Enciclopedia delle Donne - XV Capitolo – Rita Montagnana e il figlio Aldo Togliatti

 



All’inizio del Novecento Torino era la capitale della moda. Una notorietà legata all’eccellenza delle sue attività artigianali e manifatturiere.
Dopo la consacrazione all’Esposizione del 1911, Torino resterà fino alla seconda Guerra Mondiale la sede di una produzione che fu una delle componenti più rilevanti, ancora poco studiate, nel panorama del mondo del lavoro e della realtà economica e commerciale della città. Si trattò di un fenomeno di eccezionale qualità professionale più che di una creatività specifica, che veniva dichiaratamente lasciata a Parigi, leader universale della moda femminile.


“lo studio assiduo del mondo addetto alla preparazione degli oggetti di moda: gran sarti, modiste, pellicciai.., per rivaleggiare con Londra, Parigi; è un'ambizione magnifica che spinge a sacrifici grandi, e dà al commercio una bella e lucida impronta di professionale dignità”.


Le grandi case di moda, come De Gaspari, Rosa e Patriarca, Isnardon, Re-Chiantore che si fregiavano del titolo di “Fornitore della Real Casa”, organizzavano sfilate nelle città italiane, con propri corrispondenti sul luogo, imitando il sistema commerciale delle ditte parigine, che a loro volta avevano a Torino i loro corrispondenti e le sedi per le sfilate. La loro importanza fece sì che si giudicasse essenziale in Italia, per le apprendiste sarte, aver fatto un periodo di pratica e apprendistato in un atelier torinese per essere assunti in una sartoria .
Torino mantenne ancora negli anni Venti il suo ruolo prestigioso, e mentre la vocazione della città alla modernità si andava costruendo in vari campi, dall'industria alla vita culturale e artistica, le sartorie torinesi conservarono la loro importanza e la capacità di adattare creativamente le grandi novità che stavano rivoluzionando l'abito femminile.
Proposte innovative vennero anche da una nuova cornice espositiva. All'Esposizione del 1928 il Padiglione delle Feste e della Moda, ideato secondo i principi del razionalismo architettonico da Levi Montalcini e Pagano, ospitò vecchie e nuove case torinesi come Rosa e Patriarca, Garda e Bounous, Franco, Gori, Mary Mattè, le Sorelle Gambino.

https://www.atlanteditorino.it/monografie/esposizioni/e/content/PalazzodellaModaValentino_large.html

All’Esposizione di Torino, padiglione alla “Meiveilleuse”,

La Storia della Moda negli anni ‘20

https://www.youtube.com/watch?v=_14Vw9HIF7A

Nella sartoria Sacerdote lavorò Rita Montagnana, della famiglia ebraica Montagnana di Mondovì.
Rita era figlia di Moise Montagnana di Fossano e di Consolina Segre di Saluzzo. Una famiglia numerosa con nove figli/e (compresa Rita), tutti nati nel quartiere San Paolo di Torino e vissuti in un periodo tra ebraismo, socialismo e comunismo.
Gemma, Bianca (morta da bambina), Lidia, Clelia, Rita, Mario, Elena e Massimo, nati fra il 1887 e il 1903, che furono ricordati nel libro “I Montagnana. Una famiglia ebraica piemontese e il movimento operaio (1914-1948)”
Un libro scritto da Giorgina Arian Levi, figlia di Gemma Montagnana, e
da Manfredo Montagnana, figlio di Massimo ed edito da “Giuntina”.
La Casa Editrice Giuntina nacque come settore editoriale dell’antica Tipografia Giuntina,
fondata a Firenze nel 1909 da un ebreo polacco, il celebre libraio antiquario ed editore Leo S. Olschki, che, da buon umanista, scelse per la sua tipografia un nome caro alla tradizione
tipografica fiorentina. “Giuntina”  era infatti una delle tante pregevoli edizioni dei
famosi tipografi-editori Giunta (o Giunti), attivi a Firenze, Venezia e Lione
fra i secoli XV e XVII. Importanti dal punto di vista storico furono le edizioni:
del Decamerone del 1527, detta “Ventisettana” e  quelle delle “Vite” del Vasari del 1568.
Una storia di tante diaspore, segnate dalle persecuzioni politiche e antisemite,
che nel tempo vedrà vari protagonisti di questa numerosa famiglia spostarsi rispettivamente
in Unione Sovietica  e in Francia, in Messico, in America Latina, in Australia.

Rita  Montagnana nacque, il 6 gennaio 1895.  in una modesta casetta, di due soli piani fuori terra, in via Monginevro n. 68, nel cuore di Borgo San Paolo. Borgo San Paolo era allora un quartiere operaio di Torino con una forte e radicata ideologia comunista.



In quel quartiere e in quella cultura la grande famiglia ebraica e socialista dei Montagnana era fortemente radicata.
Moise Montagnana, figlio di un macellatore rituale, era direttore della sartoria ebraica Bellom, che riforniva la famiglia reale Savoia. La madre, Consolina Segre, era figlia di un orafo ebreo molto osservante.
Anche la figlia Rita Montagnana era del settore perché lavorava come sarta nella sartoria Sacerdote.
Dopo la morte prematura di Moise, la famiglia avrebbe potuto continuare a vivere «quasi agiatamente», come testimoniò il figlio Mario, che diventò giornalista e direttore del quotidiano “L’Unità”.
Moisé aveva  però voluto che i suoi figli e figlie imparassero un mestiere manuale, e così a 14 anni Rita iniziò a lavorare nello stesso settore del padre, presso la sartoria Sacerdote di Torino. In seguito, si sarebbe sempre qualificata come “artigiana”. 

Rita Montagnana

Fin da giovanissima si dedicò con grande intraprendenza all’attività politica ed alle lotte sindacali.
Era molto giovane ma l’educazione che le avevano dato l’aveva resa ben consapevole dei propri diritti, così partecipò ai grandi scioperi delle sarte torinesi nel 1909 e 1911.
Le sarte torinesi, dette “Caterinette” perché la loro protettrice era Santa Caterina d’Alessandria.
Passavano sotto i portici di via Po e nel loro procedere svelto portavano una ventata di allegria.

Torino – Portici di via Po

I Portici di Torino

Le sartine civettavano  con soldati e studenti della vicina Università, parlavano animosamente tra di loro e accompagnavano i loro discorsi con il sorriso e la spensieratezza della gioventù.
Nei loro cuori erano presenti sempre le dure condizioni di lavoro a cui erano sottoposte senza contratti di lavoro. Lavoravano nelle sartorie per  ottenere piccoli guadagni e al cospetto della "signora" molto severa ed esigente nell’esecuzione dei lavori.
Una moda in continua evoluzione con l’ultimo modello della gonna schiacciata sulla parte anteriore e che sviluppava una certa ampiezza sul di dietro, spesso con un piccolo strascico.
L’eleganza era diventata un modello fondamentale per l’affermazione della propria posizione sociale non solo nei ceti più elevati ma anche nella borghesia.
C’era l’affermazione del famoso tailleur, un abito pratico e necessario nel guardaroba delle signore eleganti.
Tutte questi modelli richiedevano cura, attenzione nella loro creazione da parte delle sarte anche perché i tessuti erano molto preziosi come il Crepe de chine, la mussola di seta, il tulle e lo chif fon.


Nel 1905 era nata la rivista “Donna”, un quindicinale de “La Stampa” che aveva la sua redazione in via Robilant e diretto da Nino Caimi.

Torino . Via /Piazza Robilant



Copertina della rivista dell’1 gennaio 1905

Redazione ed amministrazione de “La Donna”

Torino – Via Davide Bertolotti (?)

La rivista pubblicava le nuove tendenze della moda, le interviste  con giudizi sui nuovi stili di moda
e inchieste sulla “nuova moda dei calzoni”. Nel 1910 propose la realizzazione di un padiglione della Moda all’Esposizione Internazionale del Lavoro del 1911 a Torino.
Il progetto fu realizzato e nel  padiglione al Valentino ci fu la ricostruzione della “vita di una famiglia agiata” con manichini di cera mentre le sartine torinesi esposero
piccoli mannequins vestiti nel costume delle diverse epoche, secondo le mode…
…… dal 1 1870 all’ora presente
Il 1911 fu anche l’anno del grande sciopero delle sarte di Torno.
Il primo sciopero si svolse nel 1883 e  gli orari e le condizioni di lavoro non mutarono nel corso inesorabile del tempo dato che sentirono il bisogno di riunirsi in assemblea e proclamare lo sciopero il 3 giugno 1911.
I punti essenziali  delle richieste erano:
-        Orario giornaliero di 8 ore;
-        Abolizione del lavoro a cottimo;
-        Multe devolute per metà a una cassa di mutuo soccorso per le malattie, l’altra metà agli indennizzi per i lavori involontariamente guastati,
-        Gli altri punti riguardavano l’invocazione di norme prescritte dalla legge sul lavoro delle donne e dei  fanciulli,
Durante le dimostrazioni di protesta,  in molti laboratori le sartine vennero chiuse a chiave dai padroni  per evitare che le lavoranti potessero raggiungere le dimostranti per unirsi a loro.
Lo scioperò durò ben otto giorni e si concluse alla fine con un accordo in cui i punti salienti furono:
-        Orario normale di lavoro 10 ore (massimo 12 ore);
-        La voro a cottimo non obbligatorio e assegnato solo a chi lo avesse richiesto;
-        Straordinario che poteva raggiungere le  5 ore al massimo per settimana;
-        Riconoscimento di diritto al riposo domenicale di 36 ore;
-        Corresponsione della paga entro il 5 del mese successivo;
-        Responsabilità delle lavoranti nei lavori affidati ed eventualmente sciupati

Torino, 1911 . Festa delle Sartine
(dal Libro: Aghi e Cuori , di Maria Bellocchio).

 Torino nel 1911 presentava 798 laboratori di sartoria con un impiego di 4924 operaie con un’età compresa fra i dodici e i ventisette anni.
Erano le sartine di Guido Gozzano, di Cesare Pavese,.. erano donne dalla vita faticosa, mal compensata che spesso portava a malattie dopo un lampo di speranza legata al lavoro.
Solo nel 1943 avranno un regolare contratto di lavoro …

Le soffitte dei pittori e gli atelier di moda
Di Cesare Pavese
 
Saliva tutti i giorni allo studio del pittore.
Poche ore, ché il suo lavoro non le lasciava altro tempo. Una sartina.
L’artista le aveva spiegato a lungo quel che sognava di creare. Un quadro in tre
parti…[…]
Entrava nella casa del pittore come in un altro mondo. Un’atmosfera di sogno, un
po’ fantastica. Le belle camere nitide, segrete.
Qualche fiore, qualche cuscino, dai colori belli, e tanti tanti quadri che però non
riempivano, non rompevano, quelle linee pure, studiate con arte, ma vivevano ognuno
nella sua vita, appartati e completati dalle armonie semplici coi mobili, colle pareti,
nelle poche camere richiuse.
E, nello studio, una gran luce, per la gran vetrata.
Ella entrava e il pittore l’accoglieva con un sorriso lento e parole pacate. Un uomo
pallido, nel camicione da lavoro, in mezzo a un caos di strumenti e di materia. Pennelli,
colori, tavole, tele, cavalletti, tutto in disordine, quasi elementi, da cui la sua mano
esperta dovesse strappare e esprimere la vita.

La Sarta
Don Pompeo Mongiello
Una volta,
quella solita volta,
c'era anche una donna,
di energia tanta ne aveva
da tutte le parti spruzzar doveva;
un pezzo di gabardine
come convenir tagliato era,
e poi i pezzi, di codesta stoffa,
con l'imbastitura insieme messi furono;
alla definitiva cucitura,
con una macchina per cucire a pedali,
la prova s'aspettava,
e l'unica essere si sperava.
E quando al fin,
dopo le piccole ore della notte fatto aver,
il tailleur completato fu,
non altro s'aspettava delle ultime rifiniture fare,
e le imbastiture ed ultimi fili superflui estraniare;
e come ultimo tocco della gran maestra
un colpo di ferro da stiro dare.

1919-20 - Torino – Sartine
https://www.facebook.com/TorinoPiemonteVintage
La storia della moda italiana fondò le sue radici nella città di Torino con il decreto legge del 31 ottobre 1935 che sancì la nascita dell’Ente Nazionale della Moda per controllare l’influenza che i vestiti potevano avere sulla demografia, nell’incentivare ideologie di massa. Un Ente di controllo dell’industria tessile voleva dire, in quel tempo, affermare quanto già istituito nel 1932 ovvero che Torino era la Capitale della Moda Italiana.

Rita Montagnana nel 1911, appena sedicenne s’iscrisse alla  Camera del Lavoro e nel 1914 diventò segretaria del circolo femminile “La Difesa” e nel 1915 (ventenne) prese la tessera del PSI (Partito Socialista Italiano).  Durante la guerra fu assunta come impiegata prima alla Banca Commerciale e poi all’Alleanza Cooperativa Torinese.
Particolarmente attiva nei moti torinesi per il pane nel 1917 e nello stesso anno fu eletta nel comitato regionale femminile  e nella commissione esecutiva della sezione socialista di Borgo San Paolo. Nel 1919 era a capo anche del movimento dei Consigli operai e all’occupazione delle fabbriche.
Rita Montagnana partecipò al XVII Congresso del Partito Socialista che si tenne a Livorno, dal 15 al 21 gennaio 1921 nel
Teatro Carlo Goldoni


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Nel Congresso di Livorno ci fu la prima  scissione della sinistra in Italia.
Una spaccatura del Partito Socialista su una precisa richiesta di Vladimir Ilʹič Lenin.
 Nel 1917 ci fu la “Grande Rivoluzione Russa” che portò al rovesciamento dell’Impero Russo e alla formazione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, l’11 novembre 1918 finì la Prima Guerra Mondiale e  il 23 marzo 1919 a Milano furono fondati i fasci di combattimento da parte di Benito Mussolini.
La società italiana, all’uscita da una tragica guerra,  presentava aspri conflitti che coinvolgevano diverse categorie: i lavoratori delle fabbriche e delle campagne, gli industriali, i proprietari terrieri e il ceto politico liberale che veniva criticato da più parti.
I contrasti politici erano legati alla crescente influenza del Partito Socialista che aveva raggiunto un forte numero di adesioni e si era quindi ben radicato nel territorio.
Un dato confermava questa forte presenza del Partito Socialista nella vita politica italiana: il giornale del partito, L’Avanti, che aveva una tiratura di ben 300.000 copie al giorno.. una tiratura notevole.
Il Partito Socialista aveva nel territorio diverse sezioni e ramificazioni territoriali che godevano però di una certa autonomia e questo era già un problema perché  impediva al partito l’acquisizione di  una linea politica unitaria.
Un partito diviso quindi tra correnti legate a diverse ideologie e quindi modi d’agire.
Nel partito erano presenti tre linee ben delineate:
- I “massimalisti” . la loro ideologia si basava nel perseguire il socialismo attraverso la rivoluzione per superare il capitalismo;
- I “riformisti” – perseguire il socialismo attraverso le riforme e non necessariamente con la rivoluzione;
- La corrente comunista che sarà poi alla fine la responsabile della scissione.
Naturalmente all’interno delle correnti c’erano poi delle posizioni intermedie sostenute anche da organizzazioni o gruppi che erano distanti tra loro.
Prima del Congresso, il leader sovietico Vladimir Lenin aveva imposto ai partiti, che facevano parte della Terza Internazionale (Comintern o Internazionale Comunista, fondato il 2 marzo 1919) , quindi anche al PSI, di espellere dai partiti chi non avesse condiviso l’ideologia della rivoluzione.
I “massimalisti”, in base alle direttive della Terza Internazionale avrebbero dovuto quindi espellere dal partito chi era contrario alla rivoluzione.
Fu proprio questo aspetto a determinare l’espulsione dei “riformisti” e quindi la scissione del Partito Socialista.
Nel Congresso erano presenti tutti i membri del partito:
- Filippo Turati, che guidava la corrente dei riformisti;
- Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, fondatori del gruppo torinese Ordine Nuovo (settimanale di cultura socialista);
- Amedeo Bordiga, leader della Frazione comunista,
- Giacinto Menotti Serrati, a capo della corrente massimalista.

Erano presenti anche dei rappresentanti internazionali della Terza Internazionale:
- Christo Kbakciev, delegato del Partito Comunista Bulgaro e dell’Internazionale Comunista;
- Matyas Ràkosi, delegato del Partito Comunista Ungherese e dell’Internazionale Comunista;
- Jules Humbert e Rosa Bloch – delegate del Partito Socialista Svizzero;
- Paul Levi, delegato del Partito Comunista Operaio di Germania.

Il Teatro Goldoni durante il Congresso
Giacinto Menotti Serrati non voleva espellere i riformisti, come aveva stabilito Lenin, e per questo motivo fu criticato da  Kabakchiev..
Non è l’Internazionale, ma è Serrati che si trova in contraddizione con
i principi del socialismo rivoluzionario scientifico….
.. Egli è contro l’azione rivoluzionaria dei contadini come è contro l’azione rivoluzionaria degli operai, perché egli è, in generale, contro la rivoluzione
Serrati rispose a Kabakchiev…
il problema non è l’espulsione dei riformisti, ma l’imposizione dei metodi…..
…..  Abbiamo detto a Mosca: permettete che l’epurazione si faccia nel modo
più sereno e tranquillo, senza scismi nelle organizzazioni operaie.
Non ci pareva di chiedere molto […]. Perché questa smania di scissura immediata e profonda? Perché teorizzare questo urto che può spezzare anche tutti quanti gli altri nostri organismi?».
 
La linea intransigente dei comunisti aveva l’appoggio dei sovietici, ma non aveva i numeri per essere approvata. I massimalisti, contrari all’espulsione dei riformisti, avevano la maggioranza dei delegati: la mozione dei comunisti ottenne poco più di un terzo dei voti.
Bordiga prese la parola e disse:
I delegati che hanno votato la mozione comunista abbandonino la sala. Sono convocati alle undici al teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito Comunista.
Umberto Terracini, che aveva aderito alla mozione di Bordiga insieme a Gramsci e a Togliatti, che sarebbe stato presidente dell’Assemblea Costituente più di vent’anni dopo, andò al teatro San Marco insieme agli altri per assistere al primo Congresso del PCI (allora PCdI).

Livorno : i resti del Teatro San Marco (1806) distrutto dai bombardamenti
della seconda guerra mondiale e dalle demolizioni postbelliche. 
Era uno dei più bei teatri italiani, completamente decorato da Luigi Ademollo . 
Qui si tenne il congresso che portò alla fondazione del Partito Comunista d'Italia . 
Nel dopoguerra si preferì abbatterlo piuttosto che restaurarlo e solo in anni recenti i resti dei muri perimetrali e della facciata furono integrati in una moderna struttura scolastica.

Umberto Elia Terracini (dirigente del Partito Comunista Italiano) raccontò successivamente la riunione nel Teatro San Marco..
I delegati che rapidamente avevano occupato la platea di San Marco, non vi trovarono sedie o panche sulle quali sedersi. E dovettero restare per ore e ore ritti, in piedi. Sul loro capo, dagli ampi squarci del tetto infradicito, venivano giù scrosci di pioggia, al riparo dei quali si aprivano gli ombrelli con uno strano vedere. […] L’intero teatro, dalle finestre prive di vetri ai palchi senza parapetti, fino ai sudici tendaggi sbrindellati che pendevano attorno al boccascena, denunciava l’uso al quale esso era destinato durante la guerra: deposito militare di materiali dell’esercito.
Nel 1921 quindi Rosa Montagnana, con il fratello Mario, futuro direttore de l’Unità, partecipò alla fondazione del Partito Comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale. 
Il 14 giugno 1921 fu inviata a Mosca, come rappresentante delle comuniste italiane, alla Conferenza Femminile Internazionale e  dopo una settimana fu delegata al III Congresso dell’Internazionale Comunista a Mosca (IC) (22 giugno – 12 luglio 1921).


Simbolo elettorale del Partito Comunista d'Italia alle elezioni del 1924.

La Conferenza si svolse all’interno della III Internazionale Comunista,  e stabilì la data
dell’8 marzo come “Giornata internazionale dell’operaia”. 
La festa dell’8 marzo narra di una lotta della donna per il giusto riconoscimento dei suoi legittimi diritti e sembra che sia stata stabilita a Mosca nel 1921, proprio durante la “Seconda Conferenza delle donne comuniste”.

Intervento di Lenin al III Congresso dell’Internazionale Comunista
22 giugno – 12 luglio 1921
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:%D0%92.%D0%98._%D0%9B%D0%B5%D0%BD%D0%B8%D0%BD_%D0%BD%D0%B0_%D0%B2%D1%8B%D1%81%D1%82%D1%83%D0%BF%D0%B0%D0%B5%D1%82_%D0%BD%D0%B0_III_%D0%BA%D0%BE%D0%BD%D0%B3%D1%80%D0%B5%D1%81%D1%81%D0%B5_%D0%9A%D0%BE%D0%BC%D0%BC%D1%83%D0%BD%D0%B8%D1%81%D1%82%D0%B8%D1%87%D0%B5%D1%81%D0%BA%D0%BE%D0%B3%D0%BE_%D0%B8%D0%BD%D1%82%D0%B5%D1%80%D0%BD%D0%B0%D1%86%D0%B8%D0%BE%D0%BD%D0%B0%D0%BB%D0%B0.jpg

Nel 1922 fu fondatrice(?) e collaboratrice, in qualità di amministratrice, della redazione “ La Campagna” il quindicinale femminile del PCdI (Partito Comunista d’Italia).



Copia del 1944(?)
Nello stesso anno prese parte alla Conferenza delle donne comuniste.
Nella redazione de “L’Ordine Nuovo”, il giornale fondato a Torino nel 1919 dalla minoranza comunista del Partito Socialista, diretta da Antonio Gramsci, Rita Montagnana conobbe Palmiro Togliatti.
La redazione si trovava nell’edificio  posto vicino l’angolo tra la Via Arcivescovado e Via XX Settembre. Era stata la sede de “L’Avanti” e successivamente nel 1933 sarà la sede della Casa Editrice Einaudi.





Qui fu collocata, il 27 aprile 1949, una lapide da “Torino Memore” in cui si  ricordava che in quel luogo…
«La forte volontà/ e la mente luminosa/ di Antonio Gramsci/ stretti attorno a lui/ gli operai torinesi/ contro la barbarie/ fascista prorompente/ “L’Ordine Nuovo”/ stendardo di libertà/ qui nella bufera/levarono e tennero fermo».

Prima pagina dell'Ordine Nuovo del 28 ottobre 1922

Palmiro Michele Nicola Togliatti (politico, giornalista ed economista italiano, tra i più influenti e popolari dirigenti comunisti mondiali, che guidò il Partito Comunista d'Italia dagli anni venti agli anni sessanta) ricordò più volte i locali in via dell’Arcivescovado dove si pubblicava  “L’Ordine Nuovo”… 
due grandi cameroni, in cui lavoravano tutti i redattori e i cronisti…..
….. qui  nacque, visse e morì “L’Ordine Nuovo” di Gramsci.
In quei locali s’incontrarono Rita Montagnana e Palmiro Togliatti. Un ambiente ricco di uomini/donne di cultura animati dal fervore delle loro idee, delle passioni, dai progetti che animavano quelle stanze.
Un aspetto della vita che Gramsci odiava era l’indifferenza e quindi chi la manifestava. A tal proposito scrisse un articolo…..
"“Odio gli indifferenti”. 
Lo scrisse per La città futura", pubblicato nel febbraio del 1917 a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista.
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti..L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza…Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti…”.
Nel 1923, con Camilla Ravera, Giuseppe Amoretti, Alfonso Leonetti e Felice Platone era fra i diretti collaboratori di Palmiro Togliatti che a Milano aveva assunto la direzione del partito. La Montagnana contribuì a stabilire dei contatti con Roma dove il fratello Mario fungeva da tramite con Amedeo Bordiga.


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Palmiro e Rita si sposarono (rito civile) nel 1924 e si trasferirono a Roma.

Rita Montagnana fu incaricata di organizzare per corrispondenza la scuola nazionale di partito diretta da Antonio Gramsci. Insieme al marito, a rischio di arresto nelle carceri fasciste, si sposterà tra Svizzera, Francia, Spagna e Unione Sovietica, 
In Francia e Svizzera farà dei lunghi soggiorni.
Nel suo viaggiare Rita non dimenticherà mai il dialetto piemontese e nemmeno la sua origine ebraica.
Teneva molto ad essere ricordata come ebrea.
All’Archivio di Stato di Roma, nella sua cartella, figurano le seguenti parole….
Sovversiva….. di razza ebraica
Il 29 luglio 1925, a poco più di un anno dal matrimonio, nacque Aldo.
Il piccolo Aldo veniva chiamato  Aldino e qualche volta Aldonino
Assomigliava molto al padre Palmiro nei suoi lineamenti, negli occhi, nel modo di passare la mano fra i capelli ed anche nel portare gli occhiali spessi come quelli del padre.
Lo sfortunato Aldo aveva, almeno da quanto riportarono le cronache, un grave problema: era sofferente di schizofrenia con spinti acustici. Il malessere sembra che sia sviluppato, nella sua gravità, solo verso il 1950.
Aldo Togliatti

All’inizio del 1926 Rita Montagnana seguì il marito Togliatti a Mosca dove alloggiarono nelle stanze dell’Hotel Lux.
Nel gennaio del 1927, in seguito alla creazione di un centro estero dell’IC (Internazionale Comunista) a Parigi, la Montagnani lasciò (mese di febbraio) l’URSS per la Francia. A Parigi iniziò la pubblicazione del periodico “Lo Stato Operaio”.
Con la ripresa dell’attività illegale, che caratterizzò gli anni della “svolta”, ebbe l’incarico di diffondere materiale clandestino, compiendo diverse missioni in Italia. Fu più volte ricercata dalla polizia ma riuscì sempre a sfuggire all’arresto.
Nel 1934 i Togliatti fecero di nuovo ritorno a Mosca e la Montagnani (il cui nome in codice era Anna) fu una delle poche donne, 11 su un totale di 105 italiani, a frequentare la scuola leninista. La frequentazione  della scuola, destinata alla formazione di dirigenti comunisti,  lasciò nella donna un segno molto profondo.
Palmiro Togliatti, a Mosca, in quegli anni fu uno  dei dirigenti del Comintern ('organizzazione internazionale dei partiti comunisti attiva dal 1919 al 1943).
Con il marito andò in Spagna durante la guerra civile tra il 1936 ed il 1938.
Il viaggio in Spagna era una tappa obbligata per tutti gli ex allievi della scuola leninista, proprio ai tempi della guerra civile.
Poche settimane  prima della vittoria dell’esercito franchista, Rita e Palmiro rientrarono in URSS.
Rita Montagnana iniziò a collaborare prima alle trasmissioni di Radio Mosca rivolte alle donne e successivamente da Kuibisev, dal 1941, alla redazione di “Radio Milano Libertà”.
Un’emittente che si proponeva di parlare agli italiani in nome dell’unità antifascista.
Nel 1943 s’impegnò anche nella redazione del periodico “L’Alba” destinato ai prigionieri dell’ARMIR. (Armata italiana in Russia, corpo di spedizione che operò nel 1942-43 nella zona del Don).
 
Il primo numero de “L’Alba”, giornale dei prigionieri di guerra italiani nell’Unione sovietica, fu il 10 febbraio 1943, sotto la direzione di Rita Montagnana (“Marisa”).
Il giornale era pubblicato ogni 7-10 giorni al mese e raggiunse in breve una tiratura di 7.000 copie, per un totale complessivo di 144 numeri, l’ultimo dei quali pubblicato il 15 maggio 1946.
Dopo i primi quattro numeri fu diretto da Edoardo D’Onofrio, fino all’agosto del 1944,
poi da Luigi Amadesi e Paolo Robotti.
Del comitato di redazione fanno parte Vincenzo Bianco e Nicolaj Terescenko.
Il giornale era composto da quattro pagine:
-        la prima generalmente dedicata alle operazioni sul fronte russo-tedesco;
-         la seconda con articoli di elogio e apologia del sistema sovietico, della sua organizzazione sociale e politica, delle realizzazioni dell’industria e dell’agricoltura;
-        la terza composta da articoli e scritti dagli internati stessi sulla condizione di vita nei campi,;
-        la quarta e ultima pagina dedicata alle “Notizie da tutto il mondo”.
L'”Alba” raccontò il viaggio della Cgil in Urss alla ricerca dei prigionieri italiani

Il giornale era composto da quattro pagine anche per la mancanza di carta.
Nell’estate 1945 all’interno del periodico fu riportata la notizia della
Visita di una delegazione della Cgil
(che sarà ripetuta nel 1947).
Su incarico di Togliatti, e secondo un accordo con il governo italiano, la
Delegazione si sarebbe dovuta occupare dei prigionieri italiani.
Il numero 28 del periodico, 14 luglio 1945, titolerà…
Una delegazione della Cgil parte per l’URSS

Il primo ministro Parri  ha ricevuto i membri della delegazione sindacale che si recherà in Unione sovietica entro il mese corrente. La delegazione è composta dal segretario generale della Cgil G. Di Vittorio, dal segretario della Federazione dell’industria chimica Cuzzaniti, dal rappresentante del sindacato dei ferrovieri Borghese, dal segretario della Camera del lavoro di Milano Morelli, dal segretario della Federazione genovese dei metallurgici Pizzorno, dal membro della C. e. della camera del lavoro di Milano Santi e dal membro della Commissione consultiva femminile 
presso la Cgil, Adele Bei.

La delegazione atterrò all’aeroporto di Mosca l’1 agosto.
Il periodico del 18 agosto (n. 33), pubblicò, a firma di G. Longo,
una lunga intervista a Giuseppe Di Vittorio, il quale
si presta di buona grazia, anzi, siccome parla a nome di tutta la Cgil, invita Morelli
per la corrente democristiana della Cgil e Borghesi per quella socialista”.
Nell’intervista non ci sarebbe alcun riferimento in merito ai prigionieri,
ma il tema era fortemente sentito ed era presente.
Il problema maggiore era quello di dare notizie a casa ed avere notizie da casa,
per rassicurare i familiari da un lato, i prigionieri dall’altro.
Nella rubrica “Piccola Posta” furono riportati i messaggi dei prigionieri
e dei loro familiari…..

Peri – Tua madre ti invia i suoi saluti da Roma e chiede notizie”;
“Generale Ugo Buoncompagni – La sua signora ha personalmente pregato Adele Bei di trasmetterle i suoi saluti e assicurarla che a casa stanno tutti bene”;
“Ammiraglio Emilio Brenta – La sua signora, Teodora Brenta, manda saluti”.

Nei giorni precedenti alla partenza per l’Unione sovietica, decine e decine di parenti dei dispersi – saputo del viaggio – scrissero alla Cgil per avere notizie.

Le lettere furono gelosamente custodite nei bianchi armadi dell’Archivio nazionale della Confederazione, che conservò:
-        la corrispondenza con il Ministero dell’interno;
-        i disegni e le fotografie sulla vita nei campi di prigionia e sulla disfatta dell’Armir;
-        gli elenchi manoscritti e dattiloscritti dei prigionieri dei campi 58/4 e 58/6 (le visite riportarono notizie di svariate centinaia di italiani dei quali non si avevano tracce e da questo punto di vista gli elenchi conservati costituiscono un documento fondamentale).
Nello stesso fascicolo ci sarebbe l’interessante nota, senza data. a firma Robotti (cognato di Palmiro Togliatti) indirizzata a Giuseppe Di Vittorio.
(Paolo Robotti e Togliatti avevano sposato due sorelle Elena e Rita Montagnana):
“Caro Di Vittorio  colgo l’occasione per mandarti alcuni disegni riproducenti scene vere della disfatta dell’Armir viste dagli autori dei disegni stessi. Credo che potranno completare gli scritti già mandati nel caso decidiate di fare una pubblicazione completa”.
“Ti avverto che aspetto sempre il tuo ‘richiamo d’urgenza’… perché penso sempre, come quando ti parlai, che potrei fare molto di più in Italia, in qualsiasi campo, che qui. Ad ogni modo mi affido alla volontà dei… santi che, come tutti sanno, stanno a Roma”.
Robotti rientrerà definitivamente in Italia nel gennaio 1947 ricoprendo vari incarichi nel Pci.
Già da tempo il rapporto tra la Montagnana e il marito Togliatti era diventato difficile ma, malgrado i disaccordi e le incomprensioni, i coniugi rientrarono in Italia nel 1944 con il figlio Aldo.
Una volta giunti in Italia,  per la Montagnana s’aprì forse la fase più intensa del suo impegno politico. Forte del prestigio che le attribuiva il lungo soggiorno in URSS, forse fu altrettanto importante essere al fianco di Togliatti che aveva una grande considerazione nel mondo sovietico, pubblicò l’opuscolo “I Ricordi dell’Unione Sovietica” (1944).
Una raccolta di brevi articoli  sull’esaltazione della solidarietà, dello spirito democratico ed egualitario del socialismo reale.




https://www.cronologia.it/storia/a1944wa.htm

Rita Montagnana era soprattutto una forte donna d’azione e come in Francia Julie Marie Vermeersch, compagna di Maurice Thorez, assunse con entusiasmo la guida dell’organizzazione femminile del partito. Questo secondo uno schema che fu concordato da Togliatti con Georgi Mihajlov Dimitrov (verso la metà degli anni trenta) e che aveva come obiettivo la formazione di una struttura unitaria aperta alle aderenti di tutte le forze politiche antifasciste.

1953 Press Photo France, Maurice Thorez with Wife(con la moglie) Julie Marie Vermeersch


Dopo la liberazione fu dirigente della sezione femminile del Partito Comunista Italiano e una delle più importanti fondatrici dell’Unione Donne Italiane (UDI).
Infatti nell’autunno del 1944 , con Giuliana Nenni e Marisa Rodano, prese l’iniziativa di rivolgere ad Angela Cingolani, in rappresentanza delle donne cattoliche,  l’invito ad aderire all’UDI.

1948  Campagna elettorale

1949 – III Congresso UDI
Il rifiuto delle democristiane non fiaccò lo spirito forte, battagliero delle dirigenti comuniste e socialiste e, all’indomani della Liberazione, molto forte fu l’impegno di Rita Montagnana nella battaglia in favore dei diritti delle donne.
Largo dunque fin da oggi alle donne nei posti di Governo,
largo alle donne nell’Assemblea Costituente,
largo alle donne nelle Amministrazioni Comunali;
giusta retribuzione del lavoro femminile;
tutte le vie del lavoro e del sapere aperte alle giovani.
In particolare la sua attenzione si rivolgeva alle lavoratrici e in nome dei loro interessi criticò le clausole del contratto siglato dalla Cgil a Torino con la Confindustria che penalizzavano le operaie.
(Nostro Contributo alla rinascita nazionale, 
Noi Donne” n.4 – 31 ottobre 1945).
Dalla Relazione Introduttiva al I Congresso nazionale dell’UDI (Firenze 20 – 23 ottobre 1945) espresse la sua volontà di avviare una vasta campagna di sensibilizzazione popolare sulla questione dell’elettorato femminile, che si sarebbe dovuta concretizzare in una settimana di mobilitazione indetta per l’inizio di febbraio 1946.
Ma il 30 gennaio 1945, il Consiglio dei Ministri, annotò
In Rapporto sull’attività dell’Unione Donne Italiane nell’Italia centro meridionale,
presentato al I Congresso Nazionale dell’UDI,
approvò
la legge che accordava alle donne il diritto di voto.
Ci fu una grande delusione nell’UDI perché il decreto bloccò l’iniziativa dell’UDI che avevano come obiettivo  lo sviluppo di azioni forti per fare capire il vero valore umano della donna nella società.
Nell’ottobre 1947, in occasione del II Congresso dell’UDI,  Rita Montagnana fu sostituita nella presidenza da Maria Maddalena Rossi.
Probabilmente la sua mancata rielezione fu legata al contrasto con la maggioranza delle campagne dei Gruppi di Difesa delle donne che si erano dichiarate contrarie all’organizzazione separata mentre la Montagnana era favorevole alla formazione di cellule femminili.

Maria Maddalena Rossi


Nel 1945 scrisse:
-        La maternità e l’infanzia nell’URSSContadini nell’URSS e Cosa sono i Colcos? (Roma 1945), incentrati sulla celebrazione del modello sovietico;
-        Le donne italiane nella lotta per la libertà e La famiglia, il divorzio, l’amore (Roma 1945);
-        Salvare la famiglia italiana, in Noi donne, n. 22, 20 luglio 1946;
-        Tetto, pane, vestiti scuole per i nostri bambiniibid., n. 26, 15 ott. 1946).
Fu accusata dagli esponenti della Democrazia Cristiana(DC) di voler “distruggere” la famiglia.
I comunisti sottolinearono come l’obiettivo primario del partito fosse quello di corrispondere alle esigenze degli italiani di ricostituire i nuclei familiari, dopo i disastri della guerra.
Nessuna battaglia,
rassicuravano i comunisti,
sarebbe stata mossa dunque sul fronte del divorzio.


Fu proprio l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone libere d’Italia. Con la fine della guerra, l’8 marzo 1946, l’avvenimento fu celebrato in tutta l'Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo: la mimosa.
Fu un’idea di Rita Montagnana, Teresa Noce e Teresa Mattei, un fiore scelto perché povero e facilmente reperibile.
Fu eletta all’Assemblea Costituente nel XIII collegio (Bologna – Ferrara – Forlì – Ravenna) e fu prima fra gli eletti del PCI con ben 68.722 voti di preferenza.
Successivamente diventò senatrice nella I Legislatura ( 8 maggio 1948 al 24 giugno 1953) eletta in Emilia Romagna nel collegio di Imola.




Nel 1954, vice presidente della Federazione Internazionale delle Donne, scrisse il libro…
Un libro scritto da milioni di donne (Roma 1954)
nel quale furono raccolti degli estratti dei discorsi pronunciati dalle delegate ai Congressi mondiali delle donne di Parigi (dicembre 1945) e di Copenaghen (giugno 1953), in nome della lotta all’imperialismo e della difesa della pace.

Nel 1948 (Aldo aveva 23 anni) una grave colpo sconvolse la vita di Rita Montagnana: fu lasciata dal marito Palmiro Togliatti.
Lasciò la moglie per Nilde Iotti, giovane deputata del PCI. Questo avvenimento suscitò molto clamore anche nello stesso partito comunista che all’epoca era conservatore dal punto di vista della morale. Togliatti era sposato con Rita Montagnana solo civilmente e allora il divorzio in Italia non era possibile.
Togliatti andò a convivere con la giovane deputata e futura presidente della Camera.  Rita rientrò a Torino.



Rita Montagnana rientrò con il figlio Aldo a Torno nella casa di Borgo San Paolo (?).
Un figlio che aveva molto sofferto il distacco dai genitori che si trovavano in Spagna, mentre studiava presso l’istituto Ivanovo in Unione Sovietica.
Gli fu diagnosticata una grave malattia nervosa i cui sintomi si erano però manifestati da tempo.
La Montagnana si prese cura del figlio venticinquenne portandolo in una serie di cliniche in Ungheria ed anche in Unione Sovietica.
I risultati non furono soddisfacenti ed alla fine si stabilirono nella casa di Borgo San Paolo.
Una vita distrutta sia per la Montagnana che per il figlio, una vita avvolta dall’amarezza sia per la condizione del figlio che per l’esclusione subita dalla donna dalla vita del partito da cui fu emarginata.
Una emarginazione voluta da Carlo Celeste Negarville che la sollevò dall’incarico di responsabile femminile regionale del Piemonte per poi assegnarle un Collegio, come quello di Biella, nel quale non avrebbe mai avuto la possibilità di essere eletta.
Il suo ultimo incarico ufficiale fu quello di delegata al XX Congresso del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) nel 1956.
Dopo il 1958 venne progressivamente  esclusa dall’attività politica ed anche dal Partito Comunista a cui aveva dedicato tutta la sua vita. 
Sino alla sua morte resterà abbonata a L’Unità e al giornale sovietico Pravda.



Morì a Torino il 17 luglio1979 ( Aldo aveva 54 anni)  e fu sepolta nel cimitero Parco di Torino.


Il Figlio Aldo Togliatti


Aldo nacque a Roma il 25 luglio 1925, da bambino era chiamato “Aldino”, qualche volta “Aldolino”, assomigliava molto a suo padre nei lineamenti, nel modo di passare la mano tra i capelli ed anche per gli occhiali spessi come quelli del padre.
Figlio di due importanti figure politiche ma soprattutto per tutta la vita fu  “il figlio di Togliatti”, il dirigente dell’Internazionale Comunista, collaboratore di Stalin, segretario del Partito Comunista Italiano dal 1943 al 1964 e membro dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana.
Aldo pagò forse le conseguenze  di una vita frenetica, dedicata alla politica, da parte dei suoi genitori. Le sue turbe psichiche dipendevano forse da questa particolare situazione familiare? Dare una risposta non è facile.
Sembra un personaggio vissuto all’ombra dei suoi genitori, avvolto nella sua turbe psichica  di cui i genitori erano forse inconsciamente colpevoli.
Un infanzia con il padre in carcere e successivamente come piccolo vagabondo seguendo il padre e la madre tra numerose capitali europee.
Prima di proseguire nel racconto della sua vita sarebbe bene soffermarsi un attimo sul carattere del padre che sicuramente influì sulla crescita di Aldo anche se in unione con altri aspetti della sua vita.
Come visse Aldo, un ragazzo d’altri tempi, in un ambiente così ricco di stimoli politici e culturali?
Massimo Cirri scrisse una biografia fu Aldo Togliatti, “ Un’altra parte del mondo”, edito da Feltrinelli…..

«Tuo padre è il Migliore (Togliatti), le masse lo adorano – oppure lo odiano, ma sempre molto -; tuo zio Mario sta alla Costituente, lo zio ha anche inventato l’Arci, quella delle Case del Popolo […]. La mamma uguale, scrive la Costituzione. La fidanzata del babbo idem. Mamma un giorno torna dall’ufficio un po’ più tardi […] e tu le chiedi come mai e lei ti dice cha ha dovuto inventare il fiore simbolo della Festa della donna. Ma che vita è? Se lo chiederà Aldo? ‘E io che farò?’».

Aldo visse le problematiche dell’essere figlio, nel privato e nel pubblico, di una figura così complessa come quella del padre Palmiro Togliatti.
Molti storici studiarono la personalità del Togliatti ed uno dei commenti che ritengo  consoni alla figura del politico fu quello di  Giorgio Bocca…
«Palmiro Togliatti è ricordato come uomo freddo, scostante, che portava occhiali da professore, parlava con voce nasale, un intellettuale arido nei sentimenti, un politico scaltro che conosceva la langue russe, cinico. Resta allora da spiegare perché l’Italia proletaria fu pronta all’insurrezione armata quando si attentò alla sua vita e perché milioni di italiani di ogni ceto ebbero il sentimento, nel giorno della sua morte, che con lui se ne andava uno dei padri della Repubblica e comunque uno a cui si era debitori di mutamenti importanti».
Da ragazzo era molto timido, chiuso, impacciato, anche nei piccoli aspetti quotidiani della vita, ma era anche gentile, educato, studioso ed appassionato.
Nella prima parte della giovinezza abitò in Francia, a causa della clandestinità dei genitori, e imparò il francese.
Si narra che nell’infanzia fu responsabile di un incidente. Gettò per gioco, forse per alimentare la fiamma della stufa della casa parigina,  una busta contenete dei soldi che erano destinati alle attività clandestine del Centro Estero del PCI. Amava giocare con i cerini.
Ma fu in Unione Sovietica che passerà gran parte della sua gioventù e quando tornerà in Italia non sarà facile per lui abituarsi ai nuovi aspetti di vita.
Prima di trasferirsi in Unione Sovietica, alternò con i genitori dei periodi a Parigi ed in Svizzera ma fu  nel 1934   che la famiglia si trasferirà a Mosca dove Palmiro Togliatti  stabilirà la sua residenza.
Con i genitori risiedeva nell’Hotel Lux. Un hotel molto famoso perché destinato all’accoglienza dei leader comunisti stranieri.
Mosca - Hotel Lux 


Uno strano luogo per la crescita di un ragazzo di circa dieci anni e l’ambiente influenzerà la crescita del timido Aldo..
Il palazzo fu costruito nel 1837, quindi prima della Rivoluzione russa, ed era di proprietà di un panettiere (appartenente alla famosa dinastia d panettieri Philippov/ Phillinov) e imprenditore russo: Dmitrii Phillinov.
Nel 1911 il proprietario decise di ampliare la propria attività nel settore alberghiero ed in una parte dell’edificio ricavò un albergo che chiamò “Francia”.



Un albergo molto elegante. Nella hall era presenti dei grandi specchi, colonne e preziosi rivestimenti in marmo. Ma l’aspetto molto importante, che influenzerà la vita futura della struttura, fu la sua vicinanza alla Piazza Rossa. 


L’albergo faceva riferimento ad una clientela di persone ricche e facoltose.
Nel 1917 ci fu la Rivoluzione Russa (caduta dello zar Nicola II) e i bolscevichi salirono al potere.

L'Imperatore Nicola II, metropolita di Kiev, membri della famiglia imperiale: l'imperatrice Alexandra Feodorovna, le granduchesse Tatiana (a destra dell'imperatrice), Olga (a sinistra dell'imperatrice)

L'imperatrice Alessandra Feodorovna


Molte persone ricevevano costantemente sostegno dall'imperatrice, compreso l’aiuto finanziario. Durante la sua permanenza in Crimea, organizzava regolarmente bazar di beneficenza, di solito a Yalta, che a volte duravano diversi giorni. L'imperatrice e le principesse realizzavano con le proprie mani tutti i prodotti venduti lì e i risultati erano impressionanti. Pertanto, un bazar di beneficenza nel 1911 portò 45.000 rubli, che ai prezzi moderni è più di un milione di dollari. Tutto il ricavato è andato in beneficenza, per aiutare i malati e i poveri.

I bolscevichi mostrarono subito un grande interesse sull’albergo “Francia” e lo nazionalizzarono. Costruirono altri due pani e ampliarono il numero delle camere  portandole a 300. Fu cambiato anche il nome in “Luxe”. Grazie agli interventi strutturali l’hotel poteva accogliere ben 600 ospiti.
Dopo la rivoluzione la Russia diventò meta di comunisti che giungevano nella capitale per partecipare alle riunioni del “Comintern”, ovvero l’organizzazione internazionale che sosteneva nel mondo il comunismo, o anche per cercare rifugio perché perseguitati, per le loro ideologie comuniste, dai rispettivi governi d’appartenenza.
L'hotel accolse ospiti come il leader politico comunista tedesco Walter Ulbricht, il futuro primo presidente della Repubblica Democratica Tedesca Wilhelm Pieck, l'affermato politico tedesco Herbert Wehner, il nemico politico di Hitler Ernst Thälmann, il futuro sindaco di Berlino Ovest Ernst Reuter e il famoso giornalista tedesco diventato spia sovietica Richard Sorge. Soggiornarono nell’hotel anche il primo premier della Repubblica Popolare Cinese Zhou Enlai e il rivoluzionario vietnamita Ho Chi Minh.

Ho Chi Minh

Quando Stalin, agli inizi degli anni ’30, diede avvio alla grande epurazione, anche l’hotel fu avvolto nel terrore e per molti suoi ospiti la struttura si trasformò in una trappola mortale.
Quando gli ospiti giungevano nell’hotel, dovevano consegnare i loro passaporti per ricevere in cambio il pass dell’albergo.
Senza questo importante pass nessuno poteva entrare o uscire dall’albergo.
In  pratica erano ostaggi della struttura e per fare il check-out dovevano ottenere il permesso tacito delle autorità preposte.
Josef Stalin, il leader russo sovietico, con sua figlia Svetlana nel 1936. (Foto di: Universal History Archive/Universal Images Group tramite Getty Images)

Molti ospiti dell’albergo, a causa della guerra in Europa, rimasero intrappolati nella struttura per anni.
Una struttura, che secondo la cronaca, era anche infestata da cimici e topi.
Un ospite dell’albero, Ruth von Mayenburg, scrisse come in quella struttura vi passò ben otto anni della sua vita..
“Il Luxe era un albergo cospiratorio, sia per i suoi ospiti che per il mondo esterno. Era avvolto dal mistero. Né gli elenchi degli ospiti né quelli dei defunti forniscono informazioni complete su chi vi soggiornò e quando, e su chi vi abitò in generale. I veri nomi degli ospiti di solito non corrispondevano ai dati del passaporto, e i dati del passaporto non corrispondevano ai loro soprannomi”,
Molti degli sfortunati avventori caddero vittima del terrore di Stalin: furono arrestati, torturati e uccisi in Unione Sovietica, o estradati in altri paesi, inclusa la Germania nazista, dove furono inevitabilmente arrestati e uccisi.
Indubbiamente, le condizioni raccapriccianti che gli ospiti dell'hotel  vivevano ebbero un peso enorme sull’ambiente della struttura: angoscia, paura e disperazione impregnavano le stanze e i corridoi. Gli ospiti non facevano che chiedersi chi sarebbe stata la prossima vittima della polizia segreta sovietica.
Ma alcuni incidenti da brivido accaddero in quelle stanze anche senza il coinvolgimento  dell’NKVD,  Commissariato del popolo per gli affari interni.
Un altro residente dell’albero, Rolf Schalike, anche lui visse 8 anni nella struttura che sembrava un dormitorio….
“Sono cresciuto a Mosca, nel centro del potere e della criminalità statale e non statale, in via Gorkij [oggi Tverskaya], nell'hotel Luxe. Ci ho vissuto dal 1938 al 1946. In quell’albergo giocavamo a partigiani e fascisti tedeschi. Una volta, durante una partita, per sbaglio abbiamo impiccato un bambino. Niente e nessuno riuscì a salvarlo”
Il periodo del terrore cominciò ad affievolirsi agli inizi del 1940 per svanire con la morte di Stalin nel 1953. La guerra in Europa era finita e gli ospiti del Luxe ritornarono in Europa.
Negli anni '50 le autorità cambiarono il nome dell'albergo in Centrale.
Molti ignorano i terribili segreti nascosti tra le mura di quell’albergo.
Quindi Aldo Togliatti si trovava all’Hotel Luxe ed aveva ottimi rapporti con Stalin anche se rifiutò la dirigenza del Comintern.
Il piccolo Aldo amava osservare il padre da lontano nelle celebrazioni per il primo maggio,. Un padre autorevole ma sempre distante per i suoi impegni politici.
 A Mosca il padre Palmiro Togliatti cercò di spegnere la figura di Antonio Gramsci che aveva denunciato, per primo, i metodi repressivi di Stalin.
I rapporti tra Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti non furono mai idilliaci. Gramsci non si fidava del Togliatti.
Gramsci, incarcerato nel 1926 a Turi, era stato ben presto ricoverato in clinica, poi in libertà condizionale, ma malato non poté  lasciare la clinica dove morì nel 1937.
 Il conflitto tra Gramsci e Togliatti fu notevole. Negli anni Venti, Togliatti era ancorato con la tesi leninista, secondo la quale prima si deve fare la rivoluzione economica e poi quella politica e quando Lenin morì, lo stesso Togliatti propose come continuatore Stalin e alla fine fu complice delle azioni del leader sovietico.
Diversa era la posizione di Gramsci, il quale, anche per l'influenza di Benedetto Croce, distingueva nettamente la società civile da quella politica. Sosteneva un metodo di conquista del potere da parte del proletariato fortemente diverso da quello del marxismo classico.


Antonio Gramsci, Lettera scritta dal carcere alla moglie Julca, 20 Novembre 1926.
Mia carissima Julca,
ricordi una della tue ultime lettere? (era almeno l'ultima lettera che io ho ricevuto e letto). Mi scrivevi che noi due siamo ancora abbastanza giovani per poter sperare di vedere insieme crescere i nostri bambini. Occorre che tu ora ricordi fortemente questo, che tu ci pensi fortemente ogni volta che pensi a me e mi associ ai bambini. Io sono sicuro che tu sarai forte e coraggiosa, come sempre sei stata.
Dovrai esserlo ancora di più che nel passato, perché i bambini crescano bene e siano in tutto degni di te. Ho pensato molto, molto, in questi giorni. Ho cercato di immaginare come si svolgerà tutta la vostra vita avvenire, perché rimarrò certamente a lungo senza vostre notizie; e ho ripensato al passato, traendone ragione di forza e di fiducia infinita. Io sono e sarò forte; ti voglio tanto bene e voglio rivedere e vedere i nostri piccoli bambini.
Mi preoccupa un po' la questione materiale: potrà il tuo lavoro bastare a tutto? Penso che non sarebbe né meno degno di noi né troppo, domandare un po' di aiuti. Vorrei convincerti di ciò, perché tu mi dia retta e ti rivolga ai miei amici. Sarei più tranquillo e più forte, sapendoti al riparo da ogni brutta evenienza. Le mie responsabilità di genitore serio mi tormentano ancora, come vedi.
Carissima mia, non vorrei in modo alcuno turbarti: sono un po' stanco, perché dormo pochissimo, e non riesco perciò a scrivere tutto ciò che vorrei e come vorrei. Voglio farti sentire forte forte tutto il mio amore e la mia fiducia. Abbraccia tutti di casa tua; ti stringo con la più grande tenerezza insieme coi bambini.
Antonio

Giulia Schucht, moglie russa del filosofo e politico italiano Antonio Gramsci,
con i figli ( delio, nato nel 1924) e Giuliano (nato nel 1926).
Giulia Schucht (Gineva, 1896 - ?, 1980)
Matrimonio non Antonio Gramsci nel 1923, in Russia.
Aldo fu mandato a studiare nella scuola di Ivanovo (300 km da Mosca), una scuola internazionale per i figli dei leader comunisti.
A Ivanovo regnava il bullismo e Aldo, studioso, timido, introverso, tutt’altro che violento, subiva le angherie del figlio di Tito e degli altri compagni e tutto questo in una  scuola che aveva come obiettivo quello di creare dei perfetti stalinisti.
Mentre il figlio Aldo subiva queste violenze, il padre Togliatti restava silenzioso spettatore dell’eliminazione di oltre mille comunisti italiani, migliaia di comunisti polacchi, qualche centinaia di compagni tedeschi, infine, migliaia di anarchici spagnoli massacrati non da Franco, ma dai commissari politici al servizio dell’Nkvd.
Testimone dell’inferno di Ivanovo fu Vinca Berti, figlia di Giuseppe Berti. Una donna di grandissimo spessore che ricordò affettuosamente  Aldo come
                       sofferente, vulnerabile, ipersensibile, ombroso, portato, anzi costretto, a isolarsi.

Camandona: gruppo di sette partigiani e una staffetta.
Da sinistra in piedi Domenico Bricarello "Walter", Mario Mancini "Grillo", Anello Poma "Italo", Francesco Moranino "Gemisto", Vinca Berti "Vinca", Bruno Salza "Mastrilli". Accovacciati da sinistra Luigi Moranino "Pic", Renato Sasso "Renato"
Data:12 – 12 - 1944

Nel 1936 i Togliatti partirono per la Spagna.
I genitori  prima della partenza, gli dissero….
“ fai il bravo ………Torneremo fra un paio di settimane”
Aldo amava la Russia ma non l’URSS, non si sentì mai un soldato di Stalin e desiderava solo un po' d’amore da parte dei suoi genitori ....... desiderio legittimo da parte di un ragazzo di 12 anni.
I compagni lo picchiavano, lo prendevano in giro perché non si comportava da comunista combattente, e non è difficile pensare il suo stato d’animo racchiuso nel male di vivere.
Il ragazzo nella scuola non aveva amicizie sincere,,, l’identità dei suoi “compagni” era segreta anche nei confronti dei compagni di stanza.
Si trovò a contatto con i figli del cinese Mao Zedong, con il figlio dello iugoslavo Tito, la figlia di Dolores Ibàrruri, la “pasionaria di Spagna”.
Ma Alto Togliatti non aveva nemmeno il suo vero cognome, anche se segreto, perché aveva in realtà un cognome legato alla clandestinità… Aldo Ercoli.
Con lui ci sarebbero altri due ragazzi italiani, anche loro nella clandestinità… Luigi Longo e Teresa Noce.
Studiò il russo, un’altra lingua che parlerà per anni nei libri e nella letteratura, oltre al francese e l’italiano.
Prenderà poi a Mosca una laurea breve in ingegneria. In Russia imparò l’arte degli scacchi, che non abbandonerà più, e l’abitudine di fare ginnastica la mattina, da buon ragazzo sovietico. Ma lui era italiano, era ebreo, aveva abitato a Parigi e ai genitori scrisse lettere in francese. Qual era la sua lingua? E la sua identità? Comunque sia, a Ivanovo contava di più essere rivoluzionari e internazionalisti. Troppe cose, per un ragazzo sballottato per il mondo e lasciato solo.
Passarono settimane, mesi, anni…
Quando i suoi genitori non gli risposero dalla Spagna, scrisse alla zia Elena Montagnana, moglie di Paolo Robotti (politico ed attivista del PCI)…..
«Perché la mamma non torna, dov’è papà?».
I giorni erano sempre uguali….  assillato dalla malinconia, soffriva e venne quindi etichettato come
Malato mentale.
Del padre non aveva solo uguali i tratti somatici ma che  una parte del carattere.
Il ragazzo ad Ivanovo si isolò, si chiuse in sé stesso anche a causa dei maltrattamenti fisici e psichici ma non poteva fuggire dall’inferno…
Il padre nel 1922 – 23, quando i fascisti picchiavano duro,  sparì dalla “circolazione” lasciando a Bordiga ed agli altri compagni di subire le atrocità del fascismo.
 Palmito Togliatti fuggì terrorizzato dalla possibilità di ricevere violenze fisiche  mentre Aldo, con coraggio, affrontava le angherie dei suoi compagni in silenzio chiudendosi in sé stesso.
Togliatti abbandonò il figlio Aldo in nome di Stalin…..

Erano gli anni che furono raccontati nell’autorevole libro di Arrigo Petacco,
A Mosca solo andata. La tragica avventura dei comunisti italiani in Russia” (Mondadori, 2013)



Paolo Robotti, cognato di Palmiro Togliatti perché aveva sposato Elena Montagnana sorella di Rita, era presidente del “Club degli emigrati” e, malgrado la parentela con lo stesso Togliatti, allora numero due del Comintern”, non riuscì ad evitare la visita della polizia politica che lo tenne per mesi in detenzione.
Fu torturato, tanto che dovette portare per tutta la vita un rigido busto,  ma non riuscì a mantenere segretezza sugli iscritti al “Club degli emigrati”. Rientrò in Italia nel dopoguerra e non confessò gli orrori staliniani, che pure aveva vissuto,  dato che era stato internato in un campo di concentramento in Siberia.
Rimase ligio al suo ideale di comunista ma solo dopo la destalinizzazione operata da Krusciov narrò al PCI quelle che aveva subito e vissuto. Ricevette una risposta dal Togliatti che gli diede l’ordine di
Continuare a tacere.
Solo dopo la morte di Palmiro Togliatti pubblicò le sue memorie che furono appunto raccolte da Petacco. Nelle memorie le storie di centinaia di comunisti italiani che avevano sperato di trovare una casa nella madre sovietica per la realizzazione delle loro ideologie.
Gli emigranti comunisti italiani, fuggiti dal fascismo, furono all’inizio accolti con calore. Trovarono un lavoro, casa, amicizie come gli alti esponenti del PCI in esilio tra cui lo stesso Togliatti, Longo, Pastore, Di Vittorio ed altri esponenti ospitati nel famoso e famigerato Hotel Lux. Non tutti furono fortunati ma riuscirono a vivere  almeno in tranquillità anche con lavori saltuari.
Ma nel dicembre 1934 Stalin operò le “purghe”.
Molti italiani, perfettamente integrati nella società sovietica, furono accusati di spionaggio, trotskismo, quindi arrestati e  condannati con processi illegali.
Le figure importanti furono risparmiate, pagarono le piccole figure… la gente onesta.
Paolo Robotti e Antonio Roasio dell’Ufficio Quadri, avrebbero dovuto difenderli ma invece diedero un forte contributo alla loro individuazione. Le “note caratteristiche” degli emigrati, naturalmente descrivevano le caratteristiche di ogni emigrante con le loro eventuali “deviazioni”, finirono nelle mani dell’Nkvd. Semplici note che diventarono spietati atti d’accusa e quindi di condanna.
Erano Comunisti, socialisti, anarchici ed anche ebrei giunti in Russia perché ricercati in tutta Europa. Erano operai  per lo più stabiliti nelle città del Nord  che avevano preso anche la cittadinanza.
Prendere la cittadinanza  fu per loro come un atto di condivisione ideologica ed invece si rilevò come un potente boomerang mortale.
Con il passaporto gli emigranti avevano rinunciato ad ogni tutela   giuridica da parte della madrepatria e quindi subirono tutte le vessazioni e le violenze a cui erano soggetti tutti gli altri sovietici.


Quante furono le vittime ?  La vera realtà non si saprà mai.. . si parlò di circa duecento vittime ma il numero sarebbe largamente sottostimato.
Infatti Dante Corneli, uno degli italiani sopravvissuti ai gulag, stimò come gli italiani presenti in Russia, negli anni Trenta, fossero tra i quattromila e i cinquemila.
 Lettere, qualche documento, testimonianze di ricevute notizie sulla loro triste sorte,,, tutte raccolte nel libro di Petacco.
Così come la storia di Dante Corneli…. Testimone del terrore.
Veniva da Tivoli, dove nel 1922 aveva ucciso il locale segretario del fascio.
In Russia si stabilì a San Pietroburgo ed è anche vero che aderì alla formazione anti-staliniana di Trotsky, Zinovev. Dopo la loro sconfitta fece autocritica, sposò una donna russa, e trovò lavoro in una fabbrica di cuscinetti a sfera. Nel 1936 fu arrestato dall’Nkvd.  Per ben dieci anni fu internato nel gulag nell’Artico e nel dopoguerra continuò ad essere un sorvegliato speciale, confinato e solo nel 1970 riuscì a rientrare in Italia. Pubblicò le sue memorie nel 1977, con tanti problemi, che furono ignorate dal PCI.
I centoventicinque che Robotti nel 1961 propose di riabilitare non furono che un frammento del quadro d’insieme molto più ampio.
Petacco riferì la sua conversazione che ebbe all’epoca con il dirigente comunista:
«“Forse erano più di centoventicinque...”, commentai.
E lui serafico:
“Sì, è vero, ma gli altri non erano compagni: erano anarchici, socialisti, provocatori...”, e liquidò la cosa con un gesto di sufficienza».
E comunque nemmeno i centoventicinque furono riabilitati:
«Queste sono cose da dimenticare», aveva sentenziato Togliatti.
«A differenza degli altri “partiti fratelli” – osserva Petacco – il Pci non riabilitò i comunisti italiani decimati dalle purghe staliniane e impedì anche in seguito,
finché gli fu possibile, ogni ricerca negli archivi sovietici.
Si voleva cancellare anche la loro memoria e purtroppo ci riuscirono».


1933: Togliatti (al centro in prima fila) con gli altri membri del Comintern

La lettera di Luigi Calligaris, un confinato di Ponza, antifascista, scritta da un gulag sovietico e indirizzata alla moglie Angelina…
«Non rivedrò più te, né mio figlio, né fratelli, né compagni. E io che sognavo una morte gloriosa all’ombra di quella bandiera per cui ho dato e sono pronto a dare la vita! Mi trovo nella regione più infame che ci sia: 40 gradi di freddo e manca tutto. Guai se mi mettessi a raccontare quello che mi capita… ti pare giusto arrestare altri dieci italiani solo perché erano miei amici, e tre operai russi che della mia questione non sanno nulla?».
«Angelina mia, anche se non dovessi più scrivere, fin quando hai un attimo di respiro insisti di voler sapere dove sono finito. Scrivi alla Croce Rossa, a Parigi, va a Roma dall’ambasciatore russo e insisti per sapere cosa hanno fatto di me. È il grido disperato di un comunista che, dopo avere visto la morte sui campi di battaglia della guerra imperialista e della lotta politica, non vuole fare una morte ingloriosa per mano dei propri fratelli».
Del Calligaris non si seppe più nulla e così per altre centinaia di comunisti italiani perseguitati nell’indifferenza di Palmiro Togliatti.
Per fare luce su questa tragedia:
“Comunisti italiani in Unione Sovietica. Proscritti da Mussolini soppressi da Stalin” (Ugo Mursia Editore) scritto da Romolo Caccavale, partigiano comunista, giornalista dell’Unità, iscritto al PCI dal 1945.
 Emigrarono in Russia studenti, operai antifascisti, diversi anarchici e socialisti, ma si trattava soprattutto di iscritti al Partito Comunista d’Italia perseguitati dal fascismo. Sarebbe difficile stimare quanti furono gli emigrati italiani. Lo stesso PCI non ha mai fornito ufficialmente un numero.
Umberto Terracini, uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia (1921), presidente dell’Assemblea Costituente, figura di spicco del PCI, in un'intervista dichiarò…

Umberto Terracini
Secondo me Togliatti era stato durante quegli anni quasi plagiato da Stalin e dallo stalinismo, da quel sistema formidabile di potere che era riuscito a subordinare a sé un intero mondo, dall’Europa all’Asia […] Tutti coloro che vivevano a Mosca […] erano presi da quel sistema, soffocati da quell’atmosfera, obbligati ad accettare e inchinarsi.
Se non lo facevano, sparivano.
Come sono spariti quei circa 200 comunisti italiani rifugiati nell’Unione Sovietica,
deportati nei campi di annientamento dell’Asia centrale.
E per salvarli niente fu tentato, diciamolo pure, neanche da Togliatti.
Certo, se avesse tentato si sarebbe esposto lui stesso a chissà quali terribili sanzioni.
Le persone prima di essere smistati nelle prigioni, venivano portati alla Lubjanka, la sede centrale della polizia politica per essere torturati con lo scopo di estorcere delle confessioni – spesso senza fondamento – in modo da condannare direttamente gli interrogati o qualche loro conoscente, in molti casi un connazionale.

Lubjanka

https://www.ilgiornale.it/news/parli-straniero-finisci-lubjanka.html



Questa foto del 1961 dell'edificio Lybyanka mostra la sua "forma a metà". Il lato destro era stato ricostruito secondo il progetto neorinascimentale di Shchusev negli anni Quaranta; il lato sinistro (qui appena visibile) conserva ancora l'aspetto ottocentesco. Sarebbe stato ricostruito per corrispondere al lato destro negli anni '80.

La maggioranza degli emigrati italiani arrestati finirono nei campi siberiani di lavoro forzato, definiti pudicamente “campi di lavoro correttivo”. La proibizione di vivere in grandi città fu spesso imposta negli anni Trenta ai familiari degli emigrati fucilati o in detenzione.
In alcuni casi lo Stato forniva dei falsi certificati di morte ai parenti degli uomini rinchiusi nei gulag.
Salvare il partito a discapito della vita dei militanti
Antonio Roasio, senatore comunista nelle prime due legislature, parlando dei deportati italiani confessò:
è merito di Togliatti aver salvato il partito, il suo nucleo essenziale. Altri partiti, come quello tedesco o polacco, spaccati al loro interno, diedero all’NKVD [polizia politica, ndr] la possibilità di operare arresti anche al vertice, autodistruggendosi. Noi, no. Noi ce l’abbiamo fatta (…). La nostra colpa è di non essere intervenuti dopo, nel 1945. Molti di loro erano ancora vivi nei campi di concentramento. Se Togliatti fosse allora intervenuto, con tutto il suo prestigio, forse li avremo ancora salvati.

I vertici del PCI non fecero nulla per salvare i compagni ma in alcuni casi, come per Gino De Marchi,  giovane della FGCI arrestato a Mosca nel 1921 e detenuto in un campo di concentramento per 2-3 anni, fu incarcerato proprio per un’iniziativa del gruppo dirigente del PCI.
La colpevole passività di Togliatti nei confronti dello stalinismo fu testimoniata anche dall’atteggiamento di altre figure interne al Comintern; il bulgaro Gregori Dimitrov si mobilitò per salvare decine di dirigenti, mentre Wilhelm Pieck, segretario in esilio del Partito Comunista di Germania, arrivò perfino a criticare l’operato dell’NKVD.
L’interessante libro di Caccavale elencò un elevato numero di tragiche storie vissute dai comunisti in Russia e non tutte finirono con la fucilazione  perché di alcuni si persero le tracce.
Leonardo Damiano – inizialmente processato come “spia di Mussolini” – quando spiegò di aver lasciato l’Italia a otto anni per trasferirsi a Boston, venne accusato dalle autorità sovietiche di essere una spia di Roosevelt; condannato a otto anni di lavori forzati, una volta libero, nel 1946, tentò in tutti i modi di lasciare l’URSS, ma tornò in Italia solo nel 1965.
Il compagno Gino De Marchi venne inviato in Russia direttamente dal PCdI nel 1921 e internato per due-tre anni come punizione per aver rivelato ai carabinieri il luogo in cui aveva nascosto delle armi da utilizzare nelle occupazioni delle fabbriche durante il biennio rosso. Una volta libero, poco si riuscì a sapere della sua sorte. Secondo Corneli venne arrestato e fucilato nel 1937.
Analogamente a Mosca Alfredo Bonciani fu accoltellato a morte nel 1935 da tre compagni connazionali dopo aver esternato la sua voglia di tornare in Italia perché insoddisfatto della Russia; gli assassini scontarono appena tre mesi di carcere.
Roberto Oris Di Bartini si trasferì in Russia nel 1923, lavorò come ingegnere aereonautico a Mosca fino alla sua morte, nel 1974. Di Bartini non era uno qualunque, fu uno dei pionieri della produzione aeronautica e uno dei massimi costruttori di aerei dell’URSS, gli aerei progettati da lui e dai suoi allievi vennero prodotti in serie durante la Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, anche Di Bartini finì nel mirino di Stalin, nel 1939 venne incarcerato, ma scelse di continuare in prigione il suo lavoro di ricerca, scelta che gli salvò la vita. Venne scarcerato nel 1948, ma dovette attendere il 1955 per essere pienamente riabilitato.
Oltre all’orrore dello stalinismo che colpì gli stessi compagni, il libro di Caccavale rimarcò anche la malafede dei comunisti che vissero in prima persona il dramma dei lavori forzati.
La maggioranza della trentina e più di italiani che poterono sopravvivere al terrore staliniano, una volta in libertà o decisero di restare per sempre nell’URSS, oppure se rientrarono in Italia scelsero anch’essi la strada del silenzio, e della solitudine. Vittorio Penco, unico sopravvissuto alla cui morte a Trieste sull’Unità [all’epoca giornale diretto da Walter Veltroni] dell’11 novembre 1993 sia apparso un necrologio, viene sì qualificato “perseguitato politico per le sue idee di libertà e di socialismo” [lasciando intendere che sia stato il fascismo a perseguitarlo], ma non vengono ricordati i 17 anni da lui scontati in Siberia.

Aldo visse in questi terribili tempi caratterizzati da così tragici eventi.
Di certo era più fortunato di altri che avevano i genitori assassinati o in carcere. Eppure i suoi non tornavano. Arriveranno solo due o tre anni più tardi, finita la guerra civile spagnola.
I segni della sua malattia, legati ad un disagio di natura psichiatrica, aumentarono e cominciarono a condizionare con maggiore intensità la sua esistenza.
Aldo, abbandonato da tutti,  proseguì un suo intimo e personale “viaggio”. Un “ viaggio” che determinerà un peggioramento della sua malattia psichica facendolo chiudere sempre più in se stesso. Un pseudo-abbandono nato anche da questa sua identità così complessa. 
Massimo Caprara, allora segretario di Togliatti dal 1944, accompagnò il ragazzo a Praga. Lo stesso segretario affermò di aver avuto l’impressione di come Aldo non fosse comunista.
«Ho l’impressione che non fosse comunista. Non ha mai mostrato di esserlo – dice ancora Massimo Caprara -. Non era nemmeno anticomunista. Semplicemente, non parlava mai di politica».
Lo stesso Caprara disse a Nunzia Manicardi in un’intervista riportata sul suo libro:
«Un giorno, mentre eravamo insieme a Praga, [Aldo] mi disse sconsolato:
“Non sono mai stato bambino”».
Il rapporto con il padre diventò sempre peggiore. Giorgio Bocca riportò come Palmiro Togliatti abbia confidato alla sorella Cristina:
«Aldo ha letto più libri di me. È bravo, ma non riesco a capirlo. Vorrei che prendesse la laurea, che si facesse una vita, ma ha terrore degli altri, rifiuta la comunicazione».
Eppure lo sfortunato Alto era  gentile, genialoide e coltissimo, aveva la passione della scienza, dei numeri e dell'ingegneria, giocava a scacchi da solo, parlava bene quattro lingue.
Il Caprara rilevò come Aldo provasse la mancanza del padre ma soprattutto quello della
Madre ebrea.
Nel suo animo era consapevole di essere ebreo.
«Era stato allevato da Rita non secondo l’osservanza dei precetti, però sapeva tante cose. Sapeva, tanto per dire, che cosa fosse la cucina kasher. Ma, soprattutto, c’era questa specie di diritto di appartenenza ebraica che si esercitava su di lui, in modo evidente anche in tante piccole cose. Era ebreo nel sentimento. Nella solitudine, nell’eccezionalità, nella riservatezza, nel fatto di non potersi radicare da nessuna parte. Ma era ebreo come lo sono gli ebrei russi, che non sono uguali a quelli degli altri paesi perché hanno il senso della persecuzione profonda. Il pogrom è la stessa cosa che essere comunisti. Si è ammazzati sia perché ebrei, sia perché comunisti. E quindi Aldo era consapevole di essere in qualche modo un perseguitato».
In quegli anni essere ebreo in Russia, anni caratterizzati dalla guerra, era un problema.
La Russia aveva in sé una lunga tradizione di antisemitismo popolare.
I contadini erano impregnati dalla propaganda antisemita religiosa. Negli anni Trenta, era opinione comune ritenere che le principali vittime delle persecuzioni staliniane fossero gli ebrei.
Aldo e i suoi compagni di scuola videro  andare via da Ivanovo gli studenti colpevoli di essere diventati figli di “nemici del popolo”, non più allineati con Stalin o presunti cospiratori.
Il crescente nazionalismo russo colpì anche la cultura ebraica e vennero chiuse le scuole e centri culturali ebraici. Il patto Ribbentrop-Molotov del ’39 accelerò le persecuzioni e le restrizioni e quindi  gli ebrei vennero esclusi dall’esercito, dalla diplomazia e dal commercio con l’estero. Un pericolo maggiore arrivò nel ’41 con l’avanzata della Germania nazista nei territori sovietici.
Aldo Togliatti e sua madre, dal ’41, vennero evacuati nelle retrovie, a Kujbysev, la capitale provvisoria, dove Rita collaborò con una radio antifascista in lingua italiana.
Il padre Palmiro Togliatti era assente, forse si trovava in Francia.

Kuibyshev 1945. Com'era la nostra città nell'anno della grande Vittoria - SamKult



Rita Montagnana rientrò in Italia dall’Unione Sovietica nel maggio del 1944, ancora in piena guerra, in piena Shoah. Aldo la seguirà nel luglio del ’45, su un aereo che riporterà in patria padri e figli comunisti. Anche stavolta, era solo. Palmiro Togliatti era rientrato in Italia il 27 marzo 1944.
In realtà Aldo non avrebbe voluto tornare in Italia, un paese che conosceva poco. Abitava a Roma con i genitori, ma la sua vita non era tranquilla. Aveva una grande malessere nell’animo: gli mancava la Russia.
Un giorno, salì su un treno e arrivò al porto di Civitavecchia.
Voleva  imbarcarsi clandestinamente su una nave sovietica per raggiungere il paese della sua infanzia. Lo fermarono e disse di chiamarsi Togliatti.
Lo riconobbero e da un ospedale venne riportato a Roma.
Ma nella capitale italiana
“non si trova”.
Si trasferì allora a Torino, dove ritrovò la grande famiglia ebraica che non aveva mai potuto frequentare.
Nel 1944 - 1945, quindi la famiglia Togliatti si riunì in Italia.
Togliatti andò a vivere a Roma da dove guidava  il partito, una separazione di fatto dal figlio, che andò a Torino a vivere con la madre.  Togliatti sembrava orgoglioso di quel figlio che parlava quattro lingue, che aveva la passione  per i numeri e le scienze. Aldo cominciò a sentire " il male oscuro" dentro di sé e i segni della depressione e della schizofrenia. Iniziò ad essere assente, a dire frasi sconnesse, a comportarsi in modo strano. Suo padre, diventato uno degli uomini più popolari d' Italia, decise di prendere  le distanze da quel figlio scomodo.
Nel 1946, Palmiro Togliatti, nel pieno dramma delle Foibe e della persecuzione contro gli Italiani di Istria e Dalmazia, si recò a Belgrado ed affermò:
“Desideravo da tempo recarmi dal Maresciallo Tito per esprimergli la nostra schietta e
profonda ammirazione”.
Nel 1946 Rita Montagna fu eletta all’Assemblea Costituente le cui sedute iniziarono il 25 giugno 1946 di cui facevano parte anche:
- Il marito di Rita Montagnana, Palmiro Togliatti (Partico Comunista Italiano, Collegio Unico Nazionale);
- Leonilde Iotti, Partico Comunista Italiano, eletta nel Collegio di (Parma – Modena – Piacenza – Reggio Emilia);
- Rita Montagna Togliatti (Partico Comunista Italiano) fu eletta nel Collegio di (Bologna, Ferrara – Ravenna – Forlì).

Nilde Iotti
Questa bellissima foto ritrae Nilde Iotti, con un sorriso smagliante,
il giorno della sua elezione alla Presidenza della Camera nel 1979

Nilde Iotti e Palmiro Togliatti
Foto scattata davanti a Palazzo Montecitorio (Roma) nel 1958

Aldo Togliatti
Palmiro Togliatti lasciò la moglie Rita Montagnana nel 1948 e probabilmente la relazione  fra lo stesso Togliatti  e la Iotti nacque proprio sui banchi  dell’Assemblea Costituente costituita da settantacinque Costituenti (tra cui Rita Montagna, moglie del Togliatti) chiamati al più alto compito, quello di scrivere la nuova Costituzione.

Ritratto di gruppo per alcune delle Costituenti nell’estate del 1946:
nella foto da sinistra si riconoscono Angela Gotelli, Maria Maddalena Rossi, Teresa Mattei,
Teresa Noce, Nilde Iotti, Adele Bei, Laura Bianchini ed Elettra Pollastrini.

Elette del Partito Comunista sui banchi di Montecitorio durante le sedute dell’Assemblea:
da sinistra Nilde Iotti, Rita Montagnana (prima moglie di Palmiro Togliatti), 
Teresa Noce e Maria Maddalena Rossi.

La relazione fra i due suscitò molte critiche anche perché all’epoca il Partito Comunista era alquanto conservatore in fatto di morale e lo stesso Togliatti era sposato civilmente, allora il divorzio in Italia non era possibile.
La storia è un continuo cambiamento dell’uomo nel tempo, con le sue problematiche, il suo agire, il suo pensiero, il suo essere.
Fu un grande amore fra Togliatti e la Iotti a tal punto che lo stesso Togliatti modificò alcune sue ideologie.
Nella primavera del 1974, Togliatti era già deceduto, era in atto in Italia la campagna per il “Referendum abrogativo” del 12 – 13 maggio. Il referendum aveva come oggetto la disciplina normativa con cui era stato introdotto l’istituto del divorzio, previsto dalla
Decreto Legge 1° dicembre 1970, n. 898,
noto come “legge Fortuna – Basini”.
Quesito:
«Volete che sia abrogata la legge 1º dicembre 1970, n. 898,
"Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio"?»
Nella campagna referendaria fu pubblicato dal Comitato Nazionale del Referendum sul Divorzio
(un’associazione che era contro il divorzio, guidata dal giurista cattolico Gabrio Lombardi) un manifesto che presentava l’effige in bianco e nero di Palmiro Togliatti.

https://www.facebook.com/108949965841483/posts/nella-primavera-del-1974-il-comitato-nazionale-del-referendum-sul-divorzio-unass/2245750405494751/
In colore rosso era riportata la scritta…
Il divorzio è innaturale e dannoso
Una frase detta da Palmiro Togliatti e rivolta, in modo ironico,  ai comunisti.
Una frase detta proprio da Togliatti?
Sì… una frase autentica che lo stesso Togliatti pronunziò in un intervento del 7 novembre 1946.

Manifesto dell’Unione Donne Italiane (UDI).

Durante una riunione dell’Assemblea Costituente, il Togliatti dichiarò…
Come è stato dimostrato dalla discussione generale,
sono lieto che anche l’onorevole Cevolotto abbia dichiarato la stessa tendenza:
non è stata posta sul tappeto la questione del divorzio che personalmente in
relazione alle esigenze dell’attuale società italiana,
considero innaturale e dannoso….
Nei primi giorni di maggio, il pretore di Cremona, il dottor. Grande, ordinò il sequestro del manifesto.
Motivò l’atto del sequestro….
Poiché la frase di Togliatti non corrisponde all’attuale campagna elettorale del PCI,
il manifesto potrebbe ingenerare confusione tra gli elettori comunisti.
Un uomo può cambiare perché ama una persona per la quale decide di trasformarsi, dal momento che ha deciso di intraprendere con lei un percorso di vita insieme. A testimonianza di questo grande amore ci sarebbero ben quaranta lettere che il Togliatti e la Iotti si scambiarono tra l’agosto 1946 e l’agosto 1947. Lettere trovate dalla loro figlia adottiva Marisa Malagoli in un cofanetto di legno intarsiato.
Queste lettere avrebbero però una grande particolarità…. Quale?
Non furono mai spedite. Sarebbero come un amoroso diario a testimonianza quindi di un amore passionale che ai tempi fece tanto scalpore.
Lo scambio epistolare si fermò nel momento in cui di due amanti decisero di convivere nell’abbaino posto sopra le Botteghe Oscure (cioè sopra la sede del partito dei Democratici di Sinistra in via Nazionale a Roma).

https://www.ilsole24ore.com/art/pcibotteghe-oscure-sede-storica-partito-togliatti-ADEmNuAB


Per Rita Montagnana, la mitica “Marisa”, la separazione dal marito fu un dolore sopportato con grande dignità senza clamori a differenza  degli atteggiamenti della stampa e degli esponenti del partito.

La Montagnana e la Iotti due deputate comuniste legate da tanti valori politici e sociali, impegnate nell’emancipazione delle donne, così diverse dall’aspetto e anche dall’età che diventarono rivali per amore anche se in silenzio e con grande dignità.
Per la Iotti,  giovane professoressa reggiana, figlia di un ferroviere socialista, laureatasi alla Cattolica e formatasi alla scuola di Dossetti e La Pira, la simpatia travolgente per Togliatti, di 27 anni più vecchio di lei, si trasformerà ben presto in una relazione “gioiosa e terribile”.
Una fervente cattolica, in bilico nel suo riformismo tra la Dc, i socialisti e il Pci, attenta nell’ascolto nel 1944, attraverso Radio Londra, della «voce gracchiante di Ercoli» (lo pseudonimo di Togliatti) che annunciava la "svolta di Salerno". Dopo la collaborazione alla Resistenza, l’esperienza nell’Udi e l’elezione come indipendente nelle liste del Pci a Reggio Emilia, per la Iotti arrivò la candidatura alla Costituente, la sua elezione e l’incontro con il suo grande amore della vita.
Per «Marisa», invece, la compagna del Togliatti nel periodo dell’antifascismo clandestino, resterà una storia di abbandono sofferto e penoso, anche per quel loro figlio, Aldo, tormentato da un insopprimibile mal di vivere.
Nell’agosto del 1946  un gesto del Togliatti fu notato da alcuni esponenti dell’Assemblea Costituente. Un gesto amorevole nei confronti della compagna Nilde Iotti…..
Una timida, impacciata carezza di Palmiro sulla chioma di Nilde..
Un gesto  donato mentre scendono lo scalone di Montecitorio.


Dopo questo timido gesto nacquero tra i due delle conversazioni culturali… qualche incontro clandestino e quindi, come in tutte le belle storie d’amore, l’innamoramento.
Innamoramento travolgente se il Togliatti avvertiva in sé…
vertigine davanti a un abisso..
e la Iotti sentiva…
«sgomento per questo immenso mistero d’amore che mi dà le vertigini».
La Iotti, chiamata più familiarmente “Nina” affronterà il problema della famiglia, ponendo fin dall’inizio la questione della parità tra i sessi al suo interno e nell’educazione dei figli.
Sarebbe l’unica donna a fare parte della prima sottocommissione per gli articoli relativi “ai diritti e doveri dei cittadini”. Un incarico di notevole prestigio in cui la giovane deputata di Reggio Emilia era relatrice per la famiglia.
Un argomento difficile, delicato nella struttura sociale, che per uno stano gioco del destino sembrò voler mettere in primo piano la propria vita personale, il proprio mondo privato.
Sarà costretta a combattere per il suo amore e per l’emancipazione delle donne mentre il compagno di vita Togliatti gli starà vicino aiutandola nei momenti difficili.
Togliatti in nodo astuto cercherà di evitare lo scontro con la DC con la sua base di “alta etica morale e sociale” per “Il bene dei lavoratori e del Paese”.
Ma la loro relazione era  sinonimo di scaldalo e ci saranno delle manifestazioni piuttosto colorire come quella attribuita all’ing. Giovanni Lone che motiverà la sua decisa contrarietà all’ingresso delle donne  nella magistratura…
“..già l’allargamento del suffragio elettorale alle donne costituisce un primo passo (…)ma negli alti gradi della magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell’equilibrio di preparazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni!”

La forte relazione amorosa con Togliatti rischiò di danneggiarla perché autorevoli esponenti di partito, come Pietro Secchia, accusarono il Togliatti, allora segretario del partito, di  essere “condizionato” dalla Iotti. Dirigenti che nelle loro critiche misero in dubbio con Mosca la stessa affidabilità politica della Iotti per i suoi trascorsi all’Università Cattolica.
Nonostante le critiche, d’altra parte mosse anche dalla stampa, non rinunciò al suo amore verso Togliatti. C’era in lei la consapevolezza di andare contro l’ideologia moralista del suo partito, allora essere “concubini” costituiva un reato penale, e quindi di non rinunciare al suo amore…
«Mi sento di lottare con le unghie e con i denti per difendere un sentimento che è mio e solo mio».
Difese a spada tratta quindi il suo amore riuscendo a vincere anche le pressioni dei suoi compagni di partito di Reggio Emilia che l’invitarono a ritirarsi a vita privata abbandonando la politica.
Nelle lettere colpì anche  l’atteggiamento amoroso del Togliatti, difficile da credere in un uomo che dava una visione di freddezza e razionalità.
“Quanto ho fatto verso di te e con te non è mai stata un’intenzione frivola (…) ho seguito un impulso più forte della mia volontà”,
scrisse il Togliatti in una “lettera” datata 28 settembre 1946.
Nilde è entrata nella mia vita come una striscia di sole in una stanza buia.
Ogni aspetto della sua vita, anche una semplice passeggiata, grazie all’amore per la Iotti, assunse per lui un valore particolare come di qualcosa che non si era mai vissuto.
Dal momento dell’innamoramento nel 1946 sfidarono quindi le convinzioni e il partito che farà installare addirittura delle microspie per sorvegliarli.
Lasceranno l’abbaino delle Botteghe Oscure per prendere casa, anche per una maggiore libertà, in un villino in Via Arbe n.5 a Montesacro (?).
Via Arbe, n. 5(?)

Un’altra fonte indica come abitazione di Togliatti e della Iotti, in via Assietta  (?)

La casa di Palmiro Togliatti in Via dell'Assietta nel quartiere Montesacro, Roma,
Anni Sessanta


Abitazione di Togliatti (?)

Rita Montagnana tornò a Torino, allontanandosi da Roma e dai dirigenti del suo partito. Anche suo marito quindi era lontano e viveva nella capitale con la sua compagna  Nilde Iotti ( adotteranno anche una bambina: Marisa Malagoli).
Siano negli anni ’50 ed Aldo era venticinquenne. Come vivrà questo avvenimenti? Non lo sapremo mai ma proprio in quegli anni la sua salute subì un repentino peggioramento.
La prima visita psichiatrica fu eseguita da Enzo Arian, marito di Giorgina Levi, la figlia di sua zia Gemma Montagnana. Enzo Arian era un ebreo, marxista e tedesco di padre polacco. Aveva studiato medicina e psicologia a Berlino, fino a quanto aveva potuto. Poi venne in Italia per studiare psichiatria, ma per le leggi razziali dovette andare via  e si recò in Bolivia dove si fermò fino al 1946.
Aldo lavorò come dipendente, per alcuni anni alla Sip (Società Idroelettrica Piemontese). Si iscrisse al Politecnico per proseguire gli studi ma  il progetto non andò a termine.
Nell’aula si sedeva lontano ed assisteva alle lezioni con un binocolo.
Quando il 14 luglio 1948, Palmiro Togliatti subì un attentato a  Roma e fu gravemente ferito , Aldo disse alla madre Rita
"Voglio andare a trovarlo”.
Ma quando arrivò nell’ospedale dove era ricoverato il padre, capi i motivi per cui il padre si era allontanato dalla famiglia.
Al suo capezzale c'era una giovane donna, Nilde Jotti la sua amante.
Aldo scappò dall'ospedale e la sua mente vacillò ancora di più.
Non riuscì a sopportare il doloroso divorzio dei genitori.
"Aldo cadde nello sconforto. Capì che nella vita di suo padre non ci sarebbe
stato più posto per lui".
Aldo era tornato dalla sua amata Russia per vivere un ennesima ingiustizia della vita:
patire il sisma passionale di suo padre per Nilde Iotti e la conseguente dolorosa separazione di “mamma Rita da babbo Palmiro”.
Nel 1949 Palmiro Togliatti pubblicò un articolo su “Rinascita” in merito  all’Esortazione Apostolica di S.S. Pio XII all’Episcopato Cattolico per riparare i gravissimi peccati dell’ateismo e dell’odio contro Dio….
Essa si riduce a poche righe, ma gravi, di significato minaccioso. In esse si dice che, di fronte a quella che egli descrive come l’offensiva dell’ateismo, il Papa saluta con gioia e approva quelle iniziative che, allo scopo di sventare tali minacce, tendono a riunire le nazioni in alleanze con vincoli sempre più stretti. Ci siamo e abbiamo capito: contro gli odiatori di Dio il blocco di Londra e il Patto Atlantico. È la prima volta che dal Vaticano esce una parola così grave. Qui viene chiaramente detto senza reticenza né infingimenti che il Papa vuole la Santa Alleanza contro i popoli che hanno commesso il terribile sacrilegio di liberarsi dal capitalismo e dall’imperialismo… le imprese di guerra vengono cosparse d’acqua santa… Da una parte v’è chi minaccia di uccidere o mutilare milioni di uomini. Dall’altra vi è chi vuole la pace, offre la pace… Il Papa è con i primi: il Papa è contro i secondi!».
Il 23 settembre 1951, in un discorso tenuto da Togliatti a Bologna
Queste gerarchie (della Chiesa Cattolica) sono sempre state parte integrante e sostegno attivo delle nostre classi ricche e privilegiate. Ma è bene che da ora in avanti questa responsabilità sia fatta presente anche all’ultimo dei cittadini e anche all’ultimo dei sacerdoti. Voi siete responsabili se nel nostro paese si chiudono le fabbriche, si lasciano gli operai senza pane e senza lavoro; voi siete responsabili se abbiamo un governo di inetti e di cinici, che predicano l’odio contro i lavoratori mentre stringono la mano ai banditi della Sicilia; voi siete responsabili se si nega il pane a chi vive soltanto del lavoro; voi siete responsabili se il nostro paese viene spinto verso la guerra. A questa responsabilità voi non sfuggirete più.
Fra il 1951 e il 1957 Aldo si recò più volte con la madre in URSS, i Bulgaria e in Ungheria per fare visite e cure specialistiche.
La diagnosi fu ben precisa
“Schizofrenia con spunti autistici”.
I giornali stranieri riferirono che in quel periodo si volesse convertire al cattolicesimo e cercò di avviare alla conversione anche la madre.
Quei viaggi in Russia furono per Togliatti una liberazione… Il figlio era scomodo, impresentabile, malato ed ebreo..
L’unico pensiero per Togliatti era il partito e la sua nuova famiglia arricchita dall’adozione di una bambina Marisa Malagoli.
Rita restò per anni obbligata nel restare a Mosca assillata da tanti problemi non solo legati alla salute del figlio Aldo.
Non disturbò Togliatti e quindi la sua famiglia.
Si dedicava al  figlio ma altri problemi l’assillavano.
Rita ed Aldo erano ebrei e questa loro origine era un terribile marchio in un momento cui in Russia era esploso l’antisemitismo comunista. C’era stato l’omicidio di Rudolf Slansky, segretario del partito comunista cecoslovacco, colpevole di essere israelita, e giustiziato a Praga, dai suoi stessi compagni di partito, il 3 dicembre 1952.
 In merito alla morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953, Togliatti fece un discorso alla Camera dei Deputati…
Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero, è un gigante dell’azione. Con il suo nome verrà chiamato un secolo intero, il più drammatico forse, certo il più denso di eventi decisivi della storia faticosa e gloriosa del genere umano. […] ogni volta che viene pronunciata una parola di pace, ogni volta che si compie un atto che può assicurare la pace, ivi troviamo Stalin, la sua mente saggia, prudente, il suo animo sollecito di assicurare ai popoli quella che è necessità prima alla loro esistenza: la pace; e non solo per un giorno o per un anno, ma per un intero periodo della storia, una pace fondata su comprensione, tolleranza, collaborazione reciproche.
Togliatti cancellò dalla sua vita sia la sua ex compagna di vita che il figlio. Infatti  nel 1956 al XX congresso del PCUS, Rita Montagnana parteciperà come delegata italiana ,  non si preoccupò di incontrarli e vederli anche per un saluto.
Erano  gli anni della guerra fredda, quando non era semplice viaggiare. Saranno anche gli anni dell’antisemitismo comunista nei paesi dell’Est. 
XX Congresso del PCUS - condanna del culto della personalità di Stalin
 
Il congresso ebbe luogo il 14-25 febbraio 1956 nella sala riunioni del Soviet Supremo della RSFSR a Mosca .
Erano presenti 1.349 delegati votanti e 81 delegati consultivi , in rappresentanza di 6.795.896 membri del partito e 419.609 membri candidati del partito .
Al congresso parteciparono delegazioni dei partiti comunisti e operai provenienti da 55 paesi stranieri.
Ordine del giorno:
- Rapporto del Comitato Centrale del PCUS . Relatore - N. S. Krusciov .
- Rapporto della Commissione centrale di revisione del PCUS . Relatore - P. G. Moskatov .
- Direttive per il sesto piano quinquennale per lo sviluppo dell'economia nazionale dell'URSS 1956-1960. Relatore - N. A. Bulganin .
- Elezioni degli organi centrali del partito. Relatore - N. S. Krusciov .

Nikita Sergeevič Chruščëv

Chruščëv (a sinistra) e Stalin (a destra) nel 1936

Kennedy, Papa (Santo)  Giovanni XXIII, Kruscev


Kruscev e  John Fitzgerald Kennedy

Togliatti nel 1956 definì l’invasione di Budapest e la conseguente brutale repressione come..
Una giusta azione contro la reazione fascista-clericale.
Rita disperata si rivolse ad un caro amico tra l’altro stalinista, Vittorio Vidali, che dimostrò subito la sua umanità nei confronti della donna.
Rita era prigioniera in Russia e chiedeva solo di poter riavere il suo passaporto per rientrare in Italia con il figlio.

Vittorio Vidali
(Muggia, Trieste, 27 settembre 1900 – Trieste, 9 novembre 1983)
Politico ed antifascista
Conosciuto anche come Vittorio Vidale, Enea Sormenti, Jacobo Hurwitz Zender, 
Carlos Contreras, "Comandante Carlos", fu convinto assertore della linea
politica strategica internazionale impostata da Stalin e legato ai servizi segreti sovietici.
Nel dopoguerra fu parlamentare della Repubblica Italiana eletto nelle liste del PCI.

Vidali e Krusciov, che di Togliatti non aveva una buona impressione, si adoperano affinché i confinati Rita ed Aldo potessero finalmente tornare a Torino.
Aldo vivrà per molti anni con la madre a Torino, in un appartamento lontano dal centro, probabilmente a Borgo San Paolo.
Viveva come uno spettro, una vita senza motivazioni e con la morte di Rita Montagnana nel 1979 (sembra a causa di un ictus) si ritroverà di nuovo solo all'età di 54 anni.
La perdita della madre aggravò il suo disagio.
Palmiro Togliatti muore prima, nel 1964. Gli imponenti funerali  per la morte del padre furono per Aldo la sua ultima apparizione pubblica.

Aldo Togliatti, figlio di Palmiro, seduto sul sedile posteriore di un'automobile
del corteo funebre dei funerali di Togliatti
(Accanto ad Alo, la madre).
data: 25.08.1964
luogo della ripresa: Roma
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL1000000706/11/funerali-palmiro-togliatti.html?indexPhoto=3

Il corteo funebre per la morte di Palmiro Togliatti
La compagna Nilde Iotti e la figlia Marisa.

Il saluto dei compagni a Palmiro Togliatti

23 agosto 1964 – 25 agosto 1964
Via delle Botteghe Oscure – Roma
La delegazione del Partito Comunista dell’Unione Sovietica,
guidata da Leonid ll’ic Breznev, presenzia davanti all’entrata di
Botteghe Oscure assieme a Dolores Ibarruri.
https://immaginidelnovecento.fondazionegramsci.org/image-h/HD2/2010-09-08/imgs/023711.jpg

Dopo la morte della madre, sempre nel 1979,  prese il treno e si recò a Le Havre, nel nord della Francia. Una città che non conosceva e che raggiunse per andare in America.
Fu trovato nello stato di vagabondo dalla polizia e non rivelò negli interrogatori di essere figlio “ di Togliatti”…. Riferì solo che
Era solo una omonimia.
Sembra che nell’interrogatorio abbia rilevato il desiderio di andare a Disneyland.
Il sogno di un bambino… lui che come aveva detto al Caprara…
Non sono mai stato un bambino
Un aspetto che dovrebbe fare riflettere,,, ricerca di spensierata serenità,,, di sorriso…  momenti di divertimento forse mai conosciuti..
Sua zia Nuccia Montagnana rilevò come in alcuni momenti era filo-americano e che il suo voler andare a volte in Russia, a volte in America, era un segno chiaro del suo “sbalestramento”.
«Anche lei, la follia, di qualunque cosa si tratti, ha le sue ragioni – scrive Massimo Cirri -. Quindi c’è qualcosa che porta Aldo Togliatti a Le Havre […]. È un sentiero di famiglia, una rotta. Da Le Havre sono partiti suo padre e sua madre, tante volte. È stato uno snodo delle loro vite».
La famiglia si rese conto di come Aldo, ornai giunto all’età di 54 anni , non  poteva più restare ed abitare da solo anche per la una incolumità.
In particolare per la sua vita si preoccupò il Partito Comunista ed esattamente la sezione di Modena. Lo stesso Partito Comunista aveva nel 1978 sostenuto la famosa Legge Basaglia, Decreto Legge n. 180 sulla chiusura dei manicomi.
Nel 1981 Aldo fu condotto  a Villa Igea, una clinica privata di Modena, e ci resterà fino alla sua morte per ben trent’anni.

Modena - Villa Igea


Un periodo lunghissimo…. Una nuova vita dentro la vita….
Fu quindi condotto a Villa Igea. Ma da chi?
Alcuni fonti indicherebbero  come autori del ricovero i suoi familiari mentre un’altra fonte attribuirebbe il ricovero ad un diretto interessamento della Sezione dei PCI di Modena.
 Quando Rita Montagnana morì, rimase da solo un paio d' anni a Torino, poi il Pci chiese ai compagni modenesi di trovargli una sistemazione, a Villa Igea. Qui, sempre più avvolto nel suo silenzio, ogni settimana ( per anni) l' ex operaio metalmeccanico Onelio Pini, gli portò le sigarette (Stop senza filtro) e la Settimana Enigmistica.
Qualche volta una passeggiata nel parco o  fuori dalla clinica per prendere un caffè, ma non era facile, non sempre Aldo usciva volentieri.
Il partito gli fissò la residenza in casa di un altro militante di Modena (un ex impiegato “Amcm”- Aziende Municipalizzate Elettriche -  in via Foscolo a Modena), ma lui non ci andrà mai.
Alla fine si era affezionato ad Aldino. Fu lui a dirgli che "l' Urss non c' era più".
Onelio Pini ( morto nei primi anni del 2000)  riferì di come Aldo non parlò mai di suo padre, tranne rarissimo molte   con il termine di
“Vegliardo” .
 In clinica avrà sempre un comportamento educato, gentile, persino elegante. 
Era accudito da un assistente e dai cugini di Torino, uno dei quali Manfredo Montagnana ne fu il tutore fino all’ultimo giorno (?).
A Villa Igea Aldo non avrà più un cognome, nemmeno uno finto a cui fu abituato per tanto tempo….
Sulla tabella della clinica e forse in alcuni documenti c’era scritto solo…
“Aldo”, oppure “Aldo 227”, il numero della sua camera.
Aldo resterà sempre un appassionato lettore nelle “sue tre lingue”.
Lo misero in una  camera con pazienti più gravi, ma non si lamenterà mai di questa situazione. Era  sempre solo a tal punto che giocava a scacchi in solitudine.
Alto Togliatti sparì nel nulla per poi riapparire solo nel 1993 quando  Sebastiano Colombini, allora cronista, e il direttore Antonio Moscolo, entrambi della  “Gazzetta di Modena”, pubblicarono  uno scoop sul ritrovamento del “figlio di Togliatti” a Villa Igea di Saliceta.
Il segreto, di cui erano a conoscenza varie persone (medici, infermieri e politici locali),
era stato fino a quella data  custodito benissimo.
Il dramma di Aldo malato, sfortunato ma tanto famoso, esplose in tutta la sua dimensione umana e politica. Villa Igea fu presa d’assalto da cronisti, curiosi,  fedeli comunisti.
Il PCI fece anche delle interrogazioni parlamentari e  nacquero delle polemiche molto dure, sui giornali dell’epoca, in merito
 all’”ingresso volontario” o “ricovero forzato del figlio di Togliatti”.
“Aldo era stato fatto sparire, cancellato dalla sua famiglia e dal partito”.
Era questa la triste verità?
Forse… un figlio impresentabile, anche se non si potrebbe affermare con certezza.
Piuttosto il povero Aldo, malgrado la sua cultura, pagò a carissimo prezzo l’ingombrante presenza del padre. Viveva nella clinica modenese pagando una parte della retta della clinica con la pensione di reversibilità dei genitori, entrambi parlamentari, mentre una quota era a carico della Usl.
L’ingegnere Aldo, nel 1993 aveva 68 anni,  reagì a  quella confusione legata alla sua presenza nella clinica…
‘Lasciatemi nella mia casa modenese’.
Era descritto come un lungodegente normale della clinica di Saliceta, anche se nell’elenco dei 227 pazienti era l’unico del quale non appariva il cognome.
E proprio da quel dettaglio partirono i cronisti per le loro rivelazioni che richiesero un mese di controlli. Aldo Togliatti a Villa Igea si trovava bene; a detta dei medici non causava problemi tanto che, dissero, avrebbe senz’altro potuto essere inoltrato a una struttura esterna per recuperare una vita dignitosa.
Scelta che, però, a quanto pare non venne mai intrapresa: per motivi politici? 
La clinica, con grande professionalità, non violò mai il segreto professionale.
Era un ospite importante, dalla grande cultura,  leggeva tanti libri, aveva viaggiato per l’Europa, sapeva tre lingue.
La vita di Aldo nella clinica modenese ritornò normale, accudito da un infermiere, tra sigarette, libri e settimana enigmistica.
“Aiuteremo Aldo Togliatti a rimanere a Modena, ma anche la Storia di questi
ultimi trent’anni a riempire dei vuoti”.
Aldo morirà il 9 luglio 2011, a 86 anni, nella stanza n. 429 di Villa Igea…. Ancora una volta  aveva subito uno spostamento ma il suo cuore era sempre rimasto in Russia.
I funerali si svolsero in forma strettamente privata. Questa fu volontà che Aldo Togliatti espresse negli ultimi tempi, nei momenti di lucidità che ancora riusciva ad avere e che fu fatta propria dalla famiglia.
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Nella clinica Villa Igea Aldo Togliatti ricevette l’aiuto di una grande amica che allievò le sue monotone  giornate di vita…
Il 12 luglio 2011, un articolo di Davide Berti sulla “Gazzetta di Modena” titolava..
La sua “badante” racconta «Era come un fratello»
https://www.gazzettadimodena.it/modena/cronaca/2011/07/12/news/la-sua-badante-racconta-era-come-un-fratello-1.725801
Marisa Cavicchi era infermiera quando Aldo venne portato in cura la prima volta
 poi lo ha assistito anche da pensionata.
«Non era rinchiuso, qui lui ha vissuto»
L’articolo riportava come oggi “Villa Igea” si chiami “Villa Verde”.
La stanza, a due letti, in cui ha vissuto Aldo si affacciava sul parco in un’atmosfera di pace..
E lui a Villa Igea l’ha sicuramente trovata
Questa bellissima figura femminile colmò la solitudine di Aldo con gesti semplici fatti di ascolto, di comprensioni, di sguardi, di attenzioni.
Si chiama Marisa Cavicchi, infermiera a Villa Igea dal 1975, in pensione già nel 2022, e che dal 2002 ha sempre seguito Aldo nei suoi momenti di vita.
Lo chiamava Aldino.
Dopo la morte del compagno Onelio Pini (deceduto nel 2002), che incontrava Aldo tutte le settimane per portargli le sigarette, la settimana enigmistica,  per qualche passeggiata e per dialogare, la famiglia di Aldo diede incarico all’assistente Cavicchi di seguire da vicino Aldo.
Nella sua stanza non mancava mai un libro,  gli scacchi dato che amava giocare da solo, e la Settimana Enigmistica, sempre nuova ogni sette giorni.
Era un appuntamento fisso per la mente lucida di Aldo, il paziente che tutti vorrebbero avere.
Un’assistente sincera, riservata così come lo era stato Aldo nella sua triste vita.
Un giorno Aldo  gli disse…
Sei come una sorella
e gli confidò un segreto…
"Ti chiami Marisa come la mia sorellina. L'ho vista solo in un’occasione, lei era una bimba, io già un ragazzo".
Fu l'unica volta che la vide e in sé pensò a quella sorella destinataria dell'amore esclusivo di suo padre e che in tutti quegli anni non lo aveva mai cercato. Sicuramente in quella confidenza  gli occhi di Aldino si riempirono di lacrime. 
Per Marisa Cavicchi
Era vero. Eravamo come fratelli.
La Sig.ra Marisa  nell’intervista rilevò come
Ero infermiera quando entrò per la prima volta, e sono quei giorni che non dimentico.
Aldo era una persona speciale, mite, accogliente, era un piacere parlare con lui, molto colto.
Sul suo comodino c’era l’ultimo libro di Victor Hugo, scritto poco prima di morire..
Novantatré 

Edito nel 1973
Il libro di Victor Ugo era forse un presagio di morte per Aldo?
Glielo portai come facevo di frequente, quando finiva di leggere un libro ne voleva subito un altro. Ma tutti i giorni gli portavo dolci e il gelato. Era goloso, anche in questi ultimi momenti.
Prima della Sig.ra Marisa, Aldo aveva un amico fraterno che gli stava vicino, Onelio Pini..
Onelio è stata una persona importantissima per Aldo, e in questo momento mi piace ricordare anche lui, che tutti i giorni gli portava il giornale e le sigarette. Anche noi uscivamo spesso: una passeggiata, qualche spesa e l’anno scorso anche una bella giornata passata al mare, a Cervia, con tutti gli altri ospiti della clinica: una mangiata di pesce spensierata.
Ha un grande rispetto di Aldo tanto da non entrare nella sua vita privata..
Non parlava mai del padre e negli ultimi mesi mi scambiava per la sorella (Marisa Malagoli, figlia adottiva di Palmiro Togliatti e Nilde Iotti, oggi affermata psichiatra di Roma)…….
 
È lo stesso motivo per cui ho scelto di non farmi fotografare: non voglio giocare su questi trent’anni di grande umanità trascorsi accanto ad una persona per accudirla, non voglio farmi pubblicità con la sua malattia che lo ha debilitato ma con la quale lui ha saputo convivere, con grande dignità. La stessa che gli è stata dedicata da tutto il personale della struttura in questi lunghi anni. I medici, gli infermieri e il personale hanno fatto di tutto per stargli vicini, così come ad ogni altro paziente. E non è vero, come qualcuno insinuava, che Aldo è stato rinchiuso. 
Aldo qui ha vissuto
Il 9 (10?) luglio 2011 si spense, dopo aver sopportato con grande serenità il suo male, e fu sepolto a San Cataldo.
Mi mancherà.
Aldo Togliatti rimarrà sepolto a San Cataldo per un anno, poi sarà tumulato a Collegara di San Damaso, vicino al padre di Marisa Cavicchi:
Mi prenderò cura di lui anche da morto. Per me sarà un onore.
Della morte di Aldo nel 2011 venne data notizia solo a funerali avvenuti. Di lui restarono poche fotografie, “rubate” da qualche cronista. Aldo Togliatti solo, ma libero.

Sulla tragica storia di Aldo Togliatti furono scritti diversi libri e nel 1997 il drammaturgo Luigi Lunari scrisse un testo teatrale dal titolo
Nel nome del padre
che fu interpretato anche a Broadway con il titolo di
Our fathers
Nella versione americana il triste destino di Aldo Togliatti fu messo a confronto con quello di
Rosemary Kennedy
ovvero la figlia ritardata del patriarca Joseph che la fece lobotomizzare.

L’ odierno trionfo dei sentimenti consentono invece di riconoscere dietro al segreto di quest' uomo malato e a capo chino una storia terribile, un'anima sacrificata sull' altare di qualcosa che oggi non si comprende.


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ENCICLOPEDIA DELLE DONNE

 

IL MOVIMENTO FEMMINISTA. – IL DIRITTO AL VOTO IN ITALIA

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2018/03/il-movimento-femminista-il-diritto-al.html

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El emocionante cántico de las mujeres en la manifestación en la huelga de Bilbao

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2018/03/el-emocionante-cantico-de-las-mujeres.html

 

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L’ENCICLOPEDIA DELLE DONNE (Seconda Parte)

ALCUNE DONNE IMPORTANTI DELL’ANTICHITA’….

Aspasia...La Pizia, Cinisca… Atlete Vittoriose nelle Olimpiadi …le Allieve della Scuola Pitagorica di Kroton…..Ipazia…

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2019/05/lenciclopedia-delle-donne-seconda-parte.html

 

……………………………………………………..

MONTE PELLEGRINO (RNO) (Palermo):
 “Il Promontorio più bello al mondo…”

Parte Terza:
La Palazzina Cinese –  Le Statue del Parco della Favorita (Parte integrante della Riserva di Monte Pellegrino) –
Museo Etnografico Giuseppe Pitrè -  Le Scuderie Reali –
Nella Palazzina Cinese c’è l’anima della Regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena (Enciclopedia delle Donne).

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2019/08/monte-pellegrino-rno-il-promontorio-piu_15.html

 

…………………………………

ENCICLOPEDIA DELLE DONNE – (Terza Parte) –

LE PRIME MEDICHE DELLA STORIA

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2019/09/enciclopedia-delle-donne-terza-parte-le.html

 

…………………………………….

ENCICLOPEDIA DELLE DONNE (QUARTA PARTE) –

COSTANZA D'ARAGONA -

LA PRIMA MOGLIE DELL'IMPERATORE FEDERICO II DI SVEVIA

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2020/01/enciclopedia-delle-donne-quarta-parte.html

 

 

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ENCICLOPEDIA DELLE DONNE (QUINTA PARTE) 

JOLANDA (ISABELLA) DI BRIENNE
SECONDA MOGLIE DELL'IMPERATORE FEDERICO II DI SVEVIA
REGINA DI GERUSALEMME E DI SICILIA

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2020/01/enciclopedia-delle-donne-quarta-parte_5.html

 


………………………………… 

Enciclopedia delle Donne (Sesta parte) 

Le Poetesse Siciliane del Risorgimento

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2020/07/enciclopedia-delle-donne-sesta-parte-le.html

……………………………….

Enciclopedia delle Donne (Settima Parte)

Eleonor de Moura

Prima ed unica donna Vicerè di Spagna in Sicilia - In 27 giorni di reggenza tante leggi anche a favore delle donne in difficoltà – 

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2020/08/eleonor-de-moura-prima-ed-unica-donna.html

 


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Enciclopedia Delle Donne - VIII Parte

Eleonora Alvarez de Toledo e i suoi tempi

Un periodo ricco di manifestazioni di altissima cultura ma anche di gravi atti nei confronti delle

donne ..La morte di Maria de' Medici, Isabella de' Medici, Leonor Alvarez de Toledo, ecc.

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2020/11/eleonora-alvarez-de-toledo-e-i-suoi.html

…………………………………. 

Enciclopedia delle Donne (IX parte)

Damarete di Agrigento (VI secolo a.C.)

La prima donna della storia a protezione dell'Infanzia –
https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2020/12/damarete-di-agrigento-vi-secolo-ac-la.html

 

……………………………………………….. 

Enciclopedia delle Donne: X Parte

La triste storia dell’etera Laide di Hykkara 

La Prostituzione Sacra –  Le divinità: da Inanna all’eroina Afrotide (?)

Un Piccolo viaggio anche ad Erice e Pantelleria.

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2021/01/la-triste-storia-delletera-laide-di.html

 

…………………………………………………

ENCICLOPEDIA DELLE DONNE - XI PARTE

LE FILANDIERE - IL FILO DELLA MEMORIA –

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2021/01/le-filandiere-il-filo-della-memoria.html

 

 

………………………………………….. 

Dedicato alle Donne Afghane… al loro coraggio..           افغان میرمنو ته د دوی زړورتیا ته وقف شوی.

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/02/dedicato-alle-donne-afghane-al-loro.html

 


……………………………………………………… 

ENCICLOPEDIA DELLE DONNE – XII CAPITOLO

Le Donne dell’Afghanistan – La Regina Soraya Tarzi (1926 - 1929) -- Prima Parte

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo.html

…………………………………………….. 

Enciclopedia delle Donne - XII Capitolo - 2° Parte  

I Sovrani d'Afghanistan, Amanullah Khan e Soraya Tarzi in visita di Stato

in Egitto ed Italia (1927 - 1928)

Egitto: La triste vita della regina Nazli Sabri

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo-2.html

……………………………………. 

Enciclopedia delle Donne - XII Capitolo - 3° Parte

I Sovrani d'Afghanistan Amanullah Khan e Soraya Tarzi in visita di Stato (1928):

Francia - Gran Bretagna – Germania

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo-3.html

………………………………….. 

Enciclopedia delle Donne - XII Capitolo - 4° Parte

I Sovrani d'Afghanistan Amanullah Khan e Soraya Tarzi in visita di Stato (1928):

Polonia - Unione Sovietica -Turchia

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo-4.html

……………………………….. 

Enciclopedia delle Donne - XII Capitolo - 5° Parte

I Sovrani d'Afghanistan Amanullah Khan e Soraya Tarzi in visita in Iran (1928)

L'Abdicazione - L'Esilio a Roma

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo-5.html

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Enciclopedia delle Donne- XII Capitolo - 6° Parte

La discendenza dei Sovrani d'Afghanistan, Amanullah Khan e Soraya Tarzi

Le mogli di Amanullah - i Documenti Storici - I Sovrani fra la loro gente

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo-6.html

………………………………. 

Enciclopedia delle Donne - XII Capitolo - 7° Parte

I Sovrani d'Afghanistan Amanullah Khan e Soraya Tarzi ricordati dalle figlie.

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo-7.html

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Enciclopedia delle Donne- XIII Capitolo – 8° Parte

L’Album di Famiglia di Amanullah Khan e di Soraya Tarzi,  Sovrani d'Afghanistan

https://sicilianaturacultura.blogspot.com/2023/06/enciclopedia-delle-donne-xii-capitolo-8.html

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Enciclopedia delle Donne- XIV Capitolo

La Baronessa di Carini - Storia di uno dei tanti femminicidi del XVI secolo

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