Carlentini e Lentini .... Le numerose Chiese Rupestri...Un patrimonio culturale di grandissimo valore...
















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Indice:
1.      San Giuseppe Il Giusto;
2.      Grotta di San Mauro;
3.      Grotta della Solitudine o di Sant’Andrea;
4.      Crotta del Crocifisso;
5.      Oratorio del Cristo Biondo;
6.      Chiesa di San Giuliano;
7.      Oratorio di Santa Lucia;
8.      Chiesa Rupestre di Santa Margherita;
9.      Grotta di Sant’Analia (?)
10.  La Grotta, luogo di culto
La Ricerca - Il Cane abbandonato....

Altre  Chiese Rupestri:
 Castellamare del Golfo (Tp)
Escursione in barca -  La Chiesa Rupestre di Santa Margherita

(18/06/2019)

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1.      Lentini – Chiesa di San Giuseppe Giusto




La chiesa si trova presso il Colle “Ciricò” da quale s’ammira un vasto panorama che spazia da Lentini al Biviere, a Nord verso l’Etna con lo scorcio di Catania, ad Est su una striscia del mare Jonio e verso Sud le pendici di Carlentini.







La chiesa medievale del XIV secolo faceva parte di un complesso monumentale di proprietà dei francescani che possedevano nella zona dei feudi.
Una struttura molto robusta che riuscì a superare il terremoto catastrofico del 1693 non riportando danni importanti.
Presenta una pianta quadra con una facciata di conci arenari che è sostenuta da due robusti pilastri laterali. Al centro della facciata il portale d’ingresso e una grande finestra rotonda. Adiacente alla chiesa c’è un edificio di servizio con una finestra rettangolare che è contemporaneo alla facciata della chiesa.
All’interno c’erano degli affreschi di gran valore che dovevano avere la loro importanza e bellezza e che a causa dell’abbandono e degli atti di vandalismo sono ormai in completa rovina e in molti tratti completamente illeggibili.
Era consacrata al “Padre Giusto e Saggio di Cristo” (“San Giuseppe”)  e, secondo una citazione popolare, la sua fondazione risalirebbe ai Cavalieri Templari. Nel territorio i Templari erano ben presenti con vasti feudi che giungevano sino alla costa ad est e a Scordia ad Ovest. Una presenza molto importante perché presidiavano i grandi ed importanti cammini francigeni dando anche assistenza ai pellegrini negli “hospitalia”.
Un struttura che doveva essere valorizzata ed invece è stata completamente abbandonata per finire sotto l’azione di atti vandalici perpetrati da chi è alla ricerca di reperti…. gli “amanti dell’arte”…
Il tetto è crollato da tempo mentre la volta ha resistito, almeno fino ad un paio d’anni fa.
L’interno della piccola chiesa, di cui rimane qualche traccia residua del pavimento, presenta i resti di un altare in pietra  sormontato da un bellissimo affresco semicircolare. Il tetto a botte  era arricchito da affreschi come le pareti laterali.
Gli affreschi risalgono a diversi periodi. Infatti in alcune parti è possibile vedere la sovrapposizione di due affreschi, uno databile intorno all’origine della chiesa, tra il ‘400/’500, e l’altro intorno al ‘600/’700.
I resti di affreschi più consistenti si possono notare vicino all’altare dove si trova anche un citazione in latino, la scritta “iustitia”  e due angeli che suonano degli strumenti musicali.
L’affresco principale raffigura la Madonna con il Bambino e San Giuseppe. Figure che sono circondate da santi ed angeli musicanti.


Tempo fa la chiesa era stata riportata alla luce, liberandola dalla spazzatura e dalle sterpaglie, grazie all’intervento del Sig, Guglielmo Tocco.
Un intervento effettuato nel lontano 24 ottobre 2012…”
”In due giorni, con l’aiuto di volontari e dei privati, che si sono sobbarcati quasi un migliaio di Euro di spese, tra autocarri e operai, è stato possibile restituire il decoro ad uno dei più antichi siti che ricadono sul territorio di Carlentini a pochi passi da Lentini.

Resta ancora del lavoro da completare, ma contiamo di farlo presto”-


















Progetto di Valorizzazione…..

Progetto


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2.  Grotta  San Mauro




Prima di giungere alla Grotta di San Mauro, sulla sinistra della strada si trova una parte dell’area archeologica dell’antica colonia greca di Leontinoi.

Sito archeologico che sarà oggetto di una prossima ricerca di studio.



Leontinoi – Le Fortificazioni


La grotta è posta sul versante sud-orientale di Colle San Mauro, vicino alla città greca di Leontinoi, e faceva parte di un monastero costituito da tre spazi allineati, posti sullo stesso livello, e comunicanti tra di loro grazie a delle aperture di forma trapezia.
Ambienti che avevano una diversa funzione, secondo gli schemi di un monastero, e quello culturale era posto a sinistra. L’ambiente centrale doveva essere un luogo di riunione mentre il terzo ambiente, un grandissimo vano dalla pianta complessa, presentava le cellette dei monaci di cui restano evidenti le tracce dei setti divisori nel soffitto. Cellette tutte di uguali dimensioni e che finivano con dei nicchioni lunettati.
La chiesa, a pianta quadra, presentava un abside tonda con un altare litico nella parete di Sud-Ovest e con un soffitto accuratamente scavato a forma di volta di botte.
Nel primo tratto della parete di sinistra è ricavato un piccolo vano a pianta rettangolare e coperto da una volta a botte. Manca la chiusura perimetrale esterna.
Sono visibili un solo strato di affreschi che risalgono alla seconda metà del XVI secolo ed interessano solo la parte absidata. Nella stessa conca absidata era raffigurata una scena della Natività  con le figure inginocchiate di San Giuseppe e di Maria. La scena presentava un contorno di angeli cantori e musicanti. Ai lati dell’abside vi erano le immagini die due santi racchiusi da portali con colonnine e trabeazioni dipinte.
La nascita del complesso monastico sarebbe da collocare tra il XV e il XVI secolo,
Dimensioni: Sala - larghezza media: mt 7.50; profondità media: mt 7.00; altezza massima: attorno a mt 6.00.
Abside – larghezza: mt 3.20; profondità: mt 1.15; Altare – larghezza: cm 160
































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3. Grotta della Solitudine o di Sant’Andrea



Dall’area Archeologica all’imbocco del sentiero per la Grotta della Solitudine:
 350 metri circa – 7 m  - pianeggiante



Le fonti su questa grotta non sono numerose. Si tratta di un gruppo di escavazioni che sono note nella tradizione popolare con il nome di Grotte della Solitudine proprio per la loro utilizzazione eremitica.
 Questa cavità è anche nota con il termine di Grotta di Sant’Andrea ed è scavata nel banco friabile di calcarenite giallastra nell’altro versante della Cava di San Mauro.
La sua struttura, almeno fino ad un paio d’anni fa, era perfettamente integra.
È costituita da ” profonda navata rettangolare coperta a forma di volta a botte ed absidata nel lato di est-sud-est. L’abside è tonda ed ai suoi lati sono ricavati due ripiani per suppellettile rituale. Un sedile litico segue tutta la fiancata destra ma non ha corrispondenza in quella opposta. La tamponatura esterna, ove si aprono l’ingresso ed una sottostante finestrella di luce, è in muratura”.
Gli affreschi si trovano solo nella parte absidata e nella conca absidale è raffigurata una scena della “Deposizione” risalente probabilmente al XIV secolo.

Dimensioni della Navata:  lunghezza circa 10 metri; larghezza, 5 metri; altezza massima, 6,50 metri.
Dimensioni abside: larghezza, 2,40 metri; profondità, 1,00 metro.

Grotta della Solitudine – Planimetria



Nel marzo 2019 la grotta ha subito degli atti vandalici
Nella notte tra il 24 ed il 25 marzo la Grotta, posta all’interno di un agrumeto, fu letteralmente saccheggiata.
La scoperta dell’azione vandalica  da parte dei dirigenti della Pro Loco di Carlentini.
 I “tombaroli” scavarono all’interno della grotta alla ricerca di reperti archeologici e trovando, probabilmente, solo dei cocci di materiale archeologico.
Il sogno di questi mafiosi in erba era quello di trovare una probabile camera sepolcrale o delle antiche monete e quindi scavarono danneggiando la cavità e le superfici principali dell’area.

Foto tratte dal sito:
















Grotta della Solitudine – Maria di Cleofa




Grotta della Solitudine – Maria di Magdala

Grotta della Solitudine – San Giovanni

Grotta della Solitudine – La Madonna

Grotta della Solitudine – Gli Angeli oranti

Grotta della Solitudine – Gli Angeli





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4. Grotta  del  Crocifisso






La grotta del Crocifisso si trova nella Valle Ruccia , sul versante orientale del colle di Metapiccola.
L’impianto della grotta è siro-palestinese cioè costituita da più stanze unite e scavate nella roccia viva, un genere di costruzione del periodo e che si preferiva perché manteneva costante la temperatura, intorno ai 15 gradi anche nel periodo estivo.
Le fonti storiche sulla Chiesa rupestre non sono molte.
 L’unica testimonianza certa è il graffito posto sull’architrave del portale d’ingresso che reca la data “1764”.





Al 1764 si dovrebbe datare una sistemazione della grotta ad opera di  eremiti laici locali.
Nel XVI secolo  la grotta era adibita a sepolcreto grazie alla lettura del pavimento e del vano sottostante. In questo periodo furono effettuati dei forti lavori di ristrutturazione con l’apertura dei due varchi e con l’ampliamento del vano in profondità di fronte all’ingresso.
La grotta risulta composta da almeno due ambienti quadrati simmetrici, comunicanti attraverso un varco. Il vano di destra appare leggermente più ampio dell’altro e, per la presenza di un’abside scavata immediatamente a destra dell’ingresso ad Est, si configura coma la vera e propria chiesa. Il vano di sinistra, invece, che adesso ha un ingresso autonomo, probabilmente in origine una finestra, sembra frutto di una ricostruzione settecentesca che lo adibì a culto.

Ci sono dei documenti presso l’Archivio Storico Diocesano di Siracusa in merito  all’edificio di culto per i periodi pre e post terremoto del 1693 che provocò la distruzione in un gran numero di edifici di culto.
Un verbale in merito ad una visita pastorale eseguita l’8 marzo 1649 dal vescovo di Siracusa mons. Giovanni Antonio Capobianco. Il verbale citò un altare denominato “Santa Maria della Grutta”.
Lo stesso vescovo visitò l’edificio il 31 marzo 1679 e citò diversi altari: l’altare maggiore dedicato al Santissimo Crocifisso,  quello della  Madonna della Grutta  e un terzo altare detto della Beata Vergine dell’Uccello e delle Grazie.

Il 18 maggio 1682 il nuovo vescovo Francesco Fortezza  visitò  la Chiesa del Crocifisso forse legata alla conoscenza  degli edifici sacri della Diocesi.  Vennero citati tre altari ma scomparve il riferimento alla “Beata Vergine dell’Uccello” forse legato ad un   elemento iconografico. Un edificio di culto dove era presente una grande devozione Mariana.
 Dopo il tragico terremoto del 1693 ci fu la visita del nuovo vescovo Tommaso Marini. Una visita effettuata il 21 aprile 1725 con redazione del verbale di “sacra visita”.
Nell’edificio si svolgevano delle funzioni di culto come testimonia un’altro documento che citò la grande devozione per l’immagine del Crocifisso, all’interno della grotta, al tramonto del secolo XVII.
Il documento o verbale era un ordine trascritto su un registro della cancelleria episcopale in risposta ad una supplica del sacerdote Eustachio Menta, tesoriere della chiesa.
Nell’atto si citò esplicitamente la grande devozione e un quotidiano afflusso di devoti;

«populo tanto di cotesta città [di Lentini] quanto della città di Carlentini in adorare detta Santissima Immagine [del Santissimo Crocifisso]»,

tanto che il supplicante don Menta
«domanda la licenza di potersi esponere in detta [chiesa] il Santissimo Sacramento in ogni giorno di venerdì primo del mese e tre di maggio giorno delle Inventione della Santissima Croce […]».

La curia rispose accordando i permessi richiesti dalla supplica dando delle ulteriori disposizioni complementari:

«permetterete parimente di potersi esponere il Santissimo Sacramento in detta chiesa per tutto il giorno, con che però la suddetta expositione si facci con tutta quella veneratione e decenza che si conviene e con luminaria decente non meno di dodici lumi di cera e che si debbano osservare li decreti della Sacra Congregatione de’ Riti, e le costitutioni synodali, e che mentre sta esposto il Santissimo Sacramento, in chiesa non vi siano banchi né sedie et innanzi la porta si ponghi un panno per riverenza e soprattutto si debbano osservare l’ordinationi lasciate da Monsignor Nostro Illustrissimo [il vescovo] in discorso di visita. E tanto eseguirete per quest’anno solamente». 

Il documento porta la data del 31 marzo 1699 e fu sottoscritto dal vicario generale e dal cancelliere della Curia.
La celebrazione e l’esposizione del Santissimo Sacramento all’interno della Grotta del Crocifisso fu consentita anche per l’anno 1700.


In seguito a questi lavori effettuati nel XVI secolo, si attuò una sorta di ribaltamento dell’asse della chiesa con il posizionamento dell’altare di fronte all’ingresso e dedicato alla Vergine.
Circa la scoperta della grotta è necessario risalire fino a E. Bertaux che la considerò come l’unica dell’Isola- Studi ulteriori furono quelli di P. Orsi, S. Ciancio, G. Agnello e, infine, A. Messina.
Il visitatore J. Houel, alla fine del XVIII secolo, fu attratto dagli aspetti della Sicilia rupestre con le sue grotte che in quel momento erano considerate come residenze alternative  di ceti emarginati.
Nel territorio di Lentini/Carlentini sono presenti molti ambienti rupestri: la Chiesa di S. Mauro, l’Oratorio della Solitudine, la chiesa di Santa Lucia, la grotta di San Giuliano, la grotta di Santa Margherita. Queste sono alcune i dei siti.

Gli affreschi presenti nella grotta costituiscono il più ricco ciclo di affreschi della Sicilia e che ricoprono un arco di tempo databile tra il XII ed il XVII secolo.
Strano destino per questa grotta che fu ripetutamente oggetto di sistematici atti vandalici.
 Fino agli anni ‘50’ del Novecento ogni primo Venerdì di settembre la comunità si riuniva per celebrare la messa. Successivamente la grotta fu rifugio per circa vent’anni di pastori e di un frate cappuccino eremita. Oggi finalmente il restauro, anche se di alcuni affreschi… purtroppo molti sono andati irrimediabilmente perduti.
Gli atti vandalici perpetrati da piccoli mafiosi in erba hanno determinato crepe nei muri, alla ricerca di qualche fantomatica “trovatura” con danni irrimediabili agli affreschi che con l’abbandono, l’umidità hanno determinato la loro sparizione.






La chiesa presenta almeno cinque cicli di affreschi sovrapposti.
A destra dell’ingresso principe, nel piccolo abside, è l’affresco del Cristo Pantocratore assiso in trono tra due coppie di angeli.







Il Cristo indossa un tunica rossa e un mantello dall’ampio drappo, con la mano destra benedicente e con la sinistra regge il Vangelo. Un Cristo che dal punto di vista iconografico è vicino al Duomo di Cefalù anche per i particolari del mantello e la resa dei particolari del volto.
Segue poi un pannello con la Crocifissione di cui rimane solo un tratto del volto di Cristo e della Croce. Questo dipinto si potrebbe datare al XIII secolo e doveva essere uno dei più antichi della chiesa. Un affresco che probabilmente dava il nome al tempio sacro.


La parete Nord  presenta ormai purtroppo solo delle tracce di diversi dipinti sovrapposti di cui i più recenti databili al XVII secolo e raffiguranti la Madonna con il Bambino.











Un affresco che fu restaurato il 12 febbraio 2019 e detta “Madonna del Latte”. Un restauro finanziato dalla locale sezione dell’Archeoclub. L’affresco appartiene ad una fase pittorica di gusto tardo gotico, a cavallo tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo.
La Vergine è rappresentata a figura interna nel materno gesto di allattare il Bambino, espressione simbolica della sacra umanità di Maria, donna e madre di Gesù.
Accanto sono due pannelli, uno con un santo che non è stato possibile identificare e un altro che raffigura San Nicola.



Nel vano di fronte all’ingresso, nella parete ovest, era presenta un affresco dove era raffigurata una scena di “threnos” o compianto sul Cristo morto. Un affresco che fu staccato e portato nel Museo Archeologico di Lentini.  La raffigurazione presentava il Cristo con il volto appoggiato sul petto della Madonna, tra San Giovanni Evangelista, Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e le Myrophores e nello sfondo il Calvario con le Tre Croci. Lo stile popolare dell’affresco, che ricorda le pitture su tela,  fa proporre la sua collocazione temporale verso la fine del XVII secolo.







Nella parete di fronte all’altare si trova l’affresco della Vergine In Trono con il Bambino. Una Vergine dal volto giovanile e seduta su una sorta di sgabello. Indossa una veste di colore rosso e un mantello blu riccamente drappeggiato. Del Bambino non rimane che un esile traccia.









In fondo all’ambiente principale sul lato nord sono cinque pannelli rettangolari raffiguranti:
-          Un santo vescovo;
-          San Giovanni Battista;
-          San Leonardo;
-          La Vergine con il Bambino
-          Santa Elisabetta










Delle tre ultime figure mancano purtroppo le parti inferiori che furono distrutte per aprire il passaggio per il vano adiacente.

Il Santo Vescovo è rappresentato nell’atto benedicente. Ha il volto scarno e presenta una barba bianca. La veste è riccamente decorata con orbicoli. Sotto l’affresco s’intravedono, nella parte inferiore, delle tracce di affreschi più antichi.

San Giovanni Battista è dipinto su uno strato d’intonaco bianco e che copre, anche in questo caso, un affresco più antico. Il santo porta come abito una pelle d’animale che lascia scoperta la spalla sinistra ed il petto. Il volto magro ed emaciato che è incorniciato da capelli disordinati e da una folta barba.
A sinistra del volto è la scritta
S. IOH[ANNE]S
E a destra
BATISTA
mentre nel rotolo retto dalla mano sinistra si legge:
ECCE / AGNUS / DEI ECCE / QUI TOL / LIT PE /CATA MU / NDI

L’immagine di San Giovanni ricorda dal punto di vista iconografico uno schema molto usato in Sicilia che trova aspetti simili nella cripta di San Marciano a Siracusa



San Leonardo ha il volto con una folta barba bianca e nella mano stringe una catena, a destra del volto c’è la scritta
LEONARDUS

Della raffigurazione della Vergine con il Bambino si conserva solo il volto della Vergine con il nimbo giallo e quello del Bambino con il nimbo crucifero.
Santa Elisabetta ha un nimbo di  colore giallo e un velo rossastro, la  veste è di colore marrone con alcune ombreggiature. Le mani sono aperte in atteggiamento di preghiera. A sinistra e a destra del volto c’è la scritta:
S(AN)C(T)A  HELISABETH





Di fronte all’ingresso vi sono due grandi pannelli in cui sono raffigurati:
-          Cristo Viandante, con un portamento maestoso. Presenta il volto incorniciato dai capelli e da una lunga barba. Con la mano sinistra s’appoggia ad un pastorale mentre con la destra  regge il Vangelo. Il Cristo era stato identificato, in precedenza, con San Paolo ma la presenza del nimbo crucifero fece  cadere questa attribuzione.
-          L’altro personaggio è San Cristoforo.
 Il dipinto si dovrebbe collocare nel XVII secolo






San Cristoforo è  raffigurato nell’atto di attraversare il mare, in modo grossolano, con la testa molto più grande del resto della figura e del Cristo Bambino che porta sulla spalla.
Nella mano ha un rotolo in cui è scritto:

XP(IST)OFORI S(ANCTA)M / SPECIE(M) QUI/
CU(M)QUE TU/ ETUR  ILLO/ NA(M)QUE DIE /
NULLO LANG(UORE)

L’affresco, rispetto allá vicina figura del Cristo, è antecedente e dovrebbe collocarsi verso il XV secolo.





Nella parete Sud si conservano alcuni affreschi che sarebbero i più antichi della chiesa e risalenti al XII – XIII secolo.




Nella parte superiore di un pannello che raffigura un santo vescovo, del quale rimane solo qualche traccia delle tunica, si intravedono ben tre formelle, dipinte precedentemente, nelle quali si riconoscono la visione di Santo Stefano ( che fu scambiata in passato per l’Annunciazione) e alcune scene del Giudizio Universale in cui si notano le teste mozzate dei dannati immerse nelle fiamme.
Più recenti sono i pannelli che rappresentano una vergine con il Bambino, San Calogero, di cui rimane solo la scritta “(K)ALOKERUS”,  San Pietro e Santa Chiara. Le ultime due figure sono ormai quasi del tutto scomparse.



San Pietro

Nel breve ambulacro che mette in comunicazione i due ambienti, a sinistra dell’ingresso si trovano le tracce di un affresco che dovrebbe raffigurare un vescovo. Secondo una tradizione locale sarebbe san Neofito, primo vescovo di Lentini mentre secondo lo storico Messina si tratterebbe di Sant’Eligio.



La chiesa del Crocifisso è tra le più importanti del folto gruppo ecclesiastico rupestre siciliano. Nonostante gli studi sullo sviluppo planimetrico del complesso siano ancora lacunosi, un grande aiuto per la comprensione piena del valore della grotta viene dall’eccezionale apparato iconografico. Attraverso lo studio di esso, infatti, si può dedurre che originariamente la grotta fosse dedicata alla Vergine (in tal modo si spiegherebbe l’affresco cinquecentesco posto sull’altare di fronte all’ingresso) e l’intera decorazione della parete nord, con pannelli legati al culto mariano. È possibile, inoltre, che in tale grotta fosse localizzato il culto di Santa Maria della Cava, cui era intitolata la prima cattedrale di Lentini.
Riguardo la nuova denominazione di “grotta del Crocifisso” è possibile che essa fosse legata alla rappresentazione di un Crocifisso a sinistra dell’abside, probabilmente, di epoca secentesca.


Il cenobio del Crocifisso. I basso si nota l'ingresso della Chiesa rupestre

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5. L'Oratorio del Cristo Biondo



In una terrazza mediana della costa orientale di Cava S. Mauro, ci sono i resti di un oratorio che faceva parte dell’antica città medievale di Lentini. Un oratorio di una comunità di eremiti che vivevano in eremitaggio. Un sito di probabile origine bizantina  in cui si trova una grotta artificiale che al suo interno contiene la “cappella del Cristo Biondo” .

La posizione orografica del sito è complicata dato che la cavità si trova in un area dove sono presenti varie cavità che nei secoli successivi furono utilizzate come ovili e molte di queste aree si trovano all’interno di antichi terrazzamenti.
Le cavità sono allineate per alcune centinaia di metri lungo la stessa terrazza e sono costituiti da grandi camerone con soffitto piano come gran parte delle grotte lentinesi.
 Dell’antica chiesa si conserva una piccola stanza absidata  e non si sa se fosse preceduta da un atrio.
L’ambiente ha una facciata trapezoidale e un soffitto a volta a botte ribassata.
L’abside, posta nella parte di levante, ha una pianta tonda e un profilo alzato a sesto acuto.
L’oratorio era in gran parte affrescato. Nella conca absidale era possibile, fino ad un paio d’anni fa, il volto di un Cristo Pantocratore in giovane età e con i capelli biondi, da cui il nome all’oratorio.
Non si sa se sia stata una raffigurazione voluta oppure un cambiamento del calore utilizzato dovuto alle condizioni climatiche che si sono susseguite nei secoli.
Si tratterebbe di una delle poche raffigurazioni rupestri altomedievali, forse unica al mondo, il cui il Cristo sia raffigurato con i capelli biondi.
Sono presenti parti di un angelo e varie lettere a caratteri gotici.
Nella parte sinistra del vano si trovano ben quattro strati sovrapposti di dipinti bizantini, post-arabi, i cui soggetti non si distinguono, affreschi simili si ritrovano nelle pareti laterali della saletta interna.
Probabilmente risalirebbe al XIII secolo per gli elementi architettonici e per lo stile degli affreschi dell’abside o conca absidale.
Vano esistente presenta un dimensione di 3,00 m con una profondità di 3,75 metri. L’abside presenta una larghezza di 2,25 ed una profondità di 1,45 metri.




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6. Chiesa di San Giuliano



Si tratta di un antico quartiere, posto alle falde orientali, del Colle Tirone, costituito da un gruppo
 di case rupestri che facevano capo alla Chiesa di San Giuliano dello Spedaliere. Grotte scavate 
sulla parete verticale e rocciosa di Cava Ruccia.
Una  grotta che era legata alla storia dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino.
L’ipogeo era probabilmente una tomba dell’antica Lentini pre-greca, che nell’età medievale 
diventò l’abside di una chiesa costruita proprio davanti alla grotta.
La chiesa rupestre di San Giuliano non appare elencata nelle decime ecclesiastiche del 1308 - 
1310. 
Il terremoto del 1693 fece crollare la parte muraria e la chiesa fu ricostruita anche se di 
dimensioni minori.
L’area dove venne costruita la chiesa, secondo la tradizione popolare, era una zona cimiteriale 
nella quale vennero sepolti molti cristiani martirizzati.
La chiesa è dedicata a San Giuliano lo Spedaliere, cioè il protettore dei viandanti e degli 
albergatori e forse legata ad un vicino hospitalia e ricovero dei pellegrini.
Fino al secondo dopoguerra la chiesa era aperta alle donne che ne curavano personalmente il
 decoro.
Nell’altare ligneo, che occupava la parete frontale, era posta una tela della Vergine e  nelle due 
nicchie laterali si trovavano due bauletti con delle borchie che contenevano delle ossa umane.
P5robabilmente delle reliquie forse legate ai martiri sepolti nell’area della chiesa.
La chiesa era chiusa al culto e veniva aperta in occasione della festa di San Giuliano con relativa 
celebrazione.
Durante i festeggiamenti del Corpus Domini della parrocchia di San Luca, la chiesa di San 
Giuliano era una delle tappe della processione. La facciata della grotta veniva addobbata con 
fiori e luminarie e vie d’accesso adornate con “nzareddi” cioè strisce di carta legate a un filo 
appeso ai muri.
La chiesa è costituita da un vano rettangolare, aperto a NE, con pareti laterali a profilo 
leggermente tondeggiante e soffitto piano. Un altare ligneo è (era) collocato in fondo in asse con 
l'ingresso, sormontato da una edicola scavata nella roccia che accoglieva una tela raffigurante la
 Vergine. L'altare originario invece è collocato in una nicchia absidale scavata nella parete 
destra, a cui corrisponde, quasi in asse nella parete opposta, un nicchione che sembra avere la 
funzione di ampliare la zona liturgica secondo l'asse dell'altare originario.

Lo scavo è ottenuto nella massa rocciosa ma l’ingresso è rifasciato da un portalino in opera 
muraria. Sulle pareti, oggi spoglie di intonaci, non si hanno indizi di dipinti.
Dimensioni: Sala - larghezza media: mt 4,30; profondità: mt 9.60; altezza: mt 3.20. incavi 
laterali – larghezza: mt 2.20; profondità: mt 0.80.
La chiesa, scavata in un banco calcarenitico piuttosto dissestato e non uniforme è stato 
ultimamente oggetto di opere di consolidamento.


















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8. L'Oratorio di Santa Lucia


L’Oratorio si trova sul versante Ovest di Colle Tirone scavato in una bassa parete calcarenitica.
Le fonti sull’Oratorio sono quasi nulle. Ci sono dei resti murari forse legato ad un convento delle Clarisse che si trovava sul colle nella prima metà del XIV secolo e di cui si ha testimonianza in alcuni documenti.
Non si conosce il titolo e il nome di Santa Lucia è legato all’unico affresco, identificabile perché ben conservato, presente nell’Oratorio.
L’impianto è costituito da un solo vano, dalla pianta trapezia, con volta piana.
Nella parete di Nord-Est  si trovano un abside rialzata e due teche della stessa morfologia ai lati. Teche che presentano una pianta semicircolare e un profilo ogivale con spallette oblique. Nella fiancata destra si notano i resti di un sedile e nel pavimento è scavata una lunga trincea a sezione rettangolare forse pertinente ad una doppia sepoltura.
All’esterno si trovano i resti di una piccola scala, ricavata nella roccia, che conduceva al piano superiore.
La grotta era decorata con pitture bizantine.
Nell’abside si ha una figura di Cristo Pantocratore, nella teca di destra l’immagine di S. Lucia da cui il nome, mentre è del tutto sparita la pittura della simmetrica teca di sinistra. Nella fiancata destra sono dipinti un anonimo Santo Vescovo mitrato con pallio e pastorale, una Madonna di tipo Odigitria, San Nicola, quindi un Santo a cavallo (S. Giorgio?).
Gli affreschi, per le loro caratteristiche, possono essere riferiti alla fine del XIII secolo o alla fine metà del successivo ed a questa età bene si accomodano anche gli elementi architettonici.
Può anche essere che questo sia stato l’oratorio del Convento di Clarisse, fondato nella zona nei primi decenni del XIV secolo.
Dimensioni: Sala – larghezza media: mt 4.90; profondità media: mt 5.15; altezza: mt 3.15.
Abside – larghezza: mt 1.70; profondità: mt 0.90


Particolare dell’affresco Cristo Pantocratore

L’affresco di Santa Lucia raffigura la santa in abiti sontuosi  insieme ad una persona in ginocchio, posto alla sua sinistra. La persona in ginocchio potrebbe essere il committente dell’opera






Lapide sepolcrale dell'ex convento delle Clarisse

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8. La Chiesa Rupestre di    Santa Margherita




Posta ad oriente di Lentini, nella Valle Falconello e in una bassa parete calcarea dell’omonima cava, probabilmente faceva parte di un complesso monastico carmelitano.
Una cava che era la vasta area cimiteriale della vicina Leontinoi. Una grotta con fini cultuali che sono attestati nei primi anni del Trecento.
Nelle decime relative agli anni 1308 – 1310 per Lentini sono riportare le chiese di:
Santa Maria La Cava, San Teodoro, San Tommaso, San Nicolò del Castello Nuovo, San Giorgio, Santa Venera, San Pietro de Cosentini, San Domenico, Santi Biagio e Lucia, Santa Lucia, Santi Tre Fratelli, Santa Maria d’Anglono, Sant’Antonio, Santa Margherita, Sant’Ippolito e Andrea, il Monastero Cistercense di Santa Maria di Roccadia, la comunità della Chiesa della Santa Croce di Messina e i presbiteri greci Ruggero, Riccardo, Bartolomeo e Nicolò.
(L’indicazione del Castello Nuovo  per la Chiesa di san Nicolò, fa riferimento alla posizione della chiesa presso l’omonimo castello cos’ come quella relativa a San Pietro de Cosentini nel quartiere dove abita l’omonima comunità).


La chiesa si sviluppa secondo un piano architettonico ben definito che prevedeva una voluta differenziazione degli spazi liturgici in cui si evidenziava la zona di pertinenza del clero, divisa da una iconostasi, rispetto a quella fruita dai fedeli. Il soffitto è piano e nella parete di fondo del presbiterio quasi quadrato si apre una piccola abside semicircolare a sesto acuto affiancata da una posteriore absidiola anch’essa a sesto acuto.

A sinistra della chiesa si apre un piccolo ambiente a pianta poligonale in cui si conservano ancora tracce di tombe ad arcosolio, configurandosi, necessariamente, come un sepolcreto ipogeico probabilmente antecedente alla chiesa rupestre che, in un secondo momento, lo ha inglobato.
La zona su cui insiste la grotta di Santa Margherita corrisponde ad una vasta area ad uso cimiteriale dipendente dall’antico insediamento di Leontinoi. Nel tardo medioevo la cava, però, posta ad una certa distanza dall’agglomerato urbano leontinese, cominciò ad ospitare insediamenti monastici di tipo occidentale: Carmelitani, Francescani Osservanti e quindi Eremiti Agostiniani.
La “ecclesia S. Margarite” compare nelle decime del 1308-1310 mentre nel XVII secolo è già in stato di abbandono.

Nel XVII secolo l’edificio cultuale era in completo abbandono.
La grotta ha una sua configurazione molto interessante per la presenza di un abside a sesto acuto (piuttosto accentuato), per  la razionale distribuzione degli spazi interni  e per la complessa decorazione pittorica.
L’architettura della chiesa distingue gli spazi liturgici da quelli per i fedeli mediante un’iconostasi. Presenta un soffitto piano e nella parete del presbiterio sono presenti due piccole absidi semicircolari affiancate, di cui quella più grande è a profilo ogivale  con altare a mensa, mentre sulla sinistra è presente un piccolo ambiente a pianta poligonale che conserva  segni di tombe. Si tratta di tre  arcosoli coevi ad alcune tombe a fossa che si possono ancora osservare sul pianoro roccioso soprastante la chiesa. La presenza  di queste tracce tombali testimonierebbe l’utilizzo sepolcrale dell’ipogeo che fu successivamente inglobato nella chiesa.
La decorazione pittorica, forse una delle più antiche del territorio di Lentini, furono  rovinati a causa di alcuni tentativi d’intonacare tutta la grotta operata da qualche imbecille.
Un ciclo pittorico molto interessante, ricco che doveva fare parte di un progetto pittorico che aveva lo scopo di scandire gli spazi delle pareti ad uso cultuale.

Gli affreschi costituiscono un complesso ciclo iconografico con una teoria di Santi nei pannelli laterali dell’aula per i fedeli a cui si contrappone una “Deèsis” nella conca absidale.
Sulla parete frontale si riconoscono, ancora in discreto stato, almeno dodici pannelli.
Nella parte superiore, sopra l’altare sono cinque medaglioni che raffigurano i quattro Evangelisti e l’Agnus Dei, sovrapposto all’altare cin cui è raffigurata una Deesis.
Negli angoli superiori è l’Annunciazione, con l’angelo Gabriele nel lato sinistro e la Vergine in quello destro. Degli affreschi dei pannelli inferiori rimane solo qualche traccia ad eccezione di un San Gregorio dentro l’absidiola accanto all’altare.

Gli affreschi dell'abside

Sulle pareti laterali si conservavano, in discreto stato, almeno sette pannelli per lato, raffiguranti alcuni santi non meglio identificati e gli affreschi raffiguranti Santa Lucia, Santa Margherita, una Annunciazione, San Pietro, San Giacomo e San paolo.
Nel vano sepolcrale a sinistra è la Vergine assisa in trono e San Nicola con le tre fanciulle.

Pannelli databili fra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Furono probabilmente il primo esempio  di unione fra la cultura greco-bizantina e quella normanna.
La chiesa è una cappella di rito ortodosso dell’XI – XII secolo.
I tratti stilistici delle figure trovano confronti con i cicli figurativi normanni di Monreale, Palermo e Cefalù.
Le maestranze che operano nella chiesa erano probabilmente bizantine ed il linguaggio è quello della cultura di Costantinopoli.
A conferma di questa tesi sono l’epigrafi in greco che indicano i nomi dei santi.
Le didascalie dimostrerebbero come il territorio di Lentini fosse tra quelli meno arabizzati della Val di Noto. Molti appezzamenti di terreno appartenevano al Monastero greco del SS Salvatore di Messina.

La chiesa di Santa Margherita è di particolare interesse sia per la spazialità definita e perfettamente progettata sia per il complesso programma iconografico. La particolare forma dell’abside, a sesto acuto piuttosto rigonfio, si ritrova nella grotta del Crocifisso di Lentini e in quella di Santa Lucia sul Tirone e permetterebbe di assegnare la realizzazione della grotta ad un gruppo di operai legati alle maestranze normanne e, quindi, aggiornati sulle nuove esperienze architettoniche.
Accanto a queste particolarità, la razionale definizione spaziale rimanda ad esperienze poco comuni in Sicilia ma che erano comparse già nella chiesa di Santalania.

La complessa decorazione pittorica rende la chiesa di Santa Margherita una sorta di unicum nel panorama rupestre isolano e sembra assolutamente omogenea con la particolare cura notata per la distribuzione spaziale. Gli affreschi, nonostante siano lacunosi e guasti, sono gli esempi più antichi di cui si abbia notizia nell’isola (essendo databili tra la fine dell’XI e linizio del XII secolo) e sembrano veramente appartenere ad un periodo di voluta ripresa del linguaggio autoctono di origine greco-bizantino mediato dalle novità architettoniche e spaziali di importazione normanna. Tale sincretismo culturale è denunciato anche dalla presenza delle didascalie in greco e dall’iconostasi che contribuiva a creare uno spazio assolutamente congruo con la religiosità ortodossa tipica dell’isola nell’XI secolo.
 Un monumento del periodo normanno-svevo da valorizzare.



adibita a deposito ??????????











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San Gregorio


San Nicola e le tre fanciulle

Valle Santa Margherita







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1   9.   Grotta di Sant’Alania o Anania (Lentini) (?)
La grotta è scavata in un basso costone di roccia dell’omonimo colle, nelle immediate vicinanze di un’antica area cimiteriale.
Le fonti ? Precarie…. Ho cercato nella mappa il colle Alania… .. non trovato…
Su internet la grotta è citata con pochissime frasi ma non viene indicata l’ubicazione… strano modo di fare cultura…..

Le uniche notizie riguardano la descrizione della  chiesa rupestre.
La chiesa, posta nelle immediate vicinanze di un casale rupestre che si sviluppa in una piccola cava, ha certamente origini alto medioevali, come risulterebbe dalla datazione di una serie di tombe poste nelle immediate vicinanze di essa e legate ad un’altra struttura ecclesiastica semipogeica.
Sono poche e frammentarie le notizie storiche e documentarie, certamente il toponimo della grotta riprende, in maniera alterata, il nome del santo Anania, cui era dedicata la chiesa rupestre, così come propone, ma non è chiaro a quale casale, tra quelli documentati dalle fonti diplomatiche esso corrisponda
La chiesa rupestre di Santalania, per il rigore formale che la caratterizza (principalmente nella definizione della spazialità), e per la presenza di elementi caratteristici di una cultura religiosa orientale (iconostasi e didascalie in greco attorno ai santi), rappresenta una testimonianza importante della presenza di comunità monastiche e laiche assolutamente greche in territorio siciliano.
La datazione, proposta proprio dall’estrema attenzione al dato geometrico nella gestione degli spazi, oscilla tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo.


La chiesa, alla quale si accede da un ingresso trapezoidale sormontato da una lunetta emisferica, è scavata in un basso gradone di roccia e presenta una pianta assolutamente regolare. Essa è composta da un vano quadrato coperto da un tetto piano che, dopo una iconostasi triloba (malamente conservata), si apre su un presbiterio rialzato di tre gradini a pianta leggermente trapezoidale voltato che si conclude con una abside semicircolare.
Le pareti dell’aula sono ritmate da una teoria di tre archi a ferro di cavallo originariamente retti da pilastri lisci (di cui rimane soltanto la parte superiore), mentre tracce di una cornice che correva all’altezza del catino absidale, si ritrovano nell’area presbiteriale.
Dell’originario apparato iconografico, che si articolava in pannelli posti nello spazio definito da ogni arcata parietale, rimangono purtroppo solo tracce mutile. Nell’ultima arcata della parete sinistra si conserva parzialmente il volto con il nimbo giallo e la parte superiore dell’ala sinistra dell’Arcangelo Michele (identificabile anche dalla scritta 
[A]ΡΧAΝΓ[Ε]Λ[ΟΣ ΜΙΧAΙΛ); 
nell’opposta arcata destra, invece, si notano scarsi frammenti di due santi affiancati di cui solo uno è riconoscibile come Sant’Elia grazie alla scritta 
AΓ[ΙΟΣ] ΗΛ [ΙA?]. 







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10- La Grotta  Luogo di Culto

Perché l’uomo medievale occupò uno spazio rupestre per creare un luogo di culto ?
Le motivazione sono tante e tutte collegate tra di loro.
Le condizioni geomorfologiche del sito potevano offrire l’opportunità di ricavare nella roccia, anche mediante ampliamenti, un ambiente abitabile in alternativa ad un edificio in muratura  con risparmio di  mezzi, materiali e mano d’opera.
Questo aspetto fu senza dubbio importante nella creazione di un sito rupestre ma penso che ancora più importante potrebbe essere un motivo di natura cultuale. Un motivo cultuale legato alla sacralità della grotta, dell’antro naturale  sin dal periodo arcaico.
La caverna è associata all’utero materno, ai riti iniziatici, al conflitto perenne tra luce e tenebre cioè tra il bene ed il male.
Era quindi un luogo di nascita di divinità e quindi destinata a santuario, ad uso cultuale.
Eppure la chiesa all’origine non fu molto concorde con questo significato simbolico dato alla caverna. Un atteggiamento che fu di diffidenza e anche di aperta e critica avversione.
Tertulliano e successivamente anche Firmico Materno, riconoscevano nella caverna il luogo o il regno del dio Mitra e ne esaltavano quindi l’aspetto repulsivo. (“luogo delle tenebre”  tenebre oscuro squallore).
Fu con gli scritti di Gregorio di Nissa (335 – 395) che  la grotta lasciò il suo aspetto negativo per diventare un elemento positivo.
Gregorio si rifaceva alla filosofia platonica in cui la caverna veniva considerata come metafora dell’oscurità nella quale vive l’uomo vincolato dalla sua coscienza sensoriale in contrapposizione alla luce emblema della visione intellettuale, conoscitiva.
Quindi la caverna si trovava nel gradino più basso di un processo di conoscenza dell’uomo passando dal peso della propria corporeità verso la spiritualità.
La nuova visione della grotta non era solo collegata ad un processo filosofico basato sul processo conoscitivo dell’uomo ma anche allo studio religioso ed in particolare all’evento dell’incarnazione di Cristo.
In questa nuova visione entrano in gioco dei sermoni come quello “In diem natalem Christi”, dove Gregorio accolse la tradizione secondo la quale Cristo era nato in una grotta.
Un ambiente oscuro, oppresso dal peccato, che grazie alla luce ed alla parola di Dio, è capace di accogliere il bene. La grotta assumeva il significato di vittoria del bene sul male.
I vangeli utilizzavano il termine mangiatoia e non citavano in maniera ben precisa la parola grotta. Soltanto a partire dalla metà del II secolo, con Giustino e Origene, venne usata per la prima volta la parola grotta. Termine che venne ripetuto nell’apocrifo del protovangelo di Giacomo e nel vangelo dello Pseduo Matteo che fecero riferimenti ben precisi alla grotta nel narrare l’infanzia di Gesù. D’altra parte proprio nel II secolo si ebbe una diminuzione del culto legato al dio Mitra.
Nell’iconografia cristiana la grotta è presente sin dalle prime raffigurazioni. Nel coperchio del reliquario conservato nei Musei Vaticani, nel tesoro della Sancta Santorum, la grotta nel pannello della Natività è rappresentata da una sorta di ombrello che fa da sfondo alla Sacra Famiglia.



Un reliquario proveniente dalla Terrasanta e databile al VI secolo.
Scena della Natività dipinta insieme al Battesimo nella parte inferiore della tavoletta  e sotto all’Annunciazione e all’Ascensione. Questa posizione sembra preludere al martirio della Crocifissione, al quale è riservato l’intero spazio mediano. Andrebbe quindi interpretata in stretto rapporto con la croce del Golgotha che è raffigurata sul recto. La rappresentazione della grotta prefigurerebbe il sepolcro scavato nella roccia e sigillato da un masso fatto rotolare al suo ingresso (Marco).
Un origine siro-palestinese del reliquario proveniente dalla Palestina come l’ampolla del tesoro di Monza.
Ritornando alla grotta la sua visione nella tavoletta è accennata da un profilo a mezzaluna che chiude in basso la raffigurazione del Bambino con l’asino ed il bue.
È presente un elemento figurativo che richiamerebbe ai pellegrinaggi in Terrasanta. È un edicola cilindrica che sarebbe un preciso riferimento alla basilica che Costantino fece costruire nella città di Betlemme in corrispondenza della grotta associata alla nascita di Cristo.
Il santuario di Betlemme non era l’unico edificio della Palestina costruito in corrispondenza di cavità rocciose che la tradizione legava a Cristo. Fra gli altri luoghi bisogna ricordare la Caverna di Odollam, riconosciuta come il rifugio di David per sfuggire alle persecuzioni di Saul; la grotta di Abramo a Hebron dove si credeva che fosse sepolto il patriarca con la sua famiglia, ecc. e gli ambienti rupestri nel Getsemani, nel Golgotha, il Santo Sepolcro, il monte Eleona associato all’Ascensione.
Il valore sacrale della roccia n prossimità dei luoghi sacri in Palestina fu esaltata anche dai pellegrini che si dai primi secoli dell’età cristiana visitarono i santuari e ne riportarono le sensazioni, le immagini e le descrizioni nei loro diari di viaggi.

Questa sacralità venne importata in occidente con la costruzione di santuari e luoghi di culto che grazie ad una caratteristica simbolica, o attraverso una somiglianza architettonica, topografica, richiamassero posizioni e funzioni degli edifici cristiani della città palestinese.

San Marciano, protovescovo di Siracusa, secondo un’antica tradizione visse per un certo periodo di tempo in una cavità del banco roccioso della città, forse in coincidenza dell’area delle catacombe di San Giovanni. Nel componimento agiografico l’ambiente rupestre venne assimilato alla grotta di Betlemme e il paragone contribuisce ad allontanare dalla dimora del santo l’immagine negativa dell’antro oscuro, sede del demonio.
Molti di questi eremiti erano laici e scelsero di vivere in questi luoghi sfruttando delle cavità preesistenti che furono ampliate. Una vita condotta in eremitaggio, in preghiera e nel silenzio delle valli che offrivano quanto bastava per la loro sopravvivenza: acqua,  erbe selvatiche,  e qualche piccola coltivazione. Probabilmente i grandi conventi o cenobi erano quelli del Crocifisso e di San Giuseppe il Giusto, dei monaci francescani, a cui gli eremiti probabilmente facevano riferimento.

Una pagina di storia che ancora presenta degli aspetti lacunosi in un territorio che vide fiorire tante chiese rupestri ed è logico chiedersi il perché della loro presenza così numerosa.

Visitai molte di queste cavità negli anni 1975 – 1980. Feci delle foto e anche i rilievi con lo sviluppo delle relative planimetrie. Foto e planimetrie che purtroppo sono andate perdute a causa del guasto di un computer. Ho cercato in internet qualche planimetria ma con scarsi risultati  (solo due planimetrie in un sito dei Beni Culturali della Regione Sicilia). Numerose sono invece le pubblicazioni tutte a pagamento e con prezzi molto alti. Strano modo di fare cultura e dare una precisa conoscenza  del territorio.
Penso che la cultura non dovrebbe avere un prezzo… certo gli editori hanno delle spese, è inutile negarlo, ma bisognerebbe dare la possibilità al lettore di scegliere tra il libro, magari in forma digitale (a prezzi accessibili), e quello cartaceo.
Il libro cartaceo ha un suo fascino insuperabile che s’allontana dal freddo scorrere di pagine su un computer spesso in tilt, con connessioni non sempre ottime e immagini non chiare.
Con Internet si perde spesso il piacere della lettura perché s’affievolisce, con il passare dei minuti, il coinvolgimento personale   che è l’elemento fondamentale della conoscenza.
Sfogliare un libro cartaceo, sentire quasi il profumo delle sue pagine, vedere le sue immagini, dà delle sensazioni che non sono facili da descrivere.
Ricordo nelle medie ed anche al liceo quando i libri addirittura si foderavano per conservare la loro integrità e riporli nella biblioteca più o meno vasta. Lo scorrere del dito sui libri riposti in ordine, secondo le materie e in un continuo alternarsi di colori, dava il vero senso della ricerca. (Molte delle mie ricerche sono andate perdute perché digitalizzate. Diverso destino se avessero avuto un supporto cartaceo). Altri tempi… ormai lontani… perché il denaro ha cancellato tutto…forse anche il piacere della lettura, della ricerca, della conoscenza….
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Diversi anni fa alcuni turisti visitarono alcune grotte. In una di esse c’era questo cagnolino che sembrava a guardia di queste antiche memorie espressione di monaci che credevano in qualcosa di grande lontano dalla materialità umana. Un piccolo cane abbandonato in quei luoghi che sembra guardare meravigliato quei visitatori che lo stanno riprendendo e in attesa forse di una carezza, di un piccolo gesto d’affetto…..

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Altre  Chiese Rupestri:

Castellamare del Golfo (Tp)
Escursione in barca -  La Chiesa Rupestre di Santa Margherita

(18/06/2019)

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