Partanna (Tp) – Il Castello Grifeo… Uno Scrigno di Tesori





Indice:
1.      Cenni sul “Casale “ di Partanna;
2.      Origini della famiglia Grifeo (Graffeo) – La venuta dei Grifeo in Sicilia –
La Cattedrale di Mazara del Vallo con l’effige dei Grifeo;
3.      La Famiglia Adragna, nobili di Trapani – Erice – Salina Altavilla (Isola Grande) (Trapani)
Tenuta Adragna – produzione olio e vini;
4.      Il Castello;
5.      La Struttura Interna – Il “Salone del trono” o “Sala d’Armi” – La “Cella della Monaca”
Le Scuderie – Le Cantine – I Sotterranei – Le scoperte nel “Salone d’Armi”;
6.      Il Museo Archeologico –  Il Ricordo del prof. Sebastiano Tusa – Il suo Testamento Spirituale e Culturale (Video) - Tra i reperti il “Teschio Trapanato” del 2000 a.C.
I Reperti provenienti dal sito archeologico di contrada “Stretto” (cenni)
7.      Museo Etno-Antropologico della Civiltà Contadina;
8.      Il Giardino del Castello
9.      La Pinacoteca nel “Salone d’Armi”;
10.   Il Privilegio di Concessione del Feudo;
11.  I Grifeo a Partanna (discendenza);
12.  Il Terremoto del Belice – L’esempio dei sindaci di Partanna e di Gibellina –
Il Cretto – Ludovico Corrao

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1.      Cenni sul “Casale” di Partanna
Partanna è un comune di circa 10.000 abitanti posto in prov. di Trapani fra le valli del Modione ad ovest e del Belice ad est. La sua etimologia è incerta. Secondo alcuni storici è di origine greca , “parthenos” cioè “vergine” mentre per altri storici di origine araba da “bartannah” cioè “terra sicura”.
La villa del centro è intitolata a Rita Atria ed è adiacente alla piazza principale del paese dedicata ai due giudici Falcone e Borsellino. Tre personaggi che hanno creduto nella vera giustizia e vittime della mafia.

La fondazione del centro dovrebbe collocarsi tra la fine del IX secolo e gli inizi del X per opera di popolazioni berbere. Nel piccolo villaggio allora esistente costruirono due torri di guardia. Una dove oggi sorge la Chiesa del Purgatorio (trasformata successivamente in campanile della Chiesa del SS. Crocifisso  e crollata nel terremoto del Belice)  mentre l’altra fu inglobata nella successiva costruzione del castello.

Chiesa del Purgatorio

La Chiesa del Purgatorio era in origine una torre saracena. Fu trasformata in Chiesa
per volere della famiglia Grifeo e dedicata al SS. Crocifisso.
Fu semidistrutta dal terribile terremoto del 1968 ed è ancora
visibile il suo valore archiettonico grazie ad una parte dell’antica facciata.

Lo scrittore arabo  Adballa al Maquaddasi, visitò tra il 968 ed il 988 numerose città e borghi dell’Isola. Nella sua relazione citò  un centro con il termine di “ Bartamnah” da identificare con Partanna.
Secondo una fonte del’ 700 le più antiche costruzioni sorsero in contrada Fontana, posta ad ovest dell’attuale città.
Il primo documento in cui si cita il “casale di Partanna”  risalirebbe al 1097.
Si tratta di un documento in cui il Gran Conte Ruggero il Normanno, che liberò la Sicilia dagli Arabi, appare come tributario del monastero di Boico di Vicari, cioè del monastero basiliano di Santa Maria de Boickòs a cui donò terre, animali e servi (M. Scaduto, Il Monachesimo basiliano nella Sicilia Medievale, Roma, 1982, p. 405).

Vicari (Palermo)
Il Monastero Basiliano di Santa Maria de Boikòs


Verso la metà del XIV  secolo il castello e la matrice vecchia furono costruiti in alto, sulla collina, inglobando anche le due antiche torri di guardia.
Sin dai primi tempi della conquista normanna, molto probabilmente intorno al 1075, i Grifeo, guerrieri al seguito del Gran Conte, avevano ottenuto il feudo di Partanna, ma fu solo nel 1139 che Giovanni II Grifeo (Graffeo) venne nominato ufficialmente barone di Partanna dal re Ruggero II.
Nel 1898, dopo essere stata posseduto e abitato per secoli dai Grifeo, fu venduto agli Adragna, nobile famiglia di Trapani.
Nel 1991 la Regione Sicilia acquisì il castello facendo riferimento alle sue normative tra cui la legge n. 80 del 1977.
La struttura nel terremoto del 1968 subì lievi danni resistendo alle tremende scosse telluriche.
notizie di questo castello perchè nell'ultima guerra l'archivio di casa Graffeo andò completamente distrutto.

1.      ORIGINI DELLA FAMIGLIA  GRIFEO (GRAFFEO)




La tradizione  cita come la nobile famiglia abbia una sua storia ancora prima della conquista normanna della Sicilia. La sua origine sarebbe nel cuore dell’Impero Bizantinoin un ramo “cadetto” (secondario) della famiglia imperiale dei Foca.
(Foca era una famiglia di latifondisti bizantini originaria della Cappadocia che nei secoli IX e X diede all’Impero Romano d’Oriente illustri militari e politici. L’esponente più importante della famiglia fu Niceforo II Foca, imperatore bizantino dal 963 al 969). L’origine quindi dei Grifeo è legata al Bosforo e all’isola di Candia (l’antica Creta) come riportano numerosi testi storici.

Giuseppe Maria Salvatore Grifeo ha svolto, con grande attenzione, una ricerca genealogica riportando anche le citazioni di antichi storici.
Nel testo “Il Blasone in Sicilia – Dizionario storico-araldico della Sicilia” di V. Palizzolo Gravina, Barone di Ramione, Palermo 1871-75” è riportato:
“Graffeo o Grifeo – Famiglia mobilissima e come dice il Minutoli, concordemente ad altri storici, trae sua origine dagl’Imperatori greci, vissuto avendo in Palermo con grande splendore, annoverandosi come la più antica famiglia siciliana perché trovata nobile dal conte Ruggiero, e posseditrice della terra di Partanna. E per tacere di una remota antichità, ci piace col Mugnos fermarci ad un Leone Foca (970), figlio di Bardafoca II, il quale dato l’ultimo crollo a’ Bulgari, e vinto in battaglia il loro signore e capitano Grifeo, ne prese il nome e l’arme. Fu per questo ch’ei ottenne dal greco Imperatore l’isola di Candia, e numerosi castelli. Da lui un Euripione Graffeo, che con una squadra di canditoti venne militando in Sicilia, unitamente a Maniace generale dell’armata greca contro i Saraceni, facendone orribil scempio”.
L’Annuario della Nobiltà Italia 8edizione 1896) cita:
“Questa Famiglia, detta anche Graffeo, è di antichissima origine, e i genealogisti hanno
voluto farla derivare dagli imperatori greci. Certo è che la si trova feudataria in Sicilia dal 1130, nel qual anno vivea Ugo Graffeo, Stratigò di Messina, che intervenne all'incoronazione di Re Ruggiero il Normanno”
C’è pure una leggenda sull’origine dei Grifeo, come spesso accade nell’origine
dei cognomi:

“Il primo componente dei Grifeo, giunto in Sicilia con l’armata del Gran Conte, uccise un Grifone che infestava le campagne intorno Partanna. Da quel momento, quindi, l’inizio del cognome, dello stemma famigliare e l'intestazione del territorio appena liberato da quell'animale così pericoloso.”
Stemma che senza alcuna variazione è fino ad oggi l’emblema della nobile Famiglia:
“Troncato, Campo di oro, con tre sbarre d’azzurro, abbassate sotto una riga dello stesso (o una lista di nero), sormontata da un grifo di nero passante con la branca destra erta combattente. Mantello di velluto scarlatto”. Corona di principe. Motto: “Noli me tangere”.

La Venuta dei Grifeo in Sicilia
Auripione, figlio di Leone Grifeo e di Costantina, figlia dell’Imperatore Alessandro, con una squadra di Candioti  giunse in Sicilia, per unirsi alle truppe del generale Maniace e insieme sferrare l’offensiva contro i Saraceni.
I Saraceni furono sconfitti e cacciati da tutta la Val di Noto.  In ricordo della vittoria edificò un tempio nella città di Messina in onore della Madre di Dio.
Tempio che fu chiamato il “Tempio di Grifeo ( o Graffeo) per scorrezione di Lingua” (Mugnos).
Giovanni I Grifeo, figlio di Auripione e di Geltrude, figlia di Dragone, fratello del Gran Conte Ruggero, affiancò lo zio nella lotta ai Saraceni.
Nel 1092 uccise il forte saraceno Mogat nel momento in cui stava per colpire mortalmente lo zio (il Gran Conte Ruggero) che lo stesso saraceno aveva sfidato a duello.
Giovanni I Grifeo sposò Valdetta, figlia di Aifredo Braccioforte (Branciforte) e fu nominato Straticò (Stratigoto) di Messina


Mazara del Vallo – Cattedrale del SS. Salvatore

“L’effige del nipote Giovanni Grifeo e dello zio conte Ruggiero unitamente si
veggono scolpite in rilievo di marmo sovra la porta della Chiesa Cattedrale
di Mazzarra (Mazara del Vallo), ambedue a cavallo, il Conte con un
saraceno sotto i piedi, e Giovanni Grifeo collo scudo imbracciato,
coll’insegna dell’arme della sua famiglia” (Mugnos).

Lo scudo di Giovanni I Grifeo con l’emblema del grifone

La scena del duello è ritratta in un dipinto posto nella Sala del trono del

Castello di Partanna

Giovanni I Grifeo fu il primo della famiglia ad ottenere il privilegio che lo investì della Baronia di Partanna. Diploma che fu ricopiato nella concessione firmata da Re Ruggero II nel 1139 e ancora una volta ricopiato nel privilegio concesso successivamente dall’Imperatore Federico II di Svevia.


3.      LA  FAMIGLIA  ADRAGNA,  NOBILI  DI  TRAPANI

Stemma in ceramica della Famiglia Adragna
Motto : “Non Tacebo”“Non Tacere”
Palazzo Adragna (Trapani)


La famiglia discenderebbe dalla nobiltà di Bologna e sarebbe legata alla famiglia Pepoli di Bologna.  Gli antenati  sarebbero di origine normanna e parteciparono alla conquista normanna della Sicilia.
Le loro città: Salemi, Mazzarra (Mazara del Vallo) e Trapani. Vanta numerosi giurati, capitani di giustizia e Francesco Adragna ottenne il titolo di barone di Altavilla Salina dal re Ferdinando I delle Due Sicilie ottenendo anche il riconoscimento dei diritti feudali della famiglia.. La Commissione araldica siciliana elenca la famiglia nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana. La casata ha pure degli importanti legami storici con i Cavalieri Ospedalieri (l’Ordine di Malta) infatti partecipò attivamente al movimento crociato in Terra Santa.
Gioacchino Napoleone Pepoli, cugino della famiglia Adragna, Senatore del Regno d’Italia e sindaco di Bologna, era un pronipote di napoleone Bonaparte attraverso la madre, la Principessa Louisa  Julie Caroline Murat, figlia del principe Gioacchino Murat, cognato dello stesso Napoleone. La famiglia ancora oggi è impegnata nella produzione vinicola nel trapanese con la “Tenuta Adragna” costituita da splendidi vigneti ed oliveti.

Erice (Trpani) – Torretta Pepoli



La Salina Altavilla si trova nell’Isola Lunga, detta anche di S. Teodoro, posta nello
Stagnone di Trapani. La sua costruzione è legata ad una concessione del 1492 a
Gerardo de Bonanno. In realtà la concessione riguardava la costruzione di una tonnara.
«Gerardo Bonanno era un uomo importante, Maestro Razionale già sul finire del secolo XV,
nel 1502 intraprende la costruzione di una salina nello Stagnone di Marsala ed è autorizzato a costruire una torre merlata per sicurezza degli operai nella vigna che ha sull’isola di Tavila, da identificare con l’isola di San Pantaleo su cui sorgeva l’antica Mozia. Nel marzo 1507 è nominato commissario per la cattura dei delinquenti, con l’autorità di vicario in tutto il Regno. Nel 1508 il re gli conferma il feudo dell’isola Tavila concessogli da re Giovanni; nel 1509 è anche Pretore di Palermo e Deputato del Regno; nel 1511, quale Maestro Razionale, fu destinato a Tripoli dove gli venne assegnata una casa delle migliori; ma non è detto che abbia raggiunto l’Africa. Nel 1516 viene mandato dal De Luna in qualità di Vicario a rimettere ordine a Corleone. Una scelta che il padre Gerardo Bonanno paga, il 23 luglio 1517, con l’uccisione, per mano dei rivoltosi capeggiati dallo Squarcialupo, e con il saccheggio della casa. Il fratello primogenito Giovanni Giacomo, anche lui fatto oggetto delle ire dei rivoltosi, riesce abilmente a sfruttare la situazione particolare venutasi a creare a seguito dei moti e della loro repressione, consolidando le fortune della famiglia. Infatti, ottiene da Carlo V sia di subentrare al padre nella carica di Maestro Razionale, sia di avere un ristoro economico delle perdite patrimoniali subite dalla sua famiglia. Giovanni Giacomo, utilizzando questa sovrana disposizione, ottiene un terreno appartenente al defunto Alfonso La Rosa, del valore di onze 540.15. Inoltre, a Bonanno sono consegnate onze 100, in due partite per mano del Tesoriere. Per la rimanente somma, il Bonanno chiede l’assegnazione del feudo della Ganzaria, pervenuto alla Regia Curia "per li demeriti et delitti commissi et perpetrati" da Antonino Gravina di Catania, il cui valore è calcolato a ragione del 7%.
Nel 1763 Francesco Adragna s’investì della Baronia di Altavilla per concessione
Enfiteutica fattagli da Domenico Corvino e Caccamo, Principe di Mezzojuso.

Salina Altavilla – i dormitori dei "salari"

Il Barone Francesco Adragna mentre si reca a caccia nell’Isola Lunga

Castello di Venere  (famiglia Adragna) – Erice

Il Castello di Partanna nel 1890 fu acquistato dalla famiglia Adragna probabilmente dal Barone Girolamo Adragna.
Nel 1491 il castello fu visitato da Umberto II d’Italia mentre era principe ereditario per poi diventare l’ultimo re d’Italia
Come già accennato nel 1991 il castello diventò proprietà della regione Sicilia grazie da una donazione, eseguita dalla famiglia Adragna, al Dipartimento dei Beni Culturali di Trapani.

Tenuta di Pizzolungo

L’azienda Tenute Adragna si estende lungo la costa occidentale della Sicilia su una
superficie di circa 300 ettari ospitando due Riserve Naturali e un’area Ambientale Protetta.
Il fulcro dell’azienda si trova in località Rocca di Giglio, dove sono stati impiantati i
vitigni di Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Merlot dalle caratteristiche molto
spiccate grazie all’escursione termica creata dall’altitudine dei terreni.
In Contrada Kinisia, tra secolari cave di tufo, sono stati impiantati il Nero d’Avola e l’Inzolia
che, proprio grazie ai terreni tufacei in cui crescono, sprigionano sensazioni olfattive che
vanno ben oltre l’arte enologica.
Nella Riserva Naturale “La Salinella”, gli Adragna producono il
 “Sale delle Saline di Trapani”, estratto con il solo aiuto del sole e del vento, che
queste terre della Sicilia ricevono costantemente da milioni di anni.
Non da ultimo, dall’attenta coltivazione degli ulivi centenari di Rocca di Giglio e di Kinisia,
nasce l’olio extra vergine d’oliva delle Tenute Adragna, che si fregia del
marchio “D.O.P. Valli Trapanesi”.



L’Inzolia




Il Ristorante Adragna -  Trapani


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4. IL CASTELLO
Sulle origini e sull'uso cui esso fu destinato già dalla fondazione ci sono, come in parte già s'è detto, molti dubbi e congetture.
Vito Amico, per esempio, negava, come altri autori avevano sostenuto, che “la famiglia Chiaromonte avesse mai vantato il possesso del castello e che lo avesse utilizzato” e lo stesso Tommaso Fazello non parlò  dei Graffeo come dei soli e secolari possessori della fortezza e del feudo di Partanna.
Alcuni studiosi, più recentemente, hanno ritenuto che la forma originaria del maniero fosse quella di una presidio normanno poi trasformato in residenza baronale; altri che il castello esistesse a partire dall'epoca normanna e che fosse stato ricostruito tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV; altri ancora che esso fosse stato innalzato verso la metà del Trecento inglobando una delle torri che, come si diceva, sporgevano sulla collina fino dall'IX secolo e che erano resti di inutili fortificazioni.
La struttura di questa fortezza ha dunque subito nei secoli molte e consistenti trasformazioni.
È uno dei più belli castelli della Sicilia Occidentale, perché malgrado le ristrutturazioni e gli eventi naturali come il Terremoto del Belice, si presenta ancora oggi nel suo splendore.
A pianta rettangolare con tre corpi di fabbrica su un cortile interno. Le coperture a tetto con falde supportate da travi lignee e  copertura con tegole. Le murature in conci di tufo, in pietra a taglio e i pavimenti in ceramica e terracotta. Dal punto di vista altimetrico  il castello in passato dominava l’abitato ma lo sviluppo urbanistico del paese ha cancellato questa preminenza  perché gli edifici sono stati costruiti in altre aree a quote più elevate rispetto a quella del castello.
Fu edificato verso la fine del 1400 e rimaneggiato nel XVII secolo.

Nel XX secolo , malgrado la sua età e la tipologia costruttiva, fu uno dei pochi edifici a resistere al distruttivo terremoto della Valle del Belice del 1968. Un terremoto che devastò interi paesi con complete distruzioni. Nella stessa Partanna caddero al suolo numerose chiese e il paese fu gravemente colpito e ricostruito. Di quei giorni rimangono solo poche ferite ancora visibili nel territorio. La Chiesa del Carmine e la Chiesa Madre furono restaurate anche se sono visibili i segni dell’evento sismico soprattutto nelle antiche decorazioni artistiche.



Il disegno di Nino Teri, artista di Partanna, mostra l’immagine del castello verso la metà dell’XI secolo.  Il castello è raffigurato sulla parte sinistra del disegno mentre a destra c’è la torre di origine saracena che costituirà nel tempo il nucleo centrale del nuovo castello. La torre ancora oggi è visibile perché parte integrante della struttura.
Fino alla metà del XIII secolo i Grifeo ricoprivano spesso la carica di strategoto di Messina e solo sporadicamente erano presenti nel territorio di Partanna. Era quindi presente nel territorio solo un casale. Solo durante la dominazione ragonese si stabilirono a Partanna accrescendo il loro prestigio con la costruzione del castello.

Nel 1500 il castello presenta sostanziali modifiche. La parte originaria della struttura è occupata da una chiesa e della primitiva struttura rimaneva il torrione a sezione circolare. Il castello si trova a destra dell’immagine ed è un aspetto che risaliva al 1400 quando fu operata una totale ristrutturazione.
Nel 1374 il barone Benvenuto Grifeo, figlio del barone Giovanni IV Grifeo, ospitò nel castello il re Federico III d’Aragona. Barone Giovanni IV Grifeo che aveva operato sostanziali modifiche alla struttura.
Nel XV secolo i Grifeo si stabilirono definitivamente nel castello e al 1468 risalirebbe la realizzazione dello stemma di famiglia, posto all’ingresso del “Salone del trono” ed opera dell’artista dalmata Francesco Laurana. Opera che fu commissionata dal barone Onofrio Grifeo.
Il disegno successivo, sempre opera dell’artista  Tito Neri, evidenzia un ulteriore modifica nell’aspetto del castello che è parzialmente visibile a destra. Le mura sono state eliminate o inglobate nelle nuove strutture destinate a palazzi ed abitazioni. Cambiamenti che risalgono al XVII secolo e che diedero alla struttura il suo aspetto definitivo che possiamo oggi ammirare.
(Il lato Nord del castello, in cui è presente il portale bugnato commissionato dal Principe Domenico Grifeo nel 1658, non è visibile perché è nella parte opposta del disegno. Portale che fu disegnato e inserito come scenario principale per il nascente Corso principale di Partanna, Corso Vittorio Emanuele. Corso che si sarebbe inserito nel centro della cittadina andando dal Castello alla Chiesa della Madonna delle Grazie.
Fu proprio il barone Domenico Grifeo ad iniziare i lavori di trasformazione del castello rendendolo una “piccola reggia”. Fu ampliato anche il giardino, grazie all’acquisto di alcune case limitrofe, che furono demolite, aprendo un bellissimo panorama sulla valle fino al mare.
Giardino arricchito con piante e statue opera dello scultore Carlo d’Aprile che realizzò anche il bellissimo portale bugnato.  Le dodici statue (alcuni storici ne indicano 13) rappresentano le stagioni, i pianeti, il tempo; ma i dati sono incerti perché le statue sono scomparse da tempo.
Con queste trasformazioni l’edificio diventò una pregiata residenza baronale. Le trasformazioni furono eseguite anche all’interno della struttura. Un aspetto importante fu la conservazione degli elementi architettonici militari come le torri e le merlature, la cui funzione ormai era solo decorativa. Alcuni vani della struttura furono arricchiti da affreschi di cui uno solo è ancora oggi pienamente visibile.



La famiglia Adragna, nuovi proprietari del castello nel 1890, sistemarono la parte antistante al castello e crearono un belvedere. Lavori che furono eseguiti nel 1898.









Il castello presenta una planimetria articolata su quattro lati attorno ad un grande cortile interno. Le sue mura sono realizzate con pietre cementate con malta pozzolanica (tufo di colore grigiastro).
I prospetti:
-          A sud-ovest,  il prospetto principale con due ali simmetriche a torre e collegate da una cortina. Al centro di questo prospetto si apre un bellissimo portale strombato sul quale si trova una piccola torre difensiva (bertesca). Ai lati del portale quattro finestre architravate, due per lato, incorniciate da pietre squadrate. Sul prospetto merli guelfi. Al primo livello sono presenti cinque aperture a d arco acuto. Anche questo livello è completato da merli guelfi. Il secondo livello presenta al centro una piccola torre rialzata e con coronamento merlato.



-          Prospetto Nord- Ovest, una bertesca con una feritoia per tirare le frecce con l’arco. Nell’angolo una piccola torre con basamento a scarpa. A quanto sembra questo era in origine l’ingresso principale del castello che fu poi totalmente modificato.







Prospetto Nord – Est con un bellissimo portale a bugne con disposizione a raggiera in stile tardo-manieristico e completato nella parte superiore da merli. La costruzione del bellissimo portale, opera dello scultore Carlo d’Aprile, fu voluta nel 1658 dal Principe di Partanna Domenico Grifeo. Il suo obiettivo era quello di dare uno scenario di bellezza al viale che entrava nel cuore della cittadina e per assecondare lo sviluppo urbanistico verso nord della stessa cittadina. Oggi è l’ingresso principale del castello.


-          Prospetto Sud-Est. È il quarto lato del castello che si affaccia sull’antico giardino terrazzato.


Il Giardino del castello
Le colonne provengono da una chiesa crollata durante il terremoto del Belice



5.      STRUTTURA  INTERNA
Il “Salone del trono” o “Sala d’Armi” – La “Cella della Monaca” – Le Scuderie –
Le Cantine –  I Sotterranei - 



Dal portale (bugnato) di nord-est si entra nel cortile a pianta rettangolare su cui si affacciano un gran numero di ambienti. Una scala coperta collega lo stesso cortile al giardino che si trova ad un livello più basso rispetto alla struttura.
Il castello nel suo complesso si sviluppa su un piano terra e un seminterrato.
Un ingresso, su cui è collocato lo stemma della famiglia Adragna, ultimi proprietari del castello, introduce ai locali baronali. Un altro ingresso, sormontato dallo stemma della famiglia Grifeo, introduce ad uno dei locali più importanti dell’intero edificio: al Salone del Trono.






Sul portale che immette nella “Sala del trono” c’è lo stemma marmoreo dei Grifeo. Fu scolpito da Francesco Laurana (Vrana, Dalmazia-Croazia, 1430; Avignone, 1502, scultore, architetto e medaglista) che soggiornò nel castello nel 1468.


Questo salone un tempo era adoperato come sala banchetti  e presenta:

-          Un arco a tutto sesto acuto che divide il grande ambiente in due zone;
-          Da una pavimentazione in ceramica tipica del Novecento;
-          Da volte a schifo;
-          Da una porta a vetri in stile liberty.


Il salone è anche detto “sala d’armi” e conserva un importante affresco del 1777 che raffigura tre cavalieri cristiani durante la battaglia di Mazara. 
In primo piano è raffigurato il Gran Conte Ruggero il Normanno mentre sta per uccidere l’arabo Mokarta (o Mogart). Al suo seguito il cavaliere con lo scudo è Giovanni I Grifeo che fu il primo feudatario ad ottenere il Feudo di Partanna per concessione dello stesso Ruggero. L’identificazione è agevolata anche dall’emblema che è raffigurato nello scudo cioè il grifone, simbolo araldico della famiglia Grifeo. Il terzo cavaliere non è identificabile. Lo scenario di fondo raffigura la città marina fortificata di Mazara.
Nel salone è stata allestita una pinacoteca costituita da famose pale d’altare provenienti da alcune chiese che furono distrutte dal terremoto del Belice. Tra queste un bellissimo polittico, La Madonna del Rosario del 1585,  opera del pittore fiammingo Simon de Wobreck. In questa pala il volto dei Santi e della Madonna raffigurato sono rovinati dall’evento sismico e volutamente non ripristinati con un successivo e possibile restauro.


Nel salone è presente un affresco che raffigura uno scudo con il grifone e il testo che richiama le concessioni del feudo ai Grifeo da parte di Ruggero il Normanno e le origini della stessa famiglia.


Altri ambienti comunicano con la sala e su un lato del salone è presente una piccola porta o “sportello” che conduce in un ambiente angusto detto “cella della monaca”

“La  Cella della Monaca”
Bisogna attraversare una della porta che dal salone centrale porta in uno degli ambienti posti alle spalle del grande affresco sulle origini dei Grifeo per giungere alla scala che porta alla famosa e oscura “cella della monaca”.
La piccola apertura dà su una scala a chiocciola in pietra, piuttosto stretta. In cima alla rampa c’è una stanza completamente al buio.
Un stanza di clausura? Secondo la tradizione sarebbe la stanza in cui fu rinchiusa una religiosa della famiglia Grifeo ?
In verità, come dice l’esponete della famiglia Grifeo, la leggendaria cella e quindi i resti della monaca o comunque della sua presenza, non furono mai trovati.







Sembra quindi che nella cella sia stata rinchiusa una componente della famiglia Grifeo per motivi
religiosi. La giovane donna si fece suora e successivamente fu relegata in quella cella per voto
preso dalla famiglia. In poche parole sembra che la giovane religiosa fu costretta a quella
prigionia. Una storia triste e comunque dai contorni molto oscuri dato che della donna non fu trovata alcuna traccia anche in riferimento ad oggetti o altro.

Esiste forse un altro ambiente, magari legato a questa stanza, e ancora non scoperto ? E’ uno degli
interrogativi che lo storico Giuseppe Maria Salvatore Grifeo ancora oggi si chiede.
Le altre sale non conservano purtroppo gli antichi arredi d’un tempo e sono oggi adibite a Museo Archeologico della Preistoria. Vi sono esposti reperti dell’età neolitica e dell’età del bronzo che provengono dalla Contrada Stretto del territorio di Partanna. Una collezione costituita da vasellame, zanne di elefanti, scheletri umani, asce e bicchieri campaniformi.
Accanto al salone principale di trova la sala da pranzo collegata al giardino con una scala esterna.



Nel giardino, a sua volta, si trovano gli ingressi che portano ai locali sotterranei costituiti dalle:
-          Scuderie con volte a botte e caratterizzate da cunicoli sotterranei che probabilmente collegavano il castello con altri edifici dell’epoca e forse anche all’esterno. Un di questi cunicoli è particolarmente lungo e passa sotto le mura del castello per perdersi verso l’esterno. Un cunicolo che a quanto sembra non è stato mai esplorato tranne che la Sovrintendenza, oggi proprietaria dell’immobile, non vi abbia fatto delle ricerche più approfondite. Comunque i locali delle scuderie sono oggi  adibiti a sale conferenze;
Scuderie

-          Le Cantine dove si trovano le antiche botti costruite nel luogo (le botti per le loro notevoli dimensioni erano costruite nell’interno delle cantine). Le botti sono in legno di Slovenia. Sono presenti anche gli antichi torchi per la spremitura dell’uva e delle olive. Un tempo nelle cantine erano custodite anche due carrozze.  Nei sotterranei è presente una fossa scavata nella roccia per conservare il grano. In alcuni locali delle cantine è stato allestito con cura anche un ricco Museo Etno-antropologico dove numerosi sono gli strumenti e gli arnesi della ricca civiltà contadina.


Sotterranei del castello

LE  SCOPERTE  NEL SALONE  DEL  TRONO
Quando iniziarono i lavori di ristrutturazione del castello per adibirlo a Museo. Il salone presentava le pareti intonacate di colore bianco.
Era presente l’affresco sulle origini dei Grifeo con la stessa scena ritratta in bassorilievo sulla facciata della Cattedrale di Mazara. Mazara del Vallo che rientrava nella politica feudale della famiglia Grifeo.
Iniziarono i lavori e grande fu lo stupore nel vedere che sotto la tintura bianca  gli addetti ai lavori trovarono delle tracce di antichi affreschi. Il salone era tutto affrescato con motivi decorativi costituiti da fiori e piante. Uno strano comportamento quello dei baroni Adragna, ultimi proprietari del castello, che fecero ricoprire quegli affreschi con la tintura bianca….. …. Assurdo….
Il danno arrecato agli affreschi è immenso…. I resti delle opere pittoriche non sono in buono stato e non è possibile riportarli al loro antico splendore. Le mura furono, su ordine degli Adragna, abrase e scalpellate per fare aderire meglio la tintura bianca che successivamente ricoprì totalmente tutte le pareti del salone. Il turista ammira quindi ciò che rimane del ciclo pittorico e probabilmente con la fantasia ripercorre a ritroso le immagini  per risalire all’aspetto originario del salone…. Un danno incalcolabile … Il castello  ha superato il terremoto  ma non avrebbe potuto resistere nelle mani dell’uomo…






 6. IL  MUSEO  ARCHEOLOGICO
Questo paragrafo vuole essere anche un ricordo del compianto prof. Sebastiano Tusa tragicamente scomparso il 10 marzo 2019 a Bishoftu (Etiopia) in un incidente aereo. Ogni commento è superfluo per descrivere il grande cuore e l’amore per la sua Terra da parte di uno dei più grandi archeologi siciliani che ha lasciato un vuoto incolmabile.
È scomparso un patrimonio ricco di umanità, dignità e saggezza, non solo per le istituzioni a cui il prof. Sebastiano Tusa ha dedicato tutta la sua vita, ma per l’intero popolo siciliano.
Lo scorso gennaio in un intervista a Canicattì aveva esclamato…”Cultura e turismo per garantire il futuro della Sicilia”.
Nell’intervista ha comunicato il Suo Testamento Spirituale e Culturale…


Ma chi l’ascolterà e soprattutto seguirà la sua voce in una Terra dove il  Turismo è gestito da molti imprenditori, anche vicini alla Caritas, che sono soliti affermare che ai turisti si offre “… solo aria fritta….perchè la Sicilia non ha nulla da offrire”? (GB)

Il prof. Sebastiano Tusa a Pantelleria



Negli anni ottanta fu proprio il prof. Tusa che nell’area archeologica di Contrada “Stretto” di Partanna, nelle pareti di calcarenite sul fianco sinistro dell’omonimo vallone, a un centinaio di metri dalla strada provinciale, che collega Partanna a Montevago, e a pochi metri dalla galleria neolitica, trovò una tomba a grotticella. Una tomba che aveva il suo ingresso rivolto ad Occidente e con un corridoio dolmenico che si apriva nella parete rocciosa.
Il prof. riportò alla luce numerosi reperti che costituivano un originario corredo funerario dell’età del bronzo e la quasi totalità dei resti osteologici relativi agli individui inumati.
Alle pareti rimasero concrezionati numerose calotte craniche.  La ceramica era costituita da reperti dipinti in bruno su fondo rosso o giallognolo e riferiti allo stile di Partanna-Naro e  da elementi inquadrabili nel repertorio del Bicchiere Campaniforme ( secondo millennio a.C,) oltre a pochi pezzi acromi e non decorati dal colore bruno o grigiastro.
I reperti rinvenuti sono esposto nel Museo del castello:  diverse tipologie di ceramica preistorica, il grande vaso rinvenuto a Capo d’Acqua, selci, ceramiche decorate, tazze, attingiti e resti di fauna risalenti al Pleistocene superiore quali elefanti, ippopotami e cervi.



 Di grande valore archeologico fu il rinvenimento di un “cranio trapanato”. Un cranio con un ampio foro occipitale che fu praticato mentre era ancora in vita. Si trattava di un uomo anziano che visse dopo quest’operazione per circa un anno e che morì per una malattia non legata all’operazione. Un operazione che era molto frequente nell’ambito della civiltà del Bicchiere Campaniforme. Una primordiale pratica magico-chirurgica probabilmente praticata per curare malattie mentali.
Il reperto fu trasportato al Museo Archeologico “A. Salinas” di Palermo dove fu analizzato e rimase in deposito per diversi anni.
 Solo a gennaio del 2014, dopo diverse sollecitazioni, il cranio ritornò a Partanna per essere esposto nelle bacheche del Museo Archeologico della Preistoria della Valle del Belice. Alla cerimonia di consegna del reperto  erano presenti l’assessore regionale ai BB. CC. AA. e all’Identità Siciliana Mariarita Sgarlata, il soprintendente del mare della Regione Sicilia Sebastiano Tusa, la direttrice del Museo archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo Francesca Spatafora, la soprintende per i beni culturali ed ambientali di Trapani Paola Misuraca, l’antropologa Rosaria Di Salvo, il sindaco di Partanna Nicola Catania.

La tomba a grotticella (n.1) era una cavità naturale rimaneggiata e successivamente adattata a sepoltura e chiusa da un muretto.
La presenza diffusa del Bicchiere a Campana associato alla ceramica tipica dell’Età del bronzo siciliano,  datò la sepoltura al II millennio a.C.
La sepoltura restituì inoltre resti scheletrici umani di almeno 6 individui che furono analizzato dal punto di vista antropologico dalla dott. Di Salvo.





La relazione sul  cranio: È un cranio incompleto di un uomo adulto, ovoide in norma superiore, di media lunghezza e larghezza, molto alto, con fronte metriometopica e creste frontali intermedie, aristencefalico. La faccia è bassa, di media larghezza, con  orbite basse e cavità nasale mesorrina; il profilo ortognato; tendenza alla fenozighia.
Nella regione parietale destra si nota una vasta lesione, caratterizzata da una depressione ovoidale a maggiore asse  obliquo verso l’esterno e posteriormente  (92 x 75 ) mm, con i bordi degradanti verso un’altrettanto ampia perdita di sostanza ossea a forma irregolarmente triangolare, a lati e angoli arrotondati  e con il maggiore asse coincidente con quello dell’avvallamento (72 x 59 ) mm.
La superficie del cratere è priva di cribrosità diploiche. I suoi bordi si presentano assottigliati, con un’inclinazione variante da 167 gradi (nella sua porzione mediale) a 133 gradi lateralmente.
L’esame radiologico (Romeo) evidenzia attorno al foro vero e proprio un cercine di sostanza calcica più sfumata, in assenza di porosi diffusa dei tavolati cranici; normale la vascolarizzazione
Meningea.
La T.A.C., nelle scansioni interessanti la lesione, mostra come i suoi bordi siano ricoperti da un tessuto osseo simile a quello dei tavolati cranici e indice di non recente cicatrizzazione. Si tratta quindi di una trapanazione di antica, ma non antichissima data, realizzata mediante raschiamento progresso della superficie cranica con opportuno strumento litico a superficie ruvida.

L’insediamento di contrada Stretto è caratterizzato da una  trincea artificiale detto “Fossato” dove un corso d’acqua scendeva dalle sorgenti di Capo d’Acqua.

Fossato

canale

L’acqua elemento vitale veniva incanalata in scoli scavati nella roccia di calcarinite. Nello specifico dello “Stretto ” la canalizzazione rappresentava un limite  simbolico, circoscrivendo un luogo adibito a funzioni cultuale.
Nel III millennio a.C. allo ” Stretto si stabilisce una comunità che ha lasciato traccia di tombe a grotticella.






La zona Archeologica di Contrada Stretto sembra oggi in abbandono… e nel 2017 fu anche colpita da un devastante incendio…

7. MUSEO ETNO-ANTROPOLOGICO DELLA  CIVILTA’ CONTADINA






8.     IL GIARDINO DEL CASTELLO


Il giardino,  visibile nella foto a destra del castello, fu “pensato e voluto” da Don Domenico I Grifeo, terzo Principe di Partanna…. “Era questo Signore inchinatissimo alle fabriche e molto desideroso di vederne abbellita Partanna”,
Figlio di Don  Mario III e di Donna Maria Ventimiglia,  entrò nel dominio dei beni paterni nel 1641 quando il padre era ancora in vita. I beni furono un regalo di nozze per il matrimonio di Domenico I con Donna Elisabetta Marino e Frifeo, sua cugina. Un matrimonio con atto del “Notar Cesare Luparelli di Palermo , a 13 ottobre, 10 indizione”.
Un principe affabile e generoso con la città di Partanna anche se la sua residenza abituale era Palermo a causa dei suoi impegni politici.
“ Don Domenico per animare i cittadini… formò un eccellente giardino nel castello con statue di marmo di custosissimo prezzo che mandò da Palermo”.
Lo storico locale Mendolia …“In verità la disposizione di tal giardino di cui oggi altro non si osserva che lo scheletro, è amenissima. Egli è esposto al Mezzo giorno e difeso dai venti di Tramontana e Maestro; forma 4 piani ed ha una veduta di Mare e di terra sorprendente”.
Dal giardino il panorama spazia sulla vallata del Belice fino ai Monti di Sciacca e sulla spianata di Mazara da Selinunte a Trapani.
Un giardino pensile sull’attuale Via dei Normanni e realizzato grazie ad un poderoso basione che è tutt’ora esistente.
Nel 1657 D. Domenico I, con atto del notaio G. Vitale del 2 ottobre 1657 ingaggia ““i mastri Giovanni Corso e Paolo Samburgato a ricostruire lo muro di lu Castello di la parti di sutta con li cantuneri intagliati a modo di bastioni; conforme l’à designato Gaspare Denaro; cu patto di dare a detti mastri li mura vecchi sdirrupati, a tarì 4,10 ogni canna”.
Per questi lavori il Principe acquistò delle vecchie case che appartenevano all’antico Convento Carmelitano. Il 16 luglio 1659 il Padre Maestro Benedetto Maria Calandra ricevette, nella qualità di Priore “once 16 quale prezzo di quelle case terrene, quali si sdirruparo per ingrandir lo giardino dello Castello”.
A pagare il debito per conto del principe fu il segreto e procuratore dr. Domenico Gargano.
Un giardino ingentilito da viali, scalee, giochi d’acqua, ricco di fascino. Un secolo dopo il giardino venne vitato nei suoi “Viaggi” dall’archeologo diplomatico scozzese Giacomo Hamilton, ambasciatore a Napoli.
Importanti le statue di marmo del giardino, sparite da tempo.
Le statue furono trattate in epoche diverse da diversi storici tra cui Mons. Gioacchino Di Marzo in “Misc. Salinas” e Filippo Meli in “Archivio Storico Siciliano”. Le relazioni dei due autori presentano delle discordanze.
Le domande tante: Quante erano e cosa rappresentavano ? Chi ne era stato l’autore ? Che fine fecero?
L’unico dato certo è basato sulla loro esistenza. C’è un atto notarile con cui Domenico Grifeo inaricò lo scultore Carlo D’Aprile di apprestare ““dudici statui di marmora bianca di altezza di palmi 4 senza la soletta di sotto, cioè le quattro stagioni dell’anno, li sette pianeti, et lo tempo […] pro prezzo di once 100”.
Nel “Il Giornale di Sicilia” del 19-20 settembre 1922, il giornalista Scaturro sosteneva che  “Erano una volta nel giardino di quel castello, a decorazione dei viali, tredici statuine di marmo: una rappresentava Giovanni Graffeo capostipite di sua famiglia e primo barone, le altre dodici i mesi dell’anno”.
Il Varvaro a sua volta riteneva errato che le statue “ raffigurassero Giovanni Griffeo e i dodici mesi dell’anno” e aggiunge..” “dodici statue di marmo d’altezza di palmi 4 senza la soletta di sotto, cioè: le quattro stagioni dell’anno, li sette pianeti et lo tempo”. Statue marmoree, dunque, della misura di oltre m. 1,00 (1 palmo=m 0,258).
Il Mendola a sua volta.. “Le statue…erano in numero di 24: 12 de’ quali rappresentavano li 12 mesi dell’anno e 12 li deità maggiori”.
Ci troviamo di fronte a diverse tesi ma quella più probabile è l’ultima, quella dello storico Mendola che fu testimone oculare.
Riguardo allo scultore anche in questo caso non si hanno dati certi.
Secondo il Varvaro, che riprese la tesi del Meli, a scolpire nel 1659, per 100 once, le dodici statue fu l’artista Carlo d’Aprile, Architetto del Senato di Palermo, a cui si deve anche ““l’ingresso nuovo a bugno al Castello in faccia alla strada Maestra”.
Anche in questo caso non sono presenti dati documentali. Nell’atto di commissione non di dice espressamente che le statue siano destinate al giardino di Partanna.
Da scartare l’ipotesi che le statue sia opera dello scultore Francesco Laurana. L’artista si trovava a Partanna per dei lavori ma non per il barone Graffeo con cui aveva dei rapporti pessimi circa duecento anni prima (1468) della realizzazione del giardino del castello.
Sulla fine misteriosa delle opere d’arte anche in questo caso mancano dati certi.
Lo Scaturro riferì che ““La prima (quella raffigurante il barone) fu ridotta in polvere nel 1854 per dare il bianco alla chiesa maggiore; le altre sono tutte scomparse, senza lasciar traccia”.
Anche il Varvaro affermò che “Due secoli dopo le statue, ridotte in polvere, dettero il bianco agli stucchi della Matrice”.
Sono probabilmente delle affermazioni per sottolineare una deprecabile grettezza mentale da parte del principe o degli amministratori civici dell’epoca.
Il Mendolia invece nel suo manoscritto citò che  “Le statue di cui parla il Genealogista Rodo erano esistenti sino ai miei tempi e la sua totale distruzione fu circa l’anno 1770, governando nella famiglia D. Girolamo II Graffeo, 7° Principe di Partanna … Io ne conservo alcuni frantumi”.
Una storia del Mendolia scritta nel 1829 e narrata al passato per indicare che quelle statue in quella data, erano già in rovina..“la sua totale destruzione fu circa l’anno 1770” tanto da poter prelevare dei frantumi.
La verità è che nel 1770 (e questo vale ancor di più per il 1854) delle statue non esiste più alcuna traccia. Più che all’incuria o alla “barbarie”, è ragionevole pensare che la fine miserevole delle statue sia stata causata dalla scarsa consistenza della pietra usata. Tanto da far insorgere il dubbio che le statue in parola piuttosto che in marmo fossero realizzate in arenaria rivestita di stucco, com’era in uso a quei tempi anche per gli esterni. Ne sono testimonianza, d’altronde, le statue dell’Immacolata e di S. Francesco, tuttora esistenti, poste nelle due nicchie ricavate sui fianchi del campanile omonimo.
È improbabile che la povere di statue alte circa un metro abbiamo potuto imbiancare le immense pareti della matrice. Infatti chi asseriva questa tesi finì alla fine con il modificarla asserendo che quella polvere serviva solo per colorare gli stucchi. Nelle opere del Serpotta, lo stucco veniva arricchito con polvere di marmo, ma non per essere pitturato, quanto per essere più compatto e più lucido. Anche volendo ammettere questa ipotesi, era così difficile reperire in qualche modo questa importante materia prima ? (Nino Passalacqua)


9.      LA PINACOTECA DEL  SALONE
Di fronte all’ingresso del salone si trova la tela che raffigura San Tommaso da Villanova definita dallo storico locale Giuseppe Mendolia di “eccellente pittura”. L’opera è di autore ignoto  e dovrebbe essere collocata alla seconda metà del XVII secolo. Si trovava in origine nella chiesa di San Nicolò da Tolentino ed esposta nella cappella di famiglia dello storico Mendolia decorata con un apparato scultoreo in stucco opera dello scultore di Mazara Sivestre Ratto nel 1665.


San Tommaso da Villanova - Autore ignoto

Pala d’altare raffigurante la Madonna del Rosario con santi. L’opera si trovava nella chiesa di san Francesco d’Assisi e l’autore è il pittore fiammingo Simone de Wobreck  attivo in Sicilia tra il 1557 e il 1585. A Palermo dipinse nel Monastero di san Martino delle Scale la “Cena di Gesù”.



La tavola proveniente dalla chiesa, ormai diruta, di San Francesco datata 1585  raffigura la Madonna del Rosario con Santi, tema toccato altre volte dall’artista che realizzò altre pale simili per la chiesa di San Giacomo dei Militari, oggi conservata all'interno della Caserma della Legione dei Carabinieri di Palermo e per la chiesa del Rosario di Isnello. Tuttavia l’opera ricorda per impostazione iconografica e per cromie la tavola raffigurante la Madonna del Rosario con i SS. Cristina, Domenico, Vincenzo Ferreri, e Ninfa di Vincenzo degli Azani da Pavia, datata 1540 conservata presso la Chiesa di San Domenico di Palermo (nella foto a destra). Effettivamente la Pala di Partanna presenta la stessa impostazione iconografica di questa, partendo da destra possiamo osservare nel quadro centrale Santa Cristina riconoscibile per la grossa macina che l’affianca suo attributo iconografico, San Domenico colto nell’atto di ricevere il  rosario dal bambino Gesù mentre con la mano sinistra tiene il giglio, San Vincenzo Ferreri con il libro aperto che probabilmente recitava il versetto dell'apocalisse di Giovanni: “Timete Deum et date illi honorem quia venit hora judici eius” (Temete Dio e dategli onore poiché è giunta l'ora del suo giudizio”) e Santa Ninfa con il suo tipico vaso di fuoco in mano. L’opera nel 1910 fu portata presso i depositi della galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo in seguito ad un atto vandalico perpetrato da un sacrista. La scena principale ormai deturpata è circondata  da 15 formelle raffiguranti i Misteri del Rosario, mentre nella lunetta superiore è riprodotto il paradiso terrestre con la raffigurazione della Trinità. In basso nella zona centrale della predella si può ammirare la deposizione dalla croce. Ai lati della scena centrale in basso sono raffigurati i due committenti dell’opera, sullo sfondo invece è raffigurata la battaglia di Lepanto  svoltasi  il 7 ottobre del 1571, nella quale la flotta della Lega Santa (formata da Spagna, Repubblica di Venezia e Stato della Chiesa) sconfisse quella dell'Impero Ottomano identificabile nel dipinto per la bandiera con l’aquila a due teste. Effettivamente la Chiesa cattolica celebra la festa della Madonna del Rosario il 7 ottobre di ogni anno. Questa festa fu istituita con il nome di "Madonna della Vittoria" dal papa Pio V a perenne ricordo della battaglia di Lepanto.
Procedendo sulla destra, al centro della sala possiamo ammirare la tela raffigurante l’Adorazione dei Pastori. La tela, proveniente dalla chiesa di San Nicolò da Tolentino, secondo lo storico Giuseppe Mendolia fu «realizzata da un tal Di Roccolo alla fine del 1600».


Continuando la visita sul lato destro della parete possiamo ammirare un’altra grande tela proveniente sempre dalla chiesa di san Nicolò da Tolentino raffigurante sant’Agostino tra Cristo Risorto e la Vergine. Il Santo Vescovo è rappresentato in estasi mentre attende di essere "alimentato dal sangue di Cristo e dal latte della Vergine", per nutrire la sua fede e la sua teologia. Si narra infatti che Sant’Agostino pregando innanzi ai due esclamò: «hinc lactor ab ubere, hinc pascor a vulnere; positus in medio, quo me vertam nescio»/«da una parte le dolcezze di Maria, dall'altra le piaghe sanguinanti del Signore; posto tra questi due amori, mi trovo nell'imbarazzo della prima invocazione!».  L'episodio è relativo ad una leggenda che nasce probabilmente in Italia a cui diversi pittori si sono ispirati per la rappresentazione iconografica del Santo. La tela in mostra al Castello Grifeo risulta essere «una pittura celebre ed antica» definita così già nel 1700 dallo storico locale sacerdote Giuseppe Mendolia. L’opera fu restaurata nel lontano 1937 da Alfredo Valenti pittore partannese.


Procedendo sulla destra possiamo ammirare un altro grande dipinto ad olio su tela raffigurante l’Adorazione dei Magi proveniente dalla chiesa di San Nicolò da Tolentino, dove era anticamente collocato con l'Adorazione dei Pastori nell’area presbiterale


A destra possiamo ammirare, sulla parete laterale, un dipinto ad olio su tela raffigurante san Gaetano. L’opera di cui non si conosce l’autore è comunque riconducibile alla scuola trapanese del XVIII secolo (Andrea Carreca, Domenico La Bruna, ecc).


Alle spalle della tela raffigurante l’Adorazione dei Magi è esposto un altro dipinto ad olio su tela raffigurante San Guglielmo duca di Aquitania sempre proveniente dalla chiesa san Nicolò da Tolentino databile tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo.



10.    IL PRIVILEGIO  DI CONCESSIONE DEL TITOLO E DEL FEUDO DI PARTANNA

Il privilegio era un atto con cui i sovrano assegnavano un titolo nobiliare e un feudo annotando le sue parti e i confini.  Il documento sottostante, che ho trovato nel sito della famiglia Grifeo, http://www.grifeo.it/Benvenuti.htm, risale alla concessione fatta dal Gran Conte Ruggero il Normanno a Giovanni I Grifeo sul finire dell’XI secolo. Il diploma fu poi riportato integralmente nella seconda concessione fatta dal Re Ruggero II di Sicilia nel 1139 a Giovanni II Grifeo e ancora una volta ricopiato nel privilegio rilasciato dall’Imperatore Federico II di Svevia nel 1243 a Goffredo I Grifeo.
I tre diplomi sono ricordati nell’affresco posto nel salone  ed esattamente nello scudo di Giovanni I.





Il documento integrale si trova nella raccolta della Magna Reale Curia a Palermo, rilegato in un volume.
Un bibliotecario disonesto del passato strappò dall’antico diploma, costituito da una pergamena di (44 x 47,5) cm, la parte con i timbri, sigilli e pendenti plumbei….


Di seguito il testo del Privilegio (tradotto dal latino e diviso nei paragrafi originali che qui sono stati numerati):
1) Federico per grazia di Dio augusto Imperatore dei Romani e Re di Sicilia e Gerusalemme. Pel presente privilegio facciamo noto a tutti, si presenti che futuri, che, dopo solenne Curia a Ca-
2) pua celebrata, ove facemmo l'editto generale per tutti di presentare i privilegi, Goffredo de Graffeo, abitatore di Mazara, fedele nostro, presentatosi a noi, residenti felicemente presso Foggia, dinanzi all'Altezza nostra consegnò alla nostra Grandezza un
3) privilegio del sig. Re Ruggero di b. m. munito di sua bolla plumbea pendente, in lingua greca, concesso al fu Giovanni de Graffeo, proavo di esso Goffredo, e i suoi eredi e successori sulla concessione del casale di PARTHANNA, sito in Val di
4) Mazara, tra i territori di Castelvetrano e di Salemi, coi diritti confini e pertinenze dello stesso casale, con 17 VILLANI, nominati con loro pertinenze nel predetto privilegio, tanto in detta lingua greca che nell'arabica, fatta allo stesso fu
5) Giovanni de Graffeo con i suoi eredi e successori. E supplicò umilmente e devoto che gli si restituisse il detto privilegio e ci degnassimo di concedere e confermar per nostra grazia, ciò che in esso contenevasi. Il qual privilegio, esibitoci dallo stesso
6) Goffredo, la nostra Serenità ordinò essere osservato e diligentemente esaminato dagl'interpreti della nostra M. Curia, conoscenti ambo le lettere e le lingue, cioè la greca e la latina, nostri notari e fedeli. Per i quali sul contenuto di esso
7) la Maestà nostra ha avuto piena notizia. Il tenore del qual privilegio, secondo la versione, per bocca de' predetti interpreti, nostri notari e fedeli, è tale: RUGGERO, PIO E POTENTE RE, IN CRISTO DIO ONNIPOTENTE
8) Donare è cosa utile e salutare all'anima. Lo sa certissimo la potenza nostra; ma molto più quei che servono. Alla stessa (nostra potenza) conviene provvedere con sincera sollecitudine, ad essa con beneficio. Onde, trovando te, GIOVANNI denominato DE GRAFFEO, ancor nell'età tua
9) giovanile, serviente NOI diligente e sollecito, ed uno ordinato e fedele, tra quei che sono sotto la podestà nostra dei militi, e fermamente, promettente di compiere quegli uffici, che a Te sono stati commessi, NOI, dunque, con tutta sollecitudine conce-
10) dendo, è proprio della nostra potenza renderti degno d'alcun beneficio. E pertanto ti concede la potenza nostra nella nostra Isola Sicilia, Val di Mazara, tenimenti e pertinenze di Castelvetrano e Salemi, diciassette uomini con le
11) pertinenze medesime, dei quali i nomi sono questi: Daifesin, Lachu, Ripipyse, Machumut ibn Ysserif, Abdalla ibn Abdesalem, Mucumut ibn Charim, Abdetimme ebin Chuszel, Chamut, Essavat, Bikkeri el Carej,
12) Achmet Frater eius, Mutantes ebin Atie, Chasen ebin Gaz, Buzeitum el Vesen, Meimum ebin bu Lay, soror Ezevet, Esena ebin Chusein. E con essi concedesi a te e tuoi eredi e legittimi discendenti del tuo corpo
13) in perpetuo, si che il maggiore si preponga al minore e il maschio alla femmina, secondo l'uso del diritto dei Franchi, sotto il debito tuttavia del militare servizio, giusta la consuetudine del regno, in essa Isola e stessi tenimenti e
14) pertinenze di Castelvetrano e Salemi, un casale ch'è detto PARTANNA, con tutte sue pertinenze, giustizie, tenimenti e sottoscritti suoi confini, il quale casale pervenne a ragione per la decadenza nelle mani della potenza nostra.

15) da una parte da certo Fonte ch'è detto Ajnbusillim, da esso fonte scende per la Porta della Cresta, che verso settentrione, volgendo al fiume (che comincia dalla Cripta di CALIRMA e discende
16) in mezzo alle terre di detto casale di Partanna) da esso fiume sale fino alle piccole mandre, che vedonsi in alto sopra esso fiume. E da esse mandre si sale diritto, dal capo della cresta esistente a pie' della pianura
17) del FARTASO ed esce, diviso, presso la via d'essa pianura, per cui si va a Palermo e si va lungo la stessa via per le terre esistenti, quale divisioni d'esso casale di ZAFARANA fin dove unisce la via
18) che va a Salemi con la predetta cresta. E discende ai fonticelli di Carsia e da essi fonticelli scende al vallone di Bruca fino a pie' d'esso vallone.; donde si sale per una certa mandria esi-
19) stente sopr'esso vallone e procede dritto fino al monte ch'è detto del GESSO, che è sopra il casale detto della MENTA e al canale dello stesso monte. Poi da esso monte per la porta di Calatamauro va al monte dello stesso Calatamauro
20) donde tende pel monte della MOSTA alla cresta di essi monti fino al monte di Mucaccabo. Poi da esso monte si protende verso la serra dei conigli, discende fino al vallone detto Carsia. Indi (oggi territorio di S. Ninfa)
21) va lungo la cresta al castel di TERICHI e poi da esso castello discende per le creste allo stretto di TERICHI donde va lungo il vallone che è sotto il monte detto Nido dei CORVI, e dà sulla pub-
22) blica via che conduce ad ANTELLA, e da essa via scende alla Lapide bucata, esistente presso la cresta, onde sono divise le terre di COSTANACHE e dei CARINI di S. Andrea, e da esso sasso conduce diretto lungo la cresta fino alla
23) cresta del fico, poi scende verso il serrone delle Dise e dà nel vallone e per esso vallone dà ad altro serrone di Dise, ove sono le tane dei conigli. Da qui scende  pel vallone fino alla pietra della mortella e fino
24) al fiume d'Antella e sale per esso fiume fino al passo di Misilindino, e da esso passo scende per un vallone, fino a certa mandra ch'è detta della Cripta e da essa mandra e cripta
25) per esso vallone fino alle tane arenose e dà nella via che viene da Misilindino. Da qui scende per essa via fino al capo detto KachalKisit e da lì scende lungo il detto vallone e tende per la cresta di-
26) retto fino di fronte a BELICE (ndr: il casale). Di là scende al gran fiume e discende lungo esso fiume e giunge al sasso confitto dell'Oleastro, indi scende verso
27) il capo del Bando e va lungo la serra fino alla spelonca del Belice, poi va diretto al Candac d'Ezaburg, poi va lungo un piccolo vallone pel bosco e volge verso l'antico mu-
28) ro, dividendo con la nostra real finestra di Castelvetrano, indi esce verso la via onde si va a Castelvetrano e da essa via tende al VALLONE SECCO, sale per esso secco vallone alla cal-
29) cara del fico. Sale poi per MAGAGGIARA e dà nella portella, ov'è la via pubblica onde si viene da Antella a Castelvetrano; da lì scende verso un vallone presso cui è certa pietra grande
30) nella quale è scolpita la finestra, donde si sale diretto per mezzo del Magaggiaro e giunge al predetto fonte di Ajnbusillim ove iniziò la predetta divisa e conclude. Poi il predetto casale
31) di Partanna coi soprascritti uomini pertinenti ad esso e tutte ragioni, diritti, pertinenze del detto casale e dei prescritti suoi confini, la detta potenza nostra l'ha donato a Te, nostro,
32) Giovanni di Graffeo, per tener questo e quelli a potestà tua e dei tuoi eredi, a dominio perpetuo dei figli, e senza molestia di qualsiasi persona, barone o conte, salvo sempre il detto militare
33) servizio. E vogliamo che non abbia potestà alcun dei nostri eredi e successori in alcun tempo o anno di revocare questa donazione per alcuna ragione o causa. Laonde notifica la nostra po-
34) tenza il presente suo privilegio a tutti quanti sono sotto la nostra potestà ed amministrano le cose nostre, che nessuno sopra questi, spinto da audacia, infranga o muti tali beni che pel presente privilegio sono dati e concessi
35) a Te, bensì sempre essi restino a Te ed ai tuoi eredi confermati e incommutabili, qual dominio e potestà che hai ricevuto dalla potenza nostra. Onde, in fede e conferma della forza del tutto, impressa la bolla di piombo del nostro
36) tipario, il presente privilegio, bollato e segnato, si consegna a Te, predetto GIOVANNI de GRAFFEO, nella città nostra, tanto confermata, di PALERMO, nel mese d'APRILE, indizione 2a, anno seimilaseicentoquarantasettesimo. Ruggero in Cristo Dio, Re potente pio e aiutatore dei Cristiani
37) Indi noi, ammessa la supplica del detto Goffredo nostro fedele, benignamente considerando
38) molto grati e accetti i sacrifici che da tempo al Rev. Nostro Padre, l'Imp. Enrico, di divina memoria, e alla Nostra Altezza con pura fede e devozione fedelmente è prestato,
39) presta e potrà prestare di bene in meglio, dando il dominio in futuro, restituiamo il graziosamente il prescritto privilegio del detto Re Ruggero, di cel, mem. Al detto Goffredo e le cose dette
40) tutte e singole, che contengosi in esso e son concessi tra i detti territori di Castelvetrano e Salemi, un casale che si chiama PARTHANNA con tutti i diritti e le azioni sopradetti, i confini nel predetto privilegio
41) contenuti, e sue pertinenze, sotto il debito del militare servizio e per speciale grazia dell'Altezza Nostra per sicura coscienza dello stesso Goffredo, qual benemerito, e ai suoi eredi, giusta il modo e la forma di esso
42) privilegio di Ruggero. Compreso il tenore d'esso privilegio, diligentemente osservato, diamo, concediamo e in perpetuo confermiamo, salvo il militar servizio suddetto. Per memoria poi e forma di tale Nostra restituzione
43) donazione e conferma, il presente privilegio, da valere in perpetuo, abbiamo noi ordinato e fatto munire del sigillo della Maestà Nostra, l'anno, mese ed indizione
44) sottoscritti
45) Dato a Foggia, l'anno dell'Incarnazione del Signore mille duecento quarantesimo terzo, nel mese di luglio, 1. indiz. Imperante nostro signor Federico, per grazia di Dio Invictissimo Imperator dei Romani 
46) sempre Augusto Re di Sicilia e Gerusalemme. Del suo Impero anno 22., del regno di Gerusalemme 18. e del regno di Sicilia 48. Feliciter. Amen



11.     I GRIFEO  A  PARTANNA

Ugone Grifeo, figlio di Giovanni I, valoroso commilitone di Ruggero: Sposò nel 1130 Agnese figlia di Arduino che guerreggiò nella conquista della Sicilia con Ruggero;

Giovanni II Grifeo, figlio di Ugone, nel 1137  I Barone  di Partanna, sia per la sua nobile famiglia sia per i servizi resi alla corona Normanna. “.. ancor giovinetto fu investito dal re Ruggero della Baronia di Partanna per privilegio scritto in lingua greca e saracena che tutt’ora si conserva nell’Archivio de’ principi di Partanna”. (Giovanni ebbe tre figli: Niccolò, Ulla e Maria. Maria sposò Ruggiero Martorano, conte di Martorano, fondatore del Monastero di donne, detto oggi della Martorana, che fu citato nel testamento di Ulla Grifeo).
Niccolò Grifeo I, 1176, Barone II di Partanna, figlio di Giovanni II, fu dal re Guglielmo il Malo nominato Almirante del Regno;
Ulla Grifeo, 1180,  figlia di Giovanni II si sposò con Ruggiero “a secretis”. Costruì un monastero a Messina “a sue spese… detto di S. Anna… ed ambedue edificarono l’abbadia di Sn Basilio, oggi detta di Bordonaro “. (Mugnos e Fazzello)
Giovanni III Grifeo,  figlio di Niccolò, Barone III di Partanna, sposò Gilla Palici (Palizzi).

Risale a questo periodo una prima importante ristrutturazione della fortezza ch'era stata fondata, come già accennato, in epoca araba col nome di "Quasr'ibn Mankud", cioè "castello di Mankud".

Sotto gli svevi il casale conobbe un lungo periodo di decadenza,
Goffredo I, 1243, Barone IV di Partanna, fu al servizio militare dell’Imperatore Federico II di Svevia da cui ottenne l’investitura del feudo.
Orlando I Grifeo, 1275, figlio di Goffredo I, V Barone di Partanna, sposò donna Aloisia Branciforte;
Goffredo II Grifeo, 1287, VI Barone di Partanna, figlio primogenito di Orlando, sposò Olivetta Perollo, una delle famiglie più nobili ed importanti della Sicilia;

Periodo Aragonese
L'abitato, comunque, anche se in gran parte abbandonato, non scomparve del tutto perche' all'inizio del XIV sec. fra le decime della diocesi di Mazara sono registrate anche quelle dell'"Ecclesia S. Andree de casali Partanne".
Sotto gli aragonesi, i signori di Partanna fissarono stabile dimora nel loro feudo. Il casale rinacque e si ripopolò in pochi decenni in misura consistente.
Nello stesso periodo, naturalmente, anche il castello venne ristrutturato ed adattato anche a residenza dei Graffeo.
La ristrutturazione inglobò anche l'antica torre di guardia che sulla stessa collina sorgeva sin dall'XI secolo, vedetta prima araba e poi normanna sulla vallata.

Giovanni IV Grifeo, 1314, VII Barone, sotto il regno di Pietro d’Aragona, fu governatore di Sutera e di Mazzarra, come attesta il Fazello. Sposà Chimene (Ximenes) d’Arenos nobile catalana di ragguardevole prosapia;
Guglielmo Giovanni Grifeo, 1338, dell’ordine dei Minori Conventuali, secondogenito di Orlando, fu vescovo di Lipari e dopo di Patti;
Benvenuto I, VIII Barone, primogenito di Giovanni IV, fu dal re Federico III d’Aragona investito del casale di Santa margherita. Soggiogati i ribelli di Catalogna e di Sardegna, ebbe in dono Galtellin con il titolo di Visconte.



Benvenuto, signore di molto valore, servì il Re Pietro IV d’Aragona nelle guerre di Catalogna e di Sardegna; e da esso ebbe il carico di Generale dell’armata marittima per soccorrere i castelli di Chirra, San Michele, Collari, ed altri di quell’Isola; per il qual servizio conseguì da quel Re il Viscontado di Galtellin e molte altre terre in Sardegna; e nel Regno di Sicilia la Baronia di Misirrindino con privilegio; e nelle regie patenti, emanate in Tortosa, si legge che ebbe la carica di Generale, in luogo di Don Pietro di Luna, mercè il suo incontestato valore”. (Mugnos)

Intorno al 1302 il barone di Partanna, Benvenuto I Graffeo, maestro razionale della Magna Curia, si ribellò al re Ferdinando e occupò di prepotenza alcuni estesi territori demaniali.
Il sovrano, allora impegnato nella difficile guerra contro gli Angioini, non solo fu costretto a rappacificarsi col potente Graffeo ma dovette addirittura rassegnarsi a chiedergli aiuto contro i feudatari ribelli. Naturalmente, fu costretto anche a confermarlo nei nuovi possedimenti, frutti di un'usurpazione astutamente messa in atto nel momento più opportuno.

Onofrio I, 1411, IX Barone e II Visconte di Galtellin. difese  e  sostenne  la  Regina  Bianca  nelle  turbolenze contro la casa d’Aragona, meritò il titolo di Cavaliere Vittorioso, sposò Elisabetta Bosco figlia di del Barone di Badia, Signora del Gatto.”
Pietro Grifeo, 1420, Giustiziere e Capitano della città di Palermo.
Benvenuto II Grifeo, 1441, X Barone e III Visconte di Galtellin, fu carissimo al Re Alfonso, e al di lui figlio il Duca D. Ferdinando, per il suo valore, per la sua fedeltà, come lo attestano le lettere di questi due Sovrani al medesimo Benvenuto dirette.



Onofrio II Grifeo, 1453, figlio di Benvenuto II, XI Barone e IV visconte, sposò Maria di Caro, figlia del Barone di Montechiaro;
Onofrio III Grifeo, 1487, filgio di Onofrio II, XII Barone e V Visconte, sposò Costanza d’Amato,
nobilissima dama della città di Sciacca, figlia di Giovanni Amato, Barone di Pirribadia, di Bilici, di Galasi e di Francesca Perollo;
Baldassare I Grifeo, 1493, Barone XIII di Partanna, e VI Visconte di Galtellin, dopo aver servito nella corte di Ferdinando il Cattolico, anni 19 creato Generale nella guerra di Granata e di Portogallo, diè prove di singolar valore; sposò Eleonora Paternò di nobile stirpe, figlia di Mario Cavaliere Catanese
Verso la fine del XIV secolo la comunità di Partanna pagava una "colletta" di 200 onze ed aveva tutti gli ufficiali amministratori, giudici sindaco e capitani, e da questa epoca in poi viene anche definita "terra con castello". Quello ch'era per il geografo arabo Idrisi l'"Hisn" o il "qal'ah" ed e' la "khora" dei diplomi greci, "un abitato rafforzato da mura e protetto da un castello", molto più sicuro del casale aperto, "centro di lavori rurali", e molto più popolato della "turris" o del "castrum" e della "forza".
(cfr. H. Bresc. - Gli insediamenti medievali in Sicilia 1100 - 1450
in Atti del Convegno internazionale di archeologia medievale, Palermo 1976, vol. 1, pp. 193-4).

Mario I Grifeo, 1531, XIV Barone e VII Visconte di Galtellin, figlio di Baldassarre I, ebbe dalla prima moglie Eleonora Vernagalli, di nobile famiglia pisana, due figlie. Dalla seconda moglie, Giulia Alliata figlia del Barone di Villafranca, lasciò erede la sua prima figlia Francesca Grifeo e Vernagalli;
Francesca Grifeo, 1557, figlia primogenita di Mario I e di Eleonora Vernagalli, non avendo avuto il padre figlie maschi, ereditò tutti gli stati ed i beni paterni. Per dare un fine alle liti di successione, sposò Goffredo suo zio, fratello di suo padre;
Goffredo III Grifeo, 1570, XV Barone e VIII Visconte, figlio di Baldassarre I e fratello di Mario I, sposò Francesca Grifeo Vernagalli sua nipote ereditiera. Fu spedito a Mazzarra per opporsi a Dragorot famoso corsaro, che con un armata navale contro l’isola di malta infestava i mari di Sicilia;
Mario II, 1580, XVI Barone e IX Visconte, figlio di Goffredo III e di Francesca I Grifeo, si sposò con Antonia Ventimiglia, figlia di Guglielmo Signore di Ciminna e di Sperlinga;
Goffredo IV, 1589, XVII Barone e X Visconte, figlio di Mario II si sposò con la signora Francesca Gravina e Coriglier, figlia del marchese Francoforte. Ereditò la Signoria delle terre di Ciminna.


Nel 1627-28 i Graffeo ottenevano per questo loro feudo il titolo di principi e cominciavano a favorirne la ripresa economica concedendo generose agevolazioni ai contadini sull'esempio di tanti altri feudatari dell'isola.
A quest'epoca si fanno risalire pure le più notevoli ristrutturazioni ricevute nella sua lunga storia del castello che perdeva così definitivamente la sua caratteristica di fortezza militare che aveva avuto sin dalla fondazione per diventare quadrilatero del potere, cuore del feudalesimo, palazzo dove ogni giorno, per secoli, si decise sulla vita di decine di famiglie contadine che lavoravano nel feudo dei principi.

GuglielmoI Grifeo, 1627, XVIII Barone e XI Visconte, Signore di Ciminna si sposò con Eleonora Bologna. Fu il primo Principe di Partanna, titolo che gli fu concesso dal Re Filippo IV con suo privilegio, spedito il 10 Agosto 1627 e che ebbe esecuzione il 20 Maggio 1628.
Mario III Grifeo, 1647, XIX Barone, II Principe di Partanna, XII Visconte, I Duca di Ciminna per privilegio di Filippo IV. Fu pretore di palermo e Maestro di Campo della Milizia del regno. Si sposò con Maria Ventimiglia ed Aragona, figlia di Giuseppe Marchese di Gerace;
Domenico I Grifeo, 1655, XX Barone, III Principe e XIII Visconte, II Duca di Ciminna. La moglie fu donna Elisabetta Marino, figlia ereditiera del Duca Gualtieri Francesco. Unì al suo stato non solo la duchea di Gualteronia ()Maritali Nominae) ma anche Tripi e Protonotarato come sua dote;
Benedetto I Grifeo, 1682, XXI Barone, IV principe, XIV  Visconte , III Duca di Ciminna, Duca di Gualtieri si sposò con donna Giovanna Filangeri di Napoli, figlia di Vincenzo Conte di San Marco. Servì con 100 soldati, suoi vassalli, nella guerra di Messina a sue spese, ebbe da S.M. Il Mero e Misto Impero;
Ignazio Grifeo, 1725; senatore nel Vicereame di Sicilia;
Girolamo I Grifeo, 1740, XXII Barone e V Principe di Partanna, XV Visconte di Galtellin, IV Duca di Ciminna, Duca di Gualtieri, fu più volte Deputato del Regno, capitano Giustiziere di Palermo e Pretore. Fu inoltre Consigliere Aulico intimo di Stato dell'Imperatore Carlo VI; ebbe in moglie Laura La Grua ed Oneto, figlia di Vincenzo Principe di Carini
Benedetto II Grifeo, 1747, XXIII Barone, VI Principe di Partanna, XVI Visconte di Galtellin, V Duca di Ciminna, Duca di Gualtieri, si sposò con donna Pellegra Statella; fu Capitano Giustiziere di Palermo
Girolamo Maria II Grifeo, 1750, XXIV Barone e VII Principe di Partanna, XVII Visconte di Galtellin, VI Duca di Ciminna, Duca di Gualtieri, sposò nel1754 Dorotea del Bosco; fu nel 1771 Capitano Giustiziere. Dopo il tumulto del 1773, fu spedito Ambasciatore al Re di Napoli dal Senato e dal popolo nel 1782. Fu Pretore di Palermo, Gentiluomo di Camera con esercizio di S. M., e cavaliere dell'insigne Reale Ordine di San Gennaro; morì nel 1802
Benedetto Maria III Grifeo, 1781, Barone XXV e VIII Principe di Partanna, XVIII Visconte di Galtellin, VII Duca di Ciminna, nato nel 1756, sposò nel 1781 Lucia Migliaccio, che gli recò in dote in Ducato di Floridia, la Baronia delle quattro parti del Feudo della Cavalera, ed il territorio di Mandarado;  fu Cavaliere dell'insigne Reale Ordine di San Gennaro, Gentiluomo di Camera con esercizio e Consigliere di Stato di S. M.; morì a’ 28 Marzo del 1812 in età di anni 56
Lucia Migliaccio e Borgia, 1814, Duchessa di Floridia, nata in Siracusa il 18 Gennaio 1770, sposò in prime nozze, il 4 aprile 1791, Benedetto Grifeo Principe di Partanna; Dama della Real Corte;  decorata dell’Ordine di Maria Luisa di Spagna e di quello austriaco della Croce Stellata. Rimasta  vedova,  sposò  in seconde nozze  (matrimonio morganatico il 27 Novembre 1814) Ferdinando I, Re del Regno delle Due Sicilie; rimase di nuovo vedova il 4 Gennaio del 1825, e morì in Napoli il  26 Aprile del 1826
Cara costantemente al consorte, ebbe dal medesimo doni cospicui, ma non esorbitanti. Moderata però e prudente, non abusò punto dell’influenza che aveva sull'anima del Re per intrigarsi negli affari dello Stato
Vincenzo Grifeo Gravina e Migliaccio, 1815, XXVI Barone e IX Principe di Partanna, XIX Visconte di Galtellin nel Regno di Sardegna, VIII Duca di Ciminna, I Duca di Floridia, Signore di Molte terre e castella, Gentiluomo di Camera con esercizio,  Inviato Straordinario, Ministro Plenipotenziario e Ambasciatore presso le maggiori Corti d'Europa. Tenne la Legazione Napoletana presso Re Carlo Felice in Torino dall'Ottobre del 1823 al Gennaio del 1827. Fu eziandio Consigliere di Stato, Cavaliere Gran Croce del R. Ordine Costantiniano di San Giorgio, Commendatore del S. M. O. Gerosolimitano, Gran Croce del R. Ordine di San Gennaro e di quello di San Ferdinando e del Merito, Cavaliere di numero del R. Ordine di Carlo III di Spagna e Pari del Regno. Il 13 Aprile del 1810 tolse in moglie Agata Gravina, nata Principessa Palagonia, Grande  di Spagna di Prima Classe, Dama della Real Corte, decorata dell'Ordine Reale di Maria Luisa di Spagna. Il 3 Aprile del 1846, nel 54° anno della età sua, cessò di vivere desiderato e compianto
Altri figli di Benedetto Grifeo e di Lucia Migliaccio furono:
1. Il Conte Giuseppe, che sposò Agata Moncada de principi di Paternò.
2. Il Conte Leopoldo, che sposò Eleonora Statella de principi di Pantelleria.
3. Il Conte Luigi, il quale fu Segretario di Legazione a Torino, mentre il fratello Vincenzo vi era Ministro. In seguito, salì ai più alti gradi della diplomazia. Fu per molti anni Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario di  S. M. Siciliana presso S. A. I. e R. Il Granduca di Toscana e presso le corti Ducali di Parma, Modena e Lucca. In seguito, fu trasferito a Berlino, e quindi a Madrid, dove morì il 18 Agosto del 1860.
Era Cavaliere Gran Croce del R. Ordine di San Ferdinando e del Merito, Cavaliere dell’Ordine  Costantiniano di San Giorgio e decorato della medaglia del costante attaccamento; Cavaliere Gran Croce del R. Ordine toscano del Merito sotto il titolo di San Giuseppe, Cavaliere del Sacro e Militare Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Maggiordomo di Settimana con esercizio, etc. etc.
Benedetto IV Grifeo e Gravina, 1830, XXVII Barone, X Principe di Partanna, XX Visconte di Galtellin, IX Duca di Ciminna, II Duca di Floridia, Gentiluomo di Camera di S. M. Con esercizio, Pari del Regno. Nacque in Palermo il 24 Gennaio del 1813; sposò il 1° Gennaio del 1832 Eleonora Contessa Statella e Moncada dei principi di Cassaro, Dama della Real Corte. Morì il 15 Novembre 1853
Vincenzo Grifeo e Statella, 1834, XXVIII Barone e XI Principe di Partanna, XXI Visconte, X Duca di Ciminna, III Duca di Floridia e Grande di Spagna di Prima Classe 
(Il primo Grande di Spagna della famiglia Palagonia fu il Principe Ferdinando Gravina e Bonanno. La Grandezza di Spagna fu concessa dal Re Filippo V nel 19 Novembre del 1709, esecutoria dal 28 Febbraio del 1710, dichiarata di 1a Classe con decreto del 12 Maggio del 1720. I molti titoli della famiglia Palagonia si trovano enumerati dal Villabianca. Questi titoli però, che andavano in linea di fidecommesso al Principe di Partanna Vincenzo Grifeo e Statella, furono dallo stesso rinunziati alla Principessa Agata sua nonna per via di atto pubblico, adempiendo a tutte le formalità volute dalla legge; poi la predetta Principessa Agata, mediante sovrana approvazione, ne ottenne la investitura pei suoi propri figli. In quanto alla Grandezza di Spagna, essa passò al Conte salvatore Grifeo Principe di Palagonia)
Da Vincenzo Grifeo Gravina e Migliaccio, IX Principe di Partanna, primo Duca di Floridia, e da Agata Gravina e Gravina Principessa di Palagonia, Grande di Spagna di 1a Classe nacquero:
1.         Benedetto primogenito (vedi anno 1830).
2.         Salvatore Grifeo Principe di Palagonia; nato in Palermo il 13 Settembre 1816, Maggiordomo di Settimana, Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario, Cavaliere del Real Ordine Costantiniano di San Giorgio, Uffiziale della Legion d’Onore, Commendatore del R. Ordine di San Lodovico di Parma e Cavaliere di numero dell’Ordine Reale di Carlo III di Spagna, Gran Croce del R. Ordine di San Michele di Baviera, Abbate titolare della SS. Annunziata di Ciminna, e di San Michele in Fogliarino di Piedimonte.
3.         Lucia Grifeo nata in Palermo lì 9 Agosto 1817, sposò il Marchese Artale il 2 Febbraio 1845, morì il 28 Settembre 1850.
4.         Ferdinando Conte  Grifeo, Principe  di  Lercara, nato in Berlino il 13 Marzo 1820, Capo Squadrone nel reggimento Lancieri Arciduca Carlo nell’armata Austriaca.
5.         Francesco Conte Grifeo Duca di Valverde, Gentiluomo di Corte di S. M. La Regina, Ufficiale della Corona d’Italia e de’ SS. Maurizio e Lazzaro, Cavaliere del Sovrano M. Ordine Gerosolimitano; nato in Berlino il 5 Luglio 1821. Egli ricoprì varie cariche onorifiche.
6.         Maria Grifeo Marchesa di Delia, nata in Palermo il 29 Agosto del 1822, sposata il 21 Aprile del 1849 al Cavaliere Niccola Sella di Napoli.
7.         Cristina Grifeo, nata in Torino il 18 Novembre del 1825, tenuta al Sacro Fonte dalla Regina Maria Cristina, moglie del Re Carlo Felice, della quale  prese  il  nome. Essa professò voti solenni  nel monastero di Santa Caterina in Palermo, ove morì il 5 di Marzo del 1869.
8.         Ferdinanda Grifeo, nata in Madrid il 12 Novembre del 1829, fu tenuta al  Fonte Battesimale da  S. M. Il Re Ferdinando VII, di cui prese il nome. Il 27 Aprile del 1848 sposò in prime nozze il Duca di Cariaci Paternò-Castello, e rimasta vedova, si rimaritò col Cavaliere Michele Gravina il 24 Giugno del 1857.
Dalla discendenza di Vincenzo Grifeo non sono dunque viventi che: Francesco, Fernanda e Maria suoi figli e Stefanina sua nipote.
I figli di Stefanina portano il cognome di Turrisi-Grifeo, e accampano diritti sui titoli della famiglia Grifeo.
Da Giuseppe Grifeo, secondo figlio di Benedetto e di Lucia Migliaccio, che sposò, come già dicemmo, Agata Moncada dei principi di Paternò, nacquero i seguenti figli:
1.         Benedetto, il quale sposò Lucia delle Porte dei Duchi di Civitella;
2.         Lucia, maritata al Marchese Francesco Raffo dei Principi di Scaletta.
 Benedetto ebbe quattro figli, tuttora viventi, cioè:
             Giuseppe, capitano di fanteria;
             Francesco, capitano dei bersaglieri;
             Lucia, nubile;
             Carlo, tenente di vascello.
Giuseppe sposò Elena de Marteon, da cui ebbe due figli: Lucia e Benedetto. Francesco condusse in moglie Lucrezia nobile Gatteschi; e ne ebbe due figli: Federigo e Benedetto.
Laonde, dalla discendenza del Conte Giuseppe Grifeo, secondogenito di Benedetto e di Lucia Migliaccio, vivono dunque: Benedetto, e i figli di lui Giuseppe e Francesco, i nipoti Lucia e Carlo, ed i Pronipoti Luisa, Federigo e Benedetto.

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12. TERREMODO DEL BELICE – L’ESEMPIO DEI SINDACI DI PARTANNA E GIBELLINA – IL CRETTO – LUDOVICO CORRAO


Domenica, 14 gennaio 1968,  il pranzo ( le ore 13,28) di migliaia di siciliani della zona del Belice fu interrotto da un forte boato. Una forte scossa di terremoto.. non so quando durò quella scossa.. poi il silenzio…  Alle 14,15 una seconda scossa ed una terza alle 16,48…

Scosse che causarono gravi danni nei comuni del Belice: Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa e Vita.
La gente naturalmente era allarmata e in preda alla paura decisero di passare la nottte, siamo in pieno invero, in macchina o in strada. Una precauzione che si rilevò come una salvezza per tanti perché il destino.. un tremendo destino aleggiava su quella povera gente che da sempre aveva vissuto a contatto con continui sacrifici.
Nella notte alle 0,31 , 15 gennaio , una scossa violentissima devastò tutta la zona. Una scossa di magnitudo 6,4 con epicentro nelle zone di Gibellina, Salaparuta e Poggioreale..
Ogni terremoto porta con sé tristi elenchi… fatti di freddi numeri, percentuali e fu così anche per  la Valle del Belice.
296 morti, migliaia di feriti e circa 90.000 sfollati. Il patrimonio edilizio rurale devastato… danni irreparabili per circa il 90%. Per mesi la terrà continuò a tremare e fino all’uno settembre, a ben otto mesi dal sisma, si verificarono 345 scosse con 81 scosse superiore al terzo grado.
Alcune testate giornalistiche affermarono che i “morti accertati ufficialmente” furono 231 ma la verità, secondo me, era molto più tragica perché il bilancio delle povere vittime fu ben più alto con oltre 400 morti. Un numero relativamente contenuto se paragonato all’enorme portata delle distruzioni.  Il merito fu del grande e compianto generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora comandante della Legione dei Carabinieri di Palermo e successivamente ucciso dalla mafia, che lanciò il preallarme.
Nel pomeriggio del 14 gennaio il generale visitò i paesi colpiti dalle prime scosse e raccomandò alla popolazione di pernottare all’aperto.
L’epicentro del sisma fu localizzato nel medio e basso bacino del fiume Belice.. 12 comuni.. per una superficie di circa 1000 kmq… un territorio che non figurava tra quelli considerati a rischio sismico.
I paesi di Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago furono quasi totalmente rasi al suolo.
Un’altra forte scossa il 25 gennaio, alle ore 10,56 con altre vittime e crolli dei fabbricati che erano rimasti in piedi.
Partanna aveva 4.345 unità immobiliari: il 30% fu completamento distrutto, il 42% danneggiato gravemente, il 19% lesionato. La replica tellurica del 25 gennaio causò il crollo di numerosi edifici.

Contrasti istituzionali, una gestione delle risorse non controllata, denunce e conflitti resero difficile e lenta l’opera di ricostruzione. Errori, speculazioni, ma anche idee e preziosità si alternarono in questa grande opera di recupero, non ancora conclusa dopo ormai cinquanta anni.
Partanna reagì con le proprie forze a quel disastro naturale e sociale e oggi offre di sé un esempio da seguire attraverso la valorizzazione del territorio.

Partanna








Gibellina

La voglia di rinascita delle città della Valle del Belice  si manifestò subito dopo il terremoto anche se tra mille difficoltà.  Il sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao, vide nell’arte un riscatto sociale della città e chiamò  nella città numerosi artisti per lasciare una loro opera. Artisti che si recarono nella Valle del Belice a titolo gratuito.
Tra gli artisti Alberto Burri (Città di Castello (Perugia), 12 marzo 1915 – Nizza, 13 febbraio 1995)..
«Andammo a Gibellina con l'architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l'idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest'avvenimento.”
Burri  progettò un monumento, detto “Cretto”, che ripercorre le vie e i vicoli della vecchia città di Gobellina. Il vasto monumento sorge infatti sulle rovine di Gibellina che furono cementificate dall’opera dell’artista. È una vasta piattaforma  di cemento con una serie di fratture che richiamano alle antiche vie del paese. Ogni fenditura è larga  dai 2 – 3 metri mentre i blocchi sono alti circa 1,60 m. presenta una superficie di circa 88.000 mq ed è una delle opere d’arte contemporanea più estese al mondo. Vicino al “Cretto” ci sono i resti dei ruderi di Gibellina.


Il valore artistico dell’opera è il richiamo alla memoria storica del paese

L’opera venne realizzata in diverse fasi. Una prima fase tra il 1985 ed il 1989 e il completamento dell’opera solo nel 2015 in occasione del centenario della nascita dell’artista.
I nuovi blocchi sono riconoscibili per il loro colore bianco mentre quelli risalenti al 1985/89 sono diventati grici, un colore che richiama alla tristezza del luogo. Il grigiore viene spezzato dalle macchie verdi dei capperi, cresciuti sul cemento, come a ricordare che la forza vitale di questi luoghi non è svanita nonostante le forti sciagure del crudele destino.


I ruderi di Gibellina a circa 300 m dal Cretto

Ogni anno al “Cretto” si svolgono le “Orestiadi” cioè delle manifestazioni teatrali, musicali, cinema e mostre di scultura e pittura. Manifestazioni organizzate dalla “Fondazione Orestiadi” di Gibellina.



Si svolgono ogni estate  dal 1981 e furono fondate dall’ex sindaco e senatore Ludovico Corrao tra le iniziative per la rinascita culturale del territorio dopo il terremoto.

Le rappresentazioni si tengono anche presso il Baglio Dio Stefano di Gibellina. La fondazione ha anche una importante sede presso Medina di Tunisi nel prestigioso Palazzo Bach Hamba. Una sede che ha come obiettivo lo sviluppo di un dialogo tra le culture del Mediterraneo (patrocinata dal Ministero degli Affari esteri e dalla Regione Sicilia).


La storia di Gibellina  e di Ludovico Corrao è un racconto diverso da quelle che generalmente si sentono in Sicilia. La ricostruzione del paese non fu sono straordinaria ed originale per la presenza di numerose opere d’arte contemporanea sparse per la nuova città, ma anche per le modalità con cui furono reperiti i fondi necessari per costruirli…. Senza finanziamenti pubblici

Ludovico Corrao

Un tragico gioco del destino la sua morte..
Nel 2010, assieme al giornalista Baldo Carollo, pubblicò un
libro-intervista “Il Sogno Mediterraneo”  che narrava sessant’anni di
storia della Sicilia. Anni rivisti da intellettuali del tempo come
Leonardo Sciascia, Carlo Levi,ecc.).
La Sicilia appare al centro di un dialogo tra le diverse culture del
Mediterraneo, al di fuori di ogni contrapposto fondamentalismo.
Una Sicilia in cui credeva Corrao..
Il 7 agosto 2011, Corrao all’età di 84 anni,  venne ucciso a Gibellina da
Mohammed Saiful Islam, un bengalese di 21 anni, accolto sin da bambino
 dallo stesso Corrao ed era alle sue dipendenze..




Gibellina – La Porta del Belice di Pietro Consagra


Sulla facciata di un rudere della vecchia Gibellina, a poca distanza dal Cretto, sono riportate le parole di Ludovico Corrao:

“Cosa sarebbe l’uomo senza il soffio rigeneratore dell’arte?”


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