Enciclopedia delle Donne - XII Capitolo - 2° Parte - I Sovrani d'Afghanistan, Amanullah Khan e Soraya Tarzi in visita di Stato in Egitto ed Italia (1927 - 1928)

Egitto: La triste vita della regina Nazli Sabri

د ښځو پوهنځی - دولسم څپرکی - دویمه برخه - د افغانستان حاکمان، امان الله خان او ثریا طرزی مصر او ایټالیا ته د دولتی سفر پر مهال (۱۹۲۷-۱۹۲۸)

مصر: د ملکې نزلي صبري غمجن ژوند



Il forte desiderio di Soraya di visitare l’Europa non era un sogno perché, tra il 1927 ed il 1928,
Amanullah Khan e Soraya intrapresero un lungo viaggio in vari Stati tra onori, festeggiamenti e un
gran tripudio di folla.
Che bella immagine per i due sovrani e per il loro Paese in pieno sviluppo malgrado gli ostacoli
posti dagli inglesi, dai capi tribù e dai leader religiosi.
Il re Amanullah Khan e la regine Soraya partirono da Kabul per Kandahar,.
Iniziarono l’entusiasmante viaggio per raggiungere l’Europa con 31 membri del governo e diversi
traduttori.
Nel settembre 1927 l’ambasciatore afghano a Londra informò il Foreign Office britannico che il re
dell’Afghanistan si sarebbe recato all’estero a metà dicembre ed avrebbe visitato anche Londra e
Mosca.
Giunti a Kandahar i sovrani afghani entrarono in India il 15 novembre 1927.


Bandiera di Gandhi (1921)

La bandiera Swaraj, ufficialmente adottata dal Congresso Nazionale Indiano 
nel 1921 e dal Governo dell'India Libera

Non ho riferimenti per indicare le città visitati e gli incontri diplomatici con le autorità inglesi ed indiane. Probabilmente Amanullah Khan e Soraya incontrarono anche Gandhi.
I sovrani afghani furono ricevuti con grande onore malgrado i contrasti politici tra l’India dell’Impero britannico e l’Afghanistan. I Viceré britannici guardavano con grande apprensione l’evoluzione sociale dei sovrani afghani dato che in India avevano un grande seguito la popolazione indiana per le loro idee riformiste e di sviluppo.

India (Bombay?)
Il picchetto d’onore per i sovrani Amanullah Khan e Soraya Tarzi

Questa foto fu scattata nel 1921 a Bombay, in India, durante il regno del re Amanullah Khan. Gli studenti afgani erano in viaggio per la Germania. Il padre di chi riportò la foto, Hokom Tschand Kapoor, è nella foto ed era uno degli studenti inviati in Germania.
Foto di Suraj Parkash Tschand

Una breve visita di stato in India e salpare da Bombay per raggiungere l’Egitto con sbarco a Porto Said.

 EGITTO



Bandiera del Regno d'Egitto (1922-1953)

La Bandiera dell’Afghanistan ( 1926 – giugno 1928)

A Porto Said furono accolti da una delegazione egiziana..

Lo Shah Amanullah Khan e il re Fouad I –
Dicembre 1927

Il 7 dicembre 1927 il re Fawad (Fouad I) (1868-1936) fu informato che il re d’Afghanistan
Amanullah Khan e la regine consorte Soraya, con una delegazione, avrebbero eseguito una
visita di Stato in Egitto.
Il responsabile dell’Ufficio del re d’Egitto, Ahmed Shafiq Pasha, riportò nelle sue memorie
“Holiyat Mrs al-Silyasiya”..
"La notizia è giunta al governo egiziano che il re dell'Afghanistan viaggerà nei paesi europei e passerà anche attraverso L'Egitto in arrivo.".
L’Egitto ha colto questa opportunità e ha voluto invitare questo grande re
L'Egitto ha colto questa opportunità e ha voluto invitare in Egitto questo grande redell’Est della Terra”.Su invito del re d’Egitto, Shah Amanullah Khan è partito per Aden il 18 dicembre (1927)con la nave “Rachputane” ed è arrivato al porto di Aden il 21 dicembre. Porto Said.

I sovrani afghani giunti a Porto Said, furono accolti dalla guardia militare dell’11° battaglione e
subito dopo partirono per Il Cairo con un treno speciale tra grandi cerimonie. Alla stazione 
principale di Il Cairo, decorata con un tappeto rosso, furono accolti dal re Fouad I d’Egitto e dai 
membri del governo.

Il Cairo – Stazione (1900)
https://images.squarespace-cdn.com/content/v1/5cd068c677b90375fdb02baa/1646414297582-F32R0DKUJG86A36F2JFF/Train+Station+of+Helwan-1888.jpg?format=1000w

https://www.alamy.it/egitto-il-cairo-stazione-ferroviaria-image66003076.html

I giornali egiziani riportarono a tutta pagina la notizia della visita dei sovrani afghani.
Il 4 gennaio 1928 il giornale “Al-Ahram”, nella sua pagina “Eventi e Notizie” riportò che..
Shah Amanullah Khan, durante il suo soggiorno in Egitto, parlò con Abdul Khaliq Tharwat Pasha, 
il primo ministro egiziano, per facilitare la firma di un trattato di amicizia
tra l'Afghanistan e l'Egitto…..la firma di questo accordo è fondamentale per stabilire relazioni
politiche tra l’Egitto e l’Afghanistan.

Il sovrano Amanullah Khan si fece scattare questa foto durante il viaggio in Egitto.
Inviò la foto, l’1 gennaio 1928, al suo vicerè Muhammad Wah Khan Darwazi.

I due sovrani stipularono un importante trattato d’amicizia tra i due Stati.
Il trattato era ritenuto così importante da parte  di Amanullah Khan che poco prima della fine del 
suo viaggio in Europa, inviò una delegazione dei suoi compagni di viaggio, guidati da Alì Ahmad 
Khan  governatore di Kabul, al Cairo. Il sovrano afghano era molto interessato nell’aprire  al più 
presto una rappresentanza (ambasciata) al Cairo. Purtroppo Amanullah Khan non riuscì a realizzare 
questo  progetto. Furono avviati gli scambi di documenti e certificati per l’apertura degli uffici 
politici ma la caduta di Amanullah Khan ed il suo esilio impedirono la realizzazione dell’importante 
progetto. 

Il quotidiano egiziano “Al-Ahram” riportò il viaggio in Egitto di Shan Amanullah Khan

Il trattato d’amicizia tra l’Afghanistan e l’Egitto
Per l’apertura dell’ambasciata
Scritto in lingua persiana. (30 maggio 1928)

https://www.bbc.com/persian/afghanistan-44347250

In Egitto la regina Soraya sarà rimasta affascinata dall’ambiente così ricco di storia. Amava la storia, la natura e rimase colpita nella visita delle piramidi a lei certamente non sconosciute dato che era una siriana.
Conobbe sicuramente la regina Nazii Sabri, la prima regina consorte d’Egitto dal 1919 al 1936.
Nazli Sabri - Regina d’Egitto

Nazii Sabri (نازلي صبري )
(25 giugno 1894 – 29 maggio 1978)
La regina Soraya, allora ventottenne, si trovò di fronte ad una sua coetanea (la regina Nazli aveva 33 anni) e da appena 8 anni era diventata regina d’Egitto. Era la seconda moglie del re Fouad I d’Egitto.
Apparteneva ad una importante famiglia,  figlia di Abdur Rahim Sabri Pasha, ministro dell’agricoltura e governatore del Cairo e di Tawfika Khanum Sharif.
Aveva un fratello, Sherif Sabri Pasha ed una sorella Amina Sabri.
La famiglia aveva un’origine complessa: egiziana, turca, greca e francese.
Infatti era la nipote materna del maggiore generale Mohamed Sherif Pasha, di origine turca e primo ministro degli Affari Esteri e pronipote dell’ufficiale di origine francese Suleiman Pasha.
Suleiman Pasha, nato Joseph Save, fu uno dei comandanti militari di Napoleone Bonaparte ed uno degli autori della famosa enciclopedia “Description de Egypte” del 1798.
Nazli studiò al Lycée de la Esclave-de-Dieu al Cairo e successivamente al Collège Notre-Dame de Sion ad Alessandria. Dopo la morte della madre, Nazli e sua sorella furono mandate in un collegio a Parigi dove studiarono per due anni.
Nazli fu incoraggiata dal padre a studiare a Parigi e questo aspetto era insolito per le ragazze dell’epoca. La ragazza fu a contatto con i sogni occidentali di libertà e finì con l’esserne influenzata.
Alla fine si prese la responsabilità, una grande responsabilità, di continuare a vivere quegli aspetti di libertà nella sua patria, nella sua casa in Egitto. Aspetti che, dati i tempi, erano irrealizzabili e che finirono con l’influenzare  la vita futura della sfortunata Nazli.
Al suo ritorno al Cairo fu costretta a sposare un suo cugino turco  Khalil Sabri. Nazli aveva 24 anni e il matrimonio si concluse con un burrascoso divorzio dopo appena undici mesi.




Dopo la separazione andò a vivere in casa di Safiya Zaghloul, un’attivista politica egiziana e una dei primi leader del partito Wafd oltre che una delle prime attiviste dell’emancipazione femminile.
Qui conobbe Saeed Zaghloul, nipote del marito della Safiya.

Safiya Mostafa Fahmy - Safiya Zaghloul (1876-1946)
Figlia di uno dei primi ministri dell’Egitto da quando il sistema ministeriale fu
istituito nel paese all’inizio del 1900.
Si sposò con Saad Zaghloul, leader del partito Wafd che guidò la rivoluzione del 1919
contro l’occupazione britannica in Egitto.

In seguito alla Rivoluzione egiziana del 1919, il Regno Unito decise di concedere, il 28 febbraio 
1922, una Costituzione e l’indipendenza all’Egitto, pur imponendo una serie di limitazioni: la Gran 
Bretagna avrebbe continuato a mantenere il controllo sulla politica estera e sulla difesa egiziana. 
Durante la rivoluzione del 1919 la Safiya organizzò delle manifestazioni femminili  per rivendicare 
l’indipendenza dall’Impero Britannico.
Alle fine della prima guerra mondiale l’Egitto fu colpito da una rivolta nazionalistica.
Un gruppo guidato dal politico Saad Zaghloul fu inviato a Londra per negoziare l’indipendenza.
Una delegazione che diede il nome al partito “al-wafd” (missione) che sarebbe diventato il più 
grande partito nazionalista egiziano. 



Nel marzo 1919 l’alto commissario britannico in Egitto, Reginald Wingate, ordinò la deportazione di Zaghloul a Malta e l’intero paese si sollevò. Le manifestazioni e le proteste diedero origine a violenti scontri con saccheggi, feriti ed arresti. Si registrarono anche numerosi attacchi contro i funzionari militari britannici tra cui uno a Deirut dove vennero uccisi in un treno otto ufficiali inglesi. I disordini videro anche la partecipazione attiva delle donne che, con il volto coperto da un velo, incitavano la folla. Era questa la prima manifestazione di un movimento femminista. La repressione britannica si chiuse con il tragico bilancio di ottocento morti e 1.600 feriti.

Hamida Khalil aveva partecipato con altre persone alla preghiera del venerdì ad Al-Azhar nella 
moschea di Al-Hussein.
“Hanno quindi formato una manifestazione di
massa e presto il resto della gente si è unita a loro, tra cui una gran numero di donne,
per iniziare una feroce battaglia tra i manifestanti e le forze britanniche davanti
alla Moschea Al-Husseini”.

La manifestazione davanti alla Moschea di Al-Husseini

Gli inglesi impazzirono per la scena a cui prima non erano abituati,
pensando e illudendosi che i movimenti studenteschi che precedettero quel
giorno non si sarebbero estesi al resto delle persone, comprese le donne,
così che le mitragliatrici britanniche spararono a proiettili rapidi,
uccidendo vite, dando la caccia ai leader della manifestazione e dodici caddero.
Un martire. In prima linea c'era la grande martire rivoluzionaria Hamida Khalil,
per annunciare al suo solenne funerale i venti che soffiavano che la forza ruggente
della Gran Bretagna non poteva fermare , in modo che il suo martirio motivasse le donne.
Le altre martire uccise dagli inglesi furono: la signora Shafiqa Muhammad; Sayyda Hassan di al-Manasra nel quartiere Abdeen del Cairo così come Saadia Hassan; Shafiqa Ashmawy “” per lei si è tenuto un solenne funerale” del quariere Bulaq; Aisha Omar, Fatima Riyad e Naja Ismail.
Il 16 marzo si è svolta la prima manifestazione femminile di 300 donne,
guidata da Huda Shaarawy.
Secondo Abd al-Rahman al-Rafi'i, donne e ragazze hanno partecipato a manifestazioni di massa, come espressione di protesta contro l'uccisione e l'abuso di persone innocenti
nelle precedenti manifestazioni.
“Le donne hanno camminato in due file regolari, tutte portando piccole bandiere, e hanno fatto sventolare le strade principali in un grande corteo, chiedendo la vita di libertà, indipendenza e la caduta della protezione. Un luogo dove la gente applaudiva e applaudiva, e le donne cominciavano a incontrarle con applausi e ululati, e la maggior parte della gente del Cairo, uomini e donne, usciva per assistere a questa gioiosa processione, che non aveva precedenti,
e loro cantavano i loro canti.
I manifestanti erano in decenza e dignità, e il loro numero superava i trecento dai capifamiglia, e preparavano una protesta scritta per presentarla ai delegati degli stati, in cui chiedevano di informare la loro protesta contro le atrocità che il La nazione egiziana ha affrontato, ma i soldati britannici non hanno permesso al loro convoglio di attraversare, quindi quando i manifestanti hanno raggiunto la strada Saad Zaghloul, le donne dirette alla Casa della Nazione, hanno posto un cordone attorno a loro e hanno impedito loro di camminare, e hanno puntato le loro lance al petto, e rimasero così per due ore sotto il bagliore del sole cocente.

La signora Hoda Shaarawy ha confermato nelle sue memorie di aver detto al soldato inglese: "Non abbiamo paura della morte. Sparami con la tua pistola al petto per farmi un'altra Miss Hamida".

È stata firmata la prima dichiarazione delle donne, a cui ha partecipato un folto gruppo di donne, tra cui Hoda Shaarawy, Neamat Fahmy, Tahia Salem, Muqallada Iskandar, Fahima Mukhtar, la moglie del Dr. », nonché la moglie di Qasim Amin, e altri .

Così, grazie ad Hamida Khalil, la prima donna martire in Egitto, morta per la sua difesa della patria e la sua indipendenza dall'occupazione britannica, presto seguirono altre manifestazioni femminili, e il loro contagio si diffuse dall'aristocrazia agli strati della classe media , e da lì alle donne della classe operaia, tra le quali caddero martiri nella Rivoluzione del 1919.

Sfortunatamente, c'è una mancanza di interesse nel narrare questi fatti in generale, quindi il pregiudizio è fatto attraverso una storia imprecisa e fatti denigratori, sperperando i diritti dei veri eroi che si sono sacrificati per il bene dell'elevazione e della prosperità dell'Egitto. grande e sorprendente ruolo che le donne egiziane hanno svolto durante e dopo la rivoluzione.

Il marito d Safiya fu esiliato successivamente nell’isola delle Seychelles(?) e la donna continuò 
nella lotta della rivoluzione diventando una figura centrale del partito Wafd.  e  nella liberazione 
delle donne egiziane. 

Madame Zaghloul di fronte al Casino Palace Hotel , Port ha detto prima di partire per unirsi a suo marito a Gibilterra 16 ottobre 1922

La Zaghloul continuò la lotta politica per 20 anni e, dopo la morte del marito,  fu avvertita dal 
primo ministro egiziano Ismail Sedqy Pasha di abbandonare la sua attività. La donna continuò la
sua lotta. Safiya non aveva figli, ma era chiamata dalla gente come
La madre degli egiziani
Un ruolo importante anche per la promozione dei diritti delle donne.
Dopo l’esilio del marito, Safiya aveva rilasciato una dichiarazione che fu letta dalla sua segretaria 
durante una manifestazione di massa che si svolse intorno alla sua casa, chiamata dalla gente, “Bayt 
al-Umma” (la Casa della Nazione)..
“Se la forza bruta inglese ha arrestato Saad e la sua lingua, allora sua moglie e compagna di vita sta facendo testimoniare a Dio e alla patria che sostituirà il suo grande marito… e che si considera una madre per tutti coloro che sono usciti per affrontare i proiettili per amore della libertà".
 Il 16 marzo 1919 Hamida Khalil fu la prima di sei donne egiziane uccise dai soldati britannici
mentre protestavano contro il colonialismo.  Il 16 marzo segna, ancori oggi, la data della ricorrenza 
della donna egiziana.

Kamila Khalil era una ragazza rivoluzionaria del quartiere Gamaleya al Cairo e cadde colpita dai 
proiettili inglesi mentre partecipava in prima fila durante la manifestazione davanti alla moschea di 
Al-Hussein e vicino alla casa di Safiya Zaghloul.
Gridava con i manifestanti la rabbia contro la continua occupazione britannica:
Saad..Saad… lunga vita a Saad…lunga vita alla mezzaluna con la croce…
(Saad era il leader del partito Wafd, marito di  Safiya Zaghloul)
Nessuno conosceva il suo nome ed era una delle 300 donne che parteciparono alla manifestazione. 
Donne che avevano deciso di uscire dal perenne silenzio, di resistere alle tradizioni e ai divieti, per 
dichiarare la verità. Erano guidate da Safiya Zaghloul e da Huda Shaarawy.
 Huda Shaarawy fu una delle figure femministe egiziane più famose di tutti i tempi, insieme a 
Durriya Shafiq, Safia Zaghloul ed Ester Fanous.  Sha'arawi fu la fondatrice dell'Unione femminista 
egiziana. Nel 1919, Sha'arawi contribuì all’organizzazione di una delle più grandi proteste anti-
britanniche delle donne di tutti i tempi.
Dopo aver partecipato al Congresso dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile a Roma, 
Sha'arawi prese la decisione consapevole di togliersi il velo dal viso, un atto che sarebbe passato alla 
storia come uno dei momenti più decisivi della resistenza femminista in Egitto.
Huda Shaarawi aveva fondato l'Egyptian Political Union Group ed aiutò le donne a partecipare alla 
vita pratica e a prendersi cura dei propri figli istituendo asili nido per bambini.
Chiese l'istituzione di cliniche mediche per i poveri e ricevette una serie di onorificenze 
internazionali.
Fu la prima donna a rivendicare
Il diritto delle donne a partecipare alla vita politica e, con grande coraggio, portò avanti il processo di liberazione delle donne e il loro diritto all'istruzione, schierandosi a favore dell’emanazione  di una legge per specificare l'età del matrimonio per le ragazze.

Shaarawi fu un membro fondatore dell '"Unione delle donne arabe" e presidente nel 1935.
Nel 1944 tenne  la Conferenza delle donne arabe alla presenza di delegati di diversi paesi arabi.
Nel 1921, mentre gli egiziani stavano ricevendo Saad Zaghloul,  Hoda Shaarawi si tolse 
pubblicamente il niqab davanti al popolo e lo calpestò con i piedi insieme alla sua collega Siza 
Nabrawi. Il suo comportamento fu applaudito da una folla di donne e tutte ti tolsero i niqab.
Huda scrisse nelle sue memorie:
“Abbiamo sollevato il niqab e io, la mia segretaria Siza Nabarawi, e abbiamo letto Al-Fatihah, poi siamo saliti sui gradini del piroscafo, con i nostri volti scoperti, e ci siamo voltati per vedere l'effetto del volto che sembrava svelarsi per la prima volta tra la folla, e non ci faceva alcun effetto, perché tutta la gente si stava dirigendo verso Saad, desiderosa di vederlo”.
Morì dopo una grande lotta per le donne, il 12 dicembre 1947 .

Il racconto di Nazli continua…
Il fidanzato della Nazli fu esiliato assieme allo zio e il rapporto d’amore svanì.
Il sultano d’Egitto Fuad I vide per la prima volta Nazli ad uno spettacolo del Teatro dell’Opera del 
Cairo.
Il principe Faud aveva alle spalle un matrimonio fallito con la principessa Shewelkar, nipote di  Ibrahim Pasha.

Shivakiar Ibrahim ( شويكار الأميرة )
‎ (Scutari25 ottobre 1876 – Il Cairo17 febbraio 1947)
Figlia del principe Ibrahim Fahmi Ahmad Pascià e della sua prima moglie,
Vijdan Navjuvan Khanum.

Nel 1896 sposò in prime nozze il cugino, il principe Fu’ad (Fuad I) che in seguito sarebbe diventato
il re d’Egitto. Il principe  era cugino di primo grado del padre della moglie. Il matrimonio si rilevò
infelice. Nel corso di un litigio, il principe Fu’ad venne colpito alla gola da un colpo di pistola
sparato  dal cognato (Shahzadeh Ahmed Saif al-Din).
Riuscì a sopravvivere ma portò il segno della cicatrice per tutta la vita.
Dal matrimonio due figli/e: Isma’il e Fawkia.
Il matrimonio si rilevò infelice e la coppia divorziò nel 1898.
La principessa si risposò nel 1900 con Abdul Rauf Sabit Bey, un ufficiale di marina ottomano con il
quale ebbe due figli. Altro divorzio nel 1903. Si risposò nel 1904, come seconda moglie, con 
Saifullah Yusri Pasha, con il quale ebbe due figli: Vahid Yusri Pasha e Lufthia Khanoum.
Questo matrimonio durò fino al 1916. Tra il 1917 ed il 1925 si sposò con Muhammad Salim Khalil 
Bey Demirkan con il quale ebbe un ultimo figlio. Infine  un ultimo matrimonio nel 1927 con 
Llhamy Hussein Psha.
Tra il 1920 ed il 1940  Shivakiar Hamin si dedicò ad opere di beneficenza ed ai diritti delle donne.
Fu la presidente dell’associazione di beneficenza Muhemmad Ali e dell’associazione femminile 
“Mara al- Guedida” (La Nuova Donna).  La principessa scrisse nel 1930 circa, tre libri che furono 
pubblicati in lingua francese:
Mon pays: la renovation de l'Egypte, Mohammed Ali (Il mio paese: la rinascita dell'Egitto, Mehmet 
Ali), Ne-Ouser-Ra (il faraone Ne-Ouser-Ra) e Sa petite esclave (La sua piccola schiava).
Morì il 17 febbraio nel suo palazzo Al-Kasr al-Aali e fu sepolta a Bab al-Khalk, nella
necropoli Qarafa del Cairo.

La Tiara della Principessa Shivakiar d’Egitto.


Collana di smeraldi e diamanti
http://bijoussimo.b.i.pic.centerblog.net/o/Shivakiar-necklace.jpg

Il celibato del principe Fuad durò per circa 21 anni. Si rifiutò di risposarsi malgrado il gran numero
di pretendenti (turche, inglesi, ecc.) che lo circondavano.
Il 12 maggio 1919 il principe Fuad fece Nazli Sabri la proposta di matrimonio


Il principe aveva ben 26 anni più di lei e alla fine, il 24 maggio 1919, si sposarono nel Palazzo 
Bustan al Cairo.
Come mai il principe Fuad cambiò idea nell’abbandonare il celibato dopo il primo matrimonio?
Aveva l’obiettivo di avere un figlio che dopo di lui avrebbe ereditato il trono del regno. Aveva avuto 
solo un figlio dalla sua prima moglie Shewelkar.
La principessa si trasferì all’haramlek (un luogo dove solo le donne potevano avere accesso) nel 
palazzo Abbasiya.
Nazii fu subito messa sotto pressione dal marito per avere un figlio e fu anche minacciata che 
sarebbe stata confinata per sempre nell’haramlek se non avesse dato alla luce un bambino.
L’11 febbraio 1920 nacque Farouk I, principe ereditario e a Nazli  fu concesso di spostarsi al 
Palazzo Qubba (Koubbeh), residenza reale ufficiale di suo marito.

La principessa Nazli con il figlio Farouk


https://www.facebook.com/photo/?fbid=4890303081061585&set=a.2788272354598012&locale=cy_GB

Nel 1922 il principe Fuad diventò il primo re d’Egitto e la principessa Nazii acquisì il titolo
di regina.


La regina Nazli si considerava di gran lunga superiore a re Fouad e più informata di lui,
poiché è laureata in istituti ed università Francesi, padroneggia in diverse lingue mentre
Fouad è figlio di un’educazione militare e non sa nulla di cultura o arte….. è bravo a trattare solo con le prostitute.
La regina ebbe poi quattro figlie: Fawziya, Faiza, Faika e Fathiya.


Da sinistra a destra:
la principessa Faiza, la principessa Faika, la principessa Fawzia e il principe Farouk
https://eurohistoryjournal.blogspot.com/2021/11/100-years-since-birth-of-princess.html


https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/de/Farouk_with_his_mother_and_sisters.jpg


https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/de/Farouk_with_his_mother_and_sisters.jpg

La vita di palazzo non era gradita alla regina e neanche i titoli che le furono dati.
Era prigioniera nell’immenso palazzo e non c’era nulla che l’avvicinava a suo marito.
Nazli di lamentò diverse volte con il re perché l’ignorava  e molte volte fu trattata anche con 
asprezza e violenza. Spesso fu insultata ed anche picchiata.
La sua vita era di completa reclusione nel palazzo… poteva assistere a spettacoli d’opera, 
manifestazioni floreali ed altri eventi culturali per sole donne.
Una donna istruita, emancipata in contrapposizione alla donna egiziana dell’epoca e non poteva non 
considerare questa esperienza matrimoniale come soffocante.
Ogni volta che la coppia litigava veniva schiaffeggiata dal marito e confinata con il suo seguito per 
molte settimane nel palazzo. Voci di palazzo affermarono anche come la regina Nazli tentò il 
suicidio con un’over dose di aspirina.
Accompagnò il re nel suo viaggio in Europa nel 1927 e fu molto festeggiata in Francia anche per i 
suoi antenati francesi. Nell’inaugurazione del Parlamento egiziano del 1924 fu tra i partecipanti 
reali alla cerimonia d’apertura ma venne confinata in una sezione speciale della galleria destinata 
agli ospiti. 

Il marito le impediva di esercitare qualsiasi dovere reale e limitò moltissimo le sue attività ai 
soli ricevimenti delle donne all’interno dei palazzi e questo in un momento in cui aspirava ad un 
ruolo sociale molto più ampio simile a quello delle regine europee.
Il sovrano provava per la moglie un atteggiamento misto di gelosia e d’invidia, quanto di più 
terribile ci possa essere nel comportamento umano. A questo atteggiamento si aggiungeva la 
consapevolezza della grande eloquenza e classe della moglie che destava tanta ammirazione negli 
stranieri. La regina d’Afghanistan Soraya Tarzi incontrò probabilmente la regina d’Egitto Sabri 
Nazli in  questo periodo così tragico della sua vita e non gli sarà sfuggito il suo sguardo spento o 
magari  forzato in un’illusoria felicità. Mentre il marito Amanullah Khan  era in visita con Fuad I , 
le due regine avranno sicuramente conversato a lungo magari scambiandosi i loro problemi. I 
filmati sulla visita di Amanullah Khan non mostrano mai l’immagine della regina Soraya, il sovrano
afghano appare sempre da solo.
Soraya era molto vicino ai problemi delle donne  afghane costituiti da solitudine, dominio 
psicologico della figura maschile, emarginazione dalla vita.  Problemi che la regina Nazli, malgrado 
il suo titolo e la figura di madre, stava vivendo  e la regina Soraya fu in grado di percepirli anche 
attraverso lo sguardo e la lettura negli occhi. Uno sguardo, quella della regina Nazlii, che si 
spegneva di giorno in giorno.
La regina Soraya si trovò di fronte ad una donna che stava vivendo un terribile dramma acuito 
anche dal comportamento del marito, spesso molto volgare, e soprattutto violento. Una donna 
completamente annullata nel suo mondo interiore e culturale. Certo la regina Soraya non avrebbe 
potuto mai immaginare la fine che avrebbe fatto la regina Nazli.

Il re Fouad morì il 28 aprile 1936 e si dice come la regina Nazii non abbia versato una sola 
lacrima.  La regina aveva 42 anni quando rimase vedova e diventò quindi “Regina Madre” 
svolgendo un ruolo importante nell’ascesa al trono del figlio Farouk.
Farouk alla morte del padre non aveva raggiunto l’età legale che gli avrebbe consentito di ricevere 
tutti i suoi poteri legittimi.
La regina nominò un comitato di tutela sul figlio  che era guidato dal più importante aspirante a 
governare nell’epoca,  il principe Muhammad Alì Tawfiq..
Si stabilì con l’iman Al-Maraghi che l’età di Farouk fosse calcolata secondo il  Calendario Hijri. 
Questo avrebbe consentito a Farouk di disporre del suo denaro all’età di 15 anni assumendo anche 
il governo del paese. L’età di 15 anni corrispondeva ai 17 anni gregoriani e ai 18 anni secondo il 
calendario Hijri.

Per Nazii era il suo momento di vera gloria e considerava l’ascesa al trono del figlio come la 
fine delle sue restrizioni e del suo perenne isolamento. 




Ma il destino è spesso crudele.
Quel momento di gloria e di speranza non era destinato a durare a lungo.
Il figlio cominciò a dimostrare una grande insofferenza nei confronti della madre per la sua 
interferenza negli affari di stato e per la sua natura dominante.

Il figlio rimproverava alla madre la relazione con il famoso esploratore e spadaccino  della corte 
Ahmed Hassanein Pasha. Un personaggio importante alla corte egizia e le voci del tempo parlarono 
di una relazione di quasi nove anni. Hassanein era un cortigiano, diplomatico, politico ed 
esploratore geografico. 
Ahmed Hassanein Pasha

Era stato anche tutore, capo del Diwan e ciambellano di Farouk. Rappresentò l’Egitto alle 
Olimpiadi estive del 1924 nella scherma (fioretto e spada).
Le sue esplorazioni furono pubblicate sul National Geographic Magazine e gli permisero di essere 
insignito del titolo di Bey  (titolo onorifico) della Founder’s Medal della British Royal
Geographical  Society nel 1924.
La sua vita fu caratterizzata da tante relazioni. Nel 1926 aveva sposato la principessa Latifa, figlia
della principessa Shivakiar Khanum Effendi, la prima ex moglie del Fuad I.
Il matrimonio non durò a lungo a causa della sua relazione con la regina Nazli che sposò
segretamente  per un paio d’anni dal 1943 al 1946. 

Le fonti citarono come l’ Hassanein, nello stesso periodo, fosse innamorato della principessa 
Amal Al-Atrash (Asmahan).  Asmahan, sorella del principe Farid al-Atrash , era una cantante 
siriana e l’Hassanein ebbe con lei degli incontri all’hotel “Mena House”….. 

Una forte gelosia di Nazli è divampata nei confronti della cantante siriana "Asmahan"
dopo che si sono diffuse voci sulla sua relazione con "Hassanin Pasha".

Le foto con la cantante siriana


L’hotel dove i due amanti s’incontravano
https://www.pinterest.it/pin/365424957241649244/

La regina Nazli fu molto turbata da questa relazione e approfittando della sua influenza
governativa, espulse dall’Egitto l’Asmahan.
L’Asmahan era una cantante molto famosa e la decisione della regina madre avrebbe fatto
discutere creando anche dei problemi al re Farouk.
Il giornalista Muhammad Al-Tab’i, molto vicino alla famiglia reale, riuscì a convincere la
regina Nazli a revocare la sua decisione permettendo alla cantante siriana di rientrare in
Egitto.

Nessuno sa quale donna amasse veramente Hassanein ma sarebbe opinione diffusa che sposò 
la Nazli solo per tenerla lontana dagli scandali dato che era la Regina Madre..  La donna 
provava un grande amore  e non poteva accettare un triste verità che l’amore del suo 
compagno di vita fosse solo un’avventura. Mise in pericolo il trono del figlio che non poteva 
accettare la visione di sua madre seduta nella Royal Suite con l’Hassanein di notte. Faraouk 
non approvava il comportamento di sua madre che gli aveva nascosto anche il suo 
matrimonio segreto di cui venne a conoscenza solo dopo  l’improvvisa morte dell’Hassanein. 
Veniva colpita l’immagine del re davanti al popolo egiziano. Il matrimonio segreto era legato 
alla frustrazione della donna, alla sua mancanza di libertà come membro della famiglia reale 
dal fatto che non poteva sposare l’uomo che amava. A questo aspetto si contrapponeva quello
del figlio Farouk deluso dal desiderio della madre di risposarsi perché vedeva in quest’atto il
tradimento del ricordo del padre.
Tutto finì con la morte di Ahmed Hassanein Pasha in un incidente d’auto.
L’incidente avvenne con un veicolo militare britannico vicino al ponte Qasr En Nil al Cairo
il 19 febbraio 1946. 

La regina Nazli impazzì dal dolore e pensò che dietro l’incidente ci fosse la mano di suo figlio. Per 
tragico gioco del destino incominciò la caduta politica del sovrano Farouk. Prima con il divorzio da 
sua moglie Farida nel 1948 malgrado i suggerimenti dei suoi consiglieri e le ripetute sconfitte 
politiche.
Nazli lasciò l’Egitto nel 1946 per recarsi negli Stati Uniti per curare un disturbo ai reni.

La regina madre Nazli Sabri con il figlio re Farouk

La regina Nazli con due figlie

In realtà da indagini la regina Nazli, dopo la definitiva rottura con il figlio Farouk, lasciò 
l’Egitto con la principessa Fathiya, allora quindicenne,  e non si recò negli USA ma a 
Marsiglia dove conobbe Riad Ghali.
Un personaggio per certi versi controverso che sfruttò abilmente l’opportunità che la vita gli 
stava offrendo. Un noto personaggio politico disse che le
Opportunità nascono dalle circostanze che la vita ti offre.
Era nato a Shubra ( l’11 febbraio 1919) in Egitto  da una famiglia copta ortodossa ( figlio di 
Beshay Ghali e  Mina Ghalila). Era un impiegato del consolato egiziano a Marsiglia ma 
soprattutto era un uomo dedito al gioco d’azzardo.
Nel 1946  il Ghali e la Nazli s’incontrarono e riuscì ad entrare nelle simpatie della regina tanto 
da essere nominato dalla donna suo consigliere reale.
Accompagnò le donne in un lungo viaggio in Francia, Svizzera ed Inghilterra.
La regina Nazli e la figlia Fathiya (Fuad) accompagnate nel loro viaggio
in Europa da Riyad Ghali

Nel 1948 si recarono negli Stati Uniti. La regina Nazli doveva sottoporsi ad un intervento 
chirurgico e rimase negli Usa anche dopo la convalescenza malgrado le richieste del figlio di 
tornare assieme alla figlia in Egitto. 
Sembra che il quel momento sia nata una relazione amorosa tra Riyad e la principessa Fathiya. Una 
relazione complicata perché, come riportarono le cronache d’allora, anche la regina Nazli era 
coinvolta in una relazione amorosa con lo stesso Riyad. Sembra che la relazione  tra Riyad e 
Fathiya sia stato favorito dalla madre della ragazza.
Riyad tuttavia affermò di non avere avuto alcuna relazione romantica con la regina Nazli e di aver
amato solo Fathiya.

Il re Farouk cercò in tutti i modi di convincere la madre e la sorella a tornare in Egitto. 

il re Farouk

Il re era infatti contrario al rapporto tra Riyad e Fathiya anche perché fu informato della particolare 
posizione della madre che era probabilmente coinvolta in un rapporto romantico con lo stesso
Ruyad. Alla fine ignorando i divieti di Farouk e la proposta dello stesso sovrano di fare sposare
Fathiya con un  corteggiatore da lui scelto, i due si sposarono il 25 aprile 1950, con rito civile,
al Fairmont Hotel di San Francisco.


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Fathiya  aveva 20 anni mentre Riyad 31 anni. Ma la differenza più importante era che lo sposo era 
cristiano copto mentre la moglie era musulmana.
Il re Farouk, preso dall’ira, l’1 agosto 1950 privò la regina Nazli e la sorella Fathiya di qualsiasi
titolo (“Regina madre”),  distinzione diritto reale, oltre a privarli dei loro beni mobili ed immobili.


La regina madre Nazli Sabri

Nazli e la figlia si convertirono al cristianesimo dopo il matrimonio.
La Nazli prese il nome di Mary Elizabeth.
La coppia ebbe tre figli/e:
-        Rafik ( 219 novembre 1952);
-        Ravato (Rayed) (20 maggio1954 – 2007);
-        Gamma (Ranya) (21 aprile1956)


Subito dopo il matrimonio lo stesso sovrano Farouk dichiarò Riyad “invalido, cioè nelle
“capacità di non intendere e volere” ed ordinò a Nazli e Fathiya di ritornare in Egitto in
“un termine massimo di 60 giorni”.
La risposta dell’ex “regina madre” fu perentoria e fu riportata con clamore dai giornali
americani;
"Non lascerò San Francisco finché non sarò pronto!" "Nessuno ha influenza su di me o sulla mia vita. Se pensi che dovrei fare qualcosa, lo faccio!"
La risposta destò molta irritazione sia nel sovrano che nella popolazione egiziana.
Alla fine il decreto sulla privazione dei titoli e dei beni nei confronti di Nazli e di
Fathiya fu pubblicato l’8 agosto 1950. 

Nel 1955 la Nazli acquistò, per circa 63.000 dollari, una villa di 28 stanze a Beverly Hills.
Nella villa viveva con la figlia Fathiya, con il genero e i loro due figli, conducendo un’attiva
vita sociale ma fece un errore che pagherà a carissimo prezzo.
Diede al genero Riad Ghali una procura generale per gestire i suoi risparmi. Il genero 
sperperò il denaro in cattivi investimenti  e forse dedicandosi anche al gioco d’azzardo.
Nel 1965 si recò a Roma per partecipare al funerale del figlio Farouk.

Il genero sperperò i risparmi della Nazli in cattivi investimenti  e a delineare il momento 
difficile, la figlia Fathiya divorziò dal marito nel 1965.
La Nazli a causa delle sue ristrettezze economiche, si trasferì in un piccolo appartamento a 
Westwood, Los Angeles. Qui fu raggiunta dalla figlia Fathiya che si era trasferita 
temporaneamente alle Hawaii.  Riyad smise di pagare il mantenimento dei figli alla sua ex 
moglie nel 1972 e l’ex principessa Fathiya fu quindi costretta a lavorare come domestica.
 Nel 1974 dichiarò bancarotta e per fare fronte ai debiti nel 1975 la Nazii inviò all’asta da 
Sothebys i suoi gioielli più importanti tra cui una magnifica tiara “art déco” (720 diamanti 
del peso di 274 carati) e una collana abbinata commissionata nel 1938 da Van Cleef & 
Arpels.
Preziosi che furono venduti rispettivamente per 127.500 e 140.000 dollari.
Nonostante queste vendite sia la Nazii che la Fathiya finirono nel tribunale fallimentare.

Anche i gioielli di Fathiya furono messi all’asta per fare fronte ai debiti.
Nel 1976 il presidente dell’Egitto, Anwar Al Sadat, rispose in modo affermativo alla 
richiesta dell’ex regina Nazli di avere riavere i passaporti per il loro rientro in Egitto.
Fathiya progettò un suo ritorno in Egitto nel periodo natalizio, gennaio 1977. Con l’aiuto di 
alcuni suoi estimatori avrebbe aperto una società di importazione, agenzia società di 
pubbliche relazioni,
Il 6 dicembre 1976, Riyad Ghali entrò nel modesto appartamento, che Fathiya condivideva 
con la madre a Los Angeles, e la uccise con cinque colpi di pistola (di cui quattro in faccia).





La donna era sola in casa e subito dopo l’omicidio  l’assassino tentò il suicidio.
Rimase in vita sopravvivendo alle ferite riportate anche se rimase cieco e paralitico.
Fu condannato a 15 anni di carcere e morì, il 12 luglio 1987,   tre anni prima della fine della
sua carcerazione.
Fathiya fu sepolta all’Holy Cross Cemetery, un cimitero cattolico di Culver City in 
California.


Holy Cross Cemetery
Culver City, Los Angeles County, California, US
Section F


La Nazli alla fine si stabilì negli USA a causa della sua dolorosa malattia e visse 
sola povera in un quartiere povero di Los Angeles. Morì il 29 maggio 1978 all’età di 83 
anni a Los Angeles, California. 
Fu sepolta, anche lei nel cimitero di Holy Cross, vicino (?) alla tomba della cara figlia.

Holy Cross Cemetery
Culver City, Los Angeles County, California, USA
Section F


Fathiya Foud

I rapporti di Nazli con il figlio Farouk erano uguali a quelli della relazione con il marito e
questo provocò un terribile allontanamento tra madre e figlio.
Un'immagine della Regina Madre, Nazli Sabri, e della Regina Farida, con il Re Farouk I, e dietro, la Principessa Effat Hassan, capo della Fondazione Muhammad Ali
https://www.facebook.com/royalstory.page/?locale=ar_AR

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La collana art déco della regina Nazli riapparve a una svendita di Sotheby's

 nel dicembre 2015.

New York--Una collana Van Cleef & Arpels in platino e diamanti indossata dalla regina Nazli d'Egitto è stata venduta mercoledì a New York per 4,3 milioni di dollari, poco meno dei 4,6 milioni di dollari previsti da Sotheby's per il pezzo.

Realizzata nel 1939, la collana Art Déco è incastonata con più di 600 diamanti rotondi e baguette disposti in un motivo a raggiera. La regina ha commissionato la collana, così come una tiara abbinata, per la cerimonia nuziale di sua figlia. Sebbene la collana fosse un pezzo di spicco nella vendita di Sotheby's Magnificent Jewels, che ha fruttato un totale di 52,2 milioni di dollari, non è stato il top lot dell'asta. Venduto per 5,1 milioni di dollari, il momento clou dell'asta è stato uno zaffiro cabochon pan di zucchero taglio cuscino da 25,87 carati, affiancato da due diamanti taglio proiettile e incastonato in un anello di platino.Dopo l'anello di zaffiro e la collana della regina Nazli  c'erano un paio di impressionanti anelli di diamanti. Il primo era un diamante quadrato taglio smeraldo da 38,27 carati, affiancato da diamanti baguette affusolati e incastonato in platino. Un acquirente ha pagato più di $ 4 milioni per l'anello. Il successivo lotto di maggior incasso dell'asta è stato un diamante taglio smeraldo da 26,44 carati affiancato da due diamanti taglio trapezio, che ha raccolto poco più di 2 milioni di dollari.

https://nationaljeweler.com/articles/8052-queen-s-necklace-sells-for-4-3m

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LA VISITA IN ITALIA



Come mai il re Amanullah Khan e la regina Soraya Tarzi vennero in Italia?
Erano in atto da tempo dei rapporti diplomatici tra i due Stati?
I rapporti tra Afghanistan ed Italia furono saltuari, rispetto ad altri Stati europei come 
Germania, Gran Bretagna, Francia, Turchia e URSS. Anche la documentazione storica è 
quasi assente e questo dimostrerebbe una relazione piuttosto incostante soprattutto dopo la
salita al potere di Benito Mussolini nel 1926.
Prima degli anni  ’20 in Italia c’era una visione completamente sconosciutadell’Afghanistan.
Fu solo quando il sovrano Amanullah Khan dichiarò l’Indipendenza dagli Inglesi che lo
Stato entrò con chiara evidenza nello scenario internazionale e quindi anche Roma 
s’accorse  dell’Afghanistan in via di sviluppo posto nell’Asia Centrale.
Le prime relazioni tra i due Stati si verificarono nel 1921.
I sovrani Afghani avevano una chiara visione del futuro del loro paese basato sullo sviluppo 
sociale, culturale, economico ed anche legato a rapporti internazionali con le maggiori 
potenze del mondo.
I rapporti con le potenze internazionali avrebbero permesso all’Afghanistan di venire a 
conoscenza di tecnologie, aspetti sociali che, filtrati con le loro tradizioni storiche, 
avrebbero aiutato il paese nel suo percorso verso la modernizzazione.
Ciò è dimostrato dai viaggi che i due sovrani fecero nelle capitali europee. Il viaggio in 
Italia aveva d’altra parte dei risvolti non solo politici ma anche  commerciali perché 
permetteva ai sovrani afghani la conoscenza di importanti realtà legate alle industrie 
militari, meccaniche, tessili, ecc .
Per la regina Soraya c’era anche il venire a contatto con la realtà storica Italiana così ricca di 
storia e con il patrimonio storico più importante del mondo.
La nascita dei rapporti diplomatici con l’Italia  fu forse dovuta al caso.
L’ambasciatore Afghano, Mohammed Wali Khan, incontrò a Varsavia il ministro 
plenipotenziario (agente diplomatico di rango immediatamente inferiore all'ambasciatore) in 
Polonia, Francesco Tommasini.

Shah Muhammad Wali Khan Darwazi (a destra), Shah Amanullah Khan (al centro),
Mahmud Tarzi (a sinistra) e alcuni membri di alto rango del governo dell'epoca;
in uno dei banchetti tenuti a Majal Arg
https://www.facebook.com/Shah-Muhammad-Wali-Khan-Darwazi%D8%B4%D8%A7%D9%87-%D9%85%D8%AD%D9%85%D8%AF-%D9%88%D9%84%D9%89-%D8%AE%D8%A7%D9%86-%D8%AF%D8%B1%D9%88%D8%A7%D8%B2%D9%89-1429831850573765/photos/2663776867179251

Tra i due funzionari diplomatici nacque una cordiale comunicazione che finì con
il destare nell’ambasciatore afghano una certa curiosità nei confronti dell’Italia. In realtà il 
sovrano Amanullah Khan conosceva l’Italia grazie al gruppo “Giovani Turchi”. Il gruppo 
“Giovani Turchi” faceva riferimento agli appartenenti ad un movimento politico nato verso 
la fine del XIX secolo (noto prima come “Giovani ottomani”) e affermatosi nell’Impero 
Ottomano. S’ispirava alla mazziniana “Giovane Italia” e si costituì con l’obiettivo di 
trasformare l’impero, allora autocratico e inefficiente, in una monarchia costituzionale, con 
un esercito modernamente addestrato ed equipaggiato.
Questo Gruppo era stato seguito con grande interesse da parte del sovrano afghano e capì 
subito come l’Italia poteva essere un alleato vantaggioso anche per consolidare la sua 
posizione politica estera. L’ambasciatore afgano Mohammed Wali propose al Tommasini un 
rapporto politico ed economico tra i due paesi e questa proposta procurò nel funzionario 
diplomatico italiano una certa curiosità.
Il diplomatico italiano si pose la domanda: quali sarebbero stati i vantaggi di questa 
relazione?  Solo vantaggi politici?
Il funzionario italiano si mise subito in contatto con Roma per spiegare le intenzioni del 
nuovo governo afghano. L’ambasciatore afghano, per dimostrare la serietà della proposta, 
consegnò al funzionario italiano i documenti riguardanti il Trattato di Rawalpindi e di quelli 
che seguirono, le credenziali da consegnare direttamente al governo italiano e al Re d’Italia, 
Vittorio Emanuele III.
Riferì  che sia lui che il sovrano Amanullah Khan, erano disposti a recarsi in Italia per una 
visita diplomatica, per un doveroso incontro ufficiale con l’obiettivo di spiegare a voce il 
programma di sviluppo avviato dal sovrano ( in carica dal 1919 al 1929). 
Capo del governo italiano era Giovanni Giolitti (Governo V) e come Ministro degli Esteri 
Carlo Sforza (Indipendente) che in precedenza aveva ricoperto l’incarico di Alto 
Commissario a Costantinopoli fra il 1918 ed il 1919. 

Il ministro Carlo Sforza aveva una grande esperienza di politica estera e le sue relazioni 
erano legate ad un obiettivo ben preciso: la messa in atto di un piano di politica estera molto 
organizzato e molto esteso, valicando i confini europei per spingersi sino al mondo asiatico.
Carlo Sforza appoggiò i “Giovani Turchi” per l’Indipendenza della Turchia. Certo non 
poteva sapere che alcuni dirigenti del movimento, tra il 1915 ed il 1919, si sarebbero 
macchiati del terribile genocidio dei fratelli Armeni con la morte di oltre 1,5 milioni di 
Armeni.
Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi armati. Kharpert, Impero ottomano, aprile 1915.
Una strage dimenticata…….

Il ministro degli Esteri Sforza decise di ricambiare l’interessamento di Amanullah Khan e 
affermò che era disponibile a stringere con l’Afghanistan dei legami diplomatici e politici.
Tra Roma e Kabul sorse un rapporto cordiale ma non era una semplice amicizia diplomatica.
Il sovrano dell’Afghanistan aveva dei validi motivi per stringere un rapporto diplomatico 
con l’Italia.
Il primo obiettivo del sovrano afghano era l’aeronautica militare. In Afghanistan l’aviazione 
era pressoché assente e la prima volta che il sovrano vide un attacco aereo fu quello 
condotto dagli aerei inglesi sulla città afghana di Jalalabad nella guerra del 1919. Quindi  il 
sovrano capì l’importanza strategica dell’aereonautica nella difesa di un paese da attacchi 
esterni. Amanullah si rivolse proprio a quei Paesi meno raccomandabili per l’epoca. Sapeva 
bene che da loro avrebbe potuto avere degli aiuti militari: Germania, Italia, URSS.
Come prima azione il ministro italiano invitò la missione afgana in Italia e nel maggio 1921 
l’ambasciatore Mohammed Wali Khan arrivò a Roma.
Incontrò dapprima il ministro Sforza e in seguito fu accolto anche da Re Vittorio Emanuele 
III. I due funzionari diedero inizio ad un intenso processo di negoziazioni per raggiungere
un favorevole patto di amicizia per entrambi.
 I diplomatici italiani fecero visitare  all’ambasciatore afghano, le aziende ed i porti 
aeronautici più importanti d’Italia. Visitò l’aeroporto di Centocelle (vicino Roma) e le 
installazioni della Cooperativa Nazionale Aeronautica dove si svolse uno spettacolo  della 
potenza aerea italiana.

Campo della Cooperativa Nazionale Aeronautica
Le relazioni dell’ambasciatore afghano non potevano non destare ammirazione nel sovrano Amanullah Khan.  Il sovrano strinse dei rapporti con la grande azienda aeronautica Caproni di Milano.

Azienda Aeronautica Caproni di Milano.
Anni 1930/1940

Date di esistenza:
Data Istituzione/Costituzione: 1910
Data di Soppressione/Cessazione: 1950
https://archiviostorico.fondazionefiera.it/entita/736-caproni

L’Italia fu quindi il primo Stato occidentale a stipulare, il tre giugno 1921, un accordo per 
lo scambio di missioni diplomatiche permanenti con il nuovo Afghanistan indipendente.
Un accordo che si articolava nella stipula di un trattato di commercio, di programmi di 
assistenza tecnico-economica e di penetrazione culturale e commerciale.
Nel 1922  lo stato italiano e il sovrano dell’Afghanistan firmarono un contratto per l’invio di 
due ricognitori che avrebbero dovuto raggiungere via mare Bombay e poi Kabul via terra. 
Gli aerei arrivarono a destinazione ma erano stati sabotati….. sabotati da chi? 
Ci fu un operazione britannica che colpì gli aerei appena sbarcarono a Bombay.
                                                                 Caproni Ca.53
                                                                Primo volo 1918

https://it.wikipedia.org/wiki/Caproni_Ca.53

Prima dell’Italia l’Afghanistan aveva avuto dei contatti diplomatici solo con due Stati: 
con la URSS che riconobbe l’indipendenza dell’Afghanistan il 28 febbraio 1921 e con la 
Turchia che riconobbe l’indipendenza l’uno marzo dello stesso anno.
Sforza e Wali Khan avviarono una cooperazione economica e tecnica tra i due paesi e 
auspicarono il raggiungimento di accordi bilaterali vantaggiosi per entrambi gli stati. La
soluzione finale fu realizzata con due trattati di alleanza del 3 giugno 1921.
I trattatati erano due semplici documenti, costituiti da una sola pagina, che furono redatti in 
italiano ed in inglese. Si cercò di realizzarli anche il lingua dari, la lingua afghana, ma i 
diplomatici non riuscirono a trovare un linguista in grado di tradurre i documenti ufficiali.
Il primo patto stabiliva una cooperazione tecnica ed economica tra Kabul e Roma  
prevedeva, nei messi successivi, l’invio di una missione commerciale italiana in 
Afghanistan. Questa delegazione avrebbe firmato un nuovo trattato commerciale una volta 
giunta nel paese.
I diplomatici italiani rimasero affascinati dai costumi e dagli usi del corpo diplomatico 
afghano. L’Italia aveva come obiettivo lo studio di ogni singolo aspetto del paese asiatico 
per  avere un possibile beneficio economico.
Il secondo patto dichiarò l’avvenuta realizzazione di rapporti diplomatici bilaterali tra i due 
paesi e la futura instaurazione di una rappresentanza diplomatica permanente a Roma ed una 
a Kabul.
L’Italia fu colpita dall’eccezionale ed unica concessione di mandare e mantenere
stabilmente un cappellano cristiano nella Legazione italiana a Kabul.
I due rappresentanti ufficiali prescelti, a Roma e a Kabul, furono rispettivamente Sher 
Ahmad e Gaetano Paternò, quest’ultimo precedentemente console a Damasco e considerato 
uno dei migliori esperti d’Oriente al Ministero degli Affari Esteri italiano.
L’Italia, con questi trattati, confermò di essere uno dei primi Stati a riconoscere
l’indipendenza dell’Afghanistan e cominciò ad essere considerato un “paese amico” 
malgrado le avversità che nasceranno.
Per l’autore di questa ricerca, nato a Catania, è un grande onore sapere come l’Afghanistan 
abbia avuto come ambasciatore nel 1922 un Catanese:
Gaetano Paternò e Paternò Castello, marchese dei Marchesi di Manchi di Bilici,
noto anche come Gaetano Paternò di Manchi di Bilici
(Catania, 9 novembre 1879 – Roma, 5 agosto 1949)

La nascita di questi trattati tra Afghanistan ed Italia passarono quasi inosservati presso gli 
inglesi.
Lord Curzon, Segretario degli Affari esteri inglesi, era in quel momento molto coinvolto nel 
trattato di pace con l’Afghanistan soprattutto dopo la sconfitta inglese nella terza guerra 
anglo-afghana.
L’impero britannico riconobbe l’indipendenza afghana e nello stesso tempo mostrò una 
certa determinazione nel mantenere lontano ogni paese dall’Afghanistan che considerava 
sempre come facente parte dell’Impero britannico.
L’Afghanistan non doveva avere rapporti internazionali… data anche la sua vicinanza 
all’India.
Gli inglesi, una volta constatato l’avvio dei rapporti tra Italia ed Afghanistan, cercarono di 
persuadere l’Italia nel proseguire la sua relazione con Kabul, ma lo sviluppo del legame tra 
le due capitali era ormai già avviato. Lord Curzon accusò anche l’Italia
di aver avuto rapporti con i Kemalisti turchi e che il Conte Sforza stava mettendo in atto 
una politica ostile alla Gran Bretagna.
(il Kemalismo era un movimento ideologico legato alla lotta di liberazione dei popoli della 
Turchia da parte del Movimento Nazionale Turco. Movimento che era guidato dal grande 
generale Mustafa Kemal Ataturk che nel 1923 portò alla fondazione della moderna 
Repubblica di Turchia e che proseguì con la riforma dello Stato e della società turca).
Nel 1920 l’impero britannico cercava di concludere il trattato di Sèvres e nel frattempo il 
Conte Sforza firmò in segreto un accordo con i Kemalisti per la fornitura di attrezzature 
militari.
Il trattato di Sèvres  fu firmato, il 10 agosto 1920, tra le potenze alleate della prima guerra 
mondiale e l’Impero Ottomano. Il trattato non fu ratificato per l’opposizione dei nazionalisti 
turchi e fu sostituito dal trattato di Losanna del 1923. Nel trattato di Sevres l’Impero 
Ottomano si sarebbe ridotto ad un modesto Stato entro i limiti della penisola anatolica, 
privato di tutti gli stati arabi e della sovranità sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Il 
trattato dava ampie tutele per le minoranze presenti in Turchia e nei suoi articoli 62-64 
garantiva ai Curdi la possibilità di ottenere l’indipendenza all’interno di uno Stato e i cui 
confini sarebbero stati definiti da una commissione della Società delle Nazioni designata per 
la questione.
Medio Oriente
-        veniva assicurata l’indipendenza alla prima Repubblica di Armenia (Armenia di Wilson) 
e al Regno dell’Hegiaz. L'Impero dovrà riconoscere la repubblica armena; il confine fra i 
due stati sarà deciso dal presidente degli Stati Uniti (Wilson il 22 novembre 1920 deciderà 
di cedere agli armeni TrebisondaErzurum e Van). Per il Kurdistan di decise di effettuare un 
referendum per deciderne il destino.
-        Il Regno Unito acquisiva l’Iraq, la Transgiordania e la Palestina. Territori che gli furono assegnati come “mandato” della Società delle Nazioni.
-        La Francia acquisiva il Libano e la Siria, anche questi territori assegnati come “mandato” della Società delle Nazioni.
Anatolia
-        Alla Grecia venivano assegnate la città di Smirne, gran parte della Tracia ed una parte dell’Anatolia Occidentale;
-        All’Italia il possesso del Dodecaneso (occupate fin dalla guerra italo-truca del 1911-1912, nonostante il trattato di Ouchy prevedesse la restituzione delle isole all’Impero Ottomano); gran parte dell’Anatolia meridionale e centro-orientale (costa mediterranea e l’entroterra della Turchia) furono dichiarate zone d’influenza italiana;
-        All’Armenia gran parte dell’ex Caucaso ottomano, incluse regioni nelle quali ormai non c’era una presenza significativa di popolazione armena, dopo i massacri etnici e le deportazioni a cui era stata sottoposta;
-        La Francia riceveva la Siria e le zone confinanti dell’Anatolia Sud-orientale. La Cilicia, il Kurdistan e gran parte dell’Anatolia centro-orientale vennero dichiarate zone di influenza francese;
-        Regno Unito riceveva una zona di influenza in Kurdistan in corrispondenza dei confini con l’Iraq.
Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, finiva sotto il controllo britannico-franco-
italiano.
L'Impero, indipendentemente dalla distinzione religiosa e linguistica, dovrà dare 
uguali diritti a tutti i cittadini non musulmani deportati e restituire loro gli averi 
sequestratigli; le minoranze saranno libere di istituire scuole ed istituti religiosi a tutti i 
livelli.
Il trattato di Sèvres fu duramente contestato dai nazionalisti turchi guidata da Mustafa 
Femal Pascia (Ataturk). I nazionalisti si ribellarono al governo imperiale di Istanbul e 
stabilirono un governo separatista ad Ankara. Durante la guerra d’indipendenza turca 
(1917 – 1923) riuscirono a resistere alle forze di Grecia, Francia ed Armenia e si 
assicurarono un territorio in gran parte uguale a quello odierno.
Il trattato non fu ratificato dal Parlamento ottomano perché era stato abolito il 18 
marzo 1920
(il trattato fu firmato il 10 agosto 1920). Il trattato aveva ricevuto il sostegno del 
sultano Mehmed Vi ma, come abbiamo vito, fu contestato dai nazionalisti di Mustafa 
Kemal Pascià (Ataturk).
Il movimento nazionalista turco fu riconosciuto dalla comunità internazionale nei 
seguenti trattati: il Trattato di Mosca del 16 marzo 1921con l’Unione Sovietica; il 
trattato di Ankara con la Francia che pose fine alla guerra franco-turca; il trattato di 
Alessandropoli e il trattato di Kars che fissarono i confini esterni.
Il trattato non fu quindi riconosciuto e le potenze dovettero riunirsi per la stipula di un 
nuovo trattato, il Trattato di Losanna nel 1923 che sostituiva il Trattato di Sèvres.

Kemal Atatürk (1925)
Ataturk successivamente incontrò più volte la regina Soraya e il sovrano Amanullah Khan).
https://it.wikipedia.org/wiki/Kemalismo#/media/File:M%C3%BC%C5%9Fir_Mustafa_Kemal,_Ankara,_1925.png

Assurdo il comportamento della Gran Bretagna che mandò una missione diplomatica a 
Kabul per intimorire Amanullah con l’obiettivo di cancellare i rapporti stipulati con l’Italia.
Rapporti tesi tra Afghanistan e Gran Bretagna.  Fu nominato come responsabile dell’Impero 
Britannico Sir Henry Dobbs e si diede avvio alla missione che fu chiamata “missione 
Dobbs” e rivolta proprio all’Afghanistan.
Sir Dobbs, grazie alla sua grande capacità comunicativa e di negoziazione, il 12 novembre 
1921  firmò con il sovrano Amanullah un trattato di buon vicinato per ristabilire tra i due 
paesi i vecchi rapporti economici, politici, stabili e pacifici.
Malgrado il Trattato “Dobbs” l’Italia continuò a mantenere dei buon rapporti con 
l’Afghanistan mostrando sempre più un crescente interesse verso il paese asiatico. Insomma 
l’Italia non si lasciò intimidire dal grande impero inglese e grazie anche all’impegno del 
ministro Sforza l’Italia continuò nello sviluppo di rapporti reciproci.
La partenza della missione italiana era prevista per i primi giorni di giugno 1921, ma fu 
rimandata a causa delle forti pressioni politiche esercitate da parte della Gran Bretagna.
Il ministro degli Esteri Sforza cercò di convincere  i diplomatici inglesi che si trattava solo 
di un semplice incarico commerciale e non politico.
Non ottenne nulla… gli inglesi non volevano che gli italiani giungessero a Kabul.
Il sovrano afghano Amanullah  s’adirò per il comportamento della Gran Bretagna. Malgrado 
l’Afghanistan fosse indipendente e libera c’era ancora nell’aria e nella società la mano 
pesante dell’Impero Britannico capace di influenzare e monopolizzare gli affari esterni di 
Kabul.
 Amanullah,, con grande coraggio, inviò un’altra missione in Italia.
Voleva dimostrare come la Gran Bretagna non avesse più alcun potere sullo Stato afghano.
Mohammed Wali Khan, era stato in visita in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti, per cui 
nuovamente si recò a Roma in compagnia di Sher Ahmad, incaricato di rappresentare la 
prima missione diplomatica afghana in Italia. Il 9 novembre 1921 passò il confine italiano.

Mirza Shir Ahmad Khan, il segretario di Amanullah Khan
Nel 1326 (1947) fu assassinato e scomparve..
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La visita di Mirza Sher Ahmad a Roma era importante e nello stesso tempo era un invito 
rivolto alla missione italiana per raggiungere l’Afghanistan. In realtà le motivazioni erano 
molteplici perché il governo afghano  voleva contrastare le imposizioni britanniche e anche 
per dare una prova al popolo afghano come il paese era libero dopo la guerra del 1919.
Il ministro degli esteri Carlo Sforza diede in quel periodo le dimissioni,  avvenute il 4 luglio 
1921, e il nuovo ministro fu Pietro Tomasi della Torretta. Sorse subito un problema nella 
politica estera italiana perché il nuovo Ministro degli esteri era chiaramente un filo-inglese.
Sher Ahmad  dovette quindi affrontare delle difficoltà per la stipula di un nuovo contratto 
commerciale che fu comunque siglato il 22 novembre 1921.
Il nuovo ministro italiano fece passare del tempo prima di dare il suo benestare all’invio di 
una missione in Afghanistan. Il motivo di questo ritardo era legato al timore di vedere 
inserita l’Italia nella lista dei nemici del governo inglese. Il ministro si giustificò dicendo 
che la missione italiana sarebbe partita per l’Afghanistan una volta stipulato il trattato 
commerciale che, come abbiamo visto, fu redatto il 22 novembre 1921. La missione italiana 
partì per l’Afghanistan solo nel giugno 1922.
Per permettere la partenza della missione italiana, il ministro plenipotenziario a Kabul, 
Paternò, si rivolse a due enti particolari: La Lega italiana che lavorava per la tutela degli 
interessi nazionali e l’I.N.C.I.L.E. (l’Istituto per la Colonizzazione e le Imprese dei
Lavoratori all’Estero).
Grazie all’aiuto di questi due enti, dopo alcuni mesi di dialoghi e negoziazioni, il Paternò 
riuscì a formare una squadra di esperti destinati a Kabul.
Erano esponenti del settore industriale ed economico  interessati a trasferire le loro 
conoscenze nel mondo afghano. I loro obiettivi erano arricchiti dal desiderio e dalla 
curiosità di visitare l’Afghanistan, uno Stato ignoto, e cercare di capire le sue risorse 
naturali e quindi studiare  le azioni vantaggiose per instaurare dei proficui commerci.
La missione italiana partì da Brindisi il 3 giugno 1922 sulla nave “Ungaria” di Lloyd 
Triestino alla presenza del Paternò e del Toni, nominato segretario onorario della legazione 
italiana a Kabul.
In base al vecchio Trattato Commerciale stipulato con l’ex Ministro degli Esteri Carlo 
Sforza la missione italiana avrebbe dovuto ottenere da Kabul:
-        concessioni minerarie;
-        costruzione di fabbriche italiane in Afghanistan;
-        aiutare l’Afghanistan nell’istituire la prima Banca di Stato. Questo punto sarebbe stato il primo passo per la successiva istituzione di una Banca italo-indiana in India, una base per permettere la penetrazione del personale italiano in Afghanistan e soprattutto nell’Asia Centrale.
L’Afghanistan in cambio avrebbe dato assistenza all’arrivo agli esperti tecnici italiani in 
campo agricolo, tecnico e medico. Questo personale avrebbe lavorato alle dipendenze del 
governo afghano e avrebbero favorito lo sviluppo economico, industriale ed agricolo 
dell’emirato.
Il gruppo italiano era formato da:
-        Marcariani, esperto finanziario della Banca di Roma;
-        Vanni, tecnico delle Ferrovie;
-        Un commerciante milanese;
-        Un rappresentante di alcune imprese edili;
-        Un ingegnerie minerario;
-        Romiti, medico e responsabile della Croce Rossa Italiana;
-        O. San Severino, inviato per la società Motogarelli;
-        Gino Scarpa, diplomatico che aveva il compito di analizzare la situazione economica dell’emirato afghano e dell’India settentrionale per definire le soluzioni da adottare.
Quando la missione italiana raggiunse il confine afghano, fu accolta da una solenne
cerimonia, un saluto di “benvenuti” con grande entusiasmo. La sede della legazione italiana 
fu posta nel quartiere di Bagh-e-Ali Mordan e stranamente, dopo alcune settimane, 
quell’entusiasmo che avevano gli italiani svanì.

Bagh-e-Ali Mordan

Si trovavano è vero in un ambiente eccitante, ricco di aspetti culturali, ma non avevano 
tenuto contro delle possibili difficoltà che avrebbero potuto incontrare nelle loro visite in un 
Paese molto complesso anche dal punto di vista storico.
Il primo problema fu legato alla lingua dari. Nessuno conosceva la lingua e tanto meno gli 
afghani conoscevano la lingua italiana. Riuscire a farsi capire fu u subito una grave 
problema.
Questo creò delle gravi difficoltà nell’esecuzione dei lavori e nel posto non c’erano 
interlocutori validi capaci di confrontarsi sul tema. Si trovarono subito a confronto due 
mondi completamente diversi e le culture differenti non favorirono certamente la nascita di 
una relazione costruttiva tra i vari gruppi di lavoro. Reimach, Vanni e Marcariani 
abbandonarono subito i loro progetti e lasciarono la delegazione subito dopo il loro arrivo 
perché non era possibile adempiere alle loro missioni.
Nel frattempo giunse a Kabul il geologo Antonio Ferrari, Presidente della Federazione 
Mineraria dell’Alta Italia.  Il suo obiettivo era quello di studiare le ricchezze minerarie del 
Paese e quindi firmare con l’Afghanistan un accordo per stabilire la supremazia e l’esclusiva 
dell’Italia in campo minerario.
Prima di concludere il patto commerciale Ferrari in compagnia di San Severino e Scarpa, 
che prolungarono la loro permanenza nel paese, viaggiarono in lungo e in largo tra le valli e 
colli afgani. Ferrari propose un programma d’azione intenso e molto valido, che prevedeva 
anche l’invio in Italia di studenti per studiare i modi di agire.
Nonostante il piano di Ferrari fosse stato ben accolto e ammirato dal governo afgano, questi 
decise di lasciare la preferenza e il monopolio nel settore geologico alla vecchia Gran 
Bretagna.
Sempre nel 1922, Sher Ahmad proseguì nell’acquisto di materiale militare in Italia, ma gli 
acquisti si rivelarono abbastanza scadenti e dal costo troppo elevato.  Il materiale bellico 
non soddisfò il governo afghano creando dei gravi problemi.
A causa dell’acquisto di questi materiali bellici scadenti, Sher Ahmed venne deposto e fu 
sostituito da Azimullah.
La fornitura di materiale bellico continuò ma la visione dell’Italia cambiò drasticamente 
passando da “partner migliore” a “fornitore modesto”…. Offriva del materiale che si 
sarebbe benissimo potuto trovare in altri paesi europei ed anche a prezzo migliore.
Diverso fu invece l’aspetto relativo all’istruzione del personale aereo che pose l’Italia in 
prima fila.
La Russia, Gran Bretagna e Germania avevano fornito degli aerei nel 1922….. due la Russia 
ed uno la Germania. Erano degli aerei da combattimento ma il grande problema, non facile 
da superare, era la mancanza di personale per pilotarli e per la relativa manutenzione. 
Amanullah decise di inviare in Italia  tre studenti di aeronautica: Mohammed Hâshem, 
Mohammed Ehsân e Gholâm Dastagir (Quest’ultimo prese il corso di meccanico e si 
diplomò alla scuola di Gaeta).
I due giovani aviatori, invece, vennero addestrati presso gli aeroporti di Malpensa, Mirafiori 
e Centocelle e, uno volta finito il percorso di studi, ricevettero il brevetto e la croce 
dell’ordine della Corona d’Italia, in onore dell’impegno dimostrato.
Mohammed Ehsân, una volta tornato a Kabul divenne capo dell’aeronautica afgana, mentre 
Hâshem fu posto a capo della missione aeronautica afgana che partecipò, nell’ottobre del 
1927, al congresso internazionale della navigazione aerea.
I rapporti tra Italia e Afghanistan, alla luce degli ultimi avvenimenti, si poterono definire 
soddisfacenti.
Con all’ascesa al potere di Benito Mussolini nel 1922 le relazioni tra i due paesi subì un 
arresto.
Il Ministro degli Esteri Della Torretta fu dimesso dal governo Mussolini e sostituito da 
Carlo Schanzer.
Come il suo predecessore, anche Schanzer era un filo-inglese e nel suo breve mandato di 
Ministro degli Esteri (26 febbraio 1922 – 28 ottobre 1922), impedì all’Italia di seguire una 
politica che avrebbe potuto farla apparire ostile alla Gran Bretagna.
Londra non aveva mai accettato l’intervento italiano a Kabul e naturalmente i diplomatici 
italiani modificarono le promesse fatte nei trattati italo-afgani. Evitarono quindi di 
concludere qualsiasi ulteriore rapporto, politico od economico con l’Afghanistan,  
bloccando  di fatto il progettato trattato commerciale.
C’era un altro aspetto importante che minava il rapporto commerciale tra i due paesi.
Il completo disinteresse espresso da parte delle aziende italiane a operare in Asia centrale, in 
quanto territorio di cui non si conosceva ancora nulla e sul quale non era conveniente 
rischiare dal punto di vista economico con interventi rischiosi e soprattutto costosi.
Come precedentemente annunciato, il governo britannico vide con estrema ostilità e sfida 
questo tentativo, da parte dello stato italiano, di penetrare negli affari interni 
dell’Afghanistan e si oppose assolutamente all’appoggio che l’Italia diede allo sviluppo 
dell’economia afgana anche se in uno stato ancora larvale
In realtà, dai vari rapporti di Gaetano Paternò, il ministro plenipotenziario a Kabul, risultò 
che il politico italiano fosse più interessato ad analizzare le varie realtà politiche dell’Asia 
centrale, piuttosto che avviare seri rapporti economici con l’Afghanistan.
Il Paternò, potendo vivere a stretto contatto con Amanullah, fu ben consapevole della  
fragile politica interna, soprattutto nelle provincie afgane di Jalalabad e di Kandahar, ed 
anche di quella esterna.
Il sovrano afgano aveva riposto la sua totale fiducia nell’Unione Sovietica.
 L’ascesa di Mussolini e del movimento fascista non fecero altro che estendere il 
disinteresse nei confronti di Amanullah e dell’Afghanistan.
Il duce era molto più incline a favorire una linea politica filo-britannica e quindi cercò di 
non interferire nell’area di influenza inglese in Asia centrale.
Il compito del Paternò fallì e lasciò l’emirato dove rimase solo Piero Toni quale incaricato 
d’affari esteri.
L’abbandono dell’ex ministro plenipotenziario causò l’indebolimento dell’azione italiana a 
Kabul. La legazione italiana, ancora presente in Afghanistan, rimase senza una valida ed 
esperta guida e per molti mesi restò inoperosa.
In realtà sotto la guida di Mussolini la sede della Legazione a Kabul venne sfruttata quale 
meta in cui destinare tutti i diplomatici e i politici italiani che si dimostravano contrari e 
nemici del partito fascista, oppure scomodi al vertice del Ministero degli Affari Esteri.
Ma malgrado si tentò di mantenere le debite distanze e rendere inefficaci le relazioni tra 
Italia e Afghanistan, il Duce alla fine si rese conto che l’ufficio diplomatico di Kabul non 
poteva rimanere privo, per troppo tempo,  di un ministro plenipotenziario. Venne quindi 
nominato Antonio Cavicchioni, che rimase in carica a Kabul fino al 1926.
Durante gli anni venti, come in precedenza affermato, Amanullah assieme al suocero Tarzi, 
si adoperò per una completa indipendenza dall’impero britannico e riuscì ad avviare un 
processo di modernizzazione per certi versi simile a quello dei paesi europei che lo stavano 
aiutando. I miglioramenti che Amanullah fece ottenere all’emirato erano visibili e furono 
ammirati a livello internazionale.
Anche l’Italia, a partire dalla prima metà degli anni venti, nonostante il continuo 
disinteresse dei circoli ufficiali italiani, riprese i legami con Kabul e tentò di rafforzarli e 
consolidarli. Questo nuovo comportamento era legato alle continue richieste da parte del 
governo afghano dell’invio di una Legazione.  
I due paesi riallacciarono i loro vecchi rapporti commerciali e tecnici, non solo perché 
Mussolini voleva siglare accordi con uno dei leader più stimati del periodo, ma anche 
perché Amanullah, avendo ricevuto riscontri negativi da USA e Giappone, si rese conto che 
per facilitare la riuscita dei suoi piani di sviluppo in Afghanistan necessitava del sostegno di 
più potenze mondiali possibili.
I diplomatici afgani sollecitarono Roma ad inviare a Kabul una squadra di tecnici e 
consulenti. Giuristi, architetti, tecnici, medici, consulenti militari, commercianti ed operai 
iniziarono ad arrivare nell’emirato poco tempo dopo.
 Mussolini cambiò quindi totalmente parere in riguardo all’Afghanistan. Appena salito al 
potere, il Duce pensò che si trattasse di un paese insignificante, che mai avrebbe avuto 
importanza nella storia mondiale. Dopo l’avvio dei contatti si rese conto come il paese 
mediorientale sarebbe diventato in un futuro, non troppo lontano, fondamentale nel gioco di 
conquista che stava avendo inizio in Asia centrale. Un’idea che era altresì condivisa dagl
altri leader europei.
Il Duce cominciò ad analizzare un piano di conquista: ambiva a creare un impero nel 
continente asiatico e Kabul avrebbe potuto essere la pedina essenziale. Il suo sogno era 
quello di diffondere le idee del fascismo non solo nei paesi dell’Europa e dell’Africa 
Orientale, ma voleva spingersi oltre, in quei territori islamici di cui ancora si conosceva 
poco.
Con questo obiettivo nel 1923, egli istituì ed inviò una missione in Afghanistan, guidata da 
Gastone Tanzi e Dario Piperno.
La squadra avrebbe dovuto convincere i politici afgani della grandezza del fascismo e 
persuadere l’emiro Amanullah ad unirsi ad esso.
Questa mossa avrebbe rappresentato una possibile via di fuga per il sovrano, che in quegli 
anni si trovava in una situazione di stallo tra i britannici e i sovietici, entrambi traditori dei 
patti di amicizia firmati con Kabul.
La missione fallì, a causa dello scandalo Piperno.

Il Caso Piperno

Quando la missione italiana, guidata da Gastone Tanzi e Giuseppe Mazzoli, arrivò a Kabul 
nel 1923, i tecnici e i lavoratori italiani dovettero affrontare un mondo totalmente differente 
da quello da cui provenivano. Ad aggravare la situazione una serie di aspetti burocratici che 
la prima missione italiana in Afghanistan non aveva vissuto.  Essendo di religione e politica 
differente, i tecnici italiani furono obbligati, dal governo afgano, a firmare alcuni contratti 
con i quali si impegnarono a rispettare e osservare le leggi del diritto civile e penale, basati 
sulla Sharia, vigenti nel paese. Forse questi aspetti erano legati alla situazione politica in 
atto in Italia.
Inizialmente, il gruppo sembrava entusiasta della missione a cui erano stati destinati, ma la 
vita in Afghanistan non era semplice. Poco dopo il loro trasferimento alcuni membri del 
gruppo, di fronte alle difficoltà di svolgere il loro lavoro, iniziarono a criticare e lamentarsi 
su qualsiasi aspetto riguardante la società afgana e contro la conduzione della politica 
italiana nel paese. Accusarono la polizia di intralciare il loro lavoro a causa dei continui 
controlli e il Toni di non adempiere adeguatamente al suo compito.
La collera e l’ira si diffusero nel gruppo e alcuni membri sfidarono apertamente la polizia 
afgana. Tra questi vi erano Paolo Balbis, fiduciario del PNF (Partito Nazionale Fascista) per
l’Afghanistan; Gastone Tanzi e anche l’ingegnere Dario Piperno, il quale, in più occasioni, 
manifestò la sua forte avversione verso gli afgani e l’Afghanistan. I suoi gesti a volte 
arrivavano ad un alto livello di follia, forse legati alle condizioni ambientali decisamente 
diversi da quelle italiane, e occasionalmente gli capitava di agire inconsciamente, senza 
sapere il motivo.
Oltre a vari screzi nati tra questi personaggi e le autorità afgane, un incidente in particolare 
aggravò profondamente la relazione tra Roma e Kabul che, in quel momento, sembrava in 
forte miglioramento.
Il 27 luglio 1924, il tecnico italiano Dario Piperno, dipendente del governo di Kabul, uccise 
un poliziotto afghano, Mohamed Yasin, nel corso di un litigio e, conseguentemente, fu 
arrestato. Uccidere un uomo in Afghanistan significava offendere la religione, la società e, in
questo caso, anche il corpo di polizia.
I fatti non furono ben chiari. I testimoni italiani sostennero che si trattava di un incidente 
mente quelli afghani di un omicidio volontario.
L’Afghanistan si trovava di fronte ad un evento mai accaduto prima: mai in passato, un 
uomo straniero, non musulmano e impiegato del governo di Kabul, compariva di fronte alla 
corte afgana. 
Si presuppose che, essendo il caso avvenuto nel paese della vittima ed essendo il sistema 
giudiziario sconosciuto e differente da quello dei paesi europei, Dario Piperno avrebbe 
pagato caro l’omicidio compiuto. Infatti, due giorni dopo l’arresto e in seguito all’ascolto 
delle varie testimonianze, l’italiano fu condannato dalla legge taglione, sia dalla corte di 
prima istanza, sia da quella d’appello.
La famiglia della vittima avanzò immediatamente la richiesta della consegna di Piperno e 
l’annullamento della sua esecuzione, così come stabilito dalla legge afgana del sangue.
La sentenza nei confronti dell’italiano scatenò il panico all’interno della comunità italiana a 
Kabul che, ad ogni modo, tentò di proteggere il connazionale ispirandosi ad alcuni gruppi 
fascisti. Diversi italiani si raggrupparono e assediarono la Legazione italiana nella capitale 
afgana, minacciando spedizioni squadriste, vendette e varie stragi sulla popolazione 
dell’emirato, nel caso in cui Dario Piperno fosse stato condannato a morte.
Da quel momento iniziò un periodo di alta tensione tra il popolo afgano e la comunità 
italiana presente nel paese mediorientale. Alcuni temettero che questa ostilità sfociasse in un 
movimento antieuropeo, ma soprattutto in un clima anti italiano.
Nell’affare Piperno rimasero coinvolte anche altre ambasciate straniere. I capi delle missioni 
tedesca, inglese e francese si preoccuparono per l’accaduto e sostennero con convinzione il 
governo italiano.
I rappresentanti dello stato britannico Maconachie e Humphrys, di quello tedesco Grobba e 
di quello francese Fouchet e Chauvet, cominciarono a spingere il governo afgano affinché 
agisse con moderazione ed evitasse una qualsiasi pena capitale. Fu soprattutto la Gran 
Bretagna a giocare un ruolo determinante.
Il governo britannico decise di intermediarie alle negoziazioni tra Italia e Afghanistan e per 
cercare di ristabilire la situazione, permise alla Legazione italiana a Kabul di far passare la 
corrispondenza destinata a Roma attraverso la Legazione britannica.
Il governo italiano insisteva con forza sulla prevalenza del diritto italiano e europeo su 
quello afgano, e questa ostinazione stimolò una forte irritazione in Amanullah e negli altri 
politici, tanto da far sospettare che le comunicazioni che partivano da Kabul potessero 
essere controllate.
Purtroppo, nonostante gli enormi sforzi compiuti da Roma, Dario Piperno rimase in carcere 
Kabul e, in aggiunta, alcuni degli italiani che causarono i tumulti nei giorni precedenti, 
vennero espulsi dall’Afghanistan.
Il governo italiano si sentì frastornato dalla situazione. La preoccupazione colpiva 
naturalmente anche la  famiglia Piperno, molto conosciuta ed importante nella capitale 
italiana. Era in gioco la vita del figlio.  L’agitazione aumentò con l’arrivo della notizia della 
condanna a morte di Dario Piperno.
Per impedire l’esecuzione, il governo italiano  giocò l’ultima disperata carta. Stabilire, 
concordare  con le autorità afgane il prezzo del sangue al fine di ripagare la famiglia della 
vittima per la perdita subita. Si trattava di una manovra stabilita dal diritto consuetudinario 
musulmano, in base al quale, in cambio di un’indennità, la famiglia dell’ucciso avrebbe 
potuto perdonare e risparmiare la vita dell’uccisore.
Mussolini incaricò Cavicchioni, nuovo ministro plenipotenziario, arrivato in Afghanistan l’8 
gennaio 1925, di occuparsi della faccenda, e di mantenere i contatti sia col governo afgano, 
sia con la famiglia del defunto. Il Duce sarebbe stato disposto a pagare qualunque cifra pur 
di salvare la vita di Piperno.
Dopo la lunga serie di avviate comunicazioni, la famiglia di Yasin decise di accettare 
l’offerta del governo italiano, il quale pagò 130.000 lire il prezzo del sangue e si vide 
confermata per il 3 febbraio 1925 la cerimonia di perdono.
 Grazie a questa decisione, all’ingegnere italiano fu evitato il patibolo, ma dovette 
comunque rimanere in carcere in attesa del verdetto finale da parte del tribunale afgano.
Sfortunatamente, le trattative che l’Italia stava avendo col governo afgano si prolungarono e 
Piperno, ignaro delle operazioni in corso e convinto di non avere speranze di riuscire a fare 
ritorno a Roma, evase dal carcere a marzo, pianificando da sé il modo di rimpatriare.
Il giovane fuggì verso il nord, in direzione dei confini con l’Unione Sovietica, sperando di 
potervi trovare rifugio.
Forse il Cavicchioni, dopo la fuga del Piperno, si adoperò  per aiutarlo a raggiungere Mosca.
Ma le terre afgane sono ardue da superare e, dopo sei settimane di viaggio, quando oramai si 
trovava a pochi chilometri dal confine sovietico, stanco e affamato, Piperno si consegnò 
spontaneamente alla polizia afgana a Mazar-i- Scerif..


Il governo afgano non prese alla leggera l’evasione dalla prigione e per quanto 
comprensibili fossero le motivazioni che spinsero Piperno a scappare, la sua decisione non 
fece altro che aggravare la sua pena.
Per i primi tempi che seguirono la cattura, sembrò che Kabul fosse propensa a perdonare 
l’ingegnere Dario Piperno ma, come si scoprirà in seguito l’Afghanistan, senza consultare e 
accordarsi col governo italiano, agì di nascosto secondo la propria legge.
In principio l’Afghanistan affermò e promise alla Legazione d’Italia a Kabul, che il 
prigioniero non avrebbe ricevuto punizioni aggiuntive a quelle già raggiunte con le prime 
accuse, e che il governo afgano avrebbe cercato di gestire la questione in maniera totalmente 
amichevole per evitare di danneggiare il legame con l’Italia.
Purtroppo, contrariamente alle promesse fatte, Dario Piperno fu segretamente giustiziato 
nel carcere di Kabul il 30 maggio 1925.
Non si riuscì mai a svelare il reale motivo per cui fu emessa questa tragica esecuzione 
malgrado gli accordi che erano stati raggiunti.
Antonio Corrado Cavicchioni (San Felice sul Panaro-Modena, 10 ottobre 1879 – San felice 
sul Panaro, ?). Ministro plenipotenziario in Afghanistan dal 1924 al 1926, nel suo rapporto 
inviato a Mussolini il 31 maggio 1925 fece delle osservazioni molto interessanti:
 «Il caso Piperno si può riassumere in tre punti principali: 1. Piperno ha ucciso un 
gendarme mussulmano, offendendo così la religione, la Società e il corpo di polizia. . E’ 
stato pagato il prezzo del sangue, e sono in tal modo stati soddisfatti i dettami della legge 
religiosa, la sola che conti in Afghanistan. 3. Piperno è stato giustiziato dall’Autorità civile 
afghana in modo barbaro e contrariamente ad ogni assicurazione e ad ogni aspettativa. Il 
primo punto è incontestabile. Ne segue un processo senza difesa, senza interpreti e senza 
che si permetta di chiamare testimoni che non siano mussulmani, sulla base di una legge 
che una mente civile non può comprendere applicata ad un cittadino, sia pure colpevole, di 
una nazione civile.
Ne risulta una condanna a morte: cioè la facoltà alla famiglia dell’ucciso di prendere una 
vendetta che vada fino alla morte. L’Emiro fa consegnare il Piperno alla famiglia che ne 
possa disporre come vuole. Gli eredi invece di farne vendetta perdonano. Perché il perdono 
avvenisse vi è stato senza alcun dubbio il consiglio dell’Emiro. Questo mi è stato affermato 
dallo stesso Ministro degli Affari Esteri. Se l’Emiro avesse detto diversamente, o avesse 
anche soltanto taciuto, la vendetta sarebbe stata compiuta barbaramente: troppe erano le 
pressioni perché questo avvenisse. Dettaglio importante di questo fu il pagamento del 
prezzo del sangue, ammesso dal Corano. Se non fosse stata compiuta la cerimonia in questo 
modo, il fanatismo non sarebbe stato placato, e si sarebbe avuto, come ho detto in rapporti 
precedenti, un continuo pericolo per tutti gli europei. Il pagamento del prezzo del sangue fu 
perciò necessario non solo per il Piperno, ma anche e maggiormente nei riguardi di tutta la 
comunità europea. […]
«Esistono qui due leggi se si possono chiamare così: una religiosa ed una civile. La prima 
contempla la vendetta o pena del taglione che si può in certi casi evitare col pagamento del 
prezzo del sangue. La seconda, accozzaglia stravagante e discorde di principi, che 
comporta un periodo di detenzione. Ora mi si dice che vi sono degli articoli sussidiari per i 
quali è comminata anche la pena di morte. Per questo ho chiesto una copia vidimata della 
Legge penale. Ho osservato una volta al Ministro degli Esteri che la legge religiosa appare 
quindi superiore a quella civile: cioè che se gli eredi dell’ucciso non perdonano ed 
ammazzano l’uccisore, la legge civile verrebbe a perdere ogni sua forza ed ogni suo effetto. 
Che così i veri punitori sono gli eredi e non la Società o lo Stato: e che questa doppia pena 
questa doppia condanna, specialmente quando la prima ha carattere così grave, ripugna 
ad ogni mente umana. Mi è stato risposto che effettivamente la legge religiosa è la più forte.
Ma che soddisfatta questa, quando è possibile, prende forza la seconda. Che la prima 
riguarda i diritti della famiglia e la seconda quelli della Società. Che esistano qui delle 
leggi, anche appositamente create, per cui venga inflitta la morte per la morte, si potrebbe 
anche doverlo subire. Ma in questo disgraziato caso quello che offende ogni sentimento 
umano e civile è la crudele e spietata condotta di questa gente e precisamente che si sia 
fatto un processo senza alcuna delle garanzie che anche un colpevole deve avere, e che si 
sia effettuata improvvisamente una esecuzione capitale senza dare il tempo di ricorrere in 
grazia e senza dar modo di esprimere le ultime volontà. Se il secondo punto per quanto 
riguarda la grazia sarebbe forse stato inutile in questo caso, e nella seconda parte risponde 
soltanto a sentimenti, il primo punto invece, quello che riflette il processo, cozza contro ogni 
concezione degli stessi diritti dell’uomo».
 La famiglia Piperno, giustamente disperata e irata per l’oltraggio inflitto al figlio, decise di 
far scoppiare uno scandalo su tutti i giornali italiani, denunciando il maltrattamento e 
l’ingiusto omicidio di un cittadino italiano avvenuto per mano dei giustizieri afgani, e 
chiedendo al governo italiano di difendere l’onore del concittadino e della nazione stessa.
Mussolini raccolse la palla al balzo per ottenere da questa faccenda sia privilegi per il paese, 
sia vantaggi economici e politici.
La prima azione del Duce fu indirizzare al ministro afgano a Roma, Azimullah Khan, una 
lettera di protesta per quanto accaduto. Mussolini si lamentò per la lealtà che l’Afghanistan 
aveva promesso all’Italia, e insistette sul fatto che l’esecuzione commessa violava 
completamente ogni principio di convivenza civile e ogni norma di diritto internazionale.
Nota Verbale inviata il 12 giugno 1925, da Mussolini a
l Ministro di Afghanistan a Roma, Azimullah Khan,
«Il Regio Governo ha sempre ritenuto che la vita e la libertà dell'Ingegner Piperno, dopo il 
pagamento del prezzo del sangue per l'uccisione del soldato e dopo la cerimonia del 
perdono fossero garantite dalla stessa legge af­gana ed in ogni caso dalla lealtà del 
Governo dell'Afganistan che aveva iniziato col Governo Italiano una trattativa improntata, 
almeno da parte ita­liana, alla massima buona fede. Il Governo Italiano considera perciò 
l'improvvisa e crudele determina­zione del governo afgano come un'inconcepibile violazione 
di ogni principio di convivenza civile e di ogni norma internazionale: esso non può 
nascondere lo sdegno risentito nell'apprendere l'irreparabile atto commesso e sente che 
l'opinione pubblica nazionale - ancora ignara della grave offesa recata al nome italiano - 
non potrà che deprecare con eguale avversione l'inconcepibile e barbaro avvenimento».
 Con telegramma del 15 giugno 1925 delle ore 17, Cavicchioni comunicava a Mussolini di 
aver pre­sentato al Ministro degli Esteri afghano, Ala Mahmud Bek Khan, una Nota Verbale 
di protesta, nella quale si affermava che l'esecuzione del Piperno
«Ha costituito una grave irreparabile offesa a tutti i più comuni e più sacri principi legali 
umani e civili ed una violazione profonda del diritto delle genti».
Il Ministero degli Esteri afghano rispose al telegramma del Cavicchioni respingendo le 
accuse…
«Espressione che sia stata violata legge umanità civile ed il diritto internazionale. La 
esecuzione di un omicida è legge comune nel mondo intero e non si ritiene che il Regio 
Governo vorrà creare per un fatto evidente una si­tuazione che sia causa di gravissime 
difficoltà reciproche nelle amichevolis­sime relazioni».(ibi­dem)
Il legame che legava Italia e Afghanistan sembrava essere ormai prossimo alla fine. La 
colonia italiana a Kabul si ridusse della metà, tutti sconcertati dalla reazione infima del 
governo afgano nei confronti del Piperno.
Amanullah Khan, irato per il comportamento tenuto dal governo italiano, decise di rompere 
contratti firmati tre anni prima con l’Italia e di rimandare a casa il personale tecnico delle 
varie missioni assumendosi il costo del loro viaggio di ritorno e versando loro una somma di 
compensazione.
Inoltre il Duce richiese al governo afgano riparazioni per quanto accaduto:
1.      Kabul doveva organizza una cerimonia pubblica di deplorazione dell’accaduto, con l’accompagnamento della bandiera italiana, sostenuta da una compagnia di soldati afgani;
2.     La restituzione del prezzo del sangue che Roma versò qualche mese prima per la morte del gendarme afgano;
3.     il governo afgano doveva pagare una somma di sette mila sterline, di cui la metà sarebbe andata alla famiglia di Piperno e l’altra metà in programmi benefici in Italia.
In base allo sviluppo del caso, l’Unione Sovietica si schierò completamente contro 
Mussolini perché temeva che dietro a questa azione vendicativa, vi fosse in realtà uno scopo 
ben preciso e lontano dall’intento di onorare il connazionale morto in Afghanistan.
Mosca, avendo da poco ristabilizzato i rapporti con Amanullah, ritenne avvilenti le 
rivendicazioni di Mussolini che mortificavano il ritrovato alleato afgano.
La lunga attesa per la risposta da parte del governo afgano spinse Mussolini a pensare su una
possibile punizione.
Il Duce iniziò a mettersi in contatto con gli ambasciatori italiani a Londra, Parigi, Berlino e 
Mosca, comunicando loro del torto inferto dall’Afghanistan all’Italia e informandoli che, se 
Kabul non avesse accettato l’ultimatum, egli avrebbe provveduto a ritirare definitivamente 
la Legione italiana dalla capitale afgana e cacciare da Roma l’ambasciatore afgano (il quale 
stava già provvedendo a richiedere il visto per il rientro in patria). Provvide quindi ad 
annunciare al ministro Cavicchioni di una sua possibile partenza e gli impose di tenere sotto
custodia, presso la dogana di Bombay, il carico di armi venduto dal ministro italiano della 
guerra al governo afgano. In ultima istanza,
Mussolini ordinò al governo italiano, come garanzia per la somma di denaro richiesta, di 
bloccare tutti i conti correnti bancari dei cittadini afgani che si trovavano in Italia..
Amanullah e il governo di Kabul, considerarono il reclamo una vera e propria umiliazione 
ufficiale nei confronti dell’Afghanistan, e si rifiutarono senza indugio di soddisfare la 
richiesta. Il sovrano non avrebbe mai permesso che il corpo di polizia del suo paese fosse 
costretto a portare la bandiera di uno stato cristiano, sarebbero nate delle sommosse popolari.
Mussolini di conseguenza, spinto dalla rabbia e dall’ostinazione di far uscire il suo paese
come vincitore da questa lite diplomatica, il 7 agosto 1925 lanciò un ultimatum 
all’Afghanistan. Ma il Duce rivide e modificò, in minima parte, le richieste per evitare di
danneggiare ulteriormente l’onore afgano, e propose al governo di Kabul di:
-        presentare scuse ufficiali per la morte dell’ingegnere Piperno;
-        - pretese la destituzione del comandante della polizia che ordinò la sua impiccagione, Sa’d ud-din;
-        il pagamento di seimila sterline per il torto subito.
Amanullah voleva opporsi alle condizioni poste da Mussolini ma, disgraziatamente per il 
sovrano l’affare Piperno coincise con l’inizio della ribellione Khost, che provò 
ardentemente il suo regno. In questo momento così critico, Amanullah non poteva 
permettersi di perdere uno dei suoi alleati maggiori. Egli cercò di guadagnare del tempo per 
riflettere attentamente sul modo di agire ma, dopo un attenta analisi del caso, il regnante 
capì che non vi erano molte alternative. Quando ormai Cavicchioni pensò che non ci fossero 
altre possibilità se non la ritirata dal paese, venne convocato da Amanullah nella città di 
Paghmân.
Fu così che, il 18 agosto 1925, Amanullah accettò di accontentare le richieste italiane, e 
presentò a Cavicchioni tutti i documenti  sull’avvenuta destituzione del comandante della 
polizia. Il ministro assistente degli affari esteri, Mirzâ Mohammed, porse scuse ufficiali e 
consegnò la borsa contenente i soldi richiesti…. 6.000 sterline contanti in oro. In cambio 
però fu chiesto a Cavicchioni e alla Legazione Italiana di rimanere nel paese.
Lo stesso giorno 18 agosto 1925 scrisse a Mussolini..
Questo Governo ha accettato integralmente condizioni. Oggi ho ricevuto visita del 
Sottosegretario Affari Esteri che mi ha presentato scuse del Governo afgano con la formula 
stabilita dall’E.V. Mi ha comunicato destituzione comandante polizia. Mi ha consegnato sei 
mila sterline contanti in oro. Ho dichiarato in nome del Regio Governo composto conflitto»
.Mussolini lo stesso giorno, alle ore 14,15, rispose al Cavicchioni….
«Con questa attitudine il Governo afgano guidato dalla illuminata sag­gezza di S.M. l'Emiro 
ha nel miglior modo dimostrato la sua ferma volontà di riprendere e mantenere col nostro 
Paese le migliori relazioni. Dal canto no­stro confidiamo che tali relazioni si consolidino e si 
sviluppino nel reciproco interesse».
(Per Mussolini l’onore era salvo…. Le casse pure…. Il caso chiuso… le relazioni 
diplomatiche ristabilite… ma una persona aveva perso la vita ingiustamente…e quest’ultima 
considerazione non gli venne in mente….)
 Ciò che spinse Amanullah a soddisfare gli italiani, fu anche l’insistenza da parte del 
ministro inglese Humphrys preoccupato delle conseguenze che avrebbe provocato la 
fuoriuscita dal paese della Legazione italiana. L’Humphrys non voleva lasciare
l’Afghanistan nelle mani dei sovietici, e  questo obiettivo era condiviso anche da parte 
dell’incaricato d’affari francese Chauvet, che considerava fondamentale la presenza unita 
delle varie Legazioni europee nel paese.
Dopo più di un anno, la crisi diplomatica scatenata tra Italia e Afghanistan, che mise in 
discussione la buona amicizia instaurata tra i due paesi, giunse al termine.
La critica rilevò  nell’occasione come Mussolini abbia dimostrato di essere un leader tenace 
e determinato, capace di donare importanza al suo paese e, in seguito all’incidente Piperno,
di aver consolidato la sua immagine di uomo politico forte.
Tuttavia, il modo in cui la soluzione dell’affare Piperno fu gestita ebbe conseguenze amare. 
In Afghanistan, il comportamento che il Duce adottò per appianare la crisi, scatenò un clima 
di ostilità e sfiducia nei confronti del vecchio alleato italiano.
Il governo afgano concluse che i tecnici italiani a Kabul sarebbero dovuti tornare in patria.
Si dissolse così la speranza di una stretta e proficua relazione tra Italia e Afghanistan e 
venne cancellata la posizione di privilegio e prestigio che Roma aveva faticosamente 
conquistato nel paese. Una posizione di prestigio che fu assunta dalla Germania.
La rottura delle relazioni fu così profonda che quasi si pensò ad una rimozione della 
Legazione italiana in Afghanistan.
Questo periodo di crisi dei rapporti italo-afgani, secondo l’ottica inglese, non fece altro che
confermare l’idea, condivisa da tutti i paesi europei, che l’Italia non aveva una politica 
estera consolidata e che non era ancora un paese pronto all’espansione all’estero, soprattutto 
nei paesi orientali.
 Il sovrano Amanullah Khan e la regina Soraya, malgrado i contrattempi, portarono avanti il 
piano di modernizzazione del paese.
Lo stesso sovrano  doveva sempre fronteggiare, malgrado l’indipendenza, la continua e 
persistente influenza britannica che in tutti i modi possibili, anche verbalmente ed in modo 
pesante, faceva sentire nell’ombra la sua presenza con l’obiettivo  ben preciso di ostacolare 
le riforme di modernizzazione.
Amanullah si rese conto come l’opera di modernizzazione doveva essere intrapresa con una 
serie di rapporti internazionali con gli Stati più influenti del tempo anche per combattere 
l’isolamento del suo paese. Alcuni Stati avevano mostrato una grande lealtà nei confronti 
dell’Afghanistan e questo offriva una base per aiutare il paese nello sviluppo intrapreso.

Partenza da Porto Said per l’Italia. 
L’Italia sarebbe stata la prima tappa del viaggio in Europa, ancora prima della 
Gran Bretagna e della Russia…. Mussolini mostrò subito una grande euforia per la visita dei
sovrani afghani. Mussolini era anche Ministro degli esteri e si rese conto dell’importanza 
dell’Afghanistan nella guerra mondiale e quindi fece in modo che i sovrani fossero accolti 
con  cordialità per alimentare il grande sentimenti di stima che i sovrani nutrivano verso 
l’Italia. Il sovrano provava nei confronti di Benito Mussolini una certa ammirazione per il 
suo modo di guidare il partito fascista e di governare. Non bisogna nascondere che l’Italia 
nei primi anni di governo Mussolini si trovava un momento politico stabile: le istituzioni 
bene organizzate, la monarchia all’apice dello splendore, una potenza militare e industriale 
in grande sviluppo e soprattutto un aviazione molto forte.
I sovrani afghani partirono da Porto Said verso l’Italia. Una lunga traversata nel 
Mediterraneo costeggiando l’isola di Creta per poi virare a Nord.
Su quale nave s’imbarcarono? Non ho trovato riferimenti in merito.
All’inizio del Novecento erano presenti tre importanti compagnie di navigazione nel 
Mediterraneo, tutte con base a Trieste: il Lloyd Austriaco, l’Austro-Americana,  e la 
Tripcovich.  Nel 1919 il Lloyd Austriaco prese il nome di Lloyd Triestino e Venezia fu la 
nuova sede della compagnia. Nel 1914  la Tripcovich  era una delle più importanti 
compagnie di navigazione.
In merito alla Austro-Americana, dopo il primo conflitto mondiale, entro in crisi e fu 
assorbita da altre aziende. 
Erano presenti anche una serie di compagnie private: Società San Marco, Costiera di Fiume, 
Zaratina, Nautica di Fiume, S.A.I.M. di Ancona e la Puglia di Bari. Queste società nel 1932 
entrarono nella compagnia “Adriatica Società Anonima di Navigazione” che nel 1936
diventò “Adriatica di Navigazione” (società dell’IRI-Finmare).
Probabilmente partirono con la nave Esperia.

L’Esperia era stata costruita nel 1920 ed apparteneva alla SITMAR
Una turbonave da ben 10.000 tonnellate di stazza lorda,
la prima in Italia. Presentava una sistemazione per 417 passeggeri (183 in prima classe, 118 in seconda
classe, 56 in terza classe e i 60 in terza classe comune). Le cabine di prima classe erano
dotate di servizi igienici privati. Gli spazi comuni, in particolare per i passeggeri di prima classe, erano molto curati ed eleganti. Gli spazi erano divisi su ben cinque
 ponti indicati con lettere che
andavano dalla A alla E, dall’alto verso il basso. Il ponte B (di passeggiata) era interamente occupato da spazi comuni riservati ai passeggeri di prima classe: a prua si trovava una veranda coperta, che si congiungeva con una passeggiata all'aperto che occupata i lati e la parte poppiera del ponte; gli spazi chiusi comprendevano invece una sala da gioco, il vestibolo di prima classe, una sala da scrittura, il salone da musica, il caffè e la parte superiore del salone da pranzo.
Fu ordinata nel 1913  alla “Società Esercizio Bacini di Genova” dalla SITMAR
(Società Italiana di Servizi Marittimi)e costruita sugli scali del Cantiere 
di Riva Trigoso nel 1914.
Fu varata il 4 ottobre 1917 e la nave fu consegnata alla SITMAR il 10 maggio 1920.
Entrò in servizio sulle linee celeri per Alessandria d’Egitto con 
partenze alternate da Venezia
(con scalo a Brindisi) e da Genova (con scali a Napoli e Siracusa). 
Nel 1928 (novembre) entrò
in servizio l’Ausonia e l’Esperia rimase fissa nella linea per Genova. Nel 1932  la flotta della SITMAR passò al Lloyd Triestino, rimanendo in servizio sulla stessa linea.

https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0500663201


La nave passò davanti alle coste della Sicilia e mi piace immaginare la regina Soraya, 
sul ponte della nave, guardare il profilo sinuoso dell’isola e la maestosità dell’Etna.
Probabilmente la regina, data la sua cultura, era a conoscenza degli aspetti geografici e 
culturali dell’Isola, da sempre punto nevralgico nel bacino del Mediterraneo perché crocevia 
di importanti culture e ponte di collegamento tra l’Europa e l’Africa. Forse era ignara di 
alcuni aspetto storici come quello dell’Isola in parte teatro dell’Odissea e dei suoi primi 
abitanti che provenivano dalla regione Indiana a lei così vicina all’Afghanistan e che 
parlavano il Sanscrito.
L’Etna si faceva ammirare  nella sua maestosità coperta da un mantello bianco e  dalla cui 
cima fuoriuscivano probabilmente delle colonne di fumo che avvisavano una nuova 
eruzione. Un’eruzione che a distanza di circa 10 mesi avrebbe sconvolto il versante Sud-Est 
del vulcano con la distruzione di Mascali. Forse la coppia reale fece una breve sosta a 
Siracusa, rispettando il programma di viaggio dell’Esperia e riprendendo la sua navigazione 
avrà ammirato da lontano i Faraglioni,  l’antica Tauromenion con l’Isola Bella fino a 
giungere nel porto di Messina.


Lungo la navigazione l’Etna, con il suo grande dominio sul territorio, accompagnò 
il viaggio della coppia reale. 


La nave fece scalo a Messina, il giorno 8 (?) gennaio 1928 e i sovrani furono accolti dalla 
cittadinanza e dal governo locale. A distanza di tanto tempo ne fu conferma la visita proprio 
a Messina della principessa Hindia che commemorò, nel palazzo comunale Zacca,  la visita 
dei suoi genitori nella città dello Stretto.
I sovrani videro le ferite, ancora aperte, del terribile terremoto del 1908 che aveva sconvolto 
la città.
I bastioni di Forte San Salvatore negli anni '20 all’ingresso del porto di Messina

Il Forte San Salvatore all'ingresso del porto in uno scatto di Giovanni Gargiolli 
del 1910 circa

La Lanterna di San Raineri vista dal mare negli anni '20

Scorcio del porto negli anni '10. Sullo sfondo transita un Ferry Boat classe Villa (I)https://www.facebook.com/photo/?fbid=1117046462185924&set=a.387020928521818



Scorcio del porto negli anni '10

Scorcio del porto negli anni '20
Grazie a Danilo Oliva

La Fontana del Nettuno nel 1930

La Fontana del Nettuno nei primi anni '10

Ripartirono da Messina lo stesso giorno 8 gennaio.

Passarono al largo delle Isole Eolie, l’antica residenza del mitico re Eolo, re dei venti.
Lo scenario delle Isole Eolie avrà senz’altro affascinato la regina Soraya e i suoi occhi si 
soffermarono soprattutto sul vulcano Stromboli da sempre attivo con spettacolari lanci di 
lapilli.

Giunsero nel porto di Civitavecchia e furono accolti in modo caloroso.
Si voleva in ogni caso cancellare le cattive relazioni legate all’increscioso caso “Piperno” e 
cercare quindi di ristabilire un proficuo rapporto d’amicizia e di collaborazione.
Nei giorni 9 e 10 gennaio Amanullah Khan e Soraya incontrarono Vittorio Emanuele III di 
Savoia e la regina Elena di Montenegro.
Vittorio Emanuele III di Savoia e la regina Elena del Montenegro
Jelena Petrović-Njegoš (Јелена Петровић Његош), principessa del Montenegro

Vittorio Emanuele III and Amanullah Khan, Roma, Italia, 1928 (b/w photo)
I giornali di tutto il mondo riportarono la notizia su questa visita dei sovrani afghani a Roma.

Amanullah Khan con varie personalità sull'Altare della Patria
Nella foto Amanullah Khan parla con uno degli accompagnatori ufficiali.
Vittorio Emanuele III gli è accanto, li guarda ed ascolta così come altre personalità e alti ufficiali (fra cui il principe ereditario, l'ammiraglio Thaon de Revel e il generale Vaccari).

Il re afghano tenne anche dei discorsi ufficiali e in uno di questi esaltò 
ringraziò l’amicizia che legava l’Afghanistan all’Italia e ricordò il primato di Roma 
nell’aver riconosciuto l’indipendenza dell’Afghanistan. I sovrani afghani furono 
accompagnati nelle visite ad alcune città italiane. Amanullah rimase anche colpito 
dall’organizzazione delle istituzioni politiche italiane: il Senato e la Camera dei Deputati, 
dagli ospedali e dai progressi della medicina, dalle università e dall’Accademia Militare. 

11  - gennaio 1928
Il Sovrano Amanullah Khan -  Antonio Casertano (Presidente della Camera dei
Deputati dal gennaio 1925 al gennaio 1829) – Un gruppo di deputati
Palazzo Montecitorio - Roma
http://camera.archivioluce.com/camera-storico/scheda/foto/i_protagonisti_della_politica/00013/IL0000013328/12/Il-re-afgano-in-uscita-da-Montecitorio-col-presidente-Casertano-ed-altre-personalit%C3%A0.html?id=IL0000013328

11 gennaio 1928
Il presidente Casertano e altre personalità brindano in compagnia
Di Amanullah Khan, S.M. il Re dell’Afghanistan
Ricevimento alla Camera – Palazzo Montecitorio - Roma

11 gennaio 1928
Roma – Camera dei Deputati
Il re afgano in uscita da Montecitorio col presidente Casertano ed altre personalità
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0000013328/12/il-re-afgano-uscita-montecitorio-col-presidente-casertano-ed-altre-personalita.html

Amanullah Khan visitarono molte città e soprattutto la regina Soraya restò affascinata dal 
patrimonio culturale del paese ed artistico del paese. Visitando le varie città si soffermarono 
anche sulla tipicità delle varie industrie in cui l’Italia deteneva un indiscusso primato  
produttivo, storico ed artistico.

-       Venezia

Venezia – Piazza San Marco 1920 – 1930
https://tile.loc.gov/storage-services/service/pnp/cph/3c30000/3c31000/3c31700/3c31723v.jpg

La Vetreria di Murano

Amanullah Khan e Soraya visitarono nell’isola di Murano le famose vetrerie che avevano 
ripreso a funzionare dopo l’interruzione dovuta alla prima guerra mondiale. Una produzione 
innovativa anche per la collaborazione tra gli artisti e le fornaci. Vetrerie importanti come la 
“Vetri Soffiati Muranesi Cappellin  C.” con direttore artistico Vittorio Zecchin , la “Nuova 
Vetri Soffiati Muranesi Venini e C.” con direttore artistico Paolo Venini e  la Pauly & c.

La regina Soraya amava molto l’arte tessile, spesso citata anche nella sua rivista dedicata 
alle donne afghane e visitò l’Isola di Burano, a poca distanza dall’Isola di Murano, per 
ammirare i magnifici merletti.

L’antica arte del merletto, legata ad una leggenda tramandata di generazione in 
generazione,  ebbe un forte impulso nell’invero del 1872 grazie all’interessamento della 
contessa Andriana Marcello e dell’onorevole Paolo Fambri. Queste due figure capirono 
come l’antica arte del merletto, con nuovi impulsi, avrebbe potuto fare da volano per 
alleviare le tristi condizioni economiche dell’isola offrendo occupazione e reddito. Fu 
quindi chiesto ad un’anziana merlettaia del luogo, Vincenza Mamo (detta “ Cencia 
Scarpariola”), una delle ultime merlettaie dell’isola, di tramandare  il suo sapere artistico ad 
una maestra elementare Anna Bellorio d’Este, che a sua volta  insegnò l’arte alle figlie e ad 
un gruppo di ragazze.  Un’iniziativa interessante che diede subito dei risultati positivi. 
Presso l’antico palazzo del podestà nacque la “Scuola del Merletto” di Burano.

Burano – Palazzo del Podestà
https://www.flickr.com/photos/64148082@N02/13975517534

La scuola si sviluppò grazie alla commesse della contessa Marcello e di una serie di 
nobildonne da lei interpellate, fra le quali la principessa di Sassonia, la duchessa di 
Hamilton, la contessa Bismarck, la principessa Metternich, la regina d'Olanda e la regina 
Margherita di Savoia (moglie di Umberto I). Lo sviluppo della scuola ebbe importanti 
riflessi economici sull’Isola con il rifiorire del lavoro e dei commerci. Nel 1875 la “Scuola 
del Merletto” aveva ben 100 allieve.

Vincenza Mamo (detta “ Cencia Scarpariola”)

La scuola del merletto di Burano in una pubblicità degli anni '30 del '900

Le ragazze lavoravano nella scuola per sei ore al giorno in inverno e per sette ore in estate.
Erano ammesse al dodicesimo anno d’età, dopo sei anni di istruzione svolte a casa. A 18 
anni si passava nel gruppo delle lavoranti esperte fino al matrimonio, dopo il quale si 
tornava a lavorare a casa.
Le lavoratrici erano suddivise per operazioni: Orditura, Rete, Guipure, Rilievo, Pulitura, 
RipassaturaUnioni. (Quest’ultima fase veniva eseguita sempre a domicilio, dalle migliori 
lavoranti di ciascuna fase). La contessa Marcello morì nel 1893 lasciando al figlio il 
compito di continuare la sua importante opera. La scuola ebbe un ulteriore incremento 
didattico, con una fase di stallo durante la prima guerra mondiale, per poi riprendere a 
crescere fino alla fine degli anni ’30 del XX secolo.   Poi subì progressivamente una forte 
decrescita sino ad essere chiusa definitivamente nel 1970. L’attività continuò, anche se in 
forma ridotta, grazie ad una serie di negozi locali.
Un’attività manuale ormai scomparsa per vari motivi. I ricami più pregiati richiedono infatti 
una lunga lavorazione. Per creare ad esempio una grande tovaglia fittamente ricamata 
servirebbe il lavoro di almeno dieci merlettaie per almeno tre anni. Questo determinò  un 
forte aumento dei prezzi e il ricorso ad una tecnica di lavorazione più sbrigativa e veloce, 
potremo definire “meccanica”, e questo a svantaggio della qualità del ricamo.
 La regina Soraya non poté non restare affascinata dalle opere d’arte delle merlettaie in un 
periodo in cui la Scuola era in forte attività lavorativa.



Importante tovaglia Burano, XX secolo
In lino interamente ricamata in pizzo e merletto con motivi di fiori e foglie
Dimensioni tovaglia: cm 320x180


L’”Isotta-Fraschini” era una casa automobilistica che fu fondata nel 1900 a Milano 
da: Cesare Isotta, Oreste Fraschini, Vincenzo Fraschini e Antonio Fraschini.
Chiuse la sua attività nel 1949 e rimase nella storia per la sua produzione di autovetture tra
le più lussuose e prestigiose.

Isotta Fraschini Tipo 8A

MILANO
Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche.

Sesto San Giovanni - Società italiana Ernesto Breda per costruzioni meccaniche (Sieb) - Sezione locomotive - Officine di montaggio delle locomotive a vapore – Veduta
Luogo e data della ripresa: Sesto San Giovanni (MI), Italia, 1920 ca.
https://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-5w060-0009336/

Era una società che operava nel settore metalmeccanico (costruzioni ferroviarie, aerei civili 
militari, autocarri, motociclette, macchine agricole, ecc.), siderurgico, metallurgico, navale 
e armiero. Fu fondata nel 1886 a Milano da Ernesto Breda e chiuse la sua attività nel 1952 
quando si trasformò in “Finanziaria Ernesto Breda”.
Nel 1928 l’azienda era impegnata nel settore  aeronautico mentre quello armiero si sviluppò 
all’inizio degli anni  ’30 con la produzione di mitragliatrici, fucili, ecc.
Amanullah Khan visionò la produzione di aeroplani. Considerava  l’aeronautica un 
elemento importante di difesa del proprio paese da attacchi esterni.
La Breda era specializzata nella costruzione di locomotive, nel 1891, grazie alla fornitura di 
22 locomotive alle ferrovie della Romania, era entrata nel mercato europeo che fino allora 
era dominato dalle industrie tedesche ed inglesi. Entrò anche nella costruzione di carri e 
carrozze per ferrovie e tranvie. Dal 1894 fu avviata anche la fabbricazione di trebbiatrici e 
dal 1899 l’azienda operava anche in altre lavorazioni meccaniche come la fucinatura 
(lavorazione per deformazione plastica dei materiali metallici, effettuata a caldo) di pezzi 
metallici, la produzione di caldaie, macchine utensili ( particolari macchine operatrici aventi 
lo scopo di eseguire sui materiali, con l'impiego di appropriati utensili, operazioni dirette ad 
assegnare loro forma e dimensioni stabilite), e macchine agricole.

Locomotiva Breda, la FS 685.600
Anno di Costruzione : dal 1912 al 1928

L’azienda nel 1903, grazie all’acquisto di terreni, edificò altri stabilimenti nei comuni di 
Niguarda e di Sesto San Giovanni. Gli stabilimenti furono completai nel 1910 e furono 
visitati dal sovrano Amanullah Khan. L’azienda aveva così ben tre stabilimenti: Milano, 
Sesto S. Giovanni e Niguarda.

Sesto San Giovanni - Società italiana Ernesto Breda per costruzioni meccaniche (Sieb) - Sezione elettromeccanica - Officine grandi macchine
Luogo e data della ripresa: Sesto San Giovanni (MI), Italia, 1920 ca.
https://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-5w060-0009376/

L’Afghanistan ha sempre vantato nel suo territorio una straordinaria comunità di agricoltori, 
allevatori e pastori che nella storia del paese hanno sempre svolto un ruolo importante nel 
risollevare il paese dall’orlo della catastrofe.
Il 70% degli afghani ha sempre vissuto nelle zone rurali e l’agricoltura, secondo stime 
recenti, assicura un notevole contributo al benessere del paese, concorrendo per almeno il 
25% al PIL nazionale e che almeno l’80 di tutti i mezzi di sussistenza dipende direttamente 
indirettamente dall’agricoltura.
Amanullah Khan aveva l’obiettivo di sviluppare l’agricoltura dotandola di mezzi moderni 
che avrebbero permesso  una migliore tecnica produttiva con innegabili vantaggi economici.
Con questo processo di modernizzazione dell’agricoltura il sovrano affrontò il 
problema dell’abbandono delle zone rurali con gli agricoltori che migravano verso i 
centri urbani o verso mete più lontane creando un crollo della produzione alimentare 
nazionale e una forte crescita dei bisogni.
Nell’Azienda Breda visitò il settore specializzato nella costruzione di macchine agricole.
Vide i locomobili, cioè dei veicoli semoventi dotati di un generatore di vapore, con 
serbatoio d’acqua, che alimentava un motore a vapore per erogare potenza come una 
macchina motrice.
Locomobili che erano diffusi nel XIX secolo e agli inizi del XX secolo.
Era usata come trattore a vapore e doveva essere trainato.
Nel XX secolo furono sostituiti dall’adozione dei motori a combustione interna.

Nel settore agricolo visionò la trebbiatrice “Breda” che permetteva nelle biade la 
separazione dei chicchi dalle spighe. Allora era necessario, per l’uso industriale e 
commerciale dei semi, cereali e della biade, fare subire ad essi, dopo la raccolta o mietitura, 
una sommaria essiccazione generale all’aria libera per potere facilmente separare i chicchi 
dall’involucro che li racchiudeva, dallo stelo e dai filamenti che potevano avvolgerli in 
modo più o meno aderente.
Pulegge e cinghie azionavano i meccanismi delle singole operazioni della trebbia, le quali 
ricevevano tutte il movimento di un’unica puleggia calettata rigidamente all’asse 
dell’organo battitore il quale, a sua volta, riceveva il movimento del motore che poteva 
essere a vapore nel caso della locomobile, a combustione interna con trattori oppure 
elettrico.
Per la trasmissione che univa il motore e la mietitrebbia, veniva usata una spessa cinghia in 
cuoio, e veniva messa diritta o incrociata (a otto: 8), a seconda di dove si trovava il motore e 
il senso in cui girava per il corretto funzionamento dei movimenti della trebbiatrice, visto 
che funzionava solo in un senso.
Veniva collegata una terza macchina per automatizzare ancora di più il lavoro posizionando 
un’imballatrice dove la trebbiatrice cacciava la paglia, per raccoglierla e formare delle balle 
in modo tale da sistemare anche la paglia usata come lettiera per gli animali. Per azionare 
l’imballatrice, veniva sfruttata sempre la forza del locomobile o del trattore, ma 
agganciando la cinghia di cuoio sulla puleggia del battitore, l’organo principale della 
trebbiatrice.

Nei primi anni del 1900 furono inventati i primi motori a testa calda a 4 tempi per poi 
passare, nel giro di qualche anno, alla modalità a due tempi.
Il motore a “testa calda” era  un motore endotermico monocilindrico Diesel a iniezione e 
l’accensione era ottenuta mediante l’utilizzo di una superficie rovente, la testa (calotta o 
vaporizzatore). Si scaldava il “muso” del trattore con l’uso di una fiamma alimentata con 
petrolio o benzina o con un bruciatore a gas liquido. In alcuni modelli di usava una piccola 
cartuccia d’esplosivo munita di una lunga miccia. La cartuccia veniva inserita nel “muso” 
del trattore, si dava fuoco alla miccia, e la seguente esplosione della cartuccia avviava il 
motore del trattore.
Erano trattori che permettevano l’uso di combustibili economici come il petrolio non 
raffinato.
Il primo trattore italiano fu realizzato dalla Ditta “Bubba” nel 1924 e successivamente dalla 
Landini, OM e Pietro Orsi.
Anche la Società “Breda” nel 1926 aveva in produzione il suo trattore dal 1926
Trattore a petrolio o nafta da 40 HP tipo cingolato

Un trattore con cingoli particolarmente adatto nell’ambiente agricolo afghano.
Società Breda
Trattore (gommato) a petrolio da 40 HP (1923-1924)
Prova di aratura meccanica a trazione diretta

MILANO
Azienda Tessile “De Angeli Frua” 

Scorcio dello stabilimento di Milano della De Angeli-Frua nel 1930,
il cui accesso principale si trovava in piazza De Angeli






I primi tre stabilimenti produttivi che costituivano la società si trovavano a Milano, Aglie e 
Legnano. I primi due facevano parte della società “Ernesto De Angeli e C.” mentre quello di 
Legnano alla società “Anonima Frua & Banfi”.
Nel visitare l’azienda la regina Soraya potè ammirare i preziosi tessuti colorati.
Infatti nei primi anni del XX secolo l’azienda “De Angeli-Frua” era famosa per la 
produzione di tessuti colorati che furono introdotti nel 1906. Un prodotto che faceva 
concorrenza ai tessuti prodotti dagli inglesi. Famosa era anche la produzione di cotone, seta, 
satin e georgette. L’azienda esportava i suoi prodotti in tutto il mondo.
La regina probabilmente nel visitare l’azienda fu accompagnata da Giuseppe Frua che, con 
la morte di Ernesto De Angeli,  diventò unico proprietario. Una crescita costante da parte 
dell’azienda anche nell’ambito sociale. Infatti dopo la prima guerra mondiale l’azienda creò 
delle importanti iniziative per i suoi dipendenti come la costituzione di fondi previdenziali, 
di scuole ed asili.
Nel 1925 nell’azienda erano presenti ben 1500 telai e 750 dipendenti che nel 1927 salirono 
950. Si riuscivano a produrre ben 24.000 metri di tessuti di cotone al giorno.
Da atre fonti  nei primi anni del 1900 la “De Angelis – Frua” aveva tre stabilimenti di 
filatura, 5 fabbriche di tessitura e 3 stamperie con un totale di ben 12.000 dipendenti.

Tessuti De Angeli Frua. donna con gonna decorata come il prato
Gino Boccasile: 1901/ 1952



Giuseppe Frua con alcune lavoranti nello stabilimento Maddalena di Milanohttps://www.icharta.com/media/catalog/product/cache/69a51cc83c75c6910294c3bc195e645e/c/-/c-062899-1.jpg

Giuseppe Frua (1925/1926)

TORINO
Fiat – Il Lingotto

(Torino - Il “Lingotto” è un comprensorio di edifici situato nel quartiere di Nizza Millefonti,
chiuso tra parte di via Nizza e un ramo del Passante Ferroviario di Torino, adiacente
all’omonimo quartiere del Lingotto. “Lingotto” prende il nome dalla 
cascina agricola che sorgeva
nella zona denominata Basse del Lingotto, chiamata anche Cascina Juva)
.

Fu uno dei principali stabilimenti di produzione della fabbrica automobilistica “FIAT”, poi 
riconvertito a grande centro polifunzionale.
Amanullah Khan e la regina Soraya visitarono lo stabilimento che era stato oggetto di un 
ampliamento finito nel 1926. (Lo stabilimento originario fu progettato nel 1915 ed ultimato 
nel 1922). Giovanni Agnelli, fondatore e presidente della FIAT, affidò nel 1918 
all’ingegnere meccanico Ugo Gobbato, esperto nella realizzazione delle attività produttive, 
la responsabilità di accorpare le varie officine Fiat sparse per la città di Torino. 
L’ing.  Gobbato aveva quindi anche l’incarico di coordinare il trasferimento di macchinari 
ed impianti al Lingotto. Lo stesso ingegnere assunse la direzione e si dimise nel 1928, 
quando il Lingotto entrò in pieno ed efficiente regine produttivo. Le officine erano formate, 
dal punto di vista planimetrico, da due corpi longitudinali che erano destinati alla 
produzione di automobili. Due corpi longitudinali lunghi oltre 500 metri, uniti da cinque 
traverse multipiano che erano destinate a locali di servizio per il personale. All’estremità dei 
due corpi furono costruite, tra il 1923 ed il 1926, due rampe elicoidali. Le rampe elicoidali 
permettevano alle automobili di accedere dal piano terra direttamente alla pista di collaudo, 
costituita da due rettilinei di oltre 400 metri di lunghezza, collegate da due curve 
sopraelevate.
Una pista unica nel suo genere, destinata al collaudo delle autovetture, e costruita 
interamente sul tetto della fabbrica, realizzata nel 1926 – 1927, con una pianta ad anello e 
con due curve paraboliche alle estremità che furono studiate in modo da poter essere 
affrontate con una velocità fino a 90 km/h. Nel periodo considerato le velocità massime 
delle auto era di 70 km/h. La pista aveva anche un parapetto di protezione alto 1,50 metri.
I sovrani afghani restarono sicuramente meravigliati dall’efficienza del Lingotto.

Torino – Fiat/Lingotto
Fiat 501 (1921-1923)

Fiat 520 Super Fiat (1921 – 1923)
Da notare la guida a destra

Giovanni Agnelli in visita allo stabilimento con alcuni collaboratori
L'imprenditore italiano Giovanni Agnelli, fondatore della casa automobilistica FIAT, in visita alla sala prove 'Grandi Motori' insieme all'ingegner Giovanni Chiesa, al direttore generale Guido Fornaca e ad altri collaboratori. Torino, 1923
(Photo by Mondadori via Getty Images)
 https://www.gettyimages.it/detail/fotografie-di-cronaca/italian-entrepreneur-giovanni-agnelli-founder-of-fotografie-di-cronaca/141551426?adppopup=true

FIAT 520 (1927 – 1931)
Era la seconda autovettura prodotta dalla Fiat dal 1927 al 1931.
Fu la prima automobile della Fiat ad avere la guida a sinistra e fu
anche la prima auto a 6 cilindri.

GENOVA
Acciaieria Ansaldo

La società fu fondata nel 1852 da alcuni esponenti della finanza e dell’industria genovese 
che rilevarono un preesistente stabilimento meccanico  “Taylor e Prandi” di Sampierdarena. 
La direzione della  società fu affidata all’ing. Giovanni Ansaldo al quale si devono la 
progettazione e la costruzione delle prime locomotive interamente italiane e di altri 
macchinari.
Lo stesso ing. Ansaldo allargò il campo di produzione dell’azienda, per interessamento di 
Cavour e di B. Brin, con un cantiere navale a Sestri Ponente. L’azienda ebbe un ulteriore 
sviluppo durante il conflitto della prima guerra mondiale inserendosi nel settore aeronautico  
e nell’industria bellica. In quest’ultimo settore assunse un ruolo primario. Nel 1918 -20 la 
società gestiva anche le miniere di Cogne, le acciaierie, la fabbrica di artiglieria di 
Cornigliano, una flotta mercantile e ben cinque stabilimenti aeronautici.
Il sovrano Amanullah Khan e la regina Soraya visitarono l’azienda nel periodo in cui era 
colpita da una grave crisi finanziaria.
La riconversione della produzione bellica determinò in seno all’azienda una grave crisi 
produttiva e commerciale che  fu accentuata da una politica dirigenziale che aveva 
impegnato l’azienda in programmi di espansione che erano sproporzionati rispetto ai mezzi 
economici e produttivi disponibili. Infatti nel 1921 la società fu colpita da una grave crisi 
finanziaria che travolse la Banca Italiana di Sconto alla quale la stessa società era 
intimamente collegata.
Per salvare l’azienda intervenne lo Stato e le attività produttive passarono sotto il controllo 
dell’Istituto di Liquidazione che diventò nel 1933 il primo nucleo dell’IRI.

Il sovrano afghano era attratto dal settore dell’aviazione. Il suo sogno era quello di dotare il
suo paese di una forte flotta aerea in grado di superare le difficoltà orografiche del territorio 
e permettere azioni di difesa più rapide in caso di attacchi nemici.

Ansaldo A.1 Balilla
Tipo: Aereo da caccia – Areo da ricognizione
Equipaggio: 1
Data primo volo: 19 marzo 1917 – Data Entrata in servizio: 1918
https://it.wikipedia.org/wiki/Ansaldo_A.1

Ansaldo S.V.A.
Aereo da caccia con mitragliatrici
N. Equipaggio : 1
Entrata in servizio: 1917

Ansaldo A.300
Areo da ricognizione – Numero di Equipaggio: 2
Data primo volo: 1919 – Data entrata in servizio: 1920
https://it.wikipedia.org/wiki/Ansaldo_A.300#/media/File:Ansaldo_A.300_in_volo,_scheda_Aerei_da_Guerra.jpg

Ansaldo AC.2
Areo da caccia – Equipaggio: 1
Data primo volo: 1925 – Data ritiro dal servizio: 1929
https://it.wikipedia.org/wiki/Ansaldo_AC.2#/media/File:A.C.2_Ansaldo_Caccia.jpg

Fiat-Ansaldo A.120
Aereo da ricognizione – Equipaggio: 2
Data primo volo: 1925 – Data entrata in servizio: 1925
https://it.wikipedia.org/wiki/Fiat-Ansaldo_A.120#/media/File:Fiat_A.120,_scheda_Aerei_da_Guerra.jpg

Amanullah Khan, seguendo l’esempio di Mustafa Kemal in Turchia, aveva un grandissimo 
obiettivo: modernizzare l’Afghanistan allineandolo ai paesi occidentali. Promosse la 
costruzione di strade che sarebbero state la base del progresso sociale del paese. Aveva in 
mente di creare anche delle linee ferroviarie che avrebbero agevolato i commerci ed anche i 
collegamenti con gli stati vicini.
All’Ansaldo vide il progresso Italiano nella costruzione delle motrici.
In Afghanistan era presente una linea ferroviaria che attraversava il Passo Khyber. 
Una  ferrovia che univa la città di Peshawar e Landi Khana attraverso ben 34 gallerie e 92 
ponti.  Una linea costruita dagli inglesi e, per quei tempi, un’opera veramente eccezionale.

https://www.storicang.it/medio/2021/12/02/un-paese-moderno_5a360f37_900x538.jpg
Foto: Mary Evans P.L. / Cordon Press

La prima linea ferroviaria tra Darul Aman e Masjid Shah Dushmashrah (AS) nel 1923

Locomotiva 744.003
Anni di costruzione: 1927 - 1928

FS 746.031
Anni di costruzione: 1922 - 1927https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:FS_746.031_in_the_Museo_della_Scienza_e_della_Tecnologia_(Milan)?uselang=it#/media/File:Locomotiva_a_vapore_746.031_-_Museo_scienza_tecnologia_Milano_D0313.jpg

Il re Amanullah Khan visionò l’Autoblinda Ansaldo Lancia 12M, un massiccio autoblindo, 
l’unico di progetto e costituzione interamente italiani e che fu schierato durante la prima 
guerra mondiale.
Il sovrano probabilmente acquistò alcune autoblindo dato che assieme alla Germania, 
Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Albania, l’Afghanistan risulta come uno dei paesi 
utilizzatori.
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0600009627/8/un-autoblindo-ansaldo-lancia-i-z.html?startPage=100

Due autoblindo mitragliatrici Ansaldo-Lancia 1Z sfilano nell'arena dello Stadium di Torino, seguite da una camionetta della Croce Rossa. 
La manifestazione era un carosello storico per
celebrare il quarto centenario di Emanuele Filiberto e il decimo annuale della vittoria.
(26/05/1928)
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/imageViewPort/720?imageName=ATTUALITA/A27-055/A00003674.JPG


TORINO
Snia-Viscosa a Venaria Reale

La regina Soraya restò invece affascinata della fabbrica di seta artificiale dell’azienda Snia-
Viscosa a Venaria Reale (Torino).


La SNIA nel 1917 era una  società di navigazione, di Riccardo Gualino e Giovanni Agnelli, 
che si occupava del trasporto di combustibile dagli Stati Uniti all’Italia. Nel 1919 la stessa 
società sviluppò la sua attività nel commercio di fibre tessili e artificiali. Prodotti che 
andavano incontro ad una grande produzione e rapido consumo. La crescente domanda di 
nuove fibre sintetiche sul mercato nazionale spinse la società ad investire nel settore tessile. 
La società acquisì nel 1920  lo stabilimento di fibre chimiche di proprietà della Società 
Italiana Seta Artificiale ed altri stabilimenti minori dislocati in varie centro dell’Italia 
settentrionale.
La SNIA prese il nome di “SNIA Viscosa” conquistando il mercato per la produzione di 
fibre artificiali.
Nel 1927 aveva una produzione veramente eccezionale..
Oltre 13 milioni di chilogrammi di filati artificiali.
Un prodotto che aveva uno sbocco notevole anche nei mercati esteri.
Nel 1935 aveva circa 20.000 operai.
La SNIA-Viscosa iniziò la costruzione del suo stabilimento di Torino  (Abbadia  di Stura) nel
1925. La regina Soraya si trovò innanzi ad una struttura gigantesca che occupava una
superficie di  ben due milioni di metri quadrati e nel 1926 lo stabilimento era entrato in 
pieno regine produttivo.
La scelta di Abbadia di Stura come sede  per l’opificio era legata alla vicinanza al 
complesso della Snia di Venaria e alla futura autostrada Torino-Milano allora in 
programmazione. Ma c’era anche la volontà dei dirigenti dell’azienda di voler isolare ed 
evitare alle maestranze i contatti con i lavoratori delle altre industrie cittadine per cause di  
vertenze lavorative. Nel 1927 la stessa società costruì a Borgo San Paolo una struttura  per 
le lavorazioni meccaniche delle fibre.

Impianto filatura

Impianto orditura

Salone delle rocchettiere


https://www.lostitaly.it/site/snia-viscosa-stabilimento-di-varedo/

I  DONI
Il re afghano aveva una strana abitudine nelle visite di stato nei paesi stranieri….. 
donava una somma di denaro come ringraziamento per l’ospitalità ricevuta.
Donò quindi a Roma la somma mille sterline e la più alta onorificenza afghana al principe 
Umberto (figlio di Vittorio Emanuele III) e a Mussolini.

L’Ordine del Sole Supremo (Nishan-i-Lmar-i-Ala)  era un ordine cavalleresco ed era la più 
alta carica onorifica dell’Afghanistan monarchico.
Fu fondato da Habibullah Khan, padre di Amanullah Khan, e riformato nel 1920 da 
quest’ultimo.
Era un titolo che premiava quanti si fossero distinti a favore dello Sato.
La medaglia era costituita da una placca d’oro rettangolare con quattrodici stelle ed un sole, 
circondata da una corona d’alloro in argento. La placca era composta da una stella d’oro 
raggiante avente al centro un disco argenteo con inciso il nome dell’Ordine ed il suo motto. 
Il nastro era blu con una striscia rossa in mezzo.

Amanullah Khan con il re Vittorio Emanuele a Roma -  9 gennaio 1928( Immagini GETTY - https://www.gettyimages.it/)

Re Vittorio  Emanuele III proclamò il sovrano afghano “Cugino del Re d’Italia” e gli 
consegnò il collare di Santa Annunziata. Gli fu regalata anche un’auto corazzata.

Collare di Santa Annunziata
Order of the Most Holy Annunciation, collar, badge and star, 1920-1940. Kingdom of Italy. The exhibition of the Tallinn Museum of Orders of Knighthood, Estonia.
Ordine della Santissima Annunziata, collare, stemma e stella, 1920-1940. Regno d'Italia. La mostra del Museo degli Ordini Cavallereschi di Tallinn, Estonia.

sono presenti:
I Cavalieri dell'Ordine Supremo del Collare o della Santissima Annunziata
Nell’anno 1928..


Tra i Cavalieri nominati all’Ordine del Collare c’è Amanullah Khan

Papa Pio XII consegnò ad Amanullah la medaglia dell’Ordine dello “Speron d’Oro” come 
riconoscenza per aver permesso alla Legazione Italiana a Kabul di stabilire una cappella 
cristiana nella propria sede e di mantenere presente nell’emirato un cappellano.  In realtà 
questo cappellano arrivò in Afghanistan solo nel 1932 in virtù dell’antico accordo che fu 
stipulato nel 1921.

Speron D’oro


I NUOVI ACCORDI TRA  ITALIA  ED  AFGHANISTN


L’accoglienza e la constatazione dell’alta tecnologia industriale spinsero il re Amanullah ad intraprendere un dialogo sulla ripresa di un rapporto bilaterale tra Roma e Kabul chiedendo anche l’invio di tecnici e consulenti militari italiani a Kabul.
Uno dei temi discussi fu quello in merito all’educazione aeronautica di ragazzi afghani. Il successo che aveva avuto una simile attività, svolta nel 1922, aveva lasciato un ben ricordo nel sovrano afghano dato che l’esperienza didattica in Italia era stata decisamente positiva.
Questa volta l’attività di formazione avrebbe avuto però una base differente rispetto a quella del 1921.
Il sovrano afghano chiese che la formazione avvenisse totalmente a spese dell’Italia e questo fu al centro di discussioni tra lo stesso Amanullah e il ministro italiano dell’Aeronautica (Benito Mussolini, ad interim, dal 30 agosto 1925 al 3 gennaio 1926, titolare dal 3 gennaio 1926 al 12 settembre 1929). Alla fine il ministro Mussolini accettò.

Amanullah Khan con il primo ministro italiano Benino Mussolini a Roma, Italia, gennaio 1928( Immagini GETTY - https://www.gettyimages.it/)

Amanullah vide una dimostrazione aerea a Ciampino, in onore della sua visita nella capitale, il 10 gennaio 1928. Nello stesso giorno si mise in contatto con Kabul per richiedere l’invio della squadra di studenti afghani che dovevano recarsi nella Regia Accademia Aeronautica di Caserta.
L’Accademia Aeronautica si trovava prima Livorno e fu spostata nella Reggia di Caserta con inaugurazione del 10 dicembre 1926.
Accademia Aeronautica di Caserta

https://www.youtube.com/watch?v=iVthNRBGgD0

Nella Regia Accademia si creò subito un grave problema con il gruppo di giovani afghani.
Questi giovani erano stati descritti al governo italiano come studenti modello.. i migliori dell’istituto che frequentavano e soprattutto con una educazione molto vicina a quella occidentale.
Ma la situazione si rilevò molto diversa dalla realtà perché dai primi rapporti si mise in evidenza come  l’insegnamento della tecnica aeronautica fosse molto complessa. Gli studenti afghani erano da pochissimo tempo a contatto con gli studenti occidentali e quindi non avevano appreso il metodo d’insegnamento. Nessuno di loro aveva frequentato l’accademia militare nel proprio paese a Kabul che era stata istituita qualche anno prima. Furono quindi tutti introdotti all’educazione elementare delle materie tecniche. Ai ragazzi non fu offerto un corso preliminare di lingua italiana e quindi comunicare con loro era pressocché impossibile. Gli accordi che erano stati stipulati prevedevano come il governo afgano si sarebbe preoccupato d’inviare, insieme agli studenti, un interprete per facilitare i compiti degli insegnanti italiani. Kabul non fu in grado di risolvere questo problema perché non riuscì a trovare un bravo interprete.
Il governo italiano dovette quindi affrontare anche queste spese e richiese l’intervento dell’esperto d’Oriente, Luigi Bonelli, professore all’Istituto Orientale di Napoli affinché s’occupasse dell’insegnamento almeno nei suoi aspetti fondamentali.
Il programma di studio si basava sulle seguente materie: educazione fisica, intellettuale, morale, militare e istruzioni di volo.
I nuovi tecnici e piloti fecero ritorno a Kabul nel luglio 1929 e nel frattempo Amanullah, che aveva abdicato sotto il colpi di Kalakani, si stava recando verso Roma per l’esilio.
Tutte le trattative avviate dal governo afghano per inviare in Italia nuovi studenti da formare furono interrotte. 

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ENCICLOPEDIA DELLE DONNE – XII CAPITOLO Le Donne dell’Afghanistan – La Regina Soraya Tarzi (1926 - 1929) -- Prima Parte





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