra e le sollecitazioni degli antifascisti indussero Maria José ad assumere qualche iniziativa per provocare la caduta di Mussolini e uscire dal conflitto.
Ampliò la sua rete di contatti e intensificò i suoi incontri con generali e uomini politici.
Nell’agosto 1942, a Cogne, incontrò il maresciallo Pietro Badoglio, messo in disparte per l’esito della guerra di Grecia, sollecitandolo ad agire. Il coinvolgimento di Badoglio era ritenuto indispensabile per ottenere l’adesione delle forze armate e di tale parere si mostrò anche l’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, nel corso dell’incontro che ebbe con Maria Josè nell’ottobre dello stesso anno.
Il 3 ottobre 1942 la principessa ricevette un’informazione secondo la quale gli Alleati avrebbero trattato con benevolenza l’Italia nel caso di una sua dissociazione dall’Asse cioè dall’Alleanza con la Germania nazista.
Qualche giorno dopo la principessa incontrò, in casa della baronessa Giovannella Caetani Grenier, monsignor Giovanni Battista Montini, sostituto segretario di Stato della S. Sede, e informò quindi il ministro della Real Casa, Pietro Acquarone, della possibilità di stabilire contatti con gli Anglo-americani utilizzando il canale del Vaticano.
La reggenza data a Maria Josè non avrebbe avuto paragoni a
confronto con la luogotenenza data all’impacciato Umerto che in un’intervista a
Cascais, riportata da “Storia Illustrata” n. 308 del luglio 1983 raccontò che…In
quel luglio 25 luglio, io non sapevo nulla di quanto stava per accadere.Non
fui informato da nessuno.Non
dovevo essere assolutamente immischiato, o quanto mai immischiarmi, in
questioni politiche.Ebbi
conoscenza dell’accaduto il giorno successivo. Me ne parlò brevemente, dapprima
Acquarone, mell’anticamera di mio padre. Fu la prima ed unica volta che entrainello
sudio di mio padre, il re, senza chiedere l’autorizzazione né attendere di
essere chiamato.Lui
sedeva alla scrivania, e prima che io potessi aprir bocca, mi disse:“Mussolini
non c’è più, però le cose sono complicate.Fatti
spiegare tutto da Acquerone” e mi congedò.Non
riuscivo mai a parlare con mio padre, come volevo io.Credo
che si sarebbe dovuto ascoltare con maggiore attenzione il conte Grandi.Io
avrei voluto conoscerlo, ascoltarlo. Mi fu negato.Mio
padre affidò il governo a Badoglio. Ionon fui consultato né avvertito.Badoglio
venne fuori con quella infausta comunicazione“La
guerra continua”. Un annuncio, sottolineò il conte Grandi parlando con
Acquarone che rendeva diffidenti gli “alleati” tratti a ritenere che non era il
“fascismo” a volere laguerra
bensì l’intero popolo italiano. Inoltre, insospettiva i comandi tedeschi, i
qualinon
avrebbero data soverchia credibilità alla “volontà” italiana di seguitare la
guerra, eavrebbero
senz’altro preparato le rappresaglie. Dome difatti avvenne.Ci
voleva poco a capire che si era sul punto di gettare il Paese in un mare di
scaigure.Non
ho mai potuto stabilire perché si agì in quel modo, confuso e precipitoso.Se Vittorio Emanuele III avesse concesso la reggenza fin dal
1943, probablmente l’Italia avrebbe voltato pagina e le famose “badogliate” non
sarebbero accadute. Il sovrano avvrebbe dovuto buttare a mare il Badoglio, a
Brindisi lo stesso sovrano rimase sconcertato dalle parole del Badoglio che
voleva prendere il suo posto come reggente, e lo stesso sovrano avrebbe forse
salvato la dinastia.
Casa Savoia e lo stesso Badoglio, nella loro scellerata
politica, non pensarono alle reazioni di Hitler e non si preoccuparono nemmeno
dei loro familiari.
Dal 25 luglio e fino all’8 settembre nessuno in casa Savoia,
né tanto meno Badoglio e “combriccola” pensarono a Maria Josè e ai suoi figli.
Nel momento in cui venne trasmesso il messaggio della “resa
incondizionata” (Armistizio di Cassibile), che provocò un forte dramma in tutto
il Paese, il Re e soprattutto suo marito
Umberto, padre dei suoi figli, si stavano
preparando nella notte nella fuga verso Brindisi. Dimenticarono come Maria Josè
e i suoi quattro bambini (quindi anche l’erede al trono, il piccolo Vittorio
Emanuele) si trovavano in quel momento, dall’estate, in Val d’Aosta nel
castello “de La Sarre”.
Castello
“de La Sarre” - Aosta
Il
castello si trovava in una zona sicura?
No,
perché il territorio era d’influenza tedesca e, subito dopo la proclamazione
dell’Armistizio, la presenza tedesca aumentò.
Anche
la residenza di S. Anna Valdieri (Torino), altra residenza estiva dei reali di
casa Savoia, si trovava in un territorio controllato dai tedeschi.
Maria
Josè venne a conoscenza, nella notte dell’8 settembre, assieme al colonnello
Arena sua guardia del corpo, della firma dell’Armistizio di Cassibile.
L’Arena
aveva una confidenza naturale che la principessa, dagli ideali democratici, gli
aveva concesso e alla notizia dell’’armistizio espresse un giudizio poco
lusinghiero nei confronti dei parenti di Maria Josè..
Quelli o si sono
arresi o hanno tagliato la corda e ci hanno mollato qui.Il
colonnello aveva ragione, ma non si perse di coraggio. Prese il telefono e
cercò per tutta la notte di chiamare Roma. Ma proprio in quel momento a Roma si
stavano preparando le auto per la fuga verso Chieti.
L’Arena
fece appena in tempo a parlare con il ministro della Real Casa Acquarone e
l’unica cosa che lo stesso Aquarone gli referì…
Scappate anche
voi, raggiungete in qualche modo la Svizzera.Non
si sa come avvenne questa fuga ma fu sicuramente molto drammatica dato che i
valichi erano tutti controllati da tedeschi.
La
stessa cosa accadde alla figlia Mafalda, secondogenita del Re Vittorio Emanuele
III.Mafalda di Savoia
(Mafalda Maria
Elisabetta Anna Romana)
Roma, 19 novembre
1902 – Buchenwald, 28 agosto 1944)
Figlia secondogenita
di Vittorio Emanuele III e di Elena di Montenegro
Marito: Filippo d’Assia
– Kassel
Figli/e: Maurizio,
Enrico, Ottone, Elisabetta
I
sovrani lasciarono partire la figlia (allora quarantunenne) da Roma il 28
agosto per recarsi ad onorare il cognato Boris di Bulgaria. (Boris III di Bulgaria,
zar di Bulgaria, aveva sposato Giovanna di Savoia. Si dice che sia stato fatto
uccidere da Hitler per non essersi schierato a fianco della Germania).
Il matrimonio
tra Boris III di Bulgaria e Giovanna di Savoia ad AssisiIl
7 settembre 1943 Mafalda ripartì da Sofia per rientrare in Italia.Si
sentiva tranquilla come figlia del Re d’Italia e soprattutto cittadina tedesca,
principessa tedesca, moglie di un ufficiale delle SS e governatore tedesco. Era
quindi sicura che i tedeschi l’avrebbero rispettata. L’8 settembre si fermò
presso l’ambasciata italiana a Budapest.
Budapest –
Ambasciata Italiana
Dall’Italia
nessuno si preoccupò di avvisarla sulla firma dell’Armistizio. Il 9 settembre
qualcuno la informò come i sovrani fossero a Chieti.L’11
settembre prese un aereo di fortuna, fornito dai diplomatici italiani, con
destinazione Bari. L’aereo si fermò a
Pescara, una città in mano ai tedeschi. La principessa raggiunse quindi Chieti
ma non trovò nessuno dei suoi familiari. Per otto giorni si fermò a Chieti
soggiornando in un palazzo vicino alla Prefettura. I tedeschi di Kesselring
erano impegnati nella liberazione di Mussolini.L’univa
via di salvezza sarebbe stata la fuga ma Mafalda aveva a Roma i figli.
Mafalda, La
Principessa Coraggiosa, con i figli.
Mafalda sposò
Filippo d’Assia.
Dal matrimonio
nacquero 4 figli/e:
Maurizio, Enrico,
Ottone ed Elisabetta
Con grande coraggio partì per Roma che era in mano ai tedeschi.Per fare duecento chilometri impiegò dieci giorni, giungendo a Roma, con mezzi di fortuna, solo il 22 settembre 1943. Fece appena in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano dal cardinale Montini (futuro papa Paolo VI). Non vide il figlio maggiore, Maurizio, che era in Germania con il padre.La
mattina del 23 settembre fu chiamata, con urgenza, al comando tedesco per
l’arrivo di una chiamata del marito da Kassel in Germania. Era in realtà un
tragico inganno creato dall’ufficiale tedesco Herbert Kappler, comandante del
Servizio Segreto delle SS e della Gestapo a Roma.Il marito si trova nel campo di concentramento di Flossenburg.Fu arrestato dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, perché ritenuto da Hitler colpevole di aver preso parte, insieme al suocero Vittorio Emanuele III, alla congiura che aveva portato alla destituzione di Mussolini.Fu arrestata, messa in un aereo con destinazione Monaco di Baviera. Fu quindi trasferita a Berlino ed infine deportata nel Lager di Buchenwald.Venne rinchiusa nella baracca n. 15 sotto il falso nome di von Weber, venendole fatto divieto di rivelare la propria vera identità. Per scherno, i nazisti la chiamavano“Frau Abeba” (Signora Fiore).Il campo di concentramento di Buchenwald, istituito nel luglio 1937, fu uno fra i più grandi campi della Germania nazista. Si trovava a circa 8 km da Weimar.«Prima della presa di potere dei nazisti, Weimar era meglio conosciuta come la casa di Johann Wolfgang von Goethe, che ha incarnato l'illuminismo tedesco del XVIII secolo, e come il luogo di nascita della democrazia costituzionale tedesca nel 1919, la Repubblica di Weimar. Durante il regime nazista, il termine "Weimar" fu associato al campo di concentramento di Buchenwald.»Nel campo di concentramento le fu riconosciuto un particolare riguardo:- occupava una baracca ai margini del campo insieme ad un ex ministro socialdemocratico Rudolf Breitscheid e sua moglie;- aveva lo stesso vitto degli ufficiali delle SS, molto più abbondante e di migliore qualità rispetto agli altri internati.Le
venne assegnata come compagna di camera Maria Ruhnau, testimone di
Geova, deportata per motivi religiosi. La Ruhnau fu una figura molto importante
per la principessa, la quale in punto di morte chiese che il suo orologio le
fosse regalato come segno di riconoscenza."Mettendola
accanto a Mafalda, le SS erano sicure che, interrogandola, avrebbe riferito
tutto quanto la principessa le avesse confidato".Il
trattamento, pur privilegiato rispetto a quello di altri prigionieri, fu
comunque duro. La vita del campo e il freddo invernale intenso la resero debole.
Malgrado il tentativo di segretezza attuato dai nazisti, la notizia che la
figlia del re d'Italia si trovasse a Buchenwald si diffuse. Le testimonianze riportarono
come i prigionieri italiani avevano sentito dire di una principessa italiana
reclusa e che un medico italiano lì rinchiuso le aveva prestato soccorso. Si sa
anche che mangiava pochissimo e che quando poteva faceva in modo che quel poco
che le arrivava in più fosse distribuito a chi aveva più bisogno di lei.Nell'agosto
del 1944 le truppe alleate bombardarono il lager; la baracca in cui
era prigioniera la principessa fu distrutta e Mafalda riportò gravi ustioni e
contusioni varie su tutto il corpo. Fu diseppellita dai deportati Bruno
Praticello e Giovanni Marcato e ricoverata nell'infermeria della casa di
tolleranza dei tedeschi del lager. Non fu sottoposta a delle terapie e le sue
condizioni peggiorarono. Dopo quattro giorni di tormenti, a causa delle piaghe
insorse la gangrena ed in una lunga operazione le fu amputato un
braccio. Ancora addormentata, Mafalda venne abbandonata in una stanza del
postribolo, privata di ulteriori cure e lasciata a se stessa. Morì dissanguata,
senza aver ripreso conoscenza, nella notte del 28 agosto 1944. Sembra che, poco prima di morire, abbia detto
ai deportati che la salvarono:Sento che per me
sarà difficile guarire, voi siete giovani, potete farcela… Se mai la fortuna vi
aiuterà a tornare fatemi un bel regalo… salutatemi i miei figli Maurizio,
Enrico, Ottone e Elisabetta. Salutatemi tutta l’Italia dalle Alpi alla Sicilia.
Secondo
altre testimonianze, quando fu diseppellita Mafaldavenne
stesa su una scala a pioli per essere trasportata nella casupola che era stata
adibita a infermeria. Nel tragitto notò due italiani dalla "I" che
avevano cucita sulla giubba. Fece segno di avvicinarsi col braccio non ferito e
disse loro:«Italiani, io
muoio, ricordatevi di me non come di una principessa,ma come di una
vostra sorella italiana»(Deposizione
giurata dei fratelli Vittorio e Rino Rizzo, depositata nel 1945 presso il
notaio Conti di Udine).L'opinione
del dottor Fausto Pecorari, Dott. Fausto Pecorariradiologo
internato a Buchenwald, fu cheMafalda sia stata
intenzionalmente operata in ritardo,seppur con
procedura in sé impeccabile, per provocarne la morte.Il metodo delle
operazioni esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicatoa Buchenwald ed
eseguito sempre dalle SS su alte personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.Grazie
all'intervento del prete boemo del campo, padre Joseph Tyll, il corpo della
principessa non venne cremato, ma messo in una bara di legno e seppellito in
una fossa comune. Come identificativo, venne apposto soltanto un numero e una
dicitura:«262 eine
unbekannte Frau» ("una donna sconosciuta").
Trascorsi
alcuni mesi, sette italiani, Corrado Magnani, Antonio Mitrano, Erasmo Pasciuto,
Antonio Ruggiero, Apostolo Fusco, Giovanni Colaruotolo e Giosuè Avallone, già
appartenenti alla regia marina e tutti originari di Gaeta, catturati al
deposito militare di Pola dopo l'8 settembre 1943, furono deportati a Weimar,
dove rimasero fino al luglio 1945, quando furono liberati dagli americani.
Nelle
vicinanze del loro campo c'era il lager di Buchenwald, dove avevano saputo era
prigioniera la principessa Mafalda di Savoia, insieme a ebrei e politici.
Appena dopo la liberazione, i marinai decisero di recarsi al vicino campo di
concentramento per mettersi alla ricerca della principessa e seppero trovare
fra tante la sua tomba anonima e si tassarono per apporvi una lapide
identificativa.
“Il campo dove era sepolta Mafalda era un riquadro di
terra spoglia, a zolle, con paletti numerati e senza quasi alcun segno di
attenzione umana. Dal custode avevamo saputo che la tomba era contraddistinta
con il numero 262. Per essere sicuri estraemmo il paletto e verificammo che
recava scalfito un nome: Mafalda. Per noi, quello fu un momento di intensa
commozione. Mafalda non era più una principessa: era una come noi, una donna
sfortunata, una deportata che non ce l’aveva fatta. Decidemmo di adornare come
meglio possibile quella tomba. Barattando con pane, farina ed alcuni marchi, ci
procurammo una croce, delle catenelle ed una lapide che collocammo sulla tomba
di Mafalda”. La Repubblica Italiana, nel 1995, ha dedicato un francobollo a
Mafalda di Savoia e alla sua triste vicenda tragicamente terminata in un campo
di sterminio nazista.
La salma della principessa fu traslata nel 1951 nel piccolo cimitero di
famiglia a Kronberg. Quella croce ancora oggi è collocata sulla tomba di
Mafalda. Sotto la croce c’è sempre la lapide con la dedica “A Mafalda di
Savoia, i marinai della città di Gaeta“.
– Sottocapo segnalatore MAGNANI Corrado;
– Cannoniere MITRANO Antonio;
– Marò RUGGIERI Antonio;
– Fuochista COLARUOTOLO Giovanni;
– Cannoniere PASCIUTO Erasmo;
– Marò AVALLONE Giosuè;
– Nocchiere FUSCO Apostolo.Il
dottor Fausto Pecorari, subito dopo essere rientrato a Trieste, si recò
personalmente a Roma dal regio luogotenente principe Umberto per
comunicargli la triste notizia del decesso per assassinio della principessa
Mafalda. La principessa Mafalda riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia,
nell'antica Burg di Kronberg in Taunus, vicino a Francoforte sul
Meno.
Nozze di Filippo
D’Assia e Mafalda di Savoia – 23 settembre 1925
Per
andare al comando tedesco si vestì, pensando che si trattasse di un
impegno di pochi muniti, con un modesto vestito
nero.Con
quel vestito fu quindi arrestata, con quello partirà e per ben undici mesi avrà
sempre quel vestito addosso e, sempre con quel vestito, morirà.La Chiesa dedicò
una preghiera a Mafalda di Savoia con approvazione ecclesiastica del Vescovo Giuseppe
Gagnor, Napoli, 18 novembre 1945
Pietosissimo
Iddio, che nei Tuoi imperscrutabili disegni, permettesti che la Tua serva
Mafalda, nata e vissuta nella regalità della corte, si dipartisse da questa
terra in seguito alle sofferenze ed all'abbandono vissuto negli ultimi mesi
della sua esistenza terrena, lontano dalle cure e dall'affetto dei suoi,
umiliata e vilipesa in suolo nemico, accetta il suo sacrificio!
Fà che ella, spiritualmente ricollegata alle grandi donne della sua casa che la
precedettero, in una dinastia di Santi e di Eroi, ascenda presto alla
Beatitudine del Regno dei Cieli, onde intercedere presso di Te per la grandezza
del Regno d'Italia.
Così sia.
…………………………….
Hitler
credeva che il figlio di Maria Jose, il principe ereditario, si trovasse a Roma
mentre in realtà si trovava in Piemonte.Ma
i reggenti, compreso Badoglio e C., stavano veramente scappando verso Sud?Chieti
e Pescara erano in mano ai tedeschi e più volte furono bombardate in modo
selvaggio dagli anglo-americani, non solo prima ma anche dopo l’8 settembre.Il
Re Vittorio Emanuele III aveva pensato solo ad una cosa e cioè di mandare con
un treno tedesco, in Svizzera, ben 41 vagoni ferroviari pieni di tesori, opere
d’arte, documenti e suppellettili. Treno con destinazione Ginevra. Un Tesoro
che non arrivò mai a destinazione.I
Savoia con quel comportamento stavano mettendo a rischio la loro dinastia. Un
comportamento irrazionale e disonorevole mentre
Hitler mostrava una sua feroce
lucidità e puntava sul principino per un motivo molto semplice…conosceva gli
italiani meglio dei Savoia.Lo
stesso Hitler non si fidava di Vittorio Emanuele IIINon aveva mai
creduto che Vittorio Emanuele III lo avrebbe onorato.In
questo momento di grande confusione era opinione diffusa, anche da parte del
Badoglio, di fare abdicare il re, far rinunciare al figlio Umberto il trono e
mettere il bambino Vittorio Emanuele sul trono con un reggente.A
Brindisi il Badoglio si rivolse al re, in data 24 ottobre, con una lettera con
la quale invitava il Re alla necessità di abdicare, e chiaramente, tra le righe
della lettera, si proponeva lui come reggente del bambino (affermando che era
il CNL – Comitato di Liberazione Nazionale – a chiederlo).
LETTERA DI
BADOGLIO AL REBrindisi 24 ottobre 1943BADOGLIO INVITA IL RE E SUO FIGLIO AD ABDICARE E MIRAALLA REGGENZA DEL PICCOLO VITTORIO EMANUELE Maestà,nell'ultimo colloquio che ho avuto con Vostra Maestà, ho brevemente accennato
alle idee ed ai propositi manifestati dagli elementi più rappresentativi dei
gruppi politici che si sono costituiti da tempo in Italia.Ora ho avuto altre notizie più precise da un funzionario degli Esteri, giunto
dalla capitale, e posso quindi svolgere più ampiamente questa per me veramente
angosciosa questione.I gruppi politici sono il Liberale, il Cristiano Sociale, il Partito d'Azione,
il Partito Socialista, il Comunista. Questi gruppi si sono riuniti in un fronte
unico che ha distaccamenti in tutte le principali città.Loro intendimento preciso è il seguente:1) Assumere essi il governo designando, essi stessi, i singoli ministri.2)
Abdicazione di V.M. e rinuncia di S.A.R. il Principe di Piemonte di salire al
trono.3) Elevazione a Re del figlio di S.A.R. il Principe di Piemonte con un
reggente.Circa il modo di raggiungere questi risultati, mi consta che essi, per ora,
hanno manifestato l'intenzione di creare senz'altro un Governo ed una
Costituente non appena liberata Roma dai tedeschi e prima che Vostra Maestà,
col Governo regolare, possa giungervi.Soggiungo ancora, per non tacere nulla a Vostra Maestà, che è loro
intenzione, e me lo ha confermato il conte Sforza, che sia io ad assumere la
carica di Reggente. (!!!!! Ndr.)La questione così formulata è, secondo il mio avviso, di una gravità veramente
eccezionale. Il sorgere di questo nuovo Governo verrebbe a gettare lo scompiglio
in tutte le forze che si sono schierate contro i tedeschi, dando -per contro -
vigore e motivo per un'attiva campagna propagandistica al pseudo governo
fascista repubblicano.Come contenersi se questa circostanza si avvera?Non mi sembra ammissibile di ricorrere agli anglo - americani, dato poi che
essi aderiscano, perché allora Vostra Maestà ed il Suo Governo avrebbero
ricorso alle armi straniere per restare al potere. Né ritengo prudente far
sincero affidamento sulle nostre forze, dato che troppi fermenti esistono in
esse, sì che la loro compagine è quanto mai precaria.Confesso, Maestà, che, per quanto io mi affatichi per trovare una via di
uscita, non mi è ancor dato di averla trovata.Rimanderò quel funzionario a Roma con questa missione:1) Convincere i dirigenti dei partiti a non far nulla sino a cheil Governo di Vostra Maestà non sia a Roma.2) Non appena a Roma, io, in esecuzione della dichiarazione fattanel proclama di guerra alla Germania, li avrei chiamati per sentireprecisamente le loro idee circa la formazione del governo.3) Che qualora essi fossero decisi a non collaborare con me comeCapo del Governo, io avrei presentato le dimissioni a Vostra Maestà.4) Che Vostra Maestà, dopo, avrebbe preso quelle decisioni che reputava
migliori.Se si riuscisse ad ottenere ciò si eviterebbero scosse violente e, ad ogni
modo, si avrebbe una maggiore parvenza di legalità.Ma questa non é che una mia proposta, che non so quale seguito possa avere. Ad
ogni modo in settimana vedrò ancora il conte Sforza ed insisterò presso di lui
perché induca i capi partito ad attenersi a quanto proposto.Vostra Maestà, nella Sua alta saggezza, prenderà le Sue decisioni, e mi darà,
per conseguenza, le Sue direttive.lo, che come Vostra Maestà ben sa e da molto tempo, sono devotamente
affezionato sia a Vostra Maestà sia all'Istituto Monarchico, ho solo il preciso
obbligo morale d'informarLa che il conte Sforza, che pur ritiene necessaria
l'esistenza della Monarchia per l'unità della Patria, mi ha recisamente
dichiarato che il rifiuto di Vostra Maestà potrebbe portare, di conseguenza, la
caduta della Monarchia.lo non ho ancora toccato con il generale Eisenhower questi argomenti. So però,
perché me ne ha francamente parlato, che il colonnello Rosbery, capo
dell'Intelligence Service Politico ne é perfettamente al corrente.Ed io attendo gli ordini di Vostra Maestà per sapere se debbo o meno
intervenire presso il generale Eisenhower ed in quali termini.Quanto sopra io ho scritto con un dolore gravissimo,ma convinto di compiere interamente il mio dovere.Di Vostra Maestà devotissimo PIETRO BADOGLIO
La presenza della lettera si diffuse e a Brindisi
si parlò subito di tradimento e si accusò il Badoglio di voler boicottare il
Sovrano per salvare se stesso.Vittorio
Emanuele non ebbe una buona impressione del suo “fidato” Badoglio.Erano
chiare le mire del Badoglio alla reggenza e il sovrano lo avvertì cheSecondo lo Statuto,
ciò era impossibile, dovendo essere il reggente un principe della Casa Reale.Per
molto tempo i due non si parlarono e il Sovrano fece sua l’idea, scoprendo in
ritardoChi era veramente
il Badoglio e che il 25 luglio (caduta del fascismo) si era fatto
“giocare”.Come poté la principessa Maria Josè fidarsi di due
personaggi come Badoglio e Rodolfo
Graziani nel progettato colpo di Stato del 1938?Gli altri esponenti del
complotto, molti dei quali rimasero sconosciuti, non percepirono le ambiguità
caratteriali dei due generali? Eppure le loro azioni criminali, gli eccidi e l'uso di armi chimiche, erano conosciute così come le loro ideologie
politiche e sociali certamente non improntate al rispetto dei principi
etico-sociali in un Paese devastato dal fascismo …
La
principessa Maria Josè visse quegli aspetti drammatici del colonialismo perché era
una Crocerossina e fu anche in Etiopia.Il
4 aprile 1941, il giornale “Corriere della Sera” riportò un articoloContinuando le sue visite alle cliniche e agli
ospedali milanesi che ospitano feriti di guerra, la Principessa di Piemonte è
stata ieri mattinaall’Istituto Neurologico Pro Feriti Cerebrali Vittorio
Emanuele III.Nel
corso della Seconda Guerra Mondiale la Principessa era una figura molto
presente nelle nelle corsie degli ospedali italiani che accoglievano
quotidianamente i soldati feriti giunti dai campi di battaglia dell’Africa,
della Francia, della Grecia e successivamente dell’Unione SovieticaTra
il 1939 ed il 1946, come Ispettrice Nazione delle Infermiere Volontarie, fu
molto attiva nel portare confronto alle vittime della guerra colpite nelle
spirito e nel corpo. “Maria
di Piemonte si è subito recata nel reparto che ospita i feriti di guerra e ha
sostato a lungo a ciascun capezzale, intrattenendosi con i degenti e rivolgendo
loro espressioni di conforto”.
https://segretidellastoria.wordpress.com/wp-content/uploads/2020/11/maria-jose-visita-i-feriti.jpgTenendo
fede alle parole d’ordine delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa (Ama,
Conforta, Lavora, Salva), Maria José del Belgio, Principessa nonché sposa
dell’erede al trono di Casa Savoia Umberto IINel
1936 da crocerossina si trovava ad operare con grande umanità e sacrificio in Etiopia,
in piena guerra anche chimica.Era
partita a bordo della “Cesarea”, una delle tante navi bianche che diventeranno
il simbolo delle Crocerossine.Su
una di queste, la Po, presterà servizio la stessa figlia di Benito
Mussolini, Edda Ciano, salvandosi miracolosamente dall’affondamento avvenuto
nella Baia di Valona nel marzo 1941.Le
sue visite negli ospedali, durante il conflitto, saranno numerosissime..Maria di Piemonte si è recata poi al Padiglione dei
Mutilati del viso, dove sono ricoverati feriti reduci dell’Africa Orientale,
della Spagna e dell’attuale guerra. Maria José non
avrebbe fatto visita solamente a quanti rientravano dai fronti di battaglia. Un
forte legame si sarebbe instaurato con tutti quei civili rimasti vittime dei
bombardamenti, mutilati dalle esplosioni delle bombe sganciate sulle città
italiane dai velivoli alleati e dagli attacchi costieri delle flotte nemiche:
si mobilitò fin da subito, come accadde a Genova, quando si recò in visita alle
vittime del bombardamento degli impianti industriali operato dalla flotta francese
pochi giorni dopo l’inizio del conflitto. La
sua opera non fu fermata neanche dal terribile conflitto sul suolo italiano e,
rischiando in prima persona, si recò anche sulla linea del fronte.Lei
stessa affermò mentre si trova in esilio dopo il referendum tra Monarchia e
Repubblica…Non c’era tempo per le nostalgie. Mancavano le bende,
i farmaci e gli stessi letti per i feriti. La mia presenza fra le corsie ridava
morale alle famiglie e al personale medico che, in quella situazione, si
sentiva abbandonato a se stesso. Ovviamente non c’erano grandi fondi da
utilizzare, tuttavia con le altre Crocerossine riuscimmo a dar vita a una catena
di solidarietà:ognuno metteva a disposizione ciò che poteva.La
sua grande opera di umanità fu interrotta
il 6 giugno 1946 quando l’incrociatore Duca degli Abruzzi la condusse al suo
esilio in Portogallo. Per ironia della sorte l’incrociatore salpò da Molo
Beverello di Napoli.. Lo stesso molo l’aveva vista partire come Crocerossina
nel 1936 alla volta dell’Etiopia.
Maria Josè
(vestita da crocerossina) colta con una suora, una personalità (probabilmente
del governo coloniale) e alcuni marinai nei pressi di un padiglione
Data: Aprile 1936
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/imageViewPort/720?imageName=AO/AO144/AO00009721.JPG
Maria Josè in
partenza da Mogadiscio
Che
altro dire della principessa Maria Josè?Aveva
un’indole allegra e spensierata, cresciuta senza tante imposizioni coltivando molti interessi: pianoforte e
violino, praticando molti sport e
dimostrando un grande amore per la lettura. A sette anni si esibì
interpretando Brahams al pianoforte. La corte del padre era una delle più
libere dell'epoca, frequentata dai migliori cervelli: Einstein a volte vi
suonava il violino accompagnato al pianoforte dalla regina Elisabetta.Il primo incontro con Umberto di Savoia avvenne durante la
Grande Guerra, nel 1918. I reali del Belgio erano in visita al fronte italiano
a Battaglia Terme, vicino Padova. Maria Josè aveva dodici anni e Umberto quattordici. Secondo
cronisti se ne innamorò perdutamente e Maria José scrisse di essere stata
allevata ed educata nell'idea che un giorno avrebbe sposato Umberto.Maria
José aveva capelli castani crespi e occhi chiarissimi.Studiò
in Inghilterra dal 1914 al 1917, quando il Belgio fu occupato la prima volta
dai tedeschi, poi in Italia, nel Collegio dell'Annunziata di Poggio Imperiale,
presso Firenze, con i figli della migliore nobiltà italiana ed europea. Dicono
che sul suo comodino ci fosse una fotografia di Umberto.
Il
7 settembre del 1929, il giovane principe, al quale si attribuirono
innumerevoli storie e che sembra abbia tentato di rimandare più volte il
matrimonio, su preciso ordine di Vittorio Emanuele III, chiese
ufficialmente la mano della principessa belga.Maria
José disse ai genitori:Et maintenant
c'est faite (E ora è fatta!).Il
fidanzamento ufficiale con Umberto avvenne il 24 ottobre del 1929, durante
una visita del principe sabaudo in Belgio. Lo stesso giorno Ferdinando De
Rosa, un giovane anarchico italiano della Concentrazione antifascista attentò
alla vita del principe senza riuscirvi.
Ferdinando
De Rosa(Milano,
7 ottobre 1908 – Guadarrama, Spegna, 16 settembre 1936)
Sarà
condannato a soli cinque anni di carcere per intercessione dello stesso
Umberto.Il
matrimonio era stato deciso da tempo dalle due case regnanti per
rinsaldare i rapporti tra il Belgio e l'Italia, ciononostante fu preceduto da
un ''romantico fidanzamento”.Malgrado
le lettere di dissenso inviate dai suoi sudditi, che non vedono di buon occhio
il matrimonio con il principe di una nazione fascista, l'8 gennaio del 1930 si
celebrò il matrimonio. Tre giorni no-stop di feste costate cinque milioni di
lire, ai tempi in cui si cantava "se potessi avere per mille lire al
mese!".La
cerimonia si svolse nella cappella Paolina del Quirinale; Maria José indossava
un abito disegnato da Umberto, con strascico di sette metri ornato
d'ermellino, sul capo un pizzo di Bruges e un diadema dei Savoia che
giudicò troppo sontuoso e pesante.La
mattina delle nozze un attimo di panico: le maniche erano troppo strette e le
braccia della principessa non entravano. La principessa trovò la soluzione:
braccia scoperte dalla spalla al gomito e guanti lunghi.Pioveva:
sposa bagnata, sposa fortunata. Allo
scambio degli anelli un volo di centinaia di colombe bianche.Poi
gli sposi furono ricevuti dal papa. Ci furono tre giorni di grande festa e poi
il viaggio di nozze.San
Rossore e poi Courmayeur, ospiti del Conte Eugenio Marone Cinzano e della
moglie Noemí Rosa de Alcorta
Mansilla.
Noemí Rosa de Alcorta MansillaDeceduta
il 9 novembre 1937 (martedì) - Paris, all'età di 30 anni
Nessuna
intimità, la villa è piena di amici, Maria José comincia a temere per il suo
matrimonio.Dopo
una breve residenza nel Palazzo Reale di Torino, il padre li trasferì
a Napoli dove Umberto fu promosso generale. (forse anche perché
circolavano chiacchiere sulle innumerevoli avventure di Umberto).Gli
sposi vissero gli anni seguenti tra il palazzo reale di Torino, il castello di
Racconigi, Napoli e il castello di Sarre in Val d'Aosta. Nel
1934, i maligni del tempo dicono grazie all'inseminazione artificiale,
nacque la prima figlia Maria Pia, poi arrivano nel 1937 Vittorio Emanuele, nel
1940 Maria Gabriella e nel 1943 Maria Beatrice.Maria
Pia assomiglia moltissimo al padre, Maria Gabriella e Vittorio Emanuele,
invece potrebbero essere cloni della madre, e Maria Beatrice ha il volto della
madre bambina.Il
suo rapporto con Umberto comunque ebbe molti problemi. I pettegolezzi sui
tradimenti del principe non si contarono e non mancarono le insinuazioni anche
su di lei (cj furono le parole volgari espressi dal Toscanini).Era
considerata snob, sofisticata, la chiamavano
la "belga", "negresse blonde" per quei suoi capelli
impossibili. Volevano italianizzare il suo
nome in Maria Giuseppina ma si ribellò, e i giornali la chiamarono "Maria
di Piemonte".Durante
la sua vita coniugale Maria José scalò il Cervino e il Rosa, dichiarando
chese non fosse
quello che è, sarebbe contro tutte le dinastie.Il
padre Alberto I fu un appassionato alpinista e Maria Josè fece sua anche la
passione, l’amore per la montagna.Amava
la natura severa ed autentica delle montagne soprattutto per quelle valdostane.D’altra
parte la Val d’Aosta fu frequentata spesso da Maria Josè. In viaggio di nozze
si recò con il marito Umberto a Courmayeur. Bellissima ed elegante, mostrando
anche una grande raffinatezza e sobrietà anche sulle piste da sci.
La coppia reale
sugli sci a Courmayeur per la luna di miele – 1930(dal libro
“Umberto e Maria José di Savoia. Escursioni e soggiorni in Valle d’Aosta”, di
M. Fresia Paparazzo)Maria
Josè amava rifugiarsi, con i fgli/e, tra la roccia ed i boschi e per questo
motivo aveva come base il Castello Reale di Sarre.Dal
castello dava sfogo ad escursioni, campeggi come nell’alta Val d’Ayas.Mostro
le doti di grande alpinista riuscendo a salire in vetta al Monte Bianco e al
Cervino.La
principessa, dagli stupendi occhi di ghiaccio, riuscì ad assicurarsi la grande
stima delle guide alpine e soprattutto, un aspetto importante per la sua grande
umanità e piacere di stare con la gente comune, anche l’amore della popolazione
locale.Imprese
che furono riportate dalla cronaca del tempo.Una sua eleganza
misurata e per nulla vistosa…Assolutamente alla
moda nell’estate del 1937 quando si perde ad osservarecol cannocchiale
il paesaggio delle Cime Bianche: una camicetta bianca edun paio di pantaloni
molto ampi leggermente scampanati, parrebbe in “Principe di
Galles”, tagliati sotto il polpaccio e trattenuti in vita da una
fusciacca.
Maria Josè alle
Cime Bianche
(dal libro
“Umberto e Maria José di Savoia. Escursioni e soggiorni in Valle d’Aosta”,
di M. Fresia
Paparazzo)Maria
José fu la prima ad utilizzare scarponi tecnici con suola in
Vibram abbandonando quelli con suola chiodata!Nel
maggio del 1938 incontrò Hitler a Roma. A tavola era seduto accanto a
lei, compassato e glaciale, mangiò un pezzo di cioccolata con forchetta e
coltello, e biscotti al posto del pane. Vittorio Emanuele III, non appena
Hitler gli voltava le spalle, faceva smorfie di raccapriccio e lei e il marito
temevano potessero esser viste dal seguito del dittatore. Anche Pio XI
manifestò il suo dissenso per la visita del tedesco non ricevendolo. Si chiuse a Castel Gandolfo, facendo chiudere i Musei
Vaticani e spegnendo le luci delle chiese quando le città erano illuminate a
giorno in suo onore.Essendo
cresciuta in un paese democratico, dove erano presenti gli ideali di giustizia,
di libertà, uguaglianza e difesa dei più poveri, manifestò insofferenza nei
confronti delle restrizioni imposte dal regime fascista.In
Libia la futura regina conobbe Italo Balbo governatore della
colonia italiana, e gli confidò i suoi dubbi nei confronti del fascismo.Nell'ottobre
del1940, Maria José andò da Hitler per chiedergli, su richiesta del re del
Belgio invaso dai nazisti, grano per la popolazione affamata e libertà per i
prigionieri. Venne ricevuta dal dittatore, che la definì "il perfetto
modello di una principessa ariana" ma non le concesse nulla.Nel
1943 per i suoi contatti con gli antifascisti fu reclusa, dal suocero Vittorio
Emanuele III, a Sant’Anna di Valdieri.Nel
1942 cercò di mediare per un trattato di pace con l’aiuto del presidente del
Portogallo Salazar ma gli alleati rifiutarono ogni trattativa.Quando
fu annunciata la firma dell’armistizio di Cassibile, Maria Josè con i figli/e
fuggi in Svizzera accompagna dal colonnello medico Francesco Arena (nella
ricerca fu già citata questa fuga non priva di difficoltà e pericoli per la
presenza dei tedeschi).Raggiunsero
Montreux (Svizzera) per posi spostarsi a Glion, frazione del comune di
Montreux, nel Canton Vaud.Uno
spostamento necessario perché la polizia elvetica era venuta a conoscenza di un
piano di Hitler per rapire il piccolo Vittorio Emanuele.
A
Oberhofen Maria José riprese i contatti con le persone con cui aveva
collaborato precedentemente al colpo di Stato, in particolare con Luigi
Einaudi, anch'egli riparato in Svizzera. Cercò di unirsi alla Resistenza,
ma le autorità elvetiche la sorvegliavano strettamente. Riuscì comunque, in
diverse occasioni, a trasportare armi per i partigiani.Solo
nel febbraio 1945 Maria Josè si decise di rientrare in Italia, proprio quando
la Germania stava per cadere.Un viaggio durissimo in pieno inverno e con gli
sci ai piedi attraversò il confine sulle Alpi,
scortata da due guide e dai pochi uomini che le erano rimasti vicino. Ad
accoglierla in Italia c'erano i partigiani, che la scortarono fino a Racconigi. Qui attese fino al giugno seguente, quando fu mandato un
aereo per portarla a Roma, dove ad aspettarla c'era Umberto. Non si
vedevano da circa due anni. Ad agosto andarono a prendere i bambini e la
famiglia fu di nuovo riunita.Secondo un’altra versione rientro, sempre a
piedi, nel castello si Sarre. Dal Castello gli alleati la scortarono al palazzo
Reale di Torino, il 28 maggio 1945, che era la sede del comando inglese.In quei
giorni Maria José incontrò anche Palmiro Togliatti e successivamente dichiarerà
di simpatizzare per Saragat e il socialismo.Il 9 maggio del 1946, gli Alleati e De Gasperi capo del governo, convinsero il
vecchio re a passare i poteri al figlio. Un referendum avrebbe deciso il
passaggio, o meno, dell'Italia alla forma repubblicana.Umberto e
Maria José si batterono abilmente per la causa monarchica ricorrendo perfino ad
esperti di pubblicità americani. Il Quirinale si riaprì alle feste, ai
ricevimenti, il nuovo re viaggiò in lungo e in largo per l'Italia in
un'autentica campagna elettorale con conseguente grande ricupero di consensi,
che, tuttavia non furono sufficienti.Molti
studiosi concordano che se Vittorio Emanuele avesse abdicato prima
forse il referendum non avrebbe sancito la vittoria della Repubblica.Il
13 giugno 1946, Umberto lasciò l'Italia a bordo di un Savoia
Marchetti e volò verso il Portogallo. Maria José, invece, partì con i ragazzi
il 6 giugno da Napoli, a bordo del Duca degli Abruzzi, destinazione Sintra
passando per Lisbona. Il
loro regno durò ventisette giorni, resteranno nella storia come il "re e
la regina di maggio".Nel
1948 la XIII norma transitoria e finale della Costituzione italiana stabilì il
divieto di ingresso e di soggiorno sul territorio nazionale per gli ex re
d'Italia, le loro consorti ed i loro discendenti maschi.
La
nuova situazione giuridica liberò Maria Josè ed Umberto dall'obbligo di fingere
di essere una coppia unita.
Lui
resterà a Cascais, a Villa Italia, per ripercorrere le orme di Carlo
Alberto, lei compera il castello di Merlinge, in Svizzera, e
continueranno la loro vita separati, incontrandosi solo nelle occasioni
ufficiali.
Villa Italia –
Cascais (Portogallo)
(oggi Hotel)
I
figli crescendo daranno non poche preoccupazioni con le loro esuberanze,
Maria José fu colpita da guai alla vista, ma questo non le impedì di vivere
freneticamente. Una gran viaggiatrice e un'accanita fumatrice, una vita
sportiva e continuò ad occuparsi di opere filantropiche ed umanitarie,
coltivando la passione per la musica e la letteratura. Brava pianista, istituì
vari premi musicali. Fu anche scrittrice pubblicando con la Mondadori uno
studio su Amedeo VIII.Rimase
molto legata all'Italia e prima del sì al suo rientro in Italia disposto dal
Consiglio dei ministri il 23 dicembre 1987, i giornali diedero più volte
notizia delle sua presenza clandestina sul territorio nazionale.La sua prima visita legale in Italia avviene nel 1 marzo 1988: un viaggio ad
Aosta per assistere ad un convegno storico, dedicato alla figura di
Sant'Anselmo. Nel luglio 1990 Maria Josè chiese allo Stato italiano la pensione
come vedova di un ufficiale dell'esercito. Nel 1992 si trasferì in Messico, per
poi ritornare nel 1996 presso la figlia Maria Gabriella a Ginevra.La morte la colpì a Ginevra, il 27 gennaio del 2001. Per suo espresso volere venne
sepolta nella storica abbazia di Altacomba, in Alta Savoia, dove dal marzo
del 1983 riposa anche la salma del marito Umberto.
Abbazia di
Altacomba
Saint-Pierre-de-Curtille, Francia
https://www.flickr.com/photos/marco_ottaviani/5489829204
Tomba di Maria
Josè e di Umberto
Di lei Elio
Vittorini disse:
"Era Maria
Josè l'uomo di famiglia".
Alla
sua morte tanti commenti positivi…regina di maggio,
l'ultima sovrana d'Italia, donna ardita, ribelle, intelligente, colta,
antifascista, dedita alle buone azioni ed alla beneficenza, regina
repubblicana, partigiana, picconatrice, capitata nella famiglia sbagliata.Ma
anche negativi e forse non obiettivi…non la si può
considerare amante della libertà perché ha fatto visita al comunista Mao, che
la beneficenza era l'attività che garantiva la fama delle precedenti regine, e,
addirittura che un'educazione troppo liberale ne ha fatto una capricciosa
irresponsabile ribelle...Ogni
lettore, in base al proprio essere ed alla propria cultura, sarà in grado di
giudicare Maria Josè che considero una figura dimenticata dalla Storia che
purtroppo non è mai obiettiva…….
Casa Savoia e lo stesso Badoglio, nella loro scellerata politica, non pensarono alle reazioni di Hitler e non si preoccuparono nemmeno dei loro familiari.
Dal 25 luglio e fino all’8 settembre nessuno in casa Savoia, né tanto meno Badoglio e “combriccola” pensarono a Maria Josè e ai suoi figli.
Nel momento in cui venne trasmesso il messaggio della “resa incondizionata” (Armistizio di Cassibile), che provocò un forte dramma in tutto il Paese, il Re e soprattutto suo marito Umberto, padre dei suoi figli, si stavano preparando nella notte nella fuga verso Brindisi. Dimenticarono come Maria Josè e i suoi quattro bambini (quindi anche l’erede al trono, il piccolo Vittorio Emanuele) si trovavano in quel momento, dall’estate, in Val d’Aosta nel castello “de La Sarre”.
No, perché il territorio era d’influenza tedesca e, subito dopo la proclamazione dell’Armistizio, la presenza tedesca aumentò.
Anche la residenza di S. Anna Valdieri (Torino), altra residenza estiva dei reali di casa Savoia, si trovava in un territorio controllato dai tedeschi.
Maria Josè venne a conoscenza, nella notte dell’8 settembre, assieme al colonnello Arena sua guardia del corpo, della firma dell’Armistizio di Cassibile.
L’Arena aveva una confidenza naturale che la principessa, dagli ideali democratici, gli aveva concesso e alla notizia dell’’armistizio espresse un giudizio poco lusinghiero nei confronti dei parenti di Maria Josè..
L’Arena fece appena in tempo a parlare con il ministro della Real Casa Acquarone e l’unica cosa che lo stesso Aquarone gli referì…
(Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana)
Roma, 19 novembre 1902 – Buchenwald, 28 agosto 1944)
Figlia secondogenita di Vittorio Emanuele III e di Elena di Montenegro
Marito: Filippo d’Assia – Kassel
Figli/e: Maurizio, Enrico, Ottone, Elisabetta
Mafalda sposò Filippo d’Assia.
Dal matrimonio nacquero 4 figli/e:
Maurizio, Enrico, Ottone ed Elisabetta
Nelle vicinanze del loro campo c'era il lager di Buchenwald, dove avevano saputo era prigioniera la principessa Mafalda di Savoia, insieme a ebrei e politici. Appena dopo la liberazione, i marinai decisero di recarsi al vicino campo di concentramento per mettersi alla ricerca della principessa e seppero trovare fra tante la sua tomba anonima e si tassarono per apporvi una lapide identificativa.
La salma della principessa fu traslata nel 1951 nel piccolo cimitero di famiglia a Kronberg. Quella croce ancora oggi è collocata sulla tomba di Mafalda. Sotto la croce c’è sempre la lapide con la dedica “A Mafalda di Savoia, i marinai della città di Gaeta“.
– Sottocapo segnalatore MAGNANI Corrado;
– Cannoniere MITRANO Antonio;
– Marò RUGGIERI Antonio;
– Fuochista COLARUOTOLO Giovanni;
– Cannoniere PASCIUTO Erasmo;
– Marò AVALLONE Giosuè;
– Nocchiere FUSCO Apostolo.
Pietosissimo
Iddio, che nei Tuoi imperscrutabili disegni, permettesti che la Tua serva
Mafalda, nata e vissuta nella regalità della corte, si dipartisse da questa
terra in seguito alle sofferenze ed all'abbandono vissuto negli ultimi mesi
della sua esistenza terrena, lontano dalle cure e dall'affetto dei suoi,
umiliata e vilipesa in suolo nemico, accetta il suo sacrificio!
Fà che ella, spiritualmente ricollegata alle grandi donne della sua casa che la
precedettero, in una dinastia di Santi e di Eroi, ascenda presto alla
Beatitudine del Regno dei Cieli, onde intercedere presso di Te per la grandezza
del Regno d'Italia.
Così sia.
…………………………….
Data: Aprile 1936
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/imageViewPort/720?imageName=AO/AO144/AO00009721.JPG
(dal libro “Umberto e Maria José di Savoia. Escursioni e soggiorni in Valle d’Aosta”,
di M. Fresia Paparazzo)
Maria
José fu la prima ad utilizzare scarponi tecnici con suola in
Vibram abbandonando quelli con suola chiodata!Nel
maggio del 1938 incontrò Hitler a Roma. A tavola era seduto accanto a
lei, compassato e glaciale, mangiò un pezzo di cioccolata con forchetta e
coltello, e biscotti al posto del pane. Vittorio Emanuele III, non appena
Hitler gli voltava le spalle, faceva smorfie di raccapriccio e lei e il marito
temevano potessero esser viste dal seguito del dittatore. Anche Pio XI
manifestò il suo dissenso per la visita del tedesco non ricevendolo. Si chiuse a Castel Gandolfo, facendo chiudere i Musei
Vaticani e spegnendo le luci delle chiese quando le città erano illuminate a
giorno in suo onore.Essendo
cresciuta in un paese democratico, dove erano presenti gli ideali di giustizia,
di libertà, uguaglianza e difesa dei più poveri, manifestò insofferenza nei
confronti delle restrizioni imposte dal regime fascista.In
Libia la futura regina conobbe Italo Balbo governatore della
colonia italiana, e gli confidò i suoi dubbi nei confronti del fascismo.Nell'ottobre
del1940, Maria José andò da Hitler per chiedergli, su richiesta del re del
Belgio invaso dai nazisti, grano per la popolazione affamata e libertà per i
prigionieri. Venne ricevuta dal dittatore, che la definì "il perfetto
modello di una principessa ariana" ma non le concesse nulla.Nel
1943 per i suoi contatti con gli antifascisti fu reclusa, dal suocero Vittorio
Emanuele III, a Sant’Anna di Valdieri.Nel
1942 cercò di mediare per un trattato di pace con l’aiuto del presidente del
Portogallo Salazar ma gli alleati rifiutarono ogni trattativa.Quando
fu annunciata la firma dell’armistizio di Cassibile, Maria Josè con i figli/e
fuggi in Svizzera accompagna dal colonnello medico Francesco Arena (nella
ricerca fu già citata questa fuga non priva di difficoltà e pericoli per la
presenza dei tedeschi).Raggiunsero
Montreux (Svizzera) per posi spostarsi a Glion, frazione del comune di
Montreux, nel Canton Vaud.Uno
spostamento necessario perché la polizia elvetica era venuta a conoscenza di un
piano di Hitler per rapire il piccolo Vittorio Emanuele.
A
Oberhofen Maria José riprese i contatti con le persone con cui aveva
collaborato precedentemente al colpo di Stato, in particolare con Luigi
Einaudi, anch'egli riparato in Svizzera. Cercò di unirsi alla Resistenza,
ma le autorità elvetiche la sorvegliavano strettamente. Riuscì comunque, in
diverse occasioni, a trasportare armi per i partigiani.Solo
nel febbraio 1945 Maria Josè si decise di rientrare in Italia, proprio quando
la Germania stava per cadere.Un viaggio durissimo in pieno inverno e con gli
sci ai piedi attraversò il confine sulle Alpi,
scortata da due guide e dai pochi uomini che le erano rimasti vicino. Ad
accoglierla in Italia c'erano i partigiani, che la scortarono fino a Racconigi. Qui attese fino al giugno seguente, quando fu mandato un
aereo per portarla a Roma, dove ad aspettarla c'era Umberto. Non si
vedevano da circa due anni. Ad agosto andarono a prendere i bambini e la
famiglia fu di nuovo riunita.Secondo un’altra versione rientro, sempre a
piedi, nel castello si Sarre. Dal Castello gli alleati la scortarono al palazzo
Reale di Torino, il 28 maggio 1945, che era la sede del comando inglese.In quei
giorni Maria José incontrò anche Palmiro Togliatti e successivamente dichiarerà
di simpatizzare per Saragat e il socialismo.Il 9 maggio del 1946, gli Alleati e De Gasperi capo del governo, convinsero il
vecchio re a passare i poteri al figlio. Un referendum avrebbe deciso il
passaggio, o meno, dell'Italia alla forma repubblicana.Umberto e
Maria José si batterono abilmente per la causa monarchica ricorrendo perfino ad
esperti di pubblicità americani. Il Quirinale si riaprì alle feste, ai
ricevimenti, il nuovo re viaggiò in lungo e in largo per l'Italia in
un'autentica campagna elettorale con conseguente grande ricupero di consensi,
che, tuttavia non furono sufficienti.Molti
studiosi concordano che se Vittorio Emanuele avesse abdicato prima
forse il referendum non avrebbe sancito la vittoria della Repubblica.Il
13 giugno 1946, Umberto lasciò l'Italia a bordo di un Savoia
Marchetti e volò verso il Portogallo. Maria José, invece, partì con i ragazzi
il 6 giugno da Napoli, a bordo del Duca degli Abruzzi, destinazione Sintra
passando per Lisbona. Il
loro regno durò ventisette giorni, resteranno nella storia come il "re e
la regina di maggio".Nel
1948 la XIII norma transitoria e finale della Costituzione italiana stabilì il
divieto di ingresso e di soggiorno sul territorio nazionale per gli ex re
d'Italia, le loro consorti ed i loro discendenti maschi.
La
nuova situazione giuridica liberò Maria Josè ed Umberto dall'obbligo di fingere
di essere una coppia unita.
Lui
resterà a Cascais, a Villa Italia, per ripercorrere le orme di Carlo
Alberto, lei compera il castello di Merlinge, in Svizzera, e
continueranno la loro vita separati, incontrandosi solo nelle occasioni
ufficiali.
Villa Italia –
Cascais (Portogallo)
(oggi Hotel)
I
figli crescendo daranno non poche preoccupazioni con le loro esuberanze,
Maria José fu colpita da guai alla vista, ma questo non le impedì di vivere
freneticamente. Una gran viaggiatrice e un'accanita fumatrice, una vita
sportiva e continuò ad occuparsi di opere filantropiche ed umanitarie,
coltivando la passione per la musica e la letteratura. Brava pianista, istituì
vari premi musicali. Fu anche scrittrice pubblicando con la Mondadori uno
studio su Amedeo VIII.Rimase
molto legata all'Italia e prima del sì al suo rientro in Italia disposto dal
Consiglio dei ministri il 23 dicembre 1987, i giornali diedero più volte
notizia delle sua presenza clandestina sul territorio nazionale.La sua prima visita legale in Italia avviene nel 1 marzo 1988: un viaggio ad
Aosta per assistere ad un convegno storico, dedicato alla figura di
Sant'Anselmo. Nel luglio 1990 Maria Josè chiese allo Stato italiano la pensione
come vedova di un ufficiale dell'esercito. Nel 1992 si trasferì in Messico, per
poi ritornare nel 1996 presso la figlia Maria Gabriella a Ginevra.La morte la colpì a Ginevra, il 27 gennaio del 2001. Per suo espresso volere venne
sepolta nella storica abbazia di Altacomba, in Alta Savoia, dove dal marzo
del 1983 riposa anche la salma del marito Umberto.
Abbazia di
Altacomba
Saint-Pierre-de-Curtille, Francia
https://www.flickr.com/photos/marco_ottaviani/5489829204
Tomba di Maria
Josè e di Umberto
Di lei Elio
Vittorini disse:
"Era Maria
Josè l'uomo di famiglia".
Alla
sua morte tanti commenti positivi…regina di maggio,
l'ultima sovrana d'Italia, donna ardita, ribelle, intelligente, colta,
antifascista, dedita alle buone azioni ed alla beneficenza, regina
repubblicana, partigiana, picconatrice, capitata nella famiglia sbagliata.Ma
anche negativi e forse non obiettivi…non la si può
considerare amante della libertà perché ha fatto visita al comunista Mao, che
la beneficenza era l'attività che garantiva la fama delle precedenti regine, e,
addirittura che un'educazione troppo liberale ne ha fatto una capricciosa
irresponsabile ribelle...Ogni
lettore, in base al proprio essere ed alla propria cultura, sarà in grado di
giudicare Maria Josè che considero una figura dimenticata dalla Storia che
purtroppo non è mai obiettiva…….
Lui resterà a Cascais, a Villa Italia, per ripercorrere le orme di Carlo Alberto, lei compera il castello di Merlinge, in Svizzera, e continueranno la loro vita separati, incontrandosi solo nelle occasioni ufficiali.
(oggi Hotel)
Saint-Pierre-de-Curtille, Francia
https://www.flickr.com/photos/marco_ottaviani/5489829204
"Era Maria Josè l'uomo di famiglia".
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