Gelone e Gerone, Tiranni di Gela e Siracusa – I Doni ai santuari di Delfi ed Olimpia – Le vittorie nelle Olimpiadi – Un antica immagine del Grande Regno di Sicilia

 













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Indice:
1.      Fondazione di Lindioi (Gela) da parte di Coloni di Lindos (Rodi), Creata e Tilos – Cleandro forse primo tiranno di Gela;
2.      Ippocrate;
3.      La successione di Ippocrate – Gelone dei Dinomenidi – Il gioco del Kottabos -  Roma ricevette aiuto da Gelone, Tiranno di Siracusa;
4.      Gerona (Ierone) – Sconfisse gli Etruschi;
5.       I tripodi d’oro di Gelone e Gerone nel santuario di Apollo a Delfi;
6.      Il Tripode di Metaponto ... un rarissimo reperto ...perduto.... si trova all’ Altes Museum di Berlino;
7.      L’Auriga di Gerone;  Video sulla fusione a cera perduta con modello cavo
8.      L’elmo di Gerone;
9.      I Giochi Panellenici e le vittorie di Gerone e di altri siracusani;
10.  La “Democrazia” dopo la morte di Gerone I 

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1.      Fondazione di Lindioi (Gela)  - Coloni di Rodi, Creta e Tilos

I due fratelli e tiranni di Siracusa, Gelone e Gerone (Ierone) lasciarono delle importanti testimonianze nel tempio dell’oracolo di Delfi in Grecia. Testimonianze che sono forse sconosciute a tanti ma che danno un immagine importante di quella che era la grande Siracusa una delle città più importanti della Magna Grecia.
Il tutto nasce  nel 688 a.C. quando dei coloni di Rodi, provenienti da Lindos, e di Creta fondarono la città a cui diedero il nome di “Lindos o Lindioi”  che fu successivamente cambiato in Gela.
I coloni provenienti dall’isola di Rodi erano guidati da Antifemo mentre i Cretesi erano condotti da Entimo. Accanto ad Antifemo, ecista dei Rodii ci sarebbe stato Gelone, proveniente dall’isola di Tilos (Psicopi), appartenente alla stirpe dei Dinomenidi ed antenato del grande Gelone , tiranno di Siracusa.


Lindos è un’antica città dell’isola di Rodi a cui fa riferimento Omero.
L’acropoli si trova su una collina a precipizio sul mare e presenta anche un castello
che fu rifatto dai Cavalieri di Rodi nel XIV secolo e ricostruito ai tempi
del dominio italiano nel 1912/1947.

L’acropoli

In cima alla scala d’accesso è presente un bellissimo rilievo raffigurante una nave sul
quale appoggiava la statua dell’ammiraglio Agesandro di Mikion ed opera di Pitocrito,
l’artista che realizzò la Nike di Samotracia esposta al Museo del Louvre di Parigi.


La nave scolpita nella roccia da Pitocrito (prima metà del II secolo a.C.) era un
trireme dell’ammiraglio Agesandros di Mikion. Una nave da guerra leggera,
ad un solo albero, sospinta, oltre che dalla vela, in genere rettangolare, dalla forza
di braccia di tre file di rematori, circa 170 uomini, e un equipaggio complessivo
di circa 200 individui.

Castello di Lindos


Baia di Lindos

Vicolo di Lindos

Tilos (Piscopi) – veduta aerea

L’Isola, appartenente all’unità periferica di Rodi, un tempo contava 2.500 abitanti e
9 villaggi mentre oggi presenta solo due centri abitati.
In base ad una leggenda popolare, Telos era figlio del Sole e di Halia. Per curare
la madre  si recò sull’isola alla ricerca di piante medicamentose. Ritornò in seguito
per fondare un tempio in onore di Apollo e di Nettuno. Telos non appare nella
mitologia  greca e il suo nome  fu probabilmente di origine preellenica.
L’isola era nota ai mercanti genovesi con il nome di “Episkopi” o “Episkonia”.
Dove c’erano i templi fu costruito il castello.


I resti del castello medievale

La fortezza di Mesarià di epoca medievale le cui rovine si ergono sulla grotta di Kharkhadio.

Le grotte di Kharkhadió ad ovest del capoluogo sono state oggetto di scavi nel 1971 che hanno portato al rinvenimento di utensili del neolitico. Gli scavi hanno portato anche al ritrovamento di ossa appartenenti ad una razza nana di elefanti. 





villaggio abbandonato di Mikro Chorio



Siracusa era stata già fondata 45 anni prima, nel 733 a.C. dai Corinzi guidati dall’ecista Archia che approdarono nell’isola di Ortigia.
Pausania riferì di scontri fra i coloni di Gela e gli indigeni di stirpe Sicula e Sicana. Tuttavia le relazioni con gli indigeni dell’interno furono ben presto  organizzate sulla base di  rapporti d’amicizia personale con le famiglie emergenti attraverso dei probabili matrimoni.
Erodoto in merito citò un episodio in cui Teline, discendente di Gelone (secondo ecista di Rodi), sacerdote di Demetra e Kore, avrebbe trovato rifugio a Maktorion, città sicula dell’entroterra geloo, durante un episodio di lotta intestina fra le diverse fazioni di Gela. Teline successivamente tornò in città protetto dal solo carisma del suo prestigioso sacerdozio. L’epoca di questo importante episodio non fu citata , ma dovrebbe collocarsi verso la metà del VI secolo a.C..
Un periodo contraddistinto da una grande crescita per Gela in base alla costruzione del primo edificio in pietra del grande santuario di Bitalemi e alla stessa fondazione di Agrigento avvenuta nel 582 a.C. (coloni di Gela guidati dagli ecisti Aristonoo e Pistilo).
Teline quindi ritornò a Gela con la propria fazione rivendicando per sé e i suoi discendenti la sua funzione di sacerdote.
Le fonti su questo periodo sono assenti e forse la città fu retta da un regime oligarchico e sacerdotale.
Tra il 505 ed il 504 a.C. Cleandro riuscì a conquistare il potere, secondo Aristotele, con
L’aiuto di mercenari siculi e si stabilisce come tiranno di Gela.
Cleandro fu collegato a Panezio di Lentini, entrambi erano degli aristocratici e l’origine aristocratica dello stesso Cleandro fu confermata da una placca di bronzo rinvenuta ad Olimpia con un iscrizione votiva.
Era figlio di Pantare o Pantaro, originario della Licia, e l’iscrizione, databile alla 78°  Olimpiade (512-508) a.C., ricordava una vittoria olimpica alla quadriga
Pantare di Gela, figlio di Menecrate
ed era applicata ad una probabile statuetta di soggetto equestre.
Pantare era collegato ad una famiglia aristocratica dedita all’allevamento dei cavalli e
la Piana di Gela (“campi Geloi”) era una zona particolarmente adatta all’allevamento dei cavalli. Infatti le prime monete che furono coniate a Gela raffiguravano una cavaliere nudo in groppa ad un cavallo.
Il regno di Cleandro durò sette anni, fino al 498 a.C. quando venne ucciso dal geloo e nobile Sabello.
Non sono noti i motivi per cui Sabello uccise il primo tiranno di Gela ma probabilmente erano legati a ragioni politiche e di predominio da parte dell’aristocrazia locale.
A Cleandro successe il fratello Ippocrate. 

Nel 1967 venne scoperto nel santuario di Demetra di Bitalemi a Gela un deposito comprendente 24 vasi, lasciati apparentemente sul posto in modo casuale. Sotto al vasellame si conservavano due pietre arrossate dal fuoco e resti ossei di un suino. Il rinvenimento venne  citato come uno dei più chiari esempi di deposizione rituale dei resti di un banchetto.

Resti del focolare e delle ossa animali sotto il deposito

Kotyliskos  (Museo Archeologico - Gela)

Aryballos (Museo Archeologico – Gela)

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2.      Ippocrate

La successione  non fu tranquilla perché  per prenderne il possesso fu aiutato da una sua guardia del corpo Gelone, che successivamente fu poi nominato “ipparco”, della nobile famiglia dei Dinomenidi e figlio di Dinomene di Gela (detto “il Vecchio”).
Ippocrate di Gela (Ἱπποκράτης, Hippokrátes; Hippocrătes) secondo tiranno di Gela governò dal 498/497 a.C. fino alla morte avvenuta ad Ibla nel 490 a.C.
Ippocrate dovette subito affrontare il partito aristocratico con una guerra civile  e negli eventi fu aiutato da Gelone, sua guardia del corpo, che sarà il futuro tiranno di Gela ed anche di Siracusa.
In sette anni di potere Ippocrate riuscì a conquistare un vasto territorio che comprendeva Callipoli, Nasso, Zancle e Leontinoi.
Nella sua politica militare attaccò prima i centri minori per procurarsi dei bottini fondi per sostenere la guerra.
La corinzia Siracusa riuscì a sfuggire alla servitù d’Ippocrate grazie ai soccorsi di Corinto e Corcira (Isola di Corfù) ma negli eventi bellici dovette cedere Camarina.
In questa campagna militare Ippocrate diventò padrone della Sicilia orientale, con l’esclusione di Siracusa e  Gelone grazie al suo valore militare dimostrato nel campo, fu nominato Ipparco cioè comandante della cavalleria.
Sembra che Ippocrate si sia servito di una milizia mercenaria composta da Greci e Siculi. Le città conquistate  venivano saccheggiate per ottenere ricchezze che rimetteva in circolazione coniando moneta. Una moneta necessaria non solo per pagare i mercenari ma anche per l’intensa attività edilizia che coinvolgeva Gela e la madrepatria per interventi edilizi nel santuario di Olimpia.
Per pagare le truppe mercenarie Ippocrate adottò un sistema che venne adottato anche da tiranni successivi. Istituì delle colonie militari  da destinare ai soldati e che riguardavano la concessione di vasti superfici di terreni coltivabili.
Il tiranno di Gela non distrusse quindi le città conquistate. Furono infatti affidate a tiranni vicari che dipendevano dal suo potere e  che quindi avevano un’autonomia solo formale. A Leoninoi mise il tiranno Enesidemo di Leontinoi, figlio di Pateco, che comandava anche su Brikinnia.
Ippocrate decise la conquista di Siracusa nel 492.  Il tiranno non disponeva di una flotta e questo fu un gravissimo handicap per la riuscita della spedizione. Sperava di trovare nella città corinzia l’appoggio delle classi povere per poter togliere il potere agli oligarchi “gàmoroi” o “geòmori”. ( Il termine significa “chi ha diviso terra” o “chi ha ricevuto la terra”.  Erano la classe di proprietari terrieri che discendevano dai primi coloni corinzi che avevano fondato Siracusa nel 733 a.C. e che dominarono in città per lungo tempo fino al V secolo a.C.).
L’appoggio militare, tanto sperato, gli venne a mancare e nonostante la vittoria riportata  dal tiranno di Gela sul fiume Eloro, ci fu la mediazione di Corinto che portò alla restituzione dei prigionieri di guerra siracusani in cambio del possesso della colonia di Camarina.
A Siracusa la sconfitta e la grave perdita di Camarina portò ad uno sconvolgimento del potere politico perché i  “gàmoroi” vennero espulsi  ed inviati a Casmene mentre nella città s’instaurò un governo cittadino che sarà responsabile della sua successiva consegna al tiranno Gelone di Gela.
Diodoro Siculo riportò  che
Ippocrate, dopo la vittoria sul fiume Eloro, si era accampato presso il tempio di Zeus e aveva sorpreso dei sacerdoti a trafugare il tesoro del tempio. Ippocrate denunciò pubblicamente il furto, per screditare la fazione dei gamoroi e promuovere così un sovvertimento costituzionale che favorisse un suo positivo inserimento nella scena siracusana”.
L’esercito di Ippocrate erano costituito, come abbiamo visto, da molti mercenari Siculi.
Ma non tutti i Siculi avevano accettato la tirannide di Ippocrate e costituiranno un grave problema nei piani di dominio del tiranno soprattutto verso la conquista di Siracusa.
Ippocrate si rese protagonista di almeno due spedizioni contro i Siculi riuscendo a conquistare Ergezio e nella successiva spedizione di Ibla il tiranno fu ucciso... era l’anno 491/490 a.C.

Siracusa – Tempio di Zeus


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3. La successione di Ippocrate – Gelone –  Il  “kottabos” - L'aiuto ai Romani per la carestia.

Gelone prese la tutela dei figli di Ippocrate, Cleandro ed Euclide, ma era ben chiaro il suo disegno politico. Decise di  dare battaglia all’aristocrazia gelese che mirava al potere e prese il comando della città.


Gelone

Erodoto nella sua narrazione citò, tra i membri della guardia palatina di Ippocrate, oltre a Gelone anche Enesidemo di Leontini.
Enesidemo venne citato in merito ad un rapporto a Gelone “sulla condizione interiore di chi commette ingiustizie e su coloro che le subiscono..”
“Costoro commettono ingiustizie nei confronti di quelli che stanno per subirle da altri, poiché non vi è più il tempo necessario per deliberare, come si dice fosse il caso di Enesidemo, che mandò il premio del κότταβος a Gelone che aveva sottomesso Gela, in quanto [Gelone] l'aveva preceduto, poiché anch'egli [Enesidemo] si apprestava a fare la stessa cosa.” (Aristotele)

Il “Kottabos” o “Còttabo” (κότταβος) significa “bicchiere vuoto oppure
coppa vuota” ed era un gioco diffuso nel mondo greco antico.
L’origine del gioco fu fatta risalire ad un area culturale non greca.
Gli inventori del gioco sarebbero stati i Siculi, dai quali si sarebbe diffuso tra i
coloni per essere quindi irradiato nell’intera area culturale greca.
Le citazioni  sono molte: Alceo, Anacreonte, Crizia (che attestò l’origine
Sicula del gioco e lo definì come la più grande invenzione dell’umanità). Callimaco e Dicearco.
Lo scopo del gioco era colpire un bersaglio con le gocce di vino che erano rimaste
nel fondo delle coppe usate per bere.
Il bersaglio era collocato tra le “klinai” sulle quali erano distesi i simposiasti.
Consisteva in un piccolo disco di metallo (o un piatto) posizionato in cima ad un lungo stelo,
 alto circa 1,80 m, analogo ad un moderno supporto per una lampada.
Una volta colpito, il piccolo disco cadeva su un disco più grande collocato a metà
del supporto, emettendo un forte suono. Altre fonti citano come bersaglio un contenitore
più grande con piccoli vasetti al suo interno, che bisogna riempirli fino a farli affondare.
Nei vasi dipinti, i giocatori sono raffigurati distesi sulle klinai, appoggiati sul
Gomito sinistro, mentre sono intenti a lanciare il vino con la mano destra.
Il giocatore tiene la coppa on il dito indice infilato in una delle anse, come per
Impartire al vaso o coppa un movimento rotatorio.
Il successo richiedeva una notevole destrezza. Sofocle affermò che tra i Siculi
fossero il molti ad andar fieri  dei loro successi al Kottabos più di un riuscito
lancio di giavellotto.
Il premio per il vincitore era una mela, dei dolci, una coppa o ancora il bacio
della persona amata a cui era dedicato il lancio.

Cratere a calice, attico a figure rosse da  Gela – V secolo a.C.
Museo Archeologico di Agrigento
“da un lato sono raffigurati satiri e menadi e sull’altro una scena di simposio,
alla quale prendono parte lo stesso dio del vino Dionisio, che è semisdraiato
sulla kline con al fianco una figura giovanile intenta a lanciare il vino,
alla presenza di satiri e menadi e di un giovane attendente”.

Cratere a campana da Lentini
Ceramica Attica a figure rosse - V secolo a.C.
Museo Archeologico  Paolo orsi di Siracusa
“Un cratere molto danneggiato e restaurato.
Sulla kline sono semidistesi due banchettanti che sono rivolti in
direzioni opposte. Quello di sinistra saluta una coppia davanti a sé, un uomo
barbato con bastone e un giovane flautista, che sta arrivando per unirsi al
simposio. Il banchettante di destra rivolge la testa nella direzione opposta,
verso un giovane disteso su una seconda kline, posizionata di traverso ad
angolo con la prima. Questo terzo simposiasta è raffigurato nell’atto di
brandire una kylix con la mano destra, nel momento che precede il lancio.

Cratere a calice (400 – 380 a.C.) da Lentini
Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi – Siracusa
Vaso attribuito al Pittore della Scacchiera, primo rappresentante della
ceramica a figure rosse prodotta in Sicilia.
Sono raffigurate due donne, una seduta e l’altra stante, che giocano al
Kottabos alla presenza di Eros, figurato nell’atto di volare verso di loro
(sembra escluso che le due donne siano impegnate a colpire Eros con le
gocce di vino, come si è proposto).

Gelone vedeva in Enesidemo un rivale per il potere e quindi agì senza indugi.
Strinse un alleanza con Terone, tiranno di Akragas dal 488 - 487 a.C., di cui sposò la figlia Damarete.
Ben preso Gelone dovette affrontare l’iniziativa bellica di Anassilao (Anassila) tiranno di Reghion per la conquista dello Stretto di Messina. Le iniziative del tiranno di Reggio furono sempre fermate da Ippocrate e il suo successore Gelone vi aveva collocato come tiranno vicario Cadmo di Cos, figlio di Scite.
Lo scontro tra le due forze fu attestato dal rinvenimento di un elmo ad Olimpia in cui è riportata una dedica in cui i reggini si vantavano di una vittoria sui Geloi.
Zanche venne ribattezzata con il termine di Messana e Anassilao diventò ecista di Messana lasciando al figlio Leofrone  la città di Reghion.
Gelone perdeva la sua supremazia sullo Stretto e spinse le sue mire di conquista solo verso Siracusa.
Sembra che Gelone non abbia preteso alcun corrispettivo economico e considerò quel grano come una donazione (Plutarco).
L’aiuto a Roma non era disinteressato perché in realtà celava il tentativo di Gelone d’arginare gli interessi che gli Etruschi manifestavano nei confronti della Campania che avrebbe messo in discussione e compromesso i rapporti commerciali tra la Sicilia e la Magna Grecia.
Roma, sentendosi in debito verso i Geloi dei prodotti avuti dalla fertile pianura di Gela, non si sarebbe potuta sottrarre davanti ad una possibile richiesta di Gelone a contenere a settentrione l’avanzata degli Etruschi e soprattutto nel caso in cui lo stesso Gelone avesse deciso di attaccare gli Etruschi in Campania.
Gelone, figlio di Dinomene di Gela (mi) ha dedicato a Zeus.
Glaucia di Egina (mi) fece”.
(Glaucia di Egina era uno scultore greco)
 
Gelone ben presto entrò in conflitto con i Punici, che occupavano la parte occidentale della Sicilia, soprattutto per liberare gli importanti “emporia” di Imera e Selinunte.
Quando nel 480 a.C. gli ambasciatori della madrepatria di Gela, soprattutto spartani, chiesero aiuto militare a Gelone per combattere i Persiani, il tiranno avrebbe risposto:
«Uomini di Grecia, con parole arroganti avete osato invitarmi ad allearmi con voi contro il Barbaro. Ma voi stessi quando io, tempo fa, vi pregavo di attaccare insieme con me l'esercito dei Barbari, nella guerra che avevo ingaggiata contro i Cartaginesi, e vi scongiuravo di vendicare la morte di Dorieo, figlio di Anassandrida, ucciso dagli Egestani, e vi proponevo di aiutarmi a liberare gli scali commerciali, dai quali voi avete ricavato grandi utili e vantaggi, voi non veniste né per riguardo a me a portarmi aiuto, né per vendicare l'uccisione di Dorieo; e, per quanto sta in voi, tutto ciò sarebbe ancora in mano dei Barbari” (Erodoto)
Una guerra lunga e con alterne fortune vedeva i geloi contro i cartaginesi...
Gelone, con la perdita di Zancle. aveva compromesso i suoi commerci marittimi per cui l’unico sbocco ad oriente restava Siracusa che all’epoca aveva un porto già attrezzato ed importante per i commerci con l’Asia e la stessa Grecia.
Sfruttò abilmente le contese di classe presenti, ormai da tempo, all’interno della città di Siracusa anche se la sua potenza militare gli consentì d’entrare nella città come giudice di queste contese sociali.
Con l’allontanamento a Casmene del partito degli “gamoroi”, la città aveva  visto una costituzione democratica con il partito del demos (partito popolare) alleato con gli indigeni “killichirioi” (una classe popolare che discendeva dai Siculi indigeni che abitavano a Siracusa prima della sua colonizzazione da parte dei Corinzi) e che stava degenerando in anarchia.
Gelone difese i gamoroi reintegrandoli in città e fu uno dei suoi primi interventi.  Si trasferì a Siracusa lasciando il governo di Gela al fratello Ierone.
L’anno 485 a.C. fu quindi l’anno in cui il primato delle città greche di Sicilia passò da Gela a Siracusa.
Distrusse Camerina, che gli si era dimostrata sempre ostile. deportando i suoi abitanti a Siracusa; conquistò le città di Megara Iblea e di Eubea, che vennero distrutte, trapiantando i cittadini più ricchi nella città di Siracusa e riducendo in schiavitù il demos delle due città.  La Sicilia orientale fu in proprio potere fino a Naxos che rappresentava il limite del suo regno a Nord.
Legò a sé i mercenari con la concessione della cittadinanza e permettendo loro di fare dell’Akradina il loro quartiere generale.. Una concessione  fatta con leggerezza dato il loro notevole numero consistente in ben 10.000 unità secondo la testimonianza di Diodoro Siculo.
Con la sua politica era diventato il personaggio politico più importante di tutta la Magna Grecia a tal punto che a lui si rivolsero gli Spartani e gli Ateniesi per richiedere un aiuto in vista dell’imminente invasione della Grecia da parte del re persiano Serse.
Gelone offrì di concedere una flotta di 200 triremi e di 20.000 opliti,  2000 cavalieri, 2000 arcieri e 2000 frombolieri, oltre al rifornimento di grano per tutto l’esercito per tutta la durata della guerra. Un intervento legato ad una condizione:
che gli lasciassero il posto di comando delle operazioni militari panelleniche
o almeno dei soli contingenti navali
 
“Orbene, fintanto che pretendevi di esercitare il comando su tutta la Grecia, noi Ateniesi ne avevamo abbastanza di starcene zitti, ben sapendo che l'ambasciatore di Sparta sarebbe bastato a tutelare l'interesse di ambedue le città. Ma poiché, vedendoti rifiutare il comando supremo, chiedi quello della flotta, ecco come stanno le cose per te: anche se l'inviato di Sparta ti accordasse questo comando, noi non te lo concederemmo di certo. Esso spetta alla nostra città, almeno se gli Spartani non ne vogliono sapere, poiché, se essi vogliono esercitare il supremo potere, noi non ci opponiamo; ma a nessun altro cederemo il comando della flotta. In tal caso, infatti, sarebbe inutile che noi possedessimo la flotta più numerosa dei Greci, se dovessimo cedere la supremazia ai Siracusani, noi che siamo Ateniesi, che rappresentiamo il popolo più antico; che, soli fra i Greci, non abbiamo mai cambiato paese; quando anche il poeta Omero di uno di noi che s'era recato all'assedio di Ilio, dice che era il più valente nel disporre e ordinare un esercito”(Erodoto VII, 161)
 
Gli ambasciatori respinsero la richiesta del tiranno che non intervenne in aiuto delle metropoli impegnate nella seconda guerra persiana.
Nel 480 a.C. sconfisse i cartaginesi ad Imera e la vittoria fece aumentare, quasi a dismisura, il suo prestigio politico.
Molte città greche, fino a quel omento ostili a Gelone, si sottomisero al tiranno.
Dai cartaginesi non pretese onerose indennità di guerre.
Su consiglio della moglie Damarete, durante le trattative di pace pretese che avesse fine la terribile consuetudine di sacrificare i figli maschi primogeniti, giunti al decimo anno d’età, al dio Baal.
I Cartaginesi, non solo accettarono la clausola pretesa dalla regina ma le regalarono una corona d’oro in senso di gratitudine. Con l’oro ricavato dalla fusione della corona, fece coniare una moneta che venne chiamata “Demareteion”.

Damarete o Demarete (Δαμαρέτη o Δημαρέτη)
Figlia di Tirone, tiranno di Agrigento, aveva sposato Gelone,
tiranno di Siracusa.
Damarete di Agrigento (VI secolo a.C.) - La prima donna della storia a protezione dell'Infanzia - Enciclopedia delle Donne (IX parte).

Il bottino di guerra molto corposo, costituito da un gran numero di schiavi e di  ricchezze, gli consentì di abbellire Siracusa con nuovi templi e monumenti. Inviò a Delfi un ricco donativo per la vittoria ottenuta tra cui un tripode aureo ricordato da Diodoro e di cui fu in seguito rinvenuto il basamento.  

I motivi di un trattato così mite con i cartaginesi fu legato al disegno politico di Gelone che volle mantenere nella Sicilia occidentale un  contrappeso politico e militare per impedire al suo alleato Tirone, tiranno di Akragas, di acquisire una maggiore autorità che avrebbe potuto portare dei pericoli a Siracusa. Fallì miseramente il tentativo del tiranno di Messana, Anassilao, di acquisire territori  con la sua alleanza ai cartaginesi e alla fine decise di sottomettersi a Gelone (una figlia di Anassilao (?) sposerà Ierone, fratello di Gelone). Dopo la battaglia di Himera lo stesso Anassilao si recò ad Olimpia dove vinse la gara dei carri tirati dalle mule, una competizione che non ebbe una lunga vita nei giochi successivi. Gelone morì nel 478/477 a.C. e il suo decesso fu causato da idropisia come riferì Plutarco. Una figura che entrò nel mito come un tiranno moderato e giusto  a tal punto che alla sua morte  tutto il popolo siracusano partecipò ai funerali  per poi piangerlo a lungo. Il popolo fece erigere, a sue spese, un mausoleo in suo ricordo, vicino al tempio di Zeus ai Pantanelli, di cui non restò traccia... ebbe in definitiva un culto eroizzato.

Siracusa – Tempio di Zeus con vista su Ortigia
Artista: Henry Tresham  - (Londra ?, 1751 - ?.17 Giugno 1814)
Pittura: Acquarello – Datazione: ?
Dimensioni: (31,8 x 50,5) cm
Collocazione: Yale Center for British Arte, New Haven, Connecticut, USA


Sembra che abbia avuto un figlio di cui non si conosce il nome e che in punto di morte abbia stabilito la successione nel fratello Ierone. Affidò all’altro fratello Polizelo, che
sarebbe diventato signore di Gela, il figlio e la moglie Damarete.

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4.      Gerone I (Ierone) - Sconfisse gli Etruschi a Cuma

Gerone vittorioso ad Olimpia
Artista: James Barry (1741 – 1806)
Datazione: 1777/1784
Pittura: olio su tela

Ierone o Gerone I entrò subito in contrasto con il fratello Polizelo. Alla base del contrasto, sebbene il fratello fosse alla guida della città di Gela, la benevolenza del popolo verso il tiranno geloo. Per questo motivo Ierone non solo creò quella che potremo definire come una specie di “polizia segreta”  ma inviò il fratello a soccorrere degli esuli di Sibary in conflitto con i Crotoniati. Una mossa molto astuta perché sperava di eliminare definitivamente lo scomodo fratello.
Siracusa era ormai diventata una vera e propria potenza ed interveniva con decisione anche nelle questioni della Magna Grecia. Polizelo comunque adempì all’incarico con successo e al suo ritorno anziché dirigersi verso Siracusa per incontrare il fratello Ierone, proseguì per Akragas per incontrare il tiranno Terone, suo suocero.
Polizelo aveva infatti sposato la vedova di suo fratello Gelone, Damarete.
Solo l’intervento del poeta Simonide di Ceo, che tratterò nella prossima ricerca, servì a scongiurare un conflitto con Ierone che non vide di buon auspicio quell’incontro.
 La situazione politica della polis di Imera inasprì i rapporti fra Gerone e i due tiranni.
La città era controllata da Trasideo, figlio di Terone,  e  la polis si rivolse a Gerone per liberarsi del tiranno.
Il tiranno di Siracusa capì che era il momento favorevole per risolvere la questione con Tirone e denunciò la ribellione imerese. La repressione fu durissima.. la strage fu certamente di grande proporzioni se i tiranni furono costretti a immettere successivamente nella città altri coloni.

Himera – tempio della Vittoria


L’intesa tra Terone e Gerone determinò la conferma dell’insediamento di Polizelo a Gela, così come aveva stabilito in premortis Gelone.
Polizelo fu ricordato in una dedica delfica come
Γέλας ἀνάσσων (Ghelas anasson)
cioè come “Signore di Gela” anche se la città ormai aveva perduto la sua forte supremazia nell’isola.
Probabilmente i rapporti fra  Gerone e Polizelo non furono mai basati sulla cordialità fraterna e lo stesso Polizelo cercò sempre di stare vicino al suocero Terone. D’altra parte in questo periodo  si verificarono dei matrimoni che potremo definire politici:
Terone sposò una figlia di Polizelo e Gerone, tiranno di Siracusa, una nipote di Terone.
Non dimentichiamoci che Polizelo aveva a sua volta sposato una figlia di Terone, la vedova di Gelone, per cui i due erano nello stesso momento suocero e genero dell’altro.
Gerone intervenne nella contesa tra Anassilao , tiranno di Reggio, e i Locresi. Il tiranno di Siracusa mandò il cognato Cromio per far desistere Anassilao dallo scontro.  La trattiva si concluse pacificamente e i Locresi furono riconoscenti verso Gerone.
Leontini e Brikinnia , anche se non citate nella ricerca, erano soggette all’autorità siracusana. Infatti intorno al 476 a.C. Ierone deportò  nei due centri gli abitanti di Naxos (Nasso) e di Katana.
Si trattava di un intenso programma di redistribuzione demografica che venne attestato da Diodoro Siculo:
«Ierone, dopo aver cacciato dalle loro città i Nassii e i Catanesi, vi inviò propri coloni, raccolti cinquemila dal Peloponneso e altrettanti da Siracusa. Catania la ribattezzò in Áitna e assegnò in lotti non solo il suo territorio, ma anche molto di quello limitrofo [...] sia perché voleva disporre [...] di una forza di intervento pronta e numerosa, sia perché mirava a ottenere onori eroici da una città di diecimila abitanti. Trasferì poi in Lentini i Nassii e i Catanesi scacciati dalle loro città, obbligandoli a coabitare con gli indigeni”.
 Un operazione che fu favorita da una forte eruzione dell’Etna che venne citata anche da Pindaro ed Eschilo.
L’eruzione sarebbe legata a Monte Arso nel territorio di Ragalna.

Monte Arso


Una quercia secolare vicino Monte Arso

Il ripopolamento definì tre centri del dominio del regno di Gerone:

-          La capitale Siracusa;
-          Leontini dove i calcidesi erano attentamente controllati dato che vi risiedano anche dei mercenari
-          Aitna, sarebbe l’antica Katane ribattezzata e dove risiedevano  dei mercenari.

Al figlio di Gerone, Dinomene, secondo Pindaro,  fu attribuito il titolo di re di Aitna.
Gerone partecipò nel 476 a.C. all’Olimpiade in un clima di forti tensioni.  L’ateniese Temistocle approfittò dell’evento sportivo per scagliarsi contro il tiranno di Siracusa con l’accusa di aver negato il soccorso alla madre patria durante le guerre contro i Persiani.
Gerone non reagì e alla fine vinse anche la corsa dei cavalli.
In onore della vittoria Gerone lasciò scolpita un iscrizione alla base del tempio di Apollo a Delfi.
Siracusa era ormai una capitale della Magna Grecia a cui si rivolgevano le varie polis nei momenti difficili della loro vita politica e sociale e in cui riconoscono una forte autorità e prestigio. (Paestum, l’antica Poseidona,  figura anche tra le alleate di Siracusa).
L’influenza politica di Gerone risalì lungo la penisola e nel 474/473 a.C. si schierò a fianco dei Cumani contro gli Etruschi.

Sito Archeologico di Cuma – (Pozzuoli – Napoli)

L’antro della Sibilla cumana

Gli Etruschi erano responsabili di saccheggi contro le cole colonie della Magna Grecia e avevano anche conquistato le Isole Eolie.
Tito Livio affermava che
«[...] l'Etruria avesse una tale disponibilità di mezzi da raggiungere con la sua fama non solo la terra ma anche il mare per tutta l'estensione dell'Italia, dalle Alpi allo stretto di Sicilia ... (Tito LivioAb Urbe condita libri, I, 2.)
 Cuma chiese aiuto a Gerone ed il tiranno riportò un importantissima vittoria (Capo Miseno) che determinerà l’inizio di un inesorabile declino della civiltà etrusca.

Capo Miseno – Bacoli (Napoli)



Nel 472/471 a.C. mori Terone, il tirano di Agrigento, e gli successe il figlio Trasideo che subito si fece promotore di una politica contraria a Siracusa. Ingaggiò molti mercenari  e nello stesso tempo spronò Imera alla ribellione contro il dominio siracusano. Gerone, malgrado la sua malattia e anche la stanchezza dovuta ai numerosi conflitti, riuscì a sconfiggere l’agrigentino facendogli perdere il regno di Gela.

La “Tomba di Terone” si trova a poca distanza dal tempio di Ercole.
Si tratta di un edificio funerario di stile dorico-ionico.
La parte centrale è massiccia, false finestre; il fregio con i triglifi appartengono
allo stile dorico mentre le quattro eleganti colonne angolari, con plinto e volute, appartengono allo stile ionico. In origine doveva avere una possibile copertura
a cuspide. Per tanto tempo la fantasia popolare ha tramandato come in
questo monumento funerario fosse sepolto  il grande e generoso tiranno
di Agrigento, Tirone, o almeno il suo cavallo con cui vinse nei giochi
olimpici del 470 a.C.  Questa antica tradizione nacque durante le visite nella
Sicilia dei viaggiatori del Grand Tour. Infatti il monumento apparteneva alla
necropoli romana, nota come “necropoli Giambertoni” ed il monumento sarebbe
da collocare tra la fine del (III secolo – inizio II secolo)a.C., quindi periodo
ellenistico-romano. Terone morì invece verso la metà del V secolo a.C. 

(Autore: Domenico Lo Faso Pietrasanta (1773 – 1863)
Duca di Serradifalco – “La Antichità della Sicilia” – Vol. III – Pa. 1836

Agrigento: tomba di Terone.
Xilografia di Giuseppe Barberis – Datazione: 1890

La sua statua che era stata scolpita in suo onore, cadde nel giorno in cui morì. Si tramanda come venne sepolto in Aitna ma la città non sopravviverò a lungo, dopo la morte di Gerone i calcidesi tornarono e cacciarono i coloni di Aitna che si rifugiarono ad Inessa.  Ad Aitna venne di conseguenza restituito l’antico ed originario nome di Katane mentre Inessa venne ribattezza “Aitna”. Il monumento funebre che era stato dedicato a Gerone venne distrutto.
Non bisogna dimenticare che alla corte di Gerone trovarono grande ospitalità Eschilo, Pindaro, Simonide, ecc.....

.....................

5.      I Tripodi d’oro di Gelone e Gerone I nel Santuario d’Apollo a Delfi

Dopo la vittoriosa battaglia d’Imera del 480 a.C. contro i Punici, Gelone mandò in dono a Delfi
un  ricco donativo per la vittoria conseguita tra cui un tripode aureo che fu ricordato da 
Diodoro Siculo e di cui è pervenuto il basamento. Una notizia o fonte che tanto fastidio ha dato 
alla storiografia forse perché esaltava il Regno di Siracusa e, in secondo luogo, la storia gloriosa del 
Regno di Sicilia. Molti storici definirono la  citazione di Diodoro come

Una pura finzione fatta dagli autori ellenici per esaltare la gloria del tiranno
 Lo storico dovrebbe seguire determinare regole che sembrano essersi perdute nel tempo:
-          L’obiettività, una parola difficile da comprendere;
-           Lo studio scrupoloso delle fonti;
-          Le cause degli avvenimenti;
-          Concentrarsi su fatti reali.
L’imparzialità è forse l’obiettivo più difficile da raggiungere perché lo storico spesso non riesce a stare lontano dai suoi sentimenti e anche dalle proprie “simpatie”.
Lo storico dovrebbe fornire un giudizio su ciò che narra, ed è giusto, ma senza parzialità 
Le fonti dovrebbero essere rispettate e adoperare aggettivi come “forse, probabilmente” se non si è 
sicuri delle stesse fonti.
La Storia del Regno di Sicilia dà fastidio a molta gente perché rivela aspetti di grandezza che sono 
stati cancellati volutamente per giustificare certi comportamenti di dominio.
Molti storici, nel loro atteggiamento presuntuoso, mi hanno accusato di “copiare”. È vero... le mie 
ricerche si basano su collegamenti a biblioteche sparse nel mondo, traduzioni di testi, ricerche nel 
mio archivio digitale che ha occupato moltissimi attimi della mia vita,  che mi permettono 
d’inquadrare e raccontare il fatto storico. Sarà poi un eventuale lettore a fare ulteriori ricerche  per   
esporre  con maggiori certezze l’argomento. Il mio vuole essere solo un piccolo e modesto aiuto
alla ricerca facendo in modo da offrire al lettore quante più fonti possibili sull’argomento.

Il donario destinato a sorreggere i tripodi d’oro di Gelone e di Gerone (Ierone), tiranni di 
Siracusa tra il 485 ed il 467 a.C., è uno dei monumenti più importanti del Santuario di Delfi.  
Il monumento fu scoperto dall’archeologo Paul Perdritez tra il 22 ed il 26 maggio 1894.

Delfi

Delfi – Santuario di Apollo

Emile Frederic Paul Perdrizet
(Montbèliard, 22 luglio 1870 – Nancy, 4 giugno 1938)
Archeologo, ellenista e medievalista francese

Paul Perdrizet e i suoi compagni davanti ai propilei dell’acropoli di Atene
Da sinistra a destra: Lucile Perdrizet, Mme Vallerian,
Gonzague Vallerian (Ufficiale dell’Intelligence), Paul Perdrizet e Albert Gabriel
La foto fu scattata durante una sosta nel viaggio che li doveva portare
a Beirut nell’agosto del 1924.

una cartolina mandata dall'archeologo durante una campagna di scavi 

Il monumento si trova nell’area posta immediatamente ad Est della facciata del tempio ed 
alla  sommità della Via Sacra. Una scelta del luogo molto importante per l’erezione del 
duplice podio che doveva catalizzare l’attenzione di visitatori del santuario anche solo per il 
metallo prezioso con cui erano stati creati i due tripodi.


Pianta del Tempio di Apollo con i due tripodi

I tripodi scomparvero, assieme a tutte le altre offerte in metalli prezioso, quando furono fuse 
dai Focidesi nel corso della terza guerra sacra e per fortuna rimasero intatte le basi che 
contengono delle iscrizioni. L’iscrizione sulla faccia anteriore del monumento, del tripode di 
Gelone, fu definita 
                                    la plus belle inscription qu’on ait dècouverte à Delphes

gli storici sono serviti…. e i tripodi dei due tiranni hanno avuto sempre una grande 
tradizione letteraria storica costituita non solo dalla testimonianza di Diodoro Siculo ma anche di 
Baccalide, dei passi di Fania e Teopompo e da diverse coppie di epigrammi di difficile 
interpretazione, uno dei quali attribuito a Simonide. Un particolare studio fu eseguito sulle dediche 
siracusane in riferimento alla battaglia di Himera per la dedica sul tripode di Gelone e nella 
battaglia di Cuma, contro gli Etruschi, per il tripode di Gerone.

Il n. 1 e il n.2 sono le basi dei tripodi di Gerone e Gelone
Disposti a Nord dell’altare del tempio.

La base dei due tripodi vista da Ovest

la base dei tripodi di Gelone e di Gerone, viste da Sud



Pianta ed elevato del donario dei due tiranni che discendevano da Dinomene di Gela

Il  tripode di Gelone porta la seguente iscrizione:


Il plinto del tripode di Gerone porta invece un epigrafe frammentaria:


In base all’esame delle facce superiori dei plinti, anche se quella del plinto di Gerone è 
danneggiata,  si ipotizzò che i tripodi dei due tiranni si dovevano elevare al di sopra di due colonne, 
in modo simile ad altri ex voto esposti nei santuari greci anche in base alle testimonianze di varie 
rappresentazioni vascolari del V secolo a.C.
Le colonne che sostenevano i due tripodi erano di bronzo come quella del monumentale tripode di 
Platea   che  era presente sempre nel santuario di Delfi. Ciò che rimane di questo famoso tripode si 
trova oggi ad Istanbul.
Le colonne  che sostenevano i tripodi dei due tiranni di Siracusa non solo dovevano essere di rame 
ma presentavano anche loro un aspetto tortile. La committenza  ordinò che dovevano essere simili 
alla famosa colonna che celebrava la vittoria dei Greci a Platea sui Persiani.

Tripode di Platea

In merito al tripode di Gelone, Diodoro Siculo affermò che dopo la sua vittoria sui Cartaginesi a 
Himera, utilizzò il ricco bottino e l’indennità di guerra (corrisposta dagli sconfitti) per erigere in 
Sicilia templi a Demetra e Kore mentre inviò al santuario di Apollo a Delfi un tripode d’oro di 
sedici talenti. Questa notizia trovò riscontro in Ateneo che, citando Teopompo e Fania di Ereso 
ricordò che dopo Gige  e Creso  (entrambi sovrani della Lidia), Gelone e Gerone sarebbero stati i 
primi ad offrire donativi in oro al santuario di Delfi.
Gelone, in particolare, avrebbe dedicato un tripode ed una Nike

                                   “al tempo in cui Serse muoveva contro la Grecia”.

 “Costoro (Fania di Ereso e Teopompo) raccontano che il tempio fu abbellito
(con offerte auree) da Gige, e dopo di lui da Creso, e dopo costoro da
Gelone e Ierone (Gerone), sicelioti, poiché il primo dedicò un tripode e una
Nike fatti d’oro, al tempo in cui Serse fece una spedizione contro la
Grecia, e Ierone fece lo stesso”

Il fratello Gerone (Ierone) lo avrebbe imitato  dedicando la stessa cosa.
Ateneo aggiunse che la dedica di Gerone sarebbe stata realizzata con notevole ritardo, per 
l’impossibilità di reperire in Grecia l’oro necessario per la realizzazione del tripode.
Ateneo riportò, secondo il racconto di Teopompo, come il tiranno Gerone si trovasse sprovvisto del 
metallo (oro) necessario per realizzare la sua offerta. Avrebbe cercato di procacciarselo inviando 
messi in giro per la Grecia. Questi trovarono l’oro presso un mercante corinzio, Architele, che era 
riuscito ad accumulare ingente ricchezze nel corso degli anni e che offrì loro, oltre all’ammontare 
richiesto, una quantità di metallo pari a quella che la sua mano potesse contenere.
Gerone pagò il proprio acquisto inviando una nave corinzia carica d’orzo e di ricchi doni.
I due tripodi si trovano quindi nel cuore del santuario di Delfi e quello di Gelone contiene 
addirittura anche la firma dell’artista, un certo Bione che dichiara di aver realizzato “il Tripode e la 
Nike”.
Il nome Bione contraddistingue diversi scultori greci che operarono nella seconda età del VI 
secolo  o agli inizi del V secolo a.C.
Il primo fu Clazomene o Chi, il secondo Bione di Mileto e il terzo da identificarsi con un artista che 
operò ad Atene.
Non si sa se la base fu pensata sin dall’inizio per reggere entrambe le offerte dei due tiranni e se 
Gerone abbia modificato il basamento per accogliere il suo tripode.

TESTO DELLA DEDICA DI GELONE

Il testo si divide in due parti:
testo A :  dedica votiva privata
testo B : epigrafe dell’artista cioè la sua firma.
 
TESTO (A)
Struttura del testo: prosa epigrafica;
Tecnica: Incisione
Alfabeto: delle colonie Doriche di Sicilia;
Lettere Particolari:


Misura Lettere : 4,7
Interlinea: 3
Particolarità Paleografiche: -
Andamento : progressivo
Lingua: Dorico di Sicilia, varietà di Selinunte

Gelone  figlio di Dinomene, il siracusano, dedicò ad Apollo

TESTO (B)
Struttura del testo: Prosa Epigrafica
Tecnica: Incisa
Alfabeto Regionale: della Focide
Lettere Particolari:
Misura Lettere: 4
Interlinea: 3,5 – Tra i due testi, interlinea: 6,7
Particolarità Paleografiche: segno divisore costituito da tre punti sovrapposti  
Andamento: Progressivo
 Lingua: Greco Nord-occidentale, varietà di Focide

Il tripode e la Nike li fece Bione, figlio di Diodoro, milesio

Gelone fece anche costruire a Delfi un grandioso tempio di Demetra e Core.
Due epigrammi, di cui fu messa in dubbio la paternità di Simonide di Ceo, ricordarono
un’altra offerta di tripodi da parte di Gelone e Gerone, a nome di ciascuno dei quattro figli di 
Dinomene (non solo quindi di Gerone e Gelone, ma anche di Polizelo e Trasibulo).
Polizelo fu citato negli “scholia” di Pindaro..

Io dico che Gelone, Ierone, Polizelo, Trasibulo figli di Dinomene
posero i tripodi vinte le genti barbare, e che offrirono un grande
soccorso ai Greci per la libertà.

Altre fonti (Antologia Palatina - ?) citò come
Io dico che Gelone, Ierone, Polizelo, Trasibulo figli di
Dinomene, dedicarono il tripode di 100 litre e 50 talenti di
darici d’oro, offerta della decima.

Il monumento delfico avrebbe compreso tre o anche quattro basi di tripodi e si avanzò l’ipotesi nel 
riconoscimento in altri basi trovate nell’area circostante. Comunque fino ad oggi non ci sono segni 
chiari sull’esistenza di questi altri tripodi.
I tripodi di Gelone e di Gerone, così come eventualmente gli altri quattro, furono fusi durante 
la guerra sacra nel 356 – 346 a.C.
Circa l’effettiva dimensione e valore dell’offerta in oro dovrebbero essere ricavate sia da quel 
che resta dell’iscrizione alla base del tripode di Gerone che dalle fonte letterarie.
Le due offerte furono pensate per apparire il più possibile uguali, le “undici mine” leggibili 
nell’iscrizione devono essere i decimali di una cifra certamente più elevata, variamente 
interpreta come indicante il peso in oro o piuttosto, secondo un uso diffuso, il valore espresso 
in talenti d’argento. Un talento dovrebbe essere uguale a circa 26 kg d’argento. (Un talento ed 
undici mine dovrebbero corrispondere, in argento, ad un peso di circa 27,9 kg).
 Non si sa se la base su cui poggiavano i tripodi di Gelone e di Gerone sia stata costruita nello 
stesso periodo dato che le due strutture subirono dei rimaneggiamenti.
Un monumento progettato e costruito sin dall’inizio per sostenere le due offerte o se 
all’offerta di Gelone si sia aggiunta successivamente quella del fratello Gerone.
Sia l’iscrizione che anche la particolare struttura della base, non permettono di dare delle 
risposte precise.
Il testo dell’epigrafe di Gelone è semplice dato che appare con il solo patronimico ed etnico 
senza alcun riferimento alla carica ricoperta al momento della creazione del monumento e 
senza alcun cenno sul motivo dell’offerta.
Il monumento fu posto in un luogo caratterizzato da una grande frequentazione e visibilità ed 
era costruito con materiale molto pregiato. Aveva quindi un obiettivo ben preciso:
diffondere e tramandare ai posteri la fama della loro potenza.
Per questo motivo il monumento potrebbe avere una suo significato a secondo del periodo a 
cui si fa riferimento la costruzione del monumento.
Infatti alcuni storici  affermarono che le dediche, di Gelone e di Gerone, siano nate senza 
alcun collegamento con vittorie militari ma solo con l’obiettivo di celebrare l’importanza 
politica dei due tiranni e, in collegamento, la fama raggiunta dai figli di Dinomene.
La presenza della Nike potrebbe essere indicativa perché celebrava la vittoria mentre il 
tripode metteva in risalto la fama dei Dinomenidi.
Altri storici collegherebbero il monumento alla prestigiosa vittoria riportata da Gelone sui 
cartaginesi nel 480 a.C. ad Imera. Le fonti citarono nell’impresa il solo Gelone e non si sa se il 
fratello Gerone vi abbia partecipato o meno.
Ad una prima dedica di Gelone, Gerone in seguito aggiunse la propria che fu altresì dettata 
da un ‘altra prestigiosa vittoria ottenuta sugli Etruschi a Cuma nel 474 a.C.
 Diodoro Siculo riportò la perfetta coincidenza temporale tra lo scontro vittorioso di Gelone 
ad Imera e la gloriosa sconfitta delle polis greche alle Termopili.

(La battaglia delle Termopili (ἡ ἐν Θερμοπύλαις μάχη) fu combattuta tra un’alleanza di
poleis greche, guidata dal re di Sparta Leonida I contro l’impero persiano di Serse I. Lo scontro 
avvenne il (19/21 agosto o 8/10 settembre) 480 a.C. e fu una vittoria dei Persiani anche se in realtà 
le perdite furono così ingenti  che fu definita “vittoria pirrica”).
Lo stesso Diodoro suggerì nel suo racconto, l’esistenza di una precisa volontà divina per una tale 
miracolosa contemporaneità:

Accadde che nello stesso giorno Gelone riportasse la vittoria, e gli uomini di
Leonida combattessero alle Termopili contro Serse, come se un dio
avesse voluto riunire nello stesso momento la più bella vittoria, e
la più gloriosa sconfitta

Ma lo stesso Diodoro riportò anche un paragone tra la stessa vittoria di Imera e quella
di Platea mettendo in risalto “l’ingegno” sia di Gelone che di Temistocle.
(La battaglia di Platea fu combattuta il 20 agosto 479 a.C. tra un’alleanza di città greche, tra cui 
Sparta, Atene, Corinto e Megara e l’impero persiano di Serse I. I greci riportarono un importante 
vittoria che decretò la fine della seconda guerra persiana)
In base a queste considerazioni l’erezione dei monumento di Delfi potrebbe quindi essere legato a 
questi eventi storici e precisamente:
Gelone costruì il monumento all’indomani della sua vittoria di Imera e primo del successo dei 
Greci a Platea nell’estate del 479 ?
Un edificazione voluta dal tiranno di Siracusa prima che la notizia della vittoria greca raggiungesse 
le terre d’occidente e in questo caso il monumento avrebbe avuto come rivali, per imponenza e 
ricchezza, solo il dono aureo offerto da Creso.
Se invece fu costruito dopo la celebrazione della vittoria di Platea, venne eretto un tripode a ricordo 
della vittoria, in questo caso Gelone volle rivaleggiare con gli stessi greci dando al monumento un 
aspetto di ricchezza e facendo poggiare il tripode  su una colonna così come quello eretto in 
commemorazione di Platea.
In ogni caso i due tripodi, quello di Gelone e quello di Platea, avevano per i Greci un altissimo 
valore simbolico perché esprimevano la vittoria  della Grecità sulle barbarie.
In questo caso, per l’affermazione della Grecità, Gelone potrebbe aver assunto un atteggiamento di 
discolpa come a voler chiedere scusa ai Greci per il suo mancato appoggio militare alle guerre 
persiane ma in fin dei conti stava anche lui difendendo la medesima causa.... la difesa 
dell’Ellenikon.
Sono solo delle ipotesi e resta  la visione di un monumento, nei suoi resti, e  l’iscrizione che fu 
definita come una delle più belle dell’antichità
Nella dedica di Gerone (Ierone) anche se gravemente danneggiata, si potrebbero attribuire con 
chiarezza delle strategie di autorappresentanza volte a creare l’esistenza di un legame tra le imprese 
occidentali contro i Cartaginesi, e successivamente contro gli Etruschi, e le vittorie greche su 
Persiani. Anche in questo caso non è dall’iscrizione che si possono ricavare delle chiare indicazioni.
Probabilmente il tripode di Gerone fu innalzato successivamente a quello del fratello.
Abbiamo visto come Gerone ebbe delle difficoltà a reperire l’oro per il tripode ed è probabile 
ipotizzare come lo stesso tripode abbia voluto celebrare le sue vittorie agonistiche.
Certo le vittorie di Gerone non furono inferiori a quello del fratello Gelone. Non solo sconfisse i 
cartaginesi ma addirittura risalì la penisola italica sconfiggendo gli Etruschi “Padroni del Tirreno” a 
Cuma e non solo... si spinse anche nell’isola d’Elba  dove addirittura istituì dei presidi fortificati.
Il suo tripode potrebbe anche essere visto anch’esso come un’esaltazione della Grecità sia “sicula” 
che “ellenica”.
In merito i versi di Pindaro che unì le vittorie di Ierone e della sua famiglia con quelle dei Greci 
contro i Persiani...

Ti supplico, Cronide, che nelle case tranquillo si tenga il grido di
guerra fenicio e dei Tirreni, che vide il furore piangere innanzi a Cuma
le navi, piaghe ch’essi patirono dal monarca siracusano domati:
dai navigli veloci scagliava egli i loro giovani in mare, trappando
da grave schiavitù l’Ellade. Da Salamina trarrò degli Ateniesi il premio
e a Sparta delle battaglie innanzi al Citerone, che travolsero i Medi
dagli archi ricurvi, compiendo alla spiaggia d’Imera dalla bella
corrente l’inno al figlio di Dinomene, tributo alla virtù che travaglia i nemici.

Gerone con il suo forte orgoglio, era molto legato alle sue vittorie e a quelle greche a tal punto da 
invitare nella sua corte di Siracusa il drammaturgo Eschilo per rappresentare i “Persiani”.
Il motivo per cui la storiografia guardò con maggiore attenzione alla figura di Gelone fu legato non 
solo al carattere del tiranno di Siracusa, più modesto rispetto a Gerone; ma anche alle future 
vicende politiche di Siracusa.
Con Dionigi si guarderà con ammirazione alla figura di Gelone, come quella di un buon sovrano e 
di un grande eroe mentre meno fortunato fu il ricordo di Gerone.
Alla base di queste risultanze  è difficile poter dire in quale contesto storico siano nate le due 
iscrizione anche se  in realtà quella di Gelone sembrebbe una dedica  ed un esaltazione del proprio 
casato.
Restano le immagini di una grande Siracusa e di una Sicilia che esprimono la loro bellezza, la loro 
grande storia,  solcando i mari e arrivando in Grecia a Delfi.
Nel santuario di Apollo, sede del più importante oracolo del mondo greco, c’è un immagine 
importante di questa Terra che non finisce mai di stupire per la sua grande civiltà e le sue 
testimonianze archeologiche....

..............................

6.      Ma com’era il Tripode ?
Il Tripode di Metaponto

“Conosci te stesso”

Era la massima incisa sull’architrave del tempio di Apollo a Delfi all’interno del quale ardeva la 
“fiamma eterna”. Un invito da parte del dio affinchè l’uomo riconoscesse i suoi limiti di essere 
mortale ma anche, e soprattutto – come avrebbe scritto Platone nell’Alcibiade Maggiore – il monito 
a guardare il divino che è in noi per ritrovare quel Bene al quale è legata la natura più profonda 
dell’esistenza umana e del mondo.
Un Bene che è inscindibile dal Bello, entrambi alimenti vitali di una natura giunta alla 
realizzazione piena della propria essenza. Una sintesi, quella fra etica e bellezza, che ha il suo 
simbolo più elevato in Apollo, al tempo stesso sapiente, apportatore di ordine e musico, laddove la 
musica è a sua volta emblema di ogni ordine e dell’equilibrio del saggio.
Secondo il mito, fu proprio Apollo ad eleggere i più grandi saggi dell’antichità individuandone 7, numero a lui sacro, e fu il suo oracolo di Delfi a stabilire che un tripode d’oro rinvenuto in mare durante la pesca andasse al più saggio di loro: venne assegnato a Talete di Mileto che, nella sua estrema umiltà, decise di offrirlo ad un altro dei Saggi; ma nemmeno questi si ritenne degno del prezioso omaggio, per cui il tripode passò dall’uno all’altro venendo alla fine consacrato ad Apollo, unico e vero maestro di saggezzaIl tripode divenne così simbolo di Apollo.
 Platone fu il primo a enumerare i sette savi (nel Protagora):

Di questi vi era Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene e per settimo si diceva ci fosse anche Chilone spartano 

Τούτων ἦν καὶ Θαλῆς ὁ Μιλήσιος καὶ Πιττακὸς ὁ Μυτιληναῖος καὶ Βίας ὁ Πριηνεὺς καὶ Σόλων ὁ ἡμέτερος καὶ Κλεόβουλος ὁ Λίνδιος καὶ Μύσων ὁ Χηνεύς, καὶ ἕβδομος ἐν τούτοις ἐλέγετο Λακεδαιμόνιος Χίλων

Secondo Platone, quindi oltre ai quattro citati Biante, Pittaco, Solone e Talete la lista si componeva 
di Cleobulo di Lindo, Chilone di Sparta, Misone di Chene. Si hanno dei dubbi se la lista  sia 
originale di Platone, o se piuttosto egli non si basi su una tradizione popolare del sesto o dell'inizio 
del V secolo a.C. Secondo un'altra ipotesi, risalente già all'antichità, Platone stesso avrebbe 
sostituito Misone a Periandro, poiché quest'ultimo sarebbe stato odiato a causa della sua tirannia.
Diogene Laerzio scrisse una lista forse nata da successive rielaborazioni:

Questi erano ritenuti i (sette) saggi: Talete, Solone, Periandro, Cleobulo, Chilone, Biante, Pittaco. A questi aggiungono Anacarsi lo scita, Misone di Chene, Ferecide di Siro, Epimenide il Cretese. E alcuni anche Pisistrato il tiranno

Σοφοὶ δὲ ἐνομίζοντο οἵδε Θαλῆς, Σόλων, Περίανδρος, Κλεόβουλος, Χείλων, Βίας, Πίττακος. Τούτοις προσαριθμοῦσιν Ἀνάχαρσιν τὸν Σκύθην, Μύσωνα τὸν Χηνέα, Φερεκύδην τόν Σύριον, Ἐπιμενίδην τὸν Κρῆτα. ἔνιοι δὲ καὶ Πεισίστρατον τὸν τύραννον

(Vite di Filosofi)

Se l'origine documentaria storica dell'elenco dei sette savi rimase quantomeno incerta, già in epoca 
classica circolavano diverse narrazioni leggendarie relative alla prima redazione dell'elenco stesso, 
in seguito raccolte da Diogene Laerzio nelle sue Vite. Elemento comune a esse era comunque il 
tripode sacro ad Apollo.
A Metaponto antica colonia ( Μεταπόντιον ) fondata nel 773 a.C.(?)  dai greci dell’Acaia, Achei del 
Peloponneso con il concorso di altre genti: Beoti, Focesi, Acarnani. La città fu alleata di Sibari e 
nei primi tempi anche di Crotone e fu considerata come un avamposto per proteggersi 
dall’espansione di Taranto.
Le antiche fonti riportano come Metaponto sarebbe stata fondata dall’eroe greco Nestore di ritorno 
dalla guerra di Troia. Vi sarebbero state due Metaponto; una, risalente al periodo di Nestore e 
l’altra legata alla fondazione degli Achei.
Metaponto si trova nel comune di Bernalda, provincia di Matera, e il suo sito archeologico presenta 
un fascino per la sua atmosfera magica soprattutto al tramonto.

Metaponto – Il tempio di Hera

Il Teatro Greco


Nell’area archeologica di Metaponto fu recuperato un tripode che si trova.......all’Ates 
Museum di Berlino assieme alla bellissima, famosa e contesa Persefone.....
Antichissime e prestigiose testimonianze perdute.........
Probabilmente il tripode fu recuperato durante gli scavi eseguiti da Poalo Orsi che fu addirittura 
accusato di aver favorito l’esportazione di alcuni reperti... una vicenda assurda che si prolungò per 
anni senza giungere ad una conclusione... i reperti restarono in terra straniera.....
Fa rabbia vedere sparire dal questo martoriato e dimenticato Sud anche pagine della sua storia... e 
poi qualcuno, con troppa facilità perché forse colpito da demenza senile, riesce ancora a 
pronunciare frasi di “unità e solidarietà nazionale”, quando non si ha rispetto né dell’ambiente che 
delle persone...
Il tripode di Metaponto fu realizzato in bronzo e risalirebbe al VI secolo a.C..... si tratterebbe di uno 
dei pochissimi esemplari antichi di tripode ad essere giunto intero fino ai nostri giorni.


Tripode di Metaponto del VI secolo a.C.

Presenta una ricca e complessa decorazione arcaica con raffigurazioni di leoni e serpenti  nella 
parte inferiore; da buoi, palmette e boccioli di loro nella parte mediana; da leoni accovacciati e 
protomi di cavallo in quella superiore.
Ciascuno dei piedi del tripode termina a forma di zampa leonina.
Naturalmente i commenti degli archeologi e degli studiosi creano molta rabbia perché ci 
permettono di essere in presenza di un reperto archeologico unico e di valore storico inestimabile..
Secondo la studiosa Maria Angela Tolazzi nel suo “Arte Svelata”, l’esuberanza decorativa di 
questo affascinante reperto lo renderebbe
“attribuibile ad una fabbrica tarantina”, oltre a dimostrare “la grande vitalità artistica di questi territori, espressa in una vivace interpretazione dei modelli figurativi e stilistici della madrepatria”. 




Esemplari simili furono ritrovati a Cipro, nelle isole greche e in centri costieri dell’Asia Minore.
Nell’antichità il tripode era un sostegno che sorreggeva il lebete, recipiente col quale si scaldavano 
vivande sul fuoco, ma anche un oggetto votivo o un omaggio per ospiti e atleti vittoriosi. Omero lo 
riportò come simbolo di ospitalità e di elogio per i vincitori negli agoni sportivi, e in Esiodo come 
premio in quelli poetici. Erodoto raccontò invece di tripodi finemente decorati o recanti iscrizioni, 
destinati ad offerte dedicatorie agli dei anche fuori da contesti competitivi. Ma il tripode più 
famoso era senza dubbio quello sul quale sedeva la Pizia, la leggendaria sacerdotessa di Apollo 
che, circondata dai misteriosi vapori provenienti da una fenditura nel terreno, pronunciava i suoi 
responsi oracolari nel santuario di Delfi.
In Magna Grecia il tripode delfico fu uno dei simboli più ricorrenti nella monetazione di Crotone, 
ma lo si ritrova anche in quella di Metaponto, città devota al dio come racconta Strabone nel I° sec. 
a.C. rievocando la fondazione mitica della città della Magna Grecia: 
“Questa città si dice sia stata fondata da un gruppo di greci, originari della città
 di Pilos, cioè da quelli che sotto la guida di Nestore tornarono da Troia con le navi. 
Si reputa che essi siano stati i primi a coltivare il territorio, 
ed è per questo che essi hanno dedicato a Delfi l’intera messe estiva, di colore oro splendente…
E se il frumento metapontino prendeva il mare per raggiungere l’isola sacra, anche le sue spighe si 
trasformarono in emblema della città impresso sulle monete. Ma il legame forse più misterioso fra 
Metaponto e il culto di Apollo passa attraverso la figura di Pitagora, il grande filosofo di Samo che 
per la vastità della sua sapienza fu detto ‘Figlio di Apollo’ e nella città sullo Jonio visse e operò
fino alla morte fondandovi una delle sue scuole.

Moneta di Metaponto

(Rinvenimento: Capo Colonna, area del tempio di Hera; 1930)
Dritto: Tripode delfico, a destra airone
Rovescio: Spiga di grano, a destra tracce di leggenda MET
Diametro: mm 15 – Peso 3,50 gr
 
Mel Museo Archeologico Regionale di Palermo
Dovrebbe trovarsi una lekythos a figure nere risalente al VI – V secolo a.C.
Raffigura una contesa tra Eracle ed Apollo per un tripode.


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7. L’Auriga di Gerone


L’Auriga di Delfi è considerato uno dei più antichi bronzi che ci siano pervenuti.  
È alta 1,80 m, come detto di bronzo, e fu ritrovata nel 1896 durante gli scavi eseguiti nel
Santuario d’Apollo a Delfi. La statua si trova nel Museo di Delfi. 
Insieme alla statua dell’Auriga, furono rinvenuti dei frammenti che fecero avanzare
l’ipotesi che la bellissima figura facesse parte di un gruppo scultoreo comprendente 
un carro, i cavalli e forse uno o due schiavi.
Furono infatti trovati dei frammenti: il braccio di uno scudiero, parti dell’assale, d3el giogo e del 
timone del cocchio e frammenti delle zampe dei cavalli.

Auriga  Ricostruzione grafica

Secondo alcune ipotesi, accanto all’Auriga doveva trovarsi un altro personaggio
che era portato in parata dall’atleta. Il gruppo statuario, infatti , raffigurava probabilmente 
la sfilata di un auriga vincitore ai Giochi  Pitici che si svolgevano
a Delfi ogni quattro anni.
L’Auriga, come abbiamo visto è a grandezza naturale, è mutilo del braccio sinistro, andato 
perduto, mentre nella mano destra stringe ancora un frammento delle redini. Indossa una 
lunga veste pesante, stretta nella vita, che copre interamente la figura creando delle pieghe 
armoniose e dritte secondo un abbigliamento tipico dell’auriga. La lunga veste sarebbe il 
chitone stretto in vita e lungo fino alle caviglie. La lunghezza del chitone e il modo con cui 
questo veniva fissato, cioè appuntato ad entrambe le spalle o ad una sola, era un preciso 
indicatore dello stato sociale di chi lo indossava.
Il chitone lungo, come quello dell’auriga, era riservato solo ai personaggi di alto rango sociale 
e alle donne mentre se monospalla indicava l’appartenenza ad una classe sociale inferiore.
La testa è robusta e il  giovane volto non lascia trasparire emozioni ed espressività. La 
cesellatura delle ciocche  aderenti alla testa sono fissate dalla benda e poi libere in riccioli 
intorno alla tempie. Gli occhi sono realizzati in pasta vitrea, mentre le labbra, le ciglia e le 
sopracciglia sono in rame. Accorgimenti tecnici che rendono il volto molto realistico. I piedi 
dell’Auriga sono realizzati con grande  attenzione per i loro particolari. La loro posizione 
obliqua rispetto alla testa mostra una ricerca attenta del movimento che sembra lontano agli 
aspetti arcaici delle sculture greche precedenti.



Sulla base della statua c’è una dedica fatta incidere da Polyzalos (Polizelo), tiranno di Gela e 
fratello di Gelone, Gerone (Ierone) I e Trasibulo.
La dedica permetterebbe di datare l’opera tra il 478 ed il 470 a.C. e l’opera sarebbe da attribuire a 
Sothadas di Tespie o, secondo altri storici, a Pitagora di Reggio.
Quindi tutto sarebbe confermato dalla  dedica ?
La risposta dovrebbe essere negativa... il motivo ?
La dedica presenta delle particolarità.
Secondo alcune fonti il gruppo scultoreo sarebbe stato offerto da Gerone I (Ierone), tiranno di 
Siracusa, ad Apollo in occasione di una sua vittoria in una competizione
panellenica. Polizelo, fratello di Gerone, dopo una superficiale abrasione  del nome “Ierone”, fece
incidere il suo. Per cui l’epigrafe recita:
Polizzello donò con devozione ad Apollo
mentre dovrebbe essere
Ierone donò con devozione ad Apollo

La tecnica di realizzazione dell’auriga è particolarmente complessa ed è detta a

Fusione a cera perduta con modello cavo

Questa tecnica permetteva la creazione di statue in bronzo a grandezza naturale o maggiore del 
vero e comportava una grande abilità da parte dell’artista.. Richiedeva anche una minore quantità di 
bronzo e quindi anche la realizzazione di opere di grande dimensioni e leggere.
I metodi erano due:
-          Diretto con fusione unica o anche per parti separate;
-          Indiretto, a tasselli.
L’Auriga di Ierone fu fatta con il metodo diretto così come i Bronzi di Riace.
È un procedimento dall’interno verso l’esterno. Si parte da una sagoma sommaria su cui lo scultore 
aggiungendo strati sovrapposti di materiali diversi e ciascuno con determinate caratteristiche. Se la 
statua era di dimensioni modeste si procedeva realizzando la fusione in un'unica gittata se era di 
dimensioni maggiori si procedeva fondendo le varie parti separatamente per poi unirle mediante 
perni e saldature. In entrambi i casi la successione delle fasi era sempre la medesima.
1.      si crea un modello sommario in terra refrattaria, resistente alle alte temperature, che viene detto nucleo o anima.  Può essere modellato su un telaio in legno o metallo per dare una maggiore solidità;
2.      sul nucleo si stende uno strato di cera nel quale la figura viene modellato in modo accurato, in tutti i suoi dettagli. Lo spessore della cera può variare da uno a due centimetri e mezzo, a seconda delle esigenze. È la fase della vera realizzazione della statua.
3.      La cera viene ricoperta da uno strato di materiale refrattario, dato con il pennello in varie mani, e riproducente i dettagli più fini 8cmaiia). E poi da altri strati di materiali, gesso o ancora terra refrattaria, che creano la “forma esterna o coppa”, provvista di canali di getto per far uscire la cera (scolatoi) nella fase della cottura sia l’aria e i vapori di fusione al momento dell’immissione del bronzo fuso (sfiatatoi), più un’apertura per l’immissione del bronzo. Questo blocco viene sottoposto a cottura a circa 400 – 500 gradi. La cera si scioglie uscendo dagli scolatoi e lascia tra nucleo interno e forma esterna uno spazio vuoto.
4.      In questa cavità si versa il bronzo liquido che, solidificandosi, prende la forma della figura modellata nella cera, la fuoriuscita di aria e vapori dagli sfiatatoi deve evitare la formazione di bolle d’aria e di grumi  o che il metallo non raggiunga tutti gli interstizi riempiendo uniformemente ogni spazio, si riempiono in questo modo anche i canali di getto. Si lascia raffreddare. Si rompe la forma esterna ed emerge la statua in bronzo.


5.      Si passa alla fase delle rifiniture, eseguite sia a caldo che a freddo. Eliminare le sbavature di metallo e i canali di getto che spuntano dalla figura, levigare la superficie, incidere i dettagli a bulino e a cesello, lavorare alcune parti in agemina (con l’uso di sottili fili di altri metalli), applicare dorature e altri materiali come avorio, pietre colorate per gli occhi, lamine di rame per labbra e capezzoli o d’argento per i denti. Vengono aggiunti infine, fusi a parte, anche attributi particolari come armi, monili, corone d’alloro, ecc.
6.      In caso di statue di grandi dimensioni o particolarmente complesse, i rischi legati alla fusione possono essere contenuti fondendo in modo separato le varie parti. Con perni e saldature le parti vengono poi unite tra di loro e un lavoro, particolarmente accurato finirà con il nascondere i punti di giuntura.
7      Video sulla fusione a cera perduta con modello cavo




Questo procedimento fu molto usato a partire  dal III secolo a.C. ma non mancano esempi di 
epoca precedente come l’Auriga di Gerone (datata tra il 478 ed il 474).

Nella foto si nota come il braccio sinistro, andato perduto, era fissato
alla spalla e nascosto dalle pieghe del chitone

L’Auriga è composta da 10 parti principali a cui si sommano pezzi più minuti soprattutto per i 
particolari del volto: rame per ciglia e labbra, applicazioni in argento per la benda tergisudore 
decorata a meandro (traslazione di un motivo ornamentale puntuale lungo tutto lo spazio 
orizzontale della suddetta fascia, in modo da formare un fregio comunemente detto “greca”) e poi 
materiali non metallici come pietre e pasta vitrea colorata per la cornea e le iridi.
Al fine di liberare la scultura dalla sua forma, questa deve essere distrutta. Questo comporta la 
produzione di un pezzo unico non replicabile.



Un grande capolavoro artistico che si è conservato grazie a un catastrofico terremoto che si verificò 
nel 373 a.C.
Gli eventi fecero nascondere la statua tra le macerie e i detriti salvandola dalle razzie che ne 
avrebbero comportato sicuramente la fusione, era questo il triste destino della maggior parte dei 
bronzi dell’epoca classica al fine di riciclarne il prezioso metallo.

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4.       L’Elmo di bronzo di Gerone

Gerone per ringraziare gli dei per la vittoria riportata a Cuma nel 474 a.C. sugli Etruschi, mandò un 

elmo di bronzo, con un iscrizione dedicatoria al santuario di Olimpia.





L’iscrizione recita:
 ΗΙΑΡΟΝ Ο ΔΕΙΝΟΜΕΝΕΟΣ / ΚΑΙ ΤΟΙ ΣΙΡΑΚΟΣΙΟΙ / ΤΟΙ ΔΙ ΤYΡΡΑΝΟΝ ΑΠΟ ΚΥΜΑΣ
Ierone, figlio di Deimomenes e i Siracusani a Zeus,
“dalla preda (bottino) fatto sugli Etruschi a Cuma”.
(Ierone figlio dei Dineminidi e dei siracusani a Zeus dal Tirreno a Cuma ?)
Nel 476 a-C nelle acque di Cuma, la largo della costa campana, una flotta di navi etrusche, che 
muoveva alla conquista della città greca, si scontrava con le navi dei difensori.
Sono delle navi cumane ma il contingente maggiore e, forse più forte, era costituito da triremi 
siracusane che erano giunte in soccorso di Cuma. Erano state mandate da Gerone (Ierone) che da 
quattro anni era tiranno di Siracusa per successione al fratello Gelone.
La flotta siracusana sbaragliò la flotta etrusca infliggendo una durissima sconfitta che sarà forse 
l’inizio di una crisi che colpirà progressivamente il  programma espansionistico e culturale dei 
“Tirreni, signori del mare”.
Per Siracusa era una vittoria importantissima soprattutto dal punto di vista politico perché la città 
diventava la capitale della “Magna Grecia”, un punto di riferimento per tutte le colonie greche. 
Altro aspetto importante era il controllo delle rotte commerciali che passavano per lo Stretto di 
Messina e che diventavano adesso più sicure grazie alla vittoria sugli Etruschi.
Da accorto stratega affidò la celebrazione della vittoria al poeta contemporaneo Pindaro e donò al 
santuario di Zeus ad Olimpia l’ingente bottino delle armi conquistate ai nemici.
Comportamenti che destarono nel mondo greco un senso di stupore ed anche di ammirazione.
 Dopo secoli, dalle rovine del tempio di Olimpia riemersero parti di quell’ingente bottino. Nel 
bottino c’erano tre elmi che presentavano tutta la stessa iscrizione.
Dei tre elmi, due, di tipo italico, sono ancora nel Museo di  Olimpia (furono rinvenuti duranti degli 
scavi greci e tedeschi) mentre uno (di stile corinzio), ritrovato nel 1817, si trova al British 
Museum di Londra.



Santuario di Olimpia – Gli Elmi





Pompei - Elmi Etruschi

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9. I Giochi Panellenici

Pindaro esalta un vincitore nei giochi olimpici.
Artista: Giuseppe Sciuti (Giuseppe Sciuto)
(Zafferana Etnea, 26 febbraio 1834 – Roma, 13 marzo 1911
Datazione: 1872
Pittura: olio su tela – Misure (1,77 x 2,98) m
Collocazione: Pinacoteca di Brera . Milano
Il dipinto venne acquistato per settemilacinquecento lire dal ministero della Pubblica istruzione all'Esposizione Nazionale di Belle Arti di Brera del 1872.

Olimpia- Palestra

Olimpia - Tempio di Zeus



Frontone orientale del tempio di Zeus a Olimpia: il momento che precede la gara tra Pelope ed Enomao.
Da destra a sinistra: Ippodamia, Pelope, Zeus, Enomao, moglie di Enomao.






Ai giochi olimpici partecipavano anche esponenti dell’oligarchia e che non avevano un titolo regio. 
Prima di Gerone I avevano partecipato e vinto: il re di Sparta Demarato nel 504 a.C., Gelone (allora 
tiranno di Gela nel 488 a.C.), Anassilao di Reggio nel 480 a.C. e Terone di Agrigento nel 476 a.C.. 
Ma furono i tiranni di Siracusa quelli che destarono maggiore stupore e scrissero pagine importanti 
nella Storia delle Olimpiadi.
Lo stesso Gerone fu persino osteggiato dagli Ateniesi durante le sue partecipazioni alle Olimpiadi.
Non tutti sanno che alla 33° Olimpiade del 648 a.C., avvenne qualcosa di straordinario per la Storia 
del Regno di Sicilia:

La Prima Vittoria nel Pancrazio....

Era una disciplina che univa il pugilato (senza guanti) e la lotta (corpo a corpo) e fu ammessa 
alle Olimpiade proprio nel 648 a.C. 
L’atleta che pratica la disciplina sportiva si chiamava “pancraziaste”.
L’obiettivo era quello di sottomettere l’avversario sfruttando la forza bruta.
Erano consentite tutte le tecniche di combattimento escluso il mordere e il graffiare (a Sparta 
erano invece consentite). La vittoria si conseguiva conl’immobilizzazione dell’avversario 
(nella lotta, invece, la vittoria si otteneva facendo sbilanciare l’avversario sino a farlo cadere a 
terra). Il combattimento si svolgeva negli stadi o nelle palestre, in uno spazio coperto di 
sabbia in modo da attutire i colpi e dare maggiore stabilità alle tecniche effettuate in piedi. 
Prima d’iniziare il combattimento gli atleti si cospargevano il corpo di una sostanza composta 
da olio d’oliva per limitare le abrasioni generale dallo sfregamento sulla sabbia e dalle 
scottature dovute all’abitudine di combattere sotto il sole estivo o a metà giornata. Non 
c’erano riprese e nemmeno limiti di tempo, si combatteva fino alla resa di uno degli atleti che 
poteva essere anche per cedimento con il classico “ko”.
Spesso era l’atleta che s’arrendeva, onorando l’avversario vincitore (quando era in grado di 
poterlo fare fisicamente), alzando l’indice in su verso l’arbitro.  Una delle storie più famose in 
questa disciplina fu quella di un certo Arrachione d’Arcadia che spezzò un dito del piede 
all’avversario mentre questo lo strangolava.
Nel farlo Arrachione morì soffocato mentre l’avversario, proprio in quel momento 
s’arrendeva. I giudici furono costretti a decretare come  vincitore Arrachione.... da morto.
Come già detto, nelle Olimpiadi era abitudine combattere sotto il sole estivo dato che la 
maggior parte delle manifestazioni avvenivano in piena estate. Gareggiare  sotto  la cappa di 
calore con i raggi perpendicolari era un nemico in più per la ricerca dell’agognata vittoria e 
non di rado atleti famosissimi altrove, persero proprio per il disagio derivato da questa 
difficile situazione ambientale.
Si cospargevano il corpo di abbondante olio d’oliva per contrastare le scottature ed anche per 
tutelare la pelle dalle abrasioni dovute alle prese ed alle  pressioni continue nella fase della 
lotta. Si passava quindi sul corpo una strato di olio e di sabbia chiamato “Gloios” che veniva 
successivamente eliminato negli spogliatoi con l’uso dello “strigile”, un particolare arnese di 
metallo a forma ricurva. Questa patina prelevata dal corpo dell’atleta veniva addirittura 
conservata e venduta perché gli si attribuivano poteri di guarigione e di forza.
I greci consideravano la lotta con i pugni una disciplina completa  con la quale l’uomo poteva 
sviluppare una mente vigile e reattiva in un corpo sano e robusto. L’atleta gareggiava per se 
stesso e sempre per raggiungere il massimo, la  superiorità o come si diceva nell’antichità 
l’“arete” cioè l’“eccellere”.
Solo l’atleta vincitore meritava l’adulazione ed il premio. Gli sconfitti provavano vergogna e 
venivano spesso umiliati, non esisteva infatti la  concezione del secondo e del terzo posto.

Pancraziasta in posizione di combattimento, anfora greca antica a figure rosse, 440 a.C.

Scena di un pancrazio: l'arbitro punisce con una frusta un atleta che tenta di accecare l'avversario
Kylix (a figure rosse) risalente al 490 – 480 a.C.
Diametro: 31,8 cm – Collezione British Museum 

In quella 33a Olimpiade del 648 a.C.  (Olimpia)



 Nella competizione del “pancrazio”
Città [Siracusa] anche di Ligdami, che ai Giochi Olimpici antichi fu il primo campione di pancrazio, la disciplina più prestigiosa di quei Giochi, madre a tutt’oggi ineguagliata delle arti marziali a mani nude d’Occidente e d’Oriente

La prima edizione del pancrazio vide trionfare un siracusano: Lygdamis
Fu coronato con il prestigioso olivo a Olimpia  e non fu solo il primo vincitore
di questo sport da combattimento ma anche il primo siracusano che trionfò alle Olimpiadi.
Fantasia ?  Puasania “il Periegetea” (scrittore e geografo greco antico, morto nel 180 d.C.)  
lasciò una testimonianza che s’unì alla leggenda.
Lygdamis venne paragonato fisicamente all’eroe Ercole. Si narra che  non sudava mai perché 
le sue ossa erano prive di midollo. La sua tomba venne eretta dai Siracusani all’interno delle 
Latomie. Una sua statua con la sua immagine gli rendeva gloria eterna per la vittoria 
conseguita alle Olimpiadi. Pausania riportò una finale di pancrazio avvenuta nei giochi 
Nemei, non specificando l’anno,  tra Creugante e Damosseno.

Stadio di Nemea

Stadio di Nemea – L’”Entrata nascosta”

I due lottatori:
Creugante di Epidammo e Damosseno di Siracusa
I due lottatori erano giunti alla finale. Le loro forze si eguagliavano e, poiché nel regolamento non esisteva una regola sulla durata dell’incontro, il combattimento durò tutto il giorno.
Alla sera i due lottatori erano sul campo a combattere. Si decise allora, in accordo con i due atleti, di permettere che
fosse un sol colpo a stabilire il vincitore: il primo che avesse colpito l’altro
avrebbe vinto, e l’incontro sarebbe giunto al termine”.
Fu Creugante a colpire per primo l’avversario. Damosseno subì un colpo fortissimo alla testa tanto da tramortirlo. Con quel colpo tutti credettero che l’incontro fosse finito ma Damossesjo non volle arrendersi e decise di contrattaccare e, approfittando del fianco scoperto di Creugante, che aveva ancora il braccio destro alzato sopra la propria testa, gli sferrò un colpo così violento da colpirli gli organi...
”tale da trafiggergli il fianco con la mano nuda.. e tirarne fuori le viscere”.
Creugante morì subito dopo. Gli Argivi s’indignaro con Damosseno per la morte dell’atleta di  Epidammo (Durazzo) perché non si era voluto fermare e aveva quindi violato l’accordo. Dichiararono vincitore il defunto Creugante ed esiliarono Damosseno.

Statue dei due pancraziasti: Creagus da Epidammo e Damoxenos di Siracusa
Artista: Antonio Canova (Possagno, 1 novembre 1757 – Venezia, 13 ottobre 1822)
Creugante è ben piantato sulle gambe divaricate, tiene il braccio destro col pugno chiuso sopra la testa, aspettando il colpo dell'avversario. Quasi istintivamente si prepara alla risposta e gli presta il fianco. 
Damosseno protegge il petto con il braccio sinistro, quasi voglia farsene scudo. La mano destra è aperta e protesa come una lama per sferrare il colpo mortale. Il suo aspetto è particolarmente brutale e aggressivo. Lo sguardo trasmette disumanità e ferocia; nel volto è disegnata un'espressione violenta, spietata e un manifesto odio.

Nelle gare equestri il vincitore non era il fantino o l’auriga ma il proprietario dei cavalli 
che si occupava del loro allevamento e addestramento. La disciplina olimpica della corsa a 
cavallo fu inserita nelle manifestazioni sportive nella 33° Olimpiade, nell’anno 648 a.C. 
(quando ci fu la prima vittoria siracusana nella gara del “pancrazio”) e il primo vincitore fu 
Krauxidas della città di Crannon in Tessaglia. Gerone I (Ierone), tiranno di Siracusa, vinse la 
corsa a cavallo (“keles” celete) nella 76° Olimpiade nell’anno 476 a.C.
Ad assistere sugli spalti di Olimpia c’era l’ateniese Temistocle che fu portato in trionfo dal 
pubblico in quanto fautore della potenza navale ateniese (sconfisse il re persiano Serse I). Era 
la prima Olimpiade dopo la fine delle guerre persiane.
La vittoria di Gerone fece molto scalpore per l’importanza del personaggio politico.
Era il figlio secondo genito dell’importante e potente famiglia dei Dinomenidi che 
primeggiava in Sicilia. Aveva sostituito il fratello Gelone sul trono della potente e ricca polis 
Siracusa  e per questo motivo le sue gesta sportive ebbero un alta risonanza sia in Grecia che 
nella Magna Grecia. Le sue vittorie furono celebrate dai più grandi poeti del tempo, come 
Pindaro e Bacchilide che gli dedicarono delle odi. Gerone amava e favoriva la cultura a corte.
Prima di citare le gare in cui vince Gerone I è importare chiarire il significato di Giochi 
Panellenici cioè “di tutti i greci”.

Erano competizioni sportive a carattere sacro che impegnavano tutte le città dell’Ellade 
(Grecia) e  “Giochi Panellenici” era quindi un termine collettivo con cui s’indicavano quattro 
diverse manifestazioni o eventi:
-          Giochi Olimpici; erano i giochi più importanti e si tenevano ogni quattro anni ad Olimpia nell’Elide ed erano dedicati a Zeus;
-          Giochi Pitici; si svolgevano ogni quattro anni a Delfi ed erano dedicati ad Apollo;
-          Giochi Nemei; si tenevano ogni due anni i Nemea ed erano anch’essi dedicati a Zeus;
-          Giochi Istimici; si tenevano ogni due anni nei pressi di Corinto ed erano dedicati a Poseidone.
I giochi venivano organizzati seguendo un ciclo di quattro anni, noto con il termine di 
“Olimpiadi”, ed era un metodo con cui i Greci misuravano il tempo.
I Giochi Olimpici venivano presi come punto di partenza, ovvero rappresentavano il primo 
anno del ciclo; nel secondo anno si tenevano sia i Giochi Nemei che i Giochi Istmici (in mesi 
diversi), seguiti dai Giochi Pitici nel terzo anno e da una nuova edizione dei Nemei e Istmici 
nel quarto. A quel punto il ciclo ricominciava con la disputa dei Giochi Olimpici. Erano 
organizzati in questo modo affinché gli atleti potessero partecipare a tutti i giochi.
Gerone I era conosciuto come un ottimo cavaliere ed auriga. I cavalli venivano montati senza 
sella e senza staffe cioè a “pelo”.
Il tiranno di Siracusa vinse ben sei volte ai Giochi Panellenici:
-          3 volte ai Giochi Olimpici;
-          3 volte ai Giochi Pitici.
La sua prima vittoria avvenne ai Giochi Pitici.
-          482 a.C. – 74a Olimpiade – Giochi Pitici  come cavaliere, montava un cavallo quando ancora era tiranno di Gela;
-          478 a.C. -  75a Olimpiade – Giochi Pitici come cavaliere . anno della sua incoronazione come secondo tiranno della polis di Siracusa (dopo la morte del fratello Gelone);
-          476 a.C.; Pindaro, riprendendo un testo dell’aristotelico Teofrasto, scrisse che quando Gerone s’iscrisse alle sue prime Olimpiadi, quelle del 476 a.C. ad Olimpia, per gareggiare con i cavalli, incontrò una ferma opposizione da parte di Temistocle. L’ateniese rimproverò a Gerone  il fatto che suo fratello Gelone, allora tiranno di Siracusa, si rifiutò di fornire aiuti militari alla Grecia che era minacciata dai Persiani di Serse. Temistocle, aggiunse Claudio Eliano, affermò che
Chi non aveva voluto condividere con la Grecia il più grande pericolo
(la guerra contro Serse) non poteva adesso avere l’ardire di prendere parte ai più grandi convegni dell’Ellade (le Olimpiadi) e dividere con i Greci tali piaceri 

Temistocle ordinò di distruggere la tenda di Gerone e d’impedire ai suoi cavalieri di gareggiare. Le persone presenti alla scena, lodarono il comportamento del capo ateniese 
ma Gerone partecipò lo stesso alla gara e vinse.

-          Nel 474 a.C. ci fu una nuova edizione dei giochi Pitici e Gerone non vi partecipò perchè ammalato. Mandò a gareggiare a Delfi il suo cavallo “ferenico”. Pindaro riportò l’avvenimento e riferì come il tiranno di Siracusa fu ingiustamente privato della sua quarta vittoria ai Giochi Panellenici: 

                       se un dio, anziché un uomo, avesse retto la bilancia in modo giusto, ora noi potremmo celebrare Ierone per la quarta volta
                   Pindaro, nella sua “Pitica III”  dedicata a Gerone, augura al tiranno di   
                     Siracusa una pronta guarigione e si congratula con lui per la gara equestre:
                  Agli dèi conviene chiedere ciò che è conforme alla mente mortale, pensando
                 al presente a alla nostra misura [...]. Se ancora il saggio Chirone abitasse la
                sua grotta... lo indurrei a offrire agli uomini pii un guaritore di morbi cocenti,
            chiamato figlio d'Apollo o figlio di Zeus. E avrei tagliato con la nave il mare
                  Ionio, per venire alla fonte Aretusa, alla casa del signore di Siracusa [...]. Gli   avrei portato un duplice dono: l'aurea salute e il canto epinicio
per la splendida gara di Pito
Pindaro, Pitica III

-          472 a.C. – 77a Olimpiade – Giochi Pitici come cavaliere.

-          470 a.C. – Giochi Pitici – Delfi, vince la gara con “il carro da guerra” ovvero la quadriga tirata da quattro cavalli;

-          468 a.C. – 78a Olimpiade, vince ancora con la quadriga ed è l’ultima sua partecipazione ai Giochi Panellenici.

Pindaro e Bacchilide con le loro opere permisero di conoscere il nome del cavallo del tiranno 
aretuseo: Ferenico” (“Pherenikos” cioè “Colui che porta la vittoria”) ed anche a lui furono 
dedicati dei versi. Insieme a “Bucefalo”, il cavallo di Alessandro Magno, fu annoverato tra gli animali più celebri della storia.
 
Aurora dalle braccia d'oro ha visto vincere Ferenico dalla fulva criniera, puledro veloce come il turbine, presso l'Alfeo dall'ampia onda e nella divina Pito. Lo proclamo poggiando a terra la mano: in una gara non lo ha mai imbrattato la polvere di un cavallo che lo precedesse nell'impeto verso il traguardo. Simile a raffica di Borea si slancia, attento a chi lo governa, e per Ierone amico degli ospiti segna la vittoria subito salutata dall'applauso
Bacchilide, V, 37-49
 
Sù, coraggio, prendi dal piolo la dorica lira se il successo di Pisa e Ferenico un pensiero t’insinuò tra le cure dolcissime, quando si slanciò lungo l’Alfeo, stazza senza sperone offrendo nella corsa, ed al trionfo unì il proprio padrone, siracusano re, cavalleggero: e gloria gli rifulge nella maschia colonia di Pelope lidio; si innamorò di lui il possente Auriga della Terra, Posidone, dacché lo trasse Cloto dal puro bacile con la spalla lucente orna d’avorio
Pindaro, Olimpica I, 19-23

La gara delle quadrighe era una delle più antiche anche se venne introdotta ufficialmente nella 
competizione del 680 a.C. e affondava le sue radici nel panorama bellico. Per gli elevati costi che 
comportava e anche per ragioni simboliche, come la gloria che nel derivava da un eventuale 
vittoria, era riservata quasi esclusivamente all’aristocrazia. Per capire l’importanza della gara e il 
prestigio di Gerone e di Siracusa nella vittoria c’è da dire che tra i vincitori ci furono figure 
importanti, veri artefici della Storia come Cimone, Callia II. Alcibiade. Filippo II di Macedonia, 
Tiberio Claudio Nerone. (l’Imperatore romane vinse la gara nel 4 secolo a.C. ed istituì anche una 
gara su un carro trainato da ben 10 cavalli nella quale fu anche vincitore. Una gara che nelle 
successive Olimpiadi non venne riproposta).
Gli storici antichi vengono sempre in aiuto, con le loro testimonianze,  nel fare luce sui vari 
personaggi. Bacchilide affermò che

Nessun greco donò al Santuario di Apollo presso Delfi,
più oro di Gerone (Ierone) I. il tiranno siracusano dedicò al dio del sole
importanti offerte votive fatte del metallo più prezioso, e il figlio di Zeus lo
ricompensò concedendogli le vittorie negli agoni pitici, quelli in suo onore.
 
Gerone affidò a Bacchilide la composizione poetica per la sua ultima vittoria olimpica e il poeta, 
che era nativo di Ceo, definì lo statista come
Eroe caro agli dei.... amante dei cavalli... valoroso.
Nel 468 a.C. Gerone non guidò la quadriga e al suo posto c’era Chromios che vinse la gara.  
Gerone morirà l’anno dopo e gli succedette l’ultimo dei Dinomenidi: il fratello Trasibulo e come 
vedremo il suo governo non durerà a lungo.
Il nome di Gerone  spicca nel tempio di Apollo di Delfi come in quello di Zeus ad Olimpia. Come 
abbiamo visto donò al santuario di Delfi un tripode d’oro (come aveva fatto suo fratello Gelone) 
una Nike, dea della vittoria. Sempre a Gerone apparterebbe anche l’Auriga di Delfi anche se in 
realtà è presente una scritta dedicatoria da parte del fratello Polizelo. Scritta che fu apposta 
cancellando (è presente una leggera abrasione) il nome di Gerone.
A Gerone ed ai suoi tre fratelli venne inoltre fatta una dedica all’interno del santuario, sempre di 
Delfi, da parte del poeta Simonide di Ceo per ringraziarli di aver difeso la grecità contro i Barbari
nel 480 a.C.
(Mentre i Greci di Sparta ed Atene combattevano la battaglia di Salamina, in quello stesso giorno 
in Sicilia, Siracusa ed Agrigento, capitanati dai Dinomenidi, respingevano gli assalti dei 
Cartaginesi ad Imera). 
Nel tempio di Zeus ad Olimpia il figlio di Gerone, Dinomene, fece costruire nel 4 76 a.C. un 
monumento con iscrizioni che fu scolpito da Onata e Calamide.  Un scultura in bronzo che 
raffigurava un carro sule quale  saliva un uomo, fiancheggiato da due cavalli montati da due 
bambini. Una scultura in memoria delle gloriose vittorie del padre.
Nelle gare c’era anche la corsa con il carro trainato da mule, detta “Apene” (ἀπήνη) ed introdotta 
alle Olimpiadi nel 500 a.C.. il primo vincitore in questa competizione giungeva dalla Tessaglia e 
vinse con un carro trainato da quattro mule. L’auriga stava seduto perché il carro era munito di un 
sedile. Uno strano connubio tra l’auriga, generalmente famoso per la sua carriera militare, e il mulo 
che veniva usato dai Greci per il trasporto della merce,
I motivi per cui questa gara fu introdotta nelle Olimpiadi non sono sicuri. Sembra che sia stato 
qualche tiranno ad  introdurre questa competizione e doveva essere un personaggio influente della 
Magna Grecia o della Sicilia.
I Greci d’Occidente erano molto famosi nell’allevamento dei muli. Infatti, escludendo il primo 
vincitore della disciplina sportiva, tutti gli altri trionfatori provenivano proprio dalla Magna Grecia: 
Anassila (Ananassilao), tiraggio di Reghion, vittorio nel 480 a.C. e nemico di Gerone; Psaumida di 
Camarina, vittorio nel 456 a.C.
Dopo Anassila il trionfatore della gara dei muli fu il siracusano Agesia, nell’81a Olimpiade, quella 
che vide trionfare Gerone per l’ultima volta. La sua auriga si chiamava “Finti”. Pindaro dedicò al 
siracusano Agesia la sua sesta opera olimpica e rese noto come  fosse un generale di Gerone e 
anche  suo amico e indovino. Agesia proveniva dagli Iamidi, citati da Pindaro come  co-fondatori 
di Siracusa. Gli Olimpi lo vollero come sacerdote dell’oracolo nel tempio di Zeus. Agesia morì 
poco dopo la scomparsa del suo amico Gerone, travolto dalle lotte per la successione al trono di 
Siracusa.

Se un uomo vincesse le gare in Olimpia;
Se in Pisa dell’ara di Giove fatidica fosse ministro;
Se lui Siracusa la illustre dicesse suo figlio: che iode, che inno dei suoi cittadini potrebbe tal uomo evitare?
Pindaro, Olimpica VI: Ad Agesia, vv. 5-8. 

Phìntis, aggiogami ora il vigore delle mule
al più presto, perché su un percorso aperto
guidiamo il carro ed io giunga alla stirpe, all’origine prima
Pindaro, Olimpica VI: Ad Agesia, vv. 22 

La gara del carro trainato da mule fu ben presto abolita da Olimpia. Questo avvenne nel 444 
a.C.. il motivo sarebbe da ricercare in un antica tradizione secondo la quale, a causa di una 
maledizione, era vietato allevare muli e mule. Secondo Pausania il motivo sarebbe da 
ricercare nel mancato gradimento offerto dal pubblico. I Greci consideravo qualcosa di 
innaturale far correre delle mule perché l’animale era visto dalla popolazione come un  
sostegno necessario per il trasporto  e anche per la forza che mostrava nei lavori agricoli. Non 
era quindi un animale adatto per le gare di velocità.
Dallo studio delle gare ippiche d’Olimpia  si può affermare che:
-          Siracusa fu una delle sole sei città di tutto l’Occidente a vincere nelle gare ippiche nelle Olimpiadi. Le altre cinque furono: Gela, Agrigento, Reggio, Camerina ed Imera;
-          Gerone I fu il solo greco d’Occidente a trionfare per più d’una volta alla corsa con “il cavallo montato” come fantino;
-          Gerone I fu uno dei pochi partecipanti a vincere (3 o più vittorie olimpiche consecutive) per il V secolo a.C., insieme a Evagora di Sparta (3 vittorie consecutive con la quadriga di cavalli) e Cimone di Atene (3 vittorie consecutive con la quadriga di cavalli) per il VI secolo a.C. e all’imperatore Nerone che trionfò tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. (3 vittorie consecutive tra quadriga e puledri);
-          Siracusa risultò essere una delle sole 6 città olimpiche e nazioni olimpiche il cui nome compare nella lista dei vincitori ippici in molteplici discipline.

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10 . Dopo la morte di Gerone I

Del vecchio capostipite Dinomene di Gela (detto anche “Il vecchio” e morto verso il 491 a.C. a 
Gela, discendente di Antifemo e dei Lidj, entrambi originari di Rodi e cofondatori con 
Entimo  di Creta della città di Gela))  gli erano morti i figli: Gelone; Gerone I, Polizelo. 
Restava il figlio minore Trasibulo. La successione di Gerone sarebbe dovuta toccare al figlio 
Dinomene che era stato posto dallo stesso Gerone a capo della città di Aitna quando fu 
popolata dai coloni. Trasibulo sembra che abbia agito militarmente contro Dinomene e alla 
fine prese il comando di Siracusa. La sua azione militare provocò,  in seno alla famiglia dei 
Dinomenidi, una vera e propria scissione che la porterà alla sua definitiva decadenza e 
scomparsa.
L’antica profezia  s’era realizzata come narra Plutarco...

“Dinomene “Il Vecchio” chiese all’oracolo di Delfi quale sarebbe stato il futuro
dei propri figli...(Gelone, Gerone, Polizelo, Trasibulo).. la Pizia rispose che
sarebbero tutti divenuti principi. Dinomene volle sapere se questo futuro,
all’apparenza glorioso, sarebbe stato per loro la rovina.
La Pizia, direttamente ispirata da Apollo, gli predisse la morte dei suoi figli
e di lui stesso. Il consiglio delle divinità fu quello di fuggire e andare
“dove il corno è dal cervo gettato via”.
Dinomene intese che si sarebbe dovuto affogare e sotterrare con le sue stesse
mani. In preda alla confusione e alla follia scappò e fu da un  amico di
Timarco (politico ateniese), che uccise Procle, tiranno di Epidauro, ammazzato e il suo corpo gettato in mare”. (Plutarco).

Trasibulo fu tiranno di Gela e di Siracusa per un solo anno dal 466 al 465 a.C. Non aveva le qualità 
politiche dei suoi predecessori e con le sue azioni fece di tutto per rendersi inviso al popolo.
Il popolo prese le armi e il tiranno per sedare la rivolta costituì un esercito di 15.000 uomini, tra 
mercenari e seguaci, e si rinchiuse a Ortigia. I siracusani strinsero un patto d’alleanza con i Gelesi, 
gli Agrigentini, gli Imeresi ed anche con i Siculi e alla fine lo strinsero d’assedio nella sua 
Terminava per il regno di Siracusa la tirannide dei Dinomenidi. Un avvenimento importante perché 
fu sempre commemorato con grandiosi festeggiamenti annuali in onore di Zeus Eleuterio, il cui 
profilo appare nelle monete del periodo.
(Una moneta del periodo era quella che presenta nel dritto la testa della ninfa Aretusea rivolta a 
destra con la scritta ΣVRA e nel retro un polipo.  Peso gr 0,60 e diametro 11,7 mm. Coniazione tra 
il 466 – 460 a.C.)



La presenza del polipo  era molto diffusa nelle monete della civiltà minoica, legata all’abbondante presenza dell’animale nel mare ed inserita in un contesto funerario.
Nelle monete greche è collegato con divinità religiose. Avrebbe quindi una sua
valenza positiva come emblema della capacità umana di superare le
avversità e di “accompagnatore” del viaggio ultraterreno. Le fonti letterarie
associavano l’animale all’astuzia, alla saggezza ed era quindi un “aggettivo” che accompagnava la divinità principale espressa nel dritto della moneta. Per questo motivo venne affiancato alla ninfa eponima Arethusa (o con Poseidon, ecc.).
richiamerebbe quindi l’idea del viaggio, del passaggio, delle trasformazioni che
ricorrono nell’esistenza umana.
 

Era l’anno 465 a.C.
Festeggiamenti per la riconquista della libertà democratica che avvenivano nell’Ara di Ierone
(Gerone ).

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