Torre di Canicarao - La Chiesa - Tra Storia e Ricordi.....





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La Storia della Chiesa;
Il cortiletto con mosaico;
I lavori di Mastro Vincenzo Mancino;
La chiesa, architettura ed arredo;
I reperti scomparsi?
La vita della Chiesa
Gesualdo Bufalino e Padre Tidona;
I miei momenti di vita a Canicarao.
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La Torre di Canicarao,  posta nel Comune di Comiso,  ha in sé tanti segreti che solo opportuni scavi potrebbero svelare.
Gli storici affermarono come nei restauri del 1980 furono rilevate tracce risalenti al XV secolo e cioè al periodo dei grandi Chiaramonte.
Forse un giorno pubblicherò la storia del Feudo di Canicarao con le sue immagini legate alla nobile famiglia Trigona, Marchesi di Canicarao e di Noto, e a quelle della gente umile.
Nello scrivere queste pagine rivedo in me momenti di gioia per i risultati allora ottenuti ma anche per tanti e tanti momenti di amarezza.
La Torre, struttura originaria dell’attuale “castello”  che pervenne ai Trigona, fu costruita dal Governatore della Contea di Modica, Don Paolo La Restia.
Nel mio girovagare per la Sicilia ho censito tanti castelli, torri,  ruderi, e molti avevano nella loro struttura originaria una piccola cappella. 


Canicarao
A destra del prospetto: la Torre.
A Sinistra: la Chiesa.
La Torre aveva una sua funzione strategica di controllo del territorio e di protezione per la comunità. In caso di attacchi nemici doveva essere in grado di accogliere i fuggitivi.
E’ logico domandarsi se fosse presente una cappella nella torre.
Non è facile dare una risposta a questa suggestiva, affascinante, ipotesi.
Al XV secolo risalirebbe la vecchia chiesa, con annesso convento che era ubicata sul pianoro, dove oggi è silenziosa spettatrice del vasto panorama la “masseria” o fattoria “La Stella”.
Una chiesa al di fuori della cinta muraria della Torre e forse dedicata a S. Elia. Una chiesa più volte citata e di cui si persero le tracce. Interrogando i vecchi massari e l’antico custode della Torre (l’indimenticabile Angelo Gulino soprannominato Don Angelo), venni a conoscenza di come la Soprintendenza fece degli scavi nella masseria trovando delle sepolture. Una finestra e un caratteristico arco (espressioni d’arte chiaramontana), in parte colmato da un riempimento, sarebbero le testimonianze della presenza di un antico cenobio. Ricordo di avervi portato sul sito il Direttore di un importante Museo Archeologico, ottenendo delle conferme. Il custode della Torre, una persona con cui ho condiviso tanti anni nella Torre  e che ricorderò sempre, mi parlò di due giovani che cercavano una “pietra impressa”.
Sulla pietra (una reliquia?) era impressa una mano. I due giovani la cercarono per giorni e alla fine ne trovarono solo una parte.
L’attuale Chiesa della Torre probabilmente fu edificata dopo il terremoto del 1693, quando il Marchese Trigona, Vincenzo, si trovò in presenza di una Torre lesionata ma non completamente distrutta.
Le mutate condizioni storiche determinarono, su progetto di Rosario Gagliardi, la nascita di un nuovo complesso edilizio dove la stessa Torre venne inglobata nell’architettura di un “castello” lontano dai canoni militari.  Una costruzione comunque fortificata, fu aggiunta una torre centrale e un’’altra all’estremità dov’è ubicata la cappella, legata alle concezioni latifondistiche del feudo. Una struttura chiusa da tutti i lati con fabbricati e con un’ ampia corte interna che assumeva il compito di “teatro” di una fiorente e viva attività agricola.

all'estrema sinistra del prospetto del fabbricto è unicata la Chiesa.
Il castello, rispettando il progetto dell’architetto Rosario Gagliardi, fu ultimato nel 1745.
Il 14 maggio del 1882 l’amministratore del Feudo, Don Luca Labisi, su mandato del Marchese Vincenzo Trigona, diede incarico al “mastro” Vincenzo Mancino, di operare dei restauri nella “vecchia” Chiesa.
Una chiesa quindi esistente e che doveva essere in precarie condizioni strutturali.
I lavori erano destinati alla “vecchia” chiesa e alla costruzione di un “nuovo” magazzino proprio sopra la cappella.
Quel termine “nuovo” s’intendeva come un locale desinato ad una nuova destinazione d’uso oppure di una sopraelevazione del piano terra che collegava la torre centrale con la torre della cappella?
I lavori che riguardavano la chiesa erano di ristrutturazione:
a) creazione di un piccolo vano destinato a sagrestia (vano ricavato sotto la scala che porta al nuovo magazzino);
b) pietra da taglio per la porta maggiore che da sul cortiletto, ancora non esistente, sulla strada dei “Pupi di Canicarao” che collegava il feudo con Comiso;
c) pietra dello zoccolo esterno della chiesa;
d) intonaco interno;
e) nuovo pavimento con relativa asportazione del vecchio.



Appena un anno dopo, nell’aprile del 1883, sempre su lavori eseguiti dal “Mastro” Vincenzo Mancino, venne intonacata esternamente la chiesa e ripristinato il muro esterno con relativo intonaco nella piccola corte, davanti alla porta maggiore della chiesa, posta sulla strada dei “Pupi di Canicarao”.
La piccola corte, prospiciente l’entrata alla chiesa, sarà oggetto di un nuovo intervento lavorativo con creazione di un mosaico con pietre di fiume.
Il mosaico è datato 1905. Al centro l’aquila Aragonese circondata da rombi. 



Davanti all’ingresso della chiesa un riquadro mosaicato con la scritta “Salve”.

 
Un mosaico danneggiato per l’incuria di chi avrebbe dovuto proteggerlo. Qui in questo piccolo cortiletto, grande appena 19 mq, veniva rinchiuso qualche cavallo delle persone che si fermavano nell’agriturismo (la Torre fu poi adibita ad agriturismo). Gli animali calpestando, con forza il mosaico, finirono con lo staccare le pietre e rovinare, in parte, la pregevole opera d’arte.
Di particolare valore è l’intonaco colorato sul muro di confine del piccolo cortile:
- la parte inferiore dal colore rosso, delimitata da una sottile linea di colore grigio;
- la parte superiore dal colore bianco perla delimitata da una sottile linea dal colore rosso.

(intonaco bianco con la sottile linea rossa)
L’intonaco rosso ricopriva le facciate delle antiche masserie del feudo e probabilmente del vecchio “castello”.
Tracce di questo colore sono visibili in alcune aziende: “Carciofi”, “Stella di Sotto”, “Ucciardo”, “Don Pietro”.

Il colore delle facciate, a torto, è considerato un elemento di architettura minore.
Nel tempo gli intonaci degli antichi fabbricati hanno acquistato uno spessore storico, ovvero un significato culturale rappresentativo di uno specifico ambito storico-culturale.
In virtù di questa considerazione il colore deve essere oggetto di studio ed elemento di governo del territorio.
Il cortile presentava un artistico cancello sulla strada dei “Pupi di Canicarao”. Un cancello collocato nei lavori eseguiti nell’aprile del 1883 ed era in precarie condizioni. Presentava due pilastri in pietra di Comiso, posta anche lungo i muri del cortile, nei quali erano inseriti  due riquadri intonacati.
Il cancello aveva bisogno di  restauri. Proprio davanti a quest’ingresso fu, ai suoi tempi, scaricato un camion di sabbia. Perché non scaricare la sabbia in un angolo del posteggio ?



 Il materiale penetrava nel piccolo cortiletto con il rischio di ricoprire il mosaico.
La cappella aveva, quindi, due ingressi: uno dal grande cortile della Torre e l’altro dal cortile che, come detto, dà sulla strada dei “Pupi di Canicarao”.

L’ingresso della Cappella dal Cortile.

Il portone dell’ingresso principale della Cappella.

La cappella presenta una superficie di 25 mq e un piccolo vano, di appena 1,65 mq, destinato a sagrestia.
L’architettura è a croce latina: una larghezza di m 3,70 ed una lunghezza di m 7,50.
L’area dell’altare è separata dalla platea dei fedeli da un piccolo gradino in pietra d’asfalto di Ragusa.
Il tetto è costituito da due volte a crociera che s’incontrano in corrispondenza dei due pilastri posti sul gradino.

(volta a crociera sull’assemblea).
Sul gradino era posta una balaustra in legno che separava l’altare dai fedeli. Erano  rimaste le tracce della sua antica esistenza  sulla pietra asfaltica.
Ritrovai nel vecchio deposito dell’arborea, un antico fabbricato posto a breve distanza della Torre, una parte della balaustra in legno che sicuramente appartenva all’impianto originario della chiesa.
Sarebbe stato opportuno ricollocarla nella cappella ricostruendo la parte mancante.
Una campana posta su un piccolo campanile collocato sul tetto del “nuovo” magazzino richiamava i mezzadri sparsi nelle varie tenute per i momenti di preghiera.
Una lunga catena, allora esistente, permetteva di azionare la campana dal cortile.


Una cappella piuttosto piccola per circa 30 posti a sedere.
La cappella prendeva luce da tre finestre, (due poste sul muro di mezzogiorno ed una sulla porta d’ingresso dal cortile) e da un grande finestrone, a “mezzaluna”, posto sulla porta d’ingresso del piccolo cortiletto.
Le tre finestre avevano i vetri scuri e chiari con disegni lineari.
Interpellai allora la Sovrintendenza di Siracusa per sapere se fossero stati eseguiti dei sondaggi sulla presenza o meno di cripte sotto l’attuale pavimento. La risposta fu negativa e solo appropriati sondaggi potrebbero svelare il segreto e, forse, accertare preesistenti strutture.






compute e ricevute dal Sig. Labisi per mese Maggio
giusta la nostra convenzione in saldo Maggio 1882   £  600
                 Vincenzo  Mancino
A 3 Giugno 1882
Più ricevo dal di Sig. Labisi come sopra in conto     £ 200
         Vincenzo Mancino
A 8 Giugno più ricevo in conto  …………………….  £   50
        Vincenzo Mancino
A 18 Giugno 1882 Più ricevo in conto ……………. £ 150
    Ed in saldo del mese Giugno     Totale ………..  £ 400
         Vincenzo  Mancino
A 2 Luglio 1882. più ricevo in conto …………….   £ 100
      Vincenzo  Mancino
 
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Nell’aprile del 1883 il procuratore del Marchese Vincenzo, Don Francesco Labisi, concorda con Vincenzo Mancino dei lavori alla Torre, alla Chiesa e ad alcune case delle Tenute dell’ex feudo.
“Lavori convenuti con Mastro Vincenzo Mancino in aprile 1883
  da compirsi a tutto Novembre d’anno





Per ironia della sorte, in quel “nuovo “ magazzino erano addossati ad una parete una montagna di documenti, carpette, disegni. Un giorno decisero di liberare quella parete e centinaia e centinaia di documenti, del XVIII – XIX secolo e forse più antichi, finirono nell’immondizia. Un patrimonio storico immenso andò distrutto. Cercai di scannerizzare quanti più documenti possibile ma era un lavoro immane. Ricordo di aver trovato un documento antichissimo che risaliva ad un certo Don Pietro di Mohac.. Nel feudo si trovava l’azienda detta di “Don Pietro”. Un documento che ho perduto quando un computer mi è andato in tilt.


Il pavimento del 1882

Il gradino in pietra asfaltica di Ragusa.

 IL QUADRO

Il quadro della Madonna, posto sull’altare, era firmato (in basso a sinistra): 
“ Pietro Lamonica fece”.

Ma chi era ?
Si dice che sia stato un prete che officiava spesso nella cappella per le messe domenicali o in occasione di particolari ricorrenze e festività.
Il quadro della Madonna dal punto di vista artistico sembra opera di un artista mediocre.
Particolarmente accurati sono il drappeggio e l’angioletto posto a destra dell’immagine della Madonna.
L’angelo posteriore  ha un braccio “deforme” e anche l’angioletto posto a sinistra della Madonna non è anatomicamente perfetto. Quest’ultimo tiene in mano uno specchio su cui è raffigurata l’immagine della Madonna.
Specchio, simbolo di vanità, come mai si presenta in un quadro religioso ?
Dietro l’angioletto si nota, sullo sfondo, l’arco della Terra.
Il significato simbolico del quadro diventa chiaro.
Lo specchio riflette l’immagine della Madonna al mondo.
Siamo nel 1900 – 1908, anno dell’accettazione del Dogma dell’Immacolata concezione, la Verginità della Madonna.
Lo stesso specchio ha la forma di un ostensorio; l’angioletto lo tiene in mano e lo eleva come nel rito di preghiera si eleva l’ostensorio davanti ai fedeli.
Il drappo rosso vuol dare all’Annunciazione il risalto del dogma.
“In cielo apparve una donna vestita di bianco con una corona di 12 stelle e con la luna sotto i suoi piedi e con i piedi schiaccia la testa del serpente”.
Madonna Immacolata perché concepita senza peccato originale.
Dogma cattolico secondo il quale la Vergine Maria
“nel primo istante della sua concezione, per grazia e privilegio concessole da Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, fu preservata da ogni macchia di peccato originale” (dalla Bolla “Inffabilis” del 1854 con la quale Papa Pio IX proclamò tale dogma di fede cattolica).
Mi sembra che la Madonna in un verso appaia come immagine speculare del mondo (altro collegamento con lo specchio).
Alcuni mezzadri, che vissero nel feudo, mi rilevarono che in origine sull’altare era presente un’altra tela con la raffigurazione della Madonna.. L’autore era La Leta detto “U mutu” di Comiso.  
Giuseppe La Leta (1841-1923), un pittore sordomuto famoso per i suoi ritratti, pale d’altare, scene mitologiche e paesaggi.
Autoritratto del giovane Giuseppe La Leta.

Il quadro della Chiesa di Canicarao.


L’ALTARE


I MARMI

- MARMO NERO – PORTORO (colore nero verde) Marmo nero con venature giallo – oro vecchio di quasi 200 milioni di anni (?)  molto pregiato. Il marmo portoro è infatti collocato al terzo posto nella categoria dei marmi.
- Il colore nero dipende dall’abbondante presenza di sostanza organica mentre le striature dorate sono la conseguenza di un parziale processo di dolomitizzazione che ha distrutto, ossidandola, la sostanza organica. L’attività estrattiva di questo marmo risale all’epoca romana. Venne rivalutato nel XVI secolo dallo scultore genovese Domenico Casella che ottenne dal senato di Genova la concessione dello sfruttamento della roccia. Da quel momento l’isola di Palmari , come il vicino isolotto del Tino, Porto Venere e le sue frazioni, cominciarono a vedere il sorgere di cave. L’estrazione nell’isola era più difficoltosa rispetto a quella eseguita nella terraferma, dato che la cava iniziava da pochi metri sul livello del mare per poi sprofondare fin sotto il livello del mare. Era necessario, quindi, all’inizio di ogni giornata, prima di cominciare il lavoro, estrarre l’acqua che durante la notte entrava dentro le gallerie della cava. All’inizio dell’Ottocento il marmo venne esportato in molti paesi dell’Europa ed anche in America (la sala di proiezione della Paramount è interamente rivestita di marmo portoro). Delle trenta cave censite nel 1862, di cui cinque nella sola isola di Palmaria, ne rimangono aperte solo due con una varietà di calcare di età triassica dal colore nero con venature giallo oro. L’isola di Palmaria, insieme all’isola del Tino e del Tinetto, costituiscono l’arcipelago di Porto Venere (La Spezia). La parola “Portoro” è forse l’unione di Port (are) e oro.


Portoro

L’isola di Palmaria – La cave di marmo Portoro
La parte inferiore dell’altare ha dei riquadri delimitati da una striscia di marmo “Verde Alpi” simile al marmo “Serpentino”.
La parte restante dell’altare è costituito da marmo “Bianco di Carrara” e da splendide lastre di marmo “Libeccio Imperiale” provenienti dalle cave ubicate nella zona di Trapani.


Libeccio Imperiale di Trapani.
L’altare  fu probabilmente opera di artigiani messinesi famosi, in passato, nella lavorazione del marmo. Un altare dove le varie lastre sono magistralmente incollate a mosaico.
Sopra il piano dell’altare con una striscia di marmo “Rosso Sant’Agata” (Trapani) o “Montecitorio” (Toscana).
Rosso Sant’Agata.

Il tabernacolo era incluso in una lastra di marmo “Libeccio Imperiale” più chiaro. Non sempre nelle cave si riusciva ad estrarre il marmo con le stesse tonalità e venature.
Nell’altare erano presenti delle lastre di marmo” Libeccio Imperiale” con delle straordinarie venature e tonalità.
Ai lati dell’altare si trovavano due piccole targhe marmoree con inciso:
- in quella di sinistra : “MARCHIO VINCENZO TRIGONA EDIFICAVIT”;
- in quella di destra : “ ANNO DOMINI 1883”.



Due targhe improprie perché il Marchese Trigona si attribuiva il merito della costruzione della chiesa. Una chiesa già esistente  come abbiamo visto dai documenti. Il suo merito è quello di avere effettuato dei restauri sull’”antica chiesa”.
 
L’ADDOLORATA
Nella parete destra un bella stampa dell’Addolorata. L’Immagine era legata ad una indulgenza  di Mons. Giuseppe Fiorenza, Vescovo di Siracusa.



“ Arcivescovo  di  Siracusa
Monsignor  I Gius. Fiorenza
concede 40 giorni d’indulgenza
a chi recita un Ave Maria
alla qui sopra esposta immagine”
 
Ma Chi era Mons. Giuseppe Fiorenza ?
Arcivescovo di Siracusa, intorno alla fine dell’Ottocento promosse delle ricerche sotto i gradini dell’altare della Basilica di S. Focà. Alla profondità di circa un metro venne ritrovato un corpo che si ritenne fosse quello del vescovo Germano. Corpo che venne trasferito in Arcivescovado.
Germano visse in un’epoca caratterizzata da aspre contese teologiche. Si narra che fu allontanato da Siracusa ed esiliato nella penisola di Magnisi per volere dell’ariano imperatore Costanzo. La sua colpa fu quella di aver sostenuto nel Concilio di Sardica (oggi Sofia, capitale della Bulgaria) la fede del grande Atanasio, di Marcello di Ancira e di Paolo di Antiochia. La sua morte avvenne nel 356 e le sue spoglie furono traslate da Magnisi per essere seppellite nella Basilica di S. Focà.
Ma i resti umani trovati nella Basilica di S. Foca erano del beato Germano o reliquie di
 S. Focà ?
Ancora oggi il mistero non è stato svelato e resta un enigma.
Le spoglie, reliquie vere o “ex contactu” potrebbero appartenere proprio a San Focà, martire di Sinòpe, arrivati in Sicilia agli inizi del V secolo o alcuni secoli dopo, quando la traslazione e il commercio delle reliquie dei santi era una prassi consolidata.  
Intorno agli anni Cinquanta sembra che il reliquario, contenete le presunte spoglie del Vescovo Germano, si trovasse a Priolo, custodito in una chiesa. Il mistero quindi non fu svelato.

Mons. Giuseppe  Fiorenza

I  TABERNACOLI
 
La cappella era arricchita dalla presenza di due tabernacoli riconducibili ad epoche decisamente diverse.
Il primo tabernacolo, molto semplice, in arte povera era probabilmente del settecento e forse riconducibile al periodo più antico di vita della cappella.

(L’antico tabernacolo “abbandonato” nella falegnameria della Torre..
………….. Perduto (?)


Il secondo tabernacolo era posto sull’altare ed era probabilmente della fine dell’Ottocento.
Riccamente lavorato era una vera e propria opera d’arte d’intarsio.



Entrambi i tabernacoli ripercorrevano importanti momenti di vita della piccola cappella e sarebbe stato giusto valorizzarli includendoli in un percorso storico del “castello” e custoditi in un museo all’interno del “castello”.
A destra dell’altare un’antica stampa di San Corrado Gonfalonieri, patrono di Noto.


 
A sinistra della grande porta d’ingresso una raffigurazione marmorea di San Giuseppe con il Bambino di stile robbiana (Della Robbia) portata, probabilmente, dal Marchese Trigona dalla Toscana.


Sempre a sinistra dell’ingresso principale, una bellissima ed antica acquasantiera in marmo bianco dalla particolare forma a conchiglia.
Superiormente, sulla lastra, erano
 scolpite a rilievo le lettere “IMS”, che non sono riuscito a decifrare.

Nei due pilastri, su piccole mensole di ceramica, che dividono l’altare dai fedeli, vi erano due statuette in ceramica: il Cristo e Sant’Antonio. 


 
Sul portone d’ingresso una stupenda lastra di ceramica con la raffigurazione della Madonna con il Bambino.  Probabilmente opera di ceramisti di Caltagirone.


LA VECCHIA  LUNETTA  
Abbandonata in falegnameria……. Scomparsa (?).




Questa lunetta fu collocata sul portone della Chiesa nel 1883, anno in cui furono effettuati i restauri. “A.D. 1883” . (“Anno Domini – 1883)
erano trascritti sulle due piccole lunette esterne vitree mentre la parte centrale doveva raffigurare, sempre su vetro, qualche immagine.
 
LA CROCE IN FERRO BATTUTO
Era posta sul colmo della chiesa e ben visibile anche a distanza. Era caduta da tanto tempo e mai rimessa sulla sua posizione originaria.  Scomparsa (?)


MOMENTI DI VITA DELLA CAPPELLA
 
L’amministratore, Lastrucci Gioacchino, nella sua corrispondenza epistolare con il Marchese Trigona scriveva, spesso, ironicamente:
“Le preghiere di Don Isidoro non giungono mai in cielo perché abbiamo la possibilità di fare gli scongiuri necessari”.
Nel Registro di Cassa Aziendale a gennaio del 1953, il Sig. Lastrucci annotava la consegna
“in regalo al parroco Don Giuseppe Lauretta una forma di caciocavallo”. 
Mensilmente veniva annotata la spesa per “la colazione offerta al cappellano” di £ 300.
Dal gennaio ’53 don Giuseppe Lauretta officiava la messa nella piccola cappella di Canicarao. Don Lauretta era sacerdote della chiesa di San Giuseppe di Comiso.
I mezzadri e i contadini che lavoravano nell’ex feudo di Canicarao non solo si recavano a messa ma si occupavano anche dell’addobbo della cappella nelle festività.
Nel periodo pasquale veniva allestito il Santo Sepolcro utilizzando semi germinati di grano, orzo, addobbo fiorale e palme prelevate dal giardino. Gli autori erano i mezzadri e in particolare la sorella di Don Polito, uno dei “campieri, guardiani” dell’ex feudo nel periodo 1938 – 52.  Don Polito Viola, abitava a Comiso in Via Cucuzzella ed aveva a disposizione nel castello una stanza, la seconda a sinistra, posta a sinistra dell’ingresso della grande corte.
La stessa chiesa conteneva un artistica e pregiata “Via Crucis” in legno o in stampa. Molti mezzadri mi hanno parlato di questa bellissima “Via Crucis” andata perduta. Non so se queste notizie siano esatte ma mi sono state riferite da mezzadri tanti anni fa  ho iniziato a  ricostruire la storia del “Castello” di Canicarao.
Sembra che nella cappella officiava, spesso, anche Padre Garzieri.
L’amministrazione aveva un ottimo rapporto con Don Lauretta a tal punto che si rendeva disponibile  per l’addobbo della Chiesa di San Giuseppe nel periodo pasquale.
 
 
Due lettere datate 7 e 8 aprile del 52, una inviata proprio da Don Lauretta e l’altra dall’arch. Biagio Mancini, invitano cortesemente, il Sig.Lastrucci, amministratore del feudo, a voler provvedere alla fornitura di fiori, palme e verde, per l’addobbo del Santo Sepolcro.
Venne esposta, sempre nella cappella di Canicarao, una “Circolare dell’Opera delle Vocazioni Ecclesiastiche di Ragusa” per raccogliere “L’Uovo di Pasqua”.




 La Cappella dipende, ancora oggi, dalla Chiesa dell’Annunziata di Comiso ed ha avuto tra i suoi artefici di vita Mons. Battaglia che per anni ha officiato ai poveri contadini.
La piccola chiesa vive oggi solo pochi momenti di preghiera grazie alla presenza dei gruppi religiosi che sempre più raramente si riuniscono per pregare e comunicare nella “Torre di Canicarao”. Nei restanti giorni rimane sempre chiusa e privata di quelle azioni spontanee portate da persone che credono, ancora oggi, nei valori della vita.
Strano destino per una cappella che ha visto pregare persone in sofferenza sempre speranzose, grazie alla loro fede, in un domani migliore.
Aprii il portone principale in occasione della morte di uno degli ultimi uomini testimoni della vita di questo feudo e della cappella, Don Salvatore Barone. Un uomo che aveva dedicato la sua vita al Marchese e che era riuscito, con grande sacrifici, a costruirsi un suo mondo agricolo acquistando l’azienda dei “Carciofi” che per tanto tempo l’aveva visto come affittuario o mezzadro al servizio del Marchese.
La cappella ha accompagnato il lento procedere del funerale di questo uomo che amava raccontare la sua vita, le sue esperienze così ricche di ricordi, di esperienze anche ironiche con il volto scavato dalla fatica, dal dolore di una malattia e dalla malinconia. Malinconia  nata dalla consapevolezza di lasciare quel suo piccolo mondo che era riuscito a creare dal nulla e che tanto amava . Ricordo di aver subito delle critiche dato che fui accusato di aprire una Chiesa sconsacrata.
Niente di più falso dato che all’epoca veniva officiata la Santa Messa in occasione della presenza di gruppi religiosi. Una cappella che finì con l’essere adibita a deposito….

Il Castello aveva una sua religiosità che si evidenziava nella presenza di simboli, quadri che mettevano in evidenza la grande spiritualità dei Marchesi Trigona.
In una stanza, adibita ad ufficio, erano presenti tre quadretti con relative cornici impreziosite da pietre colorate e da simboli religiosi. In questi quadretti erano descritti, in latino, dei rituali che il Marchese eseguiva con estrema frequenza (giornaliera e in certi periodi dell’anno).
Questi quadretti sarebbero il “Prologo” o “Inno al Logos” che dà inizio all’epilogo (aggiunta posteriore al “Vangelo secondo Giovanni” con l’apparizione ai discepoli).
 
Ho tradotto letteralmente il quadretto riportato dove il parla del Verbo:
“In Principio era il Verbo,
Il Verbo era presso Dio
E il Verbo era Dio……




Dove si trovano oggi questi importanti quadretti?
Il Marchese venerava San Giovanni perché era una “Giovannita”. Apparteneva  all’Ordine dei Cavalieri di Malta. A dimostrazione di questa mia tesi la croce, a otto punte,  impressa sul pavimento della sala del primo piano.
Il Sovrano Militare Ordine di Malta (il nome completo è: Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme e di Rodi) è un soggetto di diritto internazionale  con finalità assistenziali.
È il principale successore dell’antico Ordine dei Cavalieri Ospitaleri fondato nel 1050. Ordine che è tutt’ora presente in oltre 110 paesi con iniziative a carattere benefico ed assistenziali ed è riconosciuto come ente sovrano e la sua sede attuale gode dello status di extraterritorialità.
All’intero della croce è presente un simbolo che fu impressa dai marchesi per svolgere dei rituali sacri, perché sacro ed ad alta spiritualità è tutto il luogo.
Sarebbe il simbolo dell’Ecce Homo (Giovanni 19,5) che significa letteralmente “Ecco l’Uomo”. La frase che Ponzio Pilato, allora governatore romano della Giudea, rivolse ai Giudei nel momento in cui presentò Gesù flagellato.
Stavo effettuando altre ricerche per svelare il significato di altri simboli presenti nell’antico castello.
Il mio desiderio di conoscenza mi ha sempre portato a svelare il significato di ogni aspetto storico, naturalistico, mitologico, ecc. della mia amata Sicilia
Queste mie ricerche occupano momenti della mia vita. Potranno essere criticate, suscitare ironia, ma sono fondate sul desiderio di conoscenza. Un desiderio che mi avvicina all’Universo, all’amore anche verso le cose anche più insignificanti e al piacere di comunicare, di dialogare, di confrontarsi che dovrebbe essere alla base di qualsiasi società civile.

Nel cortile della torre si soffermava a lungo, vicino alla vasca posta al centro del grande cortile, Gesualdo Bufalino per ammirare la stupenda capelvenere. Un luogo che amava e lo ispirava per i suoi racconti.


Non posso nascondere come il mio cuore sia rimasto a Canicarao malgrado le problematiche.
Incontrai Mons. Carmelo Tidona, Parroco della Cattedrale San Giovanni Battista di Ragusa e presidente della Fondazione proprietaria della Torre, quando andai via da Canicarao.
Mi disse:
Antonio prega per me….
Gli risposi..
Padre è lei che deve pregare per me…
Mi guardò e mi abbracciò…..
Mi aveva dedicato un piccolo trafiletto sull’opuscolo che aveva scritto sulla Torre di Canicarao che amava tantisssimo…

Un altro ricordo va ai quei ragazzi richiedenti asilo politico a cui sono stato vicino per ben 5 anni circa.
La struttura fu successivamente adibita, dopo la chiusura dell'agriturismo, a CDA per rifugiati politici. Ancora oggi a distanza di anni mi scrivono e mi ringraziano per tutto ciò che ho fatto per loro.. mi chiamano papà,… fratello…. nonno
Come non rivolgere  anche un pensiero alla gente umile che, ai tempi del marchese, hanno lavorato nel feudo e percorso con i propri carretti le polverose  trazzere del vastissimo feudo.
Una volta mentre misuravo le antiche masserie del feudo per un censimento storico, un contadino mi disse…
Signor Antonio, è vero queste case hanno un valore storico ed anche artistico,
sono belle a vedersi…. Ma si ricordi che queste belle mura trasudano sangue…..




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