Partanna (Tp) – Il Castello Grifeo… Uno Scrigno di Tesori
Indice:
1. Cenni sul “Casale
“ di Partanna;
2. Origini della
famiglia Grifeo (Graffeo) – La venuta dei Grifeo in Sicilia –
La Cattedrale di Mazara del Vallo con l’effige
dei Grifeo;
3. La Famiglia
Adragna, nobili di Trapani – Erice – Salina Altavilla (Isola Grande) (Trapani)
Tenuta Adragna – produzione olio e vini;
4. Il Castello;
5. La Struttura
Interna – Il “Salone del trono” o “Sala d’Armi” – La “Cella della Monaca”
Le Scuderie – Le Cantine – I Sotterranei –
Le scoperte nel “Salone d’Armi”;
6. Il Museo
Archeologico – Il Ricordo del prof. Sebastiano Tusa – Il suo Testamento Spirituale
e Culturale (Video) - Tra i reperti il “Teschio Trapanato” del 2000 a.C.
I Reperti provenienti dal sito
archeologico di contrada “Stretto” (cenni)
7. Museo
Etno-Antropologico della Civiltà Contadina;
8. Il Giardino del
Castello
9. La Pinacoteca nel “Salone
d’Armi”;
10. Il Privilegio di Concessione del Feudo;
11. I Grifeo a
Partanna (discendenza);
12. Il Terremoto del
Belice – L’esempio dei sindaci di Partanna e di Gibellina –
Il Cretto – Ludovico Corrao
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1.
Cenni sul “Casale”
di Partanna
Partanna
è un comune di circa 10.000 abitanti posto in prov. di Trapani fra le valli del
Modione ad ovest e del Belice ad est. La sua etimologia è incerta. Secondo
alcuni storici è di origine greca , “parthenos”
cioè “vergine” mentre per altri storici di origine araba da “bartannah” cioè “terra sicura”.
La
villa del centro è intitolata a Rita Atria ed è adiacente alla piazza principale
del paese dedicata ai due giudici Falcone e Borsellino. Tre personaggi che
hanno creduto nella vera giustizia e vittime della mafia.
La
fondazione del centro dovrebbe collocarsi tra la fine del IX secolo e gli inizi
del X per opera di popolazioni berbere. Nel piccolo villaggio allora esistente
costruirono due torri di guardia. Una dove oggi sorge la Chiesa del Purgatorio
(trasformata successivamente in campanile della Chiesa del SS. Crocifisso e crollata nel terremoto del Belice) mentre l’altra fu inglobata nella successiva
costruzione del castello.
Chiesa del
Purgatorio
La Chiesa del
Purgatorio era in origine una torre saracena. Fu trasformata in Chiesa
per volere della
famiglia Grifeo e dedicata al SS. Crocifisso.
Fu semidistrutta dal
terribile terremoto del 1968 ed è ancora
visibile il suo
valore archiettonico grazie ad una parte dell’antica facciata.
Lo
scrittore arabo Adballa al Maquaddasi, visitò tra il 968 ed il 988 numerose città e
borghi dell’Isola. Nella sua relazione citò
un centro con il termine di “
Bartamnah” da identificare con Partanna.
Secondo
una fonte del’ 700 le più antiche costruzioni sorsero in contrada Fontana,
posta ad ovest dell’attuale città.
Il
primo documento in cui si cita il “casale di Partanna” risalirebbe al 1097.
Si
tratta di un documento in cui il Gran Conte Ruggero il Normanno, che liberò la
Sicilia dagli Arabi, appare come tributario del monastero di Boico di Vicari,
cioè del monastero basiliano di Santa Maria de Boickòs a cui donò terre,
animali e servi (M. Scaduto, Il Monachesimo basiliano nella Sicilia Medievale,
Roma, 1982, p. 405).
Vicari (Palermo)
Il Monastero
Basiliano di Santa Maria de Boikòs
Verso
la metà del XIV secolo il castello e la
matrice vecchia furono costruiti in alto, sulla collina, inglobando anche le
due antiche torri di guardia.
Sin
dai primi tempi della conquista normanna, molto probabilmente intorno al 1075,
i Grifeo, guerrieri al seguito del Gran Conte, avevano ottenuto il feudo di
Partanna, ma fu solo nel 1139 che Giovanni II Grifeo (Graffeo) venne nominato
ufficialmente barone di Partanna dal re Ruggero II.
Nel
1898, dopo essere stata posseduto e abitato per secoli dai Grifeo, fu venduto agli
Adragna, nobile famiglia di Trapani.
Nel
1991 la Regione Sicilia acquisì il castello facendo riferimento alle sue
normative tra cui la legge n. 80 del 1977.
La
struttura nel terremoto del 1968 subì lievi danni resistendo alle tremende
scosse telluriche.
notizie
di questo castello perchè nell'ultima guerra l'archivio di casa Graffeo andò
completamente distrutto.
1. ORIGINI DELLA
FAMIGLIA GRIFEO (GRAFFEO)
La
tradizione cita come la nobile famiglia
abbia una sua storia ancora prima della conquista normanna della Sicilia. La
sua origine sarebbe nel cuore dell’Impero Bizantinoin un ramo “cadetto”
(secondario) della famiglia imperiale dei Foca.
(Foca
era una famiglia di latifondisti bizantini originaria della Cappadocia che nei
secoli IX e X diede all’Impero Romano d’Oriente illustri militari e politici.
L’esponente più importante della famiglia fu Niceforo II Foca, imperatore
bizantino dal 963 al 969). L’origine quindi dei Grifeo è legata al Bosforo e
all’isola di Candia (l’antica Creta) come riportano numerosi testi storici.
Giuseppe
Maria Salvatore Grifeo ha svolto, con grande attenzione, una ricerca
genealogica riportando anche le citazioni di antichi storici.
Nel
testo “Il Blasone in Sicilia – Dizionario storico-araldico della Sicilia” di V.
Palizzolo Gravina, Barone di Ramione, Palermo 1871-75” è riportato:
“Graffeo o Grifeo –
Famiglia mobilissima e come dice il Minutoli, concordemente ad altri storici,
trae sua origine dagl’Imperatori greci, vissuto avendo in Palermo con grande
splendore, annoverandosi come la più antica famiglia siciliana perché trovata
nobile dal conte Ruggiero, e posseditrice della terra di Partanna. E per tacere
di una remota antichità, ci piace col Mugnos fermarci ad un Leone Foca (970),
figlio di Bardafoca II, il quale dato l’ultimo crollo a’ Bulgari, e vinto in
battaglia il loro signore e capitano Grifeo, ne prese il nome e l’arme. Fu per
questo ch’ei ottenne dal greco Imperatore l’isola di Candia, e numerosi
castelli. Da lui un Euripione Graffeo, che con una squadra di canditoti venne
militando in Sicilia, unitamente a Maniace generale dell’armata greca contro i
Saraceni, facendone orribil scempio”.
L’Annuario della Nobiltà Italia 8edizione 1896) cita:
“Questa Famiglia,
detta anche Graffeo, è di antichissima origine, e i genealogisti hanno
voluto farla derivare
dagli imperatori greci. Certo è che la si trova feudataria in Sicilia dal 1130,
nel qual anno vivea Ugo Graffeo, Stratigò di Messina, che intervenne
all'incoronazione di Re Ruggiero il Normanno”
C’è
pure una leggenda sull’origine dei Grifeo, come spesso accade nell’origine
dei
cognomi:
“Il primo componente
dei Grifeo, giunto in Sicilia con l’armata del Gran Conte, uccise un Grifone
che infestava le campagne intorno Partanna. Da quel momento, quindi, l’inizio
del cognome, dello stemma famigliare e l'intestazione del territorio appena
liberato da quell'animale così pericoloso.”
Stemma che senza alcuna variazione è fino ad oggi l’emblema
della nobile Famiglia:
“Troncato, Campo di
oro, con tre sbarre d’azzurro, abbassate sotto una riga dello stesso (o una
lista di nero), sormontata da un grifo di nero passante con la branca destra
erta combattente. Mantello di velluto scarlatto”. Corona di principe. Motto:
“Noli me tangere”.
La Venuta dei Grifeo in Sicilia
Auripione, figlio di Leone Grifeo e di Costantina, figlia
dell’Imperatore Alessandro, con una squadra di Candioti giunse in Sicilia, per unirsi alle truppe del
generale Maniace e insieme sferrare l’offensiva contro i Saraceni.
I Saraceni furono sconfitti e cacciati da tutta la Val di
Noto. In ricordo della vittoria edificò
un tempio nella città di Messina in onore della Madre di Dio.
Tempio che fu chiamato il “Tempio di Grifeo ( o Graffeo) per scorrezione di Lingua” (Mugnos).
Giovanni I Grifeo, figlio di Auripione e di Geltrude, figlia
di Dragone, fratello del Gran Conte Ruggero, affiancò lo zio nella lotta ai
Saraceni.
Nel 1092 uccise il forte saraceno Mogat nel momento in cui
stava per colpire mortalmente lo zio (il Gran Conte Ruggero) che lo stesso
saraceno aveva sfidato a duello.
Giovanni I Grifeo sposò Valdetta, figlia di Aifredo
Braccioforte (Branciforte) e fu nominato Straticò (Stratigoto) di Messina
Mazara del Vallo – Cattedrale del SS. Salvatore
“L’effige del nipote Giovanni Grifeo e dello
zio conte Ruggiero unitamente si
veggono scolpite in rilievo di marmo sovra
la porta della Chiesa Cattedrale
di Mazzarra (Mazara del Vallo), ambedue a
cavallo, il Conte con un
saraceno sotto i piedi, e Giovanni Grifeo
collo scudo imbracciato,
coll’insegna dell’arme della sua famiglia”
(Mugnos).
Lo
scudo di Giovanni I Grifeo con l’emblema del grifone
La
scena del duello è ritratta in un dipinto posto nella Sala del trono del
Castello
di Partanna
Giovanni I Grifeo fu il primo della famiglia ad ottenere il
privilegio che lo investì della Baronia di Partanna. Diploma che fu ricopiato
nella concessione firmata da Re Ruggero II nel 1139 e ancora una volta
ricopiato nel privilegio concesso successivamente dall’Imperatore Federico II
di Svevia.
3. LA FAMIGLIA
ADRAGNA, NOBILI DI
TRAPANI
Stemma in ceramica
della Famiglia Adragna
Motto : “Non Tacebo” – “Non Tacere”
Palazzo Adragna
(Trapani)
La
famiglia discenderebbe dalla nobiltà di Bologna e sarebbe legata alla famiglia
Pepoli di Bologna. Gli antenati sarebbero di origine normanna e parteciparono
alla conquista normanna della Sicilia.
Le
loro città: Salemi, Mazzarra (Mazara del Vallo) e Trapani. Vanta numerosi
giurati, capitani di giustizia e Francesco Adragna ottenne il titolo di barone
di Altavilla Salina dal re Ferdinando I delle Due Sicilie ottenendo anche il
riconoscimento dei diritti feudali della famiglia.. La Commissione araldica
siciliana elenca la famiglia nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana. La casata
ha pure degli importanti legami storici con i Cavalieri Ospedalieri (l’Ordine
di Malta) infatti partecipò attivamente al movimento crociato in Terra Santa.
Gioacchino
Napoleone Pepoli, cugino della famiglia Adragna, Senatore del Regno d’Italia e
sindaco di Bologna, era un pronipote di napoleone Bonaparte attraverso la
madre, la Principessa Louisa Julie
Caroline Murat, figlia del principe Gioacchino Murat, cognato dello stesso
Napoleone. La famiglia ancora oggi è impegnata nella produzione vinicola nel
trapanese con la “Tenuta Adragna” costituita da splendidi vigneti ed oliveti.
Erice
(Trpani) – Torretta Pepoli
La Salina Altavilla
si trova nell’Isola Lunga, detta anche di S. Teodoro, posta nello
Stagnone di Trapani.
La sua costruzione è legata ad una concessione del 1492 a
Gerardo de Bonanno.
In realtà la concessione riguardava la costruzione di una tonnara.
«Gerardo Bonanno era un uomo importante, Maestro Razionale già sul
finire del secolo XV,
nel 1502 intraprende la costruzione di una salina nello Stagnone di
Marsala ed è autorizzato a costruire una torre merlata per sicurezza
degli operai nella vigna che ha sull’isola di Tavila, da
identificare con l’isola di San Pantaleo su cui sorgeva l’antica Mozia. Nel
marzo 1507 è nominato commissario per la cattura dei delinquenti, con
l’autorità di vicario in tutto il Regno. Nel 1508 il re gli conferma il feudo
dell’isola Tavila concessogli da re Giovanni; nel 1509 è anche Pretore di
Palermo e Deputato del Regno; nel 1511, quale Maestro Razionale, fu destinato a
Tripoli dove gli venne assegnata una casa delle migliori; ma non è detto che abbia
raggiunto l’Africa. Nel 1516 viene mandato dal De Luna in qualità di Vicario a
rimettere ordine a Corleone. Una scelta che il padre Gerardo Bonanno paga, il
23 luglio 1517, con l’uccisione, per mano dei rivoltosi capeggiati dallo
Squarcialupo, e con il saccheggio della casa. Il fratello primogenito Giovanni
Giacomo, anche lui fatto oggetto delle ire dei rivoltosi, riesce abilmente a
sfruttare la situazione particolare venutasi a creare a seguito dei moti e
della loro repressione, consolidando le fortune della famiglia. Infatti,
ottiene da Carlo V sia di subentrare al padre nella carica di Maestro
Razionale, sia di avere un ristoro economico delle perdite patrimoniali subite
dalla sua famiglia. Giovanni Giacomo, utilizzando questa sovrana disposizione,
ottiene un terreno appartenente al defunto Alfonso La Rosa, del valore di onze
540.15. Inoltre, a Bonanno sono consegnate onze 100, in due partite per mano
del Tesoriere. Per la rimanente somma, il Bonanno chiede l’assegnazione del
feudo della Ganzaria, pervenuto alla Regia Curia "per li demeriti et delitti commissi et perpetrati"
da Antonino Gravina di Catania, il cui valore è calcolato a ragione del 7%.
Nel 1763 Francesco
Adragna s’investì della Baronia di Altavilla per concessione
Enfiteutica fattagli
da Domenico Corvino e Caccamo, Principe di Mezzojuso.
Salina Altavilla – i
dormitori dei "salari"
Il Barone Francesco
Adragna mentre si reca a caccia nell’Isola Lunga
Castello di
Venere (famiglia Adragna) – Erice
Il Castello di Partanna nel 1890 fu acquistato dalla
famiglia Adragna probabilmente dal Barone Girolamo Adragna.
Nel 1491 il castello fu visitato da Umberto II d’Italia
mentre era principe ereditario per poi diventare l’ultimo re d’Italia
Come già accennato nel 1991 il castello diventò proprietà
della regione Sicilia grazie da una donazione, eseguita dalla famiglia Adragna,
al Dipartimento dei Beni Culturali di Trapani.
Tenuta di Pizzolungo
L’azienda Tenute Adragna si estende lungo la costa
occidentale della Sicilia su una
superficie di circa 300 ettari ospitando due Riserve
Naturali e un’area Ambientale Protetta.
Il fulcro dell’azienda si trova in località Rocca di Giglio, dove sono stati impiantati i
Il fulcro dell’azienda si trova in località Rocca di Giglio, dove sono stati impiantati i
vitigni di Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Merlot
dalle caratteristiche molto
spiccate grazie all’escursione termica creata
dall’altitudine dei terreni.
In Contrada Kinisia, tra secolari cave di tufo, sono stati impiantati il Nero d’Avola e l’Inzolia
In Contrada Kinisia, tra secolari cave di tufo, sono stati impiantati il Nero d’Avola e l’Inzolia
che, proprio grazie ai terreni tufacei in cui
crescono, sprigionano sensazioni olfattive che
vanno ben oltre l’arte enologica.
Nella Riserva Naturale “La Salinella”, gli Adragna producono il
Nella Riserva Naturale “La Salinella”, gli Adragna producono il
“Sale delle
Saline di Trapani”, estratto con il solo aiuto del sole e del vento, che
queste terre della Sicilia ricevono costantemente da
milioni di anni.
Non da ultimo, dall’attenta coltivazione degli ulivi centenari di Rocca di Giglio e di Kinisia,
Non da ultimo, dall’attenta coltivazione degli ulivi centenari di Rocca di Giglio e di Kinisia,
nasce l’olio extra vergine d’oliva delle Tenute
Adragna, che si fregia del
marchio “D.O.P. Valli Trapanesi”.
L’Inzolia
Il Ristorante Adragna - Trapani
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4. IL CASTELLO
Sulle
origini e sull'uso cui esso fu destinato già dalla fondazione ci sono, come in
parte già s'è detto, molti dubbi e congetture.
Vito
Amico, per esempio, negava, come altri autori avevano sostenuto, che “la famiglia Chiaromonte avesse mai vantato
il possesso del castello e che lo avesse utilizzato” e lo stesso Tommaso
Fazello non parlò dei Graffeo come dei
soli e secolari possessori della fortezza e del feudo di Partanna.
Alcuni
studiosi, più recentemente, hanno ritenuto che la forma originaria del maniero
fosse quella di una presidio normanno poi trasformato in residenza baronale;
altri che il castello esistesse a partire dall'epoca normanna e che fosse stato
ricostruito tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV; altri ancora che
esso fosse stato innalzato verso la metà del Trecento inglobando una delle
torri che, come si diceva, sporgevano sulla collina fino dall'IX secolo e che
erano resti di inutili fortificazioni.
La
struttura di questa fortezza ha dunque subito nei secoli molte e consistenti
trasformazioni.
È
uno dei più belli castelli della Sicilia Occidentale, perché malgrado le ristrutturazioni
e gli eventi naturali come il Terremoto del Belice, si presenta ancora oggi nel
suo splendore.
A
pianta rettangolare con tre corpi di fabbrica su un cortile interno. Le
coperture a tetto con falde supportate da travi lignee e copertura con tegole. Le murature in conci di
tufo, in pietra a taglio e i pavimenti in ceramica e terracotta. Dal punto di
vista altimetrico il castello in passato
dominava l’abitato ma lo sviluppo urbanistico del paese ha cancellato questa
preminenza perché gli edifici sono stati
costruiti in altre aree a quote più elevate rispetto a quella del castello.
Fu
edificato verso la fine del 1400 e rimaneggiato nel XVII secolo.
Nel
XX secolo , malgrado la sua età e la tipologia costruttiva, fu uno dei pochi
edifici a resistere al distruttivo terremoto della Valle del Belice del 1968.
Un terremoto che devastò interi paesi con complete distruzioni. Nella stessa
Partanna caddero al suolo numerose chiese e il paese fu gravemente colpito e
ricostruito. Di quei giorni rimangono solo poche ferite ancora visibili nel
territorio. La Chiesa del Carmine e la Chiesa Madre furono restaurate anche se
sono visibili i segni dell’evento sismico soprattutto nelle antiche decorazioni
artistiche.
Il disegno di Nino Teri, artista di Partanna, mostra
l’immagine del castello verso la metà dell’XI secolo. Il castello è raffigurato sulla parte
sinistra del disegno mentre a destra c’è la torre di origine saracena che
costituirà nel tempo il nucleo centrale del nuovo castello. La torre ancora
oggi è visibile perché parte integrante della struttura.
Fino alla metà del XIII secolo i Grifeo ricoprivano spesso
la carica di strategoto di Messina e solo sporadicamente erano presenti nel
territorio di Partanna. Era quindi presente nel territorio solo un casale. Solo
durante la dominazione ragonese si stabilirono a Partanna accrescendo il loro
prestigio con la costruzione del castello.
Nel 1500 il castello presenta
sostanziali modifiche. La parte originaria della struttura è occupata da una chiesa
e della primitiva struttura rimaneva il torrione a sezione circolare. Il
castello si trova a destra dell’immagine ed è un aspetto che risaliva al 1400
quando fu operata una totale ristrutturazione.
Nel 1374 il barone Benvenuto
Grifeo, figlio del barone Giovanni IV Grifeo, ospitò nel castello il re
Federico III d’Aragona. Barone Giovanni IV Grifeo che aveva operato sostanziali
modifiche alla struttura.
Nel XV secolo i Grifeo si
stabilirono definitivamente nel castello e al 1468 risalirebbe la realizzazione
dello stemma di famiglia, posto all’ingresso del “Salone del trono” ed opera
dell’artista dalmata Francesco Laurana. Opera che fu commissionata dal barone
Onofrio Grifeo.
Il disegno successivo, sempre
opera dell’artista Tito Neri, evidenzia
un ulteriore modifica nell’aspetto del castello che è parzialmente visibile a
destra. Le mura sono state eliminate o inglobate nelle nuove strutture
destinate a palazzi ed abitazioni. Cambiamenti che risalgono al XVII secolo e
che diedero alla struttura il suo aspetto definitivo che possiamo oggi
ammirare.
(Il lato Nord del castello, in cui
è presente il portale bugnato commissionato dal Principe Domenico Grifeo nel
1658, non è visibile perché è nella parte opposta del disegno. Portale che fu
disegnato e inserito come scenario principale per il nascente Corso principale
di Partanna, Corso Vittorio Emanuele. Corso che si sarebbe inserito nel centro
della cittadina andando dal Castello alla Chiesa della Madonna delle Grazie.
Fu proprio il barone Domenico
Grifeo ad iniziare i lavori di trasformazione del castello rendendolo una
“piccola reggia”. Fu ampliato anche il giardino, grazie all’acquisto di alcune
case limitrofe, che furono demolite, aprendo un bellissimo panorama sulla valle
fino al mare.
Giardino arricchito con piante e
statue opera dello scultore Carlo d’Aprile che realizzò anche il bellissimo
portale bugnato. Le dodici statue
(alcuni storici ne indicano 13) rappresentano le stagioni, i pianeti, il tempo;
ma i dati sono incerti perché le statue sono scomparse da tempo.
Con queste trasformazioni
l’edificio diventò una pregiata residenza baronale. Le trasformazioni furono
eseguite anche all’interno della struttura. Un aspetto importante fu la
conservazione degli elementi architettonici militari come le torri e le merlature,
la cui funzione ormai era solo decorativa. Alcuni vani della struttura furono
arricchiti da affreschi di cui uno solo è ancora oggi pienamente visibile.
La famiglia Adragna, nuovi proprietari del castello nel
1890, sistemarono la parte antistante al castello e crearono un belvedere.
Lavori che furono eseguiti nel 1898.
Il
castello presenta una planimetria articolata su quattro lati attorno ad un
grande cortile interno. Le sue mura sono realizzate con pietre cementate con
malta pozzolanica (tufo di colore grigiastro).
I
prospetti:
-
A
sud-ovest, il prospetto principale con
due ali simmetriche a torre e collegate da una cortina. Al centro di questo
prospetto si apre un bellissimo portale strombato sul quale si trova una
piccola torre difensiva (bertesca). Ai lati del portale quattro finestre
architravate, due per lato, incorniciate da pietre squadrate. Sul prospetto
merli guelfi. Al primo livello sono presenti cinque aperture a d arco acuto.
Anche questo livello è completato da merli guelfi. Il secondo livello presenta
al centro una piccola torre rialzata e con coronamento merlato.
-
Prospetto
Nord- Ovest, una bertesca con una feritoia per tirare le frecce con l’arco. Nell’angolo
una piccola torre con basamento a scarpa. A quanto sembra questo era in origine
l’ingresso principale del castello che fu poi totalmente modificato.
Prospetto Nord – Est con un bellissimo
portale a bugne con disposizione a raggiera in stile tardo-manieristico e
completato nella parte superiore da merli. La costruzione del bellissimo
portale, opera dello scultore Carlo d’Aprile, fu voluta nel 1658 dal Principe
di Partanna Domenico Grifeo. Il suo obiettivo era quello di dare uno scenario
di bellezza al viale che entrava nel cuore della cittadina e per assecondare lo
sviluppo urbanistico verso nord della stessa cittadina. Oggi è l’ingresso
principale del castello.
-
Prospetto
Sud-Est. È il quarto lato del castello che si affaccia sull’antico giardino
terrazzato.
Il Giardino del
castello
Le colonne
provengono da una chiesa crollata durante il terremoto del Belice
5. STRUTTURA INTERNA
Il
“Salone del trono” o “Sala d’Armi” – La “Cella della Monaca” – Le Scuderie –
Le
Cantine – I Sotterranei -
Dal
portale (bugnato) di nord-est si entra nel cortile a pianta rettangolare su cui
si affacciano un gran numero di ambienti. Una scala coperta collega lo stesso
cortile al giardino che si trova ad un livello più basso rispetto alla
struttura.
Il
castello nel suo complesso si sviluppa su un piano terra e un seminterrato.
Un
ingresso, su cui è collocato lo stemma della famiglia Adragna, ultimi
proprietari del castello, introduce ai locali baronali. Un altro ingresso,
sormontato dallo stemma della famiglia Grifeo, introduce ad uno dei locali più
importanti dell’intero edificio: al Salone del Trono.
Sul portale che immette nella
“Sala del trono” c’è lo stemma marmoreo dei Grifeo. Fu scolpito da Francesco
Laurana (Vrana, Dalmazia-Croazia, 1430; Avignone, 1502, scultore, architetto e
medaglista) che soggiornò nel castello nel 1468.
Questo
salone un tempo era adoperato come sala banchetti e presenta:
-
Un
arco a tutto sesto acuto che divide il grande ambiente in due zone;
-
Da
una pavimentazione in ceramica tipica del Novecento;
-
Da
volte a schifo;
-
Da
una porta a vetri in stile liberty.
Il salone è anche detto “sala
d’armi” e conserva un importante affresco del 1777 che raffigura tre cavalieri
cristiani durante la battaglia di Mazara.
In primo piano è raffigurato
il Gran Conte Ruggero il Normanno mentre sta per uccidere l’arabo Mokarta (o
Mogart). Al suo seguito il cavaliere con lo scudo è Giovanni I Grifeo che fu il
primo feudatario ad ottenere il Feudo di Partanna per concessione dello stesso
Ruggero. L’identificazione è agevolata anche dall’emblema che è raffigurato
nello scudo cioè il grifone, simbolo araldico della famiglia Grifeo. Il terzo
cavaliere non è identificabile. Lo scenario di fondo raffigura la città marina
fortificata di Mazara.
Nel salone è stata allestita
una pinacoteca costituita da famose pale d’altare provenienti da alcune chiese
che furono distrutte dal terremoto del Belice. Tra queste un bellissimo
polittico, La Madonna del Rosario del 1585,
opera del pittore fiammingo Simon de Wobreck. In questa pala il volto
dei Santi e della Madonna raffigurato sono rovinati dall’evento sismico e
volutamente non ripristinati con un successivo e possibile restauro.
Nel salone è presente un
affresco che raffigura uno scudo con il grifone e il testo che richiama le
concessioni del feudo ai Grifeo da parte di Ruggero il Normanno e le origini
della stessa famiglia.
Altri ambienti comunicano con
la sala e su un lato del salone è presente una piccola porta o “sportello” che
conduce in un ambiente angusto detto “cella
della monaca”.
“La Cella della
Monaca”
Bisogna attraversare una della porta che dal salone centrale
porta in uno degli ambienti posti alle spalle del grande affresco sulle origini
dei Grifeo per giungere alla scala che porta alla famosa e oscura “cella della
monaca”.
La piccola apertura dà su una scala a chiocciola in pietra,
piuttosto stretta. In cima alla rampa c’è una stanza completamente al buio.
Un stanza di clausura? Secondo
la tradizione sarebbe la stanza in cui fu rinchiusa una religiosa della
famiglia Grifeo ?
In verità, come dice l’esponete
della famiglia Grifeo, la leggendaria cella e quindi i resti della monaca o
comunque della sua presenza, non furono mai trovati.
Sembra quindi che nella cella sia stata rinchiusa una
componente della famiglia Grifeo per motivi
religiosi. La giovane donna si fece
suora e successivamente fu relegata in quella cella per voto
preso dalla
famiglia. In poche parole sembra che la giovane religiosa fu costretta a quella
prigionia. Una storia triste e comunque dai contorni molto oscuri dato che
della donna non fu trovata alcuna traccia anche in riferimento ad oggetti o
altro.
Esiste forse un altro ambiente, magari legato a questa
stanza, e ancora non scoperto ? E’ uno degli
interrogativi che lo storico
Giuseppe Maria Salvatore Grifeo ancora oggi si chiede.
Le altre sale non conservano
purtroppo gli antichi arredi d’un tempo e sono oggi adibite a Museo Archeologico della Preistoria. Vi
sono esposti reperti dell’età neolitica e dell’età del bronzo che provengono
dalla Contrada Stretto del territorio di Partanna. Una collezione costituita da
vasellame, zanne di elefanti, scheletri umani, asce e bicchieri campaniformi.
Accanto al salone principale di
trova la sala da pranzo collegata al giardino con una scala esterna.
Nel giardino, a sua volta, si
trovano gli ingressi che portano ai locali sotterranei costituiti dalle:
-
Scuderie con volte
a botte e caratterizzate da cunicoli sotterranei che probabilmente collegavano
il castello con altri edifici dell’epoca e forse anche all’esterno. Un di
questi cunicoli è particolarmente lungo e passa sotto le mura del castello per perdersi
verso l’esterno. Un cunicolo che a quanto sembra non è stato mai esplorato
tranne che la Sovrintendenza, oggi proprietaria dell’immobile, non vi abbia
fatto delle ricerche più approfondite. Comunque i locali delle scuderie sono
oggi adibiti a sale conferenze;
Scuderie
-
Le Cantine dove si trovano le antiche
botti costruite nel luogo (le botti per le loro notevoli dimensioni erano
costruite nell’interno delle cantine). Le botti sono in legno di Slovenia. Sono
presenti anche gli antichi torchi per la spremitura dell’uva e delle olive. Un
tempo nelle cantine erano custodite anche due carrozze. Nei sotterranei è presente una fossa scavata
nella roccia per conservare il grano. In alcuni locali delle cantine è stato
allestito con cura anche un ricco Museo
Etno-antropologico dove numerosi sono gli strumenti e gli arnesi della
ricca civiltà contadina.
Sotterranei
del castello
LE SCOPERTE
NEL SALONE DEL TRONO
Quando iniziarono i lavori di ristrutturazione del castello
per adibirlo a Museo. Il salone presentava le pareti intonacate di colore
bianco.
Era presente l’affresco sulle origini dei Grifeo con la
stessa scena ritratta in bassorilievo sulla facciata della Cattedrale di
Mazara. Mazara del Vallo che rientrava nella politica feudale della famiglia Grifeo.
Iniziarono i lavori e grande fu lo stupore nel vedere che
sotto la tintura bianca gli addetti ai
lavori trovarono delle tracce di antichi affreschi. Il salone era tutto
affrescato con motivi decorativi costituiti da fiori e piante. Uno strano
comportamento quello dei baroni Adragna, ultimi proprietari del castello, che
fecero ricoprire quegli affreschi con la tintura bianca….. …. Assurdo….
Il danno arrecato agli affreschi è immenso…. I resti delle
opere pittoriche non sono in buono stato e non è possibile riportarli al loro
antico splendore. Le mura furono, su ordine degli Adragna, abrase e scalpellate
per fare aderire meglio la tintura bianca che successivamente ricoprì
totalmente tutte le pareti del salone. Il turista ammira quindi ciò che rimane
del ciclo pittorico e probabilmente con la fantasia ripercorre a ritroso le
immagini per risalire all’aspetto
originario del salone…. Un danno incalcolabile … Il castello ha superato il terremoto ma non avrebbe potuto resistere nelle mani
dell’uomo…
6. IL MUSEO ARCHEOLOGICO
Questo paragrafo vuole essere anche un ricordo del compianto
prof. Sebastiano Tusa tragicamente scomparso il 10 marzo 2019 a Bishoftu
(Etiopia) in un incidente aereo. Ogni commento è superfluo per descrivere il
grande cuore e l’amore per la sua Terra da parte di uno dei più grandi
archeologi siciliani che ha lasciato un vuoto incolmabile.
È scomparso un patrimonio ricco di umanità, dignità e saggezza,
non solo per le istituzioni a cui il prof. Sebastiano Tusa ha dedicato tutta la
sua vita, ma per l’intero popolo siciliano.
Lo scorso gennaio in un intervista a Canicattì aveva
esclamato…”Cultura e turismo per
garantire il futuro della Sicilia”.
Nell’intervista ha comunicato il Suo Testamento Spirituale e
Culturale…
Ma chi l’ascolterà e soprattutto seguirà la sua voce in una
Terra dove il Turismo è gestito da molti
imprenditori, anche vicini alla Caritas, che sono soliti affermare che ai turisti
si offre “… solo aria fritta….perchè la
Sicilia non ha nulla da offrire”? (GB)
Il prof. Sebastiano
Tusa a Pantelleria
Negli anni ottanta fu proprio il prof. Tusa che nell’area
archeologica di Contrada “Stretto” di Partanna, nelle pareti di calcarenite sul
fianco sinistro dell’omonimo vallone, a un centinaio di metri dalla strada
provinciale, che collega Partanna a Montevago, e a pochi metri dalla galleria
neolitica, trovò una tomba a grotticella. Una tomba che aveva il suo ingresso
rivolto ad Occidente e con un corridoio dolmenico che si apriva nella parete
rocciosa.
Il prof. riportò alla luce numerosi reperti che costituivano
un originario corredo funerario dell’età del bronzo e la quasi totalità dei
resti osteologici relativi agli individui inumati.
Alle pareti rimasero concrezionati numerose calotte
craniche. La ceramica era costituita da
reperti dipinti in bruno su fondo rosso o giallognolo e riferiti allo stile di
Partanna-Naro e da elementi inquadrabili
nel repertorio del Bicchiere Campaniforme ( secondo millennio a.C,) oltre a
pochi pezzi acromi e non decorati dal colore bruno o grigiastro.
I reperti rinvenuti sono esposto nel Museo del
castello: diverse tipologie di ceramica
preistorica, il grande vaso rinvenuto a Capo d’Acqua, selci, ceramiche
decorate, tazze, attingiti e resti di fauna risalenti al Pleistocene superiore
quali elefanti, ippopotami e cervi.
Di grande valore
archeologico fu il rinvenimento di un “cranio
trapanato”. Un cranio con un ampio foro occipitale che fu praticato mentre
era ancora in vita. Si trattava di un uomo anziano che visse dopo
quest’operazione per circa un anno e che morì per una malattia non legata
all’operazione. Un operazione che era molto frequente nell’ambito della civiltà
del Bicchiere Campaniforme. Una primordiale pratica magico-chirurgica
probabilmente praticata per curare malattie mentali.
Il reperto fu trasportato al Museo Archeologico “A. Salinas”
di Palermo dove fu analizzato e rimase in deposito per diversi anni.
Solo a gennaio del
2014, dopo diverse sollecitazioni, il cranio ritornò a Partanna per essere
esposto nelle bacheche del Museo Archeologico della Preistoria della Valle del
Belice. Alla cerimonia di consegna del reperto
erano presenti l’assessore regionale ai BB. CC. AA. e all’Identità
Siciliana Mariarita Sgarlata, il soprintendente del mare della Regione Sicilia
Sebastiano Tusa, la direttrice del Museo archeologico regionale “A. Salinas” di
Palermo Francesca Spatafora, la soprintende per i beni culturali ed ambientali
di Trapani Paola Misuraca, l’antropologa Rosaria Di Salvo, il sindaco di
Partanna Nicola Catania.
La tomba a grotticella (n.1) era una cavità naturale
rimaneggiata e successivamente adattata a sepoltura e chiusa da un muretto.
La presenza diffusa del Bicchiere a Campana associato alla
ceramica tipica dell’Età del bronzo siciliano,
datò la sepoltura al II millennio a.C.
La sepoltura restituì inoltre resti scheletrici umani di
almeno 6 individui che furono analizzato dal punto di vista antropologico dalla
dott. Di Salvo.
La relazione
sul cranio: È un cranio incompleto di un
uomo adulto, ovoide in norma superiore, di media lunghezza e larghezza, molto
alto, con fronte metriometopica e creste frontali intermedie, aristencefalico.
La faccia è bassa, di media larghezza, con
orbite basse e cavità nasale mesorrina; il profilo ortognato; tendenza
alla fenozighia.
Nella
regione parietale destra si nota una vasta lesione, caratterizzata da una
depressione ovoidale a maggiore asse
obliquo verso l’esterno e posteriormente
(92 x 75 ) mm, con i bordi degradanti verso un’altrettanto ampia perdita
di sostanza ossea a forma irregolarmente triangolare, a lati e angoli
arrotondati e con il maggiore asse
coincidente con quello dell’avvallamento (72 x 59 ) mm.
La
superficie del cratere è priva di cribrosità diploiche. I suoi bordi si
presentano assottigliati, con un’inclinazione variante da 167 gradi (nella sua
porzione mediale) a 133 gradi lateralmente.
L’esame
radiologico (Romeo) evidenzia attorno al foro vero e proprio un cercine di
sostanza calcica più sfumata, in assenza di porosi diffusa dei tavolati
cranici; normale la vascolarizzazione
Meningea.
La T.A.C.,
nelle scansioni interessanti la lesione, mostra come i suoi bordi siano
ricoperti da un tessuto osseo simile a quello dei tavolati cranici e indice di
non recente cicatrizzazione. Si tratta quindi di una trapanazione di antica, ma
non antichissima data, realizzata mediante raschiamento progresso della
superficie cranica con opportuno strumento litico a superficie ruvida.
L’insediamento di contrada Stretto è caratterizzato da una trincea artificiale detto “Fossato” dove un
corso d’acqua scendeva dalle sorgenti di Capo d’Acqua.
Fossato
canale
L’acqua elemento vitale veniva incanalata in scoli scavati
nella roccia di calcarinite. Nello specifico dello “Stretto ” la canalizzazione
rappresentava un limite simbolico, circoscrivendo un luogo adibito a
funzioni cultuale.
Nel III millennio a.C. allo ” Stretto si stabilisce una
comunità che ha lasciato traccia di tombe a grotticella.
La zona Archeologica di Contrada Stretto sembra oggi in
abbandono… e nel 2017 fu anche colpita da un devastante incendio…
7. MUSEO ETNO-ANTROPOLOGICO DELLA
CIVILTA’ CONTADINA
8. IL GIARDINO DEL CASTELLO
Il giardino, visibile
nella foto a destra del castello, fu “pensato e voluto” da Don Domenico I
Grifeo, terzo Principe di Partanna…. “Era
questo Signore inchinatissimo alle fabriche e molto desideroso di vederne
abbellita Partanna”,
Figlio di Don Mario
III e di Donna Maria Ventimiglia, entrò
nel dominio dei beni paterni nel 1641 quando il padre era ancora in vita. I
beni furono un regalo di nozze per il matrimonio di Domenico I con Donna
Elisabetta Marino e Frifeo, sua cugina. Un matrimonio con atto del “Notar
Cesare Luparelli di Palermo , a 13 ottobre, 10 indizione”.
Un principe affabile e generoso con la città di Partanna
anche se la sua residenza abituale era Palermo a causa dei suoi impegni
politici.
“ Don Domenico per
animare i cittadini… formò un eccellente giardino nel castello con statue di
marmo di custosissimo prezzo che mandò da Palermo”.
Lo storico locale Mendolia …“In verità la disposizione di tal giardino di cui oggi altro non si
osserva che lo scheletro, è amenissima. Egli è esposto al Mezzo giorno e difeso
dai venti di Tramontana e Maestro; forma 4 piani ed ha una veduta di Mare e di
terra sorprendente”.
Dal giardino il panorama spazia sulla vallata del Belice
fino ai Monti di Sciacca e sulla spianata di Mazara da Selinunte a Trapani.
Un giardino pensile sull’attuale Via dei Normanni e
realizzato grazie ad un poderoso basione che è tutt’ora esistente.
Nel 1657 D. Domenico I, con atto del notaio G. Vitale del 2
ottobre 1657 ingaggia ““i mastri Giovanni
Corso e Paolo Samburgato a ricostruire lo muro di lu Castello di la parti di
sutta con li cantuneri intagliati a modo di bastioni; conforme l’à designato
Gaspare Denaro; cu patto di dare a detti mastri li mura vecchi sdirrupati, a
tarì 4,10 ogni canna”.
Per questi lavori il Principe acquistò delle vecchie case
che appartenevano all’antico Convento Carmelitano. Il 16 luglio 1659 il Padre
Maestro Benedetto Maria Calandra ricevette, nella qualità di Priore “once 16 quale prezzo di quelle case terrene,
quali si sdirruparo per ingrandir lo giardino dello Castello”.
A pagare il debito per conto del principe fu il segreto e
procuratore dr. Domenico Gargano.
Un giardino ingentilito da viali, scalee, giochi d’acqua,
ricco di fascino. Un secolo dopo il giardino venne vitato nei suoi “Viaggi”
dall’archeologo diplomatico scozzese Giacomo Hamilton, ambasciatore a Napoli.
Importanti le statue di marmo del giardino, sparite da
tempo.
Le statue furono trattate in epoche diverse da diversi
storici tra cui Mons. Gioacchino Di Marzo in “Misc. Salinas” e Filippo Meli in
“Archivio Storico Siciliano”. Le relazioni dei due autori presentano delle
discordanze.
Le domande tante: Quante erano e cosa rappresentavano ? Chi
ne era stato l’autore ? Che fine fecero?
L’unico dato certo è basato sulla loro esistenza. C’è un
atto notarile con cui Domenico Grifeo inaricò lo scultore Carlo D’Aprile di
apprestare ““dudici statui di marmora
bianca di altezza di palmi 4 senza la soletta di sotto, cioè le quattro
stagioni dell’anno, li sette pianeti, et lo tempo […] pro prezzo di once 100”.
Nel “Il Giornale di Sicilia” del 19-20 settembre 1922, il
giornalista Scaturro sosteneva che “Erano una volta nel giardino di quel
castello, a decorazione dei viali, tredici statuine di marmo: una rappresentava
Giovanni Graffeo capostipite di sua famiglia e primo barone, le altre dodici i
mesi dell’anno”.
Il Varvaro a sua volta riteneva errato che le statue “ raffigurassero Giovanni Griffeo e i dodici
mesi dell’anno” e aggiunge..” “dodici statue di marmo d’altezza di palmi 4
senza la soletta di sotto, cioè: le quattro stagioni dell’anno, li sette
pianeti et lo tempo”. Statue marmoree, dunque, della misura di oltre m. 1,00 (1
palmo=m 0,258).
Il Mendola a sua volta..
“Le statue…erano in numero di 24: 12 de’ quali rappresentavano li 12 mesi
dell’anno e 12 li deità maggiori”.
Ci troviamo di fronte a diverse tesi ma quella più probabile
è l’ultima, quella dello storico Mendola che fu testimone oculare.
Riguardo allo scultore anche in questo caso non si hanno
dati certi.
Secondo il Varvaro, che riprese la tesi del Meli, a scolpire
nel 1659, per 100 once, le dodici statue fu l’artista Carlo d’Aprile,
Architetto del Senato di Palermo, a cui si deve anche ““l’ingresso nuovo a bugno al Castello in faccia alla strada Maestra”.
Anche in questo caso non sono presenti dati documentali.
Nell’atto di commissione non di dice espressamente che le statue siano
destinate al giardino di Partanna.
Da scartare l’ipotesi che le statue sia opera dello scultore
Francesco Laurana. L’artista si trovava a Partanna per dei lavori ma non per il
barone Graffeo con cui aveva dei rapporti pessimi circa duecento anni prima
(1468) della realizzazione del giardino del castello.
Sulla fine misteriosa delle opere d’arte anche in questo
caso mancano dati certi.
Lo Scaturro riferì che ““La
prima (quella raffigurante il barone) fu ridotta in polvere nel 1854 per dare
il bianco alla chiesa maggiore; le altre sono tutte scomparse, senza lasciar
traccia”.
Anche il Varvaro affermò che “Due secoli dopo le statue, ridotte in polvere, dettero il bianco agli
stucchi della Matrice”.
Sono probabilmente delle affermazioni per sottolineare una
deprecabile grettezza mentale da parte del principe o degli amministratori
civici dell’epoca.
Il Mendolia invece nel suo manoscritto citò che “Le
statue di cui parla il Genealogista Rodo erano esistenti sino ai miei tempi e
la sua totale distruzione fu circa l’anno 1770, governando nella famiglia D.
Girolamo II Graffeo, 7° Principe di Partanna … Io ne conservo alcuni frantumi”.
Una storia del Mendolia scritta nel 1829 e narrata al
passato per indicare che quelle statue in quella data, erano già in rovina..“la sua totale destruzione fu circa l’anno
1770” tanto da poter prelevare dei frantumi.
La verità è che nel 1770 (e questo vale ancor di più per il
1854) delle statue non esiste più alcuna traccia. Più che all’incuria o alla
“barbarie”, è ragionevole pensare che la fine miserevole delle statue sia stata
causata dalla scarsa consistenza della pietra usata. Tanto da far insorgere il
dubbio che le statue in parola piuttosto che in marmo fossero realizzate in
arenaria rivestita di stucco, com’era in uso a quei tempi anche per gli
esterni. Ne sono testimonianza, d’altronde, le statue dell’Immacolata e di S.
Francesco, tuttora esistenti, poste nelle due nicchie ricavate sui fianchi del
campanile omonimo.
È improbabile che la povere di statue alte circa un metro
abbiamo potuto imbiancare le immense pareti della matrice. Infatti chi asseriva
questa tesi finì alla fine con il modificarla asserendo che quella polvere
serviva solo per colorare gli stucchi. Nelle opere del Serpotta, lo stucco
veniva arricchito con polvere di marmo, ma non per essere pitturato, quanto per
essere più compatto e più lucido. Anche volendo ammettere questa ipotesi, era
così difficile reperire in qualche modo questa importante materia prima ? (Nino
Passalacqua)
9. LA PINACOTECA DEL SALONE
Di fronte all’ingresso del salone si trova la tela che
raffigura San Tommaso da Villanova definita dallo storico locale Giuseppe
Mendolia di “eccellente pittura”. L’opera
è di autore ignoto e dovrebbe essere
collocata alla seconda metà del XVII secolo. Si trovava in origine nella chiesa
di San Nicolò da Tolentino ed esposta nella cappella di famiglia dello storico
Mendolia decorata con un apparato scultoreo in stucco opera dello scultore di
Mazara Sivestre Ratto nel 1665.
San Tommaso da Villanova - Autore ignoto
Pala
d’altare raffigurante la Madonna del Rosario con santi. L’opera si trovava
nella chiesa di san Francesco d’Assisi e l’autore è il pittore fiammingo Simone
de Wobreck attivo in Sicilia tra il 1557
e il 1585. A Palermo dipinse nel Monastero di san Martino delle Scale la “Cena
di Gesù”.
La
tavola proveniente dalla chiesa, ormai diruta, di San Francesco datata
1585 raffigura la Madonna del Rosario con Santi, tema toccato altre volte
dall’artista che realizzò altre pale simili per la chiesa di San Giacomo dei
Militari, oggi conservata all'interno della Caserma della Legione dei
Carabinieri di Palermo e per la chiesa del Rosario di Isnello. Tuttavia l’opera
ricorda per impostazione iconografica e per cromie la tavola raffigurante la
Madonna del Rosario con i SS. Cristina, Domenico, Vincenzo Ferreri, e Ninfa di
Vincenzo degli Azani da Pavia, datata 1540 conservata presso la Chiesa di San
Domenico di Palermo (nella foto a destra). Effettivamente la Pala di Partanna
presenta la stessa impostazione iconografica di questa, partendo da destra
possiamo osservare nel quadro centrale Santa Cristina riconoscibile per la
grossa macina che l’affianca suo attributo iconografico, San Domenico
colto nell’atto di ricevere il rosario dal bambino Gesù mentre con la
mano sinistra tiene il giglio, San Vincenzo Ferreri con il libro aperto che
probabilmente recitava il versetto dell'apocalisse di Giovanni: “Timete
Deum et date illi honorem quia venit hora judici eius” (Temete Dio e
dategli onore poiché è giunta l'ora del suo giudizio”) e Santa Ninfa con il suo
tipico vaso di fuoco in mano. L’opera nel 1910 fu portata presso i depositi
della galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo in seguito ad un atto
vandalico perpetrato da un sacrista. La scena principale ormai deturpata è
circondata da 15 formelle raffiguranti i Misteri del Rosario, mentre nella
lunetta superiore è riprodotto il paradiso terrestre con la raffigurazione
della Trinità. In basso nella zona centrale della predella si può ammirare la
deposizione dalla croce. Ai lati della scena centrale in basso sono raffigurati
i due committenti dell’opera, sullo sfondo invece è raffigurata la battaglia di
Lepanto svoltasi il 7 ottobre del 1571, nella quale la flotta della
Lega Santa (formata da Spagna, Repubblica di Venezia e Stato della Chiesa)
sconfisse quella dell'Impero Ottomano identificabile nel dipinto per la
bandiera con l’aquila a due teste. Effettivamente la Chiesa cattolica celebra
la festa della Madonna del Rosario il 7 ottobre di ogni anno. Questa festa fu
istituita con il nome di "Madonna della Vittoria" dal papa Pio V a
perenne ricordo della battaglia di Lepanto.
Procedendo
sulla destra, al centro della sala possiamo ammirare la tela raffigurante
l’Adorazione dei Pastori. La tela, proveniente dalla chiesa di San Nicolò da
Tolentino, secondo lo storico Giuseppe Mendolia fu «realizzata da un
tal Di Roccolo alla fine del 1600».
Continuando
la visita sul lato destro della parete possiamo ammirare un’altra grande tela
proveniente sempre dalla chiesa di san Nicolò da Tolentino
raffigurante sant’Agostino tra Cristo Risorto e la Vergine. Il Santo
Vescovo è rappresentato in estasi mentre attende di essere "alimentato dal
sangue di Cristo e dal latte della Vergine", per nutrire la sua fede e la
sua teologia. Si narra infatti che Sant’Agostino pregando innanzi ai due
esclamò: «hinc lactor ab ubere, hinc pascor a vulnere; positus in medio, quo me
vertam nescio»/«da una parte le dolcezze di Maria, dall'altra le piaghe sanguinanti
del Signore; posto tra questi due amori, mi trovo nell'imbarazzo della prima
invocazione!». L'episodio è relativo ad una leggenda che nasce
probabilmente in Italia a cui diversi pittori si sono ispirati per la
rappresentazione iconografica del Santo. La tela in mostra al Castello
Grifeo risulta essere «una pittura celebre ed antica» definita
così già nel 1700 dallo storico locale sacerdote Giuseppe Mendolia. L’opera fu
restaurata nel lontano 1937 da Alfredo Valenti pittore partannese.
Procedendo
sulla destra possiamo ammirare un altro grande dipinto ad olio su tela
raffigurante l’Adorazione dei Magi proveniente dalla chiesa di San Nicolò da Tolentino,
dove era anticamente collocato con l'Adorazione dei Pastori nell’area
presbiterale
A destra
possiamo ammirare, sulla parete laterale, un dipinto ad olio su tela
raffigurante san Gaetano. L’opera di cui non si conosce l’autore è comunque
riconducibile alla scuola trapanese del XVIII secolo (Andrea Carreca, Domenico
La Bruna, ecc).
Alle
spalle della tela raffigurante l’Adorazione dei Magi è esposto un altro dipinto
ad olio su tela raffigurante San Guglielmo duca di Aquitania sempre proveniente
dalla chiesa san Nicolò da Tolentino databile tra la fine del XVII e l’inizio
del XVIII secolo.
10. IL PRIVILEGIO DI CONCESSIONE DEL TITOLO E DEL FEUDO DI
PARTANNA
Il privilegio era un atto con cui i sovrano assegnavano un
titolo nobiliare e un feudo annotando le sue parti e i confini. Il documento sottostante, che ho trovato nel
sito della famiglia Grifeo, http://www.grifeo.it/Benvenuti.htm,
risale alla concessione fatta dal Gran Conte Ruggero il Normanno a Giovanni I
Grifeo sul finire dell’XI secolo. Il diploma fu poi riportato integralmente
nella seconda concessione fatta dal Re Ruggero II di Sicilia nel 1139 a
Giovanni II Grifeo e ancora una volta ricopiato nel privilegio rilasciato
dall’Imperatore Federico II di Svevia nel 1243 a Goffredo I Grifeo.
I tre diplomi sono ricordati nell’affresco posto nel
salone ed esattamente nello scudo di Giovanni
I.
Il documento integrale si trova nella raccolta della Magna
Reale Curia a Palermo, rilegato in un volume.
Un bibliotecario disonesto del passato strappò dall’antico
diploma, costituito da una pergamena di (44 x 47,5) cm, la parte con i timbri,
sigilli e pendenti plumbei….
Di seguito il testo del Privilegio (tradotto dal latino e diviso nei paragrafi originali che qui sono stati numerati):
1) Federico per grazia
di Dio augusto Imperatore dei Romani e Re di Sicilia e Gerusalemme. Pel presente
privilegio facciamo noto a tutti, si presenti che futuri, che, dopo solenne
Curia a Ca-
2) pua celebrata, ove
facemmo l'editto generale per tutti di presentare i privilegi, Goffredo de
Graffeo, abitatore di Mazara, fedele nostro, presentatosi a noi, residenti
felicemente presso Foggia, dinanzi all'Altezza nostra consegnò alla nostra
Grandezza un
3) privilegio del sig.
Re Ruggero di b. m. munito di sua bolla plumbea pendente, in lingua greca,
concesso al fu Giovanni de Graffeo, proavo di esso Goffredo, e i suoi eredi e
successori sulla concessione del casale di PARTHANNA, sito in Val di
4) Mazara, tra i
territori di Castelvetrano e di Salemi, coi diritti confini e pertinenze dello
stesso casale, con 17 VILLANI, nominati con loro pertinenze nel predetto privilegio,
tanto in detta lingua greca che nell'arabica, fatta allo stesso fu
5) Giovanni de Graffeo
con i suoi eredi e successori. E supplicò umilmente e devoto che gli si
restituisse il detto privilegio e ci degnassimo di concedere e confermar per
nostra grazia, ciò che in esso contenevasi. Il qual privilegio, esibitoci dallo
stesso
6) Goffredo, la nostra
Serenità ordinò essere osservato e diligentemente esaminato dagl'interpreti
della nostra M. Curia, conoscenti ambo le lettere e le lingue, cioè la greca e
la latina, nostri notari e fedeli. Per i quali sul contenuto di esso
7) la Maestà nostra ha
avuto piena notizia. Il tenore del qual privilegio, secondo la versione, per
bocca de' predetti interpreti, nostri notari e fedeli, è tale: RUGGERO, PIO E
POTENTE RE, IN CRISTO DIO ONNIPOTENTE
8) Donare è cosa utile
e salutare all'anima. Lo sa certissimo la potenza nostra; ma molto più quei che
servono. Alla stessa (nostra potenza) conviene provvedere con sincera
sollecitudine, ad essa con beneficio. Onde, trovando te, GIOVANNI denominato DE
GRAFFEO, ancor nell'età tua
9) giovanile,
serviente NOI diligente e sollecito, ed uno ordinato e fedele, tra quei che
sono sotto la podestà nostra dei militi, e fermamente, promettente di compiere
quegli uffici, che a Te sono stati commessi, NOI, dunque, con tutta
sollecitudine conce-
10) dendo, è proprio
della nostra potenza renderti degno d'alcun beneficio. E pertanto ti concede la
potenza nostra nella nostra Isola Sicilia, Val di Mazara, tenimenti e
pertinenze di Castelvetrano e Salemi, diciassette uomini con le
11) pertinenze
medesime, dei quali i nomi sono questi: Daifesin, Lachu, Ripipyse, Machumut ibn
Ysserif, Abdalla ibn Abdesalem, Mucumut ibn Charim, Abdetimme ebin Chuszel,
Chamut, Essavat, Bikkeri el Carej,
12) Achmet Frater eius, Mutantes ebin Atie,
Chasen ebin Gaz, Buzeitum el Vesen, Meimum ebin bu Lay, soror Ezevet, Esena
ebin Chusein. E con essi concedesi a te e tuoi eredi e legittimi
discendenti del tuo corpo
13) in perpetuo, si
che il maggiore si preponga al minore e il maschio alla femmina, secondo l'uso
del diritto dei Franchi, sotto il debito tuttavia del militare servizio, giusta
la consuetudine del regno, in essa Isola e stessi tenimenti e
14) pertinenze di
Castelvetrano e Salemi, un casale ch'è detto PARTANNA, con tutte sue
pertinenze, giustizie, tenimenti e sottoscritti suoi confini, il quale casale
pervenne a ragione per la decadenza nelle mani della potenza nostra.
15) da una parte da
certo Fonte ch'è detto Ajnbusillim, da esso fonte scende per la Porta della
Cresta, che verso settentrione, volgendo al fiume (che comincia dalla Cripta di
CALIRMA e discende
16) in mezzo alle
terre di detto casale di Partanna) da esso fiume sale fino alle piccole mandre,
che vedonsi in alto sopra esso fiume. E da esse mandre si sale diritto, dal
capo della cresta esistente a pie' della pianura
17) del FARTASO ed
esce, diviso, presso la via d'essa pianura, per cui si va a Palermo e si va
lungo la stessa via per le terre esistenti, quale divisioni d'esso casale di
ZAFARANA fin dove unisce la via
18) che va a Salemi
con la predetta cresta. E discende ai fonticelli di Carsia e da essi fonticelli
scende al vallone di Bruca fino a pie' d'esso vallone.; donde si sale per una
certa mandria esi-
19) stente sopr'esso
vallone e procede dritto fino al monte ch'è detto del GESSO, che è sopra il
casale detto della MENTA e al canale dello stesso monte. Poi da esso monte per
la porta di Calatamauro va al monte dello stesso Calatamauro
20) donde tende pel
monte della MOSTA alla cresta di essi monti fino al monte di Mucaccabo. Poi da
esso monte si protende verso la serra dei conigli, discende fino al vallone
detto Carsia. Indi (oggi territorio di S. Ninfa)
21) va lungo la cresta al
castel di TERICHI e poi da esso castello discende per le creste allo stretto di
TERICHI donde va lungo il vallone che è sotto il monte detto Nido dei CORVI, e
dà sulla pub-
22) blica via che
conduce ad ANTELLA, e da essa via scende alla Lapide bucata, esistente presso
la cresta, onde sono divise le terre di COSTANACHE e dei CARINI di S. Andrea, e
da esso sasso conduce diretto lungo la cresta fino alla
23) cresta del fico,
poi scende verso il serrone delle Dise e dà nel vallone e per esso vallone dà
ad altro serrone di Dise, ove sono le tane dei conigli. Da qui scende pel
vallone fino alla pietra della mortella e fino
24) al fiume d'Antella
e sale per esso fiume fino al passo di Misilindino, e da esso passo scende per
un vallone, fino a certa mandra ch'è detta della Cripta e da essa mandra e
cripta
25) per esso vallone
fino alle tane arenose e dà nella via che viene da Misilindino. Da qui scende
per essa via fino al capo detto KachalKisit e da lì scende lungo il detto
vallone e tende per la cresta di-
26) retto fino di
fronte a BELICE (ndr: il casale). Di là scende al gran fiume e discende lungo
esso fiume e giunge al sasso confitto dell'Oleastro, indi scende verso
27) il capo del Bando
e va lungo la serra fino alla spelonca del Belice, poi va diretto al Candac
d'Ezaburg, poi va lungo un piccolo vallone pel bosco e volge verso l'antico mu-
28) ro, dividendo con
la nostra real finestra di Castelvetrano, indi esce verso la via onde si va a
Castelvetrano e da essa via tende al VALLONE SECCO, sale per esso secco vallone
alla cal-
29) cara del fico.
Sale poi per MAGAGGIARA e dà nella portella, ov'è la via pubblica onde si viene
da Antella a Castelvetrano; da lì scende verso un vallone presso cui è certa
pietra grande
30) nella quale è
scolpita la finestra, donde si sale diretto per mezzo del Magaggiaro e giunge
al predetto fonte di Ajnbusillim ove iniziò la predetta divisa e conclude. Poi
il predetto casale
31) di Partanna coi
soprascritti uomini pertinenti ad esso e tutte ragioni, diritti, pertinenze del
detto casale e dei prescritti suoi confini, la detta potenza nostra l'ha donato
a Te, nostro,
32) Giovanni di
Graffeo, per tener questo e quelli a potestà tua e dei tuoi eredi, a dominio
perpetuo dei figli, e senza molestia di qualsiasi persona, barone o conte,
salvo sempre il detto militare
33) servizio. E vogliamo che non abbia potestà alcun dei
nostri eredi e successori in alcun tempo o anno di revocare questa donazione
per alcuna ragione o causa. Laonde notifica la nostra po-
34) tenza il presente
suo privilegio a tutti quanti sono sotto la nostra potestà ed amministrano le
cose nostre, che nessuno sopra questi, spinto da audacia, infranga o muti tali
beni che pel presente privilegio sono dati e concessi
35) a Te, bensì sempre
essi restino a Te ed ai tuoi eredi confermati e incommutabili, qual dominio e
potestà che hai ricevuto dalla potenza nostra. Onde, in fede e conferma della
forza del tutto, impressa la bolla di piombo del nostro
36) tipario, il
presente privilegio, bollato e segnato, si consegna a Te, predetto GIOVANNI de
GRAFFEO, nella città nostra, tanto confermata, di PALERMO, nel mese d'APRILE,
indizione 2a, anno seimilaseicentoquarantasettesimo. Ruggero in
Cristo Dio, Re potente pio e aiutatore dei Cristiani
37) Indi noi, ammessa
la supplica del detto Goffredo nostro fedele, benignamente considerando
38) molto grati e
accetti i sacrifici che da tempo al Rev. Nostro Padre, l'Imp. Enrico, di divina
memoria, e alla Nostra Altezza con pura fede e devozione fedelmente è prestato,
39) presta e potrà
prestare di bene in meglio, dando il dominio in futuro, restituiamo il
graziosamente il prescritto privilegio del detto Re Ruggero, di cel, mem. Al
detto Goffredo e le cose dette
40) tutte e singole,
che contengosi in esso e son concessi tra i detti territori di Castelvetrano e
Salemi, un casale che si chiama PARTHANNA con tutti i diritti e le azioni
sopradetti, i confini nel predetto privilegio
41) contenuti, e sue
pertinenze, sotto il debito del militare servizio e per speciale grazia
dell'Altezza Nostra per sicura coscienza dello stesso Goffredo, qual
benemerito, e ai suoi eredi, giusta il modo e la forma di esso
42) privilegio di
Ruggero. Compreso il tenore d'esso privilegio, diligentemente osservato, diamo,
concediamo e in perpetuo confermiamo, salvo il militar servizio suddetto. Per
memoria poi e forma di tale Nostra restituzione
43) donazione e
conferma, il presente privilegio, da valere in perpetuo, abbiamo noi ordinato e
fatto munire del sigillo della Maestà Nostra, l'anno, mese ed indizione
44) sottoscritti
45) Dato a Foggia,
l'anno dell'Incarnazione del Signore mille duecento quarantesimo terzo, nel
mese di luglio, 1. indiz. Imperante nostro signor Federico, per grazia di Dio
Invictissimo Imperator dei Romani
46) sempre Augusto Re
di Sicilia e Gerusalemme. Del suo Impero anno 22., del regno di Gerusalemme 18.
e del regno di Sicilia 48. Feliciter. Amen
11. I
GRIFEO A
PARTANNA
Ugone Grifeo, figlio
di Giovanni I, valoroso commilitone di Ruggero: Sposò nel 1130 Agnese figlia di
Arduino che guerreggiò nella conquista della Sicilia con Ruggero;
Giovanni II Grifeo, figlio
di Ugone, nel 1137 I Barone
di Partanna, sia per la sua nobile famiglia sia per i servizi resi alla
corona Normanna. “.. ancor giovinetto fu
investito dal re Ruggero della Baronia di Partanna per privilegio scritto in
lingua greca e saracena che tutt’ora si conserva nell’Archivio de’ principi di
Partanna”. (Giovanni ebbe tre figli: Niccolò, Ulla e Maria. Maria sposò
Ruggiero Martorano, conte di Martorano, fondatore del Monastero di donne, detto
oggi della Martorana, che fu citato nel testamento di Ulla Grifeo).
Niccolò Grifeo I,
1176, Barone II di Partanna, figlio di Giovanni II, fu dal re Guglielmo il
Malo nominato Almirante del Regno;
Ulla Grifeo, 1180, figlia di Giovanni II si sposò con Ruggiero “a
secretis”. Costruì un monastero a Messina “a
sue spese… detto di S. Anna… ed ambedue edificarono l’abbadia di Sn Basilio,
oggi detta di Bordonaro “. (Mugnos e Fazzello)
Giovanni III Grifeo, figlio di Niccolò, Barone III di Partanna,
sposò Gilla Palici (Palizzi).
Risale
a questo periodo una prima importante ristrutturazione della fortezza ch'era
stata fondata, come già accennato, in epoca araba col nome di "Quasr'ibn Mankud", cioè
"castello di Mankud".
Sotto
gli svevi il casale conobbe un lungo periodo di decadenza,
Goffredo I, 1243, Barone IV di
Partanna, fu al servizio militare dell’Imperatore Federico II di Svevia da cui
ottenne l’investitura del feudo.
Orlando I Grifeo,
1275,
figlio di Goffredo I, V Barone di Partanna, sposò donna Aloisia Branciforte;
Goffredo II Grifeo, 1287, VI Barone di Partanna, figlio
primogenito di Orlando, sposò Olivetta Perollo, una delle famiglie più nobili
ed importanti della Sicilia;
Periodo
Aragonese
L'abitato,
comunque, anche se in gran parte abbandonato, non scomparve del tutto perche'
all'inizio del XIV sec. fra le decime della diocesi di Mazara sono registrate
anche quelle dell'"Ecclesia S.
Andree de casali Partanne".
Sotto
gli aragonesi, i signori di Partanna fissarono stabile dimora nel loro feudo. Il
casale rinacque e si ripopolò in pochi decenni in misura consistente.
Nello
stesso periodo, naturalmente, anche il castello venne ristrutturato ed adattato
anche a residenza dei Graffeo.
La
ristrutturazione inglobò anche l'antica torre di guardia che sulla stessa
collina sorgeva sin dall'XI secolo, vedetta prima araba e poi normanna sulla
vallata.
Giovanni IV
Grifeo, 1314,
VII Barone, sotto il regno di Pietro d’Aragona, fu governatore di Sutera e di
Mazzarra, come attesta il Fazello. Sposà Chimene (Ximenes) d’Arenos nobile
catalana di ragguardevole prosapia;
Guglielmo Giovanni
Grifeo, 1338,
dell’ordine dei Minori Conventuali, secondogenito di Orlando, fu vescovo di
Lipari e dopo di Patti;
Benvenuto I, VIII Barone,
primogenito di Giovanni IV, fu dal re Federico III d’Aragona investito del
casale di Santa margherita. Soggiogati i ribelli di Catalogna e di Sardegna,
ebbe in dono Galtellin con il titolo di Visconte.
Benvenuto, signore di
molto valore, servì il Re Pietro IV d’Aragona nelle guerre di Catalogna e di
Sardegna; e da esso ebbe il carico di Generale dell’armata marittima per
soccorrere i castelli di Chirra, San Michele, Collari, ed altri di quell’Isola;
per il qual servizio conseguì da quel Re il Viscontado di Galtellin e molte
altre terre in Sardegna; e nel Regno di Sicilia la Baronia di Misirrindino con
privilegio; e nelle regie patenti, emanate in Tortosa, si legge che ebbe la
carica di Generale, in luogo di Don Pietro di Luna, mercè il suo incontestato
valore”. (Mugnos)
Intorno
al 1302 il barone di Partanna, Benvenuto I Graffeo, maestro razionale della
Magna Curia, si ribellò al re Ferdinando e occupò di prepotenza alcuni estesi
territori demaniali.
Il
sovrano, allora impegnato nella difficile guerra contro gli Angioini, non solo
fu costretto a rappacificarsi col potente Graffeo ma dovette addirittura
rassegnarsi a chiedergli aiuto contro i feudatari ribelli. Naturalmente, fu
costretto anche a confermarlo nei nuovi possedimenti, frutti di un'usurpazione
astutamente messa in atto nel momento più opportuno.
Onofrio I, 1411,
IX Barone e II Visconte di Galtellin. difese
e sostenne la Regina Bianca nelle
turbolenze contro la casa d’Aragona, meritò il titolo di Cavaliere Vittorioso,
sposò Elisabetta Bosco figlia di del Barone di Badia, Signora del Gatto.”
Pietro Grifeo, 1420,
Giustiziere e Capitano della città di Palermo.
Benvenuto II Grifeo,
1441, X Barone e III Visconte di Galtellin, fu carissimo al Re Alfonso, e al di lui figlio il Duca D. Ferdinando,
per il suo valore, per la sua fedeltà, come lo attestano le lettere di questi
due Sovrani al medesimo Benvenuto dirette.
Onofrio II Grifeo,
1453, figlio di Benvenuto II, XI Barone e IV visconte, sposò Maria di Caro,
figlia del Barone di Montechiaro;
Onofrio III Grifeo,
1487, filgio di Onofrio II, XII Barone e V Visconte, sposò Costanza
d’Amato,
nobilissima
dama della città di Sciacca, figlia di Giovanni Amato, Barone di Pirribadia, di
Bilici, di Galasi e di Francesca Perollo;
Baldassare I
Grifeo, 1493,
Barone XIII di Partanna, e VI Visconte di
Galtellin, dopo aver servito nella corte di Ferdinando il Cattolico, anni 19
creato Generale nella guerra di Granata e di Portogallo, diè prove di singolar
valore; sposò Eleonora Paternò di nobile stirpe, figlia di Mario Cavaliere
Catanese
Verso
la fine del XIV secolo la comunità di Partanna pagava una "colletta"
di 200 onze ed aveva tutti gli ufficiali amministratori, giudici sindaco e
capitani, e da questa epoca in poi viene anche definita "terra con castello". Quello ch'era per il geografo arabo
Idrisi l'"Hisn" o il "qal'ah" ed e' la "khora"
dei diplomi greci, "un abitato rafforzato da mura e protetto da un
castello", molto più sicuro del casale aperto, "centro di lavori
rurali", e molto più popolato della "turris" o del
"castrum" e della "forza".
(cfr.
H. Bresc. - Gli insediamenti medievali in Sicilia 1100 - 1450
in
Atti del Convegno internazionale di archeologia medievale, Palermo 1976, vol.
1, pp. 193-4).
Mario I Grifeo,
1531,
XIV Barone e VII Visconte di Galtellin, figlio di Baldassarre I, ebbe dalla prima
moglie Eleonora Vernagalli, di nobile famiglia pisana, due figlie. Dalla
seconda moglie, Giulia Alliata figlia del Barone di Villafranca, lasciò erede
la sua prima figlia Francesca Grifeo e Vernagalli;
Francesca Grifeo,
1557,
figlia primogenita di Mario I e di Eleonora Vernagalli, non avendo avuto il
padre figlie maschi, ereditò tutti gli stati ed i beni paterni. Per dare un
fine alle liti di successione, sposò Goffredo suo zio, fratello di suo padre;
Goffredo III
Grifeo, 1570,
XV Barone e VIII Visconte, figlio di Baldassarre I e fratello di Mario I, sposò
Francesca Grifeo Vernagalli sua nipote ereditiera. Fu spedito a Mazzarra per
opporsi a Dragorot famoso corsaro, che con un armata navale contro l’isola di
malta infestava i mari di Sicilia;
Mario II, 1580, XVI Barone e IX
Visconte, figlio di Goffredo III e di Francesca I Grifeo, si sposò con Antonia
Ventimiglia, figlia di Guglielmo Signore di Ciminna e di Sperlinga;
Goffredo IV, 1589, XVII Barone e X
Visconte, figlio di Mario II si sposò con la signora Francesca Gravina e
Coriglier, figlia del marchese Francoforte. Ereditò la Signoria delle terre di
Ciminna.
Nel
1627-28 i Graffeo ottenevano per questo loro feudo il titolo di principi e
cominciavano a favorirne la ripresa economica concedendo generose agevolazioni
ai contadini sull'esempio di tanti altri feudatari dell'isola.
A
quest'epoca si fanno risalire pure le più notevoli ristrutturazioni ricevute
nella sua lunga storia del castello che perdeva così definitivamente la sua
caratteristica di fortezza militare che aveva avuto sin dalla fondazione per
diventare quadrilatero del potere, cuore del feudalesimo, palazzo dove ogni
giorno, per secoli, si decise sulla vita di decine di famiglie contadine che
lavoravano nel feudo dei principi.
GuglielmoI Grifeo,
1627,
XVIII Barone e XI Visconte, Signore di Ciminna si sposò con Eleonora Bologna.
Fu il primo Principe di Partanna,
titolo che gli fu concesso dal Re Filippo IV con suo privilegio, spedito il 10
Agosto 1627 e che ebbe esecuzione il 20 Maggio 1628.
Mario III Grifeo,
1647,
XIX Barone, II Principe di Partanna, XII Visconte, I Duca di Ciminna per
privilegio di Filippo IV. Fu pretore di palermo e Maestro di Campo della
Milizia del regno. Si sposò con Maria Ventimiglia ed Aragona, figlia di
Giuseppe Marchese di Gerace;
Domenico I Grifeo,
1655,
XX Barone, III Principe e XIII Visconte, II Duca di Ciminna. La moglie fu donna
Elisabetta Marino, figlia ereditiera del Duca Gualtieri Francesco. Unì al suo
stato non solo la duchea di Gualteronia ()Maritali Nominae) ma anche Tripi e
Protonotarato come sua dote;
Benedetto I
Grifeo, 1682,
XXI Barone, IV principe, XIV Visconte ,
III Duca di Ciminna, Duca di Gualtieri si sposò con donna Giovanna Filangeri di
Napoli, figlia di Vincenzo Conte di San Marco. Servì con 100 soldati, suoi
vassalli, nella guerra di Messina a sue spese, ebbe da S.M. Il Mero e Misto
Impero;
Ignazio Grifeo,
1725;
senatore nel Vicereame di Sicilia;
Girolamo I Grifeo,
1740,
XXII Barone e V Principe di Partanna, XV Visconte di Galtellin, IV Duca di
Ciminna, Duca di Gualtieri, fu più volte Deputato del Regno, capitano
Giustiziere di Palermo e Pretore. Fu inoltre Consigliere Aulico intimo di Stato
dell'Imperatore Carlo VI; ebbe in moglie Laura La Grua ed Oneto, figlia di
Vincenzo Principe di Carini
Benedetto II
Grifeo, 1747,
XXIII Barone, VI Principe di Partanna, XVI Visconte di Galtellin, V Duca di
Ciminna, Duca di Gualtieri, si sposò con donna Pellegra Statella; fu Capitano
Giustiziere di Palermo
Girolamo Maria II
Grifeo, 1750,
XXIV Barone e VII Principe di Partanna, XVII Visconte di Galtellin, VI Duca di
Ciminna, Duca di Gualtieri, sposò nel1754 Dorotea del Bosco; fu nel 1771
Capitano Giustiziere. Dopo il tumulto del 1773, fu spedito Ambasciatore al Re
di Napoli dal Senato e dal popolo nel 1782. Fu Pretore di Palermo, Gentiluomo
di Camera con esercizio di S. M., e cavaliere dell'insigne Reale Ordine di San
Gennaro; morì nel 1802
Benedetto Maria
III Grifeo, 1781,
Barone XXV e VIII Principe di Partanna, XVIII Visconte di Galtellin, VII Duca
di Ciminna, nato nel 1756, sposò nel 1781 Lucia Migliaccio, che gli recò in
dote in Ducato di Floridia, la Baronia delle quattro parti del Feudo della
Cavalera, ed il territorio di Mandarado; fu Cavaliere dell'insigne Reale
Ordine di San Gennaro, Gentiluomo di Camera con esercizio e Consigliere di
Stato di S. M.; morì a’ 28 Marzo del 1812 in età di anni 56
Lucia Migliaccio e
Borgia, 1814,
Duchessa di Floridia, nata in Siracusa il 18 Gennaio 1770, sposò in prime
nozze, il 4 aprile 1791, Benedetto Grifeo Principe di Partanna; Dama della Real
Corte; decorata dell’Ordine di Maria Luisa di Spagna e di quello
austriaco della Croce Stellata. Rimasta vedova, sposò in
seconde nozze (matrimonio morganatico il 27 Novembre 1814) Ferdinando I,
Re del Regno delle Due Sicilie; rimase di nuovo vedova il 4 Gennaio del 1825, e
morì in Napoli il 26 Aprile del 1826
Cara
costantemente al consorte, ebbe dal medesimo doni cospicui, ma non esorbitanti.
Moderata però e prudente, non abusò punto dell’influenza che aveva sull'anima
del Re per intrigarsi negli affari dello Stato
Vincenzo Grifeo
Gravina e Migliaccio, 1815, XXVI Barone e IX Principe di Partanna, XIX Visconte
di Galtellin nel Regno di Sardegna, VIII Duca di Ciminna, I Duca di
Floridia, Signore di Molte terre e castella, Gentiluomo di Camera con
esercizio, Inviato Straordinario, Ministro Plenipotenziario e
Ambasciatore presso le maggiori Corti d'Europa. Tenne la Legazione Napoletana
presso Re Carlo Felice in Torino dall'Ottobre del 1823 al Gennaio del 1827. Fu
eziandio Consigliere di Stato, Cavaliere Gran Croce del R. Ordine Costantiniano
di San Giorgio, Commendatore del S. M. O. Gerosolimitano, Gran Croce del R.
Ordine di San Gennaro e di quello di San Ferdinando e del Merito, Cavaliere di
numero del R. Ordine di Carlo III di Spagna e Pari del Regno. Il 13 Aprile del
1810 tolse in moglie Agata Gravina, nata Principessa Palagonia, Grande di
Spagna di Prima Classe, Dama della Real Corte, decorata dell'Ordine Reale di
Maria Luisa di Spagna. Il 3 Aprile del 1846, nel 54° anno della età sua, cessò
di vivere desiderato e compianto
Altri figli di Benedetto Grifeo e di Lucia Migliaccio
furono:
1. Il Conte Giuseppe, che sposò Agata Moncada de
principi di Paternò.
2. Il Conte Leopoldo, che sposò Eleonora
Statella de principi di Pantelleria.
3. Il Conte Luigi, il quale fu Segretario di
Legazione a Torino, mentre il fratello Vincenzo vi era Ministro. In seguito,
salì ai più alti gradi della diplomazia. Fu per molti anni Inviato
Straordinario e Ministro Plenipotenziario di S. M. Siciliana presso S. A.
I. e R. Il Granduca di Toscana e presso le corti Ducali di Parma, Modena e
Lucca. In seguito, fu trasferito a Berlino, e quindi a Madrid, dove morì il 18
Agosto del 1860.
Era Cavaliere Gran Croce del R. Ordine di San Ferdinando e
del Merito, Cavaliere dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio e decorato
della medaglia del costante attaccamento; Cavaliere Gran Croce del R. Ordine
toscano del Merito sotto il titolo di San Giuseppe, Cavaliere del Sacro e
Militare Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Maggiordomo di Settimana con
esercizio, etc. etc.
Benedetto IV Grifeo e
Gravina, 1830, XXVII Barone, X Principe di Partanna, XX Visconte di
Galtellin, IX Duca di Ciminna, II Duca di Floridia, Gentiluomo di Camera di S.
M. Con esercizio, Pari del Regno. Nacque in Palermo il 24 Gennaio del 1813;
sposò il 1° Gennaio del 1832 Eleonora Contessa Statella e Moncada dei principi
di Cassaro, Dama della Real Corte. Morì il 15 Novembre 1853
Vincenzo Grifeo e
Statella, 1834, XXVIII Barone e XI Principe di Partanna, XXI Visconte, X
Duca di Ciminna, III Duca di Floridia e Grande di Spagna di Prima Classe
(Il primo Grande di Spagna della famiglia Palagonia fu il
Principe Ferdinando Gravina e Bonanno. La Grandezza di Spagna fu concessa dal
Re Filippo V nel 19 Novembre del 1709, esecutoria dal 28 Febbraio del 1710,
dichiarata di 1a Classe con decreto del 12 Maggio del 1720. I molti titoli
della famiglia Palagonia si trovano enumerati dal Villabianca. Questi titoli
però, che andavano in linea di fidecommesso al Principe di Partanna Vincenzo
Grifeo e Statella, furono dallo stesso rinunziati alla Principessa Agata sua
nonna per via di atto pubblico, adempiendo a tutte le formalità volute dalla
legge; poi la predetta Principessa Agata, mediante sovrana approvazione, ne
ottenne la investitura pei suoi propri figli. In quanto alla Grandezza di
Spagna, essa passò al Conte salvatore Grifeo Principe di Palagonia)
Da Vincenzo Grifeo Gravina e Migliaccio, IX
Principe di Partanna, primo Duca di Floridia, e da Agata Gravina e Gravina
Principessa di Palagonia, Grande di Spagna di 1a Classe
nacquero:
1. Benedetto primogenito
(vedi anno 1830).
2. Salvatore Grifeo
Principe di Palagonia; nato in Palermo il 13 Settembre 1816, Maggiordomo di
Settimana, Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario, Cavaliere del
Real Ordine Costantiniano di San Giorgio, Uffiziale della Legion d’Onore,
Commendatore del R. Ordine di San Lodovico di Parma e Cavaliere di numero
dell’Ordine Reale di Carlo III di Spagna, Gran Croce del R. Ordine di San Michele
di Baviera, Abbate titolare della SS. Annunziata di Ciminna, e di San Michele
in Fogliarino di Piedimonte.
3. Lucia Grifeo
nata in Palermo lì 9 Agosto 1817, sposò il Marchese Artale il 2 Febbraio 1845,
morì il 28 Settembre 1850.
4. Ferdinando Conte
Grifeo, Principe di Lercara, nato in Berlino il 13 Marzo 1820, Capo
Squadrone nel reggimento Lancieri Arciduca Carlo nell’armata Austriaca.
5. Francesco Conte
Grifeo Duca di Valverde, Gentiluomo di Corte di S. M. La Regina, Ufficiale della
Corona d’Italia e de’ SS. Maurizio e Lazzaro, Cavaliere del Sovrano M. Ordine
Gerosolimitano; nato in Berlino il 5 Luglio 1821. Egli ricoprì varie cariche
onorifiche.
6. Maria Grifeo
Marchesa di Delia, nata in Palermo il 29 Agosto del 1822, sposata il 21 Aprile
del 1849 al Cavaliere Niccola Sella di Napoli.
7. Cristina Grifeo,
nata in Torino il 18 Novembre del 1825, tenuta al Sacro Fonte dalla Regina
Maria Cristina, moglie del Re Carlo Felice, della quale prese
il nome. Essa professò voti solenni nel monastero di Santa Caterina
in Palermo, ove morì il 5 di Marzo del 1869.
8. Ferdinanda Grifeo,
nata in Madrid il 12 Novembre del 1829, fu tenuta al Fonte Battesimale
da S. M. Il Re Ferdinando VII, di cui prese il nome. Il 27 Aprile del
1848 sposò in prime nozze il Duca di Cariaci Paternò-Castello, e rimasta
vedova, si rimaritò col Cavaliere Michele Gravina il 24 Giugno del 1857.
Dalla discendenza di Vincenzo Grifeo non sono dunque viventi
che: Francesco, Fernanda e Maria suoi figli e Stefanina sua nipote.
I figli di Stefanina portano il cognome di Turrisi-Grifeo, e
accampano diritti sui titoli della famiglia Grifeo.
Da Giuseppe Grifeo, secondo figlio di
Benedetto e di Lucia Migliaccio, che sposò, come già dicemmo, Agata Moncada dei
principi di Paternò, nacquero i seguenti figli:
1. Benedetto,
il quale sposò Lucia delle Porte dei Duchi di Civitella;
2. Lucia,
maritata al Marchese Francesco Raffo dei Principi di Scaletta.
Benedetto ebbe quattro figli, tuttora viventi, cioè:
Giuseppe, capitano di fanteria;
Francesco, capitano dei bersaglieri;
Lucia, nubile;
Carlo, tenente di vascello.
Giuseppe sposò Elena de Marteon, da cui ebbe due figli:
Lucia e Benedetto. Francesco condusse in moglie Lucrezia nobile Gatteschi; e ne
ebbe due figli: Federigo e Benedetto.
Laonde, dalla discendenza del Conte Giuseppe Grifeo,
secondogenito di Benedetto e di Lucia Migliaccio, vivono dunque: Benedetto, e i
figli di lui Giuseppe e Francesco, i nipoti Lucia e Carlo, ed i Pronipoti
Luisa, Federigo e Benedetto.
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12. TERREMODO DEL BELICE – L’ESEMPIO DEI SINDACI DI PARTANNA E
GIBELLINA – IL CRETTO – LUDOVICO CORRAO
Domenica, 14 gennaio 1968,
il pranzo ( le ore 13,28) di migliaia di siciliani della zona del Belice
fu interrotto da un forte boato. Una forte scossa di terremoto.. non so quando
durò quella scossa.. poi il silenzio…
Alle 14,15 una seconda scossa ed una terza alle 16,48…
Scosse che causarono gravi danni nei comuni del Belice:
Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa
Margherita di Belice, Santa Ninfa e Vita.
La gente naturalmente era allarmata e in preda alla paura
decisero di passare la nottte, siamo in pieno invero, in macchina o in strada.
Una precauzione che si rilevò come una salvezza per tanti perché il destino..
un tremendo destino aleggiava su quella povera gente che da sempre aveva
vissuto a contatto con continui sacrifici.
Nella notte alle 0,31 , 15 gennaio , una scossa
violentissima devastò tutta la zona. Una scossa di magnitudo 6,4 con epicentro
nelle zone di Gibellina, Salaparuta e Poggioreale..
Ogni terremoto porta con sé tristi elenchi… fatti di freddi
numeri, percentuali e fu così anche per la
Valle del Belice.
296 morti, migliaia di feriti e circa 90.000 sfollati. Il
patrimonio edilizio rurale devastato… danni irreparabili per circa il 90%. Per
mesi la terrà continuò a tremare e fino all’uno settembre, a ben otto mesi dal
sisma, si verificarono 345 scosse con 81 scosse superiore al terzo grado.
Alcune testate giornalistiche affermarono che i “morti
accertati ufficialmente” furono 231 ma la verità, secondo me, era molto più
tragica perché il bilancio delle povere vittime fu ben più alto con oltre 400
morti. Un numero relativamente contenuto se paragonato all’enorme portata delle
distruzioni. Il merito fu del grande e
compianto generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora comandante della Legione dei
Carabinieri di Palermo e successivamente ucciso dalla mafia, che lanciò il
preallarme.
Nel pomeriggio del 14 gennaio il generale visitò i paesi
colpiti dalle prime scosse e raccomandò alla popolazione di pernottare all’aperto.
L’epicentro del sisma fu localizzato nel medio e basso
bacino del fiume Belice.. 12 comuni.. per una superficie di circa 1000 kmq… un
territorio che non figurava tra quelli considerati a rischio sismico.
I paesi di Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago
furono quasi totalmente rasi al suolo.
Un’altra forte scossa il 25 gennaio, alle ore 10,56 con
altre vittime e crolli dei fabbricati che erano rimasti in piedi.
Partanna aveva 4.345 unità immobiliari: il 30% fu
completamento distrutto, il 42% danneggiato gravemente, il 19% lesionato. La replica
tellurica del 25 gennaio causò il crollo di numerosi edifici.
Contrasti istituzionali, una gestione delle risorse non
controllata, denunce e conflitti resero difficile e lenta l’opera di
ricostruzione. Errori, speculazioni, ma anche idee e preziosità si alternarono
in questa grande opera di recupero, non ancora conclusa dopo ormai cinquanta
anni.
Partanna reagì con le proprie forze a quel disastro naturale
e sociale e oggi offre di sé un esempio da seguire attraverso la valorizzazione
del territorio.
Partanna
Gibellina
La voglia di rinascita delle città della Valle del Belice si manifestò subito dopo il terremoto anche
se tra mille difficoltà. Il sindaco di
Gibellina, Ludovico Corrao, vide nell’arte un riscatto sociale della città e
chiamò nella città numerosi artisti per
lasciare una loro opera. Artisti che si recarono nella Valle del Belice a
titolo gratuito.
Tra gli artisti Alberto Burri (Città di Castello (Perugia),
12 marzo 1915 – Nizza, 13 febbraio 1995)..
«Andammo a
Gibellina con l'architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco
di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese
nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente
di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era
quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da
piangere e subito mi venne l'idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa.
Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le
armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che
resti perenne ricordo di quest'avvenimento.”
Burri progettò un
monumento, detto “Cretto”, che ripercorre le vie e i vicoli della vecchia città
di Gobellina. Il vasto monumento sorge infatti sulle rovine di Gibellina che
furono cementificate dall’opera dell’artista. È una vasta piattaforma di cemento con una serie di fratture che
richiamano alle antiche vie del paese. Ogni fenditura è larga dai 2 – 3 metri mentre i blocchi sono alti
circa 1,60 m. presenta una superficie di circa 88.000 mq ed è una delle opere d’arte
contemporanea più estese al mondo. Vicino al “Cretto” ci sono i resti dei
ruderi di Gibellina.
Il valore artistico dell’opera è il richiamo alla memoria
storica del paese
L’opera venne realizzata in diverse fasi. Una prima fase tra
il 1985 ed il 1989 e il completamento dell’opera solo nel 2015 in occasione del
centenario della nascita dell’artista.
I nuovi blocchi sono riconoscibili per il loro colore bianco
mentre quelli risalenti al 1985/89 sono diventati grici, un colore che richiama
alla tristezza del luogo. Il grigiore viene spezzato dalle macchie verdi dei
capperi, cresciuti sul cemento, come a ricordare che la forza vitale di questi
luoghi non è svanita nonostante le forti sciagure del crudele destino.
I ruderi di Gibellina
a circa 300 m dal Cretto
Ogni anno al “Cretto” si svolgono le “Orestiadi” cioè delle
manifestazioni teatrali, musicali, cinema e mostre di scultura e pittura. Manifestazioni
organizzate dalla “Fondazione Orestiadi” di Gibellina.
Si svolgono ogni estate
dal 1981 e furono fondate dall’ex sindaco e senatore Ludovico Corrao tra
le iniziative per la rinascita culturale del territorio dopo il terremoto.
Le rappresentazioni si tengono anche presso il Baglio Dio
Stefano di Gibellina. La fondazione ha anche una importante sede presso Medina
di Tunisi nel prestigioso Palazzo Bach Hamba. Una sede che ha come obiettivo lo
sviluppo di un dialogo tra le culture del Mediterraneo (patrocinata dal
Ministero degli Affari esteri e dalla Regione Sicilia).
La storia di Gibellina
e di Ludovico Corrao è un racconto diverso da quelle che generalmente si
sentono in Sicilia. La ricostruzione del paese non fu sono straordinaria ed
originale per la presenza di numerose opere d’arte contemporanea sparse per la
nuova città, ma anche per le modalità con cui furono reperiti i fondi necessari
per costruirli…. Senza finanziamenti pubblici
Ludovico Corrao
Un tragico gioco del
destino la sua morte..
Nel 2010, assieme al
giornalista Baldo Carollo, pubblicò un
libro-intervista “Il
Sogno Mediterraneo” che narrava sessant’anni
di
storia della Sicilia.
Anni rivisti da intellettuali del tempo come
Leonardo Sciascia,
Carlo Levi,ecc.).
La Sicilia appare al
centro di un dialogo tra le diverse culture del
Mediterraneo, al di
fuori di ogni contrapposto fondamentalismo.
Una Sicilia in cui
credeva Corrao..
Il 7 agosto 2011,
Corrao all’età di 84 anni, venne ucciso
a Gibellina da
Mohammed Saiful
Islam, un bengalese di 21 anni, accolto sin da bambino
dallo stesso Corrao ed era alle
sue dipendenze..
Gibellina – La Porta
del Belice di Pietro Consagra
Sulla facciata di un rudere della vecchia Gibellina, a poca
distanza dal Cretto, sono riportate le parole di Ludovico Corrao:
“Cosa sarebbe l’uomo
senza il soffio rigeneratore dell’arte?”
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