PALERMO - LA CHIESA DI SAN GIOVANNI DEI LEBBROSI (SAN GIOVANNI BATTISTA)




La Magione non fu il solo complesso che fu consegnato ai Teutonici nella città di Palermo. All’Ordine Teutonico fu infatti concessa la preesistente chiesa dedicata a San Giovanni Battista detta successivamente “dei Lebbrosi” e posta nell’attuale Via Cappello, nella zona ovest della città.

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Indice
1.      La Storia della Chiesa di San Giovanni Battista (Dei Lebbrosi) – Il Ponte dell’Ammiraglio;
2.      La Costruzione della Chiesa da parte di Roberto il Guiscardo e di Ruggero I d’Altavilla;
3.      La Costruzione del Lebbrosario da parte di Ruggero II d’Altavilla – Le Donazioni
4.      Federico II di Svevia concede il Lebbrosario e la Chiesa alla Magione (Basilica della SS Trinità del Cancelliere) dei Cavalieri Teutonici;
5.      Abbandono del Lebbrosario e della Chiesa da parte dell’Ordino Teutonico – Dipendenza dall’Ospedale Nuovo;
6.      La visita al Lebbrosario della regina Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando I di Borbone (Delle Due Sicilie) – Le condizioni dei malati in una relazione di Pietro Pisani – Il Trasferimento dei malati nel Convento (Noviziato dei Teresiani Scalzi) – Relazione di Pietro Pisani – Il Nuovo Ospedale “Reale Casa dei Matti” grazie alla donazioni di Ferdiando I e Francesco I di Borbone – Il direttore Pietro Pisani e la sua grande Umanità – Una struttura modello descritta da Willis nel Metropolitan Magazin – Edgar Allan Poe riportò l’esperienza del barone Pietro Pisani nel suo famoso romanzo “ The Sistem of Dr. Taer and professor Fether” – La trama del racconto (8)
7.      L’Archiettura della Chiesa – L’intervento dell’Architetto Francesco Valenti
8.      Il Racconto di Edgar Allan Poe “ The Sistem of Dr. Taer and professor Fether”

Altre Commende dell’Ordine Teutonico
Palermo – La Magione  - Basilica della SS. Trnità del Cancelliere
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2020/05/palermo-la-magione-e-i-cavalieri.html






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1.      La storia della  Chiesa di San Giovanni “dei Lebbrosi”
L’origine della chiesa è molto controversa. Secondo Tommaso Fazello (studioso, storico e frate domenicano vissuto dal 1498 al 1570) ed altri storici, anche di epoca recente, la chiesa fu costruita nel 1071 durante l’assedio della città di Palermo, in mano agli Arabi,  da parte dell’esercito normanno guidato dai due fratelli  Roberto il Guiscardo e Ruggero d’Altavilla.
Si parla di un assedio lungo circa cinque mesi in cui gli Arabi opposero una forte resistenza. Qui sorgevano i resti, forse i ruderi, di un castello saraceno chiamato “Yahya” (“Giovanni”) sui quali fu costruita la chiesa dedicata a San Giovanni Battista.
Costruzione che sorse a poca distanza dal fiume Oreto, in una località che in epoca araba era coperta da un rigoglioso dattereto. Alcuni decenni dopo Giorgio d’Antiochia, ammiraglio bizantino al servizio di Ruggero II,  edificò il Ponte dell’Ammiraglio che serviva a scavalcare il corso d’acqua e permettere l’accesso e il transito delle merci.

Ponte dell’Ammiraglio che si trova a circa 500 m dalla chiesa di S. Giovanni dei Lebbrosi.

Ponte dell'Ammiraglio






Il ponte fu costruito verso il 1132 e rappresenta un importante testimonianza
d’ingegneria  medievale normanna. Realizzato in pietra da taglio, conci regolari
di calcarenite, è notevole sia per le dimensioni sia la realizzazione nell’epoca.
Per la tecnica costruttiva e la morfologia richiama una tipologia diffusa nell’area maghrebina. Il nome è legato al suo fondatore, l’Ammiraglio Giorgio di Antiochia,
che era al servizio del Re Ruggero II dal 1125 e
fondatore anche della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio.
Il ponte, posto nell’odierno Corso dei Mille, fu costruito fuori le mura della città normanna, vicino alla porta Termini e in origine attraversava il fiume Oreto.
Serviva a collegare la città ai giardini posti al di là del fiume Oreto.
Riguardo all’ingegneria è opportuno sottolineare alcuni aspetti:
-          La caratteristica configurazione a “schiena d’asino”, con due rampe simmetriche rette da ben sette campate ad arco ogivale e ghiere a rincasso.
-          Le arcate sono scandite da sei massicci piloni dotati a loro volta di aperture a sesto acuto in modo da ridurre la spinta del fiume in piena;
-          l’uso degli archi molto acuti che permetteva al ponte di sopportare dei carichi elevatissimi;
-          L’apertura degli archi minori, posti tra le spalle degli archi grandi, serviva ad alleggerire la struttura e la pressione del fiume sottostante.
Un fiume che diventava spesso pericoloso con le sue piene.
Il ponte riuscì a superare anche l’alluvione di Palermo del febbraio 1931.
La spedizione dei Mille, il 27 maggio 1860, si scontrò su questo ponte con
l’esercito borbonico che era schierato. Il ponte costituiva l’ingresso della
città per chi giungeva da mezzogiorno e Garibaldi giungeva da Gibilrossa.
Lo scontro determinò l’insurrezione popolare.
Nel 1938, a causa dei continui straripamenti, il fiume Oreto fu deviato e
questo consentì l’allargamento del Corso dei Mille.
Dal 3 luglio 2015 il ponte fa parte del Patrimonio dell’Umanità (Unesco) nell’ambito
dell’Itinerario Palermo Arabo-Normanna” e le Cattedrali di Cefalù e Monreale.


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2. La Costruzione della Chiesa
La chiesa sorge su un’antica pianura alluvionale sul quale si trovava un rigoglioso dattereto.  Su questa pianura  le truppe normanne posero il loro accampamento prima di sferrare l’attacco.
Un attacco mirato ai due quartieri importanti dal punta di vista strategico e posti a settentrione del fiume: La Kalsa e il fortificato Cassero. Il primo quartiere era la dimora dell’Emiro e centro amministrativo  mentre il secondo era il polo commerciale e il fulcro religioso della città.
Nei mesi dell’assedio accanto al vecchio castello, denominato San Giovanni Battista, fu quindi edificato il nuovo tempio dove fu celebrata la prima vittoria con la consacrazione e dedicazione al Precursore ( San Giovanni Battista), area prossima al castello di Maredolce nel Parco della Favara.

I lavori forse iniziarono nel 1071 ma furono completati anni dopo. Sembra che l’edificio sia stato ultimato alla morte di Roberto il Guiscardo avvenuta nel 1085.
La chiesa si può considerare come la prima costruzione normanna nella città di Palermo.
L’edificio si trova nel quartiere o rione “Settecannoli”, in Via Salvatore Cappello, nella parte meridionale della città non lontano dal Ponte dell’Ammiraglio sul fiume Oreto.
Dell’antico castello arabo rimasero dei resti visibili nel giardino retrostante la chiesa e che consistono in tratti di muro e frammenti di pavimentazione.



3. La Costruzione del Lebbrosario da parte di Ruggero II d’Altavilla

Il lebbrosario, invece, sarebbe stato costruito da Ruggero II (1130 – 1154) alla prima metà del XII secolo vicino alla Chiesa costruita dal padre.
Una tradizione, che non presenta precisi riscontri storici, vorrebbe il lebbrosario costruito sempre da Ruggero II ma in memoria del fratello Goffredo, figlio di Ruggero I e di Giuditta d’Evreux,  malato di “morbus elephantinus” e che morì, secondo il cronista normanno Goffredo Malaterra, di lebbra.
Un’altra tradizione lega la fondazione del lebbrosario, sempre da parte di Ruggero II, all’insalubrità del luogo colpito dai miasmi del fiume Oreto.

Ciottolato forse di pertinenza del vecchio castello arabo

Ruggero II dotò quindi la chiesa originaria di un ospedale ed elargì alla struttura tutta una serie di casali, beni e privilegi che furono confermati dal figlio Guglielmo I (Il Malo).
Guglielmo I vi fece trasferire i lebbrosi che erano ospitati presso le strutture della Chiesa di San Leonardo. Una chiesa che era posta nell’attuale area del Convento dei Frati Minori Cappuccini
Il re Guglielmo I (Il Malo) nel maggio 1155, con un diploma scritto in arabo, proveniente dal tabulario della Commenda della Magione, donava all’Ospedale di San Giovanni dei Lebbrosi di Palermo il casale di Margana (Prizzi) con “31 villani e le terre connesse”.
La pergamena citò l’istituzione e l’edificazione dell’ospedale da parte del padre Ruggero II ma senza indicare l’anno di costruzione.




4.   Federico II di Svevia concede il Lebbrosario e la Chiesa di San Giovanni alla Magione  (Basilica della SS Trinità del Cancellierie) in possesso dei Cavalieri Teutonici
Nel febbraio 1219 l’Imperatore Federico II di Svevia, rendendosi conto dello stato di decadenza dell’ospedale, pose l’amministrazione e la gestione dello stesso ospedale all’attenzione del precettore della Magione in possesso dei Cavalieri Teutonici
Una concessione legata alla politica di Federico II mirata alla salvaguardia del suo regno e al mantenimento di un certo benessere sociale ai sudditi ed anche al recupero
dell’ospedale che a quanto sembra era in mano agli Arabi.
 Il possesso dell’ospedale da parte dei teutonici scatenò un  aspro conflitto con i fratelli di San Lazzaro, che fu risolta a favore dei cavalieri tedeschi.
Con il privilegio del 1219 la provincia teutonica di Sicilia acquistava inoltre circa 5000 ettari di terra.. ”ovvero la metà di quello che possedeva all’epoca della sua massima espansione nel XV secolo”.

Nel 1221  unì “in perpetuo” l’Ospedale dei Lebbrosi di Palermo, con tutti i suoi possedimenti o pertinenze, all’Abbazia dei Cavalieri Teutonici della Magione.
Infatti nel 1324 l’ospedale fu appellato con il termine “de infectis”, cioè struttura destinata alla cura e al trattamento delle malattie infettive. Risalgono proprio a questo periodo gli affreschi documentati nel cortile, in particolare con una scena raffigurante la Madonna Annunziata ritratta con un cavaliere Teutonico “genuflesso e orante”.

5.      Abbandono del Lebbrosario e della Chiesa da parte dell’Ordine Teutonico – Dipendenza dell’Ospedale Nuovo -
In una lettera datata 23 novembre 1434, il re Alfonso V d’Aragona citò la chiesa con annesso ospedale adibito a lebbrosario “chiesa di San Giovanni de’ Lebbrosi” decretando l’esenzione di tasse e gabelle. Rivolse inoltre ai Cavalieri Teutonici l’invito ad abbandonarne la gestione  pur consentendo tuttavia alla chiesa di restare canonicamente unita alla Chiesa della SS Trinità del Cancelliere (la Magione).
Nel 1442 il lebbrosario con l’Ospedale di San Bartolomeo l’Incurabili,  figura come gancia o dipendenza dell’Ospedale Grande e Nuovo, fondato dal frate Benedettino Giuliano Majali ed ubicato all’interno del Palazzo Sclafani.


Palazzo Sclafani

In quel periodo l’Ospedale dei Lebbrosi di San Giovanni comprendeva anche malati tisici e di mente.
Nel 1495 il lebbrosario fu amministrato dal Senato Palermitano e in seguito trasformato in lazzaretto per le varie epidemie di peste che colpirono Palermo dal giugno 1575.  Un epidemia provocata dagli intensi traffici marittimi e dagli attacchi dei corsari lungo le coste.
Il Collegio di Notari che si costituì per la gestione della Chiesa e del Convento di San Nicolò da Tolentino trasferì nel 1596 parte degli eremiti di Sant’Agostino, che si erano insediati da poco tempo, e i vecchi membri dell’ordine preesistente, ancora presenti nella struttura, nel Convento di Santa Maria la Sanità che era aggregato alla Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Le strutture della Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi con i nuovi insediamenti subì delle modiche architettoniche nel XVII secolo. Gli interni del tempio furono stravolti con l’inserimento di volte in muratura e con il rivestimento a decori in stucco che occultarono addirittura anche le finestre delle navate laterali.

      6.    La visita al Lebbrosario della regina Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando I di Borbone (Delle Due Sicilie)
La regina Maria Carolina d’Austria in una visita risalente al 1802, si rese conto della precarietà dei locali e delle condizione pietose in cui vivevano i ricoverati. Fece quindi trasferire i degenti e l’istituzione presso le strutture dell’Ospedale dei pazzi o tisici che era ubicato nell’ex noviziato dei Padri Teresiani Scalzi.
 Le condizioni in cui si trova l’Ospedale dei Lebbrosi (e non solo) emerge da una relazione del 1827…
“…. Questo spedale per la sua istrettezza, e per l’aria insalubre, che vi si respirava, era più spesso di morte cagione, che di sanità agli ammalati. I pazzi poi oltre di parteciparsi della comune sventura degli altri infermi, eran di più barbaramente trattati.
L’infelice condizione di questi esseri miserabili mosse a pietà la defunta nostra Sovrana Maria Carolina D’Austria; e l’eccelsa donna concepì il sua mente il pio disegno, di far erigere per costoro un nuovo spedale più spazioso, ed in miglior maniera costrutto.  E cercando un luogo del primo più ameno, e la dove si potesse aria più sana respirare, giudicò al suo scopo opportuno il Conventino una volta Noviziato dei Teresiani scalzi.
Fece con effetto in questo sito passare i pazzi e gli ammalati tutti, che dimoravano nel vieto spedale di San Giovanni dei lebbrosi; ed ordinò nello stesso tempo, che tutto quanto correva, si fosse prontamente eseguito, onde trasformare il piccolo edificio in uno spedale, da potervi con decenza e comodamente allogare gl’infermi”.
“Ma le circostanze dei tempi non secondarono le caritatevoli intenzioni della pietosa regina, l’opera restò imperfetta, e quelli infelici ricaddero nuovamente nell’Ospizio di Santa Teresa in quelle stesse angustie, ed in quelle stesse miserie dalle quali si credevan liberati”.

Maria Carolina d'Austria

Palermo - La Real Casa dei Matti



“ Lo abbandono, nel quale trovai per verità questo luogo, se dai miei occhi non fosse stato veduto, da chiunque udito lo avessi, io non lo avrei giammai creduto. Esso la sembianza di un serraglio di fiere presentava piuttosto, che di abitazione di umane creature.
In volgere lo sguardo nell’interno dell’angusto edificio, poche cellette scorgevansi oscure sordide malsane; parte ai matti destinate, e parte alle matte.
Colà stavansi rinchiusi, ed indistintamente ammucchiati i maniaci e dementi i furiosi i melanconici. Alcuni di loro sopra poca paglia e sudicia distesi, i più sulla nuda terra. Molti  eran del tutto ignudi, varj coperti di cenci, altri in ischifosi stracci avvolti; e tutti a modo di bestie catenati, e di fastidiosi insetti ricolmi, e fame, e sete, e freddo, e caldo, e scherni, e strazj, e battiture pativano.
Estenuati gl’infelici, e quasi distrutti gl’occhi tenean fissi in ogni uomo, che improvviso compariva loro innanzi; e compresi di spavento per sospetto di nuovi affanni, in impeti subitamente rompeano di rabbia e di furore.
Quindi assicurati dagli atti compassionevoli di chi pietosamente li guardava, dolenti oltre modo pietà chiedevano, le margini dei ferri mostrando, e le lividezze delle percosse, di che tutto il corpo avean pieno.
Quai martiri, oh Dio, e quanti !
Eppure altre angosce incredibili e vere quei meschini sopportavano. Oltre degli accennati mali,  varie infermità pestifere vedevansi alle loro membra appiccate: poiché si facean con essi insieme convivere gli etici, i lebbrosi, e tutti coloro, che da sozzi morbi cutanei erano viziati.
Colpito da sì atroce spettacolo, e stimolati da intensa brama, di soccorrere quelle vittime, colli ad esse accostarmi: ma ne fui con veemenza respinto dallo insoffribile puzzo, che forte spirava da quelle carceri di lordume incrosticate.
E quali maggiori crudeltati, tra me dicea, usar si potrebbero in traditori, ed in pubblici
Stimolato, come dissi, dal vivo desiderio, di trarre d’affanno quei miseri, a niuna altra cosa badando, mi rivolsi a far subito svellere, e gettar fuori dallo spedale quelle odiose catene, ond’essi erano empiamente avvinti; e contro delle quali si erano innalzate invano le grida della umanità. Con parole consolanti, ed ancor più con fatti mi diedi poscia a ristorare quei disgraziati, soavi liquori facendo loro apprestare e cibi ricreativi.
Eglino, che sino allora durissima vita avean menato, vedendosi ad un tratto sgravati dallo enorme peso delle catene, con affabili maniere trattati, e con sani alimenti rinvigoriti, lietissimi levaronsi in piedi, con le scarne braccia il collo strettamente stringendo di coloro, dai quali avevan sì gran bene ricevuto….
“Terminato questo, non indugiai a disporre, che sì i matti come le matte fossero immantinente provveduti di tutto quel, che alla comoda esistenza di uomini ammalati era comportevole; e di fatti in pochi dì furono essi di camicie, di vestimenti, di scarpe, di lenzuola, di coltri, e di letti forniti, facendo nelle fiamme buttare, chè ad altro mai servir non poteano, quei fetidi cenci, che le membra di pochi di loro avean per lo innanzi vergognosamente coperto.Non lasciai in fine di severamente proibire, non che l’uso infame delle bastonate, ma di tutte quelle parole ancora, che dispregio ed avvilimento esprimessero…” (Relazione  del barone Pietro Pisani)

Il Governo dopo pochi giorni trasferì gli ammalati in un altro Ospedale e lascio “per i soli matti l’Ospizio di Santa Teresa”.
Grazie agli aiuti economici dei sovrani, prima con “il beneficentissimo Ferdinando primo, se non utti i mezzi, buona parte almeno per la redificazione …” e successivamente con “il Piissimo Francesco primo, felicemente regnante, non solo volle con paterno cuore altri sovvenimenti aggiungere a quelli dell’ottimo suo genitore, onde si fosse intieramente compita un’opera di sì immensa carità, appena cominciata, ma si degnò ancora di onorarla con lo splendido titolo di Real Casa Dei Matti…”.
L’impianto ospedaliero cambiò decisamente e vi furono accolti solo pazienti con turbe psichiche. Fu quindi proibito l’uso di vocaboli come “folle, pazzo, ecc.” e s’impose che i malati fossero chiamati con i loro nomi; furono abolite le punizioni coercitive e l’uso della camicia di forza oltre all’isolamento in camera che fu adoperato solo in casi estremi.
Con queste innovazioni la “Real Casa dei Matti” di Palermo diventò l’esempio per analoghe strutture europee e fu tanto innovativo ed ammirato che  Nathaniel Parrker Willis nella sua opera “The madhouse to Palermo”, pubblicato sul The Metropolitan Magazine, lo indicò come esempio per le strutture ospedaliere in costruzione negli Stati Uniti.
Nella sua sosta in Sicilia  lo scrittore Willis riportò in una lettera scritta al New York Mirror, apparsa sul quotidiano il 28 giugno 1833, il suo incontro col il barone Pisani parlando della Real Casa dei Matti.
Il Willis scisse…”Questa è gestita da un estroso barone siciliano, che vi ha dedicato il suo tempo e la sua fortuna. Questo ospedale si trova in un arioso spazio situato in un bel quartiere di Palermo. All’ingresso siamo stati ricevuti da un rispettabile portiere in livrea, che ci ha subito accompagnati dal vecchio barone, un uomo avanti con gli anni e dalle maniere particolarmente signorili, che venendoci incontro e protendendo subito le braccia verso di noi, ci ha detto. “Je suis le fou premier”, incitandoci così ad entrare”.
Ritornato in America lo scrittore riportò le sue note siciliane  col il titolo “The Madhouse to Palermo” pubblicate come già detto nel 1834 sulla rivista “The Metropolitan Magazine”.
Ne venne fuori un attenta descrizione della struttura con i suoi ambienti, con un articolata descrizione delle stanze per le donne, degli ambienti per gli uomini, del numero dei pazienti e soprattutto si metteva in risalto l’ambiente sereno in cui vivevano gli infermi. Infermi che sorridevano, per niente malinconici, di alcuni di loro che erano dediti alla lettura… leggevano Ariosto… dipingevano, conversavano; tutti assistiti e curati non con il ricorso alla forza e alla costrizione ma con la benevolenza, con l’occupazione costruttiva del tempo, con la gentilezza che sono in grado di alleviare le sofferenze mentali.
Nelle pagine di Willis si snodano le storie dei pazienti della Casa affetti da una demenza affrontata senza accanimento e senza crudeltà, con il rispetto dell’identità personale e della libertà del soggetto. Proprio per fare conoscere questi metodi del tutto innovativi  raccontò l’impresa del singolare barone Pisani. Due anni dopo, nel 1836, lo stesso Willis, incluse il suo reportage siciliano in una raccolta di scritti “Inglinks of Adventure”.
Edgar Allan Poe lesse, da quest’ultimo volume, il racconto palermitano di Willis, del quale era amico, e lo citò in un suo articolo sul “Southern Literary Messenger”. Nell’articolo si parlava delle case di cura per malati di mente che stavano nascendo in quel periodo in America. Ma la ricostruzione di Willis appassionò a tal punto Edgar Poe da spingerlo, anni dopo, a trasformarla in una personale e fantastica storia narrativa. Nasceva così uno dei capolavori letterari di Edgar Allan Poe, del 1845, “The sistem of Dr. Tarr and Professor Fether”.

L’artefice della costruzione della “Real Casa dei Matti” ma soprattutto della visione di  un'assistenza umana ai poveri infermi fu un barone siciliano, forse dimenticato malgrado la presenza nel tessuto ospedaliere di un ospedale a lui dedicato ma  letto probabilmente con distacco,, perchè lontano dai nostri tempi….

Pietro Pisani (Palermo, 1761; Palermo, 6 luglio 1837)
Archeologo, ed interessi anche nella musica e nella pittura.
Fondò il 19 agosto 1824 la Real Casa dei Matti di Palermo, luogo di cura
delle malattie psichiatriche. Morì a causa del colera.

La condizione umana…



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7.     L’Architettura della Chiesa

Il lebbrosario, abbandonato ed in disuso, fu trasformato in stabilimento per la concia della pelle, nei primi anni dell’ottocento.



Del vecchio ospedale è rimasto qualche muro mentre la chiesa sembra un monumento dimenticato….
L’attuale aspetto della chiesa è dovuto all’intervento di restauro che fu eseguito nei primi anni del XX secolo dall’architetto Francesco Valenti (nato a Palermo nel 1868). Il Valenti era sovrintendente ai monumenti della città nell’epoca, importante studioso di storia normanna, e decise con un saggio intervento di eliminare tutte quelle sovrapposizioni architettoniche che si erano realizzate nei secoli.
L’intervento del Valenti fu eccezionale  perché riuscì, anche dove mancavano indizi storici e schematici, a dare all’edificio uno stile simile a quello normanno-arabo. Una costruzione normanno – araba  perché gli architetti normanni erano spesso affiancanti da colleghi arabi.
Fu abbattuta la pesante volta portante a botte, con teste di padiglione della navata centrale e demolite le volte a crociera delle navate laterali. Furono scrostati gli intonaci e gli stucchi che appesantivano l’edificio.
Fu ricostruito l’altare marmoreo della tribuna prendendo come riferimento l’altare esistente nella chiesa di San Cataldo; fu abbassato il pavimento ripristinando quello originario al tempo dei Normanni.
Interventi anche sulla facciata della chiesa collocando delle scale che permettono l’accesso al portico del campanile e che apre l’ingresso alla chiesa. Un intervento legato allo stile Normanno.

Gli smussi degli angoli dei pilastri portanti, le archeggiature, mostrano ancora oggi le tracce degli interventi.
I lavori di restauro iniziarono nel 1920 e furono ultimati nel 1934.
La chiesa ha un orientamento sud-ovest ed è costruita in muratura con conci di calcarenite (tufo calcare, conchigliare, arenario) che sono disposti in filari regolari. Ha un impianto basilicale a croce latina con tre navate che sono divise da tre coppie di robusti pilastri a pianta rettangolare dove si collocano quattro arcate a sesto acuto. Le navate sono coperte da tetti lignei ben visibili.
Per l’intervento sul pavimento, l’area del presbiterio (l’altare) è sopraelevata ed un breve spazio rettangolare precede l’abside dell’altare centrale. La copertura del presbiterio è eccezionale. È costituita ai lati con volte a crociera e in alto  la tipica cupola è ricoperta di colore rosso impermeabilizzato. Cupola che poggia su un tamburo quadrato all’esterno mentre all’interno si trovano otto archi ribassati. Gli imbocchi absidali sono agli angoli di colonnine incassate, alcune sono originali mentre altre sono imitazioni di gesso.
Il capitello della colonna angolare destra dell’abside destro, sull’echino porta un’iscrizione araba a carattere cufici che sono purtroppo illeggibili per il cattivo stato di conservazione. Iscrizioni in caratteri cufici di tipo omayyade-andaluso
La navata centrale è preceduta dal portichetto in cui si apre l’ingresso principale. Nell’angolo si sinistra si trova una rientranza in cui è stato ricavato un ambiente e nel quale è stata collocata la scala d’accesso al piccolo campanile.
Oltre all’ingresso principale è presente un altro ingresso, che potremo definire secondario, che permette l’accesso alla navata sud e un altro ingresso di servizio che permette l’acceso al presbiterio dal lato nord.
Le finestre presentano la strombatura verso il suo interno, mentre all’esterno sono racchiusi con archi ribassati. In origine erano forniti di transenne a traforo, poiché furono trovati dei frammenti nelle murature.
Sopra l’altare della navata centrale è posto un Crocifisso ligneo del quattrocento di raro pregio in decorazione pittorica. Non ha notizia sul nome dell’artista ma è probabile che sia stato eseguito da uno dei monaci del tempo.
Uno dei prelati del tempio fu Don Domenico Tinaglia (Vicari (Pa), 21 febbraio 1938; Palermo,7 giugno 2014). Ordinato presbitero il 10 giugno 1968, fu parroco della chiesa dall’8 settembre 1970 fino alla sua morte
Una vita dal grande fervore pastorale ma anche una forte dedizione alla cura e salvaguardia del grande patrimonio culturale che gli era stato affidato.
Si adoperò con grande dedizione affinchè l’edificio fosse curato con grande attenzione e questo compito gli permise di mantenere in buono stato questo gioiello dell’arte lasciandolo in condizioni migliori di come l’aveva ricevuto.
Al suo intervento si deve anche la creazione del campanile con la cupoletta rossa analoga a quella della crociera.



Interno a tre navate su pilastri ottagonali che sorreggono  gli archi longitudinali

Le navate laterali sono molto più strette di quella centrale. 
Possenti pilastri composti sorreggono gli archi di accesso al presbiterio.








l presbiterio è sopraelevato rispetto alla navata ed è coperto da una cupola su pennacchi gradonati




Le colonne rincassate ai lati dell'abside principale hanno dei bei capitelli di stile classico ma probabilmente opera di maestranze arabe.



Più movimentata è la parte absidale. Il transetto non è eccedente in pianta ed è costituito da tre volumi parallelepipedi di cui quello centrale a pianta quadrata sorregge la cupola in stile moresco. I due laterali costituiscono i bracci ed hanno una pianta rettangolare sviluppata in senso longitudinale. 


È uno degli edifici medievali in stile normanno più antichi della città e in alcuni suoi aspetti si collega alla Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta la “Martorana” e alla Chiesa di San Giovanni degli Eremiti e a quella di San Cataldo.
Un monumento che spesso viene lasciato in disparte negli itinerari turistici della città.








8      Il Racconto di Edgar Allan Poe “ The Sistem of Dr. Taer and professor Fether”




Poe racconta in prima persona la storia, ambientandola non in Sicilia ma nella Francia meridionale.
Accompagnato da un amico- proprio come era stato per Willis a Palermo - narra d' essere andato a visitare la curiosa Maison de Santè di cui ha tanto sentito parlare, soprattutto per il metodo di cura che si applica ai folli, quello della "dolcezza". Appena arrivato, viene presentato a monsieur Maillard, il direttore della maison che ha i tratti del barone Pisani: questi lo introduce amabilmente a visitare i luoghi e gli ambienti ameni del palazzo. Poi, intrattenendosi ancora con lui, e confessandogli che ha dovuto abbandonare il metodo della dolcezza verso i suoi pazienti, sostituendolo con un trattamento più duro e restrittivo, lo invita a cena. Nel frattempo fanno la loro apparizione strani personaggi: camerieri in livrea dallo sguardo inquietante, giovani e misteriose donne. Poi è la cena, durante la quale Maillard presenta al suo ospite, i suoi bizzarri collaboratori: ed è una successione di personaggi oltremodo stravaganti e stralunati. La conversazione a tavola diventa un costante racconto, da parte dei sedicenti collaboratori del direttore, di aneddoti divertenti e paradossali, in una successione di dialoghi e battute grottesche ed esilaranti, che lasciano stupefatto e confuso l' ospite di Maillard. Ad un tratto però, nella sala della cena, si avverte un rumore che diventa sempre più forte e che sembra quello di gente che corre convulsamente e velocemente, finché irrompono nella sala una decina di persone. Sono i veri collaboratori di Maillard, costretti a stare rinchiusi in un piano sotterraneo da quando il direttore della Maison, impazzito egli stesso, s' è messo in combutta con i "pazzi" ribaltando così i ruoli: i "pazzi"" sono diventati medici e infermieri, i medici e gli infermieri, come se fossero pazzi, costretti alla cura con un trattamento singolare: incatramati e impiumati giornalmente, come previsto dal sistema di due inesistenti scienziati, il dottor Catrame e il professor Piuma. Nel suo racconto, Poe scrive: «A Parigii provinciali del mezzogiorno erano tutti considerati un po' eccentrici»: probabilmente, dopo aver letto dell' impresa del barone Pisani e della Real Casa dei Matti - che gli sarà apparsa sin troppo avveniristica per poter veramente essere efficace - ha pensato la stessa cosa dei siciliani e della Sicilia. Dell' isola, peraltro, ricorrono spesso, nelle opere di Poe, dei rimandi all' Etna mentre un verso di una sua poesia decanta romanticamente le «lucciole delle notti siciliane».


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Altre Commende dell’Ordine Teutonico

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