Adrano (Catania) - Il Museo Reg. "Saro Franco" all’aperto per riscoprire la propria identità, i propri valori culturali e riflettere sul linguaggio dell’ambiente.
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Indice:La Ricerca Archeologica nel tessuto urbano di Adrano;
Nella ceramica a figure rosse rinvenuta ad Adrano ci sarebbe l’arte del “Pittore di Adrano”.
La storia della Ricerca Archeologica nel Territorio di Adrano (Umberto Spigo – Alida Rosina Maretta D’Agata):
1. Contrada Fontanazza/Fontanazzi (Prof. Mara Guerri);
2. Contrada Zorbo (?);
3. Poggio dell’Aquila – Villaggio dell’Età del Rame - Dott.ssa Gioconda Lamagna;
Capanna di Contrada “Serro di Scarvi” – Troina (Enna);
Sito Neolitico di Serra dell’Arco - Milena (Caltanissetta) – (Cenni);
4. Le Gotte Maccarrone e Pellegriti.
Lo straordinario Teatro di vita della grotta Pellegriti;
Il tracciato delle vecchie mura non più esistenti ------
A sinistra il tratto di strada delimitato sul bordo da una canaletta di pietra lavica.
A destra parte della casa “B”.
(Disegno di Umberto Spigo, 2009)
Scavi del 1986 effettuati da U. Spigo
L’Andron (Ἀνδρῶν-ῶνος) o Andronitis, era la zona dell’abitazione riservata agli uomini e che era opposta al gineceo ((gunaikeion), riservato invece alle donne.
Lo stesso archeologo propose una seconda ipotesi per l’ambiente maggiore. Forse un “pastas” cioè un loggiato coperto dove si potevano svolgere i lavori di casa all’asciutto quando pioveva e all’ombra nel periodo estivo. Il tetto del porticato poggiava su pilastri o colonne.
Le fondazioni delle case poggiavano sui basalti colonnari che venivano spianati e regolarizzati per garantire un piano d’appoggio perfetto alla casa.
(Scavi 1995)
Monasterace, III (seconda metà) secolo a.C.
Realizzata su tre livelli, aveva un sedile e un poggiapiedi davanti al quale
era situata una piccola conca per raccogliere l’acqua
Materia e Tecnica: Terracotta
Misure: altezza, 54 cm – lunghezza, 109 cm (1,09 m) – larghezza, 62 cm
Nel 1996 un altro scavo poco distante dal primo, nella proprietà Cono Genova, furono rivenute altre due tombe violate e ben cinque intatte. Due di queste tombe inviolate avevano una copertura alla cappuccina mentre le altre tre erano a fossa semplice.
Scavi in proprietà Cono Genova,1990.
Planimetria di uno dei saggi.
Ago da cucito - Età
finale del Bronzo
a sezione
circolare/ testa a placca con il vertice biforcuto e foro centrale
Barumini (Medio
Campidano), ca XII sec. a.C. - ca IX sec. a. C
Materia e Tecnica:
bronzo/
fusione a cera persa
Misure: diametro, 0,3 cm – Lunghezza, 11,7 cm – Peso, 4 g
La fusione a cera
persa era una tecnica che veniva adoperata per la produzione di
oggetti di piccole
dimensioni come spilloni, e aghi. Oggetti rinvenuti in strati risalenti
al IX – VIII secolo
a.C.
La fusione a cera
persa consisteva nel creare un modello di cera che veniva
adoperato per fare
uno stampo in argilla. Nello stampo venivano praticati due fori,
uno in alto ed uno
in basso. Si faceva uscire la cera scaldando lo stampo per poi versare
del bronzo fuso al
suo posto. Si ricavava un modello identico a quello della cera.
Parte della necropoli orientale
Il corredo esterno della tomba n. 1
Foto di S. Amari
Pisside globulare rinvenuta nella tomba n.8
Il capitolo n. 6 sarebbe dedicato al tempio di Adrano.
Il pietrame sovrastante fu messo in opera in tempi recenti dai contadini durante
lo spietramento dei terreni.
La Sicilia fu teatro dell’attività di grandi archeologi tra cui Luigi Bernabò Brea.
Legature di zeta ed epsilon.
Marchio di cava Tau
Pisside globulare rinvenuta nella tomba n.8
Catania – Museo Civico “Castello Ursino”.



Il secondo, in alto e sempre adiacente al fiume” è un altro mulino di cui non conosco la denominazione


Fu rinvenuta, perfettamente intatta, sotto la grande struttura quadrangolare, descritta dal Biscari, una deposizione votiva.
Una deposizione votiva, protetta da una tegola ricurva, costituita da una pelike ed una coppa emisferica su piede sagomato, entrambe a vernice nera con decorazione sovradipinta (sottili tralci d'edera) e da una brocchetta e da una ciotola monoansata acrome.
Nel settembre 1979 iil Nucleo di Pubblica Sicurezza di Adrano effettuò il sequestro di un cospicuo lotto di materiale archeologico. I reperti sequestrati erano costituiti da vasi frammentari, ceramica a figure rosse, a vernice nera ed acroma, provenienti in gran parte dalla Necropoli Occidentale del IV – III secolo a.C.
Contrada Fontanazza
Tracce dell'industria litica del Paleolitico; Reperti neolitici con tomba ovale
Area di interesse archeologico ai sensi dell'articolo 142 lettera m, D.Lgs 42/04
Tazza a decorazione incisa
Neolitico Medio (V millennio a.C.)
A ridosso di un’area di dispersione di ceramiche stentinelliane riferibili al villaggio, fu identificata una tomba a fossa ellittica ricoperta da grosse pietre, con i resti di un solo inumato. Tra la terra di riempimento della fossa furono raccolti piccoli blocchetti di ocra e frammenti
di ceramica impressa, secondo una pratica, forse legata alla frantumazione rituale di vasi.
Una fossa riempita da grossi massi, contenente i resti di un solo inumato, fu segnalata nell’insediamento di Rocca Giambruno, all’interno del moderno cimitero di Adrano.
Le affinità costruttive e planimetriche con la tomba di Fontanazza furono evidenti e anche in questo caso la cronologia rimandò ad una fase non meglio definibile dello sviluppo diacronico dell’orizzonte stentinelliano.
Ancora ad Adrano, una tomba a fossa con pietre di copertura fu identificata nel centro storico (Piazza G. Maggio), a meno di 100 m a nord dell’insediamento di Via De Felice-Via Garibaldi a cui forse era pertinente.
La Cultura di Stentinello prende il nome dal sito omonimo posto vicino Siracusa (Sicilia sud-orientale). Una cultura che fu datata alla metà del V millennio a.C. il villaggio preistorico fu riportato alla luce dall’archeologo Paolo Orsi nell’Ottocento e scavi successivi furono svolti nel Novecento e negli anni 1960.
Una ceramica impressa che segnava l’inizio del Neolitico.
La datazione al V millennio a.C. sarebbe ipotetica perché i siti più antichi avrebbe restituito dei reperti datati alla metà del VI millennio a.C.
La vita sociale era basata sull’agricoltura e sull’allevamento (capre e pecore) ed anche su diverse attività artigianali per la creazione di recipienti in ceramica e utensili in pietra scheggiata.
Fu in questo periodo che iniziò lo sfruttamento dell’ossidiana di Lipari che venne utilizzata soprattutto in Sicilia ed in Calabria. Ossidiana che veniva lavorata, con la scheggiatura, per la creazione di utensili. Non bisogna dimenticare che l’ossidiana di Lipari arrivò fino all’Italia settentrionale e sulla costa orientale dell’Adriatico in blocchi.
Accanto all’ossidiana veniva sfruttata anche la selce che proveniva dai ricchi giacimenti dei Monti Iblei, in particolare Comiso nel Colle Tabuto vicino il Castello di Canicarao.
Gli “Stentinelliani” vivevano in comunità costituiti da villaggi, costituiti da capanne, nati soprattutto in quei siti favorevoli allo sviluppo dell’agricoltura. I villaggi erano in genere circondati da fossati circolari. Il sito vicino Siracusa presentava un fossato che circondava un area di (253 x 237) m, aveva una profondità di circa 1,40 metri e da 1,5 a 3,6 metri di larghezza.
La ceramica all’inizio era costituita da un impasto molto grossolano di colore bruno ma in seguito diventò sempre più raffinata raggiungendo un’alta qualità.
Era modellata a mano e i prodotti erano costituiti da tazze, pentole, giare, scodelle a labbro rientrante. Le bottiglie erano le forme più prodotte.
Le forme aperte, con l’apertura più grande del corpo, prevalsero nel periodo più antico mentre successivamente furono prodotte le forme chiuse. Caratteristica fu anche la produzione di piccoli animali.
Una caratteristica della ceramica stentilleniana erano le decorazioni.
Decorazioni molto varie formate da bande o zone geometriche costituite da zig-zag, piccoli cerchi, linee, fiamme o puntini.
Particolari furono i rombi che rappresentavano gli occhi in una forma molto stilizzata.
Le decorazioni venivano incise o impresse, prima della cottura, con le unghie, con punzoni o ancora con conchiglie. Successivamente venivano riempite con pasta bianca ottenendo nel vasellame un aspetto policromo.
Il tipo di decorazioni diede il nome a diverse culture come lo stile di Kronio, di Serra dell’Alto, ecc.
Ma chi erano gli Stentilliani? Probabilmente dei Sicani che tra l’altro erano degli esperti navigatori. Il villaggio di Stentinello è infatti molto vicino alla costa e sembra disporre anche di un piccolo porto adiacente come si rileva dall’immagine satellitare.
Mara Guerri (1932-2023), già assistente di Paolo Graziosi e già ricercatrice presso l’Università di Firenze. Fu direttrice del Museo e Istituto fiorentino di Preistoria per diversi anni. La sua ricerca, essenzialmente sul Paleolitico, si svolse in Sicilia, Calabria, Puglia, Toscana e Liguria per quanto riguarda le missioni di scavo, più saltuari interessi la portarono a condurre importanti studi in Africa e in Asia.
Anche Lei una grande archeologa
Seppe interpretare in modo perfetto il grande compito dell’archeologia..
Lo studio dell'antichità deve saper far parlare i documenti archeologici, dalle statue e dagli archi di trionfo ai più umili frammenti fittili, il loro eloquente linguaggio.
Villaggio preistorico dell’Età del Rame
Area di interesse archeologico ai sensi dell’Art.142 lett m, D.lgs.42/04
L’abitato di Poggio dell’Aquila è uno dei più importanti siti preistorici della fascia pedemontana etnea. Presenta una articolata successione stratigrafica e delle strutture abitative riferibili alle fasi finali dell’Eneolitico. Purtroppo gli scavi non hanno mai assunto un aspetto sistematico ed i dati raccolti, legati ai reperti rinvenuti, non permettono di visualizzare in modo chiaro le varie facies archeologiche. Il Poggio dell’Aquila è una collina di circa 590 m s.l.m. posta in contrada Pulica. Si tratta di una balza lavica che fa parte di colline di modesta altezza che delimitano il lato settentrionale dell’ampio terrazzo vulcanico della Fogliuta.
Frammenti di probabile intonaco con impronte straminee (strame di paglia).
Carbonia: 3500 a.C. – 2700 a.C.
IV-III millennio a.C.
Ambito Etrusco-padano : V sec. a.C. – Iv sec. a.C. (449 a.C. – 390 a.C.)
Frammento di concotto con impronte lasciate dall'incannucciato. Argilla ben depurata di colore rosa-arancio, spesso rossa in frattura.
I concotti testimoniano l'uso di rivestire le pareti delle abitazioni, realizzate con intrecci di canne e ramaglie, con argilla cruda, a scopo isolante. Questo rudimentale tipo di intonaco veniva probabilmente lisciato e scottato col fuoco: sul pezzo si nota chiaramente l'impronta lasciata dai rami su un lato, mentre l'altro appare molto più regolare.
Argilla concotta che formava il rivestimento delle pareti
Età del Bronzo
Planimetria generale della zona di scavi A
Le strutture: A1 – A2 – B.
Il tratto orientale della capanna.
Al centro, la struttura murarla dell'età del Bronzo antico
Ceramiche rinvenute sul suolo della struttura quadrangolare
dell’Età del Bronzo Antico.
Capanna
A.2

Sezione Est-Ovest del saggio stratigrafico a Nord della capanna A1.
Ceramica dipinta “stile di Adrano” – Capanna A2
Particolare della massicciata di pietre posta sotto la capanna A2.
Il settore a nord del settore A presentava, al momento dello scavo, una distesa. di pietrame proveniente dal crollo delle strutture e la loro asportazione (Tagli N. 1-4) permise di mettere in luce il muro perimetrale di una capanna, conservato per un solo filare, indicata come struttura C.
La capanna C vista da Nord.
Un’attività svolta sempre con grande impegno e con straordinari risultati.
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Il perimetro murario era realizzato da un telaio litico formato da grandi pietre (struttura C e Al) e in qualche caso rivestito con pietrame di pezzatura più piccola.
Dettaglio del muro perimetrale della capanna C
Fossa con paramento litico contenente le ossa di cervo.
Interno della capanna A1
La Capanna Preistorica di contrada Serro di Scarvi (Casa Sollima) (Troina - Enna)
Struttura della capanna preistorica datata all’Età del Rame (IV – III millennio a.C.).
La capanna era costituita da un paramento litico ed aveva una dimensione di (10 x 12) metri ed un’altezza interna di 3 – 4 metri,
ospitava una famiglia, probabilmente seminomade, di circa 10 persone.
Il muro della capanna prosegue verso Nord creando un probabile recinto non coperto.
Gli scavi, eseguiti in diversi punti della capanna, riportarono alla luce notizie importanti
Anche sulle abitudini alimentari della piccola comunità e sul tipo di animali che allevavano.
sviluppato fra il 1990 ed il 2000, eseguito nel territorio di Troina (Enna) in Contrada
“Serro di Scarvi”. Gli scavi furono eseguiti da un gruppo di ricercatori provenienti
da tutta Europa. Un progetto di Caroline Malone con il contributo di Simon
Stoddart, docenti dell’Università di Cambridge.
“Casa Sollima” a circa 650 m s.l.m. ed esattamente sulla estremità
Occidentale di un piccolo altopiano.
Eneolitico-prima Età del Bronzo, III – II millennio a.C.
I frammenti ceramici erano costituiti da setacci e colini oltre a vasi
tronco-conici che presentavano la base forata (scolatoi). Nel periodo neolitico
la vita dell’uomo mutò radicalmente. L’agricoltura ebbe un suo repentino sviluppo e l’uomo di
trasformò da nomade a stanziale. Le tecniche agricole, come la rotazione, costringevano
la comunità ad occupare il territorio per un periodo più lungo.
Nacquero così i primi villaggi e accanto allo sviluppo di una nuova agricoltura si attuò
di aiuto nelle attività agricole.
L’addomesticamento degli animali si differenziava per specie secondo la tipologia del territorio:
i bovini nei terreni pianeggianti e con buone risorse idriche; i suini nelle colline e nelle zone dove le risorse idriche erano limitate e gli ovini/caprini nei terreni più impervi.
Le analisi archeobotaniche rilevarono la presenza di orzo grano
e diversi tipi di legumi.
Focolari per la cottura dei cibi e pozzetti che furono utilizzati come silos furono
rinvenuti sia nell’interno della capanna che nell’area del recinto.
Oltre agli abbondanti resti di capro-ovini e suini, furono rinvenuti all’interno
della capanna numerosi frammenti di vasi-colino e bollitoi utilizzati
per la trasformazione del latte e la relativa produzione di formaggi
Il museo, voluto dal sindaco archeologo e allestito dagli esperti di Cambridge, può essere visitato nella Torre Capitania di Troina dove è possibile vedere i reperti di cui abbiamo parlato insieme ad altro materiale rinvenuto durante gli scavi.
Testimonianze di una attività casearia già nel periodo eneolitico (3000-2000 a.C.) la più antica, a oggi nota in Sicilia, forse in Europa e, chissà nel mondo.
Serra del Palco di Milena (Caltanissetta)
Planimetria dell’abitato Neolitico (Guzzone 1994)
Datazione: 3000 a.C.
Ceramiche dei livelli dell’Eneolitico Medio, recuperati al di sotto della capanna A2.
e nel resto delle Eolie.
Ceramica dipinta nello stile di Adrano – Capanna A2
La grotta è costituita da due grandi ambienti uniti da una vasta galleria e si svolge in direzione est ovest Aveva due ingressi uno dei quali ostruito. Ha pareti e volte solide e presenta belle formazioni stalattitiche e stalagmitiche soprattutto nella galleria. Il deposito stratificato comprende un quadro completo della preistoria siciliana:
Neolitico superiore (Stile Diana- Masseria Bellavista;
Eneolitico Iniziale (ceramica dipinta dello stile del Conzo;
Eneolitico Medio (ceramica dello stile di Serraferlicchio);
Eneolitico Superiore (ceramica stile Chiusazza Malpasso;
Bronzo antico (ceramica dello stile di Castelluccio);
Bronzo medio (ceramica dello stile di Tahapsos);
Bronzo tardo (ceramica dello stile di Cassibile);
Età storica (ceramiche e statuine fittili di età greca-romana).
Località: Chiusazza Sito sottoposto a vincolo archeologico
La Grotta è anche un sito di interesse geologico: Grotta Chiusazza
Vincolo archeologico ex art.10 D.lgs. 42/04 (vincolo diretto
D.A.//1984/10/05//n.1998;
D.A.//1986/05/01//n.1562;
D.A.//1987/07/31//n.1964
(Fonte testo scheda di rilevazione n. 123 Piano Paesistico della Provincia di Siracusa – Beni Archeologici)
Bacino su piede.
Suolo superiore della capanna A2
La capanna A2 viene distrutta forse da un incendio, come indicarono le chiazze di terra bruciata sull'ultimo piano pavimentale. Il repentino abbandono della struttura, inoltre, sarebbe indicato dalla dispersione delle suppellettili che furono lasciate in situ. Lo strato di crollo dei muri venne spianato e su esso si impostò la capanna Al a pianta circolare. Il materiale ceramico proveniente dall'ultima fase di occupazione del villaggio, documentata dai complessi delle capanne Al. B e C., presentava significative differenze rispetto alla fase precedente. L'aspetto più significative fu certamente la scomparsa della classe dipinta nello stile di Adrano e quella a superficie marrone-giallina lustrata.
Il panorama morfologico risultava rappresentato dalla classe a superficie monocroma rossa che presentava una maggiore varietà tipologica rispetto alla fase precedente. L'elemento di novità fu rappresentato dall'introduzione del tipo del bicchiere semiovoide a piastra sopraelevata su breve piede troncoconico.
Ceramica a superficie rossa lustrata rinvenuta sul suolo della capanna A1
Tazze a vasca fonda e superficie rossa lustrata dal suolo della capanna Al
Le capanne Al, B e C sarebbero state abbandonate in modo repentino, tant'è che vennero lasciate in situ sul piano pavimentale le suppellettili domestiche. Solo nel caso della struttura Al le ampie chiazze di bruciato sul suolo potrebbero essere in rapporto con un incendio, forse provocato dal crollo della copertura straminea all'interno della struttura. Uno strato di pietrame, proveniente dal dissolvimento delle strutture murarie, ricopriva le capanne e gli spazi esterni tra le singole unità domestiche. Al di sopra di questa distesa di pietre e grumi di argilla venne costruita, all'incirca nello spazio interno del perimetro della capanna Al, una struttura rettilinea ad angoli stondati, della quale fu identificata solo una piccola porzione conservata per un solo filare, dal momento che lo strato che la inglobava risultava fortemente alterato dai lavori agricoli moderni. Sul lembo di piano pavimentale superstite, costituito da uno strato di terra scura battuta, furono raccolti pochi frammenti ceramici che, sul piano morfologico e dell'impasto, differivano dal repertorio vascolare dell'ultima fase di vita, del villaggio. Le forme includevano ciotole o scodelle a vasca fonda, con parete concava e breve orlo e colletto, con la superficie rivestita di vernice rossa lucente su cui era stesa una decorazione dipinta in bruno.
Ceramiche rinvenute sul suolo della struttura quadrangolare dell’Età del Bronzo Antico
L'industria litica si contraddistingueva per l'impiego di quarzite, ossidiana e di una varietà di selce di colore biancastro. In tutti i livelli dell'abitato l'elemento che caratterizza la composizione dell'industria litica era l'ossidiana, che risultava notevolmente abbondante soprattutto negli strati riferibili alle fasi di vita della capanna A2. Furono raccolti centinaia di reperti tra i quali alcune piccole lame abbastanza regolari e un paio di grattatoi su estremità di lama corta.
Inoltre, sul suolo della capanna fu rinvenuto un piccolo nucleo in ossidiana di forma irregolarmente poliedrica. La selce era rappresentata da un discreto numero di esemplari e includeva in prevalenza lame a sezione triangolare e qualche robusta punta a ritocco bifacciale. In ognuna delle strutture furono rinvenuti oggetti in pietra e strumenti da lavoro in basalto, come pestelli-trituratori, lisciatoi e macine a forma di navicella.
Nelle due fasi di vita dell'insediamento venne impiegato il medesimo tipo di fuseruola d'impasto grigio, dalla forma biconvessa e sempre di grandi dimensioni. Solo nell'ultimo momento di occupazione (suoli delle capanne Al, B e C) apparve il rocchetto fittile a piani discoidali, che con molta probabilità era impiegato come peso da telaio. Una decina di esemplari, tra frammentari e integri, di corni o phalloi di terracotta grossolana. I phalloi che, in qualche caso, erano provvisti di una base a disco. Questi reperti rappresentavano un'importante testimonianza di attività di natura cultuale che potrebbe essere in stretto rapporto con la sfera domestica, come lascia suggerire la distribuzione uniforme all'interno delle singole unità abitatile.
Gli strumenti in ossidiana per le analisi di laboratorio, per la definizione della caratterizzazione e della provenienza, furono affidati al Laboratorio Landis/ INFN di Catania. I risultati preliminari provenienti dalle analisi sui manufatti dell'ultima fase del villaggio confermarono l'appartenenza delle ossidiane alla grande famiglia eoliana. In ambito coatto l'ossidiana è ancora presente in maniera cospicua nei livelli della cultura di Piano Quartara.
Il villaggio sul Poggio dell'Aquila. di Adrano, grazie alla sua articolata successione stratigrafica e architettonica, offrì l'opportunità di ricostruire in chiave diacronica lo sviluppo delle principali culture dell'Eneolitico medio e tardo nel comprensorio etneo. I dati erano ancora in corso di elaborazione, ma la griglia di inquadramento crono-tipologico può considerarsi in massima parte definita nelle sue linee generali. La fase media dell'Eneolitico era rappresentata dalla classe ceramica di Piano Conte che, nell'articolazione formale e nella coesistenza dei due principali gruppi (la ceramica a solcature e quella monocroma a stralucido), trovava, precisi paralleli nelle coeve culture eoliane. Pochi erano i frammenti dipinti in bruno su fondo rosso nello stile di Serraferlicchio e questo dato risultava in piena sintonia con quanto fu riscontrato in altri siti della media valle del Simeto dove questa classe risultava scarsamente documentata.
Comparve in questa fase anche la varietà di ceramica dipinta in bruno su fondo chiaro, nota come stile di Adrano e per la quale oggi si è in grado di proporre, in base alla nuova successione stratigrafica della capanna A, una parziale contemporaneità con la classe di Piano Conte. Per altro, non va taciuto che un frammento nello stile di Adrano, di probabile importazione, fu recuperato tra i materiali della stazione eponima di Piano Conte a Lipari, mentre un secondo frammento, con il medesimo trattamento della superficie e decoro, proveniva dai livelli medio-eneolitici sull'acropoli di Lipari. La messa in opera del primo impianto di capanne (struttura A2) coincideva con l'introduzione delle unità abitative con paramento litico e pianta ovale, mentre sul piano del repertorio vascolare si registravano significativi elementi di novità, quali le tazze o ciotole con anse a gomito e i vasi a bocca ovale che rimandavano al patrimonio della cultura eoliana di Piano Quartara. Dominava, in termini di rapporti di percentuale, la classe ceramica a superficie lustrata in vernice rossa, ma continuava la produzione dei vasi dipinti in bruno su fondo chiaro nello stile di Adrano.
Sulla grotta Maccarrone non ci sarebbero molti riferimenti. In un sito di speleologia risulterebbe oggi non più identificabile,
Dai dati in mio possesso era ubicata:
Un’ipotesi che avrebbe bisogno di precise conferme.
Il culto di queste acque era legato alle loro presunte virtù salutari. Un culto che fu attestato nella grotta Palombara di Siracusa.

La tipologia funeraria era legata alla deposizione dei defunti all’interno di pozzetti circolari nel deposito terroso posto al di sopra del pavimento della grotta. I pozzetti presentavano le pareti rivestite di pietre.
Nella grotta Maccarrone furono rinvenuti tre pozzetti, con deposizioni singole forse non in connessione anatomica. Alcune di queste sepolture presentavano dei corredi importanti forse legati agli aspetti sociali del defunto.
La sepoltura in grotta sarebbe uno dei passaggi culturali tra l’Età del Rame e l’Età del Bronzo.
La pratica funeraria subì delle modifiche come quella di deporre vasi e libare (offrire alla divinità versando vicino al defunto un liquido). I vasi dovevano avere un preciso repertorio vascolare con forme specializzate legate all’attività funeraria.
Quali forme dovevano avere questi vasi adottati nelle pratiche funerarie?
Un aspetto che, secondo l’archeologo Bernabò Brea, segnò la fine dell’Età del Rame. Per altri archeologi fu invece un semplice stile ceramico coesistente con le ceramiche monocrome della facies di Malpasso.
Nel corso del Bronzo Antico la ceramica subì una evoluzione stilistica e naturalmente tipologica.
Bernabò Brea indagò su queste nuove tipologie di ceramiche che furono rinvenute nelle grotte etnee.
Le coppe su alto piede assunsero un aspetto più slanciato, legato alle dimensioni della coppa e alla posizione delle anse.
Una modifica subirono anche la tazze-attingitoio e le anforette che presero il posto di quelle globulari.
Questa nuova tipologia di ceramica si evidenziò nei corredi delle tombe a pozzetto della grotta Maccarrone.
Anche alla Fogliuta, nel “deposito Sapienza” vennero recuperati vasi con questo nuovo stile. La grotta della Fogliuta non era però destinata a scopi funerari ma di culto.
Nella grotta fu infatti ritrovato un inumato, in una fossa rivestita di ocra, con vasellame risalente all’Età del Rame Finale. La documentazione non permise di stabilire se in altri ambienti della grotta fossero presenti o meno altre sepolture primarie.
Sembra che di questa grotta si siano perse le tracce.
Anche la sepoltura (indicata con N.1) nella grotta Petralia di Catania sarebbe primaria.
Nella sepoltura della grotta Petralia fu rinvenuta solo la testa, un braccio e poco altro. La sepoltura presentava una copertura con grandi pietre e scheggioni. Aveva il cranio a sua volta protetto con pietre che non lo toccavano.
Non si riuscì a stabilire se si fosse in presenza di uno scheletro in origine integro o se fu sottoposto ad un tentativo di ricomposizione secondaria.
https://www.grottapetralia.it/wp-content/uploads/2016/05/IMG_2236.jpg
Anno eruzione: Prehistorical - Località: via Liardo 17 –
Sviluppo: 518 m - Dati carta I.G.M.: Catania, Foglio 270, - Dislivello totale: 21 m
Quadrante IV, Orient. SE, Ediz. 1971 –
Quota s.l.m.: 138 m - Longitudine: 15° 05’ 07” E - Latitudine: 37° 31’ 59” N
Deposito di ossa degli individui deposti nella grotta.
Non furono segnalati con certezza nelle grotte di Adrano, probabilmente per poca sistematicità delle ricerche di scavo, altri usi rituali individuati nella grotta Petralia di Catania. È probabile che azioni quali la frammentazione volontaria delle offerte funerarie, con spostamento e asportazione di frammenti, la "decapitazione" e il capovolgimento di vasi, abbiano rappresentato un fenomeno diffuso. I vasi ritrovati insieme ai resti umani nelle diverse grotte, infatti, furono per lo più ricostruiti, mai completamente, da numerosi frammenti. Inoltre, due brocchette dalla grotta Maccarrone erano entrambe prive del collo e potrebbero testimoniare la pratica di decapitare questo tipo di vaso e di renderlo, quindi, inutilizzabile in circostanze diverse e successive alla cerimonia funebre.
Un ritrovamento di alcuni decenni fa, purtroppo privo di documentazione, potrebbe fare pensare a deposizioni di tipo votivo e non funerario.
Alla periferia di Adrano, nella Grotta Spitaleri, una piccola cavità in seguito manomessa, alla fine degli anni '70 fu recuperato, assieme a pochi frammenti dipinti e ad una brocca dello stile Pellegriti-Marca (fine età del Rame), un singolare vaso "a gabbietta", con foro circolare sulla faccia anteriore e una piccola presa sottostante che richiamò modelli egei.
Vaso a gabbietta
Rinvenimento: Adrano – Grotta Spitaleri.
Materiale del reperto: Argilla grezza beige-rossiccia con abbondante tritume lavico; superficie originariamente lisciata..
Condizioni del Reperto: Piccola lacuna nella parte alta dell’apertura. Ricomposto un ampio settore, presa sbeccata.
Datazione: Antica Età del Bronzo ?
Dimensioni del Reperto: (altezza, 25,5 cm – base, 24 x 18,5 cm).
Numero inventario: 11082
Forma quasi parallelepipeda: parte superiore fortemente convessa e lievemente ad ogiva, pareti verticali appena arrotondate, base rettangolare con angoli arrotondati; la faccia anteriore, piana, presenta nella parte alta un’apertura approssimativamente ovoidale, nella parte bassa una linguetta orizzontale con estremità stondata (rendere tondo) (presa?).
Il reperto presenta numerosi problemi relativi alla sua datazione e alla sua funzione.
In assenza di dati stratigrafici, gli unici elementi di valutazione sono affidati ad aspetti tipologici-formali, quali il trattamento della superficie e la composizione dell’argilla, ricca di tritume vulcanico di grana fine, che rientrano nella lunga tradizione della ceramica di impasto tipica dell’età del Bronzo e del prima età del Ferro siciliana. Dal punto di vista formale, il vaso può essere probabilmente assimilato alla categoria dei modellini fittili. In Sicilia la più antica evidenza di rappresentazioni miniaturizzate di edifici si colloca nell’ambito della cultura di Castelluccio, momento al quale si datano i singolari modellini a pianta circolare dal complesso cultuale di Monte Grande (Agrigento), che rappresentano probabilmente degli spazi aperti con delle figure stilizzate. Nel caso del reperto in esame, la struttura dovrebbe fare riferimento ad uno spazio chiuso, nel quale il breve listello alla base dell’apertura potrebbe suggerire ad una sorta di soglia.
Elementi fittili in frammenti pertinenti a modellini molto simili a quelli di Monte Grande sono stati segnalati anche tra i materiali dal Santuario di Monte San Giuliano (Caltanissetta), sempre dell’età del Bronzo Antico, in esposizione presso il Museo Archeologico di Caltanissetta.
Al momento non sono invece noti modellini fittili nelle fasi successive dell’età del Bronzo siciliano, il manufatto di Adrano, per la struttura e la sezione ovoidale, richiama in qualche modo alla categoria dei vasi a gabbietta presenti, in contesti culturali e orizzonti cronologici diversi, in tutto il Mediterraneo centro-orientale.
Il modellino della grotta Spitaleri rimane al momento un unicum. La sua struttura chiusa e la forma irregolarmente ovoidale potrebbero simbolicamente riprodurre il luogo nel quale il manufatto fu rinvenuto, ovvero una grotta vulcanica. In tale ipotesi un possibile precedente può essere riconosciuto nel misterioso modellino fittile con figura maschile itifallica dalla necropoli eneolitica di Piano Vento presso Palma di Montechiaro (Agrigento). Un reperto collocato all’interno di una nicchia o di un antro. Reperto conservato soltanto in frammenti non reintegrabili fra di loro.
Una ipotesi tutta da dimostrare dato che mancherebbero ulteriori indizi archeologici.
Importante comunque la singolarità del complesso delle grotte etnee e in particolare, considerato il loro numero, di quelle del distretto etneo occidentale. Il seppellimento di individui e di gruppi familiari al loro interno, noto anche in altre zone della Sicilia, si originò, con ogni probabilità, durante la colonizzazione delle difficili pendici etnee, per la ricerca di un ambiente legato direttamente al mondo ctonio, in un contesto di religiosità legato all'elemento "terra".
Esso si mantenne qui però durante tutta l'Età del Bronzo Antico, in alternativa al sistema delle grotticelle a deposizione multipla del resto dell'isola, per assicurare la continuità post-mortem del gruppo familiare allargato, con le cerimonie connesse, in un contesto geologico certo non adatto ad altre soluzioni.
Grazie a questo processo si possono formare le gallerie di scorrimento lavico o tunnel di lava. In genere, hanno forma pressoché tabulare e si originano in seguito allo svuotamento della colata, la cui parte esterna per lo stesso processo precedentemente trattato, rimane in sede mentre la massa interna ancora molto calda e quindi fluida, scorre con perdita di calore relativamente lenta. Tale svuotamento si completa quando cessa l’alimentazione della colata stessa e la massa lavica della parte alta della galleria fluisce verso il basso per gravità e per pressione idrostatica, lasciando una cavità più o meno grande.
Antiche lettere tedesche e scandinave. esoterico, occulto, magico. predizione del futuro, predizione.
Un semplice masso roccioso eroso dalle acque del mitico fiume Simeto?
Ai lati della vasca sovrastante, più grande, si notano due fori rotondi forse usati per l’inserzione di pali che dovevano sostenere una tettoia. La descrizione non finisce qui perché ci sono altri aspetti che affascinano e che danno origine a tanti interrogativi che forse non avranno mai una precisa risposta.
Non sono visibili i gradini intagliati nella roccia che, procedendo dalla destra delle vasche, conducono all’estremità della roccia. La sommità della roccia forse fungeva da altare e dal quale il sacerdote invocava gli dei e offriva loro il sacrificio compito nelle vasche sottostanti.
La scanalatura presente nella vasca sottostante permetteva al sangue della vittima sacrificale di versarsi nel fiume.
https://www.adranoantica.it/?p=259
Il sangue sulle acque del fiume alimentava il dio Simeto. Acque che, scendendo a valle, irrigavano le fertili terre del Simeto permettendo agli Inessei di avere abbondanti raccolti. Inessei ( gli adraniti) che erano governati dal saggio principe sicano Teuto.
Il masso, posto quasi al centro del fiume, è molto levigato alla sua base. A sinistra è presente il materiale di riporto che è addossato al masso. Il materiale di riporto coincide con l’inizio della levigatura del masso avvenuta grazie all’azione delle acque. Il masso doveva quindi trovarsi al centro del fiume e probabilmente i Sicani o i Siculi dovevano usare delle zattere per raggiungerlo.
Le offerte sacrificali erano dedicate al dio Symaethus, fratello della ninfa Symaethide, a sua volta madre di Acis da cui prendono nome i vari comuni etnei posti a nord della città di Catania?
"cenno storico sul martirio e sul culto di Santa Domenica, vergine e martire" (Adernó 1911):
In suo onore sulla riva destra del fiume Simeto, in contrada Sciarone un tempio era stato dedicato a Santa Domenica. Adelicia (che aveva ereditato dal padre il vasto territorio di Adernó e che aveva istituito il grande conservatorio delle Vergini povere in Adrano, cui aveva donato le contrade Pulichello e Sciarone) raccomandava ai fedeli cristiani, abitanti presso le due chiese di Santa Maria (che si trovava sulla sponda sinistra) e di Santa Domenica che seguitassero a vigilare perchè non fossero profanate dai Saraceni.
Dell''antica Chiesa, forse di etá bizantina, che si trovava nel casale di Carcaci vecchio, oggi all'interno della proprietá del Cavaliere Ferrante di Carcaci, rimangono alcuni ruderi dell'abside, quasi sommersi da sterpaglie. In essa nel 1517 sostarono i cavalieri lentinesi, provenienti dal Convento di Fragalá, che lasciarono delle reliquie dei Santi Alfio, Filadelfio e Cirino.
Franca Meli
Da http://www.santalfioadrano.it/
Il cippo Sanfilippo presenta le quattro facce incise e alcuni storici ipotizzarono come le iscrizioni potrebbero essere riferibili a diverse lingue: cartaginese, greca, siculo/sicana e latina. Un ipotesi difficile da sviluppare dato che le facce del cippo non sono facilmente leggibili a causa dell’usura del tempo.
Virgilio e Plinio nei loro racconti fecero dei riferimenti alla Valle delle Muse.
Virgilio, nell’Eneide fa riferimento all’Ara dei Palici, sulle rive del Simeto, nel libro IX, v. 908.
Stavasi Arcente,
D’Arcente il figlio, in su’ ripari ardito
Egregiamente armato, e sopra l’arme
(905) D’una purpurea cotta era adobbato
Di ferrigno color, di drappo ibero;
Un giovine leggiadro, che dal padre
Fu nel bosco di Marte a l’armi avvezzo
Lungo al Simèto, u’ l’ara di Palico
(910) Tinta non come pria di sangue umano,
Più pingue e più placabile si mostra.
La valle delle Muse fu un sito frequentato da diversi etnie?Il sito del Mendolito era, per la sua posizione, un crocevia importante per gli scambi commerciali e questo favorì la convergenza di diverse etnie?Il luogo assunse una sua importanza con la reggenza del re sicano Teuto che fu citato da Polieno nel suo “Stratagemmi”.Non potendo Falari prendere per modo alcuno i Sicani in quella guerra in cui gli Agrigentini gli assediavano, portatovi di molto frumento fece fine alla guerra. Inoltre egli lasciò loro tutto il frumento che aveva negli alloggiamenti con questa condizione però che in iscambio di quello riceverebbe la ricolta vegnente. I Sicani l’accettarono con bell’animo. Ma Falari corrotti i provveditori dell’ abbondanza con denari, acciocché rovinassero i tetti delle case, fece sì che il frumento si venne a infracidare più facilmente. All’ incontro egli si prese secondo i patti quello che si mieteva. Perchè avendo dato i Sicani tutta la ricolta del paese loro a Falari, e ritrovando le loro provviste infracidate , costretti dal difetto del frumento s’ arresero a lui. Mandò Falari a domandare per moglie la figliuola di Teuto prìncipe di Vessa città di Sicilia ; la quale , e per ricchezze, e per grandezza avanzava tutte le altre città del paese. Il quale avendogliela promessa , egli collocò su cocchj soldati sbarbati in abito donnesco come serve , le quali portassero i presenti alla fanciulla. I quali entrati in casa sfoderarono le spade , e Falari subitamente sopraggiunto ridusse la città in sua possanza.(Polieno - in latino Polyaenus Macedo, in greco antico: Πολύαινος?, Polýainos- nacque in Macedonia nel II secolo d.C.Importante fu la sua opera “I Stratagemmi”. Una vera enciclopedia storica divisa in otto libri. In origine era una raccolta di ben 900 aneddoti, con esempi di coraggio o di virtù militari, detti memorabili e astuzie di guerra. Degli originari otto libri, parti del sesto e settimo libro sono mutile, e dei 900 stratagemmi iniziali ne sono rimasti 833.L'opera è scritta in un greco arcaicizzante ed è ritenuta un’opera dal grande valore storico.)
Stratagemmi di Polieno, a cura di Lelio Carani, 1821, incisioneIl principe sicano Telio visse tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo a.C.Secondo alcuni storici nell’epigrafe del Mendolito si potrebbe leggere il nome di Teuto.Le ricerche del prof. Francesco Branchina permisero di fare luce sul principe sicano Teuto.Al tempo del suo principato la città si chiamava “Innessa”.Il racconto di Polieno, nel suo “Stratagemmi”, è uno dei tanti stratagemmi militari che furono messi in atto da diversi strateghi in secoli diversi. Uno stratagemma messo in atto dal malvagio Falaride (Φάλαρις), tiranno di Agrigento dal 570 al 554 a.C., ai danni di Teuto, principe di Innessa.Teuto aveva una figlia , in età da matrimonio, che aveva ricevuto diverse proposte di matrimonio dai principi siciliani pretendenti, tra i quali il tiranno di Agrigento.Falaride in realtà non era interessato alla figlia di Teuto ma alle ricchezze della città che era una delle più ricche città Sicane. Il tiranno inviò dei messaggeri per presentare la richiesta di matrimonio. Gli ambasciatori erano dei giovani guerrieri sbarbati e vestiti da donne che erano scortati da veloci brighe.In realtà le “donne” portavano sotto le vesti delle armi per sferrare un attacco ed anche per visionare le reali ricchezze di Innessa.Il nome della figlia di Teuto?Secondo l'attenta ricerca del prof. Banchina, il nome della ragazza si potrebbe svelare attraverso delle comparazioni fiilologiche, storiche, culturali ed etniche.Teuto diede alla sua città un grande prestigio politico che fu accompagnato da un grande sviluppo economico.La produzione della ceramica aveva un mercato di vendita che si estendeva al territorio orientale dell’isola ed era caratterizzata dalla ripetuta raffigurazione di un volto femminile.Un volto femminile che lo storico Petronio Russo attribuì alla Sibilla Cumana.Un aspetto particolare sarebbe legato al fatto che il volto femminile sarebbe uguale in tutti i vasi della ceramica locale come se fosse il volto di una donna reale.In una pisside skyphoide, nota come “La toeletta della sposa”, conservata nell'antico museo di Adrano sito in un locale del liceo classico G. Verga, purtroppo trafugata assieme ad un altro vaso e a reperti vari dai soldati russi durante la seconda guerra mondiale ed oggi esposta al museo di Mosca, vi è raffigurata la celebrazione di un matrimonio. L'iconografia in questione si riferisca alla figlia di Teuto e al suo celebre e sicuramente faraonico matrimonio, che vide coinvolti pretendenti di tutta la Sicilia, così come emerge dal racconto di Polieno?Esempio di
Pisside Skyphoide Siceliota a Figure Rosselato alato b
Datazione: IV secolo a.C.
Produzione: Sicilia, Gruppo di Lentini.
Stato di Conservazione: ricomposta da frammenti con piccole integrazioni
Dimensioni: Altezza, 11 cm – Diametro, 13 cm.
CFR.: A. D.Trendall Red Figure Vases of South Italy and Sicily, London, 1989, p.235.
https://www.arsvalue.com/it/lotti/356734/pisside-skyphoide-siceliota-a-figure-rosse-datazione-iv-sec-a-c-materia-e
Materia e Tecnica: argilla figulina rosata; vernice nera lucente, eseguita a tornio veloce.
Vasca con labbro obliquo verso l’interno per l’alloggiamento del coperchio; vasca troncoconica a profilo convesso, piede ad echino modanato
Decorazione Accessoria:
vasca interamente verniciata in nero ad eccezione dell’interno delle anse, dell’attacco col piede e della parte inferiore del piede; sul bordo fascia risparmiata con decorazione a puntini, sotto le anse grande palmetta aperta fra volute e infiorescenze, alla base della scena figurata meandro ad onda.
Decorazione:
Lato A: figura femminile seduta a sinistra sopra uno sgabello con i capelli raccolti in una crocchia sulla nuca e fermati da una tenia; la donna, a torso nudo, è in atto di suonare un cembalo ed indossa un mantello drappeggiato intorno alla vita e alle gambe, di fronte a lei un arbusto ed una situla;
Lato B: giovane donna gradiente a sinistra e retrospiciente, con le braccia sollevate ed una cista nella mano sinistra; la donna ha i cappelli raccolti in una crocchia ed indossa un chitone plissettato fermato in vita da una fascia le cui pieghe si aprono seguendo il movimento.
Pisside skyphoide di Gruppo di Lipari (ultimo quarto SECOLI/ IV a.C)
Materia e tecnica: argilla depurata, dipinta a figure rosse.
Sovradipinta in vernice bianca fiammeggiata di giallo.
Misure: altezza 22 cm - diametro bocca, 14,5 cm – diametro base, 7,3 cm –
Coperchio: altezza, 9 cm – diametro 13,3 cm
Decorazione: sotto ciascuna ansa: palmetta tra due girali e mezza palmetta.
Sul coperchio: tre rami di alloro si alternano a cuscini ricamati, qua e là
ritocchi di vernice bianca.
Condizioni del reperto: ricomposto. Superficie abrasa.
Vernice a tratti evanida (debole, evanescente). Coperchio scheggiato sul bordo.
Il pezzo è stato integrato e ricomposto da numerosi frammenti.Il matrimonio si celebrò intorno al 560 a.C. circa e Falaride regnò, come tiranno di Agrigento, fino al 554 a.C.Dal momento del matrimonio non si hanno più notizie su Innessa.Nel 480 a.C. appare al fianco di Gelone, tiranno di Siracusa, che sta conducendo una guerra contro i Cartaginesi, una potente città alleata, Etna.In realtà Etna ed Innessa, come emerge dalla lettura di Diodoro, non sono altro che due nomi diversi per indicare la stessa città, inizialmente denominata, sino al periodo di Teuto, Innessa e rinominata successivamente prima Etna, poi di nuovo Innessa nel 478 a.C., dal tiranno di Siracusa Jerone (il quale aveva contemporaneamente attribuito il nome di Etna alla città di Catania, ingenerando confusioni interpretative tra gli storici), ed infine Adrano.Il buco storico che vede assente Innessa dal 560 a.C. circa fino alla battaglia di Imera del 480 a.C. può essere dunque facilmente colmato immaginando le nozze di Etna, l'unigenita figlia di Teuto che, una volta sposata, avrebbe dato alla città il proprio nome.Il motivo della rinominazione della città - che non esclude però la sporadica coesistenza dei due nomi, Innessa ed Etna, come accade ancor oggi per Adrano, nota anche come Adernò - doveva sicuramente avere implicazioni di natura politica e socio culturale tipiche del popolo sicano.Era accaduto cioè che la successione al principato della città per via patrilineare si era probabilmente interrotta, non avendo avuto Teuto figli maschi.Secondo il prof. Brancina i nomi di cose, persone e città che ruotano attorno al territorio di Adrano posto sotto la giurisdizione di Teuto erano riconducibili ad una lingua nord europea, come la stessa epigrafe del Mendolito testimonierebbe il termine Innessa.Il primo nome della città, risulta formato da Inna ed essen, col significato "il cibo che cresce spontaneamente" o "il cibo contenuto nelle viscere della terra". Il nome Teuto, sempre secondo il prof. Branchina, indica un uomo appartenente al popolo dei Teutoni, popolo che sarebbe stato conosciuto in seguito, attraverso il racconto di Pitea di Marsiglia, che fece nel IV sec. a.C. un viaggio fino in Scandinavia.
Adhrano, l'attributo del dio sicano, composto dai lessemi Odhr e Ano significa "divino furore" o "furore dell'Avo"; ed infine Etna è un nome di persona comunissimo nelle sue varianti di Atina, Tina, nel nord Europa. Va segnalato inoltre che il nome proprio di persona Eithne faceva già parte dell'antichissima mitologia nordica, di quella irlandese in particolare, dove con questo nome veniva indicata una ninfa figlia del re Balor, moglie dell'eroe celta Cian (Ciane è il nome della ninfa trasformata in fiume da Plutone, presso Siracusa).
Con l'Irlanda Adrano condivide inoltre il simbolismo solare della spirale, incisa nei capitelli rinvenuti nel Mendolito. A Dowth, nei pressi di Dublino, fu rinvenuto un tumulo funerario del 2500 a.C. con inciso nella roccia tre spirali disposti a triangolo.
Ingresso della camera
3200 e il 2900 a.C.Dowth, nei pressi di Dublino, un tumulo funerario
Dowth è allineato con il solstizio d'inverno
Mendolito (Adrano)
CapitelloRinvenimento: Contrada Mendolito (Adrano)Materiale: Pietra lavica nerastra molto porosa.Datazione: VI secolo a.C.Dimensioni: (altezza, 59 cm – larghezza abaco, 53 x 37 cm – larghezza colonna, 29 x 29 cm).Numero Inventario: 11586Su una delle facce due volute a spirali; sull’altra due dischi crociati; abaco rettangolare; colonna quadrata. CapitelloRinvenimento: Contrada Mendolito.Materiale: Pietra lavica nerastra molto porosa.Datazione: VI secolo a.C.Dimensioni: (altezza, 54,5 cm – larghezza abaco, 39 x 31 cm – larghezza colonna, 28 cm).Numero Inventario: 11587
Si imposta su un rocco di colonna ottagonale.L’echino, molto schiacciato, segna il passaggio alle volute rese con due cerchi crociati; al centro due rilievi, forse bucrani, contrapposti; abaco rettangolare. CapitelloRinvenimento: Contrada Mendolito.Materiale: Pietra lavica nerastra molto porosa.Datazione: VI secolo a.C.Dimensioni: (altezza, 43 cm – larghezza abaco, 42 x 42 cm – larghezza colonna, 26 cm).Numero Inventario: 11588Di stile dorico. Si imposta su un rocco di colonna ottagonale. Alto echino arrotondato sormontato da abaco quadrangolare.Dal taccuino archeologico di Paolo Orsi (1898 – 1909).
Schizzi raffiguranti elementi architettonici di pietra lavica (Orsi – Pelagatti 1967 – 68)
Anche tre illustri re Irlandesi si chiamavano Teuto (Tuathal in irlandese), mentre altri tre re irlandesi, vissuti dal XV al III sec. a.C., portarono il nome, a noi oltremodo familiare, di Enna Airgtheach, Enna Derg, Enna Aignech.Molti nomi nordici, come per esempio quello di Andrea (An e odhr), che significa "potenza degli antenati", venivano utilizzati sia per gli uomini che per le donne, poiché il significato di tali nomi era perfettamente compatibile con entrambi i sessi. Pure il nome Etna ricade molto probabilmente in questa regola grammaticale. Infatti esso ha il suo corrispettivo nel nome sumero Etana, antico re di Kis, la prima città sumera in cui fu introdotta la monarchia (i Sumeri, secondo gli studi del prof. Branchina, traevano le proprie radici etniche da un popolo affine a quello dei Sicani).Il re Etana non poteva avere figli e temeva, fino all'esasperazione, il fatto di non poter continuare né la stirpe né la dinastia regale. Questo esagerato timore si giustifica però solo se si comprende il concetto romano e nord-europeo, dunque anche sicano e sumero, di "gentes", inteso quale moto generazionale che procurava l'immortalità agli avi: i discendenti cioè, attraverso la propria nascita, garantivano l'immortalità degli Avi.Il mito di Etana (sigillo?)
Ora, il significato del nome Etana è"colui che invoca gli antenati al fine di concedere loro una progenie".Infatti il nome risulta composto dai lessemi Et o hit, che in gotico significano invocare,e Ana col significato di nonna, antenata. Visto che il nome Etna o Aitna, in greco,non rappresenta altro che una variante sicana di quello sumero Etana,assieme alle varianti greca Atena, laziale Atina e germanica Tina,il nome della principessa avrebbe lo stesso significato già attribuito ad Etana,meglio traducibile con l'espressione: "colui che invoca una discendenza".Etna dunque fu per suo padre Teuto l'incarnazione dell'invocazione stessa rivolta agli Avi, probabilmente all'Avo per antonomasia, al nonno (Ahn in tedesco moderno) di tutti i Sikani, o meglio al dio Odhr-ano (Adrano), il cui santuario egli custodiva nella propria città, Innessa, rivestendo il ruolo di principe e sacerdote, come era di dovere nelle antiche società indoeuropee. Come tutte le invocazioni fatte da uomini, aderenti a qualsivoglia religione, timorati di dio, se fatte con vera fede vengono accolte dal Dio o Avo protettore della stirpe, pure quella di Teuto venne accolta da Adhrano, l'Avo divinizzato dei Sikani\Sikuli. Ma la benedizione del dio sicano si spinse a manifestarsi oltre la carne e investì lo spirito se, ancora alla fine del IV sec. a.C., oltre due secoli dopo il principato del sovrano sicano nella città di Innessa\Etna\Adrano, sia Teuto, attraverso la scritta urbica del Mendolito, che sua figlia, immortalata nell'iconografia della ceramica adranita, vivevano nel ricordo e nei cuori della discendenza adranita, al punto da essere evocati quale simbolo della democrazia sicula contro i tiranni greci, nella feconda era adranita timoleontea.A confermare la reggenza di Etna nella città, prima della sua rinominazione in Adrano, ci sarebbe la presenza di un volto femminile nelle monete della zecca adranita.
Il Petronio Russo affermò come Adrano ebbe una zecca di dodici monete. Monete che furono pubblicate nel suo libro sulla storia di Adrano, facendone anche delle attente descrizioni.
Su queste monete c’erano dei volti femminili che il Petronio Russo attribuì alle dee Cerere e Proserpina, malgrado l’incisione faceva riferimento alla principessa Etna e l’iscrizione “Aithion”. Monete che furono rinvenute ad Adrano.Con il termine di “Adraniti” si indicavano i sacerdoti del dio Adranos, ipotesi confermata dal rinvenimento di una moneta, con sul dritto il profilo di una donna e sul rovescio un cavallo marino con la scritta ADRANITAN.Partendo dall’ipotesi che il volto raffigurato sulla moneta fosse quello di Etna, figlia di Teuto, e che il conio risalga prima del IV secolo a.C., la scritta ADRANITAN non sarebbe rivolta ai cittadini, dato che la città non si chiamava ancora “Adrano” ma Etna, ma ai sacerdoti quali evocatori “HILT” o “HELTAN”, della potenza o furore, “ODHR”, del dio Ano (ODHR – AN(O) – HEITAN).
Un’altra moneta presenta nel dritto la figura del dio mistico, con il capo coronato d’alloro e sul rovescio un toro con la scritta ADRANITAN. Il toro era il simbolo della città di Agrigento e la scritta si leggeva da destra verso sinistra, ciò testimoniava come la moneta fosse stata coniata prima che la cittadina adottasse la scrittura greca che si leggeva da sinistra verso destra. (quindi prima della nuova fondazione della città che, in realtà, si limito sono nella nuova rinominazione del centro con il termine di Adrano).
Il Toro era il simbolo di Agrigento e il cavallo marino con i delfini, creature marine, il simbolo di Siracusa. Forse le due monete furono coniate per proclamare la lega anti-cartaginese, durante il principato di Terone in Agrigento e del grande Gelone a Siracusa. Un’alleanza che portò alla celebre vittoria di Himera del 480 a.C., nella quale gli Etnei, futuri Adraniti, avrebbero dato un impulso eroico determinante per la vittoria sui Punici.
Dracma di AitnaUn’altra moneta presenta da un lato una lira con la scritta ADRANITAN e dall’altro il volto di un giovane uomo con il capo cinto di alloro che lo storico Petronio Russo identificò con Apollo.Secondo il Branchina il dio non sarebbe Apollo ma il dio locale Adrano, ritratto in versione mistica e non nella consueta versione guerriera. Emilitra in bronzo di Adranon che riporta nel diritto la testa laureata del
dio Arano (Apollo?), rivolta a sinistra con i calli che ricadono sul collo e
bordo di puntini. Al rovescio una cetra a sette corde con intorno la scritta
etnica AΔPANITAN in senso orario.La lira era strumento utilizzato allora in funzione liturgica al fine di esercitare, col suo suono melodico, una influenza estatica, spirituale, compatibile con il significato del verbo gotico Heitan, "invocare".(La lira era presente anche in una iscrizione sumera cuneiforme, nella quale si fa riferimento alla lira del dio Anu).Se la scritta fosse stata riferita agli abitanti della città e non ai sacerdoti del dio sarebbe stata Adranoy piuttosto che Adranitan. È probabile perciò che queste due monete fossero state coniate in due particolari occasioni di pericolo scampato per la città, di cui i sacerdoti si presero il merito, avendo evocato (Heitan) l'intervento del dio. Una potrebbe essere stata quella dell'incursione perpetrata ai danni della città dall'infido tiranno greco Falaride, durante i preparativi di matrimonio della principessa sicana, come raccontato da Polieno, motivo per cui sulla moneta fu coniata anche l'iscrizione del nome Aitnion; l'altro quello dell'assedio del tiranno Iceta nel 344 a.C., durante il quale si vide prima la statua del dio Adrano sudare e scuotere la lancia. Poi vennero viste le porte che si aprivano, motivo per cui gli abitanti accolsero amichevolmente il generale greco Timoleonte e al suo fianco si resero protagonisti delle più belle pagine di storia non scritta della nostra città: la cacciata dei tiranni greci da tutte le città siciliane.Ritornando alla Valle delle Muse c’è’ da dire che il sito si trova circa tre km dal tempio del dio Adrano. Un tempio che era famoso in tutta l’Isola e che era frequentato da genti provenienti dagli altri centri come si nota nel racconto che Plutarco diede nella “Vita di Timoleonte”.Sfuggito Timoleonte per mare e scioltasi l’assemblea, i Cartaginesi che presidiavano Reggio, mal sopportando di essere stati vinti mediante uno stratagemma, offrirono motivo di divertimento agli abitanti, se proprio loro che erano Punici non avevano gradito un’azione frutto d’inganno. Inviano dunque a Tauromenio un ambasciatore su di una nave, il quale, dopo aver discusso con Andromaco numerose questioni, esaltato in modo odioso e barbarico, qualora egli non avesse fatto uscire al più presto i Corinzi, mostrato infine il palmo della mano e poi di nuovo capovoltolo, minacciò di ridurgli allo stesso modo la città, rovesciandola sottosopra. Andromaco, dopo una risata, non rispose altro, ma ora stendendo il palmo della mano, come aveva fatto quello, ora il dorso, lo esortò a prendere il largo, se non voleva che alla sua nave, capovolta, toccasse la medesima sorte. Iceta nel frattempo, messo al corrente della traversata di Timoleonte e preso dal timore, fece giungere numerose navi dai Cartaginesi. Accadde allora che i Siracusani abbandonarono ogni speranza di salvezza, vedendo che i Cartaginesi s’impossessavano del loro porto, che Iceta occupava la città, che Dionisio era padrone dell’acropoli, e che Timoleonte stava invece come attaccato alla Sicilia per un lembo sottile della piccola città dei Tauromeniti, con deboli speranze ed un esercito ridotto. Egli infatti aveva a disposizione non più di mille soldati ed il vitto a questi necessario. Le città poi non davano fiducia, poiché oppresse dalle sventure ed inferocite verso tutti coloro che conducevano eserciti, e questo era dovuto in massima parte alla slealtà di Callippo e Farace, dei quali il primo Ateniese, l’altro Spartano, sebbene proclamassero di essere giunti per la libertà e per abbattere i tiranni, mostrarono alla Sicilia che le sventure subite sotto le tirannidi erano oro in confronto, e fecero apparire quelli che erano morti nella schiavitù più degni di coloro che avevano visto la libertà.
Aspettandosi dunque che il Corinzio non sarebbe stato migliore di quelli, ma che tornavano ad insidiarli le medesime abili lusinghe, resi docili al cambio del nuovo padrone con speranze generose e benevole promesse, erano sospettosi ed evitavano le proposte dei Corinzi, eccetto gli abitanti di Adrano. Questi, che abitavano una piccola città consacrata ad Adrano, un dio onorato in diverso modo nell’intera Sicilia, erano in lotta gli uni con gli altri, poiché alcuni si schieravano con Iceta e i Cartaginesi, altri invece si volgevano verso Timoleonte. E mentre entrambi s’impegnavano per giungere tempestivamente, per caso avvenne che giunsero nello stesso momento. Tuttavia Iceta arrivò con cinquemila soldati, Timoleonte invece ne contava complessivamente non più di mille e duecento. Dopo averli presi da Tauromenio [estate 344 a.C.], distando Adrano trecentoquaranta stadi, durante la prima giornata non si avvantaggiò molto nella marcia e si fermò a riposare, mentre il secondo giorno, avendo coperto rapidamente il percorso ed avendo attraversato territori impervi, verso sera venne a sapere che Iceta si era appena avvicinato alla piccolissima città e che poneva il campo. I locaghi e i tassiarchi allora fecero fermare i primi, per poterli utilizzare con più prontezza dopo che avessero mangiato in fretta e riposato per qualche tempo, ma Timoleonte, sopraggiunto , chiese di non farlo, di condurre invece l’esercito velocemente e di venire a contatto con i nemici che non erano ancora schierati, come era naturale avendo questi appena terminato la marcia ed essendo impegnati nell’allestimento delle tende e nella cena. E nel mentre diceva queste cose, raccolto lo scudo si mise al comando come verso una vittoria evidente; quelli incoraggiati lo seguirono, essendo distanti dai nemici meno di trenta stadi. Come ebbero percorso anche questa distanza, si gettano sui nemici in disordine e che si davano alla fuga, non appena compresero che quelli si stavano avvicinando. Di conseguenza ne vennero uccisi non più di trecento, e ne vennero catturati vivi il doppio, e fu conquistato anche il campo. Gli abitanti di Adrano dopo aver aperto le porte della città si unirono a Timoleonte, raccontando con paura e meraviglia che, nell’imminenza della battaglia i sacri portoni del tempio si erano aperti da soli, che si era vista la lancia del dio scuotersi dalla sommità della punta ed il suo volto grondare copioso sudore.
duemila opliti e duecento cavalieri i quali, giunti nei pressi di Turi, vedendo che l'attraversamento risultava difficoltoso – il mare infatti era controllato dai Cartaginesi con numerose navi – data la necessità di trattenersi in quel luogo aspettando il momento migliore, utilizzarono il tempo a loro disposizione per un'opera assai degna. Ricevuta in consegna la città, poiché gli abitanti di Turi erano impegnati in una spedizione contro i Bruzii, la difesero fedelmente e senza macchiarsi d'infamia, come fosse stata la loro patria. Intanto Iceta, mentre assediava l'acropoli di Siracusa ed impediva che i rifornimenti di grano giungessero per mare ai Corinzi, preparati due stranieri ai danni di Timoleonte, l'inviò segretamente ad Adrano con il compito di assassinarlo, non avendo questi una sorveglianza disposta attorno alla sua persona e trovandosi in quel momento, per via di una cerimonia sacra, del tutto disimpegnato, tranquillo e senza sospetti insieme agli Adraniti. I sicari, venuti casualmente a sapere che Timoleonte era in procinto di celebrare un sacrificio, giunsero al tempio, recando i pugnali sotto al mantello e, mescolatisi a quanti si trovavano attorno all'altare, si fecero man mano più vicini. Ma, mentre si esortavano l'un l'altro ad iniziare la loro opera, un tale colpì con un pugnale uno dei due alla testa; caduto a terra non rimase né chi aveva sferrato il colpo né chi era giunto assieme a quello rimasto colpito, ma l'uno, come ebbe raccolto il pugnale, fuggì verso una rupe elevata e vi balzò sopra, l'altro invece, strettosi all'altare, implorò Timoleonte di aver salva la vita, se avesse rivelato ogni cosa. Ottenuto quanto chiedeva, denunciò se stesso ed il morto dicendo che erano stati inviati per uccidere Timoleonte. Intanto altri trassero giù anche quello dalla rupe, il quale andava gridando di non essere in alcun modo colpevole, ma di aver ucciso a buon diritto l'uomo per vendicare la morte del padre, che quello aveva ucciso tempo prima a Leontini. Ed ebbe a testimoni alcuni fra i presenti i quali al contempo rimasero meravigliati dall'ingegnosità della sorte: mettendo in movimento una cosa tramite l'altra, riunendole tutte insieme seppur separate e distanti, intrecciandole con quelle che paiono assai diverse e non avere alcunché di comune fra loro, ogni volta essa fa del termine di una il principio dell'altra. I Corinzi dunque ricompensarono l'uomo con un dono di dieci mine, poiché aveva messo un giusto sentimento a disposizione di quel dio che proteggeva Timoleonte, e non aveva sprecato il primo proposito che era con lui da lungo tempo, ma insieme a motivazioni personali lo aveva conservato sotto la guida della sorte per la salvezza di Timoleonte. La buona fortuna legata alla circostanza presente diede speranza anche per quelle future ed indusse ad onorare e proteggere Timoleonte quanti scorgevano in lui come un personaggio sacro ed un vendicatore giunto in Sicilia con il favore divino. Nella Valle delle Muse venne anche ritrovata, sul capitello di una colonna, un’iscrizione in caratteri greci (?) che fu tradotta dal Petronio Russo con il nome diErcole.Sempre, secondo le relazioni del Petronio Russo, nei pressi del sito sorgeva il tempio di Marte e che l’attuale chiesa di Santa Domenica fu costruita sulle fondamenta del tempio di Venere.La Valle in esame si trovava al di fuori delle mura della città e che i luoghi sacri erano dedicati a dei stranieri, in massima parte greci e, nel caso dei Palici, probabilmente cartaginesi (come riferisce il prof. Branchina).Il culto delle Ninfe era invece di chiara origine indigena e quindi collocato in un ambiente agreste.Il tempio del dio Adrano si doveva invece trovare dentro la città, nel punto più elevato.Un punto elevato che, circondato dalle mura, costituiva un cerchio mistico… invalicabile.Probabilmente nei pressi del Simeto era presente un emporio commerciale, luogo d’incontro fra gente delle città sicane circostanti e altre provenienti da diverse aree del Mediterraneo.Il sito del Mendolito sarebbe stato un importante punto strategico perché permetteva di penetrare verso la costa tirrenica per raggiungere Tindari, Alesa (fondata nel 403 a.C.), Cefalù, Himera (unica città greca) e un gran numero di villeggi citati da Tucidide e Cicerone.Il fiume Simeto, ad iniziare dalla valle delle Muse fino al porto di Catania, era navigabile. Una tesi sostenibile osservando la distanza fra le due opposte rive del fiume. Rive rocciose corrose alla base dalle impetuose del fiume in piena.Era forse presente una specie di consorzio di portuali o barcaioli “Cilliri”, un termine di cui rimase traccia nella città di Adrano.Il termine Cilliri, nella lingua nord-europea, riconduce ad ambienti portuali. Ma questa è ancora un’ipotesi che le indagini archeologiche potrebbero svelare.
Il sito del Mendolito non si sviluppò mai dal punto di vista architettonico malgrado la sua importanza.
Era un insediamento dove si stoccavano le merci in arrivo e in partenza, dove si acquistavano le vittime sacrificali. Erano presenti fabbriche, forni, negozi dove si producevano e si vendevano gli ex voto per i pellegrini. Si spiegherebbe così anche il carattere piuttosto rustico dei manufatti che si ritrovano nell’enorme area del Mendolito, con le imperfezioni dei disegni sui vasi, con le colature di colore. Gli oggetti, del resto, rimanevano solo qualche giorno nella cella della divinità, dopodiché, per motivi di spazio, i sacerdoti addetti al culto, erano costretti a rimuoverli per fare posto alle nuove offerte.Quanto detto fin qui sulle Ninfe e sulle Muse – il cui culto veniva esercitato in quest’area del fiume Simeto che Virgilio, nel libro IX dell’Eneide, raffigurò come boscosa (“Capi … l’aveva mandato di Sicilia il padre da lui nutrito nel materno bosco in riva del Simeto, ov’è la mite, ricca di doni, ara di Palico”) – impone l’obbligo di indagare ulteriormente su queste divinità agresti, molte delle quali sembrano affini a quelle del mondo celtico, l’Irlanda in particolare.
Il termine KILLICHIROI (CILLIRI) era un termine utilizzato dagli storici greci per indicare la popolazione pre-greca di Siracusa. Un termine che fu solo attribuito alla popolazione di Siracusa?
I Killiri o Cilliri erano probabilmente un’associazione” di lavoratori portuali e il termine fu adottato nella lingua dei profughi greci quando arrivano a Siracusa da Corinto nel 743 a.C. sotto la guida dell’ecista Archia.
Il termine fu poi esteso agli oppositori politici di Archia. Quando Archia si affermò a Siracusa prendendo in mano il governo della città, una delle sue prime azioni fu la monopolizzazione dei cantieri navali che affidò ai coloni greci escludendo i Siculi. Siculi esperti di navigazione, un’arte che avevano imparato dai Sicani, facenti parte dei “Popoli del Mare” che con le loro azioni nel Mediterraneo avevano creato nuovi equilibri politici.
I Siculi erano dei guerrieri e non sopportarono l’occupazione degli spazi sociali siracusani da parte dei coloni greci.
Perché il termine KILLIROI?Un termine che il prof. Branchina affermò di provenienze germanica che nella lingua attuale tedesca viene indicato con il vocabolo KIEL (CHIGLIA) da cui deriva KIELHOLEN (carenare una nave).
La chiglia è una trave longitudinale a sezione quadrata o rettangolare che percorre l'imbarcazione da poppa a prua nella parte sommersa destinata al galleggiamento (scafo). Ha sulle facce laterali delle scanalature chiamate batture, sulle quali, con un incastro semplice detto a palella, si incastrano le tavole del fasciame esterno.
Si tratta quindi di un elemento fondamentale di un’imbarcazione ed è progettato in funzione dell’uso della stessa imbarcazione.
Il termine KIEL-IRI diventò KILLIRI per indicare, almeno all’inizio, una manodopera specializzata nella costruzione di questa parte della nave, la chiglia.
Plutarco, nei suoi “Moralia, citò come in una nave vi erano uomini con diverse specializzazioni: quali marinai, ufficiali di prua, maestri nel remare, timonieri, manovali.
Il termine KIEL-IRI indicava non solo la manodopera specializzata nella costruzione della chiglia ma genericamente anche i marinai ed anche i portuali che in ogni caso avevano un’attività legata all’imbarcazione.È importante non confondere il termine KILLIRI/CIRILLI con la parola ILLIRI.Gli Illiri erano chiamati dai greci ILLIROI ed era un popolo che abitava l’attuale Albania. Un popolo che faceva della pirateria la sua principale ricorsa economica. Una vera e propria industria molto fiorente che vedeva nel Mare Adriatico la sua base. Nel 230 – 228 a.C:, sotto la reggenza della regina Teuta, gli Illiri raggiunsero il massimo dominio sul mare ed i Romani furono pregati dai popoli confinanti di intervenire per contrastare questo dominio illirico.I Romani dovettero affrontare una guerra per contrastare la pirateria illirica e alla fine cercarono di mediare con la regina Teuta ma la sua risposta non diede molte speranze.La regina disse chePoteva intervenire nella pirateria di stato, ma nulla poteva fare su quella privata,in quanto essa era una consuetudine del suo popolo.La guerra (la prima guerra illirica) durò ben due anni e fu vinta dai romani. Guerra che si concluse con un trattato di pace…La regina Teuta s’impegnava a non utilizzare più nessuna nave militare e lee le era consentito di servirsi di non più di due navi commerciali alla volta.Una flotta illira molto temuta e dovrebbe fare riflettere il termine Illiri come derivante da Kiel “esperti costruttori di navi e di chiglie”.Il termine KIEL è legato ad oggetti, uomini ed anche città che , in vario modo, entrano in contatto con le acque. In Calabria c’è il piccolo centro di Cirella, sulla costa tirrenica e un altro Cirella nella Val di Vara in Liguria, nei pressi del fiume Vara. Anche l’importante città di Kiev, posta sul fiume Dnepr, importante per i commerci perché collega il Mar Nero con il Mar Baltico.Nel campo commerciale la città di Kiev era molto importante per i Vichinghi che fornivano alla Russia non solo merci ma anche re come riportarono le “Cronache” di Nestore.Secondo le fonti fornite da Erodoto il fiume Dnepr nella lingua degli Sciti, antichi abitatori dell’Ucraina, veniva chiamato VARUSTANA, e gli Unni lo chiamarono VAR.Il prof. Branchina nell’epigrafe del Mendolito isolò il lessema VAR con il significato di “acqua”.Nella stele aveva individuato anche il termine TEUTO, principe di Inessa. Entrambi i termini, così come gli altri della stele, collegati ad una lingua nord europea molto simile all’attuale tedesco.Quindi per l’autore della ricerca i termini Cilliri, Cirella e varianti furono sempre utilizzati per indicare insediamenti umani posti nei pressi di un fiume o vicino ad acque navigabili. Fiume che spesso veniva chiamato VARARiassumendo quanto sin qui esposto, emergono singolari e non certo casuali affinità tra: gli Illiri o Illiroi della regina Teuta, pirati del mare o uomini della chiglia (kiel); la capitale Kiev, posta, come una chiglia o nave sul fiume Dnpr o Varustana, il corso fluviale che “conduce alla casa degli Avi” (vara, acqua – usa, casa – an, antenato); i Vareghi, coloro che vanno sull’acqua; i Killiri o Killiroi di Siracusa, abili costruttori di chiglie, navi e poi flotte navali talmente potenti da sconfiggere gli Ateniesi non solo nel mar di Sicilia, durante la guerra del Peloponneso, ma fin nel porto di Atene, sotto la guida del grande generale siciliano Ermocrate.La relazione tra i Cilliri e Teuto ed ancora con Adrano?La storia ha lasciato testimonianze di come il Simeto (l’antico LETE?) fino alla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento, spesso rompeva gli argini. Il fiume in certi punti poteva essere attraversato solo tramite l’uso di imbarcazioni. L’utilizzo di queste imbarcazioni veniva dato in appalto alle famiglie adranite.A queste famiglie venne probabilmente dato il soprannome di KILLIRI O CILLIERI, fino a tempi recenti. Infatti proprio ad Adrano esiste una piazza intitolata a questi “traghettatori” che avevano una grande importanza nella comunità sociale della città. Diedero infatti anche un nome al quartiere in cui abitavano (CILLARA, per indicare l’attività del traghettatore).Sotto il principato di Teuto questi traghettatori erano presenti lungo il Simeto e dovevano essere molto esperti perché allora il fiume aveva un regime d’acqua molto più elevato. Traghettatori che forse erano anche esperti nel costruire piccole imbarcazioni non solo in grado di traghettare da una sponda all’altra ma pure di scendere lungo il corso del fiume fino ad arrivare negli empori e nel porto di Catania. Piccole imbarcazioni che trasportavano prodotti che dovevano poi giungere, con imbarcazioni più grosse, nei vari centri del Mediterraneo. Molti reperti in pietra, ritrovati nell’area del Mendolito, hanno una caratteristica forma arcuata come a richiamare il profilo delle imbarcazioni. Forse degli ex voto resi alla divinità fluviale che aveva il suo altare nella Valle delle Muse.Cicerone, durante il processo di Verre, citò i Centuripini come fornitori di navi alla flotta romana.I Centuripini abitanti in un alto colle e dirimpettai degli Adraniti dal 213 a.C. godevano di una grande libertà che era stata preclusa agli adraniti.Adrano nel 213 a.C. fu sconfitta dai Romani, grandi tiranni del passato, e subirono non solo la chiusura del loro tempio dedicato al dio Adrano, quindi privazione della loro libertà religiosa, ma anche diverse penalizzazioni nelle loro attività economiche.Cicerone nel 70 a.C. affermò come la città di AdranoFu costretta alla cessione coatta di una parta dei propri terreni agricoli aiconfinanti Centuripini, premiati per il loro passaggio all’alleanza romana.I Centuripini avevano assistito alla distruzione, quasi totale, della vicinaAdrano da parte dei legionari romani, ed avevano chiesto una pace separata con i Romani.Questa azione li preservò dalla distruzione della loro città e li avvantaggiò.I centuripini guadagnarono, in questo modo, l’appellativo diConsanguinei dei Romani, come riferì Cicerone.Sembra che ai Centuripini venne concessa l’esclusiva facoltà di costruire delle imbarcazioni per la navigazione sul Simeto e di praticare, gestire i commerci fluviali che prima erano esclusiva degli adraniti di Teuto.Infatti nel tempo gli Adraniti si riappropriarono di quei privilegi perduti, tra cui quello importante del servizio di attraversamento del Simeto.Lo storico adranita, prof. Simone Ronsisvalle, rilevò nelle sue ricerche come fino all’Ottocento, i Centuripini dovevano pagare alla famiglia appaltante del servizio, gli Spitalieri di Adrano, un dazio sul passaggio del Simeto, nonostante lo scarso utilizzo da parte degli stessi centuripini.Quando i Greci giunsero in Sicilia furono accolti amichevolmente. Un’affermazione legata agli scritti di Diodoro Siculo che affermò comeDei megaresi furono accolti dal re sicano Iblone esi inserirono perfettamente nel tessuto sociale dell’Isola all’interno delle città.La stessa accoglienza non fu riservata ad Archia che in realtà non fu ecista di Siracusa ma piuttosto un esule aristocratico fuggito da Corinto.La vicenda di Archia fu narrata da Diodoro Siculo e da Plutarco….Fidone, re di Argo, decise di conquistare Corinto.Il suo obiettivo era quello di fare di Corinto la propria residenza perpoi passare alla conquista del Peloponneso.Agì con l’inganno….e chiese con una scusa 1.000 giovani corinzi tra ipiù validi e coraggiosi. Il suo intento non era amichevole, egli voleva provarela città di Corinto delle sue forze militari migliori. ma il suo piano fallì a causa deltradimento di due comandanti di Argo, Dessandro e Abrone.Abrone, per fuggire alle ire del re Fidone, prese la sua famiglia e si recò nella cittàdi Corinto difesa da possenti mura. Qui fu ben accolto dai corinzi per aver salvato la loro città.Abrone ebbe un figlio che chiamò Melisso, il quale a sua volta fu genitore di Atteone.Atteone era per virtù e bellezza il primo fra i corinzi.Per queste qualità aveva dietro una gran schiera di spasimanti che volevano sedurlo,dei quali il più ardimentoso era proprio Archia dei Bacchiadi.«Acteone, il più bello e più costumato giovane di sua età, e però amato da molti, ma sopra tutti ardeva per lui Archia della famiglia degli Eraclidi, il più ragguardevole e per ricchezza e per autorità che fosse infra i Corinti »Archia venne più volte rifiutato dal giovane Atteone e, non volendosi rassegnare,decise che lo avrebbe rapito. Con altri Bacchiadi della sua famiglia si presentò pressola casa di Melisso, padre di Atteone, per portare con sé il giovane.Archia e i suoi complici incontrarono la resistenza del padre Melisso che chiamò altrisuoi amici per impedire il rapimento del figlio.Nella gran foga che si creò, Atteone venne strattonato dagli uni e dagli altri, finendo lacerato, ucciso in questa maniera. Di tale tragedia Melisso invocò giustizia. Recante il corpo del figlio, si portò in pubblica piazza e qui pronunciò parole d'astio e rammarico verso i corinzi, i quali, dimentichi del bene fatto da suo padre Abrone, lasciavano che i Bacchiadi restassero impuniti per tale crimine commesso ai danni della sua prole.Egli voleva giustizia contro Archia, ma i corinzi temevano l'ereclida a causa della potente fama di cui erano stati insigniti i Bacchiadi. Vedendo che né Senato e né popolo osava parlare contro il colpevole, durante i giochi dell'Istimo, salì sul Tempio di Poseidone - o Nettuno - e maledicendo i Bacchiadi e invocando il nome di tutti gli dei, afflitto dal profondo dolore, si gettò da un dirupo, non sopravvivendo così al figlio.«... pregava [Melisso] per ricompensa della congiura scoperta da suo padre, che dovessero vendicar l'oltraggio, e la morte del suo misero figliuolo. Le parole di costui, e le lagrime, bench'elle avessero commosso assai gli animi de' popoli, e che i Senatori s'andassero immaginando di gastigar questa ribalderia secondo la severità delle leggi, tuttavolta la possanza d'Archia in tutta la città era tanto grande, che non si trovò mai alcuno, che lo volesse accusare, ne accusato pigliar la causa contra di lui.»(Tommaso Fzello – Della Storia di Sicilia. Deche due… 1817, pag. 218)Dopo la morte di Melisso incominciò un lungo periodo di carestia e pestilenza presso Corinto. Disperati gli abitanti andarono a consultare l'Oracolo delfico - il più importante tra gli oracoli dei greci - e questi rispose loro che l'ira del dio Poseidone era stata scatenata, e non si sarebbe mai placata fino a quando la morte di Atteone non sarebbe stata vendicata.Archia, che faceva parte della delegazione di corinzi mandati presso l'oracolo, udendo tali parole decise di auto-esiliarsi. Per i sensi di colpa che gli vennero nei confronti dell'intera città, o per il timore che l'ira funesta di Poseidone potesse abbattersi contro di lui se fosse rimasto a Corinto.Naturalmente ci sono altre narrazioni sull’episodio ma un dato sarebbe comune: Archia fuggì in esilio per giungere in Sicilia.La Sibilla delfica dipinta dal Michelangelo; colei che presso l'«Ombelico del mondo», in nome di Apollo, disse ad Archia di recarsi nel sito dove sarebbe sorta la futura Siracusa.
Nel 733 a.C. Archia, non si sa se il suo esilio fu volontario o in seguito ad una condanna, allestì più navi con un equipaggio costituito da amici e parenti per raggiungere la Sicilia.Strabone affermò come nell’equipaggio di Archia vi fossero anche del Megaresi del villaggio di Crommione (Krommyon).Giunti in Sicilia vennero accolti dal principe sicano Iblone, il quale fondò per loro una città chiamata Megara Ibla, come segno di fratellanza.Probabilmente Archia, personaggio importante, aristocratico, proveniente da una città illustre come Corinto, fu ospitato nella reggia di Iblone a Siracusa, città allora poco conosciuta.A Siracusa in quel periodo, come riferì Cicerone nelle sue Verrine, vi era un tempio dedicato ad Urio (Urios), un dio minore associato alla protezione ed alla guarigione.Il tempio di Urio, come quello di Poseidone della greca Kalauria (anche in Sicilia esisteva una città di nome Kalauria, nominata da Plutarco nella Vita di Timoleonte), veniva utilizzato dai supplici come intoccabile rifugio per scampare alle persecuzioni politiche.Nel tempio di Poseidone della greca Kalauria trovò, ad esempio, rifugio e, almeno la prima volta, protezione l’oratore Demostene (Atene 384 – Kalauria 322 a.C.), accusato di appropriazione indebita di somme di denaro di proprietà dello stato. Successivamente Demostene, incalzato da un certo Archia (vissuto 400 anni dopo l’Archia di Siracusa), che non si sarebbe fatto scrupolo di immolarlo sull’altare di Poseidone, preferì darsi la morte.Alla morte di Iblone, Archia riuscì a dare nuovamente vita al suo carattere avido, dispotico riuscendo a tessere delle trame politiche per dare vita alla prima tirannide di Sicilia, relegando i Siculi ed i Sicani, definiti KILLIRI dai greci, all’opposizione politica.Lo stesso Archia riuscì a coinvolgere nei suoi piani politici dispostici gli aristocratici di Siracusa, chiamati GAMOROI, isolando sempre più nel tessuto sociale l’opposizione dei KILLIRI.L’opposizione politica dei KILLIRI a Siracusa fu molto forte e si nota nel racconto di Tucidide sulla Guerra del Peloponneso. Nel 413 a.C. Siracusa venne attaccata dagli Ateniesi, guidati da Nicia. Una forte “intelligence” siracusana formata dai KILLIRI e dai GAMOROI pentiti cercarono di convincere Nicia, in grave difficoltà, a condividere la causa e cioè facendo fronte comune contro il governo siracusano di Archia.Plutarco e Diodoro Siculo affermarono come l’ecista ebbe due figlie, Ortigia e Siracusa, e fu ucciso dal suo amante Telefo.
Francesco Branchina…………………
D’Arcente il figlio, in su’ ripari ardito
Egregiamente armato, e sopra l’arme
(905) D’una purpurea cotta era adobbato
Di ferrigno color, di drappo ibero;
Un giovine leggiadro, che dal padre
Fu nel bosco di Marte a l’armi avvezzo
Lungo al Simèto, u’ l’ara di Palico
(910) Tinta non come pria di sangue umano,
Più pingue e più placabile si mostra.
Pisside Skyphoide Siceliota a Figure Rosse
Produzione: Sicilia, Gruppo di Lentini.
Stato di Conservazione: ricomposta da frammenti con piccole integrazioni
Dimensioni: Altezza, 11 cm – Diametro, 13 cm.
CFR.: A. D.Trendall Red Figure Vases of South Italy and Sicily, London, 1989, p.235.
https://www.arsvalue.com/it/lotti/356734/pisside-skyphoide-siceliota-a-figure-rosse-datazione-iv-sec-a-c-materia-e
Materia e Tecnica: argilla figulina rosata; vernice nera lucente, eseguita a tornio veloce.
Vasca con labbro obliquo verso l’interno per l’alloggiamento del coperchio; vasca troncoconica a profilo convesso, piede ad echino modanato
Decorazione Accessoria:
vasca interamente verniciata in nero ad eccezione dell’interno delle anse, dell’attacco col piede e della parte inferiore del piede; sul bordo fascia risparmiata con decorazione a puntini, sotto le anse grande palmetta aperta fra volute e infiorescenze, alla base della scena figurata meandro ad onda.
Decorazione:
Lato A: figura femminile seduta a sinistra sopra uno sgabello con i capelli raccolti in una crocchia sulla nuca e fermati da una tenia; la donna, a torso nudo, è in atto di suonare un cembalo ed indossa un mantello drappeggiato intorno alla vita e alle gambe, di fronte a lei un arbusto ed una situla;
Lato B: giovane donna gradiente a sinistra e retrospiciente, con le braccia sollevate ed una cista nella mano sinistra; la donna ha i cappelli raccolti in una crocchia ed indossa un chitone plissettato fermato in vita da una fascia le cui pieghe si aprono seguendo il movimento.
Materia e tecnica: argilla depurata, dipinta a figure rosse.
Sovradipinta in vernice bianca fiammeggiata di giallo.
Misure: altezza 22 cm - diametro bocca, 14,5 cm – diametro base, 7,3 cm –
Coperchio: altezza, 9 cm – diametro 13,3 cm
Decorazione: sotto ciascuna ansa: palmetta tra due girali e mezza palmetta.
Sul coperchio: tre rami di alloro si alternano a cuscini ricamati, qua e là
ritocchi di vernice bianca.
Condizioni del reperto: ricomposto. Superficie abrasa.
Vernice a tratti evanida (debole, evanescente). Coperchio scheggiato sul bordo.
Il pezzo è stato integrato e ricomposto da numerosi frammenti.
Adhrano, l'attributo del dio sicano, composto dai lessemi Odhr e Ano significa "divino furore" o "furore dell'Avo"; ed infine Etna è un nome di persona comunissimo nelle sue varianti di Atina, Tina, nel nord Europa. Va segnalato inoltre che il nome proprio di persona Eithne faceva già parte dell'antichissima mitologia nordica, di quella irlandese in particolare, dove con questo nome veniva indicata una ninfa figlia del re Balor, moglie dell'eroe celta Cian (Ciane è il nome della ninfa trasformata in fiume da Plutone, presso Siracusa).
Con l'Irlanda Adrano condivide inoltre il simbolismo solare della spirale, incisa nei capitelli rinvenuti nel Mendolito.
3200 e il 2900 a.C.
Dal taccuino archeologico di Paolo Orsi (1898 – 1909).
Il Petronio Russo affermò come Adrano ebbe una zecca di dodici monete. Monete che furono pubblicate nel suo libro sulla storia di Adrano, facendone anche delle attente descrizioni.
Su queste monete c’erano dei volti femminili che il Petronio Russo attribuì alle dee Cerere e Proserpina, malgrado l’incisione faceva riferimento alla principessa Etna e l’iscrizione “Aithion”. Monete che furono rinvenute ad Adrano.
Il Toro era il simbolo di Agrigento e il cavallo marino con i delfini, creature marine, il simbolo di Siracusa. Forse le due monete furono coniate per proclamare la lega anti-cartaginese, durante il principato di Terone in Agrigento e del grande Gelone a Siracusa. Un’alleanza che portò alla celebre vittoria di Himera del 480 a.C., nella quale gli Etnei, futuri Adraniti, avrebbero dato un impulso eroico determinante per la vittoria sui Punici.
dio Arano (Apollo?), rivolta a sinistra con i calli che ricadono sul collo e
bordo di puntini. Al rovescio una cetra a sette corde con intorno la scritta
etnica AΔPANITAN in senso orario.
Aspettandosi dunque che il Corinzio non sarebbe stato migliore di quelli, ma che tornavano ad insidiarli le medesime abili lusinghe, resi docili al cambio del nuovo padrone con speranze generose e benevole promesse, erano sospettosi ed evitavano le proposte dei Corinzi, eccetto gli abitanti di Adrano. Questi, che abitavano una piccola città consacrata ad Adrano, un dio onorato in diverso modo nell’intera Sicilia, erano in lotta gli uni con gli altri, poiché alcuni si schieravano con Iceta e i Cartaginesi, altri invece si volgevano verso Timoleonte. E mentre entrambi s’impegnavano per giungere tempestivamente, per caso avvenne che giunsero nello stesso momento. Tuttavia Iceta arrivò con cinquemila soldati, Timoleonte invece ne contava complessivamente non più di mille e duecento. Dopo averli presi da Tauromenio [estate 344 a.C.], distando Adrano trecentoquaranta stadi, durante la prima giornata non si avvantaggiò molto nella marcia e si fermò a riposare, mentre il secondo giorno, avendo coperto rapidamente il percorso ed avendo attraversato territori impervi, verso sera venne a sapere che Iceta si era appena avvicinato alla piccolissima città e che poneva il campo. I locaghi e i tassiarchi allora fecero fermare i primi, per poterli utilizzare con più prontezza dopo che avessero mangiato in fretta e riposato per qualche tempo, ma Timoleonte, sopraggiunto , chiese di non farlo, di condurre invece l’esercito velocemente e di venire a contatto con i nemici che non erano ancora schierati, come era naturale avendo questi appena terminato la marcia ed essendo impegnati nell’allestimento delle tende e nella cena. E nel mentre diceva queste cose, raccolto lo scudo si mise al comando come verso una vittoria evidente; quelli incoraggiati lo seguirono, essendo distanti dai nemici meno di trenta stadi. Come ebbero percorso anche questa distanza, si gettano sui nemici in disordine e che si davano alla fuga, non appena compresero che quelli si stavano avvicinando. Di conseguenza ne vennero uccisi non più di trecento, e ne vennero catturati vivi il doppio, e fu conquistato anche il campo. Gli abitanti di Adrano dopo aver aperto le porte della città si unirono a Timoleonte, raccontando con paura e meraviglia che, nell’imminenza della battaglia i sacri portoni del tempio si erano aperti da soli, che si era vista la lancia del dio scuotersi dalla sommità della punta ed il suo volto grondare copioso sudore.
duemila opliti e duecento cavalieri i quali, giunti nei pressi di Turi, vedendo che l'attraversamento risultava difficoltoso – il mare infatti era controllato dai Cartaginesi con numerose navi – data la necessità di trattenersi in quel luogo aspettando il momento migliore, utilizzarono il tempo a loro disposizione per un'opera assai degna. Ricevuta in consegna la città, poiché gli abitanti di Turi erano impegnati in una spedizione contro i Bruzii, la difesero fedelmente e senza macchiarsi d'infamia, come fosse stata la loro patria. Intanto Iceta, mentre assediava l'acropoli di Siracusa ed impediva che i rifornimenti di grano giungessero per mare ai Corinzi, preparati due stranieri ai danni di Timoleonte, l'inviò segretamente ad Adrano con il compito di assassinarlo, non avendo questi una sorveglianza disposta attorno alla sua persona e trovandosi in quel momento, per via di una cerimonia sacra, del tutto disimpegnato, tranquillo e senza sospetti insieme agli Adraniti. I sicari, venuti casualmente a sapere che Timoleonte era in procinto di celebrare un sacrificio, giunsero al tempio, recando i pugnali sotto al mantello e, mescolatisi a quanti si trovavano attorno all'altare, si fecero man mano più vicini. Ma, mentre si esortavano l'un l'altro ad iniziare la loro opera, un tale colpì con un pugnale uno dei due alla testa; caduto a terra non rimase né chi aveva sferrato il colpo né chi era giunto assieme a quello rimasto colpito, ma l'uno, come ebbe raccolto il pugnale, fuggì verso una rupe elevata e vi balzò sopra, l'altro invece, strettosi all'altare, implorò Timoleonte di aver salva la vita, se avesse rivelato ogni cosa. Ottenuto quanto chiedeva, denunciò se stesso ed il morto dicendo che erano stati inviati per uccidere Timoleonte. Intanto altri trassero giù anche quello dalla rupe, il quale andava gridando di non essere in alcun modo colpevole, ma di aver ucciso a buon diritto l'uomo per vendicare la morte del padre, che quello aveva ucciso tempo prima a Leontini. Ed ebbe a testimoni alcuni fra i presenti i quali al contempo rimasero meravigliati dall'ingegnosità della sorte: mettendo in movimento una cosa tramite l'altra, riunendole tutte insieme seppur separate e distanti, intrecciandole con quelle che paiono assai diverse e non avere alcunché di comune fra loro, ogni volta essa fa del termine di una il principio dell'altra. I Corinzi dunque ricompensarono l'uomo con un dono di dieci mine, poiché aveva messo un giusto sentimento a disposizione di quel dio che proteggeva Timoleonte, e non aveva sprecato il primo proposito che era con lui da lungo tempo, ma insieme a motivazioni personali lo aveva conservato sotto la guida della sorte per la salvezza di Timoleonte. La buona fortuna legata alla circostanza presente diede speranza anche per quelle future ed indusse ad onorare e proteggere Timoleonte quanti scorgevano in lui come un personaggio sacro ed un vendicatore giunto in Sicilia con il favore divino.
Il sito del Mendolito non si sviluppò mai dal punto di vista architettonico malgrado la sua importanza.
Era un insediamento dove si stoccavano le merci in arrivo e in partenza, dove si acquistavano le vittime sacrificali. Erano presenti fabbriche, forni, negozi dove si producevano e si vendevano gli ex voto per i pellegrini. Si spiegherebbe così anche il carattere piuttosto rustico dei manufatti che si ritrovano nell’enorme area del Mendolito, con le imperfezioni dei disegni sui vasi, con le colature di colore. Gli oggetti, del resto, rimanevano solo qualche giorno nella cella della divinità, dopodiché, per motivi di spazio, i sacerdoti addetti al culto, erano costretti a rimuoverli per fare posto alle nuove offerte.
I Killiri o Cilliri erano probabilmente un’associazione” di lavoratori portuali e il termine fu adottato nella lingua dei profughi greci quando arrivano a Siracusa da Corinto nel 743 a.C. sotto la guida dell’ecista Archia.
Il termine fu poi esteso agli oppositori politici di Archia. Quando Archia si affermò a Siracusa prendendo in mano il governo della città, una delle sue prime azioni fu la monopolizzazione dei cantieri navali che affidò ai coloni greci escludendo i Siculi. Siculi esperti di navigazione, un’arte che avevano imparato dai Sicani, facenti parte dei “Popoli del Mare” che con le loro azioni nel Mediterraneo avevano creato nuovi equilibri politici.
I Siculi erano dei guerrieri e non sopportarono l’occupazione degli spazi sociali siracusani da parte dei coloni greci.
Perché il termine KILLIROI?
La chiglia è una trave longitudinale a sezione quadrata o rettangolare che percorre l'imbarcazione da poppa a prua nella parte sommersa destinata al galleggiamento (scafo). Ha sulle facce laterali delle scanalature chiamate batture, sulle quali, con un incastro semplice detto a palella, si incastrano le tavole del fasciame esterno.
Si tratta quindi di un elemento fondamentale di un’imbarcazione ed è progettato in funzione dell’uso della stessa imbarcazione.
Il termine KIEL-IRI diventò KILLIRI per indicare, almeno all’inizio, una manodopera specializzata nella costruzione di questa parte della nave, la chiglia.
Plutarco, nei suoi “Moralia, citò come in una nave vi erano uomini con diverse specializzazioni: quali marinai, ufficiali di prua, maestri nel remare, timonieri, manovali.
Francesco Branchina
…………………
Iscrizione in sito sulla pietra sopra la fonte.
Misure: Altezza dell’area inscritta : 29 – 34 cm – larghezza dell’area inscritta: 1,25 m.
Condizioni dell’epigrafe: si conserva interamente
Il testo è scolpito a caratteri grandi e spessi, spesso con un tratto verticale che si estende sopra le lettere A, Ʌ, Δ.
Che i caratteri cambino di forma lungo il testo è un aspetto comune negli scritti epigrafici e non si deve quindi necessariamente ipotizzare che si tratti di mani diverse a seconda delle forme delle lettere. Si leggono quattro legature lungo il testo che in passato hanno dato origine ad interpretazioni sbagliate. I caratteri sono tra i 7 – 9 cm; la palma alla destra delle righe 2 e 3 è alta 20 cm

Laura Breglia
Laura Breglia, una delle più importanti numismatiche e specialista nel campo
gli antichi si servirono altresì, per la preparazione dei coni di puntoni di metallo duro con disegno in rilievo, che venivano affondati nel metallo riscaldato del conio dandogli l'impronta principale, mentre alcuni particolari venivano ripresi, o tracciati successivamente, col bulino e impressi con punzoncini indipendenti. Tale uso, già riscontrato in età greca, si generalizza nell'età romana dell'impero; esso offriva da un lato il vantaggio di accrescere la resistenza del conio col dar maggior densità al metallo con la compressione, dall’altro, vantaggio ancor più notevole, specie per la ricchissima produzione dell’impero, facilitata il lavoro, permettendo di ricavare da un solo punzone parecchi coni.
https://www.erroridiconiazione.com/1-1-fabbricazione-dei-coni/
Antefissa a protone femminile
Necropoli protostorica (n.3 tombe circolari in pietra lavica e a tholos di età greco‐arcaica).
Sito sottoposto a vincolo archeologico
un quartiere egiziano nella parte superiore del disegno,
un quartiere greco nella parte inferiore.
Ogni distretto ha templi egiziani o greci.
nei pressi del villaggio di Kom Gi’eif. Fu fondata durante la XXVI dinastia come punto
d’appoggio per i mercanti greci e rimase il principale mercato tra i greci e gli egizi prima
della fondazione di Alessandria.
Nel sito anche un grande magazzino o tesoreria egizia
In realtà è composto da due nuclei abitativi: Alianello di Sotto e Alianello Nuovo.
Secondo il censimento del 2001 avevano rispettivamente 74 e 196 abitanti.
Oggi Alianello di Sotto è chiamato il “Borgo fantasma” perché completamente disabitato.
Nella zona importanti testimonianze archeologiche risalenti alla preistoria del V millennio a.C.
Importanti comunità indigene (Enotri) occuparono la valle nelle fasi iniziali della storia.
In contrada Cazzaiola fu riportato alla luce un cimitero con più di 1000 tombe a fossa
risalenti al VII – VI secolo a.C.
https://journals.openedition.org/mefra/2438?lang=it
Le ricerche dell’archeologo Paolo Orsi nelle Sciare Manganelli
Le tombe a circolo nei disegni di Paolo Orsi (Orsi Pelagatti 1967 – 68)
Planimetrie di tombe a circolo
(Paolo Orsi – Pancucci, 1972 – 73)
Prima pagina della lettera inviata da Paolo Orsi a Luigi Pigorini
dopo la presa di servizio a Siracusa
FPUPd, Orsi Paolo, 20 settembre 1888
Corredo di vasi da una tomba nel territorio di Paternò.
a- Anfora biansata;
1926 prese il nome di “Molini Gazzi”. Una fiorente attività nella produzione di
farine e semola per uso alimentare.
e produceva la semola per pasta dei noti marchi messinesi “Triolo” e Puglisi”.
L’azienda riuscì a resistere al devastante terremoto del 1908 e
diede lustro all’azienda fu il senatore Umberto Bonino che la guidò per circa 50 anni.
Era uno stabilimento, uno dei pochi in Sicilia, ad avere due distinti impianti con
una capacità produttiva totale di ben 300 tonnellate/giorno per la macinazione del
grano duro e tenero. Fu demolito nel 2011 per dare vita ad un complesso industriale
in “barba” all’archeologia industriale tanto rispettata nel Nord Italia.
quando un nome non può restituire una storia a cui è stato negato un futuro
Durante i lavori del 4 agosto 1588, oltre alle sepolture con i resti umani dei martiri
San Placido, della sorella e dei fratelli martiri, scaturì una copiosa
Un acqua che fu subito definita prodigiosa perché guariva dalle malattie.
Per permettere a tutti di attingere, fino al sisma del 1908, nella cripta della chiesa
si trovava un piccolo pozzo in marmo rosso di Taormina coperto da una mezza
sfera di rame con pomello. Dal pozzo si prelevava l’acqua che veniva distribuita ai
chiesa e fu realizzato del Comune. Fu scavato ad una profondità di oltre sette metri.
A questa quota fu trovata una falda d’acqua che dovrebbe corrispondere a quella
dell’antica sorgente miracolosa.
Nello stesso cortile si trova una pianta di ulivo, risultato del trapianto di quello antichissimo che la tradizione vuole “assistette” al martirio di San Placido e dei Santi Martiri.
Contrada Difesa (varie aree)
Tratto
di cinta muraria greco‐ellenistica dell’antica Adranon. Settore orientale (Fine
IV ‐ III sec a.c.). resti dell’antica Adranon (Schede 416 a 496
Siti
sottoposto a vincolo archeologico
I. Paternò Castello 1817, Viaggio per tutte le antichità di Sicilia, Palermo, ristampa ediprint srl, Siracusa 1990, p. 57; AAVV 1989, La Sicilia di Jean Houel all’Hermitage, Catalogo della mostra, Palermo 5 dicembre 1988 ‐ 30 gennaio1989, Palermo Sicilia
Carta geologica del vulcano Etna modificata da Branca et al. [2011a] con l'ubicazione dei siti archeologici del Neolitico Medio (5700-4500 anni a.C.).
Legenda della carta:
1) depositi alluvionali presenti e recenti; Fase stratovulcano-vulcano Mongibello:
2) prodotti vulcanici 122 aC-presente (formazione Torre del Filosofo);
3) prodotti vulcanici 3.9 ka BP-122 aC (formazione del membro superiore di Pietracannonne);
4) Colata detritica di Milo;
5) Deposito Chiancone;
6) Successione piroclastica della Cubania;
7) prodotti vulcanici 15-3,9 ka BP (formazione dei membri inferiori di Pietracannonne);
Fase stratovulcano-vulcano Ellittico:
8) successione piroclastica;
9) antichi depositi alluvionali terrazzati;
10) prodotti vulcanici 60-15 ka BP;
11) prodotti vulcanici della fase Valle del Bove (110-65 ka BP);
12) prodotti vulcanici della fase Timpe (220-110 ka BP);
13) prodotti vulcanici della fase basale tholeiitica (500 e 330 ka BP);
14) depositi sedimentari quaternari;
15) Catena Appenninico-Maghrebina.
Per la legenda della mappa vedere la Figura (a).
(Le colonne della tabella:
Sito – Tipo di insediamento –Altitudine s.l.m. - Coordinate - Fasi archeologiche - Colata lavica e unità vulcanica di Branca et al. (2011a) - Età assoluta o stratigrafica delle colate laviche –
Localizzazione dei siti Date col 14C del sito – Riferimenti)
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