Adrano – Museo Regionale “Saro Franco”. Leggere il Passato…
La missione dei musei è oggi quella di essere istituzioni aperte, inclusive e al servizio della società, offrendo un ambiente che promuove l’educazione e il dialogo interattivo.
Il Museo non ha come obiettino solo la conservazione e quindi valorizzazione del patrimonio culturale ma anche quello di incoraggiare la partecipazione della comunità e offrire esperienze di riflessione e condivisione della conoscenza.
In questa ottica, confermata dalla definizione dell’ICOM (International Council of Museums), assumono una grande importanza i professionisti e gli educatori museali nel loro ruolo di comunicatori di valori. Promuovere la riflessione sui valori tra i visitatori è un aspetto molto importante nella visita museale.
Partire dai testi e dalle immagini storiche per presentare i valori nel loro contesto storico e culturale, mantenendo gli oggetti al livello neutro della loro funzione, favorisce la riflessione sui valori del passato.
Diverse sarebbero le motivazioni che spingono nella visita di un museo:
- Entrare nella storia. Certamente visitare un museo permette di abbattere confini, limiti conoscitivi. Permette di entrare nei momenti storici che si sono studiati nei libri di storia. Diventa come una macchina del tempo che si ferma nei vari momenti storici mostrando ciò che l’essere umano ha compiuto nella sua vita per darle un senso anche attraverso le sue creazioni;
- Visitare luoghi lontani; alcune opere possono farci conoscere anche località lontane. Luoghi visti da un’artista che ha riprodotto le immagini filtrandole con il suo essere e questo ci permette anche d’indagare, di immergerci sia nel luogo che nello stato d’animo dello stesso artista;
- Comprendere l’uomo, capire perché un determinato artista abbia deciso di immortalare un oggetto o una scena, così come per i reperti archeologici, farci capire il perché di quella creazione spingendosi ad approfondire ciò che stiamo osservando;
- Conoscere noi stessi, la visita al museo non finisce con una semplice visita perché le sensazioni provate ci accompagneranno per giorni aiutandoci a metabolizzare ciò che si è osservato. Il visitatore si porrà delle domande cercando di scavare dentro di sé per dare delle risposte. Un processo che porterà alla consapevolezza di chi siamo;
- Il visitatore proverà la consapevolezza di aver acquisito qualcosa che è legata alla conoscenza ed alla coscienza. Coscienza perché sarà a contatto con il passato che lo aiuterà a comprendere meglio il presente.
- La capacità di osservare un oggetto vecchio di migliaia di anni o un opera di centinaia di anni fa, rende immortale la vita di chi li ha riprodotti… comunicare la speranza, la speranza di lasciare un segno nel mondo.
La visione del Museo come luogo di conservazione e studio del patrimonio culturale, permette lo studio dei reperti e nello stesso tempo fornisce al pubblico l’opportunità di accedere anche a collezioni rare che altrimenti sarebbero rimaste inaccessibili.
Tuttavia, negli ultimi anni, accanto alle basi di Museo come custode del patrimonio culturale e dello sviluppo conoscitivo e sensoriale del visitatore, si è affiancato l’aspetto di agente come cambiamento sociale.
Il museo è diventato una piattaforma per promuovere il cambiamento sociale, promuovendo valori quali l’inclusività, la diversità e la sostenibilità. Oggi i Musei sono impegnati nella valida promozione dell’accessibilità e dell’inclusione. Hanno adottato delle politiche che hanno come obiettivo di rendere le loro collezioni e le loro attività accessibili ad un pubblico sempre più ampio e diversificato.
Questo permette di proporre dei programmi educativi specifici per persone con disabilità, l’offerta dei materiali interpretativi in diverse lingue e la realizzazione di mostre ed eventi che riflettono la diversità culturale delle comunità in cui operano.
Sono anche impegnati con iniziative che mirano a stimolare il dialogo anche su questioni sociali molto rilevanti. Un dialogo attraverso le esposizioni ed i programmi che affrontano temi come il cambiamento climatico, i diritti umani, la migrazione e l’uguaglianza di genere. I musei diventano in questo modo come degli spazi per la riflessione critica e per la discussione, il confronto pubblico.
In merito all’adozione di pratiche sostenibili, molti musei stano rivalutando le loro operazioni e procedure per minimizzare l’impatto ambientale cioè adottando soluzioni ecocompatibili nella gestione delle collezioni, nell’illuminazione, nel riscaldamento e nella climatizzazione degli spazi espositivi.
Questo impegno verso la sostenibilità non solo riduce l’impronta ecologica dei musei, ma serve anche come modello per pratiche responsabili che il pubblico può adottare nella propria vita quotidiana.
I musei stanno implementando una varietà di iniziative per promuovere l’inclusione sociale, tra cui:
- Esposizioni multimediali interattive che raccontano storie diverse e inclusive; (La mostra multimediale immersiva è un format di esposizione museale il cui processo di esibizione dell'arte si basa sulla sostituzione del manufatto artistico con la sua immagine digitale, manipolata e resa disponibile attraverso molteplici tecnologie di carattere percettivo e partecipativo).
- Programmi educativi mirati a gruppi marginalizzati; (Partecipazione, Autonomia, Comunicazione, Apprendimento);
- Collaborazioni con comunità locali per creare esposizioni che riflettano le loro storie e culture.
Attraverso programmi educativi e iniziative di sensibilizzazione, i musei possono giocare un ruolo cruciale nell’educare il pubblico su questioni sociali importanti, promuovendo una maggiore consapevolezza civica.
I programmi educativi offerti dai musei possono variare ampiamente: dalle visite guidate interattive, ai laboratori didattici, percorsi museali a tema, fino a conferenze e dibattiti aperti al pubblico. Questi programmi offrono l’opportunità di esplorare temi complessi in un contesto accessibile e coinvolgente, permettendo ai partecipanti di acquisire una comprensione più profonda di questioni sociali quali l’uguaglianza, i diritti umani, la sostenibilità ambientale, e la giustizia sociale. Attraverso questi approcci educativi, i musei possono stimolare la riflessione critica e il dialogo tra i visitatori, incoraggiando una cittadinanza attiva e informata.
Le iniziative di sensibilizzazione rappresentano un altro strumento importante attraverso il quale i musei possono influenzare la percezione pubblica su questioni sociali. Queste possono includere mostre temporanee o permanenti dedicate a tematiche specifiche, campagne di comunicazione, o la collaborazione con organizzazioni non governative e istituzioni educative. Attraverso queste attività, i musei possono raggiungere un pubblico più ampio, estendendo il loro impatto educativo oltre i confini fisici dell’istituto.
Un aspetto fondamentale della realizzazione di questi programmi e iniziative è l’approccio interdisciplinare. I musei possono sfruttare le proprie collezioni per creare connessioni tra passato e presente, arte e scienza, cultura e società, offrendo così una prospettiva totale sulle questioni affrontate. Questo approccio non solo arricchisce l’esperienza educativa, ma promuove anche una comprensione più integrata delle dinamiche sociali.
Inoltre, l’adozione di tecnologie digitali può amplificare ulteriormente il ruolo educativo dei musei. Strumenti come realtà virtuale, applicazioni mobili educative e piattaforme online possono rendere l’apprendimento ancora più interattivo e accessibile, consentendo ai musei di raggiungere un pubblico globale.Facendo leva sulle proprie risorse uniche, possono stimolare una maggiore consapevolezza civica tra i cittadini, contribuendo in modo significativo alla costruzione di una società più informata, riflessiva e responsabile.Uno degli ostacoli più evidenti è rappresentato dalle limitazioni di budget. Molti musei operano con risorse finanziarie estremamente ridotte, il che limita la loro capacità di sviluppare nuove esposizioni, mantenere e restaurare le collezioni esistenti, espandere i programmi educativi e comunitari, e rendere gli spazi fisicamente accessibili a tutti. Queste restrizioni finanziarie si traducono spesso in una minore capacità di raggiungere e servire efficacemente le comunità, specialmente quelle marginalizzate o meno rappresentate.Un’altra significativa sfida è costituita dalle resistenze culturali. I musei possono talvolta essere percepiti come elitari o non pertinenti dalle comunità che dovrebbero servire. Questo può derivare da una storica mancanza di rappresentazione di diverse culture e prospettive nelle collezioni e nelle esposizioni museali, così come da una comunicazione e un’interazione insufficienti con le comunità locali. Per quanto riguarda le resistenze culturali, queste possono essere affrontate attraverso iniziative che mirano a rendere i musei più aperti e inclusivi. Coinvolgere attivamente le comunità nella programmazione dei musei, dall’ideazione di nuove esposizioni alla realizzazione di eventi e attività, può aiutare a costruire relazioni più forti e significative con diversi gruppi sociali. Inoltre, ampliare la rappresentazione di diverse culture e storie nelle collezioni e nelle esposizioni può contribuire a rendere i musei più rilevanti e accoglienti per un pubblico più variegato.Interessante l’articolo della dott.ssa Marta Pizzolante, specialista in Neuroscienze Cognitive, apparso sul sito “Artribune” in merito agli effetti della visita al Museo sull’individuo.L’articolo, pubblicato il 25 marzo 2023, mette in risalto un’accurata indagine da parte di studiosi e scienziati dal titolo:3 evidenze scientifiche dimostrano che andare al museo fa bene alla salute …………………………………….
esponenti della cultura siciliana:
Ginetta Chiappella (a sinistra) davanti alla caverna delle Arene Candide, 1942.
Madeleine Cavaler donarono alla comunità di Lipari un’immensa eredità culturale.
una grande modestia che manifestò anche nel suo ultimo momento di vita.
Espresse il desiderio sul luogo della sua sepoltura rilevando che
Avrebbe gradito che il suo sepolcro fosse realizzato in semplice marmo bianco
per unirsi agli altri sepolcri del luogo e percorso da “lucertoline in libertà”.
Il suo desidero fu esaudito dagli Eoliani….
Assieme alla sua prima compagna di vita, la Sig.ra Chiara Chighizola, dorme in un
piccolo cimitero di campagna…….
Saro Franco, a cui è dedicato il Museo.
…… Un Impegno Duraturo nella Conservazione della Storia
Nei saloni del piano terra del Castello sono in mostra i materiali preistorici provenienti dagli insediamenti neolitici dei territori di Adrano, Centuripe e Ramacca e i reperti dell’età del Rame di area etnea e del Bronzo Antico dalle grotte di scorrimento lavico. Scorrendo nel tempo, l’esposizione si chiude con l’urna cineraria rinvenuta a Piano della Fiera in territorio di Paternò (X sec. a.C.).
Il primo piano espone contesti di età arcaica e classica. Tra questi si segnala la ricca documentazione proveniente dal Mendolito di Adrano: capitelli e fusti di colonne di pietra lavica, numerose ceramiche locali nello stile di Licodia Eubea, vasi di produzione greca, ornamenti e armi di bronzo ed una ricostruzione di una porzione di ambiente con anfore da trasporto di tipo corinzio e di tipo c.d. ionico-massaliota, frutto degli scavi effettuati nel 2009-2010.
Il secondo piano, dedicato al periodo ellenistico, illustra la città greca di Adranon attraverso le testimonianze provenienti dall’area dell’abitato e delle sue necropoli: ceramiche acrome, a figure rosse e a vernice nera, figurine di terracotta, pesi da telaio, lucerne, monete.
Al terzo piano sono esposti i reperti di età romana e tardo antica e le collezioni etnoantropologiche, mentre il quarto accoglie la sezione storico-artistica e la bibliografica. Di quest’ultima fa parte il ricco “Fondo Imbarrato” che annovera al suo interno anche volumi antichi e di pregio editi fra il XVI e il XIX secolo.
Pausania (110 circa – 180 circa ) d.C. menzionò nella posizione di Tanagra l’antica città di Graea, eponima dei Graikoi. Una tribù beota il cui nome diede origine al latino “Graecus” (greco) che in seguito si diffuse in tutto il mondo occidentale come nome dei Greci e della Grecia.Omero citò le forze beote nel catalogo delle navi dell’Iliade, rilevando il primo riferimento noto in merito alla città beota di Graea.
Il suo fondatore fu Poimandros che prese parte alla Guerra di Troia. Infatti la città era conosciuta anche con il nome di Poimandria.Gli abitanti più antichi di Tanagra, secondo alcuni storici, sarebbero i Gephyraei che giunsero dalla Fenicia con Cadmo (leggendario fondatore di Tebe in Beozia).Tanagra è da sempre conosciuta dagli archeologi per i suoi pregiati reperti ceramici funerari tra cui le famose statuette fittile, dette “tanagrine”, dalla pregevole espressività.Qui furono trovate per la prima volta e in una considerevole quantità.Una statuetta prodotta in serie, fusa e quindi cotta, a partire dal IV secolo a.C. e principalmente a Tanagra. Il termine “tanagrine” fu quindi successivamente adottato per definire le statuette fittili di tipo similare che furono ritrovate anche in altre località come a Centuripe e in altre aree della Magna Grecia (IV – III secolo a.C.).La Dama in Blu
Louvre Museum
Datazione: (330 – 300) a.C.
Misure: (altezza 32,5 x larghezza 11,5 x spessore 9,2) cm
Luogo di produzione: Tanagra (Beozia – Grecia)
Provenienza (luogo del rinvenimento): Tanagra
In merito alla definizione di Tanagrine, nelle enciclopedie fu riportata la seguente descrizione:si tratta di una grandissima quantità di statuette fittili, prevalentemente di etàellenistica (ma non mancano esemplari fin dal VI secolo a.C.) per lo piùraffiguranti “eleganti figure di donne amantate”.La produzione di Tanagra fu rilevante, oltre che dal punto di vista artistico, ancheda quello storico, soprattutto per quanto riguarda l'abbigliamento e l'ornamento muliebre.Poche furono le Tanagrine rinvenute negli anni ’50 nella zona archeologica Dionigiana di Adrano.
Adrano – Mura “Dionigiane” - IV e il III secolo a.C
Furono rinvenute delle statuette in contrada Cartalemi, contrada Buglio, contrada Giambruno, via Fraiello, via Catania. Statuette esposte nel Museo Archeologico Etneo di Adrano.
Contrada GiambrunoAlcune tanagrine erano acrome, altre conservavano ancora tracce di bianca coloritura.Presentavano un’altezza varia, dai 5 ai 23 cm, ed erano purtroppo acefale.Tutte figure femminili e contemporanee al materiale archeologico rivenuto nella zona dionigiana che, fatte poche eccezioni, risale al periodo ellenistico. Reperti archeologici quindi non in contrasto cronologico e tecnico con la produzione delle statuette di Tanagra anche se prive della vivace policromia che caratterizzava quest’ultime.In tutte le statuette adranite molto curato era il drappeggio, che copriva fino alle estremità l'intera figura femminile. Il corpo era raffigurato in alcune con una languida flessuosità, in altre quasi rigido.Quasi nascoste le mani, tutte coperte le braccia e le gambe, ma ugualmente percettibili dalla posa del personaggio (braccia incrociate sul petto, ginocchio di una sola gamba alquanto avanzato), il tutto sempre magistralmente eseguito, a vantaggio del vestito, le cui pieghe costituiscono l'elemento più pregevole di ogni statuetta.La forma fisica curata, la tecnica fine e magistralmente ricercata, il tocco elegante e raffinato nel plasmare l'argilla, la capacità degli autori nel raffigurare corpi femminili fra mollezza e abbandono, se da una parte farebbero pensare ad un "manierismo accademico", dall'altra però evidenziavano un alto livello artigianale. Un livello artigianale di non pochi ceramisti locali, che pur risentendo l'influsso di una arte extraisolana, dimostrarono una buona inventiva e non comuni doti artistiche.Arte riflessa, ma solennità e maestria nelle statuette del museo adranita.
Museo di Adrano
La “Fanciulla orante”
Statuetta fittile dello stile di Tanagra
Museo di Adrano
Statuetta di Tanagrina avvolta in un ampio himation
Datazione: II secolo a.C.
Statuetta greca di offerente, del tipo ''tanagrina'', da Selinunte
Museo Archeologico Regionale – Palermo
Foto: Giovanni Dall’Orto
Statuetta in terracotta di una figura femminile in piedi (Tanagrina) con
tracce di policromo seconda metà del IV a.C.
Parco Archeologico di Selinunte - Sicilia
Giovani donne sorridenti, con i corpi fasciati da vesti abbondanti e in torsione, quasi a voler indicare un vorticoso movimento di danza.
Non sono delle semplici statuette decorative ma hanno un preciso valore simbolico.
La statuetta era un’offerta funeraria popolare specie in età arcaica e in
epoca ellenistica. Erano donate nei santuari come ex voto o deposte nelle tombe
tra gli elementi di corredo. Nelle officine di Tanagra erano decorate con colori vivaci,
spesso con dorature per somigliare ad una scultura in bronzo e impreziosite
dalla raffinatezza del volto, dalle sofisticate acconciature e dai flessuosi panneggi.
Personaggio femminile (statuetta) –
Produzione: Centuripe – Esemplare ispirato ai tipi Tanagrini
Datazione: III secolo a.C.
Materiale e tecnica: Argilla depurata
Misure: Altezza 18,5 cm
Provenienza: Centuripe
…………………………………..La Coppetta “Minà”.Il sito dell’antica Adranon offre dei dati contradditori in merito all’età romana e imperiale.L’area della fondazione greca, in base alla ricostruzione del sistema difensivo, occupava una superficie di circa 40 ettari. Le indagini archeologiche nel sito non restituirono reperti posteriori all’età repubblicana (509 – 30/27) a.C.Probabilmente in quel periodo la città subì una contrazione demografica di cui non si sanno i motivi.Quindi all’assenza di reperti archeologici dell’area urbana posteriori al II secolo a.C., almeno fino adesso, si contrappongono una serie di rinvenimenti nelle aree limitrofe al centro abitato. Reperti che attestarono una continuità di vita nel corso del medio e basso impero.Uno dei nuclei più importanti si troverebbe nella contrada Minà Capritti dove, in base ai rinvenimenti risalenti al XVIII – XIX secolo, era esistente un importante edificio termale.Nel 1781 Ignazio Paternò Castello vide il pavimento dell’edificioSospeso da terrae gli archi formati da grossi mattoni.Aspetti architettonici per collocare l’edificio in età tardo imperiale.(Ipocausto - era un sistema di riscaldamento usato nell'antica Roma, consistente nella circolazione di aria calda entro cavità poste nel pavimento e nelle pareti del luogo da riscaldare).
Adrano -Torre Minà
È una costruzione di forma cilindrica cinta da una larga scala a spirale, della seconda metà dell'800, elevata sui resti di una torre romana.
Edificio termale di contrada Minà Capritti
(Houel 1782-1787, III, CLV)
Una delle illustrazioni della famosa opera di J. P. L. Hoüel,
“Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari”, Paris, 1782.
Bain antique d’AdernòAttorno all’edificio termale erano presenti i resti di una forma insediativa che sembrò procedere anche in epoca bizantina.Un gran numero di reperti furono recuperati nella contrada Minà-Capritti e sarebbero legati ad un arco temporale che va dal V al VII secolo. Si trattava di brocche acrome, con fondo piano, ansa a sezione ovale appiattita, raramente decorate a pettine; fiaschette con collo rigonfio, anse a bastoncello. Tutti reperti di produzione locale.Brocchette acrome da contrada Minà Capritti
Ci sarebbero anche due esemplari di ceramica dipinta a bande, forse d’importazione, riferibili ad una produzione diffusa nell’area tirrenica e databile tra il VI – VII secolo.
Tazza Minà
Tazza carenata
Rinvenimento: Contrada Minà - Fontanazza
Misure: lunghezza 6 cm – Diametro: 10 cm – Spessore: 0,2 – 9,5 cm
Numero inventario: 4359
Datazione: Neolitico medio. Facies di StentinelloAnsa a nastro impostata verticalmente. Due linee incise puntinate delimitano una fascia larga 4 cm decorata con rombo al centro e angoli multipli nel campo. L’ansa è decorata da una fascia campita con linee incise oblique. Il motivo del rombo richiama l’occhio apotropaico diffuso nelle ceramiche di età neolitica dell’area etnea.
Nel territorio di Adrano, allo stato attuale, sarebbero venuti alla luce pochissimi vasi fittili, lavorati senza l'ausilio del tornio in età preistorica e particolarmente nel neolitico inferiore, il cui stile è comunemente definito "Stentinello" (V millennio a.C.).La tecnica decorativa dei reperti stentinelliani era caratterizzata da una serie di incisioni o di impressi effettuati, prima della cottura, all'esterno dell'argilla mediante acuminati strumenti di osso o di selce, oppure con l'ausilio di conchiglie (tecnica neolitica al cardium), oppure adoperando piccoli timbri di argilla, appositamente prefabbricati.La decorazione vascolare dello stile "Stentinello" accomuna nella tecnica e nella cronologia quasi tutte le genti, che popolarono nel V millennio a.C. le terre mediterranee d'Europa, d'Asia e d'Africa.Non ancora scoperta e utilizzata "l'ocra" (con cui negli anni successivi si ebbero le ceramiche dipinte), le anfore stentinelliane (o meglio, i loro frammenti raccolti in territorio etneo-ionico) sarebbero tutte acrome, però pregevolmente decorate, da testimoniare quanto elevato sia stato il livello artistico delle genti che vissero negli habitat di collina, di pianura e lungo le sponde del Simeto, del Salso e del Dittaino, parecchi millenni prima che in Sicilia si stanziassero i Greci.Raro elemento di vasetto neolitico, rinvenuto quasi intero nelle campagne di Adrano, in località Minà-Capritti, (predio del Sig. Pietro Puleo) fu una coppetta, recuperata negli anni Sessanta, che si trova esposta nel salone del I piano del Castello Normanno.La rarità di questa coppetta non era soltanto legata alla sua integrità tipologica (manca al reperto l'ansa), oppure dalla natura dell'argilla (bruna all'interno, chiara all'esterno), bensì dalla caratteristica decorazione esterna.Alta circa 7 cm , con un diametro all'orlo di oltre 7 cm , ha una base piatta, contrariamente alle comuni coppette coeve, le quali presentano tutte le basi emisferiche.La rarità, anzi unicità, della coppetta si riscontra nei motivi della decorazione, che fu eseguita mediante puntini impressi sull'argilla molle con una punta d'osso o di legno, oppure con uno strumento litico, basaltico o siliceo.Le puntellature creavano strane combinazioni crociate, oppure probabili simboli (in tutto 5) formati da segmenti di varia grandezza, che convergevano al centro, in modo da figurare forse "fiori, stelle e qualche esemplare di echinoide".Non si sa se queste decorazioni avevano un preciso significato.Nei secoli successivi, cioè nell'età dei metalli, questi motivi simbolici o decorativi, non più incisi, ma dipinti con segmenti di colore nero su fondo rosso, li riscontriamo nei vasi ad alto fusto e nelle coppette recuperate nei villaggi e nelle "Grotte-necropoli" del territorio adranita (Fogliuta - Pulica - Cappellone), proprio in quei siti dove furono localizzati il "villaggio Garofalo, il Villaggio Caruso e la sepoltura Pellegriti".Fu forse uno dei primi tentativi di riprodurre nell'argilla artisticamente un panorama celeste, oppure un ambiente agreste ?Forse l'artigiano della coppetta volle esprimere un proprio stato d'animo ?Forse i simboli di questo vasetto volevano precisare l'uso e la destinazione del piccolo recipiente ?
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Incensiere Bronzeo con Iscrizione
Adrano: Contrada Minà – Capritti
Materiale: Bronzo
Stato di Conservazione: Ottimo
Misure: Alt. 7,6 cm – Diametro Orlo: 8,2 cm – Diametro Fondo: 4,2 cm – Altezza piede: 1,8 cm
Numero Inventario: 11371
Incensiere in lamina di bronzo, coppetta emisferica con tre anelli sull’orlo per il passaggio di catenelle di sostegno durante la combustione dei prodotti all’interno della coppetta.
Presenta un iscrizione in caratteri greci entro un registro orizzontale ottenuto con linee a doppia incisione.
L’iscrizione…“ O Dio che hai accettato l’incenso del santo Zaccaria….”
Il fondo della coppa poggia su un piede troncoconico, sul quale è inciso un motivo in doppio tratto a triangoli adiacenti, tracciati entro un registro orizzontale simile a quello dell’iscrizione.
Il piede inoltre presenta il sego della tenaglia che lo sosteneva durante la lavorazione. Infatti sull’esterno è presente un foro che, all’interno del piede, mostra una piccola incisione a ferro di cavallo.
Gli incensieri a piede troncoconico, di probabile produzione siracusana, presentano una tipica invocazione legata all’offerta di incenso a Dio, ricordando quella riportata dai Vangeli per San Zaccaria, padre di Giovanni il Battista.
San Zaccaria venne spesso confuso con il profeta martire per la triste sorte subita secondo il Protovangelo di Giacomo.
Numerosi esemplari furono recuperati in Sicilia:
- 13 esemplari furono registrati nel 2003 da Giannobile 2003, pp. 121 – 127);
- Paternò, andato perduto;
- Palermo, Catania, Palazzolo Acreide, Grammichele (trovato da Paolo Orsi) e in contrada Collura a Ragusa (relazione del Dott. Di Stefano)
Il motivo decorativo geometrico del piede ricordava molto da vicino quello di altre produzioni in bronzo, come la fibbia “porta-reliquia” con iscrizione.conservata nel Museo sotto un leone. Un reperto considerato di tipo “siciliano” per la sua produzione regionale.
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Lekythos MiniaturisticaRinvenimento: ?Provenienza: Collezione PrivataMateriale: Argilla rosata.Conservazione: ricomposta al collo e all’ansa. Decorazione a vernice nera e sovra dipinture bianche evanide (sbiadite).Datazione: 480 a.C.Misura: altezza 8,2 cmNumero inventario: 11019Alla base del collo e sulla spalla risparmiati, doppia fila di trattini a raggiera. Il passaggio dalla spalla al corpo è sottolineato da una linea.
Sul corpo tre palmette, tra bastoncelli, inserite in archetti a vernice bianca, con il centro segnato da una doppia linea arcuata segnata a graffito, includente una fila di puntini bianchi.
Le palmette poggiano su una catena di anelli segnati da archetti graffiti e con punto centrale bianco.
In basso due fasce orizzontali.
Verniciati l’esterno dell’ansa, la parte inferiore del corpo, il bocchino e la parte superiore del piede.
Proveniente dall’officina del Pittore della Megera.
Il Pittore della megera era un ceramografo attico operante entro il secondo venticinquennio del V sec. a. C. Dipingeva unicamente delle lèkythoi, per la maggior parte a figure nere o a puro contorno su fondo bianco (una solamente a figure rosse gli fu assegnata da C. H. E. Haspels).
Tra le molte decine di lèkythoi attribuite alla sua mano molte sono estremamente povere, con pitture meccaniche e affrettate. Taranto, ante 475 a.C - ante 450 a.C
Museo di Altamura (Bari)
Luogo di rinvenimento: Sciacca
Sulla spalla, zona di linguette a raggiera. Sul ventre, tre palmette dritte decorate con una fila di punti bianchi, insistono su una catena. Archetti bianchi circondano le palmette, che sono inframmezzate da boccioli di loto
( ca 499 - ca 466) a.C.
Lekythos Miniaturistica
Bernalda (Matera) (449 – 400) a.C.
Materia e Tecnica: argilla/ a tornio veloce;
Misure: Diametro, 3,6 cm – Altezza, 5,9 cm
Classificazione: Produzione Magnogreca;
Museo Archeologico Nazionale - Metaponto
Lekythos Miniaturistica
Fine del IV secolo a.C. – inizi del III secolo a.C.
Luogo di rinvenimento: Taranto
Materiale: Ceramica
Dimensioni: altezza, 8 cm – larghezza, 4,5 cm
Museo Archeologico Nazionale - Taranto
(sala XIII – Vetrina 26, 4.3)
Le stoviglie miniaturistiche forse sono interpretabili come giocattoli e per le quali non
si potrebbe escludere anche un uso e valore religioso e rituale.
Sono comunque oggetti che rimanderebbero al mondo femminile e infantile.
Ma nel gruppo vi sono alcune tra le più singolari e oscure figurazioni dell'intera serie, le inesplicate pitture dei "Pirati" e dei Satiri che torturano una Lamia (che per la Haspels è solo una brutta vecchia, the Beldam).Il Pittore cambiò radicalmente la sua espressione artistica immergendosi in un nuovo senso compositivo, con una nuova visione per le sue fragili figure evanescenti e disgregate nelle complesse figurazioni di misteriose crudeltà e torture.Beldam Painter (Pittore di Beldam)
Lekythos, Paralipomena 292 (475 – 450) a.C.
Lamia legata ad una palma, è torturata da cinque satiri.C. H. E. Haspels riconosce in base a sequenze di forme strutturali l'esistenza di un atelier del Pittore della Megera e un Vasaio della Megera, autore probabile non solo di lèkythoi, ma anche di alabastra a fondo bianco e forse di altri vasi ancora. In questo opificio avrebbero lavorato i Pittori di Ikaros, di Karlsruhe e del Tymbos............................................................
Le Ceramiche AretineHadranum, e non più Adranon, dopo l'anno 263 a.C. fu un "Municipio stipendiarum", come Plinio il Vecchio riportò nel suo “Naturales Historiae”, libro III, cap. 14), cioè uno fra i 26 "comuni censori”.Assieme alle poche ceramiche e alle monete di età repubblicana (III - I secolo a.C.) e dei primi anni dell'impero (I secolo d.C. Principato della Gens Iulio - Claudia), si recuperarono interessanti frammenti di "ceramica aretina" (nota nell'antichità come "SAMIA VASA").Reperti furono rinvenuti nelle località adranite di :- Interella;- Sisto;- Miraglia;- Marotta;- Luogo del Signore;- Damuso;- Naviccia;- Minà;- Capritti;- Giordano;- Santa Domenica;- Ruggieri;- cortile della Chiesa di S. Francesco;- zona archeologica dionigiana (dove venne alla luce un tesoro di sesterzi e denari d'argento, che si trovano esposti nella collezione numismatica).
Piazza Dionigi il Vecchio. Scavi 1986. Casa F.
Il tesoretto di denarii in argento con l’olpetta che lo conteneva.
Riguardo alla fase finale dell’abitato, un contributo cronologico importante è offerto, oltre
che dai materiali degli strati di abbandono, dal piccolo tesoretto di denari
repubblicani della zecca di Roma rinvenuto, entro una brocchetta fittile, in uno dei vani di un’abitazione esplorata nel 1986 sul lato meridionale della Piazza Dionigi il Vecchio. Furono questi i quartieri del Municipium Hadranensium che, distrutta la città greca dalle legioni romane dei consoli Manio Valerio Massimo Messalla e Manio Otacilio Crasso, sorsero a notevoli distanza l'una dall'altra.Della "ceramica aretina" esistono dei trattati non solo monografici ma anche enciclopedici che ne parlarono sia dal punto di vista teorico che da quello tecnico.Il primo luogo di fabbricazione sembra che sia stato a Samo (isola greca nell’Egeo orientale).Proprio dal termine Samo nacque la terminologia “Vasa Samia”. Le ceramiche prodotte furono decorate con vernice rosso-naturale.Ma la tecnica più perfezionata ebbe luogo in Italia e precisamente ad Arezzo, dove nelle ceramiche venne applicata una vernice, che resisteva agli acidi, all'umidità ed al fuoco. Una vernice destinata inoltre non soltanto a dare il lucido, ma anche a ravvivare il colore rossastro della creta e a renderlo di un "splendore corallino" inimitabile.I vasi aretini, di finissima argilla rossastra, raggiunsero il massimo splendore dal 30 a .C. al 40 d.C.Alla rinomata fabbrica aretina di Perennio, si aggiunsero quelle di Annio, di Rosinio e "altre officine in centri non ben identificati".Ad Arezzo, più degli altri centri, furono localizzate le fornaci, dove furono recuperati, interi o in frammenti: mastici, piatti, calici e tazze, ceramiche di colore corallino. Ceramiche con decorazioni a rilievo all'interno e all'esterno, con motivi floreali, con eleganti figure femminili, con scene belliche e ginniche, o con volti di divinità, con cavalieri, aurighi e quadrighe (i rilievi, a volte, vennero applicati mediante matrici sulle ceramiche lisce).I reperti di ceramica aretina, nel territorio adranita, furono recuperati negli anni Sessanta e Settanta.Reperti tutti databili fra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C. (quando già l'intera Sicilia era dominio di Roma).Reperti costituiti da frammenti di piatti, calici, bicchieri, cantari coppe e lucerne, tutte di ceramica rosso-lucida corallina, oppure di colore rosso-matto mentre le decorazioni erano presenti all'esterno o all’interno.Fra i più significativi meritano di essere evidenziati:- il "fondello" di una tazza con il rilievo del "Cavaliere e l'auriga";- l'esterno di una coppetta col motivo bellico di "Vincitori e vinti";- un grosso frammento di patera col doppio bollo "SMF CBM";- una lucerna bilicne con "il rilievo a testa di cigno";- una lucerna a "coda di rondine";- una tazza intera, nel cui fondello, a rilievo, sono raffigurati un uomo e una donna: forse Zeuss ed Era.I frammenti ritrovati furono pochi ma furono sufficienti per documentare come nelle abitazioni private dell'antica Adrano le suppellettili di uso domestico erano molto raffinate. Resterebbe da chiarire se le ceramiche siano state importate oppure create in “loco” o nei centri vicini ad Hadranum.Questo interrogativo si potrebbe chiarire leggendo le sigle impresse nelle ceramiche che appartenevano al ceramista o alla sua officina.Le raffigurazioni presenti in alcune ceramiche aretine
esposte nel Museo di Adrano
Frammento di PiattoLocalità: MiragliaTecnica: Terra sigillata italica.Datazione: I secolo d.C.Conservazione: Discreta. Ricomposto da due frammenti.Misure: Altezza 10,2 cm – Larghezza 16 cm – diametro 10,5 cmNumero inventario: 11672Parte del piatto con piede ad anello, decorato a matrice con rotellature a fascia circolare, delimitato da due scanalature circolari incise. Nel frammento è presente un bollo in planta pedis (nella pianta del piede) con il nome del fabbricante: C. VBEN.II frammento rientrerebbe nella tipologia della ceramica sigillata italica del materiale di Bolsena del I secolo a.C. - I secolo d.C. Secondo lo studioso Goudineau l'origine della ceramica aretina sarebbe da individuare nelle forme a vernice nera. A partire dal I secolo a.C. la tecnica si fece sempre più standardizzata e questo si spiegherebbe con un'organizzazione che riuniva i ceramisti di Arezzo sia a livello decisionale (promozione su nuove forme, nuove decorazioni), sia al livello esecutivo. I bolli Goudineau in planta pedis tendono a significare la volontà di contrassegnare il proprio prodotto per garantirlo di fronte al sorgere di imitazioni.
Frammenti di Coppa
Rinvenimenti: sporadici
Tecnica: Sigillata italica
Datazione: Dalla seconda metà del I secolo a.C. alla metà del I secolo d.C.
Uno dei frammenti si presenta poco chiaro e in parte è visibile la decorazione.
Misure: Altezza 4,2 cm – Larghezza 4 cm – Spessore 0,5 cm / Altezza 2,2 cm – larghezza 3,5 cm – Spessore 0,5 cm
Numero Inventario: 11675 – 11681
I frammenti presentano una decorazione “à la barbotine” ed incisa. Decorazione su due registri: nel primo frammento la parte superiore ha un motivo che si ripete di lepri sedute racchiuse in archetti separati da foglie e puntini (inv. 11675); nel secondo frammento (inv.11681) la parte superiore è decorata a rotella con una fascia orizzontale delimitata da due scanalature, la parte inferiore presenta un fregio a matrice raffigurante lepri sedute entro archetti.
L'accostamento dei soggetti iconografici avviene sempre in funzione di una logica decorativa alla quale rimane estraneo ogni intento di narrazione. Il gruppo decorativo delle due fasce è organizzato secondo degli schemi modulari, più o meno articolati, che vengono ripetuti sino a riempire tutto lo spazio disponibile. Questa maniera compositiva è ritenuta, in genere, caratteristica di tutta la produzione delle coppe aretine dove vengono usati dei veri e propri elementi architettonici, colonne, oppure figure di animali, vegetali ed elementi decorativi vari. Ciò indica come lo schema perda parte del suo valore semantico in favore di un effetto puramente ornamentale. Questo schema diventa frequente in epoca traianea, nell'ambito delle officine centro-galliche.
Frammento di CoppettaFrammento di fondo e parte della pancia.Contrada: Intorella.Rinvenimento: Sporadico.Misure: altezza 4 cm – larghezza 5,3 cm – diametro 4,5 cmDatazione: 11-111 secolo d.C.Numero inventario: 11685Il frammento presenta scene di battaglia: sopra la testa del cavallo si posa una nike alata.Il cavaliere ed il cavallo presentano un'accurata rifinitura. La scena è racchiusa in due cerchi concentrici a rilievo. Fondo piatto con circonferenza incisa.
Frammento di CoppettaContrada: Intorella.Rinvenimento: sporadico.Datazione: II – III secolo d.C.Tecnica: Sigillata italica. Decorato a matrice. (nitidezza scadente).Misure: Altezza 3,5 cm – larghezza 3,8 cm – spessore 0,3 cm.Numero Inventario: 11686Il frammento presenta scene di battaglia: lotta a cavallo con una figura umana calpestata dallo stesso cavallo. La scena è delimitata da due cerchi concentrici.
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Situle e UrneA testimoniare il "rito della incinerazione" d'età preistorica o protostorica in territorio adranita (XIII - V secolo a.C.), oltre ai tegoloni con epigrafi e con il marchio di fabbrica, sono sufficienti le situle e le urne cinerarie, rinvenute integre, e in stato frammentario, a partire dagli anni Cinquanta.Recuperate dalla dott.ssa Paola Pelagatti nella campagna di scavi del 1962, oppure rinvenute dal comitato archeologico locale o donate dai proprietari, si trovano esposte nei saloni dei reperti d'età siceliota (II piano, I salone).Le situle, di rozza argilla acroma, reperti a forma di secchio (che vanno restringendosi alla base) e con quattro piccole anse ad "arco" appena aggettanti vicino all'orlo, in media raggiungono l'altezza fra i 25 - 30 cm .Assieme al materiale preistorico dell'età dei metalli sono stati raccolti dal comitato locale alcuni interessanti frammenti di situle alla Fogliuta (predio : Schillaci - Gurgone - Di Fazio) e nella località Pulica (grotta Castro I e Castro II).
Nell'ambito del villaggio preistorico "Pietro Garofalo" (stile Castelluccio -etneo - adranita) furono raccolte due piccole situle, forse giocattoli, ex voto o suppellettili, integre: una tipologicamente uguale alle grandi situle e con le quattro anse preso l'orlo; altra sferica e con un’ansa curva, che si eleva sopra l'intero oggetto.
Dallo stesso comitato furono recuperati molti frammenti di situle in "Via della Regione", quasi nelle prossimità di "Via Garibaldi" nel predio del sig. Luigi Mazzaglia (nelle cui prossimità, fino al 1975, esisteva ancora un avanzo delle "mura urbiche di Adranon"). Fra i reperti raccolti, non pochi erano di età posteriore (VII - V secolo a.C.).Dalle "Sciare Manganelli" (Necropoli Siceliota sul Simeto, vicino alla città greco-sicula del Mendolito) provengono le più significative situle, una delle quali è quasi sferica. I reperti rinvenuti nelle sepolture e nell'interno della città cronologicamente risalgono ai secoli VII - V secolo a.C.
Non si ha traccia alcuna di situle risalenti agli anni anteriori del neolitico (V millennio - XVI secolo a.C.), e neppure dei secoli posteriori alla preistoria (età classica, ellenistico - romana - bizantina: IV secolo a.C. - V - VII secolo d.C.).
Le urne cinerarie, in media 17-20 cm di circonferenza nella parte centrale, sono di argilla acroma e caratterizzata da una coppia di anse, che partono dalla parte centrale e vanno a poggiare sull'orlo.
Provengono da sepolture (Sciare Manganelli - Ardichella), furono recuperate dal comitato cittadino adranita e, negli a scavi del 1962.
Sono tutte in ottimo stato di conservazione e, escludendo quelle della tomba Herkle, fanno parte di "corredi funerari" delle sepolture di età siculo-greca (VII - V secolo a.C.) del territorio adranita lambito dal Simeto, dove fiorì la civiltà siceliota della "città siculo-greca del Mendolito".
Nessuna urna cineraria, in senso assoluto, fu rinvenuta nelle località di interesse archeologico adranita che possa risalire cronologicamente agli anni preistorici e a quelli post-protostorici.
Situle ed urne, quindi documentano il rito funebre della incinerazione dei cadaveri (nel loro interno furono rinvenuti pure degli scarabei, che si trovano esposti al museo adranita fra i reperti "egizi"), che venne praticata, quasi in senso assoluto in età protostorica, precedute da quelle della inumazione. Quest'ultima ritornò in uso in età greco-classica ed ellenistico-romana (almeno per quanto riguarda l'archeologia adranita).
Riepilogando, possiamo affermare (a proposito del rito funebre) che si praticò nella remota preistoria (età neolitica) l'inumazione: i cadaveri vennero collocati nelle grotte-necropoli.
Nella tarda età dei metalli (età del bronzo) apparve il rito delle incinerazioni, misto a quello della inumazione. Negli anni protostorici sicelioti e greco-arcaici si praticò soltanto ( o in gran parte ) l'incinerazione e dall'età greco-classica in poi i cadaveri vennero inumati.
Situla ed Urna rinvenute nelle Necropoli di Sciare ManganelliIn merito alle sepolture in località “Sciare Manganelli”, a Sud della città del Mendolito, si osservano i resti di alcune tombe con pianta circolare o ovale. Furono definite dall’archeologo Paolo Orsi come “tholoi”. Le disegnò e propose un elevato in pietre laviche non lavorate e disposte in filari concentrici, gradualmente sporgenti l’uno sull’altro, in modo da formare un’elementare pseudocupola.
Louvre Museum
Datazione: (330 – 300) a.C.
Misure: (altezza 32,5 x larghezza 11,5 x spessore 9,2) cm
Luogo di produzione: Tanagra (Beozia – Grecia)
Provenienza (luogo del rinvenimento): Tanagra
La “Fanciulla orante”
Statuetta fittile dello stile di Tanagra
Statuetta di Tanagrina avvolta in un ampio himation
Datazione: II secolo a.C.
Museo Archeologico Regionale – Palermo
Foto: Giovanni Dall’Orto
tracce di policromo seconda metà del IV a.C.
Parco Archeologico di Selinunte - Sicilia
Non sono delle semplici statuette decorative ma hanno un preciso valore simbolico.
La statuetta era un’offerta funeraria popolare specie in età arcaica e in
epoca ellenistica. Erano donate nei santuari come ex voto o deposte nelle tombe
tra gli elementi di corredo. Nelle officine di Tanagra erano decorate con colori vivaci,
spesso con dorature per somigliare ad una scultura in bronzo e impreziosite
dalla raffinatezza del volto, dalle sofisticate acconciature e dai flessuosi panneggi.
Produzione: Centuripe – Esemplare ispirato ai tipi Tanagrini
Datazione: III secolo a.C.
Materiale e tecnica: Argilla depurata
Misure: Altezza 18,5 cm
Provenienza: Centuripe
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È una costruzione di forma cilindrica cinta da una larga scala a spirale, della seconda metà dell'800, elevata sui resti di una torre romana.
(Houel 1782-1787, III, CLV)
“Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari”, Paris, 1782.
Bain antique d’Adernò
Tazza carenata
Rinvenimento: Contrada Minà - Fontanazza
Misure: lunghezza 6 cm – Diametro: 10 cm – Spessore: 0,2 – 9,5 cm
Numero inventario: 4359
Datazione: Neolitico medio. Facies di Stentinello
Adrano: Contrada Minà – Capritti
Materiale: Bronzo
Stato di Conservazione: Ottimo
Misure: Alt. 7,6 cm – Diametro Orlo: 8,2 cm – Diametro Fondo: 4,2 cm – Altezza piede: 1,8 cm
Numero Inventario: 11371
Presenta un iscrizione in caratteri greci entro un registro orizzontale ottenuto con linee a doppia incisione.
L’iscrizione…
“ O Dio che hai accettato l’incenso del santo Zaccaria….”
Il piede inoltre presenta il sego della tenaglia che lo sosteneva durante la lavorazione. Infatti sull’esterno è presente un foro che, all’interno del piede, mostra una piccola incisione a ferro di cavallo.
Gli incensieri a piede troncoconico, di probabile produzione siracusana, presentano una tipica invocazione legata all’offerta di incenso a Dio, ricordando quella riportata dai Vangeli per San Zaccaria, padre di Giovanni il Battista.
San Zaccaria venne spesso confuso con il profeta martire per la triste sorte subita secondo il Protovangelo di Giacomo.
Numerosi esemplari furono recuperati in Sicilia:
- 13 esemplari furono registrati nel 2003 da Giannobile 2003, pp. 121 – 127);
- Paternò, andato perduto;
- Palermo, Catania, Palazzolo Acreide, Grammichele (trovato da Paolo Orsi) e in contrada Collura a Ragusa (relazione del Dott. Di Stefano)
Il motivo decorativo geometrico del piede ricordava molto da vicino quello di altre produzioni in bronzo, come la fibbia “porta-reliquia” con iscrizione.
Sul corpo tre palmette, tra bastoncelli, inserite in archetti a vernice bianca, con il centro segnato da una doppia linea arcuata segnata a graffito, includente una fila di puntini bianchi.
Le palmette poggiano su una catena di anelli segnati da archetti graffiti e con punto centrale bianco.
In basso due fasce orizzontali.
Verniciati l’esterno dell’ansa, la parte inferiore del corpo, il bocchino e la parte superiore del piede.
Proveniente dall’officina del Pittore della Megera.
Il Pittore della megera era un ceramografo attico operante entro il secondo venticinquennio del V sec. a. C. Dipingeva unicamente delle lèkythoi, per la maggior parte a figure nere o a puro contorno su fondo bianco (una solamente a figure rosse gli fu assegnata da C. H. E. Haspels).
Tra le molte decine di lèkythoi attribuite alla sua mano molte sono estremamente povere, con pitture meccaniche e affrettate.
Sulla spalla, zona di linguette a raggiera. Sul ventre, tre palmette dritte decorate
( ca 499 - ca 466) a.C.
Bernalda (Matera) (449 – 400) a.C.
Materia e Tecnica: argilla/ a tornio veloce;
Misure: Diametro, 3,6 cm – Altezza, 5,9 cm
Classificazione: Produzione Magnogreca;
Museo Archeologico Nazionale - Metaponto
Fine del IV secolo a.C. – inizi del III secolo a.C.
Luogo di rinvenimento: Taranto
Materiale: Ceramica
Dimensioni: altezza, 8 cm – larghezza, 4,5 cm
Museo Archeologico Nazionale - Taranto
(sala XIII – Vetrina 26, 4.3)
Le stoviglie miniaturistiche forse sono interpretabili come giocattoli e per le quali non
si potrebbe escludere anche un uso e valore religioso e rituale.
Sono comunque oggetti che rimanderebbero al mondo femminile e infantile.
Lekythos, Paralipomena 292 (475 – 450) a.C.
Lamia legata ad una palma, è torturata da cinque satiri.
Il tesoretto di denarii in argento con l’olpetta che lo conteneva.
Riguardo alla fase finale dell’abitato, un contributo cronologico importante è offerto, oltre
che dai materiali degli strati di abbandono, dal piccolo tesoretto di denari
repubblicani della zecca di Roma rinvenuto, entro una brocchetta fittile, in uno dei vani di un’abitazione esplorata nel 1986 sul lato meridionale della Piazza Dionigi il Vecchio.
esposte nel Museo di Adrano
Rinvenimenti: sporadici
Tecnica: Sigillata italica
Datazione: Dalla seconda metà del I secolo a.C. alla metà del I secolo d.C.
Uno dei frammenti si presenta poco chiaro e in parte è visibile la decorazione.
Misure: Altezza 4,2 cm – Larghezza 4 cm – Spessore 0,5 cm / Altezza 2,2 cm – larghezza 3,5 cm – Spessore 0,5 cm
Numero Inventario: 11675 – 11681
I frammenti presentano una decorazione “à la barbotine” ed incisa. Decorazione su due registri: nel primo frammento la parte superiore ha un motivo che si ripete di lepri sedute racchiuse in archetti separati da foglie e puntini (inv. 11675); nel secondo frammento (inv.11681) la parte superiore è decorata a rotella con una fascia orizzontale delimitata da due scanalature, la parte inferiore presenta un fregio a matrice raffigurante lepri sedute entro archetti.
L'accostamento dei soggetti iconografici avviene sempre in funzione di una logica decorativa alla quale rimane estraneo ogni intento di narrazione. Il gruppo decorativo delle due fasce è organizzato secondo degli schemi modulari, più o meno articolati, che vengono ripetuti sino a riempire tutto lo spazio disponibile. Questa maniera compositiva è ritenuta, in genere, caratteristica di tutta la produzione delle coppe aretine dove vengono usati dei veri e propri elementi architettonici, colonne, oppure figure di animali, vegetali ed elementi decorativi vari. Ciò indica come lo schema perda parte del suo valore semantico in favore di un effetto puramente ornamentale. Questo schema diventa frequente in epoca traianea, nell'ambito delle officine centro-galliche.
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Dallo stesso comitato furono recuperati molti frammenti di situle in "Via della Regione", quasi nelle prossimità di "Via Garibaldi" nel predio del sig. Luigi Mazzaglia (nelle cui prossimità, fino al 1975, esisteva ancora un avanzo delle "mura urbiche di Adranon"). Fra i reperti raccolti, non pochi erano di età posteriore (VII - V secolo a.C.).
Non si ha traccia alcuna di situle risalenti agli anni anteriori del neolitico (V millennio - XVI secolo a.C.), e neppure dei secoli posteriori alla preistoria (età classica, ellenistico - romana - bizantina: IV secolo a.C. - V - VII secolo d.C.).
Le urne cinerarie, in media 17-
Provengono da sepolture (Sciare Manganelli - Ardichella), furono recuperate dal comitato cittadino adranita e, negli a scavi del 1962.
Sono tutte in ottimo stato di conservazione e, escludendo quelle della tomba Herkle, fanno parte di "corredi funerari" delle sepolture di età siculo-greca (VII - V secolo a.C.) del territorio adranita lambito dal Simeto, dove fiorì la civiltà siceliota della "città siculo-greca del Mendolito".
Nessuna urna cineraria, in senso assoluto, fu rinvenuta nelle località di interesse archeologico adranita che possa risalire cronologicamente agli anni preistorici e a quelli post-protostorici.
Situle ed urne, quindi documentano il rito funebre della incinerazione dei cadaveri (nel loro interno furono rinvenuti pure degli scarabei, che si trovano esposti al museo adranita fra i reperti "egizi"), che venne praticata, quasi in senso assoluto in età protostorica, precedute da quelle della inumazione. Quest'ultima ritornò in uso in età greco-classica ed ellenistico-romana (almeno per quanto riguarda l'archeologia adranita).
Riepilogando, possiamo affermare (a proposito del rito funebre) che si praticò nella remota preistoria (età neolitica) l'inumazione: i cadaveri vennero collocati nelle grotte-necropoli.
Nella tarda età dei metalli (età del bronzo) apparve il rito delle incinerazioni, misto a quello della inumazione. Negli anni protostorici sicelioti e greco-arcaici si praticò soltanto ( o in gran parte ) l'incinerazione e dall'età greco-classica in poi i cadaveri vennero inumati.
Schizzi dai taccuini di Paolo Orsi.Dall’alto verso il basso: pianta, prospetto e sezione di una tomba di Sciare ManganelliSuccessivamente la dott.ssa Paola Pelagatti svolse delle ricerche nella stessa area negli anni 1962-63.
Durante gli scavi furono individuate 15 tombe simili a quelle rinvenute dall’Orsi. Erano costituite da ambiente di forma circolare o ovale al quale si accedeva attraverso un breve dromos (corridoio). Le tombe erano costruite direttamente sul banco lavico e risultavano destinate ad accogliere più individui appartenenti quasi certamente alla stessa famiglia. Per questo motivo gli oggetti rinvenuti al loro interno appartenevano a diversi corredi, composti da ceramiche di produzione locale dello stile di Licodia Eubea, associate con esemplari di importazione greca, numerosi oggetti di bronzo ed alcuni scarabei pseudo-egizi in faïence. I materiali permettevano di affermare la necropoli in uso tra la seconda metà del VII ed il V sec. a. C.
Importante fu il rinvenimento dei materiali egittizzanti perché testimoniava una certa vivacità del centro coinvolto in scambi commerciali con il mondo orientale. Restò aperto il problema delle origini di queste tombe, la cui forma a tholos, spesso collegata a modelli funerari egeo-micenei, è stata recentemente messa in dubbio per la mancanza di dati certi sull'elevato, conservatosi solo nei filari più bassi.
Importante fu il rinvenimento dei materiali egittizzanti perché testimoniava una certa vivacità del centro coinvolto in scambi commerciali con il mondo orientale. Restò aperto il problema delle origini di queste tombe, la cui forma a tholos, spesso collegata a modelli funerari egeo-micenei, fu recentemente messa in dubbio per la mancanza di dati certi sull'elevato, conservatosi solo nei filari più bassi. Importante fu il rinvenimento dei materiali egittizzanti perché testimoniava una certa vivacità del centro coinvolto in scambi commerciali con il mondo orientale. Restò aperto il problema delle origini di queste tombe, la cui forma a tholos, spesso collegata a modelli funerari egeo-micenei, è stata recentemente messa in dubbio per la mancanza di dati certi sull'elevato, conservatosi solo nei filari più bassi.
Durante gli scavi furono individuate 15 tombe simili a quelle rinvenute dall’Orsi. Erano costituite da ambiente di forma circolare o ovale al quale si accedeva attraverso un breve dromos (corridoio). Le tombe erano costruite direttamente sul banco lavico e risultavano destinate ad accogliere più individui appartenenti quasi certamente alla stessa famiglia. Per questo motivo gli oggetti rinvenuti al loro interno appartenevano a diversi corredi, composti da ceramiche di produzione locale dello stile di Licodia Eubea, associate con esemplari di importazione greca, numerosi oggetti di bronzo ed alcuni scarabei pseudo-egizi in faïence. I materiali permettevano di affermare la necropoli in uso tra la seconda metà del VII ed il V sec. a. C.
Importante fu il rinvenimento dei materiali egittizzanti perché testimoniava una certa vivacità del centro coinvolto in scambi commerciali con il mondo orientale. Restò aperto il problema delle origini di queste tombe, la cui forma a tholos, spesso collegata a modelli funerari egeo-micenei, è stata recentemente messa in dubbio per la mancanza di dati certi sull'elevato, conservatosi solo nei filari più bassi.
Scarabei e placchetta con cartiglio in faïence
dalla necropoli di Sciare Manganelli (seconda metà del VII-VI secolo a.C.)Le cosiddette tombe a tholos non sono gli unici tipi di sepolture presenti al Mendolito. Nella proprietà Stissi fu rinvenuta una deposizione alla “cappuccina” di tipo greco della prima metà del V sec. a. C.Del VII sec. a. C. furono invece datate alcune sepolture di bambini molto piccoli rinvenuti all’interno di contenitori di terracotta, deposti al di sotto dei pavimenti delle abitazioni. L’usanza di seppellire neonati nell’abitato e non nella necropoli potrebbe indicare che in questo centro indigeno l'infante fosse ritenuto privo di individualità sociale e giuridica. Per tale motivo la sua morte riguardava solo la famiglia e non l’intera comunità. Urna Cineraria (X secolo a.C.)Nelle sepolture alla “cappuccina” veniva scavata una fossa dove venivano stese alcune lastre in terracotta, tipicamente prese dalle manifatture che producevano coppi per la copertura degli edifici, o in pietra, (spesso poteva essere priva di questa copertura del piano di posa del defunto e quindi adagiato sulla nuda terra). Vi veniva poi steso il defunto, o in una cassa lignea o semplicemente avvolto in un sudario, e in seguito coperto da tegoloni (tabellones), congiunti alle estremità e al vertice da embrici; il tutto poi veniva coperto di terra. Il corredo del defunto era per la maggior parte dei casi minimo, se non assente.Questo tipo di sepoltura viene detta alla “cappuccina” perché, se guardata in sezione frontale, ha la forma di un triangolo come il cappuccio dei frati cappuccini.
L’OinochoeL'oinochoe (oppure oinocoe) rinvenuta in territorio adranita è una anforetta di ceramica acroma, una piccola brocca o boccale, caratterizzata dall'orlo "trilobato", dal collo cilindrico (monocromato, oppure con strisce bianche orizzontali ad anello), da un'ansa e dalla parte centrale sferica, piriforme, (quasi sempre colorata), la quale va restringendosi verso la base.Le onichoaai provengono in grandissima parte dalle sepolture a Tholos di Sciare Manganelli, Ardichela, Croce del Mendolito, Carcaci, Piano Mazza e dalla località di Poira (Tomba di Herkle).Esse sono cronologicamente reperti di età sicula e siceliota (VII - VI secolo a.C.), ad eccezione di quelle rinvenute a Carcaci e Piano Mazza, che possono risalire ad un'età precedente poiché sono state recuperate assieme a ceramiche e ad utensili litici preistorici.Pochissime sono le oinochoai rinvenute nell'area urbana della città greca di Adranon, mentre in territorio adranita, non se ne sono trovate di età romana e bizantina (anche se in qualche lumiera acroma bizantina e in qualche boccale medievale ritroviamo la trilobatura degli orli).Una sola brocchetta del Museo adranita, dal collo molto sottile è monocromata in nero-lucido ma la sua provenienza è però incerta.L'altezza delle onichoai "adranite" variano dai 10 ai 25 cm di altezza.Fin dalla civiltà minoica, micenea, greca, corinzia, e rodiese troviamo presente l'oinochoe, associata al "cratere" nei conviti e nei riti religiosi, cioè dal II millennio al V secolo a.C.Nell'Odissea, Omero, parlando dei Proci a tavola del Palazzo di Ulisse, ad Itaca, libro I - vv 109-110, afferma che:"Oikerukes emisgon oinon kai udor evi kreteresi(Gli araldi versano vino e acqua nei crateri; gli araldi assistevano e servivano i loro signori nei banchetti e nei riti sacri, versando con i boccali vino e acqua nei crateri".Dalle fonti storiche e poetiche greche, si sa che gli antichi distinguevano nettamente il boccale del vino da quello dell'acqua (distinguevano però nella denominazione e non nella forma del recipiente), chiamando il primo oinokoe e il secondo prokos.Mentre l'oinochoe sicula è di piccole dimensioni e quasi sempre acroma, gli archeologi hanno recuperato negli scavi effettuati in tutte le località mediterranee d'influenza ellenistica, oinocoai metalliche e ceramiche di pregevole fattura e di raffinata decorazione.Un esempio ci viene offerto da quelle esposte nei vari musei europei che presentano tecniche e decorazioni protocorinzie corinzie e rodiesi (VII - V secolo a.C.) e quelle di età e civiltà etrusca e romana con raffigurazioni a rilievo (V secolo a.C. - I-II secolo d.C.)L'uso di questi boccali, dalla civiltà remota in poi, va perdendo però il suo significato pratico, tanto che in età romana l'oinochoe si è ridotta a semplice suppellettile, oppure ad essere raffigurate nei monumenti e nei cornicioni dei templi.L'oinochoe del Museo di Adrano è in gran parte, il reperto più caratteristico della civiltà siculo-greca del Mendolito (XI - V secolo a.C.). L’Oinochoe del VII – VI secolo a.C.
Museo Archeologico di AdranoRimangono da chiarire alcuni aspetti:Perché in abbondanza si sono trovate soltanto dentro le sepolture?Perché nessuna di esse è decorata ?Perché nell'area urbana della città siculo-greca non è stato mai trovato o recuperato un frammento o un cratere ?Forse fu sconosciuto alle genti del Mendolito per i loro conviti e al suo posto fu messo sulle tavole dei banchetti lo skupos, o qualche altro grosso vaso acromo, o addirittura qualche idria, che abbondanti sono stati rinvenuti nelle tezze simezie ?Cosa s’intende per “tezze simezie”?Il termine fu usato dal sacerdote, storico ed archeologo Salvatore Petronio Russo.Un personaggio di spicco di Adernò, nella seconda metà dell’ottocento, tra l’altro poeta e socio di varie Accademie italiane ed estere.Fra il 1901 e il 1908 collezionò medaglie, diplomi e molte nomine di Enti di Cultura e di Accademie, come la nomina di Ispettore Onorario alle Antichità per il circondario di Catania. Scoprì i ruderi di un’antica città che egli chiamò Simezia, denominata poi da Paolo Orsi ” Città siculo-greca del Mendolito”.
Una foto della raccolta archeologica del Prevosto Petronio Russo che faceva parte
del Museo “Simezio”. Foto di A.
Paternò Castello inserita in un articolo di Giovanni Paternò Castello dal titolo:
“Luighi romiti: Aderno“, Emporium, n. 69, 1900
Per “tezze simezie” s’intende la capanne/abitazioni del Mendolito. ……………………………..
Il LebeteRinvenuti in Via Catania e nelle località che gravitano sulla "zona archeologica dionigiana", sporadicamente, oppure a seguito di campagne di scavo (fra cui quella diretta dal prof. Santi Tinè).Sono stati recuperati alcuni lebeti, molti in stato frammentario, tre interi (uno soltanto, di piccole dimensioni e di marmo).Sono di terracotta acroma, di forma circolare (diametro cm 41 all’esterno) con beccuccio (cm 6 di lunghezza), quest'ultimo ornato con decorazioni spiraliformi (in un lebete rinvenuto intero in via Catania negli Anni Sessanta).Nella stessa via fu recuperato un pythos loutroforus, quasi intero, le cui misure sono:cm 60 di altezza, cm 55 in larghezza, cm 10 i due beccucci.I lebeti, interi e frammentari, e il pythos lautroforus, che cronologicamente appartengono alla Polis di Adranon (IV - III secolo a.C.) si conservano nel Museo di Adrano.I suddetti reperti richiamano gli usi e i riti delle abluzioni e delle solennità religiose, praticati dagli adraniti (come pure da tutte le genti di civiltà greca ed ellenistico-romana).Si tratta di terrecotte utilizzate frequentemente, quasi quotidianamente, relativamente all'approvvigionamento, alla conservazione ed all’utilizzazione dell'acqua.L'acqua, specialmente quella potabile, veniva raccolta direttamente alla sorgente (peghè). Ancora oggi, nell'area urbana di Adranon, oppure nelle vicinanze delle mura ciclopiche, esistono sorgenti, fra cui quella del Buglio, di Mola e di S. Nicola, alle quali si recavano le persone con secchi speciali per attingere (kalpides) e portare l'acqua nelle proprie dimore (oikiai).Non poche erano le brocche e le giare (ydrie e pythoiloutroforoi) nelle abitazioni, non esclusi i cortili, dove si conservava l'acqua, sia quella potabile, sia quelle per le abluzioni (kerniba).Speciali brocche (prokoi) venivano adoperate per riempire i bicchieri (poteria) e i bacili con beccucci (lebetes).E' il caso di ricordare che, presso i greci, mancando le posate, i commensali mangiavano adoperando le mani che venivano lavate sempre prima del pranzo.Gli addetti all'approvvigionamento e alle varie fasi di lavaggio, uomini e donne, erano persone specializzate, con incarichi ben precisi e scrupolosamente eseguiti. Si osservava una netta distinzione fra una mansione e l'altra, come direttamente possiamo constatare attraverso le opere di Omero, di Euripide, di Sofocle e di molti altri lirici greci.Escluso il "servo personale" (terapon) e la "nutrice" (trofos), i quali avevano un "grado di dignità" superiore a tutto il personale servile, uomini e donne venivano distinti per categoria: le amfipoloi erano serve faccendiere, le dmoai schiave ancelle, le tamiai erano dispensiere e massaie in genere, i kourioi erano giovinetti che assistevano i loro padroni nei banchetti, i kerukes erano servi e gli araldi, i loutrokoi gli addetti a versare acqua nelle mani dei convitati e dei ministri di culto (che nei riti religiosi erano gli stessi padroni).Dall'età romana in poi, mutati usi, costumi e modi di vita sociale e conviviale, almeno in territorio adranita, non si hanno reperti del genere, ad eccezione dei recipienti per conservare l'acqua.Non si sa il motivo per cui non si sono rinvenuti lebeti e pythoi loutroforoi degli anni di Hadranum (età romana) e di Adraninon (età bizantina).
Lebete del IV – III secolo a.C.
Museo Archeologico di Adrano…………………………………………..
Le Glande MissiliDue reperti fittili del V - IV secolo a.C., esposti nella sala del II piano del Castello Normanno, sono molto interessanti, non solo per il loro contenuto grafico, ma anche perché testimoniano una singolare rarità in campo archeologico.Sono le glande missili, così chiamate per la loro tipologia, la forma di ghianda (glans-glandis) e perché erano anche destinate ad "essere scagliate" (mitto-missum-mittere).Una di 6 cm di lunghezza, è stata rinvenuta in territorio adranita ed ha una forma di vera ghianda, spiccatamente ovoidale. Fu rinvenuta nei primi anni del nostro secolo.In realtà nel museo di Adrano si conserva solo il calco in gesso dato che l'autentico è esposto nel Museo di Siracusa.Su questo reperto furono fatti dagli studi da parte del prof. Giacomo Manganaro.Nel "diritto" si legge chiaramente l'epigrafe:Deu (Tera) Ful (A) Fa (Tria) Ple Fintulos Filiou;nel "retro" è raffigurato un guerriero seduto, con un grande scudo ai suoi piedi.L'altra glanda, donata nel 1981 al Museo fu rinvenuta nel territorio Etneo.È forata nelle due facce, ha un'altezza di 4 cm , ha una forma quasi cilindrica, tanto da somigliare ad una fuseruola, oppure ad un rocchetto.Dal punto di vista epigrafico si legge:Eurumakos Diamos Ded ......E' contemporanea a quella precedentemente descritta. Nei due reperti di argilla acroma le epigrafi sono state incise prima della cottura, però nella glande di "Fintulo", la figura del guerriero è stata impressa mediante uno stampo di metallo o di pietra dura.Riveste una grande importanza la glanda di "Fintulo" per il suo contenuto, poiché in essa sono incisi il nome del giovane (Fintulo), del genitore (Filios), della tribu' (Fula Deutera) e della famiglia (Patria).Inoltre il guerriero con lo scudo spiega l'attività militare del giovane adranita, oppure probabilmente, di un giovane guerriero greco, che combatté nel territorio adranita.Greci certamente Fintulo ed Eurimako della Sicilia-etnea-adranita vissuti nel V e IV secolo a.C., possessori delle due Glande del Museo adranita.Delle due famiglie non si sa nulla.Ma che cosa sono le glande ?Perche' in esse sono incise soltanto i nomi ed immagini di giovani e non di donne ?Se appartengono soltanto a uomini, il loro uso fu forse legato ad una loro funzione di difesa e cioè di essere scagliati contro il nemico?Sono anche degli ex-voto? Nel significato più ristretto, si potrebbe sostenere la tesi di una "offerta personale "ad una divinità, probabilmente ad Ares, da parte di un giovane guerriero, reduce da una difficile impresa militare.La Statuetta di “Amore e Psiche”.III Secolo a.C."C'erano una volta in una città un re e una regina, che avevano una figlia bellissima,di nome Psiche.Venere, gelosa della sua bellezza, inviò Amore per farla innamorare del peggiore degli uomini.Ma Amore s'innamorò della splendida ragazza, la condusse con sé in un castello incantato, ponendole la condizione che lei non vedesse lo sposo,che le si avvicinava solo nel corso della notte.Psiche, mal consigliata dalle sorelle invidiose, una notte accese una lucerna per guardare il viso dello sposo, ma una goccia d'olio caduta dalla lucerna, svegliò Amore, che la cacciò.Psiche fu costretta da Venere ad affrontare durissime prove per potersi riunire ad Amore.Superate queste e vinta l'ira di Venere, Psiche venne assunta fra gli dei eper l'eternità restò la sposa di Amore".Si tratta della favola di "Amore e Psiche" che Apuleio narra nella sua opera "Asinus aureus" (oppure "Metamorphoseon libri XI") e la troviamo sintetizzata da Giusti Monaco, Gaetano de Bernardis e Andrea Sorci in "L’attività letteraria dell'antica Roma".E' merito principale dello scrittore Madaura (Apuleio era nato nel 125 in Africa) l'aver divulgato la stupenda favola, i cui personaggi per secoli sono stati protagonisti nella pittura, nella letteratura, nella scultura e persino nella musica dall'età ellenistica (III secolo a.C.) ai nostri giorni.Prosatori e poeti, antichi e moderni, italiani e stranieri, hanno subito il fascino dei due innamorati e, fra i più noti, ricordiamo Melegrao, Boccaccio, Galeoto del Carretto, Calderon, La Fontaine, Pindemonte, Zanella e Pascoli.La pittura vascolare ellenistico-romana, Giulio Romano (Palazzo del the a Mantova), Correggio, Caravaggio, Raffaello (La Loggia di Psiche nel Palazzo della Farnesina), le Catacombe romane e il catanese Damiano D'Emanuele (il cui disegno si trova esposto nella galleria d'arte contemporanea del Castello Normanno) esternano, con varie tematiche, la romantica favola di Psiche e il figlio di Venere.Stupenda la meravigliosa scultura di Antonio Canova nella Villa Carlotta di Cadenabbia, oppure le melodiche composizioni di Lulli, Scarlatti, Thomas, Frank, Zeuger e Marcello, dove l'alato Eros e la dolce fanciulla amata sono protagonisti del più delicato e favoloso dramma d'amore.La statua di Canova presenta i due giovani nel notturno amplesso, D'Emanuele ha disegnato Amore vicino alla fanciulla dormiente mentre una statuetta fittile d'età ellenistico del Museo di Adrano ci mostra i due innamorati strettamente legati, in atto di spiccare il volo verso l'Olimpo.Il gruppo fittile di Adrano sembra interpretare alla perfezione il brano di Apuleio nella sua parte finale, quando, superate le fatiche imposte da Venere, Zeuss proclama solennemente l'unione dei due amanti e la divinizzazione di Psiche.Nel XXIII capitolo leggiamo dal libro VI dell'"Asino d'oro" (Metamorfosi) di Apuleio:" (Amor) puellam elegit et virginitate privavit; teneat, possident et complexus Psyche semper suis amoribus perfruatur.(Amore s'è scelta la fanciulla e l'ha fatta sua; la tenga, la possegga e, tenendo Psiche abbracciata, goda in eterno dei suoi amori)".Il gruppo di Amore e Psiche di Adrano, con i due giovani stretti, artisticamente modellato nei nudi e nel flessuoso drappeggio della fanciulla, ha una tipologia "sui generis”. È un'opera certamente più di un maestro che di un artigiano, di un artista maturo, colto e capace, che ha inteso rappresentare la vicenda più significativa della favola.Documenta altresì il gusto raffinato di qualche famiglia di Adranon che, per la propria abitazione, ha commissionato una statuetta artisticamente pregevole e che fosse in grado di parlare di un mito sentimentale e religiosamente ricco di fascino e di significato etico.Amore e Psiche, infatti, al di là di qualsiasi interpretazione allegorica e simbolica, restano sempre l'espressione del costante, tenace e fedele affetto fra due esseri innamorati. Esprimono l'amore senza limiti e cedimenti in terra, che perdura anche dopo la morte del corpo e che addirittura si divinizza nell'eternità.Amore e Psiche
III secolo a.C.
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Piatto D’Argilla della FeliciusaIII - II millennio a.C. (Età dei metalli)È stato rinvenuto nella parte più settentrionale del territorio adranita, un piatto d'argilla che deve ritenersi un documento preziosissimo poiché testimonia con certezza l'esistenza di un habitat d'età preistorica quasi alle falde dell'Etna, nella parte più boschiva della campagna adranita.Il piatto è stato rinvenuto alla Filiciusa, a quota di oltre 1000 m d'altezza s.l.m. in una zona dove oltre alla pineta comunale insistono aceri, castagni, abeti con un ricco alternarsi di sciare.Il piatto risale al III-II millennio a.C. (Età dei metalli) ed è stato donato al Museo Adranita dal dott. Giuseppe D'Antona durante uno scavo effettuato in un suo terreno alla Filiciusa.È di terracotta acroma e grigiastra, ha una circonferenza di oltre 75 cm e un diametro di cm 24; un grosso foro è stato praticato nel fondo, mentre un'ansa a ponte lo caratterizza in un settore, di fronte al quale e presso l'orlo, si trova una piccola sporgenza, quasi simile a un ansa mammellonata.Non si tratta di un piatto comune e nemmeno può definirsi un coperchio, poiché la posizione laterale dell'ansa e il foro escludono questa ipotesi.È probabile che questo piatto sia uno strumento sussidiario, con cui i pastori ricavano ricotta e il formaggio dal latte delle loro pecore, capre e mucche, facendo passare il siero dal foro appositamente praticato nel fondo.Potrebbe quindi essere un oggetto fabbricato dalle genti preistoriche per l'attività casearia. D'altra parte nel III e II millennio a.C. l'uomo era già un esperto agricoltore ed allevatore di bestiame.Inoltre le campagne della Filiciusa, anche se boschive, offrivano alla pastorizia un buon pascolo ed è logico pensare all'esistenza di qualche stazzo e di qualche rustica costruzione dove si svolgeva l'attività del pastore, per ricavare latte e i prodotti derivanti, sia per uso proprio che per fini commerciali.Ancora oggi i boschi della Filiciusa offrono un buon pascolo.Resta da chiarire se gli stazzi e i "laboratori" si trovassero lontani dai villaggi, oppure entro i villaggi stessi, che, non lontani dalla Filiciusa, furono moltissimi (dalla Fogliuta, alla Pulica, a Poggio dell'aquila, alla Naviccia, alla Difesa Luna).Quello che lascia perplessi è il fatto che il piatto della Filiciusa rimane un reperto unico e isolato fra i numerosi venuti alla luce negli habitat delle altre località.
……………………………..Cratere Laconico A Staffa A Vernice NeraRinvenimento: Necropoli di Poira, Tomba 1Materiale: Argilla marrone. Vernice nera, coprente, piuttosto lucente.Condizioni del reperto: Integro. Superficie scheggiata e abrasa. Vernice a tratti debole.Dimensioni: altezza, 32 cm - diametro bocca: 28 cm.Datazione: ultimo quarto del VI secolo a.C.Numero Inventario: 63550Orlo aggettante, piatto superiormente e a profilo esterno concavo; largo collo cilindrico; corpo ovoidale allungato con breve spalla arrotondata; anse a staffa impostate orizzontalmente sulla spalla e collegate all’orlo da un nastro ingrossato; piede svasato. D’importazione o imitazione.
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KylixRinvenimento: Necropoli di Poira, Tomba 1Materiale: Argilla arancione.Condizioni del reperto: ricomposto da sei frammenti; di restauro porzioni del labbro e del ventre; manca di un’ansa; scheggiature al piede.Dimensioni: altezza, 10,6cm - diametro orlo: 20 cm.Datazione: 525 — 500 a.CNumero Inventario: 63486Alto labbro a profilo concavo distinto dalla vasca; anse oblique a bastoncello impostate sotto il labbro; vasca piuttosto profonda; alto stelo su piede a disco a base concava. Decorata, all'interno, con medaglione risparmiato con cigno sul fondo; all'esterno sul labbro e sulla spalla, su entrambi i lati, in due fasce risparmiate separate da una sottile linea nera: sul labbro, catena di fiori di loto e bottoni, fiancheggiata, sopra le anse, da due girali; sulla spalla, quattro volatili a silhouette piena. Ricoperta di vernice nera nella parte inferiore del corpo, con due linee parallele risparmiate, e sul piede. Fabbrica coloniale o importazione attica (?).
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La “Kore Scopadea”In questo modo è chiamata la testina di una statuetta fittile, nel Museo archeologico etneo, per particolari accostamenti tecnici all'arte di Scopa, scultore e architetto greco del IV secolo a.C. (nato a Paro fra il 420 e il 370 e morto nel 330 a .C.). Dello scultore Scopa sono rimaste molte notizie ma pochissime sculture (in gran parte copie romane), fra cui la base della colonna dell'Artemisio, la Menade Ebbra, i particolari dell'Amazzonomachia e la Demetra di Cnido.
Scopa, definito il più moderno degli antichi scultori greci, fu un artista originale, poiché creò molte statue raffiguranti personaggi mitologici, nei cui volti e atteggiamenti traspare un sentimento profondo di tristezza per un dramma psichico e fisico, per un gran dolore interiore. Un dolore che è artisticamente espresso nel capo reclinato, nella bocca "amaramente" aperta, nel viso denso di umano e delirante pathos.Nel IV e III secolo l'innovazione di Scopa si diffuse nei centri ellenistici del Mediterraneo e non mancarono a Pergamo, Alessandria, Atene, Antiochia e nella Magna Grecia i seguaci e gli imitatori, che produssero una infinità di sculture, ispirandosi (più nelle tipologie che nei motivi) alla pateticità scopadea.Della statuetta adranita è stata recuperata solo la testa.È stata rinvenuta negli anni 50 in via Catania (forse in una abitazione privata della città di Adrano, zona archeologica dionigiana) e, senza alcun dubbio, è di età ellenistica (IV-III secolo a.C.).Fra le numerose statuette rinvenute nell'area urbana dell'antica città del dio Adrano, la Kore è l'unica che esprima un sentimento profondo, un'angoscia, una tristezza, una malinconia che esprimono i motivi dello scultore Scopa.Altri motivi quale il capo leggermente reclinato sulla sinistra, il volto femminile negli occhi e nelle labbra, sono un ulteriore prova della sua autenticità.Forse si tratta di una Niobe, l'infelice madre dei 14 figli uccisi sul Citerone da Apollo e Artemide, istigati dalla madre Latona o forse a una Kore in atteggiamento di preghiera.Si potrebbe accostare alla Demetra di Cnido, però non come una dea dalla solenne bellezza olimpica, o come nume protettrice delle messi, ma nell'atteggiamento di una madre afflitta, psicologicamente smarrita, alla ricerca affannosa e dolorosa della sua creatura.È un leggiadro volto femminile che esprime preghiera, che si rivolge agli dei, affinché intervengano a renderle giustizia, a concederle una grazia, a placarne l'affanno.O Kore, o Demetra, o sacerdotessa, la statuetta "adranita" (che risulta fabbricata in più fasi e matrici) è un lavoro non di un artigiano, ma di un maestro, probabilmente di Adrano, che forse ha voluto modellare una figura femminile, accostandosi al "Pittore di Adrano", che dipingeva nei vasi donne e fanciulle con i volti raffigurati non completamente frontali e nemmeno di profilo, come si può constatare nel "Bombilios" del Museo di Adrano e precisamente nella suonatrice di arpa, il cui viso piegato è rivolto verso Tersicore.………………………………..
BanchettanteDatazione: 530 a.C.Rinvenimento: Contrada Mendolito (1960)Materiale: BronzoMisure: Altezza 4,8 cm – larghezza 7,3 cmProvenienza: L'inventario provvisorio del Museo indica che il pezzo fu rinvenuto intorno al 1945 durante una serie di lavori agricoli negli agrumeti di contrada Mendolito dal sig. Antonino D'Agateche lo consegnò al Museo nel 1958.Collocazione: Museo Archeologico Regionale di Adrano. Numero Inventario: 9449La statuetta del bacchettante è una delle più antiche (530 a.C.) e presenta un’ispirazione a modelli ionici.Rappresenta una giovane figura virile, semisdraiata su una “kline”, nella tipica posizione di chi stava a mensa nel mondo greco.La figurina trova confronti in analoga produzione tardo arcaica dell'Etruria e della Magna Grecia e fa parte di quella nutrita documentazione testimoniante la progressiva diffusione in ambiente occidentale delle ideologie elleniche legate alle pratiche del simposio.Nella parte anteriore i piani delle figura sono lisci mentre maggiore attenzione ai particolari sono presenti nella parte posteriore dove i lunghi capelli, fermati da una benda, scendono sulle spalle in fitte e ordinate trecce. L’abito, che avvolge la parte inferiore del corpo, è disposto in morbide ed eleganti pieghe.Sotto la base sono presenti due perni e probabilmente la statuetta doveva fare parte della decorazione di un bacino bronzeo o di un sostegno per vaso da mensa.Figura virile in posizione recumbente e panneggiata nella parte inferiore del corpo; volto ovale con fronte sfuggente; occhi a mandorla; naso piatto; acconciatura, fermata da una benda, ricadente sulle spalle in fitte e regolari treccioline; braccio sinistro ripiegato e puntato con il gomito sul cuscino della kline, con mano che regge una coppa; braccio destro ripiegato con mano che tocca il ginocchio destro; torso con morbida indicazione dei pettorali; piedi scoperti; panneggio reso a massa compatta sul lato anteriore; in quattro pieghe sul lato posteriore. ………………………
Manico di pateraDatazione: Fine VI - inizi V sec. a.C.Rinvenimento: Adrano – Via Firenze.Materiale: BronzoMisure: Altezza 15 cmStato di conservazione: privo della testa e delle mani.Provenienza: L'inventario provvisorio del Museo indica che il pezzo fu rinvenuto negli anni tra il 1962 e il 1964 in via Firenze (moderno centro urbano di Adrano) e che fu consegnato al Museo diAdrano da un farmacista del paese, il dott. Nicolò Di Giovanni.Collocazione: Museo Archeologico Regionale di Adrano.Numero Inventario: 9450
Configurato a corpo maschile; braccia ripiegate in alto a squadra; torso con moderata resa plastica dei pettorali, dell'arcata epigastrica e dei fasci addominali; gambe segnate da solco mediano, con la sinistra che presenta il ginocchio e il polpaccio più rilevati; piedi senza indicazione delle dita, poggianti su una palmetta priva di incisioni interne.
Lato posteriore: resti della parte inferiore della chioma trattata a superficie piana; solcatura mediana dalle spalle ai piedi; glutei e gambe resi con discreto rilievo plastico.
Un manico di patera d’ispirazione ionica anche se probabilmente prodotto in officina siceliota. Il manico è a forma di corpo maschile secondo una tipologia nota in Sicilia tra la fine del VI secolo a.C. e gli inizi del V secolo a.C.
La mancanza della parte superiore con tutta la testa e le mani, non permette di capire come il reperto si univa alla bassa ciotola della quale costituiva il lungo manico.
Da reperti simili, esposti in altri musei, si può solo ipotizzare la sua configurazione originaria.
La figura sottostante si riferisce ad un reperto esposto a Parigi nella Parigi, Bibliothèque. Nationale, Cabinet des Médailles.
Si tratta di una patera bronzea con manico figurato da Pozzuoli e risalente alla prima metà del V secolo a.C.
La patera del Mendolito (Adrano) doveva probabilmente avere una configurazione simile… un vero gioiello d’arte indigena….
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Di gran rilievo nella composizione storica e museale di Adrano sono i bronzetti indigeni. Guerriero – OfferenteDatazione: Fine VI - inizi V sec. a.C – prima metà del V secolo a.C.Rinvenimento: Mendolito.Materiale: BronzoStato di conservazione: OttimoCollocazione: Museo Archeologico Regionale di Adrano.Indossa una corta casacca e un pesante cinturone ed avanza portando in avanti le braccia e la gamba destra.Con la mano sinistra doveva, in origine, reggere una lancia (o un'asta), ora scomparsa, mentre la mano destra ha il palmo rivolto in alto. Forse raffigura un guerriero nell’atto di porgere un’offerta.La statuetta fu descritta insieme all’Efebo/Atleta nella rivista scientifica “Ausonia” del 1913.Paolo Orsi , nella sua descrizione, fu naturalmente entusiasta della splendida statuetta dell’Efebo ma diede dei giudizi negativi sul bronzetto del guerriero sottolineando“le deficienti qualità artistiche”.ma esaltando solol'ottimo stato di conservazione, con la splendida patina di un verde vivace e brillante, ancora perfettamente conservata.Paolo Orsi si lasciò andare a vecchie concezioni legate alla grande superiorità e prestigio dell’arte greca su quella indigena lasciando da parte l’aspetto dell’arte indigena della prima metà del V secolo a.C. legata ad una diversa concezione della forma.La statuetta del guerriero rivela degli aspetti sorprendenti considerando la sua origine indigena che possono essere riassunti in:- abbigliamento dei guerrieri siculi di quel periodo. Un abbigliamento composto da un corto giubbetto a maniche corte, nel quale l’Orsi ipotizza una corazza di “spessa maglia di lino o di cuoio”;- un largo cinturone che stringe la figura sui fianchi, anche questo di cuoio ma ricoperto esternamente da una fascia di metallo sbalzato. Proprio nel ripostiglio dei bronzi del Mendolito furono rinvenuti delle fasce riccamente decorate e considerate“armamento ed al tempo stesso …ornamento dei Siculi”
dalla necropoli di Sciare Manganelli (seconda metà del VII-VI secolo a.C.)
Museo Archeologico di Adrano
del Museo “Simezio”. Foto di A.
Paternò Castello inserita in un articolo di Giovanni Paternò Castello dal titolo:
“Luighi romiti: Aderno“, Emporium, n. 69, 1900
Museo Archeologico di Adrano
III secolo a.C.
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Lato posteriore: resti della parte inferiore della chioma trattata a superficie piana; solcatura mediana dalle spalle ai piedi; glutei e gambe resi con discreto rilievo plastico.
Un manico di patera d’ispirazione ionica anche se probabilmente prodotto in officina siceliota. Il manico è a forma di corpo maschile secondo una tipologia nota in Sicilia tra la fine del VI secolo a.C. e gli inizi del V secolo a.C.
La mancanza della parte superiore con tutta la testa e le mani, non permette di capire come il reperto si univa alla bassa ciotola della quale costituiva il lungo manico.
Da reperti simili, esposti in altri musei, si può solo ipotizzare la sua configurazione originaria.
La figura sottostante si riferisce ad un reperto esposto a Parigi nella Parigi, Bibliothèque. Nationale, Cabinet des Médailles.
Si tratta di una patera bronzea con manico figurato da Pozzuoli e risalente alla prima metà del V secolo a.C.
La patera del Mendolito (Adrano) doveva probabilmente avere una configurazione simile… un vero gioiello d’arte indigena….
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Nel Museo Civico del Castello Ursino di Catania è presente un bronzetto di guerriero simile a quello rinvenuto al Mendolito. Non si sa la provenienza che viene indicata in modo generico “dalla zona etnea o dalla provincia di Catania”. Infatti sono presenti molte analogie con il bronzetto di Adrano per quanto riguarda lo schema compositivo: con le braccia protese in avanti, la lancia (ora perduta) nella mano sinistra chiusa a pugno, il palmo della mano destra rivolto verso l'alto, la corta corazza che lascia scoperti i genitali e i glutei, il largo uso di decorazioni incise, evidenti, ad esempio, nel fitto e regolare “ricamo” ad archetti della corazza.
Le differenze, sempre rispetto al bronzetto di Adrano, sono legate alla generale costruzione della figura, trattata a volumi decisamente più arrotondati, e nella forma del corpetto che si presenta piùlungo e marcatamente svasato sotto il busto, con una sottile cintura che risulta appena segnata e posizionata in vita e non sui fianchi.Il Bronzetto del Castello Ursino presenta anche un’importante caratteristica dal punto di vista epigrafico.Sul lato destro della corazza reca, incisa a freddo, una iscrizione di quattro lettere in caratteri greci e lingua indigena (?).Il suo significato è ancora ignoto come la maggior parte delle epigrafi composte con questo idioma. L’epigrafe fu interpreta in vari modi da diversi studiosi:- toul(os) da F. Ribezzo;- tuvl da U. Schmoll;- tavl dal prof. G. Manganaro. Come la statuetta del Mendolito è stata datata della prima metà del V secolo a.C. e ricondotta al medesimo ambiente indigeno.La scheda del Guerriero, conservato nel Museo Castello Ursino di Catania è la seguente: Guerriero.Rinvenimento: Mendolito (?) – nella scheda è indicata come “dalla provincia di Catania, dalla zona etnea, dal Mendolito”;Datazione: verso la fine della prima metà del V secolo a.C.; artigianato locale indigeno;Materiale: bronzo a fusione piena;Misure: altezza 13,9 cm;Collocazione: Museo Civico del Castello Ursino (collezione Benedettini);Numero Inventario: 1507. Testa globulare con capigliatura a calotta segnata da solcature superficiali; occhi consopracciglia e palpebre a rilievo; naso sporgente; piccola bocca con labbro inferiore a rilievo.La figura indossa una corta corazza segnata in vita, con maniche corte e bordo inferiorerialzato a lasciare scoperti i genitali e i glutei; scollatura e bordo inferiore della corazza ornatida minuscoli fregi ad archetti; sul lato sinistro del busto iscrizione in lingua anellenicaimpressa in alfabeto greco. Le braccia sono piegate all'altezza del gomito e portate in avanti.Il sinistro, chiuso a pugno con pollice rialzato, reggeva probabilmente una lancia o un’asta; ildestro ha la mano aperta con il palmo rivolto in alto.Gambe leggermente divaricate forniti di tenoni. Fusione piena. Arti inferiori rotti entrambisotto le ginocchia, piede destro privo del tenone.………………………….. Reperti della Collezione “Della Calandra” donata al Museo1) un corpus numismatico di monete di bronzo e d'argento di età greca, romana, bizantina e normanno-sveva;2) una serie di ceramiche di età medioevale, fra cui un piatto, una tazzetta, alcune mattonelle dipinte a mano e un vaso con epigrafe e disegno simbolico;3) un bando e comandamento di Don Isidoro De La Cueva e Benavides emanato in Sicilia nel 1707;4) una serie di pendagli e di borchie in bronzo, con simboli in rilievo (di età bizantina);5) ceramiche e statuette di età ellenistico-romana:lucernetestine di Demetratestine di koraitestina di una tibicina 6) ceramiche di età greco-arcaica:kulukesoinochaiaskoilekythoivschette e vasettiariballoi ? 7) grani di collane di ambra, vetro e di pasta livitrea;8) anelli, di varia forma, d'avorio;9) pesi e glandi di piombo (alcuni dei quali con lettere a rilievo);10) una grande quantità di piccoli bronzi, risalenti agli anni anteriori alla colonizzazione greca (X - VII secolo a.C.) i cui reperti costituiscono la parte più copiosa e interessante della collezione.Fra questi bronzi meritano di essere menzionati:le fibulei rasoii coltellile punte di freccele punte di piccole lancele collanegli anelliun disco solarealcune statuette zoomorfeuno strigeun sigillo bifacciale con epigrafeaghiun unicono da pescapiccoli utensili cosmetici.I reperti sono conservati nel I salone del Museo.………………………….. Reperti di Età Romana esposti nella Cappella della Contessa Adelasia nel Castello Normanno.Reperti rinvenuti nelle località adranite di:IntorellaNavicciaFumataGiordanoFogliutaMina' - CaprittiMiragliaCappelloneRuggeriMandraperoDamusoS. Domenicanell'interno dell'ex area urbana di Adranon.Assieme alle monete d'argento e di bronzo, oltre a qualche sepoltura e qualche rudere (come le terme citate dallo storico Petronio-Russo), alla prima costruzione del Ponte dei Saraceni e della Torre cilindrica della contrada Minà - Capritti, ristrutturata in epoca arabo-bizantina, le ceramiche testimoniano l'esistenza dell'Oppidum Stipendiarium (come citano Plinio il Vecchio e Silio Ialico) di Hadranum.Questa città non ebbe, come quelle del Mendolito, e quella dionigiana, un nucleo urbano in una sola località, ma in contrade considerevolmente distanti, in zone e raggruppamenti in quartieri quasi isolati, dalle campagne del Simeto alle località alte del territorio adranita.Questo quartierismo di Hadranum poté verificarsi, forse, a seguito della distruzione del tempio del dio Adranos, di cui nessun poeta, nessun storico e nemmeno Cicerone nelle sue Verrine, fa cenno alcuno.Attraverso uno studio diligente e scientifico delle ceramiche adranite, in particolare di quelle romane, compiuto da Massino Cultraro, si è potuto stabilire che i lavori dei ceramisti romani si possono inquadrare nello spazio di 4 secoli, dal III a.C. al II d.C., cioé a partire dal 263 a .C., quando le legioni romane dei consoli A. Valerio e A. Atacilio, dopo un duro assedio conquistarono e distrussero Adrano (I guerra punica), che poi mutò il nome in Hadranum.Spiccano fra i reperti alcune tazze, di cui una in ceramica nera con la raffigurazione in rilievo di Zeuss ed Era nell'interno del fondo. Nello stesso scaffale sono esposte tessere di mosaico e molti frammenti di "Ceramica sigillata aretina e costantina" (due frammenti di parete meritano un cenno particolare, perche' uno reca due grossi cerchi impressi, l'altra la Planta Pedis, da ritenersi il marchio di fabbrica).Mancano le mascherine e le statuette, se si fa eccezione di una statuetta raffigurante Nudo Efebico, di cui resta incerta la cronologia.Scenografici rilievi, di ottima fattura, si notano inoltre in due tazzette frammentarie in ceramica rosso-lucida: in una si vede la Nike in volo su un cocchio con Auriga, e nell'altra una convulsa e movimentata scena bellica con vincitori e vinti (motivo molto diffuso nella scultura romana di I e II secolo imperiale, come quella della Colonna Traiana).Le lucerne intere o frammentarie, del tutto dissimili tipologicamente da quelle greche-sicule e greco-ellenistiche, costituisce il corpus più consistente e significativo.Alcune di esse sono caratterizzate dal Beccuccio: una è Bilicne (cioé a doppio beccuccio), mentre altre hanno il beccuccio a forma di incudine, ad ogiva, a triangolo, a protone leonina.Sono lucerne in gran parte acrome tranne quelle Bilicne e quella con protome zoomorfa.Altre ancora sono decorate con la tecnica ad impresso nella parte superiore; la decorazione è varia (a palmetta, a conchiglia, floreale; bellissima la figura di un leone rampante, pregevolmente raffigurata a rilievo).Altre lucerne hanno singolari anse (a riflettore, a coda di rondine, con maschera tragica cioé la Fabula praetexta con il caratteristico volto di attore da teatro).Anche se poche, le più interessanti, dal punto di vista epigrafico e artigianale, sono quelle che riportano impresso il nome dei ceramisti (in lettere greche): quattro nomi si leggono con chiarezza:Agy Markios, Gaios, Sebas.Non si sa se queste lucerne documentano un artigianato locale, etneo, siculo o italico.Bisogna d'altra parte ricordare che nei secoli passati fiorì nel territorio adranita un rinomato artigianato ceramistico e metallurgico (eccellenti sono le statuette, le maestranze bronziere di età protostorica e greco arcaica).Anche se le ceramiche sono state rinvenute nel territorio adranita, tuttavia non si può sostenere l'esistenza di un artigianato locale di età romana, considerato il fatto che, dal punto di vista commerciale ed economico, Roma barattava i suoi prodotti con frumento, vino e prodotti agricoli importati dalla Sicilia.……………………….. Reperti in altri Musei in Italia e all’Estero, oltre a quelli ..... scomparsi......
Ben due musei hanno preceduto l'attuale Museo di Adrano: il primo fondato dal rev. Salvatore Petronio-Russo (storico,, teologo, archeologo, poeta e membro dell'Accademia dell'Arcadia) e il secondo, con sede nell'aula magna del Liceo Classico, fondato dai professori Vincenzo Vinci e Luigi Perdicaro.(Nell'aula magna del "Regio Ginnasio-Liceo Giovanni Verga" - Monastero Benedettino di S. Lucia - Refettorio - Via Roma).Per varie vicende i loro reperti sono andati dispersi e i migliori (metallici e litici) anche loro scomparsi.Una grande statua di dea (scrive il Petronio-Russo) fu fatta a pezzi, perché la sua "nudità" avrebbe agitato e turbato gli uomini;nulla si sa del famoso vaso "Vaso della Sibilla" e del "cofanetto bronzeo" con le fatiche di Ercole, di cui si apprendono notizie e descrizioni precise dal Petronio (che si conservano nell'Archivio Storico di Adrano).Una gravissima perdita, sia per meglio comprendere la civiltà "siculo-greca", sia quella ellenistico-romana, non solo cronologicamente ma anche artisticamente di Adrano "Antica", al fine di potere individuare le officine e i maestri dei secoli passati.Avremmo conosciuto e apprezzato meglio pittori e scultori da associare a quelli già noti, grazie agli studi di Massimo Cultraro, e che hanno operato fra il IV ed il III secolo a.C. come: il pittore di "Haimon", il "Pittore del Centauro" (della Scuola dei Piccoli Artisti di Atene), il "Pittore di Lentini", i "Manieristi di Pan", i "Seguaci" di Scopa e della "Scuola di Tanagra".Molte monete, statue, epigrafi, vasi si trovano in vari Musei esteri ed italiani:- A Karlsrhue si trova esposto il bronzo "Aratore di Adrano";- a Palermo in una vetrina si vedono esposti i reperti di "Adernò'" e di Nicosia;- a Leningrado si può ammirare un olpe adranita col motivo di un "Ercole ebbro fra le Menadi e i Satiri";
Olpe che raffigura Ercole ebro tra le Menadi e i Satiri.
Uno stupendo reperto di età ellenistica che fu rinvenuto nella zona
archeologica dell’antica Adranon.
Si trova esposta nel Museo dell’Ermitage a Leningrado.- alcuni bronzetti si conservano nel Museo del Castello Ursino a Catania;- a Mosca è esposta una Pisside rinvenuta in territorio adranita, con la raffigurazione di una "Kore seduta su una roccia" (da attribuire al Pittore di Adrano);- Siracusa conserva l'epigrafe del Mendolito, molte monete, l'Efebo e il "Ripostiglio Bronzeo Ciadamidaro"; la famosa collezione numismatica dei "Pennisi Florestella" con monete coniate ad Adrano in eta' democratica;- la Svizzera nel Museo di Losanna ha reperti provenienti dal territorio adranita.................................................. L’Efebo o Atleta di Adrano (Nel Museo Archeologico P. Orsi di Siracusa)Rinvenimento: Mendolito (?) - Contrada PolichelloDatazione: 460 a.C.Materiale : RameMisura. Altezza 19,5 cmProvenienza: La statuetta, facente parte della Collezione Petronio Russo, fu acquisita l'otto gennaio1911 per lire 2.000, pagate dal Ministero e proviene dal territorio di Adrano, probabilmentedal centro del Mendolito, come annota Paolo Orsi sul Registro inventariale del Museo.Collocazione: Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”, SiracusaNumero Inventario: 31888Dove fu rinvenuta la statuetta dell’Efebo? Anche se spesso indicata come proveniente dal Mendolito, fu in realtà ritrovata nella vicina contrada Polichello ((posta a Sud della Contrada Carruba dove si trova l’acquedotto di Biscari). La statuetta del cosiddetto Efebo o Atleta nudo di Adrano, è certamente uno dei reperti archeologici più famosi del territorio. Pur essendo alto meno di venti centimetri, possiede, nella proporzione e nell'armonia delle forme, la perfezione di una statua monumentale.
Proprio per questo motivo fu avanzata l'ipotesi che si trattasse di una copia in scala ridotta di un'opera di bronzo di Pitagora di Reggio, creatore di diverse statue di atleti, forse giunto da Samo in Magna Grecia agli inizi de V secolo a.C.
La statuetta, risalente al 460 a.C. rientra tra le testimonianze più note dell'arte severa siceliota e raffigura un giovane atleta che dopo la gara effettuata in completa nudità, così come esigeva il costume sportivo della Grecia antica, una libagione di ringraziamento agli dei dopo la vittoria conseguita.Il giovane è raffigurato in posizione stante, il peso del corpo grava sulla gamba destra,mentre la sinistra, in riposo, si protende leggermente. Le braccia, discoste dal corpo, seguono il movimento impresso alla statuetta. La testa brachicefala, dalla capigliatura a calotta compatta, è inclinata a destra con lo sguardo rivolto verso la mano aperta, forse a sorreggere, originariamente, una phiale per libazione e quindi intenta ad un offerta cultuale. Sotto la breve fronte le orbite dal taglio allungato, che in origine accoglievano bulbi oculari in altro materiale, definite da arcate sopraccigliari che convengono alla radice del naso, largo alle narici.Mancanti sono la sclera e le pupille degli occhi - originariamente rese forse con pasta vitrea - e i capezzoli rifiniti con rame.Lo sguardo è rivolto verso la mano destra, assecondando il movimento della figura che si apre in modo dinamico nello spazio e attirando lo sguardo dello spettatore verso quella mano, intenta all'offerta cultuale.Le labbra sono tumide, il mento piccolo, morbidi i piani facciali con mandibola poco pronunciata.Un collo possente sorregge il capo, impostandosi sulle spalle, dalle clavicole poco sporgenti. Ampi sono i pettorali, con passaggio modulato alla muscolatura della spalla, rilevata l'arcata epigastrica, teso ed appiattito il ventre dalle accentuate partizioni, rese in modo disegnativo ed arcaizzante.Ai fianchi è evidente il rilievo determinato dal profondo solco inguinale e dalle creste iliache.Le gambe sono slanciate con polpacci sviluppati, piuttosto sommaria la resa dei piedi, con piccoli tenoni che fuoriescono sotto i talloni, per l'inserimento nel supporto. Si registra un rendimento più semplificato degli avambracci rispetto a quello più efficace e dettagliato delle braccia. La veduta posteriore rende organicamente e sapientemente il modellato della muscolatura, secondo il ritmo della figura.In base a questa indicazione, dunque, il pezzo si andrebbe ad aggiungere ad altri reperti di età arcaica e classica rinvenuti in passato nell'area urbana di Adranon (ad es., ceramiche di importazione attiche e corinzie del VI sec. a.C.) e databili in età anteriore alla fondazione della città dionigiana.Il nudo è costruito in maniera armonica ed è percorso da un senso di energia trattenuta, intesa a dare l'idea di un atteggiamento solo in apparenza statico, ma in realtà espressione di una tensione ancora non sedata, dopo lo sforzo sostenuto nella gara. Energia che percorre tutte le masse muscolari, fornendo l’impressione di una figura colta in pieno movimento.Paolo Orsi ne descrive per primo, ammirato…“la ricerca dei particolari anatomici, la felice riproduzione delle singole parti, la loro armonica fusionenel rendimento di un corpo florido e vigoroso, ma piuttosto asciutto e slanciato”,rilevando poi, come sia la parte posteriore del bronzetto quella più felicemente resa dal punto di vista plastico e anatomico. Lo studioso ne esalta, infine, anche l'equilibrio della costruzione, tale da consentire alla statuetta di sostenersi bene con l'unico ausilio di sottilissime zeppe sotto i piedi (seppure, la statuetta fosse di per sé dotata di una basetta d'appoggio, come testimoniano i piccoli perni sotto i talloni).La figura è stata da più parti ritenuta una copia in scala ridotta di un originale bronzeo di Pythagoras, il grande scultore greco, autore di diverse statue di atleti, attivo per tutta la prima metà del V sec. a.C. ad Olimpia, Tebe, Delfi e nelle colonie greche d'Occidente. Nel piccolo efebo, infatti, sono state riconosciute alcune caratteristiche (tensione plastica delle masse muscolari, resa fortemente espressiva del capo, tendenza ad uscire dallo schema bidimensionale della figura) presenti in altre opere parimenti attribuite al grande scultore.Resta l'indubbia qualità artistica di un'opera che, seppur non sicuramente riconducibile ad un determinato maestro o officina, venne creata in un momento di grande fervore creativo, caratterizzato dalla ricerca di nuove soluzioni per la resa della figura nello spazio e dominato dalla presenza di grandi scultori, in grado di influenzare direttamente o indirettamente la produzione figurativa di tutta un'epoca.Buono complessivamente lo stato di conservazione, bella patina verde scuro, residui di puntiformi inizi di corrosioni, al momento stabilizzate, la mano destra ha le dita prive delle falangi, tranne il mignolo; la sinistra conserva soltanto l'indice completo; l'opera è realizzata a fusione piena.Umberto Spigo osserva, acutamente, come l'opera, nel panorama delle creazioni attribuite a Pitagora, dimostri la capacità dello scultore di rendere una componente psicologica che supera il realismo dell'azione rappresentata nella raffigurazione dell'atleta.La maggioranza degli studiosi attribuisce la statuetta a Pitagora di Reggio, anche se talora viene rilevato che, per alcuni particolari nel trattamento della figura, non traspare l'attenzione riservata dallo scultore ai dettagli.
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Guerriero
Rinvenimento: Contrada Mendolito
Materiale: Bronzo- realizzata a fusione piena;
Datazione: I metà del V secolo a.C. – Artigianato Indigeno;
Misure: altezza 11,6 cm – larghezza max. 5,3 cm;
Provenienza: risulta acquisita al Museo archeologico di Siracusa per lire 100, il 16 luglio 1908;
Collocazione: Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”, Siracusa;
Numero Inventario: 29263.Statuetta bronzea di guerriero in atto di incedere con gamba destra avanzata, braccia discostedal corpo, sollevate e protese con la mano sinistra chiusa a pugno ed attraversata da foro persostegno di probabile asta e quella destra aperta con palmo rivolto in alto. Porta la corazza acorpetto con brevi maniche ed un cinturone sui fianchi, ignuda è la metà inferiore del corpo.Pesante calotta di capelli a ciocche radiali (parrucca - copricapo? ); il volto ovale è realizzato a piani convergenti con lineamenti molto caratterizzati: grandi occhi a bulbo amigdaloide, naso pronunciato, larga bocca con labbra stirate, mento appuntito e prominente. Integra con alcuni esiti stabilizzati di distacchi superficiali della bella patina verde, qualche piccola corrosione.La statuetta è stata anche interpretata come raffigurante Marte da Colonna, che riconosce nel bronzetto influenze della plastica umbro-sabellica.…………………………………
Uno stupendo reperto di età ellenistica che fu rinvenuto nella zona
archeologica dell’antica Adranon.
Si trova esposta nel Museo dell’Ermitage a Leningrado.
La statuetta, risalente al 460 a.C. rientra tra le testimonianze più note dell'arte severa siceliota e raffigura un giovane atleta che dopo la gara effettuata in completa nudità, così come esigeva il costume sportivo della Grecia antica, una libagione di ringraziamento agli dei dopo la vittoria conseguita.
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Rinvenimento: Contrada Mendolito
Materiale: Bronzo- realizzata a fusione piena;
Datazione: I metà del V secolo a.C. – Artigianato Indigeno;
Misure: altezza 11,6 cm – larghezza max. 5,3 cm;
Provenienza: risulta acquisita al Museo archeologico di Siracusa per lire 100, il 16 luglio 1908;
Collocazione: Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”, Siracusa;
Numero Inventario: 29263.
Lama di MazzaRinvenimento: Adrano – Contrada Fogliuta, villaggio “ P. Garofalo”.Materiale del reperto: Basalto grigio – Integro.Datazione: Eneolitico finale – Età del bronzo AnticoDimensioni del Reperto: (lunghezza, 8 cm – larghezza, 8 cm – spessore, 4,9 cm).Numero inventario: 7910Sezione biconvessa. Il lato distale presenta il taglio asportato da ampi distacchi bifacciali, il lato prossimale ha un profilo rettilineo con alcune scheggiature. La scanalatura centrale è profonda e marcata. Sulle superfici ventrale e dorsale sono presenti delle scheggiature irregolari.Ascia-martello in pietra lavica del villaggio Garofalo
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Lama di Ascia MartelloRinvenimento: Adrano – Contrada Fogliuta, villaggio “ P. Garofalo”.Materiale del reperto: Basalto grigio – Integro.Datazione: Eneolitico finale – Età del bronzo AnticoDimensioni del Reperto: (lunghezza, 7,1 cm – larghezza, 3,5 cm – spessore, 3,1 cm).Numero inventario: 7911Sezione biconvessa. Forma cilindrica. Il lato distale presenta un profilo rettilineo con martellature. Il lato prossimale è assottigliato. La scanalatura è nella parte distale prossimale. Le superfici sono levigate

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Ascia
– Piccone LevigatoRinvenimento:
Adrano – Contrada Vituro, villaggio “ P. La Rosa”.Materiale
del reperto: Roccia neraCondizioni
del Reperto: Frammentario, manca la parte distaleDatazione:
Eneolitico finale – Età del bronzo AnticoDimensioni
del Reperto: (lunghezza, 6,4 cm – larghezza, 3,9 cm – spessore, 3,4 cm).Numero
inventario: 7844Forma
triangolare. Sezione biconvessa. Levigatura grossolana.
C.da Vituro-Pietra Bianca
“Frequentazione dell’eta’ del Bronzo; presumibile area di necropoli con sarcofagi ed edicola di età ellenistica.”
scheda 19 Piano Paesaggistico Regione Sicilia – Schede Siti di interesse archeologico
Olla
con beccuccioRinvenimento:
Adrano – Grotta Pellegriti-Marca.Materiale
del reperto: Impasto rossiccio semifine.Condizioni
del Reperto: ricostituito da diversi frammenti – Integrati ampi tratti del
corpo e circa metà del piede.Datazione:
Età del Rame finale – Facies Pellegriti – Marca (2400 – 2200 a.C.)Dimensioni
del Reperto: (altezza, 18,5 cm – diametro max, 20 cm).Numero
inventario: 9470Orlo
rientrante, corpo globulare, piede troncoconico. Subito sotto l’orlo è
impostato un beccuccio obliquo, superficie decorata in nero su fondo rosso lucido; cunei verticali dall’orlo al fondo
del vaso; contrapposti sul piede altri cunei; banda orizzontale tra piede e
vasca.
Brocca dalla grotta Pellegriti.
Età del Rame finale (facies Pellegriti-Marca, 2400-2200 a.C.)
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Bicchiere su piedeRinvenimento: Adrano – Grotta Pellegriti-Marca.Materiale del reperto: Impasto di media finezza.Condizioni del Reperto: ricostituito da diversi frammenti – Integrati ampi tratti del corpo e circa e del piede. Ansa quasi interamente ricostituita.Datazione: Età del Rame finale – Facies Pellegriti – Marca (2400 – 2200 a.C.)Dimensioni del Reperto: (altezza, 19,5 cm – diametro max, 16 cm).Numero inventario: 9471Orlo rientrante, corpo ovoidale, alto piede troncoconico; ansa a nastro verticale con sopraelevazione a piastra triangolare svasata all’esterno, e congiungente l’orlo e la base del piede. Superficie coperta di colore rosso lucido.
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Bicchiere a clessidraRinvenimento: Adrano – Grotta Maccarrone, camera A.Materiale del reperto: Argilla con impasto rossiccio parzialmente depurato.Condizioni del Reperto: Integro.Datazione: Antica Età del Bronzo – Facies di Castelluccio (2200 – 1450 a.C.)Dimensioni del Reperto: (altezza, 8 cm – diametro max, 9 cm).Numero inventario: 9475Alto collo tronconico della stessa altezza del corpo; corpo tronconico a pareti convesse, fondo piatto; due anse a nastro verticale dall’orlo alla base.Decorazione in nero su fondo rosso; fascette a zig-zag parallele sul corpo, tra due larghe fasce verticali; sul corpo un’ampia X compresa, anche questa, tra due fasce verticali.
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Bicchiere a clessidraRinvenimento: Adrano – Grotta Maccarrone, camera A.Materiale del reperto: Argilla con impasto rossiccio parzialmente depurato.Condizioni del Reperto: Integro.Datazione: Antica Età del Bronzo – Facies di Castelluccio (2200 – 1450 a.C.)Dimensioni del Reperto: (altezza, 8 cm – diametro max, 9 cm).Numero inventario: 9475Alto collo tronconico della stessa altezza del corpo; corpo tronconico a pareti convesse, fondo piatto; due anse a nastro verticale dall’orlo alla base.Decorazione in nero su fondo rosso; fascette a zig-zag parallele sul corpo, tra due larghe fasce verticali; sul corpo un’ampia X compresa, anche questa, tra due fasce verticali.
....................................................Vaso a gabbiettaRinvenimento: Adrano – Grotta Spitaleri.Materiale del reperto: Argilla grezza beige-rossiccia con abbondante tritume lavico; superficie originariamente lisciata..Condizioni del Reperto: Piccola lacuna nella parte alta dell’apertura. Ricomposto un ampio settore, presa sbeccata.Datazione: Antica Età del Bronzo ?Dimensioni del Reperto: (altezza, 25,5 cm – base, 24 x 18,5 cm).Numero inventario: 11082Forma quasi parallelepipeda: parte superiore fortemente convessa e lievemente ad ogiva, pareti verticali appena arrotondate, base rettangolare con angoli arrotondati; la faccia anteriore, piana, presenta nella parte alta un’apertura approssimativamente ovoidale, nella parte bassa una linguetta orizzontale con estremità stondata (rendere tondo) (presa?).Il reperto presenta numerosi problemi relativi alla sua datazione e alla sua funzione.In assenza di dati stratigrafici, gli unici elementi di valutazione sono affidati ad aspetti tipologici-formali, quali il trattamento della superficie e la composizione dell’argilla, ricca di tritume vulcanico di grana fine, che rientrano nella lunga tradizione della ceramica di impasto tipica dell’età del Bronzo e del prima età del Ferro siciliana. Dal punto di vista formale, il vaso può essere probabilmente assimilato alla categoria dei modellini fittili. In Sicilia la più antica evidenza di rappresentazioni miniaturizzate di edifici si colloca nell’ambito della cultura di Castelluccio, momento al quale si datano i singolari modellini a pianta circolare dal complesso cultuale di Monte Grande (Agrigento), che rappresentano probabilmente degli spazi aperti con delle figure stilizzate. Nel caso del reperto in esame, la struttura dovrebbe fare riferimento ad uno spazio chiuso, nel quale il breve listello alla base dell’apertura potrebbe suggerire ad una sorta di soglia.Elementi fittili in frammenti pertinenti a modellini molto simili a quelli di Monte Grande sono stati segnalati anche tra i materiali dal Santuario di Monte San Giuliano (Caltanissetta), sempre dell’età del Bronzo Antico, in esposizione presso il Museo Archeologico di Caltanissetta.Al momento non sono invece noti modellini fittili nelle fasi successive dell’età del Bronzo siciliano, il manufatto di Adrano, per la struttura e la sezione ovoidale, richiama in qualche modo alla categoria dei vasi a gabbietta presenti, in contesti culturali e orizzonti cronologici diversi, in tutto il Mediterraneo centro-orientale.Il modellino della grotta Spitaleri rimane al momento un unicum. La sua struttura chiusa e la forma irregolarmente ovoidale potrebbero simbolicamente riprodurre il luogo nel quale il manufatto fu rinvenuto, ovvero una grotta vulcanica. In tale ipotesi un possibile precedente può essere riconosciuto nel misterioso modellino fittile con figura maschile itifallica dalla necropoli eneolitica di Piano Vento presso Palma di Montechiaro (Agrigento). Un reperto collocato all’interno di una nicchia o di un antro. Reperto conservato soltanto in frammenti non reintegrabili fra di loro.
Si CT 072: Grotta Spitaleri
Comune: Adrano
Località: Casa della Macchina
I.G.M.: 261 II NE Bronte (1969)
Latitudine N: 37° 40' 13"
Longitudine W: 14° 52' 05"
U.T.M.: Quota: 700 m s.l.m.
Sviluppo: 117 m
Dislivello: 10 m
Idrologia: Secca
Percorribilità: Buona
Andamento: Orizzontale
Terreno: Lave non datate del Mongibello anticoDa Adrano si percorre la carrozzabile per M. S.Leo sino al castello Spitaleri, un grande edificio merlato di stile gotico in pietra lavica. La grotta è situata 800 m ad est del castello. Il suo ingresso si trova all'interno di una caratteristica costruzione dalla copertura a cupola conosciuta come «Casa della Macchina», visibile dalla strada provinciale e raggiungibile da una mulattiera, transitabile da automezzi per fuoristrada, che si diparte poco prima della strada che conduce al castello.Si accede alla grotta attraversando dei locali semidiroccati. La cavità si articola in una successione di camere di svariate dimensioni poste a quote differenti e tutte più o meno interessate da crolli delle pareti con numerosi manufatti (pilastri di sostegno delle volte, muretti e scale interne). Il dislivello tra il piano di campagna ed il punto più profondo della grotta è di circa 10 m. Le volte sono tutte ad altezza d'uomo o maggiore. I pavimenti sono costituiti da pietrisco in parte coperto da terriccio con qualche affioramento di lava a superficie unita. La cavità è stata nel passato usata come cantina.
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Statuetta femminile sedutaRinvenimento: Adrano – Via Firenze. Rinvenuta negli anni 1962 - 64Materiale del reperto: Corpo ceramico duro di colore arancio chiaro, depurato, micaceo.Condizioni del Reperto: Ricomposta da due frammenti. Si conserva la parte superiore della statuetta fino alla vita. Scheggiature sulla testa e sul naso..Datazione: Fine V – Inizio del IV secolo a.C.Dimensioni del Reperto: (altezza, 17 cm – larghezza, 8,5 cm).Numero inventario: 6662Polos basso, decorato con tre cerchi lievemente impressi.Il polos (πόλος) era un ornamento, copricapo o corona, di forma cilindrica, sferica o quadrangolare, che cingeva il capo di divinità femminili del vicino oriente antico e dell’Anatolia. Fu adottato dagli antichi greci per adornare le sculture di divinità femminili come Rea, Cibele, Era, la Grande Madre o di donne addette ai culti.I capelli sono bipartiti sulla fronte in due bande di ciocche ondulate e lunghi sul collo. Il viso a goccia, volto ovale e pieno; fronte triangolare ed alta; arcate sopraccigliari obblique; occhi a mandorla; palpebre indicate; naso ben modellato, con inserzione assottigliata, base larga; gote piene; bocca con labbra carnose ad ali di gabbiano; fossette tra la base del naso e la bocca e sul mento.Collo largo; spalle larghe; braccia aderenti al corpo e piegate ad angolo retto e poggiate sulle gambe. Mani aperte.Indossa un lungo chitone liscio sul corpo e drappeggiato sulle maniche e intorno allo scollo rotondo.Trono privo di schienale, fiancate indicate.Le superfici ruvide lisciate a stecca. Steccature verticali sulle linee di saldatura. Cava. A doppia matrice. Posteriormente piatta.Nitidezza buona. Tracce dell’ingobbio di latte di calce che copriva le imperfezioni della lavorazione e preparava le superfici al colore della decorazione.Sarebbe una produzione siracusana-catanese non comune, con tradizionale schema frontale e bidimensionale.Per la grande autorità evidenziata dalla posizione della figura, seduta sul trono, la statuetta dovrebbe rappresentare una divinità ctonia.La provenienza dall’area urbana della greca Adranon dovrebbe indicare la funzione nei culti domestici femminili rivolte alle dee tutelari della casa, del matrimonio, della fertilità umana e della natura.L’iconografia è rara ma presente in Grecia, nella Magna Grecia e in Sicilia nella seconda metà del V secolo a.C.Per la posizione delle figura, l’abbigliamento, il chitone liscio ed incollato, con le maniche a pieghe fitte ed oblique, la statuetta sarebbe simile a quelle coeve che raffigurano Athena “ergane” seduta. Statuette che furono rinvenute in gran numero nell’acropoli di gela negli strati successivi alla sua distruzione del 405 a.C..Queste reperti aiutano nella datazione della statuetta. Datazione che sarebbe legata anche all’iconografia della testa che trae il modello dai tetradrammi di Siracusa e Catania dei maestri artigiano e presente nelle botteghe dei maestri coroplasti della Sicilia orientale.
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Statuetta Femminile Stante Di Offerente Con Torcia E PorcellinoRinvenimento: Adrano – ex raccolta Regio Ginnasio-Liceo “Giovanni Verga”Materiale del reperto: Corpo ceramico duro di colore giallo-arancio.Condizioni del Reperto: Integra. Viso abraso.Datazione: Prima metà del IV secolo a.C.Dimensioni del Reperto: (altezza, 16,1 cm – base, 5,5 cm).Numero inventario: 3110Velo scostato ai lati del volto, lungo sulle spalle, alto sul polos a pareti concave, con listello alla base.Capelli a ciocche sottili, disposti attorno al viso e lunghi sulle spalle in trecce a torciglioni.Testa ruotata a destra. Volto ovale. Fronte triangolare e alta. Arcate sopraccigliari diritte. Occhi a bulbo allungati. Gote piene. Mento arrotondato. Collo lungo. Spalle larghe, asimmetriche.Braccia aderenti al corpo. Porcellino tenuto dalle zampe posteriori, col braccio destro disteso verticalmente lungo il fianco.Alta torcia, con fiamma a forma di pigna, tenuta con la mano sinistra verticalmente appoggiata al corpo.Indossa un chitone lungo fino ai piedi, sottilmente drappeggiato, con ampio scollo a V, e “kolpos” sotto i seni.Kolpos è il nome dato dagli antichi Greci al rimbocco più o meno voluminoso della stoffa, ...“Himation” attorno ai fianchi, con bordo superiore arrotolato in vita e legato sul fianco sinistro.Himation (ἱμάτιον) era un capo di abbigliamento dell'antica Grecia, che inizialmente veniva indossato dagli uomini sul chitone svolgendo il ruolo di un cappotto. In seguito fu utilizzato da solo, svolgendo quindi le funzioni di chitone e di cappotto, e si introdusse il termine "achiton" (ἀχίτων) per indicare chi indossava solo l'himation. Si portava sopra una spalla, ma, a differenza della clamide, non richiedeva di essere fissato tramite una fibula.Fu indossato anche dalle donne, che lo portavano diagonalmente su una spalla insieme al chitone.Gamba sinistra portante, la destra piegata. Piedi distanziati e sporgenti dal vestito, piede destra avanzato.Plinto basso circolare e modanato. A doppia matrice. Nitidezza buona. Superfici lisciate a stecca, ruvide. Cava. Posteriormente lavorata. Piccolo foro di sfiato quadrangolare e posto alle reni.Queste statuette erano molto diffuse in Sicilia e nella Magna Grecia dalla fine del V secolo a tutto il III secolo a.C.Il centro d’origine dell’iconografia, la produzione e la creazione delle statuette offerenti di porcellino era diffusa nella Sicilia orientale. Furono trovate nelle stipi di Siracusa, Catania, Adrano e Paternò. Le centinaia di statuette del deposito votivo rinvenute in modo fortuito nel cortile dell’ex Monastero di Maria e Gesù sarebbero la testimonianza della presenza di un santuario urbano ad Adranon.(fra il dicembre 1913 e il gennaio 1914 ci fu il rinvenimento fortuito nel corso di lavori edilizi dell’ex monastero di Maria e Gesù (settore NE della città), di una stipe votiva del Iv secolo a.C. il cui materiale, comprendente un gran numero di statuette fittili di Demetra e Kore, fu in parte recuperato da Paolo Orsi e trasportato al Museo Archeologico di Siracusa (Orsi c1915). Nella città erano presenti delle botteghe artigianali per la produzione di terrecotte votive per i culti domestici femminili delle dee tutelari della casa, del matrimonio, dell’agricoltura, della fertilità delle donne e della natura.Catania e Siracusa furono i due maggiori centri di produzione per lo sviluppo del culto demetriaco come strumento di propaganda ideologica dei Dinomenidi, ierofanti delle divinità ctonie.(Riferimenti: Herodoto VII, 153; Diodoro XI, 27;XIV, 70 – Cicerone, Verrine IV, 45, 99; 43,119).All’evidenza dei materiali della stipe di piazza S. Francesco, a Catania, nel secondo venticinquennio del V secolo a.C., il culto generico, o forse di Hera, si specializza in quello di Demetra e di sua figlia Kore, come espressione politica della famiglia sacerdotale dei tiranni siciliani, che impongono il culto da loro praticato quantomeno alle città sulle quali esercitano il diretto controllo politico e territoriale, così ad Adranon.Fenomeno che, pur con motivazioni diverse, si ripete ottant’anni dopo, come dimostrano i numerosi esemplari rinvenuti a Morgantina in contesti posteriori al 396 a.C., data dell’occupazione della città da parte di Dionigi I di Siracusa.L’introduzione della torcia quale attributo costante delle statuette nel corso del V secolo a.C., è probabilmente da ritenere legato all’importanza che l’oggetto acquista nell’iconografia ateniese delle partecipanti ai riti cultuali delle divinità ctonie.La torcia è un attributo molto frequente della dea Persefone. La statuetta è l’espressione di un nuovo linguaggio artigianale – per la struttura piramidale del corpo, il polos a pareti concave e l’acconciatura priva della resa plastica caratterizzante le teste dei decenni precedenti – sebbene permanga il paradigma della visione frontale.La lunga torcia rappresenta una delle variazioni degli schemi, nella prima metà del IV secolo a.C., diviene un elemento costante della composizione, a la lunga asta dove è posta arriva fino a terra, quasi indistinta dalle pieghe del panneggio.
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Statuetta Stante Di KourotrophosRinvenimento: Adrano – Contrade: Cartalemi, Fraiello, Difesa, BurgioMateriale del reperto: Corpo ceramico duro di colore arancio, nucleo grigio, mica.Condizioni del Reperto: Integra. Mancano parte della testa della figura femminile, le spalle e la testa del bambino. Incrostazioni terrose.Datazione: Seconda metà del V secolo a.C.Dimensioni del Reperto: (altezza, 13,5 cm – larghezza, 5,3 cm).Numero inventario: 6688Figura femminile con bambino seduto sulla spalla sinistra, trattenuto con il braccio sinistro all’altezza delle gambe.Indossa un chitone e sue questo l’”homation” che copre la spalla sinistra e scende trasversalmente sul fianco destro; il lembo è tenuto con lamano destra.Gamba sinistra piegata. Poggia su un plinto parallelepipedo modanato. A doppia matrice. Nitidezza scarsa. Cava. Superfici lisciate a stecca. Posteriormente piatta. Piccolo foro ellissoidale nella placca posteriore.Il termine “kourotrophos” è riferito alla figura della madre come nutrice, che gode di riti, culti e offerte speciali.La classe ha una diffusione notevole nella coroplastica di tipo greco e prosegue almeno fino all’età tardo classica.La presenza del modello è attestata in Sicilia, ad Agrigento, Gela, Camerina, Siracusa e spesso riferito al culto di Demetra nutrice.Questo esemplare, molto simile ad uno di Myrina, è in posizione frontale e segue uno schema di rappresentazione della grande scultura, che articola le masse del corpo, in modo che il peso gravi sulla gamba destra rigida, cui fa coppia il braccio destro disteso, e dall’altro lato alla staticità si contrappongono la gamba sinistra leggermente piegata e il braccio corrispondente, mentre tiene il bambino che siede sulla spalla.
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“Frequentazione dell’eta’ del Bronzo; presumibile area di necropoli con sarcofagi ed edicola di età ellenistica.”
scheda 19 Piano Paesaggistico Regione Sicilia – Schede Siti di interesse archeologico
Età del Rame finale (facies Pellegriti-Marca, 2400-2200 a.C.)
Comune: Adrano
Località: Casa della Macchina
I.G.M.: 261 II NE Bronte (1969)
Latitudine N: 37° 40' 13"
Longitudine W: 14° 52' 05"
U.T.M.:
Sviluppo: 117 m
Dislivello: 10 m
Idrologia: Secca
Percorribilità: Buona
Andamento: Orizzontale
Terreno: Lave non datate del Mongibello antico
Un pregevole reperto è la Kourotrophos di Megara HyblaeaUn pregevole reperto risalente al 550 a.C., in pietra calcarea e con un altezza di 78 cm.Fu trovato nel sito di Megara Hyblaea (Siracusa) nella necropoli Nord-ovest negli scavi del 1952.Un reperto stupendo perché raffigura una kourotrophos, cioè la Dea madre, seduta su un trono, che allatta due neonati. La figura è acefala ed è vestita di chitone, abito lungo fino ai piedi nudi. E' avvolta da un himation, pesante mantello, ricadente sulle spalle che lascia scoperto il petto, le grandi mani e i piedi. I due poppanti, avvolti in fasce con tracce di policromia, sono disposti secondo una schema incrociato e succhiano il latte mentre stringono con una mano la mammella. La veduta della statua è frontale e concepita come unico volume compatto secondo la convenzione dell'arte arcaica. Per questa impostazione la scultura è stata confrontata con alcune opere d'arte indigena influenzate da modelli dell'arte greca ed in modo specifico di ambiente greco-orientale. Il modellato della statua megarese per la turgidezza delle forme e per le pieghe delle vesti richiama infatti la scultura di centri quali Samo e Mileto.La statua fu rinvenuta in una tomba con vasi datati al 550 a.C.
Megara Hyblaea (Melilli – Siracusa)
550 a.C.
Altezza del reperto: 78 cm
Reperto di produzione locale
Numero Inventario: 53234
Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”- Siracusa.
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Gruppo Fittile Con Figura Femminile Ed Eros Nel Gioco dell’EphedrismosMateriale del reperto: Corpo ceramico duro di colore rosso-arancio. Rimossa l’integrazione di gesso dalla placca posteriore.Condizioni del Reperto: ricomposta da due frammenti. Mancano le teste, il braccio destro e le ali di Eros.Datazione: II-I secolo a.C.Dimensioni del Reperto: (altezza, 18,5 cm – larghezza, 7,5 cm).Numero inventario: 3134Figura femminile esile. incedente a sinistra corre verso la meta. Indossa un lungo chitone e un himation posto trasversalmente sul torace a coprire la spalla destra. Eros è a cavalcioni sulla donna, seminudo, con il braccio destro alzato, l'himation lungo sulle gambe: poggia la mano sinistra sulla spalla corrispondente della donna che lo sostiene dal ginocchio destro stringendo le mani dietro la schiena. Le due figure hanno dimensioni uguali ma Eros sovrasta anche per la struttura fisica. A doppia matrice. Nitidezza buona. Cavo, lavorato a tutto tondo. Superfici lisciate a stecca. Foro circolare di sfiato nella placca posteriore, convessa, lavorata e lisciata a stecca. Visibili le steccature sulle linee di sutura.Il gioco, cui prendevano parte sia donne che uomini. consiste nel lanciare palle o sassi contro una grande pietra posta di testa, per rovesciarla. Il vincitore era trasportato en kotyle dal perdente, con gli occhi bendati. fino alla pietra limite. Il gioco dell'ephedrismós o en kotyle. com'è chiamato in Attica (Polluce. Onomasticon IX. 119, 122. Esichio, s. v. ephedrizein), è rappresentato con schemi iconografici differenti tra loro per la direzione del movimento. Dal IV secolo a.C. a seguire. è più diffuso lo schema di rappresentazione di una giovane donna che porta a cavalcioni un'altra giovane. anziché Eros. Un gruppo di due giovani donne che giocano all'ephedrismós era, probabilmente, rappresentato sull'acroterio orientale dell'Hephaisteion di Atene, che potrebbe essere il prototipo dell'iconografia. In un esemplare integro simile a questo adranita, conservato nel Museo Pepoli di Trapani. è possibile vedere che la testa della donna è alzata e rivolta a sinistra, verso la meta, che Eros indica col braccio alzato. Un gruppo che apparentemente sembra generato dalla stessa matrice di questo è conservato nel Museo Civico di Catania. Esemplari molto simili sono nelle collezioni dei musei di Londra e di Parigi, altri sono stati rinvenuti negli scavi in Grecia (in Attica, in Beozia, a Corinto), e a Capua. a Taranto. a Gela. La rappresentazione del gioco dell'ephedrismós è molto diffusa in Sicilia. soprattutto nell'area orientale, e in particolare. gode ampio favore nella produzione coroplastica di Centuripe. Dove sono molti gli esemplari che raffigurano la scena del gioco con protagonisti Eros ed una giovane donna. una donna giovane identificata spesso come Afrotide.Centuripe, fiorente centro dell’artigianato coroplastico di età ellenistica, probabilmente con Adrano, prende il posto della secolare industria siracusana dopo la presa romana del 211 a.C.La situazione politica privilegiata che ebbe durante l’età romano-repubblicana, permise la crescita delle attività economiche artigianali della città, che divenne il centro irradiatore dell’industria coroplastica siciliana a partire dal II secolo a.C.Nei contesti funerari centuripini dove erano presenti terrecotte che raffiguravano una scena del gioco con Eros e una donna, sono stati rinvenuti vasi policromi con scene di riti nuziali. Scene del gioco sono presenti nella pittura vascolare attica del VI secolo a.C. e lo si è interpretato in rapporto alle attività iniziatiche pre-nuziali delle giovani donne. Le scene nuziali nei materiali dei corredi funerari potrebbero essere un indicatore dello stato civile dei defunti, che ricevono oggetti che comunicano i legami terreni e quelli che si vogliono continuare oltre la morte fisica.
Il reperto del Museo Pepoli di Trapani (num. Inventario 4022) è alto 26 cm ed è posto su un piedistallo circolare, alto 4 cm.È costituito da due personaggi: una figura femminile, vestita con un chitone, che si muove verso sinistra recando sulle spalle un giovane alato seminudo (Eros, dio dell’amore) con il braccio destro sollevato e con lo sguardo rivolto a destra.La figura femminile sembra voltare la testa verso il luogo indicato da Eros. Il reperto rappresenta una scena che si ritrova spesso nelle terrecotte ellenistiche, denominata “ephedrismos”.È probabilmente l’opera meglio riuscita del gruppo di terrecotte del Museo Pepoli. Le forme sono piene e ben delineate, la difficile armonizzazione dei movimenti dei due personaggi è perfettamente riuscita e sembra che questa raffigurazione sia nata da un archetipo di pregio.Sono rimaste alcune tracce di colore, aspetto abbastanza rara in una terracotta di Centuripe. I capelli delle due figure, probabilmente in origine castani o biondi, hanno un colore rossastro. I vestiti erano forse colorati in blu. il foro di sfiato si apre sulla schiena di Eros, la cui parte posteriore non è ben modellata nei particolari.Un gruppo in terracotta del tutto simile è quello del Museo Biscari a Catania (num. Inventario 2504) proveniente da Centuripe. Anche se in questo reperto non si conservano le teste e le braccia di Eros, sembra evidente che l’atteggiamento dei personaggi e anche le pieghe del chitone della figura femminile sono perfettamente simili. Le due opere (di Trapani e di Catania) sembrano originate da uno stesso stampo.Dello stesso tipo, ma meno integri e derivati da matrici più usurate, sono i gruppi nn. 456° e 457° del Museo di Karsruhe. Alcune somiglianze sono evidenti con reperti da Taranto del I secolo a.C. ma soprattutto con altre terrecotte da Centuripe.È quindi possibile attribuire la bella terracotta del Museo Pepoli di Trapani all’ambiente di Centuripe del II secolo a.C.
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Statuetta di ToroRinvenimento: Adrano – Contrada: Mola (rinvenuto nel 1967)Materiale del reperto: Corpo ceramico di colore arancio, con pochi inclusi neri, micaceo.Condizioni del Reperto: Intero. Una piccola mancanza sul lato sinistro della testa.Datazione: III secolo a.C.Dimensioni del Reperto: (altezza, 5,7 cm – larghezza, 11,1 cm).Numero inventario: 6749Stante, in posizione rigida. Testa ben modellata, con orecchie, occhi e muso, distinti.Due incavi circolari segnano le narici. La giogaia è caratterizzata da nervature verticali a rilievo.Posto su una bassa base rettangolare con incavi sottostante. A doppia matrice. Nitidezza buona. Cava. Diffuse tracce di colore bianco, di latte di calce, di preparazione alla decorazione policroma, non conservata.Questa raffigurazione era molto diffusa in Grecia e nell’Occidente greco. La statuetta raffigura l’animale a tutto tondo con uno schema dal punto di vista iconografico molto dettagliato. La testa è caratterizzata da numerosi dettagli anatomici, così come la giogaia, resa molto reale con le pieghe della pelle a rilievo.Al contrario la statuetta rileva una lavorazione molto semplice nella sua parte inferiore dove le gambe sono appena distinte dalle placche ceramiche.Per la cura nella lavorazione della testa, la statuetta sembra che sia stata concepita per una visione frontale. Statuette simili si trovano nel Museo del Louvre e a Morgantina, provenienti da contesti da datare al III secolo a.C.
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Statuetta di ColombaRinvenimento: Adrano – Via CataniaMateriale del reperto: Corpo ceramico arancio, depurato. Ingobbio beige rancio.Condizioni del Reperto: Intero. Mancano le zampe. Manca la punta della coda.Datazione: seconda metà del IV secolo a.C.Dimensioni del Reperto: (altezza, 3,4 cm – lunghezza 8 cm).Numero inventario: 6752Stante. Testa sferoidale. Becco lungo. Corpo esile. Piume delle ali e della coda rese con accurati tratti incisi. Modellata a matrice. Piena. Lavorata a tutto tondo. Nitidezza buona. Tracce di colore bianco, di latte di calce, di preparazione alla decorazione policroma, che non si conserva.La colomba è tra gli animali più raffigurati nei coroplasti del mondo greco, fin dall’età arcaica, quale attributo delle “korai” e delle dee Hera, Afrotide e Persefone.Le colombe sono indicatrici dei culti femminili e, ancora oggi, dei riti legati al matrimonio e al passaggio dalla fanciullezza all’età adulta.La datazione del reperto è proposta sulla base di esemplari molto simili rinvenuti a Locri, a Spina e delle collezioni dei musei di Londra e Parigi.
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Lekanis Siceliota A Figure Rosse
Rinvenimento: sporadica.
Materiale: Argilla rossa mattone con leggero ingobbio rosa arancio; vernice nera opaca.
Condizione del reperto: coperchio ricomposto da due frammenti e mancante della presa. Vasca frammentaria; manca un’ansa.
Dimensioni: altezza, 9 cm – Altezza vasca, 4,5 cm – diametro orlo, 10 cm – diametro piede, 4,5 cm.
Datazione: Ultimo trentennio del IV secolo a.C.
Numero Inventario: 3123
Lekanis con vasca carenata (a profilo convesso nella meta inferiore e profilo verticale in quella superiore) decorata da linguette nere verticali; battente orizzontale, orlo leggermente rientrante, anse a staffa con appendici laterali aderenti. Piede a tronco di cono con base distinta a profilo sagomato. Coperchio con parete obliqua e orlo diritto, decorato da onde nere verso destra. Due teste femminili di profilo a sinistra, ciascuna con collana, orecchino, sakkos decorato da fasce sudipinte in bianco. Sospesi nel campo, ai lati delle teste, una benda e altri due oggetti in vernice chiara non identificabili. Separano le teste. due palmette con bassi steli contornati in bianco.
Le teste femminili. assai affini nello stile alle analoghe rappresentazioni sullo skyphos inv. 51287 del Museo Archeologico Regionale di Siracusa e su uno skyphos della Collezione Portale di Biancavilla, entrambi già assegnati al Pittore di ZA (pittore di Adrano), consentono un positivo confronto con la produzione dell'officina di questo ceramografo attivo, assai probabilmente, in area adranita. L’analisi di tutta la produzione del pittore suggerì l'esistenza ad Adrano di una tradizione artigiana all'interno della quale operano "ceramografi diversi per capacità e sensibilità decorativa".………………………
Testa di PersefoneRinvenimento: Adrano – Are UrbanaMateriale del reperto: Corpo ceramico duro di colore rosso - arancio, nucleo grigio, poca mica..Condizioni del Reperto: Intero. Si conserva fino all’attacco del collo. Riattaccato il naso. Non più visibile il pendente dell’orecchino sinistro. Macchie beige per difetto di cottura.Datazione: Fine IV secolo – Inizi III secolo a.C.Dimensioni del Reperto: (altezza, 15,3 cm – larghezza, 10 cm).Numero inventario: 6694Polos alto a pareti concave e con listello alla base.(Il polos ( πόλος) è un ornamento (una sorta di copricapo o corona) di forma cilindrica, sferica, o anche quadrangolare, che cingeva il capo di divinità femminili del Vicino Oriente antico e dell'Anatolia, che fu adottato dagli antichi greci per adornare le rappresentazioni scultoree di figure di divinità femminili come Grandi Madri, Rea, Cibele e Era, o di donne addette ai culti).Cappelli raccolti sulla testa, spartiti sulla fronte in due bande fittamente ondulate e plasticamente rese a singole ciocche con profondi tratti impressi.Orecchini a rosetta con pendente troncoconico. Volto rotondeggiate, pieno. Fronte triangolare e alta.Arcate sopraccigliari arcuate. Occhi amigdaloidi (a forma di mandorla).Palpebre spesse e ben modellate, indicate quelle inferiori.Naso ben modellato, con radice assottigliata e base larga.Gote piene. Bocca con labbra orizzontali carnose.Fossetta tra la base del naso e la bocca. Mento piccolo e inferiormente piatto.A doppia matrice. Nitidezza ottima. Superfici ruvide lisciate a stecca. Cava. Posteriormente convessa, non lavorata e lisciata a stecca in modo rozzo. Tracce dell’ingobbio di latte di calce, che copriva le imperfezioni della lavorazione e preparava le superfici al colore della decorazione.Lo schema iconografico è simile a quello delle teste dei busti agrigentini. Il polos, di piccolo diametro, a pareti alte e lati concavi rientra nel repertorio dei coroplasti del IV secolo a.C.Il volto e la fronte richiamano uno schema antico, usato alla fine del V secolo a.C.La testa fu probabilmente prodotta ad Adranon e trova un confronto con una statuetta del “temenos” (luogo sacro) di Demetra e Kore a Morgantina, datata sulla base della somiglianza con la testa di Kore coniata sulle monete di Agatocle, del periodo 305 – 295 a.C., che seguì all’assunzione del titolo di “basileus”.
Morgantina – Busto di Demetra
V secolo a.C.
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ADRANO MUSEO MONILIL’archeologo Paolo Orsi acquistò per il Museo Archeologico di Siracusa degli importanti monili provenienti dal territorio di Adrano. Reperti trovati dai tombaroli negli scavi clandestini e che erano finiti nel mercato dell’antiquario.Famoso tutto il comprensorio etneo che gravita attorno ai centri di Adrano e Paternò per questa attività illecita e mai repressa malgrado il grande impegno delle Forze dell’Ordine.Ma quali reperti furono acquistati dall’archeologo e che si trovano esposti al Museo di Siracusa?
- Nel 1911 acquistò un bellissimo diadema in lamina sottile d’oro dall’antiquario Geremia di Catania Nel registro del Museo fu riportato:da un ricco sepolcro rinvenuto un decennio addietro in Adernò.Un vero gioiello d’arte. Una lamina, larga circa 3 cm e lunga 40 cm, decorata con piccoli cerchi asbalzo che raggruppati formano delle composizioni floreali. Le estremità della lamina si restringonofino a terminare con un occhiello per lato. Questi occhielli dimostrerebbero come la lamina fossedestinata ad essere posta in basso nella nuca con qualche cordoncino o piccolo pezzo di stoffa.Questo posizione e fissaggio del diadema sulla fronte sarebbe confermato da una bella monetasiracusana del 420 – 410 a.C. che raffigura Atena.
Moneta della grande Syracusae
Tetradracma (405 – 400 a.C.)
A sinistra: Quadriga veloce guidata da un auriga che tiene le redini nella mano sinistra
e solleva un torcia accesa sulla mano destra. Sopra è Nike che vola verso destra e la
incorona. In basso spiga di orzo con stelo.
Testa di Atena di tre quarti, che indossa un elmo attico ornato di triplo cimiero, orecchini a doppio gancio e collana di ghiande pendenti con medaglione centrale; sulla cupola dell'elmo la firma
EYK – ΛEIΔ / A.
Intorno quattro delfiniTetradracma di Siracusa (406 – 405 a.C.)
Auriga su quadriga veloce; sopra la Nike incorona l'auriga con corona
Spiga nella parte inferiore
Sotto i cavalli la scritta:
EY]APXYΔA
Testa di Aretusea con diadema e circondata da quattro delfini.
In alto la scritta: ΣΥΡΑΚΟΣΙΟΝ
La raffigurazione nelle monete di Aretusea era legata agli avvenimenti politici del 413°.C.
I Siracusani respinsero l’invasione dell’esercito ateniese e si volle ringraziare la dea.
Le monete erano in gran parte firmate da Eukleidas ( Εὑκλείδας) (fine V – IV secolo a.C.).
Fu un medaglista e uno dei più importanti incisori dal 415 – 390 a.C.
Firmava i coni con il nome completo. Fu il primo incisore ad incidere un conio
con la testa di una divinità di tre quarti. Una variazione stilistica legata alle
nuove correnti dell’arte greca che vedeva in Fidia uno degli esponenti più importanti.Ritornando al diadema di Adrano, presenta nei bordi delle piccole lacune e incisioni, così comecerte solcature, più o meno incise o tracce di pieghe, compromettono la lettura dei dettagli.Numero inventario nel Museo di Siracusa: 32660.
- Elementi di una corona in oro.Fu acquistata nel 1910 e nel regito del Museo di Siracusa…Corona funebre, proveniente da un sepolcro di Adernò o forse di Centuripe.Gli elementi sono:- Tre foglie in lamina sottile, trilobate o tricuspidate con sottili nervature. Sono simili alle fogliedi mirto di alcune corone funebri rinvenute nell’Italia centro - meridionale del III secolo a.C.
Foglie della corona
- Cinque foglie libere lanceolate, di dimensioni minori e con nervatura centrale ben evidenziata;- Tre gruppi di foglie, probabilmente di ulivo, attaccati al peduncolo e al ramo. Queste fogliesono in lamina di rame, rivestite in oro.Le condizioni non buone dei reperti non consentono di leggere i motivi decorativi incisi sullasottile lamina. Nelle foglie trilobate si notano due gruppi di tre occhielli incisi presso i lobi.
Non si è riusciti a stabilire se le foglie appartengono ad un’unica corona. Una corona compostaquindi da foglie diverse. Una corona funebre ma purtroppo, a causa dello scavo dei tombaroli,non è stato possibile stabilire se appartengano ad un’unica o diverse sepolture dato che le foglie sono diverse tra loro.Fu avanzata anche l’ipotesi che si trattasse di diverse corone appartenenti ad un unico defunto.In questo caso sarebbero delle offerte deposte durante la cerimonia funebre.Il reperto è una espressione tipica del mondo ellenistico nota con foglie dalle caratteristichediverse: foglie di alloro, mirto, quercia, olivo, ecc.Nel Museo Salinas di Palermo sarebbero presenti ben dodici corone a foglie: quattro da Tindari,una da Gela, a Siracusa sono presenti delle foglie di cui però non si avrebbero informazionisulla loro provenienza ed è presente una corona a foglie lanceolate.Numero inventario: 31852
Museo Salinas – Palermo
Corona d’oro – Provenienza: Tindari – Datazione: II secolo a.C.
Ogni orecchino ha la forma di un cerchio circolare appena ingrossato che termina conprotone di piccolo bovide.Presenta un occhiello sotto il muso dell’animale che serviva per fisare il gancetto con cuil’orecchino veniva chiuso.La lunghezza massima è di circa 1,8 cm e presenta il peso di 1 grammo.Data la loro lunghezza ed il peso forse appartenevano ad un bambino. La tipologia di questiorecchini era molto diffusa in Sicilia nel III a.C. – Numero Inventario: ?Una coppia di orecchini fu rinvenuta nel territorio di Grammichele e presentava il motivodella corolla del fiore al posto della protone animale. Una produzione locale.
Grammichele (Catania) – Necropoli Molino della BadiaTomba N. 6 – Scavi di L. Bernabò Brea.
Museo Antonino Salinas – Palermo
Orecchino in oro – Provenienza: Tindari (ME) – Datazione: IV – III secolo a.C.
- Fibbia o fermaglio in bronzo per cinturaUn reperto più recente che venne acquistato nel 1908 e catalogato comeProveniente da Adrano.Un reperto raro che presenta un ardiglione (puntale della fibbia) a martello, decorato con un fregio ad archi e puntini e con una interessante placca ad appendice semiellittica, che reca la raffigurazione a rilievo della Madonna con Bambino.
Madonna
con il Bambino secondo una schema della Vergine Odigitria. La figura è
racchiusa in una cornice perlinata. La fibbia sarebbe espressione dell’arte
bizantina dopo Giustiniano ed è una eccezione
rispetto allo stile piuttosto grossolano degli esemplari di fibbie
siciliane.
La
datazione sarebbe da collocare tra il VI
ed l’VIII secolo. Una espressione di
pregio da parte di maestranze locali nella realizzazione dell’immagine della
Madonna e nei dettagli, molto accurati, della cornice.
-
Medaglia (?) in bronzo.Fu
definito agli archeologi uno “strano” reperto e venne acquistato nel 1918.
Una
medaglia con occhiello che presentava incisi, su entrambi i lati, una strana
figura con ilcorpo umano di prospetto e con una testa di animale di
profilo. La figura umana presenta lebraccia aperte che recano due distinti oggetti. Intorno al corpo sono incise
una serie di lettere ingreco che, studiate con attenzione, non mostrerebbero
alcun significato e vari astri che sonoschematizzati con otto raggi.Un
reperto dal significato magico (un amuleto?) con funzioni apotropaiche cioè
tendente adallontanare o annullare
influssi magici maligni.Una
lamina “defixio” ma con una destinazione
d’uso differente.Per
capire il suo valore simbolico sarebbe
opportuno spiegare i “defixio”.Con
il termine defixio si faceva riferimento ad una pratica rituale molto diffusa
nel mondoclassico, ovverosia quella del maleficio, ben testimoniata tanto a
livello archeologico quantoletterario. Concepite come un metodo di “giustizia
individuale”, alternativo a quello ufficiale
epertanto illecito e segreto.Le
defixiones rispondevano a obiettivi che i defigentes (cioè, gli autori delle
maledizioni) nonpotevano raggiungere attraverso la legalità, materializzando
così sentimenti come l’invidia, ilrancore, il desiderio, la rabbia o il
timore.Queste
maledizioni erano incise soprattutto su lamine di piombo e per la loro definitivaattivazione le defixiones
venivano deposte in speciali contesti, idonei a pratiche magiche perscopi
diversi e, di solito, fortemente vincolati con le divinità e/o i demoni
invocati nelloincantesimo.Fra
questi contesti, si distinguevano quattro ambiti fondamentali:-
l’ambito
funerario (tombe e necropoli),-
lo
spazio acquatico (mari, pozzi, sorgenti, ecc.), -
i
santuari, -
i
luoghi che potevano entrare in contatto con la vittima dell’incantesimo (come
il posto di lavoro, la sua abitazione etc.).In
base al contenuto dei testi, è possibile raggruppare le tabellae in diverse
categorie: 1.
Le defixiones erotiche, che dipendevano dello scopo del defigens e venivano
destinate a distruggere un rapporto amoroso o ad attrarre la persona amata.2.
Le tabellae di carattere giuridico, redatte di solito prima che ci si
sottoponesse ad un processo e avevano lo scopo di rendere gli avversari inabili
a comparire in tribunale e a testimoniare davanti a un giudice,3.
Le maledizioni contro calunniatori e ladri, redatte normalmente a causa di un
furto, si prefiggevano il recupero dei beni sottratti e/o la punizione del
colpevole, 4. Le defixiones agonistiche, che emergevano
nel contesto della competizione sportiva, principalmente gli spectacula come i
ludi galdiatorii e le venationes nonché le corse di carri, dove i tifosi
scommettevano e, nel tentativo di favorire la vittoria della propria factio,
facevano scongiuri contro le squadre rivali.Le
laminette contenevano un’immagine ed un testo epigrafico (molte contengono solo il tstoepigrafico).In
base al tipo d’immagine si possono raggruppare in quattro tipi fondamentali:1.
figure
(antropomorfe, zoomorfe o mostruose) compaiono in posizione stante ed occupano
la parte principale del campo epigrafico. All’interno di essa e tutt’intorno
all’immagine, compaiono una serie di segni magici, noti come charaktêres,
l’origine dei quali rinvierebbe alla volontà imitativa di altre scritture (come
geroglifici egiziani o certe lettere dell’alfabeto greco e latino); secondo P.
Poccetti essi costituiscono “una simbologia grafica allo stato puro, che
implica né una lettura né una recitazione, ma solo una visualizzazione”.2.
Una
figura femminile databile tra i secoli IV e V d.C., compare una figura
femminile in posizione stante, le braccia incrociate all’altezza del ventre,
scalza; dei segni magici sul petto ed una stella all’altezza del pube
completano l’immagine. Da ogni lato della testa coronata fuoriescono tre
serpenti con il corpo ricoperto di squame, le orecchie a punta, la lingua
biforcuta e due ciocche a modo di barba. Databile tra il IV ed il V secolo
a.C.3. Rappresentare le vittime dello scongiuro. All’interno di questa categoria si distinguono duetipi fondamentali. Il primo era quello in cui si raffigura esclusivamente il busto della vittimaa mo’ di “ritratto”. Il secondo tipo era costituito dalle rappresentazioni complete del bersagliodella maledizione, di solito raffigurato come una mummia o con le mani e i piedi legati.4. le defixiones tardo-antiche con raffigurazioni più complesse perché presentano tanto ledivinità invocate quanto le vittime dello scongiuro.Il
termine “defixiones” significava “ inchiodare”. Un termine che allude quindi
alla volontàdell’esecutore del maleficio di inchiodare le capacità fisiche e
mentali della persona oggettodella maledizione.Infatti una volta incisa la lamina con l’immagine e
le epigrafi, veniva trafitta con chiodi. Venivaattuata in questo modo un
effetto d’identità tra l’atto fisico della trafittura e quelladell’invocazione
del castigo divino. Nel testo doveva essere precisato il nome della vittima chesi doveva colpire, con l’aggiunta del patronimico e del matronimico affinché la
formula potesseessere il più possibile precisa. Il testo doveva includere
verbi come “occidere, vulnerare e cruciare” e i nome di una o più divinità a
cui si chiedeva aiuto. Una volta ultimata la formula,la lamina veniva
ripiegata più volte su sé stessa per essere poi trafitta d uno o più chiodi edessere consacrata agli dei inferi. Venivano occultate nelle tombe, nei
santuari, ecc.Le
lamine, in alcuni casi, venivano accompagnate da sigilli, in piombo, in argilla
o cera, chepresentavano degli elementi organici della vittima da colpire e
attraversate anche loro da unchiodo.
In
merito alla medaglia proveniente da Adrano presenta un occhiello ed è fatta di
bronzo.Le
defixiones erano create su lamelle di piombo. Nell’antichità si era a
conoscenza dellatossicità di questo metallo e proprio per questo motivo faceva
da supporto per incidervi lemaledizioni.La
medaglia è invece di bronzo e reca un occhiello come se dovesse essere
probabilmenteessere portata addosso. Forse aveva una sua funzione per proteggere proprio dalle
defixiones di qualcuno con immagini e segni con un formulario e/o
sequenze alfabetiche cheapparentemente sembrano prive di alcun significato.………………………………………
Note
Le statuette femminili panneggiate, nelle pose più diverse, sono una rappresentazione e genere
artistico molto diffuso nella Sicilia orientale. I centri principali erano Siracusa e, dopo la
conquista romana dal 212 a.C., anche il vicino centro di Centuripe. Infatti il rinvenimento di
questo genere di statuette è molto raro nella Sicilia occidentale. Solo qualche reperto a Solunto,
a Lilibeo (Museo di Mozia) e Selinunte (Museo di Palermo).
La studio di queste statuette presenta delle difficoltà legate al loro uso. Utilizzate in corredi
funerari ma anche in depositi votivi, sono state oggetto nel tempo di ritrovamenti fortuiti legati
agli scavi clandestini e finite quindi nel commercio dell’antiquario.
Risultano quindi collocate in diversi musei siciliani e in collezioni private a Parigi, Londra,
Karlsruhe e anche a Tokyo. Statuette quindi inserite nei cataloghi dei Musei stranieri ed anche
su cataloghi di vendite all’asta. Manca uno studio approfondito e forse l’unico storico fu Guido
Libertini, nel lontano 1926, ad occuparsi sullo studio delle officine ellenistiche di Centuripe
collegate ai reperti rinvenuti negli scavi effettuati dalle Soprintendenze nelle necropoli di
Centuripe e della Sicilia orientale.
Ogni statuetta ha un suo contesto tecnologico e storico-artistico e, con il ricco drappeggio, fa
parte della piccola coroplastica ellenistica di Sicilia.
In archeologia il termine coroplastica ha un suo significato ben preciso:
tecnica di lavorazione della terracotta.
550 a.C.
Altezza del reperto: 78 cm
Reperto di produzione locale
Numero Inventario: 53234
Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”- Siracusa.
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Rinvenimento: sporadica.
Materiale: Argilla rossa mattone con leggero ingobbio rosa arancio; vernice nera opaca.
Condizione del reperto: coperchio ricomposto da due frammenti e mancante della presa. Vasca frammentaria; manca un’ansa.
Dimensioni: altezza, 9 cm – Altezza vasca, 4,5 cm – diametro orlo, 10 cm – diametro piede, 4,5 cm.
Datazione: Ultimo trentennio del IV secolo a.C.
Numero Inventario: 3123
Le teste femminili. assai affini nello stile alle analoghe rappresentazioni sullo skyphos inv. 51287 del Museo Archeologico Regionale di Siracusa e su uno skyphos della Collezione Portale di Biancavilla, entrambi già assegnati al Pittore di ZA (pittore di Adrano), consentono un positivo confronto con la produzione dell'officina di questo ceramografo attivo, assai probabilmente, in area adranita. L’analisi di tutta la produzione del pittore suggerì l'esistenza ad Adrano di una tradizione artigiana all'interno della quale operano "ceramografi diversi per capacità e sensibilità decorativa".
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V secolo a.C.
Tetradracma (405 – 400 a.C.)
e solleva un torcia accesa sulla mano destra. Sopra è Nike che vola verso destra e la
incorona. In basso spiga di orzo con stelo.
Testa di Atena di tre quarti, che indossa un elmo attico ornato di triplo cimiero, orecchini a doppio gancio e collana di ghiande pendenti con medaglione centrale; sulla cupola dell'elmo la firma
EYK – ΛEIΔ / A.
Intorno quattro delfini
Auriga su quadriga veloce; sopra la Nike incorona l'auriga con corona
Spiga nella parte inferiore
Sotto i cavalli la scritta:
EY]APXYΔA
Testa di Aretusea con diadema e circondata da quattro delfini.
In alto la scritta: ΣΥΡΑΚΟΣΙΟΝ
La raffigurazione nelle monete di Aretusea era legata agli avvenimenti politici del 413°.C.
I Siracusani respinsero l’invasione dell’esercito ateniese e si volle ringraziare la dea.
Le monete erano in gran parte firmate da Eukleidas ( Εὑκλείδας) (fine V – IV secolo a.C.).
Fu un medaglista e uno dei più importanti incisori dal 415 – 390 a.C.
Firmava i coni con il nome completo. Fu il primo incisore ad incidere un conio
con la testa di una divinità di tre quarti. Una variazione stilistica legata alle
nuove correnti dell’arte greca che vedeva in Fidia uno degli esponenti più importanti.
Corona d’oro – Provenienza: Tindari – Datazione: II secolo a.C.


Orecchino in oro – Provenienza: Tindari (ME) – Datazione: IV – III secolo a.C.
La datazione sarebbe da collocare tra il VI ed l’VIII secolo. Una espressione di pregio da parte di maestranze locali nella realizzazione dell’immagine della Madonna e nei dettagli, molto accurati, della cornice.
Le statuette femminili panneggiate, nelle pose più diverse, sono una rappresentazione e genere
artistico molto diffuso nella Sicilia orientale. I centri principali erano Siracusa e, dopo la
conquista romana dal 212 a.C., anche il vicino centro di Centuripe. Infatti il rinvenimento di
questo genere di statuette è molto raro nella Sicilia occidentale. Solo qualche reperto a Solunto,
a Lilibeo (Museo di Mozia) e Selinunte (Museo di Palermo).
La studio di queste statuette presenta delle difficoltà legate al loro uso. Utilizzate in corredi
funerari ma anche in depositi votivi, sono state oggetto nel tempo di ritrovamenti fortuiti legati
agli scavi clandestini e finite quindi nel commercio dell’antiquario.
Risultano quindi collocate in diversi musei siciliani e in collezioni private a Parigi, Londra,
Karlsruhe e anche a Tokyo. Statuette quindi inserite nei cataloghi dei Musei stranieri ed anche
su cataloghi di vendite all’asta. Manca uno studio approfondito e forse l’unico storico fu Guido
Libertini, nel lontano 1926, ad occuparsi sullo studio delle officine ellenistiche di Centuripe
collegate ai reperti rinvenuti negli scavi effettuati dalle Soprintendenze nelle necropoli di
Centuripe e della Sicilia orientale.
Ogni statuetta ha un suo contesto tecnologico e storico-artistico e, con il ricco drappeggio, fa
parte della piccola coroplastica ellenistica di Sicilia.
In archeologia il termine coroplastica ha un suo significato ben preciso:
tecnica di lavorazione della terracotta.
Sin dagli inizi dell’arte greca, le statuette fittili furono utilizzate come doni votivi nei santuari degli dei. Venivano trovate in grandi fosse e spesso in quantità eccezionali. Nell’età ellenistica queste statuette ebbero un grande sviluppo perché cominciarono a riprodurre anche schemi della vita quotidiana (attori, donne, vecchi, schiavi). Non solo quindi come oggetto sacro e il loro utilizzo non fu solo legato ai santuari.A partire dalla metà del V secolo a.C. furono adoperate nei corredi funerari e nelle abitazioni.Fu nell’Attica che intorno alla metà del V secolo a.C. apparvero delle figurine di terracotta sul modello dei piccoli bronzi di soggetto teatrale e intorno al 330 a.C. nacque il modello della figura femminile panneggiata.Ben presto si diffuse in Grecia anche se con una serie di varianti. Da Atene la nuova iconografia raggiunse la Beozia e, come abbiamo visto nella ricerca, la città di Tanagra. Città che restituì un gran numero di statuette panneggiate dando origine al termine di “tanagrine”.Le statuette si differenziavano per i soggetti:- in massina parte giovani donne;- per la stessa raffigurazione movimentata;- per le “trasparenze” del tipico abito femminile ionico. Gli artisti erano abili nello sfruttare il contrasto tra il chitone, ricco di pieghe ed increspature, e la fasciatura dell’himation che ricopriva, il modo stretto, il corpo femminile.Il procedimento di creazione artistica era molto accurato.Veniva creato, scolpendo un blocco di argilla, un archeotipo (modello) molto elaborato che veniva cotto.Si otteneva una statuetta in terracotta piena. Successivamente venivano create delle matrici, in gesso o in argilla, semplicemente facendo pressione attorno all’archeotipo dell’argilla molle o la pasta di gesso che in seguito veniva fatta indurire.La matrice era in genere unica ma poteva essere anche costituita da due metà:- una per la parte anteriore della statuetta;- una per la parte posteriore della stessa.Da questo “negativo” prendevano forma le statuette. Si comprimevano vari fogli sottili successivi di argilla molle, strato per strato, all’interno delle matrici, si univano le due metà e le statuette si mettevano a cuocere in una fornace.Con questo procedimento le statuette, ottenute a stampo, erano cave all’interno. Il vapore che si raccoglieva durante il processo di cotture, all’interno delle statuette, doveva uscire e per questo motivo veniva lascito aperto il fondo della statuetta oppure, se la figurina si trovava su una piccola base, veniva praticato un foro nella parte posteriore. Foro che poteva essere chiuso anche da unosportellino mobile.Le statuette venivano quindi ritoccate a stecca prima della cottura e, con questo procedimento, veniva data un aspetto particolare a ciascuna di esse.L’ultimo stato della preparazione era costituito dalla copertura della figurina con uno strato preparatorio ( stucco, gesso, ocra) per la decorazione a colori molto vivaci tra cui la doratura per dare alle statuette un aspetto bronzeo.Con questo procedimento di creazione, si potevano ottenere da un archeotipo delle statuette diverse nella loro raffigurazione. Infatti venivano ritoccate, secondo lo stato d’animo dell’artista, prima della cottura.L’archeologia ha permesso di stabilire come le statuette più elaborate erano quelle che erano composte da diverse parti modellate separatamente con stampi diversi.Questo permetteva di raggiungere altre espressioni artistiche ed elaborate.Nacquero delle scuole e l’opera del maestro era legato alla creazione dell’archeotipo. Infatti la produzione successiva poteva essere eseguita anche da manodopera non specializzata.Gli stampi, con un vastissimo repertorio di schemi, potevano essere esportati, commercializzati e questo favorì la grande diffusione delle statuette.In merito alle attrezzature necessarie per la creazione delle statuette erano necessari:- vasche di decantazione dell’argilla;- un laboratorio;- una fornace.Spesso queste officine erano collocate nelle case di abitazione come dimostrarono i rinvenimenti archeologici ad Atene, Arta, Delos, nelle vicinanze dei santuari e ai confini delle abitati, vicino alle necropoli, come nel caso di Centuripe.Secondo gli studi archeologici la produzione delle tanagrine dovrebbe essere collocata intorno al 330 a.C. anche se queste datazione sarebbe difficile da determinare con precisione per vari motivi:- i ritrovamenti delle statuette non furono sempre riferiti a corredi tombali anche a causa degli scavi clandestini. Questo determinò una grave carenza di dati documentali ben precisi;- ogni statuetta può avere due datazioni; una per la creazione del modello o archeotipo ed una per la sua manifattura o creazione definitiva.La creazione delle tanagrine subì un declino verso la fine del II secolo a.C.. legata alla crisi che colpì Atene.Un nuovo repertorio di statuette nacque in Asia Minore intorno al II secolo a.C. soprattutto nella città di Myrina posta sulla costa asiatica dell’Egeo.
Era il periodo della grande scultura pergamena ed anche la piccola produzione plastica ne risentiva gli influssi con l’espressione di pose ricche di patos, panneggi elaborati e teste piccole rispetto al corpo.La piccola coroplastica greca nei paesi del Mediterraneo risentirà, a partire dalla metà del II secolo a.C., di queste espressioni asiatiche che avranno la loro importanza anche in Sicilia.In Sicilia la ceramica tanagrina arrivò in ritardo e cioè alla fine del IV secolo a.C.Fino all’età di Agatocle ( tiranno di Siracusa dal 317/316 a.C. e basileus di Sicilia dal 307 a.C. o dal 304 a.C. fino alla morte nel 289 a.C.) la piccola coroplastica esprimeva dei modelli di tradizione arcaica che erano destinati come ex voto nei santuari.Il cambiamento fu testimoniato dai ritrovamenti nel territorio di Gela (capo Soprano e Piano Notaro.Zone che furono ellenizzate a partire dal 310 a.C. ma colpite dalle devastazioni operate da Phinthias ( tiranno di Agrigento dal 284 a.C. al 279 a.C. e fondatore di Finziade, l'odierna città di Licata) nel 282 a.C.Alcune tombe databili al 310 – 290 a.C. restituirono due figurine che rappresentavano i primi tentativi di produzione coroplastica siceliota sul modello delle tanagrine. Sulla loro importazione dalla Grecia non si avrebbero delle testimonianze. I probabili contatti furono probabilmente legati all’invio di matrici o al trasferimento di artigiani.Gli episodi bellici della prima metà del III secolo a.C. impedirono la formazione di una tradizione artigianale nell’isola e Siracusa rimase l’unico centro in grado di dare una produzione artigianale.I reperti rinvenuti nell’importante sito di Morgantina, distrutta nel 211 a.C., contribuirono nel delineare lo sviluppo della produzione artigianale fittile almeno fino a quella data.
Le statuette di Morgantina avrebbero una grande somiglianza con quelle rinvenute a Siracusa moltedelle quali provenienti da uno stesso stampo.Nel periodo tra le due guerre puniche, Siracusa era il centro di produzione più importante se nonesclusivo delle statuette fittili. Da Siracusa si diffusero le varie tipologie artistiche verso Morgantinaed altri centri come Eloro, Akrai, Centuripe.Nei due centri di Siracusa e Morgantina sarebbe presente, nel III secolo a.C., una classe di figure interracotta con una precisa destinazione votiva. Divinità raffigurate con drappeggio e inatteggiamento offerente, alte 35 - 60 cm.Nuove figure di donne panneggiate si affiancarono alle “tanagrine” e si diffusero non solo nellaSicilia orientale ma anche in quella occidentale fino a Solunto e, nel secolo successivo, anche aTaranto.Siracusa fu dunque il centro di irradiazione delle statuette. Le sue officine elaboravano schemioriginali creando dei nuovi modelli. Stampi e statuette che venivano esportati nel resto della Sicilia.La conquista romana del 212 a.C. determinò la fine della produzione di queste statuette ad iniziaredall’importante città di Siracusa.Successivamente anche Morgantina, espugnata ed conquistata dai Romani nel 211 a.C. arrestò lasua produzione fittile di gran pregio.Fu la vicina Centuripe, fedele ai Romani, a raccogliere l’eredità della produzione fittile.Centuripe si arrese ai romani nel 263 a.C. e rimase alleata ai conquistatori. Sopravvisse quindi aldifficile periodo della II Guerra Punica permettendo alle sue officine di produrre le statuette fittiliche erano una prerogativa artigianale della caduta città di Siracusa.La produzione di Centuripe a partire dal II secolo a.C., diffusasi nel resto dell’isola con leesportazioni, fu giudicata negativamente per lo stile non molto accurato delle statuette.Rispetto alla produzione del II secolo a.C. c’era una minore cura nella rifinitura e nei dettagli. Lostesso fenomeno coinvolse la produzione fittile di Taranto del II secolo a.C. ma tutto ciò dipendevadalla generale decadenza artigianale che coinvolse tutte le città greche dell’Occidente.Resta ancora da definire e studiare come la produzione di Centuripe ripresentò i modelli tanagrini esicilioti ed acquisì i modelli artistici provenienti dall’Asia Minore. Modelli artistici orientali cheavevano preso il sopravvento sull’antica produzione attico-beorica.Un’accurata risposta potrebbe venire solo dalle ricerche archeologiche e dalle indagini sui repertiprovenienti dalle necropoli. Un’indagine che, confrontata con altro materiale databile (ceramica,monete), permetterebbe di fare piena luce su una produzione coroplastica iniziata nel II secolo a.C. che continuò per tutto il II secolo a.C. e parte del I secolo a.C.Furono studiati solo alcuni reperti da parte del Libertini.Furono date solo delle notizie preliminari in alcuni reperti rinvenuti in contrada Casino di Centuripeda parte del Libertini e di Paolo Orsi. Nel Museo Pepoli di Trapani è esposto un gruppo di terrecotte che furono acquistati dal direttore dott. Messina negli anni ’30.Elenco le quattro terrecotte con il i numeri d’inventario dal 4729 al 4733 (oggi 4022 e dal n. 4030 al4033) ed indicò i reperti come provenienti da Centuripe. Le statuette presenti nel Museo Pepoli di Trapani sarebbero quindi una produzione delle officineartigianali di Centuripe del II secolo a.C.Per le loro caratteristiche i potrebbero configurare ben tre tipi di gruppi di produzione:- la figura 4030, la più alta e probabilmente legata ad una utilizzazione funeraria e dalla 4033, la menade, con il suo particolare festone di pieghe;- 4022, l’ephedrismos, che presenta dei caratteri artistici notevoli che lo rendono unico;- 4032 – 4031, uguali per la loro somiglianza nel volto e per l’altezza intorno ai 20 cm. Si tratta quindi di tre gruppi di produzioni e probabilmente destinati a contesti funerari dato il lorodiscreto stato di conservazione. In tutti i reperti il foro di sfiato è sul retro della statuetta, il corpo ècavo e l’argilla è di colore rosato con una stuccatura superficiale verdastra che serviva di supporto alcolore.Sarebbe importante un’analisi dei componenti chimici per fare una maggiore chiarezza se lestatuette siano di fabbricazione centuripina o da altre officine e di oggetti fabbricati a Centuripe maacquistati in altre città della Sicilia. I contesti funerari della Sicilia occidentale presentavano spesso simili reperti che sembrano diffusianche in ambiente punico.Statuette di Centuripe furono trovate a Lilibeo ed oggi esposte nel Museo di Mozia.Il contesto di ritrovamento di queste statuette è ignoto. Le statuette, più antiche, ritrovate nellanecropoli punica di S. Flavia a Solunto confermerebbero il loro uso funerario.
Il rituale funerario di Centuripe, documentato dalla necropoli di contrada Casino, era molto diverso da quello punico.Le tombe erano scavate nel terreno e superiormente era posto un segnacolo funerario in muratura che spesso conteneva i resti della pira funeraria tra le cui ceneri erano spesso presenti dei resti di statuette.Le statuette di Solunto erano invece poste entro le nicchie del sepolcro che era scavato nel tufo secondo una consuetudine punica.Importante è sottolineare l’utilizzo per u defunti punici di statuette create in un ambito culturale greco.Malgrado gran numero di rinvenimenti delle statuette in ambiti funerari, in Sicilia sembra comunque documentato il loro uso con funzioni votive come nei santuari di Morgantina.Perché queste statuette venivano adoperate in contesti funerari?Tanto, città della Magna Grecia, in epoca ellenistica era una produttrice di piccole statuette in terracotta.Dagli studi sulle necropoli in territorio di Taranto sembra che le figure panneggiate femminili erano disposte principalmente nelle sepolture femminili. Questo sembra richiamare l’antica tradizione culturale greca di porre simili oggetti nei santuari delle ninfe poco prima del matrimonio della fanciulla e questo come augurio di felicità.Anche a Capua un gran numero di statuette femminili panneggiate di età ellenistica, furono trovate nel tempio dedicato ad una dea delle fecondità: il santuario del fondo Patturelli.Nel santuario furono rinvenute le statue di “dea madre” con due lattanti.Museo Provinciale Campani di Capua - Alcune Matres Matutae
In Sicilia sembrano carenti gli studi sul tipo di statuette poste nei santuari in età ellenistica e nemmeno sul legame tra la statuetta e ceto sociale o sesso della persona defunta.Interessate la teoria della studiosa Margaret Ary (?) Scheffer sul significato delle terrecotte con scene di ephedrismos.Secondo la studiosa si tratterebbe di raffigurare delle prove iniziatiche relative ad alcuni riti prematrimoniali che coinvolgevano le fanciulle e che successivamente venivano poste nelle tombe anche in Sicilia.Infatti le terrecotte con ephedrismos di Eros e giovane donna erano molto diffuse nell’ambiente di Centuripe.Un’altra prova sarebbe legata alle raffigurazioni policrome sui vasi centuripini del III – II secolo a.C. e trovati in corredi funerari.Le scene erano inerenti a temi riguardanti vari momenti dei riti nuziali.Anche in questo caso manca uno studio che metta in relazione i vasi e le terrecotte rinvenute nelle necropoli e quindi tra riti nuziali e corredo funerario femminile a Centuripe.
Nell’Archivio Storico del castello Normanno è conservato un testo manoscritto di Diodoro Siculo, sulla battaglia di Adrano (344 a.C.) dove avvenne lo scontro tra il corinzio Timoleonte e Iceta, tiranno di Lentini.Foglio
di pergamena trovato insieme ad altri nelle mani del Santo Nicolò Politi nell’Eremo di Alcara
Li Fusi.
2) Frammenti ceramici del Neolitico medio provenienti dall'area di Adrano (Museo Archeologico di Adrano);
3) Coppa neolitica finale dalla tomba di Biancavilla (da Lamagna e Neri [2015]);
4) Ciotola neolitica finale dalla struttura del fuoco delle Balze Soprane, Bronte (dopo Palio e Turco [2015]);
5) Ciotola della prima età del rame dalla Grotta di Petralia (da Privitera e La Rosa [2007]);
6) Ciotola della tarda età del rame proveniente dalla Grotta di Basile, Catania (da Privitera e La Rosa [2007]);
7) Brocca finale dell'età del Rame dalla Grotta Pellegriti, Adrano (da Privitera e La Rosa [2007]); 8) Brocca finale dell'età del Rame dalla Grotta Petralia, Catania (da Privitera e La Rosa [2007]);
9) Brocca della prima età del Bronzo proveniente dalla Grotta Petralia, Catania (da Privitera e La Rosa [2007]);
10) Coppa a piedistallo della prima età del Bronzo dal Deposito Sapienza, Adrano (da Privitera e La Rosa [2007]);
11) Ciotola della prima età del Bronzo proveniente dalla Grotta di Pietralunga, Adrano (da Privitera e La Rosa [2007]);
12) Ciotola dell'età del Bronzo medio dalla capanna di Barriera, Catania (da Privitera e La Rosa [2007]);
13) Vasi della tarda età del Bronzo provenienti dalla tomba 1 di S. Marco, Paternò (cortesia di L. Maniscalco).
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Adrano: Il Museo all’aperto per riscoprire la propria identità, i propri valori culturali
Il valore dell’epigrafe: Parole di Pietra
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