Enciclopedia delle Donne - XII Capitolo - 5° Parte - I Sovrani d'Afghanistan Amanullah Khan e Soraya Tarzi in visita in Iran (1928) - L'Abdicazione - L'Esilio a Roma
(nella foto: la principessa Fawzia d’Egitto, figlia della regina Nazli Sabri)
ایران ته سفر
In
merito alla visita di stato in Iran dei sovrani afghani, le fonti non sono
molto chiare. Ho tradotto dei testi sia in lingua turca che russa e il percorso dei sovrani afghani per raggiunre
l’Iran non è molto chiaro. Una fonte cita la partenza dal porto di Baku con un
traghetto per raggiungere l’Iran, probabilmente il porto di Nowshahr (distante
circa 154 km da Teheran).
Un’altra fonte citò invece l’ingresso in Iran dei
sovrani afghani dalla Turchia (Ankara -Teheran, con un tragitto di 2082 km).Amanullah Khan e
Soraya nelle visite alle capitali europee si spostavano sempre in nave, treno o
auto. Penso quindi che la prima fonte sia più esatta anche se manca di un
riscontro oggettivo che si potrebbe desumere con la lettura dei diari di
viaggio dei sovrani afghani conservati nell’archivio storico di Kabul (?).
Gardkal, sulla riva di un fiume omonimo. La sua vicinanza al mare fu da base per
l’ormeggio di barche e navi commerciali. Un villaggio che, per la sua importante
posizione, fu preso in grande considerazione da parte dei regnanti Qajar.
Fu Khachik che prese in considerazione il villaggio come luogo di scambio e
per il trasporto di merci tra l’Iran e l’Unione Sovietica.
Successivamente fu Habibullah Khan Sardar che avviò la
costruzione del villaggio moderno che preso il nome di Halibabad fino a giungere
al nome attuale di Nowshahr.
https://www.bbc.com/persian/afghanistan-49410055
https://www.bbc.com/persian/afghanistan-49410055
https://www.facebook.com/Shah.Amanullah.Khan/photos/a.116941128390579/133171596767532/?type=3
Il
re Amanullah Khan, la regina Soraya e altri fanno colazione a metà strada per
il Turkistan
https://it.wikipedia.org/wiki/Reza_Shah_Pahlavi#/media/File:Reza_shah_coronation.jpg
Alla
fine della prima guerra mondiale l’Iran era colpito da una grave crisi
economica e da una situazione politica molto precaria. Nel 1919 i britannici,
sfruttando la grave crisi istituzionale iraniana, tentarono di formare un
protettorato mediante un accordo anglo-persiano.
L’accordo fu emesso dal ministro degli esteri britannico, Lord Curzon (George Nathaniel Curzon, primo marchese Curzon di Kedleston), al governo persiano nell’agosto 1919.
Il trattato non fu mai ratificato dal parlamento persiano (Mailis).
( Il termine Persia fu utilizzato fino al 1935 quando venne sostituito dal termine Iran).
Gli Inglesi, da sempre opportunisti, sfruttarono la rivoluzione bolscevica del 1917 quando il nuovo governo sovietico abbandonò le cinque province settentrionali dell’Iran che facevano parte dell’imperialismo zarista.
La Gran Bretagna era quindi l’unica potenza presente nella zona e il Curzon sperava di fare dell’Iran non un protettorato inglese ma uno “Stato cliente” appartenete alla stessa Gran Bretagna ed a nessun’altra potenza.
Il documento dava una garanzia d’accesso britannico a tutti i giacimenti petroliferi iraniani e in cambio l’Iran avrebbe ottenuto:
- un fornitura di munizioni e attrezzature per un esercito addestrato dagli inglesi;
- un prestito di due milioni di sterline per le “riforme necessarie”;
- una revisione della tariffa doganale;
- rilevamento e costruzione di ferrovie.
Il documento suscitò molte critiche e fu definito come “egemonico” soprattutto da parte degli Stati Uniti che avevano dei progetti per l’accesso ai giacimenti petroliferi iraniani.
Alla fine l’accordo anglo-persiano fu cancellato dal parlamento persiano (Majlis) il 22 giugno 1921.
C’è da dire che l’Anglo-Persian Oil Company” (APOC) era stata fondata nel 1909 grazie alla scoperta di un vasto e ricco giacimento a Masjed-e Soleyman in Persia. Fu la prima compagnia petrolifera in Medio Oriente. (Nel 1925 cambierà il nome in Anglo-Iranian Oli Compagny(AIOC) e nel 1954 in British Petroleum Company (BP).
Fu sostituita dalla “Burmah Oil Company LTD”, una compagnia di Edimburgo nata nel 1902 e che operava in Birmania. La “Burmah O.C.LTD” individuò i primi giacimenti nel 1908 e nel 1909 fu fondata la “Anglo-Persian Oil Company” (APOC) che assunse il pieno controllo delle concessioni.
La nuova società fu costituita con il concorso del Tesoro Britannico della “Burmah Oil” e della “Shell Transport”.
Nel 1913 cominciò la produzione industriale nella raffineria di Abadan e il governo britannico, sotto la guida di Wiston Churcill, Primo Lord dell’Ammiragliato, nazionalizzò parzialmente, nello stesso anno, la società con l’obiettivo di garantire le forniture di petrolio alla flotta britannica.
L’APOC controllava anche il circa 50% della “Turkish Petroleum Company” che era stata creata nel 1912 da Calouste Gulbenkian per esplorare e sfruttare le risorse petrolifere nell’Impero Ottomano. A causa del fermo estrattivo legato alla prima guerra mondiale, la società riprese la sua attività nel 1927 con il nuovo nome di “Iraq Petroleum Company”.
Nel 1917 fu incorporata la sussidiaria inglese della società tedesca “Europaische Petroleum Unione”.
Una società sussidiaria che usava il termine commerciale “British Petroleum”, che era stata espropriata dal governo britannico dopo l’inizio della guerra. Il marchio BP fece così il suo ingresso nel mercato britannico.
Nel 1920 la provincia settentrionale del Gilan fu colpita da uno sbarco sovietico e fu subito conquistata e proclamata come “Repubblica Socialista Sovietica Persiana Indipendente” (RSS Persiana).
Nel febbraio 1921 Reza Khan Mirpanj (il nome e il grado) eseguì un colpo di stato insieme al giornalista Ziya al-Din Taba, che fu nominato primo ministro.
Reza era un valido comandante della Brigata Cosacca, un unità moderna dell’esercito persiano che era stata creata dai russi al tempo degli zar. Con il ritiro degli ufficiali russi Reza diventò famoso come Reza Khan Sardar Sepah.
Reza con le sue truppe, partire da Qazvin giunse a Teheran conquistando i punti nevralgici della città costringendo il governo a dimettersi.
Il 12 dicembre 1925 Reza Shah fu proclamato re e il 25 aprile 1926 ricevette la corona imperiale iraniana. Il figlio Mohammed Reza fu proclamato principe ereditario. Con Reza Shah iniziò per l’Iran una nuova era, un nuovo periodo storico e culturale.
Durante la sua reggenza furono costruite importanti strade, la linea ferroviaria trans-iraniana, fu introdotto un sistema d’istruzione moderno e venne anche fondata l’Università di Teheran.
Per la prima volta nella storia dell’Iran vennero inviati, a più riprese, degli studenti iraniani a studiare in Europa. Tutte queste idee moderne favorirono lo sviluppo dell’industria e i sovrani afghani Amanullah Khan e Soraya si trovarono di fronte ad un immagine dello Stato iraniano decisamente nuova e proiettata verso il futuro.
Reza Shah, malgrado le sue idee riformiste legate soprattutto al principio di libertà, mantenne uno stile di governo dittatoriale e questo provocò del malcontento negli iraniani. Nella sua ascesa al potere s’era appoggiato al clero scita e aveva anche compito un pellegrinaggio sia a Qom sia nelle città sante di Najaf e Kerbela (Iraq).

Karbala (Iraq). Moschea al-Husyan, santuario sciita, custodito dai soldati, aprile 1991.
(Photo by Francoise De Mulder/Roger Viollet via Getty Images)
https://www.gettyimages.dk/detail/news-photo/karbala-mosque-al-husyan-shiite-sanctuary-guarded-by-news-photo/56227795
Un’intensa campagna di bombardamenti in cui le assassine forze della Coalizione
effettuarono più di 100.000 azioni con lo sganciamento di 88.500 tonnellate di
bombe con la distruzione di strutture civili, militari e religiose.
Gli assassini della Coalizione: Stati Uniti, Regno Unito, Arabia Saudita, Canada,
Francia e…..Italia
17 marzo 1896 – 10 marzo 1982
Nel 1922 Reza Shah si sposò per la terza volta con Turan (Qamar al-Molk) Amir Soleymani (1904 – 1995) e dal loro matrimonio nacque un altro figlio, Gholam Reza. La scià divorzò da Turam nel 1923.
La Tadj ol-Molouk ( Baku – Azerbaigian, 17 marzo 1896; Acapulco (Messico), 10 marzo 1982) fu quindi regina consorte dal 15 dicembre 1925 al 16 settembre 1941. Fu la prima regina in Iran ad aver partecipato a rappresentazioni reali pubbliche e svolse un ruolo importante nel kashf-e hijab (divieto del velo) nel 1936.
Figlia del generale di brigata Teymur Khan Ayromlou, della tribù Ayrum, e di Malek os-Soltan.
Si sposò con Reza Khan nel 1916 e probabilmente fu un matrimonio “combinato”. Infatti il legame con la moglie fu molto vantaggioso per Reza Khan perché gli consentirono di avanzare nella gerarchia militare cosacca. Dal matrimonio nacquero quattro figli:
- Shams (28 ottobre 1917-29 febbraio 1996)
-
Mohammad
Reza (26 ottobre 1919 - 27 luglio 1980)
-
Ashraf
(sorella gemella di Mohammed Reza) ( 26 ottobre 1919 – 7 gennaio 2016)
(La prima a destra)
Ali Reza Pahlavi
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Tadj_ol-Molouk?uselang=it#/media/File:Engagement_ceremony_of_Mehrdad_Pahlbod_and_Shams_Pahlavi.jpg
Fatima Masumeh era la sorella dell’ottavo iman sciita Reza e la figlia
Settimo iman Musa al-Kadhim. Nell’Islam sciita le donne sono spesso venerate
come sante se sono parenti stretti di uno dei Twelver Iman.
(Twelver si riferisce alla fede dei suoi aderenti in dodici leader divinamente ordinati, noti come
i Dodici Iman, e alla loro convinzione che l'ultimo Imam, l’Iman al-Mahdi, viva nell'Occultazione e riapparirà come Il Mahdi promesso).
Ogni anno, migliaia di musulmani sciiti si recano a Qom per onorare Fatima Masumeh e
chiederle benedizioni.
All'interno del santuario sono sepolte anche tre figlie del nono Twelver, Imām Muhammad al-Taqī .

In questa cerimonia fu ufficialmente abolito da Reza Shah il chador e l’uso di abiti
islamici in tutto il Paese. questa riforma vide la sua realizzazione, come in un teatro,
durate la cerimonia di laurea delle ragazze della Facoltà Preliminare.
Tutte le ragazze indossarono degli abiti occidentali e Reza Shah partecipò alla cerimonia.
Nella foto Reza Shah con il primo ministro Mahomud Jam;
la regina vestita seguendo una moda decisamente occidentale; le due figlie Shams e
Ashraf, vestite con uniformi imperiali, un bel simbolo. La regina Tadj ol-Molouk,
in questo episodio simboleggia l’emancipazione delle donne iraniane.
Una trasformazione della società iraniana voluta dal marito.
Successivamente lo stesso scià fece pubblicare delle foto della moglie e delle sue figlie. Fu il passo decisivo per l’applicazione delle riforma sullo svelamento che fu imposta in tutto lo Stato.
La regina continuò a partecipare, secondo il volere del marito, alle rappresentazioni pubbliche ma sempre senza prendere iniziative proprie e rimanendo sempre al di fuori di ogni coinvolgimento politico.
Naturalmente nell’aprile 1939 partecipò al matrimonio del figlio Mohammad Reza con Fawzia d’Egitto, sorella del re Farouk I re d’Egitto, figlia della sfortunata Nazii Sabri che la regina Soraya aveva conosciuto nella visita di Stato nel 1927 in Egitto. Si dice che i rapporti tra Tadj ol-Molouk e Fawzia non furono ottimi.
La regina madre Nazii Sabri invitata a Teheran sminuì di continuo la corte di Teheran considerata inferiore all’opulente corte egiziana e questa considerazione influì nel rapporto tra la nuora e la regina madre iraniana.
(Figlia del re d’Egitto Fuad I e della sua seconda moglie Nazii Sabri)
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUPx0oMBMb4AB8F-Uocv1BZ5SHjQXhc_e8kCoTQ4buyiZGhqQvtdQHtw2k7u6lYlLatZG6SvI9cu-y2z9KFyZ6RtIN4i7OySpIU7JF1gfSaEqjYRopMhQV5fPkMUhmU0N8uv1STRtmJuQ/s640/936105_512461352149315_1133925279_n.jpg

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiH8psO9EUN5yoCBAmriMQBN6_d4uu2KLJ30gFZD1O87atQ_uuYcjsYDE48c5nV-xZmJqJwZCp9YwMER4_Ia7Cl8JvfKqdaqDK2H6DaPchFo6SLmJngtwtj76BEs40FSo560KiisgsD69s/s320/Mohammad-Reza-Pahlavi-Crown-Prince-of-Iran-and-Princess-Fawzia-of-Egypt.jpg

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7-ji4C32wwSj8oxlgdEmByaykPMxgWIxhZ4VkV7FEKOzkPT3wLP7r-4k9sZy4n-CE0jZDhTBpOAWu0Zu8p8G_C4bNLm6zIuzJvR8RLlo1r6Dc7JTWX5BzgcVgc5mJldcjUNO-QcrsBwE/s1600/0081_CIFE.jpg
Fawzia d’Egitto (al centro) e Fathia d’Egitto (a destra).
La
regina Tadj ol-Molouk con Fawzia
d’Egitto
Gholam Hossein
Sahib Diwani, il secondo marito di Tajul Muluk Pahlavi, con Ali Qawam, nel
parco della tomba di Hafez a Shiraz
Da sinistra:
Gholamhossein Sahib Divani e Ali Qavam,
Il
giovane marito della regina madre entrò a fare parte dell’Assemblea consultiva
nazionale e sembra che abbia avuto una certa influenza sul nuovo sovrano..”dominando
la casa reale”.Il
conflitto tra Tadj ol-Molouk e sua nuora, la regina Fawzia, attirò l’attenzione
dei quotidiani all’epoca e portò alla
partenza di Fawzia per l’Egitto con lo scioglimento del matrimonio reale nel
1948.In
realtà la separazione dalla bellissima moglie Fawzia e lo Sciò ebbe un
complesso iter burocratico e aveva alla base delle “motivazioni”…Incompatibilità reciproca e motivi politici.Dal matrimonio era nata nel 1940 solo una figlia
femmina, la principessa Shahnaz Pahlavi che non era adatta per la successione
al trono”. Lo scià desiderava fortemente
un erede maschio.
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0iCD2VGUqt2H0dt7CMkVqHGwlS8F6xIcCopwnx9k8IW-xQID_gge8Jrt9vnm_xQRiwMBcjeNMfhTFSXwu79ncHZR9MhgQXY6khVKh3IVJNv7ebH1R6mDJ126RjhIeHKO7TDJEbKrCJJM/s320/198755_130720157019925_127503017341639_198657_5402740_n.jpg
Personalità politiche e militari
Personalità politiche: Shah Mohammed Reza Pahlevi dell'Iran con la sua prima
moglie, la regina Fawzieh, e la loro figlia, la principessa Chahnaz seduti
accanto a una piscina ornamentale a Teheran.
Fotografie di
Cecil Beaton –
Principessa
d’Iran - Shahnaz Pahlav
(Teheran,
27 ottobre 1940)
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Shahnaz_Pahlavi?uselang=it
Fawzia
ottenne la separazione legale dal marito, da parte del governo egiziano, nel
1945 e quindi tornò Al Cairo. Stranamente queste separazione, non conosco il
motivo, non fu riconosciuta dal governo iraniano. Solo nel 1948, dopo ben tre
anni, il divorzio fu riconosciuto anche il Iran (il 17 novembre 1948) e con la
rinuncia da parte di Fawzia alla corona iraniana.Fawzia
riprese il suo titolo di Principessa d’Egitto. Una delle clausole del divorzio
indicò come la figlia Shahnaz dovesse rimanere in Iran per crescere con il
padre.Nell’annuncio
pubblico del divorzio si citò comeIl clima persiano
aveva messo in pericolo la salute della regina Fawzia, e Che quindi
concordato dal Re d’Egitto (Farouk I) che la sorella divorziasse.Lo
Scià di Persia fece una piccola dichiarazione ufficiale…Lo scioglimento
del matrimonio non influirà negativamente sui buoni rapportitra Egitto ed IranIn
realtà lo scià Mohammed
Reza Pahlevi desiderava “subito” un
figlio maschio , o più figli, per assicurare la forte discendenza al trono.Nel
1950 Tadj ol-Molouk partecipò all’organizzazione del matrimonio tra suo figlio
lo scià e Soraya Estandiari-Bakhtiari.
Soraya Esfandiyari-Bakhtiyari ( ثریا اسفندیاری بختیاری )
(Eshafan – Iran, 22 giugno 1932; Parigi, 25 ottobre
2001) regina di Persia come seconda moglie di Mohammad Reza Pahlavi, ultimo
scià di Persia.Figlia
Khalil Esfandiari Bakhtiari (1901-1983), un importante membro della tribù
dei Bakhtiari (Farsan) (Iran) e ambasciatore d’Iran nella Repubblica
Federale Tedesca). La madre, Eva Karl (1906-1994), era un'ebrea tedesca di
origini russe. Soraya aveva anche un fratello, Bijan Esfandiari Bakhtiari
(1937-2001).Aveva
un’educazione araba ed europea conseguita in prestigiosi collegi svizzeri.
Spesso viaggiava per l’Europa e tornava anche nella città originaria del padre,
Isfahan (Iran).Soraya
fu soprannominata come laPrincipessa dagli
occhi di giada.La
sua storia è per certi aspetti simile a quella delle regine e principesse del XX secolo.La
critica giornalistica commentò la figura della regina di Persia Soraya sempre
con toni malinconici.. Il destino
tristissimo di Soraya, da regina dell'Iran a principessa dallo sguardo infelice Soraya: la
“principessa dagli occhi tristi” ripudiata dallo Scià di Persia Soraya e Farah
Diba, due imperatrici divise da un unico amore Soraya. Della
tristezza e dell’amore La storia di Soraya è
ancora oggi una delle love story più commoventi di sempre.A Londra, Soraya seguiva spesso il padre nei suoi
viaggi europei, in un evento fece amicizia con la sorella gemella dello Scià di
Persia, la principessa Alireza Pahlavi. Soraya aveva diciott’anni. Una ragazza
allegra, spensierata, intelligente e con una grande cultura oltre che di nobile
famiglia.Una ragazza adatta per il fratello che aveva divorziato (o stava divorziando)
dalla bellissima moglie Fawzia d’Egitto. Il fratello si doveva risposare perché
rea importante assicurare una forte successione al trono.Alireza Pahlavi definì SorayaUna perla raraEra la candidata giusta per il fratello? Certamente
nella corte a Teheran ci fu sicuramente un certo dibattito sul tema : Soraya
poteva essere la giusta candidata?Qualche giorno dopo Soraya si trovava in Iran con la
sua famiglia e si vide recapitare un invito dalla regina madre Taj ol-Moluk per
una cena a palazzo reale con i suoi genitori.Il giorno dopo il padre di Soraya il rivolse alla
figlia facendole una domanda ben precisa:che ne pensi dello Scià ?Lo Scià aveva 31 anni e si trovò di fronte ad una
ragazza diciannovenne. Lo Scià rimase
affascinato ed anche lei rimase colpita dal fascino e dai modi di fare del
giovane sovrano.Si fidanzarono ufficialmente ma ci fu subito un
cattivo presagio. Soraya fu colpita dal tifo a poche settimane dalle nozze.Durante la convalescenza lo Scià le faceva recapitare
un gioiello al giorno per consolarla.Il 2 febbraio 1951 finalmente si sposarono e
l’immagine della donna, malgrado il suo fascino, era chiaramente ancora
debilitata.La sposa svenne per ben tre volte anche a causa
dell’abito firmato Dior che pesava 20 kg . un abito adornato da oltre settemila
diamanti e ventimila piume. Un abito che lo Scià chiederà ad una cameriera di
tagliare per alleggerire il peso sulla moglie.Dopo il matrimonio una felice luna di miele.
Soraya
nel 1956
Le
nozze erano state combinate, è vero, ma fra i due sposi nacque una grande
passione come ammise la stessa Soraya nel suo libro autobiografico del 1991 (Il
Palazzo della Solitudine).La
sua vita a palazzo era molto difficile e faticosa e questo a causa anche della
continua lontananza del
marito e soprattutto pr la generale condizione in quanto donna.Era
vittima di una discriminazione ben lontana dallo stil di vita a cui era bituata
in Europa dove aveva sognato anche di fare l’attrice.Nella coppia
c’era anche una grande passione mentre il tempo passava inesorabile. Si
doveva presentare il frutto della loro passione ovvero una gravidanza ma non
succedeva nulla. Passarono tre anni e a corte si cominciò a manifestare
una certa preoccupazione e malumore.Lo Shah Mohammad Reza Pahlevi era continuamento
pressato dai suoi parenti. Pressioni a cui avrebbe dovuto rispondere con
fermezza dato l’amore che nutriva per la moglie.Un grave sospetto cominciò a fare luce nella corte
reale: la giovane sposa è sterile?Lui aveva dimostrato di poter avere dei figli.Dopo sette anni la notizia di una gravidanza di Soraya
era ancora assente nell’ambiente reale.Soraya era continuamente sotto pressione da parte
della famiglia reale e lo Scià era pronto ad abdicare in favore del fratello minore pur di non
perdere l’amore della sua vita.Un amore arricchito anche da spunti culturali ricchi
di romanticismo: lei
ama recitargli in francese poesie di Verlaine, lui di Omar Khayyam. Si danno
del lei anche nell' intimità.A corte cominciarono a sorgere i primi conflitti di
potere.Durante il primo esilio dello Sciàa Roma nel 1953, quando fu destituito da
Mossadeq, in un intervista dichiarò cheHo due Fedi, il Corano e SorayaNel frattempo Soraya si mise sotto cura dei migliori
dottori per cercare di rimanere incinta. Lunghe cure che si
dimostrarono inutili annotando nel suo diario, con grande forza, i momenti
vissuti con il suo compagno di vita in quegli attimi"Lo scià non è mai stato così appassionato e i suoi
abbracci più focosi".Nel palazzo imperiale di Etchessassi,
riarredato secondo uno stile occidentale,
che Soraya chiamòTrappola per topiricevette dai suoi sudditi centinaia di
talismani, amuleti, miniature con versetti del Corano, flaconi contenenti
pozioni magiche… tutto inutile.La Scia si trovava di fronte a due soluzioni
per non ripudiare la moglie. Uno stress psichico che si ripercuoteva sullo
stato di salute del sovrano che mostrava anche un forte dimagrimento.La prima soluzione era quella di affidare a suo fratello minore
la successione al trono.Il fratello minore dello Scia Ali Reza, in assenza di
prole da parte del fratello Mohammad Reza, sarebbe il primo in linea di
successione per il trono. Ma venne qualcosa di strano… Ali Reza morì in un
misterioso incidente aereo mentre si stata recando a Teheran per il compleanno
dello Scià. L’altra
soluzione era legata alla norma di diritto sciita detta “sighè”.Una
norma che contrastava con il forte amore che lo Scià provava per la sua
compagna di vita.Prevedeva
un matrimonio limitato, cioè a tempo, con una donna che successivamente lo Scià
avrebbe ripudiato nell’instante in cui sarebbe nato il figlio maschio.Sempre
nel suo diario la regina Soraya riportò.."Il mio cuore si svuotò del suo sangue: come poteva
propormi una cosa del genere?"Una
decisione simile sarebbe stata un umiliazione troppo forte e quindi prese una
decisione molto forte..Nel
febbraio del 1958 Soraya tornò in Europa
dai suoi genitori lasciando il marito da solo per riflettere sulle decisioni da
prendere. Dopo circa un mese… il 14 marzo(?) 1958 lo Scià diede un annuncia
alla radio con una voce trepidante.. tra le lacrime… diAver ripudiato la
sua sposa adorata, rammaricandosi di non essere un comune mortale,per potersene
infischiare dei figli e invecchiare al fianco della donnache ama più di se
stesso. Dopo
questo annuncio i rotocalchi di tutto il mondo coniarono a Soraya l’etichetta diPrincipessa dagli
occhi tristi.Un
appellativo che la circonderà fino alla sua morte malgrado più volte abbia
manifestato diEssere una donna
soddisfattaDal
punto di vista giuridico il divorzio fu confermato il 6 aprile(?) 1958 con la
concessione del rango e titolo di principessa imperiale, di un passaporto
diplomatico e di un congruo vitalizio.Mantenne
il trattamento imperiale anche quando in Iran la monarchia fu abolita.Si
trasferì a Roma dove frequentò la più alta nobiltà e sempre al centro di continue
attenzioni. Aveva
una sfarzosa villa all’Appia Antica e trascorreva le sue vacanze
all’Argentario.Nacque
un amore con il regista palermitano Franco Indovina, sposato e padre di due
bambine, che morirà a 39 anni nella sciagura aerea di Punta Raisi (Palermo) nel
1972.Con
lui aveva girato il suo unico film coronando un suo antico sogno come attrice.Un
film “I Tre volti” che non ebbe un
grande successo.Al
produttore Dino De Lautentisi dettò le sue condizioni…"Non voglio né abbracci né baci sulla bocca"Il
film era sotto la regia di Bolognini, Antonioni e di Indovina. I suoi partner
erano Alberto Sordi e Richard Harris … la trama un’americana alle prese con un
gigolò…Soraya era bella ma la sua interpretazione fuSenza fuoco,
incolore… come perseguitata dal proprio destino.Sembra
che lo Scià non abbia mai smesso di amarla e sembra che i due s’incontrassero
segretamente.Trascorse
gli ultimi anni in Francia a Parigi frequentando varie località mondane
europee, spesso anche in incognito.A
Taormina (Messina), nello stupendo scenario del Teatro Greco, partecipò ad
alcuni eventi culturali come il Festival del Cinema (Premio “David di
Donatello” prima che venisse ingiustamente trasferito a Roma).Diventò
nota per la sua depressione che a partire dalla morte di Indovina era
peggiorata.La
mattina del 25 ottobre 2001 la governante trovò Soraya priva di vita nella sua
casa nell’Ottavo Arrondissement.Aveva
69 anni e i medici confermarono la morte per cause naturali(?) nel sonno. Lo
Scià, suo ex marito, era morto nel 1980, un anno dopo essere stato esiliato in
Egitto dal regine di Khoemeini.Anche
se lo Scià si era rispostato con Farah Diba,
aveva continuato a sostenerla anche economicamente. Soraya gli è
sopravvissuta per 30 anni….Senza mai più
essere felice come in quel mese fatato della luna di miele, di quella che ormai
le sembrava la vita di un’altra. Le
cause della morte si Soraya restarono per certi versi molto misteriose. Sembra che la donna era sofferente per un
cancro al seno al terzo stadio(?).Parigi,
6 nov. - (Adnkronos/Dpa) –Si sono tenuti
oggi a Parigi i funerali dell'ex imperatrice di Persia, Soraya Esfandiary,
morta il 25 ottobre scorso all'eta' di 69 anni. La cerimonia, alla quale hanno
preso parte numerosi esponenti dell'aristocrazia internazionale,oltre duecento
persone, tra cui il principe Vittorio Emanuele, il principe Gholam, fratello
dello shah, ha avuto luogo tra strettissime misure di sicurezza nella chiesa
americana della capitale francese. La bellissima principessa dal sorriso triste
e dagli occhi di giada sara' sepolta la prossima settimana a Monaco, in
Germania, insieme al fratello, Bijam, morto venerdi' scorso in un albergo di
Parigi in circostanze misteriose (sul suo decesso e' stata aperta un'inchiesta)
proprio mentre era impegnato a organizzare i funerali di Soraya. Una corona di
fiori e' arrivata da Farah Diba, terza moglie dello shah, che successe a Soraya
sul trono di Persia dopo il suo ripudio. I
suoi beni furono venduti ad un'asta a Parigi, in quanto il suo unico erede, il
fratello Bijan, era morto a distanza di otto giorni da lei. Tra i beni messi
all'asta, anche il sontuoso abito da sposa, creato da Christian Dior, valutato 1,2 milioni di dollari.
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1kmCQKBpxn-6xBfm0OQNXwOR5iCQ7p57RYVNqZndPDMiB2kFZ8lUc80vT0R9QZMu3_DftKOxU4dOs-yZEvyvXFnsncp1pkmtzlh8Q5tWeo4oESieDgGSOuvilo9ZOAg3Hm9jw84GtWKQ/s640/shah15.jpg
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPzaA0TMRDuCGEOpJjm1TccXXTQ1yqXEPWXa04jI1fUgSAEDPqlmR8BmvjmHksqPwrY75h5l6lz537p-yMM_OtNPLeWlAOra8eFVUrQ8X85RtfyREO9r-M9PGAFRLdrf5VV0qmKaauXqQ/s640/310788_512465868815530_575395403_n.jpg
Soraya è ritratta con la principessa Shahnaz, figlia di Fawzia.
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Lasciò
l’Iran durante il governo di Mohammad
Mossadegh che fu successivamente rovesciato nel 1953 grazie alla complicità
degli USA e della Gran Bretagna.Il
rovesciamento del governo favorì il ritorno in Iran dello scià e quindi della
famiglia reale.Durante
la reggenza dello scià Mohammad Reza Pahlavi la regina madre non partecipava
alla rappresentanza reale, a differenza delle figlie e della nuora, restando al
di fuori anche dalle manifestazioni e attività di beneficenza. Non partecipò
all’incoronazione dello scià del 26 ottobre 1967 ma fu presente al ricevimento
che seguì. Ogni anno organizzava due ricevimenti nel suo palazzo: uno per
festeggiare il compleanno del nipote maggiore ed uno per celebrare la caduta
del governo di Mohammad Mossadegh. Nel
1971 sembra che le condizioni dello scià non fossero ottime e questi due venti
furono cancellati. Il motivo ufficiale per cui i medici si recavano nel palazzo
era per le cure da prestare all’anziana regina madre.La
rivoluzione iraniana del 1979 era ormai vicina e Tadj ol-Molouk fu mandata dal
figlio Mohammad Reza Pahlavi nella casa
della sorella Shams Pahlavi a Beverly Hills. Arrivò a Los Angeles il 30
dicembre 1978 a bordo di un Boeing 747 dell’aeronautica imperiale iraniana.
Subito dopo il suo arrivo, il 2 gennaio 1979, gli studenti iraniani della città
attaccarono la casa e tentarono di bruciarla. Un
articolo del 25 agosto 2019 pubblicato da “Forbes” e scritto da Matteo Muzio ha
il titolo
La collina di
Beverly Hills da un miliardo di dollari svenduta per centomila
Il protagonista di
questa vicenda è un pezzo di terreno non sviluppato che si trova sulla cima di
una collina nel quartiere di Beverly Hills. Una superficie di 635mila metri
quadrati da cui si vede il centro di Los Angeles e l’isola di Catalina. Per
farsi un’idea, Disneyland in California occupa la metà dello spazio. La
proprietà è già suddivisa in 17 lotti, di cui sei adibiti allo sviluppo
residenziale. L’anno scorso, quando venne messa in vendita, il suo valore era
stimato in un miliardo di dollari. Martedì scorso, quando è stato messa
all’asta, è stata comprata per soli centomila dollari dal trust che gestisce
l’eredità del fondatore di Herbalife Mark Hughes. Il prezzo di un’auto
sportiva, all’incirca. Ma cos’è successo?
La collina,
definita «il gioiello della corona» del settore immobiliare della città è stata
di proprietà della principessa Shams Pahlavi, sorella dell’ultimo Shah
iraniano, che voleva costruirci una grande palazzo regale. Ma non è successo.
Finito nel nulla anche il progetto del designer Waldo Fernandez per una villa
di pietra e marmi commissionato dal secondo padrone, il produttore televisivo
Merv Griffin, inventore della Ruota della Fortuna. Griffin nel 1997 vende
la proprietà per 8 milioni di dollari a Mark Hughes. Nel 2000 però Hughes muore
improvvisamente per aver ingerito un cocktail di farmaci e alcool all’età di 44
anni. Suo unico erede è il figlio di 9 anni Alexander, che però, secondo il
testamento, potrà avere accesso al denaro e agli immobili soltanto al
compimento di 35 anni. Nel frattempo, gli asset sono gestiti da un trust, che
nel 2004 decide di accettare l’offerta dell’uomo di affari di Atlanta Chip
Dickens.
La vicenda
giudiziaria
L’acquirente però
non aveva la somma richiesta e chiede 45 milioni in prestito al trust stesso,
cifra che però nel tempo, tra interessi e penalità, lievita a 200 milioni.
Dickens nel 2016 trasferisce i diritti sul terreno a una compagnia, la Secured
Capital Partners, controllata dal suo partner Victor Franco Noval. Ma il debito
è troppo per la società, che quindi tenta di dichiarare bancarotta. A quel
punto il trust di Hughes forza un’asta dell’immobile, con la speranza o di
rifarsi delle perdite, oppure di ricomprarlo perdendo la cifra dovuta. E così
avviene lo scorso 20 agosto. Unica offerta presentata, di soli centomila
dollari. Prima di allora, il fondo Secure Capitals aveva cercato di sistemare
la vertenza con un’offerta di 150 milioni di dollari e di trasferirne i diritti
di acquisto a un’altra società , la Tower Park Properties, che ha annunciato un
ricorso contro la decisione di tenere comunque una vendita giudiziaria. Prima
di questo il prezzo del terreno era stato ridotto a 650 milioni di dollari, ma
nessuno aveva mostrato un interesse credibile.
Tra le celebrità
che hanno vagliato l’acquisto, c’era anche il fondatore di Amazon Jeff Bezos,
che ha visitato di
persona l’area.

Fotografie di Cecil Beaton –
(Teheran, 27 ottobre 1940)
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Shahnaz_Pahlavi?uselang=it


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La collina di Beverly Hills da un miliardo di dollari svenduta per centomila
La collina, definita «il gioiello della corona» del settore immobiliare della città è stata di proprietà della principessa Shams Pahlavi, sorella dell’ultimo Shah iraniano, che voleva costruirci una grande palazzo regale. Ma non è successo. Finito nel nulla anche il progetto del designer Waldo Fernandez per una villa di pietra e marmi commissionato dal secondo padrone, il produttore televisivo Merv Griffin, inventore della Ruota della Fortuna. Griffin nel 1997 vende la proprietà per 8 milioni di dollari a Mark Hughes. Nel 2000 però Hughes muore improvvisamente per aver ingerito un cocktail di farmaci e alcool all’età di 44 anni. Suo unico erede è il figlio di 9 anni Alexander, che però, secondo il testamento, potrà avere accesso al denaro e agli immobili soltanto al compimento di 35 anni. Nel frattempo, gli asset sono gestiti da un trust, che nel 2004 decide di accettare l’offerta dell’uomo di affari di Atlanta Chip Dickens.
L’acquirente però non aveva la somma richiesta e chiede 45 milioni in prestito al trust stesso, cifra che però nel tempo, tra interessi e penalità, lievita a 200 milioni. Dickens nel 2016 trasferisce i diritti sul terreno a una compagnia, la Secured Capital Partners, controllata dal suo partner Victor Franco Noval. Ma il debito è troppo per la società, che quindi tenta di dichiarare bancarotta. A quel punto il trust di Hughes forza un’asta dell’immobile, con la speranza o di rifarsi delle perdite, oppure di ricomprarlo perdendo la cifra dovuta. E così avviene lo scorso 20 agosto. Unica offerta presentata, di soli centomila dollari. Prima di allora, il fondo Secure Capitals aveva cercato di sistemare la vertenza con un’offerta di 150 milioni di dollari e di trasferirne i diritti di acquisto a un’altra società , la Tower Park Properties, che ha annunciato un ricorso contro la decisione di tenere comunque una vendita giudiziaria. Prima di questo il prezzo del terreno era stato ridotto a 650 milioni di dollari, ma nessuno aveva mostrato un interesse credibile.
Tra le celebrità che hanno vagliato l’acquisto, c’era anche il fondatore di Amazon Jeff Bezos,
che ha visitato di persona l’area.
La
regina madre e la figlia Shams si rifugiarono nella tenuta di Palm Springs di
Walter Annenberg, ex ambasciatore degli Stati Uniti nel Regno Unito. Morì ad
Acapulco, in Messico, il 10 marzo 1982,
appena sette giorni prima del suo 86° compleanno.
figlia della prima moglie di Raza Shah.
I due maschi sono figli delle mogli successive di Raza Shah:
da sinistra: Gholamreza Pahlavi (figlio unico di Turam Amir Soleimani) e
Mahmoodreza Pahlavi (figlio di Esmat al-Maluk Dolatshahi).
https://web.archive.org/web/20200603191752im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/ecb0a3e8_d9fc_4e91_a66e_8e774cfe5550.jpg
Da sinistra: Shams Pahlavi, Mohammad Reza Pahlavi, Tajul-Muluk Pahlavi,
Alireza Pahlavi, Ashraf Pahlavi.
https://web.archive.org/web/20200603191745im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/5e34842e_3195_446a_aa10_83d4785247f9.jpg
da sinistra: Mohammad Reza Pahlavi, Shams Pahlavi,
Ashraf Pahlavi, Alireza Pahlavi
https://web.archive.org/web/20200603191749im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/
Ali-Reza Pahlavi (Ali Reza Pahlavi/Alireza Pahlavi)
(Teheran, 1 marzo 1922; Monti Alborz, 17 ottobre 1954)
https://web.archive.org/web/20200603192755im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/5b5dc8cf_228f_478a_bca9_57dd9b72ab1a.jpg
https://web.archive.org/web/20190912210244/http://www.iichs.ir/Picture-3358/%D9%87%D9%85%D8%B3%D8%B1%D8%A7%D9%86-%D8%B1%D8%B6%D8%A7%D8%B4%D8%A7%D9%87/?id=3358
Partecipò ai circoli sociali e diventò proprietario di una grande fortuna, e anche insieme alle attività economiche della famiglia Pahlavi e alla costruzione di Mehrshahr di Shams Pahlavi, pensò di costruire Turanshahr (1356 AH), che doveva essere implementato con la collaborazione dei tedeschi, ma la rivoluzione islamica chiuse la via della stravaganza di questa famiglia e la fece fuggire a Parigi.
Mehrshahr. Negli anni ’60 l’area era costituita in gran parte da meleti progettati da
Alì Saroukhani e di proprietà dei membri della dinastia Pahlavi.
La principessa Shams Pahlavi, figlia di Reza Kahn e sorella maggiore di Mohammad Reza
Pahlavi, ultimo scià dell’Iran, fece costruire il Palazzo delle Perle nel 1970 su progetto della
Talisienin Associated Architects (Frank Lloyd Wright Foundation).
Negli anni ’70 la principessa si convertì al Cristianesimo e fece costruire nel
palazzo una cappella privata.
Oltre al palazzo furono costruite delle ville sparse ed oggi
l’area è occupata dalla città di Karaj City e il sito di Meshrshahr è
diventato un quartiere.
nel giardino della suola nel 1307 (1928).
Da sinistra: Turan Amir Soleimani, Gholamreza Pahlavi
https://web.archive.org/web/20200603191807im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/5d7ecf66_3ed0_41c3_a3a4_a832de166ace.jpg
……………………………..
https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/0b/43/a4/9c/palazzo-del-trono-di.jpg
La foto è abbastanza chiara. Si ha la visione di un uomo psicologicamente distrutto.
Un stato psichico legato alla lontananza dalla sua patria e all’abbandono delle
persone a cui aveva creduto e dato fiducia.
Un malessere che si ripercuoteva sulla sua salute.
https://web.archive.org/web/20200603191757im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/c290084e_fdd9_42d6_bb34_f32b37607357.jpg
durante il suo soggiorno nell'isola di Mauritius in Sud Africa,
https://web.archive.org/web/20200603191805im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/472dec29_49c9_4aac_95e3_f63279e4f640.jpg
Europa per studio (1312)(1933).
Da sinistra: Mahomud Reza Pahlavi (figlio di Esmatul), Ggolamreza Pahlavi (figlio di Turan),
Gholamreza Rashidiasmi, Ahmadreza Pahlavi (figlio di Esmatul) e
Abdulreza Pahlavi (figlio di Esmatul).
https://web.archive.org/web/20200603191755im_/http://www.iichs.ir/Upload/Image/139310/Orginal/88b96be9_74c2_4688_94a4_080d898eee4b.jpg
Amanullah Khan e Soraya Tarzi lasciarono ai
posteri un ricco album e diari sul loro entusiasmante viaggio di sei mesi in Europa e in alcuni paesi dell’Asia. Documenti storici che dovrebbero essere conservati negli archivi nazionali afghani di Kabul(?)
sempre se non furono distrutti dall’ignoranza.
con 31 dei suoi compagni, accompagnati dalla regina Soraya, sua moglie e
da un certo numero di membri del gabinetto e traduttori.
"Quando sono arrivato in Europa, ero molto ansioso di vedere la Svizzera perché avevo sentito che le sue alte montagne sono simili alle montagne del mio amato paese, l'Afghanistan".
che il re dell'Afghanistan si sarebbe recato all'estero a metà dicembre e
avrebbe visitato anche Londra e Mosca.
Sulla via del
ritorno, Shah Amanullah ha viaggiato con la sua auto da Teheran a Herat e da lì
a Taghzani e Kabul, e lungo la strada è stato accolto dalla gente di Herat,
Farah e Kandahar.
successi a funzionari governativi di alto rango e avvocati della Loya Jirga.
La regina Soraya e
la cognata Noor al-Sarraj, apparvero con
un velo di seta e calzini neri durante il loro viaggio in Europa. Le loro foto furono
stampate sui giornali europei, dove erano visibili i volti della regina e della
sorella del re.
"è molto difficile vivere da soli al mondo. Si dovrebbero trovare relazioni e interesse con tutti i paesi e vivere nella società umana e internazionale secondo le esigenze di questa epoca
Il
ritorno dal Viaggio in Europa
Nella via del ritorno dall’Iran, Amanullah Khan e Soraya raggiunsero con la propria auto Herat, Mashhad, Kandahar e infine Kabul l’1 giugno 1928.
Al ritorno dal viaggio europeo i sovrani afghani diedero un ulteriore impulso al programma di modernizzazione del paese.
Diversi i settori coinvolti..
- Abbigliamento nel capo sociale. L’obbligo per gli uomini di vestire all’europea e per le donne un ulteriore obbligo di abbandonare il velo. Il 29 agosto 1928, i membri della grande assemblea “Jirga” ricevettero delle lunghe giacche nere in sostituzione degli abiti locali. Ai partecipanti fu quindi chiesto d’indossare pantaloni, camicie, cravatte ed anche i cappelli. Gli uomini, per entrare negli uffici governativi, dovevano indossare giacca, cravatta e capello. Abiti che furono gratuiti per tutti i delegati. Tuttavia era quasi impossibile trovare abiti per i poveri afghani. Molto vestiario fi portato dall’India, con l’esborso di una notevole spesa di denaro, ma non tutti potevano comprare e indossare quegli abiti. Vietò lo scialle di cinque metri legato alla testa degli afghani perchè danneggiava l’economia del paese. La legge che stabiliva in 18 anni l’età delle donne per contrarre matrimonio, fu nuovamente respinta. I sovrani dichiararono guerra ai veli, al burqa e foulard. Contrariamente al cappello decise, in merito al foulard, di farlo accettare su base volontaria anziché per legge. La regina Soraya nell’assemblea apparve senza velo suscitando delle forti critiche.
- Cambiare il giorno della preghiera settimanale da venerdì a sabato. Il venerdì islamico o musulmano è il giorno in cui i musulmani si recano alla moschea per le preghiere pubbliche dette “Jumu’a”. le preghiere vengono recitate a mezzogiorno e sostituiscono la preghiera “dhuhr” che si recita in privato negli altri giorni della settimana. Assistere alla Jumu è obbligatorio solo per gli uomini mentre per le donne è solo fortemente consigliato. In antico fu scelto il Venerdì (yawm al-jum) (giorno dell’assemblea) in ricordo della preghiera e della meditazione del Profeta alla Mecca che avveniva alla chiusura del giorno del grande mercato;
- Il 31 agosto furono aboliti i titoli e ranghi civili (grado o posizione sociale). I funzionari civili erano indicati con l’appellativo di “santo(?)” e il termine fu sostituito con “rispettato”;
- Un incremento delle scuole destinate anche all’istruzione delle ragazze. Gli educatori, gli insegnanti provenivano dall’estero;
- Avviate altre riforme anche nel campo legislativo e della sanità.
con un certo numero di ministri e funzionari governativi
La foto è accompagnata nel sito della frase:
L'anima è felice!
del viaggio in Europa.
( La foto mostra Radio Kabul negli anni '50 )
https://www.facebook.com/Shah.Amanullah.Khan/photos/a.116941128390579/125621634189195
La ribellione ebbe luogo verso Shenwar e fu guidata dall’ennesima spia inglese, Abdul Wanid Shenwari, in realtà Mr. Wade. Un milionario che viveva in Australia e che aveva incontrato Nader Khan a Parigi.
La ribellione si fermò inviando delle richieste ben precise al rappresentante di Amanullah Khan, Ghulam Haider Khan Charkhi.
Sei richieste che potremo definire folli…
- Divorzio dalla regina Soraya Tarzi;
Rafiq Jamal Aghayi e molti altri mullah incitarono, con successo, alla ribellione. Nelle azioni di sabotaggio furono tagliate le linee telegrafiche e telefoniche con Kabul mentre il mullah Tagab Akhundzadeh Hamidullah approvò la nomina di Habibullah Khadem Din (Habibullah Kalakani, “il sovrano bandito). (Si definì “Emiro dell’Afghanistan e messaggero di Maometto”).
Il seme politico- religioso insurrezionale seminato dagli inglesi si sviluppò causando la caduta del governo di Amanullah Khan.
Dietro
l’azione criminosa di Habibullah Kalakani c’era la mano Inglese?

https://www.alamy.it/habibullah-kalakani-raffigurato-con-i-suoi-seguaci-in-afghanistan-ha-dato-un-rifugio-sicuro-ai-combattenti-basmachi-image401794744.html
poco prima della sua fucilazione
https://www.dawn.com/news/1279271
“Aljazeera”
pubblicava in merito….
[Al Jazeera] - FONTE : AL JAZEERA
La lotta per un santuario per un tirannico re afghano
Di Pamela Constable e 20 agosto 2016
https://i0.wp.com/philhalton.com/wp-content/uploads/2021/02/preview_00027432_001.jpg?resize=286%2C450&ssl=1
https://i0.wp.com/philhalton.com/wp-content/uploads/2021/02/mid_00027466_001.jpg?w=1000&ssl=1
https://www.gettyimages.co.uk/detail/news-photo/supporters-gather-around-the-coffins-containing-the-remains-news-photo/598306738?adppopup=true
in alcune parti della società.
fossero contro l'Islam.
Chi
furono gli autori di questa propaganda?Gli
Inglesi….
Cominciarono a distribuire le foto che furono scattate durante il viaggio di
Amanullah Khan e di Soraya Tarzi in Europa (1927 -1928). Foto distribuite nei
villaggi come propaganda contro il sovrano permostrare alla
gente che la regina dell'Afghanistan era nuda e girava la testa Per
informare le persone sugli avvenimenti, nel mese di maggio 1928, nel primo
numero della rivista “Pashtum” di Khan Abdul Ghaffar Khan (Bacha Khan) a
Peshawar,sotto
il titolo“La Regina
dell’Afghanistan e il vestito d’Europa” fu
pubblicato un articolo di Abdul Hameed Afghani.Hameed
Afghani scrisse che..A causa delle
immagini della regina Soraya quelle persone stannocercando di creare
“corruzione in Afghanistan”chenon hanno
familiarità con il colore dei tempi.
Mi sembra di capire che il governo di Hejaz fosse piuttosto perplesso su come ricevere ex-King (Amnaullah Khana) e pur mostrando la massima cortesia come già descritto non si è rivelato un ',.;guardo d'onore. Non posso verificare t4t, senza chiedere: troppe domande che vorrei fare …..
Ibn Saud è venuto a Jedda la scorsa sera per due notti. C) Apparentemente ricevette l'ex re prima della partenza dalla Mecca. Amanullah rimarrà Mecca per la festa dell’Hai. Potrebbe andare a Maeira, dopo.
non può lasciare l'hajaz segretamente. Ha detto al capitano Khedival che lui
Miranshah, 30 giugno 1928
Bene: mi hanno trasferito da Karachi, e sono arrivato nella più remota stazione della RAF in India – la più piccola. Siamo solo in 26, di cui 5 ufficiali, con 700 soldati indiani, in un forte di mattoni, pavimento di terra, filo spinato che ci attorciglia, riflettori e mitraglie. Intorno a noi, a poche miglia di distanza, colline basse, nude, ad anello, color porcellana, dai bordi scheggiati simili a bottiglie rotte. L’Afghanistan è a dieci miglia di distanza. La quiete del luogo è inquietante – stavo per dire, minacciosa, dacché tra soldati viviamo come sonnambuli, ciascuno per i conti propri, ci incontriamo di rado. Quindi: non c’è rumore di uomini – né di bestie o di uccelli – tranne il concerto degli sciacalli, ogni notte, intorno alle 22, quando si accendono i riflettori. Le sentinelle indiane fanno lampeggiare i raggi per la pianura, finché non incendiano gli occhi di una bestia. Spesso la vedo – incrocio il suo sguardo.
Non ci è permesso oltrepassare il filo spinato di giorno, né uscire dal forte, la notte. Le uniche tentazioni di Miranshah sono noia e ozio. Spero di sfuggire alla prima e di gettarmi nel secondo: detto tra noi, a Karachi ho lavorato molto, sono stanco morto.
Tra il 1927 – 1928 Lawrence si trovava quindi vicino ai confini tra Pakistan ed Afghanistan.
Sembra che alcuni agenti francesi e russi abbiano scoperto la sua vera identità.
Nel 1967 su “Indian History Congress” V.P. Valdik riportò:
Appena u mese prima sulla stampa britannica, uscirono degli articoli che localizzavano T.E. Lawrence in Afghanistan, camuffato da guida spirituale musulmana.
Cosa propagandava, comunicava nella sua veste di guida spirituale?
Gli inglesi fecero grandi sforzi con l’obiettivo di minare il regime di Amanullah Khan.
Quando Amanullah Khan e la moglie Soraya Tarzi viaggiarono per le principali città europee ebbero naturalmente degli incontri con personalità del mondo politico ed economico.
L’Intelligence britannico fece delle foto di Soraya in luoghi pubblici senza velo, seduta ad un tavolo con uomini diversi dal marito, compreso il presidente francese Gaston Doumrig. Queste foto furono distribuite all’interno dell’Afghanistan, nella parte orientale del paese, e lungo il confine con il Pakistan. Naturalmente le foto erano accompagnate da prediche molto accurate, Lawrence era anche uno scrittore e quindi capace d’entrare nella sfera emozionale dei capi tribù molto legati alle loro antiche concezioni di vita, e da volantini.
Fu facile per il Lawrence infiammare quindi le correnti conservatrici che erano molto turbate dalle riforme dei sovrani afghani.
Infatti Kalakani riuscì a rovesciare Amanullah facendo perno sulle fazioni conservatrici del paese che accusavano il sovrano afghano di blasfemia. Appena salito al potere infatti Kalakani abolì le scuole femminili che vennero usate anche come stalle e depredate del loro materiale culturale, ripristinò il velo per le donne e revocò tutte le altre fondamentali e importanti riforme di Amanullah Khan.
La Francia e la Russia accusarono Lawrence di essere una spia e l’Impero britannico di voler prendere il dominio sull’Afghanistan.
Ormai Lawrence è per il governo britannico un personaggio scomodo perché scoperto. Venne inviati subito in India e l’8 gennaio del 1929 a Lahore fu imbarcato sul “SS. Rajputana” per il suo ritorno in Inghilterra.
Il fuoco rivoluzionario in Afghanistan era ormai divampato. Appena una settimana dopo la il rimpatrio di Lawrence, il14 gennaio 1929 Amanullah Khan abdicò lasciando il trono al “bandito” Kalakani.
Naturalmente le fonti britanniche non confermarono mai queste notizie.
La Principessa India, nata a Bombay nel 1929 cioè nello stesso anno in cui i suoi genitori si trasferirono in esilio in Italia, fu intervistata dalla BBC a Londra il 23 febbraio 2018. Ad una domanda se suo padre fosse a conoscenza delle azioni inglesi per rovesciarlo dal trono, la principessa rispose che
Quando Amanullah Khan è arrivato a Bombay, in India, sono andato lì per vederlo e
gli ho parlato in pashtu. Ho parlato di tornare in Afghanistan.
Ma era deluso dall’Afghanistan e ha rinunciato all’Afghanistan.
Gli ho chiesto cosa fare con i soldi raccolti per te.
In risposta mi ha detto che dovresti darli a Nader Khan e aiutare Nader Khan.
(Nadar Khan sarà il nuovo sovrano che subentrerà a Kalakani, il re bandito,
responsabile dell’abdicazione di Amanullah Khan.
Kalakani verrà infatti giustiziato e il suo regno durò appena sei mesi.

(Harley Granville Barker era un attore, produttore, drammaturgo e critico.
Charlotte Shaw nata Payne-Townshend) era un attivista politica e
per i diritti delle donne, membro della Fabian Society.
Moglie di George Bernard Shaw.
https://www.npg.org.uk/collections/search/portrait/mw113425/Harley-Granville-Barker-Charlotte-Shaw-ne-Payne-Townshend?LinkID=mp68467&role=sit&rNo=3
Le autorità afgane hanno ordinato oggi l'arresto del Col. Thomas, E. Lawrence Nella convinzione di aver riunito ribelli afghani attraverso la frontiera. Col. Lawrence. un eroe dell'esercito britannico. famoso per la sua conoscenza del lavoro contro i mali arabi nel cast. è stato definito dalle autorità afghane "l'arciprete spia del mondo".
Rapporto afghani fanno la pace. Nuova Deli, India. Gen. 4.--AP)- Notizie da Kabul,
Afghanistan, Oggi ha detto che la pace era stata interrotta a Jalalabad con i ribelli Shinwaris. I termini dell’accordo non sono stati divulgati. C'erano indicazioni che ci si poteva aspettare un'altra collisione a breve tra i reduci sotto Bachal Sakao (Kalakani) e le truppe afghane. La linea telegrafica tra Quetta e Kandahar è stata tagliata. Oggi le comunicazioni tra l'India e Kabul venivano gestite via wireless.
Purtroppo fra i villaggi posto lungo il confini dell’Afghanistan correva la voce che fosse attivo, proprio in quelle zone, come agente provocatore…
Un comportamento che fu un ammissione di colpa che forse sfuggì ai sovietici che si sarebbero dovuti comportare in modo diverso accusando il Regno Unito di ingerenza in uno Stato Sovrano.
La storia non insegna nulla… purtroppo… e a distanza di quasi un secolo ci sono Stati che si sentono padroni del mondo portando avanti le loro false ideologia di pace e di democrazia che sanno tanto di morte.
Con i “se e i ma” non si scrive la storia ma forse senza quella ribellione oggi ci saremmo trovati davanti ad un Afghanistan moderno e lontano dalle sue attuali pagine di vita scritte con il sangue e le privazioni dei diritti sociali.
Xiao Wei Bond
Curatore, India Office Private Papers
Ulteriori letture:
IOR/L/PS/11/293 Documenti dell'ufficio indiano: file annuali politici e segreti, 1928. File 5310: Afghanistan – presunta missione segreta di TE Lawrence.
BL Add Ms 56496 Charlotte Shaw Papers. Vol. VI,VII. Copie dattiloscritte di lettere di TE Lawrence a Charlotte Shaw, insieme ad alcune di TE Lawrence a GB Shaw.
IOPP/Mss Eur F655/1 Lettere di Gilbert CG Lewis dall'India 1923-1930
IOPP/Mss Eur Photo Eur 174 - Foreign Office Research Note 5/79 su presunte attività di TE Lawrence in Afghanistan. 1928-29
…………………………….
Amanullah
Khan e Soraya Tarzi in esilio in Italia
I ribelli avevano l’appoggio di una grande parte dell’esercito di stato che aveva rifiutato di schierarsi a favore del sovrano ed anche l’appoggio della Gran Bretagna che forniva di continuo aiuti ai ribelli per deporre Amanullah.
Le bellicose tribù di frontiera erano le più attive. Si trovavano sulla linea di confine tra l’India e l’Afghanistan e non si erano mai sottomesse negli agli inglesi e nemmeno ai governanti afghani. Questa forza tribale fu abilmente strumentalizzata dalle forze politiche del paese, anche con l’aiuto degli inglesi, barattando spesso la loro instabile fedeltà in cambio di cospicui aiuti finanziari forniti soprattutto dagli inglesi. Gli stessi inglesi furono erano da tempo costretti ad impegnare mezzi e uomini in quest’area. Uno schieramento della North West Frontier Province, al fine di impedire che
Nel settembre del 1928, infatti, Amanullah comunicò all’assemblea consultiva nazionale la decisione di istituire un parlamento unicamerale e di formare un gabinetto ministeriale, il cui presidente sarebbe stato nominato dal sovrano e avrebbe a sua volta nominato i suoi collaboratori. I membri del parlamento avrebbero invece dovuto essere eletti da parte dei cittadini afghani che avessero compiuto i vent’anni, sapessero leggere e scrivere e non si fossero macchiati di reati penali o finanziari. Il sovrano intendeva inoltre istituire un organo supremo di controllo delle amministrazioni statali, istituire il servizio militare obbligatorio, introdurre gradualmente il codice civile, penale e commerciale sul modello di quelli vigenti in Turchia, revocare i titoli aristocratici afghani, incoraggiare l’uso di abiti occidentali tra la popolazione ed eliminare la purdah, il velo e l’abito che copriva completamente le donne, nonché abolire la poligamia, contro la quale egli aveva già ingaggiato una battaglia personale. Il re aveva anche intenzione di incrementare notevolmente le spese destinate all’istruzione e di inviare giovani afghani a studiare presso le scuole secondarie e militari turche ed europee. Amanullah attaccò inoltre i mullah, dichiarando il proprio proposito di sostituirli con magistrati laici, forniti di diploma. Annunciò poi l’introduzione di severi provvedimenti per combattere la corruzione diffusa tra gli impiegati dello stato, che costituiva una vera e propria piaga per il paese.
L’emiro comunicò anche come imminente l’apertura in diverse località afghane di fabbriche dotate di macchinari tedeschi e aveva informato che era stata accordata alla Krupp la concessione per lo sfruttamento delle miniere di ferro afghane, dalle quali auspicava si potesse ottenere il minerale occorrente alla costruzione della rete ferroviaria. Dopo la caduta di Amanullah il progetto fu annullato.
Il sovrano si preoccupò di nominare il suo successore, indicando il figlio minore avuto da Soraya Tarzi. Sperava in questo modo di porre fine alla situazione di indeterminatezza causata dall’assenza di leggi o consuetudini che regolassero la successione al trono.
Questa decisione fu riportata in un rapporto (n. 1342/66) inviato dalla Legazione d’Italia a Kabul, in data 3 settembre 1928, a Sua Eccellenza il Cav. Benito Mussolini (Documento che è conservato nell’Archivio Storico Ministero Affari Esteri – AP, Afghanistan, b. 678).
Gino Cecchi, si affrettò nel far sapere a Roma che la città di Jalalabad era ormai sotto
completo controllo dei nemici del Re. Gli stranieri non furono più al sicuro in un Afghanistan ormai in piena guerra civile. Con l’obiettivo di garantire sicurezza al personale diplomatico, tutte le Legazioni europee furono abbandonate ed anche il ministro Cecchi, assieme al resto del corpo diplomatico, fu evacuato dai britannici e trasferito a Peshawar (in Pakistan), in attesa che quel momento di agitazione terminasse.
Nel frattempo, preoccupato per la sua vita e quella della famiglia, Amanullah Khan il 14 gennaio 1929 decise di abdicare e lasciò il trono al fratello maggiore Inayatullah Khan.
Amanullah nel frattempo tentò invano di riconquistare il potere ma, non riuscendoci decise di andare in esilio.
Si ritirò prima a Kandahar sperando in un mutamento della situazione.
Il 25 maggio 1929 il governo britannico comunicò al Ministro degli Esteri Italiano, Benito Mussolini, che re Amanullah in seguito alla sua abdicazione si trovava in India e aveva chiaramente espresso la sua volontà di recarsi in esilio in Italia.
In seguito, preso dallo sconforto e dalla forte delusione si trasferì a Roma dove rimase fino a poco prima della morte. Morì a Zurigo, in Svizzera il 26 novembre 1960.
Il ministro o ambasciatore a Kabul Gino Cecchi fece notare che
Amanullah, assieme a un seguito di famigliari e membri della corte, dovette fuggire da Kabul nel maggio 1929, diretto dapprima in India, poi in Italia, dove giunse il 10 luglio 1929.
Non si sanno i motivi che spinsero l’ex sovrano Amanullah Khan nel chiedere ospitalità proprio all’Italia. Mancano i documenti che potrebbero testimoniare delle ragioni ideologiche o accordi preesistenti con le autorità italiane presenti a Kabul.
Ci sarebbe solo un telegramma, una risposta di ringraziamento che Amanullah Khan indirizzò a Benito Mussolini, pochi giorni prima di sbarcare in Italia.
Nel telegramma sono presenti delle ragioni personali che spiegherebbero la decisione dell’ex sovrano di venire in Italia..
- Amanullah Khan aveva intenzione di fermarsi temporaneamente in Italia dato che sperava in un suo ritorno in Afghanistan;
La notizia dell’arrivo a Roma di Amanullah e della sua famiglia, fu accolta favorevolmente anche se inaspettata.
1l 24 maggio 1929, quasi un mese dopo l’approvazione italiana, i sovrani afghani, accompagnati da un seguito di circa 40 afghani (amici e seguaci) partirono alla volta dell’Italia sulla nave da crociera Mooltan.
“Peninsular and Oriental Syeam Navigation Compagnui (P&o).
Fu commissionata nel 1918 e completata nel 1923.
Prestò servizio durante la seconda guerra mondiale e fu demolita nel 1954.
Da Bombai (Mumbai) la nave Mooltan salpò alla volta del Canale di Suez.
Un canale che la nave aveva attraversato più volte tra cui nel suo viaggio inaugurale del 1923 quando raggiunse Colombo e Ceylon (Sri Lanka), Melbourne e Sidney in Australia.
vecchia immagine del 1900 vintage
https://www.alamyimages.fr/photo-image-port-avec-des-navires-grues-charrettes-de-taureaux-ancienne-image-des-annees-1900-bombay-mumbai-maharashtra-inde-asie-90490042.html
(Roma - in rosso è evidenziata la Via Orazio)
Roma – Via Orazio N. 14 (foto del 1930 circa)
Roma – La villa di via Orazio n. 14, oggi
La foto, dell’Archivio Luce, fu scattata il 10
febbraio 1930 e fu accompagnata da atre foto che ritraevano la famiglia dei
sovrani afgani.
L’ex re in quel momento non godeva di una grande popolarità nel paese e questo malgrado le sue importanti riforme ed i progetti di sviluppo. Secondo il console l’ex sovrano aveva commesso un errore imperdonabile nel voler modificare l’aspetto più caro al popolo afghano conservatore: la religione. Una religione sinonimo di arretratezza… la religione dovrebbe favorire lo sviluppo del soggeto nel rispetto dei principi etici-morali che sono le basi di qualsiasi comunità civile.
Amanullah aveva permesso alle donne di circolare in pubblico senza il velo, obbligò gli uomini a vestire all’europea, cambiò la giornata festiva dal venerdì al giovedì.
Perse la stima dei suoi seguaci quando decise di abdicare in favore del fratello Inayatullah, senza combattere o cercare di rovesciare a suo favore la delicata situazione.
Non voleva uno spargimento di sangue inutile… aveva la visione di uno Stato da sempre afflitto da guerre e e da sanguinose ed inutili sfide tribali.
Nel 1932, grazie forse anche per le pressioni di Amanullah, l’Italia riprese le relazioni con il nuovo sovrano Nadir Shah ed aprì la Legazione Italiana a Kabul nominando come ministro plenipotenziario Vincenzo Galanti.
Il Galanti proveniva da una città che era allora in pieno sviluppo come Shanghai e certamente nei suoi giudizi riportò delle recensioni sull’Afghanistan certamente non positive ed in alcuni casi anche offensive.
Definì Kabul come una città noiosa e nelle sue comunicazioni con Roma riportò anche le critiche che nel paese continuavano a circolare contro Amanullah.
Mantenne il suo incarico di “ambasciatore” avvolto in un senso di indifferenza tanto che la Legazione Italiana per alcuni mesi non ebbe nessun ruolo determinate nel paese afghano.
La presenza dell’ex re in Italia e l’azione dei suoi sostenitori come oppositori contro il nuovo sovrano, finirono con il collocare l’Italia al centro della crisi politica e sociale afghana.
Amanullah, anche se da lontano, lavorava nell’ombra per progettare il suo ritorno in Afghanistan ma queste sue iniziative crearono delle ansie, delle ire nell’impero britannico da sempre contrario all’ex re.
La Gran Bretagna era felice per la presenza dell’ex sovrano in Italia perché lontano dal suo amato Afghanistan ma attraverso delle spie venne a conoscenza dei piani di insurrezione per ill ritorno dell’ex sovrano in patria. Naturalmente il governo inglese cambiò in modo repertino atteggiamenti e considerazioni. Delle mosse segrete si svolgevano nella villa di via Orazio, nel quartiere Prati, a Roma.
Per il governo italiano Amanullah diventò un vero e proprio peso, un grave problema, che aveva una certa influenza nella politica estera.
Sembra che l’ex re abbia spesso avuto dei problemi economici e che si sia rivolto al re Vittorio Emanuele III ed anche al governo italiano.
Il problema più grosso era legato all’acquisto della casa nel quartiere Prati che lo privò di quasi tutti i suoi risparmi. Questo creò un forte problema nel sostenere sia la sua famiglia sia tutte le persone che vivevano nella villa.
Volendo continuare a sostenere un tenore di vita degno di un sovrano, anche se non più in carica,
si rivolse al governo italiano avanzando la richiesta di una sovvenzione mensile di tremila lire.
Il capo della Direzione generale Affari Politici e Commerciali d’Europa, Levante e Africa del Ministero degli Affari Esteri, Raffaele Guariglia ebbe dei contatti con il Re afgano riguardo la sua situazione economica ed eventuali possibili aiuti finanziari.
Guariglia ascoltò le proposte di Amanullah ma, dopo un’attenta analisi, non le prese seriamente in considerazione, in quanto preoccupato di sollevare dubbi e proteste da parte dell’impero inglese, già allarmato della prossima visita dell’ex sovrano afgano in Turchia.
Per accontentare, anche se minimamente, la volontà del Re, Guariglia suggerì un piano economico segreto, affinché i soldi elargiti all’ex regnante figurassero non direttamente erogato dalle casse dello Stato italiano. Secondo lo schema, la donazione avrebbe dovuto apparire come una generosa offerta privata da parte del Re Vittorio Emanuele III. In cambio però il sovrano afgano doveva firmare un documento nel quale si impegnava a rendere note al governo italiano le sue intenzioni e iniziative politiche, e non agire, in nessun caso, senza prima aver ottenuto il consenso da parte di Roma.
Fu una proposta molto astuta da parte del Guariglia perchè in questo modo il governo italiano conquistò la piena fiducia di Amanullah e trovò un modo per tenere sotto controllo le sue azioni accontentando, nello stesso tempo, l’impero britannico.
Dall’aprile 1930, venne prelevata mensilmente, dai fondi per le spese confidenziali di pubblica sicurezza, una somma di dieci mila lire a favore di Amanullah Khan e della sua famiglia.
Ma nonostante l’aiuto economico ricevuto, il Re afgano continuò a lamentarsi e a far presente ai funzionari del Ministero degli Affari Esteri, in ogni occasione possibile, che la sua situazione economica continuava ad essere critica e che necessitava di sussidi maggiori.
Le ristrettezze economiche accompagnarono il sovrano Amanullah sino alla fine del suo esilio a Roma e la sua decisione di trasferirsi a Zurigo. Il bisogno di denaro fu talmente forte che nel 1941, Amanullah si vide costretto a rivolgersi al governo in carica a Kabul, chiedendo che venisse venduta la casa appartenente alla moglie Soraya, dal valore di seicento mila sterline, e che gli fosse elargito un sussidio mensile. Hashim Khan rispose negativamente alla sua richiesta d’aiuto, sottolineando che il governo afgano aveva già provveduto a vendere la dimora dell’ex Regina Soraya e aveva trattenuto il ricavato per le casse del tesoro dello stato. Fu inoltre ricordato ad Amanullah che Kabul versava annualmente ventidue mila sterline a favore dei parenti che lo seguirono nell’esilio.
Al fine di sopperire ai deficit economici, Hashim invitò l’ex Re a vendere i vari gioielli di
stato, dal valore di un milione di sterline che l’ex sovrano si era portato con sé durante la fuga da Kabul.
L’Italia, per contro, posta sotto pressione dalle continue richieste di Amanullah, decise bloccare i pagamenti mensili, e versare periodicamente una somma di denaro maggiore.
Per quanto difficile potesse sembrare, questa doveva continuare ad apparire come una donazione da parte di Re Vittorio Emanuele III a suo cugino Amanullah.
In realtà Roma voleva evitare che le pretese dell’ex sovrano si facessero più forti e più pubbliche e avrebbero finito con attirare l’attenzione dei paesi vicini. Il governo italiano seguiva un obiettivo ben preciso: evitare che quegli aiuti finanziari destassero sospetti nei nemici dell’ex sovrano.
Il cuore dei sovrani afghani era sempre rivolto all’Afghanistan e Amanullah cercava sempre i mantenere dei contatti con i suoi sostenitori presenti in patria.
Il suo sogno era quello di tornare in Patria e riprendere il suo splendido impegno di modernizzazione del paese.
A Roma aveva un appoggio fedele del ministro plenipotenziario afgano (ambasciatore a Roma), Abdul Hussein Aziz, suo vecchio amico sin dai tempi in cui era Re, che appena sbarcato in Italia si mise segretamente in contatto con lui.
Le notizie dall’Afghanistan citavano come gli ex sovrano fossero ancora presenti nel cuore degli afghani e spinto da queste notizie Amanullah Khan cominciò a fare dei viaggi in Medio oriente per stringere rapporti di collaborazione.
Uno dei primi paesi ad essere visitato fu la Turchia di Ataturk. Un paese che era sempre stato fonte d’ispirazione dell’ex sovrano afghano e non si poteva nascondere come la simpatia fosse reciproca.
Il governo kemalista fu un grande sostenitore della politica di Amanullah, perché molto vicina alla sua e, dalla sua instaurazione, provvide ad inviare a Kabul missioni di consiglieri militari e politici per aiutare il Re afgano a formare una nuova classe dirigente, capace di dare vita ai suoi piani riformatori.
L’Italia davanti ad una simile proposta ebbe dei momenti di pausa ma alla fine s’accorse dell’importanza geopolitica dell’Asia Centrale e soprattutto di Re Amanullah.
Al governo italiano non era sfuggito il cambio d’atteggiamento della Gran Bretagna nei confronti di Amanullah Khan. Una nuova idea guidava l’Impero Britannico perché uno scoppio della guerra civile in Afghanistan poteva mettere a grave rischio il predominio inglese nell’Asia centrale. Sarebbe scoppiato un grave incendio che una volta allargatosi non sarebbe stato più possibile controllare ed evitare un possibile intervento russo.
Per questo motivo la Gran Bretagna era pronta ad un accordo con Amanullah per un suo ritorno in Afghanistan.
Per l’Italia la presenza di Amanullah era quindi diventata un vantaggio? Certo il ritorno al trono del sovrano avrebbe consentito al governo italiano di avere una sua presenza nell’Asia centrale con forti privilegi politici ed economici.
Ma tutti questi progetti, tutte queste attese erano solo espressioni buttate al vento.
I giornali internazionali non esponevano la vera realtà afghana.
Infatti Shah Wali Khan, ancora ministro plenipotenziario afghano in Francia, rilevò come la situazione in Afghanistan fosse tranquilla, di estrema pace. Una tranquillità grazie al nuovo regno di Re Zahir Shah che era salito al potere grazie agli appoggi degli zii, Shah Mahamoud, Hashim Khan e Shah Wali Khan.
In poche parole il giovane era riuscito a riportare la pace nel paese dopo la morte di suo padre peraltro ucciso in un attentato?
In realtà il ragazzo era ancora troppo giovane per governare concretamente a Kabul, per
questo i poteri reali vennnero esercitati dagli zii, uno in particolare, Hashim Khan. Furono
proprio loro a scegliere Zahir Shah come erede perché sapevano che, ponendo uno di loro al
potere, avrebbero rischiato di essere sovvertiti o sconfitti da altri membri della famiglia.
Però nel frattempo a Kabul, Mohammed Zahir, lanciò una caccia agli oppositori del suo regno, con lo scopo di arrestare ogni tentativo di insurrezione, ma soprattutto per impedire che il suo paese cadesse nuovamente in un periodo di battaglie interne che avrebbero danneggiato principalmente la popolazione.
Con questa azione di repressione, un centinaio di cittadini vennero catturati e prelevati dalle varie abitazioni, alcuni solo sospettati, altri veri sostenitori di Amanullah e tra questi, numerose furono le esecuzioni, che avvennero soprattutto tra il 1933 e il 1934.
Il principale contestatore, del ritorno dell’ex Re afgano, fu il primo ministro Hashim Khan, che fu il personaggio di maggiore importanza, durante il governo del sovrano Zahir, e che ne influenzò gli andamenti fino alle fine della seconda guerra mondiale.
Hashim era convinto dell’arretratezza dell’Afghanistan e cercò di stabilire importanti relazioni commerciali con alcuni paesi europei, già in contatto ai tempi di Amanullah, in primis la Germania. Hashim pensò molto anche all’utilità dell’Italia ma decise di lasciata da parte; non poteva fidarsi a entrare in affari proprio con il paese che stava ospitando l’ex sovrano riformatore e che lo stava sostenendo economicamente.
In realtà, a dispetto da quanto pensato dalla comunità internazionale, il governo italiano stava operando una stretta azione di controllo su Amanullah, soprattutto perché temeva che dall’Afghanistan venisse organizzato un complotto per ucciderlo, che avrebbe messo in pericolo anche l’Italia.
Amanullah, dopo la morte di Nadir Shah e la diffusione di comunicati riguardanti un suo personale coinvolgimento negli attentati dei primi anni ’30, mantenne uno stile di vita sobrio e tranquillo nella capitale, ospitando occasionalmente colui che effettivamente si nascondeva dietro le scene dei tumulti in Afghanistan: Ghulam Siddiq , risiedente in Germania, come la 237 maggior parte dei seguaci dell’ex Re.
Citarono anche l’esistenza di ripetuti colloqui tra lo stesso Amanullah, Aloisi e Scarpa. Collooqui che si sarebbero tenuti subito dopo l’assassinio del sovrano afghano Nadir Khan. Ci fu poi un ulteriore incontro tra Scarpa, Siddiq e Amanullah a Roma, il 5 dicembre 1933.
Nel marzo 1934 i servizi segreti inglesi avevano la sensazione che il Ghulam Siddiq si trovasse a Roma come riportarono in un loro documento…
Nel 1935 misero in evidenza dei rapporti tra Amanullah e Gurmukh Singh, un esponente di primo piano del partito rivoluzionario indiano, il Ghadar Pary, che aveva importanti collegamenti internazionali. Arrivò a Roma da Mosca ed entrò subito in contatto con Ghulam Siddiq e con altri nazionalisti afghani, sostenitori di Amanullah Khan, sia in Europa che in Afghanistan.
Queste presenze a Roma spinsero le autorità afghane ad inoltrare al governo italiano l’ennesima richiesta su una maggiore vigilanza su Amanullah Khan.
Il rapporto tra Amanullah e Siddiq incrementò di non poco l’irritazione del governo afgano; soprattutto perché l’ex Re continuò a denunciare al governo italiano l’eccessiva violenza che Re Zahir e Hashim Khan stavano usando per combattere i nemici del loro potere.
L’Italia si ritrovò con le mani legate, non poté agire in alcun modo per non apparire come anti-britannica . A causa degli ultimi avvenimenti, nel 1934 il ministro plenipotenziario in carica a Kabul, Galanti, fu sostituito da Francesco Meriano, che sfortunatamente morì durante il viaggio che lo portava in Afghanistan.
Dopo aver svolto un periodo di servizio nella capitale afgana, egli fece ritorno a Roma e comunicò al governo la situazione politica del paese e la sua strategia al fine di riprendere e migliorare la relazione tra le due capitali, per riportarla a come era un tempo.
Bernardo Barbiellini era un noto politico italiano, a stretto contatto con Mussolini. Al suo arrivo, trovò un Afghanistan facilmente corruttibile a livello politico e, purtroppo, molto condizionato sia dalla situazione interna di tutte le potenze straniere che confinavano con esso, sia da quelle con cui era legato per fini commerciali. In particolar modo, l’Unione Sovietica continuava ad esercitare un’influenza considerevole e, secondo l’impero britannico, pericolosa, in quanto era riuscita ad ingraziarsi le popolazioni nel nord del paese.
Per il deputato italiano, l’ostacolo maggiore per l’Italia era sicuramente la presenza dell’ex Re afgano Amanullah. Questo causava forti ostilità verso la penisola e non permetteva che si instaurassero fruttuosi rapporti commerciali. Secondo Barbiellini, finché Amanullah avesse vissuto a Roma, sarebbe stato impossibile per la capitale instaurare una relazione stabile con Kabul. Il governo italiano era sempre visto come un sostenitore delle opere dell’ex sovrano contro il regnante afgano in carica, e la fiducia che Re Zahir e i suoi alleati ponevano su Roma era molto sottile.
Per cercare di far comprendere al governo di Kabul che le intenzioni dell’Italia erano più che onorevoli, Barbiellini capì che era necessario per lui entrare in diretto contatto con la popolazione del paese.
Riuscì a relazionarsi con alcuni membri della società e cercò di conoscere il loro pensiero circa Amanullah. Desiderava far sapere al governo italiano se esisteva una concreta possibilità per l’ex Re di tornare al potere oppure no.
Ciò che Barbiellini dedusse fu che Amanullah non sarebbe riuscito facilmente a riconquistare il potere e la fiducia del popolo che aveva abbandonato nel 1929.
Le cause principali erano soprattutto: la paura da parte del popolo afgano circa la restaurazione di tutte quelle riforme tanto odiate ed esagerate previste nel suo vecchio programma di modernizzazione; e l’ostacolo che avrebbe sempre posto la Gran Bretagna tra Amanullah e Kabul, a causa della stima che molti paesi esteri nutrivano ancora nei suoi confronti.
Secondo Amidei, per l’Italia era necessario smettere in qualsiasi modo di appoggiare le attività di Amanullah, bloccare ogni suo futuro tentativo di riconquistare il potere e cercare di sviluppare la relazione tra Roma e Kabul perché il paese, con il nuovo governo, acquisiva sempre più valore internazionale.
Discutendo con vari abitanti di Kabul, il ministro italiano scoprì che, oltre all’affare Amanullah, l’Italia commise il grande errore di essersi sempre presentata come potenza di religione cattolica, e di richiedere la presenza di un sacerdote nella capitale. Infatti, l’1 gennaio 1933 aprì ufficialmente la prima testimonianza cristiana tra i musulmani afgani, diffusa da Padre Egidio Caspani e da Padre Ernesto Cagnacci.
(In seguito al loro ritorno in Italia, avvenuto durante la seconda guerra mondiale, i due
sacerdoti scrissero il libro “Afghanistan, Crocevia dell’Asia” nel 1951, considerato da molti uno
dei libri più completi che riguardo l’Afghanistan).
L’Italia avendo concordato con Amanullah nel 1921, il poter avere questo privilegio, il paese insistette varie volte affinché il risultato fosse raggiunto. Questa pressione non fece altro che aumentare le antipatie nei confronti di Roma.
La proposta di allontanare Amanullah da Roma, fu una decisione tratta dalle lunghe conversazioni avute nei suoi mesi di incarico e Barbiellini pensò avrebbe risolto tutti i problemi dell’Italia. Sfortunatamente, il Ministero degli Affari Esteri non diede ascolto alle proposte del ministro a Kabul e, come aveva sempre fatto sino a quel momento, continuò a sostenere l’ex sovrano per quanto fosse possibile e non dannoso per il governo al potere a Kabul.
In realtà, l’Italia pensava che avrebbe tratto dei vantaggi nell’ospitare Amanullah e si vantava della presenza della cappella cattolica nella propria Legazione nella capitale afgana; la rendeva unica e differente rispetto a tutte le altre potenze europee.
Le relazioni tra Roma e Kabul erano destinate a logorarsi ulteriormente. Il governo afgano pressò sempre di più quello italiano per l’indifferenza dimostrata nei confronti degli stratagemmi messi in atto da Amanullah, e per la presenza periodica a Roma di Ghulam Siddiq, l’assassino del fratello dell’ex regnante Nadir.
L’Afghanistan trovò l’occasione di far pagare all’Italia la sua insolenza durante l’invio della missione in Etiopia.
Lo scoppio della guerra italo-etiopica nel 1935, che vide la conquista dell’Impero abissino l’anno successivo, fece apparire l’Italia e Mussolini differentemente agli occhi della comunità internazionale e di Re Zahir.
L’Afghanistan temette che l’azione violenta e repentina in Etiopia potesse in seguito scatenare una reazione a catena verso tutti i paesi africani e asiatici, e suscitare nelle altre potenze europee, in particolar modo Gran Bretagna e URSS, il desiderio di tentare un simile attacco pure a Kabul.
Il sospetto e la diffidenza nei confronti dell’Italia aumentò gradualmente, tanto che portò l’Afghanistan, da poco entrato a far parte della Società delle Nazioni (1934), a votare sanzioni contro l’Italia.
(Anche se c’è da ammettere che alcuni afgani esultarono e apprezzarono la capacità dell’Italia
di umiliare la Gran Bretagna con la conquista dell’Etiopia).
Tuttavia, la conquista del potere in Etiopia valorizzò moltissimo l’Italia, e ampliò i meriti al governo fascista di Mussolini. Sembrava che la penisola stesse conquistando importanza, non solo a livello europeo, ma anche a livello mondiale.
Questa trasformazione d’ immagine, fece cambiare rotta al governo afgano, che vedeva
nell’Italia una potenza da non sottovalutare e da avvicinare ai propri interessi politici e commerciali.
Nei mesi successivi allo stabilimento del potere italiano in Abissinia, si recarono a Roma alcuni personaggi illustri della politica afgana, Mahmud Shah, ministro della Guerra, e Faiz Mohammed Khan, ministro degli Esteri, desiderosi di avviare trattative per un possibile riallacciamento di rapporti economici.
Il governo fascista si vantò di questo ritorno di interessi e interpretò il gesto come un segnale di rafforzamento internazionale dell’Italia; un input per spostare l’attrazione italiana, dalle zone africane e quelle dell’Asia Centrale, soprattutto in Afghanistan.
Ghulam Siddiq Khan Charki era stato ministro a Berlino durante il regno di Amanullah e uno dei principali sostenitori del ritorno al trono dell’ex-sovrano. Alla fine del 1936 Ghulam Siddiq chiese la collaborazione italiana a un piano mirabolante da lui stesso architettato. Secondo il piano avrebbe dovuto farsi paracadutare da un aereo vicino alla frontiera afghana, presumibilmente in territorio indipendente, per poter prendere contatti diretti con i ribelli. Chiedeva quindi alle autorità italiane che gli fornissero il velivolo. Lo scopo era quello di mettersi in contatto con tribù che riteneva amiche. Ghulam Siddiq ebbe colloqui con il Ministero degli Esteri e ottenne generiche promesse. In realtà poi la cosa venne a cadere: le autorità italiane non presero nella minima considerazione il progetto. IOR. L/P&S/12/1656, rapporto n. 41, compilato dall’Intelligence inglese in data 11.11.36 e intitolato “Afghan Affairs”. In continuo movimento tra diversi paesi dell’Europa occidentale e orientale, oltre che alla Mecca e in Egitto, Ghulam Siddiq faceva la spola tra Roma e Berlino e riceveva mensilmente dal governo italiano l’ingente somma di 15.000 lire che, per ragioni di segretezza, venivano accreditate in un conto presso una banca di Zurigo: L/P&S/12/1656, cit., rapporto n. 790, “Afghan Affairs”, datato 8.3.34 e L/P&S/12/1656, cit., rapporto “Afghan Affairs” n. 814, del 3.7.35. Risultò inoltre che, sempre nel 1936, egli fosse in possesso di un passaporto italiano a nome Ansari, successivamente rinnovato col suo vero nome. IOR. L/P&S/12/1656, cit., rapporto n.59 del 24.3.38. Sembra che Ghulam Siddiq, oltre che col regime, fosse in contatto col comunismo internazionale e avesse cercato diverse volte di visitare, senza successo, l’Unione Sovietica. Ghulam Siddiq era in contatto con Muhammad Iqbal Shedai, esponente di primo piano del Ghadar Party, musulmano ed elemento di collegamento tra il regime e il mondo arabo.
Pietro Quaroni era nato a Roma il 3 ottobre 1898 ed entrò presto nella carriera diplomatica, rimanendovi fino al 1964. A soli 22 anni ottenne il suo primo incarico all’estero e diventò un ambasciatore così rinomato, che ricoprì ruoli tra le più prestigiose ambasciate del mondo; la sua bravura e il suo arduo impegno lo portarono a prestare servizio in numerosi paesi e gli permisero di essere ricordato come uno dei più brillanti diplomatici italiani di sempre, che aumentarono notevolmente il ruolo dell’Italia nella politica estera.
Nel periodo in cui Quaroni divenne inviato a Kabul, la Legazione italiana nel paese non
ricopriva alcun ruolo rilevante, in quanto i rapporti tra i due paesi erano praticamente inesistenti.
In realtà, il compito affidato a Quaroni, già illustre diplomatico a quel periodo, venne da molti considerato una punizione; un uomo polito del suo calibro non poteva essere incaricato in qualità di ministro plenipotenziario in un paese come l’Afghanistan, privo di ogni minima comunicazione con l’Italia.
Effettivamente, nel 1936, anno in cui arrivò nel paese asiatico, l’ambasciatore ebbe una lieve discussione col governo italiano. Ma dietro la sua nomina vi era anche un altro piano.
Il Ministro degli Esteri Ciano non fece ricadere la sua decisione su Quaroni esclusivamente per un motivo punitivo, bensì lo scelse anche per la sua fama e bravura; il ministro sapeva che, se c’era una piccola possibilità per Roma di riavviare i legami commerciali, politici ed economici con Kabul, Quaroni sarebbe sicuramente stato in grado di sfruttarla. Inoltre avrebbe potuto convincere della netta separazione tra il governo italiano e le azioni che Amanullah e i suoi seguaci continuavano a compiere e a Roma e nelle altre città europee.
Arrivato in Afghanistan, Quaroni pensava avrebbe trascorso tempi terribili, invece visse gli anni più belli della sua vita. La descrisse sempre come l’esperienza più bella che potesse fare.
Sin da subito si distinse dagli altri ministri plenipotenziari presenti in Afghanistan: si integrò completamente con la cultura del paese, imparò la lingua locale persiana e, grazie alla sua capacità dialettica, conquistò l’amicizia e l’ammirazione di molti politici
afgani. In particolar modo, Quaroni ebbe modo di avvicinarsi e stringere un profondo rapporto con Re Zahir.
Indubbiamente, il diplomatico italiano capì sin da subito il reale valore dell’Afghanistan e della sua posizione strategica. Situato vicinissimo all’India, si trovava in un punto ideale, dal quale studiare le mosse dei movimenti politici e sociali che si stavano scatenando in tutta l’Asia, con particolare attenzione rivolta a Gandhi e al partito del Congresso in India, dove era in atto la diffusione del nazionalismo e la lotta al dominio britannico.
Dopo la metà degli anni ’30, quando ormai Mussolini si avvicinò a Hitler e alla Germania nella definizione di alleanze in Europa, Quaroni cercò di capire da che parte si sarebbe schierato l’Afghanistan. Egli trasse la conclusione che l’emirato avrebbe potuto essere un degno sostenitore italiano nel caso in cui fosse scoppiata una guerra tra Londra e Roma. Grazie ad una previa stabilizzazione di rapporti stretti e vantaggiosi, l’Italia sarebbe stata in grado di allearsi con le tribù pashtun e creare non poche difficoltà alle forze armate inglesi in Afghanistan e nella loro colonia indiana.
Guidato da questo obiettivo, Quaroni approfittò di ogni possibile occasione per far apparire il suo paese come in forte ascesa di prestigio e stima internazionale.
Il piano e l’astuzia del diplomatico portarono i loro frutti e, per dare prova del rapporto
ristabilitosi, l’Afghanistan revocò il suo appoggio alle sanzioni lanciate contro l’Italia il
15 luglio 1936 e riconobbe il dominio dell’Impero italiano in Africa orientale l’8gennaio 1937.
Quaroni nel frattempo puntò totalmente a intensificare i rapporti economici e commerciali con il governo di Re Zahir e questo interesse si verificò essere ben corrisposto. Gli afgani erano attirati soprattutto dallo sviluppo e miglioramento dell’aeronautica, così come lo fu Amanullah durante il suo regno.
Negli anni ’30, il settore aeronautico italiano era in forte espansione, e ardentemente cercava nuovi sbocchi nell’ambiente internazionale; purtroppo il mercato della penisola doveva confrontarsi con quello delle grandi potenze, Inghilterra e Francia soprattutto, perciò, la richiesta di aiuto da parte del governo afgano nel potenziare il proprio ramo aeronautico, fu vista come una grossa opportunità di slancio.
Nell’agosto 1937 Quaroni riuscì concludere la vendita di aerei italiani tra l’Azienda Breda e il governo afgano: 16 IMAM Ro.37 bis “Lince”, 6 Breda 25 e 2 Breda 28, dal valore di 15.500.000 lire. Fu un contratto molto vantaggioso per il commercio italiano . Il carico partì nel gennaio 1938 da Napoli, raggiunse 249 Peshawar in Pakistan e terminò il viaggio via terra, arrivando a Kabul nell’ottobre dello stesso anno. Il contratto prevedeva inoltre l’invio di un gruppo di tecnici italiani esperti, che aiutassero il personale afgano a utilizzare i veicoli.
Si parlò di anni d’oro per l’industria italiana, che vide un forte incremento nelle vendite.
Sfortunatamente per Roma, il periodo di progresso avvenuto a Kabul, era destinato a non durare. I mezzi italiani dimostrarono grossi problemi, causati dalle difficoltà presentate dalla terra afgana. I motori degli aerei non erano adatti all’alta quota, mentre i carri armati furono costruiti per un certo tipo di strada e non risposero positivamente alle vie di comunicazione sterrate presenti in Afghanistan.
Per cercare di porre rimedio, Quaroni propose di creare una linea aerea che collegasse direttamente Roma, Teheran e Kabul, ma la richiesta gli venne negata.
Disgraziatamente, la diversità di direttive internazionali dell’Italia fascista e dell’Afganistan, e l’attività sovversiva di Amanullah a Roma, rappresentarono due grossi ostacoli per il diplomatico italiano che, pur avendo conquistato notevole stima e fiducia nel paese afgano, non riuscì a svolgere appieno la sua attività e dar vita a tutti i suoi progetti.
Vi erano ancora alcuni membri del governo, come sempre in prima linea si situava il primo ministro Hashim, che disprezzava l’Italia, soprattutto a seguito della sua missione in Abissinia, e premeva per il mantenimento di buoni rapporti con la Gran Bretagna.
Riguardo il tema Amanullah, fonte di perenni contrasti con il paese asiatico, Quaroni cercò di effettuare uno studio approfondito, per cercare di capire se il ritorno dell’ex sovrano sarebbe stato gradito o meno251.
sopportavano la presenza e l’appoggio richiesto agli inglesi dal ministro Hashim, e determinati nell’ottenere tutti quei territori pashtun ancora sotto l’influenza britannica.
Purtroppo per l’Italia, finché Hashim avesse continuato a governare nel paese, ogni tentativo di eliminare il governo corrente sarebbe inutile; il ministro afgano era un abile e implacabile politico, non avrebbe mai permesso che Re Amanullah facesse ritorno a Kabul, cacciasse la sua famiglia dal trono e lo riconquistasse.
Quaroni era ben sicuro della dura difficoltà per Amanullah di fare ritorno in Afghanistan
da vincitore, ma non scartava tutte le possibilità.
L’ex sovrano avrebbe potuto ottenere la vittoria solamente nel caso in cui l’Italia avesse
ampliato gli aiuti economici nei suoi confronti.
L’Italia avrebbe dovuto giocare d’astuzia la Carta Amanullah, al fine di conquistare quella stima internazionale tanto ambita e desiderata. L’ex sovrano sarebbe stato sicuramente riconoscente verso il paese che, nel momento di maggior bisogno, gli concesse asilo e si prese tanta cura di lui e della sua famiglia, permettendogli inoltre di fare ritorno nella sua patria. In aggiunta, per quanto la presenza di Amanullah fosse considerata una minaccia per il governo afgano, rappresentava l’unico motivo per il quale i politici a Kabul dimostrassero ancora così tanto riguardo e interesse per la
penisola: desideravano tenere sotto controllo le mosse dell’ex regnante, in modo tale da riuscire a contrastare ogni suo attacco.
Nel frattempo, la teoria di Quaroni, riguardante la ancora diffusa simpatia verso Amanullah in Afghanistan, si dimostrò essere vera.
Un chiaro segnale di stanchezza verso il governo di Hashim Khan, fu la rivolta tribale che insorse nell’estate del 1937. Inizialmente, questa ribellione vide il contrapporsi di due etnie, i Sultan Khel contro i Mama Khel, per una semplice questione di territori di pascoli; successivamente, il governo decise di intromettersi per poter approfittare della lite e accaparrarsi la zona contesa. Questi due grandi clan non permisero al governo di sopraffare sul loro territorio, e decisero così di attaccare le truppe ufficiali. La guerra si rivelò sanguinaria e gradualmente coinvolse anche altre regioni, avvicinandosi sempre di più a Kabul. Come ai tempi di Amanullah, l’esercito afgano era sempre debole e mal organizzato.
Nonostante la debolezza delle truppe e le perdite subite, Hashim riuscì a riguadagnare il controllo dei territori persi e a sottomettere i ribelli. Anche se il governo uscì vincitore dalla battaglia, purtroppo questa rivolta suggerì a Quaroni che, all’interno del paese, la popolazione iniziava ad essere stanca della corrente classe politica. Si scoprì inoltre, che tra i sovvertitori, si aggiunsero anche alcuni sostenitori di Amanullah, che pensarono di fomentare le cause di malcontento e divulgare l’idea di un possibile e vicino ritorno dell’ex Re. Questa notizia fece infuriare il governo afgano, che incolpò totalmente l’Italia per il clima anti Zahir che si stava diramando. In particolare, Roma venne accusata di conoscere i fatti, di non aver operato per bloccare le iniziative amanulliste e di non essersi preoccupata di avvertire il governo afgano.
Un altro episodio, che affievolì la linea che collegava Italia e Afghanistan, fu il matrimonio della figlia di Amanullah Khan, Abedah, con il principe Ahmed Aly Waly, che ebbe luogo nella capitale italiana il 7 giugno 1938 e al quale partecipò anche Re Vittorio Emanuele III.
Quando giunse a Kabul, la notizia delle nozze, attraverso Radio Roma, Quaroni intuì immediatamente che Hashim Khan si sarebbe infuriato. Gli dispiacque più che altro perché gli avanzamenti fatti in quegli ultimi mesi sarebbero andati sicuramente a montE.
Il governo afgano interpretò questa vicenda come una mancanza di rispetto nei confronti della famiglia reale al potere a Kabul e una continua solidarietà nei confronti dell’ex Re Amanullah.
Quaroni tentò di spiegare al ministro afgano che in Europa, spesso, si dovevano accantonare le divergenze politiche e presenziare ad alcune cerimonie, per pura circostanza255.
Amanullah accanto ai principali politici italiani e a Re Vittorio Emanuele III, durante gli eventi pubblici di maggiore importanza del paese . Ciò che 256 Hashim riferì al ministro italiano, fu che il popolo afgano, già in subbuglio da qualche tempo, nel sapere che i rappresentanti dello stato italiano permettevano all’ex sovrano Amanullah di prendere parte agli eventi nazionali, si sarebbero convinti della protezione garantita dall’Italia, si sarebbero sentiti forti e avrebbero continuato le rivolte. Perciò l’odio di Hashim verso Amanullah crebbe ulteriormente.
In questo periodo Hitler riuscì a compiere il famoso Anschluss, annettendosi l’Austria, grazie soprattutto al sostegno italiano. Questa mossa incrementò la sfiducia che si stava alimentando in quel periodo tra i politici afgani nei confronti del governo italiano.
Nel frattempo, un’altra ribellione antigovernativa esplose tra le regioni dell’Afghanistan del sud. L’origine della sommossa avvenne sempre da parte dei Suleiman Khel, influenzati dai seguaci amanullisti, ma si sviluppò anche tra altre tribù quali gli Shinwari e i Mohmands.
Il 24 giugno, Amanullah ebbe un colloquio con il ministro degli Esteri Ottavio De Peppo, durante il quale il sovrano confermò il suo coinvolgimento indiretto negli attentati che stavano avendo luogo in Afghanistan, e chiese il sostegno, soprattutto economico, italiano nel caso in cui le tribù avessero la meglio sulle truppe governative e su quelle inviate dall’impero britannico e fosse stato necessario un suo ritorno fisico a Kabul.
Dopo qualche giorno Amanullah venne informato che i gruppi ribelli ebbero la peggio e che la rivolta rimase contenuta nelle sole regioni meridionali del paese.
Quaroni fu certo che il motivo del fallimento fu la mancanza di capi forti, compreso lo stesso Amanullah, capaci di guidare, organizzare e sostenere le truppe ribelli. Secondo Quaroni, l’unico modo che Amanullah aveva, per riguadagnare il tanto desiderato trono, era fare ritorno a Kabul ; ma sapeva che 260 questo sarebbe stato impossibile.
Per qualche periodo la relazione italo-afgana sembrò essersi stabilizzata, ma la realtà si rivelò differente: i sospetti nei confronti dell’Italia permasero e Amanullah continuò ad agire liberamente in Italia; Roma non voleva rinunciare a giocare la sua carta più preziosa, in quanto sapeva che l’ex sovrano sarebbe potuto tornare utile in futuro.
Come precedentemente indicato, la fine della ribellione scoppiata nel giugno 1938, fucausata principalmente dall’assenza di Amanullah che, impossibilitato ad agire diversamente, rimase a coordinare le azioni dalla sua dimora a Roma.
Questa sua continua mancanza fisica alle ribellioni in favore al suo ritorno, gli fece perdere affidabilità e credibilità; per quanto vi fossero ancora numerosi sostenitori in Afghanistan, il 1938 rappresentò la grande e ultimo occasione per Amanullah di riconquistare il potere e se la lasciò sfuggire; tra i simpatizzanti iniziò a diffondersi la convinzione che il Re non avrebbe mai fatto ritorno nel paese e che non li avrebbe mai guidati e aiutati a sovvertire il governo di Re Zahir.
Le ribellioni che seguirono nel 1939, sempre sostenute dai seguaci di Amanullah, furono interrotte bruscamente e senza estreme difficoltà dall’esercito di Hashim, grazie al rafforzamento e alla miglior organizzazione apportata nelle truppe governative da l ministro Shah Wali Khan.
Questi successi militari interni, ampliarono notevolmente la reputazione di Hashim in Gran Bretagna, che considerava il ministro un ottimo sostenitore dell’impero e un sicuro collaboratore a livello internazionale. Le truppe inglesi assicurarono Hashim che avrebbe ricevuto tutto l’appoggio necessario in caso di scontri futuri in Afghanistan.
L’avvicinamento progressivo di Kabul a Londra intimorì indiscutibilmente Quaroni, che vide scarse ormai, le possibilità per Amanullah di ritornare in Afghanistan, e si preoccupò dell’atteggiamento che l’Afghanistan avrebbe tenuto con Roma, in caso di scontro tra Italia e Gran Bretagna.
Per il diplomatico fu giunto il momento per il governo italiano di regolare definitivamente le relazioni con il paese asiatico e definire il mantenimento della neutralità in caso di guerra.
Quaroni, a questo proposito, ripresentò il potenziale della Carta Amanullah, ammettendo il cambio idea riguardo l’ex sovrano, perché sempre più convinto dell’impossibilità di Amanullah di rimpatriare.
Le idee del diplomatico a Kabul non furono prese in considerazione. La guerra era ormai alle porte e l’Italia era decisa più che mai a sfruttare ogni pedina che aveva a disposizione.
Nel 1936, l’Italia decise di prendere parte alla guerra civile spagnola, e si affiancò alle
truppe tedesche di Hitler, dando sostegno alle forze militari di destra spagnole, guidate dal generale Francisco Franco.
Una volta terminata la guerra, e instaurato il potere di Franco a Madrid, l’Italia e la Germania, uscite “vincitrici” dal conflitto spagnolo, capirono che, in realtà, erano unite da molti obiettivi comuni, e che era ridicolo contrastare ognuno le azioni dell’altro.
Questo avvicinamento inaspettato, ma ben ragionato, delle relazioni con la Germania, spinse Mussolini a firmare con Hitler il Patto d’Acciaio il 22 maggio 1939, un’alleanza militare che implicava il reciproco aiuto in caso di aggressione nemica. Il trattato però fu seguito da alcune immaginabili conseguenze: si alimentarono le tensioni con la Gran Bretagna, sia nel Mediterraneo, sia in Asia centrale, già tese da molti anni. Per fronteggiare questa rinata avversione, Mussolini cercò di ingraziarsi ancora di più il suo unico “asso nella manica”: Amanullah. Il Duce era consapevole come l’ex sovrano afghano avrebbe rappresentato una grossa minaccia per l’impero britannico, e cercò di studiare un modo per usarlo nei confronti di Londra.
Un altro dilemma colpì i capi di stato delle grandi potenze europee, ormai prossime a
dichiarare il conflitto mondiale. In questi mesi di tensione, era fondamentale riuscire a studiare un piano per assicurare la neutralità afgana.
Molti furono gli stati europei che si resero conto dell’importanza di Kabul. Il primo paese fu l’Italia che dava per scontato l’appoggio afgano. Era sicura di avere dalla sua parte un elemento decisivo che era costituito dalle truppe ribelli del paese pronte a schierarsi con gli italiani contro i nemici, storici inglesi.
Il secondo paese era la Germania che vedeva l’Afghanistan come il punto ideale di partenza per la conquista dell’Asia centrale (in una visione assurda di conquista mondiale).
Il terzo paese era l’Inghilterra, da sempre determinata nel mantenere il controllo sul paese, perché le avrebbe permesso di accedere e proteggere la colonia indiana.
Infine l’URSS ben consapevole che perdendo l’Afghanistan avrebbe perso una base strategica importante nell’Asia centrale.
Dal punto di vista afgano, la seconda guerra mondiale, che scoppiò ufficialmente il 1 settembre 1939, alimentò vari timori che rimasero sempre presenti nel cuore del Re Zahir. Il sovrano temeva che il paese sarebbe stato motivo e territorio di scontro fra le varie potenze in contrasto tra loro.
Pochi mesi prima dell’inizio del conflitto, Germania e Unione Sovietica firmarono il Patto Molotov-von Ribbentrop, che sancì l’amicizia tra i due paesi. In seguito alla firma dell’accordo, e all’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche nel settembre 1939, Hitler e Stalin, come pattuito, si spartirono lo stato polacco.
L’impensata unione, tra Mosca e Berlino, fece precipitare l’URSS nella cima della lista delle maggiori minacce per l’Afghanistan, e ogni mossa che compiva, soprattutto se svolta in collaborazione con Hitler, veniva sentita come un tentativo di conquistare i vari territori più instabili dell’Asia centrale.
Re Zahir, spinto dalla paura di essere invaso da truppe nemiche, si convinse a migliorare il rapporto tra Londra e Kabul e a dubitare sulla lealtà promessa da Roma.
Ma non per tutti gli afgani la notizia dello scoppio della guerra rappresentò un pericolo.
I tumulti in Europa e in Asia centrale, riportarono quella speranza e quella fiducia che Amanullah e i suoi seguaci avevano perduto da tempo. Essi confidarono su un appoggio sostanzioso da parte dell’Unione Sovietica che, essendo ora legata da un rapporto di amicizia a Roma e Berlino, avrebbe forse favorito un ritorno del Re in Afghanistan, grazie alla sua eterna ostilità verso la Gran Bretagna, e più in linea con una politica filosovietica.
I primi a ideare uno stratagemma per eliminare la presenza inglese in Asia centrale furono i politici tedeschi. I piani progettati furono: la spedizione in Tibet e il Piano Amanullah.
Per quanto riguarda il primo, si considerò l’idea di programmare una spedizione tedesca in Tibet, grazie all’aiuto dell’esperto tedesco della regione asiatica, il Dott. Ernst Schafer.
Lo scopo era quello di alimentare vari movimenti anti britannici in India, attraverso la fornitura di aiuti economici alle tribù indo-tibetane nella regione. Partendo in incognito dall’Unione Sovietica, Schafer avrebbe provveduto a condurre una squadra di militari tedeschi fino al Tibet da dove avrebbero potuto successivamente penetrare in Afghanistan.
L’idea principale del Piano Amanullah fu quella di sostenere economicamente e militarmente Amanullah, aiutandolo così a riconquistare il potere. Gli incaricati pianificarono di costituire un esercito afgano, composto da tutti quei seguaci amanullisti fuggiti in esilio, dopo il 1929, e di prepararli adeguatamente ad un attacco militare, grazie al rifornimento di armi e addestramenti tedeschi. Esattamente come per la spedizione in Tibet, lo schema germanico prevedeva l’utilizzo dell’Unione Sovietica come punto d’origine della missione; i ravvicinati confini sovietici, avrebbero permesso alla squadra di penetrare in Afghanistan, deporre il governo di Re Zahir e fomentare le
rivolte tra le popolazioni pashtun in India contro la presenza inglese.
Prima di entrare in azione però, la Germania richiese la sicura collaborazione da parte di Stalin. Fondamentalmente, il ministro degli Esteri sovietico, Molotov, non aveva concrete ragioni per quali opporsi alla proposta tedesca, tuttavia richiese informazioni più precise riguardo ai due piani elaborati.
Lo schema realizzato dai tedeschi era piuttosto vago e insostenibile, in quanto implicava molti ostacoli che non furono in grado di superare. Dopo l’attenta analisi assieme ai politici sovietici, solo alcuni ufficiali e diplomatici nazisti sostennero ancora con convinzione il Piano Amanullah.
La maggior parte si rassegnò ad accantonare sia la spedizione in Tibet, sia il Piano.
Nel frattempo l’Italia rimase ad osservare gli eventi e fece da tramite tra Berlino e Amanullah,
riferendogli lo sviluppo dei progetti.
La principale difficoltà riscontrata fu la mancanza di un’organizzata e definita azione sovversiva in Afghanistan, a favore di Amanullah. I giovani seguaci erano molti, ma non furono in grado di riunirsi in un compatto gruppo d’azione, nè di trovare un abile e determinato condottiero che li guidasse.
Mancava la figura di un politico afghano in grado di rispondere alle domande ed alle richieste dei ribelli pronti a scatenare una sommossa a partire dall’interno del governo.
Lo stesso cominciò a dimostrare delle perplessità sui piani tedeschi.
I piani d’azione germanici furono quindi abbandonati.
Si diffuse quindi l’opinione che il governo di Hashim avrebbe mantenuto in Afghanistan il potere governativo considerando anche il numero esiguo delle truppe ribelli.
Un governo che avrebbe spinto l’Afghanistan nella fera d’influenza inglese mentre i tedeschi speravano ardentemente il contrario.
Per questo motivo Hitler cambiò idea, e ritenne migliore cercare di convincere poco a poco il governo in carica a Kabul a sollecitare le province Pashtun in India contro la Gran Bretagna.
Il Führer decise che, solo nel caso in cui questo nuovo progetto fosse fallito, sarebbe stata ripescata la Carta Amanullah.
A convincere i tedeschi ad abbandonare il Piano iniziale fu la dimostrata indifferenza sovietica nei confronti dell’Afganistan, ma soprattutto fu la presenza dell’ex sovrano in Italia. Per quanto si fossero avvicinati, tra Roma e Berlino sempre alta fu la rivalità e la volontà di stabilire domini negli stessi territori in Medio Oriente e nei Balcani. Avendo Amanullah nelle loro mani, per gli italiani sarebbe stato più semplice ottenere un appoggio sicuro in Asia centrale.
Il piano militare dell’Italia nel corso della seconda guerra mondiale cambiò radicalmente e Mussolini mirò all’annessione di vasti territori in Africa e in Asia: Tunisia, Sudan, Ciad, Aden e parte di Algeria e Marocco.
Mussolini ambiva a sostituire la Gran Bretagna quale protettrice d’Egitto e a creare delle basi militari e navali in Arabia e nel vicino Oriente. Per questo motivo strinse dei rapporti diplomatici con i leader di alcuni stati arabi e in particolare con quelli antibritannici.
L’India e l’Afghanistan non rientrarono più negli obiettivi del Duce.
Il Quaroni invece, come ambasciatore a Kabul, continuò nella sua opera politica cercando di fare assumere all’Italia un ruolo importante nella sfera geopolitica dell’Asia centrale.
Cominciò a sollecitare le masse afghane contro gli inglesi.
La Legazione italiana a Kabul diventò una sede importante per le comunicazioni tra le tribù pashtum afghane e quelle che si trovavano in territorio indiano. Queste comunicazioni avevano come obiettivo la pianificazione delle azioni contro gli inglesi.
Nel 1941 il Quaroni incontrò il Fachiro di Ypi al confine tra l’Afghanistan e l’India. Il fachiro era un importante capo religioso musulmano che da anni combatteva contro gli inglesi.
L’ambasciatore italiano aveva un valido collaboratore, il diplomatico Enrico Anzillotti, con cui condivideva le iniziative diplomatiche e politiche. I due delegati italiani furono subiti additati dai comandi militari britannici perchè accusati di aizzare le tribù che vivevano nella frontiera afghana e di aiutare i vari capi tribali ed in particolare il Fachiro.
Lo stesso Fachiro sollecitava i due funzionari italiani nell’accelerare le iniziative insurrezionali.
Purtroppo le loro iniziative non destarono alcun interesse su Mussolini forse perché non voleva essere coinvolto nella situazione afghana perché impegnato su altri fronti o scenari politici.
La legazione italiana fu completamente abbandonata dal governo italiano fu completamente privata di qualsiasi assistenza militare e diplomatica. Qualsiasi richiesta da parte dell’ambasciata fu sempre respinta da Roma e isolata dato che non veniva informata delle azioni militari italiane compite in altri paesi. Forse Mussolini cercò di evitare di spingere il ministro afghano Hashim verso gli inglesi a causa della ribellione popolare.
Nel frattempo il governo di Roma teneva Amanullah sotto rigido controllo a tal punto da impedirgli di partecipare ad eventi pubblici.
In Europa giunse Subhas Chandra Bose ( detto anche Netaji – condottiero) presidente del Patrito del Congresso Indiano e fautore dell’Indipendenza dell’India dal Raj Britannico.
Questo arrivo fece nascere in Europa le attenzioni di monti Stati, tra cui l’Italia, per l’Afghanistan.
Per la sua politica rivoluzionaria fu costretto diverse volte all’esilio e riuscì a fondare nel 1939
l’AIFB, All India Forward Bloc (Blocco avanzato di tutta l'India), un partito che portava avanti l’unità del paese per la indipendenza dagli inglesi.
Nel 1940 fu costretto a fuggire dall’India e raggiunse diverse mete tra cui la Germania.
Prima di raggiungere la Germania si recò clandestinamente in Afghanistan dove fu accolto e nascosto dal Quarani nella sede della Legazione italiana a Kabul.
Un accoglienza in attesa di trovare un mezzo per farlo espatriare. Il Quarani e il Bose si scambiarono delle confidenze e il Bose, in particolare, rilevò la sua delusione per il mancato aiuto del governo italiano ad Amanullah per il suo ritorno in Afghanistan. Lo stesso Bose rilevò anche la sua speranza nei confronti dell’Italia e della Germania per costituire u un’India libera dagli inglesi.
Il Quarani organizzò un piano di fuga del Bose attraverso il suo passaggio nell’Unione Sovietica.
L’Unione Sovietica acconsentì al passaggio nel suo territorio del Bose ma affermò anche che non avrebbe mai fornito un visto d’ingresso a suo nome.
Il Quarani fornì al fuggitivo indiano un passaporto italiano falso intestato ad un impiegato della Legazione italiana in Afghanistan, Orlando Mazzotta, che fu consegnato all’ambasciata sovietica.
Il Bose entrò in Unione Sovietica e raggiunse alla fine Berlino il 3 aprile 1941.
Il suo arrivo proprio a Berlino fu studiato. L’obiettivo del Bose era quello di sfruttare l’odio di Hitler verso gli inglesi e creare in Europa un governo indiano in esilio ispirandosi a quello polacco, danese e norvegese (che furono instaurati a Londra).
Altro obiettivo era quello di formare con le tre potenze Roma – Berlino – Tokyo, un trattato che permettesse ai tre paesi di riconoscere, una volta costituito, il governo libero dell’India.
I tre Paesi aiutarono il Bose economicamente e militarmente a costituire il
Con l’aiuto economico e militare dei tre paesi, Bose stabilì il “The Free India Centre” (Centro India Libera) quale base per la lotta contro gli inglesi.
Il Bose informò Roma che avrebbe sostenuto ogni tentativo per riportare Amanullah al trono d’Afghanistan.
Bose incontrò Amanullah per spiegare la reale situazione dell’Afghanistan e nel 1942, con un colloquio con il ministro degli Esteri tedesco Von Ribbentrop, rivelò che nell’Afghanistan erano vive molte proteste nei confronti del governo Hashim Khan.
Ancora una volta Mussolini si mostrò completamente indifferente alle proposte del Bose.
L’Italia e la Germania, in un primo momento prestarono molta attenzione ai discorsi politici e sociali del Bose, ma successivamente furono assaliti dal timore delle idee di rivolta e sovversione in India.
Le idee del Bose avrebbero modificato le idee di espansione e di conquista, sia di Roma che di Berlino, nel continente asiatico.
L’Italia e la Germania avevano un grande interesse nei confronti dei ricchi territori indiani.
Il Bose era forse ignaro sugli interessi delle due potenze europee sui territori indiani e d’altra parte non avrebbe mai permesso un loro inserimento sulle risorse economiche indiane. Per questo motivo molte sue richieste d’aiuto non furono ascoltate.
Hitler decise alla fine nel 1941 di riconoscere il “Free India Government” del Bose in Europa e di dare un aiuto nella formazione delle “The Free India Legion” cioè di un esercito che avrebbe dovuto attuare i piani del Bose.
Il piano era ben preciso.
Il primo attacco delle truppe ribelli per tenere impegnato l’esercito inglese e successivamente l’ingresso della Germania in India. Mentre in Germania qualcosa si muoveva per l’Asia centrale a Roma avveniva qualcosa di diverso.
Mussolini fu attratto dalla presenza in Europa di Mohammed Iqbal Shedai, un combattente per l’indipendenza dell’India e del Pakistan che aveva un pensiero differente rispetto al Bose.
https://en.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Iqbal_Shedai#/media/File:Iqbal_Shedai_with_his_wife.jpg
Questa particolare attitudine catturò l’attenzione e la curiosità del Re Amanullah Khan, il cui odio verso gli inglesi, sposava perfettamente le idee di indipendenza e autonomia del leader indiano.
Nel frattempo il Bose si rese conto che le promesse di Hitler erano solo sulla carta e deluso ritirò il suo esercito e scappò in Giappone dove morì nel 1945 a causa di un misterioso incidente aereo.
Il Duce percepì nelle proposte del Shedai degli aspetti positivi e gli permise di lavorare dall’Italia contro la dominazione inglese in Idia.
Fu creata “Radio Himalaya”, con sede a Roma che diffondeva la propaganda italiana in India e lo stesso Duce aiutò l’esule a costituire un battaglione indiano cioè un corpo militare addestrato e rifornito dall’Italia per combattere gli inglesi.
Nel 1941 a Roma si trovavano quindi due importanti esuli rivoluzionari antinglesi: l’ex sovrano afghano Amanullah Khan che sperava da sempre di ritornare nel suo Paese e che aveva ancora molti seguaci, e Mohammed Iqbal Shedai che era pronto ad entrare in azione contro gli inglesi.
Ma la scena geopolitica nel 1941 ebbe dei cambiamenti repentini che stravolsero lo scenario politico. La rottura dell’alleanza tra Germania ed Unione Sovietica e l’avvicinamento di quest’ultima agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna. Questo nuovo assetto di alleanze sconvolse i piani politici e militari di Roma e Berlino.
La Germania e l’Italia perdettero l’importante appoggio dell’Unione Sovietica per il loro inserimento nello scenario dell’Asia centrale e l’India con l’Afghanistan si trovarono a dover fronteggiare la nuova triplice alleanza.
Per Hitler e Mussolini l’unica carta da giocare era legata ai vari movimenti nazionalisti arabi, turchi ed indiani che agivano contro l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna.
La forza militare e politica dell’Asse cominciò a perdere colpi a causa de3lle paerdita di posizioni conquistati nella prima fase della seconda guerra mondiale.
Un aspetto molto complesso perché anche i due leader dell’Asse, Hitler e Mussolini, cominciarono ad avere dei contrasti ideologici.
Tra questi contrasti anche la posizione assunta nei confronti di Subhas Chandra Bose in merito all’appoggio militare da fornire per l’indipendenza dell’India.
È difficile pensare ad un Hitler, difensore della razza ariana, prendere a cuore le rivendicazioni indipendentiste degli indiani e d’altra parte non condivideva l’ideologia del Bose che auspicava una lotta, per sovvertire gli inglesi, attraverso la propaganda.
Per Hitler l’univa via possibile di successo era la forza militare.
Mussolini invece ascoltò le richieste del Bose e i due s’incontrarono più volte perché lo stesso Duce riteneva importante la presenza dell’Asse nell’Asia centrale.
Ma c’era un problema di fondo da non sottovalutare: la differente forza militare dell’Italia e della Germania.
Per questo motivo alla fine Mussolini fu costretto ad accettare le decisioni di Hitler.
La situazione in Asia centrale si era nel frattempo complicata. Nell’estate del 1941 la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica occuparono l’Iran. Il loro obiettivo era quello di convincere lo scià di Persia, Reza Pahlavi, ad unirsi a loro nel conflitto.
La paura colpì anche l’Afghanistan e il governo di Londra, il 9 e 11 ottobre 1941, presentò due note richiedenti al governo afghano l’espulsione dal territorio di tutti i cittadini tedeschi ed italiani che non avevano alcuna particolare funzione nelle rispettive Legazioni presenti nel paese.
Il ministro Sardar Mohammad Hashim Khan , probabilmente per la paura di vedere occupato dalle forze dell’Alleanza il suo Pese, decise di accettare le richieste anglosovietiche e il 29 – 30 ottobre 1941 decretò l’espulsione di 176 tedeschi e di 28 italiani.
Hashim era il fratello minore del re d’Afghanistan Mohammed Nadir Shah (ucciso nel 1933).
La sua figura fu alquanto ambigua. All’origine del suo mandato come Ministro preferì non fare affidamento sulla Gran Bretagna e sull’Unione Sovietica. Strinse dei rapporti diplomatici con la Germania nazista e nel 1935 importanti uomini d’affari e tecnici giunsero in Afghanistan per avviare importanti opere nel campo dell’economia (fabbriche e progetti idroelettrici), dei trasporti e delle comunicazioni. Altri aiuti, anche se minori, giunsero dal Giappone Imperiale e dall’Italia fascista.
Nel 1941, forse a causa dei primi cedimenti politici e militari dell’Asse, cambio la sua politica passando a fianco della Gran Bretagna e dell’Unione sovietica.
La decisione di espellere dal Paese, su richiesta dell’Alleanza, i tedeschi e gli italiani fu molto impopolare. Il Quaroni, ambasciatore italiano a Kabul, scrisse al ministero degli esteri a Roma che avrebbe..
Nel dicembre 1941 si svolse un importante riunione sul tema “Afghanistan” a cui parteciparono: i rappresentanti dell’Asse, il Bose, Shedai e Ghulam Siddiq.
Il governo italiano mando alla riunione Adolfo Alessandrini, responsabile dell’Ufficio India a Palazzo Chigi.
Il diplomatico italiano espose la sua tesi che era contraria alle idee rivoluzionarie del Siddiq.
Suggerì di aspettare lo svilupparsi degli eventi a Kabul e di tenere sempre in considerazione la restaurazione dell’ex sovrano Amanullah Khan.
Spiegò che il ritorno dell’ex sovrano, ancora amato da gran parte della popolazione, in un momento sociale di grave disordine sarebbe stata una soluzione ottimale, non solo per lo stesso Afghanistan, anche per le potenze dell’Asse.
Per Roma e Berlino avere la carta Amanullah era molto importante, una carta da mettere sul tavolo contro gli Alleati.
Amanullah, tra i suoi obiettivi di riforme moderne, auspicava all’unione del paesi musulmani presenti in Medio oriente per creare un unico Stato musulmano. La realizzazione di questo obiettivo avrebbe determinato la nascita in quell’area di una posizione per la Germania e l’Italia.
L’Alessandrini riferì…
No… perché la realizzazione del progetto prevedeva degli scenari che erano maggiori rispetto alle reali condizioni delle potenze dell’Asse e cioè Germania, Giappone ed Italia.
Le tre potenze erano legate da un alleanza militare ma da punto di vista politico ed ideologiche avevano degli interessi contrastanti che spesso le portarono a diffidare anche della loro reciproca lealtà.
Ogni iniziativa del Quaroni di riavvicinare Roma e Kabul fu lasciata cadere nel vuoto.
Alla fine Germania ed Italia preferirono aspettare lo svolgersi degli eventi anche per non sollevare dubbi sull’onestà delle due potenze nei confronti dell’Afghanistan.
Nel momento del bisogno avrebbero usato la “carta” Amanullah.
Il ministro afghano Hashim era consapevole della minaccia di Amanullah rappresentava in Afghanistan e dell’importanza della sua presenza in Europa.
L’Italia invitò l’ex sovrano afghano a desistere dalle sue azioni d’appoggio alle azioni compiute dal Gran Muftì e dai nazionalisti indiani nel territorio italiano.
Un movimento nazionalista indiano ben presente in Italia con l’organizzazione di eventi pubblici per diffondere messaggi contro la Gran Bretagna e la sua presenza in India.
Amanullah era consapevole della sua importanza nella politica dell’Asse in Asia centrale anche se era rattristato dal fatto di essere stato come snobbato da Hitler e Mussolini.
Spesso si sentiva come uno strumento mosso a loro piacimento. Era stato sempre controllato nelle sue azioni, aveva più volte sostenuto lo scarso sostegno che gli aveva fornito il governo italiano preoccupato nel non creare problemi diplomatici con la Gran Bretagna e l’Afghanistan.
Amanullah decise di agire e tra il maggio e giugno 1942, insieme con Ghulam Siddiq e Subhas Chandra Bose, avanzò una precisa richiesta alla Germania
Amanullah nel luglio 1942 scrisse una lettera a Mussolini con precise accuse…
Per cercare di non perdere ulteriore credibilità nei confronti di Amanullah, il governo italiano decise
di aumentargli il sussidio per bloccare i suoi piani d’azione.
A causa degli eventi bellici la vita era aumentata ed anche Roma non sfuggiva a questa regola. L’ex sovrano non poteva quindi condurre una vita agiata e questo aspetto faceva nascere il lui il desiderio di tornare in Afghanistan.
Il governo italiano decise quindi di aumentare il sussidio da 15.000 lire alle 25.000 lire.
Nel 1942 gli eventi bellici sembravano favorire gli schieramenti dell’Alleanza (Anglo-russo-americana) e i rapporti tra Roma; Berlino e Kabul sembrarono rinascere.
Le forti iniziative militari intraprese dall’esercito tedesco in Russia e le vittorie dell’Italia e della Germania nell’Africa settentrionale spinsero il vice presidente del Consiglio afghano, Naim Khan, e il primo ministro tedesco a Kabul, Pilger, si riunirono a Kabul per discutere su una possibile collaborazione militare.
In realtà questa attività diplomatica fu avviata dal ministro Hashim Khan. Il ministro afghano voleva dimostrare alla popolazione come il suo governo fosse in grado di avviare una politica estera nazionalista, indipendente dall’ingerenza britannica.
Il governo afghano nelle sue iniziative cercava sempre di eliminare ogni azione proveniente dai seguaci di Amanullah.
L’ambasciatore Quarani, ormai abbandonato dall’Italia, l’1 settembre 1942 s’incontrò con Naim Khan per discutere su un eventuale accordo.
Il Naim confermò l’interesse dell’Afghanistan nei confronti delle potenze dell’Asse e ello stesso tempo mise in evidenza che l’Afghanistan si sarebbe unito alla Germania ed all’Italia non appena queste fossero arrivate nel Caucaso e nel Medio oriente e avessero deciso d’invadere l’India.
Anche questi accordi rimasero sulla carta. La scena politica internazionale e le sue mappe variavano di continuo giorno dopo giorno e sia la Germania che l’Italia perdevano gradualmente i territori in precedenza occupati.
Ormai era chiaro che le due potenze avrebbero perso il conflitto.
L’Afghanistan, dimostrò ancora una volta, che la politica filo-inglese era ancora la migliore mentre l’Italia, ormai a pezzi, si affidò alla sola propaganda per mantenere viva la voce della resistenza degli indipendentisti nell’Asia centrale.
Tra la fine del 1942 e fino all’estate del 1943 la propaganda italiana nei confronti dell’Afghanistan e dell’India indipendentiste, aumentò con messaggi filo-musulmani.
Un messaggio auspicava la formazione di uno Stato islamico nella Valle dell’Indo, il “Pakistan” , che fu di grande importanza politica.
La Germania si dimostrò subito contraria alla propaganda islamica adottata dall’Italia perché opposta al forte credo nazista.
L’Afghanistan, con una perenno monotonia, si lamentava presso il Quarani della protezione che l’Italia dava ad Amanullah. Una protezione che durava da ben 13 anni come un quadro di gran valore sempre esposto a perenne memoria.
Amanullah aveva però ormai perso la sua speranza di tornare in Afghanistan e le sconfitte delle truppe dell’Asse fecero svanire del tutto le sue già flebili speranze.
Le sconfitte dell’Asse consolidarono il prestigio e la forza della Gran Bretagna in Asia centrale.
Il Quarani abbandonò le sue iniziative e Amanullah cambiò atteggiamento nei confronti del governo afghano assumendo un comportamento più amichevole nei confronti del sovrano Mohammed Zahir Shah (in carica fino al 1973) e del primo ministro Hashim Khan.
Nel settembre 1943 l’Italia fu invasa dagli americani.
L’Italia a pezzi, il re in esilio, Mussolini cacciato e naturalmente anche il vago sogno “Kabul” sfumò definitivamente anche se l’Italia fu sempre ricordata i Afghanistan come uno Stato amico.
Amanullah continuò a vivere con la sua famiglia a Roma r gli gu elargito un assegno mensile ci 20.000 lire a carico del Ministero degli Interni. Il Ministero degli Esteri contribuiva invece con una somma di 60.000 lire annue di tasse dovute per i beni immobiliari si sua proprietà.
Questo compenso annuo non durò fino alla fine del suo esilio.
Mussolini fu cacciato e si ritirò nel Nord Italia e il 23 settembre 1943, sotto la pressione di Hitler, stabilì la Repubblica Sociale Italiana, formalmente conosciuta come la Repubblica di Salò.
Ad Amanullah fu chiesto di trasferirsi al Nord nella nuova repubblica. Negò la richiesta e gli fu quindi bloccato il sussidio. L’ex sovrano era ormai legato alla capitale e desiderava non abbandonarla. D’altra parte la proposta arrivava da Mussolini che lo aveva sempre strumentalizzato e mai ascoltato seriamente.
Grazi agli Inglesi ed agli americani fu ripristinato il governo italiano a Roma nel 1944 e la diplomazia italiana porse ad Amanullah l’invito di farlo partire da Roma.
Per il governo italiano non aveva più senso trattenerlo e versargli quelle alte somme di denaro. Il governo ridimensionò il sussidio versandogli una piccola quota per provvedere ai piccoli bisogni della sua famiglia.
La somma non era sufficiente a coprire le spese necessarie per il sostentamento della sua famiglia. L’ex sovrano era indebitato ed era perseguitato dai suoi numerosi debitori. Alcuni suoi parenti avanzarono anche delle suppliche al nuovo governo per aiutare finanziariamente Amanullah.
Ancora una volta il governo italiano fu costretto ad intervenire pagando una parte dei debitori ed impedendo il pignoramento dei suoi beni.
Anche l’Afghanistan subì dei mutamenti politici. Il ministro Hashim Khan abbandonò il suo incarico il 9 maggio 1946 anche a causa delle sue idee filo-britanniche.
Amanullah , anche a causa delle sue ristrettezze economiche, cercò di avvicinarsi al sovrano afghano Zahir Shah.
Il 27 ottobre 1948 iniziarono dei contatti diplomatici tra la Legazione afghana a Roma e la famiglia renante a Kabul.
Amanullah Khan inviò una lettera a re Zahir nella quale dichiarava
L’ex sovrano desiderava ardentemente ritornare nel suo paese sia per ricongiungersi alla famiglia reale, sia per le proprie figlie che in Europa non avrebbero avuto futuro. Riottenendo lo status di cittadino afghano e il permesso di rientrare, sperava di sistemare i suoi numerosi problemi finanziari ritornando in possesso di alcune proprietà appartenenti alla sua famiglia e di avere un sussidio dal governo afghano.
Amanullah non fece mai ritorno a Kabul e il 12 ottobre 1949, re Zahir si recò in Europa per motivi di salute e giunse anche a Roma dove incontrò Amanullah Khan.
Un nuovo incontro avvenne nel 1950, quando Re Zahir si recò a Napoli e fu accolto da
Amanullah, che lo accompagnò nella visita nella città partenopea.
Ormai la pace tra i due regnanti era stabilita.
Dopo aver trascorso gran parte degli anni in esilio a Roma, Amanullah Khan decise di
trasferirsi, assieme alla moglie Soraya, a Zurigo in Svizzera, dove morì il 25 aprile
1960.
Il suo sogno fu sempre quello di ritornare in Afghanistan, e per questo venne riportato
nel suo paese e sepolto a Jalalabad, vicino alla tomba del padre.
Oggi, vi sono ancora membri della sua famiglia che vivono tra Roma, Ginevra e
Istanbul.
May his soul rest in eternal peace! Ameen
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Possano le loro anime essere felici!
Moglie di Abdul Hossein Timurtash (Nardin, 1881 – ucciso a Mehr, Teheran, 1933)
soprannominato Sardar Mozhezul-Mulk oppure Sardar Moazzam Khorasani.
Importante statista durante i periodi Qajar e Pahlavi. Nel periodo della reggenza
di Reza Shah aveva l’incarico di primo ministro.
Figlia di Timurtshah e di Sarwar al-Sultaneh
(1942)
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