Carlentini e Lentini .... Le numerose Chiese Rupestri...Un patrimonio culturale di grandissimo valore...
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Indice:
1.
San
Giuseppe Il Giusto;
2.
Grotta
di San Mauro;
3.
Grotta
della Solitudine o di Sant’Andrea;
4.
Crotta
del Crocifisso;
5.
Oratorio
del Cristo Biondo;
6.
Chiesa
di San Giuliano;
7.
Oratorio
di Santa Lucia;
8.
Chiesa
Rupestre di Santa Margherita;
9.
Grotta
di Sant’Analia (?)
10. La Grotta, luogo
di culto
La Ricerca - Il Cane abbandonato....
La Ricerca - Il Cane abbandonato....
Altre Chiese Rupestri:
Castellamare del Golfo (Tp)
Escursione in barca - La Chiesa Rupestre di Santa Margherita
(18/06/2019)
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1.
Lentini – Chiesa di San Giuseppe
Giusto
La
chiesa si trova presso il Colle “Ciricò” da quale s’ammira un vasto panorama
che spazia da Lentini al Biviere, a Nord verso l’Etna con lo scorcio di
Catania, ad Est su una striscia del mare Jonio e verso Sud le pendici di
Carlentini.
La chiesa medievale del XIV secolo faceva parte di un
complesso monumentale di proprietà dei francescani che possedevano nella zona dei
feudi.
Una struttura molto robusta che riuscì a superare il
terremoto catastrofico del 1693 non riportando danni importanti.
Presenta una pianta quadra con una facciata di conci
arenari che è sostenuta da due robusti pilastri laterali. Al centro della facciata
il portale d’ingresso e una grande finestra rotonda. Adiacente alla chiesa c’è
un edificio di servizio con una finestra rettangolare che è contemporaneo alla
facciata della chiesa.
All’interno c’erano degli affreschi di gran valore che
dovevano avere la loro importanza e bellezza e che a causa dell’abbandono e
degli atti di vandalismo sono ormai in completa rovina e in molti tratti
completamente illeggibili.
Era consacrata al “Padre Giusto e Saggio di Cristo”
(“San Giuseppe”) e, secondo una
citazione popolare, la sua fondazione risalirebbe ai Cavalieri Templari. Nel
territorio i Templari erano ben presenti con vasti feudi che giungevano sino
alla costa ad est e a Scordia ad Ovest. Una presenza molto importante perché
presidiavano i grandi ed importanti cammini francigeni dando anche assistenza
ai pellegrini negli “hospitalia”.
Un struttura che doveva essere valorizzata ed invece è
stata completamente abbandonata per finire sotto l’azione di atti vandalici
perpetrati da chi è alla ricerca di reperti…. gli “amanti dell’arte”…
Il tetto è crollato da tempo mentre la volta ha resistito,
almeno fino ad un paio d’anni fa.
L’interno della piccola chiesa, di cui rimane qualche
traccia residua del pavimento, presenta i resti di un altare in pietra sormontato da un bellissimo affresco
semicircolare. Il tetto a botte era
arricchito da affreschi come le pareti laterali.
Gli affreschi risalgono a diversi periodi. Infatti in
alcune parti è possibile vedere la sovrapposizione di due affreschi, uno
databile intorno all’origine della chiesa, tra il ‘400/’500, e l’altro intorno
al ‘600/’700.
I resti di affreschi più consistenti si possono notare
vicino all’altare dove si trova anche un citazione in latino, la scritta “iustitia” e due angeli che suonano degli strumenti musicali.
L’affresco principale raffigura la Madonna con il Bambino
e San Giuseppe. Figure che sono circondate da santi ed angeli musicanti.
Tempo fa la chiesa era stata riportata alla luce,
liberandola dalla spazzatura e dalle sterpaglie, grazie all’intervento del Sig,
Guglielmo Tocco.
Un intervento effettuato nel lontano 24 ottobre 2012…”
”In due giorni, con l’aiuto di volontari e dei
privati, che si sono sobbarcati quasi un migliaio di Euro di spese, tra
autocarri e operai, è stato possibile restituire il decoro ad uno dei più
antichi siti che ricadono sul territorio di Carlentini a pochi passi da
Lentini.
Resta ancora del lavoro da completare, ma contiamo di
farlo presto”-
Progetto di
Valorizzazione…..
Progetto
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2. Grotta San
Mauro
Prima
di giungere alla Grotta di San Mauro, sulla sinistra della strada si trova una
parte dell’area archeologica dell’antica colonia greca di Leontinoi.
Sito
archeologico che sarà oggetto di una prossima ricerca di studio.
Leontinoi – Le Fortificazioni
La grotta è posta sul versante sud-orientale di Colle
San Mauro, vicino alla città greca di Leontinoi, e faceva parte di un monastero
costituito da tre spazi allineati, posti sullo stesso livello, e comunicanti
tra di loro grazie a delle aperture di forma trapezia.
Ambienti che avevano una diversa funzione, secondo gli
schemi di un monastero, e quello culturale era posto a sinistra. L’ambiente
centrale doveva essere un luogo di riunione mentre il terzo ambiente, un
grandissimo vano dalla pianta complessa, presentava le cellette dei monaci di
cui restano evidenti le tracce dei setti divisori nel soffitto. Cellette tutte
di uguali dimensioni e che finivano con dei nicchioni lunettati.
La chiesa, a pianta quadra, presentava un abside tonda
con un altare litico nella parete di Sud-Ovest e con un soffitto accuratamente
scavato a forma di volta di botte.
Nel primo tratto della parete di sinistra è ricavato
un piccolo vano a pianta rettangolare e coperto da una volta a botte. Manca la
chiusura perimetrale esterna.
Sono visibili un solo strato di affreschi che
risalgono alla seconda metà del XVI secolo ed interessano solo la parte
absidata. Nella stessa conca absidata era raffigurata una scena della Natività con le figure inginocchiate di San Giuseppe e
di Maria. La scena presentava un contorno di angeli cantori e musicanti. Ai lati
dell’abside vi erano le immagini die due santi racchiusi da portali con
colonnine e trabeazioni dipinte.
La nascita del complesso monastico sarebbe da
collocare tra il XV e il XVI secolo,
Dimensioni: Sala - larghezza media: mt 7.50;
profondità media: mt 7.00; altezza massima: attorno a mt 6.00.
Abside – larghezza: mt 3.20; profondità: mt 1.15;
Altare – larghezza: cm 160
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3. Grotta della Solitudine o di Sant’Andrea
Dall’area
Archeologica all’imbocco del sentiero per la Grotta della Solitudine:
350 metri circa – 7 m - pianeggiante
Le
fonti su questa grotta non sono numerose. Si tratta di un gruppo di escavazioni
che sono note nella tradizione popolare con il nome di Grotte della Solitudine
proprio per la loro utilizzazione eremitica.
Questa cavità è anche nota con il termine di
Grotta di Sant’Andrea ed è scavata nel banco friabile di calcarenite giallastra
nell’altro versante della Cava di San Mauro.
La
sua struttura, almeno fino ad un paio d’anni fa, era perfettamente integra.
È
costituita da ” profonda navata rettangolare coperta a forma di volta
a botte ed absidata nel lato di est-sud-est. L’abside è tonda ed ai suoi lati
sono ricavati due ripiani per suppellettile rituale. Un sedile litico segue
tutta la fiancata destra ma non ha corrispondenza in quella opposta. La
tamponatura esterna, ove si aprono l’ingresso ed una sottostante finestrella di
luce, è in muratura”.
Gli affreschi si trovano solo nella parte absidata e
nella conca absidale è raffigurata una scena della “Deposizione” risalente
probabilmente al XIV secolo.
Dimensioni
della Navata: lunghezza circa 10 metri;
larghezza, 5 metri; altezza massima, 6,50 metri.
Dimensioni
abside: larghezza, 2,40 metri; profondità, 1,00 metro.
Grotta della Solitudine
– Planimetria
Nel
marzo 2019 la grotta ha subito degli atti vandalici
Nella
notte tra il 24 ed il 25 marzo la Grotta, posta all’interno di un agrumeto, fu
letteralmente saccheggiata.
La
scoperta dell’azione vandalica da parte
dei dirigenti della Pro Loco di Carlentini.
I “tombaroli” scavarono all’interno della
grotta alla ricerca di reperti archeologici e trovando, probabilmente, solo dei
cocci di materiale archeologico.
Il
sogno di questi mafiosi in erba era quello di trovare una probabile camera
sepolcrale o delle antiche monete e quindi scavarono danneggiando la cavità e
le superfici principali dell’area.
Foto tratte dal
sito:
Grotta della
Solitudine – Maria di Cleofa
Grotta della
Solitudine – Maria di Magdala
Grotta della
Solitudine – San Giovanni
Grotta della
Solitudine – La Madonna
Grotta della
Solitudine – Gli Angeli oranti
Grotta della
Solitudine – Gli Angeli
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4. Grotta del
Crocifisso
La grotta del Crocifisso si trova nella Valle Ruccia ,
sul versante orientale del colle di Metapiccola.
L’impianto della grotta è siro-palestinese cioè costituita
da più stanze unite e scavate nella roccia viva, un genere di costruzione del
periodo e che si preferiva perché manteneva costante la temperatura, intorno ai
15 gradi anche nel periodo estivo.
Le fonti storiche sulla Chiesa rupestre non sono molte.
Al 1764 si dovrebbe datare una sistemazione della grotta ad
opera di eremiti laici locali.
Nel XVI secolo la
grotta era adibita a sepolcreto grazie alla lettura del pavimento e del vano
sottostante. In questo periodo furono effettuati dei forti lavori di
ristrutturazione con l’apertura dei due varchi e con l’ampliamento del vano in
profondità di fronte all’ingresso.
La grotta risulta composta da almeno due ambienti
quadrati simmetrici, comunicanti attraverso un varco. Il vano di destra appare
leggermente più ampio dell’altro e, per la presenza di un’abside scavata
immediatamente a destra dell’ingresso ad Est, si configura coma la vera e
propria chiesa. Il vano di sinistra, invece, che adesso ha un ingresso
autonomo, probabilmente in origine una finestra, sembra frutto di una
ricostruzione settecentesca che lo adibì a culto.
Ci sono dei documenti presso l’Archivio Storico Diocesano
di Siracusa in merito all’edificio di
culto per i periodi pre e post terremoto del 1693 che provocò la distruzione in
un gran numero di edifici di culto.
Un verbale in merito ad una visita pastorale eseguita l’8
marzo 1649 dal vescovo di Siracusa mons. Giovanni Antonio Capobianco. Il
verbale citò un altare denominato “Santa Maria della Grutta”.
Lo stesso vescovo visitò l’edificio il 31 marzo 1679 e
citò diversi altari: l’altare maggiore dedicato al Santissimo Crocifisso, quello della Madonna della Grutta e un terzo altare detto della Beata Vergine
dell’Uccello e delle Grazie.
Il 18 maggio 1682 il nuovo vescovo Francesco Fortezza visitò
la Chiesa del Crocifisso forse legata alla conoscenza degli edifici sacri della Diocesi. Vennero citati tre altari ma scomparve il
riferimento alla “Beata Vergine dell’Uccello” forse legato ad un elemento iconografico. Un edificio di culto
dove era presente una grande devozione Mariana.
Dopo il tragico
terremoto del 1693 ci fu la visita del nuovo vescovo Tommaso Marini. Una visita
effettuata il 21 aprile 1725 con redazione del verbale di “sacra visita”.
Nell’edificio si svolgevano delle funzioni di culto come
testimonia un’altro documento che citò la grande devozione per l’immagine del
Crocifisso, all’interno della grotta, al tramonto del secolo XVII.
Il documento o verbale era un ordine trascritto su un
registro della cancelleria episcopale in risposta ad una supplica del sacerdote
Eustachio Menta, tesoriere della chiesa.
Nell’atto si citò esplicitamente la grande devozione e un
quotidiano afflusso di devoti;
«populo
tanto di cotesta città [di Lentini] quanto della città di Carlentini
in adorare detta Santissima Immagine [del Santissimo Crocifisso]»,
tanto che il supplicante don Menta
«domanda
la licenza di potersi esponere in detta [chiesa] il Santissimo
Sacramento in ogni giorno di venerdì primo del mese e tre di maggio giorno
delle Inventione della Santissima Croce […]».
La curia rispose accordando i permessi richiesti dalla
supplica dando delle ulteriori disposizioni complementari:
«permetterete
parimente di potersi esponere il Santissimo Sacramento in detta chiesa per
tutto il giorno, con che però la suddetta expositione si facci con tutta
quella veneratione e decenza che si conviene e con luminaria decente non meno
di dodici lumi di cera e che si debbano osservare li decreti della Sacra
Congregatione de’ Riti, e le costitutioni synodali, e che mentre sta
esposto il Santissimo Sacramento, in chiesa non vi siano banchi né sedie et
innanzi la porta si ponghi un panno per riverenza e soprattutto si debbano
osservare l’ordinationi lasciate da Monsignor Nostro Illustrissimo [il
vescovo] in discorso di visita. E tanto eseguirete per quest’anno
solamente».
Il documento porta la data del 31 marzo 1699 e fu
sottoscritto dal vicario generale e dal cancelliere della Curia.
La celebrazione e l’esposizione del Santissimo
Sacramento all’interno della Grotta del Crocifisso fu consentita anche per l’anno
1700.
In seguito a questi lavori effettuati nel XVI secolo, si
attuò una sorta di ribaltamento dell’asse della chiesa con il posizionamento
dell’altare di fronte all’ingresso e dedicato alla Vergine.
Circa la scoperta della grotta è necessario risalire
fino a E. Bertaux che la considerò come l’unica dell’Isola- Studi ulteriori furono
quelli di P. Orsi, S. Ciancio, G. Agnello e, infine, A. Messina.
Il visitatore J. Houel, alla fine del XVIII secolo, fu
attratto dagli aspetti della Sicilia rupestre con le sue grotte che in quel
momento erano considerate come residenze alternative di ceti emarginati.
Nel territorio di Lentini/Carlentini sono presenti
molti ambienti rupestri: la Chiesa di S. Mauro, l’Oratorio della Solitudine, la
chiesa di Santa Lucia, la grotta di San Giuliano, la grotta di Santa
Margherita. Queste sono alcune i dei siti.
Gli affreschi presenti nella grotta costituiscono il
più ricco ciclo di affreschi della Sicilia e che ricoprono un arco di tempo
databile tra il XII ed il XVII secolo.
Strano destino per questa grotta che fu ripetutamente
oggetto di sistematici atti vandalici.
Fino agli anni
‘50’ del Novecento ogni primo Venerdì di settembre la comunità si riuniva per
celebrare la messa. Successivamente la grotta fu rifugio per circa vent’anni di
pastori e di un frate cappuccino eremita. Oggi finalmente il restauro, anche se
di alcuni affreschi… purtroppo molti sono andati irrimediabilmente perduti.
Gli atti vandalici perpetrati da piccoli mafiosi in
erba hanno determinato crepe nei muri, alla ricerca di qualche fantomatica
“trovatura” con danni irrimediabili agli affreschi che con l’abbandono, l’umidità
hanno determinato la loro sparizione.
La
chiesa presenta almeno cinque cicli di affreschi sovrapposti.
A destra dell’ingresso principe, nel piccolo
abside, è l’affresco del Cristo Pantocratore assiso in trono tra due coppie di
angeli.
Il
Cristo indossa un tunica rossa e un mantello dall’ampio drappo, con la mano
destra benedicente e con la sinistra regge il Vangelo. Un Cristo che dal punto
di vista iconografico è vicino al Duomo di Cefalù anche per i particolari del
mantello e la resa dei particolari del volto.
Segue
poi un pannello con la Crocifissione di cui rimane solo un tratto del volto di
Cristo e della Croce. Questo dipinto si potrebbe datare al XIII secolo e doveva
essere uno dei più antichi della chiesa. Un affresco che probabilmente dava il
nome al tempio sacro.
La
parete Nord presenta ormai purtroppo
solo delle tracce di diversi dipinti sovrapposti di cui i più recenti databili
al XVII secolo e raffiguranti la Madonna con il Bambino.
Un
affresco che fu restaurato il 12 febbraio 2019 e detta “Madonna del Latte”. Un
restauro finanziato dalla locale sezione dell’Archeoclub. L’affresco appartiene
ad una fase pittorica di gusto tardo gotico, a cavallo tra la fine del XIV e
l’inizio del XV secolo.
La
Vergine è rappresentata a figura interna nel materno gesto di allattare il
Bambino, espressione simbolica della sacra umanità di Maria, donna e madre di
Gesù.
Accanto
sono due pannelli, uno con un santo che non è stato possibile identificare e un
altro che raffigura San Nicola.
Nel
vano di fronte all’ingresso, nella parete ovest, era presenta un affresco dove
era raffigurata una scena di “threnos” o compianto sul Cristo morto. Un
affresco che fu staccato e portato nel Museo Archeologico di Lentini. La raffigurazione presentava il Cristo con il
volto appoggiato sul petto della Madonna, tra San Giovanni Evangelista,
Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e le Myrophores e nello sfondo il Calvario con
le Tre Croci. Lo stile popolare dell’affresco, che ricorda le pitture su tela, fa proporre la sua collocazione temporale
verso la fine del XVII secolo.
Nella
parete di fronte all’altare si trova l’affresco della Vergine In Trono con il
Bambino. Una Vergine dal volto giovanile e seduta su una sorta di sgabello.
Indossa una veste di colore rosso e un mantello blu riccamente drappeggiato.
Del Bambino non rimane che un esile traccia.
In
fondo all’ambiente principale sul lato nord sono cinque pannelli rettangolari
raffiguranti:
-
Un
santo vescovo;
-
San
Giovanni Battista;
-
San
Leonardo;
-
La
Vergine con il Bambino
-
Santa
Elisabetta
Delle
tre ultime figure mancano purtroppo le parti inferiori che furono distrutte per
aprire il passaggio per il vano adiacente.
Il
Santo Vescovo è rappresentato nell’atto benedicente. Ha il volto scarno e
presenta una barba bianca. La veste è riccamente decorata con orbicoli. Sotto
l’affresco s’intravedono, nella parte inferiore, delle tracce di affreschi più
antichi.
San
Giovanni Battista è dipinto su uno strato d’intonaco bianco e che copre, anche
in questo caso, un affresco più antico. Il santo porta come abito una pelle
d’animale che lascia scoperta la spalla sinistra ed il petto. Il volto magro ed
emaciato che è incorniciato da capelli disordinati e da una folta barba.
A
sinistra del volto è la scritta
S. IOH[ANNE]S
E
a destra
BATISTA
mentre
nel rotolo retto dalla mano sinistra si legge:
ECCE / AGNUS / DEI
ECCE / QUI TOL / LIT PE /CATA MU / NDI
L’immagine
di San Giovanni ricorda dal punto di vista iconografico uno schema molto usato in
Sicilia che trova aspetti simili nella cripta di San Marciano a Siracusa
San
Leonardo ha il volto con una folta barba bianca e nella mano stringe una
catena, a destra del volto c’è la scritta
LEONARDUS
Della
raffigurazione della Vergine con il Bambino si conserva solo il volto della
Vergine con il nimbo giallo e quello del Bambino con il nimbo crucifero.
Santa
Elisabetta ha un nimbo di colore giallo
e un velo rossastro, la veste è di
colore marrone con alcune ombreggiature. Le mani sono aperte in atteggiamento
di preghiera. A sinistra e a destra del volto c’è la scritta:
S(AN)C(T)A HELISABETH
Di
fronte all’ingresso vi sono due grandi pannelli in cui sono raffigurati:
-
Cristo
Viandante, con un portamento maestoso. Presenta il volto incorniciato dai
capelli e da una lunga barba. Con la mano sinistra s’appoggia ad un pastorale
mentre con la destra regge il Vangelo.
Il Cristo era stato identificato, in precedenza, con San Paolo ma la presenza
del nimbo crucifero fece cadere questa
attribuzione.
-
L’altro
personaggio è San Cristoforo.
Il dipinto si dovrebbe collocare nel XVII
secolo
San
Cristoforo è raffigurato nell’atto di
attraversare il mare, in modo grossolano, con la testa molto più grande del
resto della figura e del Cristo Bambino che porta sulla spalla.
Nella
mano ha un rotolo in cui è scritto:
XP(IST)OFORI
S(ANCTA)M / SPECIE(M) QUI/
CU(M)QUE TU/ ETUR ILLO/ NA(M)QUE DIE
/
NULLO LANG(UORE)
L’affresco,
rispetto allá vicina figura del Cristo, è antecedente e dovrebbe collocarsi verso
il XV secolo.
Nella
parete Sud si conservano alcuni affreschi che sarebbero i più antichi della
chiesa e risalenti al XII – XIII secolo.
Nella
parte superiore di un pannello che raffigura un santo vescovo, del quale rimane
solo qualche traccia delle tunica, si intravedono ben tre formelle, dipinte
precedentemente, nelle quali si riconoscono la visione di Santo Stefano ( che
fu scambiata in passato per l’Annunciazione) e alcune scene del Giudizio
Universale in cui si notano le teste mozzate dei dannati immerse nelle fiamme.
Più
recenti sono i pannelli che rappresentano una vergine con il Bambino, San
Calogero, di cui rimane solo la scritta “(K)ALOKERUS”, San Pietro e Santa Chiara. Le ultime due
figure sono ormai quasi del tutto scomparse.
San Pietro
Nel
breve ambulacro che mette in comunicazione i due ambienti, a sinistra
dell’ingresso si trovano le tracce di un affresco che dovrebbe raffigurare un
vescovo. Secondo una tradizione locale sarebbe san Neofito, primo vescovo di
Lentini mentre secondo lo storico Messina si tratterebbe di Sant’Eligio.
La chiesa del Crocifisso è tra le più importanti del
folto gruppo ecclesiastico rupestre siciliano. Nonostante gli studi sullo
sviluppo planimetrico del complesso siano ancora lacunosi, un grande aiuto per
la comprensione piena del valore della grotta viene dall’eccezionale apparato
iconografico. Attraverso lo studio di esso, infatti, si può dedurre che
originariamente la grotta fosse dedicata alla Vergine (in tal modo si
spiegherebbe l’affresco cinquecentesco posto sull’altare di fronte
all’ingresso) e l’intera decorazione della parete nord, con pannelli legati al
culto mariano. È possibile, inoltre, che in tale grotta fosse localizzato il
culto di Santa Maria della Cava, cui era intitolata la prima cattedrale di
Lentini.
Riguardo la nuova denominazione di “grotta del
Crocifisso” è possibile che essa fosse legata alla rappresentazione di un
Crocifisso a sinistra dell’abside, probabilmente, di epoca secentesca.
Il cenobio del Crocifisso. I basso si nota l'ingresso della Chiesa rupestre
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5. L'Oratorio del Cristo Biondo
In una terrazza mediana della costa orientale di Cava
S. Mauro, ci sono i resti di un oratorio che faceva parte dell’antica città
medievale di Lentini. Un oratorio di una comunità di eremiti che vivevano in
eremitaggio. Un sito di probabile origine bizantina in cui si trova una grotta artificiale che al
suo interno contiene la “cappella del Cristo Biondo” .
La posizione orografica del sito è complicata dato che
la cavità si trova in un area dove sono presenti varie cavità che nei secoli
successivi furono utilizzate come ovili e molte di queste aree si trovano
all’interno di antichi terrazzamenti.
Le cavità sono allineate per alcune centinaia di metri
lungo la stessa terrazza e sono costituiti da grandi camerone con soffitto
piano come gran parte delle grotte lentinesi.
Dell’antica
chiesa si conserva una piccola stanza absidata
e non si sa se fosse preceduta da un atrio.
L’ambiente ha una facciata trapezoidale e un soffitto
a volta a botte ribassata.
L’abside, posta nella parte di levante, ha una pianta
tonda e un profilo alzato a sesto acuto.
L’oratorio era in gran parte affrescato. Nella conca
absidale era possibile, fino ad un paio d’anni fa, il volto di un Cristo
Pantocratore in giovane età e con i capelli biondi, da cui il nome
all’oratorio.
Non si sa se sia stata una raffigurazione voluta
oppure un cambiamento del calore utilizzato dovuto alle condizioni climatiche
che si sono susseguite nei secoli.
Si tratterebbe di una delle poche raffigurazioni
rupestri altomedievali, forse unica al mondo, il cui il Cristo sia raffigurato
con i capelli biondi.
Sono presenti parti di un angelo e varie lettere a
caratteri gotici.
Nella parte sinistra del vano si trovano ben quattro
strati sovrapposti di dipinti bizantini, post-arabi, i cui soggetti non si
distinguono, affreschi simili si ritrovano nelle pareti laterali della saletta
interna.
Probabilmente risalirebbe al XIII secolo per gli
elementi architettonici e per lo stile degli affreschi dell’abside o conca
absidale.
Vano esistente presenta un dimensione di 3,00 m con
una profondità di 3,75 metri. L’abside presenta una larghezza di 2,25 ed una
profondità di 1,45 metri.
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6. Chiesa di San Giuliano
Si
tratta di un antico quartiere, posto alle falde orientali, del Colle Tirone,
costituito da un gruppo
di case rupestri che facevano capo alla Chiesa di San
Giuliano dello Spedaliere. Grotte scavate
sulla parete verticale e rocciosa di
Cava Ruccia.
Una grotta che era legata alla storia dei Santi
Alfio, Filadelfo e Cirino.
L’ipogeo
era probabilmente una tomba dell’antica Lentini pre-greca, che nell’età
medievale
diventò l’abside di una chiesa costruita proprio davanti alla grotta.
La
chiesa rupestre di San Giuliano non appare elencata nelle decime ecclesiastiche
del 1308 -
1310.
Il
terremoto del 1693 fece crollare la parte muraria e la chiesa fu ricostruita
anche se di
dimensioni minori.
L’area
dove venne costruita la chiesa, secondo la tradizione popolare, era una zona
cimiteriale
nella quale vennero sepolti molti cristiani martirizzati.
La
chiesa è dedicata a San Giuliano lo Spedaliere, cioè il protettore dei
viandanti e degli
albergatori e forse legata ad un vicino hospitalia e ricovero
dei pellegrini.
Fino
al secondo dopoguerra la chiesa era aperta alle donne che ne curavano
personalmente il
decoro.
Nell’altare
ligneo, che occupava la parete frontale, era posta una tela della Vergine
e nelle due
nicchie laterali si
trovavano due bauletti con delle borchie che contenevano delle ossa umane.
P5robabilmente delle reliquie forse legate ai martiri sepolti nell’area della
chiesa.
La
chiesa era chiusa al culto e veniva aperta in occasione della festa di San
Giuliano con relativa
celebrazione.
Durante
i festeggiamenti del Corpus Domini della parrocchia di San Luca, la chiesa di
San
Giuliano era una delle tappe della processione. La facciata della grotta
veniva addobbata con
fiori e luminarie e vie d’accesso adornate con “nzareddi”
cioè strisce di carta legate a un filo
appeso ai muri.
La
chiesa è costituita da un vano rettangolare, aperto a NE, con pareti laterali a
profilo
leggermente tondeggiante e soffitto piano. Un altare ligneo è (era)
collocato in fondo in asse con
l'ingresso, sormontato da una edicola scavata
nella roccia che accoglieva una tela raffigurante la
Vergine. L'altare
originario invece è collocato in una nicchia absidale scavata nella parete
destra, a cui corrisponde, quasi in asse nella parete opposta, un nicchione che
sembra avere la
funzione di ampliare la zona liturgica secondo l'asse
dell'altare originario.
Lo scavo è ottenuto nella massa rocciosa ma l’ingresso
è rifasciato da un portalino in opera
muraria. Sulle pareti, oggi spoglie di
intonaci, non si hanno indizi di dipinti.
Dimensioni: Sala - larghezza media: mt
4,30; profondità: mt 9.60; altezza: mt 3.20. incavi
laterali – larghezza: mt
2.20; profondità: mt 0.80.
La chiesa, scavata in un banco calcarenitico piuttosto
dissestato e non uniforme è stato
ultimamente oggetto di opere di
consolidamento.
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8. L'Oratorio di Santa Lucia
L’Oratorio
si trova sul versante Ovest di Colle Tirone scavato in una bassa parete
calcarenitica.
Le
fonti sull’Oratorio sono quasi nulle. Ci sono dei resti murari forse legato ad
un convento delle Clarisse che si trovava sul colle nella prima metà del XIV
secolo e di cui si ha testimonianza in alcuni documenti.
Non
si conosce il titolo e il nome di Santa Lucia è legato all’unico affresco,
identificabile perché ben conservato, presente nell’Oratorio.
L’impianto
è costituito da un solo vano, dalla pianta trapezia, con volta piana.
Nella
parete di Nord-Est si trovano un abside
rialzata e due teche della stessa morfologia ai lati. Teche che presentano una
pianta semicircolare e un profilo ogivale con spallette oblique. Nella fiancata
destra si notano i resti di un sedile e nel pavimento è scavata una lunga
trincea a sezione rettangolare forse pertinente ad una doppia sepoltura.
All’esterno
si trovano i resti di una piccola scala, ricavata nella roccia, che conduceva
al piano superiore.
La
grotta era decorata con pitture bizantine.
Nell’abside
si ha una figura di Cristo Pantocratore, nella teca di
destra l’immagine di S. Lucia da cui il nome, mentre è del tutto sparita la
pittura della simmetrica teca di sinistra. Nella fiancata destra sono dipinti
un anonimo Santo Vescovo mitrato con pallio e pastorale, una Madonna di tipo
Odigitria, San Nicola, quindi un Santo a cavallo (S. Giorgio?).
Gli affreschi, per le loro caratteristiche, possono
essere riferiti alla fine del XIII secolo o alla fine metà del successivo ed a
questa età bene si accomodano anche gli elementi architettonici.
Può anche essere che questo sia stato l’oratorio del
Convento di Clarisse, fondato nella zona nei primi decenni del XIV secolo.
Dimensioni: Sala – larghezza media: mt 4.90; profondità
media: mt 5.15; altezza: mt 3.15.
Abside – larghezza: mt 1.70; profondità: mt 0.90
Particolare dell’affresco Cristo Pantocratore
L’affresco di Santa Lucia raffigura la santa in abiti
sontuosi insieme ad una persona in
ginocchio, posto alla sua sinistra. La persona in ginocchio potrebbe essere il
committente dell’opera
Lapide sepolcrale dell'ex convento delle Clarisse
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8. La Chiesa Rupestre di Santa Margherita
Posta
ad oriente di Lentini, nella Valle Falconello e in una bassa parete calcarea
dell’omonima cava, probabilmente faceva parte di un complesso monastico
carmelitano.
Una
cava che era la vasta area cimiteriale della vicina Leontinoi. Una grotta con
fini cultuali che sono attestati nei primi anni del Trecento.
Nelle
decime relative agli anni 1308 – 1310 per Lentini sono riportare le chiese di:
Santa
Maria La Cava, San Teodoro, San Tommaso, San Nicolò del Castello Nuovo, San
Giorgio, Santa Venera, San Pietro de Cosentini, San Domenico, Santi Biagio e
Lucia, Santa Lucia, Santi Tre Fratelli, Santa Maria d’Anglono, Sant’Antonio,
Santa Margherita, Sant’Ippolito e Andrea, il Monastero Cistercense di Santa
Maria di Roccadia, la comunità della Chiesa della Santa Croce di Messina e i
presbiteri greci Ruggero, Riccardo, Bartolomeo e Nicolò.
(L’indicazione
del Castello Nuovo per la Chiesa di san
Nicolò, fa riferimento alla posizione della chiesa presso l’omonimo castello
cos’ come quella relativa a San Pietro de Cosentini nel quartiere dove abita
l’omonima comunità).
La
chiesa si sviluppa secondo un piano architettonico ben definito che prevedeva
una voluta differenziazione degli spazi liturgici in cui si evidenziava la zona
di pertinenza del clero, divisa da una iconostasi, rispetto a quella fruita dai
fedeli. Il soffitto è piano e nella parete di fondo del presbiterio quasi
quadrato si apre una piccola abside semicircolare a sesto acuto affiancata da
una posteriore absidiola anch’essa a sesto acuto.
A
sinistra della chiesa si apre un piccolo ambiente a pianta poligonale in cui si
conservano ancora tracce di tombe ad arcosolio, configurandosi, necessariamente,
come un sepolcreto ipogeico probabilmente antecedente alla chiesa rupestre che,
in un secondo momento, lo ha inglobato.
La
zona su cui insiste la grotta di Santa Margherita corrisponde ad una vasta area
ad uso cimiteriale dipendente dall’antico insediamento di Leontinoi. Nel tardo medioevo la cava, però,
posta ad una certa distanza dall’agglomerato urbano leontinese, cominciò ad
ospitare insediamenti monastici di tipo occidentale: Carmelitani, Francescani
Osservanti e quindi Eremiti Agostiniani.
La
“ecclesia S. Margarite” compare nelle decime del 1308-1310 mentre nel XVII
secolo è già in stato di abbandono.
Nel
XVII secolo l’edificio cultuale era in completo abbandono.
La
grotta ha una sua configurazione molto interessante per la presenza di un
abside a sesto acuto (piuttosto accentuato), per la razionale distribuzione degli spazi
interni e per la complessa decorazione
pittorica.
L’architettura
della chiesa distingue gli spazi liturgici da quelli per i fedeli mediante
un’iconostasi. Presenta un soffitto piano e nella parete del presbiterio sono
presenti due piccole absidi semicircolari affiancate, di cui quella più grande
è a profilo ogivale con altare a mensa, mentre
sulla sinistra è presente un piccolo ambiente a pianta poligonale che
conserva segni di tombe. Si tratta di
tre arcosoli coevi ad alcune tombe a
fossa che si possono ancora osservare sul pianoro roccioso soprastante la
chiesa. La presenza di queste tracce
tombali testimonierebbe l’utilizzo sepolcrale dell’ipogeo che fu
successivamente inglobato nella chiesa.
La
decorazione pittorica, forse una delle più antiche del territorio di Lentini,
furono rovinati a causa di alcuni
tentativi d’intonacare tutta la grotta operata da qualche imbecille.
Un
ciclo pittorico molto interessante, ricco che doveva fare parte di un progetto
pittorico che aveva lo scopo di scandire gli spazi delle pareti ad uso
cultuale.
Gli
affreschi costituiscono un complesso ciclo iconografico con una teoria di Santi
nei pannelli laterali dell’aula per i fedeli a cui si contrappone una “Deèsis”
nella conca absidale.
Sulla
parete frontale si riconoscono, ancora in discreto stato, almeno dodici pannelli.
Nella
parte superiore, sopra l’altare sono cinque medaglioni che raffigurano i
quattro Evangelisti e l’Agnus Dei, sovrapposto all’altare cin cui è raffigurata
una Deesis.
Negli
angoli superiori è l’Annunciazione, con l’angelo Gabriele nel lato sinistro e
la Vergine in quello destro. Degli affreschi dei pannelli inferiori rimane solo
qualche traccia ad eccezione di un San Gregorio dentro l’absidiola accanto
all’altare.
Gli affreschi dell'abside
Sulle
pareti laterali si conservavano, in discreto stato, almeno sette pannelli per
lato, raffiguranti alcuni santi non meglio identificati e gli affreschi
raffiguranti Santa Lucia, Santa Margherita, una Annunciazione, San Pietro, San
Giacomo e San paolo.
Nel
vano sepolcrale a sinistra è la Vergine assisa in trono e San Nicola con le tre
fanciulle.
Pannelli
databili fra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Furono probabilmente il
primo esempio di unione fra la cultura
greco-bizantina e quella normanna.
La
chiesa è una cappella di rito ortodosso dell’XI – XII secolo.
I
tratti stilistici delle figure trovano confronti con i cicli figurativi
normanni di Monreale, Palermo e Cefalù.
Le
maestranze che operano nella chiesa erano probabilmente bizantine ed il
linguaggio è quello della cultura di Costantinopoli.
A
conferma di questa tesi sono l’epigrafi in greco che indicano i nomi dei santi.
Le
didascalie dimostrerebbero come il territorio di Lentini fosse tra quelli meno
arabizzati della Val di Noto. Molti appezzamenti di terreno appartenevano al
Monastero greco del SS Salvatore di Messina.
La chiesa di Santa Margherita è di particolare interesse sia per la
spazialità definita e perfettamente progettata sia per il complesso programma
iconografico. La particolare forma dell’abside, a sesto acuto piuttosto
rigonfio, si ritrova nella grotta del Crocifisso di Lentini e in quella di
Santa Lucia sul Tirone e permetterebbe di assegnare la realizzazione della
grotta ad un gruppo di operai legati alle maestranze normanne e, quindi,
aggiornati sulle nuove esperienze architettoniche.
Accanto a queste particolarità, la razionale definizione spaziale rimanda
ad esperienze poco comuni in Sicilia ma che erano comparse già nella chiesa di
Santalania.
La complessa decorazione pittorica rende la chiesa di Santa Margherita una
sorta di unicum nel panorama rupestre isolano e sembra assolutamente omogenea
con la particolare cura notata per la distribuzione spaziale. Gli affreschi,
nonostante siano lacunosi e guasti, sono gli esempi più antichi di cui si abbia
notizia nell’isola (essendo databili tra la fine dell’XI e linizio del XII
secolo) e sembrano veramente appartenere ad un periodo di voluta ripresa del
linguaggio autoctono di origine greco-bizantino mediato dalle novità
architettoniche e spaziali di importazione normanna. Tale sincretismo culturale
è denunciato anche dalla presenza delle didascalie in greco e dall’iconostasi
che contribuiva a creare uno spazio assolutamente congruo con la religiosità
ortodossa tipica dell’isola nell’XI secolo.
Un
monumento del periodo normanno-svevo da valorizzare.
adibita a deposito ??????????
??????????????????????
San Gregorio
San Nicola e le tre fanciulle
Valle Santa Margherita
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1 9. Grotta di Sant’Alania o Anania
(Lentini) (?)
La grotta è scavata in un basso costone di roccia
dell’omonimo colle, nelle immediate vicinanze di un’antica area cimiteriale.
Le fonti ? Precarie…. Ho cercato nella mappa il colle
Alania… .. non trovato…
Su internet la grotta è citata con pochissime frasi ma
non viene indicata l’ubicazione… strano modo di fare cultura…..
Le uniche notizie riguardano la descrizione della chiesa rupestre.
La chiesa, posta nelle immediate vicinanze di un
casale rupestre che si sviluppa in una piccola cava, ha certamente origini alto
medioevali, come risulterebbe dalla datazione di una serie di tombe poste nelle
immediate vicinanze di essa e legate ad un’altra struttura ecclesiastica
semipogeica.
Sono poche e frammentarie le notizie storiche e
documentarie, certamente il toponimo della grotta riprende, in maniera
alterata, il nome del santo Anania, cui era dedicata la chiesa rupestre, così
come propone, ma non è chiaro a quale casale, tra quelli documentati dalle
fonti diplomatiche esso corrisponda
La chiesa rupestre di Santalania, per il rigore
formale che la caratterizza (principalmente nella definizione della
spazialità), e per la presenza di elementi caratteristici di una cultura
religiosa orientale (iconostasi e didascalie in greco attorno ai santi),
rappresenta una testimonianza importante della presenza di comunità monastiche
e laiche assolutamente greche in territorio siciliano.
La datazione, proposta proprio dall’estrema attenzione
al dato geometrico nella gestione degli spazi, oscilla tra la fine dell’VIII e
l’inizio del IX secolo.
“La chiesa, alla quale si
accede da un ingresso trapezoidale sormontato da una lunetta emisferica, è
scavata in un basso gradone di roccia e presenta una pianta assolutamente
regolare. Essa è composta da un vano quadrato coperto da un tetto piano che,
dopo una iconostasi triloba (malamente conservata), si apre su un presbiterio
rialzato di tre gradini a pianta leggermente trapezoidale voltato che si
conclude con una abside semicircolare.
Le pareti dell’aula sono ritmate da una teoria di tre
archi a ferro di cavallo originariamente retti da pilastri lisci (di cui rimane
soltanto la parte superiore), mentre tracce di una cornice che correva all’altezza
del catino absidale, si ritrovano nell’area presbiteriale.
Dell’originario apparato iconografico, che si
articolava in pannelli posti nello spazio definito da ogni arcata parietale,
rimangono purtroppo solo tracce mutile. Nell’ultima arcata della parete
sinistra si conserva parzialmente il volto con il nimbo giallo e la parte
superiore dell’ala sinistra dell’Arcangelo Michele (identificabile anche dalla
scritta
[A]ΡΧAΝΓ[Ε]Λ[ΟΣ ΜΙΧAΙΛ);
nell’opposta arcata destra, invece, si notano
scarsi frammenti di due santi affiancati di cui solo uno è riconoscibile come
Sant’Elia grazie alla scritta
AΓ[ΙΟΣ] ΗΛ [ΙA?].
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10- La Grotta Luogo di Culto
Perché
l’uomo medievale occupò uno spazio rupestre per creare un luogo di culto ?
Le
motivazione sono tante e tutte collegate tra di loro.
Le
condizioni geomorfologiche del sito potevano offrire l’opportunità di ricavare
nella roccia, anche mediante ampliamenti, un ambiente abitabile in alternativa
ad un edificio in muratura con risparmio
di mezzi, materiali e mano d’opera.
Questo
aspetto fu senza dubbio importante nella creazione di un sito rupestre ma penso
che ancora più importante potrebbe essere un motivo di natura cultuale. Un
motivo cultuale legato alla sacralità della grotta, dell’antro naturale sin dal periodo arcaico.
La
caverna è associata all’utero materno, ai riti iniziatici, al conflitto perenne
tra luce e tenebre cioè tra il bene ed il male.
Era
quindi un luogo di nascita di divinità e quindi destinata a santuario, ad uso
cultuale.
Eppure
la chiesa all’origine non fu molto concorde con questo significato simbolico
dato alla caverna. Un atteggiamento che fu di diffidenza e anche di aperta e
critica avversione.
Tertulliano
e successivamente anche Firmico Materno, riconoscevano nella caverna il luogo o
il regno del dio Mitra e ne esaltavano quindi l’aspetto repulsivo. (“luogo
delle tenebre” tenebre oscuro
squallore).
Fu
con gli scritti di Gregorio di Nissa (335 – 395) che la grotta lasciò il suo aspetto negativo per
diventare un elemento positivo.
Gregorio
si rifaceva alla filosofia platonica in cui la caverna veniva considerata come metafora
dell’oscurità nella quale vive l’uomo vincolato dalla sua coscienza sensoriale
in contrapposizione alla luce emblema della visione intellettuale, conoscitiva.
Quindi
la caverna si trovava nel gradino più basso di un processo di conoscenza
dell’uomo passando dal peso della propria corporeità verso la spiritualità.
La
nuova visione della grotta non era solo collegata ad un processo filosofico
basato sul processo conoscitivo dell’uomo ma anche allo studio religioso ed in
particolare all’evento dell’incarnazione di Cristo.
In
questa nuova visione entrano in gioco dei sermoni come quello “In diem natalem
Christi”, dove Gregorio accolse la tradizione secondo la quale Cristo era nato
in una grotta.
Un
ambiente oscuro, oppresso dal peccato, che grazie alla luce ed alla parola di
Dio, è capace di accogliere il bene. La grotta assumeva il significato di
vittoria del bene sul male.
I
vangeli utilizzavano il termine mangiatoia e non citavano in maniera ben
precisa la parola grotta. Soltanto a partire dalla metà del II secolo, con
Giustino e Origene, venne usata per la prima volta la parola grotta. Termine
che venne ripetuto nell’apocrifo del protovangelo di Giacomo e nel vangelo
dello Pseduo Matteo che fecero riferimenti ben precisi alla grotta nel narrare
l’infanzia di Gesù. D’altra parte proprio nel II secolo si ebbe una diminuzione
del culto legato al dio Mitra.
Nell’iconografia
cristiana la grotta è presente sin dalle prime raffigurazioni. Nel coperchio
del reliquario conservato nei Musei Vaticani, nel tesoro della Sancta Santorum,
la grotta nel pannello della Natività è rappresentata da una sorta di ombrello
che fa da sfondo alla Sacra Famiglia.
Un
reliquario proveniente dalla Terrasanta e databile al VI secolo.
Scena
della Natività dipinta insieme al Battesimo nella parte inferiore della
tavoletta e sotto all’Annunciazione e
all’Ascensione. Questa posizione sembra preludere al martirio della
Crocifissione, al quale è riservato l’intero spazio mediano. Andrebbe quindi
interpretata in stretto rapporto con la croce del Golgotha che è raffigurata
sul recto. La rappresentazione della grotta prefigurerebbe il sepolcro scavato
nella roccia e sigillato da un masso fatto rotolare al suo ingresso (Marco).
Un origine
siro-palestinese del reliquario proveniente dalla Palestina come l’ampolla del
tesoro di Monza.
Ritornando
alla grotta la sua visione nella tavoletta è accennata da un profilo a
mezzaluna che chiude in basso la raffigurazione del Bambino con l’asino ed il
bue.
È presente
un elemento figurativo che richiamerebbe ai pellegrinaggi in Terrasanta. È un
edicola cilindrica che sarebbe un preciso riferimento alla basilica che
Costantino fece costruire nella città di Betlemme in corrispondenza della
grotta associata alla nascita di Cristo.
Il santuario
di Betlemme non era l’unico edificio della Palestina costruito in
corrispondenza di cavità rocciose che la tradizione legava a Cristo. Fra gli
altri luoghi bisogna ricordare la Caverna di Odollam, riconosciuta come il
rifugio di David per sfuggire alle persecuzioni di Saul; la grotta di Abramo a
Hebron dove si credeva che fosse sepolto il patriarca con la sua famiglia, ecc.
e gli ambienti rupestri nel Getsemani, nel Golgotha, il Santo Sepolcro, il
monte Eleona associato all’Ascensione.
Il valore
sacrale della roccia n prossimità dei luoghi sacri in Palestina fu esaltata
anche dai pellegrini che si dai primi secoli dell’età cristiana visitarono i
santuari e ne riportarono le sensazioni, le immagini e le descrizioni nei loro
diari di viaggi.
Questa
sacralità venne importata in occidente con la costruzione di santuari e luoghi
di culto che grazie ad una caratteristica simbolica, o attraverso una
somiglianza architettonica, topografica, richiamassero posizioni e funzioni degli edifici cristiani della città palestinese.
San
Marciano, protovescovo di Siracusa, secondo un’antica tradizione visse per un
certo periodo di tempo in una cavità del banco roccioso della città, forse in
coincidenza dell’area delle catacombe di San Giovanni. Nel componimento
agiografico l’ambiente rupestre venne assimilato alla grotta di Betlemme e il
paragone contribuisce ad allontanare dalla dimora del santo l’immagine negativa
dell’antro oscuro, sede del demonio.
Molti
di questi eremiti erano laici e scelsero di vivere in questi luoghi sfruttando
delle cavità preesistenti che furono ampliate. Una vita condotta in
eremitaggio, in preghiera e nel silenzio delle valli che offrivano quanto
bastava per la loro sopravvivenza: acqua,
erbe selvatiche, e qualche
piccola coltivazione. Probabilmente i grandi conventi o cenobi erano quelli del
Crocifisso e di San Giuseppe il Giusto, dei monaci francescani, a cui gli
eremiti probabilmente facevano riferimento.
Una
pagina di storia che ancora presenta degli aspetti lacunosi in un territorio
che vide fiorire tante chiese rupestri ed è logico chiedersi il perché della
loro presenza così numerosa.
Visitai
molte di queste cavità negli anni 1975 – 1980. Feci delle foto e anche i rilievi
con lo sviluppo delle relative planimetrie. Foto e planimetrie che purtroppo
sono andate perdute a causa del guasto di un computer. Ho cercato in internet qualche
planimetria ma con scarsi risultati
(solo due planimetrie in un sito dei Beni Culturali della Regione
Sicilia). Numerose sono invece le pubblicazioni tutte a pagamento e con prezzi
molto alti. Strano modo di fare cultura e dare una precisa conoscenza del territorio.
Penso
che la cultura non dovrebbe avere un prezzo… certo gli editori hanno delle
spese, è inutile negarlo, ma bisognerebbe dare la possibilità al lettore di
scegliere tra il libro, magari in forma digitale (a prezzi accessibili), e
quello cartaceo.
Il
libro cartaceo ha un suo fascino insuperabile che s’allontana dal freddo
scorrere di pagine su un computer spesso in tilt, con connessioni non sempre
ottime e immagini non chiare.
Con
Internet si perde spesso il piacere della lettura perché s’affievolisce, con il
passare dei minuti, il coinvolgimento personale
che è l’elemento fondamentale
della conoscenza.
Sfogliare
un libro cartaceo, sentire quasi il profumo delle sue pagine, vedere le sue immagini,
dà delle sensazioni che non sono facili da descrivere.
Ricordo
nelle medie ed anche al liceo quando i libri addirittura si foderavano per
conservare la loro integrità e riporli nella biblioteca più o meno vasta. Lo scorrere
del dito sui libri riposti in ordine, secondo le materie e in un continuo
alternarsi di colori, dava il vero senso della ricerca. (Molte delle mie
ricerche sono andate perdute perché digitalizzate. Diverso destino se avessero
avuto un supporto cartaceo). Altri tempi… ormai lontani… perché il denaro ha
cancellato tutto…forse anche il piacere della lettura, della ricerca, della
conoscenza….
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Diversi
anni fa alcuni turisti visitarono alcune grotte. In una di esse c’era questo
cagnolino che sembrava a guardia di queste antiche memorie espressione di
monaci che credevano in qualcosa di grande lontano dalla materialità umana. Un piccolo
cane abbandonato in quei luoghi che sembra guardare meravigliato quei visitatori
che lo stanno riprendendo e in attesa forse di una carezza, di un piccolo gesto
d’affetto…..
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Altre Chiese Rupestri:
Castellamare
del Golfo (Tp)
Escursione
in barca - La Chiesa Rupestre di Santa
Margherita
(18/06/2019)
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