Adrano (Catania) - Museo Reg. "Saro Franco" - Reperti con Iscrizioni - Il valore dell’epigrafe: Parole di Pietra
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Le
epigrafi sono importanti documenti per la conoscenza della società che li ha
creati, per la loro comunicazione.
Ricoprivano
un ruolo importante documentando molti aspetti della vita.
Fornivano
informazioni su persone, eventi, istituzioni, normative, luoghi, opere,
credenze, idee, cultura ed usanze.
Costituivano
anche un importante strumento di propaganda politica per gli imperatori, governatori,
capi di città e in genere di personaggi illustri.
Riconoscere
il valore intrinseco e assoluto della cultura di un luogo significa
identificarne la dimensione geografica e un ben preciso spazio fisico.
Rappresentare la cultura di una società nel patrimonio di simboli costruiti nel
corso della sua storia consente di esplorare la sua identità più profonda e di
tracciare una visione dei valori di quella società. Luoghi, simboli e
condizioni esistenziali costituiscono il terreno concettuale entro il quale
procede la rappresentazione culturale di una società. Le mappe culturali, come
le epigrafi, producono e trasmettono conoscenza oggettiva dei processi mentali,
costituiscono un percorso di ricerca in grado di ricostruire il legame
fondamentale tra le persone e i luoghi.
La
traduzione dell’epigrafe diventa uno strumento indispensabile ed essenziale per un “sapere”
reale sul rapporto tra uomo e spazio, tra cultura e natura.
Queste
fonti offrono una prospettiva diretta e spesso non mediata su aspetti della
vita quotidiana, sociale, religiosa e politica delle civiltà passate. A
differenza delle fonti letterarie, che possono essere soggette a revisioni e
interpretazioni successive, le epigrafi forniscono informazioni contemporanee sugli
eventi descritti
……………………………………..
Indice:
- Altare iscritto o base per altare;
- L’epigrafe del Mendolito – Cenni sul sito del Mendolito citato da Virgilio – le varie interpretazioni dell’epigrafe (Prof. Caltagirone Enrico – Dott. Branchina Francesco);
- Il Cippo “Sanfilippo”;
- L’iscrizione graffita su un vaso (oinochoe) di Contrada “Poira” – Paternò;
- Altre iscrizioni tra cui la Pietra Basaltica iscritta che fu rinvenuta vicino alla Grotta Pellegriti dov’era ubicata un’importante sepoltura. Le iscrizioni nelle lastre per uso funerario (contrada Ardichella) e per uso civile negli edifici (sito del Mendolito).
Riferimenti (cenni):
Santa Febronia (Palagonia – Catania); Tegola con iscrizione di Centuripe; Le lastre con iscrizioni del Mendolito, esposte nel Museo di Siracusa; Kalypter hegemon usato nelle sepolture; La sima di Selinunte; il sacello di Sabucina; Il tempio A di Himera; la necropoli di Rifriscolaro (Camerina- Ragusa);
- Altre epigrafi;
- Le epigrafi perdute;
- Frammento d’iscrizione latina;
- Iscrizione in una pietra di confine. Confronto con un simile reperto esposto nel Museo di Catania;
- Iscrizione greca – Fonte delle Favare:
file: Adrano – Museo all’aperto
………………………………………
Provenienza: Mendolito – Contrada Ardichella
Ritrovamento: predio del cav. Reale. Fu trovata da Orazio Cavallaro nel 1896; regalata alla famiglia Reale nel 1906 e acquisita dal Museo di Adrano nel 1957 (regalo della famiglia Reale).
Natura: Pietra Calcarea.
Datazione: III – II secolo a.C.
Condizioni del reperto: lato superiore rotto; la modanatura attorno alla base è spezzata sulla parte
sinistra, altrimenti intatta.
Misure: altezza 36 cm – larghezza 54,5 cm (49,7 cm esclusa la modanatura inferiore); profondità 40,5 cm (35,7 cm non tenendo in considerazione la modanatura inferiore).
Iscrizione: il lato iscritto è al massimo 26 cm in altezza e 49,7 cm in larghezza.
Numero inventario: 11647
Una base quadrangolare di pietra calcarea con una modanatura attorno a tutti e quattro i lati inferiori. Una modanatura perduta solo nel lato sinistro.
La parte superiore della base è andata perduta. Tutti e quattro i lati sono rifiniti e sul lato frontale si preserva un’iscrizione greca di almeno sei linee.
L’iscrizione è scolpita in modo grezzo ed inesperto o non curato.
I caratteri si distinguono in modo particolare per la loro irregolarità e per la povera o scadente qualità dell’iscrizione.
L’omega è aperto in ogni linea. Le forme delle lettere sarebbero tipiche dell’epigrafia della Sicilia ellenistica, forse del primo periodo piuttosto che del tardo.
La data di collocazione del reperto sarebbe tra il III - II secolo a.C., mentre il prof. Manganaro e il Lambertini suggerirono il IV secolo a.C.
Altezza delle lettere:
- Prima linea: incompleta;
- Seconda linea: 2 – 3 cm;
- Terza linea: 2 – 2,3 cm (il Φ misura 3,5 cm);
- Quarta linea: 1,7 – 3,5 cm;
- Quinta linea: 1,7 – 2,8 cm (omicron Ο misura 1 cm);
- Sesta linea: 1,7 – 2,5 cm;
- Settima linea: 2 – 3 cm.
Spazio tra le righe:
- Linee 1 – 2: 8,8 cm;
- Linee 2 – 3: 1,5 – 2 cm:
- Linee 3 – 4: 0 -1,3 cm;
- Linee 4 – 5: 0 – 1 cm;
- Linee 5 – 6: 0 – 3,5 cm;
- Linee 6 – 7: 0 – 1 cm
Traduzione:
[-?-]
(durante la
magistratura / sacerdozio) di Theutoros e Philon.
(dedicata dagli)
hierothytai Nikasion figlio di Eupolemos, Nemeios figlio di
Herakleidas,
Agathon figlio di Eudamos.
Tracce
di almeno due lettere sono visibili sul lato superiore sinistro del lato
iscritto (solo i tratti verticali), con uno spazio per una o due lettere
precedenti.
Seguono
spazi vuoti, ma potrebbero esserci tracce di altre lettere in alto a destra.
Non
è possibile stabilire quanto sia andato perduto della parte superiore del blocco.
Ci
sarebbero state delle errate interpretazioni o traduzioni in alcune
trascrizioni delle lettera finale della linea 4
a
causa del graffio o tratto involontario inciso sulla pietra, che invece non
appartiene alla lettera finale.
I nomi sono tutti molto comuni, con numerose attestazioni nel mondo greco ed in Sicilia. Si dovrebbe fare eccezione per Nemenios che sarebbe tipicamente siculo (13 su 16 esempi conosciuti sono siculi, Fraser-Matthews 1997).
Un
quesito che la storiografia non ha ancora risolto è l’origine del sito..
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Oichonoe
a corpo globulare, collo cilindrico distinto e bocca trilobata, piede a disco e
ansa a nastro; dipinta a vernice bruna la metà superiore; sul collo sono
presenti tre sottili linee bianche orizzontali.
Sulla parte inferiore del corpo del vaso è presente un sequenza alfabetica destrorsa, incisa dopo la cottura e con tratto sottile.
- due incise su lastre frammentarie di terracotta;
- una graffita sulla parete di un vaso.
A fronte di queste tre iscrizioni, ci sarebbe in sospeso il giudizio su un quarto reperto.
Si tratta di una pietra basaltica che porta due segni: una sorta di freccia orizzontale che punta a destra e, alla destra di questa, un segno complesso, evidente legatura di kappa e alpha. (La pietra che fu rinvenuta vicino alla grotta Pellegriti dov’era ubicata un’importante sepoltura).
Nell’area sono attestate le seguenti fasi:
- preistorica, contraddistinta da frammenti vascolari risalenti al Bronzo Antico (2200 – 1400 a.C.);
- arcaica, due tombe a grotticella, con pianta rettangolare e volta piana, che purtroppo sono state saccheggiate da tombaroli mafiosi. Frammenti vascolari (uno di coppa ionica databile al 520 – 500 a.C.; altri dello stile di Licodia Eubea (Monte Casasia – Ragusa); un frammento di una gorgonia a rilevo e il laterizio della ricerca;
- ellenistica. La fase ellenistica è costituita da frammenti ceramici e resti di ossa umane che attestano l’insediamento di una necropoli con tombe terragne, purtroppo saccheggiate, che in base all’esame del materiale rimasto sul terreno, dovrebbe essere collocata al primo ellenismo. Una grande quantità di laterizi databili tra l’età ellenistica ed imperiale (tegole curve, mattoni quadrangolari e circolari), una mola circolare, uno di macina (tipo Olinto – macina rettangolare) e uno di “trapetum” ( l’elemento fisso del mortaio) documentano, nelle aree limitrofe, l’esistenza di un insediamento a carattere agricolo.
I nomi sono tutti molto comuni, con numerose attestazioni nel mondo greco ed in Sicilia. Si dovrebbe fare eccezione per Nemenios che sarebbe tipicamente siculo (13 su 16 esempi conosciuti sono siculi, Fraser-Matthews 1997).
Il sacerdozio di (hierothytes)
è attestato ad Agrigento, Malta, Soluntum (Solunto), Segesta e in un’iscrizione
in bronzo scoperta nel 2008 e dalla provenienza sicula incerta.
Per lo storico Wianand (1990) i casi legati ad Agrigento dimostrano un’influenza coloniale di Rodi sulla città agrigentina. Gli altri casi, compreso il reperto di Adrano, rilevano una forte influenza di Siracusa.
L’insolita forma dorica
sarebbe attestata a Rodi.
Forse l’iscrizione è rivolta a due ufficiali eponimi siculi.
Non fu possibile stabilire se fosse pertinente alla base di una statua o di un altare.
Piccole basi statuari simili furono trovati ad Akrai (Palazzolo Acreide). Probabilmente l’iscrizione sarebbe stata una dedica ad una divinità da parte del collegio degli hierothytai e, secondo il prof. Manganaro, si tratterebbe della divinità locale Adranos.
Una tesi non accettata da tutti gli storici. Sarebbe probabile come il nome della divinità, a cui questo altare era dedicato, si trovasse iscritto nella parte superiore dell’iscrizione e cioè nella modanatura mancante.
Per lo storico Wianand (1990) i casi legati ad Agrigento dimostrano un’influenza coloniale di Rodi sulla città agrigentina. Gli altri casi, compreso il reperto di Adrano, rilevano una forte influenza di Siracusa.
L’insolita forma dorica
Forse l’iscrizione è rivolta a due ufficiali eponimi siculi.
Non fu possibile stabilire se fosse pertinente alla base di una statua o di un altare.
Piccole basi statuari simili furono trovati ad Akrai (Palazzolo Acreide). Probabilmente l’iscrizione sarebbe stata una dedica ad una divinità da parte del collegio degli hierothytai e, secondo il prof. Manganaro, si tratterebbe della divinità locale Adranos.
Una tesi non accettata da tutti gli storici. Sarebbe probabile come il nome della divinità, a cui questo altare era dedicato, si trovasse iscritto nella parte superiore dell’iscrizione e cioè nella modanatura mancante.
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L’Epigrafe
del Mendolito
Sull’antica
città siculo-greca che sorgeva in contrada Mendolito di Adrano non si sa molto.
Il
Mendolito di Adrano è uno dei luoghi più interessanti, ricco di misteri, della
Sicilia.
Una
fonte importante per la conoscenza della cultura sicula e questo non solo per
la presenza della necropoli ma anche per l’abitato e per l’alfabeto del
Mendolito che tanto fa discutere gli storici e che nasconde realtà storiche non
sempre accettate.
Il
prof. Massino Cultraro studiò a lungo il sito e affermò che
L’abitato arcaico
era posto nell’area denominata “proprietà Sanfilippo” che
si trova
all’interno delle mura (la villa Sanfilippo fu costruita sulle antiche mura).
L’iscrizione
della porta fu trovata nelle mura dalla dott.ssa Paola Pelagatti mentre dalla
confinante proprietà Sanfilippo provengono il cippo omonimo e due lastre
fittili. Tutti i reperti con iscrizioni sicule sono esposti nel Museo Archeologico
di Siracusa. Il cippo “Sanfilippo” e le due tegole furono rinvenuti
dall’archeologo Paolo Orsi. Le tegole presenti nel Museo di Adrano provengono
invece dagli scavi in contrada
“Ardichella” che non è legata all’abitato del Mendolito per ragioni sia
topografiche che cronologiche.
La
località del Mendolito, posta lungo il Simeto, per circa un secolo, grazie alle
esplorazioni di Paolo Orsi, di Salvatore Petronio Russo, di Luigi Perdicaro, di
Vincenzo Vinci, e del locale "comitato archeologico adranita",
restituì i reperti di una necropoli e di una città "predionigiana"
d'avanzata e affermata civiltà siceliota (sicana) (XV-V secolo a.C.). Reperti, esposti nei Musei di Adrano e di
Siracusa.
Adrano, Mendolito.
Planimetria generale dell’abitato di età arcaica:
1) Porta Sud con
la grande iscrizione;
2) Fondo
Sanfilippo (area di provenienza delle tegole PID 576-577);
3) Ripostiglio di
bronzi (fondo Ciadamidaro);
4) Acropoli;
5) Necropoli
meridionale di Sciare Manganelli;
6) Località
Ardichella (area di provenienza delle tegole con bollo);
7) Fondo Neri
(area di rinvenimento di un’iscrizione, oggi perduta).
Un valido contributo alla soluzione del problema potrebbe essere fornito da un’attenta lettura dell’epigrafe del Mendolito che fu rinvenuta nei pressi dell’ingresso Sud dell’antica città.
Torre Est
Schizzo
planimetrico con le tombe di Sciare Manganelli
(dai taccuini di Paolo Orsi)
Dal
punto di vista letterario il sito del Mendolito fu citato da Virgilio in merito
al figlio di Arcente quando accennòAl Simeto, al
“bosco di Marte” e all’ara di Palico.Il
siciliano Arcente era un suddito di Aceste, re di Sicilia, (figlio del dio
fluviale Crimiso e di Egesta, nobile donna troiana).Arcente
fece crescere in un bosco sacro il suo unico figlio, per farne un grande
guerriero. Quando Enea giunse con gli altri troiani esuli nel regno
di Aceste, il figlio di Arcente, che era ormai un giovane uomo, decise di
seguire Enea allorché questi si rimise in viaggio per raggiungere il Lazio.
Arcente ne fu felicissimo. Non è noto se Arcente venne mai a sapere della fine
tragica del figlio, ad opera di Mezenzio, nella guerra tra troiani e
italici (il tiranno etrusco aveva colpito con la fionda il giovane nemico,
spaccandogli le tempie).Si ergeva in armi straordinarie
il figlio di Arcente,con una clamide ricamata e splendente di porpora iberica,
bello d'aspetto, che il padre Arcente mandava,cresciuto nel bosco della Madre intorno al fiume Simeto,
dov'è la grassa e benigna ara di Palico;
deposte le lance, Mezenzio rotea intorno al capo
tre volte la fionda fischiante, impugnata la cinghia,e a lui che gli s'opponeva spacca nel mezzo le tempie
con piombo fuso, e lo abbatte disteso sulla sabbiacon una clamide ricamata e splendente di porpora iberica, bello d'aspetto, che il padre Arcente mandava,cresciuto nel bosco della Madre intorno al fiume Simeto,dov'è la grassa e benigna ara di Palico;deposte le lance, Mezenzio rotea intorno al capotre volte la fionda fischiante, impugnata la cinghia,e a lui che gli s'opponeva spacca nel mezzo le tempiecon piombo fuso, e lo abbatte disteso sulla sabbiacon una clamide ricamata e splendente di porpora iberica,bello d'aspetto, che il padre Arcente mandava,cresciuto nel bosco della Madre intorno al fiume Simeto,dov'è la grassa e benigna ara di Palico;deposte le lance, Mezenzio rotea intorno al capotre volte la fionda fischiante, impugnata la cinghia,e a lui che gli s'opponeva spacca nel mezzo le tempie
con piombo fuso, e lo abbatte disteso sulla sabbia
(Virgilio, Eneide)
La
descrizione che Virgilio diede del figlio di Arcente nell' Eneide ricorda molto la figura del semidio
indiano Ati nelle Metamorfosi ovidiane.
Entrambi giovani e bellissimi, abbigliati con una clamide orlata d'oro. Persino
le loro uccisioni presentano analogie, con i due eroi che muoiono col cranio
fratturato, colpiti presso la tempia (nel caso di Ati il corpo contundente è un
ceppo). Virgilio
omette nell'Eneide il nome del figlio di Arcente, con ogni
probabilità è uno di quei passi che il poeta non riuscì a revisionare per la
morte prematura. Una
spiegazione diversa è stata data da Vincenzo Monti nella traduzione del poema,
secondo cui Arcente avrebbe dato al figlio il proprio nome. Stavasi Arcente, d’Arcente il figlio, in su’ ripari arditoProbabilmente
Palico era il nome della città in onore all’omonimo dio.In
età classica la città prese il nome di Adrano in onore della divinità Adranos.L’epigrafe
protostorica del Mendolito fu rinvenuta nel 1962 dalla dott.ssa Paola Pelagatti
in una campagna di scavo da lei diretta, a seguito di continue segnalazioni da
parte del comitato archeologico adranita, che aveva esplorato e studiato il
sito per molti anni.
Dal
punto di vista letterario il sito del Mendolito fu citato da Virgilio in merito
al figlio di Arcente quando accennò
Al Simeto, al
“bosco di Marte” e all’ara di Palico.
Il
siciliano Arcente era un suddito di Aceste, re di Sicilia, (figlio del dio
fluviale Crimiso e di Egesta, nobile donna troiana).
Arcente
fece crescere in un bosco sacro il suo unico figlio, per farne un grande
guerriero. Quando Enea giunse con gli altri troiani esuli nel regno
di Aceste, il figlio di Arcente, che era ormai un giovane uomo, decise di
seguire Enea allorché questi si rimise in viaggio per raggiungere il Lazio.
Arcente ne fu felicissimo. Non è noto se Arcente venne mai a sapere della fine
tragica del figlio, ad opera di Mezenzio, nella guerra tra troiani e
italici (il tiranno etrusco aveva colpito con la fionda il giovane nemico,
spaccandogli le tempie).
Si ergeva in armi straordinarie
il figlio di Arcente,
con una clamide ricamata e splendente di porpora iberica,
bello d'aspetto, che il padre Arcente mandava,
cresciuto nel bosco della Madre intorno al fiume Simeto,
dov'è la grassa e benigna ara di Palico;
deposte le lance, Mezenzio rotea intorno al capo
tre volte la fionda fischiante, impugnata la cinghia,
e a lui che gli s'opponeva spacca nel mezzo le tempie
con piombo fuso, e lo abbatte disteso sulla sabbia
con una clamide ricamata e splendente di porpora iberica,
bello d'aspetto, che il padre Arcente mandava,
cresciuto nel bosco della Madre intorno al fiume Simeto,
dov'è la grassa e benigna ara di Palico;
deposte le lance, Mezenzio rotea intorno al capo
tre volte la fionda fischiante, impugnata la cinghia,
e a lui che gli s'opponeva spacca nel mezzo le tempie
con piombo fuso, e lo abbatte disteso sulla sabbia
con una clamide ricamata e splendente di porpora iberica,
bello d'aspetto, che il padre Arcente mandava,
cresciuto nel bosco della Madre intorno al fiume Simeto,
dov'è la grassa e benigna ara di Palico;
deposte le lance, Mezenzio rotea intorno al capo
tre volte la fionda fischiante, impugnata la cinghia,
e a lui che gli s'opponeva spacca nel mezzo le tempiecon piombo fuso, e lo abbatte disteso sulla sabbia
(Virgilio, Eneide)
La
descrizione che Virgilio diede del figlio di Arcente nell' Eneide ricorda molto la figura del semidio
indiano Ati nelle Metamorfosi ovidiane.
Entrambi giovani e bellissimi, abbigliati con una clamide orlata d'oro. Persino
le loro uccisioni presentano analogie, con i due eroi che muoiono col cranio
fratturato, colpiti presso la tempia (nel caso di Ati il corpo contundente è un
ceppo). Virgilio
omette nell'Eneide il nome del figlio di Arcente, con ogni
probabilità è uno di quei passi che il poeta non riuscì a revisionare per la
morte prematura. Una
spiegazione diversa è stata data da Vincenzo Monti nella traduzione del poema,
secondo cui Arcente avrebbe dato al figlio il proprio nome.
Stavasi Arcente,
d’Arcente il figlio, in su’ ripari ardito
Probabilmente
Palico era il nome della città in onore all’omonimo dio.
In
età classica la città prese il nome di Adrano in onore della divinità Adranos.
L’epigrafe
protostorica del Mendolito fu rinvenuta nel 1962 dalla dott.ssa Paola Pelagatti
in una campagna di scavo da lei diretta, a seguito di continue segnalazioni da
parte del comitato archeologico adranita, che aveva esplorato e studiato il
sito per molti anni.
Adrano: L. Bernabò
Brea al momento della scoperta dell’iscrizione
sulla porta della città (1962) (foto: PELAGATTI 2004)
sulla porta della città (1962) (foto: PELAGATTI 2004)
La
grande iscrizione del Mendolito era legata alla “porta urbica” della città.
Il
sito era difeso da una cinta muraria che fu rafforzata verso la metà del VI
secolo a.C.
Cinta che fu portata alla luce dagli scavi eseguiti nel corso
degli anni ’60.
Il
blocco si trovava nello stipite destro della porta, ad un’altezza di circa 80
cm dal piano di calpestio.
Un blocco quadrangolare di arenaria,
lungo 2 metri, alto 60 cm e profondo 40 cm.
Sulla
faccia a vista, su tre righe, una iscrizione ad andamento sinistrorso, con
tratto sottile e lettere di dimensioni abbastanza disomogenee, con un’altezza
variabile da 5 a 10 cm.
Nella
parte di sinistra s’incontrano delle difficoltà nella lettura, a causa delle
cattive condizioni della superficie del blocco e per la presenza di alcuni
segni più piccoli e leggeri, forse estranei all’iscrizioni e inseriti da
qualche “amante dell’arte” tanto numerosi in Sicilia e non rispettosi della
propria Storia.
Un’epigrafe
ancora da decifrare con chiarezza e la cui lettura esatta porterebbe luce sulla
civiltà siculo-greca del territorio di Adrano.
È incisa su blocco arenario (rinvenuto rotto in due parti nel corridoio dell'ingresso della città) e contiene lettere sicule e greche (?).
Si legge da destra verso sinistra ed è tracciata su due righe per una lunghezza di circa2 metri .
È incisa su blocco arenario (rinvenuto rotto in due parti nel corridoio dell'ingresso della città) e contiene lettere sicule e greche (?).
Si legge da destra verso sinistra ed è tracciata su due righe per una lunghezza di circa
La
sua eccezionale importanza, inoltre, sta nel fatto che fu rinvenuta in loco
durante una campagna di scavi.
Mendolito,
iscrizione della porta urbica. (Non completa).
Da Prosdocini –
Agistiniani. 1976 – 1977
Lettura
da destra verso sinistra.
La
prima parola….
IAM
(dal sanscrito Yam = questa)
(dal sanscrito Yam = questa)
IAM
è un pronome deittico, cioè si riferisce al reperto o oggetto che si descrive.
In questo caso si riferisce al muro. (IAM è un termine che appare anche in
etrusco).
QuestoPoi
c’è un verbo importantissimo che corrisponde al latino “creo”, creare..
AKARAM
(dal sanscrito Kr = creare, costruire)
-
le
ultime due lettere: AS
ESPIAS
(dal sanscrito Kr = creare, costruire)
Akaram
è quindi un verbo sanscrito che significa
Fece costruiresegue
una zona del blocco molto abrasa, quasi cancellata. Le lettere probabilmente si
riferiscono al nome della persona che fece costruire il muro (patrominico)
L’indizio
per dare un nome a questo personaggio sarebbero le seguenti lettere:
-
la
prima: ETutti
i nomi maschili finivano in AS.. da cui
il nome interpretando le atre tre lettere..
La
traduzione di questa prima parte della frase sarebbe
Espias questo muro
fece costruire…Segue
una
Fino
alla S si legge AGGES.
Aggia vuol dire gregge
Agies… agiato
In latino “pecus” vuol dire bestiame.. “pecunia” soldi.
Chi possedeva il bestiame era un uomo ricco, agiato.
Dopo non si riesce a leggere perché la zona è molto rovinata
Aggia vuol dire gregge
Agies… agiato
In latino “pecus” vuol dire bestiame.. “pecunia” soldi.
Chi possedeva il bestiame era un uomo ricco, agiato.
Dopo non si riesce a leggere perché la zona è molto rovinata
La
parola finisce con ED, quindi un verbo ottativo che corrisponde
la nostro congiuntivo,,,
affinché
proteggesse
Alcuni
hanno letto la parola CEVED, che
significa “proteggere”
Ma,
a causa delle lettere molto rovinate, si
potrebbe avere un duplice significato…
Affinché
proteggesse dalle greggi…..
Affinché
proteggesse la città dalle greggi cioè impedire l’ingresso delle greggi nella
città.
Il
primo rigo sarebbe quindi:
Espias fece
costruire questo muro affinché proteggesse dalle greggi
Il
secondo rigo, sempre da destra verso sinistra..
Inizia
con la parola TEUTO
T E
U T O
In
quasi tutte le iscrizioni italiche, tradotte da Giacomo Devoto, e nelle tavole
incubinie, la parola “TEUTO” corrisponde a “città” o “popolo”
Potrebbe
anche corrispondere a “Tato” che è u avverbio.
Segue..
La
O con il puntino in mezzo per differenziarsi dalle altre “O”.
In
origine la parola era “dvara” con la “V”. Ma la “V” in sanscrito è una
semivocale che si pronuncia “doara”. “Doara”
significa “porta” (un
termine simile all’inglese “door”).
ECA vuol dire “uno
solo”.
“Ecadoara” in sanscrito
significa quindi
Una sola porta….
L’ultima
riga, sempre da destra verso sinistra
IEAD
IEAD
significa condurre, è un verbo ottativo
(congiuntivo)…
Espias questo muro
fece costruire affinché proteggesse le greggi o dalle greggi.
Alle case protette
della città una sola porta conduca.
(traduzione dal sanscrito del prof. Enrico Caltagirone)
Non
sono un glottologo, come il prof. Enrico Catagirone che ha tradotto la stele,
ma il termine “gregge” potrebbe riferirsi a “popoli”? Una moltitudine di
persone e quindi nemici. Il muro quindi come cinta muraria difensiva della
città?
Per
molti storici l’interpretazione e la lettura restano ancora da decifrarsi.
È
opinione diffusa che si tratta di un epigrafe con un testo di pubblico avviso
per coloro che entravano nell'antica città, la quale doveva avere una notevole
importanza strategico militare e nello stesso tempo, era caratterizzata da un
livello di cultura abbastanza elevato.
Si
tratta dell'unica iscrizione sicula rinvenuta "in situ" e
probabilmente databile verso il VI secolo a.C. (rivista Kokalos, Palermo,
1965).
Verso
la metà del secolo scorso la zona fu attentamente studiata da Salvatore
Petronio-Russo, come precisa P. Orsi nel suo Diario (1898-1909), annotando che
"il prevosto
vide quegli avanzi avanti un trentennio",
dopo
aver personalmente battuto, palmo per palmo, il territorio adranita lungo il
Simeto.
Lo
stesso Orsi impressionato per i numerosi blocchi basaltici sparsi nel luogo
scrisse:
"E' un
ionismo imbastardito, penetrato per entro le aride forze del Simeto, ma è
sempre testimone di quell'arte che in Katana noi cerchiamo invano"
(Aderno' 1909).
Alcuni
storici interpretarono le lettere delle due righe dell'epigrafe, da destra a
sinistra……:
I rigo ;
IAMAKARAME ......... RASKAS OEGS ....HHD
II rigo ; TATUVEREGAIE SHE KALD ARA
e
si posero numerose le domande..
Parlerà
di Palico ?
Parlerà
di Adranos, dio locale, e secondo Eschilo, padre dei Palici ?
Forse
è una arcaica segnalazione per indicare un luogo o un edificio religioso ?
Precisa
forse delle norme di ordine pubblico ?
Contiene
prescrizioni per gli abitanti o per i forestieri ?
Esalta
un eroe ?
L'epigrafe
non è stata restituita al Museo di Adrano, e si trova a Siracusa, questo dopo ben 62 anni dal suo ritrovamento.
Una
ricerca del prof. Francesco Branchina (pubblicata il 03/01/2019)
La lingua degli
Adraniti: Epigrafi anelleniche.
Il
prof. Branchina affermò l’esistenza ad Adrano di un santuario dedicato al dio
Adrano venerato in tutta la Sicilia fino a quando l’isola mantenne la sua
integrità culturale conservando il toponimo di Sicania.
La
stele del Mendolito sarebbe la più lunga iscrizione anellenica trovata in
Sicilia.
La
stele è l’orgoglio degli adraniti perché
viene considerata come un testamento spirituale con il quale gli
antenati (Sicani o Siculi) lasciarono un concetto di Nazione e di amore patrio
ormai perduto nelle nuove generazioni.
Lo
stesso professore si soffermò, giustamente, sulla stele adranita che si trova
nel Museo di Siracusa.
Fu
prelevata nel territorio adranita negli anni ’60 e condotta nel Museo
Archeologico di Siracusa per essere restaurata e studiata. Ma da allora mai più
restituita alla cittadinanza di Adrano. Quegli adraniti figli di quegli
antenati che incisero quel messaggio che ha sfidato il tempo.
L’autore
delle ricerca rilevò la traduzione dell’epigrafe che vedeva nel protogermanico
la lingua di riferimento e quindi diede all’epigrafe una diversa traduzione.
La
sua ricerca si basava sulla considerazione che il
Il
protogermanico è in realtà una lingua ricostruita dagli studiosi attraverso la
comparazione di lessemi delle lingue di derivazione germanica quali l’inglese,
il gotico, il norreno. In questa sede intendiamo altresì sollecitare gli
studiosi e appassionati ad intraprendere uno studio sistematico della lingua
dei nostri Avi, lingua con la quale i primi abitatori dell’isola esprimevano
– anche attraverso l’uso della simbologia perfettamente in sintonia con
il concetto dell’aldilà - i profondi concetti d’ordine metafisico. È probabile
che ad Adrano, sede del culto religioso che accomunava, anzi cementava, gli
abitanti dell’isola, la lingua primigenia si mantenesse viva e inalterata per
un periodo di tempo assai più lungo che nelle altre città della Sicilia, e ciò
grazie alla presenza della casta sacerdotale degli Adraniti, nome che per importanza,
nel periodo a cavallo tra il V e il IV secolo a.C., venne attribuito anche agli
abitanti della città dove sorgeva il santuario, che allora si chiamava Etna. La
casta sacerdotale degli Adraniti, dunque, fu in condizione di tener in vita “la lingua degli
dei”
fin tanto che il culto dedicato all’Avo primordiale Adrano, venne esercitato
con profonda devozione.
Infatti, la lingua sicana, come quella latina
per i cristiani, o ebraica per i Giudei, rappresentava la lingua sacra, l’unica
attraverso la quale era possibile la comunicazione tra l’umano e il divino; il
divino non avrebbe riconosciuto dei suoni che non gli fossero stati familiari.
Quanto affermiamo rientrava in una antica conoscenza esoterica che si inseriva
in un remoto periodo temporale, quando cioè, uomini e Dei comunicavano
attraverso l’utilizzo di suoni e simboli convenzionali. Sulla base di queste
affermazioni appaiono chiare le esortazioni del riformatore dell’antica
religione mazdea Zarathustra, dirette al sacerdote sacrificante. Al sacerdote,
Zarathustra, raccomandava che pronunciasse correttamente le formule rituali.
Esse dovevano essere chiare e scandite, la pronuncia delle stesse non doveva
subire inflessioni di sorta, una pronuncia falsata avrebbe provocato l’aborto del
rito. Anche nel libro sacro dei Veda, che è un complemento dell’Avesta,
si insiste sulla necessità di conservare l’esatta pronuncia delle formule
rituali. Ma tornando alla lingua dei Sicani, primi abitatori della Sicilia come
sostiene Tucidide, il quale, a sua volta, si rifà agli storici locali.
ADRANO
CENTRO RELIGIOSO DELL’ISOLA.
Come
affermato sopra, la città di Adrano, in quanto sede del culto nazionale sicano,
rappresenta per noi lo scrigno da cui va tratto ogni spunto di studio della
lingua primigenia: la sicana. Qui risiedeva, e ciò è fondamentale per
comprendere il motivo di una lunga, inalterata sopravvivenza della lingua, la
casta sacerdotale degli Adraniti. Facendo la dovuta comparazione linguistica
con la lingua ebraica, infatti, si può constatare che le liturgie giudaiche
hanno utilizzato per oltre due millenni la lingua ebraica biblica quale lingua
rituale. L’ebraico biblico che viene letto e compreso da un rabbino del
ventesimo secolo, non si discosta enormemente da quello parlato dal colto Giuseppe
Flavio. Esso continuò ad essere l’idioma rituale anche quando il volgo non lo
parlava e non lo comprendeva più durante la diaspora, poiché il sacerdote, non
con il popolo doveva interloquire, ma col divino. Dunque ad Adrano, come nel
Vaticano o a Ninive, capitale dell’Assiria, dove è stata rinvenuta la più ricca
e importante biblioteca della regione — si calcola che siano stati oltre
diecimila i testi ospitati nella biblioteca reale —, doveva conservarsi la
conoscenza delle arcane cose e la lingua con cui esse venivano comunicate ai
neofiti. Tuttavia, se abbiamo colto nel segno, la casta sacerdotale denominata
Adraniti, come quella dei consanguinei druidi del nord Europa, non amava
mettere per iscritto il proprio sapere: non a tutti erano aperte le porte della
conoscenza, ma solo a coloro che, per loro innata predisposizione, avevano la
capacità di comprenderne il profondo e, talvolta, gravoso significato ed essere
in grado di sostenerne il peso. Questo atteggiamento misterico, non era
prerogativa di adraniti e druidi, ma rientrava nella struttura esoterica del
sacerdozio di tutti i popoli facenti parte della grande famiglia dei popoli
convenzionalmente denominati indoeuropei; perciò anche dai saggi indiani, i
rishi. Infatti, i sapienti indù esortavano il saggio a non scandalizzare la
mente dei semplici comunicando loro concetti metafisici ad essi
incomprensibili.
Vogliamo
concludere formulando l’auspicio che possa nascere un centro studi telematico
sulla lingua sicana che abbia in Adrano il suo baricentro.
Un
quesito che la storiografia non ha ancora risolto è l’origine del sito..
Fondato dai Sicani
o dai Siculi?Lo
studioso Francesco Branchina considerò il popolo Sicano (Σικανοί), stanziato
nel Lazio e successivamente spostatosi anche in Sicilia. Sicani che erano
giunti nel Lazio in seguito ad una migrazione dall’Europa del Nord perché
costretti ad abbandonare le proprie terre in seguito ai cambiamenti climatici
legati all’ultima glaciazione che colpì i territori dall'Artide all'Europa centro-settentrionale.
(L'ultimo
periodo glaciale, la glaciazione Würm, terminò all'incirca tra il 16000 e
il 14000 a.C.. La tradizione vuole però chiamare piccola glaciazione il clima
freddo che caratterizzò l'Europa dal XIV al XIX secolo).
Attraverso
l’analisi delle epigrafi e dei numerosi lessemi lasciateci dai Sicani sotto
forma di toponimi, antroponimi, idronimi, si identificò la lingua parlata da
questo popolo con un'antica lingua riconducibile al protogermanico. Il
protogermanico è in realtà una lingua ricostruita dagli studiosi attraverso la
comparazione di lessemi delle lingue di derivazione germanica, che si sono
conservati simili nelle lingue derivate, quali inglese, tedesco, gotico e molte
altre.
L'attuale
lingua tedesca sarebbe quella che, meglio di ogni altra, è rimasta aderente
alla lingua d'origine. Fu questa lingua a cui fecero riferimento molti storici,
assieme al gotico e all'antico alto tedesco, per decriptare alcune epigrafi
sicane, incise in steli, vasi, tegoli funebri. L’indagine coinvolse anche la
famosa stele urbica ritrovata nel territorio di Adrano, in contrada Mendolito.
Gli
studiosi cercarono di fornire una probabile
traduzione dell’epigrafe.
Una
traduzione esatta?
Forse,
ma l’obiettivo degli studiosi era quello di dare l’input ad una attività di
studio con la nascita di un centro studi telematico sulla lingua sicana e
sicula.
Forse
la stele fu impropriamente definita urbica dagli studiosi, forse condizionati e
sviati dal luogo in cui venne ritrovata, secondo il Branchina, non coincidente con quello di
originaria collocazione. Secondo lo studioso era collocata su uno dei due
torrioni realizzati a posteriori rispetto alle mura che cingevano
l'insediamento, al fine di proteggere la porta d'ingresso delle mura stesse.
Secondo il ricercatore la stele fu voluta da privati cittadini o, tutt'al più,
da un gruppo o consorteria di lavoratori, non molto avvezzi alle lettere, come
dimostrerebbe lo stile disordinato dei caratteri e le giustapposizioni, che
intesero, con quella privata iscrizione, manifestare tutta la propria gratitudine
al principe che aveva intrapreso, a spese dello stato, attività di bonifica del
territorio.
Se
si divide l'epigrafe, che nella stele è un continuum di
vocaboli che vanno da destra verso sinistra, in lessemi, constateremo la
presenza di vocaboli, che hanno preciso riscontro nella lingua germanica o
gotica, perfettamente compatibili con il contesto storico, geologico e
geografico del luogo in cui l'epigrafe fu rinvenuta.
Esse
sono:
AKARA, TEUTO e
VARA.
Avremo
pertanto la seguente suddivisione, che si ispira, con alcune significative
varianti, alla lettura del professore Enrico Caltagirone:
JAM AKARA ME .
ASKA, AG.ES G..D TEUTO VEREGAIESO, EKAD VARA IEADAkara.
Il
primo vocabolo esaminabile senza alcuna difficoltà interpretativa è akara, attestato in antico alto tedesco (akara) e corrispondente al moderno
tedesco Acker col
significato di "campo agricolo".
Teuto
è
il principe sikano che Polieno (II secolo d.C.) nella sua opera Stratagemmi, afferma essere a capo di un
popolo insediato in un territorio o città chiamato Innessa. Ora si dà il caso
che, in lingua germanica, anche il nome di questa città o territorio, derivante
da Inn ed Essen, rivesta un suo specifico significato,
traducibile letteralmente con l'espressione "il
cibo dentro" ovvero, più liberamente, come "terreno fertile". Si noti che la
fertilità del suolo siciliano e, più precisamente, etneo, è attestata anche
nell'Odissea, dove si afferma, a
proposito dei Ciclopi, che non aravano né seminavano poiché il terreno,
fertilissimo, produceva spontaneamente i suoi frutti. I Ciclopi, fratelli dei
Titani, in quanto tutti figli di Urano e Gea, erano ottimi fabbri e, secondo il
mito greco, avevano il compito di costruire i fulmini per Zeus. La loro fucina
era posta dentro il vulcano Etna. Quando, di tanto in tanto il vulcano si
destava con i suoi acuti boati, si pensava che fossero i Ciclopi a picchiare,
col loro martello, sull'incudine; da qui il soprannome di klopfer, battitori, picchiatori (dal
tedesco klopfen, battere,
picchiare) della terra, Ki: Ki-klopfer appunto.
In merito alla traduzione del lessema ki con
il termine "terra",
ci si avvale della lingua dei Sumeri, di cui in altra sede si è dimostrato
l'affinità etnica con i Sicani, nella quale appunto il lessema Ki significa terra; non a caso il dio
sumero Enki (en-ki) veniva
identificato con "il Signore della
terra". A differenza del termine akara, che definisce un campo agricolo, il
lessema ki identifica un
territorio in senso politico o geografico. Dunque i Ki-klopfer (Ciclopi) sarebbero gli
"scuotitori o battitori della terra" sicula.
Per ciò che concerne il nome Teuto, si osserva che esso è riconducibile al popolo germanico dei Teutoni ed è un nome tipico di principi e re: si pensi a Teuta, la regina degli illiri, succeduta nel 204 a. C. al marito, o a Teutomato, re dei Nitiobrogi, un popolo gallo che si scontrò con Cesare. In sanscrito il nome comune teuto corrisponde a "popolo", come il termine tuatha nella lingua degli Irlandesi (popolo col quale avevamo, in altra sede, vantato affinità etniche ancestrali, come sembrerebbe attestare tra l'altro la corrispondenza tra il nome della figlia del re irlandese Balor, Eithne e il nome della figlia del sikano Teuto, Etna, Eithne in greco); il Tuatha de danann è infatti la saga del popolo dei Dani. Poiché il nome proprio Teuto caratterizzava uomini e donne di stirpe regale e poiché il nome comune teuto/tuatha significava "popolo", ne potrebbe derivare che Teuto significasse in origine "padre della patria" o, più specificatamente, del popolo teutonico.
Per ciò che concerne il nome Teuto, si osserva che esso è riconducibile al popolo germanico dei Teutoni ed è un nome tipico di principi e re: si pensi a Teuta, la regina degli illiri, succeduta nel 204 a. C. al marito, o a Teutomato, re dei Nitiobrogi, un popolo gallo che si scontrò con Cesare. In sanscrito il nome comune teuto corrisponde a "popolo", come il termine tuatha nella lingua degli Irlandesi (popolo col quale avevamo, in altra sede, vantato affinità etniche ancestrali, come sembrerebbe attestare tra l'altro la corrispondenza tra il nome della figlia del re irlandese Balor, Eithne e il nome della figlia del sikano Teuto, Etna, Eithne in greco); il Tuatha de danann è infatti la saga del popolo dei Dani. Poiché il nome proprio Teuto caratterizzava uomini e donne di stirpe regale e poiché il nome comune teuto/tuatha significava "popolo", ne potrebbe derivare che Teuto significasse in origine "padre della patria" o, più specificatamente, del popolo teutonico.
Vara.
Anche questo vocabolo rientra a pieno titolo nel vocabolario germanico e, senza tema di errare, può essere tradotto con il vocabolo "fiume" o con l'espressione "acque navigabili". Nel moderno tedesco il lessema vara, modificatosi nel vocabolo wasser, perso l'originario significato, indica l'acqua, sotto qualsiasi forma. Il lessema vara era molto probabilmente presente nel linguaggio marinaresco nordico; lo confermerebbe l'attributo di Vareghi dato ai Vichinghi svedesi, composto dai lessemi vara e gehen, col significato di "andare sull'acqua" . Si aggiunga che Varusana era, a detta dello storico Erodoto, l'antico nome del fiume Dnepr, così chiamato dagli Sciiti, gli attuali Ucraini, che gli Unni, semplificando, chiamavano solo Var. L'antico nome del fiume è composto da Vara (fiume, via fluviale), Hus (casa) e Ana (antenato); indica pertanto "la via che conduce alla casa dei padri". Kiev, la capitale dell'Ucraina bagnata da questo fiume, era un'importantissima tappa vichinga, toccata dai famosi navigatori nordici durante i lunghi viaggi verso il ricco Oriente. Non può passare inosservato inoltre che il nome della capitale ucraina riconduce al significato di chiglia: Kiev appare infatti come una corruzione del vocabolo tedesco Kiel, che significa appunto "chiglia" , termine riconducibile ad un'economia basata sull'utilizzo delle vie fluviali. Kiel è anche il nome di una città tedesca vicino Hamburgo, il cui porto si apre sul mar Baltico, nella quale si tiene ancora oggi un'importante regata. Si tenga ancora conto che Vara è il nome di un fiume italiano, lungo il quale sorgono i villaggi di Cirella sul Vara, Borghetto di Vara. Non è escluso pertanto che il vocabolo Vara contenuto nell'epigrafe del Mendolito (scolpita in una stele inserita nel torrione eretto a protezione della porta d'accesso) indicasse, nella lingua dei Sicani di re Teuto, il fiume oggi chiamato Simeto, che scorre appunto nei pressi della cittadella.
Si comprende come, alla base della nostra ipotesi interpretativa, debba essere posta la tesi dell'origine nordica della lingua sicana, dettagliatamente provata in altre nostre pubblicazioni, sostenuta dalla riconducibilità dell'ampio patrimonio semantico, etimologico, mitologico e filologico del territorio alla lingua ed alla cultura nord europee. Si pensi all'omonimia tra il dio sicano Adrano e il fiume germanico Adrana, citato da Tacito nel suo racconto delle imprese di Germanico, figlio adottivo di Tiberio, nella terra dei Germani; si pensi all'attributo Odhr o "furioso", che designa il dio sicano (Odhr-ano o Adrano, cioè "l'Avo furioso"), che caratterizzava, secondo Dumezil e Adamo da Brera, pure il dio germanico Odhino; si pensi ancora al nome Etna o Eithna, con cui venivano designati in Sicilia il famoso vulcano, la figlia di Teuto e qualche divinità femminile assimilabile alla greca Atena e in Irlanda la figlia del re irlandese Balor. Con l'Irlanda inoltre i Sicani condividono il simbolismo della spirale, che si ritrova scolpita in territorio adranita su capitelli di colonna e in Irlanda su pietre che formano tumuli funebri (o astrologici) del neolitico.
Anche questo vocabolo rientra a pieno titolo nel vocabolario germanico e, senza tema di errare, può essere tradotto con il vocabolo "fiume" o con l'espressione "acque navigabili". Nel moderno tedesco il lessema vara, modificatosi nel vocabolo wasser, perso l'originario significato, indica l'acqua, sotto qualsiasi forma. Il lessema vara era molto probabilmente presente nel linguaggio marinaresco nordico; lo confermerebbe l'attributo di Vareghi dato ai Vichinghi svedesi, composto dai lessemi vara e gehen, col significato di "andare sull'acqua" . Si aggiunga che Varusana era, a detta dello storico Erodoto, l'antico nome del fiume Dnepr, così chiamato dagli Sciiti, gli attuali Ucraini, che gli Unni, semplificando, chiamavano solo Var. L'antico nome del fiume è composto da Vara (fiume, via fluviale), Hus (casa) e Ana (antenato); indica pertanto "la via che conduce alla casa dei padri". Kiev, la capitale dell'Ucraina bagnata da questo fiume, era un'importantissima tappa vichinga, toccata dai famosi navigatori nordici durante i lunghi viaggi verso il ricco Oriente. Non può passare inosservato inoltre che il nome della capitale ucraina riconduce al significato di chiglia: Kiev appare infatti come una corruzione del vocabolo tedesco Kiel, che significa appunto "chiglia" , termine riconducibile ad un'economia basata sull'utilizzo delle vie fluviali. Kiel è anche il nome di una città tedesca vicino Hamburgo, il cui porto si apre sul mar Baltico, nella quale si tiene ancora oggi un'importante regata. Si tenga ancora conto che Vara è il nome di un fiume italiano, lungo il quale sorgono i villaggi di Cirella sul Vara, Borghetto di Vara. Non è escluso pertanto che il vocabolo Vara contenuto nell'epigrafe del Mendolito (scolpita in una stele inserita nel torrione eretto a protezione della porta d'accesso) indicasse, nella lingua dei Sicani di re Teuto, il fiume oggi chiamato Simeto, che scorre appunto nei pressi della cittadella.
Si comprende come, alla base della nostra ipotesi interpretativa, debba essere posta la tesi dell'origine nordica della lingua sicana, dettagliatamente provata in altre nostre pubblicazioni, sostenuta dalla riconducibilità dell'ampio patrimonio semantico, etimologico, mitologico e filologico del territorio alla lingua ed alla cultura nord europee. Si pensi all'omonimia tra il dio sicano Adrano e il fiume germanico Adrana, citato da Tacito nel suo racconto delle imprese di Germanico, figlio adottivo di Tiberio, nella terra dei Germani; si pensi all'attributo Odhr o "furioso", che designa il dio sicano (Odhr-ano o Adrano, cioè "l'Avo furioso"), che caratterizzava, secondo Dumezil e Adamo da Brera, pure il dio germanico Odhino; si pensi ancora al nome Etna o Eithna, con cui venivano designati in Sicilia il famoso vulcano, la figlia di Teuto e qualche divinità femminile assimilabile alla greca Atena e in Irlanda la figlia del re irlandese Balor. Con l'Irlanda inoltre i Sicani condividono il simbolismo della spirale, che si ritrova scolpita in territorio adranita su capitelli di colonna e in Irlanda su pietre che formano tumuli funebri (o astrologici) del neolitico.
Veregaieso.
Riteniamo
che il termine fosse riferito a Teuto, definito nella stele come "colui che porta la lancia" o,
semplificando, "il consacrato",
"il capo supremo" . Si tratta di un nome composto,
tipico della lingua germanica, la cui struttura ricorda il nome proprio del
famoso principe gallo, Vercingetorige. Nei due termini, Veregaieso e
Vercingetorige, si nota la presenza del lessema Ve, seguito rispettivamente dai
vocaboli gaes e ger. Ve, come
abbiamo avuto modo di provare abbondantemente nelle nostre pubblicazioni, non è
solo il nome di uno dei due fratelli del dio scandinavo Odino, ma è un nome
astratto con il quale, in lingua germanica, si faceva riferimento ad un
concetto di sacralità; gaes e ger sono entrambi vocaboli che indicano
la "lancia" (gär in
inglese, geirr in
norreno, gaisu in
gotico, gaesum in
latino, gae in irlandese
antico), simbolo, in tutto il mondo indoeuropeo, del comando e "di
imperio", per dirla con Plutarco, il quale narra che, quando venne chiesto
allo spartano Agesilao quali fossero i confini della Laconia, egli rispondesse,
vibrando la lancia, "fin dove arriva
questa". Lo stesso dio sicano Adrano era raffigurato, come lo
descrive ancora Plutarco nella Vita di
Timoleonte, nell'atto di brandire una lancia. Per questi motivi
riteniamo che Veregaieso,
riferito a Teuto, significhi "colui che porta la lancia",
"l'imperatore".
Aska.
Il vocabolo sicano Aska è molto affine al tedesco Asch, cenere. Lo stesso significato di cenere
o forno è contenuto nel vocabolo ittita Hasas e
in quello sanscrito asa. Ora
si tenga conto che il territorio del Mendolito, ove era collocata l'epigrafe, è
di origine lavica ed ancora oggi - nonostante le bonifiche effettuate nel tempo
dai nostri coloni, i quali, con duro e tenace lavoro manuale, vi hanno
piantato, nel secolo scorso, splendidi agrumeti - è evidente la sua origine
morfologica di "grattugia" lavica, molto più evidente oltre duemila e
cinquecento anni fa quando, per questo territorio arido, incenerito dalle lave
vulcaniche, simile ad una fornace spenta, ma allietato dalle vicine e copiose
acque dell'attuale fiume Simeto (Vara),
era estremamente appropriato l'aggettivo Aska.
Che Aska riconduca al
concetto di un territorio arido, lo si deduce ancora da Esiodo, nato nella
greca Ascra, da lui definita terra triste, calda d'estate e fredda d'inverno.
Ed ancora, terre inadatte alla coltivazione sarebbero state la scandinava
Askania e la filistea Ascalona. Lo stesso Strabone definisce
"cinereo" il suolo lavico che sovrasta la città di Etna (Adrano):
"Vicino Centuripe c'è la città di Etna,
menzionata poco sopra; essa dà accoglienza a quelli che salgono sul monte
(Etna) e fornisce ad essi la guida: è là infatti che inizia la zona della
vetta. Le terre intorno sono nella parte alta nude e cineree,
coperte di neve d'inverno; in basso sono occupate da foreste e piantagioni di
ogni specie".
A questo punto della nostra disquisizione, posti alcuni significativi
punti fermi, potremmo già avventurarci nel tentativo di fornire una grossolana
traduzione della nostra epigrafe, lasciando il difficile compito di
perfezionarla, attraverso la ricerca di una struttura linguistica e di
ricorrenze grammaticali, ai linguisti e ai filologi e invitando gli
appassionati e gli studiosi adraniti a cimentarsi in tale interpretazione,
nella convinzione che, riportando in vita la lingua dei nostri Avi, si darebbe
fiato vitale anche alla weltanshauung (Concezione del mondo, della vita, e
della posizione in esso occupata dall'uomo) che informò
la nostra isola nel suo periodo più splendido e spiritualmente creativo.
· JAM questo
· AKARA terreno, campo agricolo
- ME mio, me
- ASKA arido, cinereo
- AG..ES il lessema ha una lacuna. Se il vocabolo mancante fosse una R, il termine agres potrebbe essere assimilabile al germanico Hugr, termine col quale si indicava un altare, un tumulo, un ricettacolo di forze metafisiche; tale interpretazione sarebbe coerente con le singolari caratteristiche del territorio del Mendolito, in cui, non a caso, si può ancora ammirare "la valle delle Muse", dove insiste l'Ara degli dèi Palici, figli del dio Adrano. Il termine germanico Hugr sembrerebbe caratterizzare anche i termini latini Augusto e Augure, i quali infatti incrociano il campo semantico della sacralità.
- TEUTO nome di persona, dal quale probabilmente deriva il latino Tito, che in origine dovette avere il significato di "padre del popolo o padre della patria".
- VEREGAIESO probabile titolo onorifico conferito a Teuto, primus inter pares, visto che ai Sicani era invisa ogni forma di dispotismo, traducibile, per le ragioni sopra esposte con le seguenti espressioni: "colui che porta la lancia" o, semplificando, "il consacrato", "il capo supremo".
- EKAD (?)
- VARA fiume, acque navigabili.
- IEAD condurre, portare (?).
La
probabile traduzione è pertanto la seguente:
SU QUESTO MIO
ARIDO TERRENO, TEUTO, PRINCIPE CONSACRATO,
CONDUSSE L'ACQUA.
L'epigrafe
sarebbe dunque un simbolo di manifesta gratitudine, realizzata per ordine di un
facoltoso privato cittadino che, forse assieme ad altri possessori di terreno a
lui limitrofi, beneficiò dell'opera di bonifica voluta dal principe.
Nella
certezza che l'utilizzo del protogermanico quale lingua di riferimento per l'interpretazione
della lingua sicana costituisca la corretta chiave interpretativa, ci
cimenteremo nella traduzione di altre epigrafi funebri sicane, arrivate a noi
alquanto lacunose e tuttavia degne di attenzione per l'alto valore spirituale
da esse veicolato, al fine di sollecitare studiosi ed appassionati ad
intraprendere uno studio sistematico della lingua dei nostri avi.
CIPPO
“SANFILIPPO” rinvenuto nel Mendolito (Adrano)
Dal
punto di vista epigrafico famoso è il "Cippo Sanfilippo", della cui
lettura ed interpretazione si occupò il prof. Manganaro dell'Università di
Catania.
Il Prof. Giacomo
Manganaro
Importante storico dell’antichità, archeologo ed epigrafista.
Importante storico dell’antichità, archeologo ed epigrafista.
Il
“cippo” si trovava nella proprietà Sanfilippo, da cui il nome, dove esisteva
allora una villa che portava il nome del proprietario del fondo.
Il
famoso, importante e imponente cippo era stato segnalato da Petronio Russo ed
era rimasto incustodito nella campagna. Fu recuperato solo negli anni ’60 e
studiato dal prof. G. Manganaro in ((in ArchCl XIII, 1961, pp. 106-112).
Un parallelepipedo in pietra lavica che fu in realtà scoperto nel 1883. Fu considerato dagli archeologi come un cippo terminale e datato intorno al VI secolo a.C.
Nella prima indagine del reperto si rilevò la presenza, su una delle quattro facce, di un’iscrizione la cui lettura risultò molto difficile a causa dello stato di conservazione della pietra.
Un parallelepipedo in pietra lavica che fu in realtà scoperto nel 1883. Fu considerato dagli archeologi come un cippo terminale e datato intorno al VI secolo a.C.
Nella prima indagine del reperto si rilevò la presenza, su una delle quattro facce, di un’iscrizione la cui lettura risultò molto difficile a causa dello stato di conservazione della pietra.
Mendolito – Cippo Sanfilippo
–
Orsi – Pelagatti, 1967 -1968
Orsi – Pelagatti, 1967 -1968
Fu
recuperato da Paolo Orsi nella villa “Sanfilippo”
Rozzo cippo in
lava, con zoccolo inferiore per innestarlo in terra e cavo circolare sopra
per fissarvi una
statua, cippo od altro. Su una delle tre facce tracce di rozzissima iscrizione..
Il cavo superiore è recente e tutte le
facce, a differenza di quanto affermò l’Orsi, compresa quella superiore erano iscritte.
Forse era un cippo terminale e quindi si può escludere la sua funzione
funeraria. Un blocco di pietra lavica simile si trova nell’antiquario di
Taormina, con iscrizione anche in questo caso incomprensibile, salvo forse una Reia.
Si
tratta di un cippo parallelepipedo di trachite. Presenta un’altezza totale di
84 cm e si presenta squadrato solo nella parte superiore, per un’altezza di
circa 40 cm mentre la parte inferiore, da infiggere nel terreno, è lasciata
rozza.
Sulla
base superiore si trova un foro circolare, diametro di 32 cm e profondo 6 cm.
L’iscrizione
corre, con andamento bustrofedico, sinistrorso per la prima riga, sulle quattro
facce squadrate
del
parallelepipedo. L’altezza media delle lettere, incise con tratto largo e abbastanza
irregolare, è di 7 cm. Anche la base superiore presenta qualche traccia di
scrittura, intorno all’incavo.
La
superficie fortemente corrosa e profondamente scheggiata ne rende molto
difficile la lettura.
Sulla
base della grafia il documento può datarsi alla prima metà del V secolo a.C.
Una
prima menzione del cippo è reperibile nella
Illustrazione
storico-archeologica di Adernò,
di Salvatore
Petronio Russo;
l’edizione
vera e propria si deve a Manganaro, in un articolo su “Archeologia
Classica”.
Stando
a quanto affermato da Petronio Russo, il cippo fu scoperto nel 1883 da
un tale Giovanni Mazzaglia nei pressi del giardino della villa del dr.
Vincenzo Sanfilippo. Se ne deduce che il cippo proveniva dal centro noto
come “città del Mendolito”. La villa Sanfilippo era situata, appunto, in
tale località, e precisamente, come rileva Paola Pelagatti, nell’area
dove oggi sappiamo si trovava la porta urbica.
A
quanto pare, il cippo fu conservato nella villa dei Sanfilippo.
dopo la scoperta
“noi tosto avemmo la premura di interessare il
Dr. Vincenzo
Sanfilippo per tenerlo in custodia nel prossimo suo giardino”.
Ma
discorda un appunto dei taccuini di Paolo Orsi. In base a questi appunti,
ancora nel 1898 il cippo sarebbe stato “in possesso dello scopritore”, che
d’altronde viene indicato con il nome di Orazio Cavallaro, e non di Giovanni
Mazzaglia.
Ma
deve trattarsi di un errore: come dimostra il fatto che il cippo arrivò al
Museo Archeologico di Adrano, nel 1960, come dono della famiglia Sanfilippo.
Non
è affatto escluso che l’incavo della faccia superiore sia stato eseguito in età
moderna, per permettere un reimpiego del cippo: che stando a Petronio Russo, fu
utilizzato dai Sanfilippo “come base di un torso di colonna” venuta alla luce
nel loro terreno. Ma questo non trova conferma in quanto si legge nei taccuini
di Orsi, che si limita a rilevare l’esistenza del “cavo circolare di sopra per
fissarvi una statua, cippo o altro”.
Le disperate condizioni di conservazione
dell’iscrizione sul cippo impediscono di affermare granché sul suo contenuto.
Per quanto si può vedere, a parte la forma circolare, e non quadrangolare, di omicron,
l’alfabeto è largamente compatibile con quello definito “del Mendolito”.
Le
porzioni dell’iscrizione che si leggono con una certa sicurezza sono quelle
della faccia A e C.
Per
il resto, le condizioni della superficie iscritta sono cattive. Infatti
separare le tracce delle lettere dalle abrasioni è una operazione molto
insicura. Questo determina dei risultati, nella interpretazione delle lettere,
non esatti anche in dipendenza delle condizioni di luce.
Ai
tempi di Petronio Russo e dell’Orsi il cippo si trovava in queste condizioni,
infatti lo stesso Orsi scrisse nei suoi appunti:
Su una delle facce
tracce di rozzissima iscrizione,; il Petronio pretende averne viste
anche nelle atre
tre… Per è certo illeggibile la iscrizione da un lato ( sicilit – faccia C?),
dubbia e negativa
negli altri.
Il
cippo per molto tempo rimase esposto alle intemperie e nel 1971 si trovava
all’aperto in una delle torre dell’edificio del vecchio Museo di Adrano.
La
disposizione del testo è comunque evidente, quattro sequenze bustrofediche su
ognuna delle quattro facce, mentre non è chiaro se quella che si trovava, e si
rileva in minima parte, sulla base superiore, corresse intorno all’incavo,
oppure se l’incavo è successivo al testo e quindi ha eleminato una parte
dell’iscrizione originaria
Si tratta di un’iscrizione in lingua locale,
vista la provenienza e il tipo di alfabeto. In base a questa considerazione, la
non leggibilità dell’epigrafe è una grave perdita culturale. L’iscrizione
probabilmente era di carattere pubblico e informava sulla realtà
socio-istituzionale del centro del Mendolito (così come l’iscrizione della
porta urbica). Le numerose riprese fotografiche digitali del pezzo, eseguite in
maniera esemplare da Giuseppe Barbagiovanni nel corso della campagna
fotografica effettuata il 22 giugno 2004, sono da ritenere una buona base per
elaborazioni informatiche: elaborazioni che però, almeno per ora, non hanno
portato a risultati esaltanti.
Cippo
Sanfilippo – Scheda
Rinvenimento: Mendolito (Adrano) – Area della porta urbica.
Materiale: Trachite
Condizioni del reperto: superficie fortemente corrosa e profondamente scheggiata.
Dimensioni: altezza totale, 84 cm - squadrato solo nella parte superiore per un’altezza di 40 cm circa. – La por zione lavorata misura alla base ( 50 x 57) cm, alla sommità (48 x 54) cm - Sulla base superiore, un incavo circolare, del diametro di 32 cm
Datazione: prima metà del V secolo a.C.
Numero Inventario: 12188.
Rinvenimento: Mendolito (Adrano) – Area della porta urbica.
Materiale: Trachite
Condizioni del reperto: superficie fortemente corrosa e profondamente scheggiata.
Dimensioni: altezza totale, 84 cm - squadrato solo nella parte superiore per un’altezza di 40 cm circa. – La por zione lavorata misura alla base ( 50 x 57) cm, alla sommità (48 x 54) cm - Sulla base superiore, un incavo circolare, del diametro di 32 cm
Datazione: prima metà del V secolo a.C.
Numero Inventario: 12188.
…………………….
L’iscrizione
graffita su un vaso, una oinochoe, di
Contrada Poira.
Oinochoe
Rinvenimento: Paternò, contrada Poira. Il reperto fu rinvenuto in una tomba a grotticella artificiale.
Materiale: argilla bruna di fabbricazione locale.
Dimensioni: altezza, 15 cm – diametro piede, 5 cm.
Datazione: nella tomba a grotticella fu rinvenuta anche una coppa attica a figure nere databile al 530 – 520 a.C.. L’Oinochoe dovrebbe quindi essere collocata in un periodo compreso tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.
Numero Inventario: 63523
Oinochoe
Rinvenimento: Paternò, contrada Poira. Il reperto fu rinvenuto in una tomba a grotticella artificiale.
Materiale: argilla bruna di fabbricazione locale.
Dimensioni: altezza, 15 cm – diametro piede, 5 cm.
Datazione: nella tomba a grotticella fu rinvenuta anche una coppa attica a figure nere databile al 530 – 520 a.C.. L’Oinochoe dovrebbe quindi essere collocata in un periodo compreso tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.
Numero Inventario: 63523
Paternò (Catania) –
Vincolo archeologico
Area Archeologica di Poggio Cocala
Provvedimento n. 7540 del 09-11- 1999
Area Archeologica di Poggio Cocala
Provvedimento n. 7540 del 09-11- 1999
Sulla parte inferiore del corpo del vaso è presente un sequenza alfabetica destrorsa, incisa dopo la cottura e con tratto sottile.
La
contrada Poira si trova nell’area collinare che dal Fiume dei Margi va
alla valle del Simeto. Nell’area sono
visibili i resti di una città. Si propose, non senza problemi, di identificarla
con Inessa
("Inhssa), la città in cui, come si ricorderà, si
rifugiarono gli abitanti greci di Aitna, quando questa cadde sotto il dominio
di Ducezio. L’abitato di Poira non fu mai oggetto di uno scavo sistematico.
Uno scavo episodico, eseguito negli anni ’60 del secolo scorso dalla Soprintendenza di Siracusa, portò alla luce una tomba, del cui materiale di corredo faceva parte una oinochoe a bocca trilobata.
La oinochoe recava sulla parete, spostata verso la base, una iscrizione graffita dopo la cottura.
Uno scavo episodico, eseguito negli anni ’60 del secolo scorso dalla Soprintendenza di Siracusa, portò alla luce una tomba, del cui materiale di corredo faceva parte una oinochoe a bocca trilobata.
La oinochoe recava sulla parete, spostata verso la base, una iscrizione graffita dopo la cottura.
Oinochoe a bocca trilobata,
da Poira (particolare)
himii
Secondo
Massimo Cultraro il reperto risaliva agli ultimi decenni del VI secolo a.C.
L’iscrizione…
Tutti
i reperti sono di grande interesse storico perché metterebbero in evidenza le
condizioni epigrafico-linguistiche locali in epoca arcaica.
In
particolare le condizioni linguistiche della città del Mendolito e della
cittadella di Poira.
Il
corpus epigrafico sembrerebbe testimoniare la tipicità in queste due zone di
tracciare iscrizioni a crudo sui manufatti.
Ci
troviamo in presenza di un “alfabeto del Mendolito”?
In
merito al reperto di Poira, l’iscrizione esprimeva , sempre secondo gli
studiosi, l’appartenenza dell’oggetto ad un personaggio.
L’importanza
del graffito di Poira è sul piano
squisitamente linguistico.
Graffiti con queste
caratteristiche hanno molto spesso lo scopo di esprimere l’appartenenza
dell’oggetto su cui si trovano ad un certo personaggio: e contengono infatti
nomi di persona o di divinità (al nominativo, o flessi al genitivo o al
dativo). Il contesto funerario (e non votivo) del graffito di Poira punta per
un nome di persona, del defunto o di un donatore/donatario dell’oggetto.
Il
prof. Cultraro mise in evidenza la possibilità che si trattasse di un nome al
genitivo (il caso normalmente impiegato per codificare il possesso), marcato
dalla -i finale, come in latino.
Questa
ipotesi evidenziava due difficoltà. La prima era legata al rilevamento che
nelle iscrizioni dell’area storicamente “sicula” si rimandava a caratteri delle lingue italiche ma,
allo stato attuale delle conoscenze, non sono più sostenibili, come invece si è
fatto in passato, rapporti privilegiati con il latino: e il genitivo in -i,
all’interno del mondo italico, è solo del latino.
La
seconda difficoltà consisteva nel fatto che, al tempo della pubblicazione, non
c’erano altri esempi, in iscrizioni dell’area storicamente sicula, di testi anellenici
che impiegassero il genitivo in -i.
Il
centro indigeno grecizzato di Morgantina ha restituito una serie relativamente
cospicua di iscrizioni graffite di età arcaica. In un caso almeno, quello del
graffito su una coppa, che suona pibe, cioè (per evidenza, e al di là di
ogni ragionevole dubbio) “bevi!”, si è di fronte ad un testo in lingua locale,
che imita le esortazioni a bere tipiche delle iscrizioni greche di ambito
simposiaco. Questo rende probabile, anzi, metodologicamente preferibile, che la
stessa lingua locale si debba riconoscere in quelle iscrizioni arcaiche di
Morgantina che non si presentano come greche. E tra queste ve ne sono due che
mostrano le stesse caratteristiche del graffito di Poira: presumibile
nome
proprio, con uscita in -i. Dunque, un genitivo in -i di tipo
latino parrebbe documentato, e in misura comparativamente non trascurabile (tre
attestazioni) nella zona. Come questo si possa conciliare con il carattere
italico “antilatino” delle iscrizioni locali, a cominciare da quelle del
Mendolito, è problema che ancora deve essere risolto.
Anfora a
decorazione geometrica da Poira (Paternò - Catania)
Tomba n. 1 (VI – V secolo a.C.)
Tomba n. 1 (VI – V secolo a.C.)
……………………………………….
Le
altre iscrizioni tra cui la Pietra Basaltica incisa che fu rinvenuta vicino
alla Grotta Pellegriti, dov’era ubicata un’importante sepoltura.
Le
iscrizioni nelle lastre per uso funerario (Contrada Ardichella) e per uso
civile negli edifici (sito del Mendolito).
Le altre iscrizioni, tre reperti, conservate nel Museo di Adrano, sarebbero da attribuirsi ad una lingua anellenica:
- una graffita sulla parete di un vaso.
A fronte di queste tre iscrizioni, ci sarebbe in sospeso il giudizio su un quarto reperto.
Si tratta di una pietra basaltica che porta due segni: una sorta di freccia orizzontale che punta a destra e, alla destra di questa, un segno complesso, evidente legatura di kappa e alpha. (La pietra che fu rinvenuta vicino alla grotta Pellegriti dov’era ubicata un’importante sepoltura).
Pietra basaltica
con segni incisi
Il
prof. Manganaro affermò che proveniva dall’area della città greca per poi
successivamente affermare come proveniente dal Mendolito. Particolare era la
tecnica di esecuzione. Il tracciato non
era ottenuto secondo la normale procedura d’incisione ma ricorrendo ad una
sorta di ripetuta e superficiale
“graffitura”. La lettura del testo “aka”
era problematica e il prof. Manganarono la attribuì al siculo.Probabilmente
si trattava di un numero e di una sigla alfabetica presenti nelle iscrizioni
greche dette “commerciali”? Sarebbe
quindi un reperto greco?
Le
due iscrizioni su lastre di terracotta provenivano dalla località denominata
Ardichella,
situata in posizione limitrofa, a Nord, all’area urbana nota come “città del
Mendolito”. La
prima era costituita da due frammenti combacianti, rinvenuti casualmente in
occasione di lavori di trasformazione agricola.
Lastra di
terracotta, dall’ArdichellaIl
prof. Massimo Cultraro, in base al contesto del rinvenimento, datò il reperto
al secondo quarto del V secolo a.C.
L’incisione
era a crudo con tratto molto deciso e regolare. Era costituita da una sequenza alfabetica
destrorsa, con lettere alte 7 cm., integra a sinistra….
hol [– – –]La
seconda iscrizione su lastra di terracotta
si trovava, anch’essa, su due frammenti combacianti.
Lastra di
terracotta, dall’Ardichella
Era
costituita da una sequenza destrorsa, incisa a crudo, di 4 lettere, alte
mediamente 7 cm., di cui solo le prime tre identificabili: ]bab-[.
Una
datazione tra fine VI e V secolo a. C. sia per i caratteri
paleografici che per la località di provenienza.L’importanza delle due iscrizioni, su lastre d terracotta dell’Ardichella, è legata a vari motivi:- sono tipologicamente simili con due famose lastre iscritte che sono esposte nel Museo Archeologico di Siracusa;- provengono dall’area della città del Mendolito;- sono piccoli “corpus” epigrafici che testimoniano, come tipico del sito del Mendolito, la consuetudine di tracciare iscrizioni a crudo su delle lastre.Si
trattava di tegole a copertura di tombe alla “cappuccina”?
Secondo
il prof. Cultraro non erano impiegate nelle sepolture e quindi per usi funerari
ma erano destinate alla copertura di edifici/strutture del centro abitato.
Questo
tipo di iscrizioni non sono da paragonare, per tecnica e funzione, con i bolli
delle tegole di Paternò.
Tegole
on bolli, provenienti da Paternò, sono presenti nel Museo Archeologico di
Adrano.
Il
termine “hol […], presente in uno dei frammenti, s’inserisce nella
tradizione alfabetica locale, “alfabeto del Mendolito”. Una tradizione
alfabetica caratterizzata dalla forma quadrangolare di “omicron” e dal rovesciamento,
rispetto alla matrice calcidese dell’alfabeto, di “lambada” e “ypsilon”.
L’altro
frammento presenta poche lettere, solo due, con “bab……”..
L’alpha
è tipologicamente affine, anche se non identica, a quella canonica
dell’alfabeto del Mendolito.
Queste
due lastre dell’Ardichella presentano una similitudine tipologica con le
iscrizioni, provenienti sempre da Adrano, esposte nel Museo Archeologico di
Siracusa che sono definite anelleniche. Questa similitudine ne suggerisce
l’autenticità legata alle caratteristiche dell’alfabeto del Mendolito.
Altre
considerazioni sui rinvenimenti di lastre fittili.
I
rinvenimenti di lastre fittili, con brevi iscrizioni in lingua sicula erano
note sin dai primi anni del secolo scorso.
I
primi rinvenimenti furono effettuati da Paolo Orsi che li riportò nei suoi
quaderni sugli scavi.
A questi primi due frammenti si aggiunsero successivamente altri esemplari, sempre frammentari.Nel 1989-90 fu rinvenuta una tegola che era di pertinenza ad un contesto funerario.
Secondo gli ultimi dati sarebbero cinque le tegole (o lastre) presenti nel Museo di Adrano e due nel Museo Archeologico di Siracusa.
Malgrado l’impegno di archeologi e di storici resta ancora incerta l’attribuzione dei testi epigrafici del Mendolito alla lingua sicula, così come resta aperta la funzione di queste tegole o lastre che la ricerca storica interpreta, in massima parte, come copertura di tombe.
In ambito indigeno sono note molte iscrizioni anelleniche di destinazione funeraria ma si tratta sempre di stele o lastre litiche impiegate come “sema” (segno) della tomba o come nel caso di un’epigrafe di Licodia Eubea, del portello di una camera funeraria. Di chiara visibilità e dal forte impatto simbolico sono due iscrizioni che si trovano, in questo caso sul corridoio di accesso di una tomba a camera di Santa Febronia (ai margini meridionali della Piana di Catania), forse databili all’epoca arcaica.
Pietra basaltica
con segni incisi
Il
prof. Manganaro affermò che proveniva dall’area della città greca per poi
successivamente affermare come proveniente dal Mendolito. Particolare era la
tecnica di esecuzione. Il tracciato non
era ottenuto secondo la normale procedura d’incisione ma ricorrendo ad una
sorta di ripetuta e superficiale
“graffitura”. La lettura del testo “aka”
era problematica e il prof. Manganarono la attribuì al siculo.
Probabilmente
si trattava di un numero e di una sigla alfabetica presenti nelle iscrizioni
greche dette “commerciali”? Sarebbe
quindi un reperto greco?
Le
due iscrizioni su lastre di terracotta provenivano dalla località denominata
Ardichella,
situata in posizione limitrofa, a Nord, all’area urbana nota come “città del
Mendolito”.
Il
prof. Massimo Cultraro, in base al contesto del rinvenimento, datò il reperto
al secondo quarto del V secolo a.C.
L’incisione
era a crudo con tratto molto deciso e regolare. Era costituita da una sequenza alfabetica
destrorsa, con lettere alte 7 cm., integra a sinistra….
hol [– – –]La
seconda iscrizione su lastra di terracotta
si trovava, anch’essa, su due frammenti combacianti.
Lastra di
terracotta, dall’Ardichella
Era
costituita da una sequenza destrorsa, incisa a crudo, di 4 lettere, alte
mediamente 7 cm., di cui solo le prime tre identificabili:
Una
datazione tra fine VI e V secolo a. C. sia per i caratteri
paleografici che per la località di provenienza.
L’importanza delle due iscrizioni, su lastre d terracotta dell’Ardichella, è legata a vari motivi:
- sono tipologicamente simili con due famose lastre iscritte che sono esposte nel Museo Archeologico di Siracusa;
- provengono dall’area della città del Mendolito;
- sono piccoli “corpus” epigrafici che testimoniano, come tipico del sito del Mendolito, la consuetudine di tracciare iscrizioni a crudo su delle lastre.
Si
trattava di tegole a copertura di tombe alla “cappuccina”?
Secondo il prof. Cultraro non erano impiegate nelle sepolture e quindi per usi funerari ma erano destinate alla copertura di edifici/strutture del centro abitato.
Questo tipo di iscrizioni non sono da paragonare, per tecnica e funzione, con i bolli delle tegole di Paternò.
Tegole on bolli, provenienti da Paternò, sono presenti nel Museo Archeologico di Adrano.
Il termine “hol […], presente in uno dei frammenti, s’inserisce nella tradizione alfabetica locale, “alfabeto del Mendolito”. Una tradizione alfabetica caratterizzata dalla forma quadrangolare di “omicron” e dal rovesciamento, rispetto alla matrice calcidese dell’alfabeto, di “lambada” e “ypsilon”.
L’altro frammento presenta poche lettere, solo due, con “bab……”..
L’alpha
è tipologicamente affine, anche se non identica, a quella canonica
dell’alfabeto del Mendolito.
Queste due lastre dell’Ardichella presentano una similitudine tipologica con le iscrizioni, provenienti sempre da Adrano, esposte nel Museo Archeologico di Siracusa che sono definite anelleniche. Questa similitudine ne suggerisce l’autenticità legata alle caratteristiche dell’alfabeto del Mendolito.
Secondo il prof. Cultraro non erano impiegate nelle sepolture e quindi per usi funerari ma erano destinate alla copertura di edifici/strutture del centro abitato.
Questo tipo di iscrizioni non sono da paragonare, per tecnica e funzione, con i bolli delle tegole di Paternò.
Tegole on bolli, provenienti da Paternò, sono presenti nel Museo Archeologico di Adrano.
Il termine “hol […], presente in uno dei frammenti, s’inserisce nella tradizione alfabetica locale, “alfabeto del Mendolito”. Una tradizione alfabetica caratterizzata dalla forma quadrangolare di “omicron” e dal rovesciamento, rispetto alla matrice calcidese dell’alfabeto, di “lambada” e “ypsilon”.
L’altro frammento presenta poche lettere, solo due, con “bab……”..
Queste due lastre dell’Ardichella presentano una similitudine tipologica con le iscrizioni, provenienti sempre da Adrano, esposte nel Museo Archeologico di Siracusa che sono definite anelleniche. Questa similitudine ne suggerisce l’autenticità legata alle caratteristiche dell’alfabeto del Mendolito.
I rinvenimenti di lastre fittili, con brevi iscrizioni in lingua sicula erano note sin dai primi anni del secolo scorso.
I primi rinvenimenti furono effettuati da Paolo Orsi che li riportò nei suoi quaderni sugli scavi.
Santa Febronia
(Palagonia – Catania) – T.15. Pianta e sezione.
Laura Maniscalco 1993 - 94
Laura Maniscalco 1993 - 94
Santa Febronia
(Palagonia – Catania).
T.15 – Iscrizioni sulle pareti d’ingresso – Cordano 1998 – 99.
T.15 – Iscrizioni sulle pareti d’ingresso – Cordano 1998 – 99.
Ma
perché è importante sapere se le tegole o lastre siano di pertinenza all’ambito
funerario o se destinate, come affermò il prof. Cultraro, alla copertura di
edifici?
Sapere
la loro destinazione è importante sia dal punto di vista puramente archeologico
ma soprattutto sul piano epigrafico e linguistico.
La
pertinenza ad usi funerari permetterebbe di restringere l’indagine sulle
iscrizioni perché la formula onomastica bimembre sarebbe legata al nome del
destinatario della sepoltura.
Le
iscrizioni del Mendolito non hanno alcun riscontro nell’ambito delle iscrizioni
anelleniche di carattere funerario in Sicilia.
Le
due tegole conservate nel Museo di Siracusa,
le immagini sono su riportate,
furono inserite da Paolo Orsi
Nel contesto
archeologico locale…
I resti in
questione furono recuperati nella proprietà Sanfilippo, che si estende ai
margini del
settore meridionale della città antica, all’interno della cinta muraria.
L’Orsi
non fece alcuna citazione sulla loro funzione e neanche ad una probabile
destinazione d’uso funeraria.
Adrano – Mendolito
Planimetria generale dell’abitato d’età arcaica
1- Porta Sud con l’iscrizione;
2-
Fondo
Sanfilippo (area di provenienza delle tegole PID 576 – 577);
3-
Ripostiglio
di bronzi (Fondo Ciadamidaro);
4-
Acropoli;
5-
Necropoli
Meridionale di Sciare Manganelli;
6-
Località
Ardichella (area di provenienza delle tegole con iscrizione o bollo);
7-
Fondo
Neri (area di rinvenimento di un’iscrizione, oggi perduta).
Planimetria generale dell’abitato d’età arcaica
1- Porta Sud con l’iscrizione;
Negli anni ’60 il prof. G. Manganaro ipotizzò, per la prima volta, un uso funerario delle tegole.
Il rinvenimento delle tegole in Contrada Ardichella era, per il prof. Manganaro, una prova del loro uso funerario. La contrada era nota agli archeologi per il rinvenimento di corredi funerari.
Questo frammento di tegolone iscritto, rinvenuto in zona Ardichella
insieme con vasi funerari di tipo siculo,
esposti al Museo di Adrano, può confermare il carattere funerario
delle iscrizioni degli altri due tegoloni editi da P. Orsi».
Negli stessi anni la tesi del Manganaro fu accettata da M. Lejeune secondo il quale
anche per alcune tegole con bollo da Paterno,
che venivano interpretate come lastre di chiusura poste su sarcofagi.
La tesi dell’uso delle tegole nella sfera funeraria venne quindi accettata dagli storici. Un successivo reperto, frammento di una tegola con iscrizione rinvenuto sempre in contrada Ardichella, impiegato come elemento di copertura di una tomba a fossa, confermò ulteriormente la tesi.
La
correlazione tra le tegole con iscrizione e l’ambito funerario fu stabilita
solo sulla presunta analogia delle lastre fittili con quel tipo di copertura
impiegato nel sistema della tomba ‘alla cappuccina’.
L’archeologia
è:
-
conoscenza;
-
tutela,
consapevolezza del significato del patrimonio culturale di cui siamo custodi;
-
partecipazione…
siamo custodi di questo patrimonio culturale, ma non inerti, non passivi. Il
patrimonio culturale, compreso quello archeologico, ha un senso, e una
possibilità di futuro, solo se si riesce a preservarne il valore sociale.
La
conoscenza è ricerca, apprendimento che permette di ampliare e modificare
vecchie conoscenze o realtà storiche.
Il
famoso archeologo Andrea Carandini scrisse in un suo quaderno di scavi,,,
In fondo l’archeologo
[…] isola quel che si è salvato […] per riorganizzarlo, come se si trattasse di
reidratare un fiore essiccato.
Per
l’archeologo Roberto Sirigu..
L’indagine
archeologica, rilevando le tracce materiali sepolte…
è una risposta
della psiche umana all’angoscia della morte […] l’illusione
di poter
ripercorrere il tempo a ritroso per tornare a dare vita,
a “reidratare‟ il “fiore
essiccato‟ della realtà materiale.
..
ridare voce ad antiche sapienze umane e del loro agire…
Una
scoperta, avvenuta a Centuripe, sconvolse le tesi sull’uso funerario delle
tegole.
Era
la seconda iscrizione arcaica dopo
quella dell’askòs iscritto rinvenuto a Centuripe ed esposto purtroppo nel Museo
di Karlsruhe. Entrambe le iscrizioni in
lingua Sicula.
Una tegola rinvenuta a circa 3 km ad Ovest dell’abitato in corrispondenza della sella posta tra i colli “Ficarazza” e “Ffucamuli”, entrambi i siti frequentati sin dall’epoca preistorica.
Una tegola rinvenuta a circa 3 km ad Ovest dell’abitato in corrispondenza della sella posta tra i colli “Ficarazza” e “Ffucamuli”, entrambi i siti frequentati sin dall’epoca preistorica.
- preistorica, contraddistinta da frammenti vascolari risalenti al Bronzo Antico (2200 – 1400 a.C.);
- arcaica, due tombe a grotticella, con pianta rettangolare e volta piana, che purtroppo sono state saccheggiate da tombaroli mafiosi. Frammenti vascolari (uno di coppa ionica databile al 520 – 500 a.C.; altri dello stile di Licodia Eubea (Monte Casasia – Ragusa); un frammento di una gorgonia a rilevo e il laterizio della ricerca;
- ellenistica. La fase ellenistica è costituita da frammenti ceramici e resti di ossa umane che attestano l’insediamento di una necropoli con tombe terragne, purtroppo saccheggiate, che in base all’esame del materiale rimasto sul terreno, dovrebbe essere collocata al primo ellenismo. Una grande quantità di laterizi databili tra l’età ellenistica ed imperiale (tegole curve, mattoni quadrangolari e circolari), una mola circolare, uno di macina (tipo Olinto – macina rettangolare) e uno di “trapetum” ( l’elemento fisso del mortaio) documentano, nelle aree limitrofe, l’esistenza di un insediamento a carattere agricolo.
L’epigrafe
sulla tegola piana fu tracciata a crudo.
Il frammento iscritto era pertinente al lato inferiore destro, presenta il consueto incavo rettangolare sulla faccia posteriore, di una tegola piana a margini rilevati.
Il frammento iscritto era pertinente al lato inferiore destro, presenta il consueto incavo rettangolare sulla faccia posteriore, di una tegola piana a margini rilevati.
Bordo laterale di
una tegola piana a margini ispessiti,
con parete di incavo oblunga sulla faccia posteriore, in corrispondenza del marine.
Argilla rosso mattone a nucleo interno nerastro, con pietrisco nero nell’impasto.
Ingobbio giallastro.
Misure: (13,8 x 9,1) cm – spessore cm 2,5 e 4,3 (al margine).
con parete di incavo oblunga sulla faccia posteriore, in corrispondenza del marine.
Argilla rosso mattone a nucleo interno nerastro, con pietrisco nero nell’impasto.
Ingobbio giallastro.
Misure: (13,8 x 9,1) cm – spessore cm 2,5 e 4,3 (al margine).
La
scritta, con andamento sinistrorso, fu tracciata parallelamente al bordo
laterale rialzato, sulla faccia anteriore, nell’argilla ancora fresca e prima
che fosse steso l’ingobbio.
Nonostante
il cattivo stato di conservazione e la grafia poco accurata, è possibile
riconoscere un segno ricorrente nelle iscrizioni anelleniche della Sicilia
orientale e meridionale, ma finora non
attestato a a Centuripe….
“l’alpha” a
freccia e
forse anche il
digamma(In
base al sanscrito, l’alpha a freccia dovrebbe essere una “A” mentre il
diagramma una “C”).
La
lettura dell’epigrafe fu interpretata come....
…… einav[i?.....]
La
seconda lettera potrebbe corrispondere ad un’epsilon anche se non si ha la
traccia dell’asta mediana.
Un’altra
tegola fu rinvenuta nel territorio di Licodia Eubea ed una anche a Randazzo.
Sembra
che entrambe siano state adoperate per la copertura ti tombe alla “cappuccina”.
Mentre l’idioma delle tegole del Mendolito è anellenico, quella di Licodia
Eubea presenta un nome che è siculo
mentre quella vista da Paolo Orsi nel Museo Vagliasindi di Randazzo recava
un’iscrizione che fu ritenuta greca dallo Schmoll.
Paolo Orsi nel suo taccuino di scavi del Mendolito (1909 – 18) citò le
due lastre fittili oggi conservate nel Museo di Siracusa. Entrambe furono
rinvenute nel medesimo luogo all’interno della proprietà Sanfilippo.
Non si conosce l’esatta indicazione del rinvenimento ma alcuni punti sarebbero importanti:
1- furono rinvenute a ridosso del tratto meridionale del muro di fortificazione;
2- la loro provenienze dal sito dell’abitato arcaico;
3- facevano parte del medesimo contesto del quale però si ignora la destinazione;
4- la natura domestica dei reperti. Le indagini condotta dall’importante archeologa Paola Pelagatti e quelle successive del 1988 – 89, dimostrarono l’esistenza di diversi livelli architettonici da inquadrare tra il VII e gli inizi del V secolo a.C. e tutti riferibili a strutture domestiche. Dopo questa fase l’abitato fu abbandonato e non f trovata traccia di una possibile riutilizzazione dell’area a scopo funerario. Le uniche tombe erano quelle poste a circa un centinaio di metri a Sud della porta urbica che delineavano quella che fu chiamata come “necropoli meridionale”.
Una terza tegola con iscrizione fu rinvenuta a Nord della proprietà Sanfilippo ma andò perduta.
L’Orsi, nell’agrumeto dei fratelli Neri, trovò i resti di alcune strutture abitative e numerose frammenti di tegole fittili a listello. Una di queste presentava un inscrizione. Fu consegnata al Museo Simenziano di Adernò (Adrano) ma il reperto scomparve.
Alle fine degli anni ’50 furono trovate altre tegole, sempre frammentarie, con iscrizioni e consegnate al nuovo Museo di Adrano.
Provenivano
sempre dalla contrada Ardichella, posta a Nord-est del sito del Mendolito.
Il sito dell’Ardichella è un complesso autonomo che si differenzia dal Mendolito sia per la cronologia, per la natura dei reperti rinvenuti e per la topografia perché posta al di fuori del perimetro dell’antica città.
Il sito dell’Ardichella è un complesso autonomo che si differenzia dal Mendolito sia per la cronologia, per la natura dei reperti rinvenuti e per la topografia perché posta al di fuori del perimetro dell’antica città.
In
questa contrada, costeggiata dalla strada provinciale n. 22, sin dall’800
furono rinvenute delle tombe databili tra il I ed il III secolo a.C.
Sepolture
del tipo a fossa con copertura di tegole e forse in rapporto con un complesso
di abitazioni che fu citato da Petronio Russo agli inizi del XX secolo.
In
periodi recenti furono condotti, con grande passione, delle ricerche da parte
del gruppo archeologico locale e nella proprietà La Mela fu trovato uno scarico
di tegole con iscrizione impressa su
bollo che erano di pertinenza ad una struttura abitativa.
Successivamente, a circa 200 metri dallo
scarico di tegole, nella proprietà D’Agate, fu scoperta una tomba.
La
tomba era del tipo “alla cappuccina” e presentava una lastra con iscrizione. Fu
trovato anche il relativo corredo ceramico che fu datato 450 a.C.
In
una proprietà vicina (famiglia Fragalà) venne recuperata una lastra fittile
forse in un contesto funerario. La lastra presentava un iscrizione, incisa prima della cottura, con la scritta
BAB […]
Sempre
nello stesso luogo fu trovata anche una base con iscrizione. Si trattava di una
base di calcare e secondo l’epigrafe fu datata III – II secolo a.C.. Fu
recuperata nel 1898, al di fuori del sito del Mendolito, nella proprietà Reale,
sempre in contrada Ardichella. Nella contrada esisteva quini un abitato di
epoca tardo – classica.
Gli
archeologi confrontarono le tegole rinvenute nel Mendolito con quelle di
contrada Ardichella.
Le
differenze riguardavano il campo:
-
epigrafico;
le tegole sono del tipo piano con bordi laterali rialzati e presentano, nella
faccia interna, un incavo rettangolare entro cui è impresso a rilievo un bollo
composto di una o più lettere e, in qualche caso, di segni o motivi geometrici.
Si tratta di un importante elemento che differenzia morfologicamente questo
gruppo di tegole dai due esemplari della proprietà Sanfilippo al Mendolito, che
invece presentano le iscrizioni incise prima della cottura sulla faccia esterna
-
cronologico;
Il gruppo di tegole da contrada Ardichella trova un prezioso parallelo nelle
iscrizioni su bollo dall’abitato indigeno di Civita, presso Paternò, sempre in
area etnea, che gli editori collocano nell’ambito del V secolo a.C.
-
d’uso.
In entrambi i casi, le tegole con bollo risultavano pertinenti alla copertura
di edifici domestici e le iscrizioni impresse sull’incavo interno devono essere
interpretate come lettere per il montaggio delle lastre o segni di
identificazione della fabbrica del figulo, secondo una pratica riconducibile al
mondo greco coloniale.
(L’autore,
inoltre, menziona una tegola con bollo da Lentini, che potrebbe offrire un
ulteriore dato a favore dell’ipotesi che l’impiego di tegole con iscrizioni
impresse nell’incavo interno sia una pratica nata e diffusa nell’ambito delle
colonie calcidesi. Il tema dell’introduzione in Sicilia delle tegole con bollo
non è stato ancora sufficientemente indagato: i dati relativi all’entroterra
etneo confermano la datazione dei pezzi più antichi alla prima metà del V
secolo a.C., ma non andrebbe escluso che tale pratica possa essere ricondotta
al tardo-arcaismo. In ogni caso, si tratterebbe di un sistema di contrassegno riconducibile
al mondo greco e trasmesso in Sicilia attraverso l’esperienza delle colonie
corinzie, come sembrano confermare anche i dati più recenti relativi alla
Grecia centrale: R. C. S. Fe l s c h , Further stamped rooftiles from
Central Greece, Attica and the Peloponnese, in Hesperia LIX, 1990,
pp. 301-323).
L’iscrizione
della lastra fittile di proprietà Fragalà con l’iscrizione
BAB[…]
le
lettere risultano tracciate prima della cottura, sulla faccia esterna della
tegola alla stessa maniera delle due tegole del Mendolito (proprietà
Sanfilippo).
La
vicinanza del sito con il presidio Stissi, dove fu trovata una tomba “alla
cappuccina” suggerì una pertinenza della tegola ad un contesto funerario.
In
merito alla tegola del presidio Stissi,
faceva parte come elemento di copertura di una tomba “alla cappuccina”
che si colloca nel 450 a,C.. ma la tomba fu costruita riutilizzando tegole
frammentarie di diverso spessore e tecnica, probabilmente prelevate da qualche
scarico.
Il
riutilizzo di materiale di scarto non era raro nel sito del Mendolito. Paola
Pelagatti individuò una tomba “alla cappuccina”, posta al di fuori della porta
meridionale della città arcaica, nella quale fu riutilizzato parte di un kalypter hegemon proveniente da quella
che doveva essere un importante struttura domestica.
Gela. Kalypter hegemon,
probabilmente proveniente da un edificio di culto,
riutilizzato come elemento di copertura in una sepoltura
nella necropoli di Predio Russo. VI secolo a.C.
riutilizzato come elemento di copertura in una sepoltura
nella necropoli di Predio Russo. VI secolo a.C.
Nel
comprensorio etneo famoso il caso delle
stime dipinte rinvenute nella contrada Cumma di Paternò.
Queste
sime erano di pertinenza di un importante edificio templare della seconda metà
de VI secolo a.C. e furono riutilizzate come tegole di copertura di tombe
tarde.
L’archeologo
Paolo Orsi, nel corso di una sua visita a Paternò, nella primavera del 1903,
visitò la contrada Cumma, a Sud-est della rocca normanna. Nella contrada Cumma
l’Orsi credeva di aver localizzato la
necropoli greca di Hybla. Oggi la contrada Cumma è interamente inglobata
all’interno del moderno abitato e ogni reperto è andato perduto.
È
importante capire cosa sia la “sima”. In archeologia è modanatura incavata
superiormente che corona la trabeazione dei templi greci e romani lungo i lati
e il frontone. È destinata a raccogliere
le acque piovane, che vengono poi scaricate fuori dall’edificio attraverso
doccioni posti a intervalli, per lo più a forma di teste di animali (leoni,
arieti e sim.).
La Sima con la
Testa di Leone di Selinunte
Una testa di leone
in marmo prezioso intatta e in perfetto stato di conservazione. È un’antica
sima, ovvero l’estremità superiore del tetto di un tempio, rinvenuta a
Selinunte dall’archeologo Jon Albers durante le ricerche condotte
dall'Università di Bochum nell’agosto del 2023.
Un reperto archeologico imponente, alto circa 62 centimetri per un peso di oltre 250 chili. In passato furono rinvenute alcune decorazioni molto grandi, circa 70 centimetri d’altezza, provenienti dal Tempio di Eracle ad Agrigento e dal Tempio della Vittoria a Himera, realizzate in calcare locale di alta qualità,. La sima di Selinunte è più preziosa data la sua fattura in marmo importato dalle isole greche, forse da Paros.
Un materiale estremamente raro, se si considera che nel IV secolo a.C. queste decorazioni erano realizzate in terracotta e successivamente in pietra.
La sima aveva la doppia funzione di abbellire il tempio e di raccogliere l'acqua piovana
che poi veniva fatta defluire da beccucci a forma di testa di leone.
«Questa è una scoperta straordinaria, se si pensa che sono soltanto nove i templi del V secolo con una sima in marmo greco in tutta l’Italia meridionale e in Sicilia”.
Fu trovata nella zona portuale e nelle vicinanze del quartiere delle fornaci dell’antica città.
Questo permette di avanzare anche delle ipotesi sugli importanti rapporti commerciali
della città e sulle capacità artistiche degli abitanti.
Il blocco non risulta completato a causa della mancanza del beccuccio per lo smaltimento dell’acqua e della criniera posteriore del leone. Manca anche la decorazione
sulla parte superiore della lastra che non fu completata.
Si avanzò l’ipotesi dell’esistenza di un tetto in marmo unico in Sicilia.
Un reperto archeologico imponente, alto circa 62 centimetri per un peso di oltre 250 chili. In passato furono rinvenute alcune decorazioni molto grandi, circa 70 centimetri d’altezza, provenienti dal Tempio di Eracle ad Agrigento e dal Tempio della Vittoria a Himera, realizzate in calcare locale di alta qualità,. La sima di Selinunte è più preziosa data la sua fattura in marmo importato dalle isole greche, forse da Paros.
Un materiale estremamente raro, se si considera che nel IV secolo a.C. queste decorazioni erano realizzate in terracotta e successivamente in pietra.
La sima aveva la doppia funzione di abbellire il tempio e di raccogliere l'acqua piovana
che poi veniva fatta defluire da beccucci a forma di testa di leone.
«Questa è una scoperta straordinaria, se si pensa che sono soltanto nove i templi del V secolo con una sima in marmo greco in tutta l’Italia meridionale e in Sicilia”.
Fu trovata nella zona portuale e nelle vicinanze del quartiere delle fornaci dell’antica città.
Questo permette di avanzare anche delle ipotesi sugli importanti rapporti commerciali
della città e sulle capacità artistiche degli abitanti.
Il blocco non risulta completato a causa della mancanza del beccuccio per lo smaltimento dell’acqua e della criniera posteriore del leone. Manca anche la decorazione
sulla parte superiore della lastra che non fu completata.
Si avanzò l’ipotesi dell’esistenza di un tetto in marmo unico in Sicilia.
Le tegole
con bollo dell’Ardichella sarebbero quindi da collocare nel V secolo a.C.
quando il sito del Mendolito era abbandonato.
L’abbandono
del sito sarebbe confermato dalle esplorazioni archeologiche nella Porta Sud . Nelle
esplorazioni furono rinvenuti frammenti di ceramica a vernice nera della fine
del V secolo a.C. che giacevano sullo
strato di crollo della copertura del vano d’ingresso.
È probabile
che dopo l’abbandono del Mendolito, una piccola comunità si sia insediata più a
Nord forse non lontano da un luogo di culto che resterà in uso fino al III – II
secolo a.C.
In
conclusione si può affermare come le due lastre fittili con iscrizione e la terza perduta, provenienti dal Mendolito
(predio Sanfilippo) si possono
considerare come delle tegole.
Infatti queste tegole sono a superficie piana con listello laterale distinto e trovano un preciso confronto con una classe di manufatti che erano molto diffusi in Sicilia. Diffusi nei centro indigeni ed anche in quelli greci, almeno dalla seconda metà del VII secolo a.C.
Queste tegole sono frammentarie e questo non permette di ricostruire le dimensioni originarie.
Le due lastre o tegole, pur essendo trovate nel predio Sanfilippo non provengono dal medesimo manufatto cioè non furono adoperate per la copertura del medesimo edificio.
Erano due pezzi differenti per tecnica e morfologia. Differenti anche per la posizione delle iscrizioni che in una fu tracciata nel listello mentre nell’altra al di sotto del bordo.
Resta valida la tesi che si riferiscano ad un medesimo contesto cronologico confermato dall’analisi epigrafica.
Resterebbe da scoprire un aspetto affascinante ed importante: a quale struttura erano destinate?
Il predio Sanfilippo occupa un’ampia terrazza subito a ridosso del tratto meridionale del muro di fortificazione arcaico, dove si apre la porta urbica con la nota iscrizione.
In questa area furono trovate un numero rilevante di tegole piane e kalypteres (coprigiunti) che erano destinati alla copertura di edifici pubblici di una certa grandezza.
Infatti queste tegole sono a superficie piana con listello laterale distinto e trovano un preciso confronto con una classe di manufatti che erano molto diffusi in Sicilia. Diffusi nei centro indigeni ed anche in quelli greci, almeno dalla seconda metà del VII secolo a.C.
Queste tegole sono frammentarie e questo non permette di ricostruire le dimensioni originarie.
Le due lastre o tegole, pur essendo trovate nel predio Sanfilippo non provengono dal medesimo manufatto cioè non furono adoperate per la copertura del medesimo edificio.
Erano due pezzi differenti per tecnica e morfologia. Differenti anche per la posizione delle iscrizioni che in una fu tracciata nel listello mentre nell’altra al di sotto del bordo.
Resta valida la tesi che si riferiscano ad un medesimo contesto cronologico confermato dall’analisi epigrafica.
Resterebbe da scoprire un aspetto affascinante ed importante: a quale struttura erano destinate?
Il predio Sanfilippo occupa un’ampia terrazza subito a ridosso del tratto meridionale del muro di fortificazione arcaico, dove si apre la porta urbica con la nota iscrizione.
In questa area furono trovate un numero rilevante di tegole piane e kalypteres (coprigiunti) che erano destinati alla copertura di edifici pubblici di una certa grandezza.
Ricostruzione ipotetica del tetto
del Tempio “della Vittoria” di Himera.
Le
campagne di scavo dell’archeologa Paola Pelagatti, negli anni ’60, permisero di
isolare nell’area un livello di tegole pertinenti alla copertura del vano
d’ingresso della porta urbica.
Erano
lastre piane a listello simili alle due tegole rinvenute dall’Orsi. Simili non
solo nella tecnica di esecuzione ma anche nella loro morfologia.
Questo
dimostra anche l’esistenza di contatti tra Greci ed Indigeni dato che
quest’ultimi adottarono un sistema di copertura fittile di tipo greco che era
pertinente ad una struttura difensiva che rientrava nel panorama architettonico
locale.
Nel
predio Sanfilippo, durante la campagna di scavi condotta nel 1988 – 90, a circa
150 metri a Nord-Est della porta urbica furono portate alla luce le fondazioni
di un grande edificio costruito in modo accurato. Non fu possibile
ricostruire la pianta dell’edificio a
causa della limitata estensione dei saggi. L’edificio presentava una copertura
con tegole fittili trovate in posizione di crollo.
Furono
rinvenuti alcuni kalypteres hegemones di grandi dimensioni, i frammenti
di una casetta pertinenti ad una sima frontonale che era decorata con una
fascia di astragali e un altro kalyptere a maschera gorgonica (che
rientra nei tipi tardo arcaici noti nei vicini siti dell’area calcidese).
La
presenza di questi reperti e il ricco rivestimento fittile fecero avanzare
l’ipotesi di un edificio di carattere pubblico databile nella seconda metà del
VI secolo a.C. e quindi contemporaneo al momento di costruzione o di
monumentalizzazione della Porta Sud ( come attestano la costruzione delle due
torri a pianta semicircolare, di tipo greco, e l’inserimento della iscrizione
pubblica).
Il
settore a ridosso della porta meridionale era uno spazio urbano molto
importante. Questo aspetto si rileva dagli appunti dell’Orsi che nella
proprietà Sanfilippo segnalò la presenza di elementi architettonici in basalto:
alcuni capitelli a doppia voluta e resti
di colonne a sezione ottagonale, che lasciarono intuire l’esistenza di un ampio
edificio pubblico.
Nel
settore a ridosso della porta urbica andrebbe localizzato un gruppo di edifici
pubblici di
una
certa importanza, databili nella seconda metà del VI sec. a.C. All’interno di
questo
contesto,
pertanto, andrebbero inserite le due tegole con iscrizione allo scopo di
proporre
una
più corretta lettura della loro funzione e destinazione.
Scoprire
la destinazione d’uso di questo edificio sarebbe una scoperta di gran valore
storico.
Probabilmente
le iscrizioni poste sulle tegole dell’edificio pubblico non sarebbero legate al
nome del ceramista ma al personaggio che aveva sostenuto le spese di copertura
dell’edificio.
Un
altro aspetto importante sarebbe quello di scoprire il sistema di copertura
degli edifici sicelioti, in particolare dei luoghi di culto.
Per
affrontare il problema sarebbe importante prendere visione di un reperto dal
grandissimo valore storico: il modellino fittile di sacello rettangolare di
Sabucina.
Sabucina - reperto che raffigura un sacello
Si può notare come le tegole o lastre sono disposte con i listelli centrali coperti da coppi coprigiunto e quelli laterali coperti dalle sime frontali. Questo sarebbe un sistema, detto dagli archeologi, “eolico – siciliano”. Un sistema che univa coppi convessi di tipo laconico e tegole piane di tipo corinzio. Il modellino proviene da un centro indigeno ma deve fare riflettere il fatto che riproduce un sacello di tipo greco con la copertura fittile e con l’uso di tegole e sime frontali. Gli indigeni avevano assimilato i modelli tipici dell’architettura greca. L’impiego di tegole in cotto, molto pesanti, suggerivano di abbassare la pendenza delle falde e quindi le due lastre iscritte non sarebbero state visibili.Un’altra ipotesi era la collocazione delle lastre nel primo filare dello spiovente ma in questo caso l’iscrizione non risulterebbe leggibile perché capovolta.Nel caso che la lastra fosse stata impiegata come “geison” orizzontale, pur essendo le iscrizioni visibili, si sarebbero potuto leggerle solo guardando dal basso, quindi in una posizione decisamente innaturale.(Il
Geison è quella parte della trabeazione che sporge dalla sommità del fregio
nell'ordine dorico.
Nell’ordine
ionico il geison è costituito da una fascia liscia coronata da un ovolo e
dotata di un soffitto profilato a cavetto, che si raccorda alla sottocornice
con un altro ovolo.
Forma
il bordo esterno del tetto sui lati di una struttura con tetto spiovente).La trabeazione dell’ordine dorico
Ordine dorico
Ordine ionico
L’ordine
Corinzio risale al V secolo a. C e
raggiunge la sua massima diffusione in età ellenistica. Sarà utilizzato molto
dagli architetti Romani. Simile allo ionico, presenta un capitello
caratterizzato dalla presenza di un motivo decorativo a foglie di acànto.
Ordine Corinzio
Se la lastra fosse stata impiegata come geison
orizzontale, sarebbe stata leggibile osservandola dal basso in una
posizione non naturale.Pur appartenendo le due lastre a tegole di
coperture è probabile che non siano state utilizzate per la copertura di un
edificio.Molte le ipotesi sulla loro destinazione d’uso
tra cui quella di rivestimento fittile di un altare o di una banchina.
Schizzo di una base per offerte rivestita da lastre fittili
Malgrado diversi rinvenimenti archeologici
manca una documentazione scientifica sugli altari presenti nei santuari
indigeni della Sicilia arcaica. Strutture adoperate nei rituali.Nell’area
sacra di Monte Saraceno (Ravanusa) è presente un sacello, datato alla seconda
metà del VI secolo a.C., che presenta nel centro del vano una struttura (bassa
e dalla pianta quasi quadrangolare (circa 1 metro per lato), rivestita da
piccole pietre ed argilla. La struttura presenta una lastra fittile, priva di
listello, che forse aveva una funzione di rivestimento.Monte Saraceno
(Ravanusa)
Un
confronto si potrebbe avere con il Santuario di Gravisca, presso Tarquinia.Qui
fu rinvenuta una cista costruita con tegole fittili poggiate per il taglio e
destinata a contenere un deposito votivo.Esempio di cista.Il
confronto con il sito di Monte Saraceno
non fu considerato appropriato dato che il contesto culturale con il
Mendolito sarebbe differente.Il
confronto con il Monte Saraceno potrebbe invece avere una sua validità
considerando la lastra non come copertura di un altare ma come supporto in
muratura per offerte o dediche.Un’ipotesi
suggestiva dato che creerebbe un rapporto tra il supporto e l’iscrizione.Potrebbe
essere anche una lastra collocata su una parte dell’edificio e quindi non come
elemento di copertura ma come rivestimento parietale.Un
esempio di utilizzazione delle tegole legato al tempio di A di Himera.
https://virtualplus.regione.sicilia.it/multimedia/?idsito=5/&idpoi=2/Il
tempio presentava una copertura di tegole in cotto e alla base del muro, era
presente un rivestimento di tegole
fittili. Il paramento esterno presentava su tre lati una fascia di solenes
(con i bordi rialzati) fittili (0,80 x 0,48)m, ciascuno disposto per coltello,
con la funzione di ‘fascia battiacqua’ per salvaguardare l’elevato in mattoni
crudi e ridurre i danni provocati dall’infiltrazione di acqua piovana. Si
trattava di vere e proprie tegole, come indica la presenza dell’incavo
rettangolare sul bordo interno, e non di lastre di forma differente.solenesQuesto
spiega sia il diverso utilizzo delle tegole
sia una certa influenza dal Peloponneso attraverso la mediazione delle
colonie greche.La
tecnica di rivestimento adottata nel tempio imerese sarebbe il primo esempio
nell’isola dell’impiego di lastre piane
a listello, del tutto simili alle tegole del tetto, come elemento edilizio
autonomo, integrandosi in un sistema costruttivo che prevedeva uno zoccolo
litico su cui si elevava una parte in mattoni crudi.(
L’ipotesi che nel centro del Mendolito le strutture di epoca arcaica fossero
costruite con uno zoccolo in pietrame che supportava un elevato in mattoni
crudi trova un prezioso elemento di sostegno nell’evidenza del vicino abitato
indigeno di Monte Castellacelo di Paternò, dove tale tecnica edilizia è
documentata fin dal VII sec. a.C.).
Π
considerevole spessore delle lastre e la disposizione delle iscrizioni su un
supporto, che necessariamente doveva essere posto per coltello, trovano una
propria coerenza nella proposta di interpretare questi manufatti come parti del
rivestimento di un edificio, solo in tal
modo le iscrizioni sarebbero risultate visibili e leggibili.In
merito alle iscrizioni, furono tracciate al momento della fabbricazione e
quindi prodotte nell’officina del figulo (vasaio). Si tratta quindi di
manufatti creati per un preciso scopo.La
letteratura sull’organizzazione delle fabbriche di laterizi nelle colonie
greche è molto scarsa. I dati riferiti alla Grecia continentale dimostrerebbero
come fosse costosa la produzione di tegole.La
realizzazione di una tegola per il santuario di Istmia (sull’istmo di Corinto e
dedicato a Poseidone), del peso e delle dimensioni di quelle del Mendolito,
tenendo conto dell’intero ciclo di produzione (preparazione, essiccamento, eventuale
decorazione, cottura) avrebbe richiesto tre o quattro giorni di lavoro. Come indica la documentazione sul mondo
italico, le iscrizioni, sia quelle interpretate come marchi di fabbrica che
quelle dedicatorie, venivano tracciate al momento di essiccamento dell’argilla,
prima della cottura.
L’iscrizione,
per la sua posizione sulla faccia a
vista della lastra, doveva avere una sua importanza legata al manufatto sul
quale era posizionata.Poteva
essere un edificio pubblico e in questo caso avrebbe espresso il nome e il gentilizio della persona da ricordare
oppure anche il nome del fabbricante delle lastre. Questa formula era molto
frequente in epoca classica ed ellenistica ma molto rara nella Sicilia arcaica.Uno
dei pochi casi si ritrova in un’antefissa delle necropoli di Rifriscolaro di
Camerina.
Necropoli di
Rifriscolaro (Camerina – Ragusa)In
un’antefissa era presente il nome “Oiopos”, cioè il fabbricante delle lastre.Anche in questo caso i caratteri dell’iscrizione rimandano al mondo corinzio e
quindi estraneo all’ambiente indigeno.In Grecia la consuetudine di scrivere su
terrecotte architettoniche era molto comune. Venivano impressi i nomi anche di
personaggi mitici o anche singole lettere e numeri che richiamavano le
divinità.Un rituale comune nella Sicilia greca con l’uso di segni e numerali per agevolare la
messa in opera del rivestimento fittile come a Selinunte, Gela e Siracusa ma
mai in ambiente indigeno.
Se
l’uso di apporre lettere o brevi iscrizioni sulle lastre di rivestimento di
edifici pubblici in Sicilia rimane un fatto isolato e limitato ai centri greci,
diverso è il significato da attribuire alle due iscrizioni del Mendolito che
invece appartengono ad un contesto indigeno, anche se fortemente permeato di
influenze culturali provenienti dal vicino mondo calcidese di Katane.Nell’iscrizione
PIO 576,Siracusa, Museo
Archeologico Regionale. Tegole fittili con iscrizione dal Mendolito di Adrano:
Lastra PID 516.
scomponendo
il testo indohit im rukes
hazsuies,si
avrebbe forse la formula arcaica che codifica il ruolo del possessore nelle due
possibili varianti:“dà questo Ruke
Hazsuies”, oppure “dono di Ruke Hazsuie”.Le
due iscrizioni del Mendolito sarebbero da collegare con un dono.
Siracusa, Museo Archeologico
Regionale. Tegole fittili con iscrizione dal Mendolito di Adrano:
Lastra PID 577;
Le
epigrafi furono quindi apposte su
elementi architettonici del rivestimento fittile e si differenziano da altre
categorie testuali di tipo occasionale che riutilizzavano laterizi in giacitura
non primaria.Il
mondo etrusco-italico della fine del VI secolo ci fornisce preziosi esempi
sull’uso di apporre nomi personali o di divinità sul rivestimento fittile di
edifici pubblici e le complesse iscrizioni del Mendolito restano un caso
isolato e privo di confronti nell’ambito siceliota. Accettando l’ipotesi che le
lastre facessero parte del rivestimento esterno di un edificio, verosimilmente
un tempio, allora sarebbe lecito attendersi non tanto il nome del fabbricante,
quanto quello di personaggi connessi alla natura stessa dell’edificio. V.
Pisani nella sua ricerca affermò come le iscrizioni fossero delle dediche
votive di magistrati ad una figura divina.
Magistrati
che erano a capo di una importante struttura militare, a presidio della Porta
Sud del Mendolito, e che in alcuni casi commissionavano, facendo proprio
l’onere finanziario, la manifattura di tegole destinate alla copertura di
edifici pubblici.
I
testi epigrafici del Mendolito potrebbero essere quindi iscrizioni dal valore
politico. I nomi
personali
seguiti dal gentilizio, pertanto, andrebbero interpretati come quelli di
magistrati o di membri di una specifica struttura cittadina.
La
ricostruzione del contesto di provenienza delle tegole con iscrizioni e la loro
sicura pertinenza all’ambito urbano e non funerario, come erroneamente
suggeriva la tradizione storiografica, offrono nuovi e sorprendenti indizi per
tentare una prima valutazione dell’anonimo centro del Mendolito nel quadro
delle forme di contatto tra comunità indigene e mondo greco coloniale. Nel
settore meridionale della città doveva
essere presente un importante zona di interesse pubblico. Gli elementi
architettonici, tra cui capitelli a volute e parti di colonne scanalate
segnalati nella proprietà Sanfilippo, erano certamente in rapporto con edifici
di una certa complessità planimetrica e di apparato, che lascerebbero
intravedere una possibile influenza calcidese, forse mutuata attraverso la
vicina Katane. Anche la pertinenza a questo sito del cippo con iscrizione
menzionato in
precedenza,
di cui si sono privilegiati per lo più gli aspetti epigrafico-linguistici,
mentre la sua precisa localizzazione non ha avuto il dovuto rilievo, è un fatto
di una certa rilevanza in termini di strutturazione urbana, dal momento che
offre un ulteriore dato in direzione della configurazione di questo settore
della città come sede di attività politico istituzionali e forse anche
religiose.
Un
altro aspetto sovente ignorato è il fatto che a meno di m. 150 a nord-ovest
della proprietà Sanfilippo, lungo l’asse che si diparte verso nord dalla porta
urbica in cui è collocata la nota iscrizione, si estende il fondo Ciadamidaro,
dove nel 1908 venne scoperto il copioso deposito di bronzi. Nell’area fu anche rinvenuto una testa fittile
di cavallo che probabilmente faceva parte di un acroterio fittile.
(L’acroterio
è un elemento architettonico, decorato o figurato, che corona il
vertice e gli angoli del frontone nei templi antichi).
L’Orsi annotò
nei suoi taccuini come il ripostiglio era in relazione con un complesso di
abitazioni di epoca arcaica, con pavimento in stucco rosso e copertura con
rivestimento fittile di tipo greco. Non si conosce la natura e lo schema planimetrico
delle strutture, ma il rinvenimento nella stessa area di un capitello a volute
ioniche in trachite e di una antefissa a protome leonina suggerì di collocare
in questo punto un sacello. Infatti, come annotò R. Μ. Albanese Procelli,
l’antefissa si inserisce in una tradizione coroplastica maturata nei centri calcidesi,
come Naxos e Zancle, e destinata a costituire uno degli elementi più
significativi del sistema di rivestimento fittile di edifici sacri nel tardo
arcaismo.
Poco
a nord del fondo Ciadamidaro si estende una bassa altura che sembra prestarsi alla
funzione di acropoli del centro. Sulla
sommità di essa P. Orsi annotò la presenza di un certo numero di elementi
architettonici in pietra lavica, tra cui basi di colonne a sezione prismatica e
capitelli «come quelli della proprietà Sanfilippo». All’interno di questo
specifico contesto topografico dovrebbero essere interpretate le lastre con
iscrizioni PID 576-577: anche se non si è in grado di stabilire con
sicurezza la loro pertinenza ad un edificio templare, oppure ad una base per
offerte. In ogni caso le due tegole dovrebbero rientrare all’interno di quel vasto ed articolato
complesso di elementi che qualificano il settore a ridosso della porta urbica
meridionale come il più importante polo istituzionale e religioso dell’anonima
comunità del Mendolito.
Massimo
Cu l t r a r o
Epigrafe apposta
su un tegolo funebre rinvenuto in territorio di AdranoDVIHTIMIRUKESHAISHUIARESESANIRESBE (.lacuna)Si propone la seguente suddivisione:-
DV tu-
IHITI
chiamare-
MI
me-
RUKE
mistero, segreto, silenzio-
SHAI
cercare; in tedesco “suchen” significa cercare, ricercare, andare in cerca,
fare ricerca.-
RESESANIRES
viaggio nel regno del sole; in tedesco “reisen” significa viaggiare e vi
sono molte parole composte con questo lessema: Reise'sack, sacca da viaggio;
Reise'wagen, carrozza da viaggio.-
BE.
forse il nome del deffntoProbabile
traduzione:MI CHIAMASTI A PARTECIPARE DEL MISTERO
(dell'aldilà). INTRAPRENDI ORA IL TUO VIAGGIO VERSO IL SOLE, BER. (nome del
defunto).……………………..Altra epigrafeDOEITIPHAKEBEZELNIPEZB.-
DO:
tu-
EITI:
chiamato, nell'accezione di invocare-
PHAKE:
nome del defunto-
BEZEL:
enumerare-
NIPEZB:
grado parenterale del defunto con coloro che gli hanno dedicato l'epitaffioTU (morte) HAI CHIAMATO PHAKE, NOSTRO
CONGIUNTO E LO HAI AGGIUNTO (enumerato) AL NUMERO (dei morti).Si
sottolinea che la simbologia sicana, incisa su numerosi manufatti, di cui il
territorio del Mendolito è cosparso, dalla spirale alla ruota del sole, dal
sole alle croci potenziate, è perfettamente in sintonia con il concetto
dell'aldilà espresso nelle epigrafi funebri.La
traduzione delle epigrafi, al di là delle ipotetiche interpretazioni, dovrebbe
stimolare la nascita di un centro studi
telematico sulla lingua sicana.Francesco
Branchina
....................................
Le Iscrizioni PerduteNel territorio di Adrano
furono recuperate numerose iscrizioni greco-romane ma di queste sono rimaste
solo un esiguo numero perché molte sono andare perdute (riconosciute solo
attraverso antichi testi) o si trovano in altri musei anche all’estero.Non tutte provengono
propriamente da Adrano ( l’antica Άδρανόν - Hadranum) ma anche dall’area
del Mendolito e dal territorio della Valle del Simeto.I testi epigrafici
sarebbero tutti in greco tranne uno e cronologicamente sarebbero da collocare
al periodo ellenistico e romano.L’unica iscrizione
latina proviene da Adrano ma è molto
danneggiata e quindi non facile da interpretare. La traduzione
mostrerebbe la prova dello stato municipale di Hadranum nel periodo
romano imperiale.Quattro iscrizioni
sarebbero funebri, databili al periodo ellenistico, e di pertinenza degli
antichi cimiteri di Adrano posti in contrada Difesa e della Chiesa di
Sant’Alfio.Le due iscrizioni greche
trovate al Mendolito sarebbero di pertinenza della vecchia Adrano. Entrambe
sono di natura religiosa e di pertinenza di antichi santuari posti fuori le mura
della città.Entrambe le iscrizioni
sarebbero dedicate ad Eracleo o ad Adranos, importante divinità locale.Altre due epigrafi
appartengono al periodo romano: l’epigrafe sopra la Fonte delle Favare (gia
menzionata nella ricerca) e una pietra vicina alla fonte dal significato oscuro
dell’area di Centuripe.
Iscrizione greca
funeraria dedicata a Aischylos figlio di ChrysonRinvenimento: la
pietra proviene dalle rovine del sito
originario del tempio dedicato alla divinità locale Adranos.Condizione del reperto:
Perduto. (lo stato di conservazione del reperto non fu riportato negli antichi
testi).Datazione: IV – I secolo
a.C. (con un indice di incertezza)<Α>ίσχύλοςΧρύσω<ν>οςSecondo la traduzione di
Gualtherus la prima riga:ΧΙΣΧΥΛΟΣla seconda riga:ΧΡΥΣΩπΟΣLa traduzione:"Aischylos figlio di Chryson". Il nome Aischylos è
attestato dieci volte in Sicilia e ben 250 altrove. Il nome Chryson è invece
molto raro. È l’unico proveniente dalla
Sicilia mentre è presente altre cinque volte fuori dell’Isola.
Frammento di iscrizione
greca (funeraria?)Rinvenimento: Adrano.Condizioni del reperto:
Perduto – materiale e forma sconosciuti,Datazione: periodo
ellenistico.l’epigrafe fu annoatata
indirettamente da castelli che ricevette il testo da Nicolaus Capretti.Il testo dell’epigrafe.Άρχε(- - -]ί- - -]αςΠολυςLa pietra probabilmente è
una stele funeraria.Franz propose la seguente
lettura:Αρχε[λtϊ] ας Πολυσ[τράτον] ο Πολυσ[Θένευς]La traduzione:dί Archelaίdas, figlίo dί Polystratos/Polysthenes.Il nome Archelaides non è
attestato in Sicilia mentre Polystratos è presente in Sicilia una sola volta.
Il nome Polysthenes non è presente nella
Grecia occidentale e in Sicilia.Ilcastello non indicò
alcuna perdita nel testo dopo la lettera finale.
Iscrizione greca funeraria
dedicata a KallistratosRinvenimento: Adrano.
Dalle rovine del tempio della divinità locale Adranos. Georg Kabel (1849 –
1901) affermò che fu “scoperta di recente”.Materiale: “Pietra Nera”.Condizioni del reperto:
Perduto. Stato di conservazione e
dimensioni non riportate nei testi.Datazione: Periodo
ellenisticoΚα<λλ>ίσ-τρατοςΡάτοροςGualtherus e il castello
riportarono la prima parolaΚΑΜΙΣma altri autori
successivamente apportarono delle correzioni alla prima parola sostituendo la
“M” con “ λλ “.La traduzione:Kallistrato, figlio di Rhator.Il nome ‘Ράτωρ non è
attestato altrove, anche se in Sicilia si conoscono un paio di forme analoghe, `Ρατοράς
e `Ρατορώ. Gli storici proposero l’ipotesi che non si era
in presenza di un nome proprio ma dell’appellativo
rhetor. Si ebbero così tante letture e interpretazioni.Si avanzò anche l’ipotesi
che si trattasse del rethor attico Kallistratos, sepolto in Sicilia dopo la
condanna da parte degli ateniesi. Comunque Kallistratos è un nome comune in
Sicilia ed attestato anche al di fuori dell’Isola.
Iscrizione greca
funeraria(?) dedicata a NikaiosRinvenimento: Asrano.
Proveniente dal sito della divinità locale Adranos.Georg Kaibel (1849 –
1901)riportò “scoperta di recente”.Materia: “Pietra nera”.Condizioni del Reperto:
Perduto. Stato di conservazione e dimensioni non riportateDatazione: periodo
ellenisticoΝίκαιοςTraduzione:"Nikaios".Il nome è comune ma in
Sicilia è presente solo un altro esempio a Siracusa.
Dedica greca a EracleRinvenimento: Area del
MendolitoMateriale: frammento di
pietra lavica.Condizizoni del reperto:
Perduto. Cornice superiore completa in alto, in basso e a destra. Cornice rotta
sul lato sinistro.Dimensioni del reperto:
(45 x 25) cm.Datazione: periodo ellenistico.L’epigrafe fu menzionata
da Paolo Orsi comeScritta a buone lettereLa pietra fu menzionata
per la prima volta da castelli nel 1769 sulla base di una descrizione di
Nicolaus Capretti.L’Orsi riportò come la
pietra fuConservata a lungo incassata nel muro della chiesa del SS.
Cristo primadi essere rimossa dall’avv. Sanfilippo per la sua collezione
di Adrano.dove l’Orsi la studiò
affermandosi sa che proviene dal Mendolito.L’Orsi non riportò la
fonte di questa affermazione.Sulla provenienza della
pietra gli archeologi non furono concordi.Il Libertini attribuì la
provenienza della pietra dal Mendolito insieme all’altare o base di colonna con
iscrizione (gia descritta nella ricerca); il Manganaro e l’Albanese dalla
contrada Polichello posta a Sud del Mendolito, facendo riferimento alle
affermazioni dell’Orsi.L’Orsi distinse in modo
ben preciso la contrada Polichello dal Mendolito.[---].Ι `ΗρακλείTrαduzione:"[---] α Erαcle".L’Orsi nella descrizione
dell’epigrafe riportò un’asta verticale a sinistra prima della “I”, dove la
pietra è rotta. Suggerì l’ipotesi
dell’asta obliqua di una “N” oche sia parte di una lettera precedente, in
questo caso di tratterebbe di una “A” o di una “Ʌ”.Paolo Orsi – Particolare dell’inscrizione (1900)Secondo l’Orsi potrebbe
trattarsi del nome dell’individuo dedicante.Lo storico Kabel ipotizzò
come la pietra fosse incompleta anche nel lato destro e propose delle ricostruzioni alternative di un nome al
genitivo come ad esempio Hρακλεί[ου].L’Orsi aggiunse che comeLa forma della pietra che presenta una cornice lungo il lato
superiore siaCompatibile con una stele/cippo oppure che sia parte di un
piccolo edificio.
Frammento di iscrizione
latinaRinvenimento: Contrada
Mola (Adrano)- Trovata durante i lavori, eseguiti nel 1959, durante l’installazione
di un impianto di irrigazione.Materia: Pietra calcarea
grigia, forse proveniente dalla sponda del Simeto nel suo tratto meridionale.Condizioni del reperto:
rotto in tutti i lati. Parte del lato frontale e posteriore sono ancora
intatti.Dimensioni: altezza max,
27 cm – larghezza max 19 cm – profondità max, 21 cm.Datazione: periodo
imperiale romano. (II secolo d.C.?) Un frammento irregolare
di pietra, rotto tutt'attorno, con solamente parti del lato frontale e
posteriore ancora intatte. La parte posteriore presenta una superficie
regolare, non liscia ma a scaglie. La parte frontale presenta resti di un
pannello incavato, con parte del margine sinistro preservato sul lato. La
superficie del pannello è lievemente ricurva, con la parte convessa lungo il
piano orizzontale, il che suggerirebbe che il blocco/monumento originale da cui
deriva il frammento fosse di forma cilindrica. Il pannello inscritto misura 11,5
cm in altezza al lato sinistro e la sua altezza massima preservata è di 14 cm,
la quale diminuisce fino a 9,5 cm al lato destro; la massima larghezza del
pannello è di 12 cm. L'iscrizione, 6 linee visibili, era incisa sul pannello
incavato. Si preserva parte del margine sinistro del testo, ma non si conosce
l'estensione completa del testo, che probabilmente continuava nella parte
superiore, a destra e in basso. Le lettere sono incise con un profondo taglio a
V e sono di forma squadrata regolare. Un unico esempio di legatura si trova
all'inizio della linea 2. Un insolito interpunto è usato alla linea 4 (i doppi
interpunti sono rari nella pratica epigrafica latina; seppur nessun interpunto
sia visibile tra la S e la P alla linea 4, non ci si aspetterebbe interpunti in
nessun'altra parte del testo, per cui è difficile speculare sulle ragione dell'utilizzo
del doppio interpunto in questo punto del testo). Le linee 4 e 5 vedono
entrambe l'utilizzo della lettera R sovrascritta per creare una forma di
abbreviazione sia della forma che della lettera propria, un uso altrimenti non
attestato; la R sovrascritta alla linea 4 si estende fino alla linea 3; la R
sovrascritta alla linea 5 si estende fino alla base della linea 4. Altezza dei
caratteri:linea 1: incompleta;linea 2: 21 mm;linea 3: 23-25 mm;linea 4: 25 mm;linea 5: 26 mm (R
sovrascritta 17 mm);linea 6: incompleta.Spazio tra le righe:linee 1-2: io mm;linee 2-3: 7-9 mm;linee 3-4:13 mm;linee 4-5: 8 mm;linee 5-6: lo mm.A[---]AEDEM[---] CARE[---]S(ua) P(ecunia) : DR :[---](vac.2) DR[---][..]+[---] Il prof. Manganaro nel
1961 in una sua relazione sull’epigrafe affermò come nella linea 3la quarta lettera è sicuramente i, mentre la lett. successiva
poteva essere n, in margine alla quale si sia verificata la rottura della
pietra.Propose quindi la lettura
del nome “Carinus”.Da una più attenta
analisi si rilevò come la lettera fosse abbastanza chiaramente una “E”. la
cattiva condizione della pietra, dovuta anche alla rottura ed anche alla
curvatura, rendevano illeggibile il
tratto superiore e centrale della “E” illeggibili solo il tratto inferiore era
molto chiaro.Le tracce che, su
suggerimento del Manganaro, sarebbero compatibili con una N alla fine della
stessa riga sembrarono piuttosto appartenere ad una lettera R in posizione
sovrascritta dopo la lettera D alla linea 4, come visibile chiaramente alla
fine della linea 5.Nella linea 6 lo stesso
Manganaro non riportò commenti a proposito delle tracce di una o più lettere
visibili sotto la linea 5. Le tracce rimanenti furono attribuite alla lettera
“M” o “N”.Il testo dell’epigrafe
farebbe riferimento ad un tempio o a una teca (aedes) e all’avvenimento che
qualcosa fu fatto a spese di qualcuno ( sua pecunia), onorato nel teso o
committente del testo stesso.Sarebbe quindi un atto di
costruzione o una beneficenza all’origine della costruzione, riparazione, o
decorazione dell’aedes.Il frammento, data la sua
particola forma ricurva, dov’era inserito?Il Manganaro propose
l’ipotesi che si potesse trattare di un pezzo di un altare cilindrico. Furono
formulate altre ipotesi come parte di un piedistallo statuario o di parte di un monumento in rilievo.Nella linea 3 è presente
il termine “care”, sono rare le parole che cominciano con questo termine, dacollegare al termine
della linea precedente come ad esempio “aedificare”.Non si conoscono esempi
comparabile alla forma DR. Data la sua posizione nel testo, verosimilmente
verso la fine e separato dall'interpunto, è ragionevole interpretarla come una
rara forma abbreviativa del comune D(ecreto) D(ecurionum), ossiaD(ec) r(eto) D(ecu)r(ionum)Trattandosi di una forma
abbreviativa rara di per sé e dal momento che nulla sembra suggerire che più
mani abbiano inciso il testo, non c'è alcun motivo di ritenere che le lettere
siano state aggiunte posteriormente come
suggerì il Manganaro.Se le lettere DR DR
significano decreto decurionum, allora il testo in questione potrebbe, non
senza qualche riserva, indicare che lo stato di Hadranum nel periodo imperiale
fosse quello di municipium latino. Questa sarebbe l'unica iscrizione latina
attestata nell'antico centro di Adranum.
Pietra di Confine
IscrittaRinvenimento: Territorio
di Centuripe (En) – Contada Cavalera - Fondo Canellieri – Nicolò Reina.
Acquisita nel 1975.Materiale: pietra
vulcanica grigia, con superficie bucherellata.Condizioni del Reperto:
Intatta, con parziale disgregazione della superficie.Dimensioni: Altezza max,
86 cm - lato inscritto, 81 cm –
larghezza della base, 46 cm – larghezza del lato superiore, 36 cm – profondità,
25,5 cm.Datazione: dal periodo
ellenistico in poi. La pietra fu proposta come una delle molte pietre di
confine territoriale della Chiesa. Pietre attestate, quindi presenti, nel
territorio catanese (la parola “KAT” sarebbe il sinonimo di Catania). In questo
caso la datazione potrebbe essere del V secolo d.C.Numero Inventario: 480Si tratta di un grande
cippo rettangolare, lievemente smussato, con tre grandi tratti di lettere nella
parte superiore del lato più largo. L’area inscritta è di circa (altezza, 36 cm x larhezza, 30 cm).La prima
linea del testo è meno chiara, in particolare attorno al margine superiore e
quello destro. Una linea continua orizzontale separa la linea 1 dalla linea 2.
Le lettere sono intagliate a grandi tratti arrotondati (in parte a causa di
agenti atmosferici) e hanno forma regolare. Le linee diagonali della lettera K
non raggiungono il livello superiore e inferiore del tratto verticale; le linee
della E sono tutte della stessa lunghezza; la lettera A ha un tratto spezzato.
Il testo è in latino o in un misto di latino e greco, vista la presenza di una
L alla linea 2.Altezza
dei caratteri: linea 1: 12-13 cm; linea 2: 10-11 cm; linea 3: 10 cm.Spazio
tra le righe: linee 1-2: 3-4 cm; linee 2-3: 1-3c m. Linea i:
la terza lettera della linea i è incerta; è di dimensioni ridotte rispetto alle
altre lettere, e le tracce alla sua cima sono compatibili con la X proposta da
vari editori. Non credo vi sia motivo di leggere la lettera finale come un W
come riportò il MANGANARO 1994, p. 173; la lettera finisce ad un margine della
pietra e non è chiusa.Linee 2-3: il testo è
completamente chiaro, senonché non corrisponde a nessuna delle edizioni
precedenti. La lettera finale della linea 2 si unisce alla linea orizzontale
superiore; e la lettera finale della linea 3 è danneggiata in alto a destra;
sono tuttavia entrambe visibili sotto luci diverse.Il testo fu riportato
originariamente da Gualtherus, 1624, p. 5o nr. 332 .In scopulo pietra di pecunia nuncupato. cis flumen Magnum.
MM. passibus ab HadranoTPXCEKIICMIIl Castelli riportò il
testo con:TPXCEKIICMTE infine il Manganaro
con:TPXWEKOKATC Il prof. Manganaro avanzò
l’ipotesi che si trattasse di una pietra limitrofa al cippo di confine, usando
l’iscrizione ellenistica di Halesa (Tusa). Una ipotesi legata alla sua lettura
del testo..Τ(έ)ρ(μων) χώρου) έκ ό(ρίου) κάτωTermine del fondo, a partire dal cippo di sotto.Una ipotesi di lettura
che non fu accettata dagli storici perché la trascrizione delle lettere
necessita di correzioni.Lo stesso Manganaro,
nella sua interpretazione del testo, segnalò l’esistenza di testi simili a
quello di Centuripe. Gli storici risposero che si basava su una lettura non
corretta dell’epigrafe.Il Gualtherus nel 1624
affermò un paio di epigrafi trascritti in cippi di confine posti nel territorio
di Catania ed oggi perduti..Padre Antonio Ferrua,
famoso epigrafista ed archeologo, nel 1989 basandosi su antichi testi, riportòche le epigrafi menzionate dal Gualtherius e rirese dal Manganaro, erano tre
pietre di confinediverse, non collegate tra di loro e provenienti dal
territorio di Paternò, frazione Sterri.Ogni cippo era costituito
daColonna quadrata di lava.All’inizio avanzò
l’ipotesi che i tre cippiFossero tutti appartenenti alla stessa pietra.Successivamente affermò
che ogni cippo era a sé stante.In merito alla lettura
delle epigrafi:-
Il
primo cippo conteneva un’epigrafe in entrambi i lati:-
Il
secondo cippo riportava….ECLKAT-
Il
terzo cippo…+ECL KAT NVA
Anche lo storico ed
archeologo Biagio Pace di Comiso (Ragusa) intervenne nell’interpretazione diqueste epigrafi di Paternò. Il Ferrua e il Pace inserirono i cippi nel contesto
dei territori della primaChiesa in Sicilia.Entrambi interpretarono il termineECLcome “Ecclesia”e il termineKATCome KatinensisUn aspetto deve fare
riflettere ed è legato alla presenza della stessa fraseECL KAT oppure EKL KATE ancora, considerando il
reperto di Centuripe esposto nel Museo di Adrano, le lettereEKLche riportano una linea
superiore di cui non si conosce il significato (forse un segno di abbreviazioneo una separazione dalla linea precedente?).La lingua dell’iscrizione
non è chiara. Non è chiara perché l’uso della “K” è normale nel greco ma lalettera “L” si trova nella forma latina.L’uso di alfabeti misti
fu molto comune in Sicilia e quindi la lettura della linea 1, proposta dal
prof.
………………………
Altri
file:
Adrano (Catania) – Museo Regionale “Saro Franco”.
Leggere il Passato…
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2025/01/adrano-museo-regionale-saro-franco.html
Adrano: Il Museo
all’aperto per riscoprire la propria identità, i propri valori culturali e riflettere sul
linguaggio dell’ambiente.
(Il
Geison è quella parte della trabeazione che sporge dalla sommità del fregio
nell'ordine dorico.
Nell’ordine ionico il geison è costituito da una fascia liscia coronata da un ovolo e dotata di un soffitto profilato a cavetto, che si raccorda alla sottocornice con un altro ovolo.
Forma il bordo esterno del tetto sui lati di una struttura con tetto spiovente).
Nell’ordine ionico il geison è costituito da una fascia liscia coronata da un ovolo e dotata di un soffitto profilato a cavetto, che si raccorda alla sottocornice con un altro ovolo.
Forma il bordo esterno del tetto sui lati di una struttura con tetto spiovente).
La trabeazione dell’ordine dorico
Ordine dorico
Ordine ionico
L’ordine
Corinzio risale al V secolo a. C e
raggiunge la sua massima diffusione in età ellenistica. Sarà utilizzato molto
dagli architetti Romani. Simile allo ionico, presenta un capitello
caratterizzato dalla presenza di un motivo decorativo a foglie di acànto.
Ordine Corinzio
Se la lastra fosse stata impiegata come geison
orizzontale, sarebbe stata leggibile osservandola dal basso in una
posizione non naturale.
Pur appartenendo le due lastre a tegole di
coperture è probabile che non siano state utilizzate per la copertura di un
edificio.
Molte le ipotesi sulla loro destinazione d’uso
tra cui quella di rivestimento fittile di un altare o di una banchina.
Schizzo di una base per offerte rivestita da lastre fittili
Malgrado diversi rinvenimenti archeologici
manca una documentazione scientifica sugli altari presenti nei santuari
indigeni della Sicilia arcaica. Strutture adoperate nei rituali.
Nell’area
sacra di Monte Saraceno (Ravanusa) è presente un sacello, datato alla seconda
metà del VI secolo a.C., che presenta nel centro del vano una struttura (bassa
e dalla pianta quasi quadrangolare (circa 1 metro per lato), rivestita da
piccole pietre ed argilla. La struttura presenta una lastra fittile, priva di
listello, che forse aveva una funzione di rivestimento.
Monte Saraceno
(Ravanusa)
Un
confronto si potrebbe avere con il Santuario di Gravisca, presso Tarquinia.
Qui
fu rinvenuta una cista costruita con tegole fittili poggiate per il taglio e
destinata a contenere un deposito votivo.
Esempio di cista.
Il
confronto con il sito di Monte Saraceno
non fu considerato appropriato dato che il contesto culturale con il
Mendolito sarebbe differente.
Il
confronto con il Monte Saraceno potrebbe invece avere una sua validità
considerando la lastra non come copertura di un altare ma come supporto in
muratura per offerte o dediche.
Un’ipotesi
suggestiva dato che creerebbe un rapporto tra il supporto e l’iscrizione.
Potrebbe
essere anche una lastra collocata su una parte dell’edificio e quindi non come
elemento di copertura ma come rivestimento parietale.
Un
esempio di utilizzazione delle tegole legato al tempio di A di Himera.
https://virtualplus.regione.sicilia.it/multimedia/?idsito=5/&idpoi=2/
Il
tempio presentava una copertura di tegole in cotto e alla base del muro, era
presente un rivestimento di tegole
fittili. Il paramento esterno presentava su tre lati una fascia di solenes
(con i bordi rialzati) fittili (0,80 x 0,48)m, ciascuno disposto per coltello,
con la funzione di ‘fascia battiacqua’ per salvaguardare l’elevato in mattoni
crudi e ridurre i danni provocati dall’infiltrazione di acqua piovana. Si
trattava di vere e proprie tegole, come indica la presenza dell’incavo
rettangolare sul bordo interno, e non di lastre di forma differente.
solenes
Questo
spiega sia il diverso utilizzo delle tegole
sia una certa influenza dal Peloponneso attraverso la mediazione delle
colonie greche.
La
tecnica di rivestimento adottata nel tempio imerese sarebbe il primo esempio
nell’isola dell’impiego di lastre piane
a listello, del tutto simili alle tegole del tetto, come elemento edilizio
autonomo, integrandosi in un sistema costruttivo che prevedeva uno zoccolo
litico su cui si elevava una parte in mattoni crudi.
(
L’ipotesi che nel centro del Mendolito le strutture di epoca arcaica fossero
costruite con uno zoccolo in pietrame che supportava un elevato in mattoni
crudi trova un prezioso elemento di sostegno nell’evidenza del vicino abitato
indigeno di Monte Castellacelo di Paternò, dove tale tecnica edilizia è
documentata fin dal VII sec. a.C.).
Π
considerevole spessore delle lastre e la disposizione delle iscrizioni su un
supporto, che necessariamente doveva essere posto per coltello, trovano una
propria coerenza nella proposta di interpretare questi manufatti come parti del
rivestimento di un edificio, solo in tal
modo le iscrizioni sarebbero risultate visibili e leggibili.
In
merito alle iscrizioni, furono tracciate al momento della fabbricazione e
quindi prodotte nell’officina del figulo (vasaio). Si tratta quindi di
manufatti creati per un preciso scopo.
La
letteratura sull’organizzazione delle fabbriche di laterizi nelle colonie
greche è molto scarsa. I dati riferiti alla Grecia continentale dimostrerebbero
come fosse costosa la produzione di tegole.
La
realizzazione di una tegola per il santuario di Istmia (sull’istmo di Corinto e
dedicato a Poseidone), del peso e delle dimensioni di quelle del Mendolito,
tenendo conto dell’intero ciclo di produzione (preparazione, essiccamento, eventuale
decorazione, cottura) avrebbe richiesto tre o quattro giorni di lavoro. Come indica la documentazione sul mondo
italico, le iscrizioni, sia quelle interpretate come marchi di fabbrica che
quelle dedicatorie, venivano tracciate al momento di essiccamento dell’argilla,
prima della cottura.
L’iscrizione,
per la sua posizione sulla faccia a
vista della lastra, doveva avere una sua importanza legata al manufatto sul
quale era posizionata.
Poteva
essere un edificio pubblico e in questo caso avrebbe espresso il nome e il gentilizio della persona da ricordare
oppure anche il nome del fabbricante delle lastre. Questa formula era molto
frequente in epoca classica ed ellenistica ma molto rara nella Sicilia arcaica.
Uno
dei pochi casi si ritrova in un’antefissa delle necropoli di Rifriscolaro di
Camerina.
Necropoli di
Rifriscolaro (Camerina – Ragusa)
In
un’antefissa era presente il nome “Oiopos”, cioè il fabbricante delle lastre.
Anche in questo caso i caratteri dell’iscrizione rimandano al mondo corinzio e
quindi estraneo all’ambiente indigeno.
In Grecia la consuetudine di scrivere su
terrecotte architettoniche era molto comune. Venivano impressi i nomi anche di
personaggi mitici o anche singole lettere e numeri che richiamavano le
divinità.
Un rituale comune nella Sicilia greca con l’uso di segni e numerali per agevolare la
messa in opera del rivestimento fittile come a Selinunte, Gela e Siracusa ma
mai in ambiente indigeno.
Se
l’uso di apporre lettere o brevi iscrizioni sulle lastre di rivestimento di
edifici pubblici in Sicilia rimane un fatto isolato e limitato ai centri greci,
diverso è il significato da attribuire alle due iscrizioni del Mendolito che
invece appartengono ad un contesto indigeno, anche se fortemente permeato di
influenze culturali provenienti dal vicino mondo calcidese di Katane.
Nell’iscrizione
PIO 576,
Siracusa, Museo
Archeologico Regionale.
Tegole fittili con iscrizione dal Mendolito di Adrano:
Lastra PID 516.
Lastra PID 516.
scomponendo
il testo in
dohit im rukes
hazsuies,
si
avrebbe forse la formula arcaica che codifica il ruolo del possessore nelle due
possibili varianti:
“dà questo Ruke
Hazsuies”, oppure “dono di Ruke Hazsuie”.
Le
due iscrizioni del Mendolito sarebbero da collegare con un dono.
Siracusa, Museo Archeologico
Regionale.
Tegole fittili con iscrizione dal Mendolito di Adrano:
Lastra PID 577;
Lastra PID 577;
Le
epigrafi furono quindi apposte su
elementi architettonici del rivestimento fittile e si differenziano da altre
categorie testuali di tipo occasionale che riutilizzavano laterizi in giacitura
non primaria.
Il
mondo etrusco-italico della fine del VI secolo ci fornisce preziosi esempi
sull’uso di apporre nomi personali o di divinità sul rivestimento fittile di
edifici pubblici e le complesse iscrizioni del Mendolito restano un caso
isolato e privo di confronti nell’ambito siceliota. Accettando l’ipotesi che le
lastre facessero parte del rivestimento esterno di un edificio, verosimilmente
un tempio, allora sarebbe lecito attendersi non tanto il nome del fabbricante,
quanto quello di personaggi connessi alla natura stessa dell’edificio.
V.
Pisani nella sua ricerca affermò come le iscrizioni fossero delle dediche
votive di magistrati ad una figura divina.
Magistrati che erano a capo di una importante struttura militare, a presidio della Porta Sud del Mendolito, e che in alcuni casi commissionavano, facendo proprio l’onere finanziario, la manifattura di tegole destinate alla copertura di edifici pubblici.
I testi epigrafici del Mendolito potrebbero essere quindi iscrizioni dal valore politico. I nomi
personali seguiti dal gentilizio, pertanto, andrebbero interpretati come quelli di magistrati o di membri di una specifica struttura cittadina.
La ricostruzione del contesto di provenienza delle tegole con iscrizioni e la loro sicura pertinenza all’ambito urbano e non funerario, come erroneamente suggeriva la tradizione storiografica, offrono nuovi e sorprendenti indizi per tentare una prima valutazione dell’anonimo centro del Mendolito nel quadro delle forme di contatto tra comunità indigene e mondo greco coloniale. Nel settore meridionale della città doveva essere presente un importante zona di interesse pubblico. Gli elementi architettonici, tra cui capitelli a volute e parti di colonne scanalate segnalati nella proprietà Sanfilippo, erano certamente in rapporto con edifici di una certa complessità planimetrica e di apparato, che lascerebbero intravedere una possibile influenza calcidese, forse mutuata attraverso la vicina Katane. Anche la pertinenza a questo sito del cippo con iscrizione menzionato in
precedenza, di cui si sono privilegiati per lo più gli aspetti epigrafico-linguistici, mentre la sua precisa localizzazione non ha avuto il dovuto rilievo, è un fatto di una certa rilevanza in termini di strutturazione urbana, dal momento che offre un ulteriore dato in direzione della configurazione di questo settore della città come sede di attività politico istituzionali e forse anche religiose.
Un altro aspetto sovente ignorato è il fatto che a meno di m. 150 a nord-ovest della proprietà Sanfilippo, lungo l’asse che si diparte verso nord dalla porta urbica in cui è collocata la nota iscrizione, si estende il fondo Ciadamidaro, dove nel 1908 venne scoperto il copioso deposito di bronzi. Nell’area fu anche rinvenuto una testa fittile di cavallo che probabilmente faceva parte di un acroterio fittile.
(L’acroterio è un elemento architettonico, decorato o figurato, che corona il vertice e gli angoli del frontone nei templi antichi).
L’Orsi annotò
nei suoi taccuini come il ripostiglio era in relazione con un complesso di
abitazioni di epoca arcaica, con pavimento in stucco rosso e copertura con
rivestimento fittile di tipo greco. Non si conosce la natura e lo schema planimetrico
delle strutture, ma il rinvenimento nella stessa area di un capitello a volute
ioniche in trachite e di una antefissa a protome leonina suggerì di collocare
in questo punto un sacello. Infatti, come annotò R. Μ. Albanese Procelli,
l’antefissa si inserisce in una tradizione coroplastica maturata nei centri calcidesi,
come Naxos e Zancle, e destinata a costituire uno degli elementi più
significativi del sistema di rivestimento fittile di edifici sacri nel tardo
arcaismo.
Poco a nord del fondo Ciadamidaro si estende una bassa altura che sembra prestarsi alla funzione di acropoli del centro. Sulla sommità di essa P. Orsi annotò la presenza di un certo numero di elementi architettonici in pietra lavica, tra cui basi di colonne a sezione prismatica e capitelli «come quelli della proprietà Sanfilippo». All’interno di questo specifico contesto topografico dovrebbero essere interpretate le lastre con iscrizioni PID 576-577: anche se non si è in grado di stabilire con sicurezza la loro pertinenza ad un edificio templare, oppure ad una base per offerte. In ogni caso le due tegole dovrebbero rientrare all’interno di quel vasto ed articolato complesso di elementi che qualificano il settore a ridosso della porta urbica meridionale come il più importante polo istituzionale e religioso dell’anonima comunità del Mendolito.
Massimo Cu l t r a r o
Magistrati che erano a capo di una importante struttura militare, a presidio della Porta Sud del Mendolito, e che in alcuni casi commissionavano, facendo proprio l’onere finanziario, la manifattura di tegole destinate alla copertura di edifici pubblici.
I testi epigrafici del Mendolito potrebbero essere quindi iscrizioni dal valore politico. I nomi
personali seguiti dal gentilizio, pertanto, andrebbero interpretati come quelli di magistrati o di membri di una specifica struttura cittadina.
La ricostruzione del contesto di provenienza delle tegole con iscrizioni e la loro sicura pertinenza all’ambito urbano e non funerario, come erroneamente suggeriva la tradizione storiografica, offrono nuovi e sorprendenti indizi per tentare una prima valutazione dell’anonimo centro del Mendolito nel quadro delle forme di contatto tra comunità indigene e mondo greco coloniale. Nel settore meridionale della città doveva essere presente un importante zona di interesse pubblico. Gli elementi architettonici, tra cui capitelli a volute e parti di colonne scanalate segnalati nella proprietà Sanfilippo, erano certamente in rapporto con edifici di una certa complessità planimetrica e di apparato, che lascerebbero intravedere una possibile influenza calcidese, forse mutuata attraverso la vicina Katane. Anche la pertinenza a questo sito del cippo con iscrizione menzionato in
precedenza, di cui si sono privilegiati per lo più gli aspetti epigrafico-linguistici, mentre la sua precisa localizzazione non ha avuto il dovuto rilievo, è un fatto di una certa rilevanza in termini di strutturazione urbana, dal momento che offre un ulteriore dato in direzione della configurazione di questo settore della città come sede di attività politico istituzionali e forse anche religiose.
Un altro aspetto sovente ignorato è il fatto che a meno di m. 150 a nord-ovest della proprietà Sanfilippo, lungo l’asse che si diparte verso nord dalla porta urbica in cui è collocata la nota iscrizione, si estende il fondo Ciadamidaro, dove nel 1908 venne scoperto il copioso deposito di bronzi. Nell’area fu anche rinvenuto una testa fittile di cavallo che probabilmente faceva parte di un acroterio fittile.
(L’acroterio è un elemento architettonico, decorato o figurato, che corona il vertice e gli angoli del frontone nei templi antichi).
Poco a nord del fondo Ciadamidaro si estende una bassa altura che sembra prestarsi alla funzione di acropoli del centro. Sulla sommità di essa P. Orsi annotò la presenza di un certo numero di elementi architettonici in pietra lavica, tra cui basi di colonne a sezione prismatica e capitelli «come quelli della proprietà Sanfilippo». All’interno di questo specifico contesto topografico dovrebbero essere interpretate le lastre con iscrizioni PID 576-577: anche se non si è in grado di stabilire con sicurezza la loro pertinenza ad un edificio templare, oppure ad una base per offerte. In ogni caso le due tegole dovrebbero rientrare all’interno di quel vasto ed articolato complesso di elementi che qualificano il settore a ridosso della porta urbica meridionale come il più importante polo istituzionale e religioso dell’anonima comunità del Mendolito.
Massimo Cu l t r a r o
Epigrafe apposta
su un tegolo funebre rinvenuto in territorio di Adrano
DVIHTIMIRUKESHAISHUIARESESANIRESBE (.lacuna)
Si propone la seguente suddivisione:
-
DV tu
-
IHITI
chiamare
-
MI
me
-
RUKE
mistero, segreto, silenzio
-
SHAI
cercare; in tedesco “suchen” significa cercare, ricercare, andare in cerca,
fare ricerca.
-
RESESANIRES
viaggio nel regno del sole; in tedesco “reisen” significa viaggiare e vi
sono molte parole composte con questo lessema: Reise'sack, sacca da viaggio;
Reise'wagen, carrozza da viaggio.
-
BE.
forse il nome del deffnto
Probabile
traduzione:
MI CHIAMASTI A PARTECIPARE DEL MISTERO
(dell'aldilà). INTRAPRENDI ORA IL TUO VIAGGIO VERSO IL SOLE, BER. (nome del
defunto).
……………………..
Altra epigrafe
DOEITIPHAKEBEZELNIPEZB.
-
DO:
tu
-
EITI:
chiamato, nell'accezione di invocare
-
PHAKE:
nome del defunto
-
BEZEL:
enumerare
-
NIPEZB:
grado parenterale del defunto con coloro che gli hanno dedicato l'epitaffio
TU (morte) HAI CHIAMATO PHAKE, NOSTRO
CONGIUNTO E LO HAI AGGIUNTO (enumerato) AL NUMERO (dei morti).
Si
sottolinea che la simbologia sicana, incisa su numerosi manufatti, di cui il
territorio del Mendolito è cosparso, dalla spirale alla ruota del sole, dal
sole alle croci potenziate, è perfettamente in sintonia con il concetto
dell'aldilà espresso nelle epigrafi funebri.
La
traduzione delle epigrafi, al di là delle ipotetiche interpretazioni, dovrebbe
stimolare la nascita di un centro studi
telematico sulla lingua sicana.
Francesco
Branchina
....................................
Le Iscrizioni Perdute
Nel territorio di Adrano
furono recuperate numerose iscrizioni greco-romane ma di queste sono rimaste
solo un esiguo numero perché molte sono andare perdute (riconosciute solo
attraverso antichi testi) o si trovano in altri musei anche all’estero.
Non tutte provengono
propriamente da Adrano ( l’antica Άδρανόν - Hadranum) ma anche dall’area
del Mendolito e dal territorio della Valle del Simeto.
I testi epigrafici
sarebbero tutti in greco tranne uno e cronologicamente sarebbero da collocare
al periodo ellenistico e romano.
L’unica iscrizione
latina proviene da Adrano ma è molto
danneggiata e quindi non facile da interpretare. La traduzione
mostrerebbe la prova dello stato municipale di Hadranum nel periodo
romano imperiale.
Quattro iscrizioni
sarebbero funebri, databili al periodo ellenistico, e di pertinenza degli
antichi cimiteri di Adrano posti in contrada Difesa e della Chiesa di
Sant’Alfio.
Le due iscrizioni greche
trovate al Mendolito sarebbero di pertinenza della vecchia Adrano. Entrambe
sono di natura religiosa e di pertinenza di antichi santuari posti fuori le mura
della città.
Entrambe le iscrizioni
sarebbero dedicate ad Eracleo o ad Adranos, importante divinità locale.
Altre due epigrafi
appartengono al periodo romano: l’epigrafe sopra la Fonte delle Favare (gia
menzionata nella ricerca) e una pietra vicina alla fonte dal significato oscuro
dell’area di Centuripe.
Iscrizione greca
funeraria dedicata a Aischylos figlio di Chryson
Rinvenimento: la
pietra proviene dalle rovine del sito
originario del tempio dedicato alla divinità locale Adranos.
Condizione del reperto:
Perduto. (lo stato di conservazione del reperto non fu riportato negli antichi
testi).
Datazione: IV – I secolo
a.C. (con un indice di incertezza)
<Α>ίσχύλος
Χρύσω<ν>ος
Secondo la traduzione di
Gualtherus la prima riga:
ΧΙΣΧΥΛΟΣ
la seconda riga:
ΧΡΥΣΩπΟΣ
La traduzione:
"Aischylos figlio di Chryson".
Il nome Aischylos è
attestato dieci volte in Sicilia e ben 250 altrove. Il nome Chryson è invece
molto raro. È l’unico proveniente dalla
Sicilia mentre è presente altre cinque volte fuori dell’Isola.
Frammento di iscrizione
greca (funeraria?)
Rinvenimento: Adrano.
Condizioni del reperto:
Perduto – materiale e forma sconosciuti,
Datazione: periodo
ellenistico.
l’epigrafe fu annoatata
indirettamente da castelli che ricevette il testo da Nicolaus Capretti.
Il testo dell’epigrafe.
Άρχε(- - -]
ί- - -]ας
Πολυς
La pietra probabilmente è
una stele funeraria.
Franz propose la seguente
lettura:
Αρχε[λtϊ] ας Πολυσ[τράτον] ο Πολυσ[Θένευς]
La traduzione:
dί Archelaίdas, figlίo dί Polystratos/Polysthenes.
Il nome Archelaides non è
attestato in Sicilia mentre Polystratos è presente in Sicilia una sola volta.
Il nome Polysthenes non è presente nella
Grecia occidentale e in Sicilia.
Ilcastello non indicò
alcuna perdita nel testo dopo la lettera finale.
Iscrizione greca funeraria
dedicata a Kallistratos
Rinvenimento: Adrano.
Dalle rovine del tempio della divinità locale Adranos. Georg Kabel (1849 –
1901) affermò che fu “scoperta di recente”.
Materiale: “Pietra Nera”.
Condizioni del reperto:
Perduto. Stato di conservazione e
dimensioni non riportate nei testi.
Datazione: Periodo
ellenistico
Κα<λλ>ίσ-
τρατος
Ράτορος
Gualtherus e il castello
riportarono la prima parola
ΚΑΜΙΣ
ma altri autori
successivamente apportarono delle correzioni alla prima parola sostituendo la
“M” con “ λλ “.
La traduzione:
Kallistrato, figlio di Rhator.
Il nome ‘Ράτωρ non è
attestato altrove, anche se in Sicilia si conoscono un paio di forme analoghe, `Ρατοράς
e `Ρατορώ.
Gli storici proposero l’ipotesi che non si era
in presenza di un nome proprio ma dell’appellativo
rhetor. Si ebbero così tante letture e interpretazioni.
Si avanzò anche l’ipotesi
che si trattasse del rethor attico Kallistratos, sepolto in Sicilia dopo la
condanna da parte degli ateniesi. Comunque Kallistratos è un nome comune in
Sicilia ed attestato anche al di fuori dell’Isola.
Iscrizione greca
funeraria(?) dedicata a Nikaios
Rinvenimento: Asrano.
Proveniente dal sito della divinità locale Adranos.
Georg Kaibel (1849 –
1901)riportò “scoperta di recente”.
Materia: “Pietra nera”.
Condizioni del Reperto:
Perduto. Stato di conservazione e dimensioni non riportate
Datazione: periodo
ellenistico
Νίκαιος
Traduzione:
"Nikaios".
Il nome è comune ma in
Sicilia è presente solo un altro esempio a Siracusa.
Dedica greca a Eracle
Rinvenimento: Area del
Mendolito
Materiale: frammento di
pietra lavica.
Condizizoni del reperto:
Perduto. Cornice superiore completa in alto, in basso e a destra. Cornice rotta
sul lato sinistro.
Dimensioni del reperto:
(45 x 25) cm.
Datazione: periodo ellenistico.
L’epigrafe fu menzionata
da Paolo Orsi come
Scritta a buone lettere
La pietra fu menzionata
per la prima volta da castelli nel 1769 sulla base di una descrizione di
Nicolaus Capretti.
L’Orsi riportò come la
pietra fu
Conservata a lungo incassata nel muro della chiesa del SS.
Cristo prima
di essere rimossa dall’avv. Sanfilippo per la sua collezione
di Adrano.
dove l’Orsi la studiò
affermando
si sa che proviene dal Mendolito.
L’Orsi non riportò la
fonte di questa affermazione.
Sulla provenienza della
pietra gli archeologi non furono concordi.
Il Libertini attribuì la
provenienza della pietra dal Mendolito insieme all’altare o base di colonna con
iscrizione (gia descritta nella ricerca); il Manganaro e l’Albanese dalla
contrada Polichello posta a Sud del Mendolito, facendo riferimento alle
affermazioni dell’Orsi.
L’Orsi distinse in modo
ben preciso la contrada Polichello dal Mendolito.
[---].Ι `Ηρακλεί
Trαduzione:
"[---] α Erαcle".
L’Orsi nella descrizione
dell’epigrafe riportò un’asta verticale a sinistra prima della “I”, dove la
pietra è rotta. Suggerì l’ipotesi
dell’asta obliqua di una “N” oche sia parte di una lettera precedente, in
questo caso di tratterebbe di una “A” o di una “Ʌ”.
Paolo Orsi – Particolare dell’inscrizione (1900)
Secondo l’Orsi potrebbe
trattarsi del nome dell’individuo dedicante.
Lo storico Kabel ipotizzò
come la pietra fosse incompleta anche nel lato destro e propose delle ricostruzioni alternative di un nome al
genitivo come ad esempio Hρακλεί[ου].
L’Orsi aggiunse che come
La forma della pietra che presenta una cornice lungo il lato
superiore sia
Compatibile con una stele/cippo oppure che sia parte di un
piccolo edificio.
Frammento di iscrizione
latina
Rinvenimento: Contrada
Mola (Adrano)- Trovata durante i lavori, eseguiti nel 1959, durante l’installazione
di un impianto di irrigazione.
Materia: Pietra calcarea
grigia, forse proveniente dalla sponda del Simeto nel suo tratto meridionale.
Condizioni del reperto:
rotto in tutti i lati. Parte del lato frontale e posteriore sono ancora
intatti.
Dimensioni: altezza max,
27 cm – larghezza max 19 cm – profondità max, 21 cm.
Datazione: periodo
imperiale romano. (II secolo d.C.?)
Un frammento irregolare
di pietra, rotto tutt'attorno, con solamente parti del lato frontale e
posteriore ancora intatte. La parte posteriore presenta una superficie
regolare, non liscia ma a scaglie. La parte frontale presenta resti di un
pannello incavato, con parte del margine sinistro preservato sul lato. La
superficie del pannello è lievemente ricurva, con la parte convessa lungo il
piano orizzontale, il che suggerirebbe che il blocco/monumento originale da cui
deriva il frammento fosse di forma cilindrica. Il pannello inscritto misura 11,5
cm in altezza al lato sinistro e la sua altezza massima preservata è di 14 cm,
la quale diminuisce fino a 9,5 cm al lato destro; la massima larghezza del
pannello è di 12 cm. L'iscrizione, 6 linee visibili, era incisa sul pannello
incavato. Si preserva parte del margine sinistro del testo, ma non si conosce
l'estensione completa del testo, che probabilmente continuava nella parte
superiore, a destra e in basso. Le lettere sono incise con un profondo taglio a
V e sono di forma squadrata regolare. Un unico esempio di legatura si trova
all'inizio della linea 2. Un insolito interpunto è usato alla linea 4 (i doppi
interpunti sono rari nella pratica epigrafica latina; seppur nessun interpunto
sia visibile tra la S e la P alla linea 4, non ci si aspetterebbe interpunti in
nessun'altra parte del testo, per cui è difficile speculare sulle ragione dell'utilizzo
del doppio interpunto in questo punto del testo). Le linee 4 e 5 vedono
entrambe l'utilizzo della lettera R sovrascritta per creare una forma di
abbreviazione sia della forma che della lettera propria, un uso altrimenti non
attestato; la R sovrascritta alla linea 4 si estende fino alla linea 3; la R
sovrascritta alla linea 5 si estende fino alla base della linea 4. Altezza dei
caratteri:
linea 1: incompleta;
linea 2: 21 mm;
linea 3: 23-25 mm;
linea 4: 25 mm;
linea 5: 26 mm (R
sovrascritta 17 mm);
linea 6: incompleta.
Spazio tra le righe:
linee 1-2: io mm;
linee 2-3: 7-9 mm;
linee 3-4:13 mm;
linee 4-5: 8 mm;
linee 5-6: lo mm.
A[---]
AEDEM[---
] CARE[---]
S(ua) P(ecunia) : DR :[---]
(vac.2) DR[---]
[..]+[---]
Il prof. Manganaro nel
1961 in una sua relazione sull’epigrafe affermò come nella linea 3
la quarta lettera è sicuramente i, mentre la lett. successiva
poteva essere n, in margine alla quale si sia verificata la rottura della
pietra.
Propose quindi la lettura
del nome “Carinus”.
Da una più attenta
analisi si rilevò come la lettera fosse abbastanza chiaramente una “E”. la
cattiva condizione della pietra, dovuta anche alla rottura ed anche alla
curvatura, rendevano illeggibile il
tratto superiore e centrale della “E” illeggibili solo il tratto inferiore era
molto chiaro.
Le tracce che, su
suggerimento del Manganaro, sarebbero compatibili con una N alla fine della
stessa riga sembrarono piuttosto appartenere ad una lettera R in posizione
sovrascritta dopo la lettera D alla linea 4, come visibile chiaramente alla
fine della linea 5.
Nella linea 6 lo stesso
Manganaro non riportò commenti a proposito delle tracce di una o più lettere
visibili sotto la linea 5. Le tracce rimanenti furono attribuite alla lettera
“M” o “N”.
Il testo dell’epigrafe
farebbe riferimento ad un tempio o a una teca (aedes) e all’avvenimento che
qualcosa fu fatto a spese di qualcuno ( sua pecunia), onorato nel teso o
committente del testo stesso.
Sarebbe quindi un atto di
costruzione o una beneficenza all’origine della costruzione, riparazione, o
decorazione dell’aedes.
Il frammento, data la sua
particola forma ricurva, dov’era inserito?
Il Manganaro propose
l’ipotesi che si potesse trattare di un pezzo di un altare cilindrico. Furono
formulate altre ipotesi come parte di un piedistallo statuario o di parte di un monumento in rilievo.
Nella linea 3 è presente
il termine “care”, sono rare le parole che cominciano con questo termine, da
collegare al termine
della linea precedente come ad esempio “aedificare”.
Non si conoscono esempi
comparabile alla forma DR. Data la sua posizione nel testo, verosimilmente
verso la fine e separato dall'interpunto, è ragionevole interpretarla come una
rara forma abbreviativa del comune D(ecreto) D(ecurionum), ossia
D(ec) r(eto) D(ecu)r(ionum)
Trattandosi di una forma
abbreviativa rara di per sé e dal momento che nulla sembra suggerire che più
mani abbiano inciso il testo, non c'è alcun motivo di ritenere che le lettere
siano state aggiunte posteriormente come
suggerì il Manganaro.
Se le lettere DR DR
significano decreto decurionum, allora il testo in questione potrebbe, non
senza qualche riserva, indicare che lo stato di Hadranum nel periodo imperiale
fosse quello di municipium latino. Questa sarebbe l'unica iscrizione latina
attestata nell'antico centro di Adranum.
Pietra di Confine
Iscritta
Rinvenimento: Territorio
di Centuripe (En) – Contada Cavalera - Fondo Canellieri – Nicolò Reina.
Acquisita nel 1975.
Materiale: pietra
vulcanica grigia, con superficie bucherellata.
Condizioni del Reperto:
Intatta, con parziale disgregazione della superficie.
Dimensioni: Altezza max,
86 cm - lato inscritto, 81 cm –
larghezza della base, 46 cm – larghezza del lato superiore, 36 cm – profondità,
25,5 cm.
Datazione: dal periodo
ellenistico in poi. La pietra fu proposta come una delle molte pietre di
confine territoriale della Chiesa. Pietre attestate, quindi presenti, nel
territorio catanese (la parola “KAT” sarebbe il sinonimo di Catania). In questo
caso la datazione potrebbe essere del V secolo d.C.
Numero Inventario: 480
Si tratta di un grande
cippo rettangolare, lievemente smussato, con tre grandi tratti di lettere nella
parte superiore del lato più largo. L’area inscritta è di circa (altezza, 36 cm x larhezza, 30 cm).
La prima
linea del testo è meno chiara, in particolare attorno al margine superiore e
quello destro. Una linea continua orizzontale separa la linea 1 dalla linea 2.
Le lettere sono intagliate a grandi tratti arrotondati (in parte a causa di
agenti atmosferici) e hanno forma regolare. Le linee diagonali della lettera K
non raggiungono il livello superiore e inferiore del tratto verticale; le linee
della E sono tutte della stessa lunghezza; la lettera A ha un tratto spezzato.
Il testo è in latino o in un misto di latino e greco, vista la presenza di una
L alla linea 2.
Altezza
dei caratteri: linea 1: 12-13 cm; linea 2: 10-11 cm; linea 3: 10 cm.
Spazio
tra le righe: linee 1-2: 3-4 cm; linee 2-3: 1-3c m.
Linea i:
la terza lettera della linea i è incerta; è di dimensioni ridotte rispetto alle
altre lettere, e le tracce alla sua cima sono compatibili con la X proposta da
vari editori. Non credo vi sia motivo di leggere la lettera finale come un W
come riportò il MANGANARO 1994, p. 173; la lettera finisce ad un margine della
pietra e non è chiusa.
Linee 2-3: il testo è
completamente chiaro, senonché non corrisponde a nessuna delle edizioni
precedenti. La lettera finale della linea 2 si unisce alla linea orizzontale
superiore; e la lettera finale della linea 3 è danneggiata in alto a destra;
sono tuttavia entrambe visibili sotto luci diverse.
Il testo fu riportato
originariamente da Gualtherus, 1624, p. 5o nr. 332 .
In scopulo pietra di pecunia nuncupato. cis flumen Magnum.
MM. passibus ab Hadrano
TPXC
EKI
ICMI
Il Castelli riportò il
testo con:
TPXC
EKI
ICMT
E infine il Manganaro
con:
TPXW
EKO
KATC
Il prof. Manganaro avanzò
l’ipotesi che si trattasse di una pietra limitrofa al cippo di confine, usando
l’iscrizione ellenistica di Halesa (Tusa). Una ipotesi legata alla sua lettura
del testo..
Τ(έ)ρ(μων) χώρου) έκ ό(ρίου) κάτω
Termine del fondo, a partire dal cippo di sotto.
Una ipotesi di lettura
che non fu accettata dagli storici perché la trascrizione delle lettere
necessita di correzioni.
Lo stesso Manganaro,
nella sua interpretazione del testo, segnalò l’esistenza di testi simili a
quello di Centuripe. Gli storici risposero che si basava su una lettura non
corretta dell’epigrafe.
Il Gualtherus nel 1624
affermò un paio di epigrafi trascritti in cippi di confine posti nel territorio
di Catania ed oggi perduti..
Padre Antonio Ferrua,
famoso epigrafista ed archeologo, nel 1989 basandosi su antichi testi, riportò
che le epigrafi menzionate dal Gualtherius e rirese dal Manganaro, erano tre
pietre di confine
diverse, non collegate tra di loro e provenienti dal
territorio di Paternò, frazione Sterri.
Ogni cippo era costituito
da
Colonna quadrata di lava.
All’inizio avanzò
l’ipotesi che i tre cippi
Fossero tutti appartenenti alla stessa pietra.
Successivamente affermò
che ogni cippo era a sé stante.
In merito alla lettura
delle epigrafi:
-
Il
primo cippo conteneva un’epigrafe in entrambi i lati:
-
Il
secondo cippo riportava….
ECL
KAT
-
Il
terzo cippo…
+
ECL KAT NVA
Anche lo storico ed
archeologo Biagio Pace di Comiso (Ragusa) intervenne nell’interpretazione di
queste epigrafi di Paternò. Il Ferrua e il Pace inserirono i cippi nel contesto
dei territori della prima
Chiesa in Sicilia.
Entrambi interpretarono il termine
ECL
come “Ecclesia”
e il termine
KAT
Come Katinensis
Un aspetto deve fare
riflettere ed è legato alla presenza della stessa frase
ECL KAT oppure EKL KAT
E ancora, considerando il
reperto di Centuripe esposto nel Museo di Adrano, le lettere
EKL
che riportano una linea
superiore di cui non si conosce il significato (forse un segno di abbreviazione
o una separazione dalla linea precedente?).
La lingua dell’iscrizione
non è chiara. Non è chiara perché l’uso della “K” è normale nel greco ma la
lettera “L” si trova nella forma latina.
L’uso di alfabeti misti
fu molto comune in Sicilia e quindi la lettura della linea 1, proposta dal
prof.
………………………
Altri file:
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Adrano: Il Museo
all’aperto per riscoprire la propria identità, i propri valori culturali e riflettere sul
linguaggio dell’ambiente.
Adrano: Il Museo
all’aperto per riscoprire la propria identità, i propri valori culturali e riflettere sul
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