Gli Agrumi nell'Arte
Gli agrumi sono piante originarie dell’estremo Oriente e dell’India; nonostante oggi siano comunissimi, la coltivazione delle varie specie arriva in Europa molto tardi e in tempi diversi, prevalentemente grazie agli Arabi, che ne introducono la coltivazione in Sicilia nel X secolo.
E’ attestato che i Greci e i Romani ne conoscessero l’esistenza, ma non dovevano essere molto diffusi, e non si hanno prove che gli agrumi venissero coltivati.
Sono piante sempreverdi, quindi incorruttibili, i cui frutti crescono al sole.
Per questo gli agrumi sono stati associati al passo Biblico dei Salmi, in cui si dice che l’uomo retto sarà come l’albero le cui foglie non cadono mai. Come la maggior parte dei frutti e dei fiori, gli agrumi hanno un significato simbolico, usato in arte con un significato iconologico:
- Arancia - costituisce da sempre un simbolo positivo, e in molte culture ha assunto una simbologia legata al paradiso; l’albero, a volte, viene identificato con quello del bene e del male, per cui a volte allude al peccato originale, altre alla salvezza che segue alla Passione di Cristo. In questo secondo caso l’arancia può comparire come simbolo iconografico nelle mani di Cristo, al posto della mela, in particolare nei dipinti fiamminghi; la parola olandese che indica l’arancia, infatti, è sinaasappel, la cui traduzione è “mela cinese”.
I fiori d’arancio, che sbocciano tra aprile e maggio, sono tradizionalmente legati alla sposa e al matrimonio, e il loro colore, il bianco, indica la purezza e la verginità; traslato nella sfera cristiana, questo fiore (zagara) diventa attributo della Vergine, sposa di Cristo.
E’ attestato che i Greci e i Romani ne conoscessero l’esistenza, ma non dovevano essere molto diffusi, e non si hanno prove che gli agrumi venissero coltivati.
Sono piante sempreverdi, quindi incorruttibili, i cui frutti crescono al sole.
Per questo gli agrumi sono stati associati al passo Biblico dei Salmi, in cui si dice che l’uomo retto sarà come l’albero le cui foglie non cadono mai. Come la maggior parte dei frutti e dei fiori, gli agrumi hanno un significato simbolico, usato in arte con un significato iconologico:
- Arancia - costituisce da sempre un simbolo positivo, e in molte culture ha assunto una simbologia legata al paradiso; l’albero, a volte, viene identificato con quello del bene e del male, per cui a volte allude al peccato originale, altre alla salvezza che segue alla Passione di Cristo. In questo secondo caso l’arancia può comparire come simbolo iconografico nelle mani di Cristo, al posto della mela, in particolare nei dipinti fiamminghi; la parola olandese che indica l’arancia, infatti, è sinaasappel, la cui traduzione è “mela cinese”.
I fiori d’arancio, che sbocciano tra aprile e maggio, sono tradizionalmente legati alla sposa e al matrimonio, e il loro colore, il bianco, indica la purezza e la verginità; traslato nella sfera cristiana, questo fiore (zagara) diventa attributo della Vergine, sposa di Cristo.
Madonna dell’arancio tra i Santi Ludovico da Tolosa e Girolamo (1496-98)
di Cima
da Conegliano.
Galleria di Venezia.
Sacra Famiglia (1520) di Joos van
Cleve, all’Ermitage.
Commiato di Cristo alla Madre (1521)
di Lorenzo Lotto alla Gemaldegalerie di
Berlino.
-
Limone - probabilmente
da identificarsi con i mitici “pomi d’oro” delle Esperidi, rubati da Ercole nel
loro giardino, è associato nella tradizione cristiana all’immagine della Vergine
Maria. Frutto dal profumo dolce e delicato, è infatti ricco di
numerose proprietà curative, tra cui quella di guarire dai veleni. Proprio
questa caratteristica, associata al fatto che cresce sotto i raggi del sole, ha
fatto si che il limone venisse associato anche alla salvezza,
mentre quella di essere un frutto che viene prodotto lungo tutto l’arco
dell’anno, con continuità, gli è valsa la simbologia della fedeltà
d’amore.
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SANDRO BOTTICELLI
(Firenze, 1 marzo 1445
– Firenze, 17 maggio 1510)
“PRIMAVERA”
Data:
1482 circa
Tecnica
: Dipinto a tempera su tavola
Misura:
(203 x 314) cm
Committenza
: Lorenzo di Pierfrancesco dè Medici (cugino di secondo grado del Magnifico)
(Prima nel palazzo di via Larga per essere poi trasferito nella Villa Medicea
di Castello, dove venne visto dal Vasari nel 1500)
Ubicazione
: Galleria degli Uffizi – Firenze.
Un
dipinto dallo straordinario fascino e dal mistero non ancora svelato.
La
creazione del dipinto sarebbe legata alle nozze di Lorenzo con Semiramide
Appiani. L’allegoria di Venere, al centro del dipinto, sarebbe legata ad un
oroscopo di Lorenzo. Queste tesi è confermata da una lettera di Marsilio Ficino
indirizzata al Botticelli dove lo esortava a ispirare
” il proprio agire
alla configurazione astrale che ne dominava il tema natale,
cioè a Venere e a
Mercurio”.
In
un ricco e ombroso boschetto, che sembra formare un esedra, vi sono alberi di
aranci colmi di frutti sullo sfondo di un cielo dallo splendido colore
azzurrino. Vi sono disposti nove personaggi disposti in modo simmetrico
rispetto alla figura centrale, la donna con il drappo rosso e verde e dalla
veste setosa. Il suolo è arricchito da un verde prato e da una grande infinità
di specie vegetali: nontiscordardimé, iris, fiordaliso, ranuncolo, papavero,
margherita, gelsomino, viola.
L’opera
è ambientata in un boschetto di aranci, il Giardino degli Esperidi, e va letta
da destra verso sinistra probabilmente perchè la collocazione dell’opera
nell’ambiente imponeva una visione preferenziale da destra.
Zefiro
(o Borea), vento di primavera che piega gli alberi, rapisce per amore la ninfa
Clori mettendola incinta. Da quest’ atto rinasce trasformata in Flora che è la
personificazione della stessa primavera. Una donna dallo splendido abito
fiorito che sparge sulla terra i fiori che porta in grembo. A ciò allude la
fila di fiori che inizia a formarsi dalla bocca di Clori durante il suo
rapimento. Al centro la figura di Venere, tra una cornice simmetrica di
arbusti, che sembra sorvegliare, dirigere gli eventi. Cosa rappresenta ?
L’amore più puro… più alto. Sopra di lei il figlio Cupido, mentre a sinistra si
trovano le sue tradizionali tre compagne vestite da veli leggerissimi cioè Le
Grazie. Grazie che esprimono una danza armoniosa come si deduce dal muoversi,
quasi ritmato, delle braccia e dall’intreccio delle dita. Chiude il gruppo
Mercurio, dai tipici calzari, che col caduceo scaccia le nubi per mantenere
un’eterna primavera.
Il
quadro ha anche un suo segreto che forse non potrà mai essere svelato anche se
la critica sembra avere fatto luce sulla vicenda.
Secondo un inventario mediceo del 1498 si è ipotizzato che il quadro fosse stato commissionato inizialmente da Giuliano dè Medici per la nascita del figlio Giulio (papa Clemente VII) che aveva avuto da Fioretta Gorini con cui s’era sposato segretamente nel 1478. Giuliano morì nella congiura dei “Pazzi” attuata contro il fratello in quello stesso anno e un mese prima della nascita del figlio Giulio. Il quadro venne riciclato dal cugino Lorenzo per celebrare le nozze con Semiramide Appiani. Infatti nel quadro, già iniziato, venne inserita l’Appiani, una donna dalla straordinaria bellezza. Il gruppo di destra rappresenta:
- Venere.. Fioretta Gorini (nel quadro originario) poi l’Amore Universale;
- Mercurio … Lorenzo di Pierfrancesco;
- Tre Grazie… l’Amore Spirituale (la Grazia al centro avrebbe le sembianze di Semiramide Appiani), puro, elevato…
- Zefiro – Cloris – Flora…L’Amore Materiale, carnale.
Anche i fiori presenti nell’opera avrebbero un loro significato:
- Fiordalisi –margherite – nontiscordardimé… alludono alla donna amata
- I fiori d’arancio sugli alberi così come la borrana sul prato…. Sono un simbolo di felicità matrimoniale;
Naturalmente ogni dipinto o espressione artistica è soggetta a varie interpretazioni. La “Primavera” venne letta anche come espressione d’amore, nei suoi diversi gradi. Un amore che riesce a staccare l’uomo dal mondo terreno per avviarlo a quello spirituale. (Panofsky).
La scena sarebbe collocata nel giardino sacro di Venere, a Cipro, come testimoniano le piante di mirto alle sue spalle, tipiche dell’isola, e la presenza di Cupido. . Mercurio a sinistra sarebbe il custode del giardino, infatti tiene in mano un caduceo per scacciare le nubi della pioggia. Le tre Grazie rappresenterebbero le liberalità. La dea Flora, divinità della giovinezza e della fioritura. Zefiro e Cloirs alluderebbero alla forza del’amore sensuale e irrazionale che è però fonte di vita (Flora). Grazie alla mediazione di Venere ed Eros, l’amore si trasforma in qualcosa di più perfetto (le tre Grazie), per poi spiccare il volo verso le sfere celesti guidato da Mercurio.
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DOMENICO VENEZIANO
(Venezia,
1410 - Firenze, 15 maggio 1461)
Pala
di Santa Lucia dè Magnoli
Data:
1445
Tecnica:
tempera su tavola
Dimensioni
: “209 x 216) cm
Ubicazione
: Gallaria degli Uffizi, Firenze.
Il
tema è la “Sacra Conversazione con i Santi Francesco. Giovanni Battista, Zanobi
e Lucia”. L’opera è firmata sul gradino inferiore:
“ OPVS
DOMINICI DE VENETIIS HO[C] MATER DEI MISERERE MEI DATVM EST”
PER DOMENICO DI
VENEZIA, LA MADRE DI DIO MI HA DATO MISERICORDIA. (?)
ed
è espressione della pittura rinascimentale fiorentina. La grande pala era in
origine posta sull’altare maggiore della chiesa di Santa Lucia dei Magnoli a
Firenze ed era completata dalla predella che è distribuita
tra i musei di Washington, Berlino e Cambridge. La predella è una fascia dipinta
divisa in più riquadri che di solito faceva da corredo alle pale dell'altare dipinte su legno. La sua funzione era quella di coprire lo zoccolo
inferiore della cornice e dall’altro di corredare con scene secondarie la
pittura principale.
È
uno dei rari esempi di pala moderna dell’antichità senza cioè gli scomparti e
senza lo sfondo colore oro dei polittici medievali. Questo malgrado
l’ambientazione con i tre archi a sesto acuto, le colonnette e le nicchie a
conchiglia che porterebbe l’osservatore a considerarla una espressione a scomparti…
ma è solo una suggestione ottica. L’autore si avvalse di un avanzata conoscenza
della prospettiva geometrica legata a tre punti di fuga su cui convergono tutte
le linee orizzontali comprese quelle del pavimento intarsiato di marmi.. E’ un
espressione di modernità e tradizione legata agli archi a sesto acuto e a tutto
sesto nelle nicchie dall’aspetto classico tra le quali figura la Madonna in
trono con il Bambino. La luce che si estende dall’alto illumina dolcemente i
personaggi. Una luce che entra dal cortile aperto dietro il quale si presenta
un giardino su cui spiccano i rami di tre aranci sullo sfondo del cielo
azzurro.
I
Santi presenti sono San Giovanni Battista e San Zanobi, protettori della città
di Firenze e della sua diocesi; Santa Lucia titolare della Chiesa e San
Francesco che visitò la chiesa quando giunse a Firenze nel 1211.
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BARTOLOMEO
BIMBI
(Settignano,
15 maggio 1648 – Firenze, 14 gennaio 1729)
Melamgoli,
limoni e limette
Data:
1715
Tecnica
: Olio su tela
Misure
: (174 x 233) cm
Ubicazione
: Poggio a Caiano, Museo della Natura Morta
Espresse
la sua arte nel genere della “Natura morta” prima al servizio di Cosimo III dè
Medici e poi della figlia Maria Luisa dè Medici.
Il granduca trovò nell’artista un valido collaboratore nella sua passione di catalogazione, con l’arte pittorica, di specie botaniche e animali. L’artista collaborò con il botanico di corte, Antonio Micheli.
Le sue tele furono destinate alle ville dell’Ambrogiana e della Topaia. Fu autore della “Collezione Medici Cirtus) e un importante nucleo delle sue opere, sono conservate nel Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze (Sezione Botanica) mentre altre si trovano al Museo della Natura Morta nella Villa Medicea di Poggio a Caiano.
Il granduca trovò nell’artista un valido collaboratore nella sua passione di catalogazione, con l’arte pittorica, di specie botaniche e animali. L’artista collaborò con il botanico di corte, Antonio Micheli.
Le sue tele furono destinate alle ville dell’Ambrogiana e della Topaia. Fu autore della “Collezione Medici Cirtus) e un importante nucleo delle sue opere, sono conservate nel Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze (Sezione Botanica) mentre altre si trovano al Museo della Natura Morta nella Villa Medicea di Poggio a Caiano.
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EDOUARD MANET
(Parigi, 23 gennaio 1832
– Parigi, 30 aprile 1883)
Colazione
nell'atelier (Le Déjeuner dans l'atelier)
“Il Bar delle
Folies-Bergere (Un Bar aux Folies Bergere)
Data : 1881 – 82
Tecnica : Olio su tela
Dimensioni: (96 x 130 )
cm
Ubicazione: Courtauld
Gallery Londra
Edouard
Manet
Colazione
nell'atelier (Le Déjeuner dans l'atelier)
Datazione: 1868 –
Tecnica:Olio su tela.
Dimensioni: (1,18
x 1.53)m
Ubicazione: Neue Pinakothek –
Monaco.
É
una delle opere più elaborate mai
eseguite da Manet. Ne sono testimoni i diversi rimaneggiamenti, emersi con le
radiografie, che dimostrano come Manet avesse in precedenza effettivamente
ambientato la scena in un atelier, donde la denominazione del dipinto, per
poi ridipingere quella che era una parete vetrata con un muro scuro. Nonostante
il titolo, dunque, non vi è traccia di elementi riconducibili alla dimensione
dell'atelier, fatta eccezione per le varie armi e accessori orientaleggianti
disposti sulla sedia.
L'opera
raffigura un dopo pranzo. A destra vi è un signore intento a fumare, dallo
sguardo pensieroso e riflessivo, con un bicchiere di caffè in mano a mo'
di digestif (ad aver posato è un vicino di casa dello stesso Manet):
a sinistra, invece, sopraggiunge la cameriera con una caffettiera in mano,
pronta a servire i vari personaggi con altro buon caffè.
Il
vero protagonista della scena, tuttavia, è il ragazzo in primo piano: si tratta
di Léon Leenhoff, il presunto figlio di Manet, che guarda assorto al di fuori
del dipinto. È l'unica figura messa a fuoco dell'opera. È in
piedi, poggiato sul tavolo, veste un elegante completo à la page e
incrocia le gambe, anche se ciò non ci è dato completamente vederlo siccome il
margine inferiore della tela lo taglia all'altezza delle ginocchia. Sul tavolo,
infine, troviamo i resti del pasto appena consumato. Emerge con particolare
violenza il dettaglio del limone sbucciato, animato da un colore giallo
squillante che viene ripreso e variato nella cravatta del ragazzo. Questo fu un
particolare che Manet probabilmente desunse dai quadri di Jan Vermeer che
aveva ammirato ad Amsterdam e che probabilmente lo affascinò moltissimo.
Edouard Manet
Bar delle Folies Bergeres
Datazione: 1881 – 1882;
Tecnica: olio su tela – Dimensioni:
(0,96 x 1,30) m
Ubicazione: Coultrad Gallery – Londra
Il quadro rappresenta il
testamento spirituale dell’artista. Una descrizione del quotidiano; il gusto
per la natura morta; l’uso di colori privi di vivacità; la suggestione della
luce riflessa sullo specchio dietro il bancone. Anche lo sguardo della
cameriera è mesto. La figura si trova immersa in un ambiente malinconico che si
riesce a vedere grazie al gioco di luce riflessa dallo specchio. Il bar
raffigurato è un luogo d’incontro della borghesia del tempo ed era famoso per
le “follie” che vi accadevano come si può notare dal trapezista in alto a
sinistra. Un modo per esaltare la stravaganza di questo luogo. La luce penetra
attraverso i grande lampadari e che si riflettono sullo specchio e con l’utilizzo di colori puri illuminano la
scena. I colori sono molto delicati e permettono di dare risalto all’ambiente.
La barista sembra una professionista nel suo lavoro e alla sua sinistra si
trova un vassoio colmo di agrumi.
Il pittore isola alcuni
frutti, fiori e ortaggi che dispone su un supporto e su uno sfondo neutri,
ripone le stoviglie, disdegna gli oggetti. Questo non vuol dire che l'artista
trascuri la natura morta, quest'ultima, tuttavia, assume un altro aspetto,
acquisisce maggiore delicatezza ma anche trasparenza e fragilità.
Edouard Manet
Limone (1880)
Tecnica : olio su tela – Dimensioni: ( 14 x 22) cm.
Ubicazione: Museo d’Orsay
(Donato dal Conte Isaac de Camondo nel 1911 ?)
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Limone (1880)
Tecnica : olio su tela – Dimensioni: ( 14 x 22) cm.
Ubicazione: Museo d’Orsay
(Donato dal Conte Isaac de Camondo nel 1911 ?)
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CARAVAGGIO
(Milano, 29 settembre
1571 - Porto Ercole, 18 luglio 1610)
“La Canestra di frutta” (nota anche con il termine antico di
“Fiscella”)
Tecnica : dipinto ad
olio su tela
Misura : (31 x 47 ) cm
Ubicazione: Pinacoteca
Ambrosiana di Milano
Cattura di Cristo.
Datazione, 1602 - Tecnica: olio su tela;
Misure: (1,33 x 1,69) m - Ubicazione: National Gallery of Ireland, Dublino
Il ritratto del Caravaggio, in alto a destra.
Datazione, 1602 - Tecnica: olio su tela;
Misure: (1,33 x 1,69) m - Ubicazione: National Gallery of Ireland, Dublino
Il ritratto del Caravaggio, in alto a destra.
Siracusa.
Il Seppellimento di Santa Lucia.
L’immagine del Caravaggio è cerchiata.
Il Seppellimento di Santa Lucia.
L’immagine del Caravaggio è cerchiata.
Indagini recenti
avrebbero dimostrato come il dipinto sia stato realizzato su una tela di
recupero. Questa era una consuetudine del periodo romano quando il Caravaggio
dipingeva direttamente su precedenti pitture. Questo comportamento era anche
legato alla povertà di mezzi in possesso dell’artista prima del protettorato
presso il cardinale.
Lo stesso Borromeo desiderava avere un pendant della Canestra, ma non ne trovò alcuna. Egli stesso scrisse:
Il quadro appartenne al Borromeo fin dal 1607. Era appassionato dell’arte “Natura morta” e possedeva una grande galleria con espressioni di artisti famosi.
C’è una grande naturalezza nel quadro: la mela buona e quella bacata, le foglie secche, il cesto di vimini. C’è un grande rapporto con la realtà espressa anche attraverso le forme, i colori e la luce. Una luminosità che allude alla bellezza della natura sempre spontanea.
Ci sono dei particolari nel quadro che fanno riflettere come sempre avviene nelle espressioni artistiche del grande Caravaggio.
Lo sfondo è completamente assente e questo fa capire che il soggetto non è stato ripreso dal vero. L’artista ha operato una sintesi per concentrare tutta l’attenzione dell’osservatore sul primo piano (il canestro di frutta).
L’inquadratura del canestro è decentrata per dare spazio alle foglie secche…. Come per esprimere il suo concetto che anche quelle foglie secche sono importanti.
La mela buona è quasi nascosta da quella bacata… è messa davanti e ben in vista. Inoltre il cesto è posato sull’orlo del tavolo, in bilico e non al centro per alludere ad un senso di precarietà, transitorietà. Anche il punto di vista è strano: è esattamente perpendicolare al bordo del tavolo. Una visione privilegiata, anomala. Il quadro è un allegoria, allude al tema della Vanitas.
Il concetto della natura effimera della vita e delle cose terrene. un bene effimero destinato a svanire nel tempo.
Sono riflessioni su cui si soffermarono spesso i due cardinali, soprattutto il Borromeo.
L’accezione religiosa è confermata dall’uso della luce. Il colore caldo e dorato, brillante, della luce allude alla presenza divina secondo una tradizione artistica bizantina. Ogni oggetto è reso vivo dall’azione della luce “divina” che avvolge ogni soggetto e che crea particolari aspetti: riflessi, trasparenze, bagliori. Una luce che invade interamente lo spazio dato che il canestro occupa solo metà del quadro. La metà superiore del quadro è occupata da questo colore giallo oro. Un allusione alla presenza di Dio e alla salvezza nella vita eterna. È il regno dello spirito che si contrappone alla natura terrena delle cose… il concetto di trascendenza.
Il cesto di vimini è rappresentato come se si trovasse in alto rispetto allo sguardo di un ipotetico spettatore, come se fosse posto su di una tavola da cui dà l'impressione di sporgere lievemente. La scelta di questo taglio permette alla composizione di far emergere la natura morta attraverso l'uso di uno sfondo chiaro, uniforme e luminoso; la luce sembra provenire da una fonte naturale e svela le gradazioni di colore che differenziano gli acini verdi in primo piano e quelli già molto maturi nel grappolo posto dietro la mela bacata (che simboleggia la precarietà delle cose e il trascorrere del tempo), creando un effetto illusionistico di tridimensionalità dell'immagine. La frutta diventa la protagonista del quadro e acquista un significato ambiguo: all'apparenza fresca e fragrante ma, facendo attenzione, comincia in realtà a marcire, a rinsecchirsi. L'artista paragona così la brevità della giovinezza e dell'esistenza umana alla maturazione della frutta e dei fiori.
I frutti sono tutti legati alla simbologia cristologica, a presagire la passione di Cristo. Le nature morte erano originariamente due: una legata al culto mariano ed una legata a Cristo. Tuttavia la figura del cesto trova nel Cantico dei Cantici il suo modello ispiratore ed è simbolo della sposa, ossia della Chiesa. Il suo sporgere in avanti verso lo spettatore è un segno di offerta di sé nei confronti dell'umanità. Bisogna ricordare che il committente era il cardinale Federico Borromeo il quale coglieva questo riferimento biblico celato ai più all'epoca.
Il realismo è soltanto apparente, poiché sono rappresentati insieme frutti di stagioni diverse.
L’uva rappresenta Cristo, in particolare il suo sangue, ma allo stesso tempo ci riporta a Bacco, dio del vino e quindi dei piaceri della vita. La pera, per la sua forma, secondo gli antichi greci era la rappresentazione della donna per eccellenza e anche qui abbiamo un riferimento ai piaceri della vita, cioè quelli carnali. Il fico è il simbolo della protezione e della salvezza. Per la pesca bisogna far riferimento allo scritto latino Naturalis historia di Plinio il Vecchio, il quale ritiene che questo frutto sia costituito da tre parti: polpa, nocciolo e seme, quindi un simbolo trinitario che assume valenza simbolica nel momento in cui si fa riferimento all’essere umano che è formato da carne, ossa e anima. La mela è il frutto collegato al peccato originale: in primo piano c’è una mela che sta marcendo ed è un invito a godere della vita. Il limone simbolo di salvezza e fedeltà d’amore.
Per quanto riguarda la luce, invece, sembra arrivare da sinistra e svanire verso destra. Anche le foglie e la frutta sembrano vive nel momento in cui vengono colpite dalla luce e rinsecchirsi lì dove la luce finisce, quasi a rappresentare il passaggio tra la vita e la morte.
Lo stesso Borromeo desiderava avere un pendant della Canestra, ma non ne trovò alcuna. Egli stesso scrisse:
"poiché nessuna raggiungeva la bellezza di questa e la sua
incomparabile eccellenza,
è rimasta solitaria".
Il dipinto fu realizzato
intorno al 1597 quando l’artista si trasferì da Milano a Roma per lavorare con
il Cavalier d’Arpino. D’Arpino è un pittore modesto ma famoso, con la sua
bottega nella città romana. Il Caravaggio venne notato per il suo talento dal
cardinale Francesco Maria del Monte che lo invitò nel suo palazzo per esprimere
la sua arte. Il cardinale gli richiese un quadro da regalare al Cardinale
Federico Borromeo di Milano. Quadro che
si trova all’Ambrosiana, la famosa biblioteca che fu fondata dallo stesso
Borromeo. I due cardinali erano amici e condividevano la stessa passione per la
pittura, l’alchimia . passione arricchita da preziosi scambi culturali. Il
cardinale Borromeo era parente di Costanza Colonna, marchesa di Caravaggio e
che aveva al suo servizio il padre dell’arista. I Colonna da sempre avevano
protetto il pittore e continuarono a farlo.Il quadro appartenne al Borromeo fin dal 1607. Era appassionato dell’arte “Natura morta” e possedeva una grande galleria con espressioni di artisti famosi.
C’è una grande naturalezza nel quadro: la mela buona e quella bacata, le foglie secche, il cesto di vimini. C’è un grande rapporto con la realtà espressa anche attraverso le forme, i colori e la luce. Una luminosità che allude alla bellezza della natura sempre spontanea.
Ci sono dei particolari nel quadro che fanno riflettere come sempre avviene nelle espressioni artistiche del grande Caravaggio.
Lo sfondo è completamente assente e questo fa capire che il soggetto non è stato ripreso dal vero. L’artista ha operato una sintesi per concentrare tutta l’attenzione dell’osservatore sul primo piano (il canestro di frutta).
L’inquadratura del canestro è decentrata per dare spazio alle foglie secche…. Come per esprimere il suo concetto che anche quelle foglie secche sono importanti.
La mela buona è quasi nascosta da quella bacata… è messa davanti e ben in vista. Inoltre il cesto è posato sull’orlo del tavolo, in bilico e non al centro per alludere ad un senso di precarietà, transitorietà. Anche il punto di vista è strano: è esattamente perpendicolare al bordo del tavolo. Una visione privilegiata, anomala. Il quadro è un allegoria, allude al tema della Vanitas.
Il concetto della natura effimera della vita e delle cose terrene. un bene effimero destinato a svanire nel tempo.
Sono riflessioni su cui si soffermarono spesso i due cardinali, soprattutto il Borromeo.
L’accezione religiosa è confermata dall’uso della luce. Il colore caldo e dorato, brillante, della luce allude alla presenza divina secondo una tradizione artistica bizantina. Ogni oggetto è reso vivo dall’azione della luce “divina” che avvolge ogni soggetto e che crea particolari aspetti: riflessi, trasparenze, bagliori. Una luce che invade interamente lo spazio dato che il canestro occupa solo metà del quadro. La metà superiore del quadro è occupata da questo colore giallo oro. Un allusione alla presenza di Dio e alla salvezza nella vita eterna. È il regno dello spirito che si contrappone alla natura terrena delle cose… il concetto di trascendenza.
Il cesto di vimini è rappresentato come se si trovasse in alto rispetto allo sguardo di un ipotetico spettatore, come se fosse posto su di una tavola da cui dà l'impressione di sporgere lievemente. La scelta di questo taglio permette alla composizione di far emergere la natura morta attraverso l'uso di uno sfondo chiaro, uniforme e luminoso; la luce sembra provenire da una fonte naturale e svela le gradazioni di colore che differenziano gli acini verdi in primo piano e quelli già molto maturi nel grappolo posto dietro la mela bacata (che simboleggia la precarietà delle cose e il trascorrere del tempo), creando un effetto illusionistico di tridimensionalità dell'immagine. La frutta diventa la protagonista del quadro e acquista un significato ambiguo: all'apparenza fresca e fragrante ma, facendo attenzione, comincia in realtà a marcire, a rinsecchirsi. L'artista paragona così la brevità della giovinezza e dell'esistenza umana alla maturazione della frutta e dei fiori.
I frutti sono tutti legati alla simbologia cristologica, a presagire la passione di Cristo. Le nature morte erano originariamente due: una legata al culto mariano ed una legata a Cristo. Tuttavia la figura del cesto trova nel Cantico dei Cantici il suo modello ispiratore ed è simbolo della sposa, ossia della Chiesa. Il suo sporgere in avanti verso lo spettatore è un segno di offerta di sé nei confronti dell'umanità. Bisogna ricordare che il committente era il cardinale Federico Borromeo il quale coglieva questo riferimento biblico celato ai più all'epoca.
Il realismo è soltanto apparente, poiché sono rappresentati insieme frutti di stagioni diverse.
L’uva rappresenta Cristo, in particolare il suo sangue, ma allo stesso tempo ci riporta a Bacco, dio del vino e quindi dei piaceri della vita. La pera, per la sua forma, secondo gli antichi greci era la rappresentazione della donna per eccellenza e anche qui abbiamo un riferimento ai piaceri della vita, cioè quelli carnali. Il fico è il simbolo della protezione e della salvezza. Per la pesca bisogna far riferimento allo scritto latino Naturalis historia di Plinio il Vecchio, il quale ritiene che questo frutto sia costituito da tre parti: polpa, nocciolo e seme, quindi un simbolo trinitario che assume valenza simbolica nel momento in cui si fa riferimento all’essere umano che è formato da carne, ossa e anima. La mela è il frutto collegato al peccato originale: in primo piano c’è una mela che sta marcendo ed è un invito a godere della vita. Il limone simbolo di salvezza e fedeltà d’amore.
Per quanto riguarda la luce, invece, sembra arrivare da sinistra e svanire verso destra. Anche le foglie e la frutta sembrano vive nel momento in cui vengono colpite dalla luce e rinsecchirsi lì dove la luce finisce, quasi a rappresentare il passaggio tra la vita e la morte.
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JEAN CAPEINICK
(Belgio: 1838 – 1890)
“Arance e Limoni”
Tecnica: Olio su pannello
Misura : (45,1
x 64,5) cm
Collezione Privata
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TOMMASO REALFONSO (detto MASILLO)
(Napoli, 1667 -
?, 1743)
Tecnica : Olio su tela
Scuola Napoletana
Misura : ( 50 x 76) cm
Datazione: primo quarto del XVII secolo
Collocazione : (Sala XIV – Museo Civico- Napoli ) ?
È firmato in basso a sinistra anche se manca la “R” forse a causa di qualche
ritocco sbagliato. La paternità non è stata comunque messa in discussione dai
critici. Un cesto di vimini inclinato, avvolto dolcemente dalla luce da cui si
rovesciano agrumi di ogni tipo, interi e tagliati. Un piccolo uccello è
appoggiato su foglie scure di fico mentre spicca un piccolo ramo e boccioli di
fiori d’arancio ben evidenti in primo piano.
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VAN GOGH
(Zundert, 30 marzo 1853 - Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890)
“Piatto con limoni e bottiglia”
Tecnica: pittura ad olio su tela
Datazione: 1887
Misura : (46 x 38 ) cm
Ubicazione: Rijksmuseum Vincent Van Gogh – Amsterdam
(L’opera è firmata dall’artista)
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GIOVANNA GARZONI
(Ascoli Piceno, 1600 – Roma, 10/15 febbraio 1670)
“Scodella di Limoni”
Datazione 1640
Tecnica: tempera su pergamena
Misura: (30 x 40 ) cm
Ubicazione ?
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FRANCISCO DE ZURBARAN
(Fuente de Cantos, 7 novembre 1598 – Madrid, 27 agosto 1664)
“Limoni, arance e una rosa”
Datazione: 1663
Tecnica : Olio su tela
Misura: (60 x 107) cm
Ubicazione : Pasadena, Norton Simon Museum
(Fuente de Cantos, 7 novembre 1598 – Madrid, 27 agosto 1664)
“Limoni, arance e una rosa”
Datazione: 1663
Tecnica : Olio su tela
Misura: (60 x 107) cm
Ubicazione : Pasadena, Norton Simon Museum
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DOMENICO GHIRLANDAIO
(Firenze, 1449 – Firenze, 11 gennaio 1494)
“Ultima Cena”
Datazione: 1480
Tecnica : Affresco
Misura : (400 x 810 ) cm
Ubicazione : Museo del Cenacolo di Ognissanti – Firenze
Attraverso le due aperture oltre la spalliera
degli apostoli si vedono le cime degli alberi di un giardino, in cui volano
numerosi uccelli. Si tratta di precisi elementi simbolici, legati ai temi della
Passione e Resurrezione di Cristo: la palma del martirio, le melograne e le
rose rosse (nel vaso), simboli del sangue; le coppie di uccelli in volo, simbolo dei
cicli della natura che si rinnovano; il
pavone, simbolo di immortalità ( ogni anno il pavone perde le penne e le
riacquista in primavera. Simbolo quindi di rinascita spirituale e di
rendenzione).. Si vedono poi un falco
sulla sua preda, un'anatra e dei cardellini. Tra i cespugli si riconoscono anche
agrumi, mele e datteri. (Il Limone…. La
tradizione cristiana associa l’immagine della pianta a quella di Maria). Alcuni
di questi frutti si trovano anche sulla tavola degli apostoli, ad eccezione
delle ciliegie (altro frutto rosso), che non hanno un corrispettivo nel
giardino. Ciliegie che rappresentano la redenzione dell’uomo tramite il sangue
del Cristo.
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DOSSO DOSSI (Giovanni di Niccolò de Lutero)
“Scena Mitologica”
(San Giovanni del Dosso, 1490 – Ferrara, 1542)
Tecnica : Olio su tela
Misura: (163,8 x 145,4 ) cm
Ubicazione: Getty Center, Museum
North Pavilion ?
Il limone è anche simbolo di fedeltà amorosa per la sua proprietà
di produrre frutti tutto l’anno.
Un aspetto che risalta nel quadro. In un lussureggiante bosco si
nota una giovane distesa su un letto di fiori. Dalla critica questa figura è
stata associata ad Eco, la ninfa che fu respinta da Narciso. Sotto l’albero di
limoni c’è seduto Pan, dio dei boschi e dei pastori e in nano tiene una siringa
( flauto -suo attributo). I putti in alto sono da collegare all’antica
iconografia degli erotici greci e presenti nella pittura pompeiana. Il Dossi
nella sua espressione si collega al Giorgione sia per i toni azzurrini del paesaggio,
per effetto della foschia, sia nella fanciulla sdraiata che è un omaggio alla
“Venere dormiente” proprio del maestro
Giorgione. Sembra che il dipinto sia stato tagliato di circa 15 cm sulla
sinistra forse per adattarlo ad una cornice (in alto a sinistra appare il
braccio di un sesto putto). Ma il quadro rivela anche un altro aspetto. Le
radiografie hanno rilevato la presenza di un uomo nascosto nella parte
inferiore, a sinistra del paesaggio, e diversi pentimenti, tra cui un’ armatura
e una spada appesi all’albero, un violoncello vicino alla donna dallo scialle
rosso e lo sguardo diretto verso il basso della donna anziana.
(Il “pentimento” nell’arte è una modifica in corso d’opera che un
artista mette in atto per mascherare la versione precedente che non ritiene
adatta al tema. Questi cambiamenti sono spesso nascosti con più strati di
colore o con sottili differenze di tonalità del colore. A volte questi
cambiamenti sono visibili ad occhio nudo ma nei gradi artisti sono necessari
degli esami ai raggi x per rilevarne la presenza.)
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ALEXANDER GIERYMSKI
“Donna Ebrea che vende arance”.
Datazione 1880 – 1881.
Tecnica: Olio su tela.
Dimensioni: (66 x 55) cm.
Ubicazione: Museo Nazionale – Varsavia
Un dipinto caratterizzato da
un grande realismo ed una sensibilità
artistica.
Una donna ebrea anziana, vestita con abiti molto modesti e con una cuffia. Ricama mentre è intenta a vendere delle arance.
Il dipinto cattura l’attenzione soprattutto per il volto della donna da cui traspare un forte senso di stanchezza e rassegnazione. Sullo sfondo i tetti sfumati di Varsavia.
L’artista ha dimostrato una grande abilità nel saper catturare la realtà e le emozioni dei suoi soggetti.
Un’opera importante nel panorama artistico europeo.
Una donna ebrea anziana, vestita con abiti molto modesti e con una cuffia. Ricama mentre è intenta a vendere delle arance.
Il dipinto cattura l’attenzione soprattutto per il volto della donna da cui traspare un forte senso di stanchezza e rassegnazione. Sullo sfondo i tetti sfumati di Varsavia.
L’artista ha dimostrato una grande abilità nel saper catturare la realtà e le emozioni dei suoi soggetti.
Un’opera importante nel panorama artistico europeo.
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Vito D’Ancona
“La venditrice Siciliana di Arance”.
Datazione: 1870
Tecnica: olio su tela.
Dimensioni: (73 x 60) cm
Ubicazione: collezione privata.
L’opera
fu esposta nel 1870 al Salon de Paris, riscuotendo un grande successo.
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Questa immagine
in molte zone della Sicilia è ormai
espressione del passato.
Nella piana di Catania e lungo la superstrada Catania
Ragusa s’incontrano vasti agrumeti ormai in abbandono da anni.
Un abbandono che dal 2018 è progressivamente aumentato di anno in anno.
Le cause: molteplici.
- il consistente e continuo calo dei prezzi di vendita delle produzioni, nonostante un generale, continuo e spesso marcato innalzamento delle quotazioni al consumatore;
- la diffusione a tappeto del Citrus tristeza virus, che ormai non ha più confini e che azzera ogni reddito degli agrumicoltori;
- I costi di produzione sono un altro grande problema che inevitabilmente porta all'abbandono degli agrumeti. "Riguardo a questo elemento, si deve fare un distinguo: i costi di produzione veri e propri e quelli derivanti dalla tassazione".
- I costi di produzione elevati: fertilizzanti; prodotti fitosanitari; energia elettrica; costo degli operai; gasolio agricolo; acqua; costi per la sicurezza; la tassazione
Il settore agrumicolo siciliano è in crisi e malgrado tutto rappresenta i 2/3 della produzione nazionale di agrumi.
Un settore che rischia di essere smantellato a causa dell'abbandono dei terreni agricoli.
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